Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 22 aprile 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    le manovre finanziarie dispongono oneri e tagli di spesa, a cui sono chiamati a dare il proprio contributo per il raggiungimento di fini essenziali per la ripresa del Paese, non solo lo Stato, ma anche le altre articolazioni della Repubblica, quali regioni ed enti locali. Dunque, come ha chiarito la Corte costituzionale, lo Stato centrale può legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio, con «disciplina di principio», per ragioni di coordinamento finanziario connesse a obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari (si veda la sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2011);
    tuttavia, negli ultimi anni, in particolare dall'anno 2008, tra taglio dei trasferimenti e patto di stabilità, è stato imposto agli enti locali un contributo per il risanamento dei conti pubblici nettamente superiore a quello sostenuto dalle amministrazioni centrali dello Stato. In particolare, dal 2010 ad oggi, i comuni hanno fatto sacrifici per ben 17 miliardi di euro;
    anche i tagli di spesa previsti dall'ultima legge di stabilità, hanno visto un carico sugli enti locali di 8,1 miliardi di euro di tagli, somma quattro volte superiore al taglio disposto per i Ministeri, quantificato in 2 miliardi di euro nel 2015, su un importo totale di 16,6 miliardi di euro. Per il risanamento della spesa pubblica, alle regioni è stato richiesto il contributo più oneroso, per un importo di 4 miliardi di euro, sul fondo di solidarietà comunale è stato disposto un taglio di 1,2 miliardi di euro, mentre le province e città metropolitane contribuiranno per un importo di 1 miliardo di euro (che raggiungerà 2 miliardi di euro nel 2016 e 3 miliardi di euro dal 2017). Tra l'altro, il taglio di risorse approvato con la legge di stabilità 2015 ha inciso negativamente sul difficile processo di riordino delle province disposto dalla cosiddetta riforma Delrio, mettendo in luce l'assenza di un idoneo coordinamento legislativo del Governo, per il palese contrasto tra norme;
    i tagli disposti dalla predetta legge di stabilità si sono aggiunti a quelli previsti nel 2015 dal decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante «Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale» che individua come destinatari delle misure finanziarie contenute province, città metropolitane e comuni;
    è sempre più accesa la protesta degli amministratori locali contro i tagli di spesa applicati agli enti. Sul punto, è stato di recente espresso un forte dissenso dai comuni siciliani rispetto ai tagli del Governo, accusato di restare immobile dinnanzi all'allarme lanciato contro queste manovre finanziarie che provocano ricadute negative sul territorio. Si lamenta una grave e insostenibile mancanza di trasferimenti e l'inadempienza del Governo, con conseguenti e dannosi effetti sulla gestione della spesa degli enti locali. A pagarne le conseguenze sono soprattutto i cittadini che si vedono recapitare bollette più esose da parte dei comuni costretti ad aumentare le tasse, per le scelte dell'Esecutivo. Ormai, si apprende sempre più frequentemente di comuni in dissesto o in pre-dissesto o di comuni che devono fronteggiare emergenze senza alcun sostegno da parte delle istituzioni nazionali;
    si ritiene, quindi, che nel tempo si sia verificato un meccanismo distorto di tagli a carico degli enti locali e di conseguenti trasferimenti delle risorse risparmiate in favore dell'Erario statale, che rischia di essere non conforme ai principi di solidarietà, uguaglianza, adeguatezza, nonché dei principi costituzionali dell'autonomia (anche finanziaria) degli enti territoriali, del decentramento e di sussidiarietà;
    detto squilibrio delle manovre di finanza pubblica è stato individuato dalla Corte dei conti, sezione delle autonomie, nella relazione sulla gestione finanziaria 2013 degli enti territoriali, dove i giudici contabili affermano che è stato «richiesto alle autonomie territoriali (a quelle regionali in particolare) uno sforzo di risanamento non proporzionato all'entità delle risorse gestibili dalle stesse, a vantaggio di altri comparti amministrativi che compongono il conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche». Di conseguenza, «le predette misure di austerità, riducendo gravemente le possibilità di intervento e di gestione degli enti territoriali, hanno inciso profondamente sul grado di autonomia finanziaria e funzionale ad essi garantiti dal Titolo V, della Parte II, della Costituzione»;
    ed ancora, la Corte dei conti, nell'analizzare i risultati delle manovre di contenimento della spesa e di stimolo alla crescita economica tra l'anno 2008 e 2013, ha messo in evidenza l'attuazione di consistenti tagli ai trasferimenti correnti e di una riduzione delle risorse destinate ai servizi essenziali ai cittadini ossia: asili nido, scuole materne, assistenza domiciliare, sostegno alla non autosufficienza, politiche abitative, tutela ambientale, trasporto pubblico locale, politiche educative e culturali. Dalle manovre restrittive risultano maggiormente penalizzate le regioni (i cui tagli alla spesa primaria hanno raggiunto il 16 per cento nel triennio 2010-2012), nonché, a livello territoriale, le amministrazioni del Mezzogiorno, con consistenti contrazioni di risorse soprattutto in conto capitale;
    l'analisi della Corte dei conti ha, dunque, rilevato che il peso delle manovre di bilancio applicate dalla Stato con i tagli a regioni, comuni e province, è ricaduto direttamente sui cittadini determinando un'evidente diminuzione delle risorse previste per fornire i servizi essenziali, indispensabili per garantire ai cittadini il godimento di diritti della persona costituzionalmente tutelati;
    è, dunque, di tutta evidenza che la politica di tagli generalizzati alla spesa e alle risorse degli enti territoriali, di cui l'ultima legge di stabilità ne è un chiaro esempio, impedisce agli stessi di svolgere le proprie funzioni con il concreto rischio di violare quelle garanzie che la Costituzione assicura agli enti locali proprio per l'esercizio delle rispettive funzioni;
    la logica di tagli finanziari perseguita negli anni dall'Esecutivo determina un'evidente disparità di trattamento e di sacrifici tra i vari comparti della pubblica amministrazione, determinando una posizione di grave svantaggio per le autonomie locali, in violazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione, i cui principi sono applicabili anche rispetto agli enti pubblici;
    per quanto predetto, quindi, è vero che il Governo, con una disciplina di principio, può imporre alle regioni e agli enti locali, per ragioni di coordinamento finanziario, vincoli alle politiche di bilancio, che oggettivamente si traducono in una indiretta limitazione all'autonomia di spesa degli enti territoriali. Tuttavia, è del pari vero che la predetta funzione di coordinamento della finanza pubblica, che ha il fine di garantire il perseguimento di obiettivi nazionali, deve essere svolta nel rispetto di criteri che consentano il rispetto dell'autonomia delle regioni e degli enti locali in conformità ai principi generali di ragionevolezza e proporzionalità dell'intervento normativo rispetto all'obiettivo prefissato (Corte costituzionale, sentenza n. 236 del 2013). Di contro, questi principi appaiono di frequente lesi proprio perché, come confermato dalla Corte dei conti, i tagli e le manovre finanziarie applicate nel tempo dal Governo, hanno richiesto un sacrificio alle autonomie locali che si ritiene illegittimamente sproporzionato a quello sostenuto da altri comparti e, in particolar modo, dalle amministrazioni di livello centrale;
    ed ancora, un ulteriore potenziale profilo di incostituzionalità delle disposizioni che attuano questi tagli indiscriminati si individua anche rispetto all'articolo 5 della Costituzione in violazione delle esigenze dell'autonomia e del decentramento. Tale norma prevede che la Repubblica ha il preciso dovere di riconoscere e promuovere le autonomie locali, anche adeguando «i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento». Tuttavia, se si impongono tagli eccessivi alle risorse finanziarie a disposizione delle amministrazioni locali, le esigenze dell'autonomia e del decentramento tutelate dall'articolo 5 della Costituzione vengono secondo i firmatari del presente atto di indirizzo totalmente lese;
    attraverso il drastico taglio delle risorse degli enti territoriali viene non solo gravemente compromessa l'autonomia delle realtà locali, ma si va a pregiudicare l'intero assetto ordinamentale che si regge sul principio di sussidiarietà. È assurdo, inoltre, che tali manovre non tengano conto anche delle specifiche difficoltà delle amministrazioni locali rispetto al reperimento dei fondi necessari a garantire l'erogazione dei servizi essenziali ai cittadini;
    ebbene, il taglio alla spesa corrente imposto negli ultimi anni con una moltitudine di interventi legislativi, che hanno svuotato progressivamente gli enti locali della loro autonomia con la progressiva riduzione delle risorse a disposizione e l'imposizione di un trasferimento all'Erario centrale delle risorse risparmiate senza la previsione di adeguati trasferimenti statali che vadano a compensare le decurtazioni subite dagli enti locali, nel tempo ha generato degli effetti che compromettono seriamente la programmazione di bilancio degli enti medesimi. Ciò rende impossibile agli stessi di far fronte alle spese programmate, con grave pregiudizio dei bisogni primari dei cittadini;
    i contributi richiesti con le manovre finanziarie non possono pregiudicare il regolare e corretto adempimento dei livelli essenziali delle prestazioni e le funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali. Inoltre, gli interventi del Governo in questione devono essere disposti assicurando una proporzione tra il concorso finanziario delle amministrazioni centrali e di quelle locali, anche correggendo gli squilibri economico-sociali che emergono tra le diverse aree del Paese;
    la necessità di un intervento correttivo al meccanismo dei tagli a carico degli enti è evidente anche per escludere la proposizione di ulteriori ricorsi da parte di regioni e enti locali per eccepire i profili di incostituzionalità delle manovre. A riguardo, infatti, si fa presente che la regione Veneto ha depositato il 24 febbraio 2015 ricorso alla Corte costituzionale contro la legge di stabilità 2015 nella parte in cui impone alle regioni ordinarie un taglio di 5,7 miliardi di euro, che si aggiunge a quelli disposti per oltre 15 miliardi di euro dalle ultime manovre;
    ma vi è di più, in quanto tale errata politica dei tagli potrebbe, di conseguenza, spingere anche le regioni ad adottare provvedimenti troppo onerosi nei confronti dei comuni. Sul punto, si è appreso della class action di 55 comuni del Friuli Venezia Giulia che, lamentando la violazione della loro «autonomia finanziaria di entrata e di spesa», hanno proposto, il 20 aprile 2015, ricorso contro la regione avverso un provvedimento, avente ad oggetto la proposta di perimetrazione delle future unioni territoriali intercomunali, che, tra gli altri interventi, impone tagli che pregiudicano i comuni, come quello del 30 per cento dei trasferimenti qualora decidano di non aderire ad una unione,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative volte a modificare quanto stabilito dalla legge di stabilità 2015, idonee a reintegrare i trasferimenti tagliati;
   ad assumere immediate iniziative individuando criteri affinché i limiti disposti alle politiche di bilancio di regioni ed enti locali, attuati con i tagli di spesa, siano idonei a garantire che i mezzi di copertura finanziaria, da un lato, salvaguardino l'adempimento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali e, dall'altro, assicurino una proporzione tra il contributo finanziario imposto alle amministrazioni locali rispetto a quelle centrali, nonché un adeguato concorso finanziario dello Stato per gli interventi correttivi degli squilibri economico-sociali che sussistono tra le diverse aree del territorio nazionale.
(1-00826) «Rizzetto, Barbanti, Rostellato, Mucci, Baldassarre, Artini, Prodani, Segoni, Turco, Bechis».


   La Camera,
   premesso che:
    la libertà religiosa è la madre di tutte le libertà, in quanto investe la libertà di coscienza, di pensiero e di professione pubblica della fede di ciascuno. Come tale fa parte dei diritti fondamentali ed inalienabili dell'uomo, espressi nella «Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo» adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Tale diritto, pertanto, include la libertà di cambiare religione o credo e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico sia in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti;
    la libertà religiosa rappresenta senz'altro lo sfondo dove ricercare un'efficace politica sociale attenta alle differenze, dove incoraggiare scelte segnate da una tolleranza genuina che non camuffi le diversità, e da un'azione che sostenga l'integrazione, il dialogo plurale per il bene comune, la tutela dei diritti umani e la partecipazione democratica;
    la storia dimostra che non solo la libertà religiosa è il pilastro portante di tutte le libertà, ma che l'intolleranza religiosa porta inevitabilmente alla violazione di diritti umani fondamentali e, molto spesso, a conflitti cruenti e devastanti;
    purtroppo, come documentano troppi eventi, il diritto alla libertà religiosa è ancora oggi messo in discussione: gli atti di violenza commessi in nome della religione continuano infatti a dominare la scena internazionale, generando intolleranza spesso alimentata e strumentalizzata per motivi politici ed economici, che sempre più di frequente producono azioni collettive aberranti a danno delle minoranze;
    in molti Paesi, vi sono ancora discriminazioni di ordine giuridico o costituzionale oppure vere e proprie ostilità religiose, spesso legate a tensioni etniche o tribali. In diversi casi, vi è un gruppo religioso che opprime – o, addirittura, cerca di eliminarne – un altro, o c’è uno Stato autoritario che tenta di limitare le attività di un particolare gruppo religioso;
    in questo contesto, la grave mancanza di libertà religiosa di cui soffrono i cristiani in molti Paesi provoca ancora vittime innocenti, perpetrando una vera e propria persecuzione, che rappresenta una offensiva condotta con violenza sistematica e indiscriminata contro la presenza cristiana in vaste aree del mondo. Si tratta di una tragedia umanitaria di proporzioni drammatiche che si consuma ogni giorno: casi di cristiani perseguitati solo a causa della loro fede, trucidati in nome del fanatismo e radicalismo religioso;
    il termine «cristianofobia» è quello che descrive più compiutamente questo fenomeno di portata universale, e come tale è stato adottato dall'Onu sin dal 2003 e dal Parlamento europeo nel 2007. Con questa espressione si vuole qualificare la peculiarità di una persecuzione che si manifesta in odio cruento in Paesi dove il cristianesimo è minoranza, ma trova fertile terreno anche in Occidente da parte di chi vuole negare la pertinenza pubblica della fede cristiana;
    il Novecento è stato il secolo dell'eccidio dei cristiani: in cento anni ci sono stati più «martiri» che nei duemila anni precedenti. Sono circa cento milioni i cristiani perseguitati in tutto il mondo: nel 2014 si stimano 4.344 vittime e 1.062 chiese attaccate. In media ogni mese 322 cristiani vengono uccisi nel mondo a causa della loro fede, 214 tra chiese ed edifici di proprietà dei cristiani sono distrutti e danneggiati e 722 sono gli atti di violenza perpetrati nei loro confronti. Le statistiche sono di opendoorsusa.org, un'organizzazione no profit evangelica che assiste cristiani perseguitati di tutte le confessioni in più di sessanta Paesi;
    nel 2014 e nel primo trimestre 2015 i cristiani si confermano dunque come il gruppo religioso maggiormente perseguitato: dalla Nigeria all'Africa subsahariana, dalla Siria all'Iraq, al Pakistan, è lunga la scia di sangue che li vede sempre più sotto attacco con arresti, deportazioni, torture, stupri e decapitazioni;
    tra i crimini recenti più efferati, ricordiamo la barbara uccisione dei 21 cristiani copti, rapiti a Sirte, in Libia, dai miliziani affiliati allo Stato islamico;
    lo scorso 10 aprile, in Pakistan un adolescente di 14 anni di religione cristiana è stato arso vivo da alcuni giovani musulmani, ed ora lotta tra la vita e la morte, in ospedale a Lahore, con gravi ustioni su tutto il corpo;
    le limitazioni alla libertà religiosa conoscono un triste primato in Darfur, teatro di violenti stupri di massa, ma ancora più agghiaccianti sono i massacri compiuti in Nigeria dai fondamentalisti islamici di Boko Haram; lo stesso gruppo terroristico si è reso protagonista di uno degli episodi più raccapriccianti: il rapimento, nella notte del 14 aprile 2014, di 275 ragazze cristiane, studentesse della scuola secondaria del villaggio di Chibok. Alcune decine di loro riuscirono a scappare, ma in grandissima misura (più di 200) mancano ancora all'appello, molto probabilmente gettate nelle fosse comuni;
    non sono da meno i tormenti inflitti ai cristiani in Medio Oriente: in Iraq, dall'estate dell'anno scorso, sono centinaia di migliaia quelli costretti a fuggire dalle loro case sotto l'incalzare dell'avanzata dei jihadisti dell'Isis;
    vi sono poi Paesi come il Kenya, in cui i cristiani rappresentano la maggioranza della popolazione, ma che, a causa delle tensioni religiose, connesse ad una situazione politica complessa, sono vittime di atti di persecuzione. Risale infatti a giovedì santo l'episodio di violenza jihadista degli estremisti somali Al Shabaab contro un campus universitario, che ha provocato la morte di almeno 147 persone;
    il mese scorso, davanti agli attentati mossi dinnanzi a due chiese in Pakistan, che hanno provocato 15 morti e 80 feriti, Papa Francesco ha parlato di una «persecuzione contro i cristiani che il mondo cerca di nascondere»;
    e ancora recentemente, in occasione della messa per gli armeni, il Papa ha avuto modo di ricordare che «oggi stiamo vivendo una sorta di genocidio causato dall'indifferenza generale e collettiva», «una terza guerra mondiale a pezzi», in cui «sentiamo il grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e sorelle inermi, che a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza etnica» vengono perseguitati;
    non possiamo rimanere indifferenti davanti a tutto questo, soprattutto in un momento storico in cui il fronte dell'intolleranza sta toccando così tante nazioni nei diversi continenti e soprattutto nelle occasioni più incredibili. Basti pensare che solo qualche giorno fa, su un barcone di immigrati diretto verso il nostro Paese, durante la traversata del Canale di Sicilia, è scoppiata una rissa per motivi religiosi, in cui i musulmani avrebbero sopraffatto i cristiani scaraventandoli fuori bordo e provocando la morte di alcuni di loro;
    in questo clima, ciò che più colpisce è il silenzio delle istituzioni, nonché la mancanza di un'iniziativa forte e decisa a carico della diplomazia internazionale;
    l'integrazione europea, per essere autentica, deve fondarsi sul rispetto delle identità dei popoli dell'Europa, che vedono tra le sorgenti della propria civiltà il Cristianesimo, che è all'origine dell'idea di persona e della sua centralità;
    lo stesso principio di laicità dello Stato, che rappresenta una delle conquiste più importanti delle democrazie liberali e pluraliste, non implica indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato stesso per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale;
    la libertà religiosa assume quindi un ruolo fondamentale anche a garanzia del principio supremo di laicità dello Stato, sul quale si struttura il concetto di democrazia;
    di fronte a ciò che sta accadendo, anche a tutela dei principi che fondano le democrazie che la compongono, l'Europa in particolare ha il dovere di rivendicare con orgoglio i propri valori e la propria identità, senza rinunciare ad affermare le sue radici giudaico-cristiane, con piena consapevolezza delle origini culturali delle proprie idee e istituzioni democratiche,

impegna il Governo:

   a promuovere ogni azione, a livello internazionale e nei rapporti bilaterali, volta a riconoscere la persecuzione nei confronti dei cristiani come priorità assoluta, affinché sia condannata e contrastata con ogni mezzo;
   a porre in essere ogni iniziativa affinché i Governi dei Paesi alleati e dei Paesi che sostiene con gli strumenti della cooperazione internazionale, forniscano adeguata protezione ai cristiani e garantiscano il loro diritto ad esercitare e a professare la loro fede in sicurezza e libertà;
   ad adottare ogni iniziativa utile a garantire la tutela delle minoranze cristiane anche attraverso azioni dirette, da realizzare in collaborazione con le rappresentanze diplomatiche italiane e consolari;
   a far valere, nelle relazioni diplomatiche ed economiche, bilaterali o multilaterali, la necessità di un effettivo impegno degli stati per la tolleranza e la libertà religiosa, in particolare dei cristiani e delle altre minoranze perseguitate, laddove risulti minacciata o compressa per legge o per prassi, direttamente dalle autorità di governo o attraverso un tacito assenso che implichi l'impunità dei violenti;
   ad adoperarsi affinché analogo principio sia fatto valere a livello di Unione europea e di qualsiasi altro organismo internazionale per l'assegnazione di aiuti agli Stati;
   a promuovere nelle competenti sedi internazionali, di concerto con i partner dell'Unione europea, iniziative atte a rafforzare il rispetto del principio di libertà religiosa, la tutela delle minoranze religiose, la lotta contro la cristianofobia e il monitoraggio delle violazioni, dando concreta attuazione agli strumenti internazionali esistenti.
(1-00827) «Carfagna, Brunetta, Centemero, Prestigiacomo, Palmieri, Gelmini, Garnero Santanchè, Giammanco, Ravetto, Milanato, Sandra Savino, Distaso, Polidori, Vella, Elvira Savino, Altieri, Marotta, Bianconi».


   La Camera,
   premesso che:
    Poste italiane spa ha presentato il 16 dicembre 2015 il nuovo Piano strategico 2015-2019 in cui si prevede la ridefinizione del servizio universale postale in quanto considerato disallineato rispetto ai reali bisogni delle famiglie e non più sostenibile dal punto di vista economico: previsione più che preoccupante vista la missione di società a capitale interamente pubblico che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e che garantisce l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato;
    stando a quanto riferito da fonti sindacali e dagli organi di stampa, la società, che è obbligata nel contratto di servizio a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste, ha previsto, a partire dai prossimi mesi, la progressiva chiusura di ben 455 uffici postali a livello nazionale e la riduzione degli orari di apertura in circa 608 uffici, ritenuti «improduttivi» o «diseconomici»;
    tali interventi per motivi economici rischiano di compromettere la qualità del servizio universale, che – a tutela delle esigenze essenziali degli utenti – impone invece la fornitura del servizio anche in situazioni di fallimento di mercato, caratterizzate da bassi volumi di domanda ed alti costi di esercizio, tali da rendere l'erogazione delle prestazioni strutturalmente non redditiva ed antieconomica;
    la delibera n. 342/14/Cons dell'Agcom, nel modificare i criteri di distribuzione degli uffici postali, ha disposto specifici divieti nei confronti di Poste a tutela degli utenti del servizio postale universale che abitano nelle zone svantaggiate del Paese: in particolare, sono state previste particolari garanzie per i comuni caratterizzati da una natura prevalentemente montana del territorio e dalla scarsa densità abitativa e per le isole minori in cui sia presente un unico presidio postale. La delibera, inoltre, impone a Poste di avvisare con congruo anticipo le istituzioni locali sulle misure di razionalizzazione, al fine di avviare un confronto sull'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e per individuare possibili soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale;
    pochi giorni fa Poste italiane, nella persona dell'amministratore delegato Francesco Caio, si è ufficialmente impegnata con il Sottosegretario alle comunicazioni Antonello Giacomelli e il presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Angelo Cardani a coinvolgere regioni ed enti locali nella fase precedente a quella di razionalizzazione per spiegare come verrà assicurata la tutela del servizio universale per i cittadini, eppure sembra che la chiusura degli uffici sia prevista a partire dal 13 aprile senza che le amministrazioni locali dei comuni interessati siano state debitamente coinvolte;
    la chiusura degli uffici e la limitazione degli orari di apertura conseguenti alla razionalizzazione determineranno particolari difficoltà per gli utenti appartenenti alle fasce di età più avanzate e per quelli delle zone più isolate o periferiche, sacrificando quindi in parte l'interesse alla coesione sociale e territoriale del Paese;
    l'Agcom con la delibera 728/13/Cons ha manifestato evidenti perplessità sul mantenimento di alcuni servizi all'interno del perimetro del servizio universale, ritenendo che alcuni di essi, quali la posta assicurata degli invii singoli, la corrispondenza ordinaria degli invii multipli, gli invii di atti giudiziari non dovrebbero essere offerti in regime di esclusiva;
    attualmente, nel nostro Paese a differenza di quanto accade negli altri Paesi europei, questi prodotti rientrano nel perimetro del Servizio universale, godendo dell'esenzione IVA qualora forniti da Poste Italiane, e sono, invece, soggetti a IVA se forniti da operatori diversi, con tutte le conseguenze in termini di limiti alla concorrenza ed alla equa competizione tra gli operatori del mercato;
    come evidenziato dal documento ufficiale inviato dal Governo a Bruxelles il 20 febbraio 2015, è intenzione del Governo stesso completare entro la fine dell'anno corrente la parziale privatizzazione delle Poste, tramite la vendita del 40 per cento delle relative azioni;
    la chiusura degli uffici e la limitazione degli orari di apertura conseguenti alla razionalizzazione determineranno particolari difficoltà per gli utenti appartenenti alle fasce di età più avanzate e per quelli delle zone più isolate o periferiche, sacrificando quindi in parte l'interesse alla coesione sociale e territoriale del Paese;
    pur non potendosi escludere la necessità di porre comunque in essere un piano di razionalizzazione degli uffici postali, ingenti risorse, utili a mitigarne gli effetti, potrebbero essere ricavate da una più incisiva lotta agli sprechi e in particolare ai fenomeni illeciti frequentemente denunciati, posti in essere da dipendenti o da terzi, che colpiscono il servizio postale e il patrimonio della Società;
    una vera riforma strutturale non può prescindere da una reale liberalizzazione del mercato, da effettuarsi previamente o contestualmente alla privatizzazione,

impegna il Governo:

   a sollecitare, in qualità di socio unico, l'amministratore delegato a rafforzare i controlli interni sulla gestione dei costi e in particolare:
    a) avviare una verifica degli appalti esistenti nell'azienda, anche alla luce delle determinazioni assunte dall'ANAC, in modo da individuare diseconomie, correggerle e così recuperare risorse da destinare agli impegni nel servizio postale;
    b) effettuare un controllo dei trasferimenti interni di personale intercorsi negli ultimi anni per verificare che la priorità nelle richieste di trasferimento sia stata effettivamente accordata agli aventi diritto allo stesso ai sensi della legge n. 104 del 1992;
    c) porre in essere più efficaci strumenti di gestione dei turni di ferie per minimizzare la necessità per il Gruppo di ricorrere a forme di lavoro interinale;
    d) garantire, in contemporanea con la diffusione dei servizi di postino telematico, la sicurezza dei lavoratori destinati a tali funzioni, a fronte delle criticità insite nella possibilità per gli utenti di corrispondere agli stessi denaro contante;
   a presentare al più presto alle Camere lo schema del prossimo contratto di servizio universale per le comunicazioni postali, al fine di avviare un confronto sui contenuti dello stesso e in particolare di assicurare una reale copertura delle aree disagiate;
   a promuovere la creazione di un mercato postale liberalizzato;
   a studiare la possibilità di affidare il servizio universale postale tramite bandi di gara divisi in lotti;
   ad instaurare un tavolo di lavoro, con la partecipazione di Poste, dei principali concorrenti attivi nei diversi settori del mercato postale, delle società che forniscono servizi informatici e prodotti digitali per detto mercato, al fine di individuare nuove metodologie di lavoro e di collaborazione, finalizzate, attraverso il miglior utilizzo delle innovazioni tecnologiche, a garantire la più ampia soddisfazione delle esigenze degli utenti dei servizi di recapito;
   a porre in essere effettive ed efficaci interconnessioni tra i sistemi telematici di sicurezza interna di Poste italiane e le banche dati pubbliche, al fine di garantire la tutela del risparmiatore.
(1-00828) «Catalano, Mazziotti Di Celso, Oliaro, Sottanelli».


   La Camera,
   premesso che:
    Poste Italiane spa è una società con partecipazione pubblica totalitaria, il cui oggetto sociale è costituito – anche se non in via esclusiva gestendo anche l'attività di bancoposta – dal «servizio postale universale», che in quanto destinato a soddisfare interessi pubblici di preminente interesse generale rientra a pieno titolo nella categoria dei servizi pubblici;
    è evidente, dunque, che la società, prestando un servizio pubblico essenziale, deve garantire ai cittadini-utenti la fruizione dello stesso secondo standard di qualità e di efficienza;
    lo scorso dicembre 2014 Poste italiane spa ha approvato un piano industriale e strategico per il periodo 2015-2020 che stanzia 3 miliardi di euro di investimenti in 5 anni, per arrivare ad un fatturato di 30 miliardi alla fine del quinquennio. L'amministratore delegato di Poste italiane, Francesco Caio, ha dichiarato che si tratta di «un piano di sviluppo» che tra gli obiettivi si propone di procedere ad una riconsiderazione di quello che deve essere il servizio universale postale, poiché attualmente non risulta essere in linea con le esigenze degli utenti e non più sostenibile economicamente;
    già da tempo la società ha annunciato che in attuazione del nuovo piano strategico è previsto un progetto di razionalizzazione per il quale si vuole procedere alla chiusura di 455 uffici postali a livello nazionale e alla riduzione degli orari di apertura di altri 600, ritenuti improduttivi nonché diseconomici;
    sul piano di razionalizzazione degli uffici e, dunque, sulla chiusura di un considerevole numero di sedi, sono intervenute ben presto le accese proteste sia dei cittadini che degli amministratori locali. Sono numerosi anche gli atti di sindacato ispettivo presentati al Governo, per scongiurare l'attuazione del piano. Vi è, infatti, il timore che le decisioni assunte unilateralmente da Poste italiane spa su tutto il territorio nazionale possano determinare un grave calo della qualità e della fruibilità del servizio per i cittadini che risiedono in zone svantaggiate, come quelle di montagna;
    in Friuli Venezia Giulia, ad esempio, rispetto alle annunciate chiusure degli uffici postali ad essere danneggiati sono i piccoli uffici, indispensabili soprattutto alle persone anziane sprovviste di mezzi per spostarsi. È la provincia di Udine ad essere più penalizzata con il 70 per cento delle chiusure regionali a Pordenone, Trieste e Gorizia. Tale regione già qualche anno fa è stata interessata da una prima tornata di chiusure che ha decimato soprattutto le zone di montagna. Sul punto, se è vero che non tutti gli uffici raggiungono la produttività ricercata dal management centrale, non può non tenersi conto che per un adeguato servizio dovrebbe essere presente almeno una sede per ciascun comune. Gli amministratori locali hanno, quindi, cercato un confronto con la società per evidenziare il disagio che si determinerebbe per la chiusura degli uffici e individuare delle soluzioni alternative;
    sulle annunciate chiusure in Friuli Venezia Giulia è stata presentata un'interrogazione (504731) al Ministero dello sviluppo, per evitare che Poste italiane proceda unilateralmente alla chiusura di uffici in zone svantaggiate con conseguente danno ai cittadini, che vengono ingiustamente privati di un adeguato servizio pubblico. Inoltre, si è richiesta l'adozione di provvedimenti affinché la società non disponga l'attuazione del piano, in assenza di una preventiva e necessaria concertazione con gli enti locali interessati. Non soddisfacente è stata la risposta del Ministero dello sviluppo economico che ha dichiarato genericamente, in sostanza, che le disposte chiusure sono conformi ai criteri previsti dalle disposizioni in materia. Il Ministero ha giusto tentato di dare delle rassicurazioni, affermando che, su propria richiesta a Poste italiane, il piano di razionalizzazione degli uffici verrà attuato solo con il completamento di un dialogo avviato con le Istituzioni locali e che l'Autorità garante delle telecomunicazioni continuerà a vigilare la corrispondenza degli interventi ai criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale;
    ebbene, si ritiene necessario un cambio di politica da parte della dirigenza di Poste italiane, che troppo spesso assume unilateralmente decisioni senza un'idonea e concreta concertazione con le istituzioni centrali e locali. Non può essere consentito alla società di attuare le misure in questione, alla luce di una logica ragionieristica, che non considera né la fondamentale funzione sociale di un servizio pubblico né le esigenze e peculiarità dei singoli territori coinvolti dagli interventi del piano di razionalizzazione;
    dunque, ricordando che la società ha un capitale che è detenuto al 100 per cento dallo Stato italiano, è chiaro che non può procedere all'attuazione di interventi di rilievo in esclusiva autonomia, soprattutto quando questi hanno serie ripercussioni non solo rispetto agli utenti, ma altresì verso i lavoratori della società stessa. Infatti, il nuovo piano strategico fa temere conseguenze negative anche da un punto di vista occupazionale, per il personale attualmente addetto presso le agenzie di recapito, sebbene l'amministratore delegato abbia dichiarato che trattandosi di un piano di sviluppo, non sono previsti licenziamenti ma proseguirà il programma di uscite agevolate iniziato nel 2010,

impegna il Governo:

   ad adottare le iniziative di competenza affinché non sia attuato il nuovo piano di razionalizzazione di Poste Italiane sino a quando non si proceda, concretamente, alla necessaria concertazione con le Amministrazioni locali interessate, per esaminare le conseguenze delle misure previste dal piano e valutare soluzioni alternative, qualora vi sia il rischio di non poter garantire standard di qualità e di efficienza del servizio a tutti i cittadini, con particolare attenzione per i territori svantaggiati, come quelli di montagna;
   a promuovere iniziative affinché nell'attuazione del nuovo piano venga garantita la salvaguardia dei posti di lavoro della società.
(1-00829) «Rizzetto, Barbanti, Rostellato, Mucci, Baldassarre, Artini, Prodani, Segoni, Turco, Bechis».


   La Camera,
   premesso che:
    la situazione odierna nella quale gli enti locali si trovano a svolgere i servizi ai cittadini costituzionalmente loro assegnati risente, esclusivamente in chiave negativa, di almeno 5 fattori: lo stratificarsi di tagli alle risorse degli enti locali e territoriali, la mancata attuazione del federalismo fiscale, la crisi economica che ha aumentato le esigenze di servizi sociali, l'emergenza sbarchi con conseguente imposizione agli enti di garantire ospitalità, e la legge n. 56 del 2014 che ha avviato una riforma delle province in mancanza di chiarezza istituzionale e di strumenti normativi e finanziari adeguati;
    secondo un calcolo riassuntivo diffuso dalla Cgia di Mestre nel gennaio 2015, complessivamente tra il 2011 ed il 2015 (dalla prima manovra Monti all'ultima legge di stabilità del Governo Letta) gli enti locali e territoriali complessivamente hanno subito una decurtazione superiore ai 25 miliardi di euro. Ciò ha permesso allo Stato centrale di dimostrare un miglioramento sul fronte della spesa quasi interamente scaricato sui bilanci degli enti locali e territoriali. Sui soli comuni il taglio è stato di 8,31 miliardi di euro e di 3,74 miliardi di euro per le province;
    il Documento di economia e finanza presentato recentemente dal Governo non interviene a rimodulare o ridimensionare i tagli per gli enti locali, in particolare le province, che in base all'ultima legge di stabilità sono chiamate ad uno sforzo superiore alla propria capacità di sostenere tagli e che, come già annunciato da amministratori di tutti i colori politici, potrebbero dichiarare il default;
    in mancanza di attuazione del federalismo fiscale e del meccanismo di finanziamento basato su costi e fabbisogni standard, il taglio si è trasformato, anziché in uno strumento di riduzione degli sprechi e della spesa improduttiva, in un meccanismo opposto, punitivo ed ingiusto: anziché premiare i comuni virtuosi e responsabilizzare le cattive amministrazioni, i tagli applicati in maniera lineare hanno reso impossibile l'amministrazione di chi non aveva margini di spreco. Nella sostanza, una spending review boomerang che ha trattato i servizi ai cittadini come se fossero sprechi e non ha saputo evidenziare né intaccare le sacche di cattiva amministrazione;
    i continui interventi sui tributi locali (soprattutto sull'IMU, che in due anni è stata oggetto di 4 modifiche strutturali e 10 decreti parziali), intervenuti anche in corso d'anno, hanno impedito la programmazione di bilancio da parte degli enti, hanno determinato un raddoppio delle imposte per i cittadini senza che a ciò corrispondesse alcuna risorsa aggiuntiva per i servizi municipali, ma soprattutto hanno spezzato la tracciabilità del tributo locale, perché in larga parte ed in diverse forme quanto incassato dai comuni come esattori è stato incamerato dallo stato centrale rendendo ancora più difficile stabilire una corrispondenza con i reali fabbisogni e fissare fabbisogni standard dal lato della spesa;
    all'indomani della legge n. 56 del 2014 intervenuta sulle province e città metropolitane, i nuovi enti di area vasta sono titolari di quattro funzioni fondamentali, prevedendo una ridistribuzione delle altre tra comuni e regioni (e invece nessun onere per lo Stato): la gestione e manutenzione delle strade provinciali; la gestione e manutenzione delle scuole superiori; la tutela e valorizzazione dell'ambiente; l'assistenza ai comuni;
    la legge di stabilità 2015 prevede il versamento allo Stato da parte delle province di 1 miliardo di euro per il 2015, 1 ulteriore miliardo di euro per il 2016 e 1 ulteriore nuovo miliardo di euro per il 2017, incidendo per oltre il 15 per cento sulla spesa totale delle province. Il legame tra funzioni fondamentali, funzioni trasferite, risorse e garanzia di copertura finanziaria viene dunque completamente ignorato;
    dal lato dei comuni, ai tagli citati corrisponde un aumento degli oneri conseguente alle crescenti esigenze di servizi sociali per fronteggiare crescenti situazioni di sofferenza e di povertà della popolazione, oltre ad una crescente evasione delle imposte municipali determinata da impossibilità di farvi fronte da parte dei cittadini;
    anche il costo dell'accoglienza di migranti è in larga parte a carico dei comuni: in maniera integrale per ciò che riguarda i minori non accompagnati, in forma di anticipazione forzata allo Stato delle spese sostenute per i migranti assegnati dalle prefetture;
    i comuni non hanno invece la possibilità economica di fare fronte alla crescente domanda di sicurezza da parte dei cittadini, non potendo, a causa delle regole del patto di stabilità interno, liberare risorse per investimenti sulla sorveglianza, sulla polizia locale, sulla bonifica di zone a rischio del proprio territorio,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative dirette a superare le attuali regole del patto di stabilità interno per gli enti locali per garantire agli enti virtuosi di investire in azioni per la sicurezza pubblica e i programmi di sostegno sociale per i cittadini residenti in difficoltà;
   ad assumere iniziative per rivedere i tagli imposti alle province dalla legge di stabilità 2015 in modo da garantire che esse possano svolgere le funzioni assegnate e possano essere trasferite le risorse riferite alle funzioni non fondamentali agli enti che assumeranno le funzioni stesse;
   ad applicare immediatamente i costi standard previsti dalla legge sul federalismo fiscale come vera modalità di riduzione degli sprechi ed efficientamento delle amministrazioni.
(1-00830) «Guidesi, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VIII e IX,
   premesso che:
    il 10 aprile 2015 il viadotto Himera del principale collegamento autostradale della Sicilia, la Palermo-Catania, all'altezza del chilometro 61, tra gli svincoli di Scillato e Tremmonzelli, è stato investito da una frana di quattro milioni di metri cubi, che ha provocato il cedimento di un pilone e un grave smottamento della carreggiata, ora del tutto inagibile in entrambi i sensi di marcia;
    gravissime le conseguenze per la viabilità dell'isola: l'autostrada, inaugurata nel 1975, è un'infrastruttura essenziale per la regione siciliana: è l'unico collegamento veloce tra Palermo e Catania; non ci sono alternative modali; i veicoli in transito sono dirottati su una statale inagibile da tempo con un tracciato segnato da buche che richiede un percorso aggiuntivo di circa un'ora e mezza; ancora più grave la situazione per pullman e mezzi pesanti: per raggiungere Catania è necessario passare prima da Messina; per il centro della Sicilia, verso le province di Enna e Caltanissetta, occorre puntare verso Agrigento, a sud dell'Isola; per le, province localizzate a sud-est, come Siracusa; o per la zona del ragusano il tragitto può richiedere mezza giornata per giungere a destinazione;
    sono insostenibili i disagi per gli automobilisti, e gravi le conseguenze per il trasporto pubblico di studenti e pendolari; molte delle autolinee tra Palermo e Catania sono state deviate verso le autostrade A20 e A18;
    la Sicilia è tagliata a metà: la carreggiata, impraticabile, è stata chiusa nel tratto tra Scillato e Tremonzelli; per il viadotto, chiuso in entrambe le direzioni, il traffico è deviato sulla statale 120 Caltavuturo-Cerda pure interessata da frane e cedimenti;
    nella zona dove si è verificato il movimento franoso, il comune di Caltavuturo è, in parte già isolato a causa di un'altra frana lungo la provinciale 24 che collega il centro abitato con lo svincolo di Scillato; il cedimento del pilone ha provocato danni anche ai collegamenti in fibra ottica a servizio del distretto telefonico di Cefalù, e alle linee di un'area delle Madonie in provincia di Palermo, interessando comuni di Ganci, Geraci Siculo, Petralia Sottana, Petralia Soprana, Polizzi Generosa, Castellana Sicula, Cerda e Caltavuturo;
    l'economia regionale subirà le conseguenze dell'insufficienza e della lentezza dei collegamenti; i tempi di percorrenza, nelle varie direzioni, si allungano di oltre un'ora; gravissime le ricadute sul turismo e sul trasporto delle merci e sul sistema sanitario;
    l'entità dei danni è tale che gli enti locali e territoriali hanno chiesto lo stato di emergenza; i lavori di ripristino e di contenimento del dissesto idrogeologico potrebbero richiedere anni;
    la procura della Repubblica di Termini Imerese ha aperto un'inchiesta sulla frana, in movimento da dieci anni;
    l'interruzione dell'A19 – da tempo in più tratte interessata da cantieri stradali – ha fatto emergere i gravi problemi di dissesto del reticolo circostante delle strade statali e provinciali, in gran parte da tempo chiuse per frane; la strada statale 643 «di Polizzi», il percorso alternativo per i mezzi leggeri provenienti dalla A19, è stato interessato da uno smottamento rimosso dall'Anas; la strada statale 120, altra ipotetica alternativa al percorso interessato dalla frana sull'autostrada è stata chiusa al traffico ed è pressoché intransitabile soprattutto nel tratto che va dal chilometro 10 al chilometro 20; la situazione dei collegamenti stradali è critica in tutta l'isola: in gennaio si è verificato il crollo del tratto di accesso al viadotto «Scorciavacche 2» sulla statale 121 tra Palermo e Agrigento, appena inaugurato; il 7 luglio scorso, lo smottamento di una delle campate del viadotto «Petrulla», tra Ravanusa e Licata, nella Sicilia meridionale, ha provocato quattro feriti, tra cui una donna in stato di gravidanza ed un bambino; nel febbraio del 2013, si è verificato il crollo del viadotto sul fiume Verdura, sulla statale tra Agrigento e Sciacca; nel maggio del 2009, il cedimento di un giunto del viadotto «Geremia» sulla statale 646 da Caltanissetta a Gela, inaugurato da appena tre anni, ha provocato la separazione delle due carreggiate e lo scivolamento di un pilone di 90 metri;
    il crollo del viadotto Himera è stato provocato da una frana nota da tempo;
    la frana, nel territorio del comune di Caltavuturo, è attiva da dieci anni, e da tempo trascina masse di terreno verso valle; tra il 30 marzo e l'8 aprile 2015, lo spostamento della frana si è fatto più marcato, senza, peraltro, destare allarme;
    nel 2005 il servizio geologico e geofisico della regione siciliana a seguito di una frana sulla strada provinciale n. 24 Scillato-Caltavuturo in una relazione segnalava che il movimento franoso si era prodotto in località Favara, adiacente, l'autostrada Palermo-Catania, coinvolgendo un tratto della strada provinciale n. 24, che collega l'abitato di Scillato con quello di Caltavuturo; già nel 2005 i geologi della regione definivano gli effetti della frana «devastanti»: la strada provinciale, era stata chiusa al transito perché impraticabile; un'abitazione di campagna era stata trascinata dal movimento franoso per alcuni metri; nella relazione la frana veniva definita «attiva, in stadio avanzato» e si segnalava che il piede della frana si estendeva fino al fiume Imera, sotto l'autostrada; lo studio geomorfologico del territorio sottolineava già all'epoca che la frana rappresentava la riattivazione dell'accumulo di un antico corpo franoso che si era rimesso in movimento a seguito di abbondanti precipitazioni meteoriche;
    nello stesso anno 2005 la provincia di Palermo aveva disposto sondaggi del territorio nell'ambito di dieci indagini geologiche; l'esito di tali indagini non è mai stato reso noto; tra il 2007 e il 29 marzo del 2015, il comune di Caltavuturo in provincia di Palermo ha effettuato numerose segnalazioni ai competenti enti regionali e nazionali, all'ANAS e alla protezione civile; nel 2007 Caltavuturo sollecita interventi prioritari di rifacimento della viabilità locale e di consolidamento del fronte franoso alla provincia di Palermo; nel 2008 il consiglio provinciale di Palermo non accoglie un ordine del giorno che impegna la giunta a intervenire sul versante di frana; il 25 giugno 2013 il comune di Caltavuturo segnala all'assessorato regionale al territorio ben quattro frane con proposta di pericolosità R4 in contrada Favarella, Olivazzo e Arancitello e Suvari tutte quante in successione sul versante ovest del fiume Himera settentrionale e tutte e 4 già lambenti i piloni dell'autostrada A 19 nel tratto Scillato-TreMonzelli, meno di un mese prima del grave dissesto, il 13 marzo 2015, il comune di Caltavuturo ha allertato del pericolo frane sulla strada provinciale 24 Scillato-Caltavuturo la prefettura di Palermo, il comando polstrada Sicilia occidentale, la polstrada di Palermo, la protezione civile regionale e il commissario della provincia regionale di Palermo; il 23 marzo lo stesso comune ha aggiornato la presidenza della regione siciliana e l'assessorato infrastrutture sulla situazione della frana; tra il 28 e il 29 marzo ha chiesto interventi urgenti per gli smottamenti che avevano costretto il comune alla chiusura della strada provinciale 24;
    dopo il crollo del viadotto Himera in una nota l'ANAS ha dichiarato che il movimento franoso era distante dalla sede autostradale e di non aver ricevuto alcuna segnalazione del dissesto della zona da parte degli enti territoriali competenti; il viadotto Himera – secondo ANAS – non necessitava di alcun monitoraggio «in quanto la struttura, prima dei noti fatti, risultava perfettamente efficiente a seguito dei controlli periodici dei tecnici di Anas»; nessun riferimento, nella nota dell'ANAS, alla situazione critica dei terreni in cui sono localizzate le infrastrutture stradali, affidate alla gestione ANAS;
    in base al sopralluogo fatto dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Del Rio e dai tecnici dell'Anas si rende necessaria la demolizione delle quattro campate del viadotto Himera; secondo le prime stime dei tecnici dell'Anas saranno necessari 18 mesi per ricostruire il ponte, e tre mesi per approntare un collegamento provvisorio con una bretella sulla provinciale 24 e la statale 120 e una deviazione collegata allo svincolo Scillato; l'integrale ricostruzione sarà possibile solo dopo interventi radicali sulla frana e di messa in sicurezza del terreno circostante avendo cura di non precludere l'accesso alla stessa bretella e allo svincolo autostradale Scillato quando sarà ricostituito il tratto autostradale messo fuori uso dal cedimento strutturale dei piloni;
    in data 13 aprile 2015, il presidente dell'Anas Pietro Ciucci ha annunciato le dimissioni a partire dalla metà di maggio, dopo l'assemblea di approvazione del bilancio 2014,

impegnano il Governo:

   ad accertare le responsabilità degli enti statali incaricati della gestione, manutenzione e controllo delle strade e delle autostrade;
   ad adottare tutti gli interventi di competenza necessari ad impedire ulteriori frane, cedimenti o crolli sul reticolo stradale e autostradale dell'isola;
   a disporre l'immediata progettazione, appalto e realizzazione dei necessari interventi in tempi rapidi e definiti avendo cura di contemperare le esigenze di stabilità del pendio con opportune misure di risanamento e stabilizzazione della frana attiva con la ricostituzione di un sistema viario che salvaguardi la sicurezza del tratto autostradale che si svolge per oltre 4 chilometri su un sistema di piloni sui quali poggiano campate estese e l'accesso facile del traffico veicolare e di mezzi pesanti allo svincolo autostradale anche nella considerazione che vanno garantite le vie di fuga in caso di interruzione del traffico autostradale a causa di incidenti, manutenzioni o presenza di ghiaccio sulla sede autostradale molto ricorrenti nel tratto autostradale in questione;
   a individuare nell'immediato, percorsi alternativi per ridurre i disagi per gli automobilisti, per i residenti, per l'economia dei territori;
   a garantire efficaci alternative modali, con il potenziamento dei collegamenti ferroviari ed aerei tra Palermo e Catania;
   a individuare ed impegnare in tempi brevi le necessarie risorse;
   a garantire costanti ed efficienti controlli durante l'esecuzione dei lavori, adeguati collaudi e un costante monitoraggio, per le parti di competenza, dell'efficienza e della manutenzione delle infrastrutture stradali;
   a vigilare, per quanto di competenza, su eventuali inerzie e ritardi dei soggetti sottoposti a vigilanza dello Stato nel monitoraggio e nella realizzazione degli interventi relativi al dissesto idrogeologico del territorio.
(7-00665) «Culotta, Borghi, Tullo».


   La III Commissione,
   premesso che:
    mentre in Europa ha trionfato in questi anni la logica dell'austerità, quella della liquidazione delle politiche di bilancio contenute nel cosiddetto fiscal compact e quella della «svalutazione interna» salariale per i Paesi dell'Europa del sud a causa della partecipazione nella zona euro, dal continente latinoamericano sono provenute voci nuove e nei fatti di tenore e approccio diversi;
    attraverso l'ALBA, l'Alleanza bolivariana per le Americhe (che si articola con i Trattati di commercio fra i popoli – TCP), un sistema di cooperazione politica, sociale ed economica alternativa all'ALCA (Area di libero commercio delle Americhe voluta dagli Stati Uniti), si sono gettate le basi scientifiche per la ricerca della sovranità, anche alimentare, dei popoli che vi hanno aderito. L'alleanza fra movimenti campesinos, ambientalisti e governi popolari ha contribuito all'affermarsi della consapevolezza che l'indipendenza di un popolo dipende dalla propria sovranità alimentare: José Martì, padre della patria latino-americana, diceva: «Un popolo che non riesce a produrre i suoi alimenti sarà sempre schiavo di qualcuno»;
    negli ultimi 50 anni, caratterizzati dall'egemonia americana nel continente latino, il capitalismo agro-industriale americano ha usato sistematicamente la produzione di alimenti come strumento di dominazione imponendo il controllo delle tecniche di produzione, spingendo gli agricoltori ad adottare i suoi metodi di monocoltura omogenei su grande scala e l'uso intensivo della meccanizzazione con l'impiego di veleni chiamati anche agro-tossici;
    molti Paesi dell'America latina, e in particolare il Venezuela, sono stati vittime di questa politica; i venezuelani dotati di abbondanti risorse petrolifere accettato questa dipendenza agro-industriale, prima di intraprendere la strada che, in associazione con Vìa Campesina Internacional, avrebbe portato alla stipula di diversi accordi volti a superare tale dipendenza e ad aprire la strada alla sovranità alimentare;
    dunque, è in quest'ottica che una comunità di Paesi ha fatto nascere l'ALBA con il fine di integrare le proprie economie in maniera solidale e alternativa al modello neoliberale, il quale non ha fatto altro che acuire le asimmetrie strutturali e favorire l'accumulazione delle ricchezze a minoranze privilegiate a scapito del benessere dei popoli; ne fanno parte Venezuela, Cuba (promotori nel 2004), Bolivia, più altri paesi minori quali Saint Vincent e Grenadine Nicaragua, Repubblica Dominicana e l'Honduras, il cui ex presidente Manuel Zelaya aveva affermato che entrare nell'ALBA «vuoi dire cercare alternative solidali al neoliberismo visto che le soluzioni tradizionali hanno fallito ed è la miglior maniera di trovare soluzioni ai problemi storici del Paese, in cerca di un modello di sviluppo che favorisca i poveri»;
    i Paesi appartenenti all'ALBA, inoltre, perseguono l'obiettivo di eliminare gli ostacoli all'integrazione impegnandosi a fronteggiare la povertà della maggioranza della popolazione, le profonde diseguaglianze e asimmetrie tra i Paesi, gli interscambi e relazioni non paritarie nelle relazioni internazionali, il peso di un debito impossibile da pagare, l'imposizione della politica di risanamento strutturale del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, gli ostacoli all'accesso all'informazione, alla conoscenza e alla tecnologia;
    dopo quasi dieci anni dalla sua creazione, i Paesi dell'ALBA rappresentano un punto di riferimento per quello che viene considerato un nuovo costituzionalismo e da un punto di vista internazionale è portatore di relazioni e polarità per la pace e prosperità dei popoli del mondo; ALBA è l'esempio di come un modello di integrazione, diverso dalle classiche organizzazioni internazionali, possa funzionare;
    rispetto alla crisi alimentare attuale, alla crescita esponenziale di prezzi di alimenti di base, soprattutto per due importanti economie del Sud America, quella venezuelana e quella argentina, dal Sud del mondo è arrivata una risposta concreta, un accordo di cooperazione energetica a carattere solidale: PetroCaribe, un'organizzazione alla quale partecipano 21 Paesi, per un totale di 120 milioni di persone, voluta dal governo bolivariano venezuelano e incentrata sulla nazionalizzata PDVSA (Petròleos de Venezuela S.A., la compagnia petrolifera statale venezuelana), la quale ha lanciato un'iniziativa per la sicurezza alimentare dei Paesi membri che è stata percepita come uno strumento di sviluppo, di solidarietà e di pace;
    nella riunione dell'ALBA a Cumana (Venezuela) di metà aprile 2009 i Paesi membri hanno, inoltre, ratificato la nascita di una nuova moneta: il SUCRE (acronimo che sta per Sistema unico di compensazione regionale, ma è anche il nome di uno dei più valorosi luogotenenti di Simon Bolivar, Antonio Josè de Sucre) il cui fondo iniziale per garantirne la nascita e i primi passi fu stabilito in circa 200.000 milioni di dollari;
    il SUCRE viene usato a partire dal 2010 per gli scambi tra i Paesi dell'ALBA ed è solo un'unità di conto e valore come lo fu l'ECU per Unione europea, cioè una moneta virtuale, e non ha ancora un organismo per l'emissione delle banconote; il progetto intende combattere gli squilibri commerciali, puntando alla tendenziale parità tra esportazioni e importazioni, ovvero l'esatto contrario di quanto succede nell'Unione Europea nel rapporto fra la Germania e gli altri Stati Membri che invece si fonda esattamente sul surplus della prima e il deficit della bilancia dei pagamenti di tutti gli altri;
    come ha recentemente spiegato Bernardo Alvarez, segretario generale dell'ALBA e presidente di PetroCaribe: «Nell'ALBA e in PetroCaribe l'interscambio avviene per compensazione: chi manca di una cosa e la riceve, restituisce con qualcosa che produce in abbondanza. Mentre il modello di scambi neoliberista dà priorità alla liberalizzazione del commercio e agli investimenti condizionati, l'ALBA mette al centro la lotta alla povertà, all'esclusione sociale, all'analfabetismo. Fondamentali sono i diritti umani, quelli del lavoro, delle donne, dell'ambiente e il diritto all'integrità della persona»;
    lo stesso Bernardo Alvarez, nel corso della conferenza «L'Alba di una nuova Europa», tenutasi il 13 marzo 2015, ha invitato l'Italia ad aprire un tavolo negoziale volto a incentivare nuovi possibili accordi commerciali ed energetici con i Paesi membri dell'ALBA;
    la realtà dell'ALBA è sempre più estesa e, con PetroCaribe, raggiunge ormai anche Paesi che non ne sono membri. In tale zona economica, infatti, il SUCRE è finora arrivato a un livello di interscambio di 1.000 milioni di dollari. Anche il Salvador usa il SUCRE, in piccola scala, con il Centroamerica. Dopo aver partecipato a PetroCaribe solo a partire da un municipio ora anche il Salvador vi è entrato come Stato;
    dal punto di vista degli obbiettivi sociali, non c’è mai stato nella storia recente dell'America latina un organismo che abbia tentato un'operazione di simile ampiezza e abbia ottenuto simili risultati;
    dopo la sconfitta dell'Alca, gli Stati Uniti però hanno messo in campo l'Alleanza del Pacifico, un'iniziativa d'integrazione regionale neoliberista che ha al centro Colombia, Messico e Cile e che mira a scalzare il Venezuela nei rapporti con PetroCaribe, approfittando della caduta del prezzo del petrolio; tra l'altro, in un recente discorso, il presidente americano Barack Obama aveva stigmatizzato negativamente l'azione del governo di Caracas paventando che il Venezuela potesse anche diventare una «minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti»;
    tuttavia, a margine del recente summit delle Americhe, svoltosi a Panama, si è tenuto un breve incontro, non preventivato, tra il presidente del Venezuela e quello degli Stati Uniti nel corso del quale che il presidente Obama ha precisato di non essere interessato a minacciare il Venezuela quanto piuttosto ad appoggiare la democrazia, la stabilità e la prosperità in quel Paese e nella regione;
    gli Stati Uniti stanno anche conducendo, in gran segreto per quanto concerne i contenuti, trattative con l'Unione europea per la conclusione di un accordo di partenariato economico-finanziario noto come Transatlantic trade and investment Partnership (TTIP) considerato «il più importante accordo di libero scambio del mondo e della storia» che, ad opinione di molti, viene considerato una «Nato economica», per enfatizzare il ruolo egemone degli Stati Uniti nell'organizzazione del Patto atlantico; la segretezza delle trattative è poi particolarmente rischiosa in considerazione del fatto che potrebbe essere deciso l'inserimento di clausole molto pericolose per la residua sovranità nazionale come l'Investor-state-dispute settlement (ISDS) – già inserite, da ultimo, nell'accordo commerciale CETA firmato dall'Unione europea con il Canada;
    lo scopo dell'accordo è quello di «aumentare lo scambio delle merci, eliminando dazi e barriere commerciali», una sorta di deregulation, fondata principalmente su tre principali obiettivi: accesso ai mercati, allineamento delle regole e norme in materia di commercio per la globalizzazione; infatti, saranno coinvolti i prodotti agroalimentari e industriali, il mercato dei servizi come il trasporto e la liberalizzazione degli investimenti privati, che coinvolgeranno anche gli appalti pubblici, sicurezza ambientale e alimentare, dei farmaci, dei diritti di proprietà intellettuale;
    a tale riguardo, tuttavia, va ricordato, che le regole e gli standard europei in termini di tutela della salute e delle condizioni di lavoro, sono come è noto più restrittivi in Europa rispetto agli Stati Uniti, e riescono a tenere lontani dai nostri mercati alcuni prodotti non sicuri o potenzialmente tossici (cibi geneticamente modificati e trattati con nanoparticelle di vetro per aumentarne la croccantezza, residui di pesticidi nel cibo, ftalati nei giocattoli, carne agli ormoni, solo per fare qualche esempio);
    esiste, dunque, nei confronti di un accordo come Transatlantic trade and investment Partnership (TTIP) la preoccupazione che, in particolare, l'allineamento delle regole e norme in materia di commercio si possano tradurre in una concessione alle multinazionali per porsi al di sopra dei bisogni delle persone e di poter sfruttare in maniera incontrollata risorse naturali fondamentali come l'acqua, il suolo, i minerali rimane forte;
    per di più, l'agroalimentare non viene citato come un settore «d'importanza significativa per l'economia transatlantica», circostanza questa che non può non destare particolare preoccupazione aggravata dal fatto che l'agroalimentare viene invece citato nei paragrafi precedenti, sulle «Misure sanitarie e fitosanitarie (SPS)»;
    inoltre, allo stato, pare che l'impianto generale del TTIP tenda a sacrificare quel principio di precauzione, oggi alla base dell'approccio europeo alla sicurezza alimentare, che verrebbe modificato in senso restrittivo, almeno per quanto riguarda le motivazioni che ne giustificano l'applicabilità;
    si rischia concretamente di accettare l'ingresso in Europa di prodotti trattati con anche pesticidi non autorizzati e di avallare un sistema fondato solo su logiche di pura concorrenza commerciale, rispetto al quale poche grandi multinazionali si troverebbero in enorme vantaggio nei confronti dei produttori locali. In questo modo la grande monocultura, sostenuta dall'uso intensivo di fitosanitari ed anche OGM, sarebbe di fatto definitivamente avvantaggiata nei confronti della produzione agroalimentare fondata sulla biodiversità;
    in alternativa, il modello dell'ALBA rappresenta un'alternativa possibile e concreta a un simile modello ultra-liberista, ed è un'alternativa alla quale il nostro Paese che gode di un patrimonio unico al mondo in termini di biodiversità agraria e alimentare, non può non guardare con estremo interesse;
    biodiversità, tipicità, e qualità della produzione, con i relativi necessari controlli, legati ad una visione sociale e solidaristica delle produzioni, tipica della nostra tradizione, sono un'alternativa concreta che il nostro Paese ha la necessità difendere e sostenere anche prevedendo le necessarie sinergie con modelli produttivi come quello rappresentato dall'ALBA;
    l'11 giugno 2014 veniva approvata in III Commissione la risoluzione 8-00063 a prima firma Di Battista con la quale si impegnava, tra gli altri, il governo «a intensificare e rafforzare i rapporti politici, culturali, diplomatici ed economici con i Paesi dell'America Latina e dei Caraibi, in particolare con i Paesi appartenenti alla menzionata ALBA nel quadro della tradizionale attenzione per tutti i processi di integrazione in atto nel sub Continente»;
    in risposta alla citata risoluzione, il 17 ottobre 2014 il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale faceva pervenire alla Presidenza della Camera dei deputati la consueta relazione sui seguiti dati all'attuazione degli impegni assunti dal Governo circa la risoluzione menzionata ove, tuttavia, risultavano esplicitati semplicemente gli eccellenti e ottimali rapporti che il nostro Paese intrattiene storicamente con i Paesi dell'America Latina, le occasioni di incontri tra istituzioni ministeriali e il rafforzamento e consolidamento di antichi rapporti di amicizia, senza alcun cenno a impegni concreti, siano essi accordi o trattati bilaterali, per il sostegno alle politiche di nuova solidarietà legate al progetto ALBA;
    a cadenza biennale, a partire dal 2003, si tengono, su impulso anche del nostro Paese, attraverso l'impegno profuso dall'Istituto Italo-Latino Americano (IILA), delle Conferenze Italia-America Latina e Caraibi ad alto livello politico, e la prossima cade nel giugno 2015, a Milano, con competenze di promozione e scambio nel campo sociale, economico, tecnico e culturale,

impegna il Governo:

   ad accogliere, a partire dalla prossima Conferenza Italia-America Latina e Caraibi che si terrà a Milano nel mese di giugno 2015, l'invito del segretario generale dell'ALBA-TCP, Bernardo Alvarez, a valutare l'apertura di un tavolo negoziale su nuovi accordi commerciali ed energetici con i Paesi appartenenti all'ALBA;
   ad adoperarsi nelle competenti sedi comunitarie affinché le trattative relative al Transatlantic trade and investment Partnership (TTIP) tengano in massima considerazione il rispetto di principi fondamentali come la difesa della biodiversità e della qualità delle produzioni agroalimentari e siano orientate all'affermazione di un modello di produzione e di commercio che non sia del tutto svincolato dal principio di solidarietà, di un sistema finalizzato cioè al benessere dei popoli e non solo al profitto di pochi produttori;
   sempre con riferimento al Transatlantic trade and investment Partnership a garantire la massima partecipazione e informazione dei cittadini alle trattative che sono tuttora in corso e, in secondo luogo, a valutare la possibilità di superare il modello economico, finora predominante, dei trattati di aerea di libero scambio prendendo spunto e riferimento dal modello solidale, compensativo offerto dall'ALBA-TCP;
   a presentare, sempre nell'ambito della citata conferenza, progetti di integrazione, ovvero di revisione, dei trattati bilaterali o multilaterali in campo sociale, economico, tecnico e culturale, nel solco di quanto sta esprimendo questo nuovo modello di integrazione e solidarietà tra i popoli latinoamericani che aderiscono all'ALBA, unitamente all'organizzazione PetroCaribe;
   ad attivarsi affinché, nel corso dei costanti contatti che il nostro Paese intrattiene con l'alleato americano, si sostengano e si incentivino un cambiamento politico e un reale allentamento delle tensioni nei confronti del Venezuela da parte dell'amministrazione statunitense;
   con riferimento alla questione della moneta SUCRE, e in merito alla incapacità di fuoruscire dalla crisi economica della zona euro con gli strumenti finora impiegati, a promuovere un sistema monetario di tipo compensativo similare, unitamente agli altri Paesi dell'Europa del sud.
(7-00667) «Di Battista, Manlio Di Stefano, Spadoni, Sibilia, Grande, Scagliusi, Del Grosso».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    decenni di politiche volte a favorire la pesca industriale hanno fortemente danneggiato le risorse marine, fino a provocare, in alcuni casi, dei veri e propri stermini di stock ittici, come più volte denunciato anche da associazioni e organizzazioni scientifiche;
    secondo uno studio recente dell'Hellenic Centre of Marine Research, apparso su Current Biology, negli ultimi vent'anni la situazione degli stock ittici nel Mar Mediterraneo è andata sempre peggiorando. La crescita demografica e tecnologie di pesca sempre più sofisticate hanno causato uno sfruttamento eccessivo dei mari con il risultato che molte zone di pesca risultano sovrasfruttate, ovvero il pesce viene pescato ad un ritmo più rapido rispetto ai tempi necessari per rinnovarsi e la relativa popolazione è destinata ad esaurirsi;
    secondo la Fao (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura), il prodotto della pesca negli scorsi decenni è andato crescendo, a livello globale, fino al 1996, quando ha raggiunto il picco di produzione con 86 milioni di tonnellate. Da allora la quantità di pescato è rimasta costante intorno a circa 80 milioni di tonnellate all'anno;
    la stessa Commissione europea per gli affari marittimi e la pesca, attraverso la pubblicazione di un report nel mese di giugno 2014, ha lanciato l'allarme sul rischio estinzione delle risorse ittiche dei mari, in particolare del Mediterraneo, in cui c’è un sovrasfruttamento pari al 96 per cento degli stock ittici di acque profonde, mentre, per le specie pelagiche come sardine e acciughe, lo sfruttamento eccede di almeno il 71 per cento. Secondo l'Esecutivo comunitario «non intervenire potrebbe avere effetti devastanti sulla fauna marina e sulle economie costiere fondate sulla pesca»;
    come noto, il fermo biologico è una sospensione temporanea delle attività di pesca e vale come strumento di tutela delle risorse ittiche attivato nell'ambito del programma operativo dell'intervento comunitario del fondo europeo per la pesca 2007/2013 con particolare riferimento alla linea d'intervento definita «Aiuti pubblici per l'arresto temporaneo delle attività di pesca», come si evince anche dal Regolamento (CE) n. 1198 del 2006 del 27 luglio 2006, relativo al fondo Europeo per la pesca (FEP), ed in particolare all'articolo 24, paragrafo I, lettera v), che stabilisce la possibilità di finanziare misure di aiuto all'arresto temporaneo delle attività di pesca a favore dei pescatori e dei proprietari di pescherecci, per una durata massima di «otto mesi nell'ambito dei piani di adeguamento dello sforzo di pesca di cui all'articolo 21, lettera a), punto iv), e dei piani di gestione adottati a livello nazionale nel contesto delle misure comunitarie di conservazione, qualora tali piani prevedano riduzioni graduali dello sforzo di pesca»;
    il periodo di arresto temporaneo, articolato per aree geografiche (GSA), è destinato alle imbarcazioni autorizzate con i sistemi strascico e/o volante e dovrebbe essere disciplinato in conformità a quanto previsto dai piani di gestione adottati a livello nazionale e sulla base dei dati scientifici riguardanti lo stato delle specie ittiche;
    tuttavia, anche nell'ultimo decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali del 23 luglio 2014 in materia di arresto temporaneo obbligatorio delle attività di pesca per l'annualità 2014, il calendario del fermo biologico non è stato stabilito con un adeguato supporto tecnico-scientifico ma definito sentite le regioni e le associazioni nazionali professionali e sindacali di settore;
    ferma restando la validità della partecipazione delle suddette associazioni nel processo decisionale è indispensabile che i periodi di fermo vengano stabiliti sulla base di accurate evidenze scientifiche che tuttavia non penalizzino la sostenibilità economica che invece nel lungo periodo ne risulterebbe incrementata;
    il mare Adriatico è uno dei più esposti al rischio del collasso delle risorse marine. A Chioggia, la maggiore marineria peschereccia dell'Adriatico, gli indici rilevati sono drammatici: nel 1948 la cattura media per chilometro quadrato era di 480 chili, nel 1998 è scesa a 180 chili e non è più risalita. Per questo proprio a Chioggia è stata effettuata, grazie al progetto GAP2, una collaborazione pescatori-ricercatori che ha permesso di valutare l'efficacia del fermo biologico, normalmente in vigore dal 1o luglio al 31 agosto;
    anche alla luce dell'analisi dei dati risultanti dal progetto di cui sopra, la pesca sarebbe più redditizia e maggiormente eco-compatibile se il fermo biologico fosse reso obbligatorio da metà luglio e metà settembre. Lo «stop» nelle catture per un periodo superiore consentirebbe infatti l'accrescimento delle specie ittiche e della loro taglia, producendo anche un maggiore guadagno in termini economici per i pescatori;
    sempre con riferimento al bacino Adriatico è indispensabile altresì che i Paesi rivieraschi quali segnatamente la Croazia, che dal luglio 2013 ha acquisito lo status di piena membership nell'Unione europea, potenzino le strutture operative nazionali e locali incaricate dell'attuazione della politica comune della pesca, specie per quanto riguarda la gestione, l'ispezione e il controllo della flotta,

impegna il Governo:

   a stabilire i periodi di fermo pesca obbligatori sulla base di rigorose valutazioni scientifiche al fine di privilegiare i tempi richiesti dal ciclo biologico delle specie ittiche e di consentire quindi la riproduzione e il ripopolamento degli stock ittici;
   a valutare l'opportunità di valorizzare i risultati del citato progetto GAP2 e di diffonderli come esempio di best practice al fine di meglio valutare l'efficacia dei fermi biologici;
   ad impegnarsi nelle competenti sedi comunitarie affinché i Paesi del vicinato, che condividono bacini marini con Paesi membri, e soprattutto i Paesi di più recente adesione quali la Croazia, rispettino senza deroghe, ancorché transitorie, la normativa in materia di politica comune della pesca ed, in particolare, quelle relative alla sospensione delle attività di pesca ai fini del ripopolamento degli stock ittici.
(7-00666) «Benedetti, Gallinella, Massimiliano Bernini, Lupo, Parentela, Gagnarli, L'Abbate».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SEGONI, DAGA, DE ROSA, TOFALO, ZOLEZZI, TERZONI, MANNINO, COZZOLINO e CASTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere premesso che:
   il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (spending review), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 luglio 2012, n. 135, ha previsto una serie di disposizioni e misure per la revisione e l'abbattimento della spesa pubblica, tra le quali la riduzione delle piante organiche di gran parte delle pubbliche amministrazioni in misura non inferiore al 20 per cento degli uffici dirigenziali generali e non generali e, per il personale non dirigenziale, nella misura risultante dalla riduzione non inferiore al 10 per cento della relativa spesa;
   appare evidente che la ratio della norma sia quella di conseguire, attraverso la riduzione delle piante organiche, risparmi sulla spesa per le retribuzioni del personale pubblico e concorrere, quindi, all'obiettivo generale di revisione ed abbattimento della spesa pubblica;
   alla data del 31 ottobre 2012 risultavano emanati i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri concernenti dette riduzioni di pianta organica;
   nei giorni immediatamente precedenti e successivi al 31 ottobre 2012 si sono succedute numerose notizie a mezzo stampa sugli esuberi nella pubblica amministrazione e sulla loro eventuale ricollocazione;
   non è apparso sufficientemente chiaro se e sino a che punto l'applicazione di detti provvedimenti abbia consentito l'effettivo conseguimento degli obiettivi che l'Esecutivo si era prefissato in termini di riduzione della spesa per le retribuzioni del personale della pubblica amministrazione;
   l'applicazione della cosiddetta spending review alla spesa per la retribuzione del personale della pubblica amministrazione sembrerebbe non essere stata caratterizzata dalla necessaria omogeneità nei diversi enti ed amministrazioni pubbliche, specie di piccole dimensioni quali le autorità di bacino nazionali presiedute dal Ministro dell'ambiente, generando effetti paradossali quali l'aumento della retribuzione del personale dirigenziale in servizio senza quindi conseguire alcun risparmio rispetto alla spesa ante applicazione delle disposizioni previste dalla norma in testa citata –:
   se ritengano necessario chiarire come l'applicazione della spending review alla spesa per la retribuzione del personale della pubblica amministrazione) abbia contribuito al conseguimento del generale obiettivo di revisione ed abbattimento della spesa pubblica previsto al decreto-legge n. 95 del 2012;
   se ritengano necessario accertare che le disposizioni volte alla riduzione della spesa per la retribuzione del personale della pubblica amministrazione abbiano avuto omogenea applicazione negli enti e nelle amministrazioni destinatari e senza generare effetti paradossali come quello narrato in premessa. (5-05410)


   SEGONI, DAGA, BUSTO, TERZONI, TOFALO, ZOLEZZI, DE ROSA, MANNINO, GAGNARLI, BALDASSARRE, ARTINI e BONAFEDE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni, si stanno sempre più cercando di progettare, sperimentare, costruire e vendere «medi» e/o «mini» impianti di incenerimento per lo smaltimento di rifiuti ricorrendo a varie tecnologie;
   la pericolosità e l'inutilità dell'incenerimento di rifiuti in generale è nota e documentata da 7 autorevoli fonti scientifiche;
   ad oggi non esiste un controllo sulla provenienza dei «materiali da smaltire», utilizzati per la produzione di energia e non sono previsti studi preliminari per determinare il livello di approvvigionamento, pertanto è possibile che tali impianti possano in maniera non del tutto corretta essere utilizzati per lo smaltimento e la distruzione di rifiuti considerati «scomodi»;
   tali impianti vengono impiegati direttamente soprattutto da aziende private per lo smaltimento dei rifiuti anche presso le loro sedi logistiche;
   la macro diffusione di simili impianti rende più difficoltoso il controllo;
   si evidenzia sia l'assenza di una normativa completa ed esaustiva che disciplini l'utilizzo di tali tecnologie, sia la necessità di un ente per il controllo del loro corretto utilizzo; conseguentemente un'azione del genere comporterebbe un impiego di mezzi e risorse molto superiore al «beneficio economico» che eventualmente potrebbero produrre tali impianti;
   un «cattivo utilizzo» (non certo, ma sicuramente non improbabile) comporterebbe danni alla salute e all'ambiente rilevanti, non immediatamente rilevabili, e che il solo monitoraggio delle immissioni potrebbe non essere esaustivo e sufficiente ad escludere il loro forte impatto inquinante considerando il meritevole principio precauzionale che la stessa legislazione Europea cerca di radicare negli Stati membri;
   nel recente passato è risultato difficile far funzionare correttamente pochi e grandi impianti, e che la proliferazione di piccoli impianti potrebbe rendere più difficoltoso un adeguato controllo sul loro funzionamento;
   le aziende di grandi, medie e piccole dimensioni vengono indotte ad usare tali tecnologie per lo smaltimento finale dei propri materiali di risulta piuttosto che essere incoraggiate alla prevenzione, alla preparazione al riuso e al riciclo in modo da ridurre costi (soprattutto di manodopera e smaltimento);
   emblematico il caso nel comune di Castelfranco di Sotto in provincia di Pisa, dove conseguentemente alla richiesta di un'azienda privata si sta sperimentando un impianto di incenerimento di rifiuti speciali «non pericolosi». Il suddetto impianto può trattare fino ad un massimo di 12.000 tonnellate annue pari al 0,38 per cento dei rifiuti speciali della sola provincia di Pisa. Ciò nonostante la giunta della regione Toscana ha considerato tale progetto «un'opera pubblica di interesse strategico regionale» e per tanto meritevole di beneficiare delle semplificazioni introdotte dalla legge regionale 35 del 2011 che disciplina le «Misure di accelerazione per la realizzazione delle opere pubbliche di interesse strategico regionale e per la realizzazione di opere private». Per tale impianto, in quanto considerato «piccolo», la normativa non prevede restrizioni nella messa in esercizio. Inoltre, l'impianto in questione eserciterebbe la propria attività in una zona già altamente sottoposta ad un carico inquinante (Comprensorio del Cuoio), che gli stessi enti preposti al controllo dell'ambiente definiscono «zona meritevole di attenzione» –:
   quali iniziative, anche normative, il Governo intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, in relazione a simili impianti e quale sia l'orientamento del Governo in merito al loro utilizzo, e ai controlli ai quali devono essere assoggettati. (5-05412)


   SEGONI, MUCCI, DA VILLA, VALLASCAS e CRIPPA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto interministeriale 6 marzo 2008 è stato adottato il progetto di innovazione industriale «Nuove tecnologie per il Made in Italy»;
   nel 2010 viene istituita la società INVITALIA, ex SVILUPPO ITALIA, ovvero l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, che agisce su mandato del Governo per accrescere la competitività del Paese, in particolare del Mezzogiorno, e per sostenere i settori strategici per lo sviluppo, i cui obiettivi prioritari sono:
    favorire l'attrazione di investimenti esteri;
    sostenere l'innovazione e la crescita del sistema produttivo;
    valorizzare le potenzialità dei territori;
   SVILUPPO ITALIA era stata già giudicata dall'opinione pubblica «ente inutile», tanto da passare all'onore delle cronache nelle puntate della trasmissione «Report» intitolate «cattivi consigli» (22 ottobre 2006) e più in particolare «buone vacanze» (29 aprile 2007) e tanto da paventarne prima la chiusura, poi l'accorpamento, poi la «razionalizzazione»;
   le inchieste giornalistiche citate hanno evidenziato un vasto sistema clientelare, gestito principalmente da alcuni esponenti politici provenienti da Forza Italia, ma senza escludere partecipazioni degli altri partiti. La stessa trasmissione ha evidenziato come SVILUPPO ITALIA fosse di fatto un sistema teso non tanto allo svolgimento della sua missione istituzionale, quanto piuttosto a favorire il sistema bancario attraverso la promessa di crediti poi mai concessi;  
   l'attuale presidente di INVITALIA è Giancarlo Innocenzi Botti, ex deputato di Forza Italia nella XII legislatura. L'amministratore delegato è Domenico Arcuri, ex manager di Deloitte, società di consulenza e revisione contabile e finanziaria che fra gli altri ha lavorato anche per SVILUPPO ITALIA. Il dottor Arcuri da organi di stampa appare aver firmato, in qualità di amministratore delegato di INVITALIA, alcuni contratti con la DELOITTE CONSULTING, società di consulenza di cui è stato partner fino al 2007;
   l'ufficio stampa di INVITALIA afferma, in risposta ad un articolo de Il Fatto Quotidiano, che l'attrazione degli investimenti esteri rappresenta, da sempre, soltanto una parte delle attività dell'Agenzia, che oggi gestisce la quasi totalità delle agevolazioni dello Stato alle imprese e ha notevolmente incrementato il supporto tecnico e operativo alla pubblica amministrazione. Tanto che solo l'attività di attrazione degli investimenti esteri ha un volume di ricavi pari al 3 per cento del totale del fatturato e solo il 2 per cento dell'attuale organico del gruppo Invitalia è impegnato in questo ambito. Si evidenzia pertanto come INVITALIA sia responsabile della verifica contabile e sostanziale dei progetti previsti dal progetto di innovazione industriale «made in Italy», con conseguente sblocco dei fondi necessari al rimborso delle spese sostenute dai vincitori della gara;
   a settembre del 2013, il Presidente del Consiglio pro tempore Enrico Letta, con il piano «Destinazione Italia» promette di iniziare il più volte annunciato percorso di privatizzazioni di cui si parla anche nella nota di aggiornamento del DEF 2013. L'ex Premier ha giustificato l'approvazione del piano con la penuria di investimenti in Italia: «Il nostro Paese ha un drammatico bisogno di investimenti diretti esteri. Abbiamo cifre troppo basse» in questo campo. Una «bocciatura» di fatto, benché indiretta, dei risultati ottenuti sul campo da Invitalia, l'Agenzia per l'attrazione degli investimenti controllata al 100 per cento, dallo Stato che a livello di gruppo tra il 2008 e il 2011 ha raddoppiato il rosso di bilancio portandolo da 2,89 a 5,9 milioni di euro; tuttavia, come la stessa INVITALIA ammette, il suo «core business» non è la promozione degli investimenti esteri quanto la gestione degli incentivi statali alle imprese;
   con il decreto del Ministro dello sviluppo economico 15 maggio 2012, relativo alla semplificazione delle procedure di gestione dei progetti già agevolati dei bandi «efficienza energetica», «modalità sostenibile» e «nuove tecnologie per il made in Italy», si intende agevolare gli adempimenti amministrativi dei partecipanti e si stabiliscono delle possibilità di proroga dei termini di scadenza inizialmente concessi;
   con il decreto ministeriale 29 marzo 2013 si concede un'ulteriore proroga di dodici mesi del termine di chiusura dei progetti «Industria 2015» agevolati a valere sui bandi «mobilità sostenibile», «efficienza energetica» e «nuove tecnologie per il Made in Italy»: lo scopo di tale provvedimento è quello di favorire la positiva conclusione del maggior numero possibile di progetti e di consentire ai proponenti di portare a termine le attività di sperimentazione e sviluppo. Detto provvedimento tuttavia non viene utilizzato da tutte le aziende partecipanti al bando di cui sopra, ma solo da quelle che non sono riuscite a completare i progetti nei tempi precedentemente indicati;
   il Ministero dello sviluppo economico ha ammesso ai finanziamenti 104 progetti di innovazione tecnologica, al termine della valutazione del bando del progetto di innovazione industriale «nuove tecnologie per il made in Italy»: il programma non prevedeva aiuti anticipati, ma solo il parziale finanziamento delle spese effettivamente e comprovatamente sostenute dai partecipanti al progetto. I 104 progetti vincitori hanno coinvolto 162 grandi imprese, 128 medie e 455 piccole e micro imprese, per un investimento complessivo di 638 milioni di euro;
   vi sono imprese che sono risultate vincitrici di tale bando, che non hanno usufruito delle proroghe di cui in precedenza, ma che a distanza di oltre un anno dall'aver consegnato i risultati e avendo dimostrato le spese delle varie fasi dei progetti da loro eseguiti sono in attesa del contributo ministeriale relativo alle spese sostenute da oltre 15 mesi. Tali imprese non riescono ad ottenere nemmeno notizie certe sul se e sul quando tale contributo verrà erogato;
   a causa della sfavorevole congiuntura economica, i potenziali acquirenti dei progetti risultati vincitori sono estremamente restii ad investire in innovazione;
   gli interessi passivi relativi ai finanziamenti ottenuti dai partecipanti al bando, sulla base dell'importanza del progetto, del suo relativo promettente sviluppo di mercato e della «garanzia» del contributo ministeriale (arrivando in certi casi a porre a garanzia i beni personali dei soci) stanno facendo rischiare il fallimento alle aziende vincitrici;
   la dinamica appena descritta si ravvisa in maniera eclatante nelle micro imprese, che avendo l'unica ricchezza nelle menti dei ricercatori risultano costrette per non perdere completamente i beni personali posti a garanzia, a cedere alle banche i diritti di utilizzazione dei risultati delle loro fruttuose ricerche, augurandosi che ciò sia sufficiente ad evitare la rovina;
   gli incentivi inizialmente stabiliti, da aiuto alla ricerca ed alle eccellenze italiane, rischiano di trasformarsi nell'ennesima forma di strozzinaggio legalizzato a danno delle piccole e piccolissime imprese, aggravando ulteriormente la già devastata condizione dell'imprenditoria italiana;
   quanto in premessa appare confermare il fatto che INVITALIA non sia tanto dedita all'attrazione di investimenti dall'estero, quanto a consolidare quello che appare agli interroganti un sistema clientelare di accesso agli incentivi statali, in una logica già propria della vecchia Cassa del Mezzogiorno e proseguita poi da SVILUPPO ITALIA, attraverso finanziamenti più o meno a pioggia e più o meno a fondo perduto;
   infine, ammesso e tutt'altro che concesso che le aziende vincitrici riescano a sopravvivere imprenditorialmente, ogni vantaggio aziendale che poteva derivare risulterà annullato dal costo dei ritardi nella corresponsione di quanto promesso, e chi ci avrà sicuramente guadagnato saranno, al solito, solo le banche –:
   se siano a conoscenza della situazione citata, con particolare riguardo ai ritardi con i quali vengono erogati i pagamenti;
   quali siano i costi per lo Stato dell'ente INVITALIA spa, e quali siano l'entità e la qualità dei benefici economici che tale ente ha apportato finora al bilancio dello Stato;
   se in un'ottica di risparmio e di efficientamento della pubblica amministrazione intendano o meno assumere iniziative per abolire INVITALIA ovvero accorparla ad altri enti;
   quali azioni intendano intraprendere per risolvere il problema riguardante i ritardi nei pagamenti alle aziende vincitrici dei bandi in premessa e quali tempi di attesa si prospettino alle imprese per ricevere quanto è in loro diritto.
(5-05416)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DI BATTISTA, SIBILIA e COLONNESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   dalle recenti inchieste della procura di Napoli — su presunte tangenti pagate per la metanizzazione dei comuni dell'isola di Ischia che hanno visto coinvolti la cooperativa CPL Concordia ed alcuni soggetti politici ed istituzionali – sono emersi alcuni aspetti sui quali si rendono necessari chiarimenti da parte del Governo;
   in particolare, da organi di stampa, gli interroganti hanno appreso come tra le intercettazioni non omissate — riportate nell'ordinanza del gip Amelia Primavera — siano emersi i nomi del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri Luca Lotti, nonché del Presidente del Consiglio Renzi;
   le intercettazioni che riguardano Lotti e Renzi, il cui testo risulta in larga parte omissato, sono relative ad alcune telefonate con il generale della Guardia di finanza Michele Adinolfi, intercettato in quanto la procura di Napoli aveva aperto un'indagine nei suoi confronti ipotizzando che la Cpl Concordia si fosse rivolta a lui per far bonificare la sede dalle microspie;
   come riportato da organi di informazione, nella richiesta di proroga delle intercettazioni su Francesco Simone del 7 febbraio del 2014, si legge che: «L'attività di intercettazione in atto ha permesso di evidenziare la rete relazionale che Simone è riuscito a creare nel corso del tempo che gli è funzionale a perseguire in tutti i modi i propri interessi; a tal riguardo egli (Simone, ndr) riesce ad avere un canale preferenziale sia con il segretario del Pd Matteo Renzi sia con Luca Lotti e Dario Nardella»;
   gli stessi organi di informazione evidenziano come quel «canale preferenziale» sarebbe da individuare, per il Noe, nel generale Adinolfi, come sarebbe dimostrato da due vicende: il tentativo di Adinolfi di ottenere la nomina a comandante generale della Guardia di finanza al posto del generale Saverio Capolupo e «l'interessamento di Adinolfi per far incontrare il consigliere Fortunato con Nardella» allora vicesindaco di Firenze;
   sempre organi di stampa riportano, infatti, il testo di un provvedimento di proroga delle intercettazioni ambientali negli uffici della Cpl, nel quale si legge che: «Il monitoraggio della sua utenza consentiva di acquisire numerose ulteriori univoche risultanze dalle quali sembrano evincersi elementi piuttosto univoci dai, quali si desume una sistematica e piuttosto inquietante ingerenza dello stesso Adinolfi in scelte e vicende istituzionali ai più alti livelli. Al riguardo il tenore e il contenuto delle conversazioni e degli sms intervenuti tra Adinolfi e Lotti (strettissimo collaboratore dell'onorevole Renzi); il fatto che Adinolfi si sia recato alla vigilia della proposta di nomina del comandante generale della Finanza nella sede di un partito politico entrando dalla porta laterale e secondaria; la reazione che Adinolfi ha avuto alla proposta di proroga del generale Capolupo manifestando il proposito di non rassegnarsi così facilmente... contribuiscono a delineare uno scenario e un contesto di più soggetti che – in modo più o meno sistematico – tramano) per incidere sull'attività dell'autorità giudiziaria (è il caso della bonifica) e sulle nomine»;
   questi rapporti tra Adinolfi, il Presidente del Consiglio Renzi ed alcuni suoi uomini di fiducia (come il sottosegretario Lotti e Dario Nardella) sono, a parere degli interroganti, quantomeno inopportuni e sconvenienti alla luce del fatto che, fino a poche settimane fa, il generale Michele Adinolfi è stato comandante interregionale della Toscana e dell'Emilia Romagna e, quindi, ha coordinato le forze che, in teoria, dovrebbero indagare in relazione ad alcune denunce indirizzate nei confronti del Presidente del Consiglio Renzi;
   in particolare, si tratta di alcuni procedimenti che sono stati aperti in esito ad esposti alla Corte dei conti, ma anche altre denunce hanno riguardato l'attuale Presidente del Consiglio come, ad esempio, quella relativa alla casa in via Alfani n. 8 Firenze il cui affitto è stato pagato dall'amico Marco Carrai;
   a ciò si aggiunga che l'attuale Presidente del Consiglio Renzi utilizzava una scheda telefonica intestata alla Fondazione Open, già Fondazione Big Bang, ente privato che ha organizzato e finanziato la campagna politica dello stesso Matteo Renzi;
   anche tale aspetto merita un chiarimento laddove ancora non è dato sapere l'elenco completo dei nomi dei donatori che, dunque, hanno pagato indirettamente i costi di traffico telefonico di Matteo Renzi;
   per il 2013 i costi per la telefonia fissa e mobile della Fondazione Big Bang sono poi lievitati fino ad un importo annuale pari ad euro 78.000,00;
   per quanto risulta agli interroganti, per averlo appreso da organi di stampa, Renzi utilizza ancora oggi quell'utenza telefonica, nonostante, da oltre un anno, sia Presidente del Consiglio ed abbia a disposizione anche il dispositivo cellulare fornitogli dall'Aisi (Agenzia per le informazioni e sicurezza interna, l'ex Sisde);
   l'attuale normativa sulla privacy, in particolare con riferimento ai finanziamenti privati a scopo politico, non rispetta, a parere degli interroganti, i più elementari principi di trasparenza –:
   quali atti di propria competenza intendano adottare al fine di evitare che situazioni come quelle riportate in premessa abbiano a ripetersi, posto che agli interroganti paiono inopportuni i rapporti, intrattenuti dal generale della Guardia di finanza Michele Adinolfi con l'attuale Presidente del Consiglio dei ministri e con l'attuale Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Luca Lotti;
   se non ritengano di dover appurare, per quanto di competenza, l'attendibilità di quanto contenuto negli atti di indagine, richiamati in premessa, relativamente ad una «sistematica e piuttosto inquietante ingerenza dello stesso Adinolfi in scelte e vicende istituzionali ai più alti livelli»;
   se i Ministri non intendano adottare iniziative volte a modificare l'attuale normativa sulla privacy, nello specifico, per i finanziamenti privati a scopo politico, che non rispetta, ad avviso degli interroganti, i più elementari principi di trasparenza;
   se il Presidente del Consiglio dei ministri abbia contezza di quale sia stato il costo dell'utenza di telefonia mobile a lui in uso per la Fondazione Big Bang e per quale ragione non intenda utilizzare i dispositivi di telecomunicazione messi a disposizione dall'Aisi. (4-08865)


   D'AMBROSIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in merito all'attuazione del piano europeo «Garanzia Giovani», dopo una serie di sollecitazioni relative alla presunta assegnazione di ex componenti dello staff dell'ex presidente della provincia BAT ai centri per l'impiego di Andria, Barletta Trani e Canosa, il nuovo presidente della provincia Bat aveva disposto la sospensione cautelare dei contratti stipulati con la ditta aggiudicatrice Talea Srl;
   con determina dirigenziale n. 3364 del 22 gennaio 2015 veniva revocata tale sospensione;
   nel febbraio 2015 l'interrogante inviava una nota alla Talea Srl per conoscere, laddove possibile, i criteri utilizzati nella scelta delle unità citate nel contratto stipulato tra la provincia Bat e l'agenzia di somministrazione lavoro in questione;
   la Talea Srl rispondeva precisando che «non esiste alcuna normativa imperativa di legge che obblighi una Società di Diritto privato a comunicare ad altri i propri criteri di ricerca e selezione del personale né esiste una norma che autorizzi un deputato a richiedervi tali informazioni»;
   va precisato che non è stata avanzata alcuna richiesta imperativa nei confronti della Talea Srl; in ogni caso si tratta di personale destinato a operare presso enti pubblici –:
   se esistano strumenti o procedure che garantiscano la trasparenza delle modalità di assunzione tramite agenzie di somministrazione di lavoro di personale destinato a operare per enti pubblici e quali iniziative di competenza, anche normative, si intendano adottare affinché si possa rendere più trasparente la somministrazione di lavoratori per le pubbliche amministrazioni. (4-08878)


   SPADONI, MANLIO DI STEFANO, GRANDE, SCAGLIUSI, SIBILIA, DEL GROSSO e DI BATTISTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, impegna gli Stati parti a: rispettare e garantire i diritti del minore a prescindere dalla origine nazionale sua e dei suoi genitori (articolo 2); attribuire priorità al superiore interesse del minore in tutte le decisioni di competenza dei tribunali, delle autorità amministrative e degli organi legislativi (articolo 3); adottare tutti i provvedimenti legislativi, amministrativi e altri, necessari per attuare i diritti riconosciuti dalla Convenzione (articolo 4); rispettare e garantire il diritto del minore ad essere allevato dai suoi genitori (articolo 7); rispettare il diritto del minore a preservare le sue relazioni familiari (articolo 8); vigilare affinché il minore non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano che questa separazione è necessaria nell'interesse preminente del minore (articolo 9); adottare ogni adeguato provvedimento al fine di garantire il mantenimento del minore da parte dei suoi genitori sul loro territorio o all'estero (articolo 27);
   Italia e Perù sono Stati parte della Convenzione: la prima ha firmato in data 26 gennaio del 1990 e ratificato con legge n. 176 del 27 maggio del 1991, depositata presso le Nazioni Unite il 5 settembre del 1991; il secondo ha firmato in data 26 gennaio del 1990 e ratificato con Resolución Legislativa n. 25278 del 3 agosto del 1990, depositata presso le Nazioni Unite il 4 settembre del 1990;
   per il genitore straniero di minore residente, il permesso di soggiorno per motivi familiari è previsto dalla legislazione italiana, ma non da quella peruviana;
   in Perù minori peruviani residenti, spesso in possesso della doppia cittadinanza e quindi a loro volta italiani, sono separati dai genitori italiani contro la loro volontà; tra i casi noti, quello del signor Andrea Foco e della figlia Carolina Adriana;
   in data 5 settembre del 2014 il signor Andrea Foco ha denunciato la violazione dei diritti umani di cui sono vittime minori e genitori italiani in Perù all'Ambasciata d'Italia a Lima;
   in data 17 febbraio del 2015 l'Ambasciata risponde che «la legge peruviana è estremamente rigida (..) e le Autorità peruviane si trovano, come è normale, a doverla applicare. Modificare la legge, anche qualora vi fosse una volontà politica in tal senso (che sembra in questo momento assente) richiederebbe un complesso iter parlamentare ed avrebbe tempi non certo brevi. Vista l'impossibilità (...) abbiamo tuttavia cercato possibili soluzioni alternative. Una ipotesi che potrebbe essere esplorata potrebbe essere quella di una sua assunzione nominale da parte di una ONG italiana, che le permetterebbe una permanenza legale nel Paese almeno per un breve periodo», (lettera a firma del Consigliere Ivo Michele Polacco);
   in data 17 settembre del 2014, 04 novembre del 2014 e 19 febbraio del 2015 il signor Andrea Foco ha interessato il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale senza ricevere risposta mentre in data 22 settembre del 2014 e 05 novembre del 2014 ha interessato la Presidenza del Consiglio dei ministri a quanto risulta all'interrogante senza ricevere risposta;
   nessuna delle istituzioni italiane interpellate si è impegnata nella difesa dei diritti umani degli italiani in Perù, minori e loro genitori;
   diverso riscontro hanno avuto gli appelli del signor Andrea Foco presso le istituzioni peruviane e in particolare presso il Ministerio de Justicia y Derechos Humanos;
   in data 25 settembre del 2014 e a meno di 48 ore dal primo contatto il signor Andrea Foco è stato ricevuto dal Ministro de Justicia y Derechos Humanos, dal Viceministro de Derechos Humanos y Acceso a la Justicia e dal Director de Políticas y Gestión en Derechos Humanos;
   mentre le istituzioni italiane si rifiutano di considerare come tale la violazione dei diritti umani di cui sono vittime minori e genitori italiani in Perù, il Ministro della giustizia del Perù ha prontamente riconosciuto trattarsi di «discriminazione e violazione dei diritti Umani» ed è intervenuto: a) presso la Superintendencía Nacional de Migraciones chiedendo la revisione e modifica dei procedimenti amministrativi (TUPA, Texto Úníco de Procedimientos Administrativos), in modo da limitare le violazioni in essere compatibilmente con il quadro legislativo attuale; b) presso il Consiglio dei ministri indicando la necessità di una nuova legge sull'immigrazione (Ley de Extranjería), in modo da garantire il pieno rispetto dei Diritti Umani;
   diversamente da quanto, affermato dall'Ambasciata d'Italia a Lima, le istituzioni peruviane non solo hanno dimostrato chiara disponibilità, ma hanno espressamente indicato la necessità di una nuova legge sull'immigrazione riportando all'attenzione del dibattito politico una questione emersa più volte nel corso degli ultimi anni –:
   se il Governo intenda intervenire a difesa dei diritti umani degli italiani in Perù, in particolare di quelli che la Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza riconosce ai minori e ai loro genitori;
   in caso affermativo, se il Governo non ritenga di intervenire diplomaticamente presso le autorità peruviane e nel caso di mancato riscontro in tempi brevi, se non ritenga di procedere in sede internazionale;
   quali altre iniziative il Governo intenda assumere per mettere fine alla separazione forzata di minori residenti in Perù e genitori italiani. (4-08886)


   VILLAROSA e GRILLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 marzo 2015 il programma televisivo «Le Iene» ha mandato in onda un servizio avente come oggetto delle presunte tangenti riguardanti alcuni appalti la Presidenza del Consiglio dei ministri;
   dal servizio mandato in onda si evince che un'azienda fornitrice di servizi avrebbe beneficiato, nel tempo, di alcuni favori e vantaggi aventi presumibilmente come scopo l'aggiudicazione di alcuni appalti;
   la persona che denuncia questi fatti, nel video mandato in onda, fa esplicito riferimento ad un episodio riguardante una gara della Presidenza del Consiglio dei ministri per un importo di poco inferiore ai dieci milioni di euro, gestita, a suo dire, in un modo del tutto illegale, cioè senza bandire una gara europea, ma effettuando un affidamento diretto «anomalo»;
   la persona nel video precisa ulteriormente l'anomalia dell'affidamento diretto, descrivendone la procedura. Alla gara in questione sarebbero state invitate, dalla Presidenza del Consiglio, cinque ditte a seguito di una segnalazione inoltrata dalla ditta stessa che poi si è aggiudicata l'appalto;
   la persona che denuncia questi avvenimenti dichiara, nel servizio, esplicitamente che alcuni soggetti, alle dipendenze della Presidenza del Consiglio dei ministri, in cambio di denaro, avrebbero favorito in vari modi la ditta che poi, effettivamente, si è aggiudicata l'appalto;
   in particolare, per quanto riguarda il presunto ammontare delle «mazzette», la persona denunciante riferisce che in un solo mese e solo per «mazzette» destinate ad elementi alle dipendenze della Presidenza del Consiglio, si sarebbe arrivati all'importo di 1.162.000 euro più un altro milione di euro circa distribuiti tra dirigenti vari di enti pubblici e privati;
   i presunti dirigenti della Presidenza del Consiglio dei ministri, secondo il racconto della persona che appare in video, avrebbero pilotato le gare d'appalto in cambio di denaro e, al momento della ricezione della fattura, controllavano in maniera del tutto accondiscendente, tollerando ampiamente fatture gonfiate anche per importi superiori all'80 per cento del reale valore di mercato della fornitura ricevuta;
   sempre dal servizio mandato in onda il 27 marzo, si apprende che uno dei dirigenti corrotti all'epoca dei fatti adesso presterebbe servizio presso l'ufficio del cerimoniale, avrebbe preso in un solo mese 12.000 euro di «mazzetta» più un pianoforte del valore di circa 6.000 euro più la ristrutturazione gratuita di un appartamento;
   in data 24 febbraio 2014 il deputato Riccardo Nuti ha presentato una interrogazione a risposta scritta alla Presidenza del Consiglio dei ministri, n. 4-03699, che nonostante nove solleciti, l'ultimo in data 1o aprile 2015, non ha ancora ricevuto alcuna risposta. Nell'interrogazione n. 4-03699 si faceva riferimento al signor Antonio Ragusa, generale in pensione dell'Arma dei carabinieri, sottoposto agli arresti domiciliari insieme al ben più noto, per eventi criminosi, Luigi Bisignani. Antonio Ragusa, dal 2006 al 2012 è stato assunto a capo del dipartimento, «risorse strumentali» presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, nonostante fosse già in pensione e, dunque, in deroga alla prassi seguita fino ad allora, per cui tale incarico veniva ricoperto da un dipendente di ruolo. Ragusa aveva modo di gestire, per conto della Presidenza del Consiglio dei ministri, ingenti somme di denaro percependo anche un cospicuo stipendio di oltre 200 mila euro lordi annui;
   dal 2006 al 2012 la Presidenza del Consiglio dei ministri ha proceduto a conferire diversi appalti, anche tramite procedure anomale e senza l'opportuna evidenza pubblica. Tra questi appalti figura anche quello relativo alla gestione dei servizi informatici e di sicurezza della Presidenza del Consiglio dei ministri del 2010, oggetto dell'inchiesta che ha portato all'arresto di Luigi Bisignani e Antonio Ragusa. I termini del bando di gara d'appalto oggetto dell'indagine, il cui valore ammonta a circa 9 milioni di euro, sarebbero stati scritti appositamente per consentire la vittoria della società Italgo dell'imprenditore Anselmo Galbusera. Secondo quanto affermato dalla procura, il Ragusa avrebbe mostrato una totale assenza di remore nell'alterare il corretto svolgimento della gara d'appalto e nel deviare i poteri connessi alla sua pubblica funzione al fine di perseguire interessi privati personali –:
   se risulti agli atti, visto il carattere sistematico e non occasionale delle modalità illegittime denunciate dalla persona protagonista del servizio della trasmissione televisiva «Le Iene», elementi in merito agli appalti conferiti dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, in particolar modo per quelli inerenti al periodo durante il quale il signor Ragusa ricopriva la carica di capo del dipartimento delle risorse strumentali della Presidenza del Consiglio dei ministri e non ritenga di adottare le verifiche di competenza;
   se risulti agli atti quali siano state le gare d'appalto assegnate per un importo tra 8,5 milioni di euro e 11 milioni di euro e l'indicazione dei soggetti che si sono aggiudicati tali appalti;
   se intenda rendere pubblico il nome dei dipendenti dell'ufficio del cerimoniale che hanno rivestito ruoli di responsabilità che in precedenza hanno prestato servizio presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, nel periodo considerato.
(4-08889)


   SCOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 17 aprile 2015 il settimanale l'Espresso ha pubblicato un'inchiesta sul Ministro dell'intero intitolata «Gli Angeli di Angelino. La moglie, l'avvocato Gemma, i fratelli Clarizia: una rete compatta che fa capo al Ministro dell'interno. Tra incarichi pubblici, banche e cattedre universitarie, un intreccio di interessi da centinaia di migliaia di euro» a firma di Emiliano Fittipaldi;
   in particolare, secondo quanto riportato da «l'Espresso», l'avvocato Andrea Gemma, rappresenterebbe «la punta di punta di diamante di una rete di potere gigantesca, una lobby compatta e sconosciuta che ha nel ministro Angelino Alfano uno dei suoi cardini principali, e nei professionisti Renato e Angelo Clarizia due incursori fenomenali. Un gruppo i cui interessi spaziano da incarichi pubblici da centinaia di migliaia di euro a cattedre di importanti università, dal business delle curatele fallimentari alle poltrone di cda di partecipate come Eni. In un intreccio di rapporti professionali e amicali, di scambi e di favori, che coinvolgono non solo banchieri e avvocati, ma anche il ministro dell'Interno e sua moglie Tiziana Miceli»;
   in particolare, gli avvocati Andrea Gemma e Angelo Clarizia avrebbero da poco anche vinto (con un raggruppamento temporaneo d'impresa) l'importantissima gara per i servizi legali dell'Expo da 630 mila euro. Ma questo si tratterebbe solo l'ultimo di una lunga serie di risultati eccellenti. Dall'inchiesta condotta da l'Espresso, infatti, emerge che, l'Avvocato Angelo Clarizia avrebbe ottenuto consulenze legali pure per la Valtur, di cui l'avvocato Andrea Gemma era diventato commissario straordinario poco prima;
   inoltre, l'inchiesta de l'Espresso evidenzia che con lo studio di Angelo Clarizia avrebbe lavorato anche l'avvocato Tiziana Miceli: i due avvocati, fino al 2014 avrebbero infatti curato gli interessi di una società (la Serit) di cui l'avvocato Andrea Gemma è commissario straordinario;
   infine, l'inchiesta evidenzia, con riferimento ad una stretto congiunto del Ministro dell'interno, che «L'avvocato Miceli tiene a precisare che l'unica consulenza da lei svolta a favore di una pubblica amministrazione, ad oggi, è quella ricevuta dall'assessore alla Sanità della regione Sicilia nel 2003-2004», si legge in una richiesta di risarcimento danni mandata a l'Espresso tre anni fa. In realtà — come dimostrano alcune carte del Tar Sicilia – la moglie di Angelino ha difeso altri enti pubblici, come il comune di Casteltermini, un'azienda ospedaliera di Palermo, l'Istituto autonomo Case popolari di Palermo (guidato fino al 2001 dal forzista Diego Cammarata) e la provincia di Agrigento, incarico assegnatole nel 2006 quando il presidente era Vincenzo Fontana, attualmente deputato regionale in Sicilia dell'Ncd. Oggi la Miceli è titolare di uno studio romano poco conosciuto (la «RM Associati», con sede a Piazza Navona), che non ha un sito internet e non ama farsi pubblicità sul web. Nella RM, oltre a Tiziana, c’è un altro avvocato di Angelino, Fabio Roscioli. Dopo gli incarichi in Sicilia sembra che le cose stiano andando bene anche nella capitale: non solo nel 2010 Tiziana ha guadagnato 229 mila euro (la moglie del ministro dell'Interno ha dato il consenso per pubblicare la dichiarazione dei redditi solo quell'anno), «l'Espresso» ha scoperto che la Miceli tra fine 2014 e inizio 2015 s’è aggiudicata dalla Consap (la concessionaria dei servizi assicurativi pubblici controllata dal Ministero dell'economia) ben cinque consulenze nuove di zecca. Gli importi, si legge nelle determine firmate dall'amministratore delegato Mauro Masi (ex dg della Rai in quota berlusconiana) «saranno quantificati all'esito delle attività». Speriamo, per le casse pubbliche, non siano troppo alti»;
   l'inchiesta condotta dal settimanale l'Espresso mette, quindi, in evidenza una scia di consulenze pubbliche e incarichi che, pur non avendo rilievo di carattere giudiziario, sono idonee a compromettere l'immagine nazionale e internazionale dell'attuale Ministro dell'interno che, oltre ad essere segretario di un partito di Governo, non poteva non sapere che ogni tipo di rapporto che uno stretto congiunto poneva in essere con la pubblica amministrazione, anche se lecito, poteva essere viziato dalla propria posizione;
   si rileva, inoltre, che nella serata del 16 aprile 2015 il Ministro dell'interno ha voluto replicare alle anticipazioni pubblicate dalla stampa affermando che «Purtroppo L'Espresso insiste e ci ricasca: non appagato dalla recente condanna per diffamazione subita in Tribunale – dove mi è stato riconosciuto il danno subito – replica il disegno denigratorio nei confronti miei e di mia moglie. Come al solito, L'Espresso costruisce scenari mistificatori e suggestivi. Ancora una volta questo organo di disinformazione mirata si esercita nel tentativo vano, ma non per questo meno grave, di gettare discredito, e non soltanto sulla mia persona». «Ci rivedremo, mio malgrado, di fronte a un Tribunale che saprà individuare tra persone defunte date per vive, circostanze false, notizie irrilevanti, fatti comici, errori marchiani e astruse manipolazioni della realtà, tutti gli elementi del doloso e reiterato intento diffamatorio»;
   pur tuttavia si deve evidenziare che l'Espresso, prendendo atto della dichiarazione del Ministro Alfano, ha risposto evidenziando che il Ministro Alfano, tuttavia, non smentisce nessuna delle circostanze documentate descritte nell'inchiesta e che, nel frattempo, l'amministratore delegato della Consap, Mauro Masi, ha ammesso pubblicamente che Tiziana Miceli lavora per la società controllata dal Ministero dell'Economia dal 2011 –:
   se il Ministro non intenda chiarire pubblicamente e in modo puntuale la propria posizione e se il Presidente del Consiglio non intenda adottare ogni iniziativa di competenza per prevenire a tale risultato, posto che i fatti descritti dall'inchiesta condotta da l'Espresso, pur non avendo rilievo di carattere giudiziario, appaiono idonei a compromettere l'immagine nazionale e internazionale dell'attuale Ministro dell'interno;
   quanto sia l'ammontare complessivo dei compensi sino ad oggi erogati a vario titolo con risorse pubbliche nei confronti degli avvocati e dei professionisti citati dall'inchiesta. (4-08897)


   LIUZZI, NICOLA BIANCHI e DE LORENZIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il 9 aprile 2015 sul sito di informazione www.formiche.net veniva pubblicato un articolo dal titolo «Agid, come sarà il dopo Poggiani» a firma di Valeria Covato nel quale venivano riportate informazioni afferenti alle consulenze esterne affidate dall'Agenzia per l'Italia Digitale (Agid) negli anni 2013-2015;
   nel predetto articolo si riportava il link a un file in formato .xml disponibile sul sito della richiamata agenzia nel quale venivano elencati, tra le altre informazioni disponibili, gli incarichi di consulenza legale affidati da Agid;
   in particolare, dal predetto file è possibile rilevare come Agid abbia disposto con affidamento diretto e senza gara incarichi di consulenza legale per lo svolgimento di attività di «consulenza e supporto giuridico alla Direzione Generale sulla normativa in materia di Dematerializzazione, Agenda Digitale, Open Data e Open Government» – «servizi professionali per rassegnazione, dominio» e «incarico di studio e ricerca giuridica per svolgere l'esamina della disciplina relativa al trattamento economico e retributivo spettante al personale attualmente in servizio presso l'Ente in posizione di comando» a diversi studi legali per una spesa complessiva di euro 48.506,20;
   consultando il predetto documento sembrerebbe che un incarico di consulenza per la somma di euro 36.135,00 sia stato affidato senza gara e con affidamento diretto a uno studio legale di cui risulta essere socio uno degli esperti nominati in seno al Comitato di indirizzo dell'Agid (cambiare in «Tavolo Permanente per l'Innovazione Tecnologica e l'Agenda Digitale»);
   dalla consultazione del sito di Agid sembra non esservi traccia della pubblicazione della documentazione richiesta dagli articoli 7 e 15 del decreto legislativo 165 del 2001 per il conferimento di tali incarichi;
   inoltre è da rilevare come appare quantomeno singolare che Agid che tra le proprie annovera le seguenti competenze istituzionali: «contribuisce alla diffusione dell'utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, allo scopo di favorire l'innovazione e la crescita economica; elabora indirizzi, regole tecniche e linee guida in materia di omogeneità dei linguaggi, delle procedure e degli standard per la piena interoperabilità e uniformità dei sistemi informatici della pubblica amministrazione; vigila sulla qualità dei servizi e sulla razionalizzazione della spesa informatica della pubblica amministrazione; promuove e diffonde le iniziative di alfabetizzazione digitale» si debba rivolgere a professionalità esterne per lo svolgimento dei sopra citati incarichi –:
   quali iniziative intendano assumere i Ministri interrogati per ridurre il numero di consulenze esterne affidate dall'Agid nel rispetto della normativa vigente, nonché per assicurare la massima trasparenza nell'affidamento dei predetti incarichi di consulenza. (4-08899)


   COLLETTI, CRIPPA, VACCA, BRESCIA, DE ROSA, SIBILIA, GRILLO, SPESSOTTO, TERZONI, DAGA e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   da fonti di stampa risalenti a marzo 2014 si è appreso che l'attuale Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi, quando era sindaco di Firenze, ha vissuto per quasi tre anni in un appartamento vicino a Palazzo Vecchio, in via degli Alfani 8 e che l'affitto veniva pagato (prima 900 e poi 1.200 euro al mese) dal suo amico imprenditore Marco Carrai;
   Marco Carrai, vicino a Comunione e Liberazione, in passato ha guidato la società Firenze parcheggi, partecipata dal Comune (anche se formalmente inserito nel consiglio di amministrazione dal secondo azionista, la banca MPS);
   Marco Carrai oggi è presidente di Aeroporti Firenze, grazie ad una nomina effettuata con il contributo sempre dell'amico sindaco Matteo Renzi e degli altri soci pubblici e risulta fondatore della fondazione Open (ex fondazione Big Bang che ha gestito le campagne elettorali di Renzi);
   la società C&T Crossmedia di cui è socio-presidente, inoltre, si è aggiudicata un servizio per visitare Palazzo Vecchio con la guida di un tablet. Come se non bastasse la moglie di Carrai (allora fidanzata), Francesca Campana Comparini, è stata tra i curatori della mostra su Jackson Pollock e Michelangelo, la più importante e prestigiosa a Firenze, che nel 2014 è costata alle casse comunali 375 mila euro;
   su alcune spese facili della giunta provinciale sotto la guida di Matteo Renzi dal 2012 starebbe indagando la procura di Firenze sotto la guida del procuratore capo Giuseppe Quattrocchi, indagini di cui, allo stato, non risultano gli esiti;
   lo stesso Quattrocchi a giugno è stato chiamato dal sindaco di Firenze Dario Nardella come suo consulente per la legalità, anche se l'interrogante ritiene andrebbe precisato il contenuto di tale incarico;
   il 20 marzo 2014, qualche Mese dopo il pensionamento del procuratore capo di Firenze Giuseppe Quattrocchi, la procura di Firenze ha aperto un fascicolo, a seguito di un esposto, n. 1281/2014, tuttora sottoposto a accertamenti e indagini, per fare luce sui rapporti tra l'ex sindaco e l'imprenditore e verificare se tra i due ci sia stato uno scambio di favori, fra i quali anche l'affitto pagato da Carrai in favore di Renzi;
   l'episodio di scambio di favori fra politici e imprenditori non è nuovo nel panorama politico, come dimostra la vicenda Tremonti-Milanese-Proietti;
   l'ex Ministro Giulio Tremonti, ha patteggiato una pena di quattro mesi di reclusione (tramutati in una pena pecuniaria di 30 mila euro) per finanziamento illecito, poiché, a quanto è emerso dalle indagini, si faceva pagare la casa ove viveva a Roma dal suo amico e sodale Marco Milanese, suo consigliere politico, e condannato anch'egli a 8 mesi di reclusione per finanziamento illecito di un deputato –:
   se risulti vero che Marco Carrai pagasse l'affitto della casa del Presidente del Consiglio a Firenze in via degli Alfani 8;
   se il Presidente del Consiglio dei ministri sia attualmente indagato dalla procura di Firenze in merito al pagamento dell'affitto da parte di Marco Carrai e per quale ipotesi di reato. (4-08902)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO, COMINARDI, BECHIS, RIZZETTO, CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI e BALDASSARRE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dal 1995 al 1997 le imprese situate nelle zone di Venezia e Chioggia hanno beneficiato di riduzioni o esenzioni dal versamento degli oneri sociali per la creazione e il mantenimento di posti di lavoro. Nel 1999 la Commissione ha ritenuto che alcuni di tali sgravi, il cui solo scopo era di salvaguardare posti di lavoro esistenti o che erano stati concessi a grandi imprese operanti in zone che non presentavano svantaggi regionali, erano incompatibili con le norme dell'Unione europea in materia di aiuti di Stato e ha imposto all'Italia il recupero degli aiuti presso i beneficiari;
   nel 2007 la Commissione ha constatato che l'Italia non aveva adempiuto all'obbligo di recuperare gli aiuti e ha agito nei suoi confronti dinanzi alla Corte di giustizia, la quale, nel 2011, ha stabilito che l'Italia non aveva attuato la decisione adottata dalla Commissione nel 1999. Nel 2012, con una lettera di costituzione in mora, la Commissione ha avvertito l'Italia che se avesse continuato a non ottemperare all'obbligo di recuperare gli aiuti, sarebbe stata deferita per la seconda volta dinanzi alla Corte di giustizia;
   dalla risposta dell'Italia risulta che, a tutt'oggi, è stato recuperato solo circa il 20 per cento degli aiuti dichiarati incompatibili. La Commissione ha pertanto deciso di deferire l'Italia alla Corte di giustizia una seconda volta, al fine di chiedere a quest'ultima di comminare il pagamento di una somma forfettaria e di una penalità;
   la Commissione propone una penalità giornaliera dell'importo di 24.578,4 euro, da moltiplicare per il numero di giorni trascorsi tra la prima sentenza della Corte e, a seconda del caso, la piena esecuzione da parte dello Stato membro oppure la seconda sentenza della Corte a norma dell'articolo 260, paragrafo 2, del TFUE, nonché il pagamento di una penalità decrescente per ogni giorno trascorso dalla sentenza fino alla sua esecuzione. L'importo definitivo delle penalità giornaliere sarà deciso dalla Corte –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno intervenire presso la Commissione europea al fine di prevenire la presentazione del ricorso alla Corte di giustizia – finalizzato alla quantificazione della penalità – in attesa del completamento delle procedure di recupero instaurate ex articolo 1, commi 351 e seguenti, della legge 24 dicembre 2012, n. 228;
   se i Ministri non ritengano opportuno chiedere alla Commissione europea una definitiva pronuncia in merito al diritto delle singole imprese a fruire o meno degli sgravi, al fine di adempiere alla sentenza della Corte di giustizia del 2011;
   se i Ministri interrogati possano spiegare come tale situazione sia potuta accadere senza che ci sia stato un effettivo controllo e a chi sia imputabile la responsabilità nella concessione degli aiuti di Stato incompatibili con l'ordinamento comunitario, nel ritardo delle azioni di recupero mediante riscossione coattiva e della definizione dei contenziosi giudiziari;
   se i Ministri non ritengano equo e corretto che, nel caso in cui vengano comminate dalla Corte di giustizia le sanzioni di cui in premessa, si possa prefigurare l'ipotesi di un danno recuperabile rivalendosi sui soggetti che illo tempore hanno autorizzato la concessione degli aiuti di Stato giudicati illegittimi;
   se i Ministri interrogati possano chiarire l'entità, gli oneri e gli effetti finanziari diretti a carico dell'Italia, che deriverebbero dalla sentenza di condanna dell'Unione europea nei confronti del nostro Paese e come si intenda agire per reperire le risorse finanziarie necessarie per l'eventuale pagamento. (5-05408)

Interrogazione a risposta scritta:


   BORGHESE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di giugno 2005, il Presidente della Federazione di Assistenza italiana della circoscrizione consolare di Cordoba, denominata «FED.A.SC.IT» acquista tramite la figura del dr. Claudio Mizzau le mura della scuola dal cedente dr. Julio Cesar S.Juan attraverso il Banco nazionale argentino;
   nei vari passaggi burocratici che ci sono stati per l'acquisto della scuola «Dante Alighieri» pare che ci sia stato un incidente burocratico riguardante l'esecuzione ipotecaria promossa dal Banco Nazionale;
   la Fondazione italiana, tramite il console in pectore, si ritrova a non essere proprietaria in quanto pare abbia comperato un immobile parzialmente gravato da ipoteca;
   trovandosi in un simile contesto, la Fondazione chiede lo sfratto alla cooperativa di lavoro integrata di docenti del collegio che occupa lo stabile, la quale ovviamente si oppone allo sfratto;
   i giudici della Corte suprema di Tucuman, visto l'atto di compravendita respingono la disdetta locazione;
   in base all'articolo 3.151 del codice civile del 20 luglio 2013, la Fondazione ha chiesto al registro immobiliare di Tucuman la registrazione gratuita al fine di riscrivere l'ipoteca del «Banco Nacion»;
   il giudice che esamina la pratica ordina la riscrizione dell'ipoteca in forma gratuita –:
   quali iniziative il Ministro interrogato voglia adottare al fine di verificare le reali condizioni riguardanti l'acquisto dell'ipoteca da parte dello Stato italiano;
   su quali diritti legali si possa basare la difesa della Comunità italiana che ha stanziato fondi pubblici per non avere nulla in cambio;
   se i passi compiuti dal console in rappresentanza diplomatica a Cordoba, e del presidente della FED.A.SC.IT, dr. Claudio Mizzau nella vicenda sopra citata sono corretti. (4-08869)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   la regione Abruzzo rischia di trasformarsi da regione dei parchi a distretto petrolifero;
   in un recente dossier delle associazioni ambientaliste si evidenzia lo stato attuale delle ricerche e perforazioni di idrocarburi in Abruzzo (in terra e mare): 2.213,05 chilometri quadri interessati da permessi di ricerca, 441,294 chilometri quadri interessati da concessioni di coltivazione, 101,03 chilometri quadri interessati da concessioni di stoccaggio, 35,72 chilometri quadri interessati da istanze per concessione di coltivazione, 1.018,00 chilometri quadri interessati da istanze per concessioni di stoccaggio, 4.222,80 chilometri quadri interessati da istanze per permessi di ricerca;
   in una nota il Wwf Abruzzo sottolinea come nel 2009 il 51,7 per cento del territorio era interessato da istanze di ricerca ed estrazione di idrocarburi;
   in queste settimane il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha dato o si accinge a dare il proprio parere positivo ad una decina di nuovi pozzi destinati alla ricerca o all'estrazione di petrolio, tutti all'interno delle 12 miglia;
   riepilogando si tratta di:
    Elsa2, società Petroceltic, un pozzo esplorativo a 7 chilometri dalla spiaggia di Lido Riccio ad Ortona (Chieti) (parere positivo della commissione V.I.A. a marzo 2015, in attesa del decreto);
    Ombrina mare, società Rockhopper, 4-6 pozzi di estrazione a 6 chilometri miglia dalla costa di fronte a S. Vito chietino, (parere positivo della Commissione V.I.A. a marzo 2015, in attesa del decreto);
    Rospo mare, società Edison, 3-4 nuovi pozzi di estrazione a 20 chilometri dalla costa di fronte a Vasto (decreto di compatibilità ambientale emanato il 15 aprile 2015);
   praticamente è interessato tutto il fronte della costa teatina, con un progetto a nord (Elsa2), uno al centro (Ombrina) e uno al sud (Rospo mare), in un'area in cui vi è il parco nazionale della costa teatina;
   sono tutti progetti fermati nel 2010 dal decreto dell'allora Ministra dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Prestigiacomo che vietava nuove trivellazioni all'interno delle 12 miglia e «resuscitati» ad avviso dell'interrogante colpevolmente dal decreto del Ministro dello sviluppo economico Passera del Governo Monti nel 2012 che escludeva dall'applicazione del provvedimento i procedimenti in corso; 
   sono numerose le criticità procedurali e di contenuto;
   il parere del comitato VIA considerato valido è quello rilasciato nel 2009, senza tener conto delle mutate condizioni ambientali e sociali;
   non viene considerato l'effetto cumulo con gli altri progetti;
   tutte queste procedure non sono state assoggettate a valutazione ambientale strategica, con il paradosso che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare richiede tale adempimento al Governo Croato per le nuove concessioni in Adriatico e poi non applica la procedura a quelle di propria competenza;
   non è stato ripubblicato, come invece accaduto per Ombrina, il progetto per le osservazioni del pubblico alla procedura di V.I.A.-A.I.A. congiunta; 
   l'analisi del rischio per gli incidenti non è stata esaminata dalla Commissione che però l'ha richiesta entro l'avvio dei lavori (quindi è riconosciuto come aspetto critico del progetto). Ma, ad avviso dell'interrogante, la procedura di valutazione di impatto ambientale così perde totalmente di significato, se gli elementi indispensabili per una corretta valutazione vengono rimandati alla fase esecutiva –:
   se non intendano assumere iniziative volte a non concedere le autorizzazioni per evitare che tutti questi interventi mettano a serio rischio il futuro ambientale della regione Abruzzo e del mare Adriatico.
(2-00943) «Melilla».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO, RIZZETTO, PRODANI, MUCCI, SEGONI, BALDASSARRE, BECHIS, ARTINI, TURCO e BARBANTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella XVI legislatura è stata presentata dai deputati radicali, primo firmatario Maurizio Turco, l'interrogazione a risposta scritta 4-18712 — rimasta senza risposta – con la quale si chiedeva quali fossero le ragioni del ritardo con il quale il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva richiesto i verbali delle udienze preliminari al fine di costituirsi parte civile nel processo contro alcuni amministratori della raffineria Tamoil di Cremona, visto che durante l'udienza tenutasi il 19 novembre 2012 il giudice Guido Salvini aveva reso noto di aver ricevuto tale richiesta solo il 31 ottobre 2012 quando appena il 27 ottobre aveva ammesso gli imputati al rito abbreviato;
   in data 18 luglio 2014 è stata emessa una sentenza con la quale sono stati condannati i dirigenti della raffineria Tamoil di Cremona:
    GILBERTI ENRICO per il reato di cui agli articoli 81-434 del codice penale alla pena di anni sei di reclusione e per quello di cui all'articolo 257 del decreto legislativo n. 152 del 2006 alla pena di sei mesi di arresto e 9.000 euro di ammenda e BILLI GIULIANO GUERRINO per il reato di cui agli articoli 81-434 del codice penale alla pena di anni tre di reclusione oltre al pagamento in solido delle spese processuali relative al reato cui la condanna si riferisce e l'interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e li dichiara altresì in stato di interdizione legale durante l'espiazione alla pena;
   ABULAIHA MOHAMED SALEH e COLOMBO PIERLUIGI alla pena di un anno e otto mesi di reclusione ciascuno per il reato di cui all'articolo 449 del codice penale e alla pena di quattro mesi di arresto e di 6.000 euro di ammenda per il reato di cui all'articolo 257 del decreto legislativo n. 152 del 2006 oltre al pagamento in solido delle spese processuali relative al reato cui la condanna si riferisce concedendogli il beneficio della sospensione condizionale della pena subordinando tale beneficio alla prosecuzione dei necessari interventi di bonifica e ripristino ambientale;
   GILBERTI, BILLI, ABULAIHA e COLOMBO al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali cagionati alle costituite parti civili che saranno liquidati in separato giudizio civile assegnando alle parti civili una provvisionale immediatamente esecutiva;
   al Comune di Cremona – che al pari del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non si è costituito parte civile – è stata riconosciuta una provvisionale di 1 milione di euro in ragione del fatto che il dottor Gino Ruggeri, segretario dell'associazione radicale Piero Welby di Cremona, iscritto nelle liste elettorali del comune di Cremona si è avvalso, in ragione del mancato intervento del comune, della facoltà di cui all'articolo 9 del Testo unico degli enti locali;
   nella sentenza si legge: «il comune di Cremona, rimasto estraneo al processo, affermi brevemente nella delibera in data 25 maggio 2012 che ha portato alla scelta di non costituirsi che dalla condotta della TAMOIL non sarebbero derivati al comune di Cremona danni di natura patrimoniale diversi dal danno ambientale di esclusiva pertinenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare»;
   «appare infine opportuno ricordare (...) che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonostante la natura dei reati contestati agli imputati, e pur ritualmente e più volte informato (ad esempio la comunicazione di questo ufficio al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 17 maggio 2012, 9 luglio 2012 e 9 ottobre 2012 non seguite da alcun intervento), non ha presenziato alle udienze né si è costituito parte civile» –:
   visto che la prima comunicazione del Giudice per le indagini preliminari di Cremona è del 17 maggio 2012, a cui sono seguiti i solleciti del 9 luglio e 9 ottobre 2012, se risulti agli atti per quali motivi il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia richiesto i verbali delle udienze preliminari al fine di costituirsi parte civile nel processo contro alcuni amministratori della raffineria Tamoil solo il 31 ottobre 2012, giusto 4 giorni dopo che il giudice aveva ammesso gli imputati al rito abbreviato;
   se risulti agli atti quando il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ricevuto l'informazione inviata il 17 maggio dal tribunale di Cremona e quale procedura è stata seguita per questa e le successive informazioni del 9 luglio e del 9 ottobre per arrivare al 31 ottobre, data in cui il Ministero ha richiesto – in tempo non più utile – i verbali delle udienze preliminari al fine di costituirsi parte civile;
   se e quanto sia stato speso e/o sia previsto di spendere nella bonifica della raffineria Tamoil di Cremona. (5-05409)


   SEGONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 101 del 2013, all'articolo 4, «limitazioni a proroghe di contratti e all'uso del lavoro flessibile nel pubblico impiego», impone l'utilizzo di personale a contratto «per rispondere ad esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale» opportunamente motivate e stabilisce che «i contratti di lavoro a tempo determinato posti in essere in violazione del presente articolo sono nulli e determinano responsabilità erariale. Lo stesso Decreto stabilisce che i dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono, altresì, responsabili ai sensi dell'articolo 21»;
   il decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 «Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale» all'articolo 20 comma 1, impone, «al fine del perseguimento di una maggiore efficienza e del contenimento della spesa pubblica, le società a totale partecipazione diretta o indiretta dello Stato ...», di realizzare, «... nel biennio 2014-2015, una riduzione dei costi operativi, nella misura non inferiore al 2,5 per cento nel 2014 ed al 4 per cento nel 2015»;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di riorganizzazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prevede: l'istituzione di ben 7 Direzioni Generali (contro le 5 attuali + ispettorato generale), la nomina di otto Direttori generali (segretario generale + 1 fuori ruolo all'ISPRA che, a tutt'oggi blocca la Dirigenza di tre Divisioni del nostro Dicastero); gli 8 consiglieri giuridici provenienti dalle carriere delle Magistrature ordinarie, amministrative e contabile o dall'Avvocatura delle Stato o docenza universitaria negli uffici di diretta collaborazione;
   in questi anni si sono moltiplicate le acquisizioni di personale «esterno», soprattutto a tempo determinato proveniente da SOGESID spa (società in house al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, partecipata al 100 per cento dallo Stato) e, attraverso convenzioni di vario tipo, con altre società (es. Studiare Sviluppo), che spesso svolgono funzioni analoghe o sovrapponibili a quelle del personale di ruolo; ovviamente tale ricorso è particolarmente gravoso per le finanze dello Stato, e la SOGESID spa ha assunto in questi ultimi anni centinaia di dipendenti da applicare al Ministero dell'ambiente, con retribuzioni anche elevate;
   SOGESID spa, e in parte Studiare Sviluppo, utilizzano risorse dei Fondi Strutturali che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha in carico e che tali fondi potrebbero essere destinati ad iniziative di investimento, (http://www.sogesid.ittmattm_2.html) (http://www.sogesid.it/comunicazioni_legali_2013 _6.html.);
   manca una mappatura delle professionalità interne che le leghi ad una trasparente programmazione e successiva valutazione degli obiettivi che le singole direzioni generali dovrebbero perseguire;
   la SOGESID, secondo la Relazione della Corte dei Conti al Parlamento per l'esercizio finanziario 2012, elargisce solo per i compensi dei componenti degli organi sociali per 491.150 euro. Ancor più preoccupante è l'affermazione contenuta nella stessa relazione: «Inoltre deve ribadirsi che l'impiego di personale della SOGESID direttamente presso le strutture del Ministero può prestarsi ad essere utilizzato come mezzo elusivo dei vincoli all'assunzione di personale e delle limitazioni e delle condizioni per il conferimento di incarichi per prestazioni di servizi.» ... «Come si è già rilevato nella precedente relazione al Parlamento, parte molto elevata del valore della produzione è costituito dall'assistenza tecnica alle direzioni generali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che consiste in una collaborazione di personale che presta attività direttamente presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare». Tale voce ammonta a 13,7 milioni di euro (60 per cento dell'intero valore della produzione) mentre a fine 2011 costituiva il 57 per cento dell'intero ammontare del valore della produzione;
   l'ultima Relazione al parlamento presentata dalla Corte dei conti sull'esercizio finanziario 2012 della Sogesid spa, evidenzia questa anomalia: «Il largo uso dei contratti di lavoro autonomo è di regola giustificato dalla necessità della società di dotarsi di apposite professionalità per l'adempimento delle commesse volta a volta affidate. I costi di questo genere di incarichi sono coperti dai corrispettivi dei contratti e delle convenzioni stipulati con i soggetti istituzionali con i quali la società collabora, sicché essi normalmente non generano squilibri di gestione per la società»;
   «Tuttavia non si può non rilevare come, analogamente a quanto si è appena detto a proposito del personale dipendente, gran parte degli incaricati con contratto di lavoro autonomo è impegnato nelle attività di supporto tecnico alle Direzioni generali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Talvolta gli oggetti di tali incarichi corrispondono a mansioni interne all'organizzazione o attinenti all'ordinario svolgimento dei compiti istituzionali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, traducendosi in sostanza in un mezzo improprio per far fronte a problemi di organico»;
   in base a quanto ha rilevato la Corte dei conti, sezione Centrale di controllo sulla legittimità degli atti del governo e delle amministrazioni dello Stato, nel testo della deliberazione 16 aprile 2014, n. 7, nei casi in cui vi sia una reiterazione temporale dell'oggetto dell'incarico (in questo caso anche dello stesso soggetto), viene dedotta la violazione dell'articolo 7, comma 6 del decreto legislativo n. 165 del 2001, nella parte in cui prescrive la temporaneità degli incarichi esterni. È pacifico che l'affidamento a un soggetto esterno di attività, ancorché altamente qualificate, per le quali le pubbliche amministrazioni non possono far fronte con il proprio personale, deve rispondere a un carattere esclusivamente temporaneo che sia limitato e coerente con la durata del progetto –:
   se esista un problema di carenza di organico all'interno del Ministero dell'ambiente e, in caso affermativo, per quale motivo il Ministro non se ne faccia carico in sede politica invece di accettare le continue riduzioni di organico imposte dal Governo di cui fa parte;
   a quanto ammonti esattamente il personale esterno all'interno del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e quale sia il suo impiego;
   in base a quali criteri e competenze ambientali sia stato nominato il nuovo presidente della Sogesid spa dottor Staderini (ex ACEA, ex INPDAP, ex RAI, ex LOTTOMATICA);
   quali siano le azioni che il Ministero intende attuare per porre fine all'eccessivo, anomalo e molto oneroso per le casse dello Stato, utilizzo di personale esterno per lo svolgimento di attività del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   quali azioni il Ministero intenda attuare per valorizzare le risorse interne dello stesso e la diminuzione delle esternalizzazioni;
   quali azioni il Ministero intenda attuare per evitare proroghe «sine die» per gli incarichi esterni e per evitare che la «straordinarietà» si traduca in un modus operandi sistematico;
   quale sia l'ammontare degli investimenti previsti nella formazione e crescita professionale del personale di ruolo.
(5-05417)


   SEGONI, GAGNARLI, ARTINI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 settembre 2014 veniva segnalato l'ennesimo sversamento di «digestato» in un terreno agricolo: tale «digestato» è prodotto da uno dei numerosi piccoli impianti di «digestione anaerobica» ormai funzionanti in Italia;
   a seguito della segnalazione, la provincia di Pisa, nella persona del suo dirigente affermava che il digestato è un ammendante utilizzabile nei terreni agricoli, ai sensi dell'articolo 52, comma 2-bis del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83;
   a seguito dell'interrogazione presentata dalla europarlamentare PD Andrea Zanoni il 24 settembre 2013 in seguito alla moria di bovini attribuibile allo sversamento di digestato nei campi da parte della centrale a biogas di Trebaseleghe (E-010830-13), il commissario Janez Potocnik rispondeva il 13 dicembre 2013 che «I digestati derivanti dalla produzione di biogas sono considerati “rifiuti prodotti” e rientrano pertanto nell'ambito di applicazione della normativa sui rifiuti», e che la Commissione europea si sarebbe premurata di emanare i criteri da soddisfare per fare in modo che il «digestato» cessi la qualifica di rifiuto, altrimenti detti criteri «End of Waste». Detti criteri ad oggi non risultano ancora emanati;
   il digestato viene identificato nel catalogo europeo rifiuti (CER) con il codice 19.06.04 ove prodotto dal trattamento di rifiuti urbani. Nel caso il digestato sia prodotto con materiale biologico espressamente coltivato a scopi energetici, come nel caso di specie, il catalogo CER non prevede alcuna classificazione, anche se in alcuni casi potrebbe essere identificato con il CER 16.03.06 (rifiuti organici non contenenti sostanze pericolose);
   in risposta all'interrogazione Terzoni, del 5 maggio 2014, n. 4-03037, il Ministro Martina informa che «sono in corso una serie di ricerche svolte dagli istituti del consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, oltre ad uno specifico studio affidato all'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale in collaborazione con l'agenzia regionale per la protezione ambientale del Piemonte, della Lombardia, dell'Emilia Romagna, del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia, finalizzato a conoscere l'origine del contenuto dei nitrati nelle acque sotterranee e superficiali presenti nell'area sottoposta ad indagine, definendone i contributi derivanti dalle diverse sorgenti sulla base delle conoscenze ambientali e territoriali, dei numerosi processi fisici chimici e biologici che intervengono e dei dati e delle informazioni e delle analisi di monitoraggio dello stato dei suoli e delle acque»;
   è ormai noto il rischio sanitario derivante dallo sversamento nei campi del «digestato». Si cita ad esempio non esaustivo proprio il caso del maggio 2013 riportato agli onori della cronaca sempre dall'onorevole Zanoni, quando a Trebaseleghe (PD) si è verificata una vera e propria moria di bovini a causa di avvelenamento da botulino. Il contagio ha coinvolto circa 50 animali e ha comportato il sequestro di un allevamento a opera dell'azienda sanitaria locale, con un danno per l'azienda agricola di 100.000 euro. Secondo quanto emerso dalle indagini epidemiologiche svolte nell'immediatezza la tossina potrebbe essere stata contenuta nel terreno presente nel fieno consumato dai bovini. Il botulismo, malattia mortale anche per l'uomo, è legata al Clostridium botulinum, un batterio anaerobico che produce la neurotossina botulinica, la sostanza più tossica fino a oggi conosciuta. A questo proposito occorre segnalare che potrebbe esistere un rapporto causa-effetto tra botulismo nei bovini e presenza sul territorio di centrali per la produzione di biogas. Il Clostridium botulinum, infatti, può essere presente nel digestato di tali impianti, il materiale di scarto che viene sparso sui terreni a valle del processo produttivo del biogas. Più recentemente si segnalano vari casi di contaminazione del mais da aflatossine, in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, tutti ricollegabili all'uso del digestato;
   la risposta del commissario Potocnik è chiara e inequivocabile: fra l'altro essa è posteriore alla risposta data dal Governo a seguito della interrogazione in Commissione a prima firma Gagnarli (n. 5-00585) –:
   quali iniziative intenda promuovere, al fine di tutelare l'ambiente e la salute umana e animale, per assoggettare il digestato a rifiuto conformemente a quanto previsto dall'Unione europea;
   se intendano approfondire attraverso uno studio epidemiologico, di concerto con il Ministero della salute, l'impatto sanitario derivante dallo spandimento del digestato nei campi;
   quali tempi si prevedano per il completamento dello studio commissionato all'ISPRA sui rischi chimico-fisici e biologici derivanti dall'uso del digestato;
   se intenda approfondire, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali con quello dello sviluppo economico, l'impatto dello spandimento di digestato sulla filiera alimentare e in particolare sulle eccellenze alimentari tutelate da marchio DOP e IGP. (5-05418)


   SEGONI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, ARTINI, DAGA, ZOLEZZI, MICILLO e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio COM(2014) 397 finale, che modifica direttive 2008/98/CE relativa ai rifiuti, 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti, 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, al 19o considerando afferma fra l'altro che: «La qualità e l'affidabilità delle statistiche dovrebbe migliorare con [...] la soppressione delle disposizioni obsolete in materia di rendicontazione»;
   la decisione della Commissione Europea del 18 novembre 2011, che istituisce regole e modalità di calcolo per verificare il rispetto degli obiettivi di cui all'articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, all'articolo 2 comma 1, paragrafo 2, prescrive che «il peso dei rifiuti preparati per essere riutilizzati, riciclati o recuperati è determinato calcolando la quantità di rifiuti impiegati nella preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio finale o altri processi di recupero finale di materiale. Un'operazione preparatoria che precede il recupero o lo smaltimento di rifiuti non costituisce un'operazione finale di riciclaggio né un'altra operazione finale di recupero di materiale. In caso di raccolta differenziata dei rifiuti o se la produzione di un impianto di selezione è sottoposta a processi di riciclaggio o altra forma di recupero di materiale senza perdite significative, il peso dei rifiuti in questione può essere considerato equivalente al peso dei rifiuti preparati per essere riutilizzati, riciclati o sottoposti ad altra forma di recupero di materiale»;
   il decreto ministeriale 13 maggio 2009 (modifica del decreto 8 aprile 2008, recante la disciplina dei centri di raccolta dei rifiuti urbani raccolti in modo differenziato sostituisce Il punto 6.5 dell'Allegato 1 con il seguente: «Devono essere adottate procedure di contabilizzazione dei rifiuti in ingresso, per quanto concerne le sole utenze non domestiche, e in uscita al fine della impostazione dei bilanci di massa o bilanci volumetrici, entrambi sulla base di stime in assenza di pesatura, attraverso la compilazione, eventualmente su supporto informatico, di uno schedario numerato progressivamente e conforme ai modelli di cui agli allegati Ia e Ib», pertanto si ammette la possibilità di calcolo presuntivo in entrata e in uscita dai centri di raccolta di cui all'articolo 183, comma 1, lettera cc) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modifiche;
   il decreto ministeriale ambiente 8 aprile 2008, all'articolo 3, comma 1, prescrive che: «Il centro di raccolta deve essere strutturato prevedendo una “zona di conferimento e deposito dei rifiuti non pericolosi, attrezzata con cassoni scarrabili/contenitori, anche interrati, e/o platee impermeabilizzate e opportunamente delimitate”, ma non specifica se gli scarrabili debbano essere muniti di adeguata copertura funzionale a proteggere il contenuto da intemperie, furti e conferimenti impropri, né se le platee debbano essere munite di adeguata copertura di protezione dagli agenti atmosferici. Si fa notare come questa modalità di raccolta sia prassi comune anche nel caso di rifiuti speciali»;
   anche volendo escludere i furti all'interno dei centri di raccolta (anche definite «isole ecologiche»), che tuttavia sono cronaca ordinaria, appare evidente come l'utilizzo di cassoni scarrabili non dotati di copertura e lo stoccaggio dei rifiuti in platee scoperte possano falsare enormemente i dati di contabilità dei rifiuti in uscita, in primis perché materiali come carta e cartone, legno e derivati, schiume poliuretaniche contenute in materassi e imbottiti, possono trattenere una considerevole quantità d'acqua, in secundis perché le intemperie possono depositare nei cassoni anche altri residui (foglie, rami, sabbia e altro) che abbassano la qualità e la riciclabilità dei materiali contenuti, contravvenendo al principio comunitario per cui i rifiuti sono gestiti «prevenendo o riducendo gli impatti negativi della produzione e della loro gestione, riducendo gli impatti complessivi dell'uso delle risorse e migliorandone l'efficacia –:
   quali iniziative intenda attuare e in quali tempi al fine di:
    a) imporre la pesatura obbligatoria in entrata e uscita dai centri di raccolta;
    b) imporre l'utilizzo nei centri di raccolta e per i rifiuti speciali di cassoni scarrabili dotati di opportuna copertura e la copertura delle platee attualmente scoperte;
    c) fissare criteri per l'attuazione di controlli incrociati dei dati in entrata con quelli in uscita dai centri di raccolta, al fine di scongiurare possibilità di errore nella contabilità generale dei rifiuti e trasmettere in questo modo alla Commissione europea un quadro conoscitivo più aderente alla realtà. (5-05420)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   i Regi Lagni sono frutto di un'opera di canalizzazione e bonifica avviata dal viceré spagnolo nel 1610 e terminata nel 1616 con l'obiettivo di risolvere il problema delle inondazioni del fiume Clanio, che impedivano sin da epoca preromana lo sviluppo urbanistico dell'area in cui essi si trovano;
   successivamente l'opera fu ampliata, completata e perfezionata dai Borbone, cosicché gli alvei divennero, dal Novecento in poi, un'appendice del sistema fognario, locale;
   il territorio che attraversano è molto vasto: fino ai Monti Tifatini nel casertano, fino ai Monti di Avella e del Partenio nell'avellinese e fino alle propaggini del Somma-Vesuvio nel napoletano, per una lunghezza totale di 80 chilometri;
   l'estensione del bacino è di oltre 1.000 chilometri quadrati, e la portata massima è di circa 3.000 litri al secondo in tempo asciutto e di circa 650.000 litri al secondo in tempo di pioggia;
   uno studio dettagliatissimo effettuato dall'ENEA alcuni anni or sono mostrava con estrema accuratezza la situazione di estrema gravità ambientale e di rischio sanitario in tutta l'area dei Regi Lagni;
   da tale studio emergeva già allora il serio degrado della qualità delle acque a tutti i livelli considerati ed un generale stato di grave deterioramento tale da imporre misure urgenti di intervento;
   è stato stimato, in quello studio, che le portate fluenti siano nella quasi totalità rappresentate dagli effluenti dei depuratori e degli scarichi diretti, il che condizionerebbe fortemente la possibilità di ripristino dei corsi d'acqua e di rispetto degli obiettivi di qualità stabiliti dalla normativa vigente;
   in merito alle capacità prestazionali dei sei depuratori attualmente operanti nell'area di studio, è stato rilevato un carente stato di conservazione e manutenzione nonché l'inadeguatezza progettuale ai fini del raggiungimento dei limiti imposti dal sistema delle ordinanze;
   le analisi prese in considerazione dallo studio dell'ENEA hanno messo in evidenza che gli interventi di potenziamento e adeguamento infrastrutturali (collettamento e depurazione) per il raggiungimento dei limiti allo scarico imposti dai criteri di sicurezza ambientali, attraverso l'adozione delle migliori tecnologie disponibili, è necessaria ma non sufficiente al raggiungimento dell'obiettivo di stato ambientale di «buono» per il 2016;
   sono stati rilevati l'incompletezza dei sistemi di collettamento fognario e depurativo, che in alcuni comprensori non supera il 50 per cento dei reflui prodotti, la presenza diffusa di scarichi non autorizzati recapitanti nelle acque dei Regi Lagni, un uso improprio sia del canale che delle sue sponde per la presenza di vere e proprie discariche di rifiuti di vario genere e la completa mancanza di manutenzione degli argini e del resto delle opere idrauliche;
   l'analisi dei carichi antropici ha messo in evidenza una rilevante pressione ambientale sull'intero bacino scolante che impone, misure di razionalizzazione e la necessità di implementare codici di buona pratica è l'applicazione delle migliori tecniche disponibili per il trattamento dei carichi inquinanti prodotti;
   ciò rende del tutto evidente la necessità di realizzare il riuso agronomico ed industriale delle acque depurate e gli interventi di rinaturalizzazione del bacino idrografico per incrementarne la capacità autodepurativa;
   la pratica del riuso agronomico potrebbe anche contribuire alla ricarica delle falde e alla mitigazione del fenomeno di ingressione di cuneo salino rilevabile nella fascia costiera;
   i Regi Lagni vivono oggi una condizione di degrado tale che basta osservare la parte terminale dei canali, nei pressi della foce e dunque in prossimità del fiume Volturno, per ritrovarsi circondati da carcasse di animali morti, rifiuti industriali ed amianto;
   operazioni di telerilevamento hanno mostrato, nell'area, diverse anomalie termiche;
   lo stato ecologico dell'area, che si calcola in base ai punteggi attribuiti a determinati parametri individuati dal decreto legislativo n. 152 del 1999, è classificato come di livello 5, ovvero il peggiore in assoluto;
   la presenza di sostanze chimiche nei reflui raggiunge, nell'area dei Regi Lagni, picchi di 250 mg/l, quando il valore massimo ammissibile per un corpo idrico in stato ecologico di livello 1 è pari a circa 5 mg/l;
   il BOD (richiesta di ossigeno della parte biodegradabile) medio dell'area è circa 40 volte maggiore dei valore minimo (93 contro 2,5), mentre il fosforo totale è 30 volte maggiore (2 contro 0,07), l'azoto ammoniacale circa 600 volte maggiore (18 contro 0,03), l'azoto nitrico circa 10 volte maggiore (3 contro 0,3) e l’Escherichia coli 160.900 volte maggiore (160.900.000 contro 100) –:
   se non ritenga opportuno l'avvio di un monitoraggio diretto della rete di canali, anche mediante il comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, soprattutto in concomitanza del periodo estivo, per verificare lo stato dei luoghi e il livello di inquinamento prodotto da quelli che appaiono scarichi abusivi e incontrollati. (4-08866)


   RUSSO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 19 aprile 2015 il quotidiano Il Mattino ha pubblicato un'inchiesta giornalistica dal titolo «Giallo a San Vitaliano: fumi killer come in Cina, nessuno sa perché»;
   il reportage firmato dall'inviato Paolo Barbuto denuncia una situazione allarmante relativa alla percentuale record delle polveri sottili presenti in atmosfera e rilevate da una centralina installata dall'Arpac all'interno di una scuola di via Risorgimento;
   secondo quanto emerge dalla ricostruzione giornalistica il comune della provincia di Napoli è ai primissimi posti nella classifica mondiale dei territori più inquinati: «San Vitaliano è il Comune più avvelenato dalle polveri sottili: record italiano, primato europeo e nella top ten dei luoghi più avvelenati del mondo»;
   i dati sono pubblicati ogni giorno sul sito internet dell'ArpaC nella sezione relativa al monitoraggio della qualità dell'aria. Scrive ancora Barbuto: «Il dato impressionante riguarda la misura del Pm10: si calcola quante particelle velenose sono sospese nell'aria, se ce ne sono più di 50 microgrammi per metro cubo, scatta l'allarme. Ogni comune d'Italia può superare questa soglia solo 35 volte all'anno, se non vengono presi provvedimenti scatta il deferimento all'autorità; a San Vitaliano quel limite è stato superato 51 volte in 100 giorni...»;
   secondo quanto riportato dal giornalista la causa dell'alto indice di inquinamento non sarebbe ancora stata individuata;
   il comune di San Vitaliano è l'unico ad avere una centralina per il rilevamento della qualità dell'aria, che ad oggi non è dato sapere cosa accade nei centri immediatamente limitrofi e soprattutto la grave condizione mette a rischio la salute di decine di migliaia di cittadini –:
   se, alla luce dell'anomalia descritta in premessa, non ritengano di dover assumere ogni iniziativa di competenza per individuare le ragioni del perdurante allarme e mettere in campo ogni iniziativa utile a tutelare la salute della popolazione residente. (4-08884)


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il monte Terminillo è il massiccio montuoso appartenente al gruppo dei Monti Reatini dell'Appennino Abruzzese situato a 20 chilometri da Rieti e a 100 chilometri da Roma, la cui vetta più elevata raggiunge i 2.217,13 metri di altitudine e che dagli anni ’30 agli anni ’90 ha rappresentato la località sciistica di riferimento di tutto il centro Italia;
   dagli anni ’90 inizia il declino turistico della montagna ed il periodo di crisi, a causa dell'assenza di strategie d'investimento, alla sempre più forte concorrenza delle stazioni abruzzesi e soprattutto al «cambiamento climatico» che ha ridotto notevolmente l'entità delle precipitazioni a carattere nevoso, quindi il perdurare della coltre nevosa necessaria allo svolgimento degli sport invernali;
   sul monte Terminillo, tra Rieti, Micigliano, Leonessa e Cantalice, esistevano in passato 24 impianti di risalita, di cui solo 6 risultano ancora funzionanti, uno in revisione, 17 obsoleti o dismessi;
   la carenza organizzativa e di infrastrutture recettive, nonché la mancanza di adeguate precipitazioni nevose degli ultimi anni, fa sì che la stagione sciistica del comprensorio non copra il medesimo arco temporale delle stazioni montane dell'Appennino centrale;
   l'analisi statistica delle precipitazioni nevose si fonda sui dati rilevati sul monte Terminillo negli anni 1997-2013 dalla Stazione C.F.S. del Monte Terminillo (1700 metri sul livello del mare) dalla stazione del centro IUCCI (1700 metri sul livello del mare), e dai dati sulle precipitazioni nevose sul massiccio del Terminillo estrapolati dalle statistiche CNR e Meteomont che rilevano una alternanza sinusoidale di valori relativi all'innevamento che conferma come le stagioni sono ciclicamente interessate da variabili indipendenti che rendono le previsioni a medio e lungo termine impossibili da interpretare con una tendenza che vede un andamento in crescita dell'innevamento sulle montagne dell'Appennino rispetto alle Alpi che comunque nella sintesi tecnica del progetto «Terminillo Stazione Montana Turismo Responsabile» sono definiti accettabili sia in termini di durata e che di spessore;
   le strutture ricettive alberghiere dal 1966 al 2009 (ultimi dati disponibili) hanno subito una notevole contrazione, passando dagli 815 posti letto ai 402, con un calo delle presenze dalle 49.913 unità a 1.130, mentre per le strutture extra-alberghiere nello stesso periodo, si passa dai 122 posti letto ai 18 e dalle 21.247 presenze del 1976 alle attuali 60;
   oltre all'attività sciistica, il monte Terminillo potrebbe offrire la possibilità di uno sviluppo turistico alternativo incentrato sulle bellezze ambientali, sulla ricchezza della fauna e delle biodiversità, sulle tradizioni e le leggende locali, nonché i siti di importanza storica e culturale;
   nell'articolo 39 della legge regionale del Lazio del 24 dicembre 2008, n.31, sono definiti gli «Interventi per la ristrutturazione e l'ampliamento degli impianti sciistici siti nel comprensori sciistico del Monte Terminillo», in attuazione al «Protocollo d'Intesa» sottoscritto in data 27 dicembre 2011, dalla regione Lazio, della provincia di Rieti, del comune di Leonessa, del comune di Micigliano, del comune di Rieti, del comune di Cittareale e del comune di Cantalice (Rep. n. 14873 del 28 dicembre 2011);
   le opere previste dal progetto di comprensorio annoverano 14 nuovi impianti di risalita (oltre ai n. 7 esistenti), 10 nastri trasportatori amovibili in galleria, 50 chilometri di piste di sci alpino (tra nuove ed esistenti), circa 50 chilometri di sentieri e percorsi natura (piste e percorsi per sci escursionismo, sci alpinismo, free style), 3 anelli di sci nordico (di cui 2 esistenti), campi scuola sci, scuole sport montani, snowpark, 3 baby park, con attrezzature ludiche sia per l'estate che per l'inverno, 11 rifugi in bioarchitettura con struttura amovibile in legno, aree attrezzate per lo sport all'aperto (parete di roccia, down hill, tree climbing, mountain bike, sentieri a cavallo, orienteering, e altro), la riqualificazione delle strade esistenti di collegamento tra Micigliano e il Terminino e tra Cantalice e Sella di Cantalice, la realizzazione di un parcheggio interrato in località «La Malga», la realizzazione di un'area di sosta in loc. «Colle della Grotta», la riqualificazione aree di sosta esistenti in loc. «Fonte Nova», «Fonte della Pietra», «Pian dè Valli», e lungo la strada provinciale turistica del Terminillo;
   il progetto, al fine di assicurare una costante copertura nevosa dell'80 per cento dei 50 chilometri di piste, prevede la realizzazione di appositi impianti di innevamento programmato (cannoni spara-neve) di neve «tecnica» composta, a detta dei progettisti, da aria ed acqua, quest'ultima tramutata in un diverso stato d'aggregazione e non avente alcun impatto negativo sulla vegetazione;
   al fine di garantire l'alimentazione idrica agli impianti di innevamento programmato, verranno realizzati 3 bacini di raccolta d'acqua che svolgeranno anche la funzione di abbeveratoio e antincendio aventi rispettivamente le seguenti capacità: Volubro Prato Comune (V1), 50.000 metri cubi Volubro Sella di Leonessa (V2) 30.000 metri cubi e Volubro Vallorgano (V3) 46.200 metri cubi);
   in data 10 novembre 2014 le associazioni CAI GR LAZIO, WWF LAZIO, ALTURA LAZIO, FEDERTREK, ITALIA NOSTRA, LIPU RIETI, MOUNTAIN WILDERNESS, FORUM SALVIAMO IL PAESAGGIO, EUROPEAN CONSUMER, RIETI VIRTUOSA, INACHIS RIETI, POST TRIBU hanno diffidato e messo in mora il presidente della giunta regionale del Lazio onorevole Nicola Zingaretti quale autorità competente e deputata dallo Stato membro a gestire la RETE NATURA 2000, affinché intraprenda, senza indugio e comunque entro e non oltre il termine di quindi giorni, ogni opportuna azione necessaria ed efficace al fine di garantire uno stato di conservazione soddisfacente dei tipi di habitat naturale e di specie presenti nei suindicati siti della RETE NATURA 2000 (Direttiva 92/43/CE) e della direttiva, «UCCELLI» (Direttiva 2009/147/CE), SIC «Bosco Vallonina», «Gruppo Monte Terminillo» e ZPS «Monti Reatini»;
   in data 10 novembre 2014 le associazioni CAI GR LAZIO, WWF LAZIO, ALTURA LAZIO, FEDERTREK, ITALIA NOSTRA, LIPU RIETI, MOUNTAIN WILDERNESS, FORUM SALVIAMO IL PAESAGGIO, EUROPEAN CONSUMER, RIETI VIRTUOSA, INACHIS RIETI, POST TRIBU, hanno diffidato e messo in mora il dottor Bruno Placidi nella qualità responsabile della direzione regionale infrastrutture, ambiente e politiche abitative della regione Lazio, affinché senza ulteriore indugio e comunque entro e non oltre il termine di quindici giorni annulli in autotutela la determinazione A03176 del 19 aprile 2013 a firma del dottor Luca di Cantalice Fegatelli, recante parere favorevole di valutazione d'incidenza sul progetto per l'intervento di «sostituzione impianto di risalita Fonte della Pietra – Campostella», proposto dal comune di Leonessa (Rieti) e ponga in essere ogni azione e/o determinazione atta ad assicurare l'arresto immediato dei lavori in esecuzione nelle zone protette, nonché a provvedere al loro immediato monitoraggio, in ossequio alle disposizioni di cui all'articolo 11 della direttiva 92/43/CEE che impone l'obbligo allo Stato membro di garantire o stato di conservazione delle specie e degli habitat di cui all'articolo 2 della medesima direttiva, dei tipi di habitat naturali e delle specie prioritarie;
   sono state fatte osservazioni circa la legittimità della procedura seguita nel passaggio tra il progetto di territorio «Terminillo e Monti Reatini» (approvato con D.G.P. n.237 del 10/12/2012 pubblicata all'Albo Pretorio della Provincia di Rieti in data 20/12/2013), a tutti gli effetti un piano/programma, ed il successivo progetto di intervento «Terminillo Stazione-Montana», nella conferenza dei servizi indetta per il 28 gennaio 2013 dal dirigente della provincia di Rieti, architetto Carlo Abbruzzese e dal RUP e progettista, architetto Fabrizio Miluzzo, presso la regione Lazio ai sensi della sola legge n. 241 del 1990, non considerandolo piano/programma come a tutti gli effetti era ma bensì semplice «studio di fattibilità» ed interrompendone di fatto l'iter approvativo che avrebbe dovuto passare per la VAS –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali iniziative intenda assumere al fine di garantire uno stato di conservazione soddisfacente dei tipi di habitat naturale e di specie presenti nei siti della RETE NATURA 2000 e della DIRETTIVA «UCCELLI», SIC «Bosco Vallonina», «Gruppo Monte Terminillo» e ZPS «Monti Reatini», al fine di prevenire sanzioni da parte dell'Unione europea. (4-08888)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in alcuni articoli di stampa è emersa l'intenzione da parte di Italcementi spa di utilizzare nello stabilimento sito a Calusco d'Adda come combustibile alternativo rifiuti catalogati come CSS (combustibile solido secondario), con un enorme aumento di tonnellate utilizzate, passando da 30.000 a 110.000 tonnellate annue;
   tale incremento del combustibile utilizzato incrementerebbe dall'attuale 15 per cento al 62 per cento la fornitura di energia alternativa ai combustibili fossili per la produzione di cemento;
   il progetto modificherebbe sensibilmente il protocollo d'intesa sottoscritto nel maggio 2012 con le amministrazioni locali del territorio e potrebbe causare un notevole aumento delle emissioni di ossidi di azoto e polveri sottili (PM 10 e PM 2.5) nell'aria;
   ricerche svolte sul territorio regionale dall'università degli studi di Milano hanno rilevato correlazione tra picchi di inquinamento atmosferico (ossidi di azoto, PM10) e impatti sulla salute degli abitanti del territorio; infatti, l'area di ubicazione del cementificio ricade in zona classificata di classe A dal piano di risanamento dell'inquinamento atmosferico della regione Lombardia e ciò evidenzia un elevato inquinamento di fondo; pertanto, il contributo quantitativo e qualitativo di inquinanti sul territorio attuato da Italcementi dovrebbe essere oggetto di una maggiore e costante attenzione e controllo, per tutelare la salute degli abitanti e degli ecosistemi presenti, anche in considerazione della presenza del parco Adda nord con le tutele ambientali che ne conseguono;
   da notizie di stampa si apprende che come CSS saranno utilizzati fanghi derivati da trattamento delle acque reflue, plastiche e gomme, come pneumatici usati e scarti d'imballaggi di plastica non riciclabili;
   mercoledì 11 febbraio 2015 si è tenuto il primo incontro della conferenza dei servizi indetta dalla provincia di Bergamo per confrontarsi con gli enti interessati sulla richiesta di Italcementi di aumentare i rifiuti CSS bruciati nello stabilimento di Calusco d'Adda. Alla conferenza, oltre a Italcementi, alla provincia di Bergamo, all'ASL e all'ARPA (Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente) e al comune di Calusco, hanno partecipato i sindaci o i loro delegati dei comuni di Paderno d'Adda, Imbersago, Robbiate, Verderio e Solza, che nel dicembre 2014 avevano chiesto alla provincia di Bergamo, tramite una lettera pubblica, di prendere parte alla procedura di verifica di impatto ambientale sul progetto di Italcementi, nonché dei comune di Merate che ha partecipato in qualità di semplice uditore;
   secondo il parere degli amministratori coinvolti si è trattato di un incontro interlocutorio, il primo di un percorso che ricomincerà il 6 marzo 2015 e che, in quella data, vedrà i comuni del meratese portare sul tavolo della provincia di Bergamo le proprie osservazioni tecniche;
   i punti principali in discussione riguardano la tracciabilità e la qualità dei rifiuti bruciati, che il territorio chiede che vengano garantiti da un ente terzo, così come i controlli sulle emissioni;
   un altro punto ha riguardato lo scalo ferroviario tra lo stabilimento e la stazione di Calusco d'Adda della cui costruzione, secondo gli accordi del 2012, Italcementi si sarebbe dovuta occupare e sui quali, invece, lamenta difficoltà con le Ferrovie dello Stato che non si interessano del progetto;
   per pareggiare il potere calorifico del carbone occorrono 1,8 chilogrammi di CSS per ciascun chilogrammo di carbone; pertanto, l'incremento della produzione dell'impianto in combinazione con la mancata realizzazione dello scalo ferroviario e il minor potere calorifico del carbone creerà senz'altro un incremento cospicuo del traffico indotto dal trasporto del combustibile su gomma che incrementerà gli impatti sulle matrici ambientali atmosfera e rumore;
   recentemente, il Governo, con l'articolo 35 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, ha previsto un piano nazionale per individuare la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale e uno dei requisiti posti per il funzionamento degli impianti è stato il rispetto delle disposizioni sulla qualità dell'aria di cui al decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155;
   inoltre, il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 14 febbraio 2013, n. 22, recante «Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni», all'articolo 15, prevede l'istituzione di un comitato di vigilanza e controllo, presso il Ministero, con il compito, tra gli altri, di garantire il monitoraggio della produzione e dell'utilizzo del CSS-combustibile ai fini di una maggiore tutela ambientale nonché la verifica dell'applicazione di criteri di efficienza, efficacia ed economicità e, inoltre, di intraprendere le iniziative idonee a portare a conoscenza del pubblico informazioni utili o opportune in relazione alla produzione e all'utilizzo del CSS-combustibile, anche sulla base dei dati trasmessi dai produttori e dagli utilizzatori;
   peraltro, il 22 ottobre 2013, l'Assemblea della Camera ha discusso una serie di mozioni presentate da tutti gruppi parlamentari, sull'utilizzo dei CSS e sulle implicazioni che ciò comporta per la salute dei cittadini, ed ha approvato la mozione (1-00193) che, tra l'altro, ha impegnato il Governo:
    «ad avviare approfondimenti tecnici multidisciplinari per verificare se e a quali condizioni l'utilizzo del combustibile solido secondario nei cementifici non determina rischi per la salute e per l'ambiente, con particolare riferimento alle effettive emissioni di sostanze inquinanti derivanti dall'uso dei rifiuti come combustibili, che tengano conto non solo del funzionamento degli impianti a regime e in condizioni di massima sicurezza, ma anche dei possibili rischi derivanti da malfunzionamenti, fuori servizio e gestione dei transitori;
    a fornire, a seguito di tali accertamenti preliminari, un quadro aggiornato sull'attuazione, da parte dei settori industriali coinvolti, del potenziale costituito dal combustibile solido secondario, fornendo anche informazioni circa i processi autorizzativi avviati a seguito dell'entrata in vigore del decreto ministeriale n. 22 del 2013, nonché a rendere alle competenti Commissioni parlamentari ogni necessario elemento informativo relativo alle verifiche tecniche attuate e al vaglio dei risultati di tali verifiche, nonché ai dati di utilizzo del combustibile solido secondario, anche sulla base delle comunicazioni annuali previste dall'articolo 14 del decreto ministeriale n. 22 del 2013 a carico dei produttori e degli utilizzatori di combustibile solido secondario; (...);
    a garantire la completa e verificata applicazione della normativa ambientale relativa all'esercizio degli impianti di produzione di cemento a ciclo completo, nonché ad assumere iniziative normative ad hoc per garantire, altresì, la completa trasparenza e aderenza alle severe norme comunitarie in materia di emissioni, nei processi di autorizzazione, che, nel caso di istanza da parte del gestore dell'impianto di utilizzo, dovranno essere considerati dall'autorità competente uno ad uno; (...);
    a rafforzare con ogni strumento a disposizione, in particolare in materia di emissioni inquinanti, il processo di costruzione di un moderno ed efficace sistema di controlli ambientali in tempo reale, al fine di garantire ai cittadini effettive ed efficaci forme di tutela della salute e assieme dell'ambiente, anche con la prescrizione di precise procedure tecniche che impongano agli operatori l'obbligo di rendere disponibili on line i dati raccolti» –:
   se e come il Governo abbia attuato gli impegni impartiti dall'Assemblea della Camera a seguito dell'approvazione della mozione n. 1-00193 del 22 ottobre 2013 e se nella ricognizione dello stato di utilizzo del CSS da parte dei cementifici sul territorio nazionale sia stato preso in considerazione l'impianto Italcementi di Calusco d'Adda;
   se i Ministri interrogati non intendano assumere le opportune iniziative a tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini, anche per il tramite del Nucleo operativo ecologico dei carabinieri, per verificare lo stato dei luoghi e il livello d'inquinamento dell'area in cui sorge il cementificio, nonché il tipo di CSS utilizzato dall'azienda (se CSS o CSS-combustibile ossia combustibile certificato e di qualità), la tracciabilità del combustibile, la quantità e qualità degli inquinanti che si prevede l'impianto possa emettere a seguito all'incremento di utilizzo di CSS, nonché i monitoraggi previsti. (4-08891)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SEGONI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, ZOLEZZI, MICILLO, DAGA, MANNINO e GAGNARLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'amministrazione provinciale di Siena ha rilasciato il 10 giugno 2014, al numero di protocollo 1565, la «Autorizzazione Unica Ambientale» per la realizzazione di un impianto a Biomasse per la produzione di Energia elettrica di 0,999 Mwe, della Renovo Energy spa società di Mantova, nel comune di Monticiano (SI), all'altezza della strada statale n. 73 Senese Aretina. Tale autorizzazione è stata rilasciata in assenza di VIA;
   il giorno 20 giugno 2014 presso la sede del comune di Monticiano si è riunita la conferenza dei servizi in seno alla delibera comunale avente per oggetto la realizzazione dell'impianto suddetto. I pareri e i nulla osta acquisiti dalla conferenza, determinavano la favorevole conclusione del procedimento. Nelle varie prescrizioni acquisite, la soprintendenza per i beni archeologici della Toscana – MIBAC, segnalava la necessità, prima dell'avvio degli scavi per la realizzazione dell'elettrodotto di connessione con la rete generica, di eseguire adeguati saggi archeologici, verosimilmente per approfondire la natura storico sedimentaria del territorio di Monticiano;
   non è stata fatta da parte degli amministratori locali, nessuna assemblea pubblica né consiglio comunale dedicato all'argomento prima della conclusione dell’iter autorizzativo, nonostante la legge regionale n. 46 del 2013 tal capo III stabilisca le modalità con le quali eseguire percorsi partecipativi. Solamente il 13 settembre 2014, due mesi e mezzo dopo l'approvazione della conferenza dei servizi (20 giugno) il comune di Monticiano organizza una conferenza aperta al pubblico intitolata: «la filiera bosco legno energia»;
   il Consiglio di Stato ha confermato che «Ogni normativa contrastante con la normativa comunitaria in materia ambientale che impone la VIA quale provvedimento volto a valutare la compatibilità degli insediamenti produttivi con le esigenze di tutela dell'ecosistema doveva pertanto essere disapplicata». Ogni legge interna (statale o regionale) in contrasto con la direttiva comunitaria, andava cioè disapplicata dagli enti e dai soggetti preposti (funzionari e/o amministratori);
   le modifiche sostanziali di un impianto sono equiparate a nuovo impianto (sentenza TAR Veneto sez. III, 18 Giugno 2014, n. 863), pertanto a maggior ragione doveva essere fatta la Valutazione d'Impatto Ambientale;
   l'impianto verrà realizzato a ridosso del perimetro dell'area dell'alta Val di Merse identificata come zona SIC (siti di importanza comunitaria – codice alfanumerico IT5190006) incastrandosi al suo interno per essere cinta su tre lati. Si fa presente come sia intervenuta nel tempo una riperimetrazione dell'area vincolata evidentemente strumentale non tanto alla tutela dell'ambiente ma alla realizzazione degli immobili attualmente presenti. Nel sito di importanza comunitaria Alta Val di Merse e nel sito d'importanza comunitaria Bassa Val di Merse è compresa la riserva naturale e la riserva biogenetica di Tocchi istituita con decreto del Ministero dell'agricoltura e foreste 13 luglio 1977 e decreto ministeriale 28 aprile 1980;
   l'Ufficio per la biodiversità del Corpo forestale dello stato considera queste aree di importanza strategica perché «legata alla presenza di habitat, di fitocenosi di specie rare e di valore ecologico e biogeografico sia per la Toscana sia per il territorio nazionale»: pertanto la realizzazione dell'impianto mette a serio repentaglio la tutela della migrazione degli uccelli e delle specie selvatiche nell'ambito delle aree SIC (un sito di interesse comunitario che contribuisce in modo significativo a mantenere o a ripristinare un tipo di habitat) che per il loro pregio florofaunistico creano una rete di flussi migratori che sarebbe inevitabilmente compromessa dalla realizzazione dell'impianto, venendo meno agli obiettivi perseguiti dalla direttiva citata;
   la presenza di importanti vincoli monumentali architettonici di interesse culturale quali l'abbazia di San Galgano nel comune di Chiusdino, distante appena due chilometri dell'impianto, e alcuni singolari monumenti nel comune di Monticiano, distante dall'impianto appena un chilometro, tra cui emergono per importante valore storico monumentale un tratto di Mura medievali e un fabbricato risalente al XIV – XV secolo, vincolati secondo legge n. 364 del 1909, articolo 5, e la Chiesa della Parrocchia di Santi Giusti e Clemente vincolati secondo l'articolo 12, decreto legislativo n. 42 del 2004, rendono il territorio particolarmente sensibile ad eventuali azioni antropiche discordanti con il patrimonio storico del luogo;
   da quanto disposto con decreto ministeriale 26 maggio 1972, viene identificata la zona circostante l'abbazia di San Galgano sita nel comune di Chiusdino quale bene paesaggistico secondo quanto disposto dall'articolo 143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 del codice dei beni culturali e del paesaggio, per la quale lo stesso comune di Chiusdino ha richiesto l'inserimento nel patrimonio UNESCO. Quest'area di notevole pregio paesaggistico dista all'incirca un chilometro dalla nuova centrale a biomasse –:
   quali azioni il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda adottare alla luce di eventuali accertamenti tecnici effettuati sullo stato di conservazione degli ambienti naturali in relazione al rispetto dell'articolo 3 della direttiva 92/43/CEE ovvero, all'occorrenza, il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente degli habitat delle specie migratorie, alla luce della realizzazione dell'impianto;
   se il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo non ritenga di dover sostenere la procedura avviata dal comune di Chiusdino per la richiesta di ammissione dell'Abbazia di San Galgano nel patrimonio UNESCO e contestualmente richiedere l'assistenza prevista dall'articolo 19 della Convenzione sulla Protezione del Patrimonio Mondiale, culturale e naturale dell'Umanità;
   se il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, ai sensi del decreto del Ministro dell'interno del 28 aprile 2006, alla luce del rischio di un danno al patrimonio paesaggistico monumentale e archeologico potenzialmente presente nell'area di localizzazione dell'impianto, non ritenga opportuno disporre verifiche e controlli da parte del personale appartenente al Comando carabinieri per la tutela del patrimonio culturale;
   se il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo non ritenga, in virtù dei beni paesaggistici diffusi considerata l'importanza e la singolarità del territorio di Monticiano-Chiusdino per le sue valenze monumentali e paesaggistiche, avviare il procedimento di verifica di interesse culturale, ai sensi degli articoli 10, 12 e 13 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. (5-05419)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n.367 del 29 giugno 1996 ha trasformato gli enti lirici in fondazioni di diritto privato, al fine di superare la precedente configurazione giuridica di ente pubblico che ne rendeva più difficile la dinamicità della gestione e, conseguentemente, la realizzazione degli obiettivi primari di promozione e diffusione dell'arte;
   tale trasformazione consente di integrare il finanziamento proveniente dal Fondo unico per lo spettacolo con quelli messi a disposizione dagli altri soci della Fondazione e da eventuali altri soci privati, valorizzando anche la capacità del management della Fondazione, sia nella propria proposizione di attività in equilibrio economico, che nella creazione di sinergie progettuali e di sviluppo con le attività turistiche, commerciali e di marketing territoriale del contesto di comunità in cui opera la Fondazione stessa;
   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo mantiene attività di vigilanza e potere ispettivo sulle fondazioni, in particolare verificando che le fondazioni:
    operino secondo criteri di imprenditorialità e di efficienza, nel rispetto del vincolo di bilancio;
    siano rispettati i principi, i criteri di gestione e di coordinamento e i requisiti previsti in materia di qualifica delle fondazioni e in tema di ripartizione dei contributi statali. Tale attività si sostanzia anche attraverso l'esame da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo dei bilanci di previsione e consuntivi, trasmessi al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, entro dieci giorni dalla loro approvazione;
   nel caso in cui l'attività di vigilanza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo rilevasse gravi irregolarità nell'amministrazione o gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che regolano l'attività della Fondazione, lo stesso Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (anche su proposta del Ministero dell'economia e delle finanze) può disporre lo scioglimento dell'organo di indirizzo della Fondazione;
   lo scioglimento può essere disposto anche nel caso in cui non sia assicurato il pareggio di bilancio, mentre deve essere comunque disposto quando i conti economici di due esercizi consecutivi chiudano con una perdita complessivamente superiore al 30 per cento del patrimonio disponibile ovvero siano ipotizzate analoghe perdite nei bilanci di previsione;
   qualora l'attività di ispezione e di vigilanza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo disponesse lo scioglimento degli organi della Fondazione, verrebbe attivato un Commissariamento Straordinario pro tempore, che assomma i poteri dell'organo di indirizzo e dell'organo di gestione;
   l'articolo 11 della legge n.112 del 2013 (integrata dal disegno di legge n. 83 del 2014) prevede inoltre la possibilità di predisporre piani di risanamento e rilancio delle fondazioni lirico sinfoniche;
   la Fondazione ente lirico di Cagliari è una delle quattordici fondazioni riconosciute in Italia dal regolamento discendente dalla legge 100 del 29 giugno 2010;
   tale Fondazione riveste un ruolo fondamentale per la città di Cagliari e per l'intera Sardegna, non soltanto per la sua azione, che è insostituibile presidio di cultura artistica e musicale, ma anche perché rappresenta un'attività economica di straordinaria importanza: una vera e propria «industria ecocompatibile», con un bilancio di circa venti milioni di euro, che consente opportunità lavorative a circa trecento dipendenti;
   l'attività della Fondazione teatro lirico di Cagliari è stata infatti nel tempo volano di collaborazioni nel marketing e nell’incoming turistico con altre realtà italiane ed europee, ha contribuito all'utilizzo artistico ed economico degli spazi dell'Anfiteatro romano ed è stata di stimolo complessivo per la realizzazione dell'offerta urbana del parco della musica e per il suo futuro utilizzo per progetti organici allo sviluppo dell'intera città;
   la fondazione teatro Lirico di Cagliari appare oggi in gravissime difficoltà, con evidenti e prolungati contrasti all'interno dell'organo di indirizzo, che sono sfociati nella instabilità dell'assetto dell'organo di gestione, con conseguenti, incalcolabili danni nella programmazione dell'attività della Fondazione stessa;
   i problemi nella programmazione dell'attività sono stati contemporaneamente causa ed effetto dell'aggravarsi delle condizioni di sostenibilità economica dei bilanci, con gravi ritardi nell'approvazione del bilancio preventivo del 2014 (approvato soltanto alla fine dello stesso anno) e gravi incertezze sul bilancio del 2015;
   tali ritardi nella redazione dei bilanci portano all'incertezza sull'entità delle assegnazioni statali a valere sul Fondo dello spettacolo e pongono seri interrogativi sulla sostenibilità dell'attività della Fondazione a carico dei restanti soci;
   tali gravissime difficoltà stanno generando una situazione al limite del surreale: ad oggi, fine aprile 2015, non è stata ancora approvata da parte del comitato di indirizzo la programmazione 2015 proposta dall'organo di gestione, con danni irrimediabili sia alla quantità e alla qualità della programmazione stessa, che all'aspettativa di risorse dal Fondo che sono strettamente discendenti da tale parametro quali quantitativo;
   la preoccupazione dei dipendenti della fondazione Teatro Lirico di Cagliari è altissima perché sono messi a rischio gli stessi pagamenti degli stipendi, ma è ancora più alta la preoccupazione dell'intera comunità della città di Cagliari e della Sardegna che assiste impotente alla cronaca della morte annunciata di una attività fondamentale per il rilancio della cultura e dell'economia locale;
   il semplice riscontro dell'attenzione alla vicenda da parte dei media locali, che quasi quotidianamente denunciano l'insostenibilità della situazione, è sufficiente per capire la rilevanza che tale dramma sta assumendo per la collettività cagliaritana e sarda;
   l'azione dell'organo di indirizzo appare del tutto spaventata e frastornata, con tre sovraintendenti in tre anni, obbligati a gestire una continua situazione di emergenza, lontani dalle condizioni di equilibrio gestionale minime per redigere un programma pluriennale, adeguato alle reali esigenze della Fondazione e della città;
   l'ipotesi di risanamento commissariale della fondazione teatro lirico di Cagliari era stata avanzata nel novembre del 2013 dallo stesso sindaco del capoluogo, Massimo Zedda, a dimostrazione della piena percezione di una situazione difficilissima, che si è peraltro ulteriormente incancrenita e aggravata nel successivo anno e mezzo di incertezza progettuale assoluta –:
   quali siano i risultati dell'attività di vigilanza ed ispezione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo nei confronti della complessiva attività della Fondazione Ente Lirico di Cagliari;
   quale sia l'esito delle azioni di verifica sui bilanci eventualmente condotte dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   se non sussistano le condizioni per l'immediato commissariamento dell'organo di indirizzo della fondazione.
(4-08877)


   CATANOSO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   come riporta il settimanale Panorama in un articolo di Stefano Zecchi, il curatore della prossima Biennale veneziana si sarebbe dedicato a far svolgere una manifestazione dedicata alla difesa dell'arte dalla grande finanza internazionale;
   innanzitutto, lascia perplessi la decisione di allestire, sempre al fine della difesa dell'arte dalla grande finanza internazionale, un'Arena nel padiglione centrale dei Giardini, dove leggere durante tutta la durata dell'esposizione, per sette mesi, ad ogni ora, «Il Capitale» di Marx e testi di Lenin, Stalin, Trotskij ed altri;
   alla lettura di questi «epigoni» della cultura e della filosofia, si accompagneranno musiche, recital e film di altri appassionati intellettuali, sempre comunisti;
   sempre nell'ottica della difesa dell'arte dalla grande finanza internazionale, il curatore della prossima Biennale di Venezia, Okwui Enwezorn, ha presentato artisti proveniente da ogni parte del mondo con l'intento di cancellare le periferie della cultura attraverso una concezione mondiale sta, senza confini, dell'arte, per sottrarla al capitalismo finanziario internazionale;
   tra gli artisti presenti nella «cittadella» a difesa della virtù anti-capitalistica si trova Oscar Murillo, artista assurto agli onori delle cronache di settore perché ha visto le proprie opere passare da valori «risibili» di poche migliaia di euro a quotazioni di centinaia di migliaia di euro in pochi anni;
   Oscar Murillo è rappresentato alla Biennale dal gallerista David Zwirner accusato da molti di aver creato un supermercato di lusso dell'arte;
   alla prossima Biennale altri tre artisti anti-capitalisti saranno rappresentati da David Zwirner: Adel Abdessemed, Chris Ofili e Isa Genzken;
   a giudizio dell'interrogante, ferma restando la libertà di espressione di ogni artista, v’è stata nella gestione della prossima Biennale di Venezia molta leggerezza e molta partigianeria;
   a giudizio di Stefano Zecchi e dell'interrogante, questi ricchi artisti anti-capitalisti e inneggianti al comunismo, a spese del contribuente però, non si capisce come abbiano potuto inserirsi nel parterre della Biennale –:
   quali iniziative ha intenzione di intraprendere il Ministro interrogato in merito alle vicende esposte in premessa.
(4-08885)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IV Commissione:


   RIZZO, FRUSONE, CORDA, BASILIO, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'indennità di posizione e l'indennità perequativa sono provvidenze previste dagli articoli 1819 e 1820 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, a favore degli ufficiali delle forze armate che sono state oggetto del cosiddetto «blocco stipendiale» voluto dal Governo Monti e come previsto dai commi 1 e 21 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122;
   si apprende da organi di stampa che la Corte Costituzionale, in una pronuncia sulla legittimità del blocco stipendiale triennale, imposto dall'articolo 9, comma 21, decreto-legge, n. 78 del 2010 (poi prorogato per un quarto anno), ha sottolineato che il congelamento delle retribuzioni non si riferisce all'indennità «di posizione», ovvero a quella indennità collegata allo svolgimento effettivo di funzioni dirigenziali, la quale nel contesto del pubblico impiego può variare anche sensibilmente in relazione al posto occupato. Tale indennità, nel campo delle Forze armate è percepita dai generali di divisione e di corpo d'armata, purché ricoprano un incarico ordinativamente previsto per il grado rivestito, inoltre, i restanti gradi dirigenziali come i colonnelli e i generali di brigata percepiscono invece, l'indennità «perequativa», la quale, pur avendo la medesima natura di quella di posizione, viene denominata diversamente, in quanto attribuisce un emolumento aggiuntivo agli ufficiali che abbiano raggiunto la dirigenza piena dopo un certo numero di anni;
   il 5 marzo 2015 la direzione generale per il personale militare (PERSOMIL) diretta dal generale Gerometta ha emanato una nota con la quale invita a «procedere al conferimento delle provvidenze in questione» a decorrere dal 1o gennaio 2011;
   ciò è probabilmente frutto di una interpretazione estensiva della sentenza della Corte Costituzionale n. 304 del 2013 che aveva escluso dal blocco delle retribuzioni il personale delle carriere diplomatiche e i magistrati, così che il Ministero dell'economia e delle finanze, dipartimento della ragioneria generale dello Stato, ispettorato generale per gli ordinamenti del personale e l'analisi dei costi del lavoro pubblico (I.G.O.P.) ha di fatto esteso i contenuti della sentenza ai dirigenti di tutte le amministrazioni pubbliche;
   la circolare del generale Gerometta precisa inoltre che le somme così corrisposte non devono rientrare nel calcolo del cosiddetto tetto retributivo dei 240 mila euro, in tal modo effettivamente costituendo due eccezioni –:
   se il Ministro sia d'accordo con questa interpretazione della normativa che attribuisce considerevoli benefici economici, ad alcune centinaia di dirigenti e del Ministero della difesa ed in particolare se queste disposizioni siano compatibili con la decisione del Governo di stabilire un tetto di 240 mila euro fissato come retribuzione massima onnicomprensiva per i dipendenti dello Stato. (5-05405)


   BOLOGNESI, BOLDRINI, CARLO GALLI, GIUDITTA PINI, STUMPO e ZANIN. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   un decisivo intervento dell'attuale Capo di stato maggiore ha indicato come priorità strategica, dal punto di vista operativo, la necessità di un profondo rinnovamento della nostra flotta;
   questa esigenza è stata ritenuta fondata dal Governo, che ha inserito nella legge di stabilità per il 2014 un apposito finanziamento pluriennale. Nella stessa legge, è stato precisato che, conformemente alle procedure di legge, i vari programmi con cui si realizzerà il piano di rinnovamento della flotta sarebbero stati sottoposti al parere vincolante del Parlamento;
   il 4 dicembre 2014 la Commissione difesa è stata chiamata ad esprimere il previsto parere sul programma pluriennale navale per la tutela della capacità marittima della difesa (atto del Governo n. 116);
   il parere della Commissione relativo all'atto del Governo 116 ha subordinato la realizzazione del programma pluriennale navale a cinque condizioni la prima delle quali chiede che:
    «il Governo trasmetta alla Commissione l'elenco delle singole unità navali da dismettere nel prossimo decennio, precisando per ognuna di esse la data di entrata in linea operativa e la data della prevista cessazione» –:
   se il Ministro, considerato il tempo trascorso, intende trasmettere alla Commissione difesa l'elenco delle singole unità navali da dismettere nel prossimo decennio, precisando per ognuna di esse la data di entrata in linea operativa e la data della prevista cessazione. (5-05406)


   ARTINI, DURANTI, OTTOBRE e PIRAS. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   le Forze armate italiane dispongono di 6 Aeromobili a Pilotaggio Remoto (APR) di tipo MQ-9A Predator B e di 6 APR MQ-1C Predator A Plus, impiegati dal 32o Stormo dell'Aeronautica militare per svolgere missioni di ricognizione, sorveglianza e acquisizione obiettivi;
   entrambi i suddetti modelli di APR sono prodotti dall'azienda statunitense General Atomics;
   nella nota aggiuntiva allo stato di previsione per la difesa per l'anno 2015, tra i programmi definiti di «pronta fattibilità, in riserva di programmazione» è indicato il «programma per l'acquisizione, con carattere di urgenza (Mission Need Urgent Requirement – MNUR), della capacità di ingaggio di precisione per la protezione ed il supporto delle forze al suolo sul sistema APR Predator B (MQ-9A)»;
   l'US Department of State, in una nota diffusa il 17 febbraio 2015, ha presentato la nuova politica adottata dagli Stati Uniti in materia di esportazione di sistemi APR e delle relative tecnologie che prevede la possibilità di esportare in «rare occasioni» anche sistemi APR che superano i limiti (raggio d'azione di 300 km e carico bellico di 500 kg) imposti dal trattato Missile Technology Control Regime (MTCR);
   il velivolo MQ-9A Predator B offre un'autonomia di circa 30 ore, un raggio d'azione di oltre 1.850 km ed è in grado di trasportare un carico utile superiore a 1.700 chilogrammi di cui circa 1.500 chilogrammi di carichi esterni;
   il velivolo MQ-1C Predator A offre un'autonomia di circa 24 ore, un raggio d'azione di circa 400 chilometri ed è in grado di trasportare un carico utile di circa 480 chilogrammi di cui oltre 220 chilogrammi di carichi esterni;
   secondo quanto riportato dal quotidiano Washington Post il 17 febbraio, l'Italia sarebbe uno dei paesi verso cui potrebbero essere vendute le componenti tecnologiche necessarie per armare gli APR di produzione statunitense;
   nel 2012 il Congresso degli Stati Uniti esaminò, senza darvi seguito, una richiesta da parte del Department of Defence relativa alla fornitura all'Italia della capacità di armare gli APR MQ-9A;
   gli MQ-9A nella variante armata «Reaper» possono trasportare e impiegare fino a 14 missili aria-superficie AGM-114 Hellfire, 2 bombe a guida laser da 250 kg GBU-12 Paveway II, 2 bombe a guida GPS da 250 kg GBU-38 JDAM (Joint Direct Attack Munitions) o un mix di tali armi;
   gli MQ-1C nella variante armata «Gray Eagle» possono trasportare e impiegare fino a 4 missili aria-superficie AGM-114 Hellfire –:
   se corrisponda a verità che l'Italia abbia avanzato agli Stati Uniti la richiesta di acquistare la capacità di ingaggio di precisione per i velivoli MQ-9A Predator B e/o MQ-1C Predator A Plus in dotazione all'aeronautica militare e che gli Stati Uniti sarebbero in procinto di concedere, o abbiano già concesso, l'autorizzazione al trasferimento di tale capacità. (5-05407)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRUSONE, BRESCIA, CARIELLO, D'AMBROSIO, DE LORENZIS, L'ABBATE e SCAGLIUSI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   a Castellaneta (TA) ha sede la struttura del comando compagnia carabinieri;
   la sede è ubicata in cubature di proprietà del comune di Castellaneta;
   in seguito ad un'ispezione dell'interrogante, la sede della Compagnia succitata si è dimostrata non adeguata alle prescrizioni della legge 626 sulla sicurezza dei luoghi di lavoro a cui si aggiunge la mancanza dei requisiti antisismici;
   si sono riscontrate carenze igienico-sanitarie come mancanza di bagni per le donne e per portatori di handicap e luoghi non a norma con presenza di celle con evidenti limitazioni di spazio, inoltre gli operatori di questa sede hanno difficoltà nel fotosegnalamento e sono costretti ad utilizzare per la detenzione, altre strutture sottraendo così risorse umane utili al controllo di un territorio che specialmente nei periodi estivi necessita di una presenza continua degli uomini dell'Arma;
   nonostante le condizioni di disagio si cerca di operare al meglio con le risorse a disposizione –:
   se il Ministro sia al corrente della disorganizzazione infrastrutturale dell'immobile in affitto della Compagnia carabinieri di Castellaneta ed in particolare dello stato di disagio in cui gli operatori dell'Arma sono chiamati ad operare;
   quali provvedimenti urgenti di competenza il Ministero stia programmando per risolvere il problema che coinvolge non solo il comune di Castellaneta ma tutti i comuni limitrofi. (5-05394)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PISICCHIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la legge 23 dicembre 2014, n. 190, all'articolo 1, comma 364, prevede che: «Ai fini del contenimento delle spese relative al personale militare destinato a ricoprire incarichi all'estero, ove ciò risulti possibile per lo specifico incarico in relazione alle modalità di impiego definite per l'organismo o ente internazionale di destinazione, l'impiego del personale interessato è disposto per un periodo di quattro anni»;
   una eventuale mancata applicazione dell'articolo 1, comma 364, della succitata legge 23 dicembre 2014, n. 190 comporterebbe per il Ministero della difesa un duplice mancato risparmio delle spese di trasporto mobili e masserizie, spese vive di trasferimento e spese di prima sistemazione spettanti al personale militare che viene fatto rientrare dall'estero e al personale che viene inviato all'estero per l'avvicendamento;
   la relazione tecnica di accompagnamento alla legge prevede che l'applicazione del comma 364 porti ad un risparmio per l'erario di 1.6 milioni di euro annui;
   la legge di stabilità prevede come unica clausola esclusiva l'impossibilità da parte dell'organismo internazionale, per proprie normative interne, di impiegare il personale per una durata di 4 anni e non considera le esigenze nazionali di movimentazione del personale della difesa –:
   quali urgenti provvedimenti il Ministro interrogato intenda assumere per, far sì che il personale meritevole possa restare in servizio presso gli organismi internazionali che ne hanno fatto specifica richiesta e come intenda recuperare i mancati risparmi conseguenti ad un'applicazione restrittiva della normativa. (4-08872)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni sempre maggiore interesse sta suscitando nella comunità scientifica, con particolare riferimento al settore della medicina legale, il rischio della patologia da amianto nella popolazione militare italiana dall'approvazione della legge 27 marzo 1992, n. 257 ad oggi;
   a parere del deputato interrogante si tratta di una tematica su cui è doveroso fare luce non tanto per i risvolti scientifici della vicenda, quanto per accertare se alcuni servitori dello Stato siano stati esposti ad un'agente così gravemente contaminante come l'amianto nonostante che fosse chiaro sia da un punto di vista medico che legale la sua grave pericolosità;
   a parere del deputato interrogante la problematica delle patologie asbesto correlate non può saltare agli onori delle cronache solo in occasione dei pur meritori ed importantissimi maxi processi sul caso «Eternit» che ha colpito la zona di Casal Monferrato, perché ciò significa relegare nel silenzio tutti gli ulteriori casi che hanno colpito, tra gli altri, fedeli servitori dello Stato come i militari;
   tuttavia, i ricercatori del settore segnalano ai deputati interroganti una pesantissima difficoltà nel reperire dati numerici anche solo parziali, indispensabili per l'indagine epidemiologica e la proiezione statistica del rischio;
   si riscontra, infatti, nell'ambito della previdenza e della medicina militare la tendenza ingiustificabile — a non diffondere alcun dato, e, anche in presenza di una notizia di malattia, ad opporsi a legittime richieste di riconoscimento di causa di servizio adducendo criteri di esclusione secondo gli interroganti del tutto privi di fondamento che sono tra l'altro legalmente (più sentenze della Corte costituzionale si sono pronunciate in merito) e scientificamente facilmente oppugnabili;
   spesso, vengono rigettate le richieste che pervengono agli uffici previdenziali competenti;
   tali istanze vengono rigettate sulla base di un criterio temporale fissato dalla previdenza militare in 5 anni dal congedo, limite temporale tuttavia già riconosciuto inapplicabile per queste patologie a lunga latenza dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 323 del 2008 ed altre;
   anche cattedratici che da anni studiano la materia, nonché i legali di autorevoli associazioni che lottano per il riconoscimento delle patologie asbesto correlate non sono in possesso di dati e notizie certe;
   a tal fine non giova nemmeno consultare il cosiddetto «registro mesoteliomi», importantissima fonte di dati che però fornisce un quadro solo parziale della problematica (il quarto rapporto fa riferimento ai casi fino al 2008, mentre il picco di incidenza della malattia è atteso soltanto ancora nei prossimi anni) e non può rispondere alle istanze di urgenza sociale e sanitaria che le dimensioni del problema stanno generando negli ultimissimi mesi;
   nel valutare i dati, infatti, occorre considerare soprattutto il carattere di lunga latenza della malattia;
   le ricerche e i quesiti presenti in questo atto di sindacato ispettivo sono da intendersi riferiti agli appartenenti in servizio o in quiescenza ai corpi militari del comparto difesa –:
   quale sia il numero dei casi di malattia asbesto correlata ad oggi accertati tra gli appartenenti ai corpi sopra enunciati;
   quale sia il numero dei decessi direttamente ed indirettamente correlabili alla malattia da amianto tra gli appartenenti ai corpi sopra enunciati;
   quale sia il numero delle richieste di riconoscimento di causa di servizio pervenute agli organi previdenziali competenti tra gli appartenenti ai corpi sopra enunciati;
   quale sia il numero dei trattamenti previdenziali effettivamente già riconosciuti agli appartenenti ai corpi sopra enunciati;
   quali siano le fonti di contaminazione da amianto ad impatto maggiore e quale sia la loro ubicazione in mezzi, strumenti, equipaggiamento e caserme;
   quale sia la stima della popolazione esposta ai contaminanti in oggetto prima dell'approvazione della legge n. 257 del 1992 tra gli appartenenti ai corpi sopra enunciati;
   quanti siano gli appartenenti ai corpi sopra enunciati ad oggi ancora presumibilmente esposti al rischio di amianto.
(4-08875)


   BASILIO e RIZZO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere — premesso che:

   da notizie provenienti da alcune agenzie di stampa e quotidiani nazionali emerge che nella notte tra il 16 ed il 17 aprile 2015 si verificata al largo delle coste libiche una operazione avente ad oggetto il potenziale sequestro di un peschereccio italiano, che avrebbe coinvolto anche una motovedetta libica ed una unit della Marina militare italiana;

   in particolare, come riportato da taluni siti internet e da immagini esclusive divulgate da SkyTg24, sembrerebbe che il peschereccio italianoAirone, salpato da Mazara del Vallo ed avvistato da una motovedetta libica a circa 40 miglia dalle coste di Misurata privo dei documenti di autorizzazione alla pesca nelle acque libiche, sia riuscito a scampare al sequestro non già attraverso il tempestivo intervento della Marina militare, bens disobbedendo all'ordine ricevuto dalle autorità libiche di seguire la loro motovedetta fino al porto di Misurata;

   le dinamiche dell'intera operazione, che coinvolgerebbe anche un secondo peschereccio italiano, cos come riportate dalle agenzie di stampa sconfesserebbero sia la versione fornita dalla Marina militare che le dichiarazioni rese dal Ministro della difesa;

   come riportato da Rai news, inoltre, secondo il portavoce del comune di Misurata il peschereccio sarebbe stato posto in salvo grazie ad un atto di pirateria compiuto da una nave italiana;

   secondo la Marina italiana, infatti, sarebbe stato lo stesso peschereccio Airone a lanciare l'allarme che avrebbe cos consentito alla fregata Bergamini, l'unit preposta al pattugliamento del Canale di Sicilia nell'ambito dell'operazione Mare Sicuro, un tempestivo intervento attraverso un dispositivo aeronavale, per acquisire il controllo del natante in pericolo e porre in salvo il suo equipaggio;

   a sua volta, il Ministro della difesa avrebbe dichiarato che il dispositivo aeronavale utilizzato nell'ambito dell'operazione Mare Sicuro finalizzato ad intervenire in tutti i casi di necessità ed espressione del corretto funzionamento della missione stessa, ritenendo quindi l'intervento del tutto conforme alle finalità della missione;

   come riportano i mass media, sembrerebbe che nel corso dell'operazione si sia verificato anche il sequestro, ad opera dell'equipaggio del peschereccio, di un marinaio libico salito a bordo dello stesso disarmato e rinchiuso in una stiva, circostanza del tutto taciuta sia dalla Marina militare che dal Ministro della difesa;

   appare evidente la dissonanza tra la ricostruzione dei fatti pubblicata dai mass media e quella fornita dalla Marina militare e dal Ministro della difesa, rispetto ad una operazione i cui contorni sono ancora tutti da chiarire;

   nell'ambito delle varie operazioni militari oggetto di rifinanziamento da parte del Governo, l'operazione Mare Sicuro dovrebbe essere finalizzata al controllo ed alla repressione dei fenomeni connessi al terrorismo ed all'immigrazione clandestina via mare per la salvaguardia delle coste italiane e, quindi, per finalità istituzionali ben diverse rispetto alla messa in sicurezza dei pescherecci sorpresi a pescare illegalmente nelle acque territoriali libiche –:

   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se gli stessi trovino conferma;

   se non ritenga opportuno specificare dettagliatamente cosa sia realmente avvenuto nell'ambito dell'operazione che ha coinvolto il peschereccio Airone al largo delle coste libiche, quali attività istituzionalmente previste nel quadro della missioneMare Sicuro e quali, invece, vengano materialmente svolte dalle unit della Marina militare all'interno del Canale di Sicilia. (4-08893)


   BASILIO e RIZZO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 24 maggio 2012 il sottocapo di 3a classe Alessandro Nasta è morto tragicamente sulla nave Amerigo Vespucci mentre operava in alberata per una manovra alle vele; durante tale attività lavorativa, per cui era stato precettato e comandato, in assenza di idonei dispositivi anticaduta, precipitava da un'altezza di circa 15 metri schiantandosi sul ponte di coperta;
   presso l'amministrazione della difesa la normativa a tutela della sicurezza e salute sui luoghi di lavoro è stata recepita con decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90 e, nell'ambito della Marina militare, la pubblicazione SMM 1062 ed. 2011, attuazione delle norme di legge in materia di prevenzione, protezione, sicurezza ed igiene del lavoro, ha reso attuativi i dettami del decreto legislativo n. 81 del 2008 al contesto militare e navale, stabilendo gli obblighi e i doveri di tutte le figure che concorrono alla sicurezza sui luoghi di lavoro;
   la pubblicazione SGD-G-022 ed. gennaio 2012 è la direttiva per l'esercizio dell'attività di vigilanza in materia di sicurezza e salute sul lavoro nell'ambito del Ministero della difesa con la quale, nel recepimento del decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni viene stabilito che la competenza esclusiva nell'azione di vigilanza, in ragione dei particolari vincoli di segretezza delle Forze armate, accresce le responsabilità e gli oneri dell'amministrazione della difesa ed impegna tutti i livelli ad operare con il massimo sforzo per assicurare a tutto il personale l'adeguata tutela, in un'ottica di miglioramento continuo delle condizioni di sicurezza;
   l'organizzazione della vigilanza antinfortunistica, ai sensi della succitata direttiva, prevede diverse procedure delle attività di ispezione (programmate, in esito alla programmazione di area, a seguito di incidenti-infortuni sul lavoro, in caso di segnalazione da parte di terzi o su delega dell'autorità giudiziaria), e, in essa, è stabilito che l'ispettore addetto al servizio di vigilanza può procedere, ai sensi dell'articolo 321 del codice di procedura penale e del decreto legislativo 81 del 2008, al sequestro preventivo o probatorio, specie quando vi siano pericoli per l'incolumità dei lavoratori; in via alternativa l'ispettore può disporre l'inibizione all'uso di locali, impianti o singole macchine, con l'eccezione dello svolgimento delle attività necessarie per la loro messa in sicurezza ed il ripristino a norma;
   ai sensi dell'articolo 725, comma 2, lettera f) del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, nonché del vigente codice dell'ordinamento militare, la salvaguardia dell'integrità fisica del personale militare dipendente costituisce dovere proprio dei superiori;
   con riferimento alle specifiche mansioni, cui era addetto il sottocapo di 3a classe Nasta (appartenente alla categoria «Nocchieri»), le attività in alberata rientrano tra i «lavori in quota», come definiti dal decreto legislativo 81 del 2008 (articoli 107 e 111) e, come tali, vincolate al giudizio di idoneità, a cura del medico competente, oltre che ad una formazione specifica;
   con atto di 26 settembre 2013, in allegato al bollettino in Commissione IV (Difesa) n. 5-00656 della 17a legislatura, l'allora Sottosegretario alla difesa Pinotti rispondeva all'interrogazione a risposta in Commissione presentata venerdì 19 luglio 2013 in seduta n. 56; nella risposta si legge che, solamente dopo il disgraziato accidente che ha comportato il decesso del sottocapo Nasta, il comando di bordo ha provveduto a perfezionare il documento di valutazione dei rischi (DVR) e ad adottare diversi dispositivi di protezione individuale (imbracature di sicurezza), che hanno potuto migliorare e rendere più rapido l'aggancio; tuttavia, malgrado fossero già reperibili in commercio e citati dal decreto legislativo n. 81 del 2008, nella succitata risposta non venne fatta alcuna menzione circa l'impiego di dispositivi «anticaduta» e di «arresto caduta», come quelli di tipo guidato e scorrevole sulla linea di ancoraggio;
   il 18 marzo 2015 è stata data notizia, da diversi organi di stampa e televisivi, della conclusione delle indagini da parte della procura della Repubblica di Civitavecchia che ha dato luogo alla richiesta di rinvio a giudizio nei confronti: dell'ammiraglio Giuseppe De Giorgi, Capo di Stato Maggiore della Marina (quando avvenne l'incidente era Comandante in Capo della Squadra Navale e datore di lavoro); dell'ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, già Capo di Stato Maggiore della Difesa (quando avvenne l'incidente era il Capo di Stato Maggiore della Marina); dell'ammiraglio Bruno Branciforte, già Capo di Stato Maggiore della Marina; del capitano di fregata Domenico La Faia, in qualità di comandante della nave scuola Amerigo Vespucci (datore di lavoro); del capitano di fregata Marco Grassi, in qualità di comandante in seconda della Vespucci (Dirigente responsabile del servizio di prevenzione e protezione). Secondo i capi di imputazione i succitati ufficiali sono tutti accusati di essere «soggetti giuridici con capacità dispositiva, organizzativa e di controllo, per colpa consistita in imprudenza, negligenza e imperizia, ed in particolare per il mancato rispetto della normativa di settore sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro» e, in quanto tali, «cagionavano o, comunque, concorrevano a cagionare il decesso del Sottocapo Alessandro NASTA (intervenuto il 24 maggio 2012 in conseguenza di “shock traumatico da imponente emorragia cerebrale per gravissimo trauma cranio-facciale con fratture cranio-facciali multiple”). Tale evento lesivo derivava dalla caduta del predetto dall'albero di maestra della Nave Scuola Amerigo Vespucci mentre era comandato di servizio cosiddetto “Marinaresco” in condizioni di potenziale pericolosità nelle attività svolte in quota, precipitando da un'altezza di 15 metri sul ponte di coperta. Fatti aggravati dalla evidente possibilità di previsione del pericolo della fattispecie connessa all'attività su alberi e più in generale in quota e dall'aver agito in violazione dei doveri d'ufficio propri dei rispettivi ruoli rivestiti nell'ambito dell'amministrazione militare»;
   come stabilito dalla guida tecnica sulle procedure disciplinari ed. 2014 della direzione generale per il personale militare, ai fini dell'applicabilità della sospensione precauzionale facoltativa dal servizio, prevista dall'articolo 916 del codice, è necessario che il militare abbia assunto la qualità di imputato per un reato da cui possa derivare la perdita del grado. All'interno del codice, per questa materia, non si fa più distinzione tra le diverse categorie di militari (articolo 627), ragion per cui, anche un ufficiale, per essere sospeso precauzionalmente dall'impiego a titolo facoltativo, dovrà assumere la qualifica di imputato, a differenza di quanto previsto dall'abrogata legge n. 113 del 1954, secondo la quale era sufficiente la qualità di indagato per poter incorrere in tale provvedimento; il significato tecnico della parola «imputato» va rinvenuto nel codice di procedura penale laddove si legge all'articolo 60 che «assume la qualità di imputato la persona alla quale è attribuito il reato nella richiesta di rinvio a giudizio, di giudizio immediato, di decreto penale di condanna, di applicazione della pena, nel decreto di citazione diretta a giudizio e nel giudizio direttissimo». In ordine al significato dell'espressione «da cui possa derivare la perdita del grado» la norma non richiede che l'imputazione determini senz'altro la perdita del grado (anche attraverso l'applicazione di una pena accessoria non sospesa – militare o comune – che preveda secondo il codice la «perdita del grado per condanna penale»), ma fa riferimento alla possibilità che da ciò possa derivare tale conseguenza, anche, eventualmente, a seguito di procedimento disciplinare, una volta concluso quello penale. Il potere di sospensione precauzionale dall'impiego si basa, difatti, sulla preminente tutela, normativamente accordata, degli interessi di rilievo pubblico coinvolti, stanti, da un lato, la peculiarità e delicatezza delle funzioni esercitate in virtù dello status di militare e, dall'altro, la corrispondente necessità di tutela del prestigio, della imparzialità e della immagine interna ed esterna dell'amministrazione. Lo strumento della sospensione cautelare concorre, infatti, alla crescente necessità di tutela dell'immagine dell'amministrazione e della moralità dei suoi dipendenti, perseguendosi la prima attraverso lo strumento della sospensione cautelare di un soggetto che, a causa degli addebiti contestatigli o in sede penale o in fede disciplinare, non possa più svolgere le proprie funzioni con pienezza di autorità e credibilità (le cosiddette «esigenze cautelari») –:
   se il Ministro interrogato sia in grado di stabilire quale fosse l'esito dell'ultimo giudizio di idoneità al servizio del sottocapo Nasta espresso dalla commissione medica territorialmente competente e se nel medesimo giudizio fosse stato stabilito un controllo sanitario obbligatorio, non rispettato da parte del comando di nave Amerigo Vespucci;
   se il Ministro interrogato sia in grado di riferire se il sottocapo Nasta fosse mai stato visitato da un medico competente per la valutazione dell'idoneità ai lavori in quota e se, prima dell'impiego, avesse mai conseguito l'abilitazione per i lavori in quota (L.Q.) e lavori in quota con funi (L.Q.F.);
   se il Ministro interrogato sia in grado di stabilire la data di istituzione delle succitate abilitazioni (L.Q. ed L.Q.F.) da parte dell'amministrazione della difesa e se, in data antecedente e successiva alla morte del sottocapo Nasta, gli organi del servizio di vigilanza abbiano mai disposto ispezioni a bordo di Nave Vespucci; in caso affermativo, quali risultanze esse abbiano riportato in merito alle condizioni relative alla sicurezza nei luoghi di lavoro;
   se il Ministro interrogato sia in grado di riferire come mai, a seguito dell'incidente mortale occorso, l'ispettore addetto al servizio di vigilanza non abbia proceduto, ai sensi dell'articolo 321 del codice di procedura penale e del decreto legislativo 81 del 2008, al sequestro preventivo o probatorio dell'unità navale, preso atto dei pericoli per l'incolumità dei lavoratori, e, in via alternativa, come mai l'ispettore non abbia disposto l'inibizione all'uso di locali, impianti o singole macchine, con l'eccezione dello svolgimento delle attività necessarie per la loro messa in sicurezza ed il ripristino a norma;
   se il Ministro interrogato sia in grado di esporre le ragioni per le quali, a seguito della morte del sottocapo Nata, sebbene fossero già disponibili sul mercato e citati dal medesimo decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni) la Marina militare non ha immediatamente impiegato dispositivi «anticaduta» e di «arresto caduta», come quelli di tipo guidato e scorrevole sulla linea di ancoraggio, e da quando tali dispositivi siano stati messi a disposizione del personale militare;
   se il Ministro preso atto della recente richiesta di rinvio a giudizio degli imputati presentata dalla procura della Repubblica di Civitavecchia, intenda adoperarsi con l'immediata sospensione precauzionale facoltativa dal servizio degli stessi, a tutela dell'amministrazione della difesa e di tutto il personale militare dipendente. (4-08896)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   un imprenditore è stato sollecitato a pagare con un atto di pignoramento alla SOGET, società di gestione entrate e tributi, quanto dovuto da una dipendente, che non aveva potuto soddisfare il suo debito. Il fatto ha suscitato notevole imbarazzo nella dipendente e nel datore di lavoro e ha creato notevoli perplessità, portando a chiedersi se questo modo di procedere sia il modo migliore per riscuotere le tasse;
   i fatti sono per altro incredibili: la dipendente in questione nell'anno 2005 non aveva pagato la TARSU per un importo di 52.44 euro e l'anno successivo un importo di 18.00 euro, diventati in base alle sanzioni amministrative rispettivamente 906.00 euro e 131 euro, fino a raggiungere la cifra di 1.355.84 euro, diventate all'atto della notifica 1.837.30 euro, questa è la cifra notificata all'imprenditore presso cui la donna lavora con atto di pignoramento;
   le aziende sono oggi in forte difficoltà economico-finanziaria e non sono in grado di far fronte a versamenti non previsti e certamente non graditi;
   la dipendente, avvisata dal datore di lavoro si è sentita umiliata ed è scoppiata a piangere per la vergogna e per il senso di offesa, ha garantito di aver già pagato quanto dovuto, nei termini previsti; certamente la sua privacy è stata mortificata;
   l'imprenditore si è chiesto cosa dovrebbe fare davanti a richieste di questo tipo da parte della SOGET: pagare, sottraendo risorse alla reale attività produttiva; subire per di più una forte perdita di tempo per far fronte alle questioni burocratiche conseguenti; fare ricorso senza sapere a chi e come e senza sapere se il ricorso non venisse accolto, se un pignoramento potrebbe realmente intervenire;
   in questo caso il pignoramento potrebbe indurre gli altri dipendenti a evadere le loro tasse, nella convinzione che potrebbe o dovrebbe essere il datore di lavoro a provvedervi; oppure mantenendo la riservatezza sulle cause del pignoramento gli altri impiegati potrebbero essere indotti a pensare che le cose non vadano bene in ambito aziendale, che si commettono degli imbrogli o che si evadono le tasse, e tutto ciò potrebbe turbare l'equilibrio dell'ambiente lavorativo –:
   alla luce di quanto espresso in premessa, fino a che punto i datori di lavoro debbano farsi carico delle inadempienze dei loro dipendenti in materia fiscale e fino a che punto sia possibile che le società di riscossione agiscano rivalendosi sui datori di lavoro senza neppure avvisare previamente i dipendenti delle procedure che intendano mettere in atto e quali iniziative, anche normative, intenda assumere al riguardo. (3-01461)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   BERNARDO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   tra i cittadini è crescente la sensazione che l'evasione fiscale, in relazione alla quale sono adottate misure di contrasto sempre più stringenti, non sia sufficientemente contrastata con riferimento agli stranieri extracomunitari o neocomunitari, in particolare per quel che riguarda l'imprenditoria e il settore dei servizi alla persona, ambiti nei quali l'evasione assumerebbe criteri di generalità e sistematicità; 
   il motivo consisterebbe nel fatto che le amministrazioni preposte non dispongono degli strumenti adeguati per dare effettività alle sanzioni o riscuotere le somme dovute: di conseguenza i funzionari incaricati evitano di svolgere un compito che poi regolarmente si rivela inutile;
   la questione riguarda in primo luogo le imposte nazionali e locali, ma anche i contributi previdenziali, le multe stradali, il bollo auto, il canone Rai e una vasta serie di imposte, canoni e tasse minori, nonché, nell'ambito delle imprese gestite da stranieri, una minore o totalmente mancante osservanza delle norme sulla tutela lavoro, delle norme sulla sicurezza e l'igiene dei luoghi di lavoro, nonché delle norme sulla qualificazione necessaria ad esercitare una impresa; un'elencazione, questa, tutt'altro che esaustiva;
   tale situazione determina un vantaggio competitivo degli stranieri sugli italiani, evidenziabile nel fatto che, negli ultimi anni, crescono le imprese appartenenti agli stranieri e diminuiscono quelle degli italiani, come se gli italiani avessero dimenticato come si fa imprenditoria in casa propria;
   anche il fatto che i cittadini italiani non possano effettuare pagamenti superiori ai 1.000 euro, determina un vantaggio competitivo in favore degli stranieri, che invece possono operare per contanti senza limiti –:
   quali informazioni e soprattutto quali dati possa fornire sulla questione esposta in premessa; quali specifici strumenti intenda adottare, per quanto di competenza, e se non ritenga opportuno prevedere appositi strumenti nell'ambito dei decreti applicativi della delega per le riforme del sistema fiscale. (5-05398)


   CAUSI, PORTA, LA MARCA, GIANNI FARINA, FEDI e GARAVINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 9-bis, comma 1, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, prevede, con una modifica alle disposizioni in materia di IMU, di cui all'articolo 13, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che l'unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato e iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE), già pensionati nei rispettivi Paesi di residenza, a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, venga considerata direttamente adibita ad abitazione principale a condizione che non risulti locata o data in comodato d'uso; su tale unità immobiliare, inoltre, si prevede l'applicazione di TARI e TASI, per ciascun anno, in misura ridotta di due terzi;
   la nuova disciplina modifica quindi la norma che concede ai comuni la facoltà di assimilare ad abitazione principale le unità immobiliari possedute in Italia dai cittadini non residenti anche non pensionati e assoggetta ex lege, dal 2015, al regime IMU previsto per l'abitazione principale l'unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani pensionati non residenti nel territorio dello Stato e iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE) –:
   se non ritenga utile assumere iniziative per ristabilire, la possibilità per i comuni di definire regolamenti che prevedano l'assimilazione ad abitazione principale delle unità immobiliari possedute in Italia da cittadini italiani residenti all'estero anche non pensionati e se non ritenga necessario un chiarimento in relazione alle disposizioni descritte in premessa, al fine di una corretta interpretazione della norma, volto a definire i soggetti interessati che risultano «pensionati nei rispettivi Paesi di residenza», specificando se la qualifica di pensionato si riferisce alla titolarità di pensione italiana, ancorché in convenzione internazionale, di pensione estera, di entrambe, o alla titolarità di qualunque tipo di pensione – anche di invalidità – a prescindere dalla nazionalità dell'ente erogatore. (5-05399)


   SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'Agenzia delle entrate, il modello VR, già esistente fino al 2011, sarebbe stato sempre presupposto necessario per avere la fattispecie legale di domanda di rimborso ai fini IVA, indipendentemente dal fatto che fosse stata fatta o meno richiesta di rimborso del credito già in dichiarazione, nel quadro VX4, e comunque anche la possibilità, in caso di mancata presentazione del modello VR, di presentare apposita istanza di rimborso sarebbe, secondo la medesima Agenzia, soggetta al termine di decadenza biennale di cui all'articolo 21 del decreto legislativo n. 546 del 1992;
   sebbene oggi, dopo il 2011, il modello VR sia ormai parte dello stesso quadro VX, sussiste tutto un contenzioso per il passato, rispetto al quale la suddetta tesi dell'Agenzia delle entrate risulta all'interrogante contraria alla ormai del tutto consolidata giurisprudenza di legittimità, che ha affermato il seguente principio di diritto: «in tema di rimborsi IVA, la compilazione del quadro VX4 della dichiarazione unica, nel campo attinente al credito di cui si chiede il rimborso, è legittimamente considerata alla stregua di manifestazione di volontà di ottenere il rimborso, tale manifestazione di volontà identifica, invero, la domanda di rimborso fatta in dichiarazione e, ancorché non accompagnata dalla presentazione del modello VR ai fini della determinazione dell'importo chiesto rimborso nella dichiarazione, sottrae la fattispecie al termine biennale di decadenza sancito, in via residuale, dal decreto legislativo 546 del 1992, articolo 21» (si veda Cassazione n. 7684 del 2012, 7685 del 2012 e da ultimo Cassazione n. 7236 del 10 aprile 2015);
   la Cassazione ha affermato che, in sede di dichiarazione, l'indicazione del credito e la scelta di volerlo a rimborso è sufficiente e vale a tutti gli effetti quale domanda di rimborso e che, al contrario, la presentazione del modello VR non è, come invece sostiene l'Agenzia delle entrate nelle proprie direttive, un requisito indispensabile per rendere la manifestazione di volontà giuridicamente rilevante, potendo il contribuente, se non è stato presentato il modello VR, presentare apposita istanza di rimborso, soggetta al termine di prescrizione decennale stabilito in via generale dalla normativa civilistica per l'esercizio dei diritti di credito e non al termine di decadenza biennale di cui all'articolo 21 del decreto legislativo n. 546 del 1992;
   l'Agenzia delle entrate, su tali fattispecie, insiste a resistere in giudizio, sostenendo la tesi per cui l'omessa presentazione del modello VR, in allegato alla dichiarazione annuale IVA, rende intempestiva la domanda di rimborso presentata oltre il termine biennale del citato articolo 21, nonostante la stessa Suprema Corte, con giurisprudenza consolidata, abbia stabilito che «deve tenersi distinta la domanda rimborso, da considerarsi già presentata con compilazione nella dichiarazione annuale del quadro relativo, che configura formale esercizio del diritto, rispetto alla presentazione del modello VR, che costituisce solo presupposto per l'esigibilità del credito e, dunque, adempimento necessario solo a dar inizio al procedimento di esecuzione del rimborso» (Cassazione n. 14070 del 3 agosto 2012) e che, «una volta esercitato tempestivamente in dichiarazione il diritto al rimborso, esso non può considerarsi assoggettato al termine biennale di decadenza previsto dall'articolo 21 ma solo a quello di prescrizione ordinario decennale ex articolo 2946 c.c.» (si veda da ultimo anche la sentenza della Cassazione n. 7236 del 10 aprile 2015);
   tali conclusioni risultano ancor più evidenti nei casi di società estinte, per le quali, come anche ribadito nella recentissima sentenza della Cassazione n. 7236 del 10 aprile 2015 «in tema di IVA, l'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, laddove dispone che i contribuenti, che non hanno effettuato operazioni imponibili nell'anno cui il credito IVA si riferisce, non possono optare per il rimborso, ma devono necessariamente computare il credito in detrazione nell'anno successivo, riguarda esclusivamente le imprese in piena attività, ma non anche quelle fallite o, comunque, cessate, le quali, non avendo la possibilità di recuperare l'imposta assolta su acquisti ed importazioni nel corso delle future operazioni imponibili, conservano il diritto a chiedere il rimborso per il recupero dei crediti d'imposta. La relativa richiesta è regolata dall'articolo 30, secondo comma, del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 633, ed è soggetta al termine di prescrizione ordinario decennale e non a quello biennale di cui all'articolo 21 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, applicabile in via sussidiaria e residuale, in mancanza di disposizioni specifiche»;
   l'Agenzia delle entrate dovrebbe sempre effettuare, prima di dar adito a defatiganti contenziosi, una valutazione di opportunità della prosecuzione dello stesso, con proiezione prospettica del probabile esito del contenzioso sulla base della giurisprudenza, in particolare di legittimità –:
   se, alla luce di quanto sopra premesso, considerato che il contenzioso tributario in esame, coltivato dagli uffici dell'Agenzia delle entrate sulla base di specifiche direttive della stessa a giudizio dell'interrogante, è destinato alla soccombenza, con probabile condanna alle spese e dunque ulteriore danno per le casse erariali, intenda finalmente abbandonare la prosecuzione dei suddetti contenziosi, accogliendo ed erogando i dovuti rimborsi, fino ad oggi bloccati da eccezioni tanto formali quanto, come visto, anche giuridicamente errate, prassi questa non solo dannosa per i contribuenti, che non riescono ad ottenere i dovuti rimborsi IVA, ma anche contraria alle indicazioni comunitarie (proprio sul tema rimborsi IVA, infatti, è in corso una procedura di infrazione contro l'Italia). (5-05400)


   PAGLIA, RICCIATTI e FERRARA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con una norma d'interpretazione autentica la legge di stabilità 2015, all'articolo 1, commi 244 e 245, ha chiarito che sono escluse dal calcolo della rendita catastale le componenti dei beni che siano prive dei requisiti di «immobiliarità», anche laddove caratterizzino la destinazione economica dell'immobile produttivo, mentre, di contro, vi rientrano le componenti strutturali dell'unità immobiliare, ovvero i cosiddetti «imbullonati»: pertanto, in attesa della riforma del catasto, ai fini del calcolo dell'IMU sui beni strumentali ancorati al suolo (strumenti di produzione che, per il solo fatto di essere ancorati al suolo, vengono equiparati fiscalmente a un immobile), dovranno essere applicate le interpretazioni indicate dall'Agenzia del territorio con la circolare n. 6 del 2012, e, nel frattempo, non saranno prese in considerazione dagli uffici dell'Agenzia delle entrate le segnalazioni dei comuni relative alla rendita catastale che ne siano difformi;
   la suddetta circolare, in sostanza, partendo dalla sentenza della Corte costituzionale n. 162 del 2008, afferma che per l'impianto «deve farsi riferimento non solo al criterio dell'essenzialità dello stesso per la destinazione economica dell'unità immobiliare, ma anche alla circostanza che lo stesso sia fisso, ovvero stabile (anche nel tempo), rispetto alle componenti strutturali dell'unità immobiliare», con il risultato concreto che oramai s'intendono come «accatastati» tutti i macchinari industriali, imbullonati o meno al suolo, per il semplice fatto che la loro presenza è essenziale per caratterizzare la destinazione economica dell'opificio;
   in tal modo la legge di stabilità 2015 ha cancellato definitivamente quanto affermato dalla legge n. 843 del 1942 che aveva stabilito che gli immobili industriali di cui al regio decreto legislativo n. 652 del 1939, fossero descritti in catasto con l'elencazione degli elementi costitutivi quali gli edifici, le aree, i generatori della forza motrice, le dighe, i canali adduttori o di scarico, e altro;
   pertanto, alla luce di tale interpretazione, agli impianti è stata attribuita una rendita autonoma che li rende immediatamente assoggettabili all'IMU ed alla TASI, rendendo, in altri termini, definitiva ed in forza di legge, la tassazione patrimoniale dei beni d'impresa;
   si tratta di un paradosso, perché le aziende che decidono di investire e di rendere in qualche modo inamovibili i loro macchinari dovrebbero essere, al contrario, premiate proprio per la difficoltà che avrebbero a portare all'estero, delocalizzando e quindi spostando dal territorio italiano, la loro produzione;
   gli effetti negativi a livello economico sono facilmente ipotizzabili, anche perché la norma è retroattiva e, nel caso di assenza di adeguamenti, potrebbero esserci delle ripercussioni notevoli anche rispetto all'applicazione delle relative sanzioni; inoltre tale norma viene attualmente applicata con valutazioni difformi a seconda dei differenti territori del Paese ed ogni impresa si sta misurando con le diverse interpretazioni assunte, con riferimento agli adeguamenti ed ammodernamenti degli immobili destinati ad uso produttivo, dalle varie agenzie del territorio, con il risultato finale che l'entità dell'imposta è legata a tre diversi fattori: 1) all'aliquota deliberata dai comuni, 2) alla differente rendita catastale assunta da un medesimo bene nelle varie zone del Paese, 3) all'interpretazione finale dei diversi uffici territoriali dell'Agenzia delle entrate;
   in un'intervista rilasciata al Sole, il 23 novembre 2014, e cioè in pieno esame della legge di stabilità 2015 che ha per l'appunto introdotto la disposizione, il Viceministro dell'economia e delle finanze Enrico Morando rassicurava il mondo economico e la politica dichiarando testualmente: «Questa dell'Imu sugli “imbullonati” è una vicenda paradossale che va chiusa. Assicuro che sarà risolta, a prescindere da quanto dovesse costare. Non posso ancora dire se interverremo alla Camera o, più probabilmente, al Senato, ma lo faremo»;
   invero il Governo, in quella circostanza, intervenne proponendo al Parlamento un testo, poi approvato sulla base della rassicurazione che lo stesso avrebbe definitivamente risolto la vexata quaestio, superando l'interpretazione della suddetta circolare n. 6 del 2012 dell'Agenzia del territorio, ma che di fatto rimanda alla stessa, nonostante fino a quel giorno fosse essa stessa fonte di difformi interpretazioni, di ricorsi e di contenzioso fra aziende e comuni –:
   come il Governo intenda intervenire sull'intera vicenda al fine di ristabilire chiarezza sugli esatti termini della tassazione, anche fornendo dei chiarimenti atti a decretare in maniera semplice, definitiva e condivisa, quali siano gli impianti mobili e quali quelli immobili e quali siano le caratteristiche che differenziano le due tipologie, al fine di scongiurare la futura tassazione di beni strumentali alla produzione. (5-05401)


   ALBERTI, VILLAROSA, PESCO, PISANO, CANCELLERI e RUOCCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le convenzioni per evitare le doppie imposizioni sono trattati internazionali con i quali i Paesi contraenti regolano l'esercizio della propria potestà impositiva al fine di eliminare le doppie imposizioni sui redditi e/o sul patrimonio dei rispettivi residenti; inoltre, le convenzioni hanno anche lo scopo di prevenire l'evasione e l'elusione fiscale prevedendo a tal fine specifiche disposizioni sulla cooperazione amministrativa;
   ad oggi l'Italia ha stipulato convenzioni in materia di doppia imposizione e scambio di informazioni con 102 Paesi della comunità europea ed internazionale;
   va evidenziato però come, al di là della lodevole finalità perseguita, il contenuto delle convenzioni presentano conflitti applicativi proprio con le disposizioni interne in materia di elusione ed evasione fiscale;
   al riguardo, l'articolo 24 del modello di convenzione OCSE in materia di doppie imposizioni prevede il  cosiddetto principio della non discriminazione; secondo tale principio è fatto divieto di assoggettare le attività di impresa situate in uno Stato contraente ad un regime fiscale diverso e più oneroso rispetto al regime applicabile alle prese dell'altro Stato che si trovano nelle medesime condizioni; si pensi, ad esempio, all'articolo 110, comma 10, del Tuir: tale disposizione prevede che i costi derivanti da operazioni intercorse con soggetti residenti e fiscalmente domiciliati in Stati black list sono indeducibili a meno che, alternativamente, venga fornita una delle circostanze esimenti previste, ovvero: la prova che l'impresa estera svolge prevalentemente un'attività commerciale effettiva; oppure, la prova che le operazioni compiute rispondono ad un effettivo interesse economico ed hanno trovato concerta esecuzione; ebbene, tale disposizione, avente una chiara finalità antielusiva, si pone in evidente conflitto con la detta clausola di non discriminazione secondo la quale i requisiti per la deducibilità dei costi non possono essere più onerosi quando il soggetto che riceve il pagamento è un residente dell'altro Stato contraenti;
   in altri termini, i costi sostenuti per operazioni compiute fra soggetti residenti negli Stati contraenti devono soggiacere alle stesse condizioni che sarebbero applicate se la transazione avvenisse fra soggetti dello stesso Stato; quindi, non troverebbe applicazione la normativa interna antielusiva (nell'esempio fatto, non troverebbe applicazione l'articolo 110, comma 10, del Tuir, sicché i costi derivanti da operazioni intercorse con soggetti residenti e fiscalmente domiciliati in Stati black list sono interamente deducibili anche in assenza delle condizioni previste dalla norma;
   la questione è stata oggetto di recente anche di una decisione della commissione tributaria di Milano che, con la sentenza del 13 dicembre 2012 n. 294, ha effettivamente riconosciuto, in un caso che vedeva coinvolta una società italiana per operazioni intercorse con imprese residenti in Svizzera, in Malesia ed a Singapore, la supremazia della norma convenzionale rispetto a quella nazionale, ed ha quindi ritenuto pienamente deducibili i costi in questione;
   il conflitto tra norma convenzionale e norme interne antielusive non sussiste invece per quelle convenzioni ove gli Stati contraenti hanno previsto una speciale clausola derogatoria diretta a consentire l'applicazione di quelle norme interne che sono volte a impedire l'evasione e l'elusione fiscale; Convenzioni quali quella di recente stipulata con l'Ucraina (ma anche la recente legge contenente la disciplina relativa ai rapporti tra Italia e Territorio di Taiwan) contengono una espressa deroga alla convenzione per le norme interne di contrasto all'elusione e all'evasione: in particolare, l'articolo 15 (rubricato, non discriminazione) prevede, al paragrafo 4, che le disposizioni dirette ad evitare la discriminazione fiscale non limiteranno l'applicazione delle disposizioni interne per prevenire l'evasione e l'elusione fiscale;
   tuttavia, ad eccezione di sporadici casi, le convenzioni stipulate dall'Italia non contengono alcuna disposizione derogatoria in favore delle norme di contrasto interne all'evasione e all'elusione fiscale; precisamente, alcuna deroga contengono le convenzioni stipulate prima dell'anno 1991, anno di introduzione in Italia della prima legge in materia di contrasto ai paradisi fiscali (legge 431 del 1991); tra queste, anche le convenzioni stipulate con la Svizzera e Singapore, ovvero alcuni tra i principali Paesi che si sono contraddistinti negli anni come roccaforti per gli evasori fiscali; le convenzioni successive all'anno 1991, invece, solo alcune contengono la detta clausola di deroga (si tratta delle convenzioni stipulate con Emirati Arabi Uniti. Libano e Oman);
   tra le convenzioni stipulate di recente che non contengono a clausola di deroga merita di essere richiamata la convenzione con la Repubblica di San Marino che ne ha peraltro comportato la cancellazione dalla black list nazionale;
   l'assenza di una espressa previsione di deroga alla norma convenzionale di favore, dunque, consente di derogare alle norme interne previste per il contrasto dell'evasione e dell'elusione fiscale;
   quanto alla scelta di non prevedere alcuna clausola di deroga alla convenzione, essa è rimessa alla volontà politica degli Stati contraenti che, come scelgono di introdurre le più ferree norme di contrasto ai paradisi fiscali, allo stesso tempo decidono di derogarvi con la stipula delle
Convenzioni, i cui effetti si producono non soltanto nei rapporti tra imprese dei due Stati contraenti ma anche sui rapporti che le stesse hanno con imprese operanti in Stati a fiscalità privilegiata e con i quali non risultano ancora stipulate convenzioni in materia di scambio di informazioni –:
   per quale motivo molte convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dallo Stato italiano come la convenzione con la Repubblica di San Marino non prevedano una deroga utile all'applicazione delle norme dello Stato italiano nelle ipotesi in cui sia necessario contrastare l'evasione o l'elusione fiscale e quali siano gli strumenti giuridici nel caso di specie per subordinare alle norme dello Stato italiano le relazioni commerciali e fiscali intercorse tra un'impresa italiana ed una dell'altro Stato contraente (esempio sammarinese), nel caso in cui siano riconducibili in modo diretto o indiretto a persone fisiche o giuridiche residenti o aventi sede legale in Paesi che non garantiscono alla Repubblica italiana un adeguato scambio di informazioni ovvero abbiano un livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia. (5-05402)


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in seguito alla modifica dell'articolo 62-quater del decreto legislativo 26 ottobre 1995 n. 504, recante il «Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative» (T.U.A.), ad opera del decreto legislativo 15 dicembre 2014, n. 188, è stata rimodulata l'imposta di consumo sui prodotti da inalazioni senza combustione costituiti da sostanze liquide, contenenti o meno nicotina, ad esclusione di quelli autorizzati all'immissione in commercio come medicinali: si tratta di quelli che comunemente vengono denominati liquidi per le sigarette elettroniche;
   ai sensi del comma 1-bis del suddetto articolo 62-quater, l'imposta gravante sui liquidi delle sigarette elettroniche è oggi pari al 50 per cento dell'accisa gravante sull'equivalente quantitativo di sigarette, con riferimento al prezzo medio ponderato di un chilogrammo convenzionale di sigarette rilevato ai sensi dell'articolo 39-quinquies del T.U.A, tale misurazione è stata effettuata mediante un'apposita procedura tecnica, definita con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli del 24 dicembre 2014, in base al tempo medio necessario per l'aspirazione delle sigarette comparato al tempo medio necessario per il consumo di un campione di liquidi composto da almeno dieci tipologie di prodotto tra quelle in commercio;
   con successivo provvedimento dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli del 20 gennaio 2015, è stata quindi indicata l'imposta di consumo ai sensi dell'articolo 1-bis il quale stabilisce che a partire dalla data del 1o gennaio 2015, data di entrata in vigore delle nuove disposizioni, «cessa di avere applicazione l'imposta prevista dal comma 1, le cui disposizioni continuano ad avere applicazione esclusivamente per la disciplina delle obbligazioni sorte in vigenza del regime di imposizione previsto dal medesimo comma»;
   in questo contesto, per chiarire le modalità di applicazione dell'imposta, che spesso viene distorta da erronee interpretazioni tali da confondere il consumatore, l'Agenzia delle  dogane e dei Monopoli ha emanato, in data 18 marzo 2015, il provvedimento protocollo n. 31986, per annunciare «un piano articolato di controlli», operato d'intesa con la Guardia di Finanza, «per il coordinamento dell'attività di contrasto all'evasione del tributo in esame»; i controlli saranno anche finalizzati al monitoraggio della circolazione di questi prodotti, al fine di conoscere la provenienza dei liquidi, attraverso il monitoraggio delle imprese di trasporto e i prodotti offerti via internet;
   ai sensi dell'articolo 62, comma 4, del T.U.A., l'immissione dei prodotti sottoposti ad imposta di consumo senza il pagamento del tributo è soggetta a sanzione amministrativa, oltre le sanzioni penali previste dall'articolo 1 del decreto legislativo C.P.S. 7 novembre 1947, n. 1559, che prevede la reclusione da 6 mesi a 5 anni per «chiunque con qualsiasi mezzo promuove ed organizza accordi o intese tra i contribuenti al fine di ritardare, sospendere o non effettuare il pagamento di imposte dirette o indirette, ordinarie e straordinarie in esazione»;
   l'Agenzia delle dogane procederà quindi con i controlli sui prodotti in giacenza al 31 dicembre 2014 che i negozianti hanno acquistato nel corso dell'anno 2014, poiché soggetti al tributo ex comma 1 dell'articolo 62-quater al momento dell'immissione in consumo, ossia della cessione dal deposito al commerciante;
   quindi l'esistenza di scorte accumulate nel 2014 non consente la cessione di tali prodotti senza l'applicazione dell'imposta e il soggetto autorizzato è tenuto a provare di aver acquistato il prodotto da un deposito autorizzato che a sua volta dovrà aver applicato il tributo ai sensi dell'articolo 62-quater, comma 1;
   diversamente, per i prodotti acquistati nel 2015 si applicano le norme stabilite nel decreto ministeriale 29 dicembre 2014 che impongono un approvvigionamento ai rivenditori presso i soggetti autorizzati, pena l'applicazione delle sanzioni degli articoli 50 e 61, comma 4, del T.U.A;
   all'interrogante non sembra però sufficiente effettuare esclusivamente dei semplici controlli, tanto più che, in ragione della loro assimilabilità ai prodotti dei tabacchi tradizionali, ai fini di un efficace monitoraggio sull'applicazione dell'imposta e, sopratutto, sulla provenienza dei liquidi per le sigarette elettroniche, dovrebbe prevedersi lo stesso sistema «di tracciabilità e di legittimazione della loro circolazione nei confronti dei consumatori conformi a quelle della direttiva comunitaria 2014/40/UE»; una simile previsione permetterebbe infatti una maggiore protezione del consumatore e dei produttori che operano nella legalità, contro i fenomeni di contrabbando ed elusione che spesso introducono in commercio prodotti nocivi anche per la salute –:
   se, nell'ambito delle proprie competenze, non ritenga opportuno adottare le adeguate iniziative al fine di introdurre, in materia di produzione e commercio dei liquidi per le sigarette elettroniche, la medesima disciplina di tracciabilità e legittimazione della circolazione prevista per i prodotti del tabacco dall'articolo 1, comma 5, del decreto legislativo 15 dicembre 2014, n. 188. (5-05403)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZARATTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42), unifica e precisa, tra l'altro, le disposizioni relative alla facoltà di partecipazione economica dello Stato alla realizzazione di interventi di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale, formalmente sottoposto alla tutela del citato decreto;
   questa partecipazione economica dello Stato è inserita da decenni nella legislazione relativa alla tutela dei beni culturali, sia per il rilevante interesse degli stessi, per la collettività, dei beni sottoposti a «tutela», sia in considerazione di alcune limitazioni ed obblighi che anche il decreto del 2004, fissa per il proprietario o detentore del bene;
   gli articoli 31, 35, 36 e 37 del suddetto decreto legislativo fissano le modalità di accesso ai contributi, sia per quanto riguarda il contributo in conto capitale (fondo perduto in quota percentuale) che per quanto attiene il contributo in conto interessi (pagamento degli interessi bancari sul mutuo contratto dal possessore o detentore del bene);
   per poter usufruire di tali benefici il bene deve risultare sottoposto alla formale tutela della legge e gli interventi da realizzare debbono essere preventivamente autorizzati ai sensi dell'articolo 21 del citato decreto;
   l'articolo 38 stabilisce peraltro che: «Gli immobili restaurati o sottoposti ad altri interventi conservativi con il concorso totale o parziale dello Stato nella spesa, o per i quali siano stati concessi contributi in conto interessi, sono resi accessibili al pubblico secondo modalità fissate, caso per caso, da appositi accordi o convenzioni da stipularsi fra il Ministero ed i singoli proprietari all'atto della assunzione dell'onere della spesa ai sensi dell'articolo 34 o della concessione del contributo ai sensi dell'articolo 35»;
   l'articolo 1 comma 26-ter del decreto-legge 95 del 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, stabilisce che: «A decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e fino al 31 dicembre 2015 è sospesa la concessione dei contributi di cui agli articoli 35 e 37 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni»; 
   tale disposizione è stata ulteriormente modificata dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), stabilendo che «a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione e fino al pagamento dei contributi già concessi alla medesima data e non ancora erogati ai beneficiari è sospesa la concessione di contributi di cui agli articoli 35 e 37 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni»;
   molti degli interventi di finanziamento concessi antecedentemente all'entrata in vigore delle norme su richiamate, risulterebbero ancora non liquidati a distanza di molti anni dalla comunicazione di ammissione a contributo e molti dei soggetti beneficiari hanno dovuto sostenere totalmente a proprio carico oneri e spese per il completamento degli interventi secondo le prescrizioni impartite dalle rispettive Soprintendenze e nel rispetto delle convenzioni stipulate ai sensi dell'articolo 38 del decreto –:
   quanti interventi ammessi a contributo risultino complessivamente presenti nelle diverse graduatorie delle direzioni regionali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e per quanti siano già state liquidate le rispettive somme a carico dello Stato;
   quali risorse il Ministero dell'economia e delle finanze preveda di assegnare al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo in modo da consentire alla direzione generale bilancio di programmare la liquidazione in tempi certi di tutti i contributi concessi e non ancora erogati ai beneficiari presenti nelle diverse graduatorie. (4-08880)


   PISICCHIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi mesi, la società EXITone spa facente parte del gruppo STI, a sua volta composto dalle società controllate Exitone, Poliedra Sanità spa, Poliedra Ingegneria Clinica srl, Gestione Integrata srl, GEF Intermediazioni e IdeaRE spa, è risultata aggiudicataria di gare pubbliche bandite da Consip e da altre pubbliche amministrazioni;
   l'Antitrust ha disposto l'avvio di un'istruttoria per accertare eventuali violazioni dell'articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea che potrebbero essere state messe in atto dalla società EXITone;
   gli effetti distorsivi sul mercato risulterebbero aggravati dal fatto che il gruppo si troverebbe nella condizione d'essere organismo ispettivo accreditato da Accredia e potendo, a motivo di questo, avere contezza del contesto nella fase di rilevazione dei bisogni –:
   quali siano le iniziative di competenza, anche di carattere normativo, che si intendono avviare al fine di evitare la creazione di condizioni di monopolio e di possibile conflitto di interessi che rischiano di alterare la libera concorrenza. (4-08895)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GALPERTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 25 della legge 29 luglio 2010, n. 120, introducendo i nuovi commi 12-bis, 12-ter e 12-quater all'articolo 142 del codice della strada, ha disciplinato la modalità di accertamento delle infrazioni per eccesso di velocità e la ripartizione dei proventi delle sanzioni prevedendo che siano attribuiti, in misura pari al 50 per cento ciascuno, all'ente proprietario della strada su cui è stato effettuato l'accertamento, con esclusione delle strade in concessione e all'ente da cui dipende l'organo accertatore;
   è stato poi previsto che le somme derivanti dalle quote dei suddetti proventi siano destinate: alla realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali, ivi comprese la segnaletica e le barriere, e dei relativi impianti; al potenziamento delle attività di controllo in materia di circolazione stradale, ivi comprese le spese relative al personale;
   al comma 2 dell'articolo 25 è stata prevista l'emanazione di un apposito decreto attuativo del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'interno, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, le cui disposizioni si applicano a decorrere dal primo esercizio finanziario successivo a quello in corso alla data dell'emanazione del decreto stesso;
   nel corso di questi anni il Ministero delle infrastrutture, in risposta a diversi atti di sindacato ispettivo, ha manifestato l'impossibilità di attuare le suddette misure sulla destinazione dei proventi a causa di una serie di criticità che rischiano di comportare effetti distorsivi rispetto alle reali finalità previste dalla legge;
   a distanza di 5 anni dall'entrata in vigore della legge 29 luglio 2010, n. 120, il problema della destinazione dei proventi rimane ancora irrisolto con gravi ripercussioni per la sicurezza delle strade e per la tenuta economica di tutta la filiera produttiva;
   in base a quanto riscontrato nell'ambito delle attività di accertamento esercitate della Corte dei conti, l'utilizzo delle somme da parte degli enti interessati evidenzia impieghi assai lontani percentualmente da quanto previsto dalle disposizioni legislative;
   una recentissima indagine — pubblicata sull'edizione di aprile della rivista di settore Quattroruote conferma quanto già rilevato dalla Corte dei Conti circa l'impiego dei proventi delle multe. Da quanto si evince dalle poche risposte pervenute — solo 18 comuni capoluogo di provincia sui 110 interpellati hanno risposto — una minima parte dei proventi è stata utilizzata per attività di manutenzione e sicurezza stradale, mentre sono stati riportati gli impieghi più disparati, dai versamenti IRAP alla previdenza, dalle divise dei vigili ai canoni radio, confermando, ancora una volta, l'assenza di trasparenza sull'utilizzo di queste risorse e sul rispetto dei vincoli minimi di utilizzo;
   è sotto gli occhi di tutti lo stato carente delle infrastrutture viarie e sono numerosissimi gli studi che confermano che la manutenzione delle strade e la presenza di un'efficace segnaletica sono indispensabili per garantire gli standard minimi di sicurezza;
   rinunciare alla logica delle emergenze e delle sole grandi opere e riportare l'attenzione — dopo anni di incuria — agli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria in grado di assicurare la corretta funzionalità e sicurezza delle strade contribuirebbe a rilanciare la crescita e supportare un'intera filiera produttiva costituita da circa 20.000 addetti e migliaia di piccole e medie imprese, distribuite su tutto il territorio nazionale, specializzate nella costruzione e installazione della segnaletica. Si tratta di un patrimonio produttivo di eccellenza nazionale che in assenza di adeguati investimenti rischia di esser fortemente ridimensionato;
   le attività di manutenzione delle infrastrutture, assieme alla prevenzione dei comportamenti pericolosi e ad un adeguato apparato sanzionatorio, concorrono inoltre alla riduzione del grave fenomeno degli incidenti stradali, limitando le vittime e, di conseguenza, i costi sanitari, e contribuiscono a calmierare i costi assicurativi –:
   quali urgenti iniziative, alla luce delle criticità evidenziate, il Ministro ritenga di dover adottare al fine di assicurare una puntuale attribuzione delle sanzioni amministrative per interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali e della segnaletica, anche modificando la norma primaria del codice della strada che sarebbe ritenuta dallo stesso dicastero difficilmente applicabile. (5-05392)


  RIBAUDO e CULOTTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si sono registrate numerose segnalazioni da parte dei cittadini inerenti alla pericolosità e peggioramento delle condizioni di viabilità del viadotto «Coda di Volpe», lungo la strada statale 121, tra i comuni di Bolognetta (PA) e Misilmeri (PA);
   in particolare, si registra, anche visivamente, un preoccupante avvallamento dei giunti sia nella parte intermedia che in quella terminale dello stesso viadotto;
   dai colloqui intercorsi informalmente negli scorsi mesi con la direzione-generale ANAS per la Sicilia, è stato sempre risposto che il suddetto viadotto è oggetto di costante monitoraggio;
   anche la «variante laterale», realizzata tempo fa, con evidente ed oneroso esborso di risorse pubbliche, per consentire l'esecuzione di lavori di manutenzione che non sono mai iniziati, è in condizioni di carente viabilità e transitabilità;
   nel suddetto tratto attualmente si registra giornalmente un aumento del flusso di autoveicoli e mezzi pesanti, anche in considerazione dei lavori di ammodernamento della strada statale 121 «Catanese» che interessa il tratto tra Bolognetta e Manganaro, oggi ancor di più aggravato a seguito del blocco del traffico autostradale fra Palermo e Catania, a causa del collassamento del viadotto Himera della A19, che viene dirottato su questa arteria;
   tale viadotto è strategico per l'intero collegamento tra le province di Palermo e Agrigento, e pertanto per tutta la Sicilia;
   occorre salvaguardare l'incolumità delle migliaia di cittadini che giornalmente percorrono quella strada, già oggetto di numerosi incidenti nel corso degli anni, molti dei quali mortali –:
   se il Ministro abbia messo in atto tutte le azioni al fine di monitorare il viadotto «Coda di Volpe», lungo la strada statale 121 «Catanese» per garantire l'incolumità delle migliaia di cittadini che giornalmente la percorrono;
   quali provvedimenti siano stati adottati o si intendano adottare per mettere in sicurezza il suddetto viadotto e prevenire il verificarsi in futuro di crolli o cedimenti dello stesso;
   se non ritenga opportuno, accertata la pericolosità del viadotto ormai vetusto e oggetto di numerosi incidenti, molti dei quali mortali, considerare l'ipotesi di valutare la costruzione di un nuovo viadotto, anche in parallelo, che consenta la transitabilità in sicurezza, eliminando i rischi di incidenti. (5-05397)


   OLIVERIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è stata, nei giorni scorsi, dichiarata inammissibile dai giudici del tribunale civile di Crotone la richiesta di concordato preventivo avanzata dalla Sant'Anna spa, la società che gestisce l'omonimo scalo aeroportuale della città calabrese;
   il decreto è stato già depositato insieme alla sentenza che dichiara il fallimento della società di gestione in accoglimento della richiesta che era stata avanzata nelle precedenti udienze dall'ufficio di procura;
   la società Sant'Anna si era impegnata a rientrare interamente dai debiti ricorrendo all'aumento di capitale da parte dei soci (regione, provincia di Crotone, camera di commercio, comuni di Crotone e Cutro) e alle risorse che i comuni della fascia ionica avrebbero dovuto versare girando all'aeroporto l'otto per cento delle royalty del metano;
   non si conoscono le motivazioni che hanno determinato il respingimento della richiesta da parte della società;
   il curatore nominato dal tribunale sta avanzando richiesta di esercizio provvisorio dell'attività per evitare la sospensione dei voli;
   la chiusura dello scalo di Crotone sarebbe un colpo mortale all'intera regione ed in particolare per il comprensorio jonico già seriamente marginalizzato dal punto di vista infrastrutturale;
   negli ultimi mesi con tre soli voli al giorno lo scalo ha fatto registrare centotrentamila passeggeri che rappresentano un risultato di assoluta rilevanza considerato che la soglia annua stabilita dall'Enac per considerare lo scalo crotonese di dimensione nazionale è fissata a 250 mila passeggeri;
   tutte le organizzazioni economiche e sociali territoriali e regionali del comparto agricolo turistico e industriale, la camera di commercio le istituzioni a partire dalla regione hanno chiesto un immediato intervento di Governo ed Enac per evitare che si giunga alla chiusura dello scalo –:
   se il Ministro non intenda immediatamente attivare un tavolo di confronto in sede ministeriale con tutti i soggetti interessati con l'obiettivo di individuare in tempi rapidissimi un percorso finalizzato a scongiurare la chiusura dello scalo aeroportuale di Crotone e a pianificare un'azione di rilancio di un terminal aeroportuale strategico per la Calabria e tutto il Mezzogiorno. (5-05404)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BONAFEDE e GAGNARLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni, dal 2009 al 2013, il servizio ferroviario alta velocità è cresciuto notevolmente specialmente sulla linea cosiddetta «direttissima», Roma-Firenze, con i FrecciaRossa e i FrecciaArgento di Trenitalia e più di recente con gli Italo di Ntv, a regime con 25 coppie dal 30 marzo 2013;
   la linea direttissima, sulla tratta Firenze-Figline Valdarno, prevede anche le tracce e il passaggio quotidiano di alcune decine di treni regionali veloci che si riferiscono alle linee Firenze-Arezzo-Chiusi-Roma e Firenze-Arezzo-Terontola-Foligno. Tali treni regionali sono utilizzati ogni giorno da oltre 10.000 pendolari, provenienti in particolare dal Valdarno fiorentino e aretino, da Arezzo e Valdichiana;
   con l'aumento progressivo negli anni dei treni ad alta velocità è parimenti aumentata anche le criticità dei treni regionali nell'uso della linea direttissima, perché sono continue le interferenze, specialmente nelle ore di punta – fascia pendolare – con i treni AV, a cui RFI dà sempre la precedenza sui treni regionali, che sono costretti a sostare per 5-15 minuti ogni volta (in base al numero di Frecce e Italo in transito) prima di entrare nella direttissima, al bivio Valdarno Nord in andata e al bivio di Firenze Rovezzano al ritorno. Le frequenti interferenze causano conseguentemente ritardi ai treni regionali (ritardi poi recuperati nelle tratte successive per tempi di percorrenza ampi) e quindi alle migliaia di pendolari che li usano, sia per recarsi la mattina al lavoro o allo studio a Firenze che per ritornare il pomeriggio al proprio domicilio nel Valdarno o ad Arezzo;
   negli ultimi mesi c’è stato un salto di qualità con la sistematica espulsione dei treni regionali dalla linea direttissima, per permettere ai treni AV di avere la linea completamente libera e quindi recuperare in velocità eventuali ritardi. RFI procede così al dirottamento dei treni regionali sulla linea lenta aretina, per la stazione di Pontassieve e Valdarno, con conseguente allungamento della linea e ulteriore aumento dei tempi di percorrenza e dei ritardi per i pendolari;
   nel maggio 2012 la regione Toscana aveva aperto un tavolo di confronto con i vertici di RFI, responsabile della circolazione ferroviaria, tua le risposte, che dovevano arrivare in breve tempo, ancora non ci sono state, a distanza di oltre un anno e mezzo. La regione non può applicare sanzioni a RFI e non può neanche prendere iniziative tecniche, perché non esiste alcun contratto fra le parti;
   la sottoscrizione dell'atto «integrazione all'intesa quadro fra Governo e Regione Toscana sulle infrastrutture del 17 giugno 2011», prevede tra l'altro uno studio di fattibilità, da parte di RFI, sulla linea Firenze-Roma, nella tratta Firenze Rovezzano-Figline Valdarno, con il finanziamento di 1 milione di euro, per verificare l'incremento delle capacità ferroviarie della tratta e del mantenimento dei treni regionali esistenti;
   l'accordo per l'aggiornamento delle opere relative al nodo ferroviario AV di Firenze del 3 agosto 2011, sottoscritto da Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, RFI, regione Toscana, provincia e comune di Firenze, prevede all'articolo 5, «Modello di esercizio ed adeguamenti infrastrutturali del nodo ferroviario fiorentino», che «R.F.I. s.p.a. s'impegna, inoltre, a procedere, entro due anni dalla sottoscrizione del presente Accordo, ad una sperimentazione in esercizio di un sistema di distanziamento “a sezioni ridotte” che interessi la tratta “Rovezzano Campo di Marte” e precisa che “in particolare dovrà essere garantito il mantenimento dell'attuale offerta di servizi regionali in transito sulle tratte DD/AV fra Rovezzano e Valdarno Nord». Inoltre, si indica che «al fine di consentire il mantenimento sulla tratta Firenze-Figline Valdarno degli attuali servizi, sia in termini di quantità che qualità (instradamento, tempi di percorrenza), anche a seguito dell'entrata a regime del sistema complessivo dell'AV/AC si rende necessario studiare i possibili interventi per incrementare la capacità di tale tratta, valutando anche la possibilità di utilizzare treni regionali in grado di raggiungere velocità di 200 chilometri ora»;
   di recente l'amministratore delegato di Ferrovie Moretti ha annunciato il nuovo velocissimo Frecciarossa1000 che entro il 2014 dovrebbe andare sulla Roma-Milano, riducendo gli attuali tempi di percorrenza. Ma attualmente la rete AV italiana non permette velocità di crociera commerciali superiori ai 300 chilometri orari e la Firenze-Roma è stata concepita fin dall'inizio per i 250 chilometri orari: potrebbe essere convertita ai 300 solo parzialmente e solo a prezzo di investimenti significativi, che attualmente non sarebbero previsti;
   è sempre più crescente la protesta e la preoccupazione delle migliaia di pendolari del Valdarno per il futuro dei treni regionali interessati all'uso della direttissima, treni che rischiano di essere destinati a finire sempre più, o addirittura definitivamente, sulla linea lenta aretina –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere, anche nei confronti di RFI, per garantire la riduzione progressiva ed eliminazione delle interferenze dei treni alta velocità con i treni interregionali e regionali sulla linea direttissima, sulla tratta Firenze-Figline Valdarno, evitando ritardi sempre maggiori o le deviazioni sulla linea lenta aretina e confermando gli impegni previsti anche in recenti atti e accordi fra Governo, RFI e regione Toscana;
   se da parte di RFI sia stato realizzato o sia intenzione di realizzare lo studio di fattibilità, previsto dall'integrazione all'intesa quadro fra Governo e regione Toscana sulle infrastrutture del 17 giugno 2011, sulla linea Firenze-Roma, nella tratta Firenze Rovezzano-Figline Valdarno, con il finanziamento di 1 milione di euro, per verificare l'incremento delle capacità ferroviarie della tratta e del mantenimento dei treni regionali esistenti;
   se da parte di RFI ci sia la volontà di progettare e realizzare una velocizzazione della linea lenta aretina, nella tratta Firenze Rovezzano-Incisa Valdarno, e con quali eventuali risorse finanziarie;
   se da parte di RFI sia in corso di sperimentazione in esercizio il sistema di distanziamento «a sezioni ridotte», che interessi la linea AV nella tratta fiorentina «Rovezzano Campo di Marte», e se siano già allo studio possibili interventi per incrementare la capacità di tale tratta, valutando anche la possibilità di utilizzare treni regionali in grado di raggiungere velocità di 200 chilometri ora, così come indicato nell'accordo per l'aggiornamento delle opere relative al nodo ferroviario AV di Firenze del 3 agosto 2011, sottoscritto da Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, RFI, regione Toscana, provincia e comune di Firenze;
   se in previsione dell'arrivo nel 2014 del nuovo Frecciarossa 1000 sia prevista la conversione ai 300 chilometri orari della linea AV Roma-Milano e, in caso affermativo, con quali tempi di intervento per le opere e i relativi costi di investimento. (5-05413)


   SEGONI, ARTINI, GAGNARLI, BALDASSARRE, BONAFEDE e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Pisa intende dotarsi di una linea metropolitana di superficie di collegamento fra l'aeroporto Galilei, i parcheggi scambiatori di Pisa sud e la stazione ferroviaria centrale come risulta dalla pubblicazione Burt n. 17 del 27 aprile 2011 della regione Toscana;
   è già presente un servizio di collegamento ferroviario tra stazione centrale e l'Aeroporto Galilei gestito da Trenitalia;
   il costo complessivo dell'opera soprannominata «people mover» è salito fino a 69 milioni di euro, per un tratto di 1 chilometro e 780 metri;
   27 milioni di euro in un primo momento dovevano essere attinti da finanziamenti europei per la mobilità sostenibile. Ma il finanziamento è stato drasticamente ridotto riducendosi a 7 milioni. L'importo rimanente dell'opera è a totale carico di Stato e regione Toscana;
   il collegamento ferroviario già esistente risponde alle richieste del servizio, permettendo un deflusso dei passeggeri in maniera più armonica rispetto alla nuova linea;
   il servizio ferroviario gestito da Trenitalia rimarrà attivo una volta realizzata la nuova linea metropolitana. La spesa per il mantenimento di questo percorso sarà sempre a carico della regione Toscana per un costo di 470 mila euro annui, praticamente dimezzato rispetto alla spesa attuale di 800 mila euro;
   il costo previsto per il biglietto della metropolitana sarebbe di euro 2.50 a fronte di euro 1.10 attuali per percorrere la medesima tratta con l'attuale servizio ferroviario;
   l'ipotesi di utenti giornalieri prevista nell'ora di punta è di circa 800-1.000 unità: quindi in una fascia compresa tra i 4.350.000 ed i 5.440.000 passeggeri annui, a fronte di un numero di passeggeri in transito dall'aeroporto Galilei nell'anno 2012 di 4.494.915 unità, molti dei quali provenienti dall'area di Firenze direttamente in treno –:
   se quanto riportato in premessa trovi conferma;
   a quanto ammonti il finanziamento a carico dello Stato;
   quali siano le motivazioni relative alla pianificazione, al finanziamento e alla realizzazione di un'opera di poche centinaia di metri che prevede un costo totale pari a un terzo della spesa complessiva di tutto il trasporto pubblico locale della sola regione Toscana;
   se siano note le ricadute per gli enti pubblici di eventuali mancati ricavi e se siano stati stimati in fase di progettazione;
   quale sia l'ammontare Iva per la realizzazione del progetto. (5-05414)


   LIUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   le Ferrovie Appulo Lucane (FAL) sono una società a responsabilità limitata di proprietà del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nata dalla scissione delle Ferrovie calabro lucane attuata nel 2001 che in Calabria sono divenute Ferrovie della Calabria e in Basilicata e Puglia Ferrovie Appulo Lucane. Tale azienda ha in carico la gestione delle linee scartamento ridotto (0,950 metri) fra la Puglia e la Basilicata e dei servizi ferroviari su di esse per conto delle citate regioni, oltre che di numerose autolinee nella medesima area;
   nel 2012, l'attuale Presidente delle FAL Matteo Colamussi ha assunto anche le funzioni di direttore generale della stessa azienda (nonostante tale figura non fosse prevista dall'organigramma e senza che venisse bandito un concorso pubblico). Una procedura alquanto singolare poiché la nomina a direttore è stata deliberata dallo stesso consiglio di amministrazione di cui Colamussi era allora ed è tuttora presidente. La questione appena citata è stata ripresa anche da diversi articoli di stampa locale;
   l'8 agosto 2013 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha proceduto alla nomina del nuovo consiglio di amministrazione delle Ferrovie Appulo Lucane, rinnovando il mandato di presidente a Colamussi;
   Matteo Colamussi, esponente di spicco del partito Forza Italia a Bari nonché vice-segretario provinciale dello stesso, è stato presidente del consiglio comunale di Rutigliano (Bari);
   tra i mesi di marzo ed aprile di quest'anno, sono stati pubblicati su «Il Quotidiano Italiano» ed. Bari, diversi articoli stampa a prima firma Antonio Loconte in cui vengono denunciate alcune particolari anomalie che avvengono nell'azienda FAL;
   negli articoli si evidenziano diversi episodi che, se fossero confermati, metterebbero in luce una pessima gestione dell'azienda di proprietà del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. A detta del quotidiano, il caso più clamoroso riguarda Michele Corvino, entrato in azienda il 16 giugno del 2008 avendo partecipato ad un avviso pubblico nella stessa struttura aziendale in cui lavora il padre Aldo, come direttore del personale, ex macchinista di treno delle Ferrovie dello Stato. Il presidente Colamussi, in risposta ufficiale alla testata riguardo le ripetute assenze del signor Michele Corvino, ha affermato che il signor Corvino non era affatto il dipendente di FAL che ha cumulato il maggior numero di assenze per malattia (come da voi esattamente affermato), visto che vi erano lavoratori che hanno cumulato periodi di gran lunga superiori. Tale affermazione intende presupporre che ci siano altri lavoratori con molte più assenze dei 164 giorni di malattia del signor Michele Corvino;
   un altro caso anomalo citato negli articoli di stampa è relativo ai lavori di ristrutturazione della sede barese delle FAL, affidati tramite base fiduciaria e non bando pubblico poiché sotto soglia, all'architetto Giampaolo, moglie dell'onorevole di Forza Italia Nuccio Altieri di Rutigliano, stesso paese natale di Matteo Colamussi e stesso partito di appartenenza;
   il caso più clamoroso ed anche grave a detta dello scrivente, riguarderebbe due lettere inviate dal sindacalista e dipendente delle FAL Pasquale Malatesta al già citato direttore del personale Aldo Corvino alla vigilia di un concorso per la riqualificazione del personale. Il quotidiano racconta e pubblica le lettere che il 2 e 29 aprile 2012 Malatesta scrive al Corvino. «Credo però di non averti eccessivamente fin qui maltrattato perché il mio vasto repertorio di notizie acquisito nel tempo, chiuso in un cassetto – mette nero su bianco il sindacalista nella prima missiva – non mi ha ancora spinto a richiedere, per esempio, a chi di dovere, come è finita la triste vicenda di quell'incidente stradale nel centro di Milano, con la famiglia a bordo dell'automobile aziendale, in cui sei stato gravemente leso, distruggendo l'auto delle FAL. Mi fermo qui, sperando di non tornare più su questioni ormai da archiviare, ripetendoti che i miei volantini sono farina del mio sacco»;
   l'incidente d'auto avvenuto a Aldo Corvino cui Malatesta farebbe riferimento, sarebbe avvenuto a Milano e avrebbe coinvolto la famiglia di Corvino a bordo dell'auto aziendale delle FAL. Tale lettera lascerebbe presupporre una conoscenza, da parte del sindacalista Malatesta, di un utilizzo non aziendale dell'automobile oppure di altri eventi che potrebbero compromettere la situazione lavorativa dello stesso Corvino. L'utilizzo della macchina per scopi, personali viene invece smentita dal direttore Colamussi nella dichiarazione del 1o aprile 2015 alla testata giornalistica;
   nella lettera successiva del 29 aprile 2012 di Malatesta a Corvino si legge: «la presente è per ricordarti di stare attento questa volta a non commettere errori; tieni conto che si è in più persone a vigilare, stando alla finestra, per tenerti sotto controllo». A seguito di questa lettera, la testata giornalistica scrive che la figlia di Malatesta (già dipendente delle FAL) ottiene un avanzamento di carriera e circa 200 euro in più nella busta paga: «Poche settimane dopo, nel concorso di riqualificazione interna, la figlia del sindacalista (Malatesta) ottiene il parametro 230 e i fatti scabrosi che si minacciava di rivelare a chi di dovere sono tornati in quel cassetto chiuso, di cui molti hanno da qualche parte la chiave»;
   la FAISA-CISAL, il sindacato di cui fa parte Pasquale Malatesta, in un comunicato del 29 marzo 2015 firmato da Lucio Malatesta dal titolo «Giù le mani dalle Fal» scrive che in risposta agli articoli de «Il Quotidiano Italiano»: «non si faccia passare il concetto secondo cui all'interno delle FAL si perpetuino atteggiamenti e comportamenti negativi per l'azienda o addirittura illegittimi» difendendo l'operato del presidente Colamussi;
   nell'articolo «Parentopoli FAL: ecco i parenti e gli amici piazzati nelle “Ferrovie di famiglia”» del 4 aprile 2015, «il Quotidiano Italiano» elenca una serie di legami di parentela tra dipendenti FAL e nuove assunzioni citandone i nomi e l'inquadramento in azienda che a detta dell'interrogante, richiedono una attenta analisi da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in quanto proprietario dell'azienda FAL;
   in un articolo dell'aprile del 2011 «Il Quotidiano Della Basilicata» a firma di Mariateresa Labanca, evidenziava la possibile ingerenza di una forza politica nelle scelte dirigenziali apicali nell'azienda, motivata non solo dalla provenienza politica del presidente, ma anche dell'allora sottosegretario ai trasporti, il lucano Guido Viceconte (eletto nel Pdl), che avrebbe inserito tra i cinque componenti del consiglio di amministrazione anche il cugino Felice. L'articolo racconta anche di tirocini formativi finalizzati all'occupazione per 69 giovani lucani, dei quali solo alcuni vengono trasformati in posti stabili: «Ma al termine del percorso formativo non per tutti c’è il tanto agognato posto di lavoro. Senza alcun criterio trasparente viene scelta solo una parte dei partecipanti. Quasi tutti riconducibili agli esponenti del centrodestra lucano, a eccezione di alcuni, figli di dipendenti, che nel frattempo hanno scelto la via del prepensionamento». Tra i nuovi assunti nell'articolo viene citata la moglie di Francesco Nolè, direttore dell'Ustif competente per Basilicata e Puglia, ma in realtà fonti aziendali affermano si tratti della cognata Sonia, mentre un suo parente, Donato Nolè, sempre secondo le fonti giornalistiche, viene reclutato come ausiliare generico insieme a Cirpiano Garofalo, ex sindaco di Oliveto Lucano (Matera), con appartenenza politica legata al Popolo delle Libertà;
   tale circostanza risulta di particolare rilevanza in quanto USTIF è un organo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dipendente dal dipartimento per i trasporti, la navigazione ed i sistemi informativi e statistici – direzione generale della motorizzazione civile. Questi uffici diretti da Francesco Nolé risultano essere fondamentali per la sicurezza poiché si occupano di rilasciare autorizzazioni e controlli su tratti e mezzi del servizio di trasporto, autorizzazioni senza le quali i bus e i treni FAL non potrebbero nemmeno transitare;
   il gruppo del M5S in regione Basilicata, con un'interrogazione a risposta orale a prima firma del consigliere Giovanni Perrino il 28 gennaio 2015, metteva in luce la carente trasparenza di alcune procedure di selezione del personale: in particolare, l'attenzione dell'interrogazione si è concentrata su due avvisi pubblici di selezione che le FAL hanno pubblicato a fine di dicembre 2014 e a metà gennaio 2015. La tempistica dei bandi non veniva rispettata in quanto, a parere del Gruppo consiliare del M5S, essendo FAL società a totale partecipazione pubblica, è tenuta ad osservare quanto prescritto dalle leggi sui concorsi pubblici: ovvero garantire la massima pubblicità e – diffusione degli avvisi, lasso di tempo minimo intercorrente tra la pubblicazione e la scadenza per la presentazione delle domande di partecipazione (pari ad almeno dei trenta giorni). Chiamato a rispondere, l'assessore lucano Berlinguer ha dichiarato che «Rimane e resta nell'esclusiva competenza tutt'oggi del Ministero valutare anche tutto ciò che attiene al dato occupazionale e le procedure lavoristiche adottate, le scelte adottate dalla società e il rispetto delle norme di legge» facendosi portavoce di richieste di informazioni precise sul punto in oggetto dell'interrogazione –:
   se i fatti descritti in premessa, che ad avviso degli interroganti sono delle vere e proprie anomalie che in un'azienda a totale controllo pubblico non dovrebbero assolutamente avvenire siano veri e se il Ministro interrogato ne sia a conoscenza;
   se non ritenga opportuno, alla luce delle lettere pubbliche de «Il Quotidiano Italiano» e degli articoli di stampa, avviare una seria indagine sulle modalità di selezione del personale e sulle modalità di avanzamento di carriera nelle FAL;
   se non ritenga di promuovere procedure di selezione del personale di FAL Srl maggiormente meritocratiche e trasparenti in base alle informazioni inserite in premessa, adottando sistemi di pubblicità e idonei termini di scadenza per la presentazione delle domande di partecipazione. (5-05421)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRECO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi al chilometro 61 dell'autostrada Palermo-Catania (tra gli svincoli di Scillato e Tremonzelli in direzione di Catania) è stata interrotta la circolazione in entrambe le carreggiate, sul manto stradale della sulla A19, a causa di un vistoso avvallamento;
   dalle informazioni assunte, secondo quanto fa sapere l'Anas, la chiusura è avvenuta per il cedimento di un pilone. Fortunatamente quando si è verificato il fatto non transitavano mezzi;
   l'Anas entro la prossima settimana predisporrà il progetto di demolizione della parte del viadotto autostradale interessata dal dissesto e a realizzare in tempi brevi interventi di manutenzione straordinaria dei percorsi alternativi;
   nei prossimi giorni, se il movimento franoso si bloccherà e non saranno rilevati danni ai piloni della carreggiata in direzione Palermo, l'Anas potrà valutare anche la sua riapertura al traffico a doppio senso di marcia, non è da escludersi che eventuali rilevamenti potrebbero indurre la chiusura dell'importante arteria stradale per anni;
   per l'economia siciliana e soprattutto per l'agricoltura la chiusura dell'autostrada A19 rappresenta l'ennesima catastrofe. Come sostenuto dalle maggiori categorie rappresentative del settore, per raggiungere la parte occidentale dell'isola si dovranno sostenere maggiori costi di trasporto che si sommano al tempo necessario per raggiungere Palermo dalle strade alternative. Il danno deriva anche dallo stato delle arterie interne dove si susseguono frane e smottamenti e dove i mezzi pesanti non possono transitare;
   l'autostrada, inaugurata nel 1975 è gratuita proprio perché considerata infrastruttura essenziale ed unico collegamento veloce tra Palermo e Catania –:
   quali procedure siano state attivate per assicurare in tempi rapidi la messa in sicurezza e la transitabilità importante dell'infrastruttura viaria;
   se siano disposti accertamenti per quanto di competenza, per evidenziare eventuali omissioni o negligenze da parte di soggetti vigilati;
   se intenda prevedere e incentivare forme alternative a sostegno soprattutto del trasporto dei prodotti agricoli ed ortofrutticoli;
   cosa intenda evitare e prevenire che gli effetti negativi, con il perdurare dell'interruzione autostradale, si riflettano in maniera rilevante ed incidano nella limitazione dei flussi turistici verso la Sicilia. (4-08867)


   META e ARGENTIN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Rete ferroviaria italiana, società del gruppo FS, sta procedendo ad un esteso piano di restyling di numerose stazioni ferroviarie anche allo scopo di migliorare i servizi e i comfort per la clientela;
   i lavori interessano anche i percorsi podo-tattili indispensabili per le persone non vedenti e ipovedenti;
   in tale ambito le associazioni locali e nazionali dei ciechi e ipovedenti hanno ripetutamente segnalato come l'attuale sistema adottato in base alle Linee guida di RFI, prevede la realizzazione del sistema LOGES e cioè l'installazione di percorsi tattili in gomma con numerose bolle per indirizzare i percorsi ai non vedenti, presenta numerosi elementi di criticità, al punto da essere pericolosi e comunque superati da moderne tecnologie quale il sistema LVE (Loges—Vet—Evolution) un sistema tattilo-vocale che non si limita come il precedente, alla sola trasmissione tattile delle informazioni, ma che a queste affianca segnalazioni vocali, fondamentali per consentire alle persone con disabilità visiva l'orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo;
   in data 23 marzo 2015, l'Istituto nazionale per la mobilità autonoma dei ciechi ed ipovedenti ha trasmesso a FS S.p.A. e a RFI uno specifico Memorandum sui i nuovi sistemi di ausilio per i non vedenti;
   il Regolamento (CE) n. 1371/2007 del Parlamento e del Consiglio del 23 ottobre 2007, relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri nel trasporto passeggeri afferma con nettezza il principio che le persone con disabilità o le persone con modalità ridotta hanno diritto, al pari di tutti gli altri cittadini, alla libera circolazione, alla libertà di scelta e alla non discriminazione. Il citato regolamento si sottolinea l'esigenza che siano resi accessibili tutti gli edifici e tutto il materiale rotabile eliminando progressivamente gli ostacoli fisici e gli impedimenti funzionali al momento di acquistare nuovo materiale o di realizzare nuovi fabbricati o importanti ristrutturazione nonché un ruolo attivo, anche nella definizione delle norme, da parte delle organizzazioni che rappresentano le persone con disabilità e le persone a mobilità ridotta –:
   se sia a conoscenza dei fatti suesposti e se e quali indirizzi intenda indicare a RFI, e alle altre società che si occupano di infrastrutture di trasporto delle persone affinché venga garantita l'uguaglianza del diritto alla mobilità per tutti i cittadini, da realizzare in modo progressivo e comunque noi casi di nuove costruzioni e di manutenzioni straordinarie come quelle previste e/o in corso nelle stazioni ferroviarie italiane. (4-08873)


   PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto di Milano Malpensa è dotato di due terminal, all'origine non comunicanti tra loro. Per ovviare a questa mancanza, nel novembre 2011 era stato presentato il progetto preliminare che prevedeva la costruzione di doppi binari, di una nuova stazione, di un parcheggio da 1.000 posti e di un passaggio pedonale coperto;
   l'opera, attesa da tempo, è fra i cardini del piano di miglioramento dell'accessibilità a Malpensa. Il progetto prevede la realizzazione del prolungamento della linea ferroviaria a doppio binario fino al terminal T2, che con oltre 6 milioni di passeggeri l'anno movimenta circa un terzo dei flussi totali dell'aeroporto. Sono 3,6 chilometri di nuovi binari, parte in trincea e parte in galleria, così da eliminare ogni interferenza con le attività soprastanti e la viabilità, riducendo al massimo l'impatto ambientale. Il tempo di percorrenza tra le due strutture sarà inferiore a 4 minuti, per un'offerta a medio termine di oltre 250 treni al giorno;
   i lavori per realizzare il collegamento su rotaia fra il polo dell'aeroporto dedicato ai voli low cost e il terminal 1, dove attualmente si concludono le corse della navetta express che trasporta i viaggiatori dalle stazioni di Milano Centrale e Milano Cadorna fino allo scalo, recano a numerosi disagi ai cittadini di Somma Lombardo;
   infatti Federalberghi Varese, associazione di categoria che rappresenta gli interessi delle imprese alberghiere di Varese, ha espresso piena solidarietà verso gli albergatori di Case Nuove costretti a subire i disagi provocati dalla presenza di vari cantieri, quello relativo, appunto, alla realizzazione della tratta ferroviaria di collegamento tra Terminal 1 e Terminal 2 e quello inerente l'abbattimento delle abitazioni delocalizzate. I lavori in corso dureranno mesi e renderanno la zona un cantiere per tutto il periodo di Expo, costringendo clienti e dipendenti delle strutture che si trovano lungo le zone interessate dai lavori, a trovare percorsi alternativi di difficile individuazione. A ciò si deve aggiungere il disagio del rumore e della polvere che rendono inutilizzabili gli spazi esterni degli hotel;
   gli albergatori della zona, già provati dalle difficoltà degli ultimi anni sono amareggiati da questa situazione e soprattutto dalla scarsa sensibilità che le amministrazioni preposte, hanno nei confronti dei turisti –:
   se il cronoprogramma dei lavori sarà rispettato, se siano previsti ritardi nella consegna e se s'intenda comunicarlo anche agli albergatori operanti sul territorio interessato dai lavori;
   quali siano le motivazioni che hanno portato alla mancata realizzazione di una linea monorotaia che colleghi la frazione Case Nuove con l'aeroporto;
   se s'intenda rivedere, di concerto con gli organi territoriali, la viabilità alternativa provvisoria predisponendo la segnaletica che indirizzi verso le strutture ricettive, in maniera tale da ridurre i disagi arrecati a garanzia del regolare flusso dei turisti agli alberghi coinvolti;
   quali siano le motivazioni che hanno portato al mancato collegamento col polo fieristico di Rho;
   se s'intenda assumere un'iniziativa normativa per regolare uniformemente la tassa di soggiorno al fine di evitare differenziazioni notevoli tra i comuni limitrofi l'aeroporto. (4-08879)


   PRINA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   per recarsi sul posto di lavoro, o a scuola, studenti e lavoratori che usano il treno hanno diritto ad usufruire di un servizio adeguato considerando inoltre che questa scelta, oltre a contribuire alla riduzione del traffico veicolare, è anche la forma di mobilità meno inquinante e costosa in termini energetici da promuovere;
   purtroppo oggi, nonostante siano molti i comitati civici sorti in questi anni con l'intento di sensibilizzare le istituzioni ad intervenire per migliorare questo servizio, ancora si registrano ritardi, degrado dei convogli, bagni inagibili, sovraffollamento e scarsa manutenzione;
   la stazione di Corbetta-Santo Stefano Ticino, collocata sulla linea ferroviaria MI-TO, per la posizione strategica è al servizio più di 30.000 abitanti dei diversi comuni quali: Corbetta, Santo Stefano Ticino, Ossona e in parte Arluno;
   la stazione di Corbetta-Santo Stefano Ticino si trova a sole tre fermate da quella di Rho Fiera Expo Milano 2015 e dal primo maggio risulterà pertanto strategica per i visitatori che vorranno recarsi a visitare l'esposizione universale e per questo non è da escludere prevedere un consistente incremento di utenti;
   la conferenza dei servizi conclusiva (tra i soggetti coinvolti: comune di Corbetta e di Santo Stefano Ticino, provincia di Milano e RFI) per la chiusura di tre passaggi livelli, compreso il sottopasso e la sistemazione dei parcheggi in questione presso la stazione ferroviaria di Corbetta-Santo Stefano Ticino è stata svolta nel 1999 e d'allora sono ormai trascorsi sedici anni;
   nell'aprile 2012 l'interrogante allora consigliere regionale della Lombardia, aveva presentato un'interrogazione all'assessore alle infrastrutture della regione Lombardia che chiedeva di sollecitare R.F.I. al fine di accelerare i lavori delle opere sostitutive per la chiusura dei passaggi a livello previsti e la realizzazione del sottopasso presso la stazione di Corbetta-Santo Stefano Ticino; nella risposta l'assessore competente annunciò la rimozione del passaggio a livello per la fine del 2013;
   il passaggio a livello nei pressi della stazione di Corbetta-Santo Stefano Ticino è ancora in funzione e l'intensità del traffico dei treni che vi transitano, tra quelli che effettuano la fermata come i suburbani della linea S6 e quelli in transito come i regionali veloci e dell'alta velocità, fanno sì che questo sia spesso in funzione obbligando coloro che devono attraversarlo a lunghe soste –:
   se sia nelle intenzioni del Ministro interrogato attivarsi presso la Rete ferroviaria italiana per sollecitare la realizzazione del sottopasso e dei parcheggi nei pressi della stazione ferroviaria di Corbetta-Santo Stefano Ticino e verificare i motivi di tale ritardo. (4-08882)


   PISO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 17 aprile 2015, nella città di Roma, a seguito dello sciopero indetto dai sindacati Ugl e Faisa Cisal, si sono verificati gravissimi disagi tra gli utenti della metropolitana di Roma e, in particolare, della linea A;
   il sindaco di Roma ha immediatamente accusato le organizzazioni sindacali di non aver rispettato le norme che regolamentano il diritto di sciopero nel settore del trasporto pubblico, a quanto risulta all'interrogante senza prima approfondire quali siano stati i comportamenti messi in atto dall'amministrazione per garantire un ordinato svolgimento del servizio pubblico;
   in particolare, risulta all'interrogante che, nonostante la competente Commissione di garanzia abbia più volte richiesto all'Atac di regolamentare le procedure che disciplinano il diritto di sciopero nel settore (l'ultima volta nel 2013), ad oggi non sussista alcun tipo di protocollo in tal senso;
   risulta inoltre che l'Atac, nonostante abbia ricevuto il preavviso dello sciopero nei termini previsti dalla legge non abbia provveduto ad emanare una disposizione operativa in grado di garantire i servizi minimi, anche mediante comando del personale viaggiante con una disposizione del servizio valida perlomeno nelle fasce di garanzia;
   la disposizione operativa n. 110 del 14 aprile 2015, pur prevedendo la possibilità teorica del comando, non ha infatti trovato alcuna applicazione pratica, nonostante fosse stata emanata oltre 48 ore prima dello sciopero;
   di fatto, quando nella giornata del 17 le adesioni allo sciopero si sono rivelate superiori al previsto, i servizi di movimento (direzioni di linea) non hanno comandato un solo lavoratore, né emanato alcuna disposizione che contenesse i turni interessati dal periodo di sciopero per i quali assicurare la copertura;
   è disponibile una registrazione, i cui contenuti sono stati riportati dal Corriere della Sera del 20 Aprile, in cui, alle 8,40, un operatore della direzione centrale del traffico impartisce l'ordine ai macchinisti della metro A di non completare le corse, interrompendo il servizio alla stazione successiva, facendo scendere i passeggeri, nonostante le rimostranze dello stesso macchinista che temeva di essere aggredito dagli utenti;
   la registrazione dimostra che le direzioni centrali del traffico hanno contribuito ad aumentare i disservizi, in una situazione di enorme confusione, in cui l'Atac da un lato non ha comandato i lavoratori necessari a garantire i servizi minimi e dall'altro non ha neanche provveduto a chiudere le stazioni laddove il servizio si era interrotto;
   il risultato di questa straordinaria catena di inefficienze è stata una giornata di caos assoluto, in particolare lungo la linea A, di cui l'amministrazione comunale porta per intero la responsabilità;
   l'imminente scadenza del Giubileo consiglia un attento approfondimento non solo delle responsabilità di questa vicenda, ma un'attenta verifica dell'idoneità dell'intera catena di comando predisposta dalla giunta Marino all'organizzazione del Trasporto pubblico locale romano –:
   se intenda accertare, per quanto di competenza, anche mediante l'invio di un'ispezione, se la linea A della metropolitana di Roma a tutt'oggi risponda a quei requisiti tecnico-operativi, sia in termini infrastrutturali che di requisiti della linea dirigenziale di comando, richiesti dall'Ufficio speciale trasporti a impianti fissi (USTIF). (4-08894)


   VALLASCAS, NICOLA BIANCHI e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 13 marzo 2015, la società Anas ha provveduto d'urgenza a interdire al traffico veicolare (tra il chilometro 0,00 e il chilometro 6,5) la strada statale 554-bis, che collega l'area metropolitana di Cagliari con il territorio del Sarrabus;
   la decisione è stata presa a seguito del formarsi, all'altezza del chilometro 3,1, di alcune profonde voragini lungo la carreggiata che, allo stato attuale, risulta gravemente compromessa e inagibile lungo le quattro corsie;
   il crollo sarebbe stato causato, secondo una prima verifica dei tecnici, dallo smottamento del rilevato stradale per effetto delle piogge dei giorni precedenti e per una presunta insufficienza nel funzionamento del sistema di drenaggio delle acque;
   non è la prima volta che la strada viene chiusa al traffico con le stesse motivazioni: cedimento dell'asfalto lungo quel tratto della strada;
   inaugurata nel 2004, era stata interdetta al transito dei veicoli nel 2011 e sottoposta ai lavori di ripristino per un importo di circa 420mila euro;
   nel 2011 venne avviata una prima inchiesta della procura delle Repubblica di Cagliari proprio per verificare la natura dei cedimenti, mentre una seconda inchiesta è stata avviata a seguito dell'ultimo crollo;
   in particolare, sembrerebbe che gli agenti del Corpo forestale della Sardegna, impegnati nelle indagini, starebbero verificando la qualità e la natura del materiale con cui sono stati realizzati il rilevato e le basi di sostegno;
   a tale proposito, alcuni organi di stampa avrebbero riportato la notizia che sarebbero stati effettuati dei carotaggi lungo il tratto di terreno interessato;
   in questo contesto, acquista particolare rilevanza, e inquietudine per i risvolti che potrebbe avere, un servizio giornalistico proposto dall'emittente televisiva locale Videolina, nell'edizione del 14 aprile 2015;
   il servizio, realizzato proprio nel tratto di strada dove l'asfalto ha ceduto (tratto peraltro privo di strumenti di interdizione dell'accesso nonché di personale di vigilanza), metteva in risalto la presenza nel rilevato stradale, di materiale di risulta e di rifiuti, accessibile alla vista per effetto del dilavamento delle acque;
   l'ipotesi prospettata nel servizio è stata avvalorata dalle dichiarazioni di un testimone con il volto travisato, che ha dichiarato che all'epoca della costruzione della strada avrebbe visto riversare, per la realizzazione del rilevato stradale, del materiale che appariva alla vista come materiale di risulta o rifiuti;
   se risultasse fondato il contenuto del citato servizio giornalistico si delineerebbe una situazione di estrema gravità sotto il profilo della sicurezza per i fruitori della struttura viaria e per quanto concerne lo sperpero di risorse pubbliche;
   questo stato di cose, oltre alla necessità di recuperare e ripristinare l'infrastruttura viaria compromessa, richiederebbe con urgenza una verifica con l'individuazione delle eventuali responsabilità di coloro che avrebbero dovuto vigilare sulla corretta conduzione dei cantieri interessati –:
   se sia a conoscenza della situazione esposta in premessa;
   se non ritenga opportuno disporre, per quanto di competenza, un'indagine ministeriale al fine di verificare la fondatezza di quanto esposto e le eventuali responsabilità che ne derivano;
   quali iniziative intenda adottare per ripristinare al più presto la viabilità compromessa a causa dei continui cedimenti e del crollo dell'asfalto della strada statale 554-bis. (4-08898)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 aprile 1997 ha provveduto alla «ripartizione delle dotazioni organiche delle qualifiche dirigenziali, delle qualifiche funzionali, e dei profili professionali del personale del Corpo nazionale dei lidi del fuoco»;
   la legge 30 settembre 2004, n. 252 «Delega al Governo per la disciplina in materia di rapporto di impiego del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco» ha di fatto trasferito il corpo dei Vigili del fuoco nel comparto pubblicistico;
   questa decisione ha aperto la porta alla direzione da parte dei Prefetti, che da allora guidano il dipartimento dei vigili del fuoco;
   non si intende entrare qui nel merito delle cause di questa scelta, ma non si può non far notare che in un corpo tecnico e specializzato nel soccorso tecnico urgente, quale quello dei vigili del fuoco, sarebbe preferibile una figura dirigenziale che avesse fatto parte del corpo stesso, e che, quindi, conoscesse per così dire «da di dentro» le problematiche e le dinamiche organizzative e finanziare di un ente così specifico;
   successivamente, il decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217, «Ordinamento del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco a norma dell'articolo 2 della legge 30 settembre 2004, n. 252» ha fornito gli unici dati effettivi sulla dotazione organica del corpo dei vigili del fuoco, prima della riforma prevista dal «Progetto per il riordino delle strutture Centrali e territoriali del corpo nazionale dei Vigili del fuoco», reso pubblico da Governo nell'aprile dello scorso anno;
   confrontando i dati dei due provvedimenti sopra ricordati, si osserva che la Sardegna è, di fatto la regione più colpita dai tagli previsti dal Governo, come emerge osservando i numeri relativi alla dotazione organica complessiva;
   per la provincia di Cagliari, infatti, nel 2005 erano previsto un organico completo di 482 persone, che scendono a 451 (429 effettivi) nel documento del Governo per il 2014; lo stesso discorso vale per la provincia di Sassari, dove si passa dai 530 del 2005 ai 511 (488 effettivi) del 2014. In apparente controtendenza quanto previsto per Nuoro (che da 240 salirebbe a 258, 254 effettivi) e per Oristano (da 139 a 151 ma effettivi 141);
   il totale evidenzia il preoccupante calo di personale previsto dal progetto governativo: si scende, infatti, da un personale pari a 1391 ad uno pari a 1371 (effettivi 1344);
   questi dati escludono a priori la possibilità, tante volte annunciata e mai realizzata, dell'autonomia della colonna mobile, ossia della forza operativa del corpo dei vigili del fuoco che si muove in caso di calamità naturale;
   detta autonomia doveva essere derivata da una dotazione organica di uomini e mezzi congrua e sovradimensionata rispetto alle omologhe del resto del Paese, visto che in caso di emergenza nessun aiuto potrebbe giungere in tempi brevi nell'isola, che sarebbe costretta a far da sola, e con mezzi insufficienti;
   al contrario, il progettato riordino del Governo rende estremamente difficoltosa per la Sardegna la gestione dell'ordinario da parte dei vigili del fuoco. Facile comprendere quale possa essere la situazione in caso di grave emergenza;
   inoltre, molta parte delle responsabilità viene scaricata sul personale volontario dei vigili del fuoco, che è in numero francamente eccessivo e che non garantisce l'efficacia degli interventi in caso di emergenza –:
   se il Ministro interpellato non intenda, per quanto di competenza, intervenire per evitare che la situazione sopra illustrata si cristallizzi, con gli evidentissimi rischi per la sicurezza delle popolazioni della regione Sardegna, intervenendo tra l'altro sulla questione molto grave dei vigili del fuoco temporanei, la cui stabilizzazione, praticabile finanziariamente con opportuni interventi di razionalizzazione della spesa, renderebbe certamente più efficiente il corpo dei vigili del fuoco che potrebbero avvalersi di professionalità di alto livello e che da molto tempo volgono un'azione molto importante nell'ambito del corpo.
(2-00944) «Capelli, Dellai».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FERRARESI e DELL'ORCO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'inchiesta della procura della Repubblica di Napoli, che con provvedimento del 23 marzo 2015 ha portato in carcere diversi dirigenti della cooperativa CPL Concordia di Modena, tra cui l'ex presidente Roberto Casari, ha creato un forte disagio in coloro che credono nel valore della cooperazione e nel ruolo delle istituzioni dello Stato;
   CPL Concordia è un gruppo cooperativo multiutility fondato nel 1899, attivo in Italia e all'estero con 1.800 addetti, 67 società, 17 sedi e un fatturato consolidato 2014 di 461 milioni di euro, ha quindi lunga tradizione e forte radicamento, soprattutto nella realtà modenese;
   i dirigenti della CPL Concordia avrebbero fatto «sistematico ricorso ad un modello organizzativo ispirato alla corruzione che li ha portati ad accordarsi non solo con i sindaci, gli amministratori locali e i pubblici funzionari, ma anche con esponenti della criminalità organizzata casertana e con gli amministratori legati a tali ambienti criminali», è quanto si legge negli atti dell'inchiesta;
   è di circa un mese fa, inoltre, la notizia dell'iscrizione nel registro degli indagati dell'ex presidente Casari per concorso esterno in associazione mafiosa nell'ambito dell'inchiesta sui lavori di metanizzazione compiuti tra il 1999 e il 2003 a Casal di Principe e in altri sei comuni del Casertano;
   una inchiesta che ha trovato anche la testimonianza del boss casalese pentito, Antonio Iovine, in una delle prime testimonianze, del maggio 2014, rese davanti ai pubblici ministeri della direzione distrettuale antimafia di Napoli in cui dichiarava: «Devo dire che noi abbiamo trovato terreno fertile con le imprese, anche grandi, che venivano da fuori zona e prendevano appalti. Quando ci siamo presentati per esempio a trattare con la Concordia per la realizzazione della rete del gas, abbiamo trovato facilmente un accordo nell'interesse di tutti»;
   la legge 6 novembre 2012, n. 190 (articolo 1, commi dal 52 al 57) ha previsto l'istituzione presso ogni prefettura dell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa (cosiddetta white list); competente a ricevere la richiesta di iscrizione è la prefettura della provincia dove l'impresa ha la propria residenza o sede legale, nel caso della CPL, la Prefettura di Modena;
   avrebbe avuto il sostegno di un funzionario all'interno della prefettura di Modena «a disposizione della coop, in cambio di ingressi allo stadio per le partite del Modena calcio», è quanto riportato dagli organi di stampa; in particolare tale funzionario sarebbe lo stesso responsabile delle iscrizioni delle ditte alla white list;
   si tratterebbe di Daniele Lambertucci, funzionario presso il Ministero dell'interno, laureato all'università di Salerno, attualmente non risulta indagato; dalle intercettazioni risulta che nel marzo dello scorso anno, al telefono con un dirigente della CPL che chiedeva informazioni sulla iscrizione alla white list della cooperativa, il funzionario rassicura: «Non ti preoccupare stai tranquillo, a noi fa fede il nostro riferimento la teniamo monitorata noi sotto controllo già è partita a velocità supersonica... Manco a farlo apposta sono io il responsabile delle iscrizioni... insieme al capo di gabinetto... In passato l'iscrizione era stata un po’ rallentata viste alcune vicissitudini, senza parlarne al telefono»; dopo qualche giorno ottiene il risultato che comunica in anticipo al dirigente CPL con cui intratteneva i rapporti: «L'iscrizione avviene tra dieci minuti»;
   desta sconcerto apprendere che in questo delicatissimo compito di gestione delle White list, presso una prefettura, al fine di evitare ogni possibile relazione con la criminalità organizzata delle imprese, vi sia personale sensibile e disponibile a rapporti diretti di tale tipo con le imprese stesse;
   il funzionario del quale sono state pubblicate le dichiarazioni, il Lambertucci, con provvedimento del 2 aprile 2015, pare sia stato destinato ad altro incarico –:
   quali provvedimenti esattamente siano stati presi nei confronti del funzionario della prefettura di Modena e quali eventualmente in futuro si pensi di adottare;
   se si abbia intenzione di avviare una approfondita indagine per monitorare la corretta procedura di rilascio delle iscrizioni alla White list presso la Prefettura di Modena;
   quali iniziative, anche di tipo organizzativo, si pensi di adottare perché in futuro non sia possibile il ripetersi di situazioni di «accondiscendenza» dei propri funzionari verso le imprese che richiedono l'iscrizione alla White list;
   quali iniziative si intendano adottare nella gestione dell'istanza di rinnovo della iscrizione alla «White list», presentata dalla Cpl Concordia al fine di impedire che i legami con imprese a vario titolo riconducibili alla criminalità organizzata non siano più in essere ed in futuro possibili. (5-05393)

Interrogazioni a risposta scritta:


   INVERNIZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra lunedì 20 e martedì 21 sono stati lanciati litri di vernice rossa contro la sede bergamasca della Lega Nord, dove è stato affisso uno striscione che, con riferimento all'ultimo drammatico naufragio dei giorni scorsi, recitava «Santanchè e Salvini infami assassini»;
   a rivendicare il gesto, in un post su Facebook intitolato «Sangue Nostrum», è il centro sociale «Paci Paciana» di Bergamo;
   numerosi si contano gli atti di vandalismo contro le sedi della Lega Nord, che vengono denunciati e restano impuniti;
   il segretario provinciale del Carroccio, Daniele Belotti, condannando il blitz di ieri notte ha dichiarato al sito web de La Repubblica che in questo modo si «preferisce stare dalla parte degli scafisti, anziché prendersela con chi illude queste persone spingendole a lasciare il proprio Paese, presentando loro la prospettiva di un paradiso, l'Italia, che non c’è»;
   in un Paese civile e democratico tutti i cittadini devono poter essere liberi di manifestare il proprio pensiero e con la consapevolezza che il Governo condanni e combatta senza mezzi termini atti vandalici contro le sedi di partiti o movimenti politici, in questo caso la Lega Nord –:
   se non ritenga doveroso e urgente assumere iniziative per evitare il ripetersi di simili episodi, che ledono la democrazia e potrebbero indurre a pericolosi atteggiamenti emulatori, sicuramente indecorosi quanto inutili alla risoluzione delle problematiche legate al «flusso dei migranti»;
   quali iniziative intendano intraprendere, anche nelle opportune sedi dell'Unione europea per arrestare «l'emergenza degli sbarchi», le cui cifre stimate con l'approssimarsi della stagione estiva fanno rabbrividire, ancor più ripensando alle vittime dei naufragi e alle scene di morte a cui assistiamo. (4-08868)


   CAPELLI e LABRIOLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   stante l'ultimo censimento l'Italia è il quarto Paese dell'Unione europea per popolazione, dopo Germania, Francia e Regno Unito;
   l'ultimo censimento registra, infatti, oltre 60 milioni gli abitanti nel nostro Paese, con una densità demografica di oltre 200 persone per chilometro quadrato, la più alta d'Europa;
   attualmente il personale operativo del corpo nazionale dei vigili del fuoco, infatti, conta circa 28 mila unità, mentre ne sarebbero necessarie almeno altre 15 mila per garantire una vera efficienza, considerando anche il turn over annuale per i pensionamenti, che si aggira sulle 500 unità annue;
   la riforma dovuta alla legge 252 del 2004 ha, di fatto, colpito duramente il corpo nazionale dei vigili del fuoco, collocandolo in un sistema più vicino alle logiche della pubblica sicurezza piuttosto che a quelle del soccorso e dell'incolumità delle persone, come sarebbe naturale;
   in venti anni, in realtà, un servizio essenziale per la popolazione è stato messo in ginocchio da politiche di tagli, che hanno ridotto almeno del 40 per cento i fondi dedicati al corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   i risultati sono sotto gli occhi di tutti: organici ormai ridotti all'osso, inferiori a quelli europei in maniera più che preoccupante: si calcola che vi sia 1 vigile del fuoco ogni 15 mila italiani, mentre nel resto dell'Europa il rapporto è di 1 a 1.000;
   l'intera popolazione italiana censita, dovrebbe essere servita dal servizio antincendio di 29.500 vigili del fuoco, oltre al migliaio di unità del personale Sati, direttivi non coinvolti negli eventi di soccorso;
   in realtà alla cifra di 29.500 va sottratto un 20 per cento fisiologico di assenze, che porta la cifra a 23.600 unità, divise in quattro turni da 5.900 vigili del fuoco, cui, ancora, vanno sottratte le 2.000 unità di servizio negli aeroporti (35 in tutta Italia), che non possono essere utilizzate per le «normali emergenze»;
   con questo organico ridotto i vigili del fuoco devono ogni giorno fare fronte a circa 750 mila interventi annui in tutto il territorio, per una media di circa 2.060 al giorno. Non c’è da meravigliarsi poi se anche una semplice forte pioggia mette in crisi grandi città. Nel febbraio 2014, ad esempio, a Roma c'erano 187 vigili del fuoco che dovevano affrontare l'emergenza creata a circa 4 milioni di abitanti da un abbondante nubifragio;
   al contrario di quanto auspicabile, il progetto di riordino del Governo, pubblicato ormai un anno fa, nell'aprile 2014 con un modello organizzativo basato su turnover limitato, spending review, innalzamento dell'età pensionabile, ulteriori riduzioni di risorse per uomini e mezzi;
   al contrario appare evidente la necessità di potenziare in tempi rapidi le dotazioni organiche dei vigili del fuoco, in modo da cercare quantomeno di avvicinare quegli standard europei dai quali oggi, come detto, siamo lontanissimi, o come previsto anche dallo studio tecnico denominato «Soccorso Italia in venti minuti»;
   un contributo importante al riguardo sarebbe dato dalla stabilizzazione dei numerosi vigili del fuoco «discontinui» che hanno un importante ruolo nel Corpo, ma che vivono una situazione di perenne, inaccettabile, precariato;
   siamo di fronte ad un assurdo: moltissime professionalità di alto livello, infatti, non vengono prese in considerazione e si tende, anzi, a tagliare proprio quei «discontinui» che, invece, sono fondamentali;
   in particolare, esiste un assurdo limite di età, 37 anni, superato il quale diviene impossibile l'assunzione anche di chi sta prestando servizio nel corpo dei vigili del fuoco come discontinuo da molti anni, accumulando un'esperienza che non deve essere sprecata per cavilli burocratici;
   intervenendo concretamente su sprechi e spese inutili, invece, sarebbe possibile procedere in tempi rapidi all'assunzione a tempo indeterminato di queste figure professionali, cancellano un'ingiusta condizione di precarietà da parte di chi da tempo sta lavorando per affrontare le numerose emergenze di un Paese strutturalmente fragile, e dall'altra contribuendo a risollevare, almeno in parte, i numeri deficitari del personale dei vigili del fuoco cui si è fatto riferimento poco sopra;
   il tema dei discontinui va, comunque, affrontato. Qualora fosse impossibile assumere a tempo indeterminato il personale precario del corpo dei vigili del fuoco che ha già prestato servizio sino ad oggi, sarebbe utile prevedere percorsi semplificati per assunzioni nel pubblico impiego e nel privato, utilizzando l'addestramento, le conoscenze e le esperienze acquisite nel soccorso e nelle emergenze, come bagaglio professionale da sfruttare come titolo in più per qualsiasi posto di lavoro;
   sarebbe anche possibile pensare all'estensione della riserva di posti in tutti i concorsi della pubblica amministrazione, così come già previsto per i volontari delle forze, con la differenza che i discontinui del corpo nazionale dei vigili del fuoco hanno una formazione per quel che riguarda l'antincendio e la gestione dell'emergenza che possono essere utilissimi in ogni posto di lavoro;
   numerosi sono i discontinui che lavorano da almeno venti anni nel corpo nazionale dei vigili del fuoco. Si tratta con tutta evidenza di un lavoro usurante che dovrebbe consentire uno scivolo pensionistico per coloro che, dopo così tanto tempo di lavoro precario, intendessero andare in pensione, anche tenendo conto del fatto che nel corso degli anni il numero di giorni di lavoro di molti di questi discontinui è sceso sotto il 78 giorni annui, soglia minima per la mini-Aspi –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di loro competenza non ritengano necessario agire per affrontare concretamente una situazione, quella dei cosiddetti «discontinui» del corpo nazionale dei vigili del fuoco che non solo costringe moltissime persone valide a vivere una vita di costante precarietà, in un lavoro certamente non facile quale quello di vigile del fuoco, ma che se affrontata con mezzi concreti, potrebbe contribuire in modo significativo alla risoluzione del gravissimo deficit di personale nel corpo nazionale dei vigili del fuoco. (4-08874)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la provincia di Brescia è la prima della regione Lombardia sia per estensione, coprendo 4.784 chilometri quadrati, che per numero di comuni (206), mentre è seconda per numero di abitanti ed attività industriali;
   a fronte di questa realtà, esiste un dispositivo di soccorso tecnico urgente dei vigili del fuoco articolato in 20 sedi, 5 delle quali permanenti e 15 volontarie;
   parte non trascurabile del territorio provinciale bresciano è quindi servito da vigili del fuoco volontari, che svolgono più di 3.000 interventi annui, utilizzando mezzi recentemente loro forniti dalle amministrazioni comunali dell'area, che assicurano anche la manutenzione delle caserme;
   di contro, lo Stato ha posto a carico degli aspiranti vigili del fuoco volontari persino i costi legati alle visite per l'accertamento dell'idoneità psico-fisica ed attitudinale propedeutica alla partecipazione alla selezione del personale da arruolare nel Corpo;
   non mancano neanche quelle che appaiono all'interrogante vessazioni locali: al distaccamento dei vigili del fuoco volontari di Chiari, ad esempio, è stato chiesto di privarsi di un mezzo «Snorker», di proprietà dell'associazione di volontariato Amici dei Pompieri di Chiari, che è stato utilizzato per fronteggiare un'emergenza in Toscana e non risulta essere mai tornato alla sede di appartenenza;
   il comando provinciale dei vigili del fuoco di Brescia avrebbe chiesto ai distaccamenti volontari di fornirgli dei mezzi APS, acquistati con i fondi dell'Associazione dei Volontari, da destinare al soccorso tecnico urgente –:
   quali misure il Governo intenda assumere per garantire l'operatività e l'efficacia dell'azione di soccorso tecnico urgente espletata dai vigili del fuoco volontari, sia a livello nazionale che con specifico riferimento alla realtà della, provincia di Brescia. (4-08881)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIMÌ. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la conversione in legge n.128 del 2013 del decreto-legge n.104 del 12 settembre 2013, recante misure urgenti materia di istruzione, università e ricerca, con l'articolo 21 ha modificato il decreto legislativo n. 368 del 1999 introducendo la graduatoria nazionale e la commissione unica per l'esame di specializzazione medica;
   l'anno accademico 2014-2015 sarà il secondo anno in cui si terrà il concorso nazionale per le scuole di specialità;
   quest'anno è stato modificato il regolamento del concorso per facilitare lo scorrimento delle graduatorie e si attende la pubblicazione dello stesso in Gazzetta Ufficiale;
   i medici abilitati che parteciperanno al concorso di accesso alle scuole di specializzazione necessitano di conoscere il programma di studio per orientare la loro preparazione;
   è necessario un rigoroso controllo durante l'esame viste le numerose sedi di concorso utilizzate ed il grande numero di partecipanti;
   il numero di specialisti in servizio presso il Sistema sanitario nazionale è in continua diminuzione mancando l'adeguato ricambio generazionale che dovrebbe essere garantito dal numero di contratti di formazione nelle scuole di specialità;
   la diminuzione di medici specialisti negli anni futuri potrebbe comportare un grave deterioramento dell'efficienza del Sistema sanitario nazionale –:
   quali misure intenda adottare il Ministro per procedere al più presto alla selezione dell'ente terzo generatore dei quesiti e per rendere nota la bibliografia ai concorrenti, affinché possano prepararsi adeguatamente all'esame, dando le opportune disposizioni affinché le università organizzino i corsi di preparazione gratuiti al test di ammissione per evitare speculazioni e maggiori oneri economici a carico dei futuri specializzandi;
   come il Ministro intenda assicurare l'ottimale organizzazione e gestione del concorso nazionale in modo che non si verifichino gli errori dello scorso anno, e se intenda richiedere l'ausilio delle forze dell'ordine nelle sedi concorsuali per garantire un ancora più rigoroso controllo dello svolgimento delle prove in tutta Italia;
   quali azioni il Ministro intenda porre in essere per incrementare il numero dei contratti di formazione specialistica e di medicina generale al fine di mantenere l'efficienza del sistema sanitario nazionale e non mettere a rischio la tutela della salute dei cittadini italiani;
   come il Ministro intenda provvedere affinché l'accesso alla facoltà di medicina e l'accesso alle scuole di specializzazione e di medicina generale sia proporzionato e programmato nei numeri al fine di garantire la migliore e completa formazione dei futuri medici e consentire a tutti i neo laureati in medicina il completamento degli studi specialistici e del percorso professionale. (5-05395)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta orale:


   LAFORGIA e GREGORI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il Jobs Act, l'uso dei voucher è destinato ad aumentare;
   l'uso dei buoni lavoro è legato al cosiddetto lavoro occasionale accessorio, cioè quello che genera un reddito netto inferiore a 5 mila euro all'anno. Un voucher costa 10 euro e corrisponde al pagamento di un'ora di lavoro: 7,50 euro vanno al lavoratore, 1,30 euro alla gestione separata dell'Inps, 70 centesimi sono destinati all'assicurazione Inail e il resto compensa la gestione del servizio;
   l'intento con cui furono introdotti, nel 2003, era quello di limitare il lavoro nero e riuscire a tassare alcune attività saltuarie come il giardinaggio, l'assistenza domestica, le ripetizioni private e gli altri tipi di impieghi occasionali indicati negli articoli dal 70 al 73 del decreto legislativo n. 276 del 2003. L'intenzione iniziale, però, è stata, snaturata e questi settori rappresentano ormai il minor campo di applicazione per i voucher lavoro. E il Jobs Act prevede proprio l'abrogazione degli articoli dal 70 al 73 del n. 276 del 2003;
   nel riordino dei contratti previsto nel Jobs Act, i buoni subiranno inoltre un'ulteriore liberalizzazione. La bozza del decreto analizzata in Consiglio dei ministri lo scorso 20 febbraio prevede che il limite di guadagno netto annuo per la definizione del lavoro occasionale accessorio passi da 5 mila a 7 mila euro;
   i vincoli sull'uso dei voucher sono infatti minimi: il datore di lavoro può elargire al massimo 2 mila euro in voucher per ogni lavoratore, il lavoratore può guadagnare in voucher non più di 5 mila euro all'anno. Ma il datore di lavoro non ha limiti per quanto riguarda il numero di persone che può pagare con i voucher. Quindi potrebbe anche cambiarne uno al giorno e utilizzarne 300 all'anno;
   secondo i dati dell'Inps, l'Istituto nazionale di previdenza sociale, in totale sono stati venduti 69.183.825 di voucher, il volume economico che producono è pari a circa 70 miliardi di euro. Ad aprile 2012, in circolazione c'erano poco meno di 29 milioni di buoni lavoro, nel 2013 si era arrivati a 43 milioni;
   secondo i rilievi della Uil, i voucher producono 70 milioni di euro di elusione fiscale ogni anno: gli oltre 46 mila lavoratori pagati con i voucher genererebbero un mancato gettito dell'Irpef, l'imposta sul reddito, pari a 57,8 milioni di euro e un mancato gettito dell'Irap, imposta sulle attività produttive, di 12,2 milioni;
   con i buoni lavoro non si hanno diritti, non si matura il trattamento di fine rapporto, non si maturano ferie, non si ha diritto alle indennità di malattia e di maternità, né agli assegni familiari;
   uno dei maggiori problemi dei voucher lavoro è legato ai controlli. L'ispettore del lavoro non può verificare orario d'inizio e fine del lavoro, limitandosi ad appurare che siano stati pagati i contributi. Inoltre, sempre il Jobs Act prevede la nascita di un'agenzia unica ispettiva del lavoro che dovrà occuparsi, con ispettori precari, di sicurezza, infortuni, contribuzione e rispetto delle norme contrattuali –:
   se, alla luce di quanto sopra esposto, il Governo non ritenga necessario restituire allo strumento del voucher le originarie caratteristiche disciplinate dal decreto legislativo n. 276 del 2003, combattendo così il lavoro nero e l'evasione fiscale ed offrendo finalmente un vero rapporto di lavoro, con le necessarie tutele, ai lavoratori precari, uno degli affermati obiettivi principali di questo Governo. (3-01459)


   LAFORGIA e GREGORI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Dis-coll e Naspi sono i due nuovi ammortizzatori sociali creati dal cosiddetto jobs act e rivolti ai lavoratori cosiddetti precari;
   la Dis-coll, l'indennità di disoccupazione per i collaboratori, che sostituisce l’una tantum della Fornero, con una durata massima di sei mesi per non più di 1.300 euro al mese, è destinata a cococo e cocopro che perdono il posto (un quarto dei 300 mila con i requisiti di legge, secondo i calcoli del Governo);
   la Dis-coll, anche se il decreto istitutivo è in vigore solo dal 7 marzo 2015, doveva essere operativa sin da gennaio, in via sperimentale per quest'anno, secondo quanto previsto per la copertura della disoccupazione ma, al momento, non sembra essere stata avviata, non è stata diffusa neanche la modulistica necessaria;
   l'erogazione della Naspi, strumento sostitutivo di Aspi e mini-Aspi (a cui subentrerà dal primo maggio) per lavoratori discontinui, prevede un'erogazione di contributo vicino alla metà di quanto prevedevano gli ammortizzatori sociali sostituiti ed impatterà negativamente sui redditi di tutti i lavoratori saltuari;
   secondo l'articolo 5 del decreto di riordino degli ammortizzatori, la Naspi vale il 50 per cento delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni. Nel calcolo non sono computati i periodi contributivi che hanno già dato luogo ad erogazione delle prestazioni di disoccupazione. Dunque lavorando sei mesi all'anno, non si percepirà l'indennità per i sei restanti (come era ed è fino al primo maggio), ma solo per tre;
   secondo le stime, dunque, un lavoratore stagionale che ha lavorato sei mesi all'anno negli ultimi quattro anni (in totale 24 mesi), oggi prende di Aspi 975 euro per sei mesi, da maggio 975 euro di Naspi per tre mesi. Un altro lavoratore con lo stesso tempo lavorato (24 mesi in 4 anni, ma più continui) ne prende 902 per 12 mesi e ne prenderà 874 sempre per 12 mesi, più o meno lo stesso;
   la Naspi dimezzata, con la stagione estiva alle porte, comporterebbe per molti lavoratori, un inverno con la metà dei soldi;
   il Ministro Poletti si è limitato a dire che il Governo proporrà una «gradualità» nell'utilizzo della Naspi per gli stagionali –:
   se e quali misure intenda mettere in atto il Governo al fine di rendere maggiormente efficienti i nuovi sistemi di ammortizzatori sociali previsti dal Jobs Act, al fine di dar vita ad un sistema sociale sostenibile ed inclusivo. (3-01460)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZOLEZZI, BATTELLI, COMINARDI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e SIMONE VALENTE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il cantiere navale di Riva Trigoso, frazione della città di Sestri Levante, è uno dei maggiori e più antichi cantieri navali italiani. Fu fondato il 1o agosto del 1897 da Erasmo Piaggio ed impiantato nel 1898 dalla Società Esercizio Bacini. Sotto la sua direzione questa compagnia si andava imponendo sui traffici internazionali con oltre ottanta unità. Erasmo Piaggio diviene, in seguito, fondatore, qualche anno dopo, di una propria compagnia di bandiera, il Lloyd Italiano che legandosi al cantiere di Riva Trigoso avrebbe costruito le sue navi sotto la regia di Piaggio. I lavori iniziarono il 15 giugno 1898 e tra febbraio e settembre dell'anno successivo funzionavano otto scali attrezzati con officine e servizi tecnici ed amministrativi, su un'area di 30.460 metri quadrati, e una fonderia di ghisa cui seguì quella di bronzo. Fin dall'inizio il cantiere lavorò a pieno ritmo con una media di 400 persone alla costruzione di un bacino galleggiante di ferro per il porto di Genova, di due piroscafi postali da 1.500 tonnellate, di altri due da 5.229 e 5.603 ed un altro da carico per la Navigazione Generale Italiana e due per i servizi minori della Società Italiana di Navigazione. Dall'inizio fino al 1915 si costruirono 65 unità mercantili per la Navigazione, per il Lloyd Italiano, per la Transatlantica Italiana, per la Società dei Servizi Marittimi, e anche per altri armatori. Si costruirono anche le navi per emigranti del Lloyd e fra queste il Principessa Mafalda, ritenuto il miglior piroscafo da passeggeri dell'epoca. Nel 1973 la società viene assorbita da Italcantieri che a sua volta nel 1984 confluisce in Fincantieri;
   dagli anni Ottanta lavora in sinergia con lo stabilimento del Muggiano di La Spezia. Le unità varate a Riva Trigoso vengono allestite ed effettuano le prove di preconsegna alla Spezia come le unità varate in quello stabilimento. Nel 2004 vi è stata varata la prima portaerei della Marina militare italiana, la Cavour, varo passato alla storia per essere l'ultimo eseguito nella maniera tradizionale dello scivolo in acqua;
   in totale il cantiere navale di Riva Trigoso ha realizzato 192 unità maggiori, di cui 117 civili (61 per cento) e 75 militari, fino alle recenti 8 fregate di classe FREMM;
   attualmente la Fincantieri — Cantieri navali italiani spa è uno dei più importanti complessi cantieristici navali d'Europa e del mondo. Azienda pubblica italiana, già di proprietà dell'IRI, è oggi controllata da Fintecna, società finanziaria controllata al 100 per cento da Cassa depositi e prestiti, la quale è a sua volta controllata con una partecipazione del 70 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze; il restante 30 per cento è posseduto da un nutrito gruppo di Fondazione di origine bancaria;
   questa realtà produttiva è caratterizzata da una elevata professionalità della manodopera, emersa anche nell'audizione dell'amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono, il 18 ottobre 2013 alla Camera, nell'ambito «dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma destinati alla difesa in vista del Consiglio europeo del dicembre 2013» in cui risulta essere «Fincantieri ad oggi il quarto costruttore al mondo, [...], però, il primo costruttore al mondo se guardiamo alla tipologia di prodotti che realizziamo, ossia prodotti della fascia alta del cluster cantieristico mondiale (navi da crociera, militari, per l’off-shore — quindi per tutta la catena dell'estrazione petrolifera, non petroliere — mega yacht e una serie di prodotti ad alto livello tecnologico). Negli uffici di progettazione, ci sono circa 1.500 tra ingegneri e tecnici. Probabilmente è la società cantieristica al mondo col maggior numero di tecnici e ingegneri. Di fatto, il network produttivo, con le aziende controllate, vede 21 cantieri in 3 continenti, circa 20.000 dipendenti diretti e, sostanzialmente, l'accesso a tutti i mercati anche a elevato potenziale di sviluppo. Inoltre, alcuni di questi mercati sono ad altissimo potenziale di sviluppo, [...]. Il nostro fatturato in tutto il mondo ammonta a circa 4 miliardi di euro con una redditività del margine medio del 9 per cento. Tra il 2002 e il 2012 presi ordini — la maggior parte della produzione è rivolta all'esportazione — per circa 26 miliardi di euro, di cui circa il 70-80 per cento dedicato all'esportazione. In tutto questo periodo, sono stati maturati utili per circa 458 milioni di euro che si sono ridotti a 258 milioni per la ristrutturazione negli anni 2009, 2010 e 2011, quando, scoppiata la crisi, è stata ristrutturata l'azienda con interventi anche sul piano del personale e della struttura aziendale. Nel 2012 e all'inizio del 2013, è stata perfezionata un'operazione di acquisizione di una delle più importanti società operanti nell’off-shore, una società norvegese con 1 miliardo e 600 milioni di euro fatturato all'anno. In Italia Fincantieri ha 8 cantieri, dislocati a Monfalcone, vicino a Trieste, Marghera, vicino a Venezia, in Liguria — Sestri Ponente, Sestri Levante, Riva Trigoso e Muggiano — Castellammare di Stabia, Ancona e Palermo, zone importanti dal punto di vista industriale, [...] siamo in tutto in Italia 8.100 una nostra ristrutturazione ha comportato esuberi per circa 1.800 persone: al momento, sono uscite dall'azienda un migliaio di persone senza licenziamenti. Abbiamo infatti utilizzato gli ammortizzatori sociali, le incentivazioni, i piazzamenti all'esterno, gli aiuti a intraprendere attività o a trovare altro lavoro. Abbiamo gestito in modo da non danneggiare i dipendenti, ma anche perché si salvasse l'azienda, come era giusto a causa del calo del mercato. Va tenuto presente che, dopo la crisi, le navi da crociera, che rappresentavano l'80 per cento dell'attività, sono state decimate dal mercato: la domanda si è ridotta, infatti, del 50 per cento, nel 2013 metà della produzione rispetto a prima. Riteniamo di avere anche meritato un'attenzione particolare nella cantieristica ed siamo diventati il terzo gruppo meccanico nazionale non in crisi (...);
   nei migliori anni di attività produttiva si consumavano 120-130.000 tonnellate di acciaio, quindi una grande acciaieria lavorava solo per Fincantieri e, oggi, continua a farlo. Abbiamo fatto fare uno studio apposito (...) ogni euro investito nella cantieristica produce un valore pari a 3,4 euro, a beneficio soprattutto del territorio di insediamento. Il network produttivo idei subfornitori, dei subcontrattisti è fondamentale per lo sviluppo di questi territori (...). Ovviamente la maggior parte del network è composto da piccole e medie aziende (...). Senza la cantieristica, la Liguria sarebbe sicuramente in una situazione di deindustrializzazione molto più avanzata. Per ogni addetto direttamente impiegato nei cantieri, all'esterno ce ne sono altri cinque, distribuiti su una, filiera industriale, correlata a una filiera economica che attiva dei consumi da parte delle famiglie e dei lavoratori. In altre parole, gli 8.100 addetti diretti Fincantieri attivano in Italia altri 40.000 posti di lavoro. Questa è la stima». Le parole di Bono in merito al primato internazionale di Fincantieri sono le seguenti: «Si parla sempre degli Stati Uniti come del Paese più avanzato al mondo: noi abbiamo dovuto mandare nostri uomini per rimettere a posto quei cantieri e, bypassando le ferree leggi americane sulla sicurezza per le industrie che lavorano per la Difesa, hanno riconosciuto che il nostro apporto dal punto di vista tecnologico è stato necessario per realizzare dei prodotti innovativi di grande valenza. Stiamo realizzando, in America, navi che vanno oltre i 40 nodi. Abbiamo mandato i nostri uomini, che sono in posizione di responsabilità e questo ci è riconosciuto»;
   secondo notizie di stampa la Fincantieri di Riva Trigoso — Muggiano starebbe firmando con il Governo il rinnovo della flotta della Marina militare, commessa che occuperebbe le maestranze fino al 2020, ma non è chiara una reale volontà di potenziare il settore meccanico dell'azienda; la legge navale metterebbe a disposizione 5,4 miliardi di euro per la sostituzione di 51 unità della marina, che progressivamente usciranno dalla flotta, prevedendo la costruzione di 14 nuove navi ipertecnologiche;
   tale reparto, addetto anche all'assistenza post-vendita, utilizza spesso personale appartenente a ditte esterne, a volte proprio ex tecnici Fincantieri andati in pensione, e frequentemente accade che alcuni dipendenti in forza alla meccanica siano in cassa integrazione; Fincantieri continua ad avere il sostegno economico dello Stato;
   nonostante le commesse e quindi il buon carico di lavoro, il piano di ristrutturazione preannunciato dall'azienda in nome della competitività, definito dai sindacati «un piano lacrime e sangue» e la ventilata ipotesi della creazione di una holding per il settore della meccanica con un progressivo scorporamento aziendale stanno generando non pochi allarmismi tra i lavoratori; ai sindacati, infatti, l'azienda ha garantito che costruirà le navi negli stabilimenti italiani ma, ricordando che comunque detiene 21 cantieri nel resto del mondo dove il costo del lavoro è di gran lunga più basso, ha chiesto la rinuncia alle 104 ore annuali di festività e riduzione dell'orario di lavoro, l'estensione massima della flessibilità a discrezione dell'azienda e la ridefinizione dei premi di programma;
   risulta che verrà realizzata nell'area in concessione demaniale a Fincantieri di Riva Trigoso (stabilimento autorizzato da VIA statale) una vera e propria «area segregata» con fronte mare per alcune società esterne e attività, dove potrebbe venire meno la responsabilità di Fincantieri sulle lavorazioni e sulla sicurezza sul lavoro, con il rischio di riduzione della qualità dei prodotti finiti, della qualità del lavoro e della sicurezza dei lavoratori;
   il cantiere di Riva Trigoso occupa attualmente 670 dipendenti e circa 300 ditte appaltatrici provenienti da tutta l'Italia e dall'estero;
   l'azienda in questione dal punto di vista ambientale è stata autorizzata da valutazione di impatto ambientale (VIA) statale e per alcuni aspetti da VIA regionale (decreto del dirigente settore ecosistema costiero 7 aprile 2010, n. 707, parere articolo 12 del regolamento del codice della navigazioni marittima e autorizzato ai sensi dell'articolo 109 del decreto legislativo n. 152 del 2006 per immersione in mare di inerti, materiali geologici inorganici e manufatti per effettuare lavori messa in sicurezza opere a mare dello stabilimento Fincantieri di Riva Trigoso);
   il cantiere di Riva Trigoso è integrato nel territorio della baia omonima, occupandone buona parte, e da oltre un secolo l'attività produttiva cardine del territorio del golfo del Tigullio ha accompagnato la produzione navale di 6 generazioni da fine ‘800 in ambito civile e militare; è stato accettato dalla popolazione nonostante l'evoluzione sociale e produttiva (vedi lo sviluppo turistico), è stato causa di molti decessi da infortunio sul lavoro e di moltissimi decessi e invalidità da malattie professionali –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, ritengano anche attraverso la costituzione di un tavolo tecnico ad hoc così come peraltro già avvenuto con Fincantieri per il porto di Genova-Sestri Ponente e più recentemente di Palermo, di acquisire elementi nel dettaglio sul piano di ristrutturazione di Fincantieri presso lo stabilimento di Riva Trigoso preannunciato dall'azienda ai sindacati, in particolar modo relativamente alla creazione di un eventuale «area segregata» citata in premessa e di una holding per la meccanica; 
   se non ritengano doveroso attivarsi, per quanto di competenza, al fine di garantire il massimo utilizzo – nella costruzione delle nuove navi – del personale in cassa integrazione e il raggiungimento di un accordo con le ditte appaltatrici per impiegare, il più possibile, giovani disoccupati residenti nel territorio, evitando l'applicazione di misure, ad avviso degli interroganti, penalizzanti per i lavoratori e non previste dall'attuale normativa (come l'utilizzo di microchip nelle scarpe);
   se non ritengano urgente la riapertura di un tavolo nazionale per rilanciare la cantieristica navale nel nostro Paese, salvare i livelli occupazionali di tutti gli stabilimenti attraverso un piano nazionale del settore navalmeccanico e cantieristico e procedere alla riorganizzazione dei cantieri italiani, lavorando sulla rottamazione di tutte le navi obsolete e inquinanti e dando vita a interventi a basso impatto ambientale nei bacini dei cantieri tali consentire la costruzione di navi che abbiano un rilevante grado di sostenibilità ambientale. (5-05391)

Interrogazione a risposta scritta:


   BECHIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   «Il progetto WIN-Work Intelligence Network, nasce per rispondere alla necessità di realizzare un nuovo modello organizzativo, gestionale e di controllo che, sfruttando appieno l'evoluzione tecnologica e gli strumenti potenziali che essa mette a disposizione, sia capace di far emergere i fenomeni evasivi e quindi indirizzare le attività di verifica e prevenzione.» (fonte www.win.lavoro.gov.it);
   il 5 agosto 2010 a Reggio Calabria veniva presentato dal dottor Daniele Lunetta il progetto elaborato dal «MINISTERO DEL LAVORO DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI – DG INNOVAZIONE TECNOLOGICA E COMUNICAZIONE» nel contesto PON Sicurezza, Obiettivo convergenza 2007-2013, denominato «W.I.N. WORK INTELLIGENCE NETWORK – SISTEMA DI CONOSCENZA E SUPPORTO DELL'ATTIVITÀ DI VIGILANZA» (da ora in poi denominato WIN). Nella stessa giornata il comune di Reggio Calabria dichiarò l'intenzione di concedere alcuni locali del CeDir, al fine di ospitare le infrastrutture tecnologiche destinate alla realizzazione, da parte della società mista RE.CA.SI spa, di un data center collegato al progetto WIN (fonte Il Quotidiano della Calabria);
   in una nota stampa della società mista RE.CA.SI spa, viene annunciato che la giunta comunale di Reggio Calabria avrebbe individuato i locali di cui sopra, con delibera n. 171 del 13 maggio 2010. Mentre in un'altra si informa che il 31 maggio 2010 sarebbero state «consegnate le chiavi dei locali per il progetto W.I.N. (Work Intelligence Network)» e che «per 15 anni il Ministero del lavoro e delle politiche sociali grazie all'impegno e alla dedizione del responsabile Lunetta avrà una sede gratuita a Reggio Calabria»;
   sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali è rintracciabile un capitolato tecnico relativo alla «Procedura aperta per l'affidamento dei servizi di sviluppo e conduzione del Parco Applicativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali»; tra gli applicativi indicati come facenti parte del parco applicativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, vi è indicato il portale relativo al progetto WIN, ma non parrebbe esserci il bando relativo alla collegata gara;
   la Corte dei conti, deliberazione n. 11/2014/G, nella relazione conclusiva dell'indagine concernente «Effetti del Protocollo d'intesa 4 agosto 2010 tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, INPS, INAIL ed Agenzia delle entrate in materia di attività ispettiva» oltre a dichiarare che «risulta, non ancora realizzata la banca dati unica dei soggetti controllati, prevista dall'articolo 10 del decreto legislativo n. 124 del 2004, e tuttora non adottati i provvedimenti attuativi della legge n. 106 del 2011, che impone una programmazione e accessi coordinati di tutti gli organismi di vigilanza in materia di lavoro e previdenza, secondo termini e modalità da disciplinare con decreto», a pagina 55 indica quanto segue: «L'investimento più significativo in proposito (oltre 3,6 milioni di euro), operato nel quadriennio 2010-2013, ha riguardato la realizzazione e la gestione del sistema di “Business intelligence”»;
   il sito http://www.opencoesione.gov.it/ presenta una scheda riassuntiva del progetto WIN, aggiornata al 30 giugno 2014, in cui viene indicato, alla voce risorse pubbliche, un finanziamento di 15.240.000,00 euro, interamente spesi per l'acquisto di non specificati beni e servizi;
   il sito del progetto WIN non risulterebbe essere raggiungibile tramite un link presente sul sito principale in cui è annidato, www.lavoro.gov.it, ed inoltre il primo livello di interfaccia risulterebbe scarsamente aggiornato;
   un comunicato della CGIL, datata 27 ottobre 2014 evidenzia che il portale WIN è conosciuto prevalentemente per l'ubicazione delle infrastrutture tecnologiche a Reggio Calabria, e che le «banche dati, accessibili tramite area riservata, sono molto parziali e non adeguate alle esigenze dell'attività ispettiva, né in grado di annullare il gap tecnologico per rendere più facili il raggiungimento degli obbiettivi fissati all'attività di vigilanza» –:
   se il Ministro interrogato intenda rendere noto relativamente al progetto WIN:
    a) chi siano e con quali procedure siano stati individuati i soggetti assegnatari;
    b) se vi siano state delle spese relative alla sede del data center di Reggio Calabria, ed in caso affermativo dettagliarle;
    c) l'elenco analitico dei beni e servizi acquistati con i 15.240.000 euro di risorse pubbliche relative al PON Sicurezza;
    d) quanto sia costato in totale il progetto;
   se il Ministro interrogato ritenga utile continuare a investire nel progetto WIN ulteriori preziose risorse pubbliche o intenda investirle in progetti di maggiore utilità;
   se il Ministro interrogato ritenga che i servizi informatici forniti al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sia in termini di servizi al cittadino sia in termini di benefici all'attività ispettiva, siano idonei e proporzionati al valore finale del progetto WIN. (4-08892)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SEGONI, DAGA, BUSTO, TERZONI, TOFALO, ZOLEZZI, DE ROSA, MANNINO, GAGNARLI, BALDASSARRE, ARTINI e BONAFEDE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in provincia di Pisa, nella zona denominata «Comprensorio del Cuoio» (composto dai comuni di Santa Croce Sull'Arno, Montopoli Valdarno, Castelfranco di Sotto, San Miniato) sono presenti varie industrie conciarie e vari impianti industriali che esercitano una forte pressione antropica sull'ambiente;
   nel suddetto territorio sono previste la costruzione di altri impianti industriali come un impianto di incenerimento rifiuti speciali ed il potenziamento di impianti di depurazione anche in vista di un progetto denominato «Tubone», cioè un impianto che permetterà di far confluire nella zona gli scarichi fognari da altre zone della Toscana per un ammontare complessivo di circa 28 milioni di metri cubi di acque reflue l'anno come asserito il 16 aprile 2008 dal Bollettino Ufficiale della Regione Toscana – n. 16 (pagina 39, articolo 2, comma 2);
   è stato istituito un gruppo di lavoro/commissione composto da rappresentanti e membri dell'Arpat (ente protezione ambientale per la Toscana), Asl 11 e con la collaborazione di altri enti quali l'Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica (ISPO) di Firenze, l'università di Pisa, la fondazione Monasterio – CNR, poiché nel 2008 molti medici di medicina generale segnalavano il decesso di molti soggetti, anche molto giovani, per leucemie nel comune di Montopoli Valdarno;
   la suddetta commissione ha presentato e pubblicato il proprio lavoro il 30 luglio 2012 e dalle conclusioni dello studio emerge che: «...nel comune di Montopoli tra le donne risulta in eccesso la mortalità per leucemie mieloidi negli anni 2000-2008 (7 osservati – di cui 5 nel 2004-2008 – e 1,8 attesi) in tutte le classi di età e specialmente in quelle giovani, mentre non risulta in eccesso l'incidenza. Tra gli uomini risulta elevata la mortalità per leucemie linfatiche nel periodo 2004-2008 (1.6 attesi e 5 osservati nel periodo 200-2008 di cui 4 nel 2004-2008). L'incidenza risulta in eccesso per tutte le leucemie nel 2004-2008 nella fascia di età 0-34 (SIR 795.9, osservati 4 contro 0.5 attesi) e anche per le leucemie linfatiche (SIR 856.2, 3 osservati contro 0.4 attesi)» e che, invece, «Tra gli uomini residenti a Santa Croce (dai dati del RTT) si evidenzia un eccesso di incidenza di leucemie nel 2004-2005 (casi 4 volte superiori all'atteso, basato su 8 casi osservati)»;
   il gruppo di lavoro ha concluso la propria analisi «...ritenendo che quanto realizzato costituisca il basamento di un sistema di sorveglianza in continuo, indispensabile per dare risposte in tempi brevi e con modalità adeguate sull'andamento corrente dei fenomeni indagati e, in questo contesto, per essere in grado di individuare e connotare per tempo ulteriori segnalazioni che dovessero provenire dai presidi di sorveglianza sanitaria sul territorio», e ha reputato necessario «...l'aggiornamento dei dati della mortalità e dell'incidenza delle patologie indagate su tutta la ASL e sugli ambiti territoriali e un approfondimento ulteriore sui casi in alcune limitate aree. Il lavoro svolto ha messo in evidenza alcuni limiti dei database correnti rispetto alla necessità di rispondere in maniera tempestiva ad alcune segnalazioni provenienti dal territorio ed ha individuato possibili correttivi.»;
   il principio di precauzione è un principio fondamentale come il diritto alla salute e come quello a vivere in un ambiente sano e salubre –:
   se il Ministro, nell'ambito delle proprie competenze, intenda effettuare uno studio per il tramite dell'Istituto superiore di sanità su aree sottoposte a forti pressioni antropiche al fine di verificare se sussistano correlazioni statistiche significative generalizzate tra tali condizioni ambientali e la compromissione della salute dei cittadini, ciò al fine di assumere ogni iniziativa, anche normativa, diretta a garantire ed assicurare il diritto alla salute dei cittadini anche in vista della costruzione di nuovi impianti che accentuino i fattori di rischio in tali aree. (5-05411)


   SEGONI, ARTINI, BONAFEDE, BALDASSARRE, GAGNARLI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a Prato esiste il più grande inceneritore di fanghi industriali d'Italia, che fa parte dell'impianto di Baciacavallo gestito da GIDA spa;
   le indagini epidemiologiche ad oggi eseguite hanno rilevato una maggiore incidenza tumorale nei residenti nell'area circostante l'impianto;
   nel 2007 è stato riscontrato dall'istituto zooprofilattico di Roma, un livello di diossine oltre volte 11 limite al momento in vigore (46,2 ng/kg di PCDD/F-PCB — WHO TEQ a fronte di un limite di 4 ng/Kg) in un pollo ruspante allevato a circa 700 metri dall'impianto;
   questo campione era stato individuato come riferimento («bianco») nel corso delle indagini su matrici biologiche effettuate dall'ASL di Pistoia a seguito del doppio superamento dei limiti per emissioni di diossine nell'inceneritore di Montale e proprio questo campione risultò quello più fortemente contaminato fra gli oltre 40 campioni analizzati nel corso della suddetta indagine;
   la provincia di Prato, su segnalazione degli organi di controllo (ARPAT), ha emesso negli anni numerose diffide nei confronti di Gida SPA, gestore dell'impianto, che ha costantemente disatteso le prescrizioni contenute nell'autorizzazione integrata ambientale. In particolare sono state disattese le prescrizioni relative allo SME (sistema di monitoraggio degli inquinanti in continuo);
   GIDA, il gestore dell'impianto, ha chiesto ed ottenuto dalla provincia stessa di non misurare il parametro dell'HCL (acido cloridrico), che è inquinante molto importante per quanto concerne gli inceneritori di fanghi industriali, quale quello di Baciacavallo, in quanto è un precursore dell'esaclorobenzene (HCB), sostanza tossica persistente che rientra fra i 12 POPs (Persistent Organic Pollutant) identificati e messi al bando dalla Convenzione di Stoccolma già nel 2001 per le gravi conseguenze per la salute umana e per l'ambiente che la loro esposizione comporta;
   si è costituita un'associazione senza scopo di lucro VAS (vita ambiente salute) che sulla base di esperienze fatte anche in altre località italiane interessate da insediamenti industriali o inceneritori (quali ad esempio Taranto, Forlì, Ravenna) e col supporto scientifico della Associazione o.n.l.us. di Medicina Democratica nazionale, ha raccolto i fondi per effettuare analisi su campioni di polli allevati nell'area di ricaduta dell'inceneritore di Baciacavallo in un raggio massimo di 2 chilometri e che tutti e tre i campioni sono risultati positivi, ovvero sopra i limiti imposti dalle normative per la sicurezza alimentare. Considerato anche il campione del 2007, il 100 per cento dei campioni esaminati risulta gravemente contaminato per presenza di diossine e furani (PCDD/F) e PCB diossino simili. In tutti i campioni si riscontra inoltre presenza di HCB, che nel campione 1 raggiunge valori oltre 4 volte superiori a quelli mediamente riscontrati in indagini analoghe –:
   se non ritengano opportuno commissionare, anche all'Istituto superiore di sanità, una seria indagine epidemiologica sulla popolazione residente a scalare, la prima entro un raggio di 1,5 chilometri da Baciacavallo, poi entro 3 chilometri, quindi entro 5 chilometri ed infine entro 10 chilometri;
   se non ritengano opportuno effettuare tali analisi sulla popolazione sia maschile che femminile, ricercando oltre al tumore al polmone, anche linfomi, cancro al fegato e alla mammella, malattie della tiroide, diabete e danni al sistema immunitario, emopoietico e riproduttivo. (5-05415)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BORGHESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il nome commerciale della pillola dei 5 giorni, dopo è quella di: ellaOne®;
   la pillola anticoncezionale è un farmaco antifecondativo messo a punto nel 1956 dal medico americano Gregory Pincus;
   fu introdotta in Europa nel 1961 e in Italia nel 1972;
   le quantità degli ormoni presenti nella pillola sono state man mano ridotte con il passare degli anni, ma è aumentata la sicurezza (il rischio di rimanere incinta utilizzando correttamente la pillola anticoncezionale è da considerarsi nullo) per di più sono diminuiti gli effetti collaterali;
   il suo principio attivo si chiama ulipristal acetato;
   è stata approvata per evitare una gravidanza entro le 120 ore (cioè 5 giorni) da un rapporto sessuale non protetto o da un fallimento contraccettivo (se si dimentica di prendere la pillola anticoncezionale);
   l'agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha approvato per l'Italia una disposizione che si discosta solo parzialmente dalle indicazioni dell'Agenzia europea del farmaco (Ema) che non prevedono ricetta per la pillola dei 5 giorni dopo;
   l'assunzione concomitante di altri farmaci deve essere sempre attentamente valutata;
   sono suggeriti controlli supplementari a tutte le donne che hanno una storia familiare di incidenti vascolari, ipertensione, gestosi e patologie autoimmuni. Generalmente una predisposizione familiare agli episodi trombotici fa sconsigliare l'assunzione anche della pillola dei 5 giorni dopo;
   la pillola dei 5 giorni dopo da oggi in Italia, si prescrive solo dietro prescrizione per le minorenni;
   come si apprende dal quotidiano «Corriere della Sera», che ha pubblicato la notizia, «Il farmaco è sicuro ma si sa ancora ben poco di quanto lo sia in caso di uso ripetuto»;
   non ci si può sostituire, come evidente, alla famiglia e alla volontà delle giovani, che non sanno cosa vanno ad ingerire e ne potrebbero fare, in mancanza di un'adatta prescrizione, ed un uso corretto del farmaco senza adeguati controlli;
   tale proposta ingenera poi un gravissimo vulnus giuridico in quanto a prevenzione, perché manca la cultura della prevenzione e del saper utilizzare anticoncezionali e precauzioni nel modo giusto e al momento giusto;
   non si può, solo perché l'Italia si allinea all'Europa prendere analogo provvedimento, imitare passivamente idee altrui senza considerare la realtà italiana, assai differente e assai variegata in questo senso;
   non è pensabile né auspicabile un provvedimento del genere in mancanza di una corretta e puntuale campagna di informazione, facendo così ricadere sulle giovani ragazze tutta la responsabilità di una scelta che, in talune condizioni, appare piuttosto rischiosa;
   il legislatore non può e non deve sostituirsi alle scelte legittime dei nuclei familiari e dei singoli, relativamente alla sfera personale, ma solo educare affinché queste non divengano controproducenti e vengano invece fatte secondo criterio –:
   come intenda procedere il Ministro, in relazione a questo argomento;
   se intenda il Governo, studiare la possibilità di agevolazioni ma in relazione alla strutturazione di campagna di sensibilizzazione relative al tema gravidanza e anticoncezione;
   se intenda il Governo, nella persona del Ministro interrogato, provvedere ad una chiarificazione su questa vicenda, studiando un modello più adeguato alle esigenze delle giovani italiane. (4-08870)


   DIENI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 32 della Costituzione italiana recita «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»;
   è in tal senso un caso che desta viva preoccupazione il caso vissuto dalla comunità di Triparni, frazione di Vibo Valentia, giunto all'attenzione della cronaca dei giornali locali già nel mese di ottobre scorso e rilanciato di recente da articoli come quello apparso sulla testata online www.calabria.web.oggi.it dal titolo «Il mistero di Triparni, il paese calabrese dei tumori», per l'altissimo tasso di neoplasie tra i residenti;
   sarebbero infatti 70 i casi di tumore nel territorio su un totale di 450 abitanti;
   non sarebbe stato filo ad oggi trovato tuttavia alcun nesso scientifico tra questo alto tasso d'insorgenza di tumori e fattori condizionanti noti come cancerogeni;
   infatti nel centro calabrese di Triparni non sarebbero presenti inceneritori, elettrodotti o industrie;
   al momento sarebbero giunti sul posto, alla luce di una petizione popolare, i tecnici Arpacal, l'Agenzia ambientale calabrese per sondare l'ambiente ma dei risultati univoci non sarebbero stati previsti a breve;
   a quanto risulta dalla stampa, in passato a Triparni sarebbero stati depositati diversi derivati di eternit e non si esclude che il territorio circostante possa essere luogo di scarico di altre sostanze illegali, anche in considerazione di altri eventi simili avvenuti in territorio calabrese per mano della criminalità organizzata –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto, di propria competenza, intenda attuare per garantire ai cittadini della frazione di Triparni (VV) il diritto alla salute e alla vita. (4-08883)


   VILLAROSA e GRILLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Sicilia, insieme ad altre regioni italiane, è sottoposta a piano di rientro finalizzato a verificare la qualità delle prestazioni ed a raggiungere il riequilibrio dei conti dei servizi sanitari regionali. Il Ministero della salute, attraverso il SIVEAS, affianca le regioni in questa difficile operazione, cercando di aiutare gli enti regionali, anche quelli a statuto speciale come la Sicilia, al raggiungimento degli obiettivi previsti dai piani di rientro;
   il difficile compito di rimettere in equilibrio il sistema di salute pubblica tra deficit finanziario ed erogazione di livelli essenziali di assistenza non dovrebbe, appunto, precludere l'erogazione di assistenza essenziali, ma a quanto pare questo non sempre avviene;
   in un articolo del 20 marzo 2015 pubblicato sulla Gazzetta del Sud, si apprende la notizia della chiusura immediata di tutte le sale operatorie della struttura ospedaliera operante a Barcellona Pozzo di Gotto. La motivazione di questa immediata chiusura sarebbe, si legge dall'articolo di Leonardo Orlando, riconducibile all'assenza, per motivi non precisati, di un anestesista ed alla conseguente drastica decisione della chiusura immediata di tutte le sale operatorie della struttura Barcellonese, presa dal primario per la sopravvenuta impossibilità di sostituzione a causa dell'indisponibilità di anestesisti;
   in un altro articolo del 10 aprile 2014 pubblicato sempre sulla Gazzetta del Sud, il giornalista Leonardo Orlando denuncia pubblicamente la sospensione, a causa della mancanza di anestesisti, delle attività delle sale operatorie dell'ospedale di Barcellona Pozzo di Gotto e, continua il giornalista, la probabilità che tali inconvenienti possano ripetersi nell'immediato futuro è elevata, in quanto nella struttura Barcellonese rimarrà in servizio un solo anestesista per interventi d'urgenza ed i trasferimenti in altre strutture;
   l'interrogante già nel luglio 2014 aveva osservato in prima persona alcune gravi e singolari «anomalie-ordinarie» in particolar modo per quanto riguarda la categoria degli anestesisti. A tal riguardo, la testata online 24live.it, in data 31 luglio 2014, ha pubblicato un articolo avente come oggetto la visita a sorpresa, del sottoscritto e del collega D'Uva, alla vicina struttura ospedaliera operante a Milazzo. In quell'occasione la dottoressa Emanuele, direttore sanitario della struttura Milazzese, aveva brutalmente confermato la mancanza, o meglio, l'assenza, degli anestesisti, asserendo che la maggior parte degli stessi risultavano spesso «assenti» per malattia, maternità, paternità, allattamento, privilegi della legge n. 104 o infortuni vari e convalescenze;
   questa situazione, probabilmente mai del tutto risolta, continua a creare numerosissimi problemi soprattutto per quanto riguarda i reparti inerenti alla chirurgia che si trovano costretti ad operare solo in urgenza, creando lunghe liste d'attesa per le «semplici» operazioni di routine;
   al di là degli obiettivi da raggiungere previsti dal piano di rientro, non si dovrebbe precludere l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza ed il SIVEAS probabilmente dovrebbe affiancare con maggior riguardo una regione molto particolare, la Sicilia, che presenta specifici problemi, con l'aggravante di avere attualmente in carica un assessore dimostratosi a giudizio degli interroganti non all'altezza del compito;

di quali elementi disponga circa lo stato di attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari in Sicilia e, in particolare, per quanto riguarda i profili gestionali e finanziari dell'ASP di Messina –:
   se e quali iniziative di competenza si intendano assumere, anche sul piano normativo, per affrontare il fenomeno dell'assenteismo, anche alla luce di quanto descritto in premessa. (4-08890)


   SILVIA GIORDANO e COLONNESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da un esposto alla Corte dei Conti di Napoli depositato il 25 gennaio 2012 risulta che il 4 luglio 2010, con delibera n. 498 del 25 giugno 2010, l'allora commissario straordinario dell'Asl Na2, Savarese, trasformava la struttura complessa delle professioni sanitarie in dipartimento delle professioni sanitarie e sociali. A capo del dipartimento nominava la dottoressa Antonietta Peluso;
   la conversione in dipartimento avviene nonostante nella struttura in esame risultano presenti 2 unità operative complesse invece di 3;
   nato come struttura semplice, il dipartimento delle professioni sanitarie e sociali era stato trasformato in struttura complessa con delibera n. 886 del 31 luglio 2008;
   la dottoressa Peluso fu nominata responsabile della struttura semplice il 15 gennaio 2004 con delibera n. 20, che le conferiva l'incarico triennale a far data dal 1o febbraio 2014;
   all'atto della prima nomina, risulta che la dottoressa Peluso non aveva ancora conseguito la laurea specialistica in scienze infermieristiche e ostetriche che avrebbe poi preso all'università di Roma Tor Vergata nell'anno accademico 2004-2005. Tanto che l'incarico le venne conferito in attesa del completamento dei corsi universitari (articoli 5-7 legge n. 251 del 2000 e legge regionale 4 aprile 2001);
   l'Asl Na2 provvide alla nomina senza aver espletato alcuna procedura concorsuale così come prevista dal Contratto collettivo nazionale del lavoro area dirigenza non medica SPTA dell'8 giugno 2000;
   quando nel 2008 la struttura semplice diventa complessa, c’è il rinnovo dell'incarico alla dottoressa Peluso. Il contratto viene firmato il 7 agosto 2008 e ha durata quinquennale. Anche in questo caso, l'Asl Na2 non bandisce alcun concorso;
   il citato esposto alla Corte dei Conti regionale di Napoli fa riferimento a un presunto danno erariale legato alla nomina dirigenziale di Antonietta Peluso;
   negli anni di dirigenza della dottoressa Peluso si sono alternate denunce e diffide su questioni legate alla gestione del personale infermieristico. Prima fra tutte quella legate ai trasferimenti e alle richieste di mobilità, che cronologicamente coincidono con il rinnovo delle elezioni delle Rsu aziendali;
   il 3 marzo 2011 il commissario straordinario Francesco Rocca delibera l'avviso di mobilità intraregionale all'AsI Na2 per titoli e colloqui e il 30 gennaio 2012 il sindacato Uil Fp invia un atto di diffida alla dirigente Antonietta Peluso e il direttore generale Giuseppe Ferrara a non effettuate alcun trasferimento di dipendenti fino al termine delle elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie. Le elezioni si sarebbero tenute il 6, 7 e 8 marzo successivi;
   un mese prima – il 14 febbraio 2012 – tre sigle sindacali (Cgil, Uil e Ugl) denunciano al prefetto di Napoli e alla giunta regionale «un utilizzo improprio e clientelare della mobilità interna, regionale e interregionale», occupando la sede della direzione generale;
   prima ancora, il 27 gennaio 2012, al prefetto di Napoli e alla giunta Caldoro arriva una nota della Ugl che denuncia: «la dott.ssa Peluso impropriamente utilizza il proprio ruolo, sfruttando la sudditanza psicologica dei sottoposti, creando un clima di terrore e dittatoriale dicendo «o fai quello che dico io o ti mando al P.O. Rizzoli di Ischia», e ancora... «provvede a trasferire in modo clientelare personale infermieristico da una struttura all'altra»;
   inoltre, si registra il mancato riconoscimento del premio di produttività, che, previo ricorso, il tribunale di Napoli-giudice del lavoro ha accertato, condannando l'asl anche al pagamento delle spese processuali –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e, considerato che comportamenti come quelli descritti sono forieri di aggravi di spesa per il sistema sanitario regionale, quali iniziative di competenza, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro, intenda assumere per evitare situazioni amministrative suscettibili di ostacolare il processo di risanamento della sanità campana;
   se la conversione in dipartimento della struttura complessa delle professioni sanitarie e sociali sia compatibile con l'attuazione del piano di rientro a cui è obbligata la regione Campania. (4-08900)


   AMODDIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito delle politiche per la tutela della salde, in particolar modo in questi ultimi anni, è stata rivolta molta attenzione al mondo delle malattie rare, a livello sia internazionale che nazionale;
   con il decreto ministeriale n. 279 del 2001 è stata istituita la Rete nazionale per le malattie rare che ha disciplinato attraverso alcune norme quadro l'organizzazione e la struttura di tale rete, affidando alle regioni il compito di individuare dei presidi che potessero diventare «centri di riferimento» per le malattie rare;
   nonostante lo sforzo che si sta compiendo a livello nazionale rivolto a tutti coloro che sono affetti da malattie rare, l'applicazione del citato decreto ministeriale n. 279 del 2001 ha evidenziato alcuni profili critici e ha dato luogo a diverse soluzioni interpretative;
   appare emblematico al riguardo quanto accaduto recentemente presso la provincia autonoma di Trento, dove un laboratorio specializzato nell'esecuzione di test genetici utili ai malati di malattie genetiche rare (tra l'altro, nella maggior parte dei casi tali test non sono necessari per la sola diagnosi di malattia rara, ma vengono utilizzati anche in un momento successivo per la prevenzione preconcezionale e prenatale), tutte ricomprese nei LEA, si è visto negare la possibilità di convenzionamento ex articolo 8-quinquies del decreto legislativo n. 502 del 1992 (il cosiddetto «accordo negoziale»), adducendo come unico motivo l'incompatibilità con la disciplina delle malattie rare;
   in tal modo, è stata negata la possibilità di accesso al test genetico ai malati, sebbene per alcune malattie (attualmente più di 10) tale centro sia l'unico in Italia a fornire il test genetico; a titolo esemplificativo, si ricorda un caso urgente relativo ad un bambino affetto da una forma genetica mendeliana di «linfedema ereditario e leucemia» che necessitava del test genetico per accedere al trapianto di midollo osseo; i genitori hanno dovuto pagare di tasca loro il test, perché offerto in Italia soltanto dal laboratorio di genetica in questione, malgrado l'esame sia perfettamente ricompreso nei LEA;
   secondo l'Azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento, il decreto ministeriale n. 279 del 2001 pone una disciplina speciale secondo la quale i sospetti/malati di malattie rare (si suppone, le circa 500 del decreto ministeriale n. 279 del 2001) devono rivolgersi esclusivamente al centro malattie rare, il quale prende in carico il malato; con la presa in carico, il centro organizza tutti gli esami necessari alla diagnosi e cura, compresi i test genetici. In questo modo il malato non potrebbe scegliere il professionista o laboratorio a cui rivolgersi, perché vi provvederebbe direttamente il centro di riferimento a propria discrezione pagando direttamente la prestazione e rendendo di conseguenza inutile l'uso delle impegnative (e di conseguenza inapplicabile il predetto convenzionamento);
   una tale interpretazione, ad avviso dell'interrogante, contrasta in modo palese con il principio della libertà del malato di scegliere la struttura cui rivolgersi per la tutela della propria salute; tale interpretazione, inoltre, negando la possibilità di convenzionamento a un laboratorio accreditato, nega la possibilità per alcuni malati di accedere al test genetico (almeno per quei test per cui il laboratorio è l'unico in Italia);
   la questione appare controversa, anche perché altre regioni risultano aver già stipulato accordi negoziali con laboratori genetici privati simili (sono noti oltre 20 laboratori convenzionati), ai quali i malati di qualsiasi regione possono accedere mediante l'impegnativa del medico specialista dell'ASL o del centro malattie rare;
   la stessa Commissione di genetica, peraltro, evidenzia la necessità del raccordo fra i Centri della Rete e l'attività dei laboratori privati convenzionati, dei quali viene riconosciuto il ruolo e l'autonomia; anche il Consiglio di Stato in una propria recente pronuncia ha ricordato che «il SSN è caratterizzato dal principio della libertà dell'utente nella scelta della struttura di fiducia alla quale lo stesso può rivolgersi per la funzione dell'assistenza sanitaria pubblica; e che tale scelta può essere operata fra le strutture pubbliche e quelle private che sono state ritenute idonee, mediante l'accreditamento, all'erogazione delle prestazioni sanitarie» (Consiglio di Stato III, n. 4574/2013 cit., punto 4);
   una impostazione in senso contrario non trova neppure giustificazioni di natura economica, in quanto è noto che i costi delle prestazioni relative alla specialistica ambulatoriale vengono imputati, entro determinati limiti economici, al sistema di compensazioni fra regioni annualmente approvato in seno alla Conferenza Stato-regioni (si veda, a titolo esemplificativo, l'Accordo interregionale per la compensazione della mobilità sanitaria di data 16 maggio 2013, in vigore dal 2012, alla voce compensazioni su «Specialistica ambulatoriale» nella quale rientrano i test genetici per la diagnosi delle malattie rare);
   tale sistema si pone l'obiettivo di garantire, per quanto possibile, un livello omogeneo di risposta alla mobilità sanitaria interregionale e di garantire la possibilità di diagnosi e cura ai cittadini in egual misura, a prescindere dal luogo di residenza; è peraltro nella natura stessa del concetto di malattia rara il frequente ricorso a strutture extra regionali per i malati;
   si determina di conseguenza un problema di funzionalità della rete delle malattie rare che supera i confini della provincia autonoma di Trento e richiede, a giudizio dell'interrogante, un intervento interpretativo e chiarificatore da parte del Ministro interrogato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se eventualmente intenda assumere iniziative normative, anche modificando il decreto ministeriale n. 279 del 2001, volte a dare soluzione alle descritte criticità riferite al convenzionamento dei laboratori privati di genetica medica, con ciò evitando ogni pregiudizio ai principi di parità di trattamento e di libera scelta del luogo di diagnosi e cura da parte del malato.
(4-08901)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   CANCELLERI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 codice dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture con la legge n. 114 del 2014, all'articolo 39 comma 1, viene introdotto il comma 2-bis che recita: «La mancanza, l'incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 obbliga il concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all'uno per mille e non superiore all'uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui versamento è garantito dalla cauzione provvisoria. In tal caso, la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere. Nei casi di irregolarità non essenziali ovvero di mancanza o incompletezza di dichiarazioni non indispensabili, la stazione appaltante non ne richiede la regolarizzazione, né applica alcuna sanzione. In caso di inutile decorso del termine di cui al secondo periodo il concorrente è escluso dalla gara. Ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l'individuazione della soglia di anomalia delle offerte»;
   al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 codice dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture con la legge n. 114 del 2014, all'articolo 39 comma 1, viene introdotto il comma 1-ter che recita: «Le disposizioni di cui articolo 38, comma 2-bis, si applicano a ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando o al disciplinare di gara»;
   con la determinazione n. 1 dell'8 gennaio 2015 recante «Criteri interpretativi in ordine alle disposizioni dell'articolo 38, comma 2-bis e dell'articolo 46, comma 1-ter del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163», l'ANAC ha inteso fornire uno strumento alla Stazioni Appaltanti per la gestione del soccorso istruttorio in sede di gara. L'ANAC puntualizza che «In caso di mancata regolarizzazione degli elementi essenziali carenti la stazione appaltante procederà all'esclusione del concorrente dalla gara» e nel caso in cui la mancata integrazione dipenda da una carenza del requisito dichiarato «all'incameramento della cauzione». Tuttavia l'Autorità non chiarisce con precisione cosa accade nei casi in cui il concorrente decida di non avvalersi del soccorso istruttorio;
   la Corte di Giustizia europea (causa C-42/13) si è pronunciata in merito alla legittimità dell'esclusione di una ditta atteso che, prima dell'entrata in vigore del novellato articolo 38, comma 2-bis, l'assenza di una dichiarazione essenziale era stata regolarizzata mediante soccorso istruttorio. Un'estensione del soccorso istruttorio prima dell'entrata in vigore del decreto su decisione discrezionale della commissione di gara sarebbe, invece, un comportamento lesivo del principio comunitario di parità di trattamento e dell'obbligo di trasparenza. Dopo l'entrata in vigore del decreto, mutatis mutandis, l'ammissibilità del soccorso istruttorio a tutti gli elementi essenziali per tutti i concorrenti conferma l'applicazione generale del principio di parità di trattamento sebbene con effetti sostanzialmente diversi nell'economia di gara. È questo il discrimine che ha promosso la centrale di committenza ASMECOMM in tutte le procedure bandite dagli enti aderenti a ridosso del 24 giugno 2014 e/o del 19 agosto 2014, rispettivamente entrata in vigore del decreto e della legge di conversione;
   la centrale di committenza ASMEL CONSORTILE scarl, coerentemente con le linee-guida del centro studi ASMEL, consiglia agli enti operanti sulla piattaforma ASMECOMM di attenersi al puntuale dettato normativo, non applicando la sanzione nel caso in cui la ditta dichiari tempestivamente di non avvalersi della facoltà di integrazione documentale riconosciuta dall'articolo 38, comma 2-bis del decreto legislativo n. 163 del 2006;
   il TAR Toscana, Sezione II, con sentenza n. 444 del 18 marzo 2015, è intervenuto in merito ad alcuni aspetti applicativi del soccorso istruttorio, tra cui le caratteristiche della cauzione provvisoria e l'obbligatorietà della stessa ai sensi dell'articolo 38, comma 2-bis. Riguardo a quest'ultimo aspetto viene evidenziato che laddove la mancanza della cauzione fosse qualificata come non essenziale, la stazione appaltante non dovrebbe neppure richiedere la regolarizzazione «ma ciò equivarrebbe ad affermare che la prestazione della garanzia per il pagamento della sanzione pecuniaria ex articolo 38 comma 2-bis, non è in realtà necessaria: il che vanificherebbe e renderebbe inutile la disposizione normativa e questo porta a concludere che la carenza di cui si discute costituisce “mancanza essenziale”, di cui la stazione appaltante deve chiedere la regolarizzazione e che deve essere poi oggetto di sanzione»;
   per il CESE, disporre di procedure d'appalto comuni a livello europeo garantisce una maggiore trasparenza e obiettività. Ad ogni modo, le direttive concedono a ciascuno Stato membro una grande flessibilità a livello amministrativo per adeguare le procedure e gli strumenti alle loro situazioni specifiche. Flessibilità di cui lo Stato dovrebbe approfittare per dimostrare maggiore impegno nella lotta alla trasparenza amministrativa utile a sconfiggere attività corruttive oppure alla deburocratizzazione, all'abbattimento dei costi e alla diminuzione dei contenziosi dovute alle gare d'appalto;
   quanto novellato dalla norma è già stato applicato nel caso del bando di gara per lavori per lo sviluppo di servizi culturali al territorio e alla produzione artistica e artigianale che opera nel campo dell'arte e dell'architettura contemporanea – linea di intervento 3.1.33. del PO FESR 2007/2013 CIG 53510577 in cui il comune di Messina ha chiesto il pagamento della sanzione pecuniaria alle ditte partecipanti;
   il comma 2-bis determina un aumento dei costi da sostenere sia per quanto riguarda le aziende partecipanti che vogliono avvalersi del soccorso istruttorio ma anche per quanto riguarda la pubblica amministrazione, se verrà confermato l'obbligatorietà del pagamento della sanzione da parte delle aziende, che dovrà emettere la sanzione, incassarla e prevedere un processo di controllo e recupero delle sanzioni non riscosse;
   il comma 2-bis in questione non solo ha l'effetto di aumentare la burocrazia nell’iter dell'aggiudicazione (prevedendo una scadenza ulteriore per le irregolarità essenziali) ma alimenta il costo di partecipazione ad una gara in Italia. Infatti, gli imprenditori europei che vorranno partecipare a una gara in Italia dovranno mettere in conto il costo della sanzione pecuniaria prevista (data la mancata standardizzazione europea dei documenti da presentare alle stazioni appaltanti);
   oltre all'aumento della burocrazia probabilmente si registrerà un aumento dei ricorsi da parte delle imprese con documentazione regolare e conseguentemente anche dei tempi di aggiudicazione dell'appalto poiché si parla di irregolarità essenziale. Inoltre non è da escludere la possibilità di applicazioni di sanzioni pecuniarie atte solo far cassa per l'ente (come ad esempio si legge dagli articoli di stampa riguardo le multe con l'autovelox nei comuni) ed in questo caso, trattandosi di appalti pubblici che interessano la collettività, ogni distorsione del sistema diventerebbe un illecito;
   a quanto risulta solo l'Italia prevede una sanzione di questa tipologia;
   ormai è pratica consolidata quella di effettuare una valutazione d'impatto prima di approvare una legge per valutarne gli effetti finanziari, siano essi positivi o negativi ed in questo caso non se ne ha traccia –:
   quale sia l'orientamento del Governo in merito alla possibilità di permettere, tramite pagamento di sanzioni e anche per irregolarità essenziale, l'ammissione in gara di aziende che alla scadenza del bando non presentavano documentazione regolare a discapito di quelle che invece forniscono tutto quanto richiesto dal bando entro la scadenza dei termini posto che tali disposizioni violano secondo gli interroganti il principio di parità di trattamento/pari condizioni;
   se vi sia il rischio di un aumento dei contenziosi e dei costi sia per le aziende partecipanti al bando che per la pubblica, amministrazione;
   se sia stato valutato se per il nostro Paese possa essere penalizzante un aumento dei costi rispetto alla situazione vigente negli altri Paesi europei che gli interroganti giudicano ingiustificato e se la norma di cui al comma 2-bis citato in premessa, sia conciliabile con il principio dettato dall'Europa di procedure d'appalto comuni. (4-08887)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LATRONICO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione a risposta scritta 4-05722, tuttora senza risposta, l'interrogante ha chiesto informazioni sui progetti di «chimica verde» in Basilicata;
   nell'aprile del 2013 l'allora governatore De Filippo, aveva chiesto alle compagnie petrolifere operanti sul territorio della regione Basilicata, di «mettersi su una linea di rispetto nei confronti della Regione» richiedendo l'avvio di iniziative un dossier per portare la «chimica verde» in Basilicata e creare un nuovo «polo da almeno 2 mila posti di lavoro»;
   nella primavera 2014 la Fondazione Mattei ha presentato i dati sull'occupazione in Val d'Agri (rilevata al 2013) che evidenziano come solo 1.077 lucani sono al lavoro nell'area petrolifera sui 2.533 lavoratori totali;
   anzi, negli ultimi tempi, abbiamo visto la stessa «chimica verde» prendere forma altrove: nel 2014 in Sardegna, a Porto Torres e poi a Gela, in Sicilia, dove sempre l'estate scorsa, dopo l'annuncio del ridimensionamento del petrolchimico, lavoratori e istituzioni alzarono le barricate fino ad ottenere la riconversione dello stabilimento in «raffineria verde»;
   si apprende dalla stampa che 70 dipendenti Eni di Gela sono «in trasferta» a Viggiano per un periodo di formazione; ma pare se ne attendano molti di più – forse addirittura 250, con il rischio che la trasferta divenga trasferimento; l'ENI quindi parrebbe intenzionata a ridurre il personale di Gela, portandolo in Basilicata;
   il 15 aprile c’è stato un duro confronto tra l'ENI e i sindaci della Val d'Agri, che hanno ricordato all'ente (tuttora per circa il 30 per cento di proprietà del Tesoro) come per la SATA di Melfi fu raggiunto un accordo Fiat, Regione e parti sociali che riservò l'80 per cento delle assunzioni ai lucani. Un accordo che oggi, senza che ci sia stata nessuna interlocuzione è stato replicato autonomamente dalla Fca di Marchionne: degli attuali 1.550 nuovi assunti, l'80 per cento (secondo fonti sindacali) è costituito da lucani –:
   quali informazioni possa fornire il Ministro interrogato sul dossier chimica verde in Basilicata;
   se non ritenga opportuno intervenire nei confronti delle società petrolifere impegnate sul territorio, in favore del lavoro dei lucani in Basilicata, considerato che l'occupazione dei lucani nel settore degli idrocarburi, deve considerarsi anche una misura di compensazione per i danni ambientali provocati dalle estrazioni petrolifere. (5-05396)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAVAGNO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa ha presentato, nel dicembre 2014, il nuovo piano strategico 2015-2019, che ridefinisce il servizio universale postale. Il piano prevede la chiusura di oltre 450 uffici postali e la riduzione degli orari di apertura in 608 uffici a livello nazionale;
   l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), con delibera n. 342/14/CONS, ha modificato i criteri di distribuzione degli uffici postali, integrandoli con specifiche previsioni a tutela delle realtà più piccole e remote del Paese, introducendo divieti di chiusura degli uffici postali nei comuni montani e rurali e in quelli delle isole minori. La stessa delibera, inoltre, impone a Poste di avvisare con congruo anticipo le istituzioni locali, in relazione alle misure di razionalizzazione, per consentire un confronto sull'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e per individuare possibili soluzioni alternative;
   l'entità del piano prevede la consegna a giorni alternati da farsi in 5.296 comuni su 8.046, coinvolgendo 15,4 milioni di abitanti. Di questi, 778 soltanto in Piemonte (19,6 per cento della popolazione regionale), 49 in Valle d'Aosta (45,5 per cento della popolazione), 423 in Lombardia (29,4 per cento della popolazione), 156 in Liguria (13,4 per cento della popolazione);
   da quanto affermato dal sindacato Slp Cisl, la chiusura degli uffici e la limitazione degli orari interessano non solo i piccoli centri, ma pure gli sportelli periferici dei comuni maggiori, zone importanti come quelli dei sobborghi di Alessandria o di Casale Monferrato –:
   quali misure intenda adottare il Ministro per garantire la piena operatività del servizio universale, in particolare modo per i cittadini che risiedono in aree svantaggiate del Paese;
   quali iniziative intendano intraprendere affinché siano rispettate le indicazioni dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sulla concertazione tra Poste italiane e le istituzioni del territorio nel processo di riorganizzazione degli uffici postali. (4-08871)


   LODOLINI, GIULIETTI e MANZI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 16 aprile Whirlpool-Indesit ha presentato alle segreterie nazionali il piano industriale che prevede un consistente numero di esuberi;
   in particolare cambia l'impostazione del precedente piano Indesit in maniera sostanziale prevedendo la chiusura del sito produttivo di Albacina e la concentrazione della produzione su quello di Melano incentrando le prospettive di lavoro non più sui forni ma sui piani ad induzione di tutti i mercati Whirlpool;
   un piano industriale che i sindacati hanno sin da subito sostenuto di non poter condividere ed hanno proclamato ed attuato immediate iniziative di mobilitizzazione in attesa dell'avvio della trattativa fissato per il giorno 20 aprile 2015;
   nell'incontro del 20 aprile all'inizio della discussione su precisa richiesta delle organizzazioni sindacali la rappresentanza Whirlpool-Indesit ha dichiarato solo la disponibilità all'ascolto e verifica confermando che il piano presentato è il migliore possibile e specificando che non avrebbe aperto una trattativa, ma sono presentato il dettaglio del piano stesso;
   la rottura è stata immediata ed i sindacati hanno proclamato 12 ore di sciopero. La trattativa è stata rinviata al Ministero dello sviluppo economico e si terrà il giorno 27 aprile 2015;
   il Governo è stato molto chiaro nelle sue posizioni. Ha espresso apprezzamento per le produzioni riportate in Italia dall'estero, e per l'investimento importante che riguarderà il nostro Paese, con la creazione di un polo di eccellenza della produzione e della ricerca. Ma ha affermato la sua netta contrarietà all'ipotesi di aumento degli esuberi –:
   se sia a conoscenza dell'entità degli investimenti e della loro distribuzione in funzione dello sviluppo dell'azienda sul territorio fabrianese, con particolare attenzione all'indotto e quali ripercussioni preveda il piano nella sua interezza, rispetto anche al personale degli uffici, impiegati in servizi della produzione.
(4-08876)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Oliverio e altri n. 1-00817, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Amoddio e Schirò.

  La mozione Marchi e altri n. 1-00825, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Iacono.

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Speranza ed altri n. 1-00769, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Gelmini, De Girolamo, Scotto, Guidesi, Catania, Schullian, Pastorelli, Amoddio, Zaccagnini, Franco Bordo, Palazzotto, Pellegrino, Zaratti, Fratoianni, Pannarale, Airaudo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Palese, Occhiuto, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti, Dorina Bianchi, Vignali, Alli, Tancredi e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Speranza, Dellai, Gelmini, De Girolamo, Scotto, Guidesi, Catania, Rostellato, Schullian, Pastorelli, Oliverio, Sani, Fauttilli, Fregolent, Martella, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Capozzolo, Carra, Cenni, Cova, Dal Moro, Falcone, Fiorio, Gadda, Lavagno, Marrocu, Mongiello, Mucci, Palma, Prina, Prodani, Rizzetto, Romanini, Segoni, Taricco, Tentori, Turco, Venittelli, Zanin, Amoddio, Zaccagnini, Franco Bordo, Palazzotto, Pellegrino, Zaratti, Fratoianni, Pannarale, Airaudo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Palese, Occhiuto, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti, Dorina Bianchi, Vignali, Alli, Tancredi».

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Scagliusi n. 5-05203, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Grande, Del Grosso, Di Battista, Sibilia, Carinelli, Petraroli.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fabrizio Di Stefano e Riccardo Gallo n. 5-05304, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Francesco Saverio Romano, Faenzi.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Dambruoso e Mazziotti Di Celso n. 3-01449, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rabino.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Fiano e altri n. 3-01454, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Carnevali, Amoddio.

  L'interrogazione a risposta scritta Vignaroli e altri n. 4-08851, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Grillo, Silvia Giordano, Baroni, Di Vita, Lorefice, Mantero.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Speranza n. 1-00769, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 402 del 31 marzo 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    la Carta di Milano vuole essere un «patto sul cibo» da consegnare al pianeta per vincere la sfida alimentare globale. Una reale assunzione di responsabilità da parte degli Stati e dei cittadini del mondo per garantire il diritto a un cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti;
    la Carta nasce dalla sintesi di un percorso di ricerca, di confronto, di idee e di culture sul tema di Expo 2015 «Nutrire il Pianeta, energie per la vita», avviato da Laboratorio Expo fin dal 2013 e proseguito in vari incontri, fino all'evento organizzato il 7 febbraio 2015 a Milano «Expo delle idee» articolato in 42 tavoli di lavoro suddivisi in quattro percorsi di studio: le dimensioni dello sviluppo tra equità e sostenibilità, la cultura del cibo, l'agricoltura, gli alimenti e la salute per un futuro sostenibile, la città umana e i futuri possibili tra smart e slow city;
    la versione finale della Carta verrà presentata al pubblico il 28 aprile 2015; il testo sarà, poi, condiviso il 4 giugno 2015 con i Ministri dell'agricoltura dei 147 Paesi partecipanti ad Expo 2015 e, infine, il 16 ottobre 2015 il documento verrà consegnato al Segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, in occasione della sua visita all'Expo;
    la Carta rappresenta un percorso bottom-up, ovvero dal basso verso l'alto: essa, infatti, vedrà protagonisti i cittadini, la società civile e le imprese che saranno chiamate, dal 1o maggio 2015, a sottoscrivere la Carta assumendosi la responsabilità di dare attuazione a precisi impegni. La Carta, infatti, conterrà una serie di impegni per cittadini, società civile e imprese contro lo spreco alimentare, per l'alimentazione sostenibile, per il diritto alla nutrizione, contro l'uso scorretto del suolo e delle risorse naturali. Saranno poi i cittadini, la società civile e le imprese a chiedere ai Governi e ai Parlamenti di tutto il mondo di assumere ulteriori impegni, giuridici e politici, puntualmente indicati dalla Carta;
    in questo senso la Carta rappresenta un modello del tutto innovativo di «protocollo» per il cibo: non sono i Governi a imporre dall'alto gli impegni, ma sono cittadini, società civile e imprese a impegnarsi in prima persona e a chiedere ai Governi di impegnarsi per raggiungere gli obiettivi del millennio;
    sostenendo la Carta di Milano, il Governo italiano fa propria la sfida di un sistema alimentare globale sostenibile attraverso azioni mirate a combattere lo spreco di cibo, favorire l'agricoltura sostenibile e contrastare fame e obesità. La strada da percorrere è indicata dalle parole di Maurizio Martina, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali con delega a Expo 2015: «La principale eredità di Expo è di contenuto e l'Italia darà anima al grande tema “Nutrire il Pianeta, energie per la vita” con la Carta di Milano, un protocollo per tutti i Paesi che decideranno di aderirvi e che in autunno arriverà a New York nella sede Onu per la definizione dei nuovi obiettivi del millennio». Un'eredità, dunque, di contenuto e di sostanza: immateriale nella sua definizione ma concreta, operativa e tangibile nella sua attuazione;
    secondo la Commissione europea la produzione e il consumo di cibo generano il 20-30 per cento di tutti gli impatti ambientali dell'Europa, il 17 per cento delle emissioni di gas serra, il 28 per cento di consumo di risorse materiali e altri impatti come consumo di suolo, perdita di biodiversità, deforestazione. Negli ultimi anni, inoltre, il settore agroalimentare è divenuto terreno di numerose illegalità gestite anche dalla criminalità organizzata. Ma l'agricoltura può in realtà divenire un'importante prospettiva di futuro per il nostro pianeta, sul piano economico e ambientale, ma anche culturale e sociale. Questo è possibile se si riscopre e si coltiva una relazione stretta fra cibo e produzione, se sono valorizzate e privilegiate le numerose pratiche agricole sostenibili, che da anni dimostrano di essere efficaci e di rappresentare una valida alternativa, se si favorisce la diffusione di un modello di agricoltura multifunzionale;
    sarebbe opportuno rilanciare la filiera corta di produzione creando una relazione diretta tra il produttore e il consumatore, che significa prima di tutto prodotti sempre freschi, genuini e di maggiore qualità, con dei costi molto contenuti e con un'attenzione anche all'ambiente. Essendo prodotti provenienti dal territorio le merci compiono meno passaggi, non devono essere imballate più volte e consentono una sensibile riduzione delle emissioni di anidride carbonica derivate dal trasporto; si incentiverebbe, altresì, anche la conoscenza dei prodotti tipici locali all'interno delle scuole, prodotti apprezzati e invidiati in tutto il mondo;
    il consumo di prodotti tipici e del territorio concorre al mantenimento di un buon stato di salute ed è, pertanto, particolarmente indicato per i bambini, ai fini di una corretta educazione alimentare. Il consumo di prodotti tipici e di qualità concorre, altresì, al mantenimento di forme di agricoltura ancorate al territorio e, quindi, anche alla tutela ed allo sviluppo dei valori economici, sociali e culturali che sono propri dei territori di cui gli stessi prodotti sono espressione;
    il cibo che si mangia, il modo in cui lo si produce, gli effetti sul nostro pianeta. Questi sono i temi di Expo 2015 e su questi temi tutto il mondo è chiamato a dare un contributo. Expo è un incrocio di culture. Fin dalla prima edizione londinese del 1851, le Expo servono soprattutto a questo: fare incontrare culture, etnie e comunità nazionali. A Milano ci saranno rappresentanti di 147 Pesi e turisti da tutto il mondo;
    per la prima volta nella storia delle Esposizioni universali, i Paesi partecipanti verranno raggruppati, anziché per criteri geografici, secondo identità tematiche e filiere alimentari. Sono nove i cluster telematici presenti a Expo Milano 2015: riso, cacao, caffè, frutta e legumi, spezie, cereali e tuberi, bio-Mediterraneo, isole, mare e cibo, zone aride. Al loro interno saranno visitabili aree comuni – mercato, mostra, eventi, degustazioni – e spazi espositivi individuali, in cui ciascun Paese interpreterà a modo proprio i temi dell'Esposizione;
    se si guarda al sistema alimentare globale ci si accorge di tre grandi paradossi del nostro tempo riguardanti il cibo: a fronte di un numero elevatissimo di persone che non vi hanno accesso, un terzo della produzione nel mondo è destinato ad alimentare gli animali e una quota crescente dei terreni agricoli è dedicata alla produzione di biocarburanti per alimentare le auto. E, a fronte di quasi un miliardo di persone al mondo che patiscono la fame o sono malnutrite, circa un miliardo e mezzo soffre le conseguenze dell'eccesso di cibo, aumentando il rischio di diabete, tumori e patologie cardiovascolari. Ogni anno si registrano 36 milioni di decessi per assenza di cibo e 29 milioni di decessi per eccesso di cibo, 144 milioni di bambini sono sottopeso, 155 milioni di bambini sono obesi o in sovrappeso. Infine, ogni anno viene sprecato un terzo della produzione alimentare globale, per un totale di circa 1,3 milioni di tonnellate all'anno, una quantità che sarebbe sufficiente a nutrire quasi un miliardo di persone che soffrono la fame o sono malnutrite. Nei Paesi in via di sviluppo le perdite più significative si concentrano nella prima parte della filiera agroalimentare, soprattutto a causa dei limiti nelle tecniche di coltivazione, raccolta e conservazione o per la mancanza di adeguate infrastrutture per il trasporto e l'immagazzinamento. Nei Paesi industrializzati la quota maggiore degli sprechi avviene nelle fasi finali della filiera agroalimentare (consumo domestico e ristorazione, in particolare);
    compito di Expo è fornire una valida risposta alla domanda se la crescita esponenziale dell'accaparramento delle terre (land grabbing), l'intensificazione dell'agricoltura mediante un eccessivo input di fertilizzanti e pesticidi, l'introduzione di organismi geneticamente modificati siano gli unici strumenti che si hanno per sfamare il mondo oppure se sia nostro dovere, in primo luogo, rendere l'intera filiera del cibo, dalla produzione alla trasformazione e consumo, inclusi stili di vita alimentari, più efficiente e sostenibile;
    il modello degli organismi geneticamente modificati è del tutto contrario e controproducente per gli interessi del settore agroalimentare del nostro Paese, che si basa sulla tipicità e sulla qualità. Per l'Italia, gli organismi geneticamente modificati in agricoltura non pongono solo seri problemi di sicurezza ambientale, ma soprattutto perseguono un modello di sviluppo che è il grande alleato dell'omologazione e il grande nemico del made in Italy;
    di «ritorno alla terra» in Italia si parla ormai da diversi anni. La crisi e la disoccupazione spingono i più giovani a cercare nuove strade: anche in professioni, quelle agricole, che fino a qualche anno fa erano snobbate e considerate un retaggio del passato. È un fenomeno ancora marginale da un punto di vista numerico, ma che porta nuova linfa – e nuove competenze – nell'agricoltura italiana e che va seguito con attenzione;
    in tale contesto si segnala l'importanza del progetto, We-women for Expo, che parla di nutrimento mettendo al centro la cultura femminile, con la convinzione che la sostenibilità del pianeta passa attraverso una nuova alleanza tra cibo e cultura e che le artefici di questo nuovo sguardo e nuovo patto per il futuro debbano essere le donne;
    l'acqua è destinata a diventare una risorsa strategica quanto il petrolio, se non di più. Già oggi la scarsità d'acqua colpisce circa 1,2 miliardi di persone in ogni continente e altre 500 milioni di persone si troveranno presto a fare i conti con la siccità a causa del cambiamento climatico. Il consumo d'acqua potabile è cresciuto a velocità doppia rispetto alla crescita della popolazione nell'ultimo secolo. La produzione di cibo è in assoluto uno dei fattori che incidono di più sul consumo d'acqua potabile e ridurre l'impronta idrica degli alimenti è una priorità strategica;
    senza ricerca non c’è futuro, anche nel settore agroalimentare. La Carta di Milano è l'occasione per definire strategie di sviluppo scientifico dalla pesca sostenibile al consumo di suolo, dalle biotecnologie all'agricoltura di precisione, dagli organismi geneticamente modificati alla gestione degli scarti alimentari, dal food packaging al food-print;
    a fine ’800 esistevano circa 8.000 varietà di frutta. Oggi ce ne sono meno di 2.000. Le motivazioni sono diverse: l'industrializzazione dei processi produttivi, il cambiamento climatico e quello delle abitudini alimentari. Le varietà sopravvissute sono quelle più convenienti da produrre e più adatte al trasporto. È necessario sostenere tutti quei processi che favoriscono il ritorno ad un maggiore biodiversità. La biodiversità comprende la vita in tutte le sue forme e implica la centralità della tutela di tutte le specie viventi sulla terra. L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha sancito il valore di tale patrimonio nel 1992 – a Rio De Janeiro – siglando la Convenzione sulla diversità biologica. Quando si rinuncia alla biodiversità in agricoltura si corrono gravi rischi, perché si rende facile la vita dei parassiti e si mettono a repentaglio intere filiere produttive;
    la sicurezza alimentare è una questione complessa che coinvolge l'intera filiera agroalimentare. Attiene ai rischi diretti e indiretti per la salute pubblica connessi a cibi, mangimi e materiali a contatto; ma anche alle contraffazioni, alla tracciabilità, alle etichettature. Nonostante i piani nazionali integrati e gli accordi comunitari, le sfide da affrontare sono ancora difficili e richiedono soluzioni globali;
    le frodi e le contraffazioni nel settore agricolo e agroalimentare rappresentano un fenomeno preoccupante e, nonostante l'intensificarsi dei controlli, continuano a svilupparsi in maniera crescente e fanno perdere risorse al nostro Paese, risorse che creano indispensabili rapporti commerciali che sono fondamentali per l'economia del territorio;
    l'educazione alimentare è senza dubbio un investimento importante per il futuro. Tutti gli studi dimostrano come un'alimentazione corretta sia il principale alleato nella prevenzione di malattie cardiovascolari e tumori, le malattie da cui deriva la maggior parte della spesa sanitaria;
    in tale contesto la dieta mediterranea, patrimonio culturale immateriale dell'Unesco, è un vero e proprio stile di vita che incorpora saperi, sapori, elaborazioni, prodotti alimentari, coltivazioni e spazi sociali legati ai territori. Proprio per valorizzare i valori legati alla dieta mediterranea e rivendicare una sorta di «orgoglio mediterraneo», l'Expo, su proposta del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, dedicherà una settimana di incontri, dibattiti, sperimentazioni alla «Dieta mediterranea patrimonio dell'umanità Unesco» dal 14 al 20 settembre 2015;
    le indicazioni geografiche dop (denominazione di origina protetta) e igp (indicazione geografica protetta) sono strumenti fondamentali per tutelare il made in Italy. I prodotti DOP e IGP italiani, infatti, rappresentano il 40 per cento dell'intera produzione a denominazione comunitaria, con un fatturato complessiva alla produzione di circa 7 miliardi di euro;
    dal falso olio extravergine di oliva ai prodotti Italian sounding che abbondano sui mercati internazionali: la contraffazione dei prodotti alimentari è una minaccia per la sicurezza dei consumatori e un danno per le imprese del settore, in particolare quelle che operano sui prodotti di alta qualità;
    la contraffazione e la falsificazione dei prodotti alimentari Italian sounding a livello internazionale hanno anche un rilevante impatto in termini di perdita di posti di lavoro che si potrebbero creare nel Paese con un'azione di contrasto a livello nazionale ed internazionale;
    dalle mozzarelle ai terreni agricoli, dai ristoranti all'autotrasporto, il business dell'agromafia fattura in Italia circa 14 miliardi di euro, trovando terreno fertile proprio nel tessuto economico indebolito dalla crisi e offrendo alla criminalità organizzata un appetibile strumento per riciclare denaro frutto di attività criminose;
    la creazione di un modello di allevamento, consumo e produzione sostenibili necessita di un intervento globale in cui le azioni dei Governi e delle istituzioni siano tese alla protezione e alla conservazione delle risorse del pianeta, allo sviluppo sostenibile, ad un uso efficiente delle risorse, alla lotta contro la fame e ad affermare il diritto alla sicurezza alimentare per tutti gli abitanti del pianeta ed è importante che la Carta di Milano sia il luogo d'assunzione di impegni di buone pratiche e modelli sostenibili in termini di politiche agricole;
    occorre evidenziare, anche in occasione di Expo 2015, il primato dell'agroalimentare e della sicurezza dei prodotti made in Italy; considerando, a tal fine, la possibilità di reintrodurre il vincolo per le aziende produttrici di scrivere sulle etichette lo stabilimento di produzione e di confezionamento dei prodotti alimentari allo scopo non solo di tutelare la salute e la sicurezza alimentare dei consumatori, ma anche di permettere loro di scegliere un alimento rispetto a un altro, anche in base al Paese o alla regione dove questo è prodotto, per la tutela anche del made in Italy,

impegna il Governo:

   ad assumere il diritto al cibo come un diritto fondamentale anche valutando l'opportunità di adottare iniziative per inserirlo nella Costituzione;
   ad adoperarsi affinché la Carta di Milano sancisca un «patto per il cibo» che sia una reale assunzione di responsabilità da parte degli Stati per garantire il diritto a un cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti, prevedendo, in particolare, i seguenti impegni:
    a) individuazione di un meccanismo che permetta ai Governi e ai sistemi di produzione, trasformazione e commercializzazione della filiera agroalimentare il raggiungimento di risultati dichiarati in modo esplicito e trasparente, prevedendo, ad esempio, che ogni singolo Paese sia tenuto a comunicare le finalità che intende raggiungere e gli obiettivi realizzati nell'ambito dei rapporti Ocse in modo che possano essere monitorati e giudicati dai cittadini;
    b) contenimento e riduzione del consumo di suolo in modo da limitarne l'impermeabilizzazione ed incremento delle food policies in modo da concentrare l'attenzione sulle funzioni ambientali ed agricole del suolo piuttosto che sugli usi urbanistici, per il contrasto al dissesto idrogeologico e per la produzione di cibo di qualità;
    c) incremento delle risorse per la ricerca scientifica ed applicata in agricoltura, al fine di sviluppare modelli di adattamento delle colture ai cambiamenti climatici e di migliorare la produttività agricola nell'ambito della biodiversità, con particolare riguardo alle principali colture euro-mediterranee;
    d) predisposizione di politiche agricole a sostegno dell'agricoltura contadina familiare, dei modelli di aziende biologiche, degli agricoltori che lavorano in modo ecosostenibile e dei piccoli agricoltori locali, consentendo il recupero e la coltivazione dei prodotti tradizionali, la migliore preservazione della biodiversità agraria con la conservazione e la valorizzazione delle varietà delle sementi, lo sviluppo di reti di acquisto di prodotti a chilometro zero, nonché il miglioramento delle condizioni sociali ed economiche dei piccoli agricoltori;
    e) promozione dell'agricoltura urbana attraverso la creazione di orti urbani e di spazi destinati alla coltivazione, previa assegnazione in comodato ai cittadini da parte dei comuni;
    f) implementazione delle esperienze di agricoltura sociale e degli aspetti connessi alla multifunzionalità agricola e delle politiche connesse al ricambio generazionale e al sostegno delle donne in agricoltura, anche attraverso l'introduzione di apposite misure agevolative, nel rispetto dei vincoli di bilancio, e l'istituzione di banche dati nazionali delle terre incolte e abbandonate;
    g) promozione di azioni educative nella scuola finalizzate a rendere noti i cibi che figurano nella dieta, cosa e quanto si spreca sia come consumatori finali che nell'ambito del processo produttivo, le modalità di produzione del cibo, con particolare riferimento all'impatto sull'ambiente e sulla salute, valorizzando in particolare, a tal fine, le istituzioni scolastiche ubicate nelle aree marginali montane e soggette a spopolamento;
   in considerazione delle dimensioni assunte dal fenomeno dello spreco alimentare e, soprattutto, dalla portata dei suoi impatti, a sostenere le azioni necessarie a contrastare il fenomeno ed in particolare:
    a) a dare un significato univoco ai termini food losses e food waste e ad armonizzare a livello internazionale la raccolta dei dati statistici;
    b) a comprendere le ragioni degli sprechi alimentari nelle varie filiere agroalimentari e a valutarne meglio gli impatti;
    c) ad investire prima nella riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari e poi sul loro recupero;
    d) ad avviare iniziative di recupero degli sprechi non ancora eliminati attraverso la distribuzione a persone svantaggiate e l'impiego come mangime o, come ultima alternativa, per la produzione di bioenergia;
    e) a favorire lo sviluppo di accordi di filiera tra agricoltori, produttori e distributori per una programmazione più corretta dell'offerta alimentare, anche al fine di prevedere condizioni adeguate, data l'importanza che riveste Expo 2015, affinché i produttori italiani di filiera corta siano in grado di presentarsi nel modo migliore al pubblico internazionale e dare, quindi, l'occasione alle qualità italiane di arrivare sui mercati esteri;
    f) a rendere il consumatore consapevole dello spreco e a insegnargli, a partire dalla scuola, come rendere più sostenibili l'acquisto, la conservazione, la preparazione e lo smaltimento finale del cibo;
   ad istituire la «settimana della dieta mediterranea» coinvolgendo scuole, enti di ricerca, soggetti pubblici e privati, al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica, diffondere, e far conoscere la cultura del mangiare mediterraneo e i suoi effetti benefici non solo sulla salute ma anche sui territori, sul paesaggio, sulla biodiversità agricola;
   ad individuare le possibili modifiche, nell'ambito dell'Unione europea e a livello nazionale, alla normativa in materia di appalti pubblici, prevedendo misure premiali nell'affidamento dei servizi di ristorazione scolastica e collettiva a favore delle aziende agricole che adottino metodi di produzione ecocompatibili o che svolgano una funzione di particolare rilevanza sociale;
   ad assumere le possibili iniziative al fine di contrastare il fenomeno del land grabbing, adottando modelli di sviluppo sostenibili che non incidano negativamente sui Paesi più poveri e sulla loro sicurezza alimentare e preservando il patrimonio legato alla terra e alle tradizioni locali, in modo da permettere lo sviluppo di economie rispettose della storia di ciascun popolo e del loro patrimonio agricolo;
   a razionalizzare l'utilizzo di agroenergie al fine di evitare che esse confliggano con la produzione di cibo e siano concentrate in aree marginali;
   a rafforzare controlli e strumenti per combattere le fitopatie alloctone;
   a promuovere il made in Italy, sia attraverso un modello innovativo di rete territoriale (dato che Expo è già oggi un metodo di lavoro fondato su progetti che mettono in dialogo le eccellenze italiane con i protagonisti della vita economica, sociale, culturale delle aree del mondo coinvolte), sia con un impegno forte e concreto, soprattutto in ambito europeo, per proteggere e valorizzare il made in attraverso norme chiare e adeguate, assumendo ogni iniziativa utile in tal senso anche in sede di definizione dei contenuti della Carta di Milano;
   a mettere in evidenza nella Carta di Milano l'esigenza di tutelare i prodotti di qualità attraverso le denominazioni di origine protette, parte rilevante delle economie di molti Paesi partecipanti ad Expo, a partire da quella italiana, anche al fine di adottare scelte che possano valorizzare davvero il made in Italy, affinché Expo sia una importante occasione per indicare impegni precisi da parte dei Paesi partecipanti atti a contrastare il dilagante fenomeno della contraffazione e delle sofisticazioni in campo agroalimentare;
   a promuovere il modello Expo 2015 nella solidarietà e nella cooperazione internazionale, valorizzando i progetti di sviluppo avviati in tutti i continenti, con decine di accordi stretti con le maggiori organizzazioni internazionali, come Fao, Onu, Millennium campaign, World food programme;
   ad adoperarsi, nell'ambito dei lavori concernenti l'elaborazione della Carta di Milano, affinché prosegua l'impegno nato con Expo Milano 2015 per il trasferimento tecnologico e di conoscenza ai Paesi in via di sviluppo con riferimento alle più recenti innovazioni, per garantire, a costi contenuti, un approvvigionamento più sicuro di cibo e acqua per la popolazione;
   a sostenere un impegno preciso all'interno delle Nazioni Unite e di tutte le organizzazioni internazionali affinché anche la Carta di Milano e i sei mesi di Expo diventino un'occasione planetaria per condannare lo sfruttamento che alcune realtà locali fanno dei minori in stato di indigenza;
   a sensibilizzare i cittadini in una più consapevole attenzione ai modelli nutrizionali, adoperandosi affinché, anche alla luce degli obiettivi della Carta di Milano, possa essere sviluppata un'incisiva educazione nei confronti dei consumatori in modo che aumenti sensibilmente la coscienza individuale e collettiva in relazione al valore primario del cibo;
   a favorire l'orientamento a modelli nutrizionali più sani attraverso il potenziamento della ricerca scientifica e tecnologica e la predisposizione di una campagna di comunicazione e di informazione ai cittadini al fine di adottare stili di vita sani;
   a contrastare con misure adeguate il fenomeno dell'infiltrazione nei processi produttivi agricoli di qualsiasi forma di criminalità organizzata, un pericoloso fenomeno che si sta sempre più diffondendo nel settore primario;
   ad assumere le opportune iniziative al fine di continuare, anche dopo Expo 2015, a prevedere il divieto dell'uso di organismi geneticamente modificati nelle produzioni agroalimentari e forestali in campo aperto, poiché il valore aggiunto delle produzioni italiane è dato dalla loro specificità ed una contaminazione da organismi geneticamente modificati porterebbe alla distruzione del sistema agroalimentare italiano e della biodiversità presente in Italia così come lo si conosce oggi, con le sue eccellenze, le sue varietà e le sue tipicità.
(1-00769)
(Nuova formulazione) «Speranza, Dellai, Gelmini, De Girolamo, Scotto, Guidesi, Catania, Rostellato, Schullian, Pastorelli, Oliverio, Sani, Fauttilli, Fregolent, Martella, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Capozzolo, Carra, Cenni, Cova, Dal Moro, Falcone, Fiorio, Gadda, Lavagno, Marrocu, Mongiello, Mucci, Palma, Prina, Prodani, Rizzetto, Romanini, Segoni, Taricco, Tentori, Turco, Venittelli, Zanin, Amoddio, Zaccagnini, Franco Bordo, Palazzotto, Pellegrino, Zaratti, Fratoianni, Pannarale, Airaudo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Palese, Occhiuto, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti, Dorina Bianchi, Vignali, Alli, Tancredi».

Ritiro di documenti di indirizzo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   mozione Zaccagnini n. 1-00776 dell'8 aprile 2015;
   mozione Gelmini n. 1-00779 dell'8 aprile 2015;
   mozione Guidesi n. 1-00780 dell'8 aprile 2015;
   mozione De Girolamo n. 1-00782 dell'8 aprile 2015.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Capelli n. 4-08832 del 17 aprile 2015.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Liuzzi n. 4-08827 del 16 aprile 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05421.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2 del Regolamento).

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Segoni e altri n. 4-01438 del 25 luglio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05410;
   interrogazione a risposta scritta Segoni e altri n. 4-01525 del 31 luglio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05411;
   interrogazione a risposta scritta Segoni e altri n. 4-01526 del 31 luglio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05412;
   interrogazione a risposta scritta Segoni e altri n. 4-02504 del 13 novembre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05413;
   interrogazione a risposta scritta Segoni e altri n. 4-02932 del 12 dicembre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05414;
   interrogazione a risposta scritta Segoni e altri n. 4-03044 del 21 dicembre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05415;
   interrogazione a risposta scritta Rostellato e altri n. 4-03352 del 28 gennaio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05408;
   interrogazione a risposta scritta Segoni e altri n. 4-04649 del 24 aprile 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05416;
   interrogazione a risposta scritta Segoni e altri n. 4-06249 del 2 ottobre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05417;
   interrogazione a risposta scritta Segoni e altri n. 4-06254 del 2 ottobre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05418;
   interrogazione a risposta scritta Segoni e altri n. 4-06844 del 12 novembre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05419;
   interrogazione a risposta scritta Segoni e altri n. 4-07244 dell'11 dicembre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05420;
   interrogazione a risposta scritta Rostellato e altri n. 4-08616 del 31 marzo 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05409.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta L'Abbate  e altri n. 4-08836 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 411 del 17 aprile 2015.
  Alla pagina 24136, prima colonna, dalla riga trentatreesima alla riga trentaquattresima, deve leggersi: «“Il Libro Possibile”» è una manifestazione letteraria, giunta nel 2014 al XIII» e non come stampato.
  Alla pagina 24137, prima colonna, alla riga quinta deve leggersi: «“Cultura”» e “Turismo”, rispettivamente» e non come stampato.