Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 21 aprile 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo n. 22 del 4 marzo 2015, attuativo della riforma cosiddetta «Jobs Act», ha introdotto il nuovo sussidio di disoccupazione che rischia di penalizzare fortemente i lavoratori del settore turistico, fino ad oggi occupati per sei mesi all'anno e percettori dell'assegno di disoccupazione per i restanti sei mesi;
    per avere accesso a questo sussidio, il disoccupato deve avere lavorato per almeno 13 settimane nei quattro anni e 30 giorni nei 12 mesi che hanno preceduto la perdita del posto;
    i lavoratori stagionali non lamentano tanto i requisiti succitati relativi al nuovo ammortizzatore, quanto piuttosto la durata dell'indennità, pari ad un numero di settimane corrispondente alla metà delle settimane contributive degli ultimi 4 anni di lavoro;
    ciò significa che se un lavoratore nella prossima stagione verrà assunto per sei mesi, nel mese di ottobre 2015 potrà accedere al nuovo sussidio di disoccupazione che, però, gli sarà erogato per soli tre mesi, rimanendo privo di copertura negli ulteriori tre mesi fino ad, eventuale nuova assunzione con contratto stagionale;
    trattasi di una situazione penalizzante per chi, invece, sino all'anno scorso maturava il diritto ai vecchi ammortizzatori sociali come l'assicurazione sociale per l'impiego ordinaria, che poteva durare anche un anno e dunque coprire il dipendente stagionale per il semestre successivo, prima dell'inizio di un nuovo periodo di lavoro estivo;
    alla minor durata del sussidio di disoccupazione si aggiunge l'ammontare ridotto dell'assegno, che penalizza fortemente i dipendenti stagionali con impieghi discontinui: a parità di retribuzione e di giorni lavorati nel corso dell'anno, un lavoratore stagionale che ha avuto lunghe pause tra un'assunzione e l'altra riceverà un'indennità di disoccupazione ben più contenuta rispetto ad un loro collega che ha lavorato per lo stesso tempo ma in maniera più lineare e continua;
    da notizie a mezzo stampa si apprende che i lavoratori penalizzati per l'entrata in vigore del nuovo sussidio, stanno sollevando le loro preoccupazioni dando vita a delle iniziative utilizzando i social network e firmando una petizione nazionale da inviare all'Inps; i promotori della succitata petizione spiegano che «si attendono chiarimenti dalle prossime circolari dell'Inps, che dovranno specificare in che modo il comma 2 dell'articolo 5 del decreto attuativo del Jobs Act, debba essere interpretato». L'istituto di previdenza ha risposto ai lavoratori stagionali dal proprio profilo Twitter «Al momento non abbiamo informazioni specifiche, ma non appena ne avremo le condivideremo con voi. In ogni caso per tutte le disposizioni dovete attendere la pubblicazione delle circolari operative dell'istituto»;
    secondo la Commissione europea il settore turistico è considerato «un'attività economica in grado di generare crescita ed occupazione nell'Unione europea, contribuendo allo sviluppo economico e all'integrazione sociale, in particolare delle zone rurali e di montagna, delle Regioni costiere e delle isole, delle Regioni periferiche e ultraperiferiche»;
    l'industria del turismo rappresenta, dunque, un settore chiave dell'economia europea, che genera oltre il 10 per cento del prodotto interno lordo dell'Unione europea, impiegando 9,7 milioni di persone e coinvolgendo 1,8 milioni di imprese;
    il turismo può contribuire efficacemente a incrementare il lavoro e lo sviluppo regionale, ad incentivare uno sviluppo sostenibile, a creare un patrimonio naturale e culturale maggiore, nonché a formare un'identità europea;
    la politica dell'Unione europea mira a promuovere il turismo in modo da mantenere la posizione di prima destinazione turistica mondiale, massimizzando, al contempo, il contributo del settore alla crescita e all'occupazione;
    il Trattato di Lisbona riconosce espressamente l'importanza del turismo all'articolo 195 del Trattato stesso, mentre la strategia europea sul turismo è enunciata principalmente dalla comunicazione «L'Europa, prima destinazione turistica mondiale — un nuovo quadro politico per il turismo europeo», adottata nel giugno 2010 dalla Commissione europea;
    tale quadro di iniziative per il turismo europeo definisce 21 azioni per l'industria del turismo su cui la Commissione europea intende operare in stretta collaborazione con gli Stati membri e con i principali operatori dell'industria turistica. Tali azioni possono essere riunite attorno a quattro assi principali che consistono nello stimolare la competitività del settore turistico europeo;
    promuovere lo sviluppo di un turismo responsabile, sostenibile e di qualità; consolidare l'immagine dell'Europa come insieme di destinazioni sostenibili e di alta qualità; infine, massimizzare il potenziale delle politiche finanziarie dell'Unione europea per lo sviluppo del turismo;
    sempre secondo la Commissione europea «il problema più grave del turismo in Europa è la sua elevata concentrazione in alta stagione, il che comporta la congestione delle capacità di trasporto e dei servizi di accoglienza, nonché il degrado dell'ambiente naturale ed umano nell'alta stagione, ed uno scarso impiego delle risorse finanziarie ed umane nella bassa stagione»;
    in Italia il turismo, rappresenta una fonte importante del prodotto interno lordo (PIL), attraendo milioni di visitatori l'anno e generando circa un milione di posti di lavoro, il 5 per cento dell'occupazione complessiva in Italia;
    dall'Osservatorio Bit (Borsa internazionale del turismo) in un'elaborazione esclusiva per il Sole 24 Ore, emerge che il tasso di stagionalità (la differenza percentuale tra presenze nell'alta stagione e nella bassa) è sceso solo dal 6,8 per cento nel 2000 al 5,8 per cento nel 2011, con il 49 per cento di arrivi e il 61 per cento di presenze concentrati tra giugno e settembre;
    a detta dell'interrogante occorre in quest'ottica favorire il processo di destagionalizzazione nel nostro Paese anche da un punto di vista di agevolazioni contrattuali al fine di consentire alle imprese che assumono personale in questo settore di poter essere aperte nei mesi con minor flusso turistico, per attrarre e investire maggiormente nel settore turistico;
    la destagionalizzazione dei flussi appare di estrema rilevanza ai fini dello sviluppo delle nostre imprese, essa si rivela ancora più strategica per il Mezzogiorno del nostro Paese, area in cui tale obiettivo è più agevolmente perseguibile grazie alle condizioni climatiche favorevoli,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per sviluppare ulteriormente, per quanto di competenza, i servizi del computo turistico, anche al fine di agevolare la destagionalizzazione dei flussi anche al di fuori dei periodi interessati (maggio/settembre), in modo da rendere più appetibile e ampia l'offerta;
   a promuovere ulteriormente e agevolare la destagionalizzazione del lavoro in questo settore anche attraverso l'incremento dei periodi interessati dai flussi turistici;
   a valutare la possibilità di assumere iniziative, anche di tipo normativo, al fine di garantire la continuità lavorativa nonché per agevolare l'incremento in termini temporali dei periodi di assunzione del personale impiegato nel settore di, cui al presente atto di indirizzo;
   a valutare nello specifico la possibilità di assumere iniziative per prevedere, per quanto concerne le assunzioni a tempo determinato superiori a sei mesi da parte delle imprese del settore turistico implicate in attività di lavoro stagionale, sgravi contributivi volti ad esentare gli imprenditori dal pagamento degli oneri previdenziali relativamente alle settima, ottava e nona mensilità in modo tale da destagionalizzare l'occupazione;
   a promuovere lo sviluppo del settore turistico anche attraverso l'erogazione di finanziamenti con Fondi europei finalizzati alla formazione professionale e all'inserimento lavorativo direttamente all'interno delle singole imprese;
   in particolare, a determinare una moltiplicazione delle infrastrutture, soprattutto di tipo tecnologico, al fine di determinare un incremento sensibile dell'offerta turistica, con particolare riguardo allo sviluppo della banda ultralarga, fissa o mobile.
(1-00816) «Altieri, Marti, Palese, Distaso, Ciracì, Chiarelli, Fucci».


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni si sono susseguite diverse modifiche al regime di tassazione per i terreni agricoli;
    l'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha anticipato in via sperimentale l'istituzione dell'imposta municipale propria (IMU) di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23;
    l'IMU, a norma del comma 1 del citato articolo 8 del decreto legislativo n. 23 del 2011, ha sostituito l'imposta comunale sugli immobili (Ici) e, per la componente immobiliare, l'imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) e le relative addizionali dovute in riferimento ai redditi fondiari concernenti i beni non locati;
    tale principio trova una parziale applicazione nell'ipotesi di terreni agricoli non affittati, tenuto conto della previsione di cui all'articolo 9, comma 9, del decreto legislativo n. 23 del 2011, laddove dispone che il reddito agrario di cui all'articolo 32 del Testo unico delle imposte sui redditi continua ad essere assoggettato alle ordinarie imposte erariali sui redditi. In tale ipotesi, pertanto, risultano dovute l'Irpef e le relative addizionali sul reddito agrario, mentre l'IMU sostituisce l'Irpef e le relative addizionali sul solo reddito dominicale;
    il comma 5 dello stesso articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha stabilito che il valore dei terreni agricoli, nonché di quelli non coltivati, posseduti e condotti da coltivatori diretti e da imprenditori agricoli professionali iscritti alla previdenza agricola (Iap), è costituito da quello ottenuto applicando all'ammontare del reddito dominicale risultante in catasto, vigente al 1o gennaio dell'anno di imposizione, rivalutato del 25 per cento, ai sensi dell'articolo 3, comma 51, della legge n. 662 del 1996, un moltiplicatore pari a 75 (come stabilito dalla legge di stabilità per il 2014). Per gli altri terreni agricoli, nonché per quelli non coltivati, si applica il medesimo procedimento di calcolo, ma il moltiplicatore da considerare è pari a 135;
    l'articolo 13, comma 6, del decreto-legge n. 201 del 2011, ha stabilito che l'aliquota di base dell'imposta è pari allo 0,76 per cento. È previsto che i comuni con deliberazione del consiglio comunale, adottata ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo n. 446 del 1997, possono modificare, in aumento o in diminuzione, l'aliquota di base sino a 0,3 punti percentuali;
    il comma 8-bis (introdotto dal decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44) del decreto-legge n. 201 del 2011 ha stabilito che i terreni agricoli posseduti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, e successive modificazioni, iscritti nella previdenza agricola, purché dai medesimi condotti, siano soggetti all'imposta limitatamente alla parte di valore eccedente 6.000 euro e con le seguenti riduzioni: a) del 70 per cento dell'imposta gravante sulla parte di valore eccedente i predetti 6.000 euro e fino a 15.500 euro; b) del 50 per cento dell'imposta gravante sulla parte di valore eccedente 15.500 euro e fino a 25.500 euro; c) del 25 per cento dell'imposta gravante sulla parte di valore eccedente 25.500 euro e fino a 32.000 euro;
    il comma 8 dell'articolo 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, oltre a stabilire l'esenzione degli immobili della pubblica amministrazione, precisava l'applicabilità alla nuova imposta delle esenzioni già previste dall'articolo 7, comma 1, lettere b), c), d), e), f), h), e i) del decreto legislativo n. 504 del 1992, in materia di Ici. La lettera h), in particolare, stabilisce che sono esenti: «i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina delimitate ai sensi dell'articolo 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984»;
    la circolare del 14 giugno 1993, n. 9, del Ministero delle finanze, riportava l'elenco, predisposto sulla base dei dati forniti dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste, in cui erano indicati i comuni, suddivisi per provincia di appartenenza, sul cui territorio i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina, delimitate ai sensi dell'articolo 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984, sono esenti dall'imposta comunale sugli immobili (Ici) ai sensi dell'articolo 7, lettera h), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504;
    in merito alle esenzioni, l'articolo 4, comma 5-bis, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, come modificato dal comma 2 dell'articolo 22 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, ha stabilito che, con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, dovevano essere individuati i comuni nei quali, a decorrere dall'anno di imposta 2014, si sarebbe applicata l'esenzione di cui alla lettera h) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, sulla base dell'altitudine riportata nell'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istituto nazionale di statistica (Istat), diversificando tra terreni posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, iscritti nella previdenza agricola, e gli altri. Ai terreni a immutabile destinazione agro-silvo-pastorale a proprietà collettiva indivisibile e inusucapibile che, in base al predetto decreto, non ricadano in zone montane o di collina, veniva riconosciuta l'esenzione dall'IMU. Dalle disposizioni citate doveva derivare un maggior gettito complessivo annuo non inferiore a 350 milioni di euro a decorrere dal medesimo anno 2014;
    il decreto interministeriale del 28 novembre 2014, in attuazione del dettato normativo, ha stabilito che fossero esenti dall'imposta municipale propria, ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, i terreni agricoli dei comuni ubicati a un'altitudine di 601 metri e oltre, individuati sulla base dell’«Elenco comuni italiani» pubblicato sul sito Internet dell'Istituto nazionale di statistica, tenendo conto dell'altezza riportata nella colonna «Altitudine del centro (metri)»;
    il Governo, dopo avere disposto una proroga dei termini di pagamento dell'imposta con il decreto-legge n. 185 del 2014 al 26 gennaio 2015, con il decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, recante misure urgenti in materia di esenzione dall'IMU, ha sensibilmente allargato il campo di esenzione dall'imposta prevedendo, anche con riferimento all'anno 2014, che: «l'esenzione dall'imposta municipale propria (IMU) prevista dalla lettera h) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si applica: a) ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, ubicati nei comuni classificati totalmente montani di cui all'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT); b) ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, iscritti nella previdenza agricola, ubicati nei comuni classificati parzialmente montani di cui allo stesso elenco ISTAT»;
    con i criteri adottati dal citato decreto-legge n. 4 del 2015, ben 3.456 comuni sono stati classificati totalmente esenti e 655 parzialmente esenti e si è introdotto un sensibile alleggerimento del carico fiscale in favore, in particolare, di coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali;
    l'aumento del carico fiscale sui terreni agricoli ha concorso ad una manovra più complessiva di redistribuzione del reddito che ha consentito di aumentare il potere di acquisto delle famiglie, contribuendo al miglioramento degli scenari macroeconomici delineato dal Documento di economia e finanza 2015, recentemente adottato dal Governo;
    l'applicazione dell'IMU sui terreni agricoli continua a generare molte preoccupazioni perché i criteri altimetrici non risultano sufficienti a determinare condizioni di equità;
    in fase di discussione del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, recante misure urgenti in materia di esenzione dall'IMU, la XIII Commissione (Agricoltura) della Camera dei deputati ha approvato un parere che, nel sostenere le linee d'intervento del Governo in materia di IMU agricola, sottolineava la necessità di valutare alcuni aspetti ancora irrisolti tra i quali, ad esempio, quelli riferibili a quei comuni con territorio non uniforme, per i quali occorrere differenziare anche nel medesimo comune tra zone svantaggiate e non, delimitando le diverse aree. La risoluzione delle richiamate questioni rafforzerebbe la competitività del settore agricolo e determinerebbe la tutela dei redditi degli agricoltori;
    appare necessario, specialmente in un momento di perduranti difficoltà economiche, garantire la competitività del sistema agricolo anche attraverso la scelta di garantire misure di favore di natura fiscale prioritariamente alle imprese agricole «professionali»,

impegna il Governo

a valutare, in funzione dei nuovi scenari di finanza pubblica prospettati nel Documento di economia e finanza 2015, la possibilità di ampliare il sistema di esenzioni dall'imposta, riconoscendo le stesse ai terreni siti in aree svantaggiate, tenendo debitamente in conto le condizioni geografiche e socioeconomiche, le caratteristiche orografiche e di redditività dei suoli e il livello di rischio idrogeologico dei territori, al fine di garantire una maggiore equità nell'applicazione del tributo, dando priorità ai coltivatori diretti e agli imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, iscritti alla previdenza agricola.
(1-00817) «Oliverio, Causi, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Capozzolo, Carra, Cenni, Cova, Dal Moro, Fiorio, Lavagno, Marrocu, Mongiello, Palma, Prina, Romanini, Sani, Taricco, Tentori, Terrosi, Venittelli, Zanin, Bonifazi, Capozzolo, Carbone, Carella, Colaninno, Currò, De Maria, Marco Di Maio, Marco Di Stefano, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Gitti, Gutgeld, Lodolini, Moretto, Pelillo, Petrini, Ribaudo, Sanga, Zoggia».


   La Camera,
   premesso che:
    Poste italiane spa ha presentato il 16 dicembre 2014 il nuovo piano strategico 2015-2019 e nell'ambito di un suo comunicato stampa ha evidenziato che il piano avrebbe previsto un unico gruppo integrato, focalizzato su tre aree: logistica e servizi postali, pagamenti e transazioni, risparmio e assicurazioni, prevedendosi:
   a) un fatturato in crescita verso i 30 miliardi di euro e una profittabilità che dovrebbe tornare a crescere;
   b) investimenti in piattaforme e servizi digitali per circa 3 miliardi di euro, di cui 500 milioni di euro per la sicurezza e la riqualificazione degli uffici postali come luogo di servizio, assistenza e consulenza ai cittadini e alle famiglie;
   c) una crescita nella «logistica pacchi» con l'obiettivo di quota di mercato superiore al 30 per cento nel segmento business to consumer;
   d) lo sviluppo della piattaforma dei pagamenti digitali, incrementando da 20 a 30 milioni di euro le carte di pagamento;
   e) l'ingresso di 8.000 nuove persone (50 per cento di nuove professionalità) e la riqualificazione di 7.000 persone;
   f) la ridefinizione del servizio universale postale in quanto considerato disallineato rispetto ai reali bisogni delle famiglie e non più sostenibile dal punto di vista economico, prima della firma del nuovo contratto di programma 2015-2019 prevista per il mese di marzo 2015;
    nonostante Poste italiane spa riceva significativi contributi da parte dello Stato nell'ambito della legge di stabilità per consentire agli uffici postali periferici di garantire l'erogazione dei servizi postali essenziali, con il citato piano veniva previsto a livello nazionale, nell'ambito dell'avviato processo di privatizzazione, la chiusura e la riduzione degli orari di apertura di centinaia di uffici postali;
    al riguardo appare opportuno rammentare che con la delibera n. 342/14/CONS, che è stata preceduta da una consultazione pubblica, sono stati modificati i criteri di distribuzione degli uffici postali fissati dall'articolo 2 del decreto del Ministro dello sviluppo economico del 7 ottobre 2008, integrandoli con specifiche previsioni a tutela degli utenti del servizio postale universale che abitano nelle zone remote del Paese. Al fine di garantire un livello di servizio adeguato in tali aree, la delibera introduce specifici divieti di chiusura di uffici postali, di cui Poste italiane spa deve tenere conto nella redazione del piano annuale di razionalizzazione degli uffici postali. La delibera, infatti, prevede particolari garanzie per i comuni caratterizzati da una natura prevalentemente montana del territorio e dalla scarsa densità abitativa e per le isole minori in cui sia presente un unico presidio postale. La delibera, infine, impone a Poste italiane spa di avvisare con congruo anticipo le istituzioni locali sulle misure di razionalizzazione, al fine di avviare un confronto sull'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e sulla possibile individuazione di soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale;
    nonostante ciò, per mesi si sono diffuse notizie di imminenti decisioni di chiusure di sportelli e uffici in tutta Italia (dalla Toscana all'Emilia-Romagna, dalla Lombardia alla Sicilia, dalla Sardegna all'Abruzzo e in altre regioni);
    la decisione di Poste italiane spa di ridurre il perimetro del servizio universale nei modi anzi descritti, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, confermava la volontà da parte della società di perseguire la mera logica del profitto puntando su assicurazioni, carte di credito, telefonia mobile e servizi finanziari in genere, che nulla hanno a che fare con il servizio universale, a scapito delle esigenze della collettività, chiudendo uffici che ritiene «improduttivi» o «diseconomici», senza considerare che i servizi postali rappresentano un servizio fondamentale per lo svolgimento delle attività quotidiane di numerosissime imprese, famiglie e residenti anziani che si troveranno nella condizione di non poter più usufruire di prestazioni essenziali, quali il pagamento delle bollette o la riscossione della pensione, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file nei giorni di apertura, ritardare le operazioni o affrontare frequenti e difficili spostamenti nei territori più disagiati;
    non a caso, le proteste da parte dei rappresentanti delle istituzioni regionali e locali non hanno tardato a giungere all'attenzione del Ministero dello sviluppo economico tanto da aver costituito oggetto di specifici incontri tra l'amministratore delegato di Poste italiane spa e il Sottosegretario di Stato con delega alle comunicazioni Giacomelli;
    in particolare, il 12 febbraio 2015, presso il Ministero dello sviluppo economico, si è tenuto un incontro tra il Sottosegretario di Stato, Antonello Giacomelli, l'amministratore delegato di Poste italiane spa, Francesco Caio, e il presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Angelo Cardani. La conclusione condivisa raggiunta è stata l'assicurazione, da parte di Poste italiane spa, circa la realizzazione di un confronto con regioni e comuni che precederà la fase attuativa del piano di razionalizzazione degli uffici postali. Poste italiane spa ha inoltre assicurato che il piano di chiusura degli uffici postali, previsto nel 2015, è conforme ai criteri fissati dalla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e che spetterà all’authority verificare ex post il rispetto degli obblighi previsti dal decreto ministeriale 7 ottobre 2008;
    pertanto, il successivo 19 febbraio 2015 la Conferenza delle regioni e delle province autonome, al fine di discutere il piano industriale, ha incontrato, insieme ai rappresentanti dell'Anci, il presidente e l'amministratore delegato di Poste italiane spa, Luisa Todini e Francesco Caio. In questa occasione l'amministratore delegato ha ribadito che il piano industriale dell'azienda comprenderà la chiusura di 450 uffici postali mentre 609 saranno aperti a giorni alterni;
    in tale occasione Francesco Caio ha rivendicato la bontà del piano strategico di Poste italiane spa citando, come possibile soluzione alla chiusura degli uffici postali, il potenziamento del così detto «portalettere telematico», in grado di offrire a domicilio i servizi principali dell'ufficio postale, vale a dire l'accettazione di raccomandate, la ricarica di postepay, l'utilizzo di poste mobile e il pagamento dei bollettini. Ha inoltre ricordato che i pagamenti delle pensioni potranno essere erogati su conti correnti o carte libretto che non richiedono l'accesso agli uffici postali;
    il «portalettere telematico» richiede che si stabilisca un rapporto di conoscenza e fiducia fra l'utente e lo stesso portalettere e che, in mancanza di questo rapporto, l'utenza, come è buona norma suggerita anche dalla Polizia di Stato, non aprirà la porta allo sconosciuto «portalettere telematico» al fine di evitare truffe, furti e rapine da parte di delinquenti oramai specializzati in questo tipo di reati. Il fenomeno appena descritto colpisce maggiormente la popolazione anziana che, secondo le proiezioni demografiche Istat relative al periodo di riferimento 1o gennaio 2011-2065, risulta in aumento. Infatti, gli ultra 65enni aumenteranno fino al 2043, anno in cui oltrepasseranno il 32 per cento. Dopo tale anno, tuttavia, la quota di ultra 65enni si consoliderebbe intorno al valore del 32-33 per cento, con un massimo del 33,2 per cento nel 2056. Il rischio concreto sarà quindi il mancato uso del «portalettere telematico» proprio da parte dell'utenza anziana che, per la ridotta capacità di movimento, ne avrebbe maggiormente bisogno;
    nel corso dell'audizione informale tenutasi presso l'8a Commissione (Lavori pubblici, comunicazioni) del Senato della Repubblica, nella seduta dell'11 marzo 2015, l'amministratore delegato Caio ha segnalato che Poste italiane spa ha effettuato 481 incontri con esponenti di regioni, Anci, prefetti, province e sindaci;
    in tutto il territorio nazionale, sono circa 9.000 i comuni che, direttamente o indirettamente, saranno coinvolti nel piano proposto da Poste italiane spa che, è bene ricordare, si basa su un totale di 1.064 interventi complessivi;
    appare pertanto del tutto evidente che il numero di incontri effettuati da Poste italiane spa risulti essere, per quanto sembra, ancora decisamente esiguo;
    il 7 aprile 2015, Poste italiane spa ha comunicato il differimento dell'attuazione del piano industriale;
    in data 15 aprile 2015, l'amministratore delegato di Poste italiane spa Francesco Caio, intervenendo nell'ambito di un'audizione informale svoltasi presso la Commissione IX (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei deputati, ha dichiarato che: «Se non si interviene con piano strategico importante, la prospettiva di tutta la redditività dell'azienda porta alla non sostenibilità nell'insieme di Poste italiane». I ricavi, ha sottolineato Francesco Caio, «sono passati da 21 a 28 miliardi ma il margine operativo è più che dimezzato nello stesso periodo. Sui ricavi registriamo la raccolta delle polizze vita» mentre «sulla componente della redditività incide l'andamento in forte flessione della corrispondenza». Caio ha poi aggiunto che «il piano industriale, messo a punto a dicembre e iniziato a eseguire a gennaio, dà alle Poste nell'orizzonte 2020 un ruolo di motore di sviluppo inclusivo» per il Paese. «Se saremo bravi, dovremmo invertire il trend in cui l'azienda è da qualche anno e tornare alla crescita anche dei margini»;
    è di queste ultime ore la notizia dell'acquisizione da parte di Poste italiane spa del 10,3 per cento della società di gestione del risparmio Anima da Monte dei Paschi di Siena per 215,2 milioni di euro. Un'acquisizione che secondo Francesco Caio avrebbe «una forte valenza industriale»,

impegna il Governo:

   a valutare l'impatto sociale e occupazionale della razionalizzazione degli uffici;
   ad adoperarsi per garantire la capillarità sul territorio e la permanenza degli uffici postali nei comuni rurali, montani e svantaggiati;
   a favorire il confronto costruttivo già in corso tra Poste italiane spa, regioni e comuni, con l'obiettivo di ridiscutere il piano di razionalizzazione degli uffici postali al fine di assicurare la piena operatività del servizio universale e di evitare che le decisioni assunte arrechino disagi agli abitanti dei comuni più disagiati del Paese, che si vedrebbero privati dell'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, così come previsto dall'accordo siglato tra Poste italiane spa e lo Stato;
   a perseguire con fermezza l'obiettivo di assicurare, durante l’iter di privatizzazione di Poste italiane spa la tutela, la protezione sociale e il mantenimento dei livelli occupazionali attuali di tutti i lavoratori impiegati presso l'ente, con particolare riferimento a quelli operanti nel settore del recapito postale in conformità all'ordine del giorno n. 9/2679-bis-A/26 presentato dal gruppo Sinistra Ecologia Libertà e accolto dal Governo in data 30 novembre 2014;
   a fornire al Parlamento l'indicazione complessiva dei contributi statali erogati negli ultimi cinque anni a Poste italiane spa per l'espletamento del servizio pubblico universale;
   a porre in essere ogni atto di competenza finalizzato a far sì che siano illustrate e diffuse pienamente le opportunità dei nuovi servizi telematici;
   ad assumere iniziative presso Poste italiane spa, per quanto di competenza, affinché, al termine del confronto in atto con regioni e comuni, venga pubblicata la lista completa degli uffici postali prossimi alla chiusura o interessati da una riduzione dell'orario di apertura.
(1-00818) «Franco Bordo, Scotto, Nicchi, Paglia, Piras, Airaudo, Placido, Zaratti, Ricciatti, Ferrara, Marcon, Duranti, Fratoianni, Melilla, Quaranta, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Matarrelli, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Sannicandro, Zaccagnini».


   La Camera,
   premesso che:
    Poste italiane spa è la più grande infrastruttura di servizi in Italia, grazie alla presenza capillare su tutto il territorio nazionale, fornisce servizi logistico-postali, di risparmio e pagamento, assicurativi e di comunicazione digitale a oltre 32 milioni di clienti;
    il suo capitale è detenuto dallo Stato italiano per il 65 per cento e dalla Cassa depositi e prestiti per il 35 per cento (a sua volta partecipata per il 70 per cento dallo Stato e per il 30 per cento da fondazioni bancarie);
    Poste Italiane spa è attiva tramite le controllate: Postel, Poste Vita, PosteShop, Postemobile, Sda Express Courier, Poste Assicura, Europa Gestioni Immobiliari, Mistral Air, Postecom, BancoPosta Fondi Sgr, Poste Tutela e Poste Energia;
    nel complesso Poste italiane spa impiega 143 mila lavoratori e nel 2013 il gruppo ha registrato ricavi totali pari a 29 miliardi di euro, un risultato operativo che si attesta a 691 milioni di euro, un utile netto di 212 milioni di euro, con un totale di risparmio amministrato, diretto e indiretto, pari a 459 miliardi di euro;
    il 28 gennaio 2015 si è svolto al Ministero dell'economia e delle finanze un incontro sul processo di privatizzazione di Poste italiane spa, nel corso del quale sono stati vagliati obiettivi, sequenza temporale e misure necessarie per procedere alla quotazione della società, per la quale sembra essere confermata la scadenza 2015 e l'alienazione non superiore al 40 per cento del capitale in più fasi;
    il processo di armonizzazione e liberalizzazione del mercato postale, previsto dalle direttive europee e completato dalla direttiva 2008/6/CE, recepita con decreto legislativo 31 marzo 2011, n. 58, ha determinato, progressivamente, un'erosione dell'area dei prodotti universali riservati ai fornitori del servizio universale;
    Poste italiane spa è tenuta a presentare annualmente all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni l'aggiornamento del piano di razionalizzazione delle strutture che non garantiscono condizioni di equilibrio economico redatto in conformità alla vigente normativa;
    il piano del 2014 è stato presentato da Poste italiane spa il 29 settembre del 2014 e prevede la chiusura di 445 uffici postali e una rimodulazione degli orari in 608 uffici;
    gli interventi previsti dal piano di razionalizzazione devono essere definiti nel pieno rispetto degli obblighi del servizio universale e dei vincoli di distribuzione degli uffici postali sul territorio italiano di cui al decreto ministeriale 7 ottobre 2008 recante «Criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale pubblica» e alla recente delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 342/14/CONS;
    il citato decreto ministeriale 7 ottobre 2008 definisce vincoli di presenza territoriale e con riferimento ai criteri di distribuzione degli uffici postali stabilisce: le distanze massime tra gli uffici postali ed i luoghi di residenza sulla base delle percentuali di popolazione nazionale residente; l'obbligo di assicurare l'operatività di almeno un ufficio postale nel 96 per cento dei comuni italiani; il divieto di soppressione di uffici postali che siano presidio unico sul territorio comunale (con orario minimo di 3 giorni e 18 ore settimanali);
    per tutelare in maniera maggiore le realtà più piccole e remote del Paese, la delibera n. 342/14/CONS dell'Autorità di settore ha integrato tali criteri prevedendo: il divieto di chiusura di uffici ubicati in comuni qualificati nel contempo rurali e montani (secondo i più recenti dati Istat), salvo siano presenti più di 2 uffici ed il rapporto abitanti per ufficio postale sia inferiore a 800, e il divieto di chiusura di uffici postali che siano presidio unico di isole minori;
    Poste italiane spa è quindi chiamata a conciliare una rete efficiente e capillare di uffici postali che rispetti i criteri di distribuzione previsti dalla normativa e, al contempo, ad adottare azioni per una gestione efficiente che sani eventuali diseconomie;
    i finanziamenti statali coprono, infatti, solo parzialmente l'onere di servizio universale e la legge di stabilità 2015 ha, inoltre previsto una riduzione consistente di risorse pubbliche destinate al finanziamento del servizio universale (262,4 milioni di euro annui nel periodo 2015-2019, rispetto ai circa 350 milioni di euro annui stanziati nel 2011 e nel 2012);
    l'utilizzo della rete degli sportelli postali per l'erogazione di servizi ulteriori rispetto a quelli rientranti nel perimetro del servizio universale ha consentito, in questi anni, il conseguimento di una maggiore efficienza nella gestione della rete;
    Poste italiane spa peraltro, al fine di migliorare la facilità di accesso della clientela ai propri servizi, ha sviluppato, già da tempo, opportunità di servizio alternative, che consentano a quest'ultima di usufruire di molteplici servizi direttamente da casa, dando avvio, già a partire dal 2007, al progetto «postino telematico», che prevede la dotazione progressiva del palmare a tutti i portalettere e che consentirà di disporre di una piattaforma tecnologica in grado di supportare nuovi servizi di Poste italiane spa a domicilio della clientela;
    recentemente, tuttavia, Poste italiane spa ha intrapreso un processo di internalizzazione del servizio recapiti, riducendo il numero delle agenzie di recapito esterne nonché il numero di città coperte dal servizio stesso. Ciò ha comportato la chiusura di numerose aziende di recapito con conseguente perdita di posti di lavoro, a fronte dell'assunzione da parte di Poste italiane spa di 8.000 persone con contratti a tempo determinato, scelta che potrebbe far perdere al servizio la qualità raggiunta grazie all'esperienza pluridecennale e un know how di basilare rilevanza per l'erogazione del servizio;
    il piano strategico di Poste italiane spa 2015-2019, secondo quanto esposto dall'amministratore delegato Francesco Caio alle competenti Commissioni permanenti della Camera dei deputati e del Senato della repubblica, persegue un obiettivo di sostenibilità del servizio universale nel lungo periodo, bilanciando adeguatamente la propria missione di azienda sociale e di mercato in un contesto di profonda discontinuità rispetto al passato;
    secondo l'amministratore delegato, la ricerca di un difficile punto di equilibrio tra i diversi fattori, che devono sostenere la trasformazione di Poste italiane spa, impone anche: una forte accelerazione nei prossimi 5 anni in termini di investimenti per l'innovazione dei servizi anche a favore del sistema Paese; di sostenere costi crescenti per la fornitura del servizio postale universale a fronte del declino della corrispondenza tradizionale e delle dinamiche concorrenziali; di mantenere i livelli occupazionali e al contempo di investire in formazione e rinnovamento delle competenze, per migliorare gli obiettivi di redditività;
    nell'audizione di mercoledì 15 aprile 2015 nella sede della Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni alla Camera dei deputati, l'amministratore delegato Caio ha difeso, in particolare, la strategia del gruppo affermando che il processo di razionalizzazione della presenza di uffici postali sul territorio è normato da regole precise e che il piano presentato nel settembre 2014 è molto al di sopra dei vincoli minimi indicati dalla legge, mantenendo un livello di presenza capillare degli uffici sul territorio tra i più alti d'Europa;
    lo stesso Francesco Caio ha ricordato che la legge di stabilità 2015, accanto al taglio del contributo pubblico per il servizio universale, introduce meccanismi di flessibilità nel servizio di recapito coerenti con le richieste che arrivano dal mercato e dai cittadini. I cittadini chiedono certezza della consegna più che velocità e per avere velocità sono disposti a pagare un po’ di più. Inoltre, il quadro normativo delineato dalla legge di stabilità è funzionale anche a dare certezze agli investitori in occasione della prevista privatizzazione di Poste italiane spa;
    poiché il servizio universale costa 1 miliardo di euro l'anno, per raggiungere l'obiettivo della sua sostenibilità finanziaria, secondo Caio, andrebbero ripensate – nell'ambito del nuovo contratto universale quinquennale in corso di definizione con il Ministero dello sviluppo economico – le regole d'ingaggio tra Poste italiane spa e Stato e la definizione stessa di servizio universale, prevedendo ad esempio nuovi servizi nell'ambito dell'Agenda digitale della pubblica amministrazione, che Poste italiane spa può contribuire ad accelerare; Poste italiane spa potrebbe diventare l'interfaccia digitale della pubblica amministrazione nei rapporti con cittadini e fornitori, assumendo un ruolo di diffusione dell'alfabetizzazione digitale, utilizzando gli uffici postali come punto d'appoggio;
    l'articolo 18 del disegno di legge sulla concorrenza approvato dal Consiglio dei ministri, intende abrogare, a partire dal 10 giugno 2016, l'articolo 4 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, liberalizzando il servizio di notifica a mezzo postale degli atti giudiziari e delle violazioni al codice della strada, in tal modo eliminando la riserva disposta a suo tempo a favore di Poste italiane spa; in tal modo Poste italiane spa perderà lo storico monopolio della notifica degli atti giudiziari e delle sanzioni e con esso altri 233 milioni di euro l'anno di ricavi;
    l'eliminazione della residua area di riserva è funzionale al processo di privatizzazione di Poste italiane spa in quanto consente di rimuovere un elemento potenzialmente lesivo della concorrenza, la cui permanenza mal si concilia con i cambiamenti connessi all'ingresso di soci privati nel capitale di Poste italiane spa;
    nel frattempo Poste italiane spa, su sollecitazione del Governo e del Parlamento, ha rinviato l'attuazione del piano che comporterebbe la chiusura di 445 uffici,

impegna il Governo:

   a garantire, anche in vista del processo di privatizzazione in atto, la sostenibilità economica del servizio universale postale e a valorizzare tutti gli asset di Poste italiane spa: servizi di logistica e corrispondenza, prodotti finanziari e prodotti assicurativi, salvaguardando la presenza capillare della società, che deve essere considerata nella sua unicità, su tutto il territorio nazionale, ottimizzando le sinergie tra i diversi settori di attività;
   a valutare con particolare attenzione l'impatto sociale del piano di razionalizzazione degli uffici di Poste italiane spa per gli anni 2015-2019, sollecitando ulteriormente Poste italiane spa affinché, nel confronto in atto con i diversi livelli istituzionali ponga particolare attenzione alla necessità di garantire il servizio nelle situazioni più critiche con particolare attenzione alle aree pedemontane caratterizzate dalla presenza di località o frazioni collinari e/o montane isolate ricomprese in comuni di pianura e alle comunità di cittadini in prevalenza anziani a ridotta mobilità;
   ad intervenire presso l'azienda Poste italiane spa perché, nell'ambito dell'attuazione del piano, sia posta una particolare attenzione allo sviluppo dei servizi innovativi e ad una loro più adeguata politica di informazione e di conoscenza dirette alle comunità interessate, con particolare riferimento alle potenzialità offerte dalle nuove tecnologie come l'utilizzo di palmari da parte dei portalettere per offrire servizi «in mobilità», su appuntamento, l'accettazione a domicilio delle raccomandate, il pagamento di tutte le tipologie di bollettini, la tracciatura della corrispondenza fino al momento della consegna, la notifica degli atti esattoriali ed altro;
   a chiedere a Poste italiane spa di precisare l'impatto occupazionale del piano di razionalizzazione della rete degli uffici postali nella sua attuazione a regime;
   a rilanciare con spirito costruttivo un nuovo modello di sviluppo nel settore della logistica di recapito, anche in considerazione dalle nuove possibilità che la diffusione che l’e-commerce offre, attraverso l'istituzione di un tavolo di concertazione tra tutti i soggetti interessati al processo - come quello che ha prodotto il memorandum del 2007 fra Ministero delle comunicazioni, Poste italiane spa e agenzie di recapito - per individuare un percorso comune tra la strategia industriale di Poste italiane spa e la valorizzazione del know how presente nelle aziende private.
(1-00819) «Tullo, Bonaccorsi, Bonomo, Brandolin, Bruno Bossio, Cardinale, Carloni, Castricone, Coppola, Crivellari, Culotta, Ferro, Cinzia Maria Fontana, Gandolfi, Pierdomenico Martino, Massa, Mauri, Minnucci, Mognato, Mura, Pagani».


   La Camera,
   premesso che:
    Poste italiane spa rappresenta una realtà aziendale sana che produce utili e che si è caratterizzata in questi anni, oltre che per un importante dinamismo imprenditoriale, anche per avere offerto il servizio universale postale ai cittadini del nostro Paese;
    il processo di armonizzazione e di liberalizzazione del mercato postale, previsto dalle direttive europee, completato dalla direttiva 2008/6/CE, recepita con il decreto legislativo 31 marzo 2011, n. 58, ha determinato, in modo progressivo, una trasformazione profonda del settore che ha comportato una diminuzione dell'area dei servizi postali universali riservati ai fornitori del servizio universale;
    il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, ha determinato il passaggio delle funzioni di regolamentazione e la vigilanza di Poste italiane spa all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Poste italiane spa è tenuta a presentare annualmente il piano di razionalizzazione delle strutture alla stessa Autorità;
    in ottemperanza al citato decreto-legge, il piano industriale 2015 è stato presentato da Poste italiane spa il 29 settembre 2014 con una previsione di chiusura di 455 uffici postali e di rimodulazione di orari in 609 uffici. Tale piano prevede, inoltre: un fatturato in crescita verso i 30 miliardi di euro ed una profittabilità che, dopo anni di flessione, potrà tornare a crescere; investimenti in piattaforme e servizi digitali per circa 3 miliardi di euro, di cui 500 milioni di euro per la sicurezza e la riqualificazione degli uffici postali come luogo di servizio; assistenza e consulenza ai cittadini ed alle famiglie. Secondo quanto sostenuto dall'amministratore delegato di Poste italiane spa le chiusure e le razionalizzazioni degli uffici postali preserveranno la capillarità della rete. Dopo l'attuazione del piano, il 92,49 per cento della popolazione avrà, infatti, uno sportello entro 3 chilometri, a fronte di un vincolo previsto dalla normativa vigente del 75 per cento e il 97,79 per cento lo avrà entro 5 chilometri, contro il 95 per cento fissato dalla legge;
    il contratto di programma vigente prescrive che Poste italiane spa trasmetta all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con cadenza annuale, l'elenco degli uffici postali e delle strutture di recapito che non garantiscono condizioni di equilibrio economico e che l'Autorità, nell'esercizio dei propri poteri di vigilanza, abbia la possibilità di integrare lo stesso piano;
    gli interventi previsti dal piano di razionalizzazione devono essere definiti nel pieno rispetto degli obblighi del servizio universale e dei vincoli di distribuzione degli uffici postali sul territorio italiano, come previsti dal decreto ministeriale 7 ottobre 2008 e alla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 342/14/CONS. Tale delibera, nel modificare i criteri di distribuzione degli uffici postali, ha disposto limitazioni a Poste italiane spa a tutela degli utenti del servizio postale universale che abitano in zone svantaggiate del Paese. In particolare, la delibera citata ha disposto il divieto di chiusura di uffici ubicati in comuni qualificati nel contempo rurali e montani, salvo siano presenti più di due uffici ed il rapporto abitanti per ufficio postale sia inferiore a 800, e il divieto di chiusura di uffici postali che siano presidio unico di isole minori. Inoltre, possono essere razionalizzati fino a garantire un orario minimo di 12 ore per 2 giorni settimanali gli uffici postali unici di un comune con meno di 500 abitanti, se entro 3 chilometri ci sia un ufficio aperto almeno 15 ore e 3 giorni la settimana;
    è da sottolineare, inoltre, come il contratto di programma vigente preveda che Poste italiane spa si impegni a dare completa attuazione ai progetti ed agli interventi programmati nel piano d'impresa e nel contratto, con particolare riguardo al mantenimento dell'offerta qualitativa dei servizi ed al contenimento dei costi connessi all'erogazione del servizio postale universale;
    risulta essenziale, pertanto, che Poste italiane spa si confronti con gli enti locali al fine di valutare l'effetto del proprio piano industriale sui servizi offerti, garantendo la piena operatività del servizio universale, in particolare modo per i cittadini che risiedono nelle aree svantaggiate del Paese, prendendo in considerazione anche l'età anagrafica delle persone coinvolte. Tale confronto è indispensabile per evitare che le decisioni assunte in modo unilaterale provochino criticità nei riguardi degli abitanti dei comuni più disagiati del Paese che, in questo modo, si vedrebbero privati dell'erogazione di un servizio pubblico di qualità, così come previsto dall'accordo siglato tra Poste italiane spa e lo Stato;
    Poste italiane spa è pertanto chiamata ad affrontare il complesso compito di coniugare l'esigenza del servizio universale da fornire agli utenti con l'efficienza della gestione. Infatti, in ottemperanza a quanto previsto dalla normativa vigente, deve dotarsi di una rete di uffici postali che rispetti un criterio di distribuzione degli stessi e favorisca l'utenza del servizio postale;
    è opportuno, inoltre, che Poste italiane spa precisi l'impatto occupazionale del piano di razionalizzazione della rete degli uffici postali dopo la sua attuazione;
    inoltre, è importante che Poste italiane spa ponga una maggiore attenzione allo sviluppo dei servizi innovativi con particolare riguardo alle offerte derivanti dalle nuove tecnologie. In particolare, occorre favorire la realizzazione del progetto « postino telematico». Tale progetto secondo il piano depositato dall'amministratore delegato di Poste italiane spa presso la Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera dei deputati, raggiungerà nel 2016 un livello di copertura pari al 100 per cento del territorio,

impegna il Governo:

   ad attuare, per quanto di competenza, interventi diretti a far sì che Poste italiane spa garantisca il servizio pubblico universale che presuppone un'adeguata copertura del territorio nazionale;
   ad accertarsi che il processo di consultazione con gli enti locali avvenga, così come previsto, tramite un confronto con gli stessi per valutare attentamente la ricaduta che il piano potrà comportare sulle diverse aree del Paese salvaguardando, al contempo, tutte le aree dell'Italia che sono particolarmente svantaggiate, e a pubblicare, al termine del confronto, la lista completa degli uffici postali prossimi alla chiusura o interessati ad una riduzione dell'orario di apertura precisando le modalità sostitutive dei servizi;
   ad intervenire presso Poste italiane spa perché, nell'ambito dell'attuazione del piano, sia posta una maggiore attenzione e rapidità allo sviluppo di servizi innovativi e tecnologici in modo da consentire ai cittadini di poter effettuare direttamente dalla propria abitazione un serie di operazioni che attualmente sono disponibili solo presso gli sportelli postali;
   a chiedere a Poste italiane spa di precisare l'impatto occupazionale del piano di razionalizzazione degli uffici postali dopo la sua attuazione;
   a monitorare con maggiore attenzione i bandi pubblici per l'assegnazione dei servizi postali in capo alle pubbliche amministrazioni, troppo spesso oggetto di affidamento diretto, in contrasto con quanto previsto dalle normative europee;
   ad operare, in linea con le principali esperienze a livello internazionale, una riduzione del perimetro del servizio universale con riguardo ai prodotti inclusi, lasciando al suo interno solo la posta consumer ed escludendo la posta spedita dalle aziende, al fine di limitare l'impegno economico dello Stato per quel segmento postale che riguarda la posta massiva che può essere liberamente gestita dal mercato, considerato che i proventi aggiuntivi in termini di gettito IVA dall'eventuale riforma potrebbero essere destinati a incrementare il fondo di compensazione per l'espletamento del servizio;
   ad assumere iniziative per prevedere che alcuni servizi, non strettamente connessi all'espletamento del servizio universale, vengano offerti non in regime di esclusiva da Poste italiane spa.
(1-00820) «Garofalo, Dorina Bianchi, Piso».


   La Camera,
   premesso che:
    la regolazione del settore postale, soggetta ad un'opera di armonizzazione a livello europeo, è contenuta nel decreto legislativo n. 261 del 1999, recante «Attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio», come da ultimo modificato dal decreto legislativo n. 58 del 2011, recante «Attuazione della direttiva 2008/6/CE che modifica la direttiva 97/67/CE, per quanto riguarda il pieno completamento del mercato interno dei servizi postali della Comunità»;
    sulla base del decreto legislativo n. 58 del 2011 sopra richiamato Poste italiane spa, controllata a livello totalitario dal Ministero dell'economia e delle finanze, risulta affidataria per quindici anni e quindi fino al 2026 del servizio universale postale, che comprende, ai sensi del disposto dell'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 261 del 1999, e successive modificazioni: «a) la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione degli invii postali fino a 2 kg; b) la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione dei pacchi postali fino a 20 kg; c) i servizi relativi agli invii raccomandati ed agli invii assicurati»;
    i rapporti tra lo Stato e il fornitore del servizio universale sono disciplinati nel dettaglio dal contratto di programma. Il contratto di programma tra il Ministero dello sviluppo economico e Poste italiane spa per il triennio 2009-2011 è stato approvato con legge n. 183 del 2011 (comma 31 dell'articolo 33), fatti salvi gli adempimenti previsti dalla normativa comunitaria;
    la legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190 del 2014), al comma 274, ha previsto che: «a) il contratto di programma per il triennio 2009-2011, stipulato tra il Ministero dello sviluppo economico e la società Poste italiane spa, approvato dall'articolo 33, comma 31, della legge 12 novembre 2011, n. 183, resta efficace fino alla conclusione della procedura di approvazione del nuovo contratto di programma per il quinquennio 2015-2019 secondo le previsioni di cui al comma 275 del presente articolo»;
    il successivo comma citato prevede che «Il contratto di programma di cui al comma 274, lettera b), è sottoscritto tra il Ministero dello sviluppo economico e il fornitore del servizio postale universale entro il 31 marzo 2015 e contestualmente notificato alla Commissione europea per le valutazioni di competenza»;
    la stessa legge di stabilità, ai commi 277 e seguenti, prevede che il contratto di programma 2015-2019 per il servizio postale possa contenere misure di razionalizzazione del servizio e di rimodulazione della frequenza settimanale di raccolta e recapito sull'intero territorio nazionale, ferme restando le competenze dell'autorità di regolamentazione (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), derogando per tal via agli obblighi di servizio universale postale di Poste italiane spa;
    sebbene la legge di stabilità di cui sopra fissava quale termine ultimo per la sottoscrizione del contratto di programma 2015-2019 il 31 marzo 2015, lo stesso non risulta ancora essere stato sottoscritto;
    come noto, infatti, l'affidamento del servizio universale postale comporta, in ossequio alle previsioni del legislatore comunitario, a carico della società affidataria l'obbligo di rispettare specifici livelli qualitativi e quantitativi del servizio offerto, che deve essere prestato in modo omogeneo all'interno del territorio nazionale e deve essere offerto a tariffe accessibili;
    la vigilanza sull'attività di Poste italiane spa nell'espletamento dei propri compiti di servizio universale è affidata al Ministero dello sviluppo economico e all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, secondo diversi ambiti di rispettiva competenza;
    la delibera n. 342/14/Cons dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni prevede criteri specifici di distribuzione degli uffici postali con divieto di chiusura di uffici situati in comuni rurali che rientrano anche nella categoria dei comuni montani e di uffici che sono presidio unico nelle isole minori. La delibera, inoltre, impone a Poste italiane spa di avvisare con congruo anticipo le istituzioni locali sulle misure di razionalizzazione, al fine di avviare un confronto sull'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e sulla possibile individuazione di soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale;
    da un'elaborazione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sui dati di Poste italiane spa si evince che il 60 per cento dei 288 comuni privi di un ufficio postale appartiene alla categoria dei comuni rurali e totalmente montani;
    nel quadro descritto è noto che il Governo con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, approvato nel Consiglio dei ministri n. 16 del 2014, ha avviato un processo di privatizzazione del 40 per cento del capitale azionario di Poste italiane spa da collocarsi attraverso un'offerta pubblica di vendita rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia, inclusi i dipendenti del gruppo Poste italiane spa, e/o a investitori istituzionali italiani e internazionali;
    Poste italiane spa ha presentato il 16 dicembre 2014 il nuovo piano strategico 2015-2019, che, tra le altre cose, intende ridefinire gli obblighi di servizio universale postale posti a carico della società dalla normativa europea e nazionale, da un punto di vista economico, logistico e organizzativo. La società si impegna con il nuovo piano industriale a raggiungere determinati obiettivi di qualità, prevedendo, però, a partire dai prossimi mesi, in numerose regioni, la progressiva chiusura di ben 455 uffici postali a livello nazionale e la riduzione degli orari di apertura in circa 608 uffici, ritenuti «improduttivi» o «diseconomici»;
    la nuova politica aziendale che Poste italiane spa intende perseguire sta determinando diffuse preoccupazioni nei cittadini, in particolar modo nei piccoli centri urbani, spesso isolati, così come evidenziato anche dai sindacati dei pensionati, nonché da sindacati regionali di categoria come Spi (Sindacato pensionati italiani) della Cgil, Fnp (Federazione nazionale pensionati) della Cisl e Uilp (Unione italiana lavoratori pensionati) della Uil, che criticano l'iniziativa in ottica di livelli occupazionali, nonché in virtù delle gravi ripercussioni che si determineranno nella fascia di popolazione più debole, composta da disabili e anziani;
    dal piano presentato emerge che Poste italiane spa intende puntare su assicurazioni, e-commerce, carte di credito, telefonia mobile e servizi finanziari in genere, anziché garantire il servizio universale, a scapito delle esigenze della collettività, chiudendo uffici che ritiene «improduttivi» o «diseconomici», senza considerare che i servizi postali rappresentano un servizio fondamentale per lo svolgimento delle attività quotidiane di numerosissime imprese, cittadini ed in particolare delle famiglie;
    le zone maggiormente colpite dalle annunciate chiusure risultano essere quelle aree nelle quali insistono numerosi comuni e frazioni interessati dal ridimensionamento messo in atto da Poste italiane spa. In tali zone attualmente vengono offerti servizi destinati a frazioni contigue già prive di uffici postali. Appare, quindi, ulteriormente inopportuna l'attuazione del piano, soprattutto nelle regioni nei cui territori insistono uffici che sono stati già oggetto di altri piani di razionalizzazione locale;
    il 27 marzo 2015 la Commissione europea ha bocciato la parte del piano di Poste italiane spa che prevede la consegna della posta a giorni alterni, perché in violazione del diritto di accesso al servizio di posta universale che garantisce la consegna giornaliera della posta presso la sede della persona;
    nel piano illustrato dall'amministratore delegato di Poste italiane spa Francesco Caio in audizione presso la IX Commissione Trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera dei deputati, si fa riferimento a una progressiva digitalizzazione dei servizi offerti dal gruppo Poste italiane spa funzionale alla progressiva riduzione e razionalizzazione degli uffici postali presenti sul territorio;
    a distanza di un anno dall'avvio del processo di privatizzazione, non sono ancora chiare le modalità operative attraverso le quali si provvederà alla vendita di quote della società di cui in parola. Restano, dunque, fondate le preoccupazioni circa un possibile scorporo di Poste italiane spa con la creazione di una cosiddetta good company oggetto della privatizzazione e una cosiddetta bad company dedita al servizio universale postale a carico dello Stato,

impegna il Governo:

   a rivedere l'operazione di privatizzazione di Poste italiane spa e, quindi, a rivalutare l'opportunità di procedere alla cessione di quote della società;
   ad intervenire presso Poste italiane spa per chiedere una profonda revisione del piano industriale, nel pieno rispetto degli obblighi di servizio universale previsti dalla normativa europea e nazionale;
   a garantire la piena operatività del servizio universale, in particolare modo per i cittadini che risiedono in aree svantaggiate del Paese, incentivando forme di consultazione obbligatoria delle popolazioni coinvolte;
   ad intervenire presso Poste italiane spa affinché nel processo di riorganizzazione degli uffici postali si continui a garantire l'accessibilità ai servizi postali nelle regioni rurali e remote, anche attraverso la previsione di criteri ulteriori a quelli già previsti nella normativa vigente, quali i tempi di percorrenza per il raggiungimento dell'ufficio più vicino, l'età anagrafica media degli abitanti, l'offerta di trasporto di cui i cittadini possono avvalersi per raggiungere i medesimi uffici;
   ad intervenire presso Poste italiane spa affinché il rinnovato piano industriale punti con maggiore decisione sulla digitalizzazione dei processi, prevedendo, da un lato, che il gruppo Poste italiane spa si faccia carico di programmi di alfabetizzazione digitale dei propri utenti (in particolare in favore delle fasce più deboli della cittadinanza) e, dall'altro, che eventuali interventi di razionalizzazione dei punti fisici di accesso alla rete postale siano preceduti dalla piena operatività di servizi digitali e da valutazioni indipendenti circa l'impatto di tali nuovi servizi sulla popolazione interessata;
   a salvaguardare gli attuali livelli occupazionali, con particolare riferimento ai contratti di lavoro già in essere anche alla luce del progetto di crescita illustrato dall'amministratore delegato di Poste italiane spa.
(1-00821) «Nicola Bianchi, Dell'Orco, Liuzzi, Spessotto, Carinelli, De Lorenzis, Paolo Nicolò Romano, Grillo, Frusone, Businarolo, Parentela, Gagnarli, Battelli, Pesco, Tripiedi, Cominardi, Castelli, Sorial, Caso, Brugnerotto, Cariello, Colonnese, D'Incà».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo calcoli della Cgia di Mestre dal 2011 al 2015 i tagli ai trasferimenti sarebbero costati ai comuni 27,3 miliardi di euro. Si tratta di tagli che i comuni hanno dovuto compensare con aumenti dei tributi locali a partire dall'addizionale Irpef per garantire servizi essenziali ai cittadini. Solo nel 2014 i tributi comunali sono saliti del 9 per cento;
    complessivamente dal 2009 ad oggi le misure di austerità sarebbero costate agli enti locali 26,4 miliardi di euro, mentre per lo stesso periodo i tagli subiti dai ministeri sarebbero pari a soli 6,4 miliardi di euro;
    nel 2015 la maggior parte dei tagli si è concentrata su regioni e enti locali per 5,2 miliardi di euro;
    sui comuni, in seguito all'approvazione della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015), gravano in modo determinante non solo i tagli, ma anche l'avvio della riforma della contabilità pubblica. In particolare, il primo atto dell'applicazione dei nuovi principi contabili sarà costituito dal riaccertamento straordinario dei residui attivi. A seguito di questa operazione e poi di anno in anno, la massa di residui in bilancio che eccede la dimensione di ragionevoli previsioni di realizzo, anche posposto nel tempo, viene accantonata sul Fondo crediti di dubbia esigibilità (Fcde), contribuendo ad una contrazione della spesa di pari importo sul bilancio corrente;
    i vincoli effettivi della manovra finanziaria (obiettivo nominale di patto di stabilità e Fondo crediti di dubbia esigibilità) costituiscono per la finanza pubblica due componenti dello stesso risultato atteso: un contributo da parte dei comuni di circa 3,4 miliardi di euro. È con questa dimensione di manovra che ciascun comune avrebbe comunque dovuto fare i conti nella formulazione del proprio bilancio di previsione;
    infatti, a fronte di un'evidente riduzione della percentuale prevista per la determinazione del saldo obiettivo ai fini del patto di stabilità (ora pari a 1,8 miliardi di euro) deve aggiungersi la stima degli effetti dell'introduzione del nuovo sistema contabile a regime (1,75 miliardi di euro a titolo di Fondo crediti di dubbia esigibilità, come da stima ministeriale) per un importo complessivo pari a 3,350 miliardi di euro. La reale riduzione dell'obiettivo, tenendo conto del forte impatto sui bilanci dell'armonizzazione contabile, è pari al 19 per cento rispetto al 2014;
    l'alleggerimento degli effetti dell'armonizzazione, già ottenuto con modifiche alla legge di stabilità, ha fornito agli enti più flessibilità nella gestione finanziaria (tagli non computati in «riduzione della spesa corrente», accantonamento graduale del Fondo crediti di dubbia esigibilità sui bilanci, rinegoziabilità generale dei mutui), confermando però nella sostanza le dimensioni generali dell'intervento;
    la proposta approvata dalla Conferenza Stato-città e autonomie locali nel febbraio 2015 punta a dimensionare in modo più sostenibile e razionale il contributo di ciascun comune e lascia al singolo ente la decisione sul riparto del proprio obiettivo complessivo tra ammontare del Fondo crediti di dubbia esigibilità effettivamente accantonato in previsione e obiettivo del patto di stabilità vero e proprio. Il nuovo meccanismo contiene due profili di innovazione: la revisione dei criteri di calcolo, basati sulla spesa corrente, non modificati dal 2011, dai quali deriva il 60 per cento dell'obiettivo; l'introduzione di nuovi criteri connessi alla capacità di riscossione per il calcolo del restante 40 per cento;
    la prima parte della revisione è in qualche misura un atto dovuto. I criteri sottostanti alla quantificazione inserita nella legge di stabilità facevano ancora riferimento alla sterilizzazione dei tagli previsti dal decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, in proporzione dei «trasferimenti statali» del 2010, dai quali è ormai trascorsa un'intera epoca. Con la forte riduzione dell'obiettivo nominale (da 4,4 a 1,8 miliardi di euro), l'utilizzo di un parametro così obsoleto – in pratica la dotazione di trasferimenti, ormai aboliti – avrebbe determinato disparità insostenibili. Il metodo considera l'effetto di tutti i tagli intervenuti dal 2011 al 2014, esclude dai calcoli l'anno con livello di spesa corrente più elevato nel quadriennio 2009-2012, esclude le spese per il servizio rifiuti (finanziato da un prelievo fiscale dedicato) e trasporto locale, abbattendo le variazioni dovute alle diverse previsioni dei contratti di servizio e agli alterni andamenti dei contributi regionali sul trasporto pubblico;
    a queste razionalizzazioni si aggiunge una correzione a favore degli enti che mostrano una tendenza alla riduzione della spesa corrente. Una necessaria clausola di salvaguardia assicura che questa quota di obiettivo non produca aggravi superiori al 20 per cento rispetto all'obiettivo 2014 riproporzionato;
    la seconda quota introduce il criterio della capacità di riscossione delle entrate proprie, che risponde all'esigenza contingente di collegare l'obiettivo finanziario a una proxy del Fondo crediti di dubbia esigibilità. Se un comune registra un indice di capacità di riscossione più elevato, ci si può attendere un minore ammontare del Fondo crediti di dubbia esigibilità imputato sul bilancio di previsione e quindi, in assenza di un correttivo specifico, l'obiettivo del patto di stabilità che ne risulterebbe sarebbe troppo elevato. Si tratta di un'esigenza contingente, poiché l'emersione dell'effettivo impatto del Fondo crediti di dubbia esigibilità permetterà di determinare questa componente della manovra anche a livello di singolo ente, già nel corso del 2015 e certamente dal 2016;
    infine, ad alcune esigenze di alleggerimento del patto di stabilità (enti capofila, oneri imprevedibili, messa in sicurezza delle scuole e del territorio, bonifiche dell'amianto) contribuisce un fondo di 100 milioni di euro da redistribuire in corso d'anno;
    c’è da augurarsi che l'allentamento dei vincoli generali di finanza pubblica e la consapevolezza della sproporzione degli oneri richiesti ai comuni possano riaprire il percorso di superamento del patto di stabilità e di autonomia finanziaria locale di cui il Paese ha bisogno;
    è ancora in corso la trattativa riguardante i tagli previsti dalla legge di stabilità del 2015 e pari a oltre tre miliardi. I problemi sono molteplici e riguardano:
     a) il contributo alla manovra 2015 delle città metropolitane, contributo che necessita di un riequilibrio del carico tra le varie città (la versione definitiva ha alleggerito il carico comunque fino a quota 256 milioni di euro). I tagli infatti si scaricano per oltre il 75 per cento su Roma, Firenze e Napoli;
     b) la riforma del patto di stabilità e delle sanzioni per chi lo ha sforato nel 2014, in particolare per le città metropolitane che hanno ereditato tale sforamento dalle province;
     c) la replica del fondo perequativo IMU-Tasi di 625 milioni di euro, risorse distribuite nel 2014 a 1.800 comuni, essendo il fondo previsto per il solo 2014 ed essendo però la local tax rinviata al 2016;
     d) lo stanziamento di maggiori ed adeguate risorse finanziarie da parte del Governo da destinare all'eventuale scostamento tra il gettito effettivamente riscosso dai comuni e le stime ministeriali del gettito atteso in relazione al nuovo regime di imponibilità dei terreni montani di cui al decreto-legge n. 4 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 34 del 2015 (cosiddetta IMU agricola), al fine di evitare scompensi sugli equilibri dei bilanci di competenza 2014 e i conseguenti rischi di mancato rispetto del patto si stabilità da parte degli enti locali;
     e) inoltre, la questione delle province e dei loro dipendenti (l'Unione delle province d'Italia denuncia che anche le poche province che riusciranno a chiudere i bilanci nel 2015 non riusciranno a farlo nel 2016) per la parte che concerne l'assorbimento di tale personale da parte delle città metropolitane e dei comuni;
    si prospettano alcune ipotesi – non tutte condivisibili – per risolvere le questioni ancora da definire, tra le quali:
     a) una rinegoziazione dei mutui con la Cassa depositi e prestiti aggiornando i tassi di interesse a quelli di mercato;
     b) l'introduzione di una tassa di un euro o due per ogni passeggero sui biglietti di aerei e navi;
     c) la possibilità di utilizzare in via eccezionale i proventi dalle dismissioni per finanziare la spesa corrente;
    si prevede che il decreto-legge sugli enti locali sia varato dal Governo entro aprile 2015 per risolvere queste questioni ereditate dalla legge di stabilità 2015;
    è anche ancora da definire l'introduzione della nuova tassa unica sulla casa la cosiddetta local tax;
    l'avvio a regime della riforma dei conti pubblici ha messo in affanno i sindaci che temono di non riuscire a varare il rendiconto entro il 30 aprile 2015 e chiedono uno spostamento della scadenza al 30 giugno 2015. Con i consuntivi i comuni devono compiere il riaccertamento straordinario dei residui per pulire i bilanci da entrate iscritte ma mai riscosse,

impegna il Governo:

   a dare seguito all'accordo quadro siglato nella Conferenza Stato-città e autonomie locali del 31 marzo 2015;
   a dare risposte positive a quanto chiesto dai comuni in merito all'applicazione della legge di stabilità 2015;
   ad assumere iniziative normative per sopprimere i tagli ai trasferimenti ai comuni, eventualmente compensandoli con riduzioni delle spese delle amministrazioni statali;
   ad accelerare la rinegoziazione dei mutui con Cassa depositi e prestiti e, più in generale, a rivedere le condizioni alle quali vengono erogati mutui ai comuni;
   ad assumere iniziative per ricostituire per il 2015 il fondo compensativo di 625 milioni di euro già riconosciuto per il 2014;
   ad assumere iniziative per stanziare maggiori ed adeguate risorse finanziarie da parte del Governo da destinare all'eventuale scostamento tra il gettito effettivamente riscosso dai comuni e le stime ministeriali del gettito atteso in relazione al nuovo regime di imponibilità dei terreni montani di cui al decreto-legge n. 4 del 2015, e successive modificazioni;
   ad assumere iniziative per rimodulare in maniera consistente verso il basso le sanzioni per le città metropolitane per lo sforamento del patto di stabilità ereditato dalle province;
   a garantire ai comuni i tempi indispensabili per la redazione dei bilanci, definendo ogni anno entro una data precisa le risorse a loro disposizione e dando poi loro due-tre mesi di tempo da tale scadenza per l'approvazione dei bilanci;
   a non modificare nell'esercizio in corso le disposizioni relative alla fiscalità locale e a non ridurre per il medesimo esercizio i trasferimenti a loro favore.
(1-00822) «Melilla, Marcon, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Fratoianni, Kronbichler, Matarrelli, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zaccagnini, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    Poste italiane spa è una società che si occupa della gestione del servizio postale in Italia. Fondata nel 1862 come azienda autonoma che gestiva in monopolio i servizi postali e telegrafici per conto dello Stato, attualmente è una società per azioni il cui capitale è detenuto al 100 per cento dallo Stato italiano tramite il Ministero dell'economia e delle finanze;
    negli ultimi anni la società ha dato vita ad un processo di razionalizzazione degli uffici tramite la riduzione degli orari di apertura, l'accorpamento o la loro definitiva chiusura, provocando disfunzioni nell'offerta del servizio e arrecando danni ai cittadini, in particolar modo per coloro che vivono in territori disagiati;
    tale riduzione negli anni ha provocato una diminuzione del personale impiegato con contestuale blocco del turn-over, che, da un lato, ha comportato un notevole aumento della mole di lavoro individuale e, dall'altro, un abbassamento del livello di qualità del servizio offerto;
    il rapporto tra Stato e Poste italiane spa richiede che la società consegua obiettivi di qualità, tra i quali quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste, obiettivi che non possono non tenere conto delle esigenze manifestate dalle autorità locali come espressione delle necessità degli utenti del servizio stesso;
    in data 16 dicembre 2014, Poste italiane spa ha presentato il piano strategico 2015-2020 in cui è prevista la progressiva chiusura di 455 uffici postali a livello nazionale e la riduzione degli orari di apertura di altri 600, ritenuti improduttivi nonché anti-economici;
    dalla decisione si può evincere che nel business plan messo in atto da Poste italiane spa predomina una politica del profitto, che investe su assicurazioni, carte di credito ricaricabili, telefonia cellulare e servizi finanziari, a discapito delle reali necessità della popolazione che necessiterebbe della fornitura di servizi, anche in condizioni del mercato in perdita;
    i servizi postali, in primis per le famiglie e le imprese, sono di vitale importanza per l'esecuzione di tantissime attività quotidiane, quali il prelievo di contante per i titolari di conti correnti postali, il pagamento delle utenze, il deposito di valuta nei libretti postali al portatore, l'invio di comunicazioni urgenti, soprattutto quelle di carattere giudiziario. La paventata chiusura o la limitazione degli orari degli uffici pone in gravi difficoltà cittadini, turisti e aziende;
    in particolare, nei piccoli comuni, e specialmente in quelli montani, la soppressione di un ufficio postale, al pari di una farmacia, di un presidio medico o di uno sportello bancario, rappresenterebbe il venire meno di un servizio essenziale per una comunità, in particolar modo per quei cittadini anziani o con handicap fisici, per i quali un eventuale accorpamento degli uffici significherebbe raggiungere un comune distante a piedi o con mezzi pubblici: in entrambi i casi la persona per ritirare la corrispondenza, effettuare pagamenti, o utilizzare un qualsiasi servizio offerto da Poste italiane spa (sportello bancario, servizi finanziari, assicurativi ed altri) sarà costretta ad impiegare molto tempo in più;
    è evidente che ci sia da parte dell'azienda una reale quanto imprescindibile necessità di orientare la gestione dei servizi alla sostenibilità economica, ma ciò avviene a discapito del mantenimento di alcuni presidi, soprattutto in zone periferiche come quelle montane che anche a causa di questi processi di razionalizzazione saranno sempre più soggette all'abbandono, ancor più se si considera che, in base alla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, le zone rurali e montane sono meritevoli di specifica considerazione nell'ambito del servizio postale universale. Al fine di garantire un livello di servizio adeguato in tali aree, Poste italiane spa dovrebbe tener conto delle particolari esigenze da garantire ai comuni che si caratterizzano per la natura prevalentemente montana del territorio e per la scarsa densità abitativa;
    per quanto concerne, specificatamente, la necessità di garantire un'adeguata diffusione nel territorio nazionale, la direttiva n. 97/67/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, e successive modificazioni e integrazioni, recante «Regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e il miglioramento della qualità del servizio», sottolinea l'importanza delle reti postali rurali, in particolar modo nelle zone impervie, al fine di mantenere la coesione sociale e la salvaguardia dell'occupazione;
    l'eventuale privatizzazione totale dell'azienda o la soppressione del servizio a livello locale, proprio per la loro specificità e rilevanza, non possono essere trattati unilateralmente dall'azienda o dal Governo, poiché necessiterebbero di un'ampia condivisione anche a livello parlamentare;
    nella transizione economica e normativa verso un mercato aperto, la previsione e la regolamentazione del servizio universale postale garantisce a tutti i cittadini la possibilità di fruire di un servizio di pubblica utilità, indipendentemente da fattori come il reddito o la collocazione geografica. In Italia, il servizio universale postale è affidato a Poste italiane spa fino al 2026. Sull'affidamento il Ministero dello sviluppo economico effettua, ogni 5 anni, una verifica sulla base di un'analisi dell'Autorità;
    l'11 marzo 2015, con la sentenza n. 1262/15, la VI sezione del Consiglio di Stato ha ribaltato la precedente pronuncia di primo grado del tribunale amministrativo regionale, accogliendo l'appello di un piccolo comune della Campania e ribadendo la pubblica utilità degli uffici postali e la loro «influenza sociale», in special modo per quei piccoli centri situati in zone rurali e montane;
    la decisione del Consiglio di Stato si fonda su due argomentazioni, la prima delle quali è legata al criterio di distribuzione degli uffici nella distanza massima di accessibilità al servizio espressa in chilometri percorsi dall'utente, fissato dal decreto del Ministero dello sviluppo economico del 7 ottobre 2008, recante «Criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale pubblica»;
    la seconda considerazione, su cui si basa la sentenza del Consiglio di Stato e che trova fondamento anche in altre pronunce favorevoli ai comuni, riguarda le motivazioni su cui è basata la chiusura dell'ufficio postale, che nel caso specifico hanno avuto riguardo al solo profilo economico e gestionale;
    in sostanza, Poste italiane spa non può porre in essere politiche di spending review recando un danno ai piccoli comuni, determinando disservizi e disagi, soprattutto, alla popolazione anziana e a quella priva di strumenti tecnologici, perché le chiusure devono tenere conto della dislocazione degli uffici postali, con particolare riguardo alle aree rurali e montane, ma anche delle conseguenze che la relativa presenza produce sull'utilità sociale;
    il 18 marzo 2015 Poste italiane spa ha ufficialmente sospeso il piano di razionalizzazione degli uffici postali, rinviando i tagli previsti e concedendo così più tempo ai comuni per formulare le loro controproposte;
    il 27 marzo 2015, con le delibere n. 163/15/CONS e 164/15/CONS, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha stabilito due consultazioni pubbliche sulle nuove modalità di recapito degli invii postali a giorni alterni e sulle tariffe e sugli standard di qualità del servizio universale di corrispondenza;
    l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha previsto che la consegna a giorni alterni della corrispondenza non dovrebbe interessare i 5.296 comuni, come previsto dal «piano Caio», ma 4.721 comuni, intervenendo, di fatto, con un ridimensionamento di quanto previsto dal piano di ristrutturazione di Poste italiane spa,

impegna il Governo:

   a verificare che sia confermato il differimento comunicato da Poste italiane spa fino al termine del confronto in atto con regioni e enti locali;
   a scongiurare l'ipotesi che non a tutti i cittadini italiani sia data la possibilità di fruire di un servizio di pubblica utilità, quale quello postale, indipendentemente da fattori quali il reddito e la collocazione geografica;
   ad adoperarsi presso la società Poste italiane spa e l'Anci affinché continui il confronto costruttivo già in corso, finalizzato a discutere il piano di razionalizzazione degli uffici postali;
   a far sì che Poste italiane spa e le amministrazioni locali intraprendano un confronto costruttivo per evitare che le decisioni unilaterali assunte arrechino disagi agli abitanti dei comuni più disagiati del Paese, che si vedrebbero privati dell'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, così come previsto dall'accordo siglato fra Poste italiane spa e lo Stato;
   ad attuare, per quanto di competenza, interventi per far sì che Poste italiane spa si occupi e garantisca pienamente il servizio pubblico essenziale che presuppone la prossimità e la copertura del territorio nazionale, anche per meglio fornire, come accade già in logica di mercato, gli altri servizi.
(1-00823) «Palese».


   La Camera,
   premesso che:
    dal 2007 al 2014 gli enti locali, e i comuni in particolare, hanno contribuito al risanamento della finanza pubblica per 16,4 miliardi di euro, di cui 8 miliardi e 700 milioni in termini di patto di stabilità interno e 7 miliardi e 700 milioni di euro in termini di riduzione di trasferimenti;
    in tale ambito, gli effetti della crisi economica e finanziaria, tutt'altro che superata in via definitiva, hanno imposto ai Governi, succedutisi a partire dalla fine del 2007, una serie di interventi legislativi dapprima per contrastare gli effetti del contagio della crisi economica internazionale e successivamente per scongiurare una crisi del debito italiano e riacquistare credibilità sui mercati finanziari, oltre che imboccare un sentiero virtuoso nel riordino dei conti pubblici;
    all'interno del sopra esposto scenario economico, l'evoluzione recente del governo locale è stata profondamente contrassegnata da misure indotte dalla crisi economica, che, sotto la spinta di urgenze reiterate, hanno inciso non solo sui flussi di risorse disponibili, ma sugli stessi assetti strutturali degli enti locali;
    gli orientamenti normativi sugli enti locali, che a partire dalla XVI legislatura sono stati introdotti, hanno riguardato diversi profili: dalla riduzione dei trasferimenti di risorse e dalla definizione di un nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie, fino al contenimento dei costi degli apparati e all'aumento della funzionalità degli enti stessi;
    a tal fine, la stretta finanziaria imposta anche dal patto di stabilità si è scaricata principalmente sulla spesa maggiormente comprimibile, quella per gli investimenti, che ha registrato una preoccupante riduzione nel corso degli ultimi anni;
    gli effetti costanti e al contempo spesso distorsivi delle continue riduzioni dei trasferimenti nei riguardi degli enti locali, che aumentano in maniera evidente, come confermato anche dalle decisioni adottate dal Governo all'interno della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità per il 2015) rafforzano la convinzione, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, come il contributo richiesto agli enti locali per il risanamento dei conti pubblici non sia più sostenibile, sia in ordine alla parte di investimenti che per la parte corrente;
    tra gli effetti provocati dalla manovra economica del dicembre 2014, la diminuzione degli investimenti nei confronti degli enti locali ha interessato settori importantissimi per la qualità della vita e per la sicurezza degli individui; in particolare, i comuni e le regioni, a cui spetta il compito di realizzare le opere di tutela del territorio (rischio idrogeologico e infrastrutture di rete), infrastrutture per la viabilità e i trasporti, opere a servizio della scuola e interventi per la pubblica sicurezza e la giustizia, hanno subito gravissime ripercussioni dalle pesantissime riduzioni di trasferimenti, il cui prezzo sociale dell'impatto delle recenti manovre finanziarie su questi interventi (in particolare quelle decise del Governo Monti) è divenuto ormai insostenibile per la collettività e per le imprese;
    ulteriori profili di criticità, che si rinvengono dal riassetto delle risorse disponibili e dai tagli subiti dagli enti locali, si evidenziano anche dalla disciplina dei principali tributi, oggetto di continui cambiamenti (di solito calcolati a gettiti standard), che ha determinato evidenti scompensi nei bilanci e nei margini d'intervento, le cui variazioni compensative delle assegnazioni statali (aggiustamenti operati a fronte di cambiamenti delle norme sui tributi locali), hanno provocato continue modifiche all'assetto delle entrate comunali e nella struttura del gettito dei tributi a base immobiliare;
    a tal fine, i trasferimenti statali complessivi sono passati da circa 16,5 miliardi di euro del 2010 a 2,5 miliardi di euro del 2013, determinando, nella sostanza, la parziale tenuta delle capacità di entrate realizzata con aumenti della pressione fiscale locale molto accentuati e in larga parte ascrivibili a passaggi obbligati: sostituzione dell'ICI con l'IMU, rafforzata sia attraverso il maggior valore imponibile di base, sia per effetto dell'aliquota di base superiore al livello ICI; applicazione della TASI a tutta la platea contributiva;
    la legge di stabilità per il 2015, unitamente alle disposizioni contenute all'interno del decreto legislativo n. 126 del 2014, che interviene per l'attuazione dell’«armonizzazione dei bilanci», ha comportato un effetto combinato di riduzione delle risorse correnti comunali sul 2015 per oltre 3,7 miliardi di euro; cifra a cui si giunge sommando gli impatti finanziari dei diversi provvedimenti riguardanti la finanza comunale e che configura uno scenario iniquo e difficilmente sostenibile anche nel breve periodo, ai diversi livelli di governo locale;
    secondo l'associazione degli artigiani e delle piccole imprese di Mestre-Cgia, inoltre, le riduzioni effettuate dallo Stato nei confronti dei comuni e delle regioni a statuto ordinario, raggiungono rispettivamente 8,3 miliardi di euro e 9,7 miliardi di euro, mentre per quelle a statuto speciale la quota dei mancati trasferimenti è stabilizzata a 3,3 miliardi di euro, raggiungendo nel complesso degli ultimi anni un mancato trasferimento alle regioni e agli enti locali pari a oltre 25 miliardi di euro, compensati aumentando le tasse locali e riducendo i servizi anche quelli essenziali alle comunità locali, come la sanità, il trasporto pubblico locale, il welfare;
    anche l'analisi della Corte dei conti sulle manovre di contenimento della spesa dello Stato, nel periodo 2008-2013, evidenzia che le riduzioni che hanno portato al contemporaneo determinarsi di consistenti tagli ai trasferimenti correnti, di un cospicuo avanzo di cassa e di una riduzione delle risorse destinate ai servizi essenziali, hanno provocato la crescita pericolosa dei debiti fuori bilancio degli enti locali, ovvero quelli che non concorrono alla formazione del bilancio;
    gli effetti penalizzanti si sono riscontrati, in particolare, sulle regioni del Mezzogiorno, con forti contrazioni degli investimenti, che hanno aumentato il divario regionale con le aree del Centro-Nord;
    misure in netta controtendenza rispetto a quelle in precedenza indicate, finalizzate a garantire l'espletamento dei servizi sociali essenziali, anche in relazione alle disposizioni divenute insostenibili nei riguardi degli enti locali (che a partire dall'ultimo quinquennio e da ultimo, la legge di stabilità 2015, hanno ripetutamente operato riduzioni di trasferimenti, intervenendo sulla leva fiscale offrendo al contempo servizi essenziali sempre più inadeguati), appaiono conseguentemente urgenti e necessarie, al fine di ripristinare, da un lato, un livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e, dall'altro, il funzionamento fondamentale degli enti locali, incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull'attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa a comuni, province, città metropolitane e regioni nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale;
    la necessità di valutare la dinamica della fiscalità locale senza compararla con la drastica riduzione dei trasferimenti dello Stato a favore degli enti locali conferma, inoltre, che tale raffronto rende evidente, che i tagli subiti dal 2007 ad oggi sono stati nettamente superiori all'incremento della fiscalità locale, che peraltro rappresenta attualmente lo strumento di finanziamento di servizi essenziali per i cittadini (asili nido, scuole materne, assistenza domiciliare, sostegno alla non autosufficienza, politiche abitative, tutela ambientale, trasporto pubblico locale, politiche educative e culturali), i cui livelli di tassazione hanno raggiunto dimensioni emergenziali;
    a tal fine, l'attuale quadro finanziario degli enti locali di evidente difficoltà impone rapide correzioni attraverso l'interruzione delle riduzioni dei trasferimenti del bilancio dello Stato, i cui meccanismi di riequilibrio dei trasferimenti erariali per compensare le variazioni del gettito per gli enti locali si sono dimostrati peraltro insufficienti,

impegna il Governo:

   a prevedere iniziative urgenti e necessarie in favore degli enti locali finalizzate a:
    a) riconsiderare gli interventi in favore degli enti locali, attraverso l'aumento degli spazi di esclusione dal patto di stabilità interno, in particolare per le città metropolitane, incluse le misure riconducibili all'edilizia scolastica, in considerazione del fatto che la legge di stabilità per il 2015 prevede che nel computo del patto non siano valutate le spese di province e città metropolitane per interventi di edilizia scolastica, fino ad un massimo di 50 milioni nel 2015 e 50 milioni nel 2016;
    b) ripristinare le risorse decurtate con le correzioni, definite dalla legge di stabilità per il 2015, a carico degli enti locali di circa 15,3 miliardi di euro nel triennio, ottenute, tra l'altro, attraverso la riduzione del fondo di solidarietà comunale per 3,6 miliardi di euro e la riduzione della spesa corrente delle province e delle città metropolitane per 6 miliardi di euro;
    c) prevedere misure in favore degli enti locali in dissesto finanziario o in predissesto, ai sensi dell'articolo 244 del decreto legislativo n. 267 del 2000, che hanno presentato i piani di riequilibrio finanziario per i quali sia intervenuta una deliberazione di diniego da parte della competente sezione regionale della Corte dei conti, per garantire in ogni caso i servizi essenziali, quale quelli della raccolta dei rifiuti, dell'assistenza ai disabili e agli anziani;
    d) a garantire agli enti locali un periodo temporale congruo e ragionevole per una programmazione finanziaria e strategica, al fine di conoscere l'esatto ammontare delle risorse disponibili di cui gli enti locali potranno disporre per l'anno successivo e comunque entro la fine del mese di ottobre 2015;
    e) rimuovere i numerosi vincoli ordinamentali imposti, nel corso dei provvedimenti degli ultimi anni, agli enti locali, e in particolare ai comuni, adottando i saldi come unico criterio per definire lo sforzo richiesto a ciascun comparto della pubblica amministrazione;
    f) ripristinare, infine, il fondo finanziamento metropolitane delle grandi aree urbane, le cui risorse pari a 1 miliardo di euro, sono state eliminate dalla legge di stabilità per il 2015, determinando gravi effetti nei confronti dei comuni, in termini di riduzione delle risorse per la spesa corrente, senza alcun intervento compensativo sulla spesa per gli investimenti.
(1-00824) «Palese, Occhiuto».


   La Camera,
   premesso che:
    il cambiamento dell'assetto istituzionale e finanziario degli enti territoriali costituisce uno snodo centrale nell'ambito della complessiva azione riformatrice del Governo e del processo di risanamento del Paese;
    dal primo punto di vista, l'intervento più significativo è costituito dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, che ha dettato un'ampia riforma in materia di enti locali, prevedendo l'istituzione e la disciplina delle città metropolitane, la ridefinizione del sistema delle province ed una nuova disciplina in materia di unioni e fusioni di comuni;
    a ciò si unisce, sotto il profilo della contabilità, il decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, adottato in attuazione della delega contenuta nella legge n. 42 del 2009, che ridisciplina il coordinamento della finanza pubblica al fine di rafforzare le attività di programmazione, gestione, monitoraggio, controllo e rendicontazione finanziaria tra i diversi enti che compongono la pubblica amministrazione e di favorire un migliore raccordo della disciplina contabile interna con quella adottata in ambito europeo ai fini del rispetto del patto di stabilità e crescita;
    dal punto di vista finanziario e del risanamento, per le disposizioni contenute nella legge 29 dicembre 2014, n. 190, gli enti territoriali concorreranno complessivamente al contenimento della spesa pubblica per circa 6,2 miliardi di euro nel 2015, 7,2 nel 2016 e 8,2 nel 2017, senza tener conto delle ulteriori riduzioni operate dal decreto-legge n. 66 del 2014;
    in particolare, il comma 435 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2015 ha stabilito la riduzione della dotazione del fondo di solidarietà comunale di 1.200 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015; il comma 418 ha operato una riduzione della spesa corrente per province e città metropolitane di 1.000 milioni di euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017. Infine, il comma 398 ha disciplinato un contributo aggiuntivo alla finanza pubblica delle regioni a statuto ordinario, per ciascuno degli anni dal 2015 al 2018, pari a 3.452 milioni di euro e il comma 400 ha stabilito entità e modalità a contributo aggiuntivo pari a 467 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 per le regioni a statuto speciale;
    si tratta oggettivamente di riduzioni molto significative per gli enti territoriali che si aggiungono a quelle già operate nel corso della XVI legislatura, pari a circa 34 miliardi di euro;
    la dimensione dello sforzo richiesto alle amministrazioni territoriali rende necessario prevedere un contesto più orientato a definire indirizzi e incentivi che non a prescrivere specifici vincoli, accogliendo anche talune richieste provenienti dai vari comparti;
    una prima risposta a questa impostazione è costituita dall'incremento al 20 per cento della quota del fondo di solidarietà comunale spettante ai comuni delle regioni a statuto ordinario sulla base delle capacità fiscali e dei fabbisogni standard e l'avvio del processo di riforma del meccanismo del patto di stabilità che è stato allentato per complessivi 2.889 milioni annui, di cui 2.650 milioni ai comuni e 239 milioni alle province;
    nel documento di economia e finanza il Governo si impegna a proseguire in questa direzione favorendo il progressivo passaggio da un sistema basato sulla spesa storica ad uno che utilizza costi e fabbisogni standard, più razionale ed efficiente, in cui vengano premiati con maggiori spazi finanziari e, quindi, maggiori possibilità di investimento gli enti che hanno ridotto la spesa corrente e che hanno una maggiore capacità di riscossione delle entrate proprie;
    ulteriori misure a beneficio del comparto degli enti locali sono la possibilità di destinare i proventi delle concessioni edilizie per il finanziamento di spese correnti, la facoltà di rinegoziare mutui, l'innalzamento dall'8 al 10 per cento dell'importo massimo degli interessi passivi rispetto alle entrate dei primi tre titoli delle entrate del rendiconto per poter assumere nuovi mutui o finanziamenti, il passaggio da tre a cinque dodicesimi del limite massimo di ricorso degli enti locali ad anticipazioni di tesoreria, l'assegnazione delle maggiori somme riscosse per effetto della partecipazione all'azione di contrasto all'evasione fiscale;
    rispetto alle regioni a Statuto ordinario, per le quali il comma 463 ha introdotto la disciplina del pareggio di bilancio, si è prevista una fase transitoria per l'anno 2015 finalizzata a rendere più flessibile il passaggio al nuovo sistema;
    inoltre, i commi da 484 a 488 hanno esteso anche al 2015 la disciplina del patto verticale incentivato, che favorisce una maggiore flessibilità per il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli enti territoriali;
    a fronte dell'importante contributo al risanamento dei conti pubblici che arriva dagli enti territoriali, permangono alcune situazioni di criticità che potrebbero incidere sul livello e sulla qualità di erogazione di servizi ai cittadini, in particolare per quel che riguarda l'attuazione del Patto per la salute per gli anni successivi al 2015, il riparto del taglio alle città metropolitane e il rifinanziamento di 625 milioni del fondo compensativo IMU-TASI;
    su questi argomenti si stanno svolgendo incontri politici e tecnici con le rappresentanze delle parti interessate finalizzati a individuare soluzioni condivise alle questioni tuttora aperte;
    l'importanza del comparto territoriale richiede interventi organici e di ampio respiro da attuare necessariamente all'interno di un percorso condiviso a tutti i livelli istituzionali, a cominciare dalla ridefinizione e semplificazione della fiscalità immobiliare comunale in coerenza con gli indirizzi contenuti nel documento di economia e finanza 2015,

impegna il Governo:

   ad adottare con la massima sollecitudine ogni iniziativa utile volta a dare soluzione alle principali criticità normative relative agli enti territoriali, con particolare riferimento:
    a) all'attuazione dell'intesa del 19 febbraio 2015 raggiunta in seno alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali, in particolare in merito alla rideterminazione degli obiettivi del patto di stabilità interno dei comuni per gli anni 2015-2018 e delle sanzioni per mancato raggiungimento degli obiettivi;
    b) alla sostenibilità del concorso al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica per il comparto province e città metropolitane, stabilendo la possibilità di rinegoziare i mutui e utilizzare gli spazi ottenuti a copertura di spese correnti, l'esclusione dalla sanzione sul personale delle proroghe dei contratti di lavoro a tempo determinato (anche per le città metropolitane e le province che non hanno rispettato il patto di stabilità nel 2014) e la disapplicazione dei limiti alle assunzioni per l'assorbimento del personale;
    c) alla gradualità e flessibilità della fase di avvio a regime dell'armonizzazione contabile;
    d) all'introduzione di meccanismi di perequazione per l'applicazione delle nuove norme in materia di Imu-agricola e al rinnovo, almeno parzialmente, di quelli previsti per il passaggio dall'Imu alla Tasi;
    e) all'attuazione dell'intesa del 26 febbraio 2015 raggiunta in seno alla Conferenza Stato-regioni in merito alle disposizioni di cui all'articolo 1, commi 398, 465 e 484, della legge 23 dicembre 2014, n. 190;
   a valutare l'opportunità di consentire a province e città metropolitane di non approvare il bilancio pluriennale, limitandosi al solo bilancio di previsione 2015 in cui siano illustrate le spese sostenute per funzioni fondamentali e funzioni non fondamentali, in modo da accertare le entrate effettivamente destinate all'esercizio di tali funzioni, e consentendo, in via eccezionale, l'utilizzo degli avanzi di gestione 2014 per il conseguimento degli equilibri;
   a definire entro il 2015 un assetto stabile della finanza locale in grado di consentire reale autonomia ed effettive e virtuose possibilità di programmazione da parte degli enti locali;
   a procedere al riordino e alla semplificazione, all'interno della legge di stabilità per l'anno 2016, della fiscalità immobiliare comunale, al fine di garantire un assetto legislativo e finanziario definitivo e stabile in materia, prevedendo, altresì, adeguate forme di perequazione verticale e meccanismi di monitoraggio e verifica dei criteri di alimentazione e distribuzione tra i comuni delle risorse del fondo di solidarietà comunale;
   a proseguire e rafforzare ulteriormente il percorso già avviato volto a rilanciare e sostenere i programmi di investimento degli enti locali.
(1-00825) «Marchi, Tancredi, Paola Bragantini, Misiani, Guerra, Laforgia, Melilli, Causi, Marchetti, Fragomeli, Carnevali».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   in un servizio di Filippo Barone della trasmissione «La Gabbia», andato in onda il 15 gennaio 2014, l'intervistato Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente d'Italia, ha denunciato le relazioni tra politica e massoneria (approfondite in un libro intitolato «Massoni», edizioni Chiarelettere, uscito a novembre 2013), citando tra gli altri, oltre ai più alti vertici istituzionali, anche il Governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco, il Presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi e il direttore del debito pubblico Maria Cannata;
   non risultano agli interpellanti notizie stampa di denunce, diffide o atti similari nei confronti di Gioele Magaldi per le affermazioni riportate nel suo libro e in seguito all'intervista citata;
   l'articolo 18, secondo comma, della Costituzione proibisce le associazioni segrete;
   la dottoressa Maria Cannata nel 1980 ha vinto un concorso per funzionario statistico ed è stata assegnata a una divisione definita «osservatorio economico e finanziario» dove, a partire dal 1983, ha cominciato a studiare dinamiche e composizione del debito pubblico. Nel 1992 il neo direttore generale del Tesoro Mario Draghi (Governatore della Banca d'Italia e Presidente della Bce poi) ha chiamato a capo del nuovo servizio primo l'economista Francesco Giavazzi, il quale, in un momento decisivo per la ridefinizione dei ruoli istituzionali tra Tesoro e Banca d'Italia, l'ha nominata responsabile dell'ufficio incaricato dell'analisi del mercato del debito pubblico e dell'elaborazione degli scenari di emissione sul mercato domestico. Contemporaneamente, è stata coinvolta nelle definizione delle metodologie statistiche di classificazioni delle poste contabili in numerosi gruppi di lavoro internazionali, soprattutto in ambito comunitario per l'attuazione della procedura di controllo dei disavanzi eccessivi. Nel biennio 1997-1998 le è stato conferito invece l'incarico di seguire per il Ministero tutte le fasi di preparazione all'introduzione dell'euro nel 1999. A fine 2000, è arrivata la nomina a Direttore Generale del debito pubblico;
   le risposte alle interpellanze urgenti n. 2-00910 e n. 2-00765 del 24 marzo 2015 e del 29 novembre 2014, all'interrogazione a risposta immediata n. 3-01198 del 2 dicembre 2014, all'interrogazione con risposta immediata in Assemblea dell'11 febbraio 2015, n. 3-01297, sono da considerarsi assolutamente insoddisfacenti e contraddittorie;
   la richiesta di accesso agli atti sui contratti derivati presentata dai deputati del MoVimento 5 Stelle appartenenti alle Commissioni bilancio e finanze, ricevuta dal Ministero dell'economia e delle finanze il 27 gennaio 2015, ha ottenuto in risposta un diniego da parte della dottoressa Maria Cannata. A tale diniego i deputati hanno già opposto ricorso alla Commissione preposta il 17 marzo 2015, provvedendo a riformulare e inviare contemporaneamente una nuova richiesta di accesso atti, senza aver ricevuto ad oggi alcun riscontro;
   nell'interpellanza urgente n. 2-00910 discussa nella seduta n. 401 venivano contestate le considerazioni contenute nella memoria depositata dalla dottoressa Cannata durante l'indagine conoscitiva svolta alla Camera in Commissione finanze sui derivati. Al contempo è stata anche evidenziata la mancanza di dati finanziari e tecnici che possano permettere una attenta valutazione del portafoglio derivati oggi in possesso dello Stato italiano, risultando totalmente insufficienti i dati forniti visto che, tra l'altro, inspiegabilmente non sono neanche disponibili, i dati aggregati dei flussi finanziari sul sito di Banca d'Italia a partire dall'ultimo trimestre del 2013;
   nella stessa interpellanza, si sono sollevati seri dubbi sulla gestione del portafoglio derivati, sottoscritti con gli specialisti di titoli di Stato che oltre ad essere gli unici autorizzati ad acquistare titoli di Stato sul mercato primario sono gli stessi che (grazie ai derivati sottoscritti con lo Stato) incassano interessi riferiti a tassi fissi a lungo termine ben superiori ai rendimenti dei titoli di Stato collocati sul mercato a tasso variabile con scadenze inferiori, sollevando negli interpellanti dubbi più che legittimi sui conflitti di interesse che legano questi specialisti ad altre banche, che hanno partecipazioni dirette o indirette nelle banche centrali, che a loro volta nominano il Comitato di Basilea (che ha deciso l'inasprimento dei coefficienti patrimoniali), oltre che nelle stesse agenzie di rating, alcune sotto a processo a Trani;
   in ordine allo stesso tema sorgono dubbi negli interroganti su conflitti di interessi e mancanza di trasparenza anche per quanto asserito dalla dottoressa Cannata: «Potersi avvalere di un gruppo di banche impegnate a sottoscrivere con continuità, in ogni condizione di mercato, le aste di emissione dei titoli, nonché a sostenere il mercato secondario regolamentato con una presenza costante in quotazione su una molteplicità di titoli, ha dimostrato tutta la sua importanza durante i momenti peggiori della crisi: nonostante le difficoltà, le aste del tesoro sono sempre state coperte. Ciò ha comportato una tenuta che ha talora sorpreso il mercato stesso, sostenendo la domanda, e ciò è stato possibile perché con gli specialisti è stata instaurata una relazione di lungo periodo... L'appartenenza agli specialisti è stata generalmente considerata un prerequisito informale per essere ammessi all'operatività in strumenti derivati... giustificate dal rating molto elevato della controparte o dal fatto che la stessa svolgesse un ruolo rilevante nel finanziamento della pubblica amministrazione in generale... Le banche controparti swap della Repubblica, per neutralizzare, o almeno mitigare, il rischio di credito emergente dall'esposizione positiva attesa delle posizioni» (in riferimento alla citata nuova regolamentazione prudenziale imposta agli istituti di credito da Basilea III) «si trovarono pressate a ridurre tale esposizione: ciò poteva avvenire o riducendo l'impegno a sottoscrivere regolarmente le aste dei titoli di Stati nei momenti più critici (cioè quando mancavano investitori finali disponibili ad assorbire l'offerta e quindi i titoli sarebbero rimasti nel portafoglio delle banche), oppure attraverso l'acquisto di CDS, Il problema fu che nel corso del 2011 la percezione del rischio Italia andò via via sempre crescendo, riflettendosi proprio sulle quotazioni dei CDS e generando un circolo vizioso...»;
   il tutto a conferma che le stesse banche che indirettamente partecipano al comitato di Basilea tramite le banche centrali, di cui alcune sono socie, hanno la possibilità di sfruttare gli stessi parametri di patrimonializzazione decisi dal comitato per minacciare gli stati di non acquistare titoli sovrani orientandoli così verso l'acquisto di derivati quali gli stessi CDS, come sopra citato dalla dottoressa Cannata;
   dubbi sulla gestione del debito pubblico sorgono negli interroganti anche per quanto riportato dall'ufficio parlamentare di bilancio che nel Focus 3/9 febbraio 2015 riporta: «Altre informazioni che potrebbe essere importante rendere pubbliche sono quelle relative al modello di pricing utilizzato dal Dipartimento del Tesoro: in particolare, se utilizza un unico modello o più modelli, come vengono valutati i rischi delle diverse operazioni, se si avvale di personale specializzato o si appoggia a terzi». Non solo: anche la Corte dei conti, con la Delibera n. 25/2008/G, esprime perplessità sul tutt'altro che trasparente mondo dei contratti derivati: la Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato – «Risultanze del controllo sulla gestione dei debiti accollati al bilancio dello Stato contratti da FF.SS., RFI, TAV e ISPA per infrastrutture ferroviarie e per la realizzazione del sistema Alta velocità», al paragrafo 7 «Analisi economico-giuridica dei contratti ereditati – Mancata rappresentazione degli effetti economici nel bilancio dello Stato» riporta «La decisione di “swappare” a brevissima distanza quei prestiti, rimodulandone completamente lo schema di indebitamento, dovrebbe avere vanificato e reso inattendibile quel rapporto dal momento che, fin dall'inizio, l'adozione degli swap ha concretato un maggior costo. Nel 2006 le esposizioni in termini di flussi negativi ammontano a 81.437.959, nel 2007 ad euro 34.266.643 e nel 2008 ad euro 10.344.902 per un netting allo stato attuale complessivamente negativo per euro 126.049.504. I fatti esposti sarebbero ulteriore indizio della sommarietà scarsa coerenza delle analisi di sostenibilità finanziaria delle scelte adottate. Altre perplessità emergono dall'esame dei contratti swap stipulati in data 3 marzo 2005 con efficacia a decorrere dal 2026. È difficile comprendere in base a quali valutazioni si sia scelto di rinunciare nel 2005 ad un tasso variabile accettando, sin da quella data, tassi fissi dopo 20 anni rispettivamente pari a 5,48 al 4,8375. Sorprende altresì la circostanza per cui, per un importo nazionale simile ed in cambio di un tasso variabile sostanzialmente identico, DEPFA accordi un tasso fisso di 4,835 e Morgan Stanley di 5,48. In assenza dichiarata di procedure concorsuali per la scelta del miglior prestatore di servizi finanziari, la circostanza lascia perplessi in ordine alla economicità trasparenza delle scelte adottate» confermando quanto fin qui sottolineato sull'opacità di questi contratti conclusi lontano dai riflettori dei mercati regolamentati, ma con gli stessi attori che vi operano e che quindi in possesso di canali privilegiati per ulteriori profitti a discapito dei semplici e comuni investitori e risparmiatori;
   appaiono evidenti e significativi inoltre i maggiori oneri a carico dello Stato nel pagamento dei derivati, visto il divario tra tasso medio ponderato dei contratti derivati, poco inferiore al 4,40 per cento annuo dichiarato dalla dottoressa Cannata nella sua memoria, e il rendimento medio ponderato all'ultima asta di BOT annuali, che per i sottoscrittori è risultato pari allo 0,013 per cento) a tutto danno dei cittadini che si vedono quasi azzerato il rendimento sulla forma di risparmio più comune, che per mezzo di questi contratti derivati sottoscritti bilateralmente e fuori dai mercati regolamentati viene trasferito alle banche specialiste in titoli di Stato –:
   se il Ministero sia al corrente delle accuse mosse contro la dottoressa Cannata in ordine a presunte affiliazioni a società massoniche e se non ritenga opportuno intervenire per tutelare l'onorabilità e la trasparenza delle istituzioni da essa rappresentate, ed in particolare della direzione generale del debito pubblico, ufficio strategico ai fini della gestione delle risorse finanziarie dello Stato;
   se non intenda, al fine di confermare l'attendibilità e la correttezza dell'operato della dottoressa Cannata e per confutare le evidenze riportate in premessa, pubblicare i dati dativi all'ammontare dei flussi complessivi trimestrali dei derivati per l'anno 2014 e primo trimestre 2015, o meglio ad una data il più possibile vicina all'attualità, comprensivi dei contratti di opzione e di eventuali clausole di estinzione anticipata di tutti i contratti derivati sottoscritti dallo Stato italiano oltre ad indicare i motivi del ritardo della pubblicazione degli stessi dati come desumibile dal sito della Banca d'Italia nelle pagine riferite ai conti finanziari;
   se non intenda indicare la quantificazione aggiornata del dato di mark to market dell'intero portafoglio derivati al 31 marzo 2015 e ad altra data più recente;
   quali siano le probabilità di un recupero del 50 per cento dell'attuale mark to market negativo ovvero quali siano le probabilità di un suo peggioramento del 30-40 e 50 per cento;
   quale sia la perdita massima attesa statistica del portafoglio derivati con probabilità del 95 per cento;
   come si spieghi che per quanto concerne gli IRS cosiddetti di copertura che incidono per il 7,71 per cento sul portafoglio abbiano un mark to market positivo di 643 milioni di euro così come riportato in audizione dalla dottoressa Cannata;
   se sia stato istituito un fondo rischi per la copertura dei rischi connessi alle clausole di chiusura anticipata;
   se sia stato istituito un fondo rischi specifico come prevedono i principi contabili in relazione ai flussi attesi connessi ai derivati «irs di duration» come definiti;
   se sia stato istituito ed a quanto ammontasse il fondo rischi per la copertura della perdita del derivato Morgan Stanley;
   quale sia l'ammontare del rischio di credito che verrebbe restituito allo Stato nel momento in cui venisse concesso il collaterale così come previsto dalla legge di stabilità 2015, articolo 1, comma 133;
   chi siano i responsabili dei derivati ex isp e se il Governo intenda procedere nei confronti degli stessi visto le evidenze riportate dalla delibera della Corte dei conti citata in premessa;
   quanto siano costate le 2 clausole di chiusura anticipata esercitate nel giugno e dicembre 2014 come riportato nella audizione della dottoressa Cannata;
   quanto siano costate le circa venti clausole di chiusura anticipata esercitate negli ultimi anni così come indicato durante l'audizione della dottoressa Cannata;
   se esista un monitoraggio quantitativo sui rischi connessi alle altre clausole di chiusura anticipata ancora in essere;
   se il Ministero dell'economia e delle finanze, in ordine all'effetto leva, sia ricorso alla vendita di swaption per quali valori e con quale tra le finalità ipotizzate nell'audizione della dottoressa Cannata, se Swaption di nozionale incrementale, con la quale si cede alla controparte il diritto di aumentare il nazionale di un IRS preesistente a fronte dell'incasso di un premio o swaption di cancellazione, con i quali si cede alla controparte il diritto di cancellare un IRS preesistente a fronte dell'incasso di un premio;
   se il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro dell'economia e delle finanze, ciascuno per le proprie competenze, intendano assumere provvedimenti immediati in relazione alla totale mancanza di trasparenza, o quantomeno competenza, ad avviso degli interpellanti, dimostrata dai rappresentanti del Governo medesimo chiamati a rispondere in suo nome e conto, provvedendo a fornire finalmente dati corretti fino ad oggi negati anche ai Parlamentari delle Commissioni bilancio e finanze, che avevano chiesto di accedere a tutti gli atti collegati ai contratti derivati e creditizi sottoscritti, e in caso contrario se intendano palesare in modo dettagliato quali siano concretamente i «rischi speculativi» (infondati per gli interroganti) ai quali è stato solo brevemente fatto riferimento in Commissione finanze dalla dottoressa Cannata durante l'indagine conoscitiva che potrebbero generarsi da un'eccessiva trasparenza;
   come mai tra tutte le posizioni comprese nel portafoglio dei derivati dello Stato non vi sono neanche una di tipo CAP e di tipo COLLAR;
   alla luce di quanto esposto, quali siano le ragioni della reticenza del Governo, del Ministro Padoan e dei suoi sottosegretari e dirigenti, nel fornire le copie dei contratti derivati sottoscritti dal (o in nome e per conto del) Ministero dell'economia e delle finanze unitamente alla decisione di non costituirsi parte civile nel processo istruito presso la procura di Trani avverso alle agenzie di rating Standard&Poor's e Fitch.
(2-00940) «Pesco, Ruocco, Cancelleri, Alberti, Villarosa, Dadone».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'immigrazione in Italia e, più in generale, verso il continente europeo, si sta trasformando in un fenomeno di portata epocale e, specialmente per quanto attiene le rotte che dal nord Africa attraversano il Mediterraneo, sta assumendo negli ultimi mesi tratti tali da destare forte preoccupazione;
   il giorno 19 aprile 2015, a seguito del ribaltamento di un barcone mentre veniva soccorso da una nave battente bandiera portoghese al largo delle coste libiche, si è toccato un nuovo e doloroso record, nel numero di vittime registrate in un solo evento nell'ambito del fenomeno migratorio in corso dai Paesi dell'Africa e del Vicino Oriente;
   sebbene il numero di deceduti non sia ancora ufficiale alla data di redazione del presente atto, sembra che esso debba assommare a circa 900 persone;
   nella giornata del 20 aprile si è registrata un'ulteriore grave notizia riguardante gli incidenti in mare conseguenti all'emigrazione: un'imbarcazione con a bordo 200 persone è affondata al largo dell'isola di Rodi;
   anche in questo caso si temono centinaia di vittime;
   secondo quanto riportato dagli organi di stampa, il procuratore aggiunto di Palermo, Maurizio Scalia, durante la conferenza stampa relativa all'indagine su una rete transnazionale che gestisce i viaggi degli extracomunitari verso la Sicilia, avrebbe dichiarato che un milione di persone sarebbe pronto a sbarcare in Europa;
   ovviamente un tale numero di arrivi non solo porterebbe al collasso delle strutture di accoglienza, ma avrebbe ripercussioni incalcolabili sia sul fronte della sicurezza, senza contare il pericolo che vengano a riproporsi disastri come quello avvenuto il 19 aprile 2015, quale che sia la cifra stanziata per il recupero in mare dei migranti;
   va ricordato infatti che nel 2014 sarebbero stati 169.215 i clandestini che hanno rischiato la vita attraverso il Mar Mediterraneo, un numero che, pur di entità impressionante è solo un sesto di quello ipotizzato dal dottor Maurizio Scalia –:
   se, dalle informazioni in proprio possesso, il Governo concordi con la stima di un milione di migranti pronti a sbarcare in Europa riportata dal procuratore aggiunto di Palermo, Maurizio Scalia, il 20 aprile 2015;
   quali misure di competenza il Governo stia attuando per evitare che disastri come quelli occorsi il 19 aprile 2015 nel Canale di Sicilia abbiano a ripetersi.
(5-05386)


   TERZONI, LUIGI DI MAIO, CECCONI, CIPRINI, LOMBARDI, CRIPPA, GALLINELLA, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, MANNINO, ZOLEZZI, DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 10 luglio 2014 era stata data la notizia della vendita del 60,4 per cento delle azioni, con il 66,8 per cento dei diritti di voto, della Indesit alla americana Whirlpool per 758 milioni di euro;
   nel mese di dicembre 2013 si era conclusa la lunga trattativa tra la dirigenza della stessa Indesit, il Governo e le parti sociali con la firma dell'ipotesi di accordo che prevedeva precisi e stringenti impegni da parte dell'azienda in termini di investimento, riorganizzazione produttiva e garanzie per i lavoratori tra le quali ricordiamo quella di rinunciare a ricorrere all'utilizzo di procedure di mobilità unilaterale dei dipendenti degli stabilimenti italiani fino al 2018;
   a luglio 2014, il Presidente del Consiglio Renzi commentando la notizia dell'acquisto delle quote della Indesit da parte dell'azienda americana Whirlpool dichiarava «La considero un'operazione fantastica. Ho parlato personalmente io con gli americani a Palazzo Chigi. Perché non si attraggono gli investimenti e poi si grida ”al lupo”, riscoprendo un'autarchica visione del mondo che pensavamo superata. Noi, se ci riusciamo, vogliamo portare aziende da tutto il mondo a Taranto, come a Termini Imerese, nel Sulcis, come nel Veneto. Il punto non è il passaporto, ma il piano industriale. Se hanno soldi e idee per creare posti di lavoro, gli imprenditori stranieri in Italia sono i benvenuti»;
   mentre in un altra nota stampa, di luglio 2014, si legge circa le dichiarazioni del governatore delle Marche Spacca: «“Whirlpool – sottolinea il governatore – ha riconosciuto fin da subito il ruolo del governo regionale”, tanto che il presidente di Whirlpool Corporation per Nord America ed Europa Marc Bitzer ha incontrato per primo proprio Spacca, nell'aprile scorso. “In quell'occasione – ricorda Spacca – ci siamo detti che se l'intesa con Indesit Company fosse andata in porto, ci saremmo rivisti per una valutazione del piano industriale”. “Ora che l'accordo fra i due gruppi privati è diventata un fatto formale, l'interlocutore della Regione è Whirlpool”. La giunta, ricorda Spacca, “non ha competenza sulle politiche di una grande azienda come Indesit, ma è concentrata sulla tutela di un numero altissimo di imprese micro e piccole dell'indotto, e dunque interessata alle ricadute occupazionali e di reddito sul territorio”. L'accordo che Indesit, i sindacati e la Regione Marche avevano sottoscritto a dicembre prevede 83 milioni di euro di investimenti negli stabilimenti italiani, nessun licenziamento fino al 2018 e il ricorso ad un ventaglio di ammortizzatori sociali: “quell'accordo va rispettato anche dalla nuova proprietà – conclude Spacca –, e va integrato con una strategia industriale di medio-lungo periodo”»;
   sempre a luglio 2014 era stata depositata una interrogazione a risposta orale (n. 3-00953) alla quale non è stata data risposta nonostante l'elevato numero dei lavoratori coinvolti in questa operazione e nonostante le già gravi condizioni occupazionali del territorio fabrianese e casertano il 31 ottobre 2014 un articolo di Repubblica.it ha titolato: «Allarme Indesit, Whirlpool non esclude tagli e chiusure»; nell'articolo si leggono alcuni estratti del documento sull'offerta pubblica di acquisto dai quali si desume che non viene esclusa la chiusura di alcuni stabilimenti; in particolare, nel documento sull'offerta pubblica di acquisto (Opa) si legge che Whirlpool «sta valutando varie opzioni al fine di integrare le attività e le società del gruppo. Tali opzioni sono finalizzate a permettere al gruppo integrato di beneficiare di una struttura societaria ed economica più efficiente e potrebbero includere operazioni straordinarie come fusioni infragruppo e trasferimenti di cespiti o aziende o rami d'azienda, nonché la riorganizzazione delle attività produttive e distributive e il consolidamento di alcune funzioni tra i due gruppi»;
   giovedì 16 aprile 2015 la Whirlpool annuncia il vero piano industriale che prevede la chiusura di tre siti produttivi e 1.350 esuberi. Il gruppo intende fermare le attività della fabbrica di Carinaro (Caserta), di Albacina (frazione di Fabriano) e di None (Torino). E ha ufficializzato al Ministero dello sviluppo economico che prevede appunto 1.350 esuberi, di cui 1.200 nelle fabbriche e 150 nei centri di ricerca su un totale di 5.150 lavoratori;
   giovedì 16 aprile 2015 da fonti di stampa di legge la nota di Davide Castiglioni, amministratore delegato di Whirlpool Italia: il piano è «il migliore che possiamo mettere in campo. Abbiamo guardato tutti i piani possibili, è il migliore per garantire continuità e sostenibilità a lungo termine»;
   l'azienda sostiene che gli ulteriori esuberi rispetto a quelli esistenti al momento dell'acquisizione di Indesit sono 400 e «sono stati tenuti al livello più basso possibile». Per «minimizzare l'impatto sulle persone e sulle comunità coinvolte» dai tagli «Whirlpool è disponibile a considerare soluzioni che evitino procedure di mobilità unilaterali fino alla fine del 2018 in linea con lo spirito del Piano Italia»;
   già nel 2011 l'azienda americana aveva dichiarato mille esuberi negli stabilimenti italiani, di cui 600 a Varese. Le uscite, scese a 495, erano poi state gestite attraverso prepensionamenti, mobilità volontaria e incentivata e contratto di solidarietà. A inizio 2014, poi, l'annuncio della chiusura di una fabbrica in Svezia e del trasferimento della produzione di microonde a incasso proprio a Cassinetta di Biandronno;
   sempre giovedì 16 aprile 2015 lo stesso Ministro Federica Guidi ha diffuso una nota in cui si legge che «il Governo ha preso atto degli aspetti positivi e certamente importanti sul fronte degli investimenti e dell'incremento dei volumi, ma ha, al contempo, espresso forte contrarietà per gli aspetti legati agli impatti occupazionali inerenti diversi siti produttivi, ho chiesto all'azienda di confermare l'impegno a non procedere a licenziamenti unilaterali fino al 2018», ma si ricorda che giovedì, 19 febbraio 2015 in una nota stampa diffusa del Ministero dello sviluppo economico si legge: «Ha preso il via questa mattina presso il Ministero dello sviluppo economico il confronto sul progetto di integrazione tra Whirlpool e Indesit, due tra i maggiori produttori di elettrodomestici in Europa. L'incontro presieduto dal Ministro dello sviluppo economico Federica Guidi e a cui hanno partecipato i rappresentati delle Regioni ove sono presenti gli insediamenti produttivi del Gruppo (Toscana, Lombardia, Marche e Campania), dei lavoratori, dei sindacati e dell'azienda, ha offerto l'occasione per illustrare i principi guida che ispireranno il nuovo piano industriale e le strategie che porteranno alla nascita del nuovo Gruppo leader a livello europeo nel settore dell'elettrodomestico. Sui punti trattati si è registrata la condivisione dei sindacati e delle istituzioni presenti. In occasione della prima riunione è stato inoltre fissato un percorso di verifica e di condivisione delle decisioni future, a partire dal piano industriale che sarà pronto dopo Pasqua. Subito dopo è in programma una nuova riunione tra le parti al Mise. Il Ministro Guidi ha chiesto un'attenzione particolare alla salvaguardia e alla valorizzazione dell'elevato patrimonio di competenze accumulato nel tempo dalle due aziende» –:
   quali siano i dati in possesso dal Governo in merito allora piano industriale che Whirlpool ha presentato a luglio 2014 al Presidente del Consiglio Renzi tale da averlo convinto della bontà della proposta di acquisto;
   se non ritengano di dover rendere noti i contenuti dettagliati del piano industriale che Whirlpool ha presentato ufficialmente giovedì 16 aprile 2015 e che prevedono l'esubero di 1350 dipendenti e la chiusura di 3 stabilimenti;
   se ci sia il rischio che gli esuberi possono essere superiori al numero suddetto in particolare estendendo al settore impiegatizio della Whirlpool;
   se quanto riportato nel documento per l'offerta pubblica di acquisto corrisponda a ciò che era previsto nei piani esposti al Presidente del Consiglio nel mese di luglio 2014 e se quei piani esposti a luglio 2014 corrispondano con il piano industriale presentato ufficialmente giovedì 16 aprile 2015 e se quindi lo stesso Presidente fosse a conoscenza già da quella data dei possibili piani di fusione, accorpamento, chiusura e del vero numero di esuberi previsti;
   quali misure il Governo intenda adottare per far rispettare i contenuti dell'accordo firmato dalle parti nel dicembre 2013 prima della vendita alla Whirlpool, con particolare riferimento alle garanzie per i lavoratori, nel caso di risposta negativa, cosa intenda fare il Governo per tutelare i livelli occupazionali degli stabilimenti Indesit italiani, con particolare riferimento agli stabilimenti di Fabriano, Comunanza, Teverola, Carinaro e None;
   quali misure intenda mettere in atto per garantire il livello occupazionale ai 1350 esuberi e successivi paventati esuberi, vista la complicità dello stesso Presidente del Consiglio dei ministri Renzi nella vendita della Indesit all'azienda Americana Whirlpool e rimediare al suo errore;
   quale sia lo stato di attuazione del tavolo nazionale sull'industria del bianco presso il Ministero dello sviluppo economico richiesto ed ottenuto dai sindacati e quali misure si intendano adottare all'interno del tavolo per arginare e fermare la crisi che sta investendo questo settore;
   se non intenda valutare l'opportunità di adottare immediate iniziative per riutilizzare, a nuovi fini produttivi, gli stabilimenti dismessi, alla luce del combinato disposto dell'articolo 42 della Costituzione – il quale afferma che «la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge», ma precisa anche in modo incontrovertibile che la proprietà privata incontra dei limiti «allo scopo di assicurarne la funzione sociale» – e dell'articolo 838 del codice civile, il quale stabilisce che «quando il proprietario abbandona la conservazione, la coltivazione o l'esercizio di beni che interessano la produzione nazionale, in modo da nuocere gravemente alle esigenze della produzione stessa, può farsi luogo all'espropriazione dei beni da parte dell'autorità amministrativa, premesso il pagamento di una giusta indennità. La stessa disposizione si applica se il deperimento dei beni ha per effetto di nuocere gravemente al decoro delle città, o alle ragioni dell'arte, della storia, della sanità pubblica». (5-05390)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RUOCCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel giugno 2009 presso il comune di Reggio Emilia la società Delrio Bonfiglio & figli di Delrio Paolo S.A.S. si aggiudicava l'appalto per la ristrutturazione della scuola dell'infanzia Salvator Allende sita in via Gattalupa, mediante procedura negoziata con un'offerta al ribasso per un importo di 140.941 euro, contro i 152.583 euro dell'importo di partenza;
   la predetta società era all'epoca controllata per il 99 per cento da Paolo Delrio in qualità di socio accomandatario con poteri di amministrazione mentre il restante 1 per cento era attribuito a Rita Enrica Montanari, moglie di Paolo Delrio e a quel tempo funzionaria dell'ufficio gare e contratti del comune di Reggio Emilia;
   l'ufficio gare e contratti del comune di Reggio Emilia ricevette la lista delle 20 società scelte dal comune per partecipare alla gara d'appalto il 14 aprile 2009 e spedì gli inviti un mese e due giorni dopo, il 16 maggio, per cui la Montanari (socia della Delrio Bonfiglio & figli e allo stesso tempo funzionaria dell'ufficio gare) era a conoscenza della gara un mese prima degli altri partecipanti;
   nello stesso mese di giugno 2009 veniva rieletto sindaco di Reggio Emilia, per il secondo mandato, Graziano Delrio, cugino di Paolo Delrio e già primo cittadino nei precedenti 5 anni;
   il 5 giugno 2009 il dirigente al servizio affari istituzionali del comune chiede alla procura di Reggio Emilia il certificato di casellario giudiziale intestato ai due soci accomandatari della ditta vincente, ma sotto la richiesta compare solo il nome di Paolo Delrio e non quello della moglie Rita Enrica Montanari;
   nell'aprile del 2010 Paolo Delrio presentava richiesta di concordato per evitare il fallimento della predetta società, che dal verbale risulta ubicata nella stessa via ove i cugini Paolo e Graziano Delrio condividevano la proprietà di alcuni immobili tra case, box e magazzini;
   il gruppo consiliare del Movimento Cinque Stelle al comune di Reggio Emilia ha presentato richiesta di accesso agli atti, mentre lo stesso ente diramava la seguente nota: «La dottoressa Enrica Montanari, funzionaria del Servizio Appalti e Contratti del Comune di Reggio, coniuge di Paolo Delrio, ha avuto un ruolo d'ufficio minimale, non si è occupata dell'invito alle ditte e non ha partecipato ai lavori della commissione. Il sindaco di un comune, in tal caso l'allora sindaco Delrio, non si occupa, non si è occupato e non ha alcuna competenza in materia d'appalti. Il Comune ha incaricato i propri legali di valutare se sia stata lesa l'immagine e l'onorabilità dell'Amministrazione stessa»;
   il testo unico sul pubblico impiego, (decreto legislativo 165 del 2001) dice che l'ente deve essere informato dell'esistenza di un potenziale conflitto di interessi, vagliarlo ed eventualmente concedere al dipendente il nulla osta, la dottoressa Montanari non segnalò che era socia della ditta che partecipò alla gara d'appalto, vincendola;
   in un articolo pubblicato dal sito lanuovapagina.it l’ex assessore del comune di Reggio Emilia Franco Corradini in merito alla sua esclusione dalla giunta dichiara che avrebbe dato fastidio «la mia opposizione al Park Vittoria, la mia critica alla cooperazione reggiana e alla nomina di Poletti Ministro, la mia denuncia sulle parrocchie che invitavano Vecchi, la mia dichiarazione circa il fatto che se fossi divenuto sindaco non avrei mai nominato parenti come ha fatto Delrio nominando Massimo Magnani Dirigente del Comune e il mio consiglio a SEL di cambiare cavallo visto lo scarso risultato dell'assessore Sassi alle primarie»;
   il Massimo Magnani di cui parla Corradini è parente di Graziano Delrio, dal 2 aprile Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
   il sito ilgiornale.it riporta la notizia secondo cui: i giornali locali di Reggio Emilia scrivono che nello staff ministeriale Delrio pensa di portarsi anche l'architetto Massimo Magnani. Segni particolari: cugino anche lui di Graziano Delrio, impiegato anche lui al comune di Reggio Emilia, come dirigente della pianificazione strategica e gestione delle infrastrutture (107 mila euro lordi il compenso);
   il Presidente del Consiglio dei ministri commentò le dimissioni del precedente Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Maurizio Lupi, invischiato in polemiche su conflitto d'interessi, scelte dirigenziali e questioni familiari come «scelta, saggia» –:
   di quali elementi disponga il Governo sulla vicenda illustrata in premessa e quali iniziative intenda adottare in merito alla questione del conflitto d'interessi per chi ricopre funzioni pubbliche. (4-08847)


   SANTELLI e OCCHIUTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel Comune di Oriolo (CS), in data 27 marzo 2015, si sono verificati cinque importanti movimenti franosi;
   ad essere colpite dagli eventi calamitosi sono state due delle frazioni più popolose del Comune, comportando l'evacuazione immediata di numerosi nuclei familiari, l'interruzione dei principali servizi pubblici, quali quello scolastico, di distribuzione d'acqua potabile, di energia elettrica e di telefonia;
   gli eventi franosi hanno inoltre compromesso il sistema viario interno, causando gravi disagi lungo le arterie provinciali SP53 ed SP156;
   in data 5 aprile 2015 è stato attivato un tavolo tecnico permanente presso la prefettura di Cosenza al fine di garantire un'azione di monitoraggio del fenomeno e di coordinamento dell'attività da porre in essere nella fase emergenziale, fornendo ogni utile contributo anche nella successiva fase di individuazione delle misure necessarie per la messa in sicurezza del territorio;
   le attività economiche della zona, prevalentemente di natura agricola, hanno subito una paralisi delle loro attività con conseguenti ripercussioni negative sul tessuto socio-economico dell'intera area;
   le risorse stanziate dalla regione Calabria per affrontare lo stato emergenziale, circa 500.000 euro, sarebbero insufficienti per la risoluzione delle problematiche idrogeologiche che affliggono molteplici zone a rischio della Calabria –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare: a) al fine di garantire alla popolazione colpita dagli eventi franosi il supporto necessario per consentire l'erogazione dei servizi essenziali; b) al fine di tutelare fattivamente, tramite l'utilizzo di strumenti straordinari in materia di riconoscimento dello stato emergenza derivante da calamità naturali, le attività economiche e produttive presenti nel territorio; c) al fine di predisporre un piano che coinvolga i livelli istituzionali preposti, volto alla programmazione ed attuazione di politiche attive nel campo della prevenzione del rischio idrogeologico. (4-08848)


   MUCCI, BARBANTI, SEGONI, RIZZETTO, ROSTELLATO, TURCO, BALDASSARRE, BECHIS e PRODANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal servizio mandato in onda dalla trasmissione Report in data 18 aprile 2010 e dall'articolo intitolato «Favori al presidente del Molise, indagato il questore di Campobasso», pubblicato dal quotidiano Corriere della Sera nell'edizione del 15 gennaio 2014 si apprende che:
    il «Programma pluriennale di interventi diretti a favorire la ripresa produttiva nel territorio della regione Molise colpito dagli eccezionali eventi sismici del 31 ottobre 2002 e da quelli meteorologi del gennaio 2003» ex articolo 15 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3268 del 12 marzo 2003, ha finanziato, nel Molise, 324 aziende ma di queste, 132 non sono mai nate. La regione Molise ha chiesto la revoca e la restituzione dei finanziamenti anche alla società Bio.com, di proprietà dell'attuale presidente della regione Molise, Paolo Di Laura Frattura –:
   se il Governo non ritenga doveroso accertare, per quanto di competenza, le notizie e i fatti di cui in premessa;
   se non ritenga indispensabile, per quanto di competenza, promuovere una verifica ispettiva presso la questura di Campobasso che faccia piena luce su quanto accaduto;
   quali iniziative il Governo intenda assumere, ove ne sussistano i presupposti di fatto e di diritto, per la restituzione dei finanziamenti da parte delle aziende che non hanno mai iniziato la loro attività.
(4-08859)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCAGLIUSI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   le rappresentanze diplomatiche, gli uffici consolari e gli istituti italiani di cultura sono uffici all'estero del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI), come da articolo 130 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967;
   al personale in servizio negli uffici all'estero del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale viene corrisposta un'indennità di servizio estero (ISE) di cui all'articolo 171 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967;
   a seguito dell'approvazione della legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 23 dicembre 2014), avente tra l'altro finalità di contenimento della spesa pubblica, a partire dal 1o luglio 2015 entrerà in vigore la riforma del trattamento economico all'estero del personale di ruolo del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale che prevede una riduzione del 20 per cento della quota base dell'ISE e la corresponsione di indennità connessa alla voce di spesa relativa all'abitazione prevista dall'articolo 178 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967;
   tale indennità per l'abitazione dovrà essere erogata a tutto il personale in servizio all'estero che non goda di residenza di servizio o alloggio demaniale sotto forma di maggiorazione per le spese di abitazione, parametrata alle funzioni svolte e determinata sulla base di una percentuale dell'ISE;
   a quanto consta agli interroganti non è stato ancora comunicato alle circa duemila unità di personale, il quantum di tale voce di spesa riferito alla previsione dell'articolo 178 del decreto del Presidente della Repubblica succitato, né il quantum relativo all'ISE prevista dall'articolo 171 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica, e nemmeno i coefficienti di sede indispensabili per poter calcolare tale indennità –:
   quali criteri siano stati adottati per determinare per ciascuna funzione la percentuale dell'ISE relativa alla maggiorazione delle spese di abitazione prevista dall'articolo 178 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967;
   quali iniziative intenda porre in essere il Ministro interrogato per rimediare a questo ritardo. (4-08854)


   DI BATTISTA e SIBILIA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con l'atto di sindacato ispettivo portante numero 4-04565, l'interrogante sottoponeva al Ministro in indirizzo alcune questioni relative ad un progetto di cooperazione in Tanzania in merito ad un «Intervento sanitario di potenziamento della diagnosi e cura dell'infezione da Hiv/Aids, tubercolosi, malaria e patogeni emergenti» per un importo complessivo di euro 2.427.500,00, programma ordinario AID 8785»;
   il Ministro interrogato, per il tramite del Vice Ministro Lapo Pistelli, dava riscontro in data 6 agosto 2014, ma alcune problematiche meritano di ulteriore approfondimento e chiarimento;
   in particolare, per quanto concerne alcuni aspetti con i quali si chiedono delucidazioni sull'attività espletata dall'INMI Spallanzani di Roma, sarà necessario chiedere precisazioni anche al Ministro della Salute;
   nella risposta il Ministro in interrogato evidenziava che il programma di attività sanitarie oggetto di interrogazione, inizialmente volto al rafforzamento della rete di strutture assistenziali, si sarebbe in seguito «orientato verso un progressivo ampliamento della componente di capacity building, in termini di formazione e ricerca, di attenzione all'area nella gestione delle febbri, di risposta e sorveglianza delle malattie emergenti, nonché alla prevenzione delle infezioni ospedaliera»; a tal riguardo non viene però specificato quali corsi siano stati effettuati, chi li abbia tenuti, la sede dove si sono svolti ed i costi sostenuti;
   quanto invece ai collaudi, che il Ministro in indirizzo afferma essere avvenuti regolarmente, si rileva come nella risposta del Vice Ministro si proceda ad una elencazione asettica dei passaggi che devono essere rispettati in una ordinaria procedura di collaudo, ma non viene indicato quanto è stato fatto nello specifico e gli esiti dettagliati delle operazioni di collaudo (come, ad esempio, i valori relativi alla carica batterica rilevata nell'ambiente, il corretto funzionamento delle autoclavi, la capacità del sistema di mantenere una corretta temperatura ed umidità);
   si evidenzia come la verifica degli esiti dei collaudi sia essenziale, in quanto una mancata sicurezza di tali laboratori, porterebbe a una fuoriuscita nell'ambiente di microrganismi pericolosi per l'intera collettività con danni per la salute umana incalcolabili;
   riguardo al sistema di mantenimento dell'azoto, a parere dell'interrogante l'assenza di contenitori di azoto liquido nel laboratorio in quella regione, con temperatura proibitive e con possibilità di sbalzi di corrente elettrica, potrebbe significare lavorare con il rischio di perdere tutto il materiale conservato;
   per quanto risulta all'interrogante, difatti, altri laboratori dei Paesi africani (come la BSL3 gestita dal Pasteur in Senegal) utilizzano proprio sistemi di raffreddamento con azoto liquido;
   a ciò si aggiunga che l'interrogante nutre seri dubbi sull'effettivo funzionamento della BSL3 a Bagamoyo come si può evincere dai punti che seguono;
   sempre nella risposta del Vice Ministro, infatti, si sottolinea come l'Ifakara health Institute sarebbe il responsabile dal punto di vista tecnico del laboratorio BSL3 a Bagamoyo, ma il sito internet dell'Istituto Ifakara non farebbe riferimento alcuno alla predetta BSL3, e ciò appare molto strano dal momento che l'Ifakara nel website descrive meticolosamente tutte le attività svolte;
   dal sito dell'Ifakara health Institute emerge, inoltre, che sono oggetto di sviluppo proprio dei laboratori BSL3 a Bagamoyo senza fare menzione alcuna ai progetti di cooperazione italiana, ma si legge, per contro, di una collaborazione con il Governo Svizzero e con la Swiss TPH;
   anche dal sito della Swiss TPH (Swiss tropical and public health institute) può evincersi che l'istituto svizzero e l'Ifakara sarebbero alla ricerca di un direttore per un laboratorio BSL3 proprio a Bagamoyo;
   senza contare che, con riferimento alla domanda relativa agli agenti patogeni coltivati presso il laboratorio BSL3, il Ministro interrogato dava riscontro segnalando che «al momento non vi è alcun agente patogeno conservato presso la struttura»;
   a parere dell'interrogante è singolare che, dopo un anno di attività, non vi sia alcun agente patogeno nella BSL3 e non è dato sapere quale sia l'attività di ricerca in concreto svolta a Bagamoyo;
   a tal fine sarebbe interessante capire se ricercatori dell'INMI abbiano lavorato all'interno del laboratorio successivamente alla sua apertura nel giugno 2013 in quanto, da articoli di stampa online della Tanzania, allafrica.com, l'interrogante ha appreso che l'ambasciatore italiano in Tanzania, Pierluigi Velardi, avrebbe dichiarato, nell'agosto 2013, che l'INMI «Spallanzani» metterà a disposizione personale altamente specializzato incaricato di far partire le attività di laboratorio e di fornire formazione al personale locale;
   il Viceministro ha reso noto, nella risposta all'atto di sindacato ispettivo, che la nomina dei responsabili locali e nazionali è stata negoziata, ma non ancora formalizzata;
   per tale via da un lato appare quantomeno insolito che, ad un anno e mezzo di distanza dall'inaugurazione, non vi sia ancora un direttore responsabile ufficialmente designato e una pianta organica del laboratorio e, dall'altro lato, il Vice Ministro Pistelli, non ha fornito informazioni sul personale altamente specializzato dell'INMI «Spallanzani», cui fa riferimento l'ambasciatore italiano;
   l'assenza di ricercatori e del personale dello Spallanzani presso il laboratorio è particolarmente insolito e preoccupante in quanto, come riportato nella risposta del Viceministro, il progetto AID 9562 (che segue al precedente progetto AID 8785) «vede l'Inmi quale vero e proprio ente esecutore ai sensi dell'articolo 8 della legge n. 49 del 1987» con il quale il Ministero ha sottoscritto un'apposita convezione in data 11 ottobre 2011;
   si consideri infine che l'interrogante ha appreso da organi di stampa on line che un laboratorio in Tanzania, a Bagamoyo, sarebbe interessato da un possibile caso di corruzione ed, a tal fine, si ritiene necessario un approfondimento finalizzato ad escludere un coinvolgimento del laboratorio finanziato dal progetto di cooperazione de quo –:
   se intenda chiarire, con riferimento alla formazione e ricerca, cui sarebbe stato orientato il programma di cooperazione oggetto di interrogazione, quali corsi siano stati effettuati, chi li abbia tenuti, in quale sede e quali siano i costi sostenuti;
   se intenda rendere di pubblico dominio l'esito dettagliato delle operazioni di collaudo, come, ad esempio, i valori relativi alla carica batterica rilevata nell'ambiente, i dati sul funzionamento delle autoclavi, nonché i dati concernenti la capacità del sistema di mantenere una corretta temperatura ed umidità;
   se sia a conoscenza di altri laboratori di tipo BSL3 attualmente funzionanti nel continente africano che non utilizzano sistemi di raffreddamento con azoto liquido;
   se i laboratori BSL3 sviluppati in collaborazione tra l'Ifakara health Institute e la Swiss TPH (Swiss tropical and public health institute) richiamati nei siti web di citi in premessa, siano diversi da quello oggetto di interrogazione e se sia noto quanti siano i laboratori BSL3 attualmente in funzione a Bagamoyo;
   alla luce dell'assenza di agenti patogeni conservati nel laboratorio oggetto di interrogazione ed in considerazione della riferita attività di ricerca che verrebbe svolta all'interno della BSL3, quali attività specifiche di ricerca e quali studi sono stati portati avanti e con quali risultati scientifici;
   se, in relazione al ruolo di ente esecutore ai sensi dell'articolo 8 della legge n. 49 del 1987 rivestito dall'INMI, quali attività lo Spallanzani abbia espletato con riferimento a tale ruolo e se corrisponda al vero che il personale dell'INMI «Spallanzani» di Roma, successivamente all'apertura del laboratorio, BSL3 di Bagamoyo nel giugno 2013, non abbia mai lavorato o partecipato alle attività del laboratorio stesso;
   se siano stati ufficialmente designati il direttore responsabile e componenti dell'organico del laboratorio oggetto di interrogazione;
   se i Ministri interrogati siano in possesso di materiale fotografico o video comprovante il regolare funzionamento del laboratorio de quo a Bagamoyo e se si intenda rendere di pubblico dominio il predetto materiale;
   se si intenda rendere di pubblico dominio anche la planimetria e l'ubicazione esatta del laboratorio BSL3 di cui al presente atto di sindacato ispettivo;
   se intenda altresì rendere di pubblico dominio la convenzione stipulata, in data 11 ottobre 2011, tra il Ministero degli affari esteri e l'INMI Spallanzani;
   se intenda chiarire a quali laboratori BSL3 si riferiscano gli articoli di stampa riportati nelle premesse che evidenziano possibili casi di corruzione a Bagamoyo. (4-08860)


   DI BATTISTA, PETRAROLI, L'ABBATE, DE LORENZIS e SIBILIA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   dalle recenti inchieste della procura di Napoli, su presunte tangenti pagate per la metanizzazione dei comuni dell'isola di Ischia che hanno visto coinvolti la cooperativa CPL Concordia ed alcuni soggetti istituzionali, come l'ex sindaco di Ischia (NA) Giuseppe Ferrandino, sono emersi alcuni aspetti sui quali si rendono necessari chiarimenti da parte del Ministro in indirizzo;
   in particolare, da organi di stampa, è emerso che Francesco Simone, responsabile dei rapporti istituzionali della predetta Cpl Concordia, sembrerebbe aver intrattenuto rapporti con l'ambasciatore albanese in Italia, Neritan Ceka, al fine di procacciare voti a Giosi Ferrandino;
   Francesco Simone, oltre ad aver provveduto a conferire consulenze al fratello del sindaco, si sarebbe, difatti, attivato anche per sostenere la campagna elettorale di Ferrandino alle europee 2014;
   dai predetti articoli di stampa risulterebbe che l'ambasciatore albanese in Italia, si sarebbe messo a disposizione di Giosi Ferrandino per tentare di veicolare, in favore di quest'ultimo, i voti della comunità albanese;
   dagli atti di indagine è emerso come Simone abbia organizzato, il 14 febbraio, un pranzo al ristorante Grazia Deledda di Roma per parlare di investimenti in Albania;
   durante l'incontro Simone telefona al sindaco Ferrandino comunicandogli di essere in compagnia dell'ambasciatore Ceka con il quale starebbe parlando proprio degli albanesi con cittadinanza italiana che votano per le elezioni europee;
   questo il virgolettato riportato da organi di stampa: «Simone è a pranzo con l'ambasciatore albanese in Italia, Neritan Ceka. Chiama il sindaco e gli dice che sta parlando proprio degli albanesi con cittadinanza italiana che votano per le Europee: sono trentamila voti. Diecimila voti escono comunque, aspe te lo passo un attimo l'ambasciatore così lo inviti a Ischia»;
   Ferrandino, poi, alle elezioni, ha raccolto ben 82 mila preferenze, risultando il primo dei non eletti della sua circoscrizione;
   senza contare che lo spot del circolo PD Albania, dedicato ai nuovi italiani, ha avuto addirittura come testimonial d'eccezione il premier Edi Rama, il quale, nel video, prima tesse le lodi di Matteo Renzi, poi lancia un appello: «L'Albania ha bisogno dell'Europa, ma oggi l'Europa ha bisogno di ogni albanese che in Italia possa votare per il Partito Democratico italiano e per Martin Schulz come futuro presidente della Commissione europea. Per questo motivo, il dono più bello che ogni albanese può fare al nostro Paese è di non sprecare l'opportunità di scegliere»;
   alcuni mesi fa il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, poche ore dopo l'incendio sul Norman Atlantic, si è recato in Albania, a Tirana, ad incontrare il suo omologo albanese Edi Rama, dove, in relazione ad un futuro ingresso dell'Albania nell'Unione europea ha rilasciato la seguente dichiarazione: «adesso bisogna correre e far si che i negoziati siano veloci. È importante che il popolo albanese sappia che l'Italia è il primo sponsor di questo progetto»;
   se l'incontro dell'ambasciatore con Francesco Simone e l'interessamento per procacciare voti a Ferrandino da parte dell'ambasciatore Neritan Ceka fosse confermato, si tratterebbe di una circostanza gravissima che l'interrogante si augura verrà smentita ufficialmente –:
   se sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   se intenda verificare la fondatezza dei fatti di cui in premessa, chiedendo, chiarimenti sia alle rappresentanze diplomatiche albanesi in Italia, sia direttamente al Ministro degli esteri della Repubblica di Albania e se intenda rendere di pubblico dominio le risposte che verranno fornite. (4-08864)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   come già segnalato nell'interrogazione a risposta orale Daga la relazione dell'Unione sulla lotta alla corruzione 2014 stigmatizza il ritardo dell'Italia nella lotta alla corruzione e all'infiltrazione delle organizzazioni criminali, soprattutto per quanto riguarda i grandi appalti; nell’iter decisionale di approvazione delle opere, dei piani e dei programmi, le procedure ambientali (VIAVAS) costituiscono un momento nevralgico e di particolare delicatezza, miche per la possibilità per il pubblico di partecipare alla decisione secondo quanto previsto dalla convenzione di Aarhus; per la valutazione dei progetti, degli studi ambientali e delle osservazioni pervenute da enti, associazioni e singoli cittadini, è istituita la commissione nazionale VIA-VAS, con nomina del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (articolo 8, decreto legislativo n. 152 del 2006 e articolo 12 della legge n. 116 del 2014);
   la commissione esamina praticamente tutte le opere e i piani di rilevante interesse che vengono proposte dallo Stato o da privati in Italia, per un valore complessivo di diverse decine di miliardi di euro ogni anno, costituendo uno snodo delle politiche economiche e ambientali dell'intero Paese; la commissione per le opere lineari può decidere sui tracciati, chiedendo e/o suggerendo e/o imponendo varianti di percorso, con conseguenze sul valore degli immobili e delle proprietà; il piano triennale per la prevenzione della corruzione 2014-2016 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare evidenzia a pagina 28, nella parte dedicata all'analisi dei rischi di corruzione, che le procedure di VIA-VAS nazionali sono connotate da rischi in relazione: alla discrezionalità delle decisioni; alla portata economica delle scelte; alla capacità di pressione di gruppi interessati alla decisione; nonostante tali criticità il piano sopra richiamato non assegna valori, ad avviso degli interroganti, adeguati di rischio alle varie fasi decisionali connesse alla valutazione di impatto ambientale e alla valutazione ambientale strategica e fa riferimento, come misure da intraprendere, soprattutto alle modalità di nomina dei membri della commissione e alla sottoscrizione di auto-certificazioni relative al profilo del conflitto di interessi e allo status del singolo membro rispetto ad eventuali situazioni che possono determinare condizioni di inconferibilità dell'incarico;
   già nel mese di dicembre dello scorso anno, nell'interrogazione a risposta immediata in commissione a prima firma Zolezzi venivano poste al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare una serie di questioni relative alla composizione della commissione nazionale VIA-VAS e al suo rinnovo, dato che il mandato degli attuali commissari risulta scaduto dal luglio 2014;

l'analisi dei curricula disponibili sul sito del Ministero dei membri uscenti e una breve analisi di fatti di cronaca che hanno coinvolto membri della commissione paiono confermare le preoccupazioni citate nel piano triennale, anche se in quest'ultimo non sono rintracciabili le informazioni che, pur essendo di facile reperibilità, sono qui riportate;
   i soggetti su cui emergono elementi preoccupanti sono segnalati nella sopracitata interrogazione Daga ripresa dall'articolo del Fatto Quotidiano del 20 marzo 2015;
   a quanto riferito nell'interrogazione si aggiunge quanto riportato nell'esposto depositato all'attenzione, tra gli altri, del procuratore generale di Roma Pignatone e dell'Autorità nazionale anticorruzione in cui emergono elementi su molti altri esponenti della Commissione Via nazionale attualmente in carica, come riportato anche dall'articolo de l’Espresso del 7 aprile 2015;
   infine emergono in questi giorni altri elementi relativi ad un altro commissario Xavier Santiapichi, avvocato, entrato nella commissione VIA nel 2008, riconfermato nel 2011. Il suo curriculum è visibile sul sito del Ministero;
   sempre sul sito del Ministero è visibile un altro suo curriculum;
   dai curriculum emerge il suo ruolo di consulente di ecologia mentre difende ancora DECO, del Gruppo Di Zio. Deco è, di fatto, il monopolista dei rifiuti in Abruzzo, oggetto anche di inchieste con il coinvolgimento di parlamentari; dai curricula e da varie sentenze della giustizia amministrativa risulta che ha difeso o è stato consulente delle seguenti società di rifiuti, tutte con grossi problemi di giustizia: Bracciano Ambiente, Terracina Ambiente, Latina Ambiente: in cui è socia UNENDO, il cui patron, Francesco Colucci, è stato arrestato a Milano nell'inchiesta della bonifica Ex SISAL, da notare che nella stessa inchiesta di Milano, è stato arrestato Luigi Pelaggi, già capo di gabinetto della Prestigiacomo nonché collega in Commissione VIA di Santiapichi (poi sostituito nel 2014); Consorzio GAIA: 333 milioni di euro di debiti; De Vizia Transfer;
   tra l'altro nel 2014, il Ministero gli ha fatto un contratto nell'ambito del PON nazionale per dare supporto alle regioni per le procedure di VIA;
   ha sottoscritto almeno due verbali della commissione VIA su altrettanti impianti di rifiuti: uno è quello della Basento Ambiente: secondo quanto riportato anche dall'articolo de L'Espresso già citato anche questo Castellano ha avuto problemi con la giustizia –:
   se il piano anti-corruzione 2014-2016 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con le sue scarne indicazioni, sia adeguato rispetto alla prevenzione della corruzione e dell'infiltrazione presso uno snodo centrale delle grandi opere e piani e programmi nazionali quale la commissione VIA-VAS;
   se le informazioni relative ai membri della Commissione citati siano state verificate e se non risultano in contrasto con le normative, con particolare riferimento al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013 n. 62 «Regolamento recante il codice di comportamento dei dipendenti pubblici», alla legge n. 190 del 2012 «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione» nonché alle norme generali relative all'onorabilità di consulenti al servizio della pubblica amministrazione in un settore così delicato, in considerazione del fatto che sono scelti direttamente dal Ministro con proprio decreto senza selezione pubblica;
   quali forme di monitoraggio sui membri e sulle decisioni della Commissione VIA, siano state svolte sotto il suo mandato dal Ministero sulla base degli obblighi previsti dall'articolo 1 commi 9 e 10 per la gestione pro-attiva da parte delle amministrazioni pubbliche della prevenzione della corruzione; se siano state svolte ad esempio forme di verifica, anche a campione, delle dichiarazioni rilasciate circa l'inconferibilità e il conflitto di interessi nonché degli incarichi professionali dei membri nei momenti appena successivi al termine dell'incarico oppure se siano previste forme periodiche di controllo, anche con l'ausilio delle banche dati delle forze dell'ordine, per verificare i requisiti di onorabilità dei candidati e dei membri nominati e per prevenire rischi di infiltrazione della criminalità organizzata;
   se sia opportuno che una persona per la quale è stato richiesto il rinvio a giudizio per turbativa d'asta ricopra proprio il ruolo di responsabile per l'attuazione della norma anti corruzione nel Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   quali misure di trasparenza intendano adottare sul normale funzionamento della commissione VIAVAS, come, a mero titolo di esempio, la pubblicizzazione delle sedute della commissione e dell'ordine del giorno, la possibilità di fare audizioni pubbliche, l'attuazione delle norme già esistenti ma mai attuate sulle inchieste pubbliche, per le procedure di VIA (articolo 24, comma, 6 del decreto legislativo n. 152 del 2006);
   quali forme di trasparenza e di pubblicità intenda dare alle modalità di scelta dei prossimi membri della commissione VIA, anche alla luce delle norme generali concernenti la pubblica amministrazione e delle numerose sentenze della Corte costituzionale e della Corte di giustizia europea sull'accesso agli incarichi pubblici in ruoli di tale responsabilità, come, a mero titolo di esempio, avvisi pubblici per la raccolta dei curricula;
   quali criteri intenda adottare per la comparazione dei curricula, come i punteggi per pubblicazioni scientifiche, uso del citation index e altro e se tali criteri non ritenga debbano essere resi pubblici prima dell'espletamento della selezione;
   se non ritenga che sia meglio privilegiare il ricorso a tecnici già inseriti in strutture pubbliche quali ISPRA e agenzie regionali, CNR, università, scegliendo fra coloro che non svolgono la libera professione.
(2-00942) «Daga, Busto, De Rosa, Mannino, Micillo, Terzoni, Zolezzi, Vignaroli, Spessotto, Benedetti, Colletti, Vacca, Nicola Bianchi, Brescia, Carinelli, Crippa, Da Villa, De Lorenzis, Della Valle, Dell'Orco, Di Benedetto, D'Uva, Fantinati, Luigi Gallo, Liuzzi, Lupo, Marzana, Nesci, Petraroli, Paolo Nicolò Romano, Simone Valente, Vallascas».

Interrogazione a risposta scritta:


   D'INCÀ, DA VILLA e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la trasmissione AMBIENTE ITALIA della RAI ha mandato in onda il giorno 11 aprile 2015 un servizio di Maurizio Menicucci sul MoSE, il complesso e discusso sistema di dighe mobili ideato per difendere Venezia dal fenomeno dell'acqua alta, dove emergono dubbi sulla funzionalità del sistema, costituito da 4 schiere mobili, una a Malamocco con 19 paratoie, una alla bocca di Chioggia con 18 paratoie, e 2 alla bocca di Lido con 41 paratoie, progetto realizzato per l'86 per cento con 5,5 miliardi euro di costo. In particolare si fa riferimento alla bocciatura del progetto nel 1998 da parte della (Commissione VIA nazionale) sull'impatto ambientale del MoSE: già allora si parlava di sistema datato, che si sarebbe dovuto realizzare e verificare per gradi, che fosse inutile sia per l'acqua bassa quando comunque una parte di Venezia si allaga, sia con onde troppo alte che potrebbero mandare in risonanza le paratoie oscillanti con divaricamento reciproco che annullerebbe l'effetto della barriera o potrebbero causare persino la fuoriuscita dai cardini. Infine, i costi di manutenzione dal momento che l'opera giace per la maggior parte del tempo sotto acqua marina e quindi va incontro a biodeterioramento a causa di animali e piante che possono aderirvi: è un'opera costosissima nella manutenzione, di cui non si sa nemmeno l'entità;
   le recenti vicende giudiziarie che hanno coinvolto il Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico dello Stato e costruttore del MoSE, ipotizzano azioni di corruzione e concussione e possono destare legittimi sospetti di coinvolgimento di comportamenti illegali riscontrabili in quei soggetti, tecnici e politici, che tanto si sono spesi per la realizzazione del sistema MoSE che si è rivelata una macchina corruttiva capace di controllare il controllore, il Magistrato alle Acque, e di elargire tangenti a tutti i soggetti coinvolti, a tutti i livelli: comune di Venezia, regione Veneto, Tar, Guardia di finanza, Corte dei conti – con 35 manager e politici arrestati e oltre 100 indagati;
   Ercole Incalza, deus ex machina del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e delle grandi opere in laguna con il Governo Berlusconi, il Governo Monti, poi Letta e adesso Renzi, ha seguito da vicino la vicenda del Mose;
   in data 4 agosto 2009 le associazioni AMBIENTEVENEZIA, ASSEMBLEA PERMANENTE NO MOSE, MEDICINA DEMOCRATICA VENEZIA hanno presentato alla Corte dei conti, alla procura della Repubblica di Venezia, al Presidente della Commissione petizioni del Parlamento europeo — Bruxelles, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti una segnalazione/esposto che si riferiva ad uno studio eseguito dalla società francese «PRINCIPIA R.D.» (società di consulenza tra le più qualificate e riconosciute autorevoli a livello mondiale per la modulazione numerica di sistemi marini complessi che interagiscono tra loro in modo ondoso) la quale, su incarico ricevuto da comune di Venezia nel 2008, dimostrava che le paratoie di sollevamento del MoSE presentano fenomeni di risonanza ovvero sono dinamicamente instabili;
   il 19 novembre 2009 il comitato tecnico di magistratura del Magistrato alle acque di Venezia redige un documento volto a mettere in dubbio la validità dei risultati del rapporto di Principia R.D. Il documento del comitato tecnico di magistratura, che non porta alcuna evidenza di prove o risultati di calcolo che possono smentire i risultati dello studio di Principia R.D., non ha mai avuto un contraddittorio tecnico-scientifico che avrebbe verosimilmente evidenziato al suo interno errori ed incompetenze per rifiuto al confronto del Magistrato alle Acque e del Consorzio Venezia Nuova nonché per un sopraggiunto cambio dell'amministrazione comunale di Venezia avvenuto nel maggio 2010, che ha portato all'elezione di Giorgio Orsoni, arrestato il 4 giugno 2014 per lo scandalo MoSE. Fra il 1999 e il 2000 Giorgio Orsoni in qualità di avvocato chiese e ottenne, per conto di alcuni clienti, che il Tar del Veneto sospendesse il decreto con il quale due Ministri della Repubblica, Edo Ronchi (Ambiente) e Giovanna Melandri (Beni culturali), dichiaravano che il MoSE non aveva superato la valutazione di impatto ambientale;
   nella seduta del 6 settembre 2005 della X Commissione congiunta alla IV Commissione del comune di Venezia vengono presentate da De Simone, del gruppo italo-norvegese-olandese EKO-NORCONSULT-TEC che ha realizzato decine di dighe e tunnel sottomarini in tutto il mondo, soluzioni alternative a quelle pensate per il MoSE. A Rotterdam è stato realizzato un sistema composto da due sbarramenti mobili che ruotando chiudono un canale collegato al mare, questo in caso d'alta marea. Le strutture di Rotterdam, quando non sono in esercizio, sono posizionate all'asciutto, ispezionabili e manutenzionabili. Altri sistemi realizzati in Europa, sono basati su degli elementi in gomma, gonfiati per arginare le alte maree; strutture che possono essere la soluzione giusta per Venezia, considerato che già operano e sono reversibili, senza la necessità d'invasive strutture subacquee. De Simone parla del sistema del cassone autoaffondante (tipo il MoSE) ed esprime dubbi per il rischio di ribaltamento. La prima analisi deve riguardare la sicurezza, i problemi delle cerniere delle paratie mobili e costi della manutenzione del sistema MoSE. Per quanto riguarda l'impatto ambientale, le strutture mobili alternative al MoSE, non vanno a toccare lo strato di caranto presente in laguna; le strutture alternative non sarebbero ancorate al fondale mediante una struttura di cemento: non si comporterebbero rigidamente con le mareggiate ma potrebbero muoversi oscillando e adeguandosi ai flussi di marea. A Venezia, nelle tre bocche di porto, realizzare strutture mobili tipo Rotterdam verrebbe a costare circa 1,5 miliardi di euro; si è in grado di realizzare le opere in 5 anni; il costo delle manutenzioni (annuo) è di 3 milioni di euro;
   il gruppo di tecnici che nel 1998 negò per primo la valutazione di impatto ambientale al MoSE, sottolineando la pericolosità delle cosiddette «cerniere», oggi si è ricostituito per fare pressione al Governo e chiedere di rivedere tutta l'opera. Andreina Zitelli, già docente allo Iuav proprio in materia di valutazione di impatto ambientale ed ex membro della Commissione nazionale Via del MoSE, in un'intervista dichiara: «il MoSE è un progetto tecnicamente e complessivamente sbagliato», andato avanti senza confronti con altri modelli e ottenendo le autorizzazioni della regione Veneto e del Magistrato alle acque con i sistemi che la procura mette ora in luce. La commissione valutazione di impatto ambientale lavorò per diciotto mesi e concluse i lavori a dicembre del 1998. La conclusione: il MoSE ha un impatto disastroso sugli equilibri lagunari, non garantisce funzionalità e manifesta problemi insormontabili nella gestione. Nel documento finale si legge che il MoSE «comportando un sempre più elevato numero di chiusure (delle paratoie) non è in grado di governare le maree più frequenti e medio-alte, se non a danno della portualità e dell'aperto e continuo scambio tra mare e laguna». Inoltre il progetto viene considerato tecnicamente inaffidabile: il moto ondoso fa vibrare le paratoie non garantendo una chiusura ermetica alle acque. È, infine, costosissimo. Le ultime parole del documento suonano inappellabili: il MoSE, non è «compatibile con le attuali condizioni di criticità dell'ecosistema di riferimento, comprendente la laguna, la città di Venezia, il relativo bacino scolante»;
   a Padova esiste un dipartimento universitario di ingegneria idraulica che è una delle eccellenze del nostro Paese. Lì, un gruppo di ricercatori di altissimo livello lavora da decenni proprio sulle questioni legate ai regimi idrodinamici della laguna, conoscono quell'ambiente per esperienza fisica diretta, dispongono di una eccellente modellistica matematica. Il direttore, il professor Luigi Dal Paos dichiara alla stampa nel 2014: «Noi consulenti naturali per quella grande opera, siamo stati messi all'angolo perché ci siamo rifiutati di modificare una relazione». Il Dipartimento aveva già appurato come il canale dei Petroli avesse dissestato la laguna «incrementando – dice Dal Paos – il processo erosivi della laguna centrale», portandole via 60 centimetri di fango. Sono andati avanti con i lavori senza dare risposte a nessuno, si sentivano al di sopra di tutto e di tutti, tanto che sono riusciti a procedere, senza avere alle spalle un progetto esecutivo, per stralci successivi; nessuno, al di fuori dei loro uffici, sa quale sia il reale stato di avanzamento dell'opera. Quindi, nessuno sa cosa ci sia alle bocche di porto, anche sotto il profilo politico amministrativo: l'intera operazione è stata preventivamente sottratta alle mani del comune e affidata alla regia dello Stato che a sua volta ha delegato per intero il consorzio Venezia Nuova, il consorzio, con il contributo fattivo della dirigenza del Magistrato alle acque, non ha solo preteso di scegliersi i controllori, ha anche eliminato relazioni tecniche scomode e consulenze che non erano disposte a tacere, a falsificare analisi e studi –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno, ciascuno per le proprie competenze, alla luce delle vicende giudiziarie e degli studi tecnici negativi, sottoporre a revisione il progetto complessivo del MoSE sul piano prima funzionale e poi tecnico, prima di procedere ulteriormente con il completamento dell'opera, anche in modo da comprendere dove la corruzione è intervenuta per far avanzare le decisioni e i finanziamenti di un'opera che non ha mai avuto un progetto esecutivo unitario;
   chi abbia la responsabilità scientifica di non aver dato seguito alla valutazione di impatto ambientale negativa del 1998 e quali siano implicazioni future della intrusione irreversibile rappresentata dall'affondamento degli enormi cassoni di cemento attraverso i canali di porto e a profondità definite per sempre;
   chi abbia validato la funzionalità del sistema di previsione, stabilito la quota di chiusura, fissato la batimetria delle bocche, fatto gli studi del monitoraggio ambientale, ignorando i segnali dell'innalzamento del livello marino in rapporto alla vita stimata dell'opera in 50-100 anni;
   se si intenda fare luce definitiva sui collaudi dei lavori male eseguiti e sulle responsabilità delle più recenti approvazioni da parte del Magistrato alle acque, del sistema delle cerniere e del sistema delle paratoie a rischio di risonanza e collasso. (4-08858)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   DI BATTISTA, PETRAROLI, DE LORENZIS e SIBILIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la FNM S.p.A è la holding di un gruppo societario partecipata – secondo i dati del sito del gruppo aggiornati al 16 aprile 2013 – per il 57,57 per cento dalla regione Lombardia e per il 14,74 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze (attraverso la partecipazione di Ferrovie dello Stato S.p.a. società, quest'ultima, integralmente controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze);
   da organi di stampa gli interroganti hanno appreso che il management della predetta holding, e di alcune società del gruppo, sarebbe stato protagonista di spese eccessive, apparentemente non giustificabili e non attinenti all'attività di impresa esercitata dal gruppo;
   come riporta il Fatto Quotidiano, nel pezzo a firma Marco Lillo del 2 aprile 2015, risulterebbero 170 mila euro di contravvenzioni al codice della strada che sarebbero state elevate ai conducenti delle 4 auto aziendali in uso ai dirigenti FNM e dunque alla società proprietaria dei veicoli;
   dal predetto articolo si evince, altresì, che FNM avrebbe speso 17 mila euro per l'acquisto, in data 13 gennaio 2011, presso la Galleria d'arte Sacerdoti, di tre olii su tela del 16esimo ed il 19esimo secolo;
   risulterebbero, inoltre, spese effettuate su siti internet di gioco on line come PokerBwin, spese di abbigliamento per 9 mila euro, nonché per bar, ristoranti e pasticcerie per 10 mila euro, nonché una decina di consulenze come ad esempio quella all'ex, amministratore delegato di Trenord Giuseppe Biesuz (condannato recentemente a 5 anni e 2 mesi di reclusione per il reato di bancarotta della società Urban Screen e per truffa e falso proprio nei confronti di Ferrovie Nord e Trenord);
   risulta altresì che anche un'altra consulenza sia stata conferita a Marco Mazarino De Petro che in 4 anni avrebbe incassato 473 mila euro;
   in particolare, Mazarino De Petro è l'ex sindaco di Chiavari che risulta coinvolto nell'inchiesta Oil for food condotta dal pm della procura di Milano Alfredo Robledo per la quale è stato condannato in primo grado a 2 anni di reclusione per corruzione internazionale ed è stato poi assolto in appello per prescrizione (la vicenda è quella delle tangenti pagate al Governo iracheno di Saddam Hussein in cambio di milioni di barili di greggio quando Mazarino, all'epoca dei fatti, era rappresentante in Iraq del presidente della regione Lombardia, Roberto Formigoni);
   sembra, inoltre, che esista un report sulle spese sostenute dai vertici aziendali, composto da una dozzina di rapporti con migliaia di pagine di allegati, redatto dall'audit interno della società;
   tale report sarebbe già nelle mani dei carabinieri del nucleo investigativo di via Moscova che, su delega del Pubblico Ministero Giovanni Polizzi, avrebbe aperto un procedimento per peculato contro ignoti;
   nonostante il presidente della holding FNM S.p.A., Norberto Achille, in un'intervista ad organi di stampa, abbia dichiarato che «FNM è una spa quotata in Borsa che fa utili. Non gestisce soldi pubblici», gli interroganti ritengono che – alla luce delle partecipazioni pubbliche della regione e, per quanto concerne la presente interrogazione, del Ministero dell'economia e delle Finanze attraverso Ferrovie dello Stato – debbano essere chiariti alcuni aspetti e, in ogni caso, sia necessario mettere in moto tutte le azioni di tutela della partecipazione pubblica;
   senza contare che la FNM, e le società del gruppo, seppur nelle forme giuridiche privatistiche della società per azioni, esercita un'attività di pubblico interesse, in quanto attraverso le sue partecipate, gestisce le linee regionali e 10 suburbane nel territorio lombardo, oltre al servizio Malpensa Express che collega le stazioni di Milano Cadorna e Milano Centrale con l'aeroporto internazionale (con la società Trenord) e gestisce più di 300 chilometri di rete e 120 stazioni dislocate in Lombardia e si occupa della manutenzione ordinaria e straordinaria della rete ferroviaria (con la partecipata Ferrovie nord);
   a prescindere dalle eventuali responsabilità penali del management della società FNM e delle sue controllate, che seguiranno il loro corso, è necessario che l'azionista Ferrovie dello Stato e, dunque, il Ministero dell'economia e delle finanze, faccia valere ogni suo diritto attraverso un controllo della documentazione di rilievo ed anche, eventualmente, valutando la proposizione di un giudizio di responsabilità dei vertici societari ove possano ricorrerne i presupposti;
   da un lato, è vero che la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione – in materia di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e contabile nelle ipotesi di danno cagionato da amministratori di società a partecipazione pubblica – è giunta a ribaltare l'orientamento secondo il quale sussiste la giurisdizione della Corte dei conti anche per i danni subiti dalle società a partecipazione pubblica (sia pur minoritaria ed indiretta);
   dall'altro lato, però, è necessario scongiurare che spese eccessive ed i costi di mala gestio di enti e società a partecipazione pubblica vengano sistematicamente accollati in capo alla collettività;
   già Ferrovie dello stato s.p.a. è stata oggetto, ad esempio, di due pronunce delle magistratura contabile e di legittimità con le quali è stato dichiarato il difetto di giurisdizione della magistratura contabile;
   il primo provvedimento è della Corte dei conti, III sezione giurisdizionale centrale d'appello, n. 548 del 7 agosto 2013: la sezione territoriale della Corte aveva condannato, a titolo di responsabilità amministrativo-contabile, il prof. avvocato Franco Gaetano Scoca, il professor Mario Sebastiani, l'avvocato Roberto Ulissi, nella loro qualità di componenti del consiglio di amministrazione di Ferrovie dello Stato s.p.a. per aver attribuito illegittimamente, all'allora amministratore delegato Giancarlo Cimoli la somma di euro 4.564.139,00 a titolo di «trattamento economico liquidatorio» (elargizione ritenuta del tutto inutile e immotivata, non ricorrendone i presupposti giuridico-economici);
   l'altro provvedimento che riguarda Ferrovie dello Stato spa è un'ordinanza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 71 del 7 gennaio 2014, con la quale è stato dichiarato il difetto di giurisdizione della magistratura contabile in ordine ad una ipotesi di danno erariale che la procura della Corte dei conti aveva chiesto di accertare per un importo pari ad euro 3.480.000,00, somma corrispondente all'ammontare della cosiddetta bonus entry, che doveva ritenersi erogata senza titolo, calcolata in base ad una documentazione fornita dall'ingegner Catania e approvata da lui insieme al presidente della commissione compensi, prof. Pessi, e al direttore generale del personale, dr. Fiorenza, i quali con atti di disposizione hanno sottratto del denaro al bilancio statale in favore della società;
   in merito alle dedotte possibili voci di danno non risulta all'interrogante che il Ministero dell'economia e delle finanze abbia introdotto un giudizio di tipo civilistico volto ad ottenere il risarcimento dei danni cagionati dagli amministratori di Ferrovie dello Stato;
   a parere dell'interrogante non è accettabile che possibili fattispecie di danno alle società partecipate e, di riflesso, all'erario, possano restare impunite e, per tale ragione, si chiede, con specifico riferimento a FNM S.p.A. ed alle sue controllate, di mettere in atto tutti gli strumenti di controllo necessari alla verifica di quanto esposto in precedenza –:
   se sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se trovi conferma che il Management della FNM spa e delle società controllate abbia effettuato le spese richiamate in premessa (relative a 170 mila euro di contravvenzioni al codice della strada ai 17 mila euro per l'acquisto di tre olii su tela del 16esimo ed il 19esimo secolo e le ulteriori spese effettuate su siti internet di gioco on line, spese di abbigliamento per 9 mila euro, per bar, ristoranti e pasticcerie per 10 mila euro);
   se sia a conoscenza che le società di cui in premessa abbiano dato incarichi di consulenza, per 473 mila euro, a Marco Mazarino De Petro;
   se intenda porre in essere, attraverso Ferrale dello Stato spa, tutte le forme di controllo e vigilanza, nei confronti delle società del gruppo FNM spa, con riferimento alle spese effettuate dal management delle predette società;
   se intenda rendere pubblici gli esiti della predetta richiesta di documentazione;
   nel caso in cui dovessero risultare delle spese eccessive o comunque non attinenti alle attività esercitate dalle società oggetto dell'interrogazione, se intenda valutare, nei limiti in cui ne sussistano i presupposti l'esperimento di azioni finalizzate ad ottenere l'accertamento della responsabilità degli amministratori delle società richiamate in premessa, con conseguente risarcimento di ogni danno arrecato alle società stesse e per l'effetto alle casse dello Stato. (4-08862)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere, premesso che:
   le rivelazioni apparse di recente sul quotidiano Libero in un articolo di Davide Giacalone, mostrano come la Corte di Cassazione, con una sentenza depositata il 19 dicembre 2015, pronunciandosi su un caso analogo a quello di Silvio Berlusconi e per l'identica fattispecie di reato, abbia smentito se stessa e quindi la sentenza del 1o agosto del 2013 (numero 35729), che condannò Berlusconi per frode fiscale a 4 anni di carcere;
   con la sentenza emessa ad agosto era stata infatti confermata la condanna inflitta agli imputati in appello, chiedendo anche il ricalcolo della pena accessoria. Il reato contestato era la frode fiscale, con violazione del decreto legislativo 10 marzo 2000, numero 74. Per il Presidente Silvio Berlusconi, ciò comportò la decadenza da parlamentare e l'affidamento ai servizi sociali;
   il 20 maggio del 2014, quasi un anno dopo, la terza sezione della Corte di Cassazione si è trovata ad esaminare un caso del tutto analogo, emettendo una sentenza, depositata in cancelleria il 19 dicembre successivo. L'imputato era stato condannato a due anni e sei mesi di reclusione. Osserva la Cassazione, a pagina 10 della sentenza: «In sostanza, la corte d'appello appare aver adottato una interpretazione (analoga a quella poi seguita dalla Sezione Feriale 118/2013, n. 35729) nel senso che per la sussistenza del reato sarebbe sufficiente la prova di un “coinvolgimento diretto e consapevole alla creazione del meccanismo fraudolento (...) che ha consentito (...) di avvalersi della documentazione fiscale fittizia” al sottoscrittore della dichiarazione» (corsivo e omissioni come da sentenza). Occorre prestare attenzione alle parole che seguono che vanno valutate una per una. Scrive la Corte: «Si tratta però di una tesi che non può essere qui condivisa e confermata, perché contraria alla assolutamente costante e pacifica giurisprudenza di questa Corte ed al vigente sistema sanzionatorio dei reati tributari introdotto dal legislatore con il decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74»;
   le ragioni per cui Berlusconi, assieme ad altri, è stato condannato, non solo sono difformi dalla «contraria» e «assolutamente costante e pacifica giurisprudenza.» della Cassazione, ma ad avviso dell'interpellante sono in contrasto con quanto stabilisce la legge. Tanto che, quel 20 maggio dell'anno scorso, la Cassazione annullò la sentenza che le era stata sottoposta. Il primo agosto del 2013, invece, la confermò;
   la sentenza citata è inoltre accompagnata da alcune massime (utili a fissare i principi di diritto che la sentenza afferma, con l'obiettivo di garantire l'uniformità dell'interpretazione e dell'applicazione del diritto), in calce alle quali ci sono i riferimenti a varie sentenze, sempre della Cassazione, «conformi», vale a dire che sostengono la stessa cosa. È c’è la difforme: la numero 35729. Quella che condannò Silvio Berlusconi;
   nelle motivazioni e nella massime si legge la corretta interpretazione della legge: la frode fiscale ce e si concretezza nel momento in cui è firmata la dichiarazione mendace, mentre nessuno degli atti preparatori può, in nessun caso, essere utilizzato per dimostrarla e indicarne il colpevole. Tale, del resto, è chi firma il falso, ovvero nessuno degli imputati allora condannati. Ma colpevole può anche essere chi induce l'amministratore di una società in errore, mediante l'inganno. Circostanza negata dalla sente d'appello, quindi, ove la si voglia contestare, sarebbe stato un motivo di annullamento (con rinvio), non di conferma. Colpevole può anche essere l'amministratore di fatto, ovvero la persona che non figura come amministratore, ma che ne esercita le funzioni. Nel qual caso, però, si deve dimostrarlo. Senza nulla di ciò non può esserci condanna, questo stabilisce la Cassazione, con «assolutamente costante e pacifica giurisprudenza»;
   cosa ancora più grave nella diversa interpretazione della Cassazione, è che i due collegi (quello del 2013 e quello del 2014) composti complessivamente da dieci giudici, come si vede dal frontespizio delle due sentenze, hanno il medesimo «consigliere relatore», Amedeo Franco; la stessa persona, quindi, ad agosto del 2013 scrive qualcosa che provvede a demolire a maggio del 2014;
   senza minimamente entrare nel merito delle sentenze, che non sono oggetto della discussione in Parlamento, non può non destare allarme il fatto che una sentenza della Cassazione sostenga che un'altra sia «contraria alla assolutamente costante e pacifica giurisprudenza», e che una nota della Cassazione stessa, inviata alla stampa, osservi che nella seconda sentenza sono contenute «alcune espressioni palesemente superflue»;
   la stessa nota, riportata dal Corriere della Sera, mentre si legge che la sentenza della terza sezione della Corte Suprema di Cassazione, la numero 52752 del 2014, ha generato quattro massime, due delle quali riportano la sentenza 35729 del 2013, fra le «difformi», ovvero in contrasto con la decisione successiva, sostiene che la massima è una sola, e il riferimento è richiamato come «vedi». Non, occorre essere giuristi per capire la differenza fra un richiamo «difforme» (per cui la successiva smentisce la precedente) e uno «vedi» (per cui ci si limita a fare riferimento) –:
   se il Ministro interpellato, nell'ambito delle proprie competenze, intenda fare luce in merito e chiarire le vicende riportate in premessa, per capire se vi siano profili di abnormità in un tale contrasto di giurisprudenza della Corte di Cassazione, anche tenendo conto che tale contrasto trova posto nel linguaggio stesso delle sentenze, fino a generare comunicati stampa con dati contraddittori rispetto alla realtà.
(2-00941) «Brunetta».

Interrogazione a risposta immediata:


   DAMBRUOSO e MAZZIOTTI DI CELSO. Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   tra le molteplici, drammatiche conseguenze connesse alla radicalizzazione del conflitto siriano, la comunità internazionale ha da tempo richiamato l'attenzione sul fenomeno dei militanti islamici che dai Paesi dell'Unione europea raggiungono le aree di guerra per partecipare alle ostilità. Questi «viaggi del jihad» compiuti da cittadini europei per combattere all'estero tra le fila di organizzazioni terroristiche sono un fenomeno in costante aumento;
   già negli anni ’80 e ’90, poi ancora nello scorso decennio, i servizi antiterrorismo di mezza Europa documentarono con le loro indagini l'esistenza di una vasta attività di reclutamento, spesso effettuata all'ombra delle moschee più radicali stanziate nel vecchio continente, finalizzata a istradare giovani mujaheddin verso zone caratterizzate da conflitti interetnici e religiosi;
   in chiave di prevenzione il fenomeno dell'afflusso verso la Siria di questa tipologia di militanti islamici ha destato forti preoccupazioni a livello internazionale ed è stato denunciato sia nel rapporto sul terrorismo 2013 dell'Europol che dal coordinatore antiterrorismo dell'Unione europea, Gilles De Kerchove: secondo cifre rese note nel dicembre del 2013 dalla presidenza lituana del Consiglio dell'Unione europea, il numero dei foreign fighters che hanno lasciato l'Europa alla volta della Siria ammonterebbe a circa 2.000 militanti. Sempre il rapporto di Europol sul terrorismo 2013 evidenzia come importanti operazioni di polizia connesse alla partenza o al ritorno di militanti islamisti dal quadrante siriano siano state condotte, soprattutto, in Belgio, Francia, Olanda e Regno Unito;
   sulla scorta delle dimensioni che il fenomeno dei foreign fighters sta assumendo, Consiglio e Commissione europea hanno già segnalato la necessità di ampliare lo spettro delle misure preventive per il loro monitoraggio (rafforzamento dei controlli di frontiera, introduzione di un pnr europeo ed altre) e di attuare misure di dissuasione basate sul dialogo e sul contrasto della radicalizzazione;
   l'Italia, con l'approvazione del decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, ha da poco adottato importanti misure di prevenzione e contrasto delle attività terroristiche, anche con riferimento al fenomeno dei foreign fighters; ma un ulteriore passo in avanti nella lotta al terrorismo internazionale si potrebbe fare con il rapido recepimento della decisione 2008/976/GAI del Consiglio dell'Unione europea del 16 dicembre 2008 – relativa alla rete giudiziaria europea – e, in particolare, del suo articolo 4, che richiede l'individuazione per ciascuno Stato membro di un punto di contatto per la cooperazione giudiziaria. Con l'istituzione della procura nazionale antimafia e antiterrorismo sarebbe quanto mai opportuno individuare nel procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo l'organo competente all'intermediazione giudiziaria sui temi del terrorismo –:
   quali misure si intendano adottare per conferire al procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo il ruolo di corrispondente nazionale (e/o punto di contatto) nella rete giudiziaria europea, in particolare con Eurojust, per le problematiche inerenti al terrorismo. (3-01449)

Interrogazione a risposta scritta:


   SPADONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la recente operazione Aemilia diretta dalla direzione distrettuale antimafia nella notte tra il 27 e il 28 gennaio 2015 ha portato al sequestro di più di 100 milioni di euro di beni e all'arresto di 117 persone, di cui 62 nella sola provincia di Reggio Emilia che viene considerata dagli inquirenti l'epicentro del radicamento della ‘ndrangheta in Emilia Romagna;
   nell'ultima relazione annuale la direzione investigativa antimafia mette in luce un sistema di criminalità organizzata radicato sul territorio e conferma il consolidarsi degli affari di Camorra, ‘Ndrangheta e Mafia in Emilia Romagna. Nelle relazione della Direzione investigativa antimafia si legge: «Numerose indagini hanno accertato il sempre maggior coinvolgimento di professionisti compiacenti nell'attuazione delle strategie economiche dei sodalizi e la diffusa tendenza a creare schermi societari per dissimulare la reale titolarità delle aziende». In questa relazione si parla inoltre degli interventi di ricostruzione post-sisma in Emilia e delle attività che vanno «dal riciclo di denaro, ad investimenti in attività imprenditoriali, dal controllo dei principali traffici illeciti e di contraffazioni, ai finanziamenti usurai»;
   nel dossier 2014/2015 di Libera si dà un quadro generale dell'Emilia-Romagna attraverso alcuni numeri significativi. Tra l'agosto 2013 e il luglio 2014 sono stati sequestrati alle mafie 448 beni, per un valore di 21 milioni di euro: dati che fanno dell'Emilia-Romagna la prima del nord Italia. Per quanto riguarda il narcotraffico la media è di cinque operazioni al giorno, con il sequestro di 817 chili di sostanze stupefacenti e la denuncia di 2.718 persone. Secondo Santo Della Volpe, presidente di Libera informazione e presidente della Federazione nazionale stampa «in Emilia-Romagna c’è un giro importante di droga, legato a gruppi mafiosi pericolosi»; nel dossier si denunciano inoltre i «reati spia», dietro cui si celano le attività dei clan: nel 2013 in Emilia-Romagna sono state 312 le denunce per estorsione, in aumento negli ultimi due anni, 399 i danneggiamenti (spesso per incendio) e almeno una cinquantina le segnalazioni di usura. Tra i reati spia rientrano anche gli illeciti nello smaltimento dei rifiuti (837) e nel ciclo del cemento (142);
   nel «Primo rapporto trimestrale sulle aree settentrionali» per la Presidenza della commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno mafioso a cura dell'Osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano si legge che «la provincia di Reggio Emilia costituisce l'epicentro della ‘ndrangheta nella regione, in particolare nel capoluogo, ove l'organizzazione criminale calabrese ha creato negli anni una vera e propria enclave». La ‘ndrangheta cutrese rappresenta la principale presenza criminale sul territorio, a cui si affiancano i Dragone, i Nicoscia e gli Arena originari di Isola di Capo Rizzuto. In questo report si afferma come negli anni si è assistito ad un vero e proprio processo di spopolamento della cittadina del crotonese a dispetto di una crescita di cutresi trasferitisi nel reggiano. Alla presenza della ‘ndrangheta dei Grande Aracri si affiancano numerose ‘ndrine provenienti da diverse aree della Calabria e attive sul territorio provinciale: i Farao-Marincola di Cirò Marina (KR), i Martino e i Mattace originari di Cutro (KR), i Barbaro di Platì (RC), i Nirta-Strangio di San Luca (RC), i Mancuso di Vibo Valentia (VV), i Bellocco di Rosarno (RC), i Gallo di Gioia Tauro (RC), i Muto di Cetraro (CS);
   secondo l'Osservatorio sulla criminalità organizzata Reggio Emilia rappresenta una realtà davvero peculiare, dato anche che le vicissitudini della cosca Grande Aracri in Calabria vi hanno comportato violenti effetti, producendo fatti di sangue in sé estranei al tipico modus operandi della criminalità calabrese nella regione. Infine, si riscontra sul territorio la presenza di clan riconducibili alla camorra: in particolare i Casalesi e il clan Belforte originario di Marcianise (CE);
   il tribunale di Reggio Emilia, guidato negli ultimi quattro anni dal Presidente Francesco Maria Caruso è notevolmente sottodimensionato rispetto alle stesse previsioni del Ministero della giustizia, secondo cui l'organico dei magistrati dovrebbe essere aumentato dalle tre alle sei unità; in proporzione, anche il relativo personale amministrativo, le cui relative carenze organiche possono portare a inevitabili rallentamenti nella predisposizione degli atti afferenti i procedimenti, necessita di essere incrementato;
   dai dati statistici trasmessi dal dottor Barbuto, attuale direttore dell'organizzazione giudiziaria, emerge che il tribunale di Reggio Emilia è tra i sei più gravati d'Italia per il rapporto tra giudici e cittadini residenti;
   un numero molto elevato di persone coinvolte nell'inchiesta Aemilia, anche se ancora non quantificabile, sarà processato a Reggio Emilia, in quanto i reati attribuiti sarebbero stati commessi in tale provincia;
   a dicembre, ancora prima dell'operazione Aemilia, il presidente Caruso già lamentava la mancanza in organico di tre giudici, un sostituto procuratore e di personale di cancelleria. Secondo il presidente Caruso per avere un'idea della situazione del tribunale di Reggio Emilia è sufficiente pensare che per ogni magistrato la media è di 22 mila e 500 residenti quando il rapporto dovrebbe essere di uno a undicimila;
   il presidente Caruso sottolinea l'immediata urgenza di incrementare l'organico dei tribunale di Reggio Emilia sia in previsione del maxi processo per ‘ndrangheta, sia in vista della gestione delle numerose attività imprenditoriali sequestrate. Secondo Caruso «bisognerà organizzare il Tribunale in modo da garantire un processo in tempi rapidi, con la massima velocità ma anche con la massima attenzione e scrupolo, un processo che si prospetta di notevoli dimensioni anche per la qualità dei temi affrontati, il reato di associazione mafiosa con tutte le sue sfumature e modi di manifestazione, il concorso esterno in associazione mafiosa, certamente è un processo complesso» –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, saranno intraprese dal Governo per l'attuazione di quegli aumenti di organico di magistratura e di cancelleria che lo stesso Ministero della giustizia considera necessari;
   quali iniziative intraprenderà il Ministro, interrogato e quale sarà la tempistica necessaria, vista l'estrema urgenza di intervento, per far fronte a questa problematica affinché con l'aumento di organico minimo previsto sia assicurata una modalità efficace di amministrazione della giustizia nel territorio di Reggio Emilia e provincia. (4-08863)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   SANTELLI, OCCHIUTO e GALATI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che: 
   il tribunale di Crotone ha rigettato la richiesta di concordato preventivo, avanzata dalla società che gestisce l'aeroporto Sant'Anna, dichiarandone il fallimento;
   negli ultimi cinque mesi e con soli tre voli al giorno l'aeroporto ha gestito centotrentamila passeggeri;
   tale aeroporto copre un bacino di utenza sufficientemente ampio, ma soprattutto estremamente disagiato nei collegamenti;
   tale situazione rende necessari provvedimenti immediati –:
   come il Governo intenda intervenire sull'Enac affinché non revochi la licenza per la gestione dei servizi aeroportuali alla società Sant'Anna sino all'individuazione di una nuova soluzione che scongiuri la sospensione dei servizi dell'aeroporto;
   se non si possa assumere ogni iniziativa che consenta di considerare, in deroga e per il periodo di emergenza, l'aeroporto di Crotone aeroporto d'interesse nazionale, affinché l'onere per i servizi di gestione della torre di controllo sia sostenuto dallo Stato e non dalla regione, con relativa modifica della convenzione con l'Enac che si trasformerebbe in non onerosa;
   se non si ritenga urgente effettuare con immediatezza tutti gli adempimenti necessari di competenza volti al funzionamento dell'aeroporto stesso e dei servizi di spostamento che devono essere garantiti ai cittadini. (3-01448)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PARENTELA, NESCI e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la società Aeroporto S. Anna Spa che gestisce lo scalo aereo di Crotone è stata dichiarata fallita con un buco di circa sei milioni di euro. Il tribunale civile di Crotone non ha giudicato ammissibile la proposta di concordato coi creditori, presentata nelle scorse settimane dal management per evitare il triste epilogo;
   prima e dopo l'arrivo di Ryanair — che in pochi mesi ha portato lo scalo «Pitagora» a festeggiare i 100 mila passeggeri — ci si è affannati a porre rimedio alle perdite accumulate negli anni. Mentre iniziavano ad aumentare i flussi di traffico, infatti, i dipendenti dello scalo continuavano a percepire gli stipendi a pizzichi e bocconi, vantando diverse mensilità arretrate;
   nell'ultima assemblea dei soci la regione Calabria ha sottoscritto la ricapitalizzazione, erogato le royalties 2010 ai comuni costieri e impegnato in bilancio le spettanze per il 2011. I comuni avrebbero dovuto produrre le determine per l'impegno dell'8 per cento di quanto ricevuto dalle royalties a favore dell'aeroporto;
   i collegamenti della Calabria con il resto dell'Italia, come noto, sono particolarmente problematici e la situazione riguarda ogni tipo di trasporto. Si pensi solamente al fatto che dal 2011 al 2013, i servizi ferroviari della Calabria sono stati tagliati complessivamente del 16,3 per cento, secondo il rapporto «Pendolaria 2013», mentre le risorse statali per il trasporto regionale su gomma e ferro si sono ridotte del 25 per cento a partire dal 2009. A questo si aggiunga che nei giorni scorsi nei tratti catanzaresi della nuova S.S. 106 vi sono stati diversi crolli, che hanno compromesso la viabilità su alcune carreggiate mentre poco più di un mese fa è crollata la quinta campata del viadotto «Italia» (lato Reggio Calabria) dove erano in esecuzione i lavori di predisposizione della demolizione dell'impalcato per la realizzazione della nuova autostrada;
   la Calabria versa in una situazione emergenziale, anche a seguito del crollo avvenuto presso il viadotto Italia della A3, che ha tremendamente rallentato il traffico veicolare da e per la Calabria, con danni enormi all'economia;
   pertanto, non investire sul trasporto e le infrastrutture vuol dire perdere a tavolino la partita del rilancio di una regione dalle enormi potenzialità dal punto di vista produttivo e dalla forte vocazione turistica –:
   quali iniziative per quanto di competenza il Ministro intenda assumere al fine di scongiurare un ulteriore isolamento e perdita di economie della regione e della città di Crotone, ad oggi senza un aeroporto e con trasporti su gomma e ferro pressoché inesistenti. (5-05387)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALATI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'infrastruttura ferroviaria in Calabria si estende per circa 852 chilometri di linee, di cui 318 chilometro di linee fondamentali e 534 chilometri di linee complementari e comprende sia linee a scartamento normale, gestite interamente dalle società del gruppo Ferrovie dello Stato s.p.a. che a scartamento ridotto gestite dalle Ferrovie della Calabria S.r.l.;
   più in particolare le ferrovie calabresi sono costituite dalle due dorsali, tirrenica e jonica, tra le quali insistono le trasversali cosentina (Paola-Cosenza-Sibari) e catanzarese (Lamezia Terme-Catanzaro Lido) e rappresentano una via di collegamento intra/inter-territoriale di interesse strategico e di cruciale importanza sia sul piano della garanzia del diritto fondamentale alla mobilità dei cittadini, che per le esigenze di comunicazione interna della regione, nonché per consentire l'operatività delle attività economiche e commerciali operanti sul territorio;
   i servizi di trasporto pubblico rappresentano un set di strumenti essenziali e strumentali alle finalità, costituzionalmente demandate all'apparato statale della Repubblica, di rimozione delle disparità economiche e sociali tra i cittadini, ritenute ostative per la partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. La rete calabrese in alcune sue parti è inoltre di fondamentale interesse strategico sia nazionale che internazionale, perché costituisce parte dell'Asse ferroviario europeo «Ten-T 1» ed è essenziale per il trasporto proveniente dalla Sicilia o dal nord verso di essa;
   nonostante l'essenzialità e la strategicità del comparto infrastrutturale e dei trasporti, in specie per una regione nella quale il turismo rappresenta una delle voci più significative dell'economia territoriale e sulle quali possono essere innescate le principali opportunità di crescita e rilancio dello sviluppo economico regionale, lo stesso è stato negli ultimi anni soggetto a progressivo depotenziamento, non soltanto per effetto dei significativi tagli registrati nel settore ma soprattutto per le mancate opportunità di rafforzamento e rinvigorimento. Opportunità mancate che si configurano, a parere dell'interrogante, quali il risultato e la conseguenza evidente dell'assenza di una strategia politica integrata, diretta alla revisione complessiva del sistema infrastrutturale non soltanto sul piano dei collegamenti ferroviari ma più in generale per l'intero sistema di viabilità e comunicazione territoriale;
   ulteriore fonte di preoccupazione sono le recenti dichiarazioni rilasciate a mezzo stampa dall'Amministratore delegato di Trenitalia, nella misura in cui lo stesso rileva una situazione complessa per ciò che concerne la gestione dei contratti di servizio e le possibilità di investimento nelle regioni meridionali (con particolare riferimento alla Campania, Puglia e Calabria), costrette per scarsità di fondi a procedere a lineari tagli di servizi sul versante del trasporto ferroviario. Una situazione di forte complessità che interesserebbe tutte le regioni del Sud Italia e che determinerebbe forti inibizioni e limitazioni rispetto a possibili interventi migliorativi della qualità dei servizi sul territorio;
   l'interrogante rimarca che quanto riportato da Trenitalia rappresenta soltanto l'ultimo dato negativo ed allarmante sugli andamenti generali della situazione dei trasporti e sullo stato delle infrastrutture in Calabria, puntellata da continue situazioni di criticità e disagio del comparto in tutte le sue articolazioni, sia con riferimento alla rete ferroviaria che stradale/autostradale ed aeroportuale, tutte interessate da frequenti problematiche, a causa di crolli o cedimenti strutturali (ultimo e più clamoroso, il caso del crollo del Viadotto «Italia» lungo la Salerno-Reggio Calabria che ha comportato forti disagi per l'intera regione), piuttosto che di piani o previsioni di riduzione/ridimensionamento dei servizi saltuariamente riproposti dal Governo e verso i quali si rende necessaria ogni volta una forte azione di contrasto da parte dei rappresentanti territoriali a tutti i livelli;
   l'interrogante ritiene opportuno portare l'attenzione sulle ricadute pesantissime sull'economia regionale che può determinare la persistenza di una simile situazione di inadeguatezza del sistema infrastrutturale regionale, rispetto alle esigenze dei cittadini, dei lavoratori e degli imprenditori ed operatori economici, in specie con riferimento alle forti limitazioni che le carenze descritte comportano sul comparto turistico, il quale rappresenta una tra le principali opportunità di sviluppo e rilancio economico per la regione e per il Sud;
   da tutto ciò emerge l'inaccettabile fotografia di un'Italia letteralmente «a due velocità», ancora divisa e profondamente diversificata sul piano della qualità dei servizi di trasporto e della parità di trattamento dei cittadini in termini di livelli di qualità dei servizi essenziali. Un gap territoriale in progressivo incremento che rischia di acuire le già profonde disparità economiche e sociali tra Nord e Sud del Paese e che richiede particolare attenzione da parte del Governo anche per i rischi di tenuta socio-economica del sistema-Paese –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione di complessità nella gestione dei servizi di trasporto ferroviario in Calabria;
   quali interventi il Ministro interrogato ritenga di promuovere, nell'esercizio del proprio ruolo di pianificazione generale del comparto dei trasporti e della logistica, per favorire un potenziamento del sistema ferroviario regionale calabrese;
   se ed entro quali termini, il Ministro interrogato ritenga di poter procedere alla definizione di una strategia integrata diretta alla riqualificazione e potenziamento del sistema infrastrutturale calabrese, che versa attualmente in condizione di grave criticità. (4-08846)


   PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel programma di iniziativa comunitaria (PIC) interreg III A Italia-Francia (Alpi), denominato ALCOTRA (Alpi latine cooperazione transfrontaliera), per il periodo 2000-2006 è stato presentato uno studio di fattibilità relativo la realizzazione di un traforo sotto il piccolo San Bernardo dal titolo «Analyse des perspectives pour la réalisation d'une liaison permanente entre la Vallée d'Aoste et la Savoie par le Col du Petit – Saint-Bernard», promosso dalla regione autonoma Valle d'Aosta e dal Conseil Général de la Savoie, dipartimento francese della Savoia con sede a Chambéry, con l'obiettivo di accrescere la coscienza dei principali attori istituzionali ed economici, sia nazionali che d'Oltralpe, circa le potenzialità di un collegamento tra la Savoia e la Valle d'Aosta, verificandone quindi la fattibilità e i costi sopportabili per le amministrazioni;
   questo studio italo-francese reso pubblico nel 2007 ha evidenziato come la realizzazione di un collegamento permanente tra la Savoia e la Valle d'Aosta, attraverso un traforo di appena 6/7 chilometri tra i comuni di Séez e Montvalèzan (Francia) e La Thuile (Italia), consentirebbe numerosi benefici non solo per le regioni interessate ma per l'intero sistema viario europeo. Innanzitutto, favorirebbe una più stretta connessione tra i due versanti della frontiera e sinergie per l'integrazione dell'offerta turistica al fine di creare una politica transfrontaliera che valorizzi il comune patrimonio storico culturale e chiaramente paesaggistico essendo quei territori tra i più belli al mondo;
   l'obiettivo principale dell'iniziativa comunitaria Interreg è evitare che i confini nazionali ostacolino lo sviluppo equilibrato e l'integrazione del territorio europeo. A tal fine s'individuano e finanziano progetti di cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale tra operatori pubblici e privati per favorire legami suscettibili di sviluppi futuri anche al di là di quanto previsto dai singoli programmi. Il programma Interreg III A Italia – Francia copre l'intera frontiera alpina tra i due Paesi perseguendo l'obiettivo generale di migliorare la qualità della vita delle popolazioni interessate e lo sviluppo sostenibile dei sistemi economici e territoriali transfrontalieri attraverso la cooperazione in ambito sociale, economico, ambientale e culturale;
   pur essendo uno studio italo-francese, la realizzazione del traforo sotto il piccolo San Bernardo avrebbe apportato alla Valle d'Aosta e alla sua economia, fondata prevalentemente sul turismo, i maggiori benefici. Infatti, l'inadeguatezza infrastrutturale della piccola regione italiana è la causa principale della perdita di significativi flussi turistici – prevalentemente francesi, tedeschi e inglesi – che preferiscono soggiornare nelle Alpi francesi per la facilità di raggiungimento delle loro località sciistiche. Significativi sono i dati turistici relativi allo scorso anno. La Savoia nella stagione invernale 2013 – 2014 ha registrato 22 milioni di presenze a fronte di appena un milione e mezzo di presenze registrate, nello stesso periodo, in tutta la Valle d'Aosta. Questa enorme disparità è essenzialmente legata all'assenza di infrastrutture adeguate tali da demotivare milioni di turisti a trascorrere le vacanze nella nostra regione alpina. Basta un esempio su tutti: per raggiungere le località sciistiche francesi i turisti europei e non solo possono facilmente andare a Bourg Saint Maurice con i TGV direttamente da Parigi e Londra. Aosta viceversa ha un piccolo aeroporto inutilizzato e la rete viaria è stata pensata esclusivamente per le esigenze di viabilità nazionale. Raggiungere le località italiane dalla Francia è quasi impossibile d'inverno, perché significa oltrepassare in macchina il Piccolo San Bernardo, percorrendo non meno di 4 ore di strada accidentata, sempreché le condizioni metereologhe lo consentano;
   lo studio italo-francese ha progettato la costruzione di un tratto di galleria, sotto il Piccolo San Bernardo, di appena 5 chilometri tali da consentire di collegare la Savoia e la Valle d'Aosta in appena più di mezz'ora di percorrenza permettendo così di dirottare sul nostro territorio significativi flussi di turismo che altrimenti rimarrebbero bloccati in Francia. Un milione e mezzo di turisti non sono più sufficienti a sostenere gli alti costi per il mantenimento delle strutture alberghiere e ricettive della Valle D'Aosta. Da un calcolo sommario risulta che se appena solo il 5 per cento dei 22 milioni di turisti della Savoia fosse messo in grado di raggiungere con più facilità le località sciistiche valdostane essi sarebbero più che sufficienti a rilanciare l'intera economia turistica non solo della Valle d'Aosta ma di tutto il nord ovest del Paese;
   la Francia si è ampiamente prodigata nella realizzazione di questo progetto, dal costo quantificato in 350 milioni di euro, mentre in Italia si è assistito ad un silenzio assordante da parte dei pubblici poteri. Questo ha compromesso l'avanzamento del progetto in quanto per il suo finanziamento, attraverso il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR), è obbligatorio la partnership dei Paesi interessati poiché occorre addivenire ad una convenzione unica designando un capofila per il coordinamento di tutte le operazioni del Programma. Da coloro che maggiormente avrebbero beneficiato di quest'opera, la pars italiana, si è assistito paradossalmente ad un completo disinteresse per tale investimento a danno delle attività turistico ricettive dell'intera Valle d'Aosta;
   il volano della nostra economia è il turismo che vale il 10 per cento del Pil nazionale e impiega oltre due milioni di persone eppure l'Italia perde continuamente punti nel rating internazionale scivolando al quinto posto, dopo Francia, Stati Uniti, Spagna e Cina – appunto per la sua incapacità di attrarre grandi flussi per le note inadeguatezze infrastrutturali che la caratterizza;
   per la realizzazione di un collegamento permanente tra la Valle d'Aosta e Rhone-Alpes a fini turistici è sorto il Comitato per il tunnel del piccolo San Bernardo che, in collaborazione con l'omologo comitato francese, da tempo è impegnato in attività di sensibilizzazione delle autorità politiche nazionali e regionali senza i quali l'intervento sarebbe irrealizzabile. Si fanno molte grandi inutili e costose opere pubbliche come la TAV Torino Lione o il Terzo Valico dei Giovi invisa alla cittadinanza, al punto che ogni giorno aumenta la mobilitazione sociale contro la loro realizzazione, quando invece esistono opere come questa per cui nascono comitati di cittadini per la sua promozione;
   la mancata attenzione per la realizzazione di quest'opera è la dimostrazione di una concezione delle opere pubbliche che non appare finalizzata al benessere e al miglioramento di una comunità e ciò fa riflettere anche alla luce dei recenti casi di cronaca come il caso Mose, Expo, TAV –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto in premessa e se non ritenga opportuno attivarsi nelle sedi opportune, in primis i partner europei, per sostenere un progetto la cui realizzazione rappresenterebbe un'importante occasione di rilancio per l'economia della Valle d'Aosta e dell'intero nord ovest del Paese.
(4-08852)

INTERNO

Interrogazioni a risposta immediata:


   FAVA. Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sindaco di Brescello (Reggio Emilia), Marcello Coffrini, è notoriamente e per sua stessa pubblica ammissione in rapporti di cortesia e frequentazione con un esponente del clan della ’ndrangheta «Grande Aracri», originaria di Cutro (Crotone);
   numerose prese di posizione politiche gli hanno suggerito di dimettersi dalla carica, ma egli non sembra sensibile a queste sollecitazioni, implicitamente pervenutegli anche dalla Commissione d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere –:
   se sussistano i presupposti per l'invio di una commissione d'accesso nel comune di Brescello ai sensi dell'articolo 143 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. (3-01450)


   VILLAROSA, GRANDE, GRILLO e FRUSONE. Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 31 marzo 2015 il sito internet www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com denuncia pubblicamente il rischio che corrono molte amministrazioni locali di commissariamento, a causa delle difficoltà di rispettare il termine di legge del 30 aprile 2015 per l'approvazione del rendiconto 2014, in seguito al nuovo obbligo previsto dal decreto legislativo n. 126 del 2014, che, modificando il decreto legislativo n. 118 del 2011, ha previsto il riaccertamento straordinario dei residui da effettuare con riferimento al 1o gennaio 2015 contestualmente all'approvazione del rendiconto 2014;
   le sanzioni previste per gli enti locali, che non approveranno nei termini di legge il consuntivo 2014, consistono nella sospensione di tutti i pagamenti (fondo di solidarietà in primis) fino a quando i dati non saranno trasmessi ai ministeri competenti secondo le procedure vigenti;
   anche l'Anutel, mediante lettera inviata al Ministro dell'interno, ha chiesto di prorogare la data ultima di approvazione dei consuntivi 2014 al 31 maggio 2015;
   il testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali impone la consegna del rendiconto ai revisori almeno venti giorni prima dell'avvio in consiglio della sessione di bilancio; quindi, gli enti locali, per poter rispettare il termine del 30 aprile 2015, dovrebbero avere già deliberato il bilancio in giunta;
   si ricorda che nel 2014 la suddetta scadenza era stata rinviata al 30 giugno 2014, a seguito della revisione straordinaria del gettito prodotto nel 2013 dall'IMU sui fabbricati di categoria D avviata dal decreto «salva Roma ter» –:
   se il Ministro interrogato intenda valutare la necessità di assumere iniziative per posticipare la data ultima di approvazione dei consuntivi 2014 al 31 maggio o al 30 giugno 2015. (3-01451)


   COSTANTINO, SCOTTO, PALAZZOTTO, FRATOIANNI, PANNARALE, DURANTI, PIRAS, MARCON, AIRAUDO, FRANCO BORDO, DANIELE FARINA, FERRARA, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, QUARANTA, MATARRELLI, MELILLA, NICCHI, PELLEGRINO, PAGLIA, PLACIDO, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZACCAGNINI e ZARATTI. Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 18 e il 19 aprile 2014 una barca che trasportava migranti proveniente dalla costa sud del Mar Mediterraneo è naufragata nel canale di Sicilia;
   i numeri non sono stati ancora confermati, ma secondo le prime testimonianze dei superstiti si temono tra i 700 e 900 morti;
   se confermati i numeri, sarebbe questa la più grande tragedia di sempre nel Mar Mediterraneo;
   secondo una prima ricostruzione il naufragio si sarebbe verificato a causa dello sbilanciamento provocato dalle persone che erano presenti sulla barca, le quali per potersi mettere in salvo si riversavano su un lato della barca e poter quindi accedere al mercantile portoghese, il King Jacob, che per primo è stato dirottato nella zona dopo la segnalazione pervenuta al centro nazionale di soccorso della Guardia costiera;
   le prime testimonianze dei sopravvissuti al naufragio parlano, invece, di una collisione, avvenuta nel tentativo di avvicinamento del barcone alla nave, per cui le due imbarcazioni si sarebbero toccate, con ripercussioni sulla già precaria stabilità del peschereccio stipato all'inverosimile;
   molto probabilmente lo scafista, nel tentativo di nascondersi tra i migranti, ha guidato il barcone con poca attenzione. Le due navi si sono quindi avvicinate, si sono alzate delle onde e la barca ha perso stabilità;
   le prime motovedette della Guardia costiera e della Guardia di finanza sono riuscite a raggiungere il luogo del naufragio soltanto diverse ore dopo l'accaduto;
    in seguito al naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013, che causò la morte di 366 morti accertati e circa 20 dispersi presunti, il Governo italiano decise di avviare l'operazione Mare nostrum;
   l'operazione si svolse dal 18 ottobre 2013 al 31 ottobre 2014, con l'obiettivo di garantire la salvaguardia della vita in mare e di arrestare gli scafisti. L'operazione aveva un raggio di azione fino a ridosso alle coste libiche e furono soccorse oltre 160 mila persone;
   dal 1o novembre 2014 l'operazione è stata sostituita dalla missione dell'Unione europea Triton, che ha come obiettivo il controllo delle frontiere e un raggio di azione di 30 miglia dalle coste italiane;
   durante la conferenza stampa di presentazione della missione appena citata, il 31 ottobre 2014, il Ministro interrogato ci teneva a dichiarare che: «L'Italia spenderà zero euro» per Triton; aggiungeva: «Mare nostrum era nata come operazione di emergenza dopo la tragedia di Lampedusa, limitata nel tempo. Si è protratta più a lungo di quanto fosse previsto. Oggi possiamo dire che l'Italia ha fatto il proprio dovere» e concludeva: «L'Europa ha fatto una scelta, scendere in mare»;
   ad opinione degli interroganti e come confermato anche, ad esempio, dal procuratore di Catania che sta seguendo il caso del naufragio, Giovanni Salvi: Triton è meno efficace di Mare nostrum. Lo stesso procuratore aggiunge, durante dichiarazioni rilasciate all’Ansa, che il «soccorso in mare richiede un'elevata professionalità» che hanno i militari della Marina, della Guardia costiera e della Guardia di Finanza, ma «non tutti gli equipaggi della navi mercantili, che ringraziamo per le centinaia di vite che hanno salvato»;
   la nuova ricostruzione del naufragio, così come emerge dalle testimonianze dei superstiti e dalle dichiarazioni appena citate, impone una seria riflessione sull'efficacia della missione Triton e, quindi, sulla straordinaria necessità di mettere in campo dispositivi di soccorso che siano efficaci nella salvaguardia della vita e che assicurino al contempo il contrasto efficace agli scafisti;
   nella giornata del 20 aprile 2015 si è tenuto a Lussemburgo un vertice alla presenza dei Ministri degli esteri e degli interni dei Paesi dell'Unione europea a cui ha partecipato anche il Ministro interrogato, il quale affermava che la riunione era stata «un punto di svolta» ed è apparso «soddisfatto». In particolare, il Ministro interrogato precisava che alla riunione si era discusso di: «Rafforzare Frontex, il sistema dei rimpatri, il contrasto ai trafficanti di esseri umani e la possibilità di un'equa distribuzione in tutti i Paesi d'Europa dei profughi»;
   nulla veniva detto a proposito della necessità di rafforzare Triton e di farla diventare una missione di ricerca e soccorso in mare come accadeva con l'operazione Mare nostrum, come del resto da più parti richiesto e sollecitato in questi giorni –:
    se e in che modo il Governo intenda rafforzare la missione Triton e se, in particolare, non intenda avviare con urgenza, anche alla luce delle nuove indiscrezioni che emergono sulla dinamica del naufragio e indipendentemente dalle decisioni del Consiglio europeo del 23 aprile 2015, una operazione nel Mar Mediterraneo simile all'operazione Mare nostrum.
(3-01452)


   BUSIN, MOLTENI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dopo l'arrivo sulle coste italiane di nuovi profughi, il prefetto di Venezia, Domenico Cuttaia, ha convocato urgentemente, per il 20 aprile 2015, il tavolo di coordinamento regionale, preannunciando l'arrivo in Veneto di circa 700 migranti;
   stando al prefetto Cuttaia, i nuovi aspiranti rifugiati sarebbero rientrati nella quota a suo tempo assegnata alla regione Veneto, in seguito alle intese raggiunte in sede di Conferenza unificata nel luglio 2014;
   nel convocare la predetta riunione del tavolo di coordinamento regionale, il prefetto Cuttaia aveva sottolineato come fosse necessario individuare rapidamente delle soluzioni alloggiative in grado di accogliere e sistemare i migranti che giungeranno prossimamente nelle province venete, facendo appello a tutti i comuni;
   il prefetto Cuttaia è stato buon profeta, dal momento che nel frattempo hanno raggiunto via mare il nostro Paese ulteriori 11 mila clandestini, che dovranno essere presto distribuiti sul territorio nazionale;
   i comuni del Veneto, a prescindere dal colore politico della loro amministrazione, lamentano di aver da tempo raggiunto e superato i limiti della propria capacità di accoglienza ed in segno di protesta un gran numero di sindaci ha disertato la riunione indetta dal prefetto Cuttaia il 20 aprile 2015;
   all'arrivo di migranti irregolari e presunti profughi sul territorio corrisponde, inoltre, una crescita del disagio avvertito dalla cittadinanza, che rileva ad ogni nuova ondata una generale crescita della criminalità, dovuta anche al difetto di sorveglianza sui siti che ospitano gli stranieri giunti illegalmente nel nostro Paese;
   come ha rilevato il presidente della regione Luca Zaia, proprio in occasione della predetta riunione convocata dal prefetto Cuttaia, l'11 per cento della popolazione del Veneto è composto da persone di origine estera, dato che pone la regione al terzo posto nel Paese quanto a percentuale di stranieri residenti;
   le autorità del Veneto non sono disponibili a soluzioni arrangiate e, in particolare, ad accettare la creazione di tendopoli o l'utilizzo di caserme fatiscenti dismesse in tempi più o meno recenti dal Ministero della difesa per ospitare i presunti profughi –:
   fino a quando il Governo riterrà di gestire il problema dell'immigrazione in questo modo, imponendo alle regioni, alle province ed ai comuni, in modo unilaterale, di offrire ospitalità ai clandestini ed aspiranti profughi senza preventivamente acquisire dati affidabili sull'effettiva disponibilità di strutture idonee e senza parallelamente disporre un incremento delle forze addette ai presidi di polizia nelle zone interessate dagli afflussi. (3-01453)


   FIANO, ROBERTA AGOSTINI, BERSANI, BINDI, CUPERLO, D'ATTORRE, MARCO DI MAIO, FABBRI, FAMIGLIETTI, FERRARI, GASPARINI, GIORGIS, GULLO, LATTUCA, LAURICELLA, MARCO MELONI, MIGLIORE, NACCARATO, PICCIONE, POLLASTRINI, RICHETTI, ROSATO, FRANCESCO SANNA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra sabato 18 e domenica 19 aprile 2015 nel canale di Sicilia si è consumata probabilmente la più grave tragedia del mare con il ribaltamento di un'imbarcazione con a bordo circa 900 immigrati, tra cui molte donne e bambini, partiti dalle coste libiche;
   le operazioni di soccorso sono scattate immediatamente, ma non si è potuto far altro che constatare l'immane tragedia: solo pochi superstiti, infatti, sono stati portati in salvo;
   questo ennesimo dramma dimostra, ancora una volta, come il nostro Paese non può e non deve essere lasciato solo nella gestione di un fenomeno, che, ormai, ha dimensioni di un vero e proprio esodo e che si caratterizza anche per la presenza di organizzazioni criminali e di trafficanti di esseri umani;
   è stato immediatamente chiesto da parte dei più alti livelli istituzionali che l'Unione europea rafforzi significativamente il suo ruolo nella gestione del problema migratorio nel Mediterraneo, in quanto la comunità europea non può sottrarsi al grave fenomeno di centinaia di migliaia di profughi che abbandonano i propri Paesi per sfuggire alla morte;
   il Commissario dell'Unione europea per l'immigrazione, Avramopoulos, ha presentato al Consiglio dei ministri interni-esteri dell'Unione europea un piano d'azione in dieci punti da «mettere in atto immediatamente» in vista del vertice europeo straordinario che si terrà giovedì 23 aprile 2015;
   il piano, tra l'altro, prevede il «rinforzo» delle operazioni Triton-Poseidon e il sequestro e la distruzione dei barconi usati dai trafficanti;
   il Presidente del Consiglio dell'Unione europea Tusk ha, infatti, convocato per giovedì 23 aprile 2015 un Consiglio europeo straordinario, perché, come ha testualmente affermato, «non possiamo accettare che centinaia di persone muoiano quando attraversano il mare verso l'Europa» –:
   quali proposte e quali iniziative il Governo italiano, che da tempo ha sollecitato un'iniziativa comune dell'Unione europea, intenda avanzare in occasione del prossimo vertice europeo al fine di scongiurare che simili tragedie abbiano a ripetersi. (3-01454)


   RAVETTO e BRUNETTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'immane tragedia verificatasi nel Mediterraneo nella notte tra il 18 e il 19 aprile 2015 impone un momento di riflessione e una presa di responsabilità in merito al fenomeno dell'immigrazione;
   il lassismo dell'Europa e del mondo occidentale in genere alimenta, di fatto, un traffico di esseri umani che quotidianamente finanzia le organizzazioni criminali e proprio coloro da cui i migranti fuggono;
   Triton doveva essere il baluardo della solidarietà europea e si è, invece, rivelata un'operazione totalmente inadeguata ad operare il salvataggio in mare, nonché un mero compromesso al ribasso, privo di standard di controllo e sicurezza appropriati;
   in questo momento è necessario che il dolore, la solidarietà e la «frustrazione» della Commissione europea si traducano in un'azione incisiva, che per essere tale deve basarsi su scelte chiare: un sistema di intelligence forte e radicato che monitori il problema all'origine, fino alla sua destinazione; il contrasto tenace e determinato ai trafficanti di morte, anche attraverso l'attuazione di blocchi navali selettivi; un piano sostenibile di accoglienza e solidarietà in Europa e nei Paesi di origine;
   la situazione sta assumendo dimensioni tragiche e l'Europa deve farsi carico di una politica dell'accoglienza che sia coerente e coordinata. Si è chiesto più volte in questo senso l'applicazione della direttiva 2001/55/CE: si riconosca la protezione temporanea europea a tutti i migranti, associata alla creazione di corridoi umanitari internazionali, e si consenta ai migranti l'esercizio del legittimo diritto alla circolazione verso tutti i Paesi europei;
   gli Stati membri dell'Unione europea ancora non costituiscono un'area con un livello di protezione omogenea. Le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo e i tassi di accoglimento di domande di protezione mutano drasticamente da un Paese a un altro e non ci si può continuare a nascondere dietro l'obsoleto principio dello «Stato di primo approdo», principio pensato per situazioni di flussi migratori «sostenibili» e non certo per fronteggiare un esodo come quello attualmente in atto;
   la guerra umanitaria che l'Italia si ritrova ad affrontare richiede una risposta unitaria: oggi, di fronte ad una sfida che ha bisogno di risposte strutturali, non si possono dare soluzioni di tipo emergenziale; dinnanzi ad un simile scenario serve un tavolo di unità nazionale, un luogo di confronto e decisione di cui possano far parte tutte quelle forze politico-istituzionali in grado di contribuire con la propria esperienza e la propria volontà ad affrontare quella che a tutti gli effetti è la sfida di questo nostro tempo, offrendo al Governo un più forte mandato a livello europeo e internazionale teso a pretendere non solo solidarietà, ma soprattutto mezzi, azione politica, strategie;
   alla battaglia sul fronte europeo e internazionale è di fondamentale importanza affiancare una solida politica interna, volta anche ad assicurare a coloro che difendono e pattugliano le coste i mezzi e le strutture idonei al delicato compito che sono chiamati a svolgere; è, pertanto, necessario garantire protezione e sicurezza non solo agli uomini e alle donne che affrontano il mare per migrare in Europa, ma anche agli stessi uomini e donne che rappresentano la loro «ancora di salvezza»;
   si è assistito nei giorni scorsi ad episodi di attacco da parte di uomini armati sui barconi che trasportano i migranti, i quali hanno minacciato le motovedette della Guardia costiera italiana impegnate, senza essere armate, nei soccorsi delle imbarcazioni;
   il Ministro interrogato ha dichiarato di essere disponibile ad «azioni mirate in Libia», con particolare riferimento al «contrasto ai nuovi schiavisti, agli scafisti che sono dei veri assassini e criminali» –:
   quali siano le «azioni mirate» che il Governo intende intraprendere contro gli scafisti e quali iniziative intenda assumere per garantire maggiore sicurezza e tutela del personale della Guardia costiera, valutando, ad esempio, la possibilità di affiancare ai mezzi impegnati quotidianamente nelle operazioni di pattugliamento e di salvataggio nel Mediterraneolusse dei corpi di polizia dotati di armi da difesa.
(3-01455)


   BUTTIGLIONE e BINETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la tragedia verificatasi la scorsa settimana nel Mediterraneo, al largo delle coste libiche, ha causato tra le 700 e le 900 vittime, tra i quali numerosi bambini. L'incidente è avvenuto intorno alle ore 24, quando il barcone era appena salpato dalle coste della Libia;
   lo scenario internazionale non fa presagire alcun rallentamento dei flussi migratori nel Mediterraneo, anche a causa dell'instabilità politica di numerosi Paesi;
   il Governo ha chiesto, con forza e a più riprese, anche durante il semestre europeo, che l'Italia fosse adeguatamente sostenuta nel suo sforzo dall'Unione europea e dai suoi organismi, in applicazione del principio di burden sharing, interpretato anche nel senso di equa suddivisione dei pesi economici derivanti dall'impatto del fenomeno immigratorio;
   le risposte fornite dall'Unione europea e dai Paesi membri alle istanze italiane si sono rivelate fin qui non in linea con le aspettative, alimentando l'impressione che la questione migratoria non venga ancora considerata fino in fondo nelle sue dimensioni di fenomeno epocale, tale da richiedere un impegno strategico delle istituzioni europee –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per promuovere un maggiore coinvolgimento nella gestione dei flussi migratori, oltre che delle istituzioni comunitarie e degli Stati membri, anche dei Paesi di origine e di transito dei flussi medesimi. (3-01456)


   RAMPELLI, GIORGIA MELONI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   solo negli ultimi dieci giorni si sono verificate due gravissime tragedie in mare che hanno visto morire centinaia di persone nel tentativo di raggiungere le coste italiane a bordo di imbarcazioni gestite da trafficanti di clandestini;
   secondo le prime stime elaborate dagli organismi internazionali, in totale dall'inizio del 2015 sarebbero morte circa millecinquecento persone, a dimostrazione del fallimento dell'operazione Triton che, anzi, come previsto da molti osservatori, sta determinando un aumento delle morti in mare;
   proprio ieri la procura di Palermo ha fermato quindici indagati nell'ambito di un'operazione contro il traffico internazionale di esseri umani che ha rivelato una vera e propria organizzazione criminale con base in Libia, dove uno dei protagonisti sarebbe il soggetto considerato responsabile della tragedia di Lampedusa dell'ottobre 2013, che in Italia avrebbe diversi referenti a Roma e a Palermo, uno dei quali addirittura titolare di un permesso di soggiorno;
   solo questa organizzazione sarebbe responsabile di almeno quindici sbarchi tra la seconda metà del 2014 e il 2015, attraverso i quali, secondo la procura, avrebbero portato in Italia oltre cinquemila persone;
   il contrasto all'immigrazione clandestina deve passare in primissimo luogo attraverso la lotta ai trafficanti di esseri umani, che tuttavia si sta continuando a rivelare poco efficace, se si considera che sempre più semplici pescatori si arruolano nelle fila dei trafficanti, banalmente attratti dai facili guadagni e dalla quasi totale impunità;
   nell'ambito dell'incontro straordinario tra i Ministri degli esteri e degli interni svoltosi a Lussemburgo lunedì 20 aprile 2015, la Commissione europea ha espresso l'auspicio che sia adottato un programma di ritorno rapido di migranti clandestini nel loro Paese, coordinato dall'agenzia europea di controllo delle frontiere esterne dell'Unione europea, Frontex –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di contrastare l'immigrazione clandestina in ambito nazionale, anche realizzando misure più efficaci nella lotta ai trafficanti, e in ambito internazionale.
(3-01457)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COZZOLINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Corriere della Sera del 21 aprile 2015 riporta la notizia che tra le persone arrestate giovedì 16 aprile 2015 e accusate di gestire un traffico di migranti clandestini ve ne è uno, Asghedom Ghermay, che aveva ottenuto un regolare premesso temporaneo di soggiorno, valido fino al maggio 2019, a seguito di una richiesta di asilo politico;
   la notizia, già di per sé sconcertante, si inserisce all'interno di un quadro ricostruito dagli inquirenti che non può destare preoccupazione e massimo allarme per il modo in cui vengono gestiti i centri di identificazione ed espulsione da parte del Ministero dell'interno;
   a quanto emerge dalle intercettazioni pubblicate il Ghermay è accusato di essere membro di un'organizzazione che organizza le partenze dalla Libia di migranti che poi provvede a prelevare una volta sul suolo italiano al fine di farli espatriare in altri Paesi d'Europa in totale clandestinità;
   sempre da quanto emerge dalle indagini i membri dell'organizzazione utilizzerebbero con estrema facilità le strutture di accoglienza dei migranti presenti sul nostro territorio come punto di appoggio per le persone che debbono essere trasferite poi clandestinamente. L'ingresso e la successiva uscita dai centri di identificazione ed espulsione dei migranti presi in carico da questa organizzazione avverrebbero in totale clandestinità aggirando tutti i controlli, le procedure e le identificazioni che le autorità preposte dovrebbero invece garantire. Come riportato dagli inquirenti le strutture pubbliche di raccolta dei migranti verrebbero utilizzate dall'organizzazione criminale per garantire vitto e alloggio ai loro clienti –:
   quali misure urgenti intenda adottare il Ministro interrogato al fine di aumentare i controlli all'interno dei centri di identificazione ed espulsione dei migranti e dei centri di accoglienza per richiedenti asilo presenti sul nostro territorio e come si sia potuto verificare che all'interno dei centri di raccolta di migranti venissero letteralmente parcheggiate persone che poi venivano prelevate da un'organizzazione criminale senza che le autorità preposte ne avessero avuto la minima contezza;
   su quali basi sia stato concesso un permesso di soggiorno temporaneo ad Asghedom Ghermay. (5-05389)

Interrogazione a risposta scritta:


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno ha recentemente disposto, con proprio provvedimento, l'aggregazione, per il periodo dal 13 aprile al 31 ottobre prossimo, a Milano in occasione di Expo 2015, di n. 52 operatori in servizio presso la polizia di frontiera terrestre in forza agli uffici di Gorizia, Tarvisio (UD) e Trieste, organici alla IV zona di polizia frontiera di Udine;
   con successivo provvedimento, il dipartimento di pubblica sicurezza ha inoltre disposto anche l'aggregazione a Milano, per le medesime esigenze, di n. 58 unità appartenenti alla polizia ferroviaria del Friuli Venezia Giulia suddivise in turni di 15 giorni, a partire dalla fine di aprile fino al 31 ottobre; tale trasferimento, seppur temporaneo rappresenterebbe una importante privazione per la regione Friuli Venezia Giulia del personale che garantisce la pubblica sicurezza, proprio nelle stazioni ferroviarie, da sempre considerate presidio particolarmente sensibile rispetto al monitoraggio dei fenomeni di immigrazione clandestina; recentemente, sono stati già soppressi diversi uffici di polizia all'interno delle principali stazioni ferroviarie del Friuli Venezia Giulia;
   di fatto si tratterebbe di una soppressione di tutte le funzioni della polizia di frontiera nell'intero nord-est del Paese in quanto il personale che rimarrà in servizio, non sarà nelle condizioni di garantire la necessaria vigilanza alla frontiera;
   tale discutibile disposizione non tiene minimamente conto delle esigenze del personale di polizia di frontiera, peraltro anche con una certa anzianità di servizio, che si vedrà costretto ad una riorganizzazione penalizzante anche per quanto riguarda il godimento delle ferie, dal momento che si dovrà tenere in considerazione il periodo del trasferimento per svolgere il servizio a Milano;
   l'interrogante ritiene che, con tali disposizioni si decide di attingere dalla polizia di frontiera terrestre del Friuli Venezia Giulia per rinforzare la città di Milano, ma sguarnendo, di fatto, i confini orientali, da sempre molto sensibili, con la conseguenza di favorire possibili infiltrazioni di gruppi terroristici o comunque di persone provenienti da aree a rischio e da sempre sotto controllo, ad esempio, per il traffico di armi;
   a parere dell'interrogante risulta paradossale che la scelta di trasferire a Milano parte del personale quale presidio di frontiera in Friuli Venezia Giulia venga ufficializzata contestualmente all'annuncio dell'istituzione della «pattuglie miste» italo-austriache a Tarvisio (UD), con un organico di complessive 58 unità (48 agenti/assistenti, 4 sovrintendenti, 4 ispettori e due funzionari), per fronteggiare l'allarme profughi;
   da notizie ancora ufficiose, si apprende che, sempre al fine di garantire l'ordine pubblico e la sicurezza dei visitatori dell'Expo sarà a breve coinvolto nelle aggregazioni anche il personale che presta servizio nei reparti della polizia stradale e nelle quattro questure della regione Friuli, riducendo ulteriormente il personale in servizio presso la regione Friuli Venezia Giulia –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tali interventi promossi dal suo dicastero;
   se il Ministro non ritenga opportuno intervenire per evitare che, durante lo svolgimento di Expo, nella città di Trieste sia operativa solamente una pattuglia di retro-valico della polizia di frontiera, rispetto alle quattro normalmente in servizio;
   se il Ministro non ritenga necessario assumere iniziative per evitare che, a causa dei trasferimenti di personale previsti per Expo, nelle città di Gorizia e Tarvisio (UD), non venga garantito il servizio di pattugliamento per 24 ore al giorno. (4-08857)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RUBINATO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con decreto interministeriale del 25 novembre 2014 si è proceduto al riparto tra le regioni delle risorse imputate al capitolo 1299 «Somme da trasferire alle regioni per il sostegno alle scuole paritarie» per l'anno 2014 dello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   dette risorse ammontano complessivamente a 195.828.991 euro e sono assegnate dalle regioni alle singole scuole paritarie sulla base del numero di dette scuole, delle classi e degli alunni in coordinamento con gli uffici scolastici regionali;
   nonostante nel summenzionato decreto, risalente a cinque mesi fa, si rilevasse nelle premesse «ritenuto urgente procedere alla ripartizione della somma da destinare al sostegno delle scuole non statali», ad oggi non sono ancora stati disposti i relativi mandati di pagamento del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca alle regioni;
   inoltre, per quanto riguarda i fondi del capitolo 1477 per l'anno 2015 non risulta ancora firmato il decreto ministeriale che dispone criteri e parametri di assegnazione, il quale dovrà essere poi registrato alla Corte dei conti e solo successivamente potrà essere approntato il decreto di assegnazione dei contributi ai singoli uffici scolastici regionali per il trasferimento alle scuole;
   così stando le cose, il ritardo nell'erogazione dei contributi alle scuole paritarie da parte di Stato e regioni sta mettendo seriamente a rischio la continuità in particolare del servizio della scuola dell'infanzia, che in alcune aree del Paese è l'unico a disposizione delle famiglie con bambini dai 3 ai 6 anni;
   in particolare, in Veneto si segnala già in molti casi l'impossibilità per i soggetti gestori di scuole dell'infanzia paritarie di erogare gli stipendi ai dipendenti, oltre a pignoramenti da parte dei fornitori ed esposizioni bancarie per l'erogazione di un servizio che dovrebbe essere garantito dallo Stato, senza contare che molte scuole sono già state costrette a chiudere –:
   quali iniziative urgenti intenda porre in essere il Ministro interrogato per accelerare concretamente il versamento dei contributi dovuti alle scuole dell'infanzia paritarie per il 2014 e per l'anno scolastico in corso e quali misure di semplificazione intenda adottare per assicurare che in futuro i fondi vengano erogati tempestivamente e scongiurare l'interruzione di un servizio pubblico fondamentale per le famiglie nonché ulteriori gravi disagi ai dipendenti e ai gestori. (5-05384)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SGAMBATO, CARLONI, CAPOZZOLO, FAMIGLIETTI, MANFREDI, PALMA, PETRENGA, VALERIA VALENTE e SCOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la seconda università degli Studi di Napoli, nota con l'acronimo SUN, è stata istituita con decreto MURST del 25 marzo 1991 e decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1992, per scorporo dall'università degli studi di Napoli «Federico II» e con l'obiettivo di decongestionare il primo Ateneo napoletano;
   la SUN ha sedi nei comuni di Caserta (anche sede legale), Aversa, Capua, Santa Maria Capua Vetere e Napoli;
   nel corso dei suoi primi venti anni di attività, fino all'attuazione della legge 30 dicembre 2010, n. 240 «Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario», la SUN ha progressivamente attivato dieci Facoltà (medicina e chirurgia, giurisprudenza, economia, lettere, ingegneria, architettura, scienze matematiche fisiche e naturali, scienze ambientali, psicologia e scienze politiche) le cui sedi sono state dislocate nella provincia di Caserta, ad eccezione della sola facoltà di medicina con sede a Napoli;
   a seguito dell'attuazione della legge n. 240 del 2010, la riorganizzazione dell'Ateneo ha visto, nelle stesse aree scientifiche precedentemente coperte dalle Facoltà, l'istituzione di 19 Dipartimenti universitari di cui 9 di area medica con sede a Napoli e 10 nelle altre aree con sede nella provincia di Caserta dove attualmente prestano servizio circa il 60 per cento del personale docente e frequentano oltre il 70 per cento degli studenti dell'Ateneo;
   il 24 febbraio 2015 il rettore della SUN ha presentato la proposta di cambiamento del nome dell'università, e il senato Accademico ha approvato la proposta invitando i Dipartimenti universitari a esprimere il proprio parere;
   le proposte su cui dovranno esprimersi i dipartimenti sono:
    università della Campania «Luigi Vanvitelli»;
    università «Luigi Vanvitelli»;
    università di Caserta;
   la prima denominazione fa riferimento al più ampio e generico territorio regionale, e rischia per questo di creare confusione nei rapporti con le altre Università della Campania e le rispettive aree di operatività;
   la seconda denominazione costituirebbe un'eccezione tra gli Atenei nazionali che, ad eccezione delle università telematiche, mantengono sempre un riferimento geografico nella propria denominazione;
   la Seconda Università degli Studi di Napoli e il suo acronimo SUN sono, di fatto, un brand attraverso il quale le attività didattiche e scientifiche dell'ateneo casertano sono noti e apprezzati nel contesto internazionale, grazie anche alla storia e alla fama culturale, artistica, scientifica e cosmopolita della città partenopea;
   la legge 9 maggio 1989, n. 168 «Istituzione del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica all'articolo 6 commi 9 e 10 prevede tra l'altro che «Gli statuti e i regolamenti di ateneo sono deliberati dagli organi competenti dell'università a maggioranza assoluta dei competenti. Essi sono trasmessi al Ministro che, entro il termine perentorio di sessanta giorni, esercita il controllo di legittimità e di merito nella forma della richiesta motivata di riesame. In assenza di rilievi essi sono emanati dal rettore. Inoltre che, Il Ministro può per una sola volta, con proprio decreto, rinviare gli statuti e i regolamenti all'università, indicando le norme illegittime e quelle da riesaminare nel merito –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopraesposti e se al momento della ricezione della modifica allo statuto, ai sensi dell'articolo 6 commi 9 e 10, intenda tenere conto dell'importanza di garantire il collegamento dell'immagine e dell'azione della SUN rispetto alla provincia di Caserta. (4-08844)


   CATALANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   lo Yoga è un'antica disciplina di origine orientale che, attraverso le sue varie tecniche e pratiche, aiuta a ristabilire l'equilibrio fisico e psichico ed a sviluppare maggiore consapevolezza di sé, amplifica la flessibilità fisica ma soprattutto quella mentale, ed è particolarmente adatto ai bambini in ambito scolastico, proposto nelle modalità e linguaggio adatto alla loro età;
   la pratica dello yoga viene vissuta dai bambini come un gioco e un momento di divertimento, ma contestualmente offre agli stessi semplici strumenti per rilassarsi e gestire i propri stress ed emozioni grazie ai movimenti e alle posizioni, che favoriscono uno sviluppo fisico armonico, correggendo errori posturali e favorendo le funzioni fisiologiche dei nostri apparati (uno stomaco che digerisce bene non porterà via energia/sangue/nutrimento al cervello, e altro);
   attraverso le tecniche di rilassamento, lo yoga permetterebbe di assorbire le informazioni in modo più profondo (per ogni ora di, studio basterebbero 5 minuti di rilassamento per poter assimilare meglio quanto appreso), aumenterebbe altresì la concentrazione e quindi la presenza e la consapevolezza di sé e delle proprie azioni;
   questa disciplina, rafforzando la corretta e armoniosa strutturazione dello schema corporeo dei bambini, li accompagna nel processo di bilanciamento della loro naturale iperattività e li aiuta a sviluppare e a dirigere la propria concentrazione;
   tramite la pratica delle Asana (posizioni yoga), del Pranayama (tecniche di respirazione) e di yoga Nidra (tecnica di rilassamento profondo) si insegna ai bambini una tecnica valida per la digestione dello stress emotivo, inoltre promuove e rafforza il senso di appartenenza al gruppo nel rispetto di ogni singolo membro e del lavoro collettivo che si sta svolgendo;
   il protocollo che permette allo yoga di entrare in classe è stato firmato dal Ministero dell'istruzione con le principali associazioni italiane della disciplina orientale già cinque anni fa;
   in un articolo apparso su La Repubblica il 29 marzo 2011 si viene a conoscenza del fatto che, una volta alla settimana, in alcune scuole italiane, durante l'orario scolastico si tengono corsi di yoga; il protocollo che permette allo yoga di entrare in classe è stato firmato cinque anni fa dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con le principali associazioni italiane della disciplina orientale;
   a Barletta, in Puglia, è nata proprio allora una delle esperienze più solide d'Italia, quella del circolo didattico «Savio», ma anche a Reggio Emilia, lo yoga viene praticato fin dai tre anni, come accade alla «Filastri», e recentemente anche in Liguria il comune di Zoagli ha iniziato ad inserire nella scuola elementare un'ora di lezione yoga a titolo sperimentale;
   il protocollo prevede che lo yoga possa essere insegnato non solo ai piccoli, ma anche nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, dove esso può essere utile per trasformare le situazioni di disagio tipiche dell'adolescenza in un luogo dove fioriscono la concentrazione e la creatività;
   la pratica dello yoga nelle scuole italiane potrebbe articolarsi nelle seguenti fasi: (a) programmazione condivisa per obbiettivi e finalità; (b) programmazione e feed-back settimanali per comprendere meglio gli effetti nella classe e tarare la programmazione degli obiettivi, in modo sempre più costruttivo; (c) valutazione attraverso in itinere e la tabulazione dei dati ricavati da questionari rivolti alle famiglie, agli insegnanti e agli alunni; (d) incontri costanti e continuo confronto fra la maestra di classe e l'insegnante di Yoga che di volta in volta, adatta le lezioni mirando i contenuti alle esigenze esposte dall'insegnante –:
   se quanto premesso corrisponda al vero;
   di che notizie disponga il Governo;
   a che punto sia lo sviluppo dei progetti di cui in premessa, e se il Ministro abbia notizia di altri progetti significativi;
   come il Governo valuti la possibilità, al termine di una fase di sperimentazione, di introdurre un certo numero di ore di yoga nei programmi scolastici curricolari;
   in quanto il Governo stimi il costo complessivo dell'introduzione di circa 30 ore di yoga annuali nei programmi della scuola primaria. (4-08845)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DI VITA, LOREFICE, MANTERO, SILVIA GIORDANO e GRILLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 9 aprile 2015 è stato approvato alla Camera il testo del disegno di legge per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale (C. 2617-A);
   il testo passerà ora all'esame del Senato;
   dalla stampa sul web, nonché direttamente attraverso i siti Internet ufficiali del Governo e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, risulta che nel corso dei lavori preparatori del testo base, approdato poi all'esame della Camera, del disegno di legge in questione, il Governo ha condotto una intensa attività di consultazione dei diversi portatori di interessi facenti parte a vario titolo del mondo del terzo settore, sia tramite una richiesta pubblica di partecipazione ai lavori dunque aperta a tutti, che attraverso l'istituzione e, successivamente, la convocazione regolare di appositi gruppi e tavoli tecnici stabiliti in seno al Ministero competente del lavoro e delle politiche sociali;
   i membri di detti gruppi tecnici, nello specifico, furono inizialmente nominati dall'ex direttore generale per il terzo settore e le formazioni sociali dottor Danilo Festa, che però oggi risulta essere stato sostituito dal neo direttore generale dottor Romolo de Camillis;
   nel dibattito intercorso già a partire dalla fase di consultazione, sintetizzando, sono emerse sostanzialmente due posizioni dominanti (con varie gradazioni) rispetto alla linea della riforma del terzo settore, che sono lo specchio del dibattito ancora aperto;
   una posizione è quella che prefigura un terzo settore (ed in generale le politiche sociali) a prevalente carico dello Stato con ad esempio l'aumento di agevolazioni fiscali rivolte alle cooperative sociali, l'ampliamento dei settori di attività delle imprese sociali, la stabilizzazione del 5x1000 e l'avvio di un servizio civile universale. L'altra posizione, chiamiamola innovativa, che ipotizza invece una sempre maggiore presenza dei privati (anche, low profit) nel settore, la possibilità di distribuzione di utili, l'ingresso dei privati investitori e delle società nella governance delle imprese sociali, l'ampliamento del campo di attività a tutte le imprese che generano un impatto sociale misurabile, l'introduzione di strumenti di finanza sociale come i social bond e la creazione di fondi di investimento dedicati al settore;
   tra i principali interlocutori che sono intervenuti nella fase di consultazione preparatoria risultano ricomprese le grandi associazioni di rappresentanza delle cooperative, tra cui il forum del terzo settore, il forum delle ONG, nonché altre grandi organizzazioni del volontariato o della promozione sociale. Altro gruppo di interlocutori degno di nota, individuabile in particolare dalla lettura di alcuni articoli pubblicati online (il Fatto Quotidiano.it del 28 dicembre 2014, «Terzo settore, Manes: “Il piano ? Una nuova Iri del sociale con fondi privati”; www.vita.it, 16 aprile 2014, «Renzi: Impresa sociale e Fondo d'investimento, ecco cosa farò»), ruota invece ad Enzo Manes, consigliere «pro bono» del Presidente del Consiglio in materia di terzo settore, ed al comitato di VITA.it, facente capo al giornalista Riccardo Bonacina, come emerge dagli articoli citati –:
   per ragioni di trasparenza, se il Ministro interrogato intenda delineare un quadro completo e dettagliato di tutte le parti udite fino ad oggi nel corso della fase preparatoria del disegno di legge di riforma del terzo settore, in particolare, illustrando i nominativi dei partecipanti ai gruppi e ai tavoli tecnici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che hanno contribuito alla stesura del testo del disegno di legge delega;
   ancora nell'ottica della piena trasparenza, se intenda illustrare secondo quali modalità e in base a quali requisiti personali tali soggetti siano stati coinvolti nelle attività e lavori ministeriali;
   se gli eventuali soggetti esterni al Ministero partecipanti a detti tavoli tecnici abbiano ricevuto, o meno, compensi di qualche natura per le consulenze prestate;
   se possa sin d'ora chiarire se i medesimi soggetti saranno nuovamente coinvolti nella successiva fase di elaborazione dei decreti delegati. (5-05379)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge del 6 dicembre 2011, n. 201, che reca «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici» — più conosciuto come Salva Italia —, all'articolo 5 prevede che nel calcolo dell'indicatore della situazione economica equivalente, ISEE, vengano inserite anche le prestazioni assistenziali;
   con la legge del 27 dicembre 2013, n. 147, «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato — Legge di stabilità 2014» l'indennità di accompagnamento perde un suo carattere specifico, vale a dire, una provvidenza di natura indennitaria, che serve a far raggiungere l'indipendenza fisica alla persona che ne è priva, differente da quelle provvidenze che hanno natura meramente integrativa della ridotta capacità reddituale della persona con disabilità;
   ancora, con il decreto del presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, il successivo decreto ministeriale del 7 novembre 2014 sul nuovo modello della dichiarazione sostitutiva unica è stata completata la riforma dell'ISEE, con decorrenza 1o gennaio 2015 e la conseguente circolare INPS n. 48/2015 ha reso noto le nuove soglie ISEE 2015 ricalcolate con i nuovi criteri previsti dalla riforma;
   già nell'agosto 2014 durante la Conferenza dei Presidenti dei consigli regionali riunitasi a Roma, una mozione presentata su indicazione della Consulta regionale delle associazioni delle persone con disabilità e delle loro famiglie del Friuli Venezia Giulia, dal presidente Franco Jacop del Friuli Venezia Giulia, ed approvata dal consiglio, chiedeva che si sensibilizzasse il Ministro competente in merito alle ricadute negative sulle persone con gravi disabilità e che si fosse intervenuti in Parlamento affinché non fossero conteggiate nel calcolo del nuovo ISEE l'indennità di accompagnamento e le pensioni di invalidità;
   anche la Consulta regionale delle associazioni delle persone disabili e delle loro famiglie del Friuli Venezia Giulia Onlus, ha espresso il proprio parere e la propria contrarietà alla nuova formulazione del calcolo dell'ISEE, unitamente alle altre Associazioni del settore che in fase di stesura della nuova normativa prima, e dell'approvazione poi, si sono sempre battute per tenere fuori dal calcolo ISEE le indennità e le pensioni summenzionate;
   l'11 febbraio 2015 il tribunale amministrativo regionale del Lazio, con le sentenze n. 2425, 2458 e 2459 del 2015, ha stabilito che il nuovo Isee deve essere rivisto, dichiarando l'illegittimità dell'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, nella parte in cui prevede che nel reddito complessivo siano conteggiate anche le indennità e le pensioni percepite dai soggetti disabili;
   inoltre, il Tribunale amministrativo, ha, in una delle sentenze, dichiarato illegittima la differenza tra le franchigie, più basse, previste per i maggiorenni con disabilità e non autosufficienti e quelle, più alte, previste per i minori con disabilità e non autosufficienti;
   tali sentenze hanno effetto immediato e valgono per tutti;
   poiché il calcolo dell'Isee viene fatto in base alla legge ed elaborate dall'INPS senza i correttivi introdotti dalle sentenze si potrebbero verificare enormi disguidi a danno degli utenti e a scapito del servizio offerto dagli operatori del settore, creando ancor di più confusione ed incertezza –:
   se sia a conoscenza della situazione sopra descritta e quali ulteriori elementi abbia in merito;
   quali iniziative intenda adottare al fine di correggere le anomalie normative venutesi, inevitabilmente, a verificare in seguito delle sentenze emesse dal TAR del Lazio;
   come pensi di intervenire presso l'INPS affinché celermente vengano rivisti i conteggi per le soglie ISEE calcolate in base ai criteri previsti dalla riforma.
(4-08849)


   BERGONZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in seguito alle disposizioni contenute nella legge di stabilità 2013 (articolo 1, comma 114 della legge 24 dicembre 2012, n. 228), l'INPS rilascia ai pensionati il CUD solo per via telematica, salvo espressa richiesta dell'interessato;
   larga parte dei pensionati non dispone di personal computer e/o connessione internet e la richiesta del CUD cartaceo diretta all'INPS deve avvenire seguendo precise procedure;
   tali procedure possono richiedere costi aggiuntivi a carico dei pensionati stessi e comunque stanno generando costi confusione e disagi fra gli utenti –:
   se, a distanza di due anni dall'approvazione di suddetta norma, siano stati effettuati i necessari riscontri sulle procedure in essere, se siano stati predisposti idonei correttivi in merito e se non ritenga opportuno garantire comunque ai pensionati più anziani, senza espressa domanda, il mantenimento dell'invio a domicilio della certificazione unica dei redditi e il modello Obis M, con il quale, all'inizio di ogni anno, l'INPS comunica tutte le informazioni relative alla pensione: perequazione, importi mensili lordi e netti, ritenute erariali, detrazioni d'imposta applicate, le quote associative ed ogni altra informazione utile a fornire al pensionato un quadro esauriente e completo circa la propria condizione reddituale nell'anno appena cominciato. (4-08853)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   GAGNARLI, L'ABBATE, GALLINELLA e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è uno dei principali produttori di uova in Europa. In negozi e supermercati è quasi impossibile trovare uova fresche che provengano dall'estero. Eppure, secondo i dati Eurostat, ogni anno si importano oltre 50 milioni di tonnellate di uova e ovoprodotti solo dalla Polonia, quasi 20 milioni dalla Spagna, oltre 6 milioni dall'Olanda, 5,7 milioni dalla Romania, 3,7 dalla Francia, 3,2 dalla Slovacchia;
   per le uova fresche in guscio, grazie alla normativa europea sull'etichettatura, dal 2004 il timbro apposto su ogni singolo uovo indica: modalità di produzione (3 in gabbia, 2 a terra, 1 all'aperto, 0 biologiche), il paese di origine (IT per l'Italia) e persino il comune ed il codice dello stabilimento; anche sulle scatole è obbligatorio precisare a chiare lettere la modalità di allevamento;
   norme sull'etichettatura, tuttavia, non prevedono alcuna informazione sulle uova che si trovano nei prodotti: pasta all'uovo, biscotti, dolci, produzioni industriali e persino dentro tramezzini, pasta fresca e altri prodotti di bar e ristoranti che usano uova pastorizzate;
   i dati sull’import, l'assenza nei supermercati di uova a guscio provenienti dall'estero e la mancanza di disposizioni circa la provenienza delle uova negli alimenti che le contengono, portano a pensare che le uova importate siano utilizzate nella preparazione di prodotti contenenti uova;
   secondo Antonio Mengoni dell'azienda «Ovo Fresco San Martino», sono in tanti i marchi italiani che importano, perché oggi in Italia il costo delle uova arriva a 1,05 o 1,06 euro al chilo, mentre dall'estero si possono comprare con 90-95 centesimi al chilo. La pressione dei prezzi più bassi, oltre che indurre maggiore import di uova e minore competitività, può spingere i produttori a tagliare il più possibile i costi con ricadute negative sulla qualità dei prodotti o sul benessere animale, ad esempio con la tentazione di aumentare, dove possibile, la densità di animali nelle gabbie arricchite, oggi obbligatorie;
   dal 2012 ad oggi, insieme ai produttori storici come Francia, Italia, Spagna o Olanda, hanno fatto la loro ascesa sul panorama dell'Unione europea Paesi come la Polonia e la Romania, entrambi secondo i dati Assoavi tra i principali otto produttori europei. La maggiore competitività di questi Paesi è dovuta a vari fattori, tra cui il costo minore dei mangimi, essendo forti produttori di cereali, gli ingenti finanziamenti strutturali dell'Unione europea, il minor costo della manodopera e un sistema di permessi e controlli più blando;
   da settembre 2014, inoltre, una decisione comunitaria permette le importazioni nei Paesi comunitari al colosso ucraino Imperovo, un gigante da 23 milioni di galline distribuite in 19 allevamenti, senza l'obbligo di adeguarsi alla normativa sulle gabbie arricchite. Il gigante euroasiatico segue le sorti di Ovostar Union, altra azienda ucraina ammessa all’export verso l'Unione europea dal 2014. Si tratta dei primi passi di un accordo di libero scambio con il Paese ex sovietico, che entrerà a regime dal primo gennaio del 2016 –:
   se il Ministro interrogato, per quanto esposto in premessa e nell'ottica di una sempre maggiore informazione per i consumatori europei, non ritenga opportuno farsi promotore presso le competenti istituzioni europee, affinché si arricchisca l'attuale normativa sull'etichettatura inserendo l'obbligo di indicazione delle stesse informazioni previste per le uova in guscio, anche sui prodotti contenenti uova. (4-08843)

RIFORME COSTITUZIONALI E I RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta immediata:


   GIGLI e SBERNA. Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'ultimo rapporto della Commissione per le adozioni internazionali, nel 2013 si è registrato un calo del numero di adozione da parte di coppie italiane del 7,2 per cento rispetto al 2012 (2.469), del 27,3 per cento se confrontato al 2011 e addirittura del 29,3 per cento a paragone con il 2010. Un calo evidente confermato anche dai dati relativi all'ingresso in Italia a scopo adottivo dei minori stranieri. Nel 2013 i bambini accolti nel nostro Paese sono stati 2.825, mentre erano 3.106 nel 2012 e 4.130 solo nel 2010;
   le associazioni e gli enti accreditati all'adozione in Italia hanno più volte rivolto appelli accorati a Governo e regioni per risolvere le questioni aperte nell'adozione, tra i quali spicca l'assenza di un sistema di agevolazioni utili ad aiutare le famiglie: si riscontra, infatti, l'attenzione delle regioni al tema della procreazione assistita, anche attraverso misure di sostegno economico, mentre nella materia delle adozioni si rileva la scarsa attenzione al sostegno delle famiglie adottive e di quelle disponibili all'adozione;
   l'adozione internazionale è, infatti, a carico delle coppie, anche se le spese sostenute possono essere dedotte dalla denuncia dei redditi, fino ad un massimo del 50 per cento, anche se nella legge di stabilità per il 2015 è stato incrementato di cinque milioni di euro il fondo per le adozioni internazionali dal quale si attingono i rimborsi alle famiglie adottive in base al reddito;
   secondo una recente indagine condotta dal quotidiano la Repubblica, i costi dell'adozione internazionale possono arrivare anche a 40 mila euro. Un importo che somma le spese per i servizi offerti in Italia e all'estero dagli enti autorizzati, per le pratiche svolte dalle autorità straniere, per i pagamenti che le famiglie sono tenute a sostenere per spostamenti, vitto e alloggio durante i soggiorni esteri;
   è opportuno prevedere interventi volti, da una parte, ad una riduzione dei costi, e dunque la reintroduzione delle tariffe in uso in passato e il controllo sulle spese richieste dagli enti autorizzati, e, dall'altra, la destinazione di aiuti economici per agevolare le famiglie;
   secondo il VII rapporto Crc (il gruppo di lavoro italiano che si occupa di monitorare lo stato di attuazione della Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza in Italia) emerge un «senso di sfiducia» verso una procedura giudicata lunga, macchinosa e dall'esito incerto, che contribuisce al calo del numero delle adozioni internazionali. Il tempo medio che le coppie hanno impiegato dalla disponibilità presentata in tribunale all'autorizzazione all'ingresso dei minori in Italia è stato, secondo l'ultimo rapporto della Commissione per le adozioni internazionali, di 3,3 anni, con punte massime di 5,5 per coloro che hanno adottato bambini dalla Lituania e punte minime di 2,8 anni per la Federazione Russa e l'Ungheria;
   spesso i ritardi sono dovuti anche ad aperti contrasti tra Governi e ai cambiamenti legislativi e procedurali in materia di adozioni che si sono verificati in quei Paesi, ma in tutto questo a perdere sono prima di tutto i bambini incolpevoli e le famiglie destinatarie;
   la Commissione per le adozioni internazionali non ha ancora divulgato i dati aggiornati delle adozioni internazionali relativi all'anno 2014, che di regola sono stati sempre pubblicati annualmente entro il mese di gennaio –:
   se non ritenga di adottare iniziative di tipo normativo volte ad agevolare l’iter delle adozioni, in particolare quelle internazionali, e a sollecitare accordi con i principali Paesi stranieri di provenienza, nonché ogni ulteriore misura volta a sostenerle, tenuto conto della drammatica diminuzione di adozioni riscontrate negli ultimi anni. (3-01458)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DI VITA, LOREFICE, GRILLO, CECCONI, SILVIA GIORDANO, MANTERO e DALL'OSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Patto per la sanità digitale dovrebbe essere «caratterizzato come – piano strategico – teso a favorire lo sviluppo delle soluzioni e delle applicazioni di e-Health nell'ambito del SSN», è quanto ha affermato la senatrice Mariapia Garavaglia, presidente dell'Istituto superiore di studi sanitari «Giuseppe Cannarella» al Convegno organizzato al Senato;
   il Patto è contenuto nell'articolo 14 del più ampio progetto del patto per la salute, accordo finanziario e programmatico stipulato tra il Governo e le regioni, con durata triennale, che ha il compito di regolare la spesa e la programmazione del servizio sanitario nazionale;
   lo scopo del Patto per la salute è quello di migliorare la qualità dei servizi sanitari erogati e di garantire l'unitarietà del sistema sanitario, obiettivo che potrà essere raggiunto con la digitalizzazione dei sistemi, nonché permetterà un risparmio quantificabile in sette miliardi di euro, secondo le dichiarazioni del Ministro della salute;
   l'idea di un Patto per la sanità digitale nasce precisamente con l'obiettivo di disegnare un master plan quinquennale (2015-19) per la sanità elettronica, identificando i possibili ambiti di attivazione di iniziative di partenariato pubblico-privato che possano attivare un circuito virtuoso di risorse economiche destinate a finanziare gli investimenti necessari;
   un incontro, dunque, tra domanda e offerta, ovvero, rispettivamente tra i vari stakeholder: regioni, ASL/AO, Ministero della salute, IRCCS, Case di cura, centri di riabilitazione e RSA, medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, farmacisti, produttori, distributori e grossisti di farmaci, fornitori di soluzioni e servizi ICT in ambito sanità, fornitori di dispositivi elettromedicali e di apparati e soluzioni per la telemedicina, da un lato, e, dall'altro soggetti aderenti al patto che si impegneranno a rispettare il principio pre-competitivo dell'iniziativa e a collaborare con tutti gli stakeholder per fornire le competenze e gli elementi utili a sviluppare modelli economici applicabili alle iniziative;
   da quanto risulta nel documento programmatico, il comitato di coordinamento, nominato in estate, ha il ruolo di pianificare gli incontri tra domanda e offerta, mentre, il Ministero della salute dovrà impegnarsi a favorire le condizioni per avviare un tavolo di studio con AVCP e Corte dei Conti al fine di divulgare modelli di applicazione delle norme accessibili alle stazioni appaltanti;
   fatto sta che ad oggi risulta un ritardo da parte del Ministero competente nel ciclo di lavori sul patto per la sanità digitale;
   entro la fine del 2014, il suddetto Ministero si impegnava ad avviare e concludere una ricognizione dei fondi disponibili e/o attivabili, utilizzando parte dei fondi strutturali destinati all'asse «Agenda Digitale» e ad eventuali fondi pubblici o privati;
   altresì, era previsto che il Comitato predisponesse, sulla base di quanto innanzi, e sempre entro la fine del 2014, un primo master plan di proposte relative a iniziative di Partenariato pubblico-privato, da avviare secondo le norme vigenti attraverso procedure a evidenza pubblica, con il compito di monitorare costantemente le singole iniziative avviate all'interno del medesimo master plan, per misurarne i ritorni in termini di efficientamento e di risparmi conseguiti;
   ed ancora, dovevano essere avviate già nel corso del 2014, in base alla disponibilità delle amministrazioni coinvolte, iniziative sperimentali, quali il proof of concept, volte a verificare la validità dei modelli teorici sviluppati, iniziative cofinanziate dal Ministero della salute, in collaborazione col Ministero dello sviluppo economico;
   un ciclo di lavori, dunque, che sarebbe dovuto terminare entro la fine 2014, con la produzione di un rapporto conclusivo da presentare ufficialmente al Ministro della salute e a tutte le istituzioni coinvolte, contenente il master plan per le iniziative di sanità digitale, comprese le indicazioni prioritarie, i cronoprogrammi attuativi e i modelli di copertura finanziaria previsti, nonché i risultati delle iniziative sperimentali avviate, il tutto disponibile in rete attraverso uno strumento che dovrebbe essere costantemente aggiornato: il «Cruscotto del Patto»;
   uno strumento, che attualmente non è reperibile, pertanto da parte dei cittadini o soggetti interessati non è possibile effettuare alcun aggiornamento sul lavoro svolto, non è possibile verificare se vi sia stata coerenza e tempestività delle attività descritte nel patto per la sanità digitale –:
   se non ritenga necessario il Ministero interrogato pubblicare il master plan più volte richiamato in premessa, per il quale era prevista la presentazione entro fine 2014;
   se non sia opportuno allegare il resoconto generale delle attività elencate nel suddetto patto, indicando quali siano quelle concretamente realizzate;
   quale sia il percorso da seguire, sul sito del Ministero della salute, al fine di verificare e reperire l'aggiornamento del «Cruscotto del Patto» che dovrebbe essere disponibile in rete, come indicato nel documento programmato;
   quali siano i motivi ovvero le cause dei ritardi, se le date non saranno rispettate, ovvero, se le attività promesse saranno svolte come stabilito entro il 31 dicembre; in mancanza quale sarà la nuova scadenza da rispettare e a chi saranno addebitate le dovute responsabilità di tale mancanza;
   se il Ministro interrogato intenda pubblicare tutte le informazioni indicando quali e quanti siano gli enti, sia pubblici sia privati partecipanti al patto, nonché quali siano i componenti del Comitato di coordinamento nominato e la modalità con la quale questi siano stati scelti.
(5-05380)


   IMPEGNO, CARLONI, MARCO DI MAIO, QUARTAPELLE PROCOPIO e CIVATI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il nomenclatore tariffario attualmente in vigore è quello stabilito dal decreto ministeriale n. 332 del 27 agosto 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 27 settembre 1999, dal titolo: «Regolamento recante norme per le prestazioni di assistenza protesica erogabili nell'ambito del servizio sanitario nazionale: modalità di erogazione e tariffe». Esso individua nel dettaglio le categorie di persone che hanno diritto all'assistenza protesica, le prestazioni che comportano l'erogazione dei dispositivi riportati negli elenchi 1, 2 e 3 e le modalità di erogazione;
   l'aggiornamento previsto non è mai stato effettuato nonostante ciò fosse previsto sia dall'articolo 11 del decreto n. 332 del 27 agosto 1999 «Il nomenclatore è aggiornato periodicamente, con riferimento al periodo di validità del piano sanitario nazionale e, comunque, con cadenza massima triennale, con la contestuale revisione della nomenclatura dei dispositivi erogabili» sia ribadito dall'articolo 5, comma 2-bis, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 «Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute» che prevedeva che il Ministro della salute procedesse entro il 31 maggio 2013 all'aggiornamento del nomenclatore tariffario di cui all'articolo 11 del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 27 agosto 1999, n. 332;
   il mancato aggiornamento periodico del nomenclatore, non essendo in linea con il costante progresso tecnologico, impedisce alle migliaia di disabili italiani l'accesso a nuovi strumenti di supporto che sicuramente potrebbero migliorare la loro qualità della vita, così come il ricorso indiscriminato all'acquisto a mezzo gare d'appalto, oltre ad impedire l'individuazione dell'ausilio adatto a soddisfare le specifiche necessità della persona, realizzerebbe una situazione di difformità assistenziale tra gli assistiti appartenenti ai bacini territoriali delle diverse stazioni appaltanti;
   l'inerzia del Governo è stata in parte sussidiata da sporadiche iniziative regionali, sollecitate dagli esperti dell'associazione Luca Coscioni, che però riguardano interventi specifici legati ad alcune patologie, accentuando la disomogeneità nell'accesso ai livelli essenziali di assistenza per ragioni territoriali o per patologie, entrambi elementi che contribuiscono ad affievolire l'accesso al diritto alla tutela della salute;
   in seguito a numerose rassicurazioni sull'aggiornamento del nomenclatore, da parte del Ministro Lorenzin, quest'ultima il 4 febbraio 2015 ha relazionato in 12a Commissione permanente sui livelli essenziali di assistenza riportando che: «la revisione dei Livelli essenziali di assistenza è stata oggetto di una riunione in sede di Commissione tecnica della Conferenza Stato-regioni. Il programma di aggiornamento avviene infatti in condivisione con le regioni e deve portare al raggiungimento dell'intesa su tre documenti: il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di aggiornamento con i relativi allegati e le valutazioni sulla compatibilità economico-finanziaria; i principi generali per l'erogazione dell'assistenza protesica integrativa; il documento metodologico per l'aggiornamento continuo e sistematico dei LEA. L'impatto finanziario preventivato è stato ridotto a 414 milioni di euro rispetto al miliardo inizialmente previsto, sia a motivo di compensazioni effettuate, sia in ragione del fatto che alcune regioni avevano già aggiornato le proprie prestazioni. Si è proceduto all'eliminazione di prestazioni obsolete, all'inclusione di prestazioni tecnologicamente avanzate e ci si è concentrati sugli elementi di valutazioni delle performance. A tal fine, le regioni devono svolgere un'opera di monitoraggio puntuale, soprattutto sul tema delle protesi. Premesso che il nomenclatore attuale risale al 1999, lo scopo è la creazione di un comitato permanente che ne consenta l'aggiornamento continuo»;
   il 4 febbraio 2015 ha partecipato alla riunione in 12a Commissione permanente del Senato anche la dottoressa Arcà che ha illustrato in maggiore dettaglio i contenuti del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di aggiornamento in fase di definizione soffermandosi sull'idea di organizzare le gare per l'acquisto dei dispositivi standard operando l'eventuale personalizzazione direttamente su tali dispositivi;
   il Ministro Lorenzin, in quella sede, dopo aver rilevato le distorsioni date dal mancato aggiornamento, dal 1999, del nomenclatore, affermò che la previsione di acquisto tramite gara di tutti i dispositivi di serie, anche di quelli che rispondono a bisogni complessi, pur mantenendo ferme le esigenze della personalizzazione, consente di evitare le distorsioni date dagli acquisti a trattativa diretta e di garantire uno standard di base più elevato e che in merito al metodo di lavoro seguito per concludere il processo di revisione, ha informato che sono in fase di adeguamento anche le tariffe, rispetto alle quali si attende il contributo delle regioni: il metodo, di lavoro seguito include incontri settimanali fino al mese di luglio in sede di Conferenza Stato-regioni al fine di pervenire alla rapida chiusura di tutti i tavoli tecnici;
   sarebbero necessari maggiori dettagli sull'organizzazione del nuovo nomenclatore tariffario, in quanto le dichiarazioni di intenti del Ministro, che sottolineano da un lato l'importanza di scegliere, per ciascuna persona, l'ausilio più adatto raccomandando «la disponibilità di una gamma di modelli idonei a soddisfare le specifiche esigenze degli assistiti» sono in contraddizione, dall'altro, con lo strumento indicato per l'erogazione dei dispositivi e cioè il ricorso a «pubbliche procedure di acquisto espletate secondo le norme vigenti»;
   infatti le gare non possono consentire la messa a disposizione, per ciascuna tipologia, di una gamma di modelli entro cui effettuare la scelta del dispositivo più idoneo a ciascuna persona e pertanto se, come ha affermato il Ministro in altre occasioni, «l'evoluzione tecnologica ha consentito l'immissione in commercio di una gamma di ausili di fabbricazione industriale in grado di soddisfare le più diverse esigenze degli assistiti» rendendo non più necessario il ricorso alla realizzazione di ausili su misura, è essenziale che le modalità di erogazione non vanifichino questa opportunità e permettano che, nell'ambito della tipologia prescritta dal medico, la scelta dell'ausilio più adatto avvenga, in maniera condivisa con l'assistito, nella gamma di modelli resa disponibile;
   né è possibile intervenire a posteriori su dispositivi acquistati a gara per compiere modifiche strutturali al fine di personalizzare l'ausilio e renderlo più adatto alle necessità dell'utilizzatore, come invece viene indicato nel nuovo nomenclatore per diverse tipologie di ausili (come ad esempio per le carrozzine elettroniche o per alcune modifiche delle carrozzine manuali) sia perché le norme relative alla sicurezza dei dispositivi medici non consentono di intervenire sulla struttura sia perché, alla luce di quanto oggi i mercati mettono a disposizione, è certamente più efficiente scegliere ab origine l'ausilio adatto;
   si sottolinea quindi come il sistema dei pubblici appalti, che impegna la pubblica amministrazione per tutta la durata dell'aggiudicazione (che normalmente si estende oltre i tre anni) a fornire, tramite un unico soggetto, lo stesso modello di dispositivo a tutti gli assistiti del bacino d'utenza non sia lo strumento più adatto a gestire questa particolare forma di assistenza e che pertanto questa modalità deve al massimo essere riservata a gestire gli acquisti dei prodotti che rispondono a bisogni più standardizzabili, come ad esempio letti, sollevatori, materassi o altri ausili per cui non sia essenziale una scelta personalizzata e condivisa del modello più appropriato –:
   se intenda fornire ulteriori dettagli sull'organizzazione del nomenclatore tariffario;
   se, almeno per gli ausili cosiddetti «specialistici» quali le carrozzine leggere, basculanti, superleggere o verticalizzanti, le carrozzine elettroniche, gli stabilizzatori, i sistemi di postura e gli ausili per l'età evolutiva, tutti quegli ausili cioè per i quali nella buona prassi riabilitativa la scelta viene condivisa con l'utilizzatore attraverso la prova di diversi modelli, non sia più utile organizzare il nuovo nomenclatore tariffario realizzando un elenco, costantemente aggiornato ed informatizzato, di tutti i modelli che possono essere forniti per ciascuna tipologia inclusa, elenco che consentirebbe agli assistiti di avere la chiara conoscenza di tutta la gamma di modelli entro cui è possibile effettuare la scelta che di conseguenza sarebbe facilitata e consapevole;
   se la gara d'appalto, visto che non permette la necessaria flessibilità nella scelta del dispositivo, non sia controproducente e, considerato il rischio per lo Stato di acquistare beni non idonei a ciascuno degli aventi diritto, non obblighi a ricorrere a deroghe o a onerosi interventi tecnici per adattare i dispositivi standard acquistati a gara, generando maggiori costi, maggiori complessità e maggiori difficoltà di controllo e verifica dell'appropriatezza;
   pur apprezzando le intenzioni del Ministro Lorenzin, se intenda verificare che l’iter di aggiornamento del nomenclatore tariffario non comporti la nascita di un sistema che provochi una difficoltà per l'assistito di vedersi riconosciute protesi ed ausili adeguati alle specifiche necessità ed alle aspettative di autonomia e benessere, diritto di ogni cittadino, anche se con disabilità. (5-05388)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VIGNAROLI, DAGA, DE ROSA, BUSTO, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale i cosiddetti «siti contaminati» sono le aree nelle quali, in seguito ad attività umane pregresse o in corso, è stata accertata un'alterazione delle caratteristiche qualitative delle matrici ambientali suolo, sottosuolo e acque sotterranee tale da rappresentare un rischio per la salute umana;
   in Italia la presenza di tali territori è allarmante, se ne annoverano a migliaia. Di questi, alcuni sono stati definiti di «interesse nazionale per le bonifiche» (SIN) e sono individuabili in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell'impatto sull'ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, nonché di pregiudizio per i beni culturali ed ambientali (rif. articolo 252, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni). Comprendono aree industriali dismesse, in corso di riconversione, in attività, zone che sono state oggetto in passato di incidenti con rilascio di inquinanti chimici, o zone su cui è avvenuto uno smaltimento incontrollato di rifiuti anche pericolosi. In tali siti l'esposizione alle sostanze contaminanti può venire da esposizione professionale, emissioni industriali e solo in ultimo da suoli e falde contaminate;
   a causa del pericoloso rischio ambientale in questi siti, nel 2007, il Ministero della salute ha avviato il progetto SENTIERI (studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento) condotto e finanziato nell'ambito del programma strategico ambiente e salute (Ministero della salute – ricerca finalizzata 2006 ex articolo 12 decreto legislativo n. 502 del 1992) e coordinato dall'Istituto superiore di sanità (ISS);
   lo studio viene realizzato in collaborazione con il centro europeo ambiente e salute dell'Organizzazione mondiale della sanità, il dipartimento di epidemiologia del servizio sanitario regionale del Lazio, il Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa e l'Università di Roma La Sapienza;
   nel tempo lo studio, ha analizzato la mortalità dei residenti in 44 dei 57 dei siti di interesse nazionale per le bonifiche (SIN) in un periodo di otto anni (quelli per i quali l'analisi della mortalità a livello comunale è stata valutata appropriata). Territori in prossimità di una serie di grandi centri industriali attivi o dismessi, o di aree oggetto di smaltimento di rifiuti industriali e/o pericolosi, che presentano un quadro di contagio ambientale e di rischio sanitario. Sono stati valutati circa 400.000 decessi (su una popolazione complessiva di circa 5.500.000 abitanti), per studiare la contaminazione ambientale e altre fonti di pressione ambientale. Inoltre, vi è stato negli ultimi anni un aggiornamento e un allargamento del campo d'azione per potenziare gli studi epidemiologici, con particolare riguardo ai registri delle malformazioni congenite e dei tumori (anche non mortali), e una rapida valutazione dello stato di salute delle persone residenti nei comuni della regione Campania compresa nella cosiddetta «Terra dei fuochi» in relazione alla presenza ed alla tipologia dei siti di smaltimento e combustioni illegali di rifiuti;
   all'interrogazione presentata dal deputato Zolezzi n. 3-00825, concernente iniziative per il monitoraggio epidemiologico delle aree del territorio nazionale inquinate, con particolare riferimento a quelle rientranti nei siti di interesse nazionale e all'analisi della popolazione pediatrica, il Ministro della salute Lorenzin ha risposto confermando l'importanza dei suddetti studi (seduta della Camera n. 228 del 14 maggio 2014);
   in occasione dell'audizione dell'8 aprile 2015 del direttore generale dell'Istituto superiore di sanità, Angelo Del Favero, la Commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti ha appreso che il finanziamento per lo studio Sentieri sarebbe terminato e che non sarebbe stato erogato un nuovo flusso di sovvenzioni dal Ministero della salute. Questo, come riferito, comporta un proseguimento del progetto per mezzo di risorse interne dell'ISS –:
   per quale motivo non sia stato rinnovato il finanziamento del progetto Sentieri e se il Ministro interrogato intenda rinnovarlo;
   cosa intenda fare il Ministro interrogato per garantire attraverso studi epidemiologici la verifica dal punto di vista sanitario dei livelli d'inquinamento presenti nei siti da bonificare a livello nazionale. (4-08851)


   RAMPELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto mediterraneo per i trapianti e terapie ad alta specializzazione (ISMETT) è il primo ospedale in Italia progettato e realizzato esclusivamente per le attività di trapianto e cura delle insufficienze terminali di organi vitali e nasce come progetto di sperimentazione gestionale nel 1997 con una partnership tra la regione siciliana – attraverso l'azienda ospedaliera di Palermo ARNAS Civico e la divisione italiana dell'University of Pittsburgh Medical Center (UPMC);
   i programmi chirurgici, complementari all'attività trapiantologica, avviati dall'Istituto riguardano la chirurgia addominale in pazienti ad alto rischio, la cardiochirurgia toracica, inclusa la chirurgia dello scompenso cardiaco ed il programma di cuore artificiale, la chirurgia epatobiliare pediatrica, con l'ausilio di medici ed operatori sanitari provenienti da tutto il mondo, e hanno portato a Palermo esperienze e professionalità maturate in strutture accademiche ed ospedaliere internazionali;
   l'ISMETT è un centro di eccellenza per i trapianti e dal 2004, data dell'apertura della nuova sede, l'ISMETT ha eseguito oltre 110 trapianti di cuore, oltre 110 trapianti di polmone, e varie decine di trapianti contemporanei di più organi;
   la qualità professionale dell'ISMETT è stata recentemente riconosciuta anche attraverso la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del suo riconoscimento quale Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) per la «cura e ricerca nell'insufficienza terminale di organo»;
   ad oggi la regione siciliana non ha rinnovato la convenzione con l'UPMC, scaduta il 31 dicembre 2014, ma ha solo concesso una proroga di pochi mesi;
   il mancato rinnovo della convenzione taglierebbe una corsia che si è dimostrata vitale per l'efficienza e lo sviluppo dell'ISMETT e, soprattutto, per le terapie avanzate e i trapianti in Sicilia –:
   se sia informato dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere in merito. (4-08861)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, ha riscritto la disciplina sulla limitazioni al turn over per gli enti territoriali, introducendo anche in questo caso il riferimento alle cessazioni di personale a tempo indeterminato di ruolo nell'anno precedente e aumentando altresì la percentuale di assunzioni effettuabili;
   in particolare, l'articolo 3, comma 5, del decreto-legge, ha previsto un graduale aumento delle percentuali di turn over, con conseguente incremento delle facoltà di assunzioni per gli enti territoriali, rideterminate in quote del sessanta per cento per il biennio 2014-2015, dell'ottanta per cento nel biennio 2016-2017, e del 100 per cento nel 2018;
   nonostante tali previsioni, alcuni comuni continuano a versare in grande difficoltà a causa delle carenze di personale in alcuni settori strategici dell'amministrazione;
   in particolare a Catanzaro la dotazione organica della polizia locale è ancora largamente insufficiente a permettere alla stessa di svolgere i propri compiti di controllo del territorio e di lotta agli abusi;
   il comune di Catanzaro sta effettuando delle ingenti operazioni sia per il contrasto all'abusivismo edilizio ed ambientale, sia per la lotta alla vendita di merci contraffatte, sia, infine, per arginare il fenomeno dell'accattonaggio molesto –:
   quali iniziative, anche normative, intenda assumere al fine di permettere agli enti locali di procedere alle assunzioni necessarie per il controllo e la sicurezza dei propri territori. (4-08850)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
X Commissione:


   RICCIATTI, SCOTTO, FERRARA, PLACIDO, AIRAUDO, GIANCARLO GIORDANO e FRATOIANNI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 15 aprile 2015 è stata ufficialmente avviata la procedura per il trasferimento dello stabilimento di Capodichino di Alenia, società controllata da Finmeccanica, alla newco costituita tra Atitech e Alenia;
   la comunicazione del trasferimento di ramo d'azienda alla new company è, stata comunicata negli scorsi giorni ai sindacati;
   l'obiettivo dichiarato è quello di dar vita ad un polo delle manutenzioni e delle revisioni aeronautiche;
   l'operazione sarebbe dettata da esigenze di razionalizzazione produttiva, finanziaria e organizzativa;
   nella newco, composta al 25 per cento da Alenia ed al 75 per cento da Atitech, confluiranno i 178 addetti dello stabilimento;
   questa scelta desta molte perplessità, giacché più che un'occasione di rilancio sembra il modo per giustificare 178 esuberi senza definirli tali;
   utilizzando questa via, infatti, Alenia continuerebbe a poter dichiarare che i suoi conti sono a posto e non si troverebbe costretta a cercare un accordo sindacale, passaggio obbligato in caso di annuncio dell'esistenza di esuberi;
   la cessione del ramo d'azienda, invece, non prevede l'accordo sindacale, e l'eventuale firma di uno o più sindacati non pesa sulla realizzazione o meno della cessione;
   sembra agli interroganti che questo progetto si ponga in sostanziale contrasto con la parte più significativa degli impegni industriali su Napoli complessivamente assunti da Alenia nel 2011;
   nello specifico, il rilancio del C27j ci sarà ma in un altro sito, a Caselle, mentre l'avvio del programma «Atr New Generation Turbo Prop» ritorna ad essere presentato come una promessa sempre più difficile da realizzare in un territorio depauperato nelle sue risorse professionali e negli impianti necessari;
   per i lavoratori interessati dal trasferimento, privati della prospettiva garantita dalla attività su prodotti proprietari, si aprirebbe inoltre una lunga fase di transizione, priva di carichi di lavoro aggiuntivi a quelli, marginali e temporanei, garantiti dalla stessa Alenia;
   essi si troverebbero, peraltro, a passare da una società per azioni da 11000 dipendenti a partecipazione statale ad una società a responsabilità limitata con un numero di dipendenti inferiore alle 200 unità, con tutto ciò che ne consegue in termine di perdita di garanzie;
   quest'operazione rischia di minare alle fondamenta lo sviluppo tecnologico, industriale ed occupazionale di un settore, come quello aeronautico campano, da sempre punto di riferimento e d'eccellenza dell'economia nazionale;
   ad avviso degli interroganti non sembrano, ad oggi, esserci le condizioni per procedere con la cessione –:
   se non ritenga urgente e doveroso convocare un tavolo di confronto che coinvolga anche le organizzazioni sindacali ed in cui possano essere discusse proposte alternative alla cessione del ramo di azienda nelle forme finora elaborate e intervenire affinché un eventuale nuovo progetto industriale non si basi su scelte che possano mettere a rischio le prospettive dei lavoratori Alenia impoverendo irreversibilmente il territorio. (5-05381)


   BENAMATI e IMPEGNO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è stato presentato il progetto di un polo internazionale per la manutenzione degli aeromobili anche di terzo livello da realizzare in capo ad Atitech nell'area di Capodichino a Napoli;
   da notizie di stampa si rileva che il progetto di Atitech prevede l'assorbimento degli asset di Fiumicino di Alitalia, dei circa duecento dipendenti in mobilità dell'aerolinea, oltre all'acquisizione dei siti industriali di Capodichino e Tessera di Alenia Aermacchi che occupano oltre 550 dipendenti;
   oltre agli asset della controllata di Finmeccanica, società quotata in borsa e di cui il Ministero dell'economia e delle finanze detiene circa il 30 per cento delle azioni, la società Atitech di Gianni Lettieri acquisirebbe anche attività attualmente realizzate da Alenia Aermacchi;
   gli impianti di Capodichino di Finmeccanica attualmente concorrono alla produzione delle versioni speciali di ATR, la cui produzione non è detto resti in Alenia, e dell'aereo da trasporto militare C-27J la cui produzione sarebbe trasferita a Torino Caselle dove già è allestita la linea finale del velivolo;
   a Tessera attualmente si lavora alla manutenzione degli Awacs della Nato e dei velivoli ATR di guardia costiera e finanza. Anche riguardo a queste attività occorrerebbe chiarire se resteranno in Alenia, oppure passeranno ad Atitech;
   la fabbricazione del C-27J impatta significativamente anche sulla subfornitura campana, che tra personale di Alenia Aermacchi, dipendenti e cassi integrati di Atitech e personale in mobilità di Alitalia, si traduce in un migliaio i lavoratori coinvolti nel progetto del polo delle manutenzioni –:
   se sia a conoscenza delle premesse che sottendono al progetto promosso da Atitech e quali siano i contenuti dello stesso, e se possa chiarire quali siano le garanzie fornite per il mantenimento degli attuali livelli occupazionali e a difesa dell'indotto in Campania, nel Lazio e nel Veneto, posto che risulta ufficialmente avviata la procedura per la cessione dello stabilimento alla newco costituita tra Atitech e Alenia. (5-05382)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Independent gas management Srl (IGM) è una società che opera (anche se attualmente risulta inattiva) nel campo dello sviluppo, ed esercizio di progetti di stoccaggio di gas naturale e della CO2 (anidride carbonica, biossido di carbonio). Nata nel 2002 è posseduta al 100 per cento da Independent Resources plc (IR), società di diritto inglese fondata il 16 giugno 2005 e quotata dal 15 dicembre 2005 presso la Borsa di Londra, mercato AIM (Alternative Investment Market). Nel febbraio 2011, la società si era dotata di capitale sociale interamente versato di 10 milioni di euro;
   in data 25 luglio 2012 la società Independent Gas Management Srl depositava una istanza per l'ottenimento della pronuncia di compatibilità ambientale per un progetto di ricerca finalizzato all'ottenimento della licenza di esplorazione per lo stoccaggio geologico di biossido di carbonio, in un'area del Mar Adriatico centrale, denominata Sibilla, a circa 27 chilometri ad Est dalla costa marchigiana di Ancona, nell'area marittima antistante la città di Senigallia (Ancona);
   nella «Sintesi non tecnica dello Studio di impatto ambientale», presentato dalla società al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nell'ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale, si apprende che il progetto «Sibilla» prevede essenzialmente lo studio di dati pregressi e il re-entry di un pozzo già esistente, denominato «Cornelia 1» (profondità da fondo mare a 1613 m s.s.l., perforato per conto della joint-venture AGIP-SHELL nel periodo aprile-giugno 1969), come sito di stoccaggio di biossido di carbonio;
   l'iniziativa era stata avviata nell'ambito del quadro di misure volte a regolare il sequestro di anidride carbonica ed il suo stoccaggio geologico permanente in formazioni geologiche sotterranee, considerato come tecnologia fondamentale per l'abbattimento delle emissioni, di CO2 in atmosfera, previste dalla direttiva europea 2009/31/CE e recepite dall'Italia con il decreto legislativo 14 settembre 2011, n.162, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 231 del 4 ottobre 2011;
   in data 17 luglio 2012 veniva data notizia dell'avvio del procedimento di valutazione di impatto ambientale sulle testate Il Messaggero e Il Corriere Adriatico;
   in data 22 novembre 2012 il dirigente della posizione di funzione valutazioni ed autorizzazioni ambientali della regione Marche esprimeva parere favorevole al progetto di ricerca, ai sensi dell'articolo 25 del decreto legislativo 152 del 2006 e dell'articolo 23 della legge regionale 37 del 2012, ai fini della pronuncia di compatibilità ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   in data 14 dicembre 2012, con il parere n. 1127, la commissione tecnica per la verifica dell'impatto ambientale VIA-VAS del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare esprimeva parere favorevole riguardo alla compatibilità ambientale del progetto «Ricerca finalizzata all'ottenimento della licenza di esplorazione per il progetto “Sibilla”» della Indipendent Gas Management Srl, rilasciata comunque in via provvisoria ai sensi dell'articolo 7 comma 3 decreto legislativo 14 settembre 2011;
   la Valutazione citata era chiaramente non intesa ai fini di autorizzazioni allo stoccaggio di gas ma alla sola indagine esplorativa;
   il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (cosiddetto «Sblocca Italia»), recante misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive (Gazzetta Ufficiale n. 212 del 12 settembre 2014) ha trasferito le competenze in materia energetica al Ministro dello sviluppo economico (articolo 38) –:
   se il Ministro interrogato sia in grado di fornire informazioni circa lo stato dell’iter del progetto segnalato in premessa, in particolare per sapere se sia stata approvata la Valutazione di impatto ambientale ed accolto il progetto, se sia stata attivata la convenzione con la società proponente e, in caso positivo, se e quando abbiano avuto inizio, o si prevede avranno inizio, i lavori relativi. (5-05383)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi la casa finlandese Nokia ha siglato un'intesa per l'acquisizione dell'azienda di telecomunicazioni Alcatel — Lucent che, tra i siti produttivi, annovera anche quello di Trieste considerato dalla stessa azienda «strategico per il businnes dell'impresa, poiché produce tecnologie ottiche a livello mondiale con un altissimo livello di competenze specialistiche». Con questo accordo Nokia diventerà top seller mondiale di attrezzature e servizi di telecomunicazione, superando Ericsson, Huawei e ZTE;
   dall'articolo di stampa del 27 marzo 2015 de «Il Piccolo» si apprende che il 13 marzo 2015 in un incontro avvenuto presso il Ministero dello, sviluppo economico sulla cessione del sito di Battipaglia, la direzione di Alcatel-Lucent non abbia dato risposta sulla possibile cessione dello stabilimento di Trieste, mentre il funzionario del Ministero abbia preso l'impegno di procedere ad una verifica su tale punto;
   il 27 marzo 2015 le rappresentanze sindacali unitarie Fiom e Uilm, a seguito delle notizie allarmanti circolanti in merito all'incertezza sul futuro del sito, avevano proclamato lo sciopero dei tre turni di lavoro dello stabilimento e organizzato un presidio davanti alla sede dello stabilimento di Strada Monte d'Oro;
   la conferma di una possibile dismissione dell'impianto triestino è stata data dall'amministratore delegato della società, Michele Combes, durante un incontro avuto giorni scorsi a Parigi con il coordinamento europeo dei rappresentanti sindacali dell'azienda. L'intenzione di Nokia sarebbe di mantenere gli impianti localizzati in Francia, ma di dismettere alcuni altri siti produttivi, compreso quello di Trieste dove operano 318 dipendenti a tempo indeterminato e 400 somministrati; la forza lavoro ammonta a quasi 900 addetti se si aggiunge il personale dei servizi aziendali che sul piano produttivo coinvolge anche la Mw-Fep di Ronchi dei Legionari;
   secondo fonti sindacali, lo stabilimento triestino potrebbe essere venduto alle società statunitensi Flextronics e Jabils, che operano nella produzione di componenti elettrici con impianti situati in Paesi in cui il lavoro ha un costo minore che in Italia. Il rischio, quindi, potrebbe essere rappresentato da un'acquisizione di un soggetto terzo e dalla successiva delocalizzazione della produzione;
   secondo Antonio Rodà, segretario provinciale Uilm, è «inconcepibile che un gruppo mondiale leader delle telecomunicazioni voglia privarsi di un asset così prezioso come quello rappresentato dal sito produttivo di Trieste che non manca di commesse e di clienti»;
   dall'articolo de «Il Piccolo» del 20 aprile si apprende che, dopo le notizie giunte da Parigi, i lavoratori, riunitisi in assemblea, stiano programmando una serie di azioni di sensibilizzazione delle istituzioni, tra i quali un incontro con i capigruppo del consiglio comunale di Trieste, mentre il sindaco di Trieste Cosolini avrebbe scritto una lettera al Ministro per chiedere un intervento a favore dello stabilimento di Trieste e la presidente della regione Serracchiani avrebbe già stimolato il Ministro interrogato ad un interessamento sulla questione –:
   se sia a conoscenza della situazione allarmante venutasi a creare dopo le dichiarazioni di intento della Nokia in merito allo stabilimento di Trieste e quali nuovi elementi abbia in suo possesso;
   se abbia già aperto una trattativa diretta con l'azienda per scongiurarne la chiusura e la perdita di posti di lavoro delle circa 850-900 persone interessate;
   quali iniziative urgenti intenda adottare per evitare la dismissione del sito di Trieste e secondo quali modalità e tempistiche. (5-05385)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   le unità alle dipendenze del consorzio unico di bacino articolo NA-CE in liquidazione sono, per la provincia di Napoli, oltre 800;
   i lavoratori del consorzio di bacino nella regione Campania sono, allo stato attuale dei fatti, costretti da oltre 28 mesi senza stipendi maturati per periodi che vanno dai 3 ai 30 mesi;
   circa 170 di queste unità sono impiegate a mero titolo di supporto nelle attività gestite dalla SAPNA, società interamente partecipata dalla provincia, attualmente della città metropolitana e affidataria del servizio di smaltimento dei rifiuti indifferenziati;
   i restanti non risultano svolgere, ormai da tempo, più alcuna prestazione lavorativa;
   nella regione Campania i dipendenti dei consorzi sono circa 4000;
   da anni i lavoratori del CUB rivendicano numerose retribuzioni arretrate, in assenza di atti formali di risoluzione del rapporto di lavoro che li lega al consorzio;
   nel mese di dicembre 2014, il commissario liquidatore, come si apprende da fonte sindacale, avrebbe concluso la procedura di mobilità collettiva ai sensi dell'articolo 34 della legge n. 165 del 2001 e sarebbe in attesa della definitiva autorizzazione da parte della competente autorità di Governo (funzione pubblica);
   tale provvedimento comporterebbe la risoluzione del rapporto di lavoro di natura pubblica e potrebbe condurre al ricollocamento delle maestranze presso altre pubbliche amministrazioni;
   la natura del rapporto di lavoro, però, è controversa, dal momento che l'equiparazione dei dipendenti dei consorzi con il personale delle pubbliche amministrazioni incontra l'ostacolo dovuto alle diverse modalità di accesso all'impiego;
   secondo le organizzazioni sindacali la complessa problematica, nei tempi più recenti, si sta incentrando su due aspetti: il futuro occupazionale dei lavoratori e la questione relativa al recupero delle retribuzioni non erogate ed al pagamento delle indennità di mobilità;
   il riassorbimento nelle piante organiche di comuni e amministrazioni pubbliche non sembra definito per gli aspetti giuridici sopra accennati, e peraltro la classificazione del rapporto di lavoro come pubblico impiego sarebbe ostativo all'accesso ai fondi del progetto attivato dalla regione Campania e dal Governo per l'elaborazione di un piano di reinserimento del personale dei consorzi nella transizione alle gestioni comunali del ciclo integrato dei rifiuti che si rivolgeva soggetti fuoriusciti dal mercato del lavoro con rapporto di natura privata;
   il consorzio, e quindi i comuni consorziati, dovrebbero procedere al pagamento delle spettanze dovute ai lavoratori;
   consortile, che come già detto è in fase di liquidazione, non dispone di risorse economiche sufficienti;
   il sindacato autonomo, peraltro, ha rivendicato di recente che la legge n. 26 del 2010 (recante, tra l'altro, disposizioni urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti nella regione Campania), dando avvio alla fase post emergenziale, avrebbe di fatto statuito il passaggio del ciclo dei rifiuti alle amministrazioni provinciali;
   secondo il sindacato ai comuni, solo in fase transitoria e sino a tutto il 2010, erano state assegnate alcune attività del ciclo quali lo spazzamento, il trasporto, lo smaltimento o il recupero della differenziata;
   nell'ambito delle disposizioni della legge n. 26 del 2010 è stato chiesto l'intervento della Prefettura per verificare se le somme corrispondenti, al costo del personale dei consorzi, che dovevano costituire una delle voci della tariffa per i tributi TARSU e TIA, siano state incassate dai comuni ma non corrisposte al consorzio;
   il sindacato sostiene che, pur avendo tali enti sin dal 2010 calcolato nelle tariffe applicate ai cittadini anche i maggiori oneri dovuti ai consorzi, i comuni non ne hanno quasi mai versato i relativi importi, con grave danno per l'erario e per i lavoratori;
   rappresentanti degli enti locali e della società SAPNA hanno nel recente passato dichiarato di non avere riscosso nell'ambito dei tributi TARSU e TIA alcuna aliquota relativa al costo del personale dei consorzi;
   ciò è avvenuto in considerazione della predisposizione della tariffa, come da disposizione della legge n. 26 del 2010, da parte della società SAPNA;
   la vertenza più in generale rientra nell'ambito del ciclo di trattamento degli RSU ed in particolare della legge regionale n. 5 del 2014, con la quale, in seguito al riordino del servizio con l'istituzione degli ATO si dispone all'articolo 13 il «completo reimpiego delle unità di personale dei consorzi di bacino della regione Campania» mediante assunzione presso «affidatari dei servizi comunali di gestione dei rifiuti, anche se svolti in economia mediante amministrazione diretta»;
   in particolare l'articolo 13 spiega che, fino al completo reimpiego delle unità di personale dei consorzi di bacino della regione Campania previsto dai commi 2 e 6, è vietato procedere a nuove assunzioni per lo svolgimento del servizio di gestione dei rifiuti;
   da tale articolo emerge anche che unità di personale dei consorzi di bacino della regione Campania costituiti ai sensi della legge regionale 10 febbraio 1993 n. 10 e delle società da essi partecipate, già dipendenti alla data del 31 dicembre 2008, eventualmente in eccedenza per ragioni funzionali o finanziarie, oppure all'esito di processi di riorganizzazione, oppure licenziate e che abbiano vinto le controversie giudiziarie per impugnativa del licenziamento, siano assegnate e trasferite mediante passaggio di cantiere agli affidatari dei servizi comunali di gestione dei rifiuti, anche se svolti in economia mediante amministrazione diretta dando priorità al personale assunto alla data del 31 dicembre 2001;
   secondo l'articolo 13 il personale in questione andrebbe utilmente impiegato per l'assolvimento dei compiti di vigilanza ambientale, di prevenzione del fenomeno di abbandono incontrollato dei rifiuti, di controllo della qualità del servizio e di gestione degli impianti a supporto del ciclo, con particolare riferimento ai centri di raccolta, agli impianti di valorizzazione delle diverse frazioni merceologiche e di trattamento della frazione organica;
   in particolare, il personale tecnico-amministrativo è utilizzato in via prioritaria presso gli uffici comuni delle Conferenze d'ambito, costituiti ai sensi dell'articolo 15-bis, comma 10 della legge regionale n. 4 del 2007 come introdotto dall'articolo 6 della citata legge;
   per i comuni della regione Campania che non hanno raggiunto entro la data del 31 dicembre 2012 l'obiettivo di raccolta differenziata previsto dall'articolo 205, comma 1 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e che gestiscono le attività di raccolta, di spazzamento e di trasporto dei rifiuti e di smaltimento o recupero inerenti alla raccolta differenziata, ai sensi dell'articolo 11 comma 2-ter del decreto-legge n. 195 del 2009 convertito con modificazioni dalla legge n. 26 del 2010 è condizione per la concessione di contributi o finanziamenti regionali per il ciclo di gestione dei rifiuti a qualunque titolo anche a valere sui fondi strutturali, l'assegnazione e il trasferimento ai sensi dell'articolo 202 comma 6 del decreto legislativo n. 152 del 2006, all'affidatario o al gestore del servizio integrato o delle singole fasi di cui esso si compone, di una quota del personale dipendente dai consorzi di bacino costituiti ai sensi della legge regionale n. 10 del 1993, commisurata alla partecipazione del comune medesimo ai consorzi stessi;
   ad oggi, non solo la legge regionale n. 5 del 2014 non sembra essere applicata, ne alcun percorso è stato posto in essere in questi anni per restituire dignità ai lavoratori privati di alcuna tutela, salariale, previdenziale e lavorativa;
   la vertenza sta assumendo sempre più carattere di vera emergenza sociale –:
   se il Governo non ritenga di doversi fare carico di una problematica che per numeri e complessità tecnico giuridica e sociale, non può non essere considerata alla stregua di una vertenza industriale di grandi dimensioni;
   se non ritengano di dover promuovere con estrema urgenza, per quanto di competenza, un tavolo di concertazione con la regione Campania, la prefettura di Napoli, la città metropolitana e le rappresentanze dei lavoratori coinvolti. (4-08855)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Alcatel-Lucent è una società multinazionale con sede a Parigi leader nella produzione di hardware e software per le telecomunicazioni che nasce dalla fusione di Alcatel e Lucent Technologies il 1o dicembre del 2006. La società detiene una quota di mercato intorno al 35-40 per cento nel settore delle telecomunicazioni digitali sottomarine e si pone come leader mondiale nel a trasmissione ottica su fibra;
   Alcatel-Lucent ha in Italia alcune strutture strategiche: nel comune di Vimercate, in provincia di Monza-Brianza hanno sede il quartier generale e i principali laboratori relativi agli apparati di trasmissione radio a microonde. Altri centri di ricerca e sviluppo sono presenti anche a Battipaglia e a Rieti, mentre a Trieste è attivo uno stabilimento di produzione di apparati per trasmissione in fibra ottica;
   in questi giorni, la francese Alcatel-Lucent ha concluso le trattative che porteranno alla propria incorporazione nel gruppo finlandese Nokia. L'amministratore delegato di Alcatel-Lucent ha confermato l'intenzione di procedere alla cessione degli impianti situati in Italia, in primis quello di Trieste;
   nello stabilimento di Trieste sono impiegati 318 dipendenti a tempo indeterminato e 400 lavoratori con contratto di somministrazione. Se si considera anche l'indotto, costituito in parte dall'azienda Mw-Fep sita nel comune di Ronchi dei Legionari, in provincia di Gorizia, ma che coinvolge i servizi locali di mensa, pulizie, sorveglianza, logistica, si arriva a 850 persone che entro poco tempo potrebbero essere a rischio licenziamento;
   per Trieste si aprirebbe una crisi occupazionale spaventosa, paragonabile, anche per impatto occupazionale, a quanto accadrebbe se venisse chiusa la Ferriera di Servola, il complesso industriale specializzato nella produzione di ghisa e situato a Trieste;
   l'amministratore delegato di Alcatel ha confermato la politica di vendita, dopo il nuovo assetto societario, di tutti i siti produttivi. I vertici aziendali di Alcatel hanno infatti dichiarato che è intenzione del gruppo abbandonare il manufacturing per cederlo ad aziende di questo specifico ambito; al momento, risulterebbero due manifestazioni di interesse per lo stabilimento triestino da parte di Flextronics e Jabils, entrambe società statunitensi leader del settore;
   si tratta di gruppi industriali che hanno già adottato in passato politiche di esternalizzazione di fasi produttive in Paesi dove la manifattura è a basso costo; il rischio molto concreto è di giungere in pochi mesi allo smantellamento dello stabilimento triestino; la società Flextronics, tra l'altro, è già un fornitore Alcatel-Lucent di semi-lavorati che produce in Romania –:
   quali iniziative di competenza intenda porre in essere il Ministro interrogato e se non ritenga opportuno procedere, con urgenza, all'istituzione di un tavolo di confronto con le parti sociali al fine di tutelare i lavoratori dello stabilimento di Trieste, che ha sempre registrato volumi di produzione in forte espansione. (4-08856)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Di Maio Luigi e altri n. 1-00741, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cariello.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Covello n. 5-04769, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Impegno.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Gelli n. 5-05032, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Becattini.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Carloni e altri n. 5-05344, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Capozzolo.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Catalano n. 5-05365, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Oliaro.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Luigi Di Maio n. 1-00741, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 379 del 20 febbraio 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni i Governi centrali che si sono succeduti, nell'operare tagli per contenere la spesa pubblica, hanno di fatto strangolato l'economia degli enti locali;
    in un momento di difficoltà come quello che ha vissuto il nostro Paese negli ultimi anni è giusto che ognuno faccia la sua parte, nessuno escluso; inoltre, tale operazione ha provocato – in un primo momento ed entro certi limiti – un virtuoso contenimento delle spese inutili ed un taglio degli sprechi purtroppo molto presenti nella spesa pubblica del nostro Paese;
    tuttavia negli anni, e segnatamente con la legge di stabilità per il 2015 del Governo Renzi, si è giunti ad un livello di insostenibilità tale da pregiudicare seriamente le ormai già esigue spese dei bilanci comunali destinate al welfare, con particolare riferimento al sostegno delle fasce sociali più deboli;
    è chiaramente molto facile e demagogico vantarsi di ridurre la pressione fiscale tagliando i trasferimenti agli enti territoriali;
    occorre considerare che il comune è percepito da larghe fasce della popolazione come l'ente più vicino ai cittadini e il sindaco rappresenta una figura di riferimento, in quanto rappresentante dello Stato. Il sindaco è, soprattutto, l'ultimo baluardo in difesa dei diritti dei più deboli;
    i servizi sociali, infatti, da sempre assorbono la maggior parte delle risorse di cui dispongono i comuni (dopo le spese di personale e del servizio rifiuti): minori senza famiglia, anziani, disabili, emergenza casa. Sono tutte realtà alle quali i comuni cercano di dare una risposta;
    l'ammontare dei tagli significa una riduzione dei servizi che si ripercuote inevitabilmente sui più deboli; in una prima fase, infatti, gli amministratori hanno tagliato ciò che era importante, ma non fondamentale per la tenuta sociale: cultura, commercio, sport, viabilità, turismo e così via (si fa un gran parlare di cultura e turismo, ma quasi nulle sono ormai le risorse che i comuni riescono a destinare ogni anno agli assessorati competenti);
    negli ultimi 5 anni i comuni hanno visto ridursi le proprie risorse disponibili per la spesa corrente di oltre il 20 per cento: l'emergenza ora riguarda i servizi sociali ed educativi. Ormai i comuni non sono in grado neppure di garantire i servizi primari;
    un ulteriore elemento di difficoltà per i comuni è l'incertezza nella quale vengono costretti a lavorare, dal momento che ogni anno viene cambiata la fiscalità locale e le informazioni definitive sulle risorse di cui i comuni potranno disporre arrivano sempre ad anno ampiamente iniziato. Ciò rende del tutto aleatorio, se non impossibile, strutturare una programmazione seria e pluriennale e chiudere il bilancio preventivo entro la data prevista dalla legge, ovvero il 31 dicembre;
    i sindaci si sono ritrovati soli e hanno provato a protestare come potevano, per cercare di far capire ai cittadini cosa stava accadendo, così come accaduto;
    solo per fare tre piccoli esempi, il comune di Isola Rizza, 3.300 abitanti in provincia di Verona, ha deciso di chiudere per tre giorni, in segno di protesta, le porte del municipio. Il sindaco vuole fare capire come la misura sia ormai colma;
    l'Anci Sicilia ha organizzato una serie di dimostrazioni di protesta: il 29 gennaio 2015 oltre 390 comuni hanno spento le luci dalle 19 alle 19.05, mentre il 9 febbraio 2015 oltre 200 consigli comunali della regione siciliana hanno approvato – tutti nella medesima data – una risoluzione nella quale si chiedeva al Governo centrale di: costituire un tavolo permanente di concertazione tra Stato, regione siciliana e comuni dell'isola per affrontare la grave crisi finanziaria; modificare la norma che ha rivisto il regime di esenzioni dall'IMU per i terreni agricoli, con particolare riferimento all'imposta relativa al 2014; contenere i tagli a valere sul fondo di solidarietà nazionale; rendere più flessibili le regole relative al patto di stabilità, anche al fine di favorire, laddove possibile, le spese per investimenti; prevedere misure che, anche in relazione all'attuazione dell'armonizzazione contabile dei bilanci, possano far fronte al crescente fenomeno di comuni che dichiarano il dissesto finanziario; rivedere la norma che ha previsto il definanziamento dei fondi per la politica agricola comune;
    nella legge di stabilità per l'anno 2015 dei 16,6 miliardi di euro di tagli di spesa, ben il 49 per cento, ovvero 8,1 miliardi, sono a carico di comuni, province e regioni: si tratta di una quota decisamente superiore al peso che le amministrazioni locali hanno sul totale della spesa pubblica (29 per cento). Volendo fare un confronto, i tagli alle amministrazioni locali è pari al quadruplo di quanto tagliato ai ministeri (2 miliardi di euro nel 2015);
    il contributo maggiore è quello richiesto alle regioni (4 miliardi di euro), laddove 1,2 miliardi di euro è il taglio del fondo di solidarietà comunale e 1 miliardo di euro (che salirà a 2 miliardi nel 2016 e 3 miliardi dal 2017) è il contributo richiesto alle province e città metropolitane; nella valutazione occorre considerare anche i tagli decisi dal 2015 con il decreto-legge n. 66 del 2014;
    gli enti locali in questa fase debbono anche far fronte all'avvio del fondo per i crediti di dubbia esigibilità, previsto dall'armonizzazione contabile, che equivale ad un taglio di spesa 1,9 miliardi di euro annui a partire dal 2015 e rientra nel calcolo del saldo obiettivo ai fini del patto di stabilità;
    secondo quanto si legge a pagina VII della relazione della Corte dei conti sulla gestione finanziaria degli enti territoriali per l'esercizio 2013, depositata il 29 dicembre 2014, tali tagli «riducendo gravemente le possibilità di intervento e di gestione degli enti territoriali, hanno inciso profondamente sul grado di autonomia finanziaria e funzionale ad essi garantiti dal titolo V della Costituzione, rendendo necessaria l'adozione di strumenti idonei affinché i futuri interventi di contenimento della spesa assicurino mezzi di copertura finanziaria in grado di salvaguardare il corretto adempimento dei livelli essenziali delle prestazioni, nonché delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali (...) Senza un più deciso e convinto sostegno alle politiche redistributive e di intervento compensativo volte a rimuovere le cause strutturali dei divari regionali che si frappongono allo sviluppo ed all'integrazione economica delle aree più marginalizzate del Meridione, i problemi di ritardo nell'infrastrutturazione territoriale non potranno che aggravarsi e gli ostacoli ad una maggiore crescita economica saranno più difficilmente contrastabili di fronte all'emergere di fattori di crisi prodotti dall'attuale fase recessiva e dalle inevitabili tensioni che ad essi si accompagnano»;
    e ancora, alle pagine 14 e 15 di detta relazione, si legge: «Dal quadro delle misure complessivamente adottate, deve dunque ritenersi che il patto di stabilità interno abbia costituito, in questi anni, lo strumento principe non solo per realizzare le finalità di finanziamento del debito pubblico e di consolidamento dei conti pubblici, ma anche per attuare un percorso di progressivo ridimensionamento delle funzioni di spesa delle autonomie territoriali e di quelle regionali in particolare. Attraverso l'imposizione di tetti di spesa e vincoli ai saldi di bilancio, il patto di stabilità interno ha realizzato, a valere sulle finanze degli enti territoriali, economie per complessivi 33,4 miliardi di euro, parte delle quali si sono tradotte in corrispondenti tagli ai trasferimenti statali, con relative economie di spesa e benefico impatto sul saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato. L'entità di tali misure di contenimento della finanza territoriale è rapportabile al complessivo effetto di contenimento della spesa realizzato dal 2009 a carico delle amministrazioni centrali e degli enti previdenziali messi insieme (pari a circa 35 miliardi di euro). Tuttavia, poiché la spesa primaria annua degli enti territoriali (esclusa la componente sanitaria) corrispondeva, nel 2009, a circa 112 miliardi di euro, a fronte di un'omologa spesa primaria di amministrazioni centrali ed enti previdenziali pari a circa 506 miliardi di euro, appare evidente la misura del sovradimensionamento del contributo della finanza territoriale al riequilibrio dei conti pubblici. In altri termini, lo sforzo di risanamento richiesto alle amministrazioni territoriali con i vincoli disposti dal patto di stabilità interno risulta non proporzionato all'entità delle risorse gestibili dalle stesse, il che ha prodotto un drastico ridimensionamento delle funzioni di spesa di queste ultime a vantaggio degli altri comparti amministrativi che compongono il conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche»; ciò è confermato anche dallo studio Ifel-Fondazione Anci dal titolo «La finanza comunale in sintesi» dell'ottobre 2014. Nell'introduzione a tale documento (pagine 5 e 6) si legge che «anche per effetto della persistente crisi finanziaria che attraversa il Paese ormai da qualche anno, i comuni vivono una stagione di profondo malessere. Le difficoltà assumono certamente una dimensione finanziaria, con risorse sempre più scarse disponibili in bilancio, ma sono dovute anche ad un quadro normativo incerto, confuso e in definitiva restio nel valorizzare compiutamente l'autonomia degli enti locali. Ne deriva una condizione di crescente difficoltà, sia sul piano programmatico che in fase gestionale, resa ancor più delicata dal ruolo di “gabelliere dello Stato” affidato negli ultimi anni dal Governo centrale ai comuni, di fatto obbligati ad aumentare in misura significativa le imposte locali, senza, però, essere nelle condizioni di poter offrire maggiori servizi ed investimenti alle comunità di riferimento. (...) Esclusi alcuni fattori intervenuti sul piano contabile e la componente inflazionistica, infatti, negli ultimi anni il trend della spesa corrente comunale evidenzia una crescita pressoché nulla, accompagnata da una drastica contrazione degli investimenti, soprattutto a causa dei vincoli sempre più stringenti imposti dal patto di stabilità interno»;
    tale situazione si rivela ogni giorno sempre più insostenibile per la tenuta del patto sociale che tiene insieme i cittadini italiani;
    peraltro, occorre considerare che nelle ultime settimane numerose fonti di stampa denunciano pubblicamente il rischio di commissariamento diffuso che potrebbe riguardare moltissime amministrazioni locali, dal momento che le sanzioni per chi non approverà in tempo il consuntivo 2014 prevedono la sospensione di tutti i pagamenti (fondo di solidarietà in primis) fino a quando i dati non arriveranno ai Ministeri seguendo la procedura stabilita; ciò comporterà che molte amministrazioni locali avranno serie difficoltà a rispettare la data di scadenza fissata per il 30 aprile 2015;
    anche l'Anutel, mediante lettera inviata al Ministro dell'interno, ha chiesto di spostare la data ultima di approvazione dei consuntivi 2014 al 31 maggio 2015;
    per circa 400 comuni italiani, quelli che negli anni scorsi hanno già avviato la sperimentazione della riforma della contabilità, la situazione risulta essere disperata, in quanto con il consuntivo si troveranno costretti ad effettuare il riaccertamento straordinario dei residui attivi. A questa già critica situazione si aggiunge anche la novità in arrivo da Arconet riguardante gli obblighi di accantonamento nel fondo crediti di dubbia esigibilità nel rendiconto;
    il testo unico enti locali impone la consegna del rendiconto ai revisori almeno venti giorni prima dell'avvio in consiglio della sessione di bilancio; quindi, gli enti locali, per poter sperare di rispettare il termine del 30 aprile 2015, dovrebbero avere già deliberato il bilancio in giunta;
    anche nel 2014 la scadenza ha subito una dilazione, con nuova data fissata al 30 giugno 2014, a seguito della revisione straordinaria del gettito prodotto nel 2013 dall'IMU sui fabbricati di categoria D avviata dal decreto «salva Roma ter»;
    infine, a seguito della conferma del regime 2014 della TASI e dell'IMU recata dal comma 679 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità per l'anno 2015), si rende necessario ripristinare il fondo straordinario integrativo di 625 milioni di euro già erogato per l'anno 2014, in considerazione dell'impossibilità per un'ampia fascia di comuni di ricostituire il gettito già acquisibile con il previgente regime IMU, per effetto dei più stringenti limiti all'aliquota massima della TASI introdotti originariamente per il solo 2014;
    tale integrazione riguarda circa 1.800 comuni per una popolazione di oltre 30 milioni di abitanti. La sua abrogazione porterebbe ad una crisi insanabile gli equilibri di molti di tali enti, anche considerando gli effetti della nuova contabilità e dei rilevanti ulteriori tagli disposti dalla stessa legge di stabilità per l'anno 2015;
    l'incidenza del mancato consolidamento è resa ben evidente dalla considerazione che circa la metà dei comuni in questione subirebbero un taglio aggiuntivo (rispetto a quanto espressamente stabilito dalla legge) pari a oltre il 50 per cento, con punte del 300 per cento. Di questi comuni particolarmente colpiti, oltre 600 sono di dimensioni minori (fino a 10 mila abitanti),

impegna Governo:

   ad assumere iniziative per ripristinare integralmente il valore complessivo dei trasferimenti tagliati con la legge di stabilità per l'anno 2015;
   a non effettuare ulteriori riduzioni, negli anni futuri, fino a quando lo sforzo richiesto in termini percentuali agli enti locali non sia stato sostenuto anche dalle istituzioni centrali;
   a garantire in ogni caso, anche agli enti locali in dissesto, i trasferimenti necessari all'espletamento dei servizi sociali essenziali, come l'assistenza ai cittadini disabili;
   a garantire agli enti locali i tempi necessari per una programmazione seria, assumendo iniziative per definire norme certe sull'ammontare delle risorse di cui potranno disporre nell'anno seguente entro la fine del mese di ottobre, in modo da permettere di approvare i bilanci previsionali entro il 31 dicembre di ogni anno;
   a non ridurre i trasferimenti a disposizione degli enti locali nell'esercizio in corso e a non assumere iniziative per la modifica delle norme sulla fiscalità locale;
   pur a spesa complessiva invariata per l'insieme delle amministrazioni comunali, a definire con idonee analisi e un confronto con le autonomie locali i fabbisogni standard degli enti anche in termini di personale e dei relativi tetti di spesa, definendo un criterio il più possibile uniforme a livello nazionale che regoli il rapporto spesa del personale/popolosità dell'ente, in modo da distribuire al meglio la spesa dei comuni e giungendo così a criteri razionali che raggruppino i fabbisogni di comuni di pari livello e popolazione, con il superamento dell'attuale criterio di blocco/riduzione orizzontale ed acritico di tale spesa per ciascun comune indipendentemente dalla sua efficienza e dalle sue necessità comparabili;
   a svincolare dai tetti di spesa i costi di formazione del personale per delimitati settori e corsi autorizzati a livello centrale finalizzate ad incrementare la capacita di analisi sull'efficienza di spesa dei servizi, quali efficienza energetica, ricaduta socioeconomica di indotto delle azioni, digitalizzazione;
   ad assumere iniziative normative per spostare, alla luce di quanto esposto in premessa, la data ultima di approvazione dei consuntivi 2014 al 31 maggio o al 30 giugno 2015;
   al fine di far fronte alle minori risorse e garantire i servizi ai cittadini e, quindi, di porre in essere tutte le azioni necessarie a ridurre la spesa corrente tra cui la rinegoziazione del debito, consentire l'utilizzo di tutte le fonti disponibili, compreso l'avanzo e la ristrutturazione del debito mediante accensione di nuovi prestiti (come previsto dal comma 2 dell'articolo 41 della legge n. 448 del 2001), assumendo un'iniziativa normativa per abrogare il vincolo di utilizzo esclusivo dei proventi da dismissioni che riguarda il rimborso dei prestiti obbligazionari;
   in conseguenza della decisione di posticipare l'avvio della local tax, ad assumere iniziative normative per ripristinare il trasferimento integrativo di 625 milioni di euro, indispensabile agli enti locali, già oggetto di pesanti tagli sulle risorse del fondo di solidarietà comunale, per garantire i servizi essenziali ai cittadini.
(1-00741)
(Nuova formulazione) «Luigi Di Maio, Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza Di Vita n. 2-00791 del 18 dicembre 2014;
   interpellanza Daga n. 2-00935 del 16 aprile 2015;

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Gagnarli e altri n. 5-04790 del 20 febbraio 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-08843.
   interrogazione a risposta in Commissione Sgambato e altri n. 5-04982 dell'11 marzo 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-08844.
   interrogazione a risposta Di Vita e altri n. 4-08826 del 16 aprile 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05379.

ERRATA CORRIGE

  Interpellanza Sorial e altri n. 2-00939 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 411 del 17 aprile 2015.
  Alla pagina 24124, prima colonna, dalla riga quarantottesima alla riga cinquantesima deve leggersi: «(2-00939) “Sorial, D'Incà, Brugnerotto, Cariello, Castelli, Colonnese”.» e non come stampato.