Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 15 aprile 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    nonostante la crescente interconnessione tra i mercati e le restrizioni imposte dalle previsioni comunitarie l'agricoltura continua a svolgere un ruolo essenziale nel nostro Paese, responsabile non più soltanto di assicurare una disponibilità adeguata di alimenti, ma anche e soprattutto di garantire la qualità degli stessi, e necessita di adeguate tutele in materia fiscale;
    la qualità e, con riferimento ad alcune tipologie di prodotto, l'eccellenza della produzione agricola italiana, sono dimostrate quotidianamente non solo dalla soddisfazione dei consumatori ma anche dal fatto che essa è imitata in tutto il mondo attraverso i deplorevoli fenomeni della contraffazione vera e propria delle merci e dell’italian sounding;
    sotto un profilo prettamente economico recenti studi hanno dimostrato come malgrado la perdita di peso in termini di contributo alla formazione del prodotto interno lordo, tipico delle economie diversificate come quella italiana, all'agricoltura deve essere riconosciuto un ruolo strategico sia con riferimento al suo potenziale apporto alla crescita degli altri settori dell'economia e alle esportazioni, sia come mercato per i prodotti industriali e come fondo di risparmio;
    all'agricoltura, inoltre, è affidato oggi più che mai il compito di preservare l'ambiente naturale e il paesaggio a fronte dei cambiamenti climatici che stravolgono i territori, il compito di salvaguardare la cultura e le tradizioni delle aree rurali, continuando a rappresentare una componente di base dello sviluppo rurale, oltre alla funzione primaria di affrontare l'insicurezza alimentare;
    i recenti interventi del Governo in materia di fiscalità agricola, con particolare riferimento al regime di esenzioni dal versamento dell'imposta municipale propria per i terreni, rappresentano per gli agricoltori un fattore di evidente criticità, anche a causa dell'irrazionalità dei tempi, delle modalità e dei criteri impiegati per determinare l'assoggettabilità dei singoli terreni all'imposta;
    il decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, modificando la disciplina vigente sin dall'istituzione dell'Ici nei primi anni novanta in materia di esenzioni IMU sui terreni agricoli ricadenti in aree montane o collinari, ha demandato ad un decreto del Ministro dell'economia e finanze la revisione dei criteri di esenzione;
    i criteri di tale revisione si sono essenzialmente basati sulla necessità prevista dal Governo che dalla stessa derivasse un maggior gettito complessivo annuo non inferiore a 350 milioni di euro;
    in particolare, al decreto era affidata la individuazione dei comuni nei quali applicare le nuove regole sulla base dell'altitudine riportata nell'elenco dei comuni italiani predisposto dall'ISTAT e diversificando tra terreni posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali e gli altri;
    il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze che avrebbe dovuto essere adottato entro il 24 settembre 2014 è stato approvato solo il 28 novembre, con oltre due mesi di ritardo, e pubblicato appena dieci giorni prima della data in cui i soggetti passivi dell'imposta dovevano corrispondere gli importi dovuti;
    la successiva proroga del termine per il pagamento dai 16 dicembre al 26 gennaio non ha risolto le problematiche scaturite dal decreto ministeriale e il Governo si è trovato costretto ad approvare il quarto provvedimento in meno di sei mesi in materia di IMU agricola;
    il decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, recante misure urgenti in materia di esenzione IMU ha nuovamente modificato l'ambito di esenzione in favore dei terreni agricoli, rispetto a quello delineato dal decreto ministeriale del 28 novembre, determinando il ripristino dell'esenzione in favore di circa... di comuni;
    il sistema delineato nel decreto-legge 4 del 2015, tuttavia, ha mantenuto alcune delle criticità già sollevata in occasione dell'approvazione del decreto ministeriale del mese di novembre 2014, tra le quali, in particolare, il ricorso ad una classificazione dei comuni montani fissata dall'ISTAT diversa da quella utilizzata sino ad allora e contenuta nella circolare del 14 giugno 1993, n. 9, del Ministero delle finanze;
    in base alla circolare 9 del 1993, erano classificati come montani i comuni situati per almeno l'ottanta per cento della loro superficie al di sopra di seicento metri di altitudine sul livello del mare e quelli nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e la superiore del territorio comunale non fosse minore di seicento metri;
    il criterio adottato nella classificazione dell'ISTAT, invece, fa riferimento all'altitudine del «centro» del comune, vale a dire della casa comunale, non considerando il fatto che nella maggior parte dei comuni di montagna la casa comunale è posta a fondovalle, e pertanto, la sua altitudine non può costituire un indice idoneo a definire la natura «montana» di un comune, a maggior ragione se tale definizione è posta a fondamento di un trattamento fiscale differenziato per i contribuenti;
    l'unilateralità di tale criterio, oltre ad aver escluso ingiustificatamente un gran numero di comuni montani, ha prodotto anche il paradosso per cui comuni limitrofi, situati alla stessa altitudine, si trovano a dover applicare un regime di tassazione diverso, determinando, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, una palese quanto gravosa violazione delle regole della concorrenza, che penalizza gli uni a tutto vantaggio degli altri;
    la classificazione dell'ISTAT in comuni totalmente montani, parzialmente montani e non montani, introduce nei territori una serie infinita di contraddizioni ed iniquità, oltre al fatto che il nuovo criterio, basato esclusivamente sul valore altimetrico; non tiene in alcun conto le specificità dei diversi territori, la redditività delle colture, l'isolamento e il ritardo di sviluppo di talune aree del Paese;
    come se non bastasse, la revisione della fiscalità sui terreni agricoli è avvenuta in assenza di un qualunque intervento di aggiornamento sul catasto agricolo, fermo a oltre settant'anni fa, e che oggi contiene delle rendite catastali che non corrispondono più alla reale redditività dei terreni, oltre a non essere aggiornato in merito alle colture effettive sui terreni;
    la normativa adottata, infine, prescinde dalle situazioni oggettive delle varie realtà territoriali, quali la notevole frammentazione delle proprietà familiari dei terreni nei comuni montani, e il mancato o esiguo ritorno economico di molti di essi;
    l'agricoltura italiana già versa in uno stato di sofferenza; dal momento dell'ingresso nell'euro il rapporto tra costi e ricavi si è deteriorato a danno del secondo; il sensibile aumento del prezzo del gasolio registrato negli anni e, le limitazioni imposti alla produzione per rispettare i vincoli derivanti dalla politica agricola comune, sono elementi che, insieme a molti altri, hanno negli anni depauperato un settore produttivo fondamentale per l'economia italiana, e l'imposizione di questo ulteriore peso fiscale potrebbe rivelarsi letale per molte di queste imprese;
    le imprese agricole rappresentano l'unico tipo di impresa che per le sue intrinseche caratteristiche non può essere delocalizzata e in quanto tale dovrebbe essere tutelata e promossa e non colpita mediante una tassazione insostenibile;
    la tassazione sui terreni agricoli rischia di avere effetti fortemente negativi anche sui bilanci dei comuni e dei cittadini, posto che eventuali casi di inadempienza da parte degli agricoltori si ripercuoteranno sul mantenimento dei servizi,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative normative volte a ripristinare un sistema di esenzione dall'IMU per i terreni agricoli che tenga conto delle realtà territoriali, con specifico riguardo alla produttività e alla redditività degli stessi;
   ad elaborare politiche di sostegno mirate allo sviluppo e alla tutela della produzione agricola nazionale, al fine di preservarne la naturale funzione sociale e di presidio territoriale.
(1-00811) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Maietta, Giorgia Meloni, Nastri, Taglialatela, Totaro».


  La Camera,
   premesso che:
    le recenti rilevazioni Censis e Istat evidenziano un quadro demografico, stimato agli andamenti nel 2014, in crisi dal punto di vista del sistema welfare in generale e delle nascite in particolare, caratterizzato da un tasso di natalità «insufficiente a garantire il necessario ricambio generazionale»;
    la popolazione residente ha raggiunto i 60 milioni 808 mila (compresi 5 milioni 73 mila stranieri) al primo gennaio 2015, mentre il numero dei cittadini italiani continua a decrescere – come ormai negli ultimi dieci anni – raggiungendo i 55,7 milioni (-125 mila rispetto all'anno precedente). Per la prima volta in Italia, calano le nascite anche fra le madri straniere, che finora hanno garantito la tenuta del livello demografico del nostro Paese. Le cifre sono chiare, si tratta di cinquemila neonati in meno nel 2014 rispetto all'anno precedente;
    il tasso d'incremento naturale è di 1,4 per mille. Il numero medio di figli per donna è pari a 1,39, come nel 2013 (nel 2010 era 1,46) a fronte di una media dell'Unione europa di 1,58 (2012); per le donne straniere 1,91 (a queste è attribuito il 19 per cento delle nascite totali), nel 2013 era il 2,1. L'età media al parto sale a 31,5 anni. Il tasso di natalità è di 8,4 per mille (era 8,5 nel 2013); al Trentino Alto Adige il primato per natalità (9,9), segue la Campania (8,9). Agli ultimi posti la Liguria (6,9) e la Sardegna (7,1);
    le coppie trattate in Italia con tecniche di procreazione medicalmente assistita erano 54.458 nel 2012 (ultimo dato ufficiale disponibile): +77 per cento rispetto alle 30.749 del 2005. Nel 23,2 per cento dei casi si arriva alla gravidanza. I bambini concepiti in provetta venuti alla luce sono stati 9.818 nel 2012: +169 per cento rispetto ai 3.649 del 2005;
    più in generale, si è in presenza di un welfare profondamente in crisi: di ciò è eloquente testimonianza la scarsa propensione degli italiani ad avere figli, ricondotta, dall'opinione diffusa, principalmente a motivazioni economiche (75,3 per cento);
    alla drammatica condizione del welfare in Italia si aggiungono anche gli scarsi investimenti e le riduzioni di spesa diretti alla formazione e ai servizi per l'infanzia (così come posto in evidenza dalle indagini conoscitive in corso nella Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza);
    i servizi socio educativi per la prima infanzia, costituiscono, in particolare, uno strumento necessario per genitori e figli, da un lato, rispondendo alle esigenze delle madri che lavorano, dall'altro, ponendosi in condizione di complementarietà alla funzione educativa svolta dalla famiglia;
    purtroppo, però, risulta sempre non adeguato il numero di comuni italiani che ha attivato almeno un servizio tra asili nido, micro nidi o altri servizi integrativi per l'infanzia e particolarmente ampia è la disparità tra le regioni in cui detti servizi sono stati messi a disposizione delle famiglie;
    negli ultimi anni è migliorata l'azione dei Governi con interventi a favore della natalità e per i diritti dell'infanzia. Complessivamente intese, però, le iniziative normative adottate si sono rilevate sporadiche e non omogenee nel territorio nazionale;
    tra gli interventi, di rilievo è stata l'istituzione del fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza (legge n. 285 del 1997), così come il fondo nazionale straordinario per i servizi socio-educativi per la prima infanzia (legge finanziaria del 2007) e la legge istitutiva dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza (legge n. 112 del 2011);
    non trascurando che, il 10 aprile 2015, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il decreto attuativo, previsto dalla legge di stabilità (legge 23 dicembre 2014, n. 190, articolo 1, comma 125), che stabilisce criteri e requisiti per l'accesso alla prestazione del bonus bebé 2015. Si tratta di un incentivo alle nascite, con un tetto di reddito – per accedere al bonus – che inizialmente ammontava a 90mila euro, ma drasticamente abbassato a 25 mila euro di certificazione Isee (secondo le nuove disposizioni dell'indicatore di situazione economica equivalente, il reddito riguarda tutti i membri del nucleo e non solo del contribuente singolo);
    l'ammontare degli assegni sarà compresa tra gli 80 e i 160 euro per le famiglie che hanno avuto un figlio o che potranno averlo, nell'arco compreso tra il primo gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017 e la durata di percezione dell'assegno avrà estensione triennale. Dunque, l'intervento è rivolto alle famiglie e anche ai neo genitori adottivi con un reddito Isee al di sotto dei 25 mila euro annui. Tra i 7 mila e i 25 mila euro all'anno di reddito dichiarato, la prestazione sarà pari a 960 euro nei 12 mesi. Per quanti denunciano meno di 7 mila euro, gli assegni garantiranno 1920 euro annui. La prestazione viene erogata dal giorno della nascita del figlio fino al compimento del terzo anno di età o, in caso di adozione, al momento del suo ingresso in famiglia;
    è, inoltre, all'esame della Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati, per l'espressione del parere, lo schema di decreto legislativo n. 157, volto a dare attuazione all'articolo 1, commi 8 e 9, della legge delega n. 183 del 2014, che dispone la revisione e l'aggiornamento delle misure intese a tutelare la maternità e a favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, allo scopo di garantire adeguato sostegno alle cure parentali;
    diverse, dunque le misure adottate che aspettano di essere recepite ed attuate, in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale, attraverso un'equa ripartizione dei fondi disponibili,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative dirette a ripristinare l'intera consistenza del fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, destinando le risorse a tutte le città del Paese con alti tassi di povertà e di disagio sociale;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per incrementare i servizi per la prima infanzia su tutto il territorio nazionale, con particolare attenzione al sostegno dei servizi di asili nido, avendo cura all'equa ripartizione dei fondi per tutte le regioni;
   ad assicurare nelle future iniziative normative misure di finanziamento più adeguate per le neo-mamme in condizioni di disagio, anche innalzando, nei limiti delle disponibilità di bilancio, il tetto di reddito Isee per accedere al bonus previsto per incentivo alle nascite;
   a garantire, con continuità e costanza nel tempo, misure a sostegno della natalità, delle giovani coppie e delle famiglie in difficoltà, assumendo iniziative normative e finanziarie che non rivestano carattere sperimentale o una tantum;
   ad assicurare un'adeguata formazione ed informazione sui problemi legati alla fertilità e sulle tecniche di fecondazione previste e garantite dal sistema sanitario nazionale, mettendo sempre al centro la tutela della persona e della famiglia;
   a promuovere ulteriori iniziative (anche di sostegno psicologico) in grado di aiutare la coppia in generale e le mamme nello specifico, sin dai primi momenti del concepimento dei figli, avendo cura di eliminare tutti gli ostacoli che si frappongono tra la cura dei figli e la famiglia e la possibilità di lavorare, iniziando dalla rapida approvazione dello schema di decreto legislativo n. 157, riguardante la conciliazione dei tempi di cura, di vita e di lavoro, all'esame della Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati, per il parere.
(1-00812) «Antimo Cesaro, Mazziotti Di Celso, D'Agostino, Cimmino, Falcone, Molea, Pinna, Rabino, Galgano».


  La Camera,
   premesso che:
    il rapporto appena pubblicato dall'Istat ha lanciato l'ennesimo grido d'allarme sulla natalità in Italia, scesa ai minimi storici nel 2013, anno in cui le nascite si sono fermate a 515 mila segnando un record negativo in assoluto anche rispetto al record negativo del 1995 in cui le nascite quantomeno erano state 11 mila in più rispetto allo scorso anno;
    un quarto delle donne italiane non diventa madre, contro il 14 per cento delle americane e il 10 per cento delle francesi;
    dal rapporto emerge che mentre l'aspettativa di vita continua ad aumentare, ed è addirittura superiore rispetto alla media dei Paesi europei, persistono livelli di fecondità molto bassi, in media 1,42 figli per donna nel 2012 rispetto ad una media europea di 1,58, determinando un indice di vecchiaia tra i più alti al mondo, con 151,4 persone over 65 ogni 100 giovani con meno di 15 anni, inferiore in Europa solo alla Germania, in cui tale valore è al 158, posto che la media dell'Europa a ventotto Paesi è di 116,6;
    alla base di questi dati sta certamente anche la congiuntura economica sfavorevole che ha colpito l'Italia e l'Europa negli ultimi anni, ma la questione demografica nel nostro Paese è una questione antica, alla quale non si è riusciti a dare un'inversione di rotta nell'ultimo ventennio;
    i fattori che maggiormente incidono negativamente sui tassi di natalità sono la disoccupazione, la precarietà nel lavoro, una generale incertezza sul futuro avvertita dai giovani che impedisce loro una qualsiasi programmazione di vita, uniti all'assenza di politiche efficaci a sostegno della natalità e, soprattutto, della maternità;
    le nuove coppie che pensano di avere un figlio si devono confrontare con la scarsezza sia dei mezzi finanziari diretti di sostegno alla genitorialità sia del sistema di sgravi fiscali, con l'insufficienza e l'inadeguatezza dei servizi di assistenza, con servizi educativi e scolastici costosi, con la mancanza di una rete sussidiaria, con l'assenza di tutela delle donne con contratti atipici, con le difficoltà nell'acquisto di un'abitazione;
    molte delle iniziative sin qui adottate in tema di sostegno alla natalità si sono risolte in provvedimenti spot con una durata limitata nel tempo e incapaci di incidere davvero sulla pianificazione di una famiglia;
    in questo filone si inserisce, purtroppo, anche la reiterazione del bonus bebé inserita nella legge di stabilità 2015, limitato nel tempo sia per quanto riguarda i bambini che ne saranno beneficiari, posto che il bonus è destinato «per ogni figlio nato o adottato tra il 1o gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017», sia perché è corrisposto solo fino al compimento del terzo anno di età;
    una delle principali criticità riscontrata nella rete dei servizi per la prima infanzia, strumento essenziale per promuovere la genitorialità, è l'esiguo numero di asili nido, ai quali peraltro si accede in base a graduatorie spesso falsate, e con essa la mancata realizzazione in Italia di modelli di accoglimento alternativi quali ad esempio le tagesmutter, fattori che costituiscono spesso un ostacolo insormontabile per coppie nelle quali entrambi i genitori sono lavoratori, nonché ovviamente per i nuclei familiari monogenitoriali;
    l'obiettivo fissato in sede europea ai 2010 che prevedeva che entro quell'anno dovesse essere garantita almeno al 33 per cento la copertura territoriale del servizi per l'infanzia, con particolare riferimento alle strutture di asili nido, è ad oggi largamente disatteso in Italia in cui tale copertura arriva in media ad appena il 17 per cento, e con riferimento alla quale, come segnalato anche dalla Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, si conferma la carenza di strutture nelle regioni meridionali;
    la legge di stabilità per quest'anno ha istituito un nuovo fondo da destinare a interventi a favore della famiglia con una dotazione di 112 milioni di euro, cento dei quali devono essere destinati al rilancio del piano per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, ma lo stanziamento è limitato ad un solo anno e già si delineano le difficoltà applicative, soprattutto con riferimento alla ripartizione tra gli enti locali;
    a tale proposito, lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri approvato il 18 dicembre 2014 relativo ai fabbisogni standard nel settori, tra gli altri, della pubblica istruzione e del servizio degli asili nido, con specifico riguardo a quest'ultimo settore prende ancora a riferimento la spesa storica, peraltro del 2010, vale a dire prevede di continuare ad assegnare agli enti locali quello che già spendevano;
    questo si traduce nel fatto che con specifico riferimento agli asili nido, per l'individuazione dei coefficienti di riparto per ciascun comune, vale e dire per capire quanto denaro di quello complessivamente disponibile sarà destinato al singolo comune, proprio i comuni che finora non hanno un numero sufficiente di asili nido, spesso proprio a causa di mancanza di fondi o a causa di episodi di mala gestione del denaro pubblico per incapacità o malversazione degli amministratori locali, si trovano di nuovo destinati zero finanziamenti, con la conseguenza che sarà impossibile per loro sia un aumento delle strutture sia l'implementazione dei servizi;
    anche il ritardo nel recepimento delle iniziative normative europee in materia di sostegno alla genitorialità e servizi alla famiglia pesa sullo sviluppo nazionale;
    il parziale recepimento della direttiva 2010/18/UE dell'8 marzo 2010, che attua l'accordo quadro riveduto in materia di congedo parentale contenuto nella legge di stabilità per il 2013 e che doveva rendere possibile anche in Italia a partire dal lo gennaio 2013 la fruizione dei congedi parentali su basa oraria non è ancora compiutamente attuata sia per i ritardi con cui le necessarie previsioni vengono inserite nei diversi contratti collettivi di lavoro sia per le inadempienze da parte dell'Inps;
    un altro dei problemi che si trovano ad affrontare le giovani coppie che intendono realizzare un progetto di vita stabile è l'acquisto della prima casa;
    nel 2010 era diventato operativa Il «Fondo per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori, con priorità per quelli che risultino titolari di contratti di lavoro a tempo determinato», istituito dal decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, seppur nella sua attuazione ha continuato a subire l'ostracismo degli istituti bancari;
    ciononostante il fondo ha costituito per anni uno strumento mirato ed efficace a sostegno dei soggetti in favore dei quali era stato istituito, ma l'attuale Esecutivo con la legge di stabilità 2014 ha deciso di smantellarlo facendolo confluire nel più ampio sistema nazionale di garanzia, privando tutti gli aventi diritto di uno strumento dedicato e creando un vuoto nell'erogazione delle garanzie per la necessità di emanare decreti attuativi e stipulare nuovi protocolli d'intesa con l'associazione bancaria;
    il fondo per le politiche della famiglia, istituito nel 2006 e poi sostanzialmente ridisegnato dalla legge finanziaria per il 2007, dopo un'iniziale graduate aumento delle risorse, arrivate negli anni tra il 2007 e il 2010 ad un importo medio annuo di oltre 180 milioni di euro, a partire dal 2011 ha subito consistenti decurtazioni sino a raggiungere un importo pari a poco più di venti milioni di euro nel 2014 e nell'anno in corso;
    la relazione sul fondo per le politiche della famiglia approvata nell'aprile del 2012 dalla sezione di controllo della Corte dei conti ha evidenziato «la mancanza per il contesto analizzato di un sistema organico in grado di intervenire efficacemente, sia sotto il profilo dell'azione di “policy”, sia sotto quello delle gestione degli interventi, per le esigenze della famiglia», rilevando come «gli interventi, per essere efficaci, devono porsi l'obiettivo di sostenere in modo significativo e continuativo le famiglie con figli, con basso livello di reddito. Si tratta di puntare a un maggiore impatto e una maggior continuità che consenta di valutare l'efficacia degli incentivi ad avere figli»;
    secondo la Corte dei conti «la mancata utilizzazione di consistenti risorse – soprattutto nel settore degli interventi di competenza statale – ormai drasticamente limitate, pone in discussione l'attuale impianto che, in primo luogo, non ha messo in campo strategie efficaci e sul piano degli interventi ha privilegiato scelte “bottom up”, inevitabilmente caratterizzate da profili individualistici. Va quindi recuperata una capacità strategica di disegnare effettive azioni di sistema che mettano i potenziali beneficiari nella condizione di fare scelte appropriate, consentendo, da un lato, la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e, dall'altro, la possibilità concreta di condurre un'attività lavorativa continuativa»;
    i provvedimenti a sostegno della natalità e della maternità sin qui adottati dimostrano di non aver risolto il problema del calo delle nascite, incapaci di rappresentare un elemento di certezza nell'ambito di una programmazione familiare, e tantomeno di restituire alle giovani coppie quel diritto al futuro, del quale la genitorialità è una componente essenziale;
    hanno largamente prevalso interventi frammentati e di breve periodo, volti a risolvere alcuni specifici problemi delle famiglie senza una considerazione complessiva del ruolo che esse svolgono nella società, oppure si sono avuti interventi che solo indirettamente e talvolta senza una piena consapevolezza hanno avuto anche la famiglia come destinatario;
    secondo l'Istat entro il 2050 ci saranno 263 anziani ogni 100 giovani e questo non solo determinerà l'implosione del sistema pensionistico, che non potrà più sopportare il peso degli esborsi a fronte della continuata riduzione delle entrate, ma rappresenta una vera e propria emergenza sociale rispetto alla quale bisogna intervenire con urgenza, determinazione ed efficacia;
    secondo la definizione dell'Ocse si definiscono «politiche per le famiglie quelle che aumentano le risorse dei nuclei familiari con figli a carico; favoriscono sviluppo del bambino; rimuovono gli ostacoli ad avere figli e alla conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare; e promuovono pari opportunità nell'occupazione»,

impegna il Governo:

   ad elaborare politiche a sostegno della natalità e della maternità che abbiano carattere permanente e strutturale e a garantire alle stesse le adeguate dotazioni finanziarie, riconoscendo, nell'ambito dell'assegnazione delle risorse finanziarie, priorità ai bassi livelli reddituali;
   ad introdurre il quoziente familiare, al fine di alleggerire il carico fiscale proporzionalmente al numero dei familiari, al fine di favorire la natalità e di sostenere i nuclei familiari numerosi;
   ad elaborare misure fiscali in favore dei prodotti per la primissima infanzia come riconoscimento dell'aliquota agevolata IVA sugli stessi;
   ad adottare ogni iniziativa opportuna a rimuovere le cause economiche e sociali che portano a rinunciare alla maternità, attraverso forme di sostegno ed una corretta applicazione della legislazione vigente;
   ad assumere tutte le iniziative atte a rilanciare l'occupazione femminile, garantendo il part-time e diffondendo il telelavoro;
   a realizzare l'effettivo potenziamento dell'offerta pubblico-privata degli asili nido, anche mediante la promozione di forme associative di gestione, fondate su un patto di solidarietà tra le famiglie e nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà, e anche incentivando l'apertura degli asili nido sul posto di lavoro, condominiali e in case private secondo il modello delle tagesmutter;
   in tale ambito, a promuovere il rapido superamento dei criterio delle spesa storica nei trasferimenti alle regioni, al fine di consentire un'equilibrata e sufficiente distribuzione sul territorio degli asili nido;
   a sostenere una concreta politica abitativa per le giovani coppie, assumendo iniziative per ripristinare il soppresso fondo per le giovani coppie di cui in premessa, e nelle more, promuovendo l'accesso da parte dei potenziali beneficiari alle misure agevolative contemplate dal sistema nazionale di garanzia;
   a garantire forme di sostegno efficaci e di lungo periodo in favore del nuclei monogenitoriali, alle famiglie e alle coppie nell'assolvimento degli impegni genitoriali, al fine di permettere un'ottimale conciliazione dei tempi della maternità e della paternità, nonché a garantire la concreta applicazione di tutte le misure previste in favore di genitori lavoratori e il tempestivo recepimento di quelle adottate in ambito europeo;
   ad effettuare il monitoraggio delle iniziative adottate in favore delle famiglie e della natalità, e ad elaborare procedure di valutazione che consentano di fruire dei risultati dei monitoraggi effettuati.
(1-00813) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Maietta, Giorgia Meloni, Nastri, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    le richieste di accesso agli ammortizzatori sociali in deroga relative all'anno 2014 interessano, in Sardegna, complessivamente, 26.763 lavoratori, dei quali 9.494 per provvedimenti di cassa integrazione in deroga e 17.269 di mobilità in deroga;
    per il pagamento degli ammortizzatori 2014 risulterebbero necessari 179 milioni di euro;
    ad oggi il Governo ha assegnato attraverso due distinte ripartizioni 17.313.000 euro con decreto ministeriale 6 agosto 2014 e 21.641.000 euro con decreto ministeriale 4 dicembre 2014;
    con le prime risorse assegnate sono state erogate due mensilità di trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga;
    a dicembre 2014, l'INPS ha corrisposto altre due mensilità di trattamenti di mobilità ed altre due mensilità di trattamenti di cassa integrazione guadagni straordinaria;
    a seguito dell'esaurimento dei fondi sono stati interrotti i pagamenti e i lavoratori attendono il pagamento delle mensilità 2014;
    in occasione dell'incontro con gli assessori regionali del lavoro tenutosi il 26 marzo 2015, il Ministro Poletti ha preannunziato un prossimo decreto ministeriale per la ripartizione tra le regioni di circa 500 milioni di euro a completamento dei finanziamenti per il 2014;
    si prevede che la cifra assegnata alla Sardegna possa essere quantificata in circa 50 milioni di euro, che consentiranno il pagamento di ulteriori tre/quattro mensilità;
    tale cifra risulterebbe pertanto insufficiente, in quanto per il pagamento integrale degli ammortizzatori in deroga 2014, detratti i 50 milioni di euro di risorse statali in arrivo, sarebbero necessari ulteriori 100 milioni di euro;
    la possibilità che il pagamento di una quota degli ammortizzatori sociali potesse essere effettuata con fondi propri della regione, era stata ipotizzata dal Ministro Poletti, nel mese di dicembre 2014, in occasione di un incontro con il presidente Pigliaru e assessore Mura;
    il Ministro aveva sottolineato che un simile percorso era già stato avviato con altre regioni ed avrebbe costituito il presupposto per consentire al Governo di erogare risorse statali in misura superiore rispetto a quanto sarebbe spettato secondo i criteri ordinari; 
    a fronte di tale proposta, la regione ha reperito risorse pari a circa 150 milioni di euro di fondi P.A.C., in occasione di un ulteriore incontro tenutosi in data 12 febbraio 2015 presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con l'assessore Mura, accompagnata dal direttore del centro regionale di programmazione, veniva comunicato che, a seguito di modifiche normative intervenute dopo l'incontro di dicembre con il Ministro Poletti, i fondi regionali non potevano più essere destinati al pagamento degli ammortizzatori sociali in quanto impiegati per la copertura finanziaria del credito d'imposta introdotto con la Legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale pluriennale dello Stato (Legge stabilità 2015);
    è noto che i principali benefici della suddetta misura introdotta con la legge di stabilità 2015 si concentreranno in massima parte nelle aree del Nord del Paese, nelle quali il tessuto produttivo e i primi segnali di ripresa economica faranno registrare il maggior numero di assunzioni;
    la delibera del Cipe del 30 giugno 2014, n. 21, nel disporre meccanismi di disimpegno automatico e sanzionatori a valere sulle risorse FSC 2007-2013, ha disposto a carico della regione Sardegna, una decurtazione pari a circa 107 milioni di euro, derivante dall'applicazione di misure sanzionatorie nella misura del 10 per cento, per un importo di circa 24 milioni di euro, e nella misura del 15 per cento, per un valore pari a circa 83 milioni di euro, su interventi che hanno fatto registrare ritardi nell'assunzione delle obbligazioni giuridicamente vincolanti;
    la sopra citata delibera del Cipe n. 21/14 ha disposto il finanziamento degli «ammortizzatori sociali in deroga», per un importo pari a 100 milioni di euro, a valere sulle decurtazioni operate dalla stessa, e tali risorse sono confluite tra le fonti generali di finanziamento dei decreti ministeriali di assegnazione delle risorse alle regioni;
    al netto delle finalizzazioni operate dalla suddetta delibera del Cipe n. 21/14, risulta la disponibilità per successive finalizzazioni per un importo complessivo di 182 milioni euro;
    vi è una urgenza condivisa tra regione Sardegna e Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di provvedere al finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga, in considerazione della grave situazione di tensione sociale che si registra nel territorio regionale, con migliaia di persone prive oramai da mesi di ogni forma di sostegno al reddito,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per l'adozione di una specifica delibera da parte del Cipe volta alla assegnazione, in favore della regione Sardegna, dell'importo derivante dai meccanismi sanzionatori disposti con la delibera del Cipe 21/14, pari a circa 110 milioni di euro, per il finanziamento degli «ammortizzatori sociali in deroga» o, qualora ciò non fosse possibile, comunque per garantire l'integrale copertura finanziaria degli impegni assunti con i lavoratori, assicurando le mensilità spettanti per il 2014.
(1-00814) «Cani, Marco Meloni, Giovanna Sanna, Scanu, Mura, Marrocu, Tidei, Francesco Sanna, Pes, Mariano».

Risoluzioni in Commissione:


   La Commissione VIII,
   premesso che:
    il 10 aprile 2015, sull'autostrada A19 Catania-Palermo, all'altezza del viadotto Himera, chilometro 61 tra gli svincoli di Scillato e Tremonzelli, direzione del capoluogo etneo, hanno ceduto due piloni a causa di una frana in movimento dal 2005 sulla strada provinciale Scillato-Caltavuturo;
    la procura della Repubblica di Termini Imerese ha aperto una inchiesta per «disastro colposo» proprio per accertare eventuali responsabilità sul disastro che, di fatto, paralizza l'unica infrastruttura in grado di collegare le due città siciliane;
    sin dal 2004, il comune di Caltavuturo ha segnalato alla provincia regionale di Palermo il rischio generato dal dissesto idrogeologico di questo zona dell'isola;
    proprio Caltavuturo, oggi, risulta essere isolata a causa delle frane avvenute e che hanno bloccato la strada provinciale 20 e la strada statale 120;
    dalle prime analisi dei tecnici dell'ANAS, della regione siciliana e dalle dichiarazioni del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Delrio, occorre abbattere l'intero viadotto Himera, con tempi di intervento tra i 18 e i 24 mesi per poi procedere alla ricostruzione, con tempi lunghi e danni all'economia siciliana incalcolabili;
    il trasporto su ruote rappresenta l'unica possibilità di transito di merci in Sicilia, anche alla luce dei disinvestimenti applicati sul sistema ferroviario locale da parte di Rete ferroviaria italiana. A causa del blocco parziale dell'autostrada A19 ci si aspetta che il traffico sui tratti autostradali A20 Messina-Palermo e A18 Catania-Messina aumenti notevolmente, con gravi e pesanti disagi alla circolazione ordinaria e ulteriori aggravi di costi ai consumatori, visto che questi tratti autostradali sono gravati da pedaggio;
    alle dipendenze del comando genio dell'Esercito insiste il 2o reggimento genio pontieri con sede a Piacenza che ha anche il compito di sostenere il Paese in caso di calamità naturali per ripristinare la viabilità; già nel 2012 ebbero avuto modo di intervenire a causa dell'emergenza maltempo che colpì le zone di Pesaro e Urbino;
    l'Esercito italiano risulta essere costantemente impegnato in operazioni in Patria, sulla base di specifiche necessità del Paese, dimostrando prontezza e preparazione nello svolgimento delle azioni cui viene chiamato, come l'operazione «Strade Sicure»,

impegna il Governo

  ad assumere iniziative per:
   a) deliberare lo stato d'emergenza per la grave situazione dei trasporti in Sicilia;
   b) valutare l'opportunità dell'intervento immediato del Comando Genio per accelerare i tempi necessari alla demolizione dei viadotti interessati dal cedimento e il ripristino della viabilità, anche attraverso la realizzazione di opere provvisorie da affidare al 2o reggimento Genio pontieri;
   c) dare mandato all'ANAS affinché effettui controlli puntuali su tutti quei tratti autostradali siciliani ricadenti in zone a rischio idrogeologico;
   d) accertare lo stato di implementazione delle convenzioni stipulate tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'ANAS, scaturite dal programma degli interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie previsto dal decreto-legge n. 69 del 2013, alla luce dei gravi fatti avvenuti sulla A19 il 10 aprile 2015, ma anche il 30 dicembre con il crollo del viadotto Scorciavacche sulla strada statale 121 Palermo-Agrigento.
(7-00662) «Mannino, Rizzo, Grillo, Cancelleri, Lorefice, D'Uva, Marzana, Di Benedetto, Nuti, Villarosa, Lupo, Di Vita».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    i precedenti dati sull'andamento della campagna 2014-2015 del settore olivicolo-oleario, raccontano e confermano l'immagine di un settore in forte sofferenza dal punto di vista reddituale, basti pensare che la produzione di quest'annata, fortemente penalizzata dall'intemperie e dalle fitopatie quali la mosca olearia e la xylella fastidiosa, sarà di circa 250.000 mila tonnellate, ossia fortemente sottodimensionata rispetto al fabbisogno nazionale che è di circa 1 milione di tonnellate di cui circa 600.000 per il consumo interno e 400.000 per l’export. Il contributo nel 2013 alla bilancia commerciale nazionale, a fronte di una produzione di 464.000 tonnellate, è stato di oltre un miliardo di euro;
    gli attori della filiera oleicola operano in un contesto di mercato caratterizzato da crescenti livelli di concorrenzialità, di eccessiva frammentazione dimensionale delle aziende agricole e di contemporanea riduzione dei livelli di redditività che non consentono, a chi opera nel settore, di poter trovare il giusto ritorno economico e sociale;
    la carenza della redditività nella fase agricola del settore è la conseguenza:
     a) di una gestione non imprenditoriale, poco appetibile sul fronte degli investimenti da parte dei giovani (ricambio generazionale);
     b) di una forte conflittualità tra le diverse fasi della filiera, di una frammentarietà della struttura produttiva (ridotte dimensioni aziendali), della diffusione dell'olivicoltura in zone difficili e un valore unitario dei terreni molto elevato;
     c) di una presenza prevalente di impianti tradizionali e limitata diffusione di meccanizzazione e di impianti di irrigazione mirati e pensati nell'ottica del risparmio idrico; della carenza di opere infrastrutturali di pubblica utilità per il recupero delle acque piovane con cui poter avviare programmi di irrigazione su base distrettuale rurale, a seguito di accorpamenti delle estensioni ad oggi frammentate;
     d) del ritardo nel recepimento delle innovazioni tecnologiche e dei mancati investimenti pubblici nella logistica tradizionale e sostenibile;
     e) di costi di produzione elevati;
     f) della flessione della redditività;
     g) del ruolo poco incisivo delle associazioni di categoria nella concentrazione dell'offerta e della valorizzazione del prodotto; ritardo nell'applicazione dei risultati della ricerca scientifica;
    i punti di forza della olivicoltura nella fase agricola si potrebbero riassumere:
     a) nella presenza di importanti aree vocate alla coltivazione dell'olivo sia per quantità che per qualità di prodotto;
     b) nella potenzialità elevata di differenziare le produzioni per varietà (oltre 300), modalità produttive e origine geografica del prodotto;
     c) nell'elevato valore ambientale, paesaggistico, storico, culturale, antropologico e monumentale (come lo è in alcune zone del Sud Italia);
     d) nella estensione/diffusione territoriale della coltura e nell'importante contributo in termini occupazionali;
     e) nell'attenzione crescente alle produzioni di qualità (DOP e IGP, biologico, biodinamico e nuove classi merceologiche come ad esempio la «alta qualità»);
     f) in un know-how elevato;
     g) filiere di prodotto olivicolo tracciate (circa 400) con oltre 8000 aziende agricole coinvolte;
    in Italia non esiste una olivicoltura ma differenti tipi di «olivicoltura» legate soprattutto a fattori ambientali/orografici, sociali ed economici, ognuna con specifiche peculiarità e necessità. Nell'ambito dell'obiettivo strategico più generale di aumentare la redditività e la competitività della filiera olivicola-olearia, il piano di settore (quello ad ora in vigore è dell'aprile 2010) ha voluto porre in essere azioni mirate agli obiettivi di aumentare la conoscenza e la fruibilità delle informazioni, favorire la qualità e la tracciabilità del prodotto, facilitare l'accesso al credito;
    è evidente che il piano di settore non ha funzionato come auspicato e oggi urge la necessità di finalizzare le risorse finanziarie disponibili per il sostegno all'agricoltura e di differenziare gli interventi mirati alle aziende «competitive», rispetto a quelli diretti alle aziende poco o per niente competitive per le quali prevalgono considerazioni di tipo sociale e di salvaguardia del territorio (paesaggio e ambiente) a cui riconoscere il giusto valore;
    dai dati dell'ultimo Censimento dell'agricoltura («Le aziende olivicole nel 6o Censimento dell'Agricoltura») è emerso che le aziende olivicole italiane sono 902.075 (la superficie investita è di 1,1 milione di ettari, il comparto genera un volume di affari di circa 3 miliardi di euro che rappresenta il 3 per cento del fatturato totale dell'industria agroalimentare e oltre 50 milioni di giornate di lavoro all'anno); di queste ben 564 mila aziende possono essere considerate marginali o con basso potenziale competitivo (63 per cento del totale, esse coprono il 52 per cento della superficie olivicola nazionale); in particolare, tra queste 225 mila appaiono estremamente marginali e con bassa probabilità di sopravvivenza nel medio-lungo periodo. Altre 239 mila possono essere definite «aziende-imprese potenzialmente competitive» (26 per cento del totale); si tratta di aziende piccole ma orientate al mercato, multifunzionali, che coprono circa il 27 per cento della superficie olivicola nazionale. Infine, 99 mila (11 per cento del totale) sono classificabili come vere e proprie «imprese strutturate, con potenziale competitivo elevato o migliorabile»; poco specializzate in olivicoltura, coprono insieme circa il 21 per cento della superficie olivicola nazionale. Quest'elaborazione evidenzia in maniera molto chiara come nel tessuto frammentato dell'olivicoltura e dell'agricoltura italiana, le aziende realmente «sul mercato» e gestite come vere e proprie imprese sono una quota numericamente ridotta, cosa che ha importanti conseguenze per l'efficacia, soprattutto nel medio-lungo termine, di un sostegno generalizzato. La classificazione può quindi fornire uno strumento interessante per la definizione di interventi più mirati di politica agraria e anche per il monitoraggio delle politiche (fonte ISMEA);
    per quanto riguarda la fase di prima trasformazione, il punto di partenza di qualsiasi analisi sul settore consiste nella definizione dell'universo nazionale dei frantoi attivi dove negli ultimi anni si è registrata una forte riduzione della numerosità dei frantoi attivi e dei volumi di produzione di olio dichiarati all'AGEA. Di fondamentale importanza è analizzare e incrociare i dati degli archivi amministrativi disponibili, al fine di produrre una valutazione del processo di ristrutturazione avvenuto nel settore in questi anni e descrivere la situazione attuale della prima trasformazione delle olive. Tra gli obiettivi vi è quello poi di rendere più fruibili le informazioni e i dati relativi al sistema della prima trasformazione nell'ambito della filiera dell'olio d'oliva, attraverso la predisposizione di una banca dati dei frantoi, utile per la pianificazione regionale e nazionale;
    le criticità della fase di prima trasformazione sono inquadrabili nei seguenti punti:
     a) numero elevato di frantoi economicamente poco efficienti e con impianti di trasformazione non ottimali e che di fatto costituiscono non imprese;
     b) capacità limitata di investimento e di innovazione tecnologica di molte aziende e non garanzia di qualità;
     c) dimensioni che non permettono «massa critica» a causa dell'eccessiva frammentazione;
     d) costi elevati di produzione soprattutto per i piccoli frantoi (fino a 2,5-3 euro/chilogrammo contro 1 euro dei frantoi industriali);
     e) ritardi negli investimenti;
     f) accesso difficoltoso ai finanziamenti soprattutto per gli impianti non collegati ad aziende agricole o non frantoi;
    i punti di forza della olivicoltura nella prima trasformazione si potrebbero riassumere in:
     a) una capillare localizzazione dei frantoi nelle aree vocate, con maggiore garanzia di lavorazioni tempestive e di qualità;
     b) una elevata professionalità dei frantoiani italiani;
     c) una presenza di distretti produttivi, in minima parte, con una elevata concentrazione di prodotto;
     d) una capacità di una notevole differenziazione del prodotto sia per tipologia (DOP, IGP, «alta qualità» e altro) sia in base al gusto;
     e) una continua modernizzazione degli impianti;
     f) un elevato numero di filiere di prodotto olivicolo tracciato (circa 400) con 8000 aziende agricole;
    all'interno delle politiche dello sviluppo rurale, regolamento n. 1305 del 2013, vi sono strumenti che possono essere attivati, con particolare riferimento ai sottoprogrammi tematici, al fine di contribuire alla definizione delle linee programmatiche e delle azioni da porre in essere con lo, scopo di realizzare un nuovo approccio al settore e alla filiera olivicola-olearia. Il «Partenariato europeo per l'innovazione», PEI, per la produttività agricola e sostenibilità mira a unire il mondo agricolo e quello della ricerca a livello regionale, nazionale e comunitario. Il PEI rappresenta un elemento, importante per migliorare l'efficacia delle azioni connesse all'innovazione supportate da programmi di sviluppo rurale, nonché di ricerca e attività di innovazione, sostenuta dall'Unione europea. Gli obiettivi primari per il partenariato sono: la promozione della produttività e dell'efficienza del settore agricolo (inversione della recente tendenza alla diminuzione dell'incremento di produttività entro il 2020) e la sostenibilità dell'agricoltura (garantire la funzionalità del suolo a un livello soddisfacente entro il 2020). Le azioni previste saranno realizzate per il tramite di «gruppi operativi», che avranno un ruolo primario, con la partecipazione di soggetti quali agricoltori, ricercatori, consulenti, organizzazioni non governative, e/o imprese. I gruppi operativi si formeranno attorno a tematiche di interesse e realizzeranno progetti volti a collaudare e ad applicare pratiche, processi, prodotti, servizi e tecnologie innovative. A livello comunitario i «gruppi operativi» agiranno in particolare tramite iniziative di cluster e progetti pilota e dimostrativi. A tal proposito, è fondamentale attivare questi strumenti messi a disposizione sia del II pilastro che del I pilastro della politica agricola comune, elaborando idee di progetto, e conseguenti realizzazioni produttive nei e per i territori, che valorizzino le caratteristiche socio-economiche delle olive da spremitura e da mensa. Ad oggi, vi è un piano di settore che si è rivelato inadeguato che va radicalmente rivisto e aggiornato e c’è la necessità per la filiera della definizione delle linee direttrici; il tutto va finanziato con cospicue risorse economiche – nel rispetto delle norme europee sugli aiuti di Stato – che prevedano un finanziamento di almeno 150 milioni di euro annui per i prossimi cinque anni tempi fisiologici e morfologici per la crescita sono mediamente di 3/5 anni, mentre quelli per la raccolta a reddito sono di 7/10 anni);
   il finanziamento del piano di settore deve essere opportunamente accompagnato con misure che pubblicizzino l'olio extravergine d'oliva nel mercato interno e sui mercati internazionali, con misure forti e reali che contrastino il fenomeno dell’italian sounding dei prodotti made in Italy (costa all'Italia una perdita di fatturato di circa 60 miliardi di euro annui), di una valorizzazione e tutela giuridica del made in Italy nel mondo utilizzando i canali istituzionali quali possono essere gli istituti di commercio con l'estero, ICE, in quei Paesi emergenti e non (Brasile, Russia, Cina, Canada, Stati Uniti e altro), dove si consumano la stragrande maggioranza delle adulterazioni e delle sofisticazioni dei prodotti agroalimentari italiani, in primis l'olio extravergine d'oliva 100 per cento italiano;
    per contrastare il fenomeno dell’italian sounding è necessario conoscere dalle sedi dell'ICE dei Paesi succitati quali sono le maggiori pratiche sleali commerciali poste in essere e quali sono state le iniziative che in autonomia sono state adottate e gli eventuali risultati ottenuti, non limitandosi ad attività di pubblicità spot, ma tendenti a strutturare, grazie all'esperienza maturata in loco, proposte normative e commerciali da suggerire all'attività parlamentare e di Governo;
    in Italia si importano quantità notevoli di olio pressato già scadente, perché ad alto livello di acidità, con achil esteri fuori norma od olio lampante. Per collocarlo sul mercato come olio extra vergine d'oliva bisogna riportarlo ad odore, acidificazione e colore giusto, quindi viene tagliato con olio buono, viene «deodorato» con getti di vapore superiori ai 200oC (in questo modo i polifenoli vengono stroncati). L'obiettivo del processo di deodorazione è quello di eliminare il forte odore, il gusto acre e l'eccessiva acidità derivanti da una cattiva conservazione delle olive raccolte, che vengono lasciate per lungo tempo sotto al sole in cumuli oppure stipate nei cassoni degli autocarri favorendo la formazione di alcol metilici ed etilici degli acidi grassi attraverso un processo di fermentazione. Spesso, inoltre, questa nuova sostanza, che non è olio al contrario di quello che le etichette riportano, viene «colorata» con la clorofilla e il betacarotene per fargli acquisire il colore giusto alla vendita. Questi oli «truffa» vengono imbottigliati e la bottiglia viene tappezzata da riferimenti all'italianità del prodotto, in modo da rendere graficamente meno evidente l'etichetta sulla quale deve essere obbligatoriamente riportata la dicitura di «miscela» per gli oli così ottenuti;
    il consumatore potrebbe difendersi da queste operazioni in frode leggendo attentamente, seppur generiche, le etichette che devono riportare:
     a) «miscela di oli d'oliva comunitari» per il prodotto proveniente da Paesi dell'Unione europea;
     b) «miscele di oli d'oliva non comunitari» quando la materia arriva da Paesi come la Tunisia o il Marocco;
     c) «miscela di oli d'oliva comunitari e non comunitari» per quelli misti ricavati da olive raccolte in Tunisia, Marocco e Spagna, Grecia e anche in Italia;
    il fatto che in etichetta si indichi «comunitari» non è affatto di tutela per il consumatore, visto che non indica solo Italia. L'80 per cento dell'olio d'oliva utilizzato in Italia (uno dei maggiori Paesi consumatori) è composto da olio di importazione derivante da Spagna, Tunisia, Grecia e quindi il 20 per cento del prodotto venduto dalle ditte nazionali è effettivamente di origine italiana;
    negli ultimi dieci anni sono già state scoperte inoltre operazioni simili, la più grave delle quali trasformava in «extravergine d'oliva», sempre con l'aggiunta di clorofilla, il non commestibile olio lampante (olio di scarti di lavorazione, o di noccioli, non destinato a consumo umano, bensì a essere bruciato come combustibile);
    nel territorio italiano, in special modo nel Sud, è forte la presenza di frantoi che hanno una valenza storico-culturale notevole come, ad esempio, i frantoi ipogei del Salento o quelli storici sparpagliati all'interno delle campagne meridionali dove alcuni sono funzionanti e altri in stato di semi-abbandono. È di fondamentale importanza storica-antropologica avviare un monitoraggio e una successiva classificazione dei «frantoi di particolare interesse storico-culturale» al fine di attivare le opportune politiche di recupero strutturale ai fini didattici e finanziare con misure ad hoc quei frantoi, a tutt'oggi funzionanti con tecniche di produzione che in un certo senso hanno anticipato storicamente i disciplinari tecnici comunitari oggi in vigore, che curano il dettaglio organolettico degli oli extra-vergine proteggendolo, tra l'altro, quale patrimonio dell'umanità, essendo l'olio l'elemento essenziale della «dieta mediterranea»,

impegna il Governo:

   a redigere un vero e ambizioso piano di settore per la filiera olivicola-olearia che preveda un finanziamento di almeno 150 milioni di euro annui per i prossimi cinque anni e che consenta, in primis, la riduzione ed il progressivo azzeramento dell'eccessiva frammentazione del modello produttivo, e un vero ammodernamento degli impianti arborei delle aziende agricole olearie, prevedendo forme di fiscalità di vantaggio per coloro che adotteranno iniziative associative su base cooperativistica, consortile e di società di capitali, queste ultime con le dovute differenze tributarie e fiscali rispetto alle altre forme associative, che si compendino in distretti produttivi rurali dove poter sfruttare al massimo le economie di scala, al fine di poter soddisfare sia il fabbisogno interno che quello per l'export restituendo in tal modo, alla produzione dell'olio extravergine 100 per cento italiano l'identità di qualità, oggetto sempre più di sofisticazioni, adulterazioni e truffe anche da parte di attori economici nazionali;
   a prevedere nel piano di settore apposite e mirate misure economiche con un plafond specifico mirato pari a 20 milioni di euro annui per i prossimi cinque anni con cui avviare programmi di recupero varietale delle cultivar nazionali delle olive da mensa e di nuovi impianti arborei (Nolca, Termite di Bitetto, la Bella di Cerignola, Pasola, Cellina di Nardò, e altro), in considerazione del fatto che il loro consumo pro capite nazionale è in aumento, mentre la produzione italiana soddisfa una minima parte rispetto alle richieste dei consumatori, condizione che obbliga l'Italia ad importare maggiori quantità dalla Grecia, dalla Spagna, dal Portogallo e da altri Paesi del bacino del Mediterraneo;
   a porre in essere tutti gli strumenti e le azioni che la politica agricola comune prevede all'interno sia del I che del II pilastro e, in particolar modo, il «Partenariato-europeo per l'innovazione», PEI, per la produttività agricola e la sostenibilità che mira a unire il mondo agricolo e quello della ricerca – distretti e cluster – a livello regionale, nazionale e comunitario, anche al fine di colmare lo iato esistente tra la ricerca e il trasferimento tecnologico e conoscitivo con la sua implementazione scientifica nel settore olivicolo, quale conseguenza di una maturità socio-produttiva di primo livello nello scacchiere mondiale;
   ad avviare un monitoraggio ed una successiva classificazione dei «frantoi di particolare interesse storico-culturale», al fine di attivare le opportune politiche di recupero strutturale per scopi didattici e finanziare, con misure ad hoc, quei frantoi a tutt'oggi funzionanti;
   a costituire presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali una banca dati che censisca i frantoi industriali e i «frantoi di particolare interesse storico-culturale», per tipologia e tecniche di produzione, inclusa la loro collocazione sul territorio, con lo scopo di avviare politiche agrarie mirate di investimento con cui ammodernare quelli esistenti e recuperare e tutelare quelli storici.
(7-00661) «Zaccagnini, Franco Bordo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, PESCO e ALBERTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 marzo 2015, è stato pubblicato il 3o Rapporto sulla fiscalità locale nei territori di Milano, Lodi e Monza e Brianza, svolto da Assolombarda;
   l'analisi si è concentrata sul confronto della pressione fiscale rilevata nei tre anni 2012, 2013 e 2014, nelle aziende ed uffici di 86 comuni della città metropolitana di Milano e delle province di Lodi e Monza e Brianza, selezionati in base ad una combinazione di indicatori quali la popolazione residente (almeno 10 mila abitanti), le imprese (almeno 1.000) e la presenza di imprese associate ad Assolombarda, per un campione complessivo significativo corrispondente ad una copertura del 34 per cento del numero di Comuni delle tre province, ove risiede l'81 per cento, della popolazione totale e dove sono localizzate l'83 per cento delle imprese associate e l'87 per cento delle unità locali operanti sul territorio;
   l'obiettivo specifico è stato quello di monitorare l'andamento nel tempo del carico dei tributi locali sulle imprese e di evidenziare i casi di maggiore criticità mettendo a confronto negli anni i valori delle imposte gravanti sugli immobili d'impresa quali l'Imu, la Tasi, la tassa sui rifiuti, gli oneri di urbanizzazione e, per quanto riguarda le persone fisiche, l'addizionale Irpef;
   il primo dato di criticità rilevata, rispetto al 2013, è quello del livello di pressione fiscale aumentato. Gli uffici hanno subito in media incrementi del +3,5 per cento, mentre i capannoni industriali del +2,9 per cento. Tali variazioni risultano più deboli rispetto a quelle rilevate nel 2013, che erano di +4,1 per cento per gli uffici e +5,8 per cento per le aziende, ma se si considera il triennio della rilevazione, gli uffici hanno visto aumentare la pressione fiscale complessivamente del 7,8 per cento, pagando in media oltre 500 euro in più e i capannoni industriali dell'8,8 per cento, corrispondente ad oltre 3.200 euro. La pressione fiscale complessiva, calcolata aggregando gli importi pagati dagli uffici e dai capannoni industriali, nell'ultimo anno è cresciuta del 3 per cento, contro il 5,5 per cento del 2013, ma nei tre anni considerati, le imprese analizzate hanno subìto incrementi medi dell'8,7 per cento. Il livello della pressione fiscale per gli uffici diminuisce in 19 comuni, ma aumenta in 60. Per i capannoni industriali, diminuisce in 24 comuni, ma aumenta in 54;
   rispetto al 2013, nel 2014 gli oneri di urbanizzazione sono aumentati per uffici e capannoni industriali dell'1,8 per cento ma va tenuto presente che non sono oggetto di frequenti revisioni da parte delle amministrazioni comunali che per legge devono rivederle ogni tre anni;
   l'Imu rilevata nel 2014 risulta sostanzialmente stabile rispetto all'anno precedente, sia per uffici che capannoni, confermando però il trend di applicazione dell'aliquota massima dell'1,06 per cento da parte dei Comuni che continuano ad esercitare una pressione fiscale pari al 70 per cento rispetto a quella massima attuabile;
   la Tasi, la nuova imposta introdotta nel 2014 che ha la funzione di finanziare i servizi indivisibili e che avrebbe dovuto sostituire e coprire il buco creato dall'abolizione dell'Imu sulle prime abitazioni, è stata applicata anche agli immobili di impresa già gravati dall'Imu da 30 amministrazioni comunali delle 86 analizzate. Nel complesso, questa manovra ha portato, nel 2014 rispetto al 2013, ad una crescita degli importi pagati, tra Imu e Tasi, di +5 per cento per gli uffici e di +4,9 per cento per i capannoni rispetto al pagamento della sola Imu. Se poi si considera il triennio analizzato, il risultato è di +9,6 per cento per gli uffici e +19,9 per cento per i capannoni;
   la Tari, l'imposta sui rifiuti che sostituisce la Tares, ha avuto una diminuzione complessiva negli 86 Comuni analizzati, con il dato fortemente in controtendenza di aumenti nel triennio per alcuni Comuni come Parabiago (+204 per cento), Paderno Dugnano (+104 per cento) e Liscate (+144 per cento). Tale disparità può dipendere da diversi fattori quali l'entità del costo del servizio, la diversa ripartizione dello stesso tra utenze domestiche e non domestiche, piuttosto che da altri fattori di cui la stessa Assolombarda dichiara di non essere a conoscenza;
   l'addizionale IRPEF ha visto un aumento medio di +4,9 per cento;
   negli ultimi anni i Governi centrali che si sono succeduti, hanno di fatto strangolato l'economia degli enti locali nell'operare tagli per contenere la spesa pubblica. Se si considerano gli ultimi 5 anni, i comuni hanno visto ridurre le proprie risorse disponibili per la spesa corrente di oltre il 20 per cento;
   nella legge di stabilità prevista per l'anno 2015, dei 16,6 miliardi di euro di tagli di spesa, il 49 per cento, ovvero 8,1 miliardi, sono a carico di comuni, province e regioni. Tale quota è decisamente superiore al peso che le amministrazioni locali hanno sul totale della spesa pubblica, corrispondente al 29 per cento;
   gli enti locali debbono far fronte all'avvio del fondo per i crediti di dubbia esigibilità previsto dall'armonizzazione contabile, che equivale ad un taglio di spesa di 1,9 miliardi annui a partire dal 2015, rientrante nel calcolo del saldo obiettivo ai fini del patto di stabilità;
   in data 29 dicembre 2014, nella relazione della Corte dei conti sulla gestione finanziaria degli enti territoriali per l'esercizio 2013, viene specificato che «appare evidente la misura del sovradimensionamento del contributo della finanza territoriale al riequilibrio dei conti pubblici. In altri termini, lo sforzo di risanamento richiesto alle amministrazioni territoriali con i vincoli disposti dal patto di stabilità interno, risulta non proporzionato all'entità delle risorse gestibili dalle stesse, il che ha prodotto un drastico ridimensionamento delle funzioni di spesa di queste ultime a vantaggio degli altri comparti amministrativi che compongono il conto economico consolidato delle Amministrazioni pubbliche»;
   ad ottobre 2014, lo studio IFEL-Fondazione ANCI dal titolo «La finanza comunale in sintesi», affermava che negli ultimi anni il Governo centrale ha di fatto obbligato ad aumentare in misura significativa le imposte locali dei comuni senza che però questi siano stati nelle condizioni di poter offrire maggiori servizi ed investimenti alle comunità di riferimento. Ad esclusione di alcuni fattori intervenuti sul piano contabile e la componente inflazionistica, negli ultimi anni il trend della spesa corrente dei singoli, comuni italiani, ha evidenziato una crescita pressoché nulla, accompagnata da una drastica contrazione degli investimenti, soprattutto a causa dei vincoli sempre più stringenti imposti dal patto di stabilità interno;
   a giudizio dell'interrogante, in un periodo dove la crisi economica globale è aumentata come confermano i diversi trend significativi legati ai dati sempre più allarmanti della disoccupazione e della continua non ripresa di commesse per le aziende, comprese quelle delle zone sopraindicate, il quadro complessivo delle tassazioni per uffici e capannoni industriali è da considerarsi più che desolante. Le continue restrizioni economiche imposte dal Governo centrale ai comuni, obbligano gli stessi a dover applicare pressioni fiscali, comunque non sempre giustificate, sull'anello più debole della catena composto da imprenditori e lavoratori –:
   se il Governo intenda adottare iniziative normative atte a ripristinare integralmente i trasferimenti tagliati con la legge di stabilità per l'anno 2015 a danno delle amministrazioni comunali, al fine di ridurre la pressione fiscale che i comuni attuano sulle aziende italiane;
   se il Governo non intenda effettuare ulteriori riduzioni, negli anni futuri, sino a che lo sforzo richiesto agli enti locali, in termini percentuali, non sia stato sostenuto anche dalle istituzioni centrali;
   se il Governo intenda evitare di ridurre i trasferimenti a disposizione degli enti locali nell'esercizio in corso e senza assumere iniziative per la modifica delle norme sulla fiscalità locale;
   se il Governo non intenda assumere, al fine di garantire agli enti locali tempi necessari per una seria programmazione, iniziative per definire norme certe sull'ammontare delle risorse di cui potranno disporre i comuni nell'anno seguente entro la fine del mese di ottobre 2015, in modo da poter permettere l'approvazione dei bilanci previsionali entro e non oltre l'ultimo giorno di ogni anno. (5-05340)


   CARLONI, BRUNO BOSSIO, MONGIELLO, D'INCECCO, CAPODICASA e VALERIA VALENTE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il programma servizi di cura all'infanzia e agli anziani non autosufficienti, che è parte integrante del piano d'azione per la coesione (PAC) ed è finanziato con fondi dell'Unione europea per un totale di 730 milioni di euro, ha l'obiettivo di favorire la coesione tra le regioni dell'Unione europea riducendo le disparità esistenti;
   il Programma nazionale, di durata triennale (2013/2015), è stato prorogato al 2017. La sua attuazione è stata affidata al Ministero dell'interno;
   le risorse stanziate sono destinate alle 4 regioni ricomprese nell'obiettivo europeo «Convergenza»: Calabria, Campania, Puglia, Sicilia. I beneficiari del programma sono i comuni, in quanto soggetti responsabili dell'erogazione dei servizi di cura sul territorio;
   la strategia del Programma è quella di mettere in campo risorse aggiuntive rispetto a quelle già disponibili;
   l'obiettivo posto è quello di potenziare, nei territori ricompresi nelle 4 regioni, l'offerta dei servizi all'infanzia (0-3 anni) e agli anziani non autosufficienti (over 65), riducendo l'attuale divario di offerta rispetto al resto del Paese;
   la dotazione finanziaria complessiva è di 730 milioni, di cui 400 per i servizi di cura all'infanzia e 330 agli anziani non autosufficienti;
   la valutazione dei risultati del primo riparto vede un importo totale finanziato pari a 244 milioni di euro;
   in particolare sono stati finanziati:
    piani per anziani non autosufficienti pari a 199, su 201 presentati per un ammontare di 128 milioni;
    piani per l'infanzia pari a 197 su 201 presentati – per un ammontare di 115,95 milioni;
   pertanto, il 98 per cento delle risorse è a disposizione dei territori per servizi di cura. Si tratta di servizi diversificati e calibrati in ragione delle diverse regolamentazioni e esigenze territoriali delle quattro regioni obiettivo convergenza (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia);
   il 26 gennaio 2015 un decreto ha fissato le modalità di presentazione dei Piani di intervento relativi al secondo riparto finanziario del programma servizi di cura all'infanzia e agli anziani non autosufficienti, parte integrante del Piano d'azione per la coesione (PAC);
   il 27 marzo 2015 il Consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva un decreto del Presidente del Consiglio di attuazione del decreto legislativo n. 216 del 26 novembre 2010, «Disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province». Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri adotta le note metodologiche relative alla procedura di calcolo per la determinazione dei fabbisogni standard e, con specifico riferimento ai servizi per la prima infanzia e degli asili nido, il nuovo testo mantiene gli impegni presi dalla Presidenza del Consiglio per garantire un adeguato sostegno agli enti locali che, partendo da una situazione di particolare svantaggio nell'offerta di asili, realizzino nuove strutture o aumentino i posti o le ore del servizio;
   nello specifico, il decreto prevede che i fabbisogni per il servizio degli asili nido vengano sottoposti a monitoraggio e rideterminazione con cadenza annuale, inducendo i comuni ad attivare effettivamente il servizio, e a ottenere maggiori risorse solo a seguito dei maggiori fabbisogni rilevati;
   inoltre, la rideterminazione dovrà tenere conto delle variazioni intervenute nell'erogazione dei servizi da parte dei comuni e degli obiettivi, di servizio introdotti con il Quadro strategico nazionale 2007-2013 legato alle politiche di coesione che nel caso della prima infanzia (0/3 anni) ha proposto come obiettivo il raggiungimento del 12 per cento di fornitura del servizio di nido, micro nido, e servizi integrativi nelle regioni del Mezzogiorno;
   come noto la legge di stabilità 2015 (legge 190 del 2014 – articolo 1, commi 122-123) assegna al finanziamento degli sgravi contributivi per assunzioni indeterminato l'importo complessivo di 3,5 miliardi di euro a valere sulle risorse già destinate ad interventi piano d'azione per la coesione, che non risultavano ancora impegnate alla data del 30 settembre 2014;
   recentemente, anche con riguardo al Programma nazionale per i servizi di cura all'infanzia e agli anziani non autosufficienti, è stato deciso di riprogrammare parte delle risorse riferite alle annualità 2015 con una decurtazione di euro 102.363.980 e una nuova dotazione del programma ridotta a complessivi 627.636.020 euro –:
   quali iniziative il Ministro intenda intraprendere per contrastare la riprogrammazione di tali stanziamenti e per reintegrare le somme precedentemente definite, considerato lo stato decisamente avanzato dei riparti di questo Programma che è parte integrante del piano d'azione per la coesione;
   al fine di assicurare il raggiungimento degli obiettivi del Quadro strategico nazionale legato alle politiche di coesione e realizzare gli obiettivi indicati per la prima infanzia (0/3 anni) ovvero il raggiungimento del 12 per cento di fornitura del servizio di nido, micro nido e servizi integrativi nelle regioni del Mezzogiorno, se il Ministro intenda rendere permanenti le dotazioni a valere sul programma piano d'azione per la coesione servizi di cura all'infanzia. (5-05344)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALLINELLA e CIPRINI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a seguito del grave sisma che ha interessato parte dell'Umbria il 15 dicembre 2009, si è proceduto alla ricostruzione del patrimonio, pubblico e privato, nei diversi comuni colpiti;
   per il comune di Marsciano, uno dei più danneggiati dal terremoto del 2009, la ricostruzione si è articolata in due fasi, leggera e pesante, ed è stata avviata grazie ad un'azione congiunta delle diverse istituzioni coinvolte e delle forze politiche e sociali che, insieme alle comunità interessate, hanno saputo coinvolgere le rappresentanze politico/parlamentari e i gruppi consiliari regionali per poter ottenere i fondi necessari al compimento della parte più cospicua della ricostruzione e dotarsi del complesso di norme, legislative e regolamentari, a fondamento dell'intera opera di ricostruzione;
   la ricostruzione leggera è in fase di completamento (risultano ancora attivi solo 5 cantieri per i quali si prevede l'ultimazione entro il 2015), mentre quella pesante, i cui fondi sono stati individuati con la legge regionale n. 3 del 201/3, è entrata a regime;
   i fondi si stanno pian piano esaurendo con l'andare avanti dei lavori e restano fuori dalla ricostruzione – secondo quanto si evince da una scheda tecnica predisposta dallo stesso comune – ancora diversi edifici, sia privati – come le abitazioni che hanno ricevuto dal sisma danni parziali (con conseguenti ordinanze di sgombero parziale degli immobili) e le seconde abitazioni con ordinanze di sgombero parziale e totale e gli immobili comunque lesionati – che pubblici, come tre istituti scolastici e il cimitero;
   il recupero di un tale patrimonio edilizio, oltre che importante per il riconoscimento di un diritto, rappresenta un fattore di ripristino e riqualificazione della qualità territoriale e paesaggistica delle aree colpite dal sisma;
   il 17 marzo 2015, nel consiglio comunale di Marsciano, è stata votata all'unanimità una mozione che impegna il consiglio ad avviare un dialogo con lo Stato al fine di ottenere i fondi necessari al completamento di tutta la ricostruzione –:
   se, anche in base a quanto richiesto nella mozione su citata, il Governo abbia avviato un confronto con la regione Umbria e il comune di Marsciano finalizzato ad individuare, nell'ambito del bilancio dello Stato, possibili strade per l'ottenimento delle risorse ancora necessarie al completamento di tutta la ricostruzione post sisma. (4-08783)


   SCOTTO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 190 del 2014, ha disposto (articolo 1, commi 122 e 123) la riprogrammazione delle risorse del fondo di rotazione, già destinate agli interventi del piano di azione coesione, demandando al gruppo di azione coesione di provvedere all'individuazione degli interventi oggetto di riprogrammazione;
   a seguito delle suddette disposizioni, con nota n. 2753 del 3 aprile 2014, l'Agenzia per la coesione territoriale ha comunicato l'avvenuta riprogrammazione, che comporta la riduzione delle somme destinate al «programma nazionale servizi di cura per l'infanzia», e agli anziani non autosufficienti che risultano ridotte per il 2015 per complessivi euro 102.363.980;
   si tratta di una inaccettabile decurtazione di tali stanziamenti, anche alla luce del fatto che gli obiettivi di incremento e stabilizzazione della presa in carico di bambini 0-3 anni e anziani non-autosufficienti, nonché il riequilibrio territoriale della presenza dei servizi, sono fondamentali soprattutto in Campania, Calabria e altre regioni meridionali, dove più evidenti sono gli squilibri in termini di servizi e opportunità, e detto taglio diventa maggiormente insostenibile;
   peraltro, come già evidenziato dalle organizzazioni sindacali, il programma servizi di cura infanzia e anziani (PNSCIA) si trova ora ad un livello avanzato di definizione, essendo terminata la fase di approvazione dei piani di intervento relativi al primo riparto e in via di elaborazione la programmazione de piani relativi al secondo –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare affinché vengano assicurate tutte le risorse inizialmente previste e destinate al «programma nazionale servizi di cura per l'infanzia», e agli anziani non-autosufficienti, al fine di scongiurare tagli a programmi che dovrebbero, al contrario, poter contare su ben altre risorse finanziarie, e consentire a detti programmi di poter proseguire l’iter previsto. (4-08791)


   MUCCI, ARTINI, BARBANTI, SEGONI, RIZZETTO, ROSTELLATO, TURCO, BALDASSARRE, BECHIS e PRODANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'11 aprile 2015 è apparsa sull'inserto romano del quotidiano La Repubblica un'intervista della giornalista Giovanna Vitale al dottor Alfonso Sabella. Quest'ultimo era capo dell'ufficio ispettorato del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria nel luglio del 2001 durante le violenze che si sono verificate nel corso del G8 in particolare quelle perpetrate da funzionari dello Stato nella scuola Diaz e nella caserma Bolzaneto e per le quali l'Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo il 7 aprile 2015;
   nell'intervista viene riportata tra virgolette la seguente ricostruzione dei fatti attribuita al dottor Sabella: «In quell'estate del 2001, io ero capo dell'Ufficio Ispettorato del Dap. Una ventina di giorni prima dell'inizio del G8 mi chiamano e mi illustrano il piano degli arresti preventivi. Gli obiettivi mi spiegarono – erano due: respingere alla frontiera quanti più malintenzionati possibile, sulla scorta delle segnalazioni dell'intelligence; cominciare ad arrestare, già da lunedì 15 luglio, tutti i manifestanti che avessero con sé cappucci neri, mazze da baseball e ogni tipo di arma, propria e impropria. E trattenerli in stato di fermo, prima, e in attesa della convalida del gip, dopo, sino alla fine del summit. Vietando per di più i colloqui con i difensori, che dovevano essere differiti. (...) Oltretutto avevano deciso di chiudere i due penitenziari della città, che stavano nella cosiddetta zona gialla, e di creare due prigioni provvisorie a Forte San Giuliano e a Bolzaneto. (...) Piano che in realtà non è mai scattato. (...) Il piano fu modificato in corso d'opera forse proprio per soffiare sul fuoco e far esplodere gli scontri. Fino a venerdì pomeriggio, alla morte di Carlo Giuliani, non era stato fatto nemmeno un arresto: il primo, il fotografo Alfonso De Munno, arrivò a Bolzaneto pochi minuti prima dell'omicidio. Mi sono fatto l'idea che dietro ci fosse una regia politica. (...) È possibile che qualcuno a Genova volesse il morto, ma doveva essere un poliziotto, non un manifestante, per criminalizzare la piazza e metterla a tacere una volta per sempre»;
   la giornalista Vitale asserisce che: «Per le torture a Bolzaneto è stato indagato, poi stralciato e infine archiviato, ma secondo il gip lei è stato negligente nei controlli, imprudente nell'organizzare il servizio, imperito...» alla quale Sabella ribatte: «ma allora se così è, perché non mi ha rinviato a giudizio per lesioni colpose ? La verità è che mi volevano incastrare. Per due motivi: aver rivelato il piano aberrante degli arresti preventivi; per il fatto che fossi un magistrato e dunque perfettamente funzionale alla logica craxiana del “tutti colpevoli, nessun colpevole”». La giornalista incalza l'intervistato affermando che: «Lei però era responsabile del carcere di Bolzaneto» e Sabella risponde: «Si ma non ero lì quando i pestaggi si verificarono, ma a Forte San Giuliano, dove non è successo niente. Lo dimostrano i tabulati dei 4 telefoni cellulari che usavo quel giorno. Chiesi ai magistrati di Genova di controllare i miei spostamenti, perché ogni sospetto fosse dissipato. Ma quando dopo 9 mesi furono finalmente acquisiti, il traffico relativo alla “cella” territoriale che io occupavo durante le violenze era sparito (cancellato su quattro cellulari !) e dunque era impossibile affermare dove mi trovassi»;
   «E chi è stato ?» gli viene chiesto dalla Vitale; Sabella replica dichiarando: «Posso pensare ai servizi. Perciò mi sono messo da solo a ricostruire tutti i miei movimenti attraverso i tabulati delle chiamate in entrata, cioè delle telefonate ricevute. E dimostrai che quando ero a Bolzaneto, non c'era stata alcuna violenza. Ma, nonostante questo, il giudice se n’è infischiato e ha emesso un provvedimento di archiviazione che mi ha devastato la vita e la carriera» –:
   se sia stato apposto il segreto di Stato in relazione a particolari episodi relativi al G8 di Genova del luglio 2001;
   se risulti agli atti se e quale sia stato il ruolo dei servizi segreti durante il G8 di Genova;
   se i servizi segreti siano intervenuti ed eventualmente con quale ruolo nel corso delle attività della polizia e/o del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria nella fase immediatamente precedente alla tenuta del G8 e in quella in cui si è decisa l'azione alla caserma Diaz;
   se risulti da chi sia stato predisposto il piano degli arresti preventivi. (4-08799)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BORGHESI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'ufficio legislativo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con propria nota prot. n. 1347/GAB del 23 gennaio 2015 ha inviato alla Presidenza del Consiglio dei ministri una relazione di risposta alla Commissione ambiente dell'Unione europea riguardante la procedura EU PILOT 6955/ENVI/14, con la quale in primo luogo, nel rispondere alla domanda 2 afferma che «in alcuni casi le scelte delle Regioni hanno determinato l'apertura di contenziosi presso i Tribunali Amministrativi Regionali (TAR), dal giudizio dei quali si è consolidato il recente indirizzo giurisprudenziale che ha riconosciuto la sospensione dei calendari venatori regionali contenenti tempi di caccia estesi oltre le finestre comunitarie...»);
   le decisioni della Giustizia Amministrativa Italiana sono state invece a quanto consta all'interrogante uniformi e costanti nel giudicare corrette le scelte delle regioni italiane che, utilizzando dati scientifici più completi ed aggiornati, si sono discostate motivatamente e giustificatamente dai dati Key Concepts nazionali, come previsto dalla guida alla disciplina della caccia UE al paragrafo 2 luglio 2010, per prevedere la chiusura della caccia al tordo bottaccio, alla cesena e in alcuni casi alla beccaccia al 31 gennaio nel rispetto della legge 157 del 1992 (es.: TAR Liguria, Sez. II, 28 luglio 2014 n. 1206; TAR Liguria, Sez. II, 16 maggio 2014 n. 772; CDS su Cv Liguria 27 novembre 2013 n. 4683; TAR Lazio, Sez. I ter, 17 febbraio 2014 n. 1845; TAR Toscana, Sez. II, ord. 17 ottobre 2013 n. 523; TAR Calabria, Sez. II, 25 luglio 2013 n. 835; TAR Veneto sez I, ord. n. 700 del 30 novembre 2012, TAR Veneto sez I, ord. n. 478 del 20 settembre 2013);
   a detta nota dell'ufficio legislativo del Ministero dell'ambiente del 23 gennaio 2015 è stata inoltre allegata ed assunta a riferimento la «Guida Ispra ai Calendari Venatori» che tuttavia è priva di qualsiasi valenza effettiva come espressamente affermato dal TAR Lazio con sentenza n. 1845 del 17 febbraio 2014 e dal TAR Veneto ordinanza n. 700 del 30 novembre 2012. In entrambe tali decisioni è stabilito che possono assumersi eventualmente solo i pareri tecnici ISPRA (relativi ai calendari venatori) che sono obbligatori ma tuttavia non vincolanti e dunque dai quali le Regioni possono discostarsi anche in forza del paragrafo 2.7.10 della Guida interpretativa della Dir. 2009/147/CE;
   in secondo luogo, nel rispondere alle domande 1.e – 1.f l'ufficio legislativo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare riconosce che il documento Key Concepts, che riporta «le date di dipendenza e di avvio della migrazione prenuziale nei diversi Paesi, presenta delle “incongruenze” difficili da spiegare nel confronto fra Paesi confinanti. Situazione questa che si ritiene debba essere adeguatamente tenuta in considerazione in questo contesto e, comunque, risolta per evitare disparità di trattamento fra cittadini europei»;
   si tratta infatti delle stesse popolazioni di specie migratrici (beccaccia, tordo bottaccio e cesena) che si diffondono uniformemente in Spagna, Francia mediterranea e Italia per lo svernamento e che da qui nella seconda decade di febbraio partono per fare ritorno ai luoghi di nidificazione (inizio della migrazione prenuziale);
   infine nell'assumere i Key Concepts nazionali quali dati di riferimento pur essendo risalenti agli anni 2001-2004 per la individuazione della decade di inizio della migrazione prenuziale delle specie beccaccia, tordo bottaccio e cesena, l'ufficio legislativo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non parla della circostanza che tali dati non risultano essere stati periodicamente aggiornati e che non tengono oggi conto delle più recenti acquisizioni e studi scientifici che pure sono stati messi a disposizione dell'ISPRA, del M.P.A. e dello stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare –:
   quali siano le ragioni per le quali il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non sembra aver tenuto conto delle decisioni dei giudici amministrativi nazionali che hanno riconosciuto che le regioni possono non tenere conto della guida Ispra ai calendari e possono altrettanto legittimamente discostarsi dai dati Key Concepts nazionali mediante utilizzo del paragrafo 2 luglio 2010 della guida alla disciplina della caccia Unione europea, nonché dai pareri tecnici resi dall'Ispra sui calendari venatori regionali;
   quali siano le iniziative che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha intrapreso per aggiornare i dati key Concepts italiani indicando quale inizio della migrazione prenuziale delle tre specie migratrici in questione la seconda decade di febbraio così da allinearli a quelli francesi e spagnoli che la Commissione europea, anche di recente, ha confermato di ritenere corretti;
   quali siano in conseguenza le iniziative che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha intrapreso dopo il 23 gennaio 2015 per evitare che continui l'evidente difforme applicazione della dir. 2009/147/CE fra Spagna, Grecia, Francia e Italia che determina disparità di trattamento fra cittadini europei e secondo l'interrogante alterazione della concorrenza giacché la chiusura anticipata della caccia in Italia al 20 gennaio rispetto alla consentita chiusura della caccia al 20 febbraio in Spagna e in Francia causa danni a tutto l'indotto turistico-venatorio nazionale stimabile complessivamente in non meno di 200 milioni di euro annui;
   quali siano le giustificazioni che a suo tempo hanno condotto Ispra ed il rappresentante italiano del comitato Ornis dottor Ferdinando Spina ad indicare la seconda decade di gennaio quale inizio della migrazione prenuziale della beccaccia, del tordo bottaccio e della cesena quando lo stesso Ispra ed il medesimo Ferdinando Spina hanno pubblicato nel periodo 2002-2008 le opere nelle quali è invece espressamente riconosciuto che la migrazione prenuziale di tali tre specie ha inizio a febbraio: – «programma di studio degli uccelli di interesse venatorio nel Lazio – relazione conclusiva» di Sacchi, Volponi e Spina, Infs, 2006; – «biodiversità dell'avifauna italiana: variabilità morfologica» di Licheri e Spina, Ispra, 2002; – «atlante della migrazione degli uccelli in Italia» di Spina e Volponi, Ispra, 2008;
   a fronte di tali palesi contraddittorietà, quali siano le iniziative che il Ministro dell'ambiente intenda intraprendere nei confronti personali del dottor Ferdinando Spina e dei vertici dell'Ispra in ordine sia alla omessa correzione dei dati Key Conecepts, sia in ordine ai danni, anche di natura erariale, che gli stessi hanno provocato e continuano a provocare avendo consentito e consentendo con le loro erronee e svianti indicazioni la difforme applicazione della dir. 2009/147/CE in Spagna, Francia e Italia;
   quali siano le determinazioni assunte dopo il 23 gennaio 2015 per indicare la seconda decade di febbraio quale effettivo inizio in Italia della migrazione prenuziale della beccaccia, tordo bottaccio e cesena. (5-05358)


   LUIGI GALLO, SIBILIA, DE ROSA, ZOLEZZI, COLONNESE, SILVIA GIORDANO, MICILLO, TERZONI e BUSTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in base a quanto previsto dal decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 28 novembre 2006, n. 308, «Regolamento recante integrazioni al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio del 18 settembre 2001, n. 468, inerente il programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati», sono stati stanziati euro 6.752.727,00 a favore dell'ex sito di interesse nazionale «Aree del Litorale vesuviano»;
   dall'analisi dell'accordo di programma stipulato tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Campania risulta ancora da programmare la somma di euro 5.712.727,00 (perché caduta in perenzione e, pertanto, occorre procedere alla reiscrizione in bilancio della medesima) a valere sulle risorse assegnate dal succitato D decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 28 novembre 2006, n. 308, per la realizzazione degli interventi di verifica, messa in sicurezza di emergenza, caratterizzazione e bonifica delle aree ricadenti nell'ex sito di interesse nazionale «Aree del litorale vesuviano»;
   tale accordo di programma è stato altresì approvato dalla stessa regione Campania come da delibera della giunta regionale n. 470 del 15 ottobre 2014;
   in base al decreto 11 gennaio 2013 del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il sito di interesse nazionale «Aree del Litorale vesuviano» è stato inserito nell'elenco dei siti che «non soddisfano i requisiti di cui all'articolo 252, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come modificato dall'articolo 36 della legge 7 agosto 2012, n. 134» risultano non più compreso, dunque, tra siti di interesse nazionale;
   l'ex sito di interesse nazionale «Aree del Litorale vesuviano», come stabilito dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con decreto del 27 dicembre 2004, ingloba, parzialmente o totalmente, i seguenti territori comunali: Trecase, Boscotrecase, Terzigno, Boscoreale, S. Giorgio a Cremano, Portici, Ercolano, Torre del Greco, Torre Annunziata, Castellammare di Stabia e Pompei;
   con la pubblicazione del succitato decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dell'11 gennaio 2013, la competenza sui programma stipulato tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Campania, è stata già effettuata, con parte del denaro stanziato per tale causa, la sub-perimetrazione dell'area di interesse, elaborata da ARPA Campania e trasmessa dal commissario di Governo per l'emergenza bonifiche e tutela delle acque nella regione Campania con nota protocollo 4016/CD/AP/U del 15 maggio 2006 ed acquisita al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con protocollo 9676/QdV/D1 del 16 maggio 2006, nonché trasmessa a tutte le amministrazioni territorialmente competenti con nota protocollo 18204/QdV/DI/VII/VIII del 18 settembre 2006; oltracciò, è stato anche predisposto ed ultimato da ISPRA (ex ICRAM) il piano di caratterizzazione per l'area marino-costiera del SIN «Aree del Litorale vesuviano» che, evidenziando «un esteso stato di contaminazione di metalli, elementi in tracce e di pesticidi organo clorurati e che tale contaminazione è confermata dai risultati relativi al bioaccumulo misurato nei mitili e nelle specie nectobentoniche prelevate nelle stesse aree», ha portato alla richiesta immediata al commissario di Governo, durante la Conferenza di Servizi decisoria del 26 febbraio 2009, di adoperarsi al fine di sviluppare, ove necessario, interventi di messa in sicurezza, nonché di elaborare il progetto di bonifica delle aree in esame;
   da quanto emerge dall'analisi del quadro generale degli interventi dell'accordo di programma al punto A, «Studio per la determinazione dei valori di fondo dei suoli e delle acque di falda per aree omogenee significative; ed in particolare per Terzigno, Ercolano e la fascia litoranea Torre Annunziata – Castellammare di Stabia», sarebbero necessari euro 1.220.000,00 per l'individuazione delle aree di indagine, il campionamento e l'analisi delle matrici ambientali (suolo ed acque sotterranee) e la redazione dell'elaborato finale con la determinazione dei valori di fondo dei suoli e delle acque di falda; a tal riguardo è oltremodo irragionevole che venga predisposta nuovamente l'individuazione delle aree di indagine ad opera della stessa ARPAC che, come precedentemente riferito, ha già effettuato la sub-perimetrazione dell'area di interesse, nonché il piano di caratterizzazione per l'area marino-costiera del SIN «Aree del Litorale vesuviano»;
   sempre a proposito del quadro generale degli interventi dell'accordo di programma, sconcerta l'utilizzo di euro 1.220.000 per lo studio dei valori di fondo, ovvero per le caratteristiche statistiche della concentrazione di sostanze nei suoli risultante dai processi naturali e senza interferenze antropiche, dato che tali analisi sono già state eseguite e rese pubbliche («Atlante geochimico-ambientale dei suoli dell'area urbana e della provincia di Napoli», edito da Aracne) non solo per il territorio del vesuviano, per il quale è stato analizzato un totale di 376 campioni (di per sé già decisamente superiore rispetto a quelli previsti dall'accordo di programma), ma anche in tutta la provincia di Napoli, oltreché in via di completamento in tutta la Campania, dal gruppo di ricerca del professor Benedetto De Vivo, geochimico della facoltà di geologia dell'università degli studi «Federico II» di Napoli;
   dagli articoli pubblicati online sul sito www.ilmeridiano.it («Litorale Vesuviano, le bonifiche e il loro destino» pubblicato in data 15 novembre 2014; «La commissione per le bonifiche incontra i comitati» pubblicato in data 17 novembre 2014; «Che fine faranno i fondi per le bonifiche del Vesuviano ?» pubblicato in data 16 dicembre 2014; «Ercolano: l'inutile passerella» pubblicato in data 10 gennaio 2015), redatti da Ciro Teodonno, si deduce il malcontento comune e l'indignazione per ciò che sembra essere, in ultima analisi, un pretesto per «finanziare l'agenzia regionale per la protezione ambientale e fornire, in prossimità della scadenza elettorale regionale, un valido supporto per fare propaganda»;
   in un'intervista al succitato professor Benedetto De Vivo («Che fine faranno i fondi per le bonifiche del Vesuviano ?» pubblicato in data 16 dicembre 2014) e sulla base di quanto appreso da un editoriale scritto dallo stesso («La cartografia geochimica indispensabile nel mondo. Ma non in Italia» pubblicato in data 9 dicembre 2014 sul sito www.usirdbricerca.info) si desume come «esista una tanto soverchiante disparità tra gli stanziamenti apprestati per gli studi e l'attuazione delle cosiddette bonifiche e della messa in sicurezza delle emergenza più eclatanti e pericolose sul territorio vesuviano»; come ha affermato lo stesso professor Benedetto De Vivo, infatti, «il mio gruppo di ricerca ha già mappato tutti i suoli di Napoli e provincia e dell'intera regione Campania con la determinazione dei valori di fondo di ben 53 elementi inorganici con la spesa di poche decine di migliaia di euro. Il totale dei campioni da noi raccolti, analizzati e mappati con determinazione di valori background è di 4000 campioni su tutta la regione Campania e oltre 1500 su Napoli e provincia. Inoltre, proprio in questi giorni, stiamo campionando i suoli della regione Campania per poi effettuare, gratuitamente, le analisi per IPA, PCB e Pesticidi, in Università Cinesi (seguendo rigide regole e protocolli internazionali) con le quali ho rapporti di collaborazione scientifica. Perché si sperperano soldi pubblici per duplicare informazioni già esistenti ? Eppure – per avere tali informazioni – basterebbe acquistare gli Atlanti Geochimici e acquisire gratuitamente tutte le mie pubblicazioni su riviste internazionali»;
   risulta chiaro, quindi, come la quota stimata da erogare per la determinazione dei valori di fondo di metalli/metalloidi nei suoli dei siti di interesse, oltre a risultare inappropriata, data la disponibilità pubblica di tali dati, è anche ingiustificabile sulla base dei costi effettivi che comporterebbero prestazioni erogate dall'ARPAC in favore di terzi richiedenti pubblici e privati per l'effettuazione di tali analisi;
   in base a quanto si apprende dal quadro generale degli interventi dell'accordo di programma per la determinazione dei valori di fondo del suolo (Protocollo Operativo per la determinazione dei valori di fondo di metalli/metalloidi nei suoli dei siti di interesse nazionale – APAT e ISS), è stato stimato il costo di euro 200.000,00 (omogeneo per ogni singola area, anche se di dimensioni diverse) sulla base di esecuzione di: n. 30 sondaggi spinti fino ad una profondità massima di 10 metri; n. 90 prelievi di campioni da sottoporre ad analisi; n. 30 prelievi Topsoil e analisi dei campioni di suolo e Topsoil. Come riportato dal professor Benedetto De Vito: «calcolando i 30 sondaggi, utilizzando i piezometri potrei spendere 500 euro a sondaggio a prezzo di mercato, per un totale di 15.000 euro, poi 90 campioni da sottoporre ad analisi io li porterei a termine in due o tre giorni e se pure fossero di più, diciamo 120 campioni, calcolando per eccesso, per 53 elementi chimici, verrebbero a costare 50 euro a prelievo quindi farebbero 6.000 euro; aggiungendoli ai precedenti 15.000 euro, ad abundantiam raggiungeremmo i 50.000 euro»;
   ictu oculi appare chiaro e sorge spontaneo chiedersi come mai all'ARPAC tali analisi verrebbero a costare 200.000,00 per ogni singola area rispetto agli «ad abundantiam 50.000,00 euro» stimati dal professor Benedetto De Vivo, con un esubero di 150.000,00 euro per ogni area di interesse; come lo stesso ha ribadito: «cosa succederebbe se tutti operassero in questo modo ?»;
   a quanto sopra esposto, si aggiunge l'esigua e inconsistente quota residua di euro 471.451,20 volta alla progettazione e realizzazione degli interventi di messa in sicurezza d'emergenza e bonifica delle aree risultate contaminate, secondo l'ordine di priorità, e, in subordine, secondo le priorità indicate dalla regione con l'eventuale supporto di ARPAC, ASL ISS, così come dichiarato nell'accordo di programma stipulato tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Campania;
   tali evidenze lasciano supporre che ci troveremmo di fronte all'ennesimo caso di sperpero di denaro pubblico quando, al contrario, il dovere principale delle istituzioni pubbliche dovrebbe essere quello di coordinare nel miglior modo possibile i lavori distribuiti tra i vari enti, evitando la dispersione degli ormai esigui fondi pubblici erogati per il risanamento del territorio –:
   se e con quali modalità si ritenga che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Campania debbano intervenire in merito ad una modifica della stima dei costi previsti dall'accordo di programma di cui in premessa per gli interventi per l'individuazione delle aree di indagine, il campionamento e l'analisi delle matrici ambientali (suolo ed acque sotterranee) e la redazione dell'elaborato finale con la determinazione dei valori di fondo dei suoli e delle acque di falda da parte dell'ARPAC e da effettuarsi nelle «Aree del Litorale vesuviano»;
   posto che appaiono all'interrogante ridondanti e inopportuni gli interventi progettati, anche alla luce del lavoro sistematico e scientifico già effettuato, inter alia, dal gruppo di ricerca del professor Benedetto De Vivo della Facoltà di Geologia dell'Università degli studi «Federico II» di Napoli;
   se non ritenga appropriato un intervento di riesame e modifica degli interventi specificati nell'Allegato tecnico, parte integrante del dell'Accordo di programma di cui in premessa;
   quali altre iniziative intenda intraprendere il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in merito a quanto argomentato in premessa.
(5-05359)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta orale:


   LOSACCO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   dopo 14 anni di attività rischia di non potersi svolgere il festival culturale de «Il libro possibile» che ogni anno da tre lustri nella prima decade di luglio si tiene a Polignano a Mare (Bari);
   un festival che si svolge nelle cinque piazze di Polignano a Mare, per quattro sere consecutive, mettendo a confronto pubblico e autori, scrittori, saggisti, giornalisti, magistrati, economisti, teologi, politici e gente di teatro, televisione, cinema e musica;
   si tratta di un evento che coinvolge anche 15 mila persone a serata;
   gli organizzatori dell'evento che fino ad ora ha visto coinvolti enti pubblici e privati hanno lanciato un allarme, perché quest'anno a tre mesi dall'evento non vi sarebbero ancora le risorse necessarie per poterne consentire lo svolgimento;
   l'impossibilità di tenere il suddetto festival sarebbe una gravissima sconfitta per tutti, considerata la rilevanza culturale dell'evento che ha una natura volontaria e che si declina davvero con principi di sussidiarietà;
   significative sono sempre state le ricadute turistiche con un consolidamento del profilo culturale di una delle mete più belle della Puglia;
   secondo l'Istat il 70,8 per cento dei pugliesi non ha letto un solo libro in un anno, occupando la Puglia il penultimo posto seguita solo dalla Sicilia in questa desolante classifica  con il 71,8 per cento; la Puglia è in coda purtroppo anche per libri venduti –:
   in considerazione di quanto riportato in premessa e della rilevanza dell'evento culturale del festival de «Il libro possibile», quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro intenda assumere per attivare un tavolo di confronto tra tutti i soggetti istituzionali pubblici e privati a fine di consentire il prosieguo della manifestazione culturale di Polignano a Mare e di programmare anche il futuro di un evento di grande richiamo. (3-01442)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS, LIUZZI e SCAGLIUSI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 24 gennaio 2015 è stato presentato in conferenza stampa dal Ministro interrogato, insieme al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, un nuovo sito, verybello.it, teso, nelle potenziali premesse, a sponsorizzare le iniziative culturali previste in Italia in concomitanza all'Expo Milano;
   all'iniziativa sono seguite numerose critiche, anzitutto sotto profilo tecnico, nella misura in cui, si apprende da fonti di stampa, la navigazione risulta lenta, la privacy policy è del tutto mancante, i termini di servizio non sono presenti ancorché essenziali al fine di comprendere diritti e obblighi del visitatore nella consultazione del sito; inoltre, non vi è una Site Map e non vengono rispettati i livelli di accessibilità previsti per legge per i siti ministeriali (specie con riferimento all'accessibilità dei disabili di cui alla legge 9 gennaio 2004, n. 4 recante disposizioni per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici, nonché alle norme del decreto del Presidente della Repubblica, 1o marzo 2005, n. 75, Regolamento di attuazione della legge 9 gennaio 2004, n. 4 per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici e decreto ministeriale 8 luglio 2005);
   si è tuttavia continuato a livello ministeriale a difendere l'iniziativa preannunciando un costante aggiornamento degli eventi oltre che una loro promozione; eppure, allo stato, il portale è ancora in fase beta, il profilo twitter, pur esistente, è vuoto, la procedura di selezione degli eventi segnalati appare ad avviso dell'interrogante del tutto arbitraria;
   quel che maggiormente stupisce è che il portale, che dovrebbe rivolgersi ad un pubblico straniero, manca di una o più lingue straniere: infatti, il sito è stato presentato in italiano e solo da febbraio è in inglese. Tuttavia, sono del tutto assenti le ulteriori lingue straniere, per un totale di ben sette, che il Ministro interrogato aveva promesso in una sua dichiarazione alla stampa: «sarà disponibile in russo, cinese, spagnolo, portoghese, tedesco e francese. #verybello è uno strumento per incentivare il turismo culturale: siamo ben consapevoli che il suo successo dipenderà molto dall'uso che ne faranno i turisti stranieri. Ecco perché avvieremo una campagna di promozione in Italia e all'estero» (tratta da Il Fatto quotidiano, 25 gennaio 2015, #verybello lascia #senzawords ma con tante domande. E Franceschini risponde, di Guido Scorza). Ad oggi tutto ciò risulta del tutto omesso e regna la totale inerzia;
   residuano, sotto altro profilo, i già denunciati problemi di trasparenza su cui si continua a non fare chiarezza. Specie sul fronte dei costi in ordine ai quali mancano i dati ufficiali: non tanto sui 35mila euro dichiarati per la realizzazione del sito, ma sui 5 milioni di euro messi a disposizione per la campagna promozionale per il sito, rispetto alla quale è omessa la comunicazione di alcun criterio direttivo;
   resta altresì la questione della registrazione del marchio e il cambio di intestatario del dominio –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei problemi tecnici e di funzionalità che il sito presenta e quali iniziative intenda promuovere al fine di risolvere le problematiche segnalate;
   se il Ministro interrogato intenda onorare la promessa fatta in ordine alla fruibilità del sito in sette lingue straniere, senza tradire lo scopo del sito e la funzionalizzazione della spesa pubblica ad oggi sostenuta per consentire la promozione dell'Italia e dell'Expo;
   se possa fornire chiarimenti sui criteri e sulle modalità con cui si è proceduto alla selezione dell'agenzia incaricata della realizzazione del progetto e sulle operazioni in corso di registrazione del marchio e di cambio di intestatario del dominio con specificazione dei relativi costi;
   se sia in grado di fornire informazioni dettagliate sui costi sostenuti ad oggi e su come intenda procedere nell'utilizzo dei 5 milioni di euro previsti per la campagna promozionale per il sito. (5-05334)

Interrogazione a risposta scritta:


   SBERNA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. – per sapere – premesso che:
   nel Museo centrale del risorgimento al Vittoriano si può ripercorrere la storia delle trasformazioni politiche, sociali ed economiche che hanno caratterizzato l'Italia nei secoli XVIII, XIX e XX attraverso la testimonianza costituita da documenti cartacei (lettere, diari, manoscritti di opere), da quadri, sculture, disegni, incisioni, stampe, armi che, rievocando fatti e protagonisti di questo importante periodo della storia del nostro Paese, formano un grande archivio della memoria del Risorgimento;
   al suo interno, in occasione del 150o anniversario dell'Unità d'Italia, è stata allestita una mostra sulla storia d'Italia dal Risorgimento alla grande guerra 1848-1918. C’è la sezione dedicata alle cinque giornate di Milano del 1848 con lettere, disegni satirici e quadri del secolo scorso che ricordano il sacrificio dei milanesi. C’è la bacheca in cui si parla della nascita della repubblica di Venezia e quella relativa alla prima guerra d'indipendenza con Carlo Alberto. Inoltre, arrivando al 1848, per commemorare le gesta di chi ha sacrificato la propria vita in nome dell'Unità d'Italia, c’è un'ampia sezione riservata alla repubblica romana con la bandiera di Giuseppe Garibaldi, quadri, lettere ed antichità che celebrano la battaglia nella capitale;
   non c’è invece nessun riferimento alla città di Brescia che proprio durante la dominazione asburgica insorse in una rivolta popolare, guidata da un comitato di pubblica difesa, contro gli austriaci. Trentacinquemila bresciani hanno il merito di aver resistito per dieci giorni, dal 23 marzo al 1o aprile 1849 alle truppe del generale Haynau, con grande fierezza e coraggio tale da far meritare alla città il titolo di «Leonessa d'Italia». Le condizioni della resa imposte furono durissime tanto da costare la vita a molti bresciani eppure in una mostra dedicata al risorgimento italiano e allestita all'interno del complesso Vittoriano di piazza Venezia a Roma – in un monumento nazionale quindi – non ci sono dipinti, né disegni, né targhe, né altro riferimento che possa dare testimonianza anche della tenace resistenza dei bresciani e del sacrificio di molte vite per l'Unità d'Italia –:
   se il Ministro interrogato non ritenga doveroso che, in una mostra di un museo nazionale, si ricordi anche l'episodio delle dieci giornate di Brescia e se non ritenga necessario assumere ogni iniziativa di competenza perché i curatori della mostra dopo tre anni dalla sua inaugurazione si impegnino ad adeguare il percorso rievocativo della mostra medesima alla realtà storica inserendo anche documenti relativi alle dieci giornate suddette. (4-08785)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZO, BASILIO, CORDA, DURANTI, FRUSONE e ARTINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Co.Ce.R. Marina ha adottato la delibera n. 132/XI in data 2 aprile 2015 in merito al «Cambio di sede di UU.NN. minori, effetti sul personale»;
   tale delibera afferisce a un piano di ridislocazione in atto di UU.NN. (unità navali) che a breve saranno trasferite dalle principali basi navali in altre sedi;
   in essa si evidenzia il grave disagio degli equipaggi e delle loro famiglie per repentini trasferimenti, comunicati con brevissimo anticipo;
   nella delibera in questione, il Co.Ce.R. sez. Marina chiede al proprio Capo di Stato Maggiore, «un piano finanziario straordinario con il concorso dello Stato Maggiore Difesa al fine di integrare per l'anno in corso ed il successivo le risorse finanziarie sul capitolo di pertinenza della legge 86/2001 da destinare alle esigenze connesse a questa particolare attività di cambio di sede»;
   negli ultimi anni, anche ai fini di una razionalizzazione della spesa, ci si era orientati per una concentrazione delle basi navali tra le sedi di La Spezia, Taranto e Augusta con un forte investimento economico/infrastrutturale dei porti militari –:
   se il Ministro sia a conoscenza di tale immediata ridislocazione delle unità navali e quali siano gli eventuali gravi motivi strategici che giustificherebbero tali immediati trasferimenti;
   quali siano le unità navali e quanti i militari coinvolti nell'ordine di trasferimento;
   quali siano le sedi di ridislocazione e a quanto ammonti la spesa di tale trasferimento nel suo complesso;
   se non ritenga urgente assumere iniziative per rifinanziare il capitolo di spesa per l'indennità di trasferimento previsto dalla legge 29 marzo 2001, n. 86;
   a quanto ammonti la spesa per i trasferimenti del personale della Marina militare, esclusa quella per la Guardia costiera, negli ultimi 5 anni;
   se intenda intervenire al fine di evitare tali spostamenti e i pesanti disagi al personale, anche in considerazione degli orientamenti della politica militare intrapresa fino a questo momento tesa a razionalizzare le sedi delle basi navali. (5-05335)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   il trattamento di fine servizio per i lavoratori pubblici, a seguito della circolare INPS n. 73/2014 ha elevato da 6 a 12 mesi il termine di pagamento dei Tfs e dei Tfr per i dipendenti che cessano il rapporto di lavoro per il raggiungimento dei limiti di età o di servizio previsti dall'ordinamento dell'ente di appartenenza, a 24 mesi per gli altri lavoratori che vanno in pensione prima dei 67 anni (previsti dalla legge Fornero) per raggiungimento dei parametri predisposti. Tale incremento ha effetto per le cessazioni che intervengono dal 1o gennaio 2014 e con riferimento al personale che matura il diritto alla pensione a decorrere dalla stessa data. L'innalzamento dell'età pensionabile introdotto dalla riforma Fornero, e l'aver portato a 27 mesi il pagamento del trattamento di fine rapporto per i lavoratori pubblici, comporta che la liquidazione, di fatto, verrà percepita dal lavoratore dipendente/pensionato in età tarda;
   la pensione stessa non risulta essere percepita in tempi rapidi, per cui il lavoratore dipendente/pensionato dal momento del fine rapporto lavorativo al momento dell'erogazione del dovuto si trova, il più delle volte, in gravi difficoltà economiche sue e della propria famiglia;
   risulta all'interpellante che in altri settori lavorativi, in particolare nel privato, la liquidazione sia percepita in tempi più rapidi consentendo così, al sacrificio di una vita, di poter usufruire del proprio trattamento di fine rapporto per l'opportunità decise da ciascuno nel suo privato;
   si fa presente, che al di là delle informazioni errate che circolano, la pensione e il trattamento di fine rapporto sono gli accantonamenti di una vita lavorativa, che quando richiesti, mese per mese, sono stati regolarmente detratti dalle buste paga del dipendente (al di là delle gestioni più o meno opportune dell'INPS) che al momento del pensionamento lo Stato lesina a chi di diritto. Non è questa ad avviso dell'interpellante cosa degna di un Paese democratico e civile. Ci si richiama spesso all'Europa, a volte anche inopportunamente, ma non si tiene conto che l'Italia è il Paese con le pensioni più basse e con i tempi più lunghi di erogazione;
   per molti il pensionamento rappresenta un punto di svolta, di cambio di vita e di status sociale. Fatto questo che molto spesso procura grandi e profondi travagli personali. Al di là dei luoghi comuni per i quali dipendente pubblico è sinonimo di parassita. Occorre ricordare che i tanto vituperati dipendenti pubblici italiani vivono con stipendi minimi (anche questo al contrario del resto d'Europa dove, dati Eurispes: i dipendenti pubblici italiani guadagnano in media 3.000 euro in meno all'anno rispetto a quelli britannici, 3.600 euro in meno rispetto a quelli tedeschi, 4.100 euro in meno rispetto a quelli spagnoli e ben 12.000 euro in meno rispetto a quelli francesi. Inoltre In Italia ci sono 58 impiegati ogni 1000 abitanti contro i 135 della Svezia, i 94 della Francia, i 92 del Regno Unito, i 65 della Spagna e i 54 della Germania. Inoltre, segnala sempre il rapporto Eurispes, negli ultimi 10 anni l'Italia ha visto diminuire i propri dipendenti pubblici del 4,7 per cento, mentre tutti gli altri hanno assunto: +36,1 per cento in Irlanda, +29,6 per cento in Spagna, +12,8 per cento in Belgio e +9,5 per cento nel Regno Unito. In ultimo bisogna far presente che nel nostro Paese i dipendenti pubblici pesano per l'11,1 per cento del Pil – tenendo conto che per dipendenti pubblici si intendono non solo ministeriali – che influiscono in percentuale minima – ma anche insegnanti, forze di ordine pubblico, vigili urbani, e altro);
   avendo, l'interpellante, verificato tutto ciò, appare evidente lo scollamento tra realtà lavorativa e dettami costituzionali. Ciò assunto si evidenziano elementi di contraddizione tra il trattamento effettivo e gli articoli 1, 3, 36 e 38 della nostra Costituzione (e precisamente: articolo 1 «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro....», articolo 3 «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Articolo 36 «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa...» articolo 38 «... I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria... ») la quale, nel suo articolato, aborre le disparità di trattamento che, al contrario, sono una realtà effettiva e impunita e rappresentano la norma a cui assistiamo quotidianamente. E, tristemente, il nostro Parlamento avalla queste disparità –:
   come i Ministri interpellati intendano operare per avviare tutte le operazioni necessarie alla modifica della norma di legge, sanando l'iniquità che ora rappresenta, del diverso trattamento dei lavoratori pubblici, permettendo, in termine di legge, l'erogazione del trattamento di fine rapporto e pensione in tempi più rapidi considerato che l'allungamento dell'età lavorativa ha ridotto di molto il numero dei nuovi pensionati (dati INPS) e si suppone che l'erogazione del trattamento di fine rapporto economicamente sostenibile in tempi brevi.
(2-00933) «Melilla».

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, recante disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute pone una chiara e concreta proibizione alla pubblicità del gioco d'azzardo, che sia pure in forma più diluita e presente anche nell'articolo 14 della delega fiscale (Testo del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, coordinato con la legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189, recante «Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute»);
   la sentenza n. 56/2015 della Corte Costituzionale nella sua condanna afferma che «.... in ragione dell'esigenza di garantire un livello di tutela dei consumatori particolarmente elevato e di padroneggiare i rischi connessi a questo settore, la giurisprudenza europea ha ritenuto legittime restrizioni all'attività (anche contrattuale) di organizzazione e gestione dei giochi pubblici affidati in concessione, purché ispirate da motivi imperativi di interesse generale, quali sono certamente quelli evocati dall'articolo 1, comma 77, della legge n. 220 del 2010 (contrasto della diffusione del gioco irregolare o illegale in Italia; tutela della sicurezza, dell'ordine pubblico e dei consumatori, specie minori d'età; lotta contro le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore), e a condizione che esse siano proporzionate (sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, 30 giugno 2011, in causa C-212/08)»;
   l'attuale bozza del decreto legislativo relativo all'articolo 14 della delega fiscale in studio da diversi mesi presso il Ministro dell'economia e delle finanze propone e ribadisce limiti sostanziali alla pubblicità del gioco d'azzardo;
   il Manifesto delle associazioni che si sono andate formando in questi anni per la prevenzione del gioco d'azzardo e la tutela dei giocatori, pubblicato sul quotidiano Avvenire il 2 aprile 2015 pone al primo posto delle sue richieste il «DIVIETO TOTALE DI PUBBLICITÀ DELL'AZZARDO SU CARTA STAMPATA, TV, INTERNET, CARTELLONI E SPONSORIZZAZIONI SUI MEZZI PUBBLICI»;
   ciononostante la pubblicità dei giochi che creano dipendenza si va diffondendo sempre di più in mille canali pubblicitari diversi: durante i programmi televisivi soprattutto quelli sportivi e di intrattenimento più seguiti dal pubblico, sui giornali, sulle fiancate degli autobus, nei banner dei principali social media;
   sulle mail a titolo di esempio è apparsa una pubblicità di Lottomatica, che propone un Bonus di Benvenuto con un avviso di questo tenore: «Su Lottomatica.it Scommetti e ti Diverti in tutta Sicurezza. Gioca Subito. Per te un Bonus Benvenuto di 10 euro»;
   ovviamente per accedere all'offerta bisogna registrarsi e dare tutti i propri dati, con la certezza che da quel momento in poi ci si troverà inseriti in un circuito accattivante e seduttivo che impedirà al soggetto di uscire, inseguendolo con offerte a cui non sarà facile dire di no, soprattutto per una persona con dipendenza reale o potenziale –:
   in che modo il Governo intenda intervenire per bloccare questa pubblicità capillare ed invasiva che raggiunge i potenziali utenti sul loro desktop;
   in che modo il Ministro dell'economia e delle finanze intenda richiamare l'attenzione di Lottomatica su questo tipo di pubblicità, che appare del tutto incoerente rispetto alla campagna che tutte le Associazioni stanno facendo in questi giorni e che è stata ripresa dal loro manifesto. (3-01444)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   GEBHARD. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   un'attività tipica delle società di leasing è acquistare beni di ogni genere, dunque anche immobili ultimati, e concederli in leasing finanziario, oppure terreni edificabili e/o immobili in fase di costruzione per poi concederli sempre in leasing finanziario, una volta ultimati;
   accade quindi che una società di leasing acquisti un'immobile ad uso abitativo della categoria catastale A/2 (di tipo civile) in fase di costruzione da un'impresa edile oppure un terreno edificabile, successivamente si intesti o ottenga la concessione edilizia ed esegua poi i lavori di ultimazione/costruzione dell'immobile ad uso abitativo, stipulando contratti con vari subappaltatori, poi conceda l'immobile ultimato in leasing finanziario;
   in sostanza le società di leasing, nell'esercizio delle suddette attività, si comportano come vere e proprie imprese di costruzione e ristrutturazione ai sensi dell'articolo 10, comma 1, n. 8-bis) e 8-ter), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633; – qualora offra e, in base alle esigenze della clientela, realizzi anche operazioni di costruzione di immobili (strumentali e abitativi), può considerarsi ai sensi della normativa IVA vigente impresa di costruzione –:
   se ritenga che le società di leasing, che nell'esercizio delle proprie attività si comportano come imprese di costruzione e ristrutturazione, costruendo o ultimando immobili, anche ad uso abitativo, possano sottostare al regime IVA di cui all'articolo 10, comma 1, n. 8), 8-bis) e 8-ter) del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, quindi possano detrarre l'IVA per i lavori di ultimazione/costruzione, ai sensi dell'articolo 19 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica, se è stata esercitata in atto l'opzione per l'imposizione. (5-05349)


   CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Banca d'Italia emette le banconote in euro, in circolazione dal 1o gennaio 2002, in base ai princìpi e alle regole fissati nell'Eurosistema, e ha il controllo di tutta la circolazione monetaria presente nel Paese;
   nell'ambito dell'Eurosistema e nel quadro dei princìpi che disciplinano la funzione di emissione, la Banca d'Italia produce il quantitativo di banconote in euro assegnatole, immette le banconote nel circuito degli scambi e provvede al ritiro e alla sostituzione dei biglietti deteriorati, partecipa all'attività di studio e sperimentazione di nuove caratteristiche di sicurezza dei biglietti, contribuisce alla definizione di indirizzi comuni per quanto riguarda la qualità della circolazione e l'azione di contrasto della contraffazione;
   negli ultimi anni il legislatore ha introdotto numerose disposizioni volte a limitare l'uso del contante e la sua progressiva sostituzione con strumenti di pagamento elettronici che garantiscono minori costi, minori rischi e maggiore velocità nell'incasso del pagamenti, oltre a garantire la tracciabilità dei flussi finanziari, sia al fine di potenziare la lotta all'evasione fiscale sia al fine di prevenire e contrastare il riciclaggio dei proventi di attività criminose;
   le banconote di grosso taglio comportano un sensibile rischio di riciclaggio, connesso alla velocità di circolazione, allo spostamento e al possibile occultamento di denaro contante;
   l'articolo 49, comma 1, del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, come da ultimo modificato dall'articolo 12, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, fissa in euro mille l'uso del contante;
   la Banca d'Italia ha emanato, d'intesa con CONSOB e IVASS, il provvedimento del 3 aprile 2013, contenente le disposizioni attuative in materia di adeguata verifica della clientela che le banche e gli intermediari finanziari devono adottare a fini di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento al terrorismo, in applicazione della normativa antiriciclaggio di cui al decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231;
   in particolare in attuazione delle disposizioni in materia di organizzazione, procedure e controlli interni volti a prevenire l'utilizzo degli intermediari e degli altri soggetti che svolgono attività finanziaria a fini di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, ai sensi dell'articolo 7, comma 2 del citato decreto legislativo, la Banca d'Italia ha imposto agli intermediari finanziari, dal 1o gennaio 2014, una adeguata verifica dei clienti relativamente all'utilizzo di banconote di grosso taglio; in particolare prevedendo che gli intermediari finanziari, in presenza di operazioni di deposito, di prelievo, di pagamento o di qualsiasi altra operazione con utilizzo di banconote di grosso taglio per importi unitari superiori ai 2.500 euro – indipendentemente dalla circostanza che l'operazione preveda, oltre tale importo, l'utilizzo di altri tagli – svolgano specifici approfondimenti, al fine di verificare che le ragioni alla base di tale operatività consentano di escludere la connessione delle stesse con fenomeni di riciclaggio e valutare se procedere ad effettuare una segnalazione di operazioni sospette ai sensi dell'articolo 41, comma 1, del medesimo decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231;
   dal 1o febbraio 2014, per effetto del regolamento dell'Unione europea n. 260 del 2012 è pienamente operativa l'Area unica dei pagamenti in euro (Single euro payments area o SEPA), in cui cittadini europei, imprese e pubbliche amministrazioni possono effettuare operazioni di pagamento in euro verso un altro conto con tempi di esecuzione di un giorno lavorativo dalla ricezione dell'ordine, potendo contare su sistemi armonizzati per le caratteristiche degli strumenti, gli standard, le infrastrutture e i costi, riducendo ulteriormente il fabbisogno di banconote;
   secondo notizie di stampa, la Banca d'Italia nei prossimi giorni fornirà ufficialmente alcuni dati, secondo i quali dal 2010 le banche italiane hanno messo in circolazione 12 milioni di biglietti da 300 euro, mentre i clienti ne hanno versati sui propri conti otto volte di più; si tratta di una differenza di circa 37 miliardi di euro in banconote da 500 euro;
   trattandosi di introiti cumulati che si suppone vengano alimentati con afflussi di banconote da altri Paesi dell'area euro, la Banca d'Italia starebbe predisponendo nuove indagini sulla circolazione di moneta per un approfondimento;
   il 16 maggio 2014 è stata presentata la risoluzione n. 7-00374 in V Commissione che in premessa sollevava il problema connesso con gli elevati rischi di riciclaggio dell'utilizzo di banconote di grosso taglio – in particolare di quelle da 500 euro – ed impegnava il Governo ad adoperarsi presso le competenti istituzioni dell'Unione europea affinché fosse valutata l'opportunità, di eliminare la banconota da 500 euro;
   la Banca centrale europea, nel premettere di essere a favore di un maggiore impegno contro l'evasione fiscale e le altre attività illegali, ha precisato che il ritiro dalla circolazione della banconota da 500 euro non servirebbe a ridurre il fenomeno dell'evasione fiscale e indurrebbe, inoltre, l'effetto negativo di un aumento dei costi economici e gestionali della circolazione monetaria con la necessità di immettere in circolazione un quantitativo notevolmente superiore di banconote di taglio inferiore a 500 euro –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito alle cause dell'anomalo afflusso di banconote di grosso taglio negli istituti di credito italiani ed in particolare se le circostanze che potrebbero averlo determinato siano legate ad attività sommerse ovvero allo smobilizzo di somme derivanti da riciclaggio di denaro ovvero di somme precedentemente collocate in altre forme (ad esempio, cassette di sicurezza), quante segnalazioni su operazioni sospette di questo tipo siano state effettuate dagli intermediari creditizi e quali riscontri abbia già avuto modo di verificare l'UIF, e se non ritenga necessario un intervento anche normativo volto a potenziare la verifica della provenienza di dette banconote da parte degli intermediari creditizi italiani. (5-05350)


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da un recente studio predisposto dalla Confedilizia emerge che i proprietari di casa, per il quarto anno consecutivo, subiranno nel 2015 un livello di imposizione tributaria insostenibile;
   fra il 2012 ed il 2014 la proprietà immobiliare ha versato complessivamente circa 69 miliardi di euro di imposte di natura patrimoniale;
   il carico fiscale sugli immobili del 2014, con l'attuale Governo, dato da IMU e TASI, è stato di oltre 1 miliardo superiore rispetto a quello IMU 2012 del Governo Monti;
   il gettito derivante dall'imposizione sulla proprietà immobiliare si è infatti quasi triplicata negli ultimi anni, passando da 9,2 miliardi di euro dell'anno 2011 con la vecchia ICI, a 23,8 miliardi nel 2012 con l'istituzione dell'IMU da parte del Governo Monti, scendendo a 20,4 miliardi di euro con il Governo Letta, per risalire infine a 25 miliardi di euro del 2014 con la riformulazione dell'IMU e della TASI ad opera del Governo Renzi;
   dal 2012 i proprietari versano ai comuni 15/16 miliardi di euro in più ogni anno, che corrisponde al 50 per cento in più rispetto all'entità dello sgravio del bonus degli 80 euro;
   dallo studio di Confedilizia emerge che la tassazione su un'abitazione data in affitto ha subito un drastico aumento tra il 2011 e il 2014, che si aggiunge alla tassazione che colpisce il reddito da locazione; l'aggravio fiscale non ha risparmiato neanche i cosiddetti «contratti concordati», ossia quelli dati in locazione e a canone calmierato, la cui tassazione arriva fino ad una variazione in percentuale del +291 per cento, mentre, nello stesso arco temporale 2011-2014, l'aumento per la tassazione sugli immobili locati con contratto libero può raggiungere punte del 157 per cento in più;
   stessa sorte è stata riservata agli immobili non abitativi dati in affitto: in questo caso Confedilizia ha rilevato come le tasse locali e statali (ben sette) raggiungano un livello tale da erodere fino all'80 per cento del canone di locazione: percentuale, questa, che può salire fino al 100 per cento se si aggiungono le spese, di manutenzione e di assicurazione ad esempio, a cui il proprietario locatore deve far fronte;
   per un'abitazione che non si riesce a locare, invece, le imposte dovute, per un immobile per cui si pagano soltanto delle spese perché appunto non affittato, le tasse sono cinque (IRPEF, addizionale regionale IRPEF, addizionale comunale IRPEF, IMU e TASI), per il pagamento delle quali, non ricevendo alcun reddito aggiuntivo dall'immobile sfitto, il contribuente deve necessariamente attingere ai propri risparmi;
   dal Documento di economia e finanza approvato recentemente dal Consiglio dei ministri emerge che il Governo varerà la riforma della tassazione locale al fine di semplificare il quadro dei tributi locali sugli immobili, ridurre i costi per i contribuenti e la complessità amministrativa;
   in tale contesto, all'interrogante sembra necessario che l'ennesima riforma della tassazione immobiliare sia improntata non ad una semplice operazione di rimpasto e nuova denominazione delle imposte e tasse locali e statali, ma piuttosto ad una revisione completa delle stesse, al fine di introdurre un sistema effettivamente più equo e razionale che preveda una tassazione degli immobili soltanto quando questi producano un reddito certo, verificabile e quantificabile; la riforma dovrebbe infatti essere indirizzata, attraverso un'efficace riduzione del carico fiscale gravante sugli immobili, a dare un segno ai contribuenti in maniera tangibile e percepibile: il fine ultimo da perseguire dovrebbe quindi essere mirato a dare nuovo impulso ad un settore che più degli altri ha scontato gli effetti della crisi, con il crollo delle compravendite, il fallimento di innumerevoli piccole imprese, la disoccupazione insostenibile nel comparto dell'edilizia, la crisi delle locazioni e la progressiva riduzione della relativa offerta, ma soprattutto la caduta dei consumi dovuta alla perdita di valore degli immobili che ha generato nei proprietari una crisi di fiducia per aver perso la sicurezza di possedere un bene considerato fino ad oggi immune dalla valutazione;
   quali iniziative il Governo intenda porre in essere per evitare che l'arrivo della nuova local tax che, tra l'altro, dovrebbe unificare in un'unica imposta le diverse voci tributarie degli enti locali, non diventi l'occasione per stabilizzare l'attuale insostenibile imposizione tributaria sugli immobili e se il Ministro interrogato non ritenga, inoltre, di abbandonare l'attuale sistema di imposizione sugli immobili fondato su base catastale/patrimoniale e introdurre un sistema che preveda un'imposizione sui redditi traibili dagli immobili stessi e per i servizi certi, verificabili e quantificabili che ricevono a beneficio sia dei loro proprietari sia dei loro utilizzatori. (5-05351)


   SBERNA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge finanziaria 2008 consentiva a lavoratori, studenti, pendolari e pensionati di detrarre il 19 per cento dei costi sostenti per l'acquisto di abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico, locale, regionale e interregionale; l'importo massimo detraibile era 250 euro, comprensivo sia delle spese effettuate per sé stessi, che per gli eventuali familiari a carico; bastava conservare la ricevuta del documento di viaggio in originale o il bollettino di conto corrente del pagamento dell'abbonamento per fruire della detraibilità;
   la legge Finanziaria 2010 ha cancellato la suddetta detrazione, che in seguito non è più stata riproposta;
   si trattava di una detrazione fiscale che aiutava e sosteneva le famiglie nel loro compito di cura e di mantenimento dei figli studenti; le famiglie potevano infatti beneficiare di un sostegno economico e di un incentivo a favorire l'autonomia dei figli insegnando loro a servirsi dei mezzi pubblici;
   l'abolizione della detrazione ha rappresentato invece un incentivo ad usare l'automobile, in contro tendenza con la necessità di molte città di ridurre il traffico ed incentivare l'utilizzo dei mezzi pubblici dal momento che il traffico urbano è il grande nemico dell'aria delle città;
   l'associazione Legambiente, riportando i dati di uno studio realizzato dall'Organizzazione mondiale della sanità, afferma che uno degli inquinanti più pericolosi per l'uomo e più diffusi nelle città è il Pm10 e uno dei principali responsabili dell'inquinamento da Pm10 è il traffico urbano: i trasporti stradali, infatti, producono più di un quarto del totale delle emissioni; inoltre lo stesso studio ha stimato che nei grandi centri italiani, a causa delle concentrazioni di particolato sottile superiori ai 20 μg/m3, muoiono oltre 8 mila persone ogni anno;
   le associazioni dei consumatori inoltre affermano che, negli ultimi 10 anni, le tariffe per i servizi ai cittadini sono cresciute il doppio dell'inflazione, contribuendo così al grave impoverimento delle famiglie a cui abbiamo assistito nel corso degli ultimi anni –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative normative al fine di ripristinare la detrazione fiscale delle spese di abbonamento per l'utilizzo dei mezzi pubblici a favore delle categorie citate in premessa, inserendola tra le misure interessate dal cosiddetto bonus a disposizione del Governo per misure di carattere sociale. (5-05352)


   RUOCCO, ALBERTI, CANCELLERI, PESCO, PISANO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2 del decreto legislativo n. 446 del 1999, istitutivo dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), stabilisce che il presupposto del tributo è «l'esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi»;
   il successivo articolo 3, comma 1, lettera c), annovera, tra i soggetti obbligati al pagamento della menzionata imposta, anche le persone fisiche, le società semplici e quelle equiparate esercenti arti e professioni di cui all'articolo 53, comma 1, del TUIR;
   con la circolare n. 141 E del 4 giugno 1998 – recante istruzioni per la prima applicazione dell'imposta – il Ministero delle finanze ha precisato che, tramite il riferimento alle sole attività «autonomamente organizzate», il Legislatore ha inteso «escludere dall'ambito di applicazione del tributo tutte quelle attività che, pur potendosi astrattamente ricondurre all'esercizio d'impresa, di arti o professioni, non sono tuttavia esercitate mediante un'organizzazione autonoma da parte del soggetto interessato»;
   con la sentenza n. 156 del 2001 la Corte costituzionale ha statuito che: «mentre l'elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l'attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un'attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui»: ne consegue, secondo i giudici della Consulta, che «nel caso di una attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione – il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto – risulterà mancante il presupposto stesso dell'imposta sulle attività produttive, per l'appunto rappresentato, secondo l'articolo 2, dall'esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, con la conseguente inapplicabilità dell'imposta stessa»;
   il concetto di autonoma organizzazione e la verifica della sua concreta sussistenza nell'ambito delle diverse attività professionali sono state oggetto di molteplici pronunce da parte della giurisprudenza di merito; una parte minoritaria delle commissioni tributarie ha sostenuto che le attività di lavoro autonomo sono sempre autonomamente organizzate e dunque soggette all'IRAP, purché svolte in maniera abituale e senza il coordinamento ed il controllo da parte di altri soggetti; questa posizione – basata su una definizione puramente soggettiva dell'elemento organizzativo inteso come «auto-organizzazione» ossia gestione «in proprio» dell'attività libero-professionale – coincide con quella adottata a suo tempo dall'Amministrazione finanziaria nella risoluzione 32/E del 31 gennaio 2002; a tale indirizzo se ne è contrapposto un altro, ugualmente minoritario, secondo cui le attività in parola risulterebbero sempre carenti di autonoma organizzazione e quindi escluse dall'imposta, in quanto caratterizzate dal rapporto fiduciario con il cliente (intuitus personae) che ne renderebbe impossibile l'esecuzione se non tramite l'apporto diretto del titolare; l'orientamento maggioritario si è consolidato, invece, intorno al principio che l'esistenza dell'autonoma organizzazione deve essere valutata «caso per caso», attraverso l'analisi delle risorse umane e materiali utilizzate in concreto nell'attività professionale allo scopo di accertare se queste ultime svolgano un ruolo marginale nell'operatività del contribuente ovvero ne rappresentino un elemento significativo quando non, addirittura, prevalente;
   con la sentenza n. 3676 del 16 febbraio 2007, la Corte di cassazione – in sintonia con l'interpretazione dei giudici costituzionali e con l'indirizzo prevalente della giurisprudenza tributaria – ha rigettato la tesi massimalista dell'auto-organizzazione, stabilendo che, per l'imponibilità ai fini IRAP delle attività di lavoro autonomo, è necessario che il professionista si avvalga di un apparato non irrilevante di mezzi materiali e/o di risorse umane, in carenza del quale le suddette attività debbono ritenersi escluse dall'applicazione del tributo; secondo i giudici del Supremo Collegio «il requisito dell'autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.» (in tal senso anche le sentenze 3672, 3677, 3678 e 3680 del 2007);
   con la sentenza 3678 del 16 febbraio 2007 la Corte di cassazione ha fornito ulteriori elementi per agevolare l'accertamento del presupposto nelle fattispecie concrete ritenendo carente il requisito dell'autonoma organizzazione «quando il risultato economico trovi ragione esclusivamente nella auto-organizzazione del professionista o comunque l'organizzazione da lui predisposta abbia incidenza marginale e non richieda necessità di coordinamento (in genere pochi mobili d'ufficio fotocopiatrice, fax, computer, cellulare, materiale di cancelleria, vettura) con la conseguenza che: laddove non sia segnalata la presenza di dipendenti e/o collaboratori o l'impiego di beni strumentali al di là di quelli indispensabili alla professione e di normale corredo del lavoratore autonomo potrà essere ricavato dalla Commissione adita un quadro affidabile di esercizio della professione che – secondo una valutazione di natura non soltanto logica ma anche socioeconomica – induca a riscontrare l'assenza di una “organizzazione produttiva” tassabile ai fini IRAP»;
   a dispetto dell'imponente lavoro di interpretazione svolto dagli organi giudicanti, la querelle relativa al presupposto impositivo dell'autonoma organizzazione è, ad oggi, tutt'altro che sopita, in quanto la materia del contendere con l'Amministrazione finanziaria si è progressivamente sostata dalle questioni di principio, oggetto delle prime pronunce, alle più complesse problematiche di misurazione dell'incidenza che i differenti fattori produttivi esercitano sull'efficacia, efficienza e, in ultima istanza, sul valore aggiunto prodotto delle attività professionali; indagine che non può essere condotta in via generale, necessitando di un accertamento selettivo, svolto «caso per caso», secondo criteri qualitativi e quantitativi che attengono più i metodi dell'economia e della statistica che non quelli delle scienze giuridiche, la cui complessità ricade, infine, sulle commissioni tributarie in quanto soggetti demandati – in assenza di specifiche disposizioni normative – ad emettere tale giudizio secondo principi di ragionevolezza che non possono, a loro volta, esulare dall'evoluzione tecnologica ed organizzativa cui soggiace anche il settore delle professioni; su questo fronte l'orientamento consolidato è quello di escludere l'automatico assoggettamento all'IRAP alla sola presenza di beni strumentali e lavoro prestato da terzi; l'inserimento di un dipendente nella struttura organizzativa assume rilevanza ai fini dell'applicabilità del tributo solo nel caso in cui ciò determini un incremento della capacità produttiva dello studio (Cassazione ordinanza 27014/2014): conseguentemente non è indice di un'autonoma organizzazione la presenza di collaboratori con mansioni d'ordine che assolvono compiti meramente esecutivi, come rispondere al telefono o accogliere i clienti nello studio mentre il titolare è impegnato nello svolgimento dell'attività professionale (Cassazione ordinanza n. 26991 del 2014); anche con riferimento ai beni strumentali, la giurisprudenza non ha accolto l'indirizzo proposto dall'Amministrazione finanziaria di considerare automaticamente soggette ad IRAP le attività di lavoro autonomo che impiegano beni strumentali il cui valore eccede l'ammontare di 15.000 euro, ribadendo il principio per cui beni strumentali possono essere considerati un indicatore valido per l'assoggettamento a IRAP nel solo caso in cui risultino eccedenti rispetto al minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività, spettando al giudice di merito stabilire la misura di tale rilevanza (Cassazione ordinanza n. 26982 del 2014);
   per superare il tuttora rilevante contenzioso in materia di imponibilità ai fini IRAP delle attività di lavoro autonomo è necessario colmare il vuoto derivante dalla «mancanza di specifiche disposizioni normative» in materia di autonoma organizzazione, come autorevolmente precisato dai giudici costituzionali nella richiamata sentenza n. 156 del 2001, in un'ottica che privilegi la certezza del diritto e garantisca, nel rispetto dei princìpi consolidati dalla giurisprudenza, la non assoggettabilità al tributo dei professionisti, artisti e piccoli imprenditori che svolgono le loro attività con l'impiego delle sole risorse indispensabili;
   l'articolo 11, comma 2, della legge 11 marzo 2014, n. 23, delega al Governo il compito di chiarire la definizione di autonoma organizzazione, anche mediante la definizione di criteri oggettivi, adeguandola ai più consolidati princìpi desumibili dalla fonte giurisprudenziale, ai fini della non assoggettabilità dei professionisti, degli artisti e dei piccoli imprenditori all'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) –:
   quali iniziative di carattere normativo intende intraprendere per chiarire la definizione di autonoma organizzazione ai fini della non assoggettabilità dei professionisti, degli artisti e dei piccoli imprenditori all'imposta regionale sulle attività produttive, in attuazione della delega contenuta nell'articolo 11, comma 2, della legge 11 marzo 2014, n. 23. (5-05353)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dettami del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 29 del 20 febbraio 2015, al quale è stata affidata la disciplina attuativa per la liquidazione del cosiddetto TFR in busta paga introdotto dalla legge di stabilità 2015, a partire dal corrente mese di aprile i lavoratori che hanno esercitato l'opzione potranno ricevere insieme alla retribuzione quota parte dello stesso, denominata Quir (acronimo di quota integrativa della retribuzione) e che in taluni casi può comportare in capo al beneficiario, soprattutto se fiscalmente incapiente, importanti effetti in termini economici;
   il suddetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, all'articolo 4, comma 3, infatti, mentre chiarisce in maniera inequivocabile che la stessa quota non incide «ai soli fini della verifica dei limiti di reddito complessivo» per la determinazione della spettanza del cosiddetto «bonus 80 euro», tace con riferimento alla nuova imposta generata dal concorso della quota, condizione, quest'ultima che potrebbe far sorgere, in capo a soggetti che prima erano incapienti, il diritto di percepire il bonus;
   invero il nuovo trattamento retributivo, incrementando il reddito complessivo, potrebbe generare un'imposta a debito e quindi il presupposto per il riconoscimento del «bonus 80 euro», fino a quel momento negato non tanto per requisito reddituale quanto per assenza d'imposta da versare –:
   se non ritenga urgente ed indifferibile chiarire se la suddetta ipotesi, che attribuirebbe ad una platea d'incapienti il potenziale accesso al cosiddetto «bonus 80 euro», debba ritenersi corretta ed in tal caso cosa intenda fare il Governo al fine di garantire la certezza interpretativa così da permettere ciascun lavoratore interessato di esercitare il diritto di effettuare la scelta più opportuna. (5-05354)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARTELLA e FREGOLENT. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con la vicenda dell'IMU sui cosiddetti beni «imbullonati», come riportato da importanti organi di stampa, si è in presenza di una incomprensibile vicenda burocratica che rischia di danneggiare il sistema delle imprese nel momento in cui si intravedono importanti segnali di ripresa dell'economia;
   la questione dell'assoggettamento ad IMU dei macchinari «imbullonati» a terra negli impianti industriali nascerebbe dalla sedimentazione storica di normative che nel corso del tempo si sono sovrapposte e che porterebbero ad interpretare appunto come assoggettabili a tassazione immobiliare anche i macchinari che le imprese usano e che sono fissati al suolo, facendoli diventare, per il fisco, beni immobili;
   questo, come denunciato dalle organizzazioni imprenditoriali, porterebbe ad un incremento esponenziale delle rendite catastali e ad un conseguente aggravio del livello di tassazione a carico delle imprese;
   la Corte di cassazione, ad inizio anno, rispetto ad uno specifico caso verificatosi in provincia di Trento, ha dato ragione al fisco con sentenza 3166/2015 asserendo testualmente, nel dispositivo, che «la smontabilità della macchina non è requisito indispensabile affinché un impianto sia considerato mobile»;
   nella stessa sentenza i giudici della Corte di cassazione hanno spiegato che va ai fini fiscali «anche considerato l'apporto del macchinario in relazione alla valorizzazione dell'immobile»;
   i macchinari verrebbero inoltre valutati sul prezzo di acquisto e non sul valore corrente, il che comporta un incremento del valore della rendita su cui calcolare l'IMU;
   è assolutamente urgente che venga fatta chiarezza su quale impianto va considerato mobile e quale immobile, nonché su quali devono essere le caratteristiche che lo rendano assimilabile a bene immobile, questo per dare certezza al diritto tributario e alle imprese;
   a seguito del moltiplicarsi di casi simili e di accertamenti che Agenzia delle entrate e del territorio stanno effettuando in tutta Italia lo stesso Presidente del Consiglio nel corso di una sollecitazione giornalistica sull'argomento ha risposo che tale situazione «non sta né in cielo né in terra» –:
   se e quali iniziative i Ministri interrogati intendano attivare al fine di giungere rapidamente ad un inequivocabile chiarimento circa la definizione di bene immobile riferito a macchinari e impianti, restituendo certezza al diritto e soprattutto agli operatori economici che rischiano di pagare, ancora una volta, un prezzo altissimo alla burocrazia. (5-05333)


   PARENTELA, NESCI, DIENI, SPESSOTTO, DE LORENZIS e LIUZZI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sulla stampa territoriale ampio risalto viene dato ad una notizia che va ad aggravare la già drammatica situazione in cui versa il territorio calabrese: si apprende che Trenitalia avrebbe escluso la regione Calabria da piano delle assunzioni nazionale;
   appena appresa la notizia, la Filt Cgil è insorta. «Ancora una volta», affermano il segretario Nino Costantino e il responsabile ferrovieri Maria Cozzupoli, «Trenitalia umilia la nostra regione. Dopo i tagli sulla lunga percorrenza, l'assenza ormai cronica di investimenti, un trasporto regionale colabrodo, una ferrovia ionica da far west, adesso Trenitalia comunica un piano di assunzioni nazionale in cui viene esclusa scientificamente la Calabria. È una decisione assurda e che contrasta con la necessità di rilanciare il sistema ferroviario calabrese che invece avrebbe bisogno di una inversione reale di tendenza sia in termini di investimenti che di assunzioni»;
   ricordato che «negli ultimi vent'anni i ferrovieri calabresi sono passati da circa 13.000 a circa 2.000», e che «negli ultimi cinque anni gli investimenti del Gruppo Fs nel Sud del Paese sono stati di circa il 20 per cento, e in Calabria di circa il 5 per cento», la Cgil ritiene che «occorra da subito promuovere una azione che blocchi la scelta delle Ferrovie di abbandonare completamente la Calabria»;
   quando si considerano interventi di questa portata non si possono trascurare aree come la Calabria, storicamente svantaggiate, con infrastrutture ferroviarie arretrate e l'assenza decennale di investimenti che ledono fortemente il sistema produttivo e la qualità di vita dei cittadini;
   ottenere un incremento dei livelli occupazionali in un territorio nel quale i livelli di disoccupazione sono notevoli andrebbe nella direzione dell'auspicato rilancio del Mezzogiorno, ad oggi, mero argomento di sterili quanto utilitaristici proclami politici –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno assumere iniziative affinché Trenitalia, azienda partecipata al 100 per cento da Ferrovie dello Stato italiane riveda le politiche di investimento e di sostegno alla mobilita ferroviaria che, allo stato attuale, non rispondono alle istanze territoriali e sono foriere di gravi conseguenze in termini di sviluppo per la regione Calabria. (5-05342)

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 25 febbraio 1992, n. 210, è stato riconosciuto l'indennizzo in favore dei soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie ed emotrasfusioni;
   in particolare, l'articolo 1 della legge ha individuato la platea dei beneficiari, ampliandoli rispetto alla sola fattispecie dei soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, mentre l'articolo 2 ha previsto che l'indennizzo consista in un assegno, reversibile per quindici anni, cumulabile con ogni altro emolumento a qualsiasi titolo percepito e rivalutato annualmente sulla base del tasso di inflazione programmato, e che esso sia integrato da una somma corrispondente all'importo dell'indennità integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324;
   la rivalutazione su base annua secondo il tasso d'inflazione di cui all'articolo 2 non era prevista dal testo iniziale di detta disposizione ma fu introdotta con l'articolo 1, comma 1, della legge 25 luglio 1997, n. 238, mentre nulla fu disposto in merito alla rivalutazione della seconda componente dell'indennizzo, cioè la somma corrispondente all'importo dell'indennità integrativa speciale, ancorché questa avesse per l'appunto funzione integrativa dell'indennizzo medesimo;
   in proposito, nel corso degli anni, si è registrato un orientamento giurisprudenziale oscillante, e un intervento legislativo adottato il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, diretto ad escludere la rivalutazione anche dell'indennità integrativa speciale è stato in seguito dichiarato incostituzionale dalla Consulta con la sentenza n. 293 del 2011;
   nel 2013, con la sentenza del 3 settembre, anche la Corte europea dei dritti dell'uomo ha disposto a carico dello Stato italiano l'obbligo di liquidazione ai titolari dell'indennizzo di cui alla legge n. 210 del 1992 degli importi maturati a titolo di rivalutazione dell'indennità integrativa speciale;
   a seguito di tale pronuncia, la legge di stabilità per il 2014 ha disposto l'incremento di cinquanta milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015 dell'autorizzazione di spesa della legge 210 del 1992;
   la legge di stabilità per il 2015 ha previsto l'attribuzione alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano di un contributo di 100 milioni di euro per l'anno 2015, di 200 milioni di euro per l'anno 2016, di 289 milioni di euro per l'anno 2017 e di 146 milioni di euro per l'anno 2018 per fare fronte agli oneri derivanti dalla corresponsione degli indennizzi e il pagamento degli arretrati della rivalutazione dell'indennità integrativa speciale fino al 31 dicembre 2011;
   in base alla norma il contributo deve essere ripartito tra le regioni e province autonome interessate mediante un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, da adottare entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge di stabilità, in proporzione del fabbisogno comunicato dalla Conferenza delle regioni e delle province entro il 31 gennaio 2015;
   allo stato non risulta ancora essere stato adottato il decreto per la ripartizione delle somme e le conseguentemente ancora in attesa di ricevere le somme necessarie, non possono corrispondere quanto dovuto, mentre migliaia di persone attendono invano di vedersi riconosciuti gli importi spettanti –:
   quali siano i motivi per la mancata emanazione del citato decreto ministeriale e se non ritengano di procedere alla sua immediata adozione, al fine di consentire alle regioni di corrispondere quanto dovuto ai beneficiari. (4-08789)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   ANTIMO CESARO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dei noti fatti del tribunale di Milano (dove hanno perso la vita tre persone, tra cui un avvocato ed un giudice della sezione fallimentare), sono stati adottati diversi provvedimenti dalle autorità preposte, al fine di garantire maggiore sicurezza nei palazzi di giustizia;
   tali misure, sia pur necessarie hanno di fatto creato (e creano) numerosi disagi agli operatori di giustizia, primi tra tutti agli avvocati, che per entrare nei tribunali sono costretti a numerose e snervanti code prima di poter iniziare ad esercitare la loro funzione di difesa, costituzionalmente garantita;
   la scelta di sottoporre a controllo e perquisizione gli avvocati incide negativamente sull'immagine e sul delicato ruolo dell'avvocatura;
   il palazzo di giustizia di Napoli, già tristemente noto in tutta Italia per le numerose file agli ascensori e la sistematica violazione di tutte le norme sulla sicurezza sui luoghi di lavoro (per esempio: il pronto soccorso è ubicato al terzo di 25 piani e la barella per il trasporto extra-ospedaliero non entra negli ascensori) è, inoltre, ai limiti del collasso dopo l'accorpamento delle sezioni distaccate;
   i tempi di attesa si aggirano intorno alle tre ore per chi arriva alle 9:00 e le file di avvocati si allungano sui marciapiedi tra le auto, rendendo necessario l'intervento della polizia penitenziaria e della polizia di Stato;
   occorrono misure di sicurezza al passo con la moderna tecnologia, comunque rispettose della dignità della professione forense, attuative di controlli celeri, reali ed efficaci, al fine di permettere il regolare svolgimento dell'amministrazione della giustizia;
   anche a seguito della revoca delle norme di sicurezza che imponevano a tutti di passare sotto i metal detector (si evidenzia il funzionamento di uno soltanto) da parte del procuratore generale della corte d'appello di Napoli, dottor Luigi Mastrominico, la situazione rimane grave e pericolosa, meritevole, pertanto, della massima attenzione da parte del Ministero –:
   quali misure si intendano adottare per il palazzo di giustizia di Napoli e le altre sedi dei tribunali in Italia, al fine di conciliare le esigenze di sicurezza, nonché di celere e ordinata amministrazione della giustizia, con il rispetto della dignità di tutti i lavoratori e della professione forense in particolare. (3-01443)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VALIANTE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in seguito all'azione criminale di Claudio Giardello, che lo scorso giovedì 9 aprile si introduceva nel tribunale di Milano armato e colpiva a morte il giudice Fernando Ciampi, l'avvocato Lorenzo Claris Appiani e il coimputato nel processo Giorgio Erba, molti tribunali hanno adottato nuove regole più severe per il controllo dei varchi di ingresso. Nella giornata dello scorso lunedì 13 aprile, nei tribunali di Napoli e Napoli Nord si sono registrati grossi disagi causati da code interminabili ai varchi di ingresso per procedure di controllo più capillari ma lente (alle quali sono stati sottoposti anche gli avvocati) e mancanza di strumentazione sufficiente che hanno sostanzialmente compromesso la regolare amministrazione della giustizia. Molte cause sono state rinviate d'ufficio e vi sono state accese contestazioni sia da parte dell'utenza sia da parte dei professionisti già provati da una non agevole quotidianità lavorativa. Nella mattinata di ieri 14 aprile, come ampiamente riportato dalle cronache locali e nazionali, il ripresentarsi delle medesime problematiche acuite dalla giornata di maggiore afflusso presso gli uffici giudiziari, ha generato una forte contestazione, degenerata in episodi di violenza che hanno determinato la rottura di una porta a vetro ed il ferimento di due agenti della polizia penitenziaria e tre della polizia di Stato –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere, per una rapida soluzione del problema garantendo controlli sicuri con sufficienti apparecchiature e modalità uniformi garantendo il regolare ed ordinato svolgimento della amministrazione della giustizia. (5-05345)


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, ROSTELLATO e SEGONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è di questi giorni la notizia di un fatto gravissimo avvenuto nel tribunale di Milano;
   il signor Claudio Giardiello s'introduceva nel tribunale di Milano da un ingresso senza metal detector, riservato agli avvocati e agli operatori del tribunale, mostrando il portafogli davanti ai vigilantes, probabilmente simulando di avere un tesserino che gli consentiva l'accesso;
   il signor Giardiello, portava con sé anche una pistola, in un sacchetto di carta, che avrebbe poi usato di lì a poco, dopo essersi recato nella stanza del tribunale che trattava una causa relativa al fallimento dell'azienda immobiliare della quale era stato socio ed amministratore;
   una volta nella stanza dell'udienza il signor Giardiello ha aperto il fuoco uccidendo il giudice Fernando Ciampi, dell'ex socio Giorgio Erba e dall'avvocato Lorenzo Appiani, che si accingeva a testimoniare, e ferendo il nipote Davide Limongelli, 41 anni, che si è salvato ed il commercialista Stefano Verna;
   successivamente ha lasciato indisturbato il tribunale si è allontanato dal luogo degli omicidi in scooter per oltre 30 chilometri, in provincia di Milano dove è stato fermato ed arrestato;
   questo tragico episodio mette in evidenza che qualcosa nei controlli di sicurezza necessari all'accesso al tribunale non abbia funzionato;
   nei tribunali operano molte figure: cancellieri, avvocati e giudici che in molti casi seguono anche questioni delicate che potrebbero esporre loro al pericolo di gesti anche violenti come quello in esame;
   resta da definire quali siano i sistemi di controllo maggiormente efficaci al fine di garantire che in tali luoghi non vengano introdotte armi;
   i sistemi di sicurezza all'entrata dei tribunali d'Italia sono lasciati del tutto alla capacità di pianificazione del singolo tribunale;
   nel tribunale penale di Venezia con sede a palazzo Cavalli dove ha sede la procura, l'ufficio gip e il tribunale monocratico, i metal detector non sono mai entrati in funzione, nel tribunale civile e nella corte d'appello (a Palazzo Grimani), l'accesso è libero, senza controllo, tranne due agenti che sorvegliano l'ingresso;
   a quanto consta agli interroganti a Verona gli avvocati devono strisciare un badge ma passano da un varco senza rilevatori elettromagnetici; il parco è controllato invece per i visitatori, ma l'accesso con i veicoli, consentito ad avvocati ed operatori del tribunale, non passa alcun controllo;
   a parere degli interroganti risulta quanto mai necessario mettere a regime un piano di controlli a livello nazionale che preveda un diffuso uso dei metal detector ed investire sulla presenza delle forze dell'ordine all'interno dei tribunali –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se abbia o possa fornire dati statistici relativi ai sistemi di controllo utilizzati per l'accesso ai tribunali italiani, anche relativamente ad episodi di aggressioni con armi da fuoco che si siano verificati negli ultimi 15 anni;
   se e quali iniziative abbia intenzione di adottare al fine di regolamentare a livello nazionale i controlli di sicurezza per l'accesso ai tribunali italiani;
   se ritenga che la situazione degli accessi del tribunale di Verona e Venezia assicuri un adeguato controllo degli accessi e adeguati parametri di sicurezza all'interno degli stessi tribunali;
   se ritenga sufficienti i controlli ad oggi previsti presso il tribunale di Verona anche in riferimento all'accesso carraio che può avvenire senza scendere dal veicolo e senza che sia identificato il conducente, con l'utilizzo di un badge in assenza di controlli ulteriori. (5-05357)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'ex sindaco di Castellammare di Stabia Luigi Bobbio, ancora esponente di spicco del centrodestra locale, è attualmente magistrato civile di stanza al tribunale di Nocera Inferiore;
   il 9 aprile 2015, commentando la sospensione comminata dal social network «FaceBook» al segretario della Lega Nord Matteo Salvini, sul proprio profilo personale Bobbio ha pubblicato un post in cui affermava: «Voglio essere sospeso anche io: ZINGARI, ZINGARI, ZINGARI ! E se mi va, anche :ZINGARI DI... A !»;
   è del tutto evidente, al netto di ogni possibile ragionamento sulla libertà d'espressione, il carattere razzista delle parole di Luigi Bobbio nei confronti dell'etnia rom;
   l'evidente atteggiamento discriminatorio nei confronti dell'etnia rom manifestato dal magistrato pone, a giudizio dell'interrogante, seri dubbi sulla sua capacità di mantenersi terzo ed imparziale (come la figura del magistrato prevederebbe) laddove dovesse trovarsi a giudicare procedimenti che vedano coinvolti soggetti di origine rom;
   i fatti narrati sono riportati anche nell'articolo pubblicato il 10 aprile 2015 dal quotidiano d'informazione online «Stabia24» con il titolo «Castellammare, Bobbio “ignorato” anche da Facebook: “ZINGARI di ....A !”, ma non viene sospeso come Salvini» –:
   se ritenga che sussistano i presupposti per promuovere l'iniziativa disciplinare in relazione ai fatti esposti in premessa. (4-08801)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIPRINI, GALLINELLA e TERZONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la nota trasmissione televisiva di inchiesta «Report» condotta da Milena Gabanelli, ha raccolto la testimonianza di un operaio che avrebbe lavorato al maxi cantiere della Quadrilatero che sta realizzando l'opera Foligno-Civitanova che dovrebbe essere ultimata a breve;
   l'intervista raccolta da Giovanna Boursier avanza dubbi sulla sicurezza dell'opera: «Questa è la volta della galleria – dice l'operaio mentre in video lo si vede disegnare una sezione della galleria La Franca – in questi due punti che devono tenere lo sforzo, qua cemento non ce n’è. Ce ne sono 10 centimetri quando dovrebbe essercene 40 o 50. Non c’è spessore, può cascare. Essendo zona sismica poi, trema, si rompe e chi passa sotto...» (Giornale dell'Umbria dell'11 aprile 2015);
   l'operaio pone dei dubbi sui materiali e l'insufficienza del cemento utilizzato per realizzare l'opera;
   il presidente dell'Anas Pietro Ciucci avrebbe già annunciato una indagine replicando sulla sicurezza della galleria;
   gravi e preoccupanti rimangono le dichiarazioni rese alla trasmissione televisiva Report –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo in ordine ai fatti esposti;
   se sia intenzione del Ministro aprire una formale indagine tecnica e amministrativa ovvero avviare una ispezione in ordine alla realizzazione dei lavori della galleria La Franca del maxilotto 1 della Quadrilatero della Foligno-Civitanova, al fine verificare la conformità dell'opera e dei materiali utilizzati ai migliori standard di qualità, quantità e sicurezza previsti dalla legge e dalla tecnica delle costruzioni. (4-08786)


   D'ALIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 7 novembre 2014 è stata sottoscritta la convenzione di concessione tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la società del progetto Autostrada Ragusa-Catania, costituita da un'associazione di imprese composta da Silec s.p.a., Mec s.p.a., Egis projects S..A.. Tecnis s.p.a. aggiudicataria della realizzazione del raddoppio del collegamento Catania-Ragusa compreso tra lo svincolo della strada statale 514 con la strada statale 115 e lo svincolo della 194 Ragusana con la strada statale 114;
   la convenzione prevede trentanove anni di concessione, di cui quattro e mezzo per la realizzazione di un collegamento di 68 chilometri tra il territorio di Ragusa e la futura autostrada Catania-Siracusa nel comune di Augusta. L'autostrada include 19 viadotti, 8 gallerie e 11 svincoli;
   il Governo che avrebbe dovuto dare seguito a tale opera non l'ha inserita nell'allegato infrastrutture al documento di economia e finanza 2015. A parere dell'interrogante, pertanto, non appare condivisibile la previsione che ritiene che l'opera, pur non essendo stata inserita nel documento di economia e finanze, possa essere realizzata, anche senza un'adeguata copertura finanziaria;
   è necessario, quindi, chiarire le ragioni che hanno determinato la decisione suddetta che avrà gravi ripercussioni per la viabilità dell'isola penalizzando i cittadini e l'economia dell'intera regione –:
   quali siano le ragioni del mancato inserimento dell'opera che assicura il raddoppio del collegamento Catania-Ragusa nell'allegato infrastrutture al documento di economia e finanza;
   se non sia necessario rivedere tale decisione che penalizza fortemente un territorio su cui grava una drammatica crisi economico-sociale che potrà determinare forti ripercussioni negative sui cittadini e sulle imprese dell'isola. (4-08788)


   VARGIU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con determinazione area tecnica n.14 del 19 febbraio 2015, il comune di Narbolia (OR) ha indetto una gara d'appalto per "Interventi di efficientamento energetico degli edifici della scuola Media Statale – P.O.R. Sardegna Obiettivo competitività regionale e occupazione FESR 2007 – 2013";
   lo stesso comune di Narbolia ha ritenuto di non dover gestire le procedure di gara direttamente attraverso i propri uffici, ma attraverso il ricorso ad una stazione unica appaltante affidataria, esterna all'amministrazione stessa;
   tale procedura, per quanto lecita, configura la situazione in cui l'ente a cui è affidata la responsabilità di appaltare i lavori richiede una fornitura esterna di servizi ad un soggetto terzo che, per conto dell'affidatario, cura tutte le procedure di gara;
   in questo contesto, la centrale appaltante esterna fornisce al comune di Narbolia competenze e attività che debbono essere adeguatamente remunerate;
   nel caso specifico, il comune di Narbolia ha disposto che la remunerazione della centrale di committenza esterna avvenisse a carico degli stessi partecipanti al bando ai quali era richiesto di sottoscrivere – tra i documenti indispensabili alla partecipazione – un «atto unilaterale d'obbligo», attraverso cui essi si impegnavano, nel caso di aggiudicazione della gara, a corrispondere una somma pari all'1,5 per cento dell'importo aggiudicato, quale corrispettivo dei servizi svolti al comune di Narbolia da parte della centrale di committenza che aveva materialmente gestito le procedure relative all'appalto stesso;
   tale pratica che comporta la richiesta all'aggiudicatario dell'importo delle spese di gestione della gara va diffondendosi sempre di più nel settore degli appalti pubblici, generando naturali problemi di controllo e garanzia delle caratteristiche dei gestori di tali servizi e comportando l'intervento dell'ANAC – Autorità nazionale anticorruzione che, in data 25 febbraio 2015, adottava l'atto di segnalazione n. 3 con cui raccomandava l'adozione di un provvedimento normativo che vietasse espressamente di porre a carico dell'aggiudicatario le spese di gestione della procedura;
   tale invito appare tutto coerente con la valutazione di buon senso che rende confliggenti gli interessi della pubblica amministrazione appaltante con quelli della centrale di committenza affidataria;
   la quantificazione dell'onorario di quest'ultima in termini percentuali sull'importo di aggiudicazione della gara rende infatti divergenti gli interessi della pubblica amministrazione (che mira ad aggiudicare all'importo più contenuto) rispetto a quelli della centrale di committenza affidataria che, a sostanziale parità di servizi erogati, incasserà un onorario tanto più elevato, quanto maggiore è l'importo di aggiudicazione della gara; in altre parole, se la gestione dell'appalto avvenisse nel modo più vantaggioso per la pubblica amministrazione, tale situazione sarebbe assolutamente svantaggiosa per la centrale di committenza, che vedrebbe proporzionalmente ridursi il proprio onorario (calcolato in termini percentuali rispetto all'importo di aggiudicazione);
   tale situazione appare dunque decisamente insostenibile, in primo luogo perché è stato imposto un onere accessorio e improprio ai partecipanti alle gare pubbliche e, come stabilisce l'articolo 23 della Costituzione: «Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge», sia perché tale onere viene attualmente imposto in maniera contraddittoria rispetto agli interessi della buona amministrazione della cosa pubblica –:
   quali iniziative normative intenda immediatamente adottare per risolvere le contraddizioni dell'attuale situazione in materia di procedure di pagamento del servizio delle eventuali centrali esterne di committenza delegate alla gestione delle procedure di gara di appalti pubblici, anche raccogliendo le indicazioni dell'atto di segnalazione in materia, adottato dall'ANAC in data 25 febbraio 2015. (4-08792)

INTERNO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

I Commissione:


   GIGLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la registrazione sui registri dello stato civile dei matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all'estero continua a diffondersi per iniziativa di alcuni sindaci anche dopo che a più riprese il Ministero dell'interno e lo stesso TAR del Lazio ne hanno ribadito l'illegittimità;
   in data 27 marzo 2015, il Sottosegretario Bubbico rispondeva ad una interpellanza presentata dal firmatario del presente atto, concernente l'adozione di opportune iniziative anche di tipo normativo volte a consentire all'autorità giudiziaria di intervenire sui registri dello stato civile, in particolare per la trascrizione nei registri dello stato civile dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, celebrati all'estero;
   il rappresentante del Governo rilevava, in quell'occasione, che l'ordinamento già prevede la possibilità per l'interessato di ottenere la cancellazione di un atto indebitamente trascritto nei registri dello stato civile, proponendo ricorso al tribunale competente e che un analogo potere di iniziativa compete anche al procuratore della Repubblica;
   da quelle parole, in pratica, si evince la convinzione da parte del Ministero stesso che esista già il quadro normativo per potere rimettere in discussione le trascrizioni attraverso un'azione diretta degli interessati o un'azione dei tribunali;
   l'accettazione passiva dello stato di fatto ha l'inevitabile conseguenza del perpetuarsi e dell'estendersi delle situazioni di illegittimità, peraltro ampiamente note per il rilievo dato a esse dai mezzi di comunicazione di massa –:
   se ritenga opportuno che i cittadini debbano farsi carico come singoli cittadini di tale compito o se, piuttosto, non reputi che sia l'autorità competente, che ha rilevato questa illegittimità, a dover farsi carico di chiedere alla magistratura di intervenire, auspicando in tal caso una precisa disposizione del Ministero a tutti i prefetti interessati. (5-05346)


   COZZOLINO e DIENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la penetrazione di affiliati all'Isis, Stato islamico dell'Iraq e della Siria, in territorio italiano, sfruttando le strutture logistiche di organizzazioni criminali già presenti in loco è uno dei rischi che l'Italia è chiamata a fronteggiare per impedire l'emergere di una seria minaccia terroristica sul territorio nazionale;
   riguardo a questo è stato chiaro il procuratore di Reggio, Calabria Federico Cafiero de Raho secondo il quale, come emerge da quanto riportato dall'agenzia Ansa in data 22 febbraio 2015, «qualora l'Isis volesse infiltrarsi sul territorio italiano, in Calabria potrebbe trovare appoggi logistici dalla ‘ndrangheta in cambio di armi e droga», che ha poi aggiunto come questa «sia una ipotesi da percorre, su cui vale la pena lavorare e su cui tenere un'attenzione molto alta»;
   secondo Raho «è chiaro che in un territorio così capillarmente controllato dalla ‘ndrangheta il terrorismo può avere un appoggio logistico, coperture in aziende agricole, in terreni di montagna o coperture attraverso documenti falsificati in cambio di armi e droga»;
   sempre secondo le dichiarazioni del procuratore, «la ‘ndrangheta è un'organizzazione criminale che si muove per finalità di profitto, quindi ovunque c’è un profitto, un interesse»;
   occasioni di guadagno connesse al traffico di armi e di droga, specie l'eroina, si consoliderebbero, secondo Cafiero de Raho, attraverso un'alleanza con lo Stato Islamico;
   d'altro canto, secondo il procuratore, la ‘ndrangheta è protagonista nell'importazione di cocaina dai Paesi sudamericani, ma anche di eroina proveniente da Turchia, Iraq, Nigeria;
   a queste ipotesi ad oggi non sembrano pervenute convincenti risposte dal Ministro dell'interno, che si è limitato a dichiarare che «c’è collaborazione con le procure e siamo in attesa di qualunque elemento possano darci, auspicando che il loro lavoro ci fornisca certezze dal punto di vista giuridico» –:
   se, allo stato, le autorità di pubblica sicurezza siano in possesso di elementi atti ad ipotizzare come possibili o attualmente in corso contatti tra organizzazioni terroristiche di matrice islamica e la criminalità organizzata italiana. (5-05347)


   GELMINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   tra pochi giorni prenderà il via Expo Milano 2015, evento mondiale che attrarrà milioni di visitatori da ogni parte d'Italia e del mondo;
   il contesto internazionale desta concrete preoccupazioni, in particolare per i rischi di attacchi terroristici connessi soprattutto all'Isis, dopo gli attentati in Europa e la recente strage di Tunisi dove hanno perso la vita anche turisti italiani e dopo le minacce all'Italia contenute in documenti propagandistici ad opera di jihadisti dello Stato islamico;
   Milano è città strategica per la sua posizione geografica, di porta tra il Nord e il Sud dell'Europa e di ponte con l'area del Mediterraneo;
   Milano può essere considerata come base potenziale per organizzazioni e cellule terroristiche e ha già registrato l'espulsione di persone collegate a centri islamici come la moschea di viale Jenner sospettate di predicare la jihad ed essere reclutatori di terroristi;
   il tribunale di Milano è stato teatro solo pochi giorni fa di una strage rivelatrice di falle nei sistemi di sicurezza;
   l'aspetto della sicurezza preoccupa i cittadini, le imprese, le istituzioni e anche i sindacati delle forze dell'ordine;
   Expo Milano 2015 deve rappresentare un'occasione di sviluppo per Milano, la Lombardia e il Paese e deve quindi venire percepito come evento aperto, fruibile, che consente la massima libertà di incontro e di movimento –:
   quali siano gli strumenti aggiuntivi messi in campo dal Governo per rendere sicuri il sito di Expo e la città di Milano, e, quindi, le misure per la gestione ordinaria dei sei mesi dell'evento non solo all'interno del sito Expo ma anche nel territorio circostante e soprattutto nella città di Milano, quali siano le indicazioni rispetto alle forze in campo, considerata la scarsità di addetti, di mezzi, di risorse e i tagli effettuati dal Governo, e quali siano, in particolare, le misure di sicurezza straordinaria approntate per il giorno dell'inaugurazione, il prossimo primo maggio, momento di estrema visibilità per la partecipazione di personalità di rilevanza internazionale. (5-05348)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TERROSI, ALBINI, CARRA, FONTANELLI, MAZZOLI, MINNUCCI e VILLECCO CALIPARI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le strutture centrali e territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco sono state di recente sottoposte a riorganizzazione mediante l'ultimo progetto di riordino;
   alcuni princìpi fondamentali sui quali si basa tale progetto fanno riferimento alla «centralità dei bisogni e delle aspettative del cittadino», allo «sviluppo del modello organizzativo sulla base delle esigenze territoriali», alla «uniformità della risposta ed omogeneità della distribuzione di risorse in ambito territoriale» ed infine alla «individuazione di interventi tesi ad ottimizzare i livelli di efficienza e definizione di esigenze per il mantenimento e il miglioramento della qualità del servizio»;
   il progetto, partendo dalla esigenza del territorio, ridefinisce la mappatura delle sedi (centrali e distaccate) che vengono riclassificate in base a indicatori riconducibili al rischio territoriale, alla popolazione, all'estensione territoriale, allo sviluppo industriale e commerciale;
   il riordino si basa sull'analisi della domanda di soccorso tecnico urgente espressa dal territorio, ponendosi come obiettivo l'offerta di un servizio pienamente rispondente alle aspettative dei cittadini sia in termini di efficacia sia in quelli di efficienza;
   nella, provincia di Viterbo, a seguito della attuazione del piano di riordino, sono attualmente presenti un nucleo attivo presso il capoluogo di provincia e due distaccamenti rispettivamente situati nei comuni di Gradoli e Civitacastellana;
   nel comune di Tarquinia, da circa dieci anni, è attivo un distaccamento per la copertura del servizio nelle ore diurne (8:00 - 20:00), gestito attraverso una convenzione con la regione Lazio e allocato in un immobile i cui costi sono a totale carico del comune;
   la squadra AIB copre un territorio vasto, nel quale insistono una delle strade più trafficate e pericolose d'Italia, la statale Aurelia, e la costruenda autostrada tirrenica ad elevato scorrimento ed ha competenza su circa 45.000 abitanti, con circa 500 interventi annui effettuati, a cui vanno sommati quelli eseguiti nelle ore notturne dal comando provinciale di Viterbo;
   in più occasioni, e in ultimo il 20 febbraio 2015, nella cittadina del litorale viterbese si sono verificati episodi che hanno richiesto l'intervento notturno dei vigili del fuoco, ma, in questi casi, i tempi di soccorso non sono stati inferiori ai 45-50 minuti, visto che il comando di Viterbo dista 45 chilometri, mentre il comando di Civitavecchia, distante 20 chilometri, copre il territorio con difficoltà, operando in un contesto complesso che annovera il porto crocieristico più grande del Mediterraneo, una centrale elettrica e una città con oltre sessanta- mila abitanti;
   nel progetto elaborato dal Ministero dell'interno che individuò 120 nuovi distaccamenti al fine di assicurare ad ogni zona del Paese di poter essere raggiunta dai vigili del fuoco in un tempo massimo di 20 minuti, la città di Tarquinia è inserita tra le «priorità per l'apertura di distaccamenti permanenti di progetto»;
   nel comune di Tarquinia insiste un immobile di proprietà dell'agenzia regionale per lo sviluppo e l'innovazione in agricoltura (ARSIAL) che potrebbe ospitare a costo zero il «polo della sicurezza» costituito dai vigili del fuoco, dal presidio 118 e da quello della protezione civile regionale. Quest'ultima avrebbe nelle proprie disponibilità i fondi necessari per i lavori di messa a norma della struttura sopra citata;
   la nascita di un «polo della sicurezza» nel comune di Tarquinia è auspicata considerando che negli ultimi anni la zona del litorale viterbese è stata interessata da due eventi alluvionali importanti – uno nel comune di Montalto di Castro e uno nel comune di Tarquinia – e una tromba d'aria verificatasi nell'estate del 2014 –:
   se non ritenga, in considerazione dell'estensione del territorio e della popolazione interessata, dei tempi di percorrenza necessari per raggiungere Tarquinia dai più vicini comandi, della necessità di rispondere tempestivamente alla richiesta di soccorso, dell'inserimento della città di Tarquinia nel progetto soccorso Italia in 20 minuti tra le priorità di apertura di distaccamenti permanenti, della possibilità di avere a disposizione una sede a «costo zero», in conformità con quanto previsto dalle norme in materia di spending review, nella quale verrebbe alloggiato il cosiddetto «polo della sicurezza», di istituire a Tarquinia un distaccamento permanente dei vigili del fuoco. (5-05343)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   alcune fonti di stampa locale hanno portato alla luce un episodio, a dir poco increscioso, verificatosi in territorio siciliano il 3 aprile 2015 e che merita di essere approfondito;
   in particolare, secondo quanto riportato dai giornali, una decina di nigeriani, tutti richiedenti asilo politico sono stati traspostati da Geraci Siculo, in provincia di Palermo, a Corleone perché la struttura di Geraci non li poteva più ospitare;
   nonostante la sistemazione fosse più che buona, trattandosi dell'ex hotel 3 stelle Belvedere, a soli 600 metri dal paese e ospitante già altri migranti richiedenti asilo politico, il gruppo dei nigeriani si sarebbe rifiutato di scendere dal pullman perché riteneva la sistemazione troppo isolata e avrebbe preteso di essere trasportato a Palermo;
   sarebbe cominciato così un braccio di ferro tra i nigeriani e la prefettura, braccio di ferro risoltosi a favore dei migranti che sono stati trasferiti a Palermo;
   osservatori silenziosi di quanto accaduto i poliziotti e carabinieri che hanno mantenuto la calma e garantito, come sempre, la sicurezza di tutti;
   la vicenda, che ha davvero dell'incredibile, ha sollevato numerose polemiche e, in particolare, la ferma denuncia del dirigente nazionale Consap, Igor Gelarda: «Mentre lo Stato risparmia per ogni cosa che riguarda la sanità, l'istruzione e la sicurezza in particolare, mi pare che per i migranti non ci sia crisi. Senza contare che poliziotti e carabinieri, piuttosto che essere impegnati nelle normali attività di controllo del territorio, hanno dovuto vigilare questo gruppo di immigranti, come se fossero dei ragazzi discoli che hanno deciso di fare le bizze. E che alla fine l'hanno avuto vinta. E nel frattempo ci sono palermitani senza casa che vivono per strada, in auto, o in alloggi di fortuna !»;
   l'analisi del complesso fenomeno dell'immigrazione nel nostro Paese risulta difficile per la mancanza di dati certi sui flussi migratori e la carenza di informazioni precise sulla situazione degli immigrati;
   i dati del Viminale, aggiornati al 31 ottobre 2014, parlano 61.238 immigrati attualmente presenti sul territorio italiano: nello specifico, 32.335 sono ospitati in strutture temporanee, altri 10.206 vivono nei centri governativi per richiedenti asilo, 18.697 occupano invece gli spazi dedicati ai rifugiati (Sprar);
   lascia l'amaro in bocca vedere che, mentre vengono spesi numeri da capogiro per mantenere gli immigrati, il Governo continua a tagliare quasi la stessa cifra al Ministero della difesa e circa la metà al comparto sicurezza e, ancor più, sapere che il nostro Paese è persino vittima della condotta, ad avviso dell'interrogante, inaccettabile delle persone accolte –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda adottare per fare immediata chiarezza su questa vicenda, anche al fine di accertare eventuali responsabilità a carico della prefettura e se ci sono stati costi aggiuntivi per questa gestione «anomala» dei migranti. (4-08781)


   GREGORI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il personale infermieristico della polizia di Stato svolge la propria attività professionale presso le strutture sanitarie presenti in 70 delle 103 questure italiane, presso gli istituti di istruzione della polizia, presso i 14 reparti mobili e presso strutture sanitarie periferiche che richiedono la presenza di personale qualificato;
   si tratta di personale altamente qualificato e competente che tuttavia a causa del decreto ministeriale del 18 luglio 1985, inquadra il personale infermieristico laureato della polizia di Stato, nel ruolo di revisori tecnici sanitari, di fatto operando un evidente demansionamento del personale;
   tale demansionamento viene ad operare, sia subordinando gli assunti con laurea, ai diplomati dei ruoli periti e direttivi speciali, ed alle altre professioni sanitarie non mediche; sia attraverso un inquadramento in una carriera esecutiva, quella dei revisori, destinata ai possessori di licenza, media o qualifica professionale di tipo regionale, sia applicando all'infermiere della polizia il decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo 1974, n. 225, o la legge n. 42 del 1999, e successive innovazioni legislative anche di rango superiore;
   da ultimo, tale trattamento è stato riservato anche in occasione dell'ultimo concorso esterno per 56 posti da infermiere, bandito nel 2013. Essi sono stati a giudizio dell'interrogante arbitrariamente, inquadrati nel ruolo dei revisori tecnici senza procedere ad un adeguato inquadramento sulla base della loro professionalità acquisita, anche in contrasto con la normativa vigente che vuole l'obbligo di iscrizione all'albo professionale degli infermieri, per tutti gli esercenti la professione e dunque anche per gli infermieri della polizia –:
   se il Ministro non intenda assumere iniziative per provvedere ad un inquadramento degli infermieri nel ruolo iniziale dei direttivi tecnici della polizia di Stato;
   se non s'intenda, come previsto dalla vigente normativa, introdurre l'obbligo di iscrizione all'albo professionale degli infermieri per tutto il personale infermieristico della polizia di Stato, sanando l'anomalia che divide la polizia dalle altre pubbliche amministrazioni;
   se s'intendano assumere iniziative per una revisione del decreto ministeriale di cui in premessa, procedendo ad una completa rivisitazione dell'inquadramento degli infermieri allo stesso livello del personale infermieristico operante nelle pubbliche amministrazioni. (4-08782)


   BONAFEDE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel corso degli anni è stata più volte prospettata, per via del continuo incremento delle attività criminose, l'apertura di un commissariato di polizia a Follonica (GR) che avesse competenza sull'intero territori delle colline metallifere, area che conta circa 40.000 abitanti, ricomprendendo, insieme a Follonica, i comuni, di Massa M.ma, Gavorrano, Scarlino, Montieri e Monterotondo;
   detta popolazione, data la vocazione turistica del territorio considerato, nei mesi estivi, arriva a triplicarsi con un conseguente aumento di reati (furti, rapine, assalti ai portavalori, accattonaggio molesto, fenomeni di violenza legati all'abuso di alcool, danneggiamento al patrimonio pubblico e privato, occupazione abusiva di immobili, abusivismo commerciale) che vede peraltro in Follonica, il crocevia dello spaccio di stupefacenti e dello sfruttamento della prostituzione;
   nella piana di Scarlino insistono impianti di trattamento rifiuti e industrie chimiche, ciclicamente oggetto anche di indagini della direzione investigativa antimafia;
   i commissariati di pubblica sicurezza più prossimi a Follonica distano ben 30 e 45 chilometri trovandosi, rispettivamente, a Piombino e a Grosseto –:
   se non si ritenga di dover esaminare con attenzione l'opportunità e/o la necessità di istituire un commissariato di polizia a Follonica. (4-08784)


   CARIELLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'area della città metropolitana di Bari, ancora oggi sono numerosi i fatti criminosi dei quali i cittadini di suddette zone geografiche rimangono vittime quotidianamente;
   già, a tal proposito, sono state presentate, al Ministro interrogato, le interrogazioni parlamentari a risposta scritta n. 4-07908 presentata dall'onorevole Brescia Giuseppe e n. 4-08523 presentate dal firmatario del presente atto inerenti a fatti criminosi che si registrano frequentemente nell'arca pugliese in parola e che continuano a diffondere nel sentire comune un senso di profonda insicurezza e di totale assenza di tutela da parte dello Stato, garante della sicurezza ai sensi dell'articolo 22 della Costituzione italiana;
   fonti di cronaca riportano ed evidenziano, nella città di Giovinazzo, area metropolitana di Bari, il verificarsi di gravi episodi di criminalità che si sono estrinsecati in un arco temporale molto ristretto, ovvero di poche settimane, l'uno dall'altro. Si segnala, infatti, che:
    a) in data 23 marzo 2015 veniva ucciso, in tarda serata nella Piazza Garibaldi, di Giovinazzo, con cinque colpi di pistola al torace e al volto, un giovane di età 22 anni, Gaetano Spera, noto agli inquirenti per spaccio di sostanze stupefacenti seppur non risultante pregiudicato;
    b) in data 4 aprile 2015 nella notte tra le ore 01.30 e 06,00 a.m. sono state vittima di un incendio doloso due imbarcazioni attraccate nella stazione marittima di Giovizzano. I roghi divampati nelle circostanze di luogo e di fatto esposte andavano a danneggiare strutture e imbarcazioni circostanti, cosa che ha richiesto l'intervento dei vigili del fuoco del luogo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei sopracitati gravi fatti criminosi e se, alla luce di quanto enunciato, intenda, seppur nell'ambito della riorganizzazione e razionalizzazione dei Corpi di polizia e dei Corpi armati, garantire un maggior presidio delle medesime nelle zone del Mezzogiorno maggiormente interessate da fenomeni di criminalità organizzata nonché adottare provvedimenti al fine di potenziare, nella città di Bari e in tutto il territorio pugliese, l'organico delle forze dell'ordine in modo da fronteggiare e contrastare efficacemente i fenomeni criminali garantendo alla cittadinanza e alla popolazione la concreta attuazione del diritto alla sicurezza, riconosciuto dalla Carta Costituzionale Italiana all'articolo 22. (4-08800)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo pubblicato sul sito internet «Infovizzini.it» il 31 marzo 2015 si apprende che gli operatori in servizio presso la struttura di Vizzini (CT) che ospita i migranti del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), non riceverebbero lo stipendio da 4 mesi. Le retribuzioni, infatti, sarebbero ferme al mese di novembre del 2014;
   in particolare, si tratta dei lavoratori delle cooperative «Il Sorriso» e «San Francesco», che gestiscono per conto del consorzio Sol.Calatino il centro d'accoglienza di contrada Albanicchi, a Vizzini in provincia di Catania;
   il comune di Vizzini è capofila dei progetti finanziati dal Ministero dell'interno che interessano diversi altri centri del Calatino impegnati nell'ospitalità dello Sprar diffuso;
   dall'articolo già citato si apprende inoltre che del ritardo nel pagamento degli stipendi è già stata informata la prefettura di Catania, che ha ricevuto nei giorni scorsi una delegazione di lavoratori interessati e si sarebbe impegnata a coinvolgere tutti i soggetti interessati, dal sindaco ai rappresentanti delle cooperative al consorzio, per giungere alla soluzione del problema;
   la stessa prefettura, nel frattempo, si sarebbe impegnata a verificare anche i passaggi nel processo burocratico che vede coinvolto in misura maggior il Ministero dell'interno;
   il consorzio Sol.Calatino avrebbe già ricevuto dal comune di Vizzini buona parte dei fondi relativi al 2014 provenienti dal Ministero dell'interno, starebbe per ricevere il saldo del 2014, mentre non ha ancora ricevuto i fondi del 2015 perché il Viminale non ha ancora inviato gli importi finanziati al comune di Vizzini;
   inoltre, ci sarebbero ritardi nel pagamento degli stipendi anche per i lavoratori dell'Istituto pubblico di assistenza e beneficenza (Ipab) «Educandato Regina Elena» di Catania, che non percepirebbero lo stipendio da 16 mesi, così come si evince da un articolo pubblicato sull'edizione online del quotidiano «La Sicilia.it» del 14 aprile 2015;
   la situazione che si è venuta a creare per queste lavoratrici e lavoratori è ormai intollerabile e incredibile, visto che i numerosi inviti al commissario straordinario sono caduti puntualmente nel vuoto;
   anche altre istituzioni coinvolte come il comune di Catania e la regione siciliana, si sono contraddistinte per l'assordante silenzio e per l'insensibilità istituzionale dimostrata;
   secondo le organizzazioni sindacali l'Ipab dal comune di Catania ad oggi vanta un credito di oltre un milione di euro. La struttura accoglie ed accudisce 120 minorenni stranieri non accompagnati che ricevono quotidiana assistenza, vitto e alloggio soltanto grazie alla dedizione del personale che non percepisce gli stipendi da oltre 16 mesi –:
   se il Ministro non intenda intervenire, per quanto di competenza, e con quali strumenti, affinché i lavoratori delle cooperative che operano presso lo Sprar di Vizzini e il Cara di Mineo, ricevano al più presto il pagamento degli stipendi arretrati, tenuto conto che tali strutture beneficiano di finanziamenti da parte del Ministero dell'interno in forma diretta o attraverso i comuni di competenza a seconda che si tratti di Sprar o di Cara;
   se il Ministro non intenda intervenire, per quanto di competenza, e con quali strumenti, affinché i lavoratori dell'Ipab di Catania, visto il delicato servizio che svolgono, di cura e accoglienza ai minori non accompagnati ricevano al più presto il pagamento degli stipendi arretrati e le dovute rassicurazioni affinché in futuro il pagamento degli stessi sia puntuale, anche convocando un apposito tavolo permanente con i soggetti, istituzionali e sindacali interessati fino alla soluzione del problema. (4-08802)


   FEDRIGA e MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto riporta la stampa locale friulana, le dotazioni di personale della polizia di frontiera al Tarvisio starebbero subendo sensibili decurtazioni, in seguito alla decisione del Governo di trasferirne gli effettivi nell'aeroporto lombardo di Bergamo, adottata in vista dell'imminente inizio dell'Expo 2015 a Milano;
   ben 14 agenti avrebbero già lasciato il presidio al Tarvisio e sembrano scarse le possibilità di un ripensamento;
   la procura della Repubblica di Udine ritiene tuttavia imprudente la scelta di indebolire il presidio preposto al contrasto dell'immigrazione clandestina al Tarvisio, come prova la scelta del Procuratore Raffaele Tito di recarsi il 13 aprile 2015 visita al quartier generale della polizia di Frontiera, insieme ai tre sostituti Lucia Terzariol, Andrea Gondolo e Claudia Finocchiaro;
   ad avviso degli interroganti la decisione del Governo potrebbe essere stata assunta senza valutarne approfonditamente le conseguenze, essendo la frontiera del Tarvisio la porta di accesso all'Italia per buona parte dell'Europa orientale e balcanica;
   secondo la procura di Udine, attraverso Tarvisio tenterebbero infatti di entrare nel nostro Paese molti extracomunitari afghani, bengalesi, pakistani e siriani, che si concentrerebbero in Ungheria prima di dirigersi verso l'Italia;
   notizie simili giungono anche da altri presidi frontalieri: ad esempio, stando ad un comunicato stampa emesso dal Sindacato autonomo di polizia lo scorso 2 aprile 2015, 15 agenti della polizia di frontiera di Como verranno a breve distaccati presso l'aeroporto milanese di Malpensa, dove rimarranno per tutta la durata dell'Expo universale;
   si ha quindi l'impressione che il Ministero dell'interno abbia deciso di privilegiare la protezione degli aeroporti rispetto al monitoraggio delle frontiere terrestri –:
   se il Governo non ritenga che lo smantellamento del presidio di polizia alla frontiera di Tarvisio possa accrescere il rischio di infiltrazioni jihadiste per via terrestre, come sostiene la procura della Repubblica di Udine, che non nasconde la propria preoccupazione per la prospettiva di un aumento degli afflussi di extracomunitari provenienti da Stati nei quali l'Islam Politico Radicale ha molti adepti dediti al terrorismo;
   se, come e quando il Governo intenda riparare all'errore, rafforzando i presidi presso gli aeroporti attraverso aumenti di organico e non facendo venir meno le risorse dei presidi della polizia di Frontiera, in particolare quello al Tarvisio. (4-08803)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BECATTINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'articolo del 20 febbraio 2015 pubblicato sul sito www.redattoresociale.it, in una scuola di Bergamo si sarebbero verificati gravi pregiudizi in danno di un bambino autistico;
   in particolare, il suddetto articolo denuncia il caso di una madre di un bambino autistico, costretta durante i primi giorni di scuola a stare in classe con il figlio, in quanto l'istituto non era in grado di garantire la presenza di un insegnante di sostegno;
   successivamente, veniva assegnata al bambino una insegnante priva di specifiche competenze per l'assistenza di un soggetto autistico, la quale affiancava il minore solo per pochi giorni;
   in seguito, diverse insegnanti di sostegno affiancavano il bambino, non garantendo tuttavia una effettiva continuità di presenza e causando gravi disagi per il disabile e per la sua famiglia, in quanto il percorso didattico del minore risultava in questo modo frammentario;
   per porre fine alla sopra descritta situazione, i genitori del bambino decidevano infine di ritirare lo stesso dall'istituto;
   la scuola dovrebbe fornire, in particolar modo al soggetto disabile, un percorso formativo continuo e conforme alle peculiari condizioni che caratterizzano la sua patologia;
   i fatti in questione parrebbero configurare una violazione dei principi sanciti dalla Costituzione, in particolare oltre agli articoli 2, 3 e 32, gli articoli 33 e 34, in termini di compromissione del diritto allo studio –:
   se il Ministro interrogato non ritenga urgente e doveroso, per quanto di competenza, accertare i fatti di cui in premessa e porre in essere iniziative per garantire ai giovani studenti autistici un affiancamento qualificato e continuo nel percorso formativo scolastico. (5-05355)

Interrogazione a risposta scritta:


   BALDASSARRE, SEGONI, ROSTELLATO, BECHIS, RIZZETTO e MUCCI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il precariato nella scuola costituisce problema annoso e di portata esponenziale, nonché emergenza sociale e culturale, oramai cronico e fortemente ingiusto sia per il personale docente, che per il personale ATA, a causa di scelte politiche pregresse, che deve essere necessariamente risolto senza però perpetrare ingiustizie nei confronti di migliaia di docenti abilitati che per anni hanno dato il loro puntuale e professionale contributo al sistema scolastico;
   è necessario, al contempo, che il Governo consideri le molteplici sfaccettature della problematica. In particolare, negli istituti tecnici e professionali tra gli altri docenti, è presente la figura professionale dell'insegnante tecnico pratico (ITP). A loro sono affidate le attività didattiche di laboratorio e pertanto essi rappresentano un anello fondamentale nell'alternanza scuola-lavoro. Per le classi di concorso della tabella C (ITP), i concorsi ordinari risalgono a tempi remoti. Caso emblematico è quello della classe di concorso C050 (esercitazioni agrarie), per la quale l'ultimo concorso è stato bandito nel 1990; infatti, successivamente, i docenti sono stati reclutati attingendoli dalle ex graduatorie permanenti che nel 2007 sono state convertite in GAE (graduatorie ad esaurimento) e che da anni risultano addirittura esaurite, tanto che i docenti sono quasi interamente attinti dalla II fascia;
   il sistema delle assunzioni nella scuola è stato basato sempre sul precariato; in passato, periodicamente, venivano banditi corsi abilitanti, al termine dei quali i docenti entravano in graduatoria provinciale da cui si attingeva per procedere alle assunzioni. La struttura di tali corsi abilitanti era sostanzialmente diversa da quella dei PAS (percorso abilitante speciale) istituiti lo scorso anno accademico. I ben noti percorsi abilitanti speciali risultano completi ed in linea con gli orientamenti europei. I PAS, per i quali ciascun docente con il requisito dei 36 mesi di servizio ha dovuto investire la somma cospicua pari a circa 3.000,00 euro, hanno previsto esami didattica disciplinare, pedagogia, didattica generale, nonché competenze specifiche per ciascuna disciplina, a conclusione dei quali si è svolto un esame abilitante alla presenza di un rappresentante degli USR (uffici scolastici regionali). Nonostante tale impostazione ed un minuzioso e particolareggiato aggiornamento, gli abilitati non hanno avuto la possibilità di entrare nelle graduatorie ad esaurimento, ormai chiuse dal 2007 e sono stati discriminati rispetto ai colleghi entrati in tale graduatoria. Pertanto, considerato che per le classi della tabella C, l'ultima procedura abilitante risale al decreto ministeriale n. 85 del 2005, mentre per le classi della tabella A sono state previste procedure abilitanti come le SISS prima e i TFA poi, per gli ITP, in circa 10 anni, di fatto, non sono state previste procedure abilitanti eccetto il percorso abilitante speciale istituito con decreto ministeriale n. 81 del 2013;
   per gli insegnanti tecnico pratici si è generato, negli anni, nuovo precariato, la maggior parte del quale è stato impiegato per incarichi annuali su posto vacante al 31 agosto. Questi docenti, in particolare, hanno maturato i 36 mesi di servizio, citati nella sentenza della Corte di giustizia europea, che, come è ben noto, ha condannato l'Italia per aver abusato nella reiterazione dei contratti dei docenti precari. In questa situazione assai complessa e delicata, il Governo sembra non allontanarsi dal proprio solco interpretativo non considerando assolutamente le problematiche del precariato, visto che continua a non riconoscere i diritti acquisiti dal personale precario del comparto scuola e, sordo dinanzi ad ogni proposta costruttiva, ribadisce la propria intenzione di escludere dal piano assunzionale i docenti che hanno comprovata esperienza e competenze e che per anni hanno dato il loro importante contributo alla scuola italiana;
   si prospetta l'assunzione solo di una parte dei docenti inseriti in graduatorie ad esaurimento, i restanti, insieme a tutti i precari abilitati, rimarranno nelle graduatorie di II fascia d'istituto in attesa di un concorso, probabilmente per 60.000 posti e un numero di partecipanti di circa 1.000.000, abilitati e non, con la promessa di valorizzare gli abilitati, anche se non si conoscono ancora le modalità. Il Governo, in tal modo, pensa di mettere a tacere il malcontento diffuso tra i precari, ma, di fatto, ad avviso degli interroganti, sta perpetrando solo una vera e propria ingiustizia a danno di migliaia di docenti che rischiano il licenziamento a causa di chi dovrebbe invece tutelare e garantire il diritto al lavoro. Contraddittoria e fortemente incostituzionale sarebbe, a giudizio degli interroganti, la scelta di un Governo che dice di battersi per le assunzioni dei precari, al fine di tutelare i lavoratori, ma di fatto determinerebbe il più grave e grande licenziamento di tutti i tempi. Quindi, la soluzione proposta dal Governo non tutela assolutamente i precari, ma li espone gravi e pregiudizievoli conseguenze;
   al fine di scongiurare gli effetti della citata sentenza europea, si prospetta, altresì, un fondo di 20.000.000 di euro per il risarcimento danni per aver contratto nomine a tempo determinato. Tale somma risulta insufficiente, considerando gli importi stabiliti nelle sentenze già pronunciate dai giudici del lavoro. Oramai risulta costante e consolidata la giurisprudenza che prevede il risarcimento ai docenti precari in ossequio alla sentenza della Corte europea. Note sono la sentenza del tribunale di Napoli o quella della corte d'appello di Roma che prevede un risarcimento pari a ben 20 mensilità. È chiaro, quindi, che risarcire i precari e successivamente procedere con le assunzioni da concorso sia oneroso per lo Stato. Di contro sarebbe utile e maggiormente proficuo procedere alla stabilizzazione evitando in tal modo i costi per il risarcimento dei danni e le spese legali a cui verrebbe condannato il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca –:
   se il Governo abbia finalmente eseguito il censimento dei precari che hanno raggiunto i famosi 36 mesi di insegnamento su posto vacante;
   se il Governo ritenga opportuno assumere tutti i docenti inseriti in graduatorie ad esaurimento e in II fascia d'istituto (attraverso un concorso soli titoli) rispettando così la dignità, la professionalità e l'impegno di tanti lavoratori che nel corso degli anni hanno investito, tempo e denaro, acquisendo competenze e specializzazioni che dopo tanti anni di precariato non potrebbero riversare in altri comparti lavorativi;
   se il Governo intenda fare un censimento tra i docenti iscritti in III fascia con il requisito di almeno 3 anni di servizio e permettere loro di abilitarsi con un nuovo percorso abilitante speciale e nel frattempo chiudere le graduatorie di III fascia per evitare di generare altro precariato e coprire i posti per le supplenze con l'organico funzionale;
   se il Governo intenda assumere iniziative per istituire le lauree magistrali abilitanti, a numero chiuso, in base alle disponibilità dei posti vacanti tenendo conto del turnover e della popolazione scolastica;
   se il Governo ritenga opportuno assumere iniziative per aumentare il monte ore delle discipline tecnico-pratiche, restituendo ai discenti le competenze tanto richieste dal mondo del lavoro. (4-08796)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DALL'OSSO, COMINARDI, TRIPIEDI, CIPRINI, CHIMIENTI e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da molti anni il nostro Paese è attanagliato dalla morsa della crisi economica mondiale; nonostante a volte vi siano degli spiragli di miglioramento, nell'arco di pochi giorni ogni positivismo è rimesso in discussione;
   negli ultimi tempi numerose sono le aziende che hanno chiuso i battenti in Italia delocalizzando negli altri Paesi europei soprattutto dell'Est;
   è notizia delle ultime settimane dell'interesse di ben 500 aziende nel Nord est al mercato cinese e di molte altre che hanno già aperto filiali e succursali nella Repubblica popolare;
   il know-how nazionale sta scappando oltre confine e la fuoriuscita del capitale umano sta sfuggendo da ogni controllo –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto la delocalizzazione incida sugli ammortizzatori sociali;
   se il Governo abbia notizia dei contratti che i lavoratori delle aziende delocalizzate debbano firmare nel nuovo Paese ospitante al fine di mantenere il lavoro;
   se la tutela dei lavoratori, così come espressa dal codice del lavoro vigente in Italia, abbia dei parallelismi anche nei Paesi dell'Estremo Oriente, al fine di garantire i lavoratori italiani delle aziende delocalizzate. (5-05336)


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, ALBERTI, DALL'OSSO e PESCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 marzo 2015, sul quotidiano online il Cittadino MB, veniva pubblicata la notizia riguardante i licenziamenti dei lavoratori metalmeccanici nei mesi di gennaio e febbraio 2015 nella regione Lombardia, equivalenti a 1700. Di questi, 107 sono della provincia di Monza e Brianza;
   secondo i dati resi noti dalla Fiom, l'andamento risulta essere ancor più negativo rispetto al 2014 quando, nello stesso periodo, i licenziamenti furono 1378;
   sempre secondo la Fiom, nel bimestre preso in considerazione è aumentato il ricorso alla messa in mobilità delle aziende anche se nel mese di febbraio 2015 gli esuberi registrati sono stati 585, meno rispetto agli 851 del mese corrispettivo dell'anno precedente;
   a febbraio 2015, la provincia di Monza e Brianza è stata una delle più colpite dalla mobilità dei lavoratori, dietro a quelle di Milano e Brescia, registrando 71 esuberi che, sommati ai 36 di gennaio 2015, raggiungono l'allarmante cifra di 107;
   il segretario generale Fiom Cgil Lombardia, Mirco Rota, nello stesso articolo sottolinea che «non c’è stato un freno all'emorragia della messa in mobilità in una delle regioni più industrializzate d'Europa» e aggiunge che «chi dice che siamo fuori dalla crisi, non legge la realtà»;
   il sottoscritto interrogante ha già rivolto al Ministro interrogato con l'atto parlamentare 5-03456, presentato in data 7 agosto 2014, e l'atto parlamentare 5-04724, presentato in data 11 febbraio 2015, la problematica dei dati negativi del settore metalmeccanico della provincia di Monza e Brianza e il suo trend sempre più in peggioramento. La prima interrogazione indicata, ha ricevuto risposta dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali in data 15 gennaio 2015, nella risposta lo stesso demandava all'attuazione della legge n. 183 del 2014, meglio nota come Jobs act, gli effetti di un miglioramento del settore impiegatizio metalmeccanico; elogiava, seppur in maniera poco pertinente con l'interrogazione rivolta al Ministro stesso, il «decreto-legge n. 34 del 2014 con il quale il legislatore ha apportato rilevanti innovazioni alla disciplina del contratto a tempo determinato, eliminando, da un lato, l'obbligo di indicare le ragioni giustificatrici dell'apposizione del termine e prevedendo, dall'altro, precisi limiti di carattere quantitativo alla stipula di tali contratti»; elogiava, anche qui seppur in maniera poco pertinente con l'interrogazione rivolta, il piano nazionale Garanzia Giovani, definendolo «importante strumento di occupabilità e di attivazione rivolto ai cosiddetti NEET di età compresa tra i 15 ed i 29 anni, con lo scopo di garantire un'offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio o altra misura di formazione»; chiudeva indicando l'impegno del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Governo «nel contribuire a valorizzare ulteriormente la rilevanza dell'industria manifatturiera e di quella metalmeccanica, precisando che senza di questa non esiste produzione di valore, posti di lavoro, reddito e sviluppo per l'intero Paese»;
   a giudizio dell'interrogante, tali considerazioni rilasciate dal Ministro in risposta all'interrogazione applicate alla realtà del tema considerato, appaiono del tutto fuorvianti ed errate, visti i reali risultati che corrispondono a numeri sulla crescente disoccupazione nel settore metalmeccanico brianzolo e lombardo che hanno del catastrofico. Per lo stesso motivo, per l'interrogante risulta poco comprensibile l'eccessivo ottimismo continuamente manifestato, non solo nella risposta all'interrogazione indicata, dallo stesso Ministro sul tema dell'occupazione in generale, che risulta essere, come già specificato, drammatico –:
   se il Ministro interrogato, a seguito dei dati che confermano una forte diminuzione dei posti di lavoro del settore metalmeccanico in quelle che risultano essere tra le zone più produttive del nostro Paese come la provincia di Monza e Brianza e la regione Lombardia, non ritenga di dover assumere iniziative differenti e più efficaci rispetto a quelle indicate nella risposta rilasciata all'interrogazione 5-03456 sopraindicata, visto che, come dimostrato dai fatti, tali politiche non hanno portato beneficio alcuno all'occupazione;
   se intenda attivare un tavolo di lavoro con le parti sociali e le istituzioni competenti per materia, al fine di poter scambiare informazioni per poter contrastare in maniera seria la grave crisi occupazionale del settore metalmeccanico. (5-05337)


   DE LORENZIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 2 aprile 2015 la Società nuovo trasporto viaggiatori spa, compagnia dell'alta velocità fondata nel 2006, ha comunicato l'apertura della procedura di licenziamento collettivo ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991 n. 223 con avvio delle procedure di mobilità per 246 dipendenti a tempo indeterminato (sui 943 lavoratori complessivi);
   la procedura è evidentemente l'anticamera del licenziamento degli stessi lavoratori;
   a fondamento della decisione si adducono motivi che, secondo la società, avrebbero determinato la situazione di eccedenza occupazionale, oltre a ragioni tecniche, organizzative e produttive che non consentirebbero di adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione in modo da evitare, in tutto o almeno, in parte il licenziamento collettivo. Tuttavia, tali considerazioni, connesse a scelte manageriali, non possono essere riversate sui lavoratori e sulle loro famiglie;
   risulta, inoltre, quantomeno contraddittorio discorrere di un piano di rilancio se il primo passo è ancora una volta nella direzione del licenziamento dei lavoratori e non dell'assunzione delle responsabilità delle scelte compiute. Del resto, dal dettaglio della comunicazione emerge come la misura investa ben 235 impiegati a fronte di un solo dirigente e 10 quadri;
   si aggiunga che i suddetti motivi ignorano del tutto il regime privilegiato di cui la stessa società ha fruito: per quanto noto, sarebbero ben 53 milioni di euro di cui 35 milioni in ragione di uno sconto concesso dall'Autorità di regolazione dei trasporti sulle tariffe per l'uso delle linee AV pari al 37 per cento e altri 18 milioni derivanti dal cosiddetto meccanismo dei certificati bianchi a fronte dell'impegno di utilizzare per nuove flotte treni con minori consumi energetici;
   si registra, sulla sfondo della drammatica vicenda, l'atteggiamento di indisponibilità tenuto dalla società che ha condotto all'interruzione delle trattative prima in corso specificamente sul profilo della durata dell'accordo sui contratti di solidarietà, proponendo una durata quinquiennale con revisione biennale in spregio delle previsioni legislative sugli ammortizzatori sociali;
   da fonti di stampa si apprende che, secondo le dichiarazioni rese, seguirà una stagione di scioperi;
   la procedura coinvolge tristemente numerosi lavoratori e molti giovani, per non tacer l'effetto sull'indotto, in un momento di grave crisi economica e finanziaria del Paese su cui non possono e non devono essere riversate responsabilità altrui –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali iniziative urgenti intenda intraprendere per affrontare la specifica grave situazione di emergenza occupazionale;
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti possa fornire chiarimenti in merito alle misure agevolatrici di cui la società abbia fruito, indicando compiutamente le misure e quantificando le relative risorse;
   se il Ministro dello sviluppo economico possa fornire chiarimenti in merito al cosiddetto meccanismo dei certificati bianchi e se abbia adottato misure per la verifica del rispetto degli impegni assunti. (5-05360)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAPOZZOLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo del 4 marzo 2015, n. 22 concernente «Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183» cambia il regime degli ammortizzatori sociali nel nostro Paese;
   tra le tantissime novità positive introdotte con le quali finalmente vengono ad estendersi misure di tutela nei confronti di soggetti e categorie finora escluse va evidenziato tuttavia la questione concernente il sussidio di disoccupazione per i lavoratori stagionali;
   con l'introduzione del nuovo regime la naspi avrà una durata inferiore al precedente sistema di ammortizzatori sociali penalizzando fortemente i lavoratori del comparto turistico alberghiero;
   il turismo è una delle voci più importanti della nostra economia ed andrebbero consolidati tutti gli strumenti di garanzia sociale anche nei confronti di questi lavoratori;
   le organizzazioni sindacali di categoria hanno già manifestato le loro preoccupazioni e sono in atto significative mobilitazioni anche via web rispetto a tale problematica –:
   se il Governo sia a conoscenza di tale specifico problema riguardante il regime delle tutele per i lavoratori stagionali e se non intenda altresì intervenire al fine di garantire, anche per i suddetti lavoratori, un sistema di ammortizzatori sociali che non venga a ridimensionarsi rispetto alle precedenti norme in vigore in considerazione della rilevanza del comparto e di un evidente principio di equità che deve essere rispettato. (4-08790)


   PORTA, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI e LA MARCA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di marzo 2015, dopo ben oltre dieci anni di inattività in materia di stipula di convenzioni bilaterali di sicurezza sociale, la Camera dei deputati ha ratificato il nuovo accordo di sicurezza sociale con la Turchia (che era già stato approvato dal Senato) ed ha approvato i disegni di legge per il rinnovo della convenzione di sicurezza sociale con il Canada e la stipula delle convenzioni con Giappone e Israele, che ora dovranno passare al Senato per la approvazione definitiva;
   se da una parte la stipula di questi accordi di dimostra un rilancio, ancorché limitato, dell'interesse dello Stato italiano in materia di tutela socio-previdenziale dei lavoratori italiani emigrati all'estero, dall'altra non si può non stigmatizzare il fatto che per l'ennesima volta i diritti dei cittadini emigrati in Cile e delle collettività di cileni in Italia sono stati esclusi dal sistema di assicurazione previdenziale bilaterale dello Stato italiano;
   va rilevato infatti che sono trascorsi ben 17 anni dalla firma dell'accordo di sicurezza sociale con il Cile e dalla sua relativa e immediata approvazione da parte del Parlamento cileno; il Governo e il Parlamento italiani non hanno ancora onorato gli impegni internazionali assunti con il Cile, con il popolo di quel Paese e soprattutto con le migliaia di cittadini italiani ivi residenti;
   attualmente quindi tra Italia e Cile non esistono accordi che regolano i rapporti – in materia di sicurezza sociale – si tratta di una lacuna che finora non ha consentito a migliaia di cittadini italiani residenti in Cile e di cittadini cileni residenti in Italia (o rientrati in Cile dopo la fine della dittatura) di maturare un diritto a prestazione pensionistica sebbene essi abbiano versato i contributi assicurativi sia in Italia che in Cile;
   nel marzo del 2011 durante la visita di Stato in Cile dell'allora Presidente del Consiglio italiano, il Presidente della Repubblica del Cile aveva evidenziato l'interesse a una rapida conclusione del processo di ratifica da parte italiana dell'accordo in materia di sicurezza sociale, sottoscritto a Santiago il 5 marzo 1998, nella consapevolezza che la sua entrata in vigore sarebbe stata di grande utilità per migliaia di cittadini di entrambi i Paesi;
   l'accordo, se approvato anche dal Parlamento italiano e quindi ratificato, garantirebbe in materia di sicurezza sociale la parità di trattamento dei lavoratori che si spostano o si sono spostati da un Paese all'altro, l'esportabilità delle prestazioni previdenziali e soprattutto la totalizzazione dei contributi ai fini del perfezionamento dei requisiti contributivi minimi previsti dalle due legislazioni per la maturazione di un diritto a prestazione;
   l'abbandono della gestione delle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale non consente di esercitare una doverosa tutela dei diritti e un rigoroso controllo dei doveri socio-previdenziali di una parte non marginale delle comunità italiane, costituite da anziani che spesso vivono in realtà dove i sistemi di protezione sociale non assicurano livelli di tutela adeguati e dai nuovi soggetti migranti i quali sono protagonisti di una mobilità internazionale fonte di carriere lavorative ed assicurative frammentate che necessitano di nuovi epiù adeguati strumenti di tutela previdenziale, fiscale e sanitaria; è quindi di primario interesse nazionale fare in modo che non si indeboliscano i rapporti con la diffusa e articolata presenza degli italiani nel mondo e che non vengano a mancare in un momento di seria difficoltà gli apporti derivanti dalla diffusa diaspora italiana; nello stesso tempo, è ineludibile dovere etico riconoscere alla emigrazione italiana, il contributo storico dato in momenti difficili al Paese e non ignorare i compiti di tutela e di solidarietà verso coloro che sono in seria difficoltà, a partire dalla tutela previdenziale e sanitaria;
   in America Latina l'Italia ha stipulato convenzioni bilaterali di sicurezza sociale con Argentina, Brasile, Uruguay e Venezuela, mentre invece non è stata ancora ratificata la convenzione con il Cile, peraltro già firmata, e sono ancora esclusi dal sistema di tutela numerosi Paesi di emigrazione italiana, come Messico, Ecuador e Perù;
   la convenzione con il Cile quando entrerà in vigore si applicherà per quanto riguarda l'Italia alla legislazione concernente: l'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti, comprese le gestioni speciali per i lavoratori autonomi; i regimi sostitutivi dell'assicurazione generale obbligatoria e le forme obbligatorie di previdenza gestite da persone giuridiche private concernenti i lavoratori dipendenti ed autonomi; all'assicurazione per malattia, per quanto riguarda il Cile, il nuovo sistema di pensioni di vecchiaia, invalidità e superstiti, basato sulla capitalizzazione individuale; i regimi di pensione di vecchiaia, invalidità e superstiti gestiti dall'Istituto de Normalizacion Previsional; e, in maniera limitata, i regimi di assistenza sanitaria;
   si tratta di una convenzione meno onerosa delle altre perché: a) dal campo di applicazione oggettivo sono esclusi gli infortuni e le malattie professionali, le prestazioni familiari, l'indennità di disoccupazione; b) essa si applica solo ai cittadini dei due Paesi contraenti (altri accordi si applicano ai lavoratori in quanto tali a prescindere dalla nazionalità), ma non si applica – purtroppo – ai dipendenti pubblici ed ai liberi professionisti; c) essa introduce il principio dell'inesportabilità dell'integrazione al trattamento minimo e non si applica all'assegno sociale e alle altre prestazioni non contributive a carico di fondi pubblici permettendo così di realizzare importanti economie all'Italia;
   il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale italiano aveva recentemente reso noto che erano stati già avviati gli approfondimenti tecnici con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministero dell'economia e delle finanze al fine di stimare in maniera corretta gli oneri finanziari della ratifica e di individuare una adeguata copertura per gli oneri a regime e che successivamente sarebbe stata avviata la procedura di concerto interministeriale con i dicasteri competenti per la presentazione del disegno di legge di ratifica in Parlamento –:
   a che punto sia la procedura di presentazione del disegno di legge di ratifica dell'accordo bilaterale di sicurezza sociale con il Cile e, nel caso in cui tale procedura si sia improvvisamente arenata, quali iniziative urgenti il Governo intenda intraprendere, per onorare gli impegni presi con il Cile e per addivenire all'approvazione al più presto del disegno di legge di ratifica e di esecuzione della convenzione bilaterale di sicurezza sociale tra Italia e Cile, firmata nel 1998 e approvata nello stesso anno dal Parlamento cileno, al fine di completare il quadro degli accordi bilaterali di sicurezza sociale stipulati dall'Italia con i maggiori Paesi di emigrazione ed in particolare di tutelare finalmente i lavoratori italiani emigrati in Cile ed i lavoratori cileni emigrati in Italia, consentendo così a coloro i quali hanno versato contributi nell'assicurazione generale obbligatoria italiana e nell'assicurazione cilena, anche in anni remoti, di non perdere la contribuzione versata e di maturare un diritto ad una prestazione socio-previdenziale italiana e/o cilena. (4-08793)


   MERLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in paesi come l'Argentina, le pensioni INPS vengono generalmente pagate allo sportello Banco Itaù;
   il servizio di pagamento delle pensioni INPS all'estero è stato affidato, dal 1o maggio 2007, tramite apposito bando di gara, all'Istituto centrale delle banche popolari italiane (ICBPI) che provvede alla corresponsione dei ratei di pensione attraverso un Istituto di credito del Paese in cui viene erogata la pensione, a sua volta convenzionato con l'ICBPI;
   il pagamento può avvenire tramite accredito su conto corrente, in euro o valuta locale, bonifico bancario, a nome del pensionato stesso oppure presso un Istituto di credito, e, solo in alcuni Paesi, anche la riscossione in contanti allo sportello;
   Banco Itaù in Argentina sta inviando ai pensionati Argentini una richiesta per compilare la certificazione dell'esistenza in vita, documento che deve essere trimestralmente inviato dagli aventi diritto alla banca stessa;
   in passato il Banco Itaù chiedeva ai lavoratori in pensione tale adempimento burocratico sull'esistenza in vita una sola volta all'anno;
   con questa firma però il pensionato, di fitto, va ad autorizzare la Banca ITAÙ a pagare le prestazioni pensionistiche con riferimento al Mercato Unico e Libero dei cambi;
   il Banco Itaù ora liquida la quota pensionistica, non più in euro ma in valuta locale senza chiedere all'avente diritto nessuna autorizzazione;
   nel corso del tempo sono stati riscontrati consistenti problemi, soprattutto in relazione a:
    a) informazione e trasparenza sulle modalità di pagamento, sia in euro che in valuta locale, e relativamente ai cambi adottati, dislocazione e orari dei servizi, piano tariffario delle transazioni bancarie, ove in vigore, ed eventuali altri costi a carico del titolare la pensione italiana;
    b) in Argentina il cambio è abbastanza volatile;
    c) con questa modalità il cittadino pensionato Argentino sta rinunciando al suo diritto di ricevere la pensione in valuta estera;
    d) tale processo denota poca capacità di monitoraggio, controllo e verifica reciproci da parte dell'Istituto appaltante, cioè l'INPS, l'Istituto che si aggiudica il bando e la banca estera convenzionata, anche con la possibilità di modifiche procedurali e contrattuali in corso d'opera, oltre alla possibilità di rescissione dal contratto;
    e) capacità di informare i beneficiari in tempi brevi, gestendo con efficienza e tempestività le campagne di verifica dell'esistenza in vita, i riaccrediti e l'emissione di nuovi pagamenti;
    f) capillarità e diffusione sul territorio per consentire ai beneficiari delle prestazioni l'accesso al servizio senza dover affrontare lunghe e costose trasferte;
   da alcune settimane sono diventate ricorrenti le segnalazioni da parte di pensionati italiani residenti in Argentina, di patronati, di rappresentanze dell'emigrazione e della stampa locale in merito alla confusione e ai disservizi che si stanno manifestando relativamente ai pagamenti da parte dell'istituto bancario Itaù delle pensioni italiane;
   la grave situazione relativa all'erogazione delle pensioni in Argentina si è venuta a creare a causa della modifica delle modalità dei pagamenti da parte del Banco Itaù –:
   se i Ministri interrogati non ritengano indispensabile garantire ai pensionati italiani residenti in Argentina condizioni di pagamento della pensione efficienti, improntati alla trasparenza ed alla informazione, gestiti con maggior precisione dal Banco Itaù che rispondano ad adeguati standard qualitativi;
   cosa intendano fare i Ministri interrogati per verificare lo stato del sistema dei pagamenti delle pensioni INPS in Argentina ed eventualmente disporre le misure necessarie per evitare che, la banca esegua procedure non troppo chiare ai danni dei nostri pensionati creando in tal modo disagi economici e psicologici ai nostri connazionali pensionati che esercitano i loro diritti pensionistici in buona fede. (4-08794)


   CRIVELLARI, ZOGGIA, MARTELLA, MURER, MOGNATO, CASELLATO, NARDUOLO, D'ARIENZO, DE MENECH e GINATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   data 22 febbraio 2013 i signori Fabrizio Veronese e Guglielmo Bellan, dipendenti di General Montaggi Industriali (GMI) S.r.l., perdevano la vita nel corso dell'esecuzione di lavori di manutenzione della conca di Valle Lepri in Ostellato;
   i suddetti lavori erano stati appaltati e commissionati da AIPO – agenzia interregionale per il Po – a GMI srl;
    i due lavoratori sono morti per annegamento a seguito dello sradicamento di un pancone provvisionale che avrebbe dovuto mettere in secca la zona confinata dove gli operai si trovavano a lavorare;
   per il fatto pende il procedimento penale 992/13 r.g.n.r. di Ferrara per cui risulta fissata udienza preliminare il 7 maggio 2015;
   agli imputati vengono ascritte gravissime violazione delle norme di sicurezza sul lavoro;
   non risulta che le famiglie degli operai morti abbiano ricevuto alcun risarcimento nonostante il tragico incidente sia avvenuto nell'ambito dello svolgimento delle proprie mansioni –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto riportato in premessa e se intendano attivarsi, per quanto di competenza, per verificare se nell'ambito dei cantieri di competenza dell'AIPO e delle ditte appaltatrici vengano pienamente rispettate le normative in materia di sicurezza sul lavoro e quali misure di vigilanza e controllo il suddetto ente pubblico abbia adottato, fino ad ora. (4-08798)


   BALDASSARRE e SEGONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   organi di informazione hanno pubblicato un articolo dal titolo: «Rivalutazione della pensione soltanto con il giudice: l'appello di Castaldo»;
   dall'articolo suddetto sembra che almeno duemila cittadini italiani avrebbero diritto alla maggiorazione e rivalutazione della pensione agli ex combattenti e gli equiparati e per i profughi italiani rientrati dalle colonie;
   la corte d'appello di Trieste si sarebbe già pronunciata nel merito, riconoscendo un pensionato il diritto a conseguire l'aumento suddetto, con riferimento specifico alla legge n. 140 del 1985;
   a seguito della denuncia del signor Walter Castaldo si apprende che il meccanismo di maggiorazione e rivalutazione non sarebbe automatico ma si conseguirebbe solo a seguito di un ricorso fatto dal singolo cittadino presso i tribunali competenti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti;
   se il Ministro interrogato possa intervenire al fine di sopperire alle criticità espresse in premessa e agevolare i cittadini che hanno diritto alla maggiorazione e rivalutazione della pensione senza evitando che debbano ricorrere al tribunale competente. (4-08804)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   PARENTELA, L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, GALLINELLA, DE ROSA, BUSTO, CRIPPA e GAGNARLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la popillia japonica è un piccolo scarabeo asiatico in grado di attaccare fino a trecento specie vegetali. L'insetto è giunto in Europa continentale da poco tempo, prima era stato individuato solo nelle Azzorre. Dall'estate scorsa si susseguono gli avvistamenti nel parco del Ticino e in altre zone tra Lombardia e Piemonte;
   negli Stati Uniti, dove è comparso per la prima volta all'inizio del Novecento, «venivano stimati già nel 2004 costi di circa 450 milioni di dollari per la lotta all'insetto e per i danni arrecati», spiega un documento della regione Piemonte pubblicato a fine febbraio. «Per i gravi danni che può arrecare è inserito tra gli organismi di quarantena (direttiva 2000/29 CE e lista A2 dell’Eppo-European and Mediterranean Plat Protection Organization) di cui deve essere vietata l'ulteriore introduzione e diffusione in altre aree europee», scrive Davide Michelatti, dirigente del settore fitosanitario della regione Piemonte. «Gli adulti, che volano da giugno a settembre, sono polifagie negli Stati Uniti si alimentano su oltre 300 specie vegetali tra cui sono comprese piante spontanee, ornamentali, colture di pieno campo, da frutto e forestali. Tra le specie d'interesse agrario si possono ricordare: mais, melo, pesco, soia, vite e molte altre»;
   «Il settore fitosanitario del Piemonte, in collaborazione con l'Ente Parco del Ticino, ha subito attivato i primi interventi di monitoraggio sulla diffusione dell'insetto e di contrasto allo sviluppo della sua popolazione mediante raccolta manuale degli adulti sulla vegetazione e sistemazione di una sessantina di trappole per la cattura massaie. Complessivamente sono stati raccolti circa 27.500 esemplari». Da questi dati è partita la decisione di compiere un ulteriore passo avanti: individuare le aree del focolaio e quelle tampone. In tutto sono coinvolti i territori, interi o per alcune parti, dei comuni di Pombia, Marano Ticino, Oleggio, Bellinzago Novarese, Cameri e Galliate, Romentino, Mezzomerico, Divignano, Varallo Pombia e Novara;
   anche in America, nonostante i massicci investimenti, non è riuscita l'eradicazione dello scarabeo. E come avverte l'agronomo dell'università di Catania Santi Longo sul periodico dell'Accademia dei georgofili, il pericolo è duplice perché l'insetto attacca le piante da sopra e da sotto: «Gli adulti, lunghi in media 1 centimetro, dal torace verde brillante e dalle ali color rame o bronzo, con caratteristici ciuffi di peli bianchi ai margini dell'addome, si alimentano di foglie, fiori e frutti, mentre le larve terricole rodono le radici di piante erbacee spontanee e coltivate». Non a caso è stata anche descritta come «la larva che può mangiare un prato da sotto» –:
   se non si ritenga opportuno intervenire urgentemente affinché vengano attivate tutte le procedure necessarie per circoscrivere ed eradicare eventuali ulteriori altri focolai nonché impedire la diffusione della popillia japonica sul territorio nazionale;
   se non si ritenga altresì opportuno, sentiti i pareri degli enti di ricerca e gli istituti zooprofilattici, elaborare una strategia che preveda un intervento diretto sullo scarabeo asiatico, la limitazione del proliferare delle popolazioni tramite le trappole per il controllo degli adulti, i trattamenti larvici nonché l'utilizzo della lotta integrata. (4-08787)


   L'ABBATE, PARENTELA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA e GAGNARLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di verifica di conformità, così come disposto dall'articolo 52 del regolamento (UE) n. 1306/2013 e dall'articolo 34 del regolamento di esecuzione (UE) n. 908/2014, la Commissione europea ritiene che le autorità italiane non abbiano rispettato alcune disposizioni dei regolamenti richiamati;
   le conclusioni della DG AGRI si riferiscono a carenze nella conformità’ dell'organismo pagatore AGEA con taluni criteri di riconoscimento e, in particolare, ad alcuni controlli relativi alla gestione dei debiti e delle irregolarità;
   con comunicazione recentemente inviata al Governo italiano, la Commissione europea intende pertanto proporre una rettifica finanziaria e ne indica il livello provvisorio, che in questa fase della procedura ritiene corrispondere alle proprie risultanze, in un importo massimo pari a 388.743.938,10, salvo controdeduzioni basate su calcoli alternativi da parte della amministrazione interessata da inviare entro i termini e le modalità stabili dalla normativa comunitaria;
   il riesame svolto dall'OLAF ha evidenziato la mancata comunicazione nei tempi previsti di oltre 55.000 posizioni debitorie risultanti ad AGEA che, di conseguenza, non avevano costituito oggetto di procedure di recupero; tali posizioni, pari ad un importo totale di circa 45 milioni di euro, sono state registrate per la prima volta nel registro dei debitori nell'esercizio finanziario 2013; tuttavia l’audit ha riscontrato irregolarità nella gestione degli altri debiti relativi all'esercizio finanziario 2009 ed anche ai precedenti;
   nell'aprile 2014 l'autorità competente ha redatto una serie di misure correttive per AGEA volte a migliorare la gestione complessiva dell'organismo pagatore e dei sistemi di sorveglianza; il piano d'azione impostato da AGEA, se correttamente attuato, dispone del potenziale per affrontare determinate questioni 9 tuttavia, a giudizio dei revisori, le iniziative adottate al momento della missione non erano sufficienti a risolvere i problemi relativi alla gestione del registro dei debitori;
   le irregolarità più volte denunciate nella gestione dei contributi comunitari da parte di Agea, che ne espongono continuamente l'operato ad un impietoso giudizio, rendono urgente una riorganizzazione della stessa al fine di assicurare agli agricoltori e agli operatori del settore di potersi avvalere di un servizio efficiente –:
   di quali ulteriori elementi disponga in relazione a quanto espresso in premessa e quali iniziative intenda adottare, anche in vista della riunione bilaterale convocata per il prossimo 22 maggio, al fine di non incorrere in una consistente riduzione di contributi della politica agricola comune assegnati all'Italia a seguito della conferma della rettifica finanziaria proposta in ottemperanza della normativa comunitaria vigente. (4-08797)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SILVIA GIORDANO, LUIGI GALLO, SIBILIA, PISANO, MICILLO, COLONNESE e LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 17 marzo 2015 è stato presentato dal presidente Stefano Caldoro e dal suo consigliere per la sanità Raffaele Calabrò il piano di riordino della rete ospedaliera dalla regione Campania, che prevede il riordino delle degenze, l'aumento dei livelli di qualità e sicurezza, la riduzione dei ricoveri impropri e abbattimento della mobilità passiva per cure fuori regione;
   con il nuovo piano ospedaliero la dotazione di posti letto ammonterà a 19.726 aumentando di 802 unità (dal 3,22 per mille esistente a 3,36 del dato programmato) in un processo di riallineamento agli standard nazionali e di riequilibrio tra le province;
   le strutture in via di realizzazione sono l'ospedale del mare (che riassorbe i presidi della Asl Na 1 Ascalesi, Incurabili, San Gennaro e, in parte Loreto Mare riconvertiti ad attività distrettuali), l'ospedale unico della penisola sorrentina, il policlinico di Caserta e l'ospedale della Valle del Sele. Previsto anche il potenziamento dei presidi di Nola, Castellammare, Pozzuoli e l'area interna della Napoli 2 Nord. Così sono istituzionalizzate le reti integrate ospedale-territorio dell'oncologia, pediatria, trapianti, emorragie acute del digerente, terapia del dolore, malattie rare, polo oncologico pediatrico e psichiatria;
   il suddetto piano prevede la riapertura dei presidi ospedalieri chiusi dal decreto regionale 49 del 2010 riattivando il pronto soccorso degli ospedali di Scafati, Torre del Greco, Cava dei Tirreni, Maddaloni, Loreto Mare Oliveto Citra e la programmazione di due pronto soccorso in zone disagiate Capri Roccadaspide e la predisposizione di un punto di primo intervento all'ospedale Castiglione di Ravello annesso all'azienda ospedaliera Ruggi di Salerno;
   risulta allo studio della regione la possibilità di riattivare il presidio di Agropoli attualmente declassato a centro di riabilitazione;
   il presidente Stefano Caldoro ha dichiarato, nella conferenza stampa del 17 marzo 2015, che la proposta di rete è stata inviata al Ministro della salute e all'Agenas –:
   se il Ministro ritenga che la rimodulazione dell'assetto della rete ospedaliera Campana risponda a requisiti di appropriatezza e congruenza con il piano di rientro, anche in virtù del perseguimento degli obiettivi di equilibrio economico e finanziario del bilancio regionale;
   in quali tempi intenda esprimere un parere sul suddetto piano ospedaliero.
(5-05341)

Interrogazione a risposta scritta:


   SALTAMARTINI, MOLTENI e RONDINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   gli Istituti Fisioterapici Ospitalieri – IFO costituiscono l'ente di diritto pubblico che ha il compito di gestire due realtà di rilievo per il territorio romano e per quello nazionale: l'Istituto nazionale tumori Regina Elena e l'Istituto Dermatologico San Gallicano, riconosciuti sin dal 1939, Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), e sono il primo Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico di Roma;
   all'IFO fanno riferimento, in qualità di polo di eccellenza medica, oltre ai cittadini romani anche i cittadini laziali e delle regioni limitrofe;
   la regione Lazio, nell'ottica di spending review ha disposto la fusione con l'istituto Spallanzani, sancendo di fatto la definitiva eliminazione della clinica di ricerca dell'Istituto nazionale tumori Regina Elena e dell'Istituto dermatologico San Gallicano;
   a tal proposito rimane forte la preoccupazione sia dei cittadini che dei medici, per la soppressione di strutture altamente competitive e necessarie ad un istituto che ambisce a rimanere un istituto nazionale tumori;
   la proposta di riorganizzazione degli istituti Regina Elena e San Gallicano rischia di screditare il carattere scientifico di eccellenza ed alta specialità dell'istituto oncologico e di quello dermatologico, soprattutto se rapportato a quanto si verifica negli altri IRCCS italiani in particolare nel settore dei tumori. Al commissario ed all'intero vertice aziendale viene mosso il rilievo di non aver per nulla compreso le esigenze degli ammalati e dei lavoratori. Risulta azzardata la decisione di azzerare la ricerca sperimentale e traslazionale;
   appare incomprensibile il progetto di accorpamento dove in gli altri IRCCS viene invece stimolata e implementata l'attività specifica di ricerca ed unicità assistenziale perché fondamentale per garantire il progresso nelle terapie e assistere al meglio il paziente nella pratica clinica;
   privo di prospettiva è l'idea di declassare l'oncoematologia che assicura assistenza e cure di qualità a molte centinaia di pazienti ogni anno affetti da linfomi, mielomi e leucemie, di depotenziare la medicina nucleare che è attualmente la prima a Roma e nel Lazio per numero e qualità delle prestazioni;
   è stata inoltre strutturalmente mortificata la psiconcologia che ha finora aiutato migliaia di pazienti a superare i gravissimi problemi familiari, sociali, relazionali e lavorativi provocati dalla grave malattia oncologica;
   il piano proposto dal commissario non tiene conto per nulla dell'incredibile evoluzione clinico-scientifica nella lotta al cancro registrati negli ultimi 15 anni e non prevede la nascita di nuove strutture, quali ad esempio quella di sviluppo dei nuovi farmaci, quella di terapie palliative, dei tumori ereditari e della riabilitazione oncologica che corrispondono a precise nuove esigenze degli ammalati e sono ormai indispensabili in ogni istituto di oncologia di eccellenza;
   la ristrutturazione proposta risulta essere poco vantaggiosa in termini di risparmio infatti vengono mantenute in essere in un ospedale con solo 280 posti letto ben 3 direzioni sanitarie e numerose strutture amministrative e di staff al vertice aziendale;
   è stato messo in evidenza che a fronte di una quasi paralisi delle attività gestionali per mancanza di assunzione di responsabilità da parte del vertice aziendale, vi sia stata anche la decisione di qualche mese fa del commissario e dei vertici dell'Istituto di aumentarsi gli stipendi, con un esborso per l'ente di oltre un milione di euro;
   il rischio è di perdere in qualità rincorrendo scelte sbagliate, come quelle di accorpamento allo Spallanzani;
   l'adeguamento dei compensi di circa il 20 per cento in un momento di grave crisi economica e di continui tagli, è stato percepito come un ulteriore, insopportabile atteggiamento di poca sensibilità –:
   se non ritenga opportuno verificare, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, se il processo di riorganizzazione descritto in premessa, oltre a comportare un aumento degli oneri stipendiali in favore delle attuali dirigenze dei tre istituti, a giudizio dell'interrogante, irragionevole in quanto adottato prima del processo di ristrutturazione e non alla sua conclusione a fronte di maggiori responsabilità, non rischi di produrre anche una riduzione dei livelli essenziali di assistenza e più in generale dalla qualità dei servizi prestati dalle tre eccellenze della sanità laziale. (4-08805)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, ALBERTI, PESCO, CHIMIENTI e DALL'OSSO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 marzo 2015, sul quotidiano online ilcittadinomb.it, veniva pubblicata la notizia riguardante uno sciopero dei lavoratori della storica azienda alimentare «Star» di Agrate Brianza (MB);
   i lavoratori hanno manifestato per le vie del Paese, in polemica conta strategia aziendale giudicata incapace di rilanciare il sito. Per lo stesso motivo, gli stessi dipendenti dello stabilimento che sta attraversando un profondo momento di crisi, hanno annunciato che la mobilitazione proseguirà venerdì 10 aprile 2015, davanti alla sede di Confindustria a Monza, in concomitanza con il programmato incontro tra i sindacati e l'azienda di proprietà, dal 2006, del gruppo alimentare spagnolo «Gallina Bianca»;
   nell'ambito impiegatizio, ad oggi risultano essere 250 sono gli addetti ancora assunti. Ma nell'anno 2014 sono state utilizzate 25 mila ore di cassa integrazione e 25 lavoratori sono stati collocati in mobilità. Nel primo semestre del 2015, è stato programmato un fermo della produzione per sette settimane e, per il restante tempo, la cassa integrazione ordinaria per un numero imprecisato di lavoratori, a fronte dell'avvenuta apertura della procedura da parte dell'azienda per un numero massimo di 180 persone, con inizio dal 30 marzo e termine al 26 giugno prossimo;
   Matteo Casiraghi della Flai Cgil, denuncia la mancanza di un piano industriale serio, concreto e di prospettiva, atta ad invertire una situazione divenuta normalità da quando è subentrata la proprietà spagnola, caratterizzata da microprocedure di mobilità e ricorsi alla cassa integrazione. In questa situazione, si sono aggiunti elementi di novità che aggravano il quadro già di per sé drammatico, come la riscrittura dell'azienda delle condizioni integrative del contratto, dove è presente la richiesta ai lavoratori di abrogare gli accordi sindacali sui permessi. La speranza dello stesso Casiraghi è che, nell'incontro del 10 aprile 2015 con la direzione del gruppo, si vada verso aperture a strategie industriali credibili per il sito di Agrate e per la presenza dell'azienda in Italia, aggiungendo che, se non si riuscirà a impostare la discussione verso una politica industriale seria e diversa rispetto a quella vista sino ad ora, si farà tutto il possibile per far sentire la voce dei lavoratori;
   le rappresentanze sindacali unitarie hanno denunciato in un comunicato da loro siglato che, con il pretesto di risparmiare energia, viene abbassata la temperatura dei reparti lasciando al freddo nelle ore notturne e nei giorni di ripresa produttiva i lavoratori, precisando che per dare un futuro industriale serio al sito di Agrate, vanno invertite le scelte aziendali basate solo sulla riduzione dei costi. Le stesse rsu hanno inoltre chiesto che anche regione Lombardia e il comune di Agrate Brianza si attivino, per le reciproche competenze, su questa delicata vertenza –:
   se i Ministri interrogati non intendano, qualora non l'abbiano già fatto, organizzare un tavolo tecnico con l'azienda e le parti sociali, interloquendo al tempo stesso con le istituzioni, a partire da quelle locali, affinché ciascuno per le proprie responsabilità eserciti il proprio ruolo per garantire, in prospettiva futura, un serio piano industriale atto al mantenimento dell'occupazione e del rispetto dei diritti degli occupati. (5-05338)


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, DALL'OSSO, ALBERTI, PESCO e CHIMIENTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Dalmine spa, società multinazionale prima produttrice italiana di tubi in acciaio senza saldatura, bombole e componentistica auto, con un processo integrato a partire dal rottame di ferro, destinati all'industria energetica, automobilistica e meccanica. Fondata nel 1906, oltre alla sede principale di Dalmine (Bergamo), la società ha quattro filiali dislocate a Costa Volpino (Bergamo), Sabbio Bergamasco, frazione di Dalmine, Arcore (Monza e Brianza), Piombino (Livorno). La Dalmine spa, facente parte del gruppo Tenaris, vende i suoi prodotti con il marchio TenarisDalmine ed ha un organico totale di 1.800 lavoratori a livello nazionale;
   in data 10 marzo 2015, veniva riportato sul quotidiano online «L'Eco di Bergamo», la notizia che il giorno stesso i lavoratori di tutti gli stabilimenti della TenarisDalmine hanno organizzato scioperi e presidi contro la decisione dell'azienda, annunciata il 25 febbraio 2015, di licenziare 406 lavoratori del solo stabilimento storico di Dalmine;
   l'adesione allo sciopero negli stabilimenti di Dalmine e Sabbio Bergamasco, ha avuto una adesione del cento per cento di tutti i lavoratori dei primi due turni e i lavoratori a giornata, ad eccezione dei dipendenti impegnati nella salvaguardia dei macchinari. Negli stabilimenti indicati, gli impianti sono rimasti fermi e gli uffici non operativi dalle 5 del mattino fino alla mezzanotte, con organizzazioni di presidi;
   agli scioperi organizzati ha fatto seguito la nota di solidarietà da parte del comitato sindacale mondiale dei lavoratori di Tenaris e della rete sindacale globale di Tenaris e Ternium del consociato, gruppo Techint. Nel comunicato viene specificato che l'ennesimo sciopero dei dipendenti del gruppo TenarisDalmine, sono una minaccia per gli altri siti produttivi italiani del Gruppo. Il comunicato continua non giustificando il pensiero della dirigenza che lega la riduzione della capacità produttiva del Gruppo stesso in Italia e nel resto del mondo al calo del prezzo del petrolio e alla relativa domanda dell'industria petrolifera. Sempre secondo il comunicato, le politiche adottate dall'azienda di rinunciare ad investire nei giovani e nel ricambio generazionale sospendendo investimenti nell'innovazione e diversificazione produttiva, si scontrano con quanto previsto in recenti accordi presi con i rappresentanti sindacali di Dalmine e rischiano di avviare una fase di pericoloso declino;
   nel sito di Costa Volpino, lo sciopero è stato effettuato nelle ultime due ore di ogni turno e, come riportato in data 11 marzo 2015, sul quotidiano online della provincia di Monza e Brianza «IlCittadinomb», nella sede di Arcore i circa 400 lavoratori hanno scioperato ed organizzato un presidio davanti allo stabilimento stesso per tutto l'arco della mattinata del 10 marzo 2015;
   per voce di Mirco Rota, segretario generale della Fiom Cgil Lombardia riguardo alla situazione che ha portato allo sciopero sostenuto anche dalla Fim-Cisl e della Uilm-Uil, gli esuberi potrebbero essere evitati attraverso l'utilizzo dei contratti di solidarietà, tutelando, in particolare, i posti di lavoro degli apprendisti recentemente inseriti in azienda. Sempre secondo lo stesso sindacalista, risulta non corretto che l'azienda non accetti un confronto con le organizzazioni sindacali sulla possibilità di usare l'ammortizzatore sociale dei contratti di solidarietà, proseguendo con la politica degli esuberi –:
   se i Ministri interrogati non intendano istituire un tavolo nazionale di confronto con il gruppo TenarisDalmine e le rappresentanze sindacali, al fine di poter modificare l'attuale impostazione organizzativa della direzione aziendale, prevedendo un piano con meno oneri sociali ai danni dei lavoratori. (5-05339)


   CRIPPA, MANTERO, SIMONE VALENTE e BATTELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 giugno 2014 è stato firmato presso il Ministero dello sviluppo economico (MISE) dalle parti interessate un accordo riguardo la crisi della società Piaggio Aero s.p.a. in cui le stesse hanno assunto determinati impegni;
   per quanto riguarda l'azienda, Piaggio Aero s.p.a. si è impegnata a mantenere operativa la sede di Genova Sestri nella quale «[...] continueranno ad operare le attività di Customer Service, DeHvery Center e verniciatura [...]», attività che avrebbero portato al mantenimento presso la struttura di almeno 250 lavoratori;
   da un articolo pubblicato in data 14 aprile 2015 sul quotidiano «Il Secolo XIX» si apprende come un atto notarile certificato dal notaio Giovannella Condò dimostrerebbe come «Il piano finanziario presentato dal gruppo alle banche creditrici mette nero su bianco la chiusura del sito genovese»;
   nel già citato articolo, l'autore dichiara come all'interno dell'atto notarile si parli di «“cessione dei rami d'azienda manutenzione degli aeromobili” e “verniciatura”»;
   tale documento sarebbe stato registrato in data 22 settembre 2014, cioè tre mesi dopo la firma dell'accordo presso il Ministero dello sviluppo economico;
   alla luce anche di tali garanzie, il gruppo controllato dalla Mubadala Development Company beneficerebbe di un finanziamento di circa 170 milioni di euro;
   fra gli impegni sottoscritti dal Ministero dello sviluppo economico nell'accordo già citato, si può leggere come lo stesso Ministero si sia impegnato a «[convocare] periodicamente, o su istanza di una delle parti, incontri di verifica del presente accordo»;
   altro impegno sottoscritto dal Ministero dello sviluppo economico è quello di «[...] nel prendere atto che la Società ha presentato domanda per il riparto dei fondi previsti dalla legge 808/1985, confermare la dotazione complessiva di risorse destinabili agli interventi di cui alla citata legge e garantisce la massima speditezza delle procedure di esame dei relativi progetti»;
   a tale domanda da parte di Piaggio Aero s.p.a. il Governo fa riferimento anche nella sua risposta all'interrogazione a risposta in commissione n. 5-01713 in data 20 novembre 2014 nella quale lo stesso dichiara «[...] che la società Piaggio Aero ha presentato al Mise domanda di finanziamento a valere sulla legge 808/85 per un progetto di ricerca e sviluppo che riguarda le tecnologie abilitanti per la realizzazione di 2 velivoli a pilotaggio remoto (denominati P1HH e P2HH)»;
   nella risposta all'interrogazione già citata, si riporta come «[Piaggio Aero s.p.a.] è stata destinataria di contributi pluriennali ai sensi della legge 24 dicembre 1985 n. 808 a fronte di cinque programmi aeronautici di R&S approvati negli anni 2008 e 2009, poi adeguati per il proseguimento delle attività con i costi riguardanti gli anni 2010 e 2011. Le agevolazioni concesse nel periodo ammontano a circa 90 milioni di euro [...]»;
   al momento non si hanno riscontri certi circa la concessione o meno delle agevolazioni richieste da Piaggio Aero s.p.a. sopracitate;
   l'interrogante ricorda come all'articolo 1 della legge 24 settembre 1985, n. 808, gli interventi autorizzati dalla stessa legge siano autorizzati anche al fine di «[...] consolidare ed aumentare i livelli di occupazione [...]»;
   all'interno della già citata risposta all'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01713, si aggiunge che «Circa i contributi pubblici ai sensi della legge 237/93 la società è stata beneficiaria per circa euro 27,2 milioni [..]» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se e quanti incontri di verifica dei punti dell'accordo sottoscritto dalle parti in data 10 giugno 2014 siano stati convocati e quali siano gli esiti di tali incontri;
   nel caso in cui non fossero stati convocati tali incontri, quando il Ministro interrogato intenda provvedere a convocarne uno, data l'evoluzione negativa della situazione;
   se la società Piaggio Aero s.p.a. sia stata pubblicamente finanziata, come previsto dalla legge n. 808 del 1985, per il progetto dei velivoli a pilotaggio remoto P1HH e P2HH e, nel caso, a quanto ammonti tale finanziamento;
   se non si ritenga opportuno rivedere l'impegno preso dal Ministro interrogato riguardo alla conferma a Piaggio Aera s.p.a. della dotazione complessiva delle risorse previste dalla legge n. 808 del 1985 considerando i finanziamenti pluriennali già incassati e tenuto conto che, dai fatti finora emersi, parrebbe emergere come la società non sia intenzionata a mantenere i propri impegni riguardo al mantenimento occupazionale e delle attività. (5-05356)

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di aprile 2013 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha firmato un decreto con cui veniva sospesa per 6 mesi l'efficacia della valutazione di impatto ambientale (VIA) sul progetto presentato dalla società Gas Natural Italia per un impianto di rigassificazione di metano liquido (Gnl) a Zaule, nel porto di Trieste;
   tale provvedimento ha accolto il parere della commissione VIA del dicastero, che aveva recepito i pareri negativi dell'autorità portuale di Trieste e della regione Friuli Venezia Giulia, prendendo atto delle mutate situazioni del traffico marittimo triestino e delle prospettive di potenziamento previste per il futuro dal piano regolatore, portuale di Trieste;
   il 18 ottobre 2013, è scaduta la sospensione di sei mesi delle VIA per Zaule, ma, non essendosi verificate le condizioni necessarie indicate dal decreto per ottenere una valutazione positiva, il Ministero ha avviato le procedure di revoca definitiva;
   dalla risposta del Sottosegretario per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Silvia Velo, all'interrogazione n. 5-03600 presentata dall'interrogante, risulta che il 6 febbraio 2015 la commissione VIA/VAS dello stesso dicastero abbia concluso il supplemento istruttorio in materia, affermando, con proprio parere n. 1706, che non vi siano aspetti di incompatibilità ambientali tra le previsioni del nuovo piano regolatore portuale di Trieste ed il progetto del rigassificatore Gnl di Zaule, ribaltando completamente la precedente posizione;
   sempre nella risposta si legge che «la finale autorizzazione all'insediamento viene poi rilasciata dal Ministero dello sviluppo economico al quale, infatti, lo scorso 25 febbraio è stato inviato per il seguito di competenza del citato parere della Commissione Tecnica n. 1706 del 6 febbraio 2015»;
   l'opposizione al progetto del rigassificatore è stata espressa in più occasioni da molte associazioni del territorio, dalla provincia, dagli enti locali coinvolti – non ultima la votazione unanime il 27 febbraio 2015 nel Consiglio comunale di Trieste di una mozione contraria all'impianto – oltre che dalla regione Friuli Venezia Giulia, per voce della presidente Serracchiani – e all'autorità portuale di Trieste attraverso il neocommissario D'Agostino;
   inoltre, il 23 luglio 2014, risulta presentata una istanza di valutazione di impatto ambientale per un ulteriore progetto relativo ad un terminale di stoccaggio, rigassificazione e distribuzione del GNL a Monfalcone (Gorizia) nel golfo di Trieste;
   un articolo pubblicato il 12 aprile 2015, su «Il Piccolo» di Trieste riporta che, nei giorni scorsi, durante una conferenza stampa, l'assessore comunale all'ambiente Umberto Laureni abbia riferito dell'invio, da parte del sindaco di Trieste Cosolini, di una missiva ai Ministeri competenti per segnalare una nuova situazione di allarme riguardo al progetto del rigassificatore di Zaule facendo riferimento a «nuove evidenze geologiche relative al golfo di Trieste e alla sua costa che impongono una rivalutazione del rischio sismico dell'area»;
   durante lo stesso incontro pubblico sono stati presentati i primi risultati emersi dai recenti studi effettuati dall'Istituto di oceanografia e geofisica sperimentale di Trieste (Ogs) nel golfo di Trieste. La ricercatrice dell'Ogs Martina Busetti ha riferito che fino al 2005 mancavano informazioni geologiche dettagliate dell'area del golfo di Trieste e della zona costiera orientale e che a partire da tale data si sono svolte tre diverse campagne di geofisica marina, per individuare le strutture geologiche profonde, comprese le faglie, che si trovano nella zona. Attualmente gli studi sono ancora in corso, anche in collaborazione con l'università di Trieste, per ricavare una migliore comprensione del sistema delle faglie e della loro possibile attività attuale;
   l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ha utilizzato, anche, i risultati ottenuti a Trieste per produrre una mappa della pericolosità sismica su scala europea e ha stimato una magnitudo massima di 6.5 concludendo che la faglia lungo la costa sia tuttora in grado di produrre terremoti. I ricercatori triestini hanno specificato che l'analisi però non valuta la probabilità che la faglia sia ancora attiva. Questo tassello mancante ha indotto l'Ogs a intraprendere uno studio per approfondire il ruolo di questa e di altre strutture del golfo, nell'ambito del quale a breve inizieranno le operazioni di installazione di una stazione sismica a Punta Salvore, in collaborazione con l'università di Zagabria;
   l'assessore Laureni ha citato un articolo comparso su una rivista specializzata in cui la stessa Busetti afferma che: «L'area del golfo di Trieste e la relativa costa orientale, mancando informazioni geologiche adeguate e avendo a disposizione solo le registrazioni strumentali e i dati storici, veniva considerata con una sismicità non significativa, mentre i risultati di queste indagini, evidenziando la presenza di faglie con attività recente, suggeriscono una rivalutazione della pericolosità sismica». Risulterebbero, dunque, secondo l'assessore, modificate le condizioni di partenza dello studio di Gas Natural –:
   se siano a conoscenza della nuova ed allarmante situazione geologica del golfo di Trieste;
   se non ritengano, alla luce dei primi risultati degli studi sulla nuova situazione di allarme sismico, di organizzare un nuovo tavolo di lavoro in concerto con gli enti locali e gli esperti dell'istituto di oceanografia e geofisica sperimentale, per rivalutare il parere n. 1706 espresso dalla commissione tecnica VIA/VAS del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   quali iniziative urgenti si intendano adottare per bloccare le procedure per l'autorizzazione all'insediamento del rigassificatore di Zaule, anche alla luce dei nuovi sviluppi che aggraverebbero i pericoli per la salute e la sicurezza dell'intera area;
   come intendano procedere in merito alla nuova richiesta di valutazione di impatto ambientale per un terminale di stoccaggio, rigassificazione e distribuzione di GNL a Monfalcone nel golfo di Trieste, presentata il 23 luglio 2014. (4-08795)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Matarrese e altri n. 1-00800, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Falcone, Sottanelli.

  La mozione Sbrollini e altri n. 1-00806, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fabbri.

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Iori ed altri n. 1-00785, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Binetti, Dorina Bianchi, Buttiglione, De Mita, Cera, Marchi, Carnevali e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Iori, Sberna, Binetti, Daniele Farina, Locatelli, Pinna, Tidei, Antezza, Carra, Cimbro, Fossati, Gadda, Gasparini, Giacobbe, Gribaudo, Iacono, Incerti, Laforgia, Maestri, Malisani, Martelli, Romanini, Villecco Calipari, Zampa, Giovanna Sanna, Bazoli, Lodolini, Roberta Agostini, Senaldi, La Marca, Piccione, Patriarca, Rotta, Scuvera, Bergonzi, Piccoli Nardelli, Miotto, Zanin, Franco Bordo, Antimo Cesaro, Rabino, Albanella, Piazzoni, Dorina Bianchi, Buttiglione, De Mita, Cera, Marchi, Carnevali».

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione De Rosa e altri n. 5-05295, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Prina.

  L'interrogazione a risposta scritta Pesco e altri n. 4-08743, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ruocco.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Terzoni e altri n. 5-05328, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Cecconi, Gallinella, Ciprini.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Iori n. 1-00785, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 405 del 9 aprile 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    in Siria è in corso un feroce conflitto che ha determinato una delle più grandi catastrofi umanitarie dalla fine della seconda guerra mondiale, con oltre 200.000 vittime, quasi 4 milioni di profughi, oltre 7 milioni di sfollati e 12 milioni di persone che necessitano di assistenza umanitaria;
    Italia fin dall'inizio del conflitto si è adoperata per promuovere una soluzione politica nei diversi fori internazionali, in particolare nell'ambito del gruppo «Amici della Siria» e delle Conferenze di Ginevra I e II, e sta continuando a seguire prioritariamente la situazione dei profughi nei diversi campi localizzati in Giordania, Libano e Turchia, come testimoniato dalla recente visita al campo profughi di Azraq da parte del Ministro Gentiloni, proseguendo ad offrire assistenza umanitaria;
    negli ultimi mesi l'Italia ha sostenuto gli sforzi del rappresentante speciale dell'Onu, Staffan de Mistura, per propiziare una de-escalation della violenza ed un congelamento dei combattimenti in alcune aree specifiche del Paese;
    secondo le informazioni che giungono dai media locali e internazionali, nonché dalle organizzazioni umanitarie, come l'Unicef, la situazione già disumana del campo profughi di Yarmouk, a circa otto chilometri a sud di Damasco, in Siria, sta assumendo un carattere di emergenza umanitaria;
    il campo profughi su citato, abitato da circa 18 mila palestinesi, è stato occupato dal 1o aprile 2015 dallo Stato islamico (Is), che attualmente presidia gli accessi al medesimo campo;
    all'interno del campo di Yarmouk si trovano circa 3.500 bambini, ostaggi del terrorismo, senza acqua, cibo e medicinali, costantemente a rischio di morte, abusi e violenze;
    l'8 aprile 2015, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni, ha previsto di mettere in campo un intervento urgente in favore dell'Unicef e dell'Unrwa (Agenzia dell'Onu per i rifugiati palestinesi), pari a 1,5 milioni di euro, contribuendo così all'attività di Unicef di protezione umanitaria e assistenza psicologica ai bambini palestinesi, che sono tuttora nel campo, oltre che alle famiglie che sono riuscite a evadere dalla spaventosa trappola di guerra, fame e deprivazioni;
    il Ministro Gentiloni ha, altresì, evidenziato la necessità di intervenire rapidamente e fare il possibile per creare corridoi umanitari, con l'obiettivo di limitare i danni di una situazione già drammatica;
    è necessario agire prontamente non solo con gli aiuti economici, ma con azioni finalizzate ad allontanare i bambini del campo profughi di Yarmouk dalle zone di guerra e da condizioni precarie al limite della sopravvivenza, favorendo programmi solidaristici di accoglienza e affidamenti temporanei;
    i citati programmi solidaristici possono essere realizzati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, congiuntamente al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, tramite l'accoglienza temporanea in Italia di minorenni non aventi cittadinanza italiana o di altri Stati dell'Unione europea, attraverso l'attività di promozione operata da enti, associazioni o famiglie, seguiti da uno o più adulti con funzioni di sostegno, guida e accompagnamento;
    la realizzazione di tali programmi potrà avvenire sulla base della normativa prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 dicembre 1999, n. 535, che ha definito i compiti del «Comitato minori stranieri», affinché venga garantita la tutela dei minorenni accolti in Italia nell'ambito di programmi solidaristici in linea con quanto dichiarato dalla Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza del 20 novembre 1989;
    la permanenza in Italia di breve durata potrà avvalersi dell'esperienza positiva, realizzata dal 1993; tramite l'accoglienza dei bambini vittime delle conseguenze della nube tossica di Chernobyl e residenti nelle zone contaminate della Bielorussia,

impegna il Governo:

   a mettere in atto a livello internazionale, nel più breve tempo possibile, tutte le azioni necessarie per ridurre il livello della violenza in Siria per porre le premesse di un processo politico inclusivo nel Paese che possa anche facilitare il compito di arginare questa tragedia che coinvolge anche tanti bambini e adolescenti, prendendo immediati contatti con enti e associazioni che già operano sul territorio;
   ad intensificare in tutte le pertinenti sedi internazionali le iniziative più appropriate, anche mediante la creazione di corridoi umanitari e programmi di accoglienza, destinate ai bambini di Yarmouk e alle centinaia di minori che sono profughi in Libano, ostaggi dei terrorismo;
   a promuovere permanenze temporanee in Italia dei bambini profughi da Yarmouk, assumendo come riferimento le modalità degli affidamenti temporanei, già sperimentati con successo in occasione dell'accoglienza dei bambini di Chernobyl da parte delle famiglie italiane.
(1-00785)
(Nuova formulazione) «Iori, Sberna, Binetti, Daniele Farina, Locatelli, Pinna, Tidei, Antezza, Carra, Cimbro, Fossati, Gadda, Gasparini, Giacobbe, Gribaudo, Iacono, Incerti, Laforgia, Maestri, Malisani, Martelli, Romanini, Villecco Calipari, Zampa, Giovanna Sanna, Bazoli, Lodolini, Roberta Agostini, Senaldi, La Marca, Piccione, Patriarca, Rotta, Scuvera, Bergonzi, Piccoli Nardelli, Miotto, Zanin, Franco Bordo, Antimo Cesaro, Rabino, Albanella, Piazzoni, Dorina Bianchi, Buttiglione, De Mita, Cera, Marchi, Carnevali».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Matarrese n. 1-00800, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 407 del 13 aprile 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    nel 2013 si registrava in regione Puglia, e precisamente nella zona sud della provincia di Lecce, la presenza, in alcuni oliveti, di molteplici casi di disseccamento anomalo di piante di olivo causate dalla presenza di un complesso di infestanti per i quali ancor oggi non è stato individuato alcun rimedio;
    la diffusione dell'infezione si è rivelata molto rapida e rischia di contagiare diverse specie vegetali con eventuali e disastrose conseguenze sulle economie dei comparti agricoli non solo italiani ma anche europei;
    la gravità della situazione ha indotto la Unione europea, e di conseguenza gli Stati membri ed in particolare l'Italia e le regioni, a disporre provvedimenti cautelativi al fine di arginare il contagio, evitare l'infezione di zone indenni e mitigare il rischio e i danni;
    la vicenda, sia dal punto di vista normativo che da quello scientifico e per quanto riguarda le strategie di intervento, risulta ancora complessa ed articolata;
    le ricerche e le analisi condotte dalla regione Puglia, in particolare dall'area politiche per lo sviluppo rurale, Ufficio osservatorio fitosanitario, con il supporto dell'università degli studi di Bari e del CNR, hanno rilevato nella zona interessata diversi agenti parassitari che associati costituiscono il cosiddetto «complesso del disseccamento rapido dell'olivo» ovvero il batterio fitopatogeno da quarantena Xylella fastidiosa, il lepidottero Zeuzera pyrina o Rodilegno giallo ed alcuni miceti lignicoli vascolari (Phaeoacremonium parasiticum, P. rubrigenun, P. aleophlium, P. alvesii e Phaemoniella spp.) noti per causare disseccamenti di parti legnose di piante arboree e di vite;
    la Xylella fastidiosa è un patogeno con un'ampia gamma di piante in grado di ospitarlo: sarebbero oltre 150 le specie vegetali recettive ai ceppi batterici di genere Xylella e comprendono specie coltivate di interesse agricolo (vite, agrumi, mandorlo, pero, pesco e altro), essenze forestali, ornamentali e spontanee (anche con infezioni latenti); queste ultime rappresentano a volte un importante «serbatoio di infezione» del batterio;
    Xylella fastidiosa è stata segnalata per la prima volta in Europa nella provincia di Lecce dove è ormai presente in diverse zone. È un batterio largamente presente nel continente americano (Stati Uniti, Messico, Costa Rica, Brasile, Venezuela, Argentina e Perù) nel quale infetta un'ampia varietà di vegetali. Più rare e delimitate sono le segnalazioni in Asia (Taiwan). La distribuzione del batterio è legata alla presenza sul territorio dei vettori e, pertanto, risulterebbe influenzata anche dalle condizioni climatiche che possono avere ripercussioni sulla biologia dei vettori;
    allo stato attuale, la presenza della Xylella fastidiosa in regione Puglia sarebbe circoscritta nella sola provincia di Lecce. Il ceppo CoDiRO, presente nel Salento, appartiene alla subspecie pauca. Si tratterebbe di un ceppo di recente identificazione rilevato in Costa Rica su Oleandro, Mango e Noce Macadamia e non su vite ne su agrumi. Il ritrovamento del genotipo identico in Costa Rica fa presupporre che l'infezione sia stata importata da questo Paese, soprattutto se si considera che in Europa vengono importate annualmente dal Costa Rica elevate quantità di piante ornamentali;
    il batterio si moltiplicherebbe nei vasi xilematici della pianta ospite provocandone l'ostruzione e impedendone in questo modo l'idratazione e provocandone un rapido disseccamento. Il batterio riesce a muoversi sia verso l'alto sia verso il basso, e per questo motivo può essere rinvenuto anche nelle radici;
    per quanto riguarda la diffusione del batterio c’è da evidenziare che questa avviene in maniera diretta e legata all'intervento dell'uomo attraverso il materiale di propagazione o alla movimentazione e quindi alla commercializzazione delle piante intere e, in maniera indiretta, localmente o su brevi distanze, tramite insetti vettori;
    il patogeno è trasmesso in natura da alcune specie di insetti appartenenti all'ordine Hemiptera, subordine Cicadomorpha (famiglie Cicadellidae e Aphrophoridae) che fungono da vettori contribuendo alla diffusione della malattia a breve e medio raggio. Il batterio è trasmesso in maniera persistente dai vettori che tuttavia perdono l'infettività a seguito della muta. Xylella fastidiosa non si riproduce nel seme;
    la specie di insetto vettore diffusa nelle aree infette del Salento e per la quale è stata scientificamente dimostrata la capacità di trasmettere il batterio, è il Philaenus spumarius L. (Saponari et al., 2014), meglio nota come «sputacchina media» per la schiuma bianca, simile alla saliva, in cui vivono immerse le forme giovanili dell'insetto. La sputacchina media potrebbe avere un importante ruolo epidemiologico nella diffusione della malattia, sia per l'elevata densità di popolazione osservata nel Salento sia per la sua ampia polifagia;
    le analisi condotte dimostrano che Xylella fastidiosa è stata trovata anche in altre due specie d'insetti: il Neophilaenus campestris (Fallen) e l'Euscelis lineolatus Brulle;
    il periodo di incubazione della malattia è di solito molto lungo (ma molto dipende dalla specie di pianta ospite e, nell'ambito della stessa specie, dalla cultivar), da qualche mese ad un anno e talvolta anche più. Si aggiunga che in molti ospiti l'infezione può rimanere asintomatica. Ne deriva che in molti casi, ad esempio nel vivai, eventuali infezioni possono non essere rilevate e ciò facilita la propagazione della malattia con il materiale vegetale;
    l'insieme delle norme e degli atti più rilevanti che hanno disciplinato ed affrontato fino ad oggi il problema relativo al «complesso del disseccamento rapido dell'olivo» inizia già dal 2000 con una direttiva della Commissione europea. Ad oggi, la situazione non risulta ancora ben definita e appare necessaria una presa di posizione politica da parte del Governo italiano, soprattutto in sede europea, che sia volta a risolvere il problema nell'immediato e che possa mitigare i danni economici all'intero comparto agricolo pugliese, oltre ad agire per prevenire il contagio ad altri Stati membri;
    l'elevato rischio di diffusione e di pericolosità del batterio nei confronti di numerose specie vegetali coltivate e spontanee, ma soprattutto il grave impatto negativo che il disseccamento di queste piante sta avendo sull'economia di alcune zone pugliesi notoriamente basate sulla coltivazione di olivi e sulla produzione di olio, sono stati oggetto di una serie di provvedimenti comunitari, nazionali e regionali volti a risolvere con tempestività il problema anche se, come detto, essendo questa la prima segnalazione in Europa, la situazione, soprattutto per quanto riguarda le strategie di intervento risulterebbe ancora non completamente chiarita;
    già la direttiva 2000/29/CE del Consiglio dell'8 maggio 2000, «concernente le misure di protezione contro l'introduzione nella Comunità di organismi nocivi ai vegetali o ai prodotti vegetali e contro la loro diffusione nella Comunità» includeva il batterio della Xylella fastidiosa nella lista degli organismi nocivi denunciabili dagli stati membri dell'Unione europea;
    la predetta direttiva è stata poi modificata dalla 2002/89/CE al fine di migliorarla e per meglio definirne le modalità di applicazione; successivamente, il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 214, ha previsto l'attuazione di tale provvedimento secondo il quale sono rese obbligatorie alcune misure per la prevenzione, il controllo e l'eradicazione del batterio;
    il 21 ottobre 2013 l'Italia ha informato gli altri Stati membri e la Commissione della presenza dell'organismo specificato nel proprio territorio in due aree separate della provincia di Lecce nella regione Puglia. Sono stati successivamente individuati due ulteriori focolai distinti nella stessa provincia. La presenza dell'organismo specificato è stata confermata in relazione a diverse specie vegetali, tra cui Olea europaea L., Prunus amygdalus Batsch, Nerium oleander L. e Quercus sp. L. che manifestano sintomi di bruciatura fogliare e deperimento rapido;
    tenuto conto del focolaio infettivo in atto, la Commissione europea ha chiesto all'EFSA, l'Autorità europea per la sicurezza alimentare, di fornire consulenza scientifica urgente, specificare l'elenco delle specie vegetali note che possono essere infettate, individuare le varie modalità con cui le specie vegetali infette e gli insetti vettori possono entrare nell'Unione europea e individuare nonché valutare le possibili misure di profilassi e controllo;
    la EFSA ha prodotto un primo parere nel novembre del 2013 e uno studio più ampio nel gennaio 2015. In data 26 novembre 2013 la EFSA ha concluso, testualmente, che «Poiché l'unico mezzo naturale di diffusione della Xylella fastidiosa sono le sputacchine e cicaline che si nutrono di linfa grezza, che in genere possono volare per brevi distanze fino a 100 metri, il modo più efficace di diffusione a lunga distanza di Xylella fastidiosa è la movimentazione delle piante infette per la messa a dimora. Inoltre, il trasporto degli insetti eventualmente portatori del batterio nella movimentazione commerciale dei vegetali viene considerato motivo di preoccupazione. La principale fonte di introduzione nell'UE di Xylella fastidiosa è dunque il commercio e subito dopo la movimentazione di vegetali destinati alla messa a dimora. Sono state inoltre valutate altre potenziali fonti di infezione tra cui frutta, legno, fiori recisi, semi e piante ornamentali, ritenute però trascurabili o poco efficaci come possibili vie di introduzione del batterio»;
    l'autorità conclude affermando che «non è nota alcuna strategia precedente che abbia avuto successo nell'eradicazione di X. Fastidiosa, una volta insediatasi all'aperto. L'EFSA raccomanda pertanto che le strategie preventive per il controllo dei focolai si concentrino sulle due principali vie di infezione (movimentazione di piante da messa a dimora e insetti infetti presenti nelle partite di vegetali) e si fondino su un approccio basato su sistemi integrati»;
    al fine di regolamentare con urgenza le misure necessarie per eradicare tale patogeno da quarantena sono state emanate due decisioni comunitarie, la n. 2014/87/UE del 13 febbraio 2014 e la n. 2014/497/UE del 23 luglio 2014 al fine di impedire la diffusione nell'Unione della Xylella fastidiosa, un decreto ministeriale di lotta obbligatoria n. 2777 del 26 settembre 2014 «Misure di emergenza per la prevenzione, il controllo e l'eradicazione di Xylella fastidiosa (Well e Raju) nel territorio della Repubblica italiana» e numerosi atti regionali con i quali sono state tempestivamente disposte le misure da attuare nel territorio regionale;
    in particolare, la direttiva n. 2014/497/UE del 23 luglio 2014, al fine di eradicare il batterio e impedirne la diffusione, impone agli Stati membri interessati di adottare misure volte alla ispezione minuziosa delle piante al fine di rilevare la presenza dell'organismo specificato, alla creazione di zone delimitate (zona infetta e zona cuscinetto), all'adozione di specifiche misure volte all'eradicazione del batterio quali, tra le altre, rimozione e distruzione in loco delle piante contagiate, di parti di piante o di legname contagiato, al trattamento fitosanitario specifico delle piante, e vieta, altresì, la piantagione di piante specificate e piante appartenenti allo stesso genere delle piante contagiate in siti che non siano a prova di vettore;
    il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha nominato, in data 12 febbraio 2015, il comandante della regione Puglia del Corpo forestale dello Stato Giuseppe Silletti come commissario delegato per l'attuazione degli interventi per far fronte all'emergenza Xylella in Puglia. Nello specifico il commissario ha disposto un piano, sottoposto all'approvazione del dipartimento della protezione civile previa istruttoria di un comitato di monitoraggio costituito da 7 elementi, 3 nominati dal Ministero, 2 della regione Puglia e 2 del dipartimento. Il piano fraziona il Salento in zone e suddivide in due parti nette il territorio con una fascia di eradicazione delle piante infette nella provincia di Lecce dello spessore di 15 chilometri che va dall'Adriatico allo Ionio e ricomprende i comuni di Arnesano, Campi Salentina, Carmiano, Copertino, Guagnano, Lecce, Leverano, Monteroni di Lecce, Nardò, Novoli, Porto Cesareo, Salice Salentino, Squinzano, Surbo, Trepuzzi e Veglie. Il commissario ha escluso il rischio di un taglio indiscriminato e del rischio di desertificazione;
    in data 27 marzo 2015, il Tar di Lecce ha accolto il ricorso cautelare contro l'eradicazione degli ulivi colpiti dalla Xylella fastidiosa, depositato dai legali dei proprietari delle piante contagiate, e ha quindi sospeso le procedure di abbattimento fino al 9 aprile 2015, data in cui avverrà la discussione del ricorso con cui i legali hanno chiesto la sospensione del piano del commissario straordinario e dei conseguenti provvedimenti con cui si dispongono materialmente le eradicazioni;
    in data 6 aprile 2015, nel corso dell'indagine condotta dalla procura di Lecce su presunti ritardi compiuti per combattere il batterio della Xylella fastidiosa, il responsabile dell'Istituto di virologia del Cnr di Bari si è espresso con dubbio riguardo al totale abbattimento delle piante e con favore verso una soluzione combinata di eradicazione minima e oculata degli olivi e contenimento dell'azione dell'insetto vettore attraverso trattamenti insetticidi meccanici che consistono nella pratica dell'erpicatura e aratura poiché in questa fase l'insetto si troverebbe sull'erba all'interno di una schiuma;
    il Ministro francese dell'agricoltura Stéphane Le Foll ha firmato il decreto che dal 6 aprile 2015 vieta le importazioni dei vegetali a rischio Xylella dalla Puglia nonostante l'area infetta delimitata riguardi la sola provincia di Lecce e non tutta la regione e nonostante le disposizioni della direttiva comunitaria 2000/29 e dei decreto legislativo n. 214 del 2005, limitino già il trasferimento dei materiali vegetali dalle aree delimitate;
    il danno per l'economia regionale sarebbe di dimensioni notevoli dal momento che la sola Puglia vale quasi il 10 per cento dell'intero comparto agricolo nazionale, ossia circa quattro miliardi di euro e che viti, ulivi e agrumi rappresentano quasi la metà di questo valore con oltre 377.000 ettari coltivati ad ulivo la Puglia è la prima regione olivicola in termini di superficie, pari al 32 per cento della superficie totale nazionale adibita a tale coltura;
    il valore della produzione olivicola regionale vale in media circa 500 milioni di euro all'anno. Nel 2013 l'olivicoltura pugliese ha prodotto l'11,6 per cento del valore complessivo della produzione agricola regionale e il 30 per cento del valore della produzione olivicola nazionale (Istat, 2013);
    il rapporto sulla Xylella fastidiosa redatto dalla regione Puglia identifica come area infetta 231.516 ettari di cui 96.934 ettari di oliveti, tutti situati nella provincia di Lecce;
    la presenza di più focolai sul territorio nazionale, non sottoposti a misure sanitarie per la prevenzione del contagio a zone indenni rappresenta un rischio permanente di infezione per altre zone a vocazione olivicola;
    oltre ai danni in termini di produttività degli ulivi l'epidemia di Xylella fastidiosa sta incidendo in maniera fortemente negativa sull'attività vivaistica che versa in condizioni di grave difficoltà,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni utile iniziativa normativa affinché le regioni possano deliberare la proposta di declaratoria della eccezionalità degli eventi, anche in deroga ai termini stabiliti all'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo n. 102 del 2004, al fine di risarcire, tramite le misure di sostegno del fondo di solidarietà nazionale, anche le imprese agricole i cui oliveti siano stati danneggiati da infezioni della fitopatia Xylella fastidiosa;
   ad adottare ogni utile iniziativa normativa al fine di escludere dal saldo finanziario in termini di competenza mista, individuato ai sensi dell'articolo 31, comma 3, della legge 12 novembre 2011, n. 183, rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno, le risorse provenienti dallo Stato e le relative spese in conto capitale sostenute dalle regioni e dalle province autonome per l'attuazione delle misure compensative del fondo di solidarietà nazionale di cui al decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, e successive modificazioni e integrazioni;
   ad assumere iniziative per la sospensione dell'Imu agricola, prevista dal decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 34, per le imprese i cui oliveti siano stati danneggiati da infezioni della fitopatia Xylella fastidiosa;
   a richiedere la partecipazione finanziaria dell'Unione europea e comunque ad assumere iniziative per indennizzare il comparto agricolo danneggiato dalla diffusione del «complesso del disseccamento rapido dell'olivo» e ad assumere iniziative per escludere le relative risorse dai vincoli del patto di stabilità;
   a richiedere la partecipazione finanziaria dell'Unione europea volta a promuovere, con estrema urgenza, la predisposizione di un progetto di ricerca adeguato, al fine di adottare tempestive soluzioni innovative per la diagnosi precoce e il trattamento della Xylella fastidiosa e di identificare altre specie di insetti che possano fungere da vettori;
   a porre in essere procedure volte al controllo e all'identificazione di eventuali movimentazioni di piante o di innesti dalle zone infette;
   a predisporre sistemi di controllo e di prevenzione che possano contrastare con efficacia eventuali diffusioni di infezioni nel corso di importazioni di vegetali provenienti da altre zone del mondo;
   ad adottare ogni utile iniziativa presso l'Unione europea affinché la pur legittima decisione del Governo francese, che vieta le importazioni dei vegetali a rischio di Xylella fastidiosa dalla Puglia, sia sospesa in attesa dell'entrata in vigore di un adeguato dispositivo europeo, anche perché limitare gli scambi commerciali europei con l'intera regione potrebbe causare alla stessa un grave danno economico e di immagine.
(1-00800)
«Matarrese, Mazziotti Di Celso, Capua, Catania, Dambruoso, Vargiu, D'Agostino, Piepoli, Falcone, Sottanelli».

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: mozione Binetti n. 1-00796 del 13 aprile 2015;

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Petraroli n. 4-08688 dell'8 aprile 2015.