Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 14 aprile 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il settore del trasporto aereo nazionale negli ultimi anni è stato caratterizzato da una sostanziale modifica delle condizioni di produzione e fruizione del servizio: il processo di liberalizzazione del trasporto aereo in ambito comunitario, a partire dal 1997, e la progressiva e rapida diffusione di servizi low cost ha intensificato le dinamiche competitive, ha favorito l'aumento del numero dei concorrenti, ha migliorato l'offerta di collegamenti e di servizi su numerose rotte e ha reso possibile una netta riduzione delle tariffe, incrementando in misura significativa il numero dei passeggeri trasportati; tutto questo ha consentito a milioni di cittadini un'effettiva libera circolazione delle persone e delle merci e l'accesso a quello «spazio unico» europeo dei trasporti capace di incrementare la mobilità, ridurre gli ostacoli nelle aree essenziali e alimentare la crescita e l'occupazione;
    in pochi anni l'evoluzione del mercato del trasporto aereo ha reso inevitabile per la «compagnia di bandiera», che operava in regime di sostanziale monopolio sulle tratte interne e concorreva con altre imprese con analoghe caratteristiche sui voli internazionali, una radicale riorganizzazione del servizio e un forte contenimento dei costi; questo netto cambio di strategia si è imposto anche ad altri vettori già presenti nella rete dei collegamenti nazionali;
    l'assetto e le prospettive del trasporto aereo si sono modificate in breve tempo per molti altri rilevanti fattori; il mercato si presenta oggi con strutture, servizi ed operatori molto diversi da quelli con cui si costruivano gli scenari e le prospettive di traffico all'inizio degli anni 2000, quando sono stati fatti importanti investimenti in infrastrutture e in aeromobili e anche consistenti programmi di assunzione di lavoratori in tutto il comparto aereo-aeroportuale;
    i dati dell'ultimo rapporto Enac disponibile, che analizza i dati del trasporto aereo relativi all'anno 2013, rilevano il positivo andamento del trasporto aereo mondiale, con un traffico passeggeri in crescita del 5 per cento circa e del settore cargo dell'1 per cento rispetto al 2012; lo stesso rapporto Enac conferma anche per il 2013 la crisi del trasporto aereo in Italia, con una diminuzione del numero dei passeggeri trasportati dell'1,7 per cento rispetto al 2012, 143,5 milioni; vi è poi da considerare che una flessione più significativa, -5,6 per cento in un anno, si registra nel numero dei movimenti con i quali le compagnie hanno razionalizzato il load factor dei propri voli, che indica la percentuale dei posti effettivamente occupati rispetto a quelli disponibili sul velivolo;
    nel 2013, l'aeroporto di Fiumicino, il primo scalo italiano, ha registrato una riduzione del numero dei passeggeri sullo scalo intercontinentale del 2,12 per cento, che equivale ad oltre 802.500 passeggeri in meno rispetto al 2012; quanto agli aeroporti lombardi, Malpensa ha registrato un calo del 3 per cento – quasi 550.000 persone trasportate in meno; Linate ha perso il 2,1 per cento – con una riduzione di circa 192.000 passeggeri rispetto all'anno precedente;
    la crisi ha continuato a incidere sui conti di Alitalia – il primo vettore del Paese – che ha accusato la contrazione più ampia del mercato: in un anno l'ex compagnia di bandiera ha perso 1,4 milioni di passeggeri e con 23,9 milioni ha un numero di passeggeri di poco superiore a quello di Ryanair, la principale compagnia low cost, che ha raggiunto i 23 milioni; alla fine del 2014 – se non si inverte la tendenza – potrebbe realizzarsi lo storico sorpasso; è importante notare che, a fronte degli 1,4 milioni di passeggeri persi da Alitalia, 1,2 milioni sono stati acquisiti da Ryanair e Easyjet, compagnie che operano con tariffe – e costi – ben diversi;
    il low cost realizza il 35-36 per cento del traffico intra-europeo; in Paesi come l'Inghilterra o gli Stati Uniti, dove il modello si è imposto da oltre quarant'anni, il low cost copre circa il 50 per cento del traffico; da alcuni anni quasi il 100 per cento delle nuove rotte intra-europee ed europee, nelle tratte dirette tra regioni e regioni, domestiche ed europee, sono operate dalle compagnie low cost;
    è importante, altresì, sottolineare che tratte importanti, come la Fiumicino-Linate, risentono in misura significativa della concorrenza dei treni ad alta velocità;
    in questi ultimi anni sui conti dei vettori hanno pesato molti altri importanti fattori, come il costo del carburante: il prezzo del petrolio ha registrato una straordinaria escalation tra il 2003 e il 2011; il valore del greggio nel 2008 ha raggiunto il massimo storico di quasi 150 dollari al barile; solo tra il 2014 e 2015 si è registrato un effettivo crollo del prezzo del petrolio, per diverse cause, tra cui il calo della domanda e l'aumento della produzione di petrolio non convenzionale;
    i vettori hanno risentito di altri rilevanti problemi: il calo della domanda dovuto a una diminuzione della propensione del singolo al consumo, oltre a eventi contingenti come la persistente crisi politica nei Paesi del Mar Rosso e del Medio Oriente, che hanno inciso negativamente sull'intero settore della navigazione aerea e non solo sugli specifici bacini di traffico direttamente interessati; la domanda di trasporto ha risentito anche dell'effetto negativo dell'incremento delle tariffe aeroportuali e di navigazione aerea;
    i dati negativi del 2013 si sommano a quelli degli anni precedenti, caratterizzati dalla più profonda e lunga crisi economico-finanziaria dal dopoguerra, con pesanti ricadute sulla tenuta del sistema imprenditoriale del settore del trasporto aereo e, soprattutto, sui livelli occupazionali, con l'apertura di molte vertenze e tavoli di crisi;
    il sostegno ai lavoratori del comparto è stato assicurato con risorse a carico del bilancio dello Stato, ma anche con fondi a carico delle imprese e dei lavoratori del comparto, ma soprattutto dell'utenza; a partire dal 2004 è stato istituito il fondo speciale per il trasporto aereo con l'articolo 1-ter del decreto-legge n. 249 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 291 del 2004, con una dotazione costituita da un contributo sulle retribuzioni a carico dei datori di lavoro (0,375 per cento) e dei lavoratori (0,125 per cento) del settore, nonché dall'addizionale comunale sui diritti di imbarco – applicata a ciascun biglietto di trasporto aereo – pari a tre euro a biglietto, un prelievo particolarmente elevato se si considera che il margine di un biglietto low cost oscilla tra i 5 e i 10 euro;
    in base alla legge istitutiva, il fondo interviene in caso di crisi di aziende del settore del trasporto aereo, per erogare specifici trattamenti a favore di lavoratori interessati da riduzioni dell'orario di lavoro, da sospensioni temporanee dell'attività lavorativa o da processi di mobilità, nonché per finanziare programmi formativi di riconversione o riqualificazione sia nei confronti del personale di volo (piloti e assistenti di volo), sia del personale di terra, per un totale di circa 150.000 potenziali beneficiari;
    l'intervento del fondo integra i trattamenti di mobilità, cassa integrazione guadagni straordinaria, cassa integrazione in deroga e solidarietà, garantendo il raggiungimento dell'80 per cento della retribuzione comunicata dall'azienda all'Inps al momento della richiesta del trattamento integrativo, fino ad un massimo di 7 anni;
    nell'agosto e nel dicembre del 2014 sono stati raggiunti, per importanti crisi del settore, accordi a livello governativo con le parti sociali, che prevedono un'estensione della durata della prestazione di ulteriori due anni, fino ad un massimo di 9 anni; in questi due anni aggiuntivi il fondo dovrebbe sostenere l'intero carico relativo all'80 per cento della retribuzione di riferimento, nonché l'onere della cosiddetta contribuzione correlata, ovvero i contributi previdenziali (circa il 30 per cento della retribuzione che il lavoratore percepiva prima della cessazione del rapporto di lavoro);
    attualmente, considerate le entrate previste per il 2015, il fondo ha una disponibilità di cassa di circa 47 milioni di euro al netto delle somme già impegnate a seguito di delibere assunte;
    tra le vertenze più difficili e gravose dal punto di vista occupazionale si segnala quella del gruppo Alitalia che si è conclusa con la stipula dell'accordo quadro, firmato presso il Ministero dello sviluppo economico, il 12 luglio 2014, che ha comportato esuberi pari a 1.635 unità; la vertenza si è avviata a conclusione anche per l'ingresso di Etihad airways nel capitale sociale della compagnia;
    tra le molte situazioni ancora da risolvere, il caso Meridiana è quello che desta maggiori preoccupazioni per gli oltre 1.000 lavoratori che rischiano di essere messi fuori produzione, nonostante il pronto avvio di un tavolo di confronto in sede ministeriale;
    per il 21 aprile 2015 è programmato lo sciopero dei lavoratori degli handlers e delle compagnie aeree straniere aderenti e non a Fairo, indetto dai sindacati maggiormente rappresentativi a livello nazionale (Filt-Cgil, Fit-Csil, Uiltrasporti e Ugl trasporti) per sollecitare l'adozione di un unico contratto nazionale per l'industria del trasporto aereo e denunciare i ritardi e l'indisponibilità delle associazioni datoriali Assohandlers e Fairo nel ricercare le condizioni per una rapida soluzione della vertenza contrattuale aperta ormai da anni;
    molti sono i fattori esogeni ed endogeni che possono modificare il quadro di riferimento in cui operano anche le imprese del trasporto aereo, con prospettive di ripresa che solo pochi mesi fa apparivano impensabili e che potrebbero invertire le tendenze sin qui registrate ed attenuare i fattori di difficoltà gestionale e di tensione occupazionale;
    sul fronte esterno, il crollo del prezzo del petrolio, il deprezzamento dell'euro sulla divisa statunitense e il consolidamento della ripresa americana, da un lato, riducono drasticamente il costo dell'energia, dall'altro rendono le tariffe europee e nazionali più concorrenziali sul mercato globale e possono attivare nuovi flussi di traffico verso il nostro Paese;
    sul piano nazionale, le misure per il sostegno dei consumi, la riforma del mercato del lavoro, finalizzata, tra l'altro, a un sistema di ammortizzatori sociali più inclusivo e al superamento delle forme contrattuali più precarizzanti, le misure di incentivazione per le nuove assunzioni a tempo indeterminato e l'esclusione del costo del lavoro dalla base di calcolo dell'irap costituiscono un contesto normativo di cui potranno avvalersi tutte le imprese, anche quelle del comparto aereo, per recuperare competitività e per riprendere ad investire e assumere;
    è essenziale che il Governo continui ad operare per dare soluzione strutturale ai problemi del comparto aereo-aeroportuale e del relativo indotto e, in modo particolare, alle questioni che riguardano il personale e, in generale, tutti i lavoratori del settore;
    per il piano nazionale degli aeroporti, adottato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri alla fine del 2014, è stata raggiunta l'intesa in Conferenza Stato-regioni il 19 febbraio 2015 e sarà ora sottoposto all'esame, per il parere, delle competenti commissioni parlamentari prima della definitiva deliberazione del Consiglio dei ministri;
    il varo del piano nazionale degli aeroporti da parte del Governo è stato valutato in modo molto positivo dal mercato internazionale, in particolare dagli investitori; per la prima volta l'Italia si è dotata di un quadro di riferimento strategico che consente di avere certezze in merito ad alcune priorità e, in particolare, indica in modo chiaro gli aeroporti fondamentali, di interesse nazionale e di interesse strategico e individua gli investimenti necessari a tali aeroporti per un'adeguata dotazione infrastrutturale;
    in merito al caso Alitalia, la situazione sta rapidamente evolvendo: i nuovi Commissari europei, il Commissario dei trasporti, il Commissario del mercato interno e il Commissario della concorrenza, (i tre Commissari coinvolti riguardo l'operazione Alitalia-Etihad) e la direzione generale per la concorrenza della Commissione europea hanno già espresso una positiva valutazione su tale operazione, che è stata condotta in modo conforme alle direttive europee, nell'intento di realizzare un effettivo rilancio di Alitalia che, più solida e competitiva, può operare in modo efficiente nel pieno rispetto delle regole di mercato;
    il via libera dell'Unione europea ha permesso il closing definitivo tra i due soci italiani ed Etihad e il definitivo avvio della nuova compagnia il 10 gennaio 2015; la crisi industriale è stata affrontata con un solido piano industriale per 1 miliardo e 700 milioni di euro di investimento che dovrebbe contribuire a risolvere in via definitiva l'urgente problema degli esuberi; l'azienda, che ha 14.000 dipendenti, aveva, all'inizio della crisi, esuberi per 5.000 persone, poi ridotti a 2.125; di questi, una parte consistente sono andati in mobilità volontaria – più di 800 – per gli altri si sta realizzando un'adeguata ricollocazione; molte funzioni fondamentali – come la manutenzione degli aerei, che prima veniva eseguita in Israele e ora nuovamente a Roma – sono rientrate in Italia e questo ha consentito di avviare a soluzione questioni delicate e di ricollocare 200 persone dalla manutenzione in Atitech; per altre 440 persone, che a dicembre 2014 risultavano ancora in mobilità, si sta procedendo alle ricollocazioni di Atitech (fornitori, informatica e quanto altro);
    le iniziative del Governo dovranno perseguire l'obiettivo di rilanciare, insieme alla compagnia – che ha un ruolo strategico in Italia – l'intero sistema aeroportuale; per la definitiva soluzione dei problemi occupazionali è essenziale il buon esito delle questioni rimaste aperte con la Commissione europea: il tema della concentrazione con il Commissario ai trasporti e il tema degli aiuti di Stato con il Commissario alla concorrenza;
    per la questione «concentrazione», vi è da sottolineare che, dopo la due diligence di Enac, il 10 dicembre 2015, con lettera formale alla direzione generale mobilità e trasporti (Dg Move), è stato confermato che il controllo della società è in mani europee, di capitali europei, come la legge europea prevede;
    la compagnia Meridiana ha evidenziato un serio problema di esuberi, per i quali, finita la cassa integrazione, si chiede la mobilità;
    le prospettive di ripresa modificano il quadro di riferimento in cui operano le imprese del trasporto aereo, anche per il previsto incremento del traffico nel nostro Paese in concomitanza con due importanti eventi di interesse globale, quali l'Expo di Milano ed il giubileo; è essenziale che tali condizioni e prospettive siano tenute nella dovuta considerazione ai fini della definizione e dell'auspicata soluzione delle diverse vertenze ancora aperte;
    nel piano nazionale degli aeroporti, che determina la strategia degli investimenti dello Stato nelle infrastrutture di collegamento degli scali, la qualifica di aeroporti di interesse nazionale è attribuita anche a quegli scali che garantiscono la continuità territoriale di regioni periferiche e aree in via di sviluppo o particolarmente disagiate, qualora non sussistano altre modalità di trasporto, in particolare ferroviario, adeguate a garantire tale continuità,

impegna il Governo:

   a implementare, in tempi rapidi e definiti, il nuovo piano nazionale della rete aeroportuale con risorse certe ed adeguate agli investimenti da realizzare, con un controllo costante sulla regolarità dell'affidamento degli appalti;
   a garantire il completamento e, ove necessario, la realizzazione di collegamenti stradali e ferroviari rapidi ed efficienti con gli scali di interesse nazionale;
   a esercitare, in accordo con tutti gli organismi competenti, il controllo e il costante monitoraggio sul corretto adempimento degli obblighi gravanti sui gestori aeroportuali in base ai contratti di concessione;
   a integrare e a definire nei contratti di concessione specifici standard di qualità e sicurezza dei servizi;
   ad assumere iniziative dirette ad eliminare le barriere di natura regolamentare per favorire un'offerta di servizi di trasporto aereo efficiente ed efficace;
   ad adoperarsi sollecitamente, per quanto di competenza, affinché ci sia piena assunzione di responsabilità da parte dell'azionista – e nel confronto tra sindacati e azienda – per arrivare in tempi brevi ad un'adeguata ristrutturazione aziendale della compagnia Meridiana che ha operato per cinquant'anni nella regione Sardegna;
   a creare le condizioni affinché si arrivi ad una soluzione ottimale per i lavoratori che garantisca efficienti servizi per la continuità territoriale della regione Sardegna e di tutte le altre aree del Paese che hanno problemi di perifericità e di continuità territoriale;
   ad adottare ogni iniziativa utile per favorire la ripresa del confronto tra le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori e delle imprese del settore del trasporto aereo volto a completare il lavoro sin qui sviluppato, finalizzato a dotare l'industria del trasporto aereo di un unico contratto nazionale, così scongiurando ulteriori fasi di tensione nei rapporti industriali e il ricorso a nuove azioni di mobilitazione dei lavoratori;
   ad intraprendere ogni iniziativa utile al fine di far ripartire il comparto industriale delle lavorazioni funzionali al servizio del trasporto aereo, mettendo in campo una coerente programmazione infrastrutturale, delineando una nuova politica industriale per il settore finalizzata all'aggregazione delle aziende e che contempli il rilancio di lavorazioni strategicamente determinanti come la costruzione e la revisione dei motori, dei carrelli, delle verniciature, delle manutenzioni e della produzione di componentistica elettronica, nonché definendo politiche attive del lavoro e di regolamentazione degli appalti in tutti i siti aeroportuali;
   a favorire una costante collaborazione tra i Ministeri del lavoro e delle politiche sociali e delle infrastrutture e trasporti con le regioni interessate dalla crisi del settore del trasporto aeroportuale per affrontare una riforma organica di sistema, nonché per addivenire all'individuazione di un bacino unico delle figure professionali licenziate dal 2008 ad oggi per effetto della crisi e delle riorganizzazioni che hanno coinvolto gli aeroporti italiani, le aziende del comparto e dell'indotto, anche in vista dell'implementazione delle politiche di formazione e ricollocazione del personale, partendo dalle attuali sperimentazioni che stanno coinvolgendo, nella regione Lazio, i lavoratori Alitalia licenziati nel 2014.
(1-00801) «Brandolin, Miccoli, Tullo, Gnecchi, Bonaccorsi, Bonomo, Bruno Bossio, Cardinale, Carloni, Castricone, Coppola, Crivellari, Culotta, Ferro, Cinzia Maria Fontana, Gandolfi, Pierdomenico Martino, Massa, Mauri, Minnucci, Mognato, Mura, Pagani, Albanella, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Dell'Aringa, Di Salvo, Giacobbe, Gregori, Gribaudo, Incerti, Maestri, Martelli, Paris, Giorgio Piccolo, Rotta, Simoni, Tinagli, Zappulla, Fassina, Marroni».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo le rilevazioni Istat sulla natalità, in Italia il trend delle nascite è sempre negativo e il nostro Paese è afflitto dal grave problema della bassa natalità secondo l'autorevole opinione dell'88,7 per cento di ginecologi, andrologi e urologi;
    nel 2011 sono nati 556.000 bambini, 6.000 in meno rispetto al 2010, e il tasso di natalità è sceso dal 9,3 per mille nel 2010 al 9,1 per mille nel 2011 ed il numero medio di figli per donna è pari ad 1,42;
    numerose sono le ragioni che sottendono al calo delle nascite, tra le quali, indubbiamente, una carenza a livello nazionale e territoriale di efficaci politiche per la famiglia e la preoccupazione della concorrenza nell'ambito lavorativo, se non addirittura del rischio di perdere il proprio posto di lavoro;
    investire per la famiglia significa investire per il futuro, per questo è fondamentale prevedere e finanziare azioni a sostegno delle gestanti ed a favore dei nuclei familiari;
    è necessario, dunque, il potenziamento di servizi di qualità per la primissima infanzia, incrementandone il numero a sostegno dell'occupazione femminile, differenziando anche le tipologie di offerta, sia sul versante degli orari (apertura-chiusura; tempo pieno-tempo parziale) che sul versante delle forme di iscrizione e frequenza;
    essenziale risulta essere l'individuazione della figura della baby-sitter: in alcuni casi, la problematica maggiore circa la natalità è dovuta al fatto che la donna non sa a chi lasciare i propri figli;
    attualmente, infatti, non vi sono albi o registri di persone competenti nella cura dei bambini, per cui la donna, se fortunata, si affida ai propri genitori quando questi ci sono, in altri casi si assenta dal lavoro: risulta, pertanto, indispensabile istituire e promuovere percorsi formativi specifici finalizzati alla creazione di figure professionali che svolgano attività di assistenza e cura di bambini, anziani, adulti malati o disabili, al fine di coadiuvare la lavoratrice, soprattutto nei periodi di malattia del figlio nei rapporti con la famiglia e permettere alla stessa di tornare con tranquillità, dopo il congedo obbligatorio, nel proprio posto di lavoro, con la previsione per le stesse famiglie di usufruire anche di sgravi contributivi e/o agevolazioni fiscali per il genitore che assuma alle proprie dipendenze baby-sitter ovvero professionisti dei servizi di cura ed assistenza alla persona;
    la dilatazione dei tempi della formazione e dell'ingresso nel mercato del lavoro e la relativa stabilizzazione professionale inducono un numero crescente di donne e di coppie a rinviare le scelte procreative, che richiedono un investimento non solo economico, ma anche di tempo molto forte ed impegnativo;
    il lavoro di cura è ancora oggi un fattore di forte depotenziamento dei diritti sociali delle donne, che risultano essere comunque penalizzate sul mercato del lavoro e discriminate in quanto potenziali madri; quindi, risulta indispensabile una revisione degli impegni economici/aziendali posti in capo ai datori di lavoro che hanno una dipendente in maternità: al giorno d'oggi, purtroppo, questa è una delle cause primarie di «non assunzione» delle donne in età fertile;
    è necessario che lo Stato si faccia carico degli ulteriori oneri dovuti dal datore di lavoro in caso di assunzione in sostituzione del personale assente per maternità, in maniera tale da permettere una sostituzione della dipendente assente in congedo obbligatorio o facoltativo, senza modificare il normale costo mensile sostenuto per la prestazione, anche prevedendo un rimborso a conguaglio dei contributi dovuti della quota eccedente il normale costo del lavoro: sicuramente un approccio di questo tipo comporterebbe una maggiore tranquillità nell'assumere una donna alle proprie dipendenze e prevedere, nel contempo, incentivi economici per i datori di lavoro che ricorrono allo strumento del telelavoro, riconoscendo, ad esempio, un rimborso totale della spesa effettuata per installazione negli ambienti domestici di strumentazioni di lavoro al fine di poter garantire una maggiore flessibilità dei relativi congedi parentali;
    la normativa cardine per gli interventi in favore della conciliazione tra vita professionale e vita familiare è l'articolo 9 della legge n. 53 del 2000, come modificato dall'articolo 38 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in attuazione del quale è stato poi emanato il «Regolamento recante criteri e modalità per la concessione dei contributi», di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 dicembre 2011, n. 277;
    in data 18 maggio 2011 è stato emanato l'avviso di finanziamento relativo all'anno 2011 per interventi in favore della conciliazione tra vita professionale e vita familiare, che ha stanziato 15 milioni di euro, ma poi non è stato rinnovato alcun finanziamento per gli anni successivi;
    tali stanziamenti rappresentano un valido sostegno economico ad operazioni che intendano introdurre misure flessibili e nuove forme di organizzazione del lavoro, compatibili con le esigenze e le caratteristiche dei vari contesti aziendali e con i presupposti per garantire la piena partecipazione delle donne alla vita professionale;
    per permettere un sano equilibrio tra il lavoro di cura, molto spesso prerogativa delle madri, e impegno professionale, andrebbero incentivati i servizi per l'infanzia e l'adolescenza e previsti maggiori sostegni ai costi di educazione dei figli, che prendano in considerazione non solo le spese per l'infanzia, ma anche le spese del periodo adolescenziale (scuola e libri scolastici per tutta la durata della scuola dell'obbligo);
    di grande importanza è la flessibilità dei dispositivi di congedo parentale, che dia la possibilità al soggetto richiedente di poter realmente conciliare, in date fasi del ciclo di vita, la sua presenza a casa per l'attività di cura con il lavoro professionale;
    importanti sono anche le agevolazioni finanziarie per le famiglie, come l'introduzione di un modello di assegno familiare unico (complessivo e personalizzato) che segua il complesso delle esigenze di cura espresse dalla famiglia e che permetta al titolare l'accesso a servizi di cura per l'infanzia e per i membri della famiglia in stato di non autosufficienza temporanea o permanente, oltre che per l'acquisto di prestazioni accessorie utili alla famiglia per fronteggiare esigenze di carattere quotidiano;
    fondamentale è, poi, l'incremento dei servizi aziendali per l'infanzia: nidi aziendali, nidi misti azienda-territorio, colonie estive, strutture di accoglienza per i figli in situazioni di emergenza, doposcuola attrezzati, buoni per baby-sitter (in particolare per chi fa lavoro notturno o per malattia del figlio), voucher familiari, voucher di cura; servizi aziendali di supporto all'attività scolastica dei figli, quali l'organizzazione del trasporto scolastico o l'organizzazione di centri estivi;
    la natalità può subire un incremento soltanto se si fornisce alle famiglie una rete di servizi e di strutture efficiente e diretta ad aiutare le madri che lavorano e prevedendo misure economiche che rendano conveniente per una famiglia avere un maggior numero di figli,

impegna il Governo:

   a potenziare i servizi di qualità per la primissima infanzia, incrementandone il numero a sostegno dell'occupazione femminile;
   ad incentivare i servizi per l'infanzia e l'adolescenza, prevedendo maggiori spazi per il tempo di cura e un incremento del sostegno ai costi di educazione dei figli che copra tutta la durata della scuola dell'obbligo;
   ad assumere iniziative per prevedere agevolazioni finanziarie per le famiglie che soddisfino il complesso di esigenze di cura espresse dalla famiglia, consentendo l'accesso a servizi di cura per l'infanzia e l'acquisto di prestazioni accessorie utili alla famiglia per fronteggiare esigenze di carattere quotidiano;
   a favorire, in particolare, i servizi aziendali per l'infanzia, quali nidi aziendali, nidi misti azienda-territorio, colonie estive, strutture di accoglienza per i figli in situazioni di emergenza, doposcuola attrezzati, buoni per baby-sitter (in particolare per chi fa lavoro notturno o per malattia del figlio), voucher familiari, voucher di cura; servizi aziendali di supporto all'attività scolastica dei figli;
   a valutare ogni possibile ulteriore iniziativa atta a promuovere misure efficaci a sostegno della natalità e della famiglia che rendano accessibili a tutti la costruzione e il sostentamento di un nucleo familiare e che abbiano un carattere di intervento permanente e non di una tantum a favore delle famiglie e dei nuovi nati;
   ad assumere iniziative per rivedere le disposizioni in essere riguardanti la disciplina della sostituzione di personale assente per maternità, con la previsione che sia lo Stato a farsi carico degli oneri ulteriori dovuti per la nuova assunzione in sostituzione e non il datore di lavoro;
   a prevedere iniziative normative volte ad istituire e promuovere percorsi formativi specifici finalizzati alla creazione di figure professionali che svolgano attività di assistenza e cura di bambini, anziani, adulti malati o disabili, al fine di coadiuvare la donna lavoratrice nei rapporti con la famiglia, prevedendo sgravi contributivi e/o agevolazioni fiscali per il genitore che assuma alle proprie dipendenze baby-sitter ovvero professionisti dei servizi di cura ed assistenza alla persona;
   a promuovere e sensibilizzare le imprese, anche attraverso campagne mediatiche, a ricorrere al telelavoro, prevedendo incentivi economici per i datori di lavoro che ricorrono a tale strumento e riconoscendo un rimborso totale della spesa effettuata per installazione negli ambienti domestici di strumentazioni di lavoro, al fine di poter garantire una maggiore flessibilità dei relativi congedi parentali.
(1-00802) «Rostellato, Bechis, Mucci, Baldassarre, Barbanti, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco, Artini».


   La Camera,
   premesso che:
    la situazione del trasporto aereo italiano presenta ad oggi aspetti di grande vitalità; secondo le ultime cifre disponibili, dal 2008 al 2013 (ovvero negli anni in cui la crisi ha attanagliato maggiormente l'industria del nostro Paese), il traffico passeggeri negli scali aeroportuali in Italia è aumentato del 10,3 per cento ed il traffico merci del 16,6 per cento;
    rispetto al 2013, anno più acuto della recessione, nel 2014 si è assistito ad un'impennata dei dati di ulteriore crescita del trasporto aereo italiano. Nel 2014, infatti, si è registrato il transito di oltre 150 milioni di passeggeri negli aeroporti nazionali, con un aumento del 4,7 per cento. Pertanto, il 2014 ha portato con sé un'evidente ripresa del settore, che ci si augura si consolidi nel 2015 e diventi un riflesso della rinascita dell'economia nazionale;
    secondo i dati pubblicati dall'Ente nazionale per l'aviazione civile, sulla base delle analisi condotte su 45 aeroporti nazionali, è aumentato anche il numero dei movimenti aerei in decollo o atterraggio (+1 per cento a 1.335.684 movimenti). Più consistente, invece, l'aumento del trasporto cargo (merce + posta) con quasi 902 mila tonnellate, il 7,1 per cento in più del 2013;
    il transito passeggeri per l'aeroporto di Roma Fiumicino ha registrato un incremento del 10 per cento nel 2014 rispetto al corrispondente periodo del 2013;
    guardando ai singoli scali italiani nel trasporto cargo si conferma al top Milano Malpensa, seguito da Roma Fiumicino e da Bergamo, mentre per il traffico commerciale non di linea (charter e aerotaxi) dopo Malpensa c’è Verona;
    a livello di compagnie, per il totale del traffico passeggeri incluso quello internazionale, si trova al primo posto la compagnia low cost irlandese Ryanair holdings (oltre 26 milioni di passeggeri) seguita da Alitalia-Cai (23 milioni), che invece risulta prima nella classifica limitata al solo traffico nazionale con oltre 12,8 milioni di passeggeri;
    a questa situazione di crescita di traffico passeggeri e merci e di movimenti in generale si contrappone una situazione occupazionale che vede in molti settori del comparto moltiplicarsi situazioni di cassa integrazione, mobilità e contratti di solidarietà che riguardano ormai quasi 20.000 lavoratori di terra e d'aria (vicende Meridiana, Alitalia-Cai, Argol, Groundcare, Sea handling ed altre);
    si continua a perseguire una politica di persistente promozione degli ammortizzatori sociali, che ha come inevitabile conseguenza la perdita di professionalità e l'abbassamento di livelli di sicurezza in tutto il comparto aeroportuale e di volo;
    in un settore strategico, come quello del trasporto aereo e della aeroportualità, il Governo ha il dovere di porsi come primo obiettivo la tutela del lavoro altamente specializzato e qualificato;
    la tutela del lavoro dovrà tener conto della logica occupazionale che è alla base del successo e della competizione delle low cost che attraggono, da un lato, il cliente e, dall'altro, gli interessi delle parti in causa dell'indotto; fra questi, ovviamente, vi sono le amministrazioni locali, le società di gestione aeroportuale e le aziende/società ad esse affiliate e/o rientranti nella costellazione degli appalti/subappalti di servizi;
    occorre, quindi, orientare il mercato del trasporto aereo a tutela non solo del «prodotto» (passeggero utente finale), ma anche di ciò che esso può generare nell'indotto, anche con riferimento al mantenimento dei livelli occupazionali delle attività che operano nei servizi aeroportuali;
    il recente piano nazionale aeroporti risulta carente, sia per la limitata attenzione verso le dinamiche previste e prevedibili (come lo scenario di traffico aereo – ad esempio, il mercato asiatico – e il suo posizionamento nel breve-medio periodo, ivi incluso il relativo indotto che esso potrà generare), sia per la pressoché totale mancanza di visione di un innesto del settore trasporto aereo nelle logiche degli altri settori del trasporto (connettività/multimodalità) che avrebbe, quantomeno, dovuto precedere qualsivoglia strategia o valutazione da parte dello Stato anche, perché no, a tutela della forza lavoro che ruota nell'indotto;
    non va sottaciuto, inoltre, che in un recente studio effettuato da Assoaeroporti si segnala la decisa crescita del traffico passeggeri sulle percorrenze lungo raggio intercontinentali, cioè proprio in quel segmento di mercato dove la concorrenza delle compagnie che offrono servizi di trasporto a basso prezzo (low cost) è inesistente;
    andrebbero anche attentamente riconsiderate nei fatti alcune politiche di trasporto aereo che, nonostante siano state negate dal piano nazionale aeroporti, continuano in maniera contraddittoria ad incoraggiare l'esistenza nei medesimi bacini di traffico di più aeroporti, concorrenziali fra loro, impedendo con ciò un loro effettivo sviluppo e profittevole gestione. Si citano i casi del bacino di traffico su cui insistono Linate, Bergamo e Brescia, oppure gli aeroporti di Ancona, Rimini e Forlì, piuttosto che Firenze e Pisa, ovvero Lamezia, Crotone e Reggio di Calabria;
    la parcellizzazione e polverizzazione di alcune scelte operate nel piano aeroporti non può che generare percorsi settoriali di breve respiro, in massima parte voluto dalle lobby locali. In tale contesto appare abbastanza ambiguo il ruolo dello Stato: da un lato, posto nell'incapacità di fungere da cabina di regia del sistema trasporti e, dall'altro, quale «soccorritore» a tutela del mercato del lavoro, sforzandosi episodicamente nel tentativo di adeguamento a regolamentazioni internazionali (dell'Unione europea) sul sistema aeroporti difficilmente perseguibile proprio in ragione di un'assenza di chiarezza in termini di ruoli e funzioni sulla governance del settore. Prova ne sia quanto segnalato dalla Commissione europea nella relazione al Parlamento e al Consiglio sull'applicazione della direttiva sui diritti aeroportuali (19 maggio 2014, COM(2014)278);
    appare claudicante il ruolo della recente Autorità di regolazione dei trasporti, tardivamente istituita ed ancora priva di sufficiente capacità e indirizzo, così come previsto nelle intenzioni dell'Unione europea allorquando fu deciso di attivare tali autorità a livello europeo su un tema, peraltro, assai delicato quale quello dei diritti aeroportuali, che a diverso titolo giocano un ruolo essenziale nello sviluppo dell'intero settore aviazione;
    è, infatti, evidente che la fragilità decisionale da parte del Governo possa velocemente degenerare riverberando i suoi effetti sulla tenuta del mercato, delle compagnie aeree, dell'indotto turistico e commerciale e della forza lavoro, che, a diverso titolo, opera nel settore trasporto aereo. Non ultima la possibilità concreta che quanto segnalato dalla Commissione europea possa, di fatto, tradursi in possibili procedure di infrazione da parte dell'Unione europea sul complesso delle attività attese e non realizzate, ovvero realizzate ma in contrasto con le misure europee;
    si sono, infatti, riscontrati problemi specifici nel recepimento della direttiva CE sui diritti aeroportuali da parte dell'Italia e di altri Paesi dell'Unione europea di cui alla relazione della Commissione europea al Parlamento europeo e al Consiglio del 19 maggio 2014;
    infine, preoccupa il fatto che sull'annunciata privatizzazione del fornitore di servizi di controllo del traffico aereo Enav s.p.a., il cui capitale è detenuto al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, nulla venga detto della reale situazione patrimoniale e creditoria, nei cui confronti risulterebbero fortemente indebitate compagnie aeree e società di gestione aeroportuale, rendendo perciò difficilmente realizzabile l'operazione,

impegna il Governo:

   a porre in essere ogni iniziativa, anche normativa, mirata ad affrontare le problematiche occupazionali in armonia con la forte e, per certi versi, inaspettata crescita del trasporto aereo in un'ottica di potenziamento e sviluppo del comparto e salvaguardia della sicurezza del volo messa in discussione dalla recente tragedia Germanwings, in virtù della quale vanno rivisitate scelte europee sulla composizione degli equipaggi di volo ispirate da ragioni di contenimento dei costi (solo 2 piloti nel corto/medio raggio);
   ad esplorare ogni strada percorribile volta a salvaguardare e rilanciare il patrimonio industriale del trasporto aereo italiano, in considerazione delle grandi potenzialità e delle prospettive che l'intero settore del trasporto e del turismo offrono al nostro Paese, incrementando gli ambiti di sicurezza con particolare riferimento al fattore umano e quindi al recupero di professionalità ed esperienze perse attraverso talvolta inadeguate riduzioni degli organici e un utilizzo troppo disinvolto degli ammortizzatori sociali;
   a dare seguito a quanto contenuto nella relazione della Commissione europea al Parlamento europeo e al Consiglio del 19 maggio 2014 (COM(2014)278) sull'applicazione della direttiva sui diritti aeroportuali e ad assumere iniziative normative per rivedere il ruolo della recente Autorità di regolazione dei trasporti, tardivamente istituita e priva di qualsiasi capacità di indirizzo, nonché per rivedere il piano aeroporti alla luce dei criteri direttivi nella stessa contenuti;
   a verificare la reale efficacia del piano nazionale aeroporti recentemente adottato, che non parrebbe rispecchiare il principio incontrovertibile della necessaria concentrazione del traffico aereo per evitare diseconomie di gestione;
   a farsi promotore di ogni iniziativa di competenza tesa all'accertamento della reale efficienza ed efficacia da parte dell'Enac nell'attività di regolazione, sorveglianza e sanzionatoria, del comparto dell'aviazione civile;
   a sollecitare, anche nel rispetto del mercato e di possibili investitori privati, la trasparente pubblicizzazione della reale situazione patrimoniale, creditizia e debitoria di Enav s.p.a.;
   a valutare ogni altra possibilità di riassetto del comparto nel suo insieme alla luce del mutato scenario economico e delle sollecitazioni che provengono dalla Commissione europea.
(1-00803) «Catanoso, Palese, Occhiuto».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo il «Report sugli indicatori demografici 2014», pubblicato a febbraio 2015 dall'Istat, sono 509 mila le nascite nel 2014, cinquemila in meno rispetto al 2013, il livello minimo dall'Unità d'Italia, e si conferma la tendenza evidenziata negli ultimi anni che vede progressivamente dilatarsi la forbice tra nascite e decessi: da -7 mila unità nel 2007 a -25 mila unità nel 2010, fino a -86 mila nel 2013;
    nel 2014 la stima del numero medio di figli per donna è pari a 1,39, come nel 2013, che la rende ancora distante dalla media dell'Unione europea (1,58 figli nel 2012, fonte Eurostat) e insufficiente a garantire il necessario ricambio generazionale;
    tale dato è già comprensivo di quello più alto relativo alle donne immigrate, senza il cui contributo la natalità in Italia risulterebbe ancora più bassa;
    risultano, tuttavia, in calo anche le nascite da madri straniere, che finora avevano compensato questo squilibrio strutturale andando a riempire i «vuoti» di popolazione femminile, scendendo sotto la soglia dei 2 figli per donna e attestandosi a 1,97;
    con 1,46 figli per donna il Nord, nel suo insieme, è la ripartizione con la più alta fecondità, il Centro registra un valore di 1,36, mentre il Mezzogiorno si attesta a 1,32. Nessuna delle regioni del Mezzogiorno presenta una fecondità di livello superiore alla media nazionale;
    secondo il citato report si registra un nuovo aumento della speranza di vita alla nascita. Gli uomini oltrepassano la soglia degli ottanta anni, le donne sono ormai prossime a quella degli ottantacinque;
    al 1o gennaio 2015 l'età media della popolazione ha raggiunto i 44,4 anni. L'aumento della vita media ed il regime di persistente bassa fecondità hanno portato l'Italia ad avere un alto indice di vecchiaia: al 1o gennaio 2013 nella popolazione residente si contavano 151,4 persone di 65 anni e oltre ogni 100 giovani con meno di 15 anni. Tra i Paesi europei supera l'Italia solo la Germania (158), mentre la media dell'Unione europea è pari 116,6. Questa misura rappresenta il «debito demografico» contratto da un Paese nei confronti delle generazioni future, soprattutto in termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza;
    tra le principali cause del calo delle nascite vi sarebbe la congiuntura economica sfavorevole: rispetto a vent'anni fa la donna oggi lavora per necessità e, non potendo per le famiglie andare avanti con un solo reddito, si rimanda il più possibile il momento di una gravidanza, anche per paura di perdere l'impiego e, quando poi sembra arrivato il momento adatto, subentrano l'età avanzata e la fertilità ridotta;
    il calo della natalità negli ultimi 5 anni è in atto in quasi tutti i Paesi europei, seppur con ritmi e intensità diverse, ma nel nostro Paese gli effetti della sfavorevole congiuntura economica sulla natalità si sommano a quelli «strutturali» dovuti alle importanti modificazioni della popolazione femminile in età feconda (da 15 a 49 anni);
    a differenza di quanto avviene negli altri Paesi europei il processo di autonomia dei giovani dalle proprie famiglie avviene con tempi più lunghi e questo si riflette negativamente sul tasso di natalità;
    le difficoltà del mercato immobiliare delle abitazioni e nell'accesso ai mutui, finanziamenti ed altre obbligazioni concesse da banche contribuiscono in maniera spesso decisiva alle decisioni di rinviare il momento della gravidanza;
    manca una strategia di interventi mirati nel settore degli asili nidi e degli alloggi a favore delle coppie giovani, che negli altri Paesi europei ha indotto le donne alla scelta del secondo figlio;
    il carico di lavoro di cura continua a essere particolarmente elevato ed il mutuo sostegno tra le generazioni di madri e di figlie è diventato sempre meno agevole; inoltre, le politiche di conciliazione dei tempi di vita non hanno ancora realizzato la necessaria flessibilità organizzativa caratteristica di molti altri Paesi europei;
    la Strategia di Lisbona prevede negli asili nido un numero di posti equivalente a 33 ogni 100 bambini di età compresa tra 0-3 anni (33 per cento) entro la fine del 2010: in Italia la copertura media del servizio non raggiunge neanche la metà di quella prevista (circa il 13 per cento), con punte drammatiche in alcune regioni del Mezzogiorno, contro il 60 per cento della Danimarca, il 40 per cento dell'Irlanda ed il 29 per cento della Francia;
    i tagli ai bilanci comunali e il patto di stabilità interno limita ulteriormente una buona dotazione di asili nido sul territorio;
    l'Italia rientra nel gruppo di Paesi europei in cui lo squilibrio generazionale potrebbe mettere a dura prova il modello del welfare state. Il rischio di veder realizzata in Italia la classica situazione della piramide rovesciata, contraddistinta da una vasta popolazione di anziani che grava su una ristretta popolazione di giovani, potrà avere effetti economici disastrosi;
    indagini e studi concordano nel sostenere che interventi legislativi volti a incrementare e migliorare la diffusione dei servizi in favore dell'infanzia e dell'adolescenza, oltre ad incentivi fiscali, per un'equa politica per le famiglie, e previdenziali, per facilitare il rientro al lavoro delle donne dopo la gravidanza, sarebbero gli strumenti ideali per una politica concreta in favore della natalità;
    oltre a tali misure, l'aumento della natalità potrebbe essere ottenuto attraverso una migliore gestione della legge n. 194 del 1978 e, soprattutto, attraverso una più attiva azione di prevenzione,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative, anche di tipo normativo, volte a favorire un'effettiva equità fiscale per le famiglie con figli a carico, soprattutto quelle monoreddito;
   a favorire i nuclei familiari con più di tre figli e quelli di nuova costituzione nelle politiche abitative;
   a inserire in una prossima iniziativa normativa la valutazione di impatto familiare;
   a valutare tutte le misure idonee a prevenire il conflitto esistente tra lavoro e maternità, agevolando il lavoro di cura dei genitori, soprattutto nei primi anni di vita dei figli;
   a dare piena e concreta applicazione all'articolo 16 («Valorizzazione e sostegno delle responsabilità familiari») della legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali n. 328 del 2000, al fine di sostenere la genitorialità con una moderna rete di servizi tesi ad incrementare la natalità responsabile;
   a rendere più efficaci gli strumenti per la prevenzione dell'aborto attraverso l'offerta di sostegno, anche economico, alle gestanti in difficoltà previsti dall'articolo 2, lettere b), c) e d), della legge n. 194 del 1978 sull'interruzione volontaria della gravidanza, promuovendo, inoltre, campagne di informazione sul parto in anonimato e sulle culle termiche presenti già in molti ospedali italiani, al fine di ridurre il rischio di infanticidio;
   ad assumere iniziative per trasformare i consultori familiari in efficaci strumenti di aiuto alle gestanti in difficoltà;
   a promuovere una revisione e semplificazione delle procedure di adottabilità e ad assumere iniziative a favore delle famiglie disponibili ad accogliere e adottare bambini senza famiglia;
   a promuovere una capillare campagna di informazione per prevenire le cause della diffusione di malattie, sempre più frequenti, che possano determinare interruzioni di gravidanza e infertilità.
(1-00804) «Gigli, Sberna, Capelli, Dellai».


   La Camera,
   premesso che:
    il corridoio di viabilità autostradale dorsale Civitavecchia-Orte-Mestre che comprende la realizzazione dell'E55, la riqualificazione della E45 e la realizzazione della trasversale Orte-Civitavecchia, è stato a suo tempo inserito nell'elenco delle infrastrutture strategiche di cui alla delibera CIPE del 21 dicembre 2001 n. 121, in conformità a quanto previsto dalla «legge obiettivo» (legge n. 443 del 2001);
    l'opera doveva percorrere trasversalmente l'Italia centrale e nordorientale, partendo da Orte (Viterbo) e proseguendo a nord verso Perugia, Ravenna, fino a Mestre, lungo un percorso di 396 chilometri, attraversando cinque regioni (Lazio, Umbria, Toscana, Emilia Romagna e Veneto), un ulteriore segmento è dedicato a connettere Orto a Civitavecchia; il soggetto promotore del progetto autostradale risulta essere, insieme ad ANAS, un pool di imprese e di banche;
    nel corso della seduta dell'8 novembre 2013, il CIPE, nell'ambito del programma delle infrastrutture strategiche (legge n. 443 del 2001), ha approvato con prescrizioni il progetto preliminare del «Corridoio di viabilità autostradale Civitavecchia-Orte-Mestre, tratta E45-E55 Orte-Mestre» e la proposta del promotore, decidendo che l'opera beneficiasse di misure fiscali sostitutive di un contributo pubblico a fondo perduto, quale prima applicazione della normativa introdotta dall'articolo 18 della legge n. 183 del 2011, in pratica una defiscalizzazione da 1,87 miliardi di euro;
    con deliberazione n. 16/2014/PREV del 17 luglio 2014, la sezione centrale del controllo di legittimità della Corte dei conti ha ricusato il visto e la registrazione della delibera n. 73 dell'8 novembre 2013, in quanto lo sconto fiscale era applicabile soltanto a opere proposte successivamente al giugno 2013, mentre il collegamento autostradale E45-E55 Orte-Mestre è stato dichiarato di pubblico interesse il 9 dicembre 2003;
    il nuovo blocco dell’iter progettuale è stato superato con il comma 4 dell'articolo 2 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, che ha modificato il codice degli appalti, includendo le proposte già dichiarate di pubblico interesse e precedentemente escluse, nella disciplina in materia di finanziabilità dei progetti che regola le opere realizzate in regime di project financing;
    il programma delle infrastrutture strategiche allegato al DEF 2014, aveva confermato tra gli interventi da attuare il corridoio viabilità Mestre Orte Civitavecchia per un costo complessivo di 10.065,60 milioni di euro, ancora nella fase preliminare della progettazione;
    l'opera in questione ha provocato la reazione di una parte dell'opinione pubblica per le eventuali pesanti ricadute ambientali e paesaggistiche derivanti dall'eventuale realizzazione di un'autostrada a pedaggio in un'area che vive essenzialmente di turismo;
    l'allegato infrastrutture al documento di economia e finanza 2015 individua un mix di interventi da avviare e realizzare nel periodo 2015-2020 ed altri con orizzonte temporale 2030, che abbiano ritorni tangibili per la collettività;
    in particolare, gli interventi riguarderanno il potenziamento della modalità ferroviaria a livello nazionale e il miglioramento del servizio passeggeri; la riduzione del congestionamento urbano e metropolitano ed il miglioramento della mobilità multimodale regionale; il miglioramento della competitività del sistema portuale e interportuale;
    alla luce di tali indirizzi strategici, nell'ambito dell'elenco delle infrastrutture del programma delle infrastrutture strategiche (PIS) contenuto nell'XI allegato al DEF, sono individuate 25 opere strategiche, per un costo totale di 70,9 miliardi di euro e coperture finanziarie pari a 48 miliardi di euro;
    tali infrastrutture sono selezionate sulla base di una valutazione di coerenza riguardo all'integrazione con le reti europee e territoriali, allo stato di avanzamento dei lavori e alla possibilità di prevalente finanziamento con capitale privato mediante project financing;
    appare condivisibile e da favorire il metodo individuato dal Governo che nel proporre un'analisi dei fabbisogni e delle lacune relative alle infrastrutture di trasporto analizza nel merito l'utilità delle opere inserito nell'elenco delle infrastrutture strategiche attualizzando le priorità, in forza delle trasformazioni economiche e sociali nel frattempo intervenute dal 2001 ad oggi;
    tra le 25 opere prioritarie non è più compreso il corridoio viabilità Mestre, Orte, Civitavecchia;
    si tratta in generale di ripensare la filosofia e la conseguente efficacia della cosiddetta legge Obiettivo, che non sembra aver raggiunto obiettivi fondamentali quali l'accelerazione degli iter progettuali e attuativi dei grandi progetti strategici e il superamento degli sprechi e soprattutto della corruzione;
    lo strumento del project financing resta fondamentale per contribuire alla modernizzazione infrastrutturale del Paese, ma vanno superate radicalmente le difficoltà connesse alla certezza del diritto, ai tempi incerti sull'avvio delle opere e al ruolo effettivo dei privati che spesso non si è rivelato determinante;
    rimane quindi da definire l'utilità della realizzazione della trasversale Orte-Civitavecchia, per la rilevanza che questa opera ricopre per lo sviluppo del parto di Civitavecchia, cruciale per tutto il centro Italia, per il collegamento con l'asse autostradale della A1 e con l'alta velocità/alta capacità ferroviaria, oltre che per il futuro collegamento con i corridoi europei,

impegna il Governo:

   a procedere nella strategia nazionale individuata con l'Allegato infrastrutture al DEF 2015 e a verificare la possibilità di portare a compimento, con modalità ordinarie, il progetto di realizzazione del collegamento Civitavecchia-Orte, al fine di dare maggiore impulso alla crescita di un porto ormai cruciale per lo sviluppo dell'Italia centrale;
   ad avviare interventi urgenti volti alla riqualificazione, al potenziamento e alla messa in sicurezza della superstrada E-45 e della strada statale 309 Romea, valutando la possibilità di trasformarla in un'arteria a percorrenza veloce a basso impatto ambientale.
(1-00805) «Marantelli, Borghi, Martella, Mazzoli, Stella Bianchi, Braga, Bratti, Carrescia, Cominelli, Covello, Dallai, De Menech, Gadda, Ginoble, Tino Iannuzzi, Manfredi, Mariani, Marroni, Morassut, Nardi, Realacci, Giovanna Sanna, Valiante, Zardini, Crivellari».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo dati Istat pubblicati a novembre 2014, nel 2013 sono stati iscritti in anagrafe per nascita 514.308 bambini, quasi 20 mila in meno rispetto al 2012, pari al 3,7 per cento in meno rispetto al 2012, mentre sono 509 mila le nascite nel 2014, cinquemila in meno rispetto al 2013, il livello minimo dall'Unità d'Italia;
    il dato conferma che è in atto una nuova fase di riduzione della natalità: oltre 62 mila nascite in meno a partire dal 2008;
    prosegue, quindi, la diminuzione della fecondità avviatasi dal 2010: nel 2013, così come nel 2014, il numero medio di figli per donna è sceso a 1,39 (rispetto a 1,46 del 2010). Per le italiane l'indicatore nel 2014 è pari a 1,31 figli per donna, per le cittadine straniere è pari a 1,97; mentre l'età media al parto sale a 31,5 anni;
    nel 2013 sono stati registrati 600.744 decessi (12 mila in meno rispetto al 2012, -2 per cento), mentre nel 2014 sono stati 597 mila, circa quattromila in meno del 2013, facendo sì che il saldo naturale, dato dalla differenza tra nati e morti, è risultato negativo per 86.436 unità nel 2013 e di circa poco più di 90 mila unità nel 2014;
    il saldo naturale della popolazione complessiva è negativo ovunque, con le sole eccezioni delle province autonome di Trento e Bolzano e della Campania;
    un significativo calo della mortalità ha determinato un ulteriore aumento della speranza di vita alla nascita, giunta a 80,2 anni per gli uomini e a 84,9 anni per le donne. Per via del processo di convergenza della sopravvivenza maschile a quella femminile, la differenza di genere è scesa a 4,7 anni;
    l'aumento dell'invecchiamento della popolazione e della vita media, da un lato, e il regime di persistente bassa fecondità, dall'altro, fanno sì che l'Italia abbia conquistato, a più riprese, il primato di Paese con il più alto indice di vecchiaia del mondo: al 1o gennaio 2013 nella popolazione residente si contano 151,4 persone di 65 anni e oltre ogni 100 giovani con meno di 15 anni. Tra i Paesi europei supera l'Italia solo la Germania (158), mentre la media dell'Unione europea è pari 116,6;
    questa misura rappresenta il «debito demografico» contratto da un Paese nei confronti delle generazioni future, soprattutto in termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza. Trent'anni di tale evoluzione demografica consegnano un Paese profondamente trasformato nella sua struttura e nelle sue dinamiche sociali e demografiche. Alle sfide che la globalizzazione e le crisi finanziarie impongono ai sistemi Paese, l'Italia si presenta con una struttura per età fortemente squilibrata, in termini di rapporto tra popolazione;
    la concomitanza tra la fase di crisi economica e la diminuzione delle nascite, che colpisce particolarmente la componente giovane della popolazione (ravvisabile in quasi tutti i Paesi europei), fa presumere una relazione di causa-effetto tra i due fenomeni, anche se non è possibile stabilirne con certezza il legame causale. Lo stesso è avvenuto per la diminuzione dei matrimoni, registrata proprio negli ultimi quattro anni;
    in Francia il tasso di fertilità totale supera i 2 figli per donna (Eurostat, 2013). Questo fattore viene in parte spiegato da politiche sociali per la famiglia, che storicamente hanno avuto una connotazione pro-natalità molto evidente;
    nel nostro Paese gli effetti della sfavorevole congiuntura economica sulla natalità vanno a sommarsi a quelli strutturali dovuti alle importanti modificazioni della popolazione femminile in età feconda. Con l'uscita dall'età feconda delle generazioni più numerose, si registra una progressiva riduzione delle potenziali madri, dovuta al prolungato calo delle nascite iniziato all'incirca a metà anni ’70, con effetti che si attendono ancora più rilevanti in futuro;
    alla luce di questo quadro assumono un significato rilevante le iniziative intraprese da questo Governo per incentivare le nascite, per aiutare le giovani coppie al fine di contrastare il trend negativo della natalità, quali il cosiddetto bonus bebé, assegno annuo di 960 euro erogato per ogni nuova nascita o adozione fino al 31 dicembre 2018; lo stanziamento di 100 milioni di euro per il rilancio del piano per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi per la prima infanzia; lo stanziamento di 45 milioni di euro per l'anno 2015 a favore dei nuclei familiari con un numero di figli minori pari o superiore a quattro; ed ancora gli incrementi per il fondo delle politiche sociali o per quello delle famiglia; l'emanazione del decreto legislativo a sostegno della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro di cui alla legge 14 dicembre 2014, n.183,

impegna il Governo:

   a sostenere ed incrementare politiche attive e misure efficaci di sostegno per favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, con particolare riguardo a chi ha redditi bassi e discontinui;
   a promuovere politiche sociali di sostegno alla maternità e paternità, anche attraverso l'incremento delle strutture e dei servizi socio-educativi per l'infanzia e, in particolare, per la fascia neo-natale e pre-scolastica, garantendone l'attuazione e l'uniformità delle prestazioni su tutto il territorio nazionale, confermando, altresì, il tempo pieno in ambito scolastico;
   ad assumere iniziative per dare continuità alla misura del «bonus bebé» di cui all'articolo 1, comma 125, della legge n. 190 del 2014;
   ad assumere iniziative per incrementare la quota del bilancio statale destinata alle politiche di sostegno alla famiglia;
   ad assumere iniziative volte all'introduzione di misure stabili che garantiscano il diritto alla genitorialità e, in particolare, alle madri di poter scegliere la maternità senza rinunciare al lavoro;
   a favorire e stabilizzare le politiche di conciliazione dei tempi di cura, di vita e di lavoro al fine di consentire alle lavoratrici ed ai lavoratori di conciliare le proprie responsabilità professionali con quelle familiari, di educazione e cura dei figli e a consolidare la sperimentazione di azioni positive per la conciliazione famiglia-lavoro.
(1-00806) «Sbrollini, D'Incecco, Lenzi, Albini, Amato, Argentin, Becattini, Beni, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, Fossati, Gelli, Grassi, Mariano, Miotto, Murer, Patriarca, Piazzoni, Piccione».


   La Camera,
   premesso che:
    la perdurante crisi economica in atto ha colpito duramente il settore del trasporto aereo, determinando una forte flessione della domanda provocata dalla diminuzione di passeggeri e merci trasportati e una drastica riduzione dell'offerta, soprattutto in conseguenza di fallimenti e riduzioni di frequenza di società finanziariamente compromesse;
    nel 2013 il trasporto aereo ha subito una diminuzione dell'1,7 per cento rispetto al 2012, che già era in flessione negativa dell'1,3 rispetto al 2011. I dati di traffico aereo del 2014, pubblicati pochi giorni fa dall'Enac, evidenziano una ripresa del settore, con un aumento dei passeggeri transitati del 4,7 per cento rispetto al 2013;
    nonostante la ripresa del 2014, il trend negativo degli ultimi anni ha avuto gravi ripercussioni soprattutto per le compagnie aeree, in piena crisi aziendale, con preoccupanti ripercussioni sui livelli occupazionali delle stesse, nonché sui diritti alla continuità territoriale aerea dei cittadini e delle merci;
    la proposta dell'Anci di introdurre una airport tax, che potrà raggiungere 4 euro a passeggero per un biglietto di andata e ritorno, benché abbia dei ritorni positivi per le città metropolitane, peserebbe sul comparto aeroportuale per 150 milioni di euro e provocherebbe un calo della domanda dello 0,7 per cento, andando ad incidere negativamente su un settore che già soffre di una crisi strutturale da cui è derivata la perdita di migliaia di posti di lavoro;
    i continui tagli agli enti locali operati dal Governo, che mettono a repentaglio la buona amministrazione e i servizi pubblici nei territori, non possono essere compensati dall'introduzione di nuove tasse che compromettono attività imprenditoriali e strategiche per il bene del Paese, anche in vista dei due grandi eventi Expo 2015 e giubileo, che rappresentano una vetrina importante per il rilancio dell'economia del nostro Paese;
    la compagnia aerea Meridiana, secondo quanto dichiarato anche al competente assessorato regionale per i trasporti e confermato il 21 ottobre 2014 al tavolo presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, avrebbe quantificato un numero di esuberi strutturali considerevoli, pari a circa 1.366 unità;
    Meridiana avrebbe evidenziato che, con 29 aeromobili e con un trasporto di circa 4 milioni di passeggeri, i 2.500 dipendenti attualmente in forza sarebbero considerati eccessivi dal proprio management per la sopravvivenza stessa della compagnia sul mercato, per cui propone una veemente ristrutturazione con il 50 per cento degli esuberi;
    la crisi dell’Alitalia, negli ultimi anni, ha avuto gravissime ricadute occupazionali con una cifra esorbitante di esuberi (ad oggi ancora 5.000 fra hostess, piloti e impiegati sono senza lavoro), il ricorso massiccio a contratti di solidarietà e alla cassa integrazione, per la quale l'ex compagnia di bandiera è stata anche indagata per indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato nell'ambito di un'inchiesta della procura della Repubblica di Civitavecchia;
    solo l'ultimo provvedimento messo in atto da Alitalia riguarda 994 esuberi: 879 personale di terra, 61 piloti e 54 assistenti di volo, per i quali sono iniziate le procedure di mobilità, anche se circa la metà dovrebbe essere recuperata da Etihad e da fornitori come Poste in impieghi di accoglienza, security e manutenzione in Atitech;
    ulteriori problemi per il personale Alitalia sono stati creati dalla decisione della compagnia di chiudere le basi di Venezia e Verona, destinando il personale addetto alla navigazione (circa 100 persone) agli ultimi hub rimasti di Roma e Milano, nonostante i voli nazionali e internazionali con destinazione da e per le due città venete restino sostanzialmente immutati;
    in gravi difficoltà versano anche i lavoratori della Groundcare, già Flightcare: circa 850 lavoratori rimasti senza stipendio per mesi. I lavoratori, passati da Aeroporti di Roma a Aeroporti di Roma handling (che si occupava delle attività di assistenza a terra) sono stati ceduti alla Flight care e alla Groundcare holding finché a marzo 2014 hanno assistito inermi alla decisione di liquidazione;
    anche gli 80 operai di Argol, la società addetta alla movimentazione materiale aeronautico negli hangar di Fiumicino sono in cassa integrazione e per loro non è prevista neanche l'integrazione dal fondo speciale del trasporto aereo a causa di alcune irregolarità nei versamenti;
    il numero degli aeroporti presenti sul territorio italiano è esorbitante e molti di questi sono di dimensioni esigue e con un traffico passeggeri irrisorio, ma, nonostante l'evidente nanismo commerciale, ogni scalo ha una propria società di gestione con organi amministrativi e dirigenziali lautamente pagati. Nella regione Lazio è in previsione l'apertura di un nuovo scalo a Viterbo, nonostante l'aeroporto di Ciampino riceva, pur avendo forti limiti di crescita strutturali, più di 2 milioni di euro pubblici annui per il servizio assistenza volo e le operazioni di soccorso. Nella regione Toscana, oltre all'aeroporto di Firenze e di Pisa, sembra essere in progetto la realizzazione di un aeroporto a Siena. Sull'asse Torino-Venezia ogni 50 chilometri c’è una pista di atterraggio;
    la regione Lombardia sta cercando di differenziare i business in modo preciso, così da garantire la sopravvivenza dei vari scali: Malpensa come hub intercontinentale, incrementando il numero e le destinazioni dei voli a lungo raggio, e Linate come city airport per i voli a breve raggio, Bergamo specializzata nei low cost e Brescia come snodo per le merci e riserva di capacità per la collocazione territoriale in una delle poche aree ancora non densamente urbanizzata;
    Milano-Malpensa e Milano-Linate, si ricorda, sono state indicate nel primo rapporto annuale al Parlamento dell'Autorità di regolazione dei trasporti, del 16 luglio 2014, rispettivamente, aeroporto strategico e aeroporto di interesse nazionale, per bacino di traffico; tuttavia, lo stesso rapporto rileva che «l'andamento del trasporto aereo in Italia è stato condizionato da una forte esposizione ai fenomeni macroeconomici», nonché «da una peculiare flessione dei vettori tradizionali a favore dei vettori low cost e della crescente concorrenza dei treni ad alta velocità su alcune importanti rotte del Paese»;
    la concentrazione del traffico aereo su un numero di scali limitati, utilizzando quelli già esistenti, eviterebbe investimenti infrastrutturali di collegamento costosi e poco utili, puntando a mettere in rete e collegare fra loro infrastrutture davvero fondamentali, come l'alta velocità ferroviaria e gli aeroporti intercontinentali;
    investire sul sistema aeroportuale lombardo e su Malpensa in particolare, che ha circa il triplo di volume di traffico merci rispetto a Fiumicino, significa investire sull’import-export italiano, visto che in questo aeroporto transita circa il 70 per cento del traffico merci aereo, creando un perno per un unico sistema aeroportuale aperto a sinergie con gli scali del Nord Italia in una logica di sistema macroterritoriale che faccia da volano per l'intero sistema economico;
    alla luce di una razionalizzazione dell'utilizzo degli scali presenti sul territorio romagnolo (Ridolfi di Forlì e Fellini di Rimini), appare fondamentale investire nello sviluppo armonico di un sistema integrato di dimensione romagnola, ipotizzando anche un'unica società di gestione, che superi la rivalità dei due scali. È, infatti, necessario creare le condizioni per potenziare in questi due scali specifici business (charter, low cost, cargo), diversi da quelli sviluppati sullo scalo bolognese del Marconi: le condizioni delle infrastrutture esistenti – che necessiterebbero di investimenti minimi – potrebbero, infatti, essere di grande aiuto allo sviluppo delle potenzialità di un processo di rilancio economico locale grazie all'attrattività turistica, produttiva e tecnologica, nonché alla possibilità di divenire regional hub verso lo scalo di Malpensa;
    nonostante l'attuale flessione negativa, è previsto entro il 2030 un incremento di circa il 90 per cento del traffico aereo: un potenziale straordinario che metterebbe l'Italia in linea con i più importanti Paesi europei e che non può essere sprecato per l'inadeguata capacità degli scali italiani aeroportuali più importanti;
    i servizi di trasporto aereo rappresentano un fattore fondamentale per la promozione dell'efficienza e la crescita richieste dal sistema economico, contribuendo fattivamente all'attrattività e alla competitività grazie all'indotto generato e al conseguente miglioramento della logistica commerciale;
    la recrudescenza di fenomeni terroristici legati a cellule fondamentaliste islamiche, che dal 2001 ad oggi hanno minato la sicurezza del trasporto aereo, impone misure di potenziamento dei controlli e dei sistemi di sicurezza all'interno degli aeroporti. È, pertanto, necessario adottare misure straordinarie di bonifica delle aree aeroportuali dal pericolo di attacchi terroristici, anche attraverso specifiche intese con le compagnie aeree, utilizzando al fine personale specializzato e formato appositamente,

impegna il Governo:

   a mettere in atto ogni azione necessaria al fine di sostenere la ripresa del comparto aereo e aeroportuale per le gravissime ripercussioni che la crisi in atto sta avendo sul piano occupazionale e sul traffico aereo, anche facendosi garante di una soluzione che tenga conto della salvaguardia dei posti di lavoro e della dignità umana dei lavoratori dell’Alitalia, di Meridiana, di Groundcare, di Argol e delle rispettive famiglie;
   a non assumere iniziative volte a introdurre nuove imposizioni fiscali su settori economici strategici per il bene del Paese, come quello aereo-aeroportuale, a compensazione delle politiche governative di tagli agli enti locali;
   a rendere noti gli aggiornamenti sullo stato delle vertenza Meridiana, con particolare riguardo al piano di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale ed al futuro occupazionale dei dipendenti interessati, al fine di scongiurare la dispersione di forza lavoro qualificata come quella attualmente impiegata dalla compagnia aerea;
   a prevedere un piano programmatico del settore aeroportuale che definisca macroaree di interesse strategico in cui concentrare il traffico aereo, rispondendo così al duplice obiettivo di razionalizzare i contributi pubblici erogati a favore di scali sottoutilizzati e di contribuire, al contempo, allo sviluppo del territorio secondo una logica di differenziazione dell'offerta;
   ad agevolare la differenziazione dell'offerta degli aeroporti presenti su un'unica regione, superando la rivalità degli scali e creando le condizioni per potenziare specifici business;
   a fronte dell'indotto di tipo economico, produttivo e industriale generato dal comparto aeroportuale, a programmare un piano di investimenti per Malpensa al fine di rilanciare l'aeroporto come hub intercontinentale, anche prevedendo l'apertura di nuove rotte in regime di quinta libertà;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza per evitare che decisioni legate a ristrutturazioni aziendali penalizzino il sistema aeroportuale lombardo, in particolar modo un hub strategico per il Nord Ovest come quello di Malpensa, per la grande importanza che riveste come scalo merci a livello nazionale e, quindi, come volano per l'intero sistema economico;
   a mettere in atto ogni misura utile a rafforzare il sistema aeroportuale lombardo, un'infrastruttura importante frutto di investimenti nazionali ed europei che dopo il dehubbing Alitalia del 2009 rischia di essere inutilizzata;
   ad agevolare la creazione di un sistema integrato dell'infrastruttura aeroportuale lombarda che comprenda anche lo sviluppo dell'aeroporto di Brescia/Montichiari, rivedendo a tal fine le attuali concessioni per garantire una gestione coordinata su un unico livello regionale in grado di far operare in sinergia i diversi aeroporti lombardi;
   a favorire il collegamento ferroviario fra la stazione di Bergamo e l'aeroporto di Orio al Serio, in considerazione dell'importanza che il territorio riveste sotto il profilo economico e per la capacità di generare ricchezza e occupazione a livello diretto e indiretto;
   ad adottare tutte le possibili iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, a livello nazionale ed europeo, affinché forme di deregulation, come quella attuata dalla compagnia di proprietà dell'Aga Khan (che ha acquistato la Air Italy traferendovi tutta la forza lavoro allo scopo di risparmiare) siano vietate;
   a prevedere specifiche intese con le compagnie aeree per adottare formule sempre più stringenti di garanzia delle aeree aeroportuali minacciate dalla recrudescenza dei fenomeni legati al terrorismo internazionale.
(1-00807) «Caparini, Gianluca Pini, Attaguile, Fedriga, Allasia, Borghesi, Bossi, Busin, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    l'IMU sui terreni agricoli è l'ennesima vessazione e l'ennesima tassa, ma soprattutto è una nuova difficoltà per i contribuenti e per i comuni;
    il decreto-legge 24 gennaio 2015 n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 34 recante disposizioni urgenti in materia di esenzione IMU e proroga di termini concernenti l'esercizio della delega in materia di revisione del sistema fiscale, ridefinisce i parametri per l'esenzione dall'IMU sui terreni agricoli – di cui alla lettera h), comma 1, dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992 (decreto ICI) – ampliando la platea degli aventi diritto precedentemente individuati dal decreto ministeriale del 28 novembre 2014 emanato in applicazione del comma 2 dell'articolo 22 del decreto-legge n. 66 del 2014 cosiddetto decreto Irpef o meglio conosciuto come bonus 80 euro che modificava il comma 5-bis dell'articolo 4 del decreto-legge n. 16 del 2012, cosiddetto Decreto semplificazioni;
    il citato decreto ministeriale modificava la previgente disposizione per la quale erano esenti fino al 2013 dal pagamento dell'ICI e poi dell'IMU i comuni specificatamente individuati dalla circolare del Ministero dell'economia e delle finanze n. 9 del 1993 emanata in applicazione del suddetto articolo 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992;
    si ritiene necessario fare una breve cronistoria dell'imposizione IMU sui terreni agricoli. Il decreto legislativo 504 del 1992 cosiddetto decreto ICI disciplinava l'esenzione dal tributo locale per i terreni agricoli. Successivamente, è stata emanata una circolare del Ministero dell'economia e delle finanze n. 9 del 1993 con la quale si identificavano i comuni suddivisi per provincia di appartenenza sul cui territorio i terreni agricoli erano totalmente o parzialmente esenti prima dall'ICI e dall'IMU poi;
    successivamente il decreto-legge n. 16 del 2012, cosiddetto «Decreto semplificazioni», prevedeva che con un apposito decreto ministeriale venissero individuati sia i comuni nei quali dal 2014 si applicasse l'esenzione per i terreni agricoli, sulla base dell'altitudine del comune, così come riportata nell'elenco ISTAT, che i soggetti che li posseggono siano essi coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali iscritti alla previdenza agricola. Anche la circolare n. 3 del dipartimento delle finanze del 18 maggio 2012 aveva precisato che il possesso di terreni agricoli in aree montane o di collina, facendo ancora riferimento alla circolare n. 9 del 1993, non comportava il pagamento dell'IMU. Tale interpretazione, poi, veniva confermata anche nella successiva circolare n. 5 del 2013 dell'Agenzia delle entrate dove si specifica che tutti i terreni incolti montani o di collina sono esenti da IMU, a prescindere dalla qualificazione agricola degli stessi;
    le cose vengono radicalmente cambiate con il decreto-legge n. 66 del 2014, cosiddetto «decreto Irpef» meglio conosciuto come decreto del «bonus degli 80 euro». Questo all'articolo 22 prevedeva l'emanazione di un decreto ministeriale, che individuasse i criteri con i quali si potessero identificare i comuni nei quali, a decorrere dall'anno di imposta 2014, si dovesse applicare l'esenzione IMU per i terreni agricoli sulla base della loro altitudine, diversificando eventualmente tra possessori che fossero coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, iscritti nella previdenza agricola e gli altri soggetti diversi. Questa operazione doveva garantire alle casse dello Stato un maggior gettito complessivo annuo non inferiore a 350 milioni di euro, già a decorrere dal 2014;
    il decreto ministeriale emanato in attuazione della suddetta disposizione, prevedeva, quindi, tre fasce di comuni alle quali applicare l'esenzione secondo il criterio dell'altitudine dal centro ovvero della sede comunale. Sopra i 600 metri tutti i comuni erano esenti, tra i 281 metri e i 600 metri erano esenti dall'imposta i terreni agricoli posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, mentre al di sotto dei 280 metri erano tutti soggetti passivi di imposta;
    le suddette disposizioni avevano portato alla paradossale situazione che terreni agricoli ubicati al di sopra dei 600 metri ma, con la sede del comune al di sotto dei 600 metri venissero considerati, invece, passivi di imposta anziché esenti nonostante innegabilmente montani;
    a seguito della confusione generata da questi nuovi criteri, dal brevissimo lasso di tempo intercorrente tra la data dell'emanazione del decreto ministeriale e la data del versamento della rata unica per l'anno 2014 e gli innumerevoli interventi dei parlamentari e delle associazioni di categoria interessate, il 16 dicembre 2014, giorno della scadenza, veniva pubblicato ed entrava immediatamente in vigore un nuovo decreto-legge il n. 185 del 2014 che prorogava al 26 gennaio 2015 il pagamento della rata unica dell'IMU;
    infine, il 1o gennaio 2015 entrava in vigore il comma 692 dell'articolo 1 della legge di stabilità per l'anno 2015, che praticamente assorbiva il decreto-legge n. 185 del 2014, traslando in esso la data del 26 gennaio 2015 quale termine per il versamento della rata unica per il 2014 dell'IMU;
    il decreto n. 4 del 2015 che apporta una doverosa revisione dei criteri di esenzione e modifiche preferibili rispetto al decreto ministeriale del 28 novembre 2014, contiene misure che non sono ancora sufficienti per eliminare le storture di questa imposizione fiscale;
    con i nuovi criteri del decreto-legge n. 4 del 2015 sono circa 3.546 i comuni che saranno totalmente esenti – con il decreto ministeriale 28 novembre 2014 erano 1.498 – e 655 quelli parzialmente esenti ai quali si aggiungono circa altri 1.600 comuni tra esenzione totale, esenzione parziale e franchigia, ma, comunque non si arriva ancora ai 6.103 comuni che erano invece esenti fino al 2013;
    non si possono rastrellare milioni di euro a danno dell'agricoltura e dei contribuenti tassando uno strumento di lavoro, poiché il terreno agricolo è un imprescindibile bene strumentale dell'impresa ed è sostanzialmente lo strumento di guadagno. Quando si mette mano alla proprietà lo si fa con una certa ratio e con determinati punti di riferimento, cosa che questo Governo a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo ha dimostrato di non saper, o peggio non voler fare;
    l'agricoltura è uno dei pilastri fondanti della economia e questa imposizione è iniqua e vessatoria, va abolita totalmente al fine di evitare un'ulteriore appesantimento fiscale sul comparto agricolo e agroalimentare, già duramente penalizzato da precedenti interventi fiscali;
    gli interventi fiscali in agricoltura hanno portato a circa 1 miliardo di euro di imposizioni come, per fare alcuni esempi, l'imposta TASI sui fabbricati rurali e strumentali, le rivalutazioni dei redditi dominicali, le norme IRPEF per la mancata coltivazione dei fondi, la tassazione sulle agro energie in campo agricolo e la riduzione dei consumi medi standardizzati di gasolio da ammettere all'impiego ad aliquota agevolata in agricoltura;
    l'elenco dell'ISTAT sul quale si basa l'esenzione è elaborato su di una relazione di «montanità» che risale ad una legge del 1952 ed è congelata a tale data incurante delle modificazioni normative intervenute al riguardo per effetto della legislazione successiva e quindi non più corrispondente alla realtà economica attuale. La stessa ISTAT ha ricordato che ad oggi la classificazione dei comuni per grado di montanità è ancora quella elaborata dalla commissione censuaria istituita presso il Ministero dell'economia e delle finanze e soppressa dalla legge 142 del 1990 che aveva la funzione di aggiornare periodicamente la classificazione dei comuni per grado di montanità;
    non viene applicata l'esenzione dall'Imu sui terreni agricoli a coloro che hanno i terreni in zone colpite da calamità naturali (alluvioni, terremoti, valanghe) o da avversità atmosferiche (gelo, grandine, ghiaccio, siccità, piogge e altro) e che quindi si trovano a dover affrontare difficoltà produttive tali da rendere particolarmente onerosa la corresponsione dell'imposta. Quando si verifica una calamità, il danno spesso non riguarda un solo anno, una sola stagione o un certo periodo di tempo, visto che può accadere che, a seguito di quella calamità, le colture siano completamente danneggiate per qualche anno. Quindi non prevedere esenzioni per chi ha perso il raccolto e si vede compromesso il bene strumentale per eccellenza, la terra, ovvero la sua fonte primaria di guadagno, è una iniquità inaccettabile; non viene assicurata la coerenza della misura dell'imposta con la capacità contributiva;
    non vengono esentati dal pagamento dell'imposta i proprietari di terreni agricoli non coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali che intendono affittare i terreni. Non esentare i proprietari non professionisti che affittano terreni rischia di far ricadere il costo dell'imposta sul canone di affitto;
    l'IMU sui terreni agricoli è una nuova patrimoniale che si aggiunge alle odiate IMU e TASI, alle tasse sulle case e sui capannoni. È un'imposta che mortifica e svilisce il settore agricolo, gli agricoltori e il loro lavoro, penalizzando quei territori che molto spesso partono già svantaggiati. In tutta Europa, tranne che in Francia – ma comunque per delle somme di poco conto – nessun Paese applica l'imposta sui terreni agricoli;
    è doveroso ricordare che il TAR del Lazio il 17 giugno 2015 deciderà nel merito sui ricorsi presentati che impugnano sia il decreto ministeriale del 28 novembre 2014 che il decreto-legge n. 4 del 2015 che individuano profili di illegittimità per vari motivi: in primis per la violazione del principio di irretroattività delle norme tributarie, per l'irragionevolezza della violazione dell'articolo 81 della Costituzione che riduce le assegnazioni del fondo di solidarietà comunale, quindi entrate certe, sostituendole con entrare future e incerte e poi per l'inattendibilità e l'irragionevolezza dei criteri individuati per determinare il carattere montano dei comuni. Il 17 giugno è il giorno successivo alla scadenza dell'acconto dell'IMU per il 2015 (16 giugno). La decisione del TAR potrebbe rimettere in discussione tutto. Una bocciatura nel merito farebbe cadere anche i pagamenti del 2014 creando caos su caos. Allora ci si chiede se non sia opportuno azzerare tutto e tornare alla situazione ante decreto n. 66 del 2014;
    prima a pagare l'ICI erano in pochi, si ricorda che fino al 2013 erano esenti 6.103 comuni, adesso viene ridotta la platea degli esenti e il Governo si giustifica dicendo che non è stata introdotta una nuova tassa, ma viene estesa una già esistente ma questo, comunque, vuol dire introdurla per chi fino al 2013 era esente;
    i comuni sono stati completamente esclusi nel percorso di ridefinizione dei presupposti dell'Imu. I comuni sono spettatori passivi, ma soprattutto svolgono il ruolo di esattori delle tasse verso quei contribuenti ignari del fatto che le imposte che pagheranno non serviranno per finanziare e migliorare i servizi locali, questo in violazione del più basilare principio federalista del vedo, pago, voto. Qui si ripropone lo schema tipico di questo Governo, che, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, scarica gli adempimenti più impopolari su altri, cioè sindaci, presidenti di provincia e governatori regionali. Un Governo che trae le risorse costringendo gli amministratori degli enti periferici a tagli su servizi essenziali come sanità, assistenza e trasporto locale. È proprio in questo tipo di imposte invece che vanno coinvolti gli amministratori locali perché conoscono il loro territorio e possono stabilire con maggiore certezza quali sono i terreni agricoli disagiati o con minore capacità reddituale;
    con l'Imu sono stati anche disattesi dei principi costituzionali, quali l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, il rispetto della capacità contributiva e il criterio di progressività nell'imposizione fiscale;
    l'Imu sui terreni agricoli genera una concorrenza sleale tra possessori di terreni agricoli in comuni parzialmente montani, nei quali sono esentati solo i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali rispetto a quelli montani, che sono totalmente esenti. Tali misure risultano in evidente contrasto con l'articolo 53 della Costituzione, in quanto si creano delle disfunzioni applicative dell'imposta e non si tiene conto del fatto che il principio costituzionale, dettato appunto dall'articolo 53 della Costituzione, prevede che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva e quindi non sulla base di una mera collocazione territoriale. Esistono, infatti, sul territorio nazionale, aree geografiche classificate non montane o parzialmente montane che incontrano difficoltà produttive tali da rendere particolarmente onerosa la corresponsione dell'imposta;
    l'IMU rappresenta l'ennesima «mini patrimoniale» a carico delle classi economicamente e socialmente più disagiate, di cittadini appartenenti alle fasce più deboli, che vedono nella coltivazione di un piccolo appezzamento un mezzo di mera sopravvivenza;
    l'eccessiva tassazione sui terreni agricoli si ripercuoterà con maggiormente sul piccolo agricoltore il quale, invece, grazie alla sua attività agricola, presiede e mantiene un territorio. Se di tassa pesantemente i terreni agricoli senza tenere in debita considerazione tutti gli aspetti si andrà incontro ad un progressivo abbandono delle terre quando invece è necessario muoversi esattamente nella direzione opposta ovvero verso una valorizzazione delle attività agricole anche non professionali. La riduzione dei livelli di tassazione per il settore agricolo è l'unico mezzo per evitare un ulteriore abbandono dei terreni soprattutto quelli più a rischio,

impegna il Governo:

   a prendere in considerazione la possibilità di una abolizione totale dell'IMU a partire dal 2015 o in alternativa ad assumere iniziative per una revisione totale dell'imposizione che preveda criteri più equi e che tenga in considerazione la capacità reddituale dei terreni stessi, al fine di non gravare ulteriormente sul settore agricolo già fortemente colpito dalla crisi;
   a prevedere iniziative volte ad esentare dal pagamento dell'imposta anche coloro che posseggono e conducono terreni agricoli siti nei comuni parzialmente montani che non hanno la qualifica professionale di coltivatore diretto o imprenditore agricolo;
   ad assumere iniziative normative volte ad esentare dal pagamento dell'imposta i terreni agricoli che sono stati colpiti da calamità naturali o da avversità atmosferiche per le quali è stato dichiarato lo stato di emergenza e/o di calamità naturale che rischiano altrimenti di dover corrispondere l'Imu;
   ad assumere iniziative per esentare dal pagamento quei comuni che pur ricadenti nelle province considerate «totalmente montane» secondo le disposizioni della legge n. 56 del 2014 (cosiddetto Delrio), sono stati classificati dall'elenco ISTAT parzialmente montani e a studiare le necessarie iniziative al fine di rivedere la qualifica dei suddetti comuni, e di conseguenza l'elenco elaborato dall'ISTAT, in modo da classificare come totalmente montani tutti i comuni ricadenti nelle province di cui al secondo periodo del comma 3 dell'articolo 1 della legge n. 56 del 2014;
   a prevedere iniziative affinché i criteri di esenzione dall'IMU sui terreni agricoli siano sottoposti alla Conferenza Stato-città a cui venga delegato il compito di individuare le aree territoriali da assoggettare o meno al pagamento dell'imposta IMU, tenendo conto anche dell'eventuale esistenza di zone svantaggiate;
   ad assumere iniziative per sospendere il pagamento dell'acconto per il 2015 sui terreni agricoli in attesa della sentenza di merito del TAR del Lazio del 17 giugno.
(1-00808) «Guidesi, Busin, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    le teorie neomalthusiane, indicando nella crescita demografica il peggiore dei mali hanno condizionato pesantemente le istituzioni internazionali e le politiche dei Governi, con risultati che sono all'origine della crisi economica e che si sono rivelati devastanti per l'economia e per lo sviluppo dell'umanità. Con il verificarsi del crollo delle nascite, il prodotto interno lordo mondiale è cominciato a decrescere ed i costi fissi ad aumentare. La mancanza di giovani e la crescita percentuale di anziani e pensionati hanno fatto lievitare le spese sanitarie e quelle dei sistemi pensionistici. Per sopperire alla mancata crescita demografica, le economie avanzate hanno aumentato le tasse e incrementato i costi, praticando politiche di credito facile e a basso interesse indebitando le famiglie in maniera vertiginosa. La riduzione del risparmio e la crescita del debito delle famiglie è più o meno simile in tutti i Paesi avanzati che hanno adottato politiche di decrescita demografica;
    la capacità dei genitori di investire sul futuro dei figli dipende da molti fattori, tra questi il loro stato occupazionale e di salute, il livello di istruzione raggiunto ed il sostegno nei compiti di cura che la comunità offre loro. La possibilità di disporre di competenze e risorse, non solo economiche, è essenziale, soprattutto nei primi anni di vita del bambino, quando l'offerta educativa e di relazione è decisiva per farne emergere le potenzialità;
    affiancando i dati su povertà di reddito, di lavoro e indici di deprivazione, creando quello che a livello europeo viene definito l'indice di povertà ed esclusione sociale (AROPE)3, emerge come l'Italia abbia delle percentuali più alte di minori a rischio povertà ed esclusione sociale dell'Unione europea, pari al 28 per cento, dato al di sopra di 6 punti percentuali della media europea ed inferiore soltanto a quella rilevata in alcuni nuovi Stati membri (Bulgaria, Romania, Ungheria, Lituania) o in Paesi particolarmente segnati dalla crisi finanziaria, come l'Irlanda e la Grecia;
    sono più di 1.400.000 i minori che vivono in condizione di povertà assoluta (il 13,8 per cento di tutti i minori del nostro Paese, con un aumento del 34 per cento sul totale) e circa 2.400.000 quelli che vivono in condizione di povertà relativa (il 23 per cento del totale, con un aumento di quasi 300.000 minori in 1 solo anno). I dati più drammatici riguardano il Sud e le isole, ma il peggioramento si registra in tutte le regioni ed è più marcato in relazione al numero dei figli: ad esempio, tra le famiglie con 3 o più figli, più di un terzo risulta in condizioni di povertà relativa e più di un quarto in povertà assoluta;
    questi dati allarmanti, incidenti sul destino delle nuove generazioni, incrociano le cause e gli effetti della denatalità, una realtà che rende l'Italia penultima in Europa, che frena la ripresa economica e finirà con il determinare un pesante squilibrio generazionale. Secondo il rapporto Svimez 2014, nel 2013, nel Mezzogiorno d'Italia le nascite hanno toccato il minimo storico, 177.000, il numero più basso dal 1861. Questa caduta demografica è strettamente correlata alla crisi economica e occupazionale di un'area del Paese che, tra il 2008 e il 2013, ha visto mancare 800.000 posti di lavoro con un crollo dei redditi pari al 15 per cento;
    la denatalità in Europa è ormai una emergenza, entro il 2025 i primi Paesi europei – Italia, Spagna, Germania, Grecia – potrebbero sperimentare l'implosione demografica, ovvero la diminuzione effettiva della popolazione;
    il progresso della società moderna è stato viziato dalla rinuncia a quei riferimenti valoriali che rappresentavano le fondamenta di una comunità capace di comprendere l'importanza della tutela dei propri figli quale bene primario, seminando il dubbio del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita. L'accelerazione dei fenomeni di degenerazione nell'educazione sfocia, oggi giorno, in un vero e proprio allarme educativo. Sempre più in modo repentino si diffonde un pensiero unico laicista che trova sostegno anche in iniziative legislative assurde, come ad esempio quelle volte a cancellare dai documenti ufficiali i riferimenti alla madre e padre per sostituirli con surrogati asettici. Scelte dettate da quella che appare ai firmatari del presente atto di indirizzo una «idiozia» ideologica e che non possono essere sottovalutate e produrranno gravi danni nel medio lungo periodo;
    i genitori evidenziano maggiori difficoltà nell'assolvimento delle competenze di cura e di educazione dei figli, le conflittualità intraconiugali e intrafamiliari sfociano in sofferti procedimenti di separazione e di divorzio;
    è necessario affrontare in maniera sistematica la prima e più importante esigenza della famiglia: quella di esistere. L'obiettivo principale deve essere quello di incentivare la natalità attraverso una serie di strumenti che intervengano nella fascia di età più delicata del bambino (fino al compimento del terzo anno di età), delicata in termini educativi e di richieste di attenzioni e di cure, nonché per la maggiore difficoltà nella conciliazione delle esigenze familiari con quelle lavorative;
    in Italia la Costituzione ha operato una scelta assai chiara tra la famiglia fondata sul matrimonio, espressamente riconosciuta dagli articoli 29 e seguenti, e altre forme di rapporto fra le persone. Tuttavia, nel nostro Paese il numero dei matrimoni risulta essere in forte diminuzione. Ci si sposa meno, ma anche più tardi. I giovani rimangono ormai per un tempo sempre maggiore a casa dei genitori, le cause sono molteplici e infatti, non sempre, si tratta di una scelta. È il fenomeno della cosiddetta «posticipazione»: tutto il ciclo di vita individuale si è infatti progressivamente spostato in avanti, con la conseguenza di aver determinato un inevitabile allungamento dei tempi che cadenzano gli eventi decisivi della vita del singolo. Si lascia più tardi la famiglia di origine, ci si sposa più tardi, si hanno figli più tardi. L'età media di chi mette al mondo il primo figlio è aumentata di circa tre anni in un ventennio e si assesta ormai sui trent'anni nelle ultime generazioni;
    il nobile desiderio dei giovani di voler contribuire al bene comune in piena autonomia e indipendenza sposandosi e mettendo al mondo dei figli si infrange dinnanzi a problematiche di difficilissima soluzione. Si deve prendere esempio dalle politiche messe in atto in questi anni in altri Paesi europei; tra tutti la Francia, che in pochi anni è riuscita a invertire il trend demografico negativo grazie a interventi mirati a considerare la famiglia parte integrante dello Stato al centro di una politica di sicurezza sociale. Le politiche per la famiglia in Francia hanno avuto come obiettivo la ridistribuzione sia orizzontale che verticale del reddito per compensare i costi dovuti alla crescita dei figli. Nel sistema francese, infatti, le famiglie con più di un figlio ricevono contributi per la crescita dei figli e quelle con un reddito più basso possono beneficiare anche di altre forme di sostegno, come contributi per l'alloggio, per i libri scolastici e addirittura per le vacanze. In Francia è previsto, inoltre, un contributo economico in favore della prima infanzia dal settimo mese di gravidanza fino al compimento del terzo anno di età;
    è doveroso garantire il diritto di ogni persona a formare una famiglia o a essere inserita in una comunità familiare, sostenere il diritto delle famiglie al libero svolgimento delle loro funzioni sociali, riconoscere l'altissima rilevanza sociale e personale della maternità e della paternità, sostenere in modo più adeguato la corresponsabilità dei genitori negli impegni di cura e di educazione dei figli, promuovere e valorizzare la famiglia come struttura sociale primaria di fondamentale interesse pubblico;
    gli italiani, se interrogati sul numero ideale dei figli, hanno lo stesso orientamento dei francesi, degli svedesi e dei tedeschi. Ma quando poi si passa dai desideri alla realtà la condizione italiana precipita rispetto a quella di gran parte dell'Europa. I motivi sono noti e di facile individuazione: la situazione economica, l'esistenza o meno di adeguati servizi sociali, i tempi della vita familiare e di quella professionale, la qualità del sistema educativo, la disponibilità di alloggi adeguati ai livelli di reddito delle giovani generazioni. Investire nelle politiche familiari significa pertanto investire sulla qualità della struttura sociale e, di conseguenza, sul futuro stesso della nostra società;
    è necessario conferire piena attuazione all'articolo 31 della Costituzione, il quale sancisce che «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze economiche la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi (...)»;
    anche quando si affronta il problema di misure di sostegno economico alle famiglie con interventi mirati, si agisce in modo assistenzialistico e non con una politica programmata di contrasto alla denatalità. Ad esempio la misura per il sostegno economico per le famiglie (contributo per ogni figlio nato o adottato dal 1° gennaio 2015) introdotta nella legge di stabilità 2015, nella sua struttura e formulazione è viziata da un approccio errato al problema estendendo la misura, oltre che a tutti i cittadini italiani comunitari, anche a tutti cittadini extracomunitari. In tal modo la misura introdotta si depotenzia rispetto ai suoi reali obiettivi e si trasforma in una disposizione di natura assistenzialista. Una misura finalizzata alla crescita demografica deve essere limitata ai cittadini italiani comunitari e agli stranieri extracomunitari che abbiano dimostrato di voler attraverso un processo di integrazione progettare come scelta di vita la permanenza nel territorio del nostro Paese;
    ogni efficace politica di sostegno alla famiglia non può tuttavia prescindere da strumenti fiscali mirati e graduati. In Italia il sistema fiscale sembra ancora ritenere che la capacità contributiva delle famiglie non sia influenzata dalla presenza di figli e dall'eventuale scelta di uno dei due coniugi di dedicare parte del proprio tempo a curare, crescere ed educare i figli, mentre di norma in Europa a parità di reddito la differenza tra chi ha e chi non ha figli a carico è consistente. Basti pensare che la differenza di imposta diretta su un reddito nominale di 30.000 euro per una famiglia con due figli e una coppia senza figli è di circa 3.500 euro in Francia, di circa 6.000 euro in Germania e di appena 1.300 euro nel nostro Paese;
    considerata l'esigenza di una maggiore equità orizzontale, appare evidente che l'introduzione di un nuovo sistema fiscale che indichi nella famiglia e non più nell'individuo l'unità impositiva dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) segnerebbe una sostanziale inversione di rotta per il sistema fiscale italiano;
    sono passati oltre trent'anni da quando è entrata in vigore la legge quadro n. 405 del 1975, con la quale furono istituiti i consultori familiari. Essi sono nati sotto l'influenza del dibattito sulle rivendicazioni per l'emancipazione della donna che ha caratterizzato gli anni settanta e che ha imposto all'attenzione dell'opinione pubblica la necessità di un luogo di dialogo e di informazione sulla sessualità, sulla procreazione e sulla contraccezione. Nelle intenzioni del legislatore, le attività consultoriali avrebbero dovuto offrire un vasto programma di consulenza e un servizio globale alla donna, alle coppie e ai nuclei familiari in tutti quei settori tematici legati alla coppia e alle problematiche coniugali e genitoriali, ai rapporti e ai legami interpersonali e familiari, alla procreazione responsabile. Pur ponendo l'accento sul valore storico che hanno rappresentato per la società, è doveroso riconsiderare il lavoro svolto e l'attuale ruolo dei consultori familiari nel nostro Paese, alla luce anche dei notevoli cambiamenti sopravvenuti nell'attuale contesto socio-culturale. Il consultorio ha inoltre assunto in questi anni, anche a seguito della riforma sanitaria, di cui alla legge n. 833 del 1978, e successive modificazioni, la struttura di servizio marcatamente sanitario, in cui si sono privilegiati gli interventi di tipo ginecologico e pediatrico a discapito della vocazione di ispirazione sociale. I consultori familiari devono quindi qualificarsi sempre di più, evitando una rigida settorializzazione e riduzione al pur importante ma non esclusivo ambito sanitario di competenza. Per rispondere a queste problematiche è necessario che all'interno del consultorio si rafforzino interventi di tipo sociale, psicologico e di consulenza giuridica che nella loro interazione continua possano costituire un valido riferimento per la donna e per la famiglia;
    si rende urgente, dunque, e non più procrastinabile una riforma dei consultori familiari che dimostri nei fatti una particolare attenzione e sensibilità ai diritti dei minori e della famiglia, fortemente impegnata nella tutela sociale della genitorialità e del concepito. Di qui l'intendimento di garantire il ruolo partecipativo delle famiglie e delle organizzazioni di volontariato a difesa della vita per l'espletamento delle attività consultoriali. Bisogna tornare a ciò che già era ben esplicitato nelle intenzioni del legislatore che nel 1975 aveva approvato la legge n. 405 (ovvero l'assistenza alla famiglia, l'educazione alla maternità e alla paternità responsabili, l'educazione per l'armonico sviluppo fisico e psichico dei figli e per la realizzazione della vita familiare), ma che nei fatti è stato residualmente attuato, complice anche la talora mera funzione burocratica dei consultori, ridotti, troppo spesso, a pura assistenza sanitaria, carenti di quelle necessarie sensibilità e competenza su problematiche sociali per le quali furono istituiti. Nei consultori familiari, non sempre viene pienamente attuato il diritto della donna di ricevere valide alternative all'aborto, poiché c’è chi sostiene che sarebbe un'ingerenza nella scelta personale, eppure proprio secondo quanto stabilito dagli articoli 2 e 5 della legge n. 194 del 1978, l'assistenza da dare alla donna in gravidanza deve essere attuata con l'informazione sui diritti spettanti alla gestante, sui servizi sociali, sanitari e assistenziali a lei riservati, sulla protezione che il mondo del lavoro deve assicurare a tutela della gestante;
    il nostro Paese è agli ultimi posti tra i Paesi dell'Unione europea per la spesa per la famiglia e l'infanzia;
    l'introduzione del federalismo fiscale, che nella sua applicazione reale fa registrare ancora un ritardo ingiustificabile, segna una netta inversione di rotta in merito alle politiche a tutela della famiglia. Questa nuova autonomia regionale e locale dovrà, infatti, essere guidata in base ai principi di coordinamento che sono elencati nella legge delega. Tra questi principi di delega vi è, infatti, quello del favor familiae: «individuazione di strumenti idonei a favorire la piena attuazione degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, con riguardo ai diritti e alla formazione della famiglia e all'adempimento dei relativi compiti»;
    per l'ordinamento italiano si conferma quindi la opportunità di rivisitare, dentro un quadro complessivo, il favor familiae previsto dalla Costituzione;
    le formule da questo punto di vista possono essere diverse. L'imposizione a livello familiare può essere realizzata con diverse metodologie: lo splitting, il quoziente familiare o il più recente sistema denominato fattore famiglia. Il metodo che si deciderà di adottare poco conta, se la volontà sarà quella di sostenere economicamente la famiglia dando finalmente piena attuazione al disposto Costituzionale;
    gli obiettivi fissati a Lisbona prevedono che il 33 per cento dei minori al di sotto dei tre anni di età possa usufruire del servizio di asilo nido. Dai dati risulta che in media nel nostro Paese solo il 18,7 per cento dei bambini di 0-2 anni frequenta un asilo nido pubblico o privato;
    è necessario affrontare in maniera sistematica il problema della carenza su tutto il territorio nazionale dei servizi socio-educativi (asili nido). Oggi l'offerta pubblica è di gran lunga inferiore alla domanda e in alcune città il rapporto è di un posto disponibile ogni dieci richiesti. Una realtà complessa e disomogenea e ancora molto lontana dal centrare gli obiettivi europei. La legge 6 dicembre 1971, n. 1044, che istituì i nidi comunali con la previsione di crearne 3.800 entro il 1976, ne vede ora realizzati poco più di 3.100 (e solo nel 17 per cento dei comuni): in termini di percentuale di posti disponibili rispetto all'utenza potenziale, si traduce in un misero 6 per cento a fronte del 33 per cento posto dall'agenda di Lisbona come obiettivo comunitario che si sarebbe dovuto raggiungere nel 2010. Un 6 per cento che diventa un 9,1 per cento se si considerano anche le strutture private che offrono il servizio di assistenza alla prima infanzia, con una grande sperequazione territoriale: si passa dal 16 per cento in Emilia Romagna all'1 per cento in Puglia, Calabria e Campania;
    gli asili nido comunali rientrano nella gamma dei servizi a domanda individuale resi dal comune a seguito di specifica domanda dell'utente. Nel caso degli asili nido, il livello minimo di copertura richiesta all'utente è del 50 per cento, ma le rette variano sensibilmente da comune a comune poiché la misura percentuale di copertura dei costi di tutti i servizi a domanda individuale da parte dell'utenza viene definita al momento dell'approvazione del bilancio di previsione comunale. Le rette sono determinate nel 75 per cento dei casi in base all'Isee, nel 20 per cento dei casi in base al reddito familiare e nel restante 5 per cento la retta è unica;
    si ritiene necessario un intervento che nel breve periodo possa offrire una risposta rapida alle richieste di posti nelle strutture socio-educative e per far questo è importante agire con formule nuove cercando di coniugare l'iniziativa pubblica a quella privata applicando sistemi di collegamento rapidi tra le istituzioni nel rispetto del principio di sussidiarietà verticale e orizzontale (presso la Camera dei deputati è stata presentata una proposta di legge del gruppo parlamentare Lega Nord e Autonomie A.C. 2163 «Norme in materia di gratuità dei servizi socio-educativi per l'infanzia»);
    l'ambizioso obiettivo che si vuole realizzare punta ad introdurre un sistema territoriale gratuito di servizi socio-educativi per la prima infanzia. Tutto ciò è realizzabile concependo e istituzionalizzando l'idea di un sistema articolato dei servizi socio-educativi per la prima infanzia. Sistema cui concorrono il pubblico, il privato, il privato sociale e i datori di lavoro, con l'obiettivo di creare sul territorio un'offerta flessibile e differenziata di qualità. Un particolare rilievo deve assumere la centralità della famiglia, anche attraverso le sue formazioni associative, poiché sempre più ampio devono essere il suo protagonismo, la capacità di espressione della sua libertà di scelta educativa e le forme di partecipazione che può mettere in atto, anche nelle scelte gestionali e nella verifica della qualità dei servizi;
    per la gestione dei servizi del sistema educativo integrato, la regione e gli enti locali devono riconoscere e valorizzare, fra l'altro, il ruolo delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, richiedendo loro una collaborazione alla programmazione e gestione dei servizi educativi nel relativo ambito territoriale;
    si ricorda, inoltre che il Gruppo parlamentare Camera dei deputati della Lega Nord ha presentato un'altra proposta di legge sul tema l'A.C. 426, sempre finalizzata a potenziare il sistema territoriale dei servizi socio educativi. Questa proposta a differenza della prima non va a delineare il quadro entro il quale far si che il nostro Paese si doti di nuovi strumenti finalizzati a ridisegnare l'offerta dei nidi, ma intende realizzare in tempi rapidi 1.000 nuovi asili nido senza una spesa eccessiva per l'erario pubblico. Un piano straordinario per il potenziamento dei servizi socio-educativi da definire in sede di Conferenza unificata su iniziativa del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, fondato sull'erogazione di un contributo statale ripartito per le regioni e, a cascata, per gli enti locali, finalizzato alla ristrutturazione degli immobili in disuso affinché siano utilizzati come asili nido da concedere a titolo gratuito ai privati, che si impegnano a garantire rette sociali elaborate sulla media di quelli che sono i costi dei nidi pubblici della zona territoriale e ad assumere prioritariamente lavoratori socialmente utili al fine di offrire loro una vera occupazione. La realizzazione di questo piano straordinario renderà fruibili 1.000 nuovi asili nido su una superficie totale di 200.000 metri quadrati, 28.000 nuovi posti per i bambini, 10.000 nuovi posti di lavoro, contribuendo quindi anche ad un rilancio economico e occupazionale del Paese attraverso la ricollocazione di un numero importante di lavoratori socialmente utili in scadenza e il rilancio delle aziende edili di ristrutturazione e dell'indotto ad esse collegato;
    è una priorità sviluppare la formazione di un sistema integrato di servizi, che offra sostegno al lavoro di cura dei genitori, in modo da favorirne la conciliazione tra impegni familiari e lavorativi, facilitando e sostenendo l'accesso delle donne nel mercato del lavoro, in un quadro di pari opportunità e condivisione dei compiti;
    il nostro Paese deve essere da esempio nell'elaborare una linea politica di invito alla vita e operare per garantire tutte le condizioni utili ad una crescita della società incentrata sui valori di un umanesimo diffuso. Occorre, quindi, rimodulare l'azione politica sui valori fondanti della vita e della persona umana,

impegna il Governo:

   a promuovere una politica di sostegno della famiglia, quale nucleo fondamentale della società, nel riconoscimento del ruolo primario che riveste nell'educazione e nella crescita dei bambini e dei giovani adolescenti;
   a riconoscere il concepito quale componente a tutti gli effetti della famiglia;
   a non farsi promotore di iniziative volte a diffondere posizioni ideologiche che scardinano i riferimenti valoriali che appartengono, da sempre, alla tradizione culturale, sociale e religiosa del nostro Paese;
   a realizzare un'indagine amministrativa che quantifichi puntualmente l'effettiva domanda di servizi di asili nido, in modo tale da predisporre una programmazione di nuovi posti, in funzione della richiesta effettiva e non soltanto in base al numero complessivo dei bambini;
   a riconoscere, quale priorità inderogabile nell'attuazione delle linee politico- programmatiche, la realizzazione di interventi in materia di servizi socio-educativi per l'infanzia finalizzati ad efficientare il funzionamento del servizio territoriale, la sua diversificazione, flessibilità e capillarizzazione sul territorio secondo un sistema articolato, sistema cui concorrono il pubblico, il privato, il privato sociale e i datori di lavoro secondo i seguenti principi:
    a) gratuità dei servizi e delle prestazioni;
    b) requisito prioritario della residenza continuativa della famiglia nel territorio in cui sono richiesti i servizi e le prestazioni;
    c) partecipazione attiva della rete parentale alla definizione degli obiettivi educativi e delle scelte organizzative, nonché alla verifica della loro rispondenza ai bisogni quotidiani delle famiglie e della qualità dei servizi resi;
   a promuovere l'incremento delle risorse destinate al Fondo nazionale delle politiche sociali, verificandone, inoltre, l'equa ripartizione e garantendo che in tutte le città italiane vi sia la medesima accessibilità ai servizi;
   ad assumere iniziative per introdurre un sistema fiscale basato sul quoziente familiare, lo splitting o il fattore famiglia;
   ad assumere iniziative per riformare i consultori familiari al fine di dimostrare nei fatti una particolare attenzione e sensibilità ai diritti dei minori e della famiglia tutelando il valore sociale della genitorialità e del concepito;
   a promuovere una politica finalizzata a contrastare la crisi demografica introducendo, nei futuri provvedimenti a sostegno della famiglia e della natalità, un criterio volto ad individuare i beneficiari tra i cittadini italiani comunitari e i cittadini extracomunitari che abbiano dimostrato, realmente, di volersi integrare, avendo acquisito secondo i parametri di valutazione fissati dall'accordo di integrazione di cui all'articolo 4-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998, testo unico sull'immigrazione, un punteggio pari ad almeno 30 punti.
(1-00809) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    ricorre il 100o anniversario del genocidio armeno, commemorato il 24 aprile 2015;
    il popolo armeno, uno dei primi popoli cristiani della storia ed il primo ad adottare, nel 301, la religione cristiana come religione nazionale, è vissuto per oltre tremila anni sul vasto altopiano anatolico, in un territorio che arrivava fino alle pendici del piccolo Caucaso e alla pianura di Ararat, una regione ponte tra Asia ed Europa, parlando una lingua indoeuropea, traducendo le opere del pensiero greco, e rimanendo fedele al cristianesimo nei secoli, creando monumenti architettonici religiosi, che hanno anticipato la grande arte romanica. Laboriosi contadini, abili artigiani e mercanti dotati di spirito d'iniziativa, hanno percorso le strade del mondo, dall'India al Mare del nord, fondando ovunque colonie che si sono connotate per la capacità di investimenti economici e culturali;
    la storia del popolo armeno si intreccia da secoli con quella dell'Europa, e con quella della Turchia. La minoranza armena ha vissuto, all'interno dell'impero ottomano, la condizione che i mussulmani concedono agli infedeli «del libro»: libertà di culto e di lingua, ma con diritti da cittadini di «serie B» e con l'obbligo di pagare speciali imposte. Sotto i turchi gli armeni hanno subito pogrom ricorrenti per quasi tutto il XIX secolo. Dopo le prime sconfitte subite dall'impero ottomano durante la prima guerra mondiale, i turchi rovesciarono responsabilità non provate sulla popolazione armena, che fu disarmata, arrestata e deportata per legge a partire dal febbraio 1915;
    ne sono seguiti la deportazione ed il genocidio, premeditato ed intenzionale, di un intero popolo. Le numerose testimonianze confermano che si è trattato di un processo di distruzione sistematico e organizzato. Se all'inizio del XX secolo, in Turchia, vivevano circa 1 milione e 800 mila armeni; circa 700 mila sono stati massacrati nelle loro città e circa 600 mila sono morti durante le deportazioni; altri 200 mila sono scappati verso il Caucaso; 150 mila verso l'Europa, mentre in Turchia sono sopravvissuti meno di 150 mila armeni. Più del 70 per cento della popolazione armena che viveva da 3000 anni in Anatolia è stata annientata;
    conferme in tal senso sono offerte, oltre che dai superstiti, da parte di testimoni stranieri ed imparziali, quali l'ambasciatore americano Morgenthau, il pastore evangelico Lepsius, gli inglesi Lord Bryce e A. Toynbee, lo scrittore tedesco Wegner, il francese Barby, per citare solo i più noti;
    lo Stato turco tuttavia ha sempre negato di aver compiuto un genocidio. La verità ufficiale è che le deportazioni erano state ordinate per sedare una rivolta, ma è impossibile accettare questa tesi, anche in considerazione del fatto che la destinazione finale delle deportazioni era il deserto di Deir er Zor, in Siria, dove sono arrivati in pochi e dove non è ragionevole ritenere che degli esseri umani avrebbero potuto sopravvivere;
    fra le nazioni europee l'Italia è quella che ha avuto un rapporto privilegiato con gli armeni. Fin dal Medioevo essi sono stati presenti in vari modi nella penisola, come attestano le loro molte tracce: iscrizioni, monumenti, toponimi, documenti d'archivio e di biblioteca. Particolare importanza ha la presenza dei padri mechitaristi nell'isola di San Lazzaro a Venezia: punto di raccordo per la conoscenza della cultura armena in Italia e di quella italiana fra gli armeni. L'Italia ha accolto generosamente gli armeni in fuga dalla Turchia nel 1915 e ospita ancora una importante comunità armena: alcune migliaia, sparsi in varie città, tra le quali Roma e Milano. Non pochi di loro si sono messi in luce come ottimi professionisti e commercianti, costituendo un caso esemplare di integrazione pacifica, coniugata con il sentimento sempre vivo della propria identità;
    con il proprio lavoro e impegno, con l'esercizio dei diritti e dei doveri che discendono dalla cittadinanza, essi hanno concorso al progresso e allo sviluppo dell'Italia e al nostro Paese guardano oggi nella speranza che giunga un contributo a quella giustizia che solo nella verità emerge. D'altra parte, dopo la dichiarazione congiunta di Francia, Gran Bretagna e Russia del 1915 e il pronunciamento del tribunale militare dell'Impero ottomano del 1919, centinaia di Parlamenti, Assemblee nazionali, Senati e comuni hanno riconosciuto e condannato l'eccidio di un milione e mezzo di armeni. I fatti del 1915 sono stati riconosciuti da un lungo elenco di prestigiose istituzioni internazionali, dalla Commissione per i crimini di guerra dell'ONU nel 1948, dalla Sottocommissione per la promozione e la protezione dei diritti umani dell'ONU (1985 e 1986), dal Parlamento, europeo (1987) e sostanzialmente, anche se con un certo ritardo, dal Parlamento italiano, con una risoluzione approvata nel 2000 all'esito di un dibattito avviato su iniziativa della Lega Nord;
    la Turchia sta negoziando il suo accesso all'Unione europea, mentre continua a negare il genocidio armeno e a vietare addirittura che se ne parli all'interno del suo territorio. Una simile posizione non può e non deve essere compatibile con un'Unione europea che fa dei suoi valori democratici e della tutela dei diritti fondamentali il fondamento della propria stessa esistenza;
    domenica 12 aprile 2015, celebrando una speciale messa nella Basilica di San Pietro, alla presenza dei tre patriarchi Nerses Bedros XIX Tarmouni, Karekin II e Aram I, del presidente armeno Serzh Sarksyan e di fedeli armeni provenienti da tutto il mondo, Sua Santità Papa Francesco ha usato parole chiare riguardo al genocidio degli armeni e alla persecuzione dei cristiani nel mondo; il Pontefice non ha esitato a definire questo tempo un tempo di guerra, «una terza guerra mondiale» perpetrata, oggi come allora, nel silenzio, nella mancanza di coraggio, nell'ipocrisia di chi, nel resto del mondo, preferisce non vedere, non dire, cancellare le parole pensando di potere, in questo modo, nascondere la verità e gli orrori; anche oggi, ha insistito il Papa, «stiamo vivendo una sorta di genocidio causato dall'indifferenza generale e collettiva», dal «silenzio complice di Caino che esclama: “A me che importa?”»;
    Bergoglio ha usato la parola «genocidio» per definire il massacro degli armeni e per rendere un chiaro messaggio: il parallelo tra «il primo genocidio del XX secolo» – mutuando così le parole di Giovanni Paolo II e del patriarca armeno Karekin II nella loro dichiarazione comune del settembre 2001 – con le altre due «grandi tragedie inaudite» del ’900, «quelle perpetrate dal nazismo e dallo stalinismo». Le seconde nascono ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, anche dalla negata verità storica delle prime, se, come narrano le ricostruzioni storiche, davanti alle perplessità dei suoi gerarchi all'inizio dell'olocausto, i quali temevano condanne internazionali, Hitler li ha tranquillizzati dicendo «chi parla più del genocidio armeno?»;
    come ha detto il Papa, «sembra che l'umanità non riesca a cessare di versare sangue innocente», che «rifiuti di imparare dai propri errori causati dalla legge del terrore»: e con si continua a «eliminare i propri simili, con l'aiuto di alcuni e con il silenzio complice di altri che rimangono spettatori». E proprio ricordare «l'immane e folle sterminio» del popolo armeno è «necessario e doveroso», perché cancellare la «memoria» significa «tenere ancora aperta la ferita» e lasciarla «sanguinare»;
    la risposta turca si è manifestata convocando il nunzio apostolico, ritirando l'ambasciatore presso la Santa Sede, e con un seguito di dichiarazioni di esponenti religiosi e di Governo di Ankara, dai toni violenti nei confronti di Sua Santità; Ankara a distanza di cento anni continua a chiudersi in un negazionismo dei fatti che non ha alcun riscontro nella verità storica unanimemente riconosciuta;
    nessun esponente del Governo italiano ha pronunciato una sola parola sulla verità storica del genocidio armeno e contro l'arroganza e le intimidazioni turche. Al contrario, proprio il nostro Paese dovrebbe impegnarsi in prima fila per garantire al popolo armeno il diritto alla memoria, inviolabile e sacro per ogni uomo, popolo e nazione,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per istituire nel giorno del 24 aprile la «giornata in ricordo del genocidio armeno», in memoria delle oltre un milione e mezzo di vittime dell'impero ottomano nel 1915;
   a garantire nella programmazione scolastica la conoscenza storica delle vicende del popolo armeno e ad adoperarsi per contrastare ogni forma di negazionismo e di oblio;
   a sostenere in tutte le sedi internazionali e comunitarie la necessità di pervenire ad una normalizzazione dei rapporti tra la Turchia e l'Armenia, propedeutica a qualunque ulteriore avvicinamento della Turchia all'Unione europea.
(1-00810) «Gianluca Pini, Simonetti, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Rondini, Saltamartini».

Risoluzioni in Commissione:


   La VIII e IX Commissione,
   premesso che:
    è stato recentemente arrestato Ettore Incalza, già capo della struttura tecnica di missione presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, accusato di gestire una «cupola» che pilotava grandi appalti pubblici in tutta Italia, come quelli legati all'alta velocità, a Expo e alle autostrade;
    come si legge sull'Ansa del 17 marzo 2015, è risultato al Gip che egli dirigesse «ogni grande opera, predisponendo le bozze della legge obiettivo e individuando di anno in anno quelle da finanziarie e quelle da bloccare»;
    al di là degli eventuali profili di responsabilità penale, che verranno chiariti nelle opportune sedi, si palesano delle responsabilità politiche – proprie non solo del presente Governo – nella gestione della politica infrastrutturale italiana, già oggetto di continui scandali nell'ultimo anno;
    come evidenziato dal professor Cappelli dello IUAV di Venezia, la legge 21 dicembre 2001, n. 443, ha di fatto ratificato l'annullamento delle procedure di pianificazione strutturata e scientificamente giustificata in Italia: la quasi totalità delle opere di cui all'Allegato infrastrutture al Def 2014 risultano essere state decise con un criterio concertativo al di fuori di una procedura oggettiva di pianificazione strategica integrata e non mancano, inoltre, casi di opere decise negli anni ottanta e novanta senza evidenti verifiche di congruità nel tempo e analisi di rete che ne valutino la validità attuale e le sinergie reciproche;
    come evidenziato dall'ingegner Marco Ponti, la maggior parte delle infrastrutture di trasporto attualmente in fase di progetto o di realizzazione non sono state precedute da analisi economiche conformi alle best practices internazionali, essendo mancate, in particolare, preventive analisi di costo-opportunità che avessero ad oggetto le opere nella loro interezza, che soddisfacessero requisiti di terzietà e comparatività e che tenessero conto del traffico divertito;
   è evidente la sproporzione tra il numero delle opere da realizzare secondo il Def, le risorse necessarie e la capacità reale di spesa, intesa sia in senso monetario, sia in senso di capacità operativa e amministrativa;
   un fenomeno quasi costante nella realizzazione di grandi opere nel nostro Paese è quello della locupletazione dei tempi e dei costi, spesso in ragione di varianti, rispetto alle quali non sempre è evidente l'interesse pubblico perseguito;
   i ritardi, uniti o una programmazione priva, di pianificazione scientifica condivisa mettono in discussione la fattibilità economica dei progetti, la loro utilità sociale e la validità delle scelte, determinando una grande quantità di opere incompiute (almeno 85 solo nel campo dei trasporti),

impegnano il Governo:

   ad avviare, in un'ottica di rilancio della politica industriale, una nuova fase di pianificazione strategica unitaria a livello nazionale del trasporto e della logistica che sia coerente con i progetti europei e la rete europea TEN-T;
   ad intervenire, anche tramite i propri poteri di iniziativa, sulla normativa vigente, al fine di dotarla di procedure di pianificazione strutturata e scientificamente giustificata;
   ad assicurare, nella realizzazione delle future opere, la previa esecuzione di analisi economiche conformi alle best practices internazionali, e in particolari analisi costo-opportunità che abbiano ed oggetto le future opere nella loro interezza, che soddisfino requisiti di terzietà e comparatività e che tengano conto del traffico divertito;
   a disporre la realizzazione delle medesime analisi anche rispetto alle opere in corso di realizzazione ma non completate;
   a stilare, sulla base dei precedenti accertamenti, un elenco di priorità, assicurando la concentrazione dei finanziamenti su un numero realistico di progetti, evitando la dispersione delle risorse, e a sospendere la realizzazione delle opere la cui realizzazione o completamento non risulti economicamente opportuna;
   ad individuare tra le opere prioritarie quelle che sono orientate al riequilibrio territoriale;
   ad affiancare alla politica delle «grandi opere» una politica di upgrading tecnologico delle infrastrutture esistenti, usando il principio della «massima velocità alla massima capacità»;
   ad evitare sovrapposizioni di collegamenti in competizione;
   a sottoporre a profonda, sistematica, revisione la politica infrastrutturale delle grandi opere, anche in collaborazione con l'Autorità nazionale anti corruzione per i profili di competenza;
   a disporre, in particolare, gli opportuni accertamenti sulle ragioni alla base della moltiplicazione dei costi e dei ritardi nella realizzazione delle opere nel corso dell'ultimo decennio, individuando dove possibile le relative responsabilità a assumendo i provvedimenti conseguenti.
(7-00660) «Catalano, Matarrese, Monchiero, Sottanelli, Vecchio, Pinna, Oliaro, Quintarelli, Librandi, Galgano, Antimo Cesaro, Molea, Falcone, Cristian Iannuzzi, Turco».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    il maltempo che ha imperversato nei giorni 5 e 6 febbraio 2015 con piogge, neve e mareggiate, soprattutto su alcune province dell'Emilia Romagna e delle Marche, assumendo carattere di particolare intensità al punto da indurre il Governo a dichiarare, pur se con riferimento alla sola regione Emilia Romagna, la dichiarazione del relativo stato di emergenza, ha prodotto ingenti disagi e danni economici alla cittadinanza ed alle attività economiche e produttive, a tutt'oggi ancora impegnate nella fase di ripristino del territorio;
    si prende atto positivamente dei primi ed importanti interventi dei quali si sono fatte carico entrambe le regioni, stanziando adeguate risorse finanziarie che hanno consentito di fronteggiare l'emergenza, aiutare la cittadinanza e far ripartire le imprese, soprattutto quelle impegnate nella riapertura delle proprie attività in vista della prossima stagione turistica, misure alle quali occorre però affiancare ulteriori iniziative del governo in grado di gestire al meglio l'attuale fase del post emergenza, sostenendo la situazione di disagio e di forte tensione emotiva vissuta dalla popolazione danneggiata e l'intera economia del territorio;
    l'articolo 9, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, attribuisce al Ministro dell'economia e delle finanze, il potere di sospendere o differire, tramite proprio decreto, il termine per l'adempimento degli obblighi tributari a favore dei contribuenti interessati da eventi eccezionali ed imprevedibili,

impegna il Governo

a sospendere fino a tutto l'anno 2015, i termini per l'adempimento di tutti gli obblighi tributari, erariali e locali, a favore di quei contribuenti colpiti e gravemente danneggiati dall'evento meteorologico abbattutosi nei giorni 5 e 6 febbraio 2015 nella regioni Emilia Romagna e Marche.
(7-00659) «Paglia, Ricciatti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   nella regione del Salento in Puglia, tra Gallipoli e Santa Maria di Leuca, sono andate distrutte intere coltivazioni di ulivi a causa della presenza di un batterio originario della California chiamato «Xylella Fastidiosa»; tale parassita, difficile da eliminare, è giunto in Italia con l'importazione di piante ornamentali di caffè infette, provenienti dall'America centrale e, purtroppo, ha colpito le distese di uliveti di cui la Puglia è ricca, mettendo i coltivatori nelle condizioni di doverli eradicare e bruciare in quanto pericolosi anche per la fauna;
   il batterio è stato trasmesso dalla «cicala sputacchina» che è un insetto ad apparato pungente-succhiatore che, una volta assorbita la linfa delle piante, la trasporta su altri fusti e li contagia;
   il ceppo di batterio che ha devastato gli ulivi in Puglia è in grado di attaccare anche altre piante, come il ciliegio, il mandorlo, l'oleandro e alcune ornamentali;
   l'unico rimedio ad oggi conosciuto per eliminare il parassita pare sia il taglio radicale del tronco e l'estirpazione delle radici stesse: le ripercussioni negative sull'agricoltura pugliese risultano evidenti e si tradurranno in un danno inestimabile;
   il rischio di diffusione non riguarda solo la Puglia; il batterio infatti potrebbe diffondersi anche in altre zone d'Italia producendo gli stessi effetti disastrosi con un reale pericolo per tutta la penisola;
   la Francia ha adottato misure, considerate in linea con la legislazione dell'Unione europea, contro la diffusione della «Xylella fastidiosa» che prevedono il blocco delle importazioni delle piante dalla Puglia e da altre zone colpite dal batterio;
   il decreto firmato dal Ministro dell'agricoltura francese, Stephane Le Fall, in vigore dal 4 aprile 2015, vieta l'importazione di 102 tipi di piante vive dal territorio pugliese e di quelle piante contaminate dal batterio e inibisce gli scambi intra-europei con la Puglia con un conseguente rafforzamento di un piano di controllo su tutto il territorio transalpino;
   la procura di Lecce sta indagando sulla provenienza originaria del batterio e sta verificando se durante l'importazione delle piante provenienti dai Paesi extracomunitari in Europa, ed entrati attraverso il porto di Rotterdam, siano stati effettuati i dovuti controlli dal cui esito dipenderà poi la richiesta di risarcimento del danno per gli agricoltori pugliesi e per tutta la Puglia colpita da questa piaga che sta indebolendo l'immagine commerciale in un settore strategico di economia come l'agricoltura di eccellenza –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere, attraverso un'azione in sede comunitaria, per contrastare il blocco decretato dalla Francia alle importazioni delle piante provenienti dalla Puglia e quale strategia intenda adottare a livello comunitario per far fronte a questa emergenza;
   quali proposte il Governo intenda avanzare nella prossima riunione del Comitato permanente dell'Unione europea per la salute delle piante, che si terrà il 27 e 28 aprile 2015, visto che in quella sede verranno varate le nuove misure europee contro il diffondersi del batterio della «Xylella fastidiosa» e che Paesi come Grecia, Spagna e Francia corrono gli stessi rischi dell'Italia;
   in che modo e con quali tempi il Governo intenda adempiere all'impegno preso con il Parlamento con l'accoglimento di diversi ordini del giorno per valutare la possibilità di introdurre la sospensione degli adempimenti fiscali, tributari, contributivi e dei premi assicurativi, nonché della rateizzazione dei pagamenti successivi alla sospensione a cui non saranno applicati sanzioni ed interessi, per chi ha subito danni a causa della «Xylella fastidiosa»;
   se siano già stati individuati strumenti finanziari finalizzati al ristoro dei danni subiti dagli agricoltori e dai vivaisti colpiti dall'infestazione del batterio;
   se sia stata creata presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali un'unità di emergenza per la dichiarazione e per la gestione dello stato di calamità;
   se sia stato già previsto un potenziamento dei controlli sulle piante importate dai Paesi in cui il batterio è endemico, e se il Governo abbia previsto l'adozione di un eventuale embargo per le piante importate da tali Paesi e da quelli che nei fatti ospitano i porti di entrata, sia europei che extraeuropei.
(2-00928) «Elvira Savino, Palese, Occhiuto».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   con la recente sentenza n. 37 del 17 marzo 2015 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo 8, comma 24, del decreto-legge n. 16 del 2012, nonché l'incostituzionalità dell'articolo 1, comma 14, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150 e dell'articolo 1, comma 8, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 (Milleproroghe 2015, emanato dall'attuale Governo) con le quali è stata prorogata la vigenza del detto articolo 8;
   la disposizione censurata, oltre ad autorizzare le Agenzie delle entrate, del territorio e delle dogane ad espletare procedure concorsuali per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti (da completarsi entro il 31 dicembre 2013), consentiva da un lato di far salvi, per il passato, gli incarichi dirigenziali già affidati dalle dette Agenzie a propri funzionari; dall'altro, nelle more dell'espletamento delle procedure concorsuali, di attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari (con lo stesso trattamento economico dei dirigenti), mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, che consentiva alle Agenzie delle entrate di coprire, in attesa dei concorsi, le posizioni dirigenziali con il ricorso a contratti individuali di lavoro a termine stipulati con funzionari interni;
   la sentenza della Corte costituzionale ha posto fine all'accesa disputa relativa alla illegittimità delle nomine dei dirigenti delle Agenzie delle entrate, del territorio e delle dogane ed alla quale il Governo Monti aveva cercato di porvi rimedio con la sanatoria di cui alla norma dichiarata incostituzionale; questione peraltro in più occasioni sottoposta al vaglio dei Governi, tra cui anche quello attualmente in carica: gli interpellanti, infatti, già con diverse interrogazioni rimaste prive di riscontro (n. 4-00943 del 20 giugno 2013, n. 3-00525 del 19 dicembre 2013 e n. 4-03383 del 30 gennaio 2014) avevano sollevato il problema delle criticità di nomine avvenute in carenza dei i presupposti e requisiti previsti dalla legge nonché della mancanza di trasparenza nell'assegnazione degli incarichi di dirigente;
   a seguito della sentenza della Corte Costituzionale si rende necessaria l'adozione di misure volte a porre rimedio alla vacanza dei posti dirigenziali ricoperti dai dirigenti nominati in modo illegittimo;
   da fonti di stampa si apprende che non sarebbe intenzione del Governo in carica quella di adottare un decreto d'urgenza al fine di sanare l'accertata illegittimità delle nomine. In particolare, sarebbe inviso al Governo il decreto chiesto da Padoan su pressione dell'Agenzia delle entrate e che consentirebbe di incentivare, con remunerazioni più elevate, i funzionari ai quali i dirigenti delegano alcune attività; il che permetterebbe, aggirando di fatto la sentenza della Corte Costituzionale, di riassegnare ai funzionari i vecchi incarichi;
   non sembra percorribile nemmeno l'ulteriore strada rappresentata dalla riattivazione del concorso per quattrocentotre posti di dirigenti di seconda fascia nell'Agenzia delle Entrate, essendo, attualmente pendente un giudizio innanzi all'autorità giudiziaria;
   l'unica immediata soluzione concretamente realizzabile sembra dunque quella di indire un nuovo concorso pubblico per titoli ed esami con il quale assegnare gli incarichi dirigenziali;
   diversamente, si potrebbe anche prevedere normativamente l'attribuzione di funzioni predirigenziali agli attuali funzionari di ruolo, individuati in base ai titoli, l'esperienza professionale e l'anzianità maturata ed attraverso apposito concorso pubblico interno;
   in ogni caso, sarebbe auspicabile che qualsiasi intervento risolutivo venga adottato in tempi brevi; al riguardo, però, il Governo sembra voglia procedere con molta cautela auspicando l'individuazione di una soluzione entro il secondo semestre l'anno 2016, probabilmente in attesa dell'entrata in vigore delle nuove norme in materia di riforma della pubblica amministrazione, che dovrebbero introdurre nuove misure volte al reclutamento dei dirigenti; misure che, ad avviso degli interpellanti, non appaiono comunque idonee alla risoluzione del problema ed in particolare ad escludere il controllo politico delle nomine dirigenziali;
   va evidenziato infine il deprecabile atteggiamento di alcune direzioni regionali dell'Agenzia delle entrate, ed in particolare della direzione regionale della Campania che hanno espressamente invitato i direttori provinciali a ridefinire i provvedimenti di delega indicando nei nuovi atti i funzionari che fino ad oggi sono stati incaricati di funzioni dirigenziali (in pratica, a quanto consta agli interpellanti proprio i dirigenti illegittimamente nominati);
   un dirigente pubblico per definizione dovrebbe rappresentare lo Stato nonché essere una figura di eccellenza e dotata di piena autonomia, soprattutto rispetto al potere politico –:
   se non ritenga opportuno procedere con lo scorrimento delle graduatorie di cui al concorso A/163 per dirigenti, indetto nel 1999;
   in alternativa se non ritenga invece opportuno, contrariamente alle intenzioni riportate dalle fonti di stampa, procedere con una immediata indizione di un nuovo concorso pubblico per titoli ed esami per l'assegnazione degli incarichi dirigenziali rimasti vacanti a seguito della sentenza della Corte costituzionale;
   se ritenga possibile assumere iniziative normative volte ad attribuire e retribuire funzioni predirigenziali agli attuali funzionari di ruolo, attraverso l'indizione di un concorso pubblico per titoli ed esami;
   se sia a conoscenza delle direttive interne adottate dalle direzioni regionali ai fini dell'attribuzione di nuove deleghe ai dirigenti decaduti e se non ritenga opportuno intervenire al fine di ripristinare e garantire l'autonomia decisionale ed organizzativa delle singole direzioni interessate.
(2-00931) «Pesco, Cancelleri, Villarosa, Alberti, Ruocco, Pisano, Corda, Castelli, Sorial, Caso, Brugnerotto, Cariello, Colonnese, D'Incà, Cozzolino, Toninelli, Cecconi, Dadone, Dieni, D'Ambrosio, Nuti, Ferraresi, Bonafede, Businarolo, Agostinelli, Colletti, Sarti, Battelli, Luigi Di Maio, Fico, Fraccaro».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AGOSTINELLI e BUSINAROLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano Libero del 18 marzo 2015 pubblica un articolo che illustra l'esito di un lodo arbitrale riguardante il piano di ricostruzione post bellico della città di Ancona che si è concluso con la condanna del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti della somma esorbitante di 1,2 miliardi di euro oltre interessi e metà delle spese, diritti e onorari di lite a favore del signor Edoardo Longarini, ex concessionario del predetto piano, a suo tempo arrestato e condannato per plurimi reati compiuti proprio sulle concessioni dei piani di ricostruzione delle città di Macerata, Ariano Irpino e Ancona. Stando all'articolo il Longarini avrebbe richiesto il pignoramento della somma predetta presso la Banca d'Italia. Analoga procedura è stata intentata dal Longarini nel 2011 nei confronti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a seguito dell'esito dei lodi arbitrali riguardanti i piani di ricostruzione di Macerata e Ariano Irpino, anch'essi sfavorevoli allo Stato che ha pagato, mediante la speciale procedura di conto in sospeso, la somma di euro 250.097.010,94, relativa alla sola, sorte capitale e interessi. Si tratta d avviso degli interroganti di un esito che non ha precedenti in Italia e in Europa e che, ove non si provveda con tempestività, può portare la cifra degli esborsi di finanza pubblica ad oltre due miliardi di euro (4.000 miliardi di lire). La vicenda, ad avviso degli interroganti, numerosi elementi di violazione delle normative vigenti, a partire dal non rispetto della legge n. 317 del 1993 che ha definitivamente cancellato i piani di ricostruzione e stabilito le procedure per la cessazione delle concessioni alla data di cessazione, dei lavori. Infatti all'articolo 2, comma 3 dispone: «I lavori relativi a lotti di piani di ricostruzione già affidati con atti di concessione annullati con decreto del Ministro dei Lavori Pubblici del 7 ottobre 1992, sono contabilmente definiti con riferimento allo stato di avanzamento dei lavori esistente alla data di emanazione del decreto di annullamento. Il comma 3 dell'articolo 2 della legge 12 agosto 1993, n. 317, va interpretato nel senso che per le concessioni di lavori relativi ai lotti di ricostruzione già affidati con atti di concessione annullati con decreto del Ministro dei lavori pubblici del 7 ottobre 1992, resta confermata la perdita di efficacia e che la loro definizione contabile va effettuata con riferimento allo stato di avanzamento alla data di emanazione del decreto di annullamento, data di cessazione dei lavori.»;
   ciò premesso gli interroganti riepilogano la vicenda, sulla base della documentazione prodotta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per rispondere alla nota dell'11 dicembre 2012, indirizzata agli organi politici, ai Ministri delle infrastrutture pro tempore, all'Avvocatura dello Stato, ai componenti dei collegi arbitrali costituiti per le vertenze relative ai piani di ricostruzione post-bellica nelle città di Ancona, Ariano Irpino e Macerata, nonché alle Procure della Repubblica e della Corte dei conti, da parte dell'ex deputato onorevole Eugenio Duca, all'epoca Capogruppo consiliare di «Sinistra per Ancona», nel consiglio comunale di Ancona;
   con riferimento al Piano di ricostruzione di Ariano Irpino: con nota 16035 del 2 febbraio 2007, l'Avvocatura Generale dello Stato trasmetteva al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e al SIIT Lazio la domanda di arbitrato del Longarini chiedendo «gli occorrenti elementi informativi, corredati dalla documentazione, per la predisposizione delle difese» e ritenendo che «possa procedersi alla nomina, quale arbitro dell'amministrazione, di un avvocato dello Stato». Nella risposta il Direttore Generale (pro tempore) dell'edilizia statale e gli interventi speciali, con nota B3/3/2258 del 20 febbraio 2007 (indirizzata anche al Ministro pro tempore), invitava l'Avvocatura a «valutare l'opportunità di chiedere la sospensione della procedura arbitrale in questione» facendo presente che «ad ogni buon conto, con separato provvedimento, si provvederà a cura dell'onorevole Ministro, ad individuare l'arbitro di parte di questa Amministrazione». Con nota n. 4337 del 23 marzo 2007 il Ministro delle infrastrutture (pro tempore), nominava l'arbitro dell'Amministrazione «in seno al Collegio arbitrale incaricato della risoluzione della vertenza l'avvocato Ignazio Messina. Il lodo arbitrale parziale 06/08 ed il lodo definitivo 08/09 sono stati resi esecutivi con decreto emesso in data 28 settembre 2010 (R.G. 12682/10);
   con riferimento al Piano di ricostruzione di Macerata: in data 25 giugno 2007 il Longarini rivolge domanda di arbitrato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per risolvere il contenzioso insorto in ordine alla controversia per la realizzazione del piano di ricostruzione adottato dal comune di Macerata. Con la stessa domanda nomina, come proprio arbitro di elezione l'ingegner Vito Gamberale. In meno di 24 ore, il Ministro Antonio Di Pietro e Edoardo Longarini sottoscrivono l'accordo per la costituzione del Collegio arbitrale; il Ministro nomina arbitro l'avvocato Domenico Condello e le «parti concordano di designare – come designano dal verbale – il professor Carlo Malinconico quale terzo arbitro con funzioni di Presidente». All'epoca il professor Malinconco era segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   in data 2 luglio 2007 l'Avvocatura dello Stato ha declinato «la competenza arbitrale in relazione alla controversia introdotta con la domanda notificata il 26 giugno 2007» ed ha invitato «la controparte a proporre le proprie domande ed istanze avanti al Giudice Ordinario secondo le vigenti norme di rito»;
   in data 16 luglio 2007, il Presidente del Collegio arbitrale Carlo Malinconico, sentiti, gli arbitri Vito Gamberale e Domenico Condello, ha disposto la nomina di un terzo, segretario del Collegio arbitrale, in aggiunta ai due già nominati Rita Rufini e Guglielmo Marconi, l'avvocato Sergio Fidanza;
   con nota del Capo di Gabinetto (pro tempore) protocollo 4387 dell'8 maggio 2008, avente ad oggetto il giudizio arbitrale promosso dal Longarini riguardante il Piano di ricostruzione di Macerata, si ricorda che il professor Carlo Malinconico fu nominato terzo arbitro con funzioni di presidente del Collegio arbitrale costituito per tale controversia. Con la stessa nota, facendo riferimento ad una temporanea astensione dell'incarico del professor Carlo Malinconico, si riteneva che «il Collegio arbitrale, come originariamente costituito, potesse procedere nelle sue attività» e che con «provvedimento del 25 giugno 2007, il Ministro delle infrastrutture aveva indicato quale arbitro di propria elezione l'avvocato Domenico Condello». Quindi nello stesso giorno in cui il Longarini ha fatto la domanda. Il lodo arbitrale definitivo n. 142 del 2009 è stato reso esecutivo con il decreto emesso in data 28 settembre 2010 (R.G. 12682/10), lo stesso di Ariano Irpino già citato. Risulta agli interroganti che la direzione generale del Ministero ha segnalato all'Avvocatura, tra le motivazioni e pregiudiziali processuali, anche la nullità del compromesso alla luce della revoca delle concessioni disposta dalla legge n. 317 del 1993, già intervenuta quando il Longarini ha formulato la domanda di arbitrato. Il Longarini, con riferimento ai lodi arbitrali esecutivi per Ariano Irpino e Macerata, con atto di precetto del 23 febbraio 2011 ha intimato al MIT il pagamento di 254.236.165,43 euro. A tale precetto è seguito un atto di pignoramento in data 18 marzo 2011 per l'importo di 381.354.248,14 euro (si tratta del capitolo di spesa del MIT per il rimborso alle regioni del contributo per il trasporto pubblico locale). In data 2 maggio 2011 è stato emesso il decreto di pagamento n. 7630, a favore del Longarini, con la speciale procedura in conto sospeso per l'importo di 250.097.010,97 euro relativo alla sola sorte capitale ed interessi;
   con riferimento al Piano di ricostruzione di Ancona: con atto B3/3149 del 28 luglio 2006 tra il Ministero e il Longarini viene stipulata «una convenzione d'arbitrato in materia non contrattuale – articolo 808-bis codice di procedura civile – con la quale si stabiliva che «la futura controversia sia decisa da un Collegio di tre arbitri rituali»;
   con nota UDC/Gabinetto n. 13056 del 5 settembre 2006 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (pro tempore) autorizzava il Direttore (pro tempore) per l'edilizia statale e gli interventi speciali «ad assumere i necessari provvedimenti di approvazione della convenzione d'arbitrato specificando che con successiva determinazione avrebbe provveduto ad individuare l'arbitro di parte». La Convenzione d'arbitrato è stata approvata con decreto direttoriale B3/3150 del 6 settembre 2006;
   con nota UDCGAB n. 1867 del 6 febbraio 2007 il capo di Gabinetto (pro tempore) «nel ritenere condivisibile l'emendamento prospettato dal Longarini con lettera del 30 gennaio 2007, volto ad ampliare la scelta delle professionalità cui riferirsi per il conferimento dell'incarico di arbitro», invitava il Direttore Generale a voler formalizzare la modifica della clausola convenzionale, come prospettata dalla controparte». Con decreto direttoriale B3/3021 del 14 febbraio 2007 viene approvato l'atto aggiuntivo sottoscritto il giorno precedente. Anche questo «passaggio» suscita qualche perplessità nella Struttura ministeriale al punto che il Direttore scrive al Capo di Gabinetto un appunto personale manifestando dubbi sulla legittimità della convenzione sottoscritta;
   invece il Capo di Gabinetto con nota del 5 agosto 2008 n. 9854 chiede all'avvocato Generale dello Stato di individuare un avvocato dello Stato ai fini della nomina dell'arbitro di competenza dell'Amministrazione. Il 21 agosto 2008 l'Avvocatura ha nominato l'avvocato dello Stato Aurelio Vessichelli. Con atto del 21 agosto 2008 n. 116 il Capo di Gabinetto (pro tempore) del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha nominato l'avvocato Vessichelli in qualità di rappresentante della parte pubblica, l'avvocato Greco in qualità di mandatario del Longarini e di comune accordo tra i due venne nominato «quale terzo arbitro, con funzioni di Presidente, il dottor Pasquale De Lise. Il dottor De Lise, all'epoca era Presidente del Consiglio di Stato. In precedenza, in data 28 luglio 2008, come risulta dal testo del lodo definitivo 20 luglio 2012, il Longarini nominava quale arbitro di parte il professor Gaetanino Longobardi. In data 11 dicembre 2008 gli arbitri De Lise, Longobardi e Vessichelli, nominavano il Segretario nella persona del dottor Giorgio Calabresi. Il dottor De Lise, in data 17 maggio 2010 ha rinunciato all'incarico, con rinuncia al compenso per l'opera già svolta. Le parti, quindi, provvedevano alla sua sostituzione designando il 9 luglio 2010 quale terzo arbitro, con funzioni di Presidente, il professor avvocato Aldo Pezzana, Presidente onorario del Consiglio di Stato. Il collegio, ricostituitosi in data 14 luglio 2010, nominava Segretario, in aggiunta al dottor Calabresi, la dottoressa Patrizia Bruschi. In data 21 luglio 2010, con ordinanza, il collegio nominava il consulente tecnico d'Ufficio il professor Antonio Nicita. L'esito dell'arbitrato si è concluso con il lodo parziale in data 26 marzo 2012 e il lodo definitivo del 26 luglio 2012, e ha condannato l'Amministrazione al pagamento di 1.201.105.077,00 oltre interessi e metà delle spese, diritti e onorari di lite a favore del Longarini;
   risulta inoltre agli interroganti che con l'emanazione di una successiva ordinanza, il Collegio ha disposto la liquidazione dei compensi agli arbitri (cioè a loro stessi) e ai segretari, nonché alle spese di funzionamento del collegio arbitrale, nelle seguenti somme: 12.000.000,00 di euro per gli arbitri (tre), 1.200.000,00 euro per i segretari (due) e 620.000,00 euro per il CTU (importi al netto dell'IVA, degli oneri previdenziali e del CPA). La Direzione Generale per gli affari generali ed il personale, con nota 5849/u del 21 novembre 2012, ha rilevato che «le ingenti richieste» del Collegio, non corrispondono assolutamente a quanto effettivamente liquidabile in applicazione della vigente normativa e ha chiesto «di revocare la suddetta ordinanza, rideterminando le somme da liquidare sulla base dei parametri fissati» in base a quanto disposto dall'articolo 241 del decreto legislativo n. 163 del 2006 (codice dei contratti pubblici). L'articolo 241, comma 12, dispone tra l'altro che: «Sono comunque vietati incrementi dei compensi medesimi legati alla particolare complessità delle questioni trattate, alle specifiche competenze utilizzate e all'effettivo lavoro svolto. Il compenso per il collegio arbitrale, comprensivo dell'eventuale compenso per il segretario, non può comunque superare l'importo di centomila euro, da rivalutarsi ogni tre anni con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti». Gli interroganti si chiedono come sia possibile che a fronte di un limite massimo imposto dalla legge di centomila euro di compenso per il collegio, compresi i compensi del segretario, sia stato possibile emettere un'ordinanza che obbliga lo Stato a pagare oltre tredici milioni di euro (al netto dell'IVA, degli oneri previdenziali e C.P.A.) –:
   se risultino agli atti le ragioni per le quali:
    a) i Ministri pro tempore abbiano attivato i lodi arbitrali, pur in presenza di contrario avviso dell'Avvocatura dello Stato e della stessa direzione Generale per l'edilizia statale e gli affari speciali;
    b) nel caso del piano di ricostruzione di Ancona si sia deciso di aderire alle richieste del Longarini fino a giungere alla stipula di una «convenzione d'arbitrato in materia non contrattuale»,
    c) sempre in adesione alle richieste del Longarini (lettera del 30 gennaio 2007), il Capo di Gabinetto pro tempore «nel ritenere condivisibile l'emendamento prospettato volto ad ampliare la scelta delle professionalità cui riferirsi per il conferimento dell'incarico» invitava il direttore generale a voler formalizzare la modifica della clausola convenzionale, come prospettata dalla controparte»;
   se risulti agli atti quali siano i compensi riconosciuti con ordinanza del collegio costituito per i lodi arbitrali di Ariano-Irpino e Macerata e se risulti se, siano stati pagati e quando;
   quali siano i compensi riconosciuti con ordinanza del collegio costituito per i lodi arbitrali, di Ancona e se siano stati pagati e quando;
   se risulti se l'ordinanza del collegio del lodo arbitrale di Ancona, sia stata revocata come richiesto dalla direzione generale per gli affari generali e il personale che ha rilevato come le ingenti richieste del Collegio «non corrispondono assolutamente a quanto effettivamente liquidabile in applicazione della vigente normativa» e quali provvedimenti sono stati presi nei confronti del collegio stesso, ove appurato che l'ingente richiesta si ponga in contrasto con la normativa vigente;
   se risulti agli atti per quali motivi i Ministri e i capi di gabinetto che si sono succeduti non abbiano ottemperato e non abbiano preteso l'ottemperanza della legge n. 317 del 1993, ma abbiano aderito alle richieste della controparte con una tempestività che non conosce paragoni nell'ambito del Ministero, assecondando i desiderata del Longarini con tre lodi che hanno portato ad un esborso miliardario dello Stato e che, ad avviso degli interroganti, non sarebbero stati dovuti;
   se e quali misure intendano attuare per recuperare le somme già erogate e/o in corso di erogazione, e per annullare le procedure attuate in violazione delle normative vigenti;
   se e quali iniziative, ove ne ricorrano i presupposti intenda assumere nei confronti di eventuali responsabili, ove dovessero emergere, nelle predette vicende che appaiono agli interroganti scandalose.
(5-05331)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo apparso su Il Fatto Quotidiano dell'11 dicembre 2014 e da un altro precedentemente apparso su Il Messaggero dell'Umbria rispettivamente a firma di Emiliano Liuzzi e di Italo Carmignani Fabrizi, in riferimento al Ministro Stefania Giannini per una vicenda legata all'acquisto di un edificio da parte dell'università per stranieri di Perugia di cui l'attuale Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca era rettore, si apprende che: «Come quello dell'acquisto di un edificio a due milioni e mezzo di euro, che l'università di Perugia decise di prendere dalla provincia e che, ancora oggi, è un santuario nel deserto, una struttura abbandonata. Non serviva a niente allora e tantomeno serve oggi, visto che non è ben chiaro a cosa volessero destinarlo, lei e il cda che guidava, al momento dell'acquisto»;
   l'articolo fa riferimento a fatti accaduti quando l'attuale Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca rivestiva l'incarico di rettore dell'università per stranieri di Perugia: in particolare l'università per stranieri acquistò dalla provincia di Perugia (il cui presidente era Guasticchi) una palazzina (l’ex senologia sita al parco Santa Margherita di Perugia) per oltre due milioni di euro «ma ora giace serena e inutilizzata perché le sue mura sono spesse ottanta centimetri. Quindi l'intervento per ricavarne delle aule è titanico» (così Italo Carmignani sul Messaggero dell'Umbria);
   sulla vicenda dell'acquisto della suddetta palazzina e della sua destinazione da parte dell'università per stranieri, di cui attuale Ministro era rettore, occorre che il Governo fornisca dei chiarimenti –:
   se corrisponda al vero quanto esposto e se non si intendano fornire i chiarimenti e le delucidazioni necessarie in merito ai fatti descritti in premessa;
   se il Ministro possa chiarire in base a quale valutazione l'università per stranieri di Perugia, di cui l'attuale Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca era rettore, adottò la decisione di acquistare la suddetta palazzina;
   se e quali iniziative intenda intraprendere al riguardo il Governo, nell'ambito delle proprie competenze, a tutela dell'interesse pubblico. (4-08778)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con il fine di incentivare gli spazi verdi urbani nella consapevolezza della rilevanza del valore-ambiente, ai sensi della legge n. 113 del 1992 (specificamente all'articolo 1), si era provveduto ad imporre l'obbligo per il comune di residenza di mettere a dimora un albero per ogni neonato a seguito della registrazione anagrafica;
   la citata normativa è stata oggetto di modifica con successiva legge del 14 gennaio 2013 n. 10, recante norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani, nel proclamato intento, rimasto tuttavia in gran parte inattuato, di conferire maggiore effettività all'obbligo imposto dalla previgente normativa;
   è stato, invece, ristretto il novero dei comuni tenuti all'obbligo, richiamando solo quelli con popolazione superiore a 15.000 abitanti; per quanto, d'altro canto, si sia estesa la previsione in favore anche dei minori adottati e sia stato previsto il termine di sei mesi per provvedere alla piantumazione, con specificazione delle modalità di svolgimento delle stesse;
   la stessa recente normativa ha introdotto, a mente dell'articolo 3-bis, il «bilancio arboreo del comune» per il censimento e la classificazione degli alberi piantati, nell'ambito del rispettivo territorio, in aree urbane di proprietà pubblica, da rendersi noto a mezzo del sindaco «due mesi prima della scadenza naturale del mandato»;
   la deliberazione n. 2 del 2014 del comitato per il verde pubblico, istituito dalla stessa normativa del 2013, precisa come questa previsione riguardi «la consistenza quanti-qualitativa del verde [che] investe, in modo diretto, le politiche ambientali attuate dagli amministratori di un dato territorio» rispetto alle quali «il Parlamento ha inteso elevare questo tema a terreno di potenziale competizione fra le diverse “offerte” politiche a confronto». In particolare, le informazioni inerenti la gestione del verde da parte degli enti esponenziali della collettività più vicini alla popolazione è inteso anche in un'ottica di trasparenza e di controllo dell'operato da parte dei cittadini amministrati;
   già nella relazione annuale del 2013 del citato comitato si dichiarava che «avviare e ultimare, nei singoli comuni, il censimento del patrimonio arboreo presente in aree urbane di proprietà pubblica [...] è dunque essenziale per evitare che questa disposizione, e le istanze che sono ad essa sottesa, restino lettera morta». Anzi, si proseguiva sottolineando che «il Comitato intende inserire l'attuazione di questa disposizione fra le priorità della sua linea di azione nel corso del 2014»;
   lo stesso comitato, nella già richiamata deliberazione del 2014, dichiarava che gli obblighi di censimento e di presentazione del bilancio arboreo fossero «divenuti cogenti alla data del 16 febbraio 2013» e che per via del primo comma dell'articolo 3-bis fosse fissato al 16 febbraio 2014 l'effettiva entrata in vigore della disposizione che prevede l'obbligo di provvedere alla presentazione del bilancio arboreo;
   la modalità per render ciò noto, come indicato anche dal comitato, potrebbe essere, in sede di prima applicazione, la pubblicazione ai sensi del decreto legislativo n. 33 del 2013 per rendere pubblici e conoscibili tutti i documenti, le informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria, tra cui le informazioni ambientali ai sensi dell'articolo 40;
   sull'attuazione degli obblighi imposti deve vigilare il citato comitato, istituito e regolamentato dalla normativa del 2013, specificamente all'articolo 3, provvedendo ad effettuare azioni di monitoraggio, promuovendo l'attività degli enti locali interessati, proponendo un piano nazionale, ma soprattutto verificando le azioni poste in essere;
   lo stesso comitato nella relazione annuale del 2013 rilevava che «ove il disegno normativo non sia ulteriormente completato all'insegna di una logica di sistematizzazione, rischia di restare un'operazione ricognitiva fine a sé stessa», richiamando «la possibilità, quale naturale corollario, di esprimere all'esito di detto monitoraggio – anche a richiesta – le proprie valutazioni tecniche e giuridiche»;
   per l'attuazione degli interventi previsti e fin qui illustrati, era stata autorizzata, ai sensi dell'articolo 4 dell'originaria legge n. 113, una spesa annua pari a 5 miliardi delle vecchie lire secondo modalità di ripartizione determinate dal CIPE –:
   se il Ministro interrogato possa rendere informazioni puntuali e aggiornate circa lo stato di attuazione dell'obbligo di piantumazione di un albero per ogni nuovo nato e dell'obbligo di redazione del bilancio arboreo, trattandosi di obblighi ormai da tempo vigenti e se, a tal proposito, non reputi opportuno e utile rendere tali informazioni pubbliche attraverso il sito web istituzionale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   se il Ministro sia in grado di fornire chiarimenti circa l'attività del comitato per il verde pubblico e le azioni, se poste in essere, per la verifica di tale attività e a tal fine chiarire per quale ragione non sia pubblicata la relazione relativa all'anno 2014;
   quali iniziative anche normative il Ministro intenda promuovere per contribuire a rendere maggiormente effettivo il ruolo del citato comitato e se intenda conferire all'uopo ulteriori poteri che consentano al comitato stesso un'azione di vigilanza e controllo più penetrante, se del caso con profili sostitutivi;
   se il Ministro possa fornire chiarimenti sulla destinazione delle somme stanziate e sui criteri di ripartizione rispetto all'effettivo rispetto in primis dell'obbligo di piantumazione di un albero per ogni nuovo nato ed in secundis dell'obbligo di predisposizione del bilancio arboreo e se, a tal proposito, non ritenga opportuno e utile rendere pubbliche sul sito web istituzionale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare tali informazioni;
   se il Ministro intenda rendere note e pubbliche sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare le informazioni relative alla composizione del comitato, i criteri di nomina e di decadenza, le risorse economiche stanziate per il suo funzionamento, le retribuzioni ovvero le indennità, i premi e i benefit ovvero ogni altro emolumento percepito dai suoi membri. (5-05319)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   PETRAROLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il castello di belforte è un monumento che sorge nell'omonimo rione di Varese, su una collinetta che domina l'area sovrastante l'omonimo quartiere. Un tempo di proprietà dei Biumi, il castello fu probabilmente eretto tra il quattrocento e il cinquecento, a quell'epoca è riconducibile la porzione di casa-torre, e quella contrapposta, che conserva il portale originale con stemma dei Biumi (secolo XVI);
   il prospetto di un corpo architettonico innestato tra i due nuclei, appartiene, invece, al pieno Seicento e attesta i modi nobili dell'architettura milanese di matrice ricchiniana, costituendo uno dei più evidenti esempi di edilizia civile varesina. Nel seicento infatti, modificate e in parte, venute meno le funzioni difensive, il castello fu trasformato in residenza. La struttura ha avuto un ruolo importante anche nel Risorgimento italiano;
   il complesso monumentale richiede un soprassalto di volontà con opere di mantenimento urgente, anche se contenute, per la sua sopravvivenza, in attesa di un destino di ragionevole e di un significativo reimpiego pubblico;
   il castello si presta a una sua utilizzabilità come futura sede dell'archivio di Stato o museo. Ora inutilizzata e in stato di grave incuria, con numerosi crolli verificatisi negli ultimi venti anni, e comunque continua a rappresentare uno dei monumenti più interessanti per la storia della città di Varese –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover intervenire, per quanto di sua competenza, affinché si proceda quanto prima al recupero e alla valorizzazione del castello di Belforte, in stato d'incuria e di abbandono. (4-08771)

DIFESA

Interrogazione a risposta immediata:


   RAMPELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione della delega contenuta nella legge 4 novembre 2010, n. 183, per la riorganizzazione della Croce rossa, è stato adottato il decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, che, tuttavia, invece di limitarsi al mero riassetto dell'ente, ne ha sancito la completa privatizzazione, mettendo a rischio sia la funzionalità delle sue strutture sul territorio, sia i servizi sinora resi allo Stato ed ai cittadini;
   a fronte di un risparmio di spesa a suo tempo stimato in 42 milioni di euro in un quinquennio, oggi la Croce rossa è passata ad un disavanzo di circa 54 milioni di euro, dovuto anche agli aiuti elargiti dalla parte ancora pubblica della Croce rossa italiana (comitato centrale) in favore dei comitati privatizzati (provinciali e locali) per evitarne la paralisi funzionale o la chiusura;
   in questo complesso ambito si inserisce anche la previsione di cui al decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, relativa alla smilitarizzazione del contingente di personale militare della Croce rossa italiana in servizio permanente, composto da circa 900 persone, che dovrebbe compiersi entro il 31 dicembre 2017;
   ciò comporterà inevitabili ripercussioni sull'operatività della Croce rossa, che sarà privata dei soggetti indispensabili all'addestramento e alla preparazione del personale in congedo (oltre 17.000 uomini) da impiegare in tempo di pace per assicurare anche funzioni di difesa civile, di grave crisi nazionale o internazionale e nel caso di eventi bellici;
   nei prossimi mesi l'Italia dovrà garantire lo svolgimento in sicurezza di molteplici eventi, quali ad esempio l'Expo di Milano e il giubileo straordinario, per i quali è previsto un notevole afflusso di presenze, nei quali tutti gli apparati dello Stato saranno chiamati a dare il loro contributo e funzionare in modo da garantire tutte le risposte legate anche agli aspetti di difesa civile;
   il corpo militare della Croce rossa svolge attualmente molteplici compiti, che per le loro implicazioni sulla sicurezza difficilmente potranno essere appaltati a privati –:
   se non ritenga opportuno sospendere immediatamente la smilitarizzazione del corpo militare della Croce rossa italiana alla luce degli eventi internazionali in atto e delle recenti concrete minacce terroristiche per il nostro Paese che rendono indispensabile la presenza di reparti sanitari militari specializzati, come quelli del corpo militare della Croce rossa italiana, per il soccorso sanitario sia al personale militare che alla popolazione civile, anche tenuto conto delle specializzazioni e delle qualifiche dei militari suddetti, che li rendono indispensabili nel caso in cui si debbano fronteggiare anche eventuali rischi legati al bioterrorismo. (3-01441)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   dopo l'approvazione del Consiglio dei ministri, il Ministero dell'economia e delle finanze ha pubblicato il documento di economia e finanza;
   nel testo è contenuta la disposizione con la quale si è scelto di non dar seguito alla misura più volte prospettata relativa all'aumento dell'IVA. A tal proposito, si ricorda che in mancanza di tale deliberazione essa sarebbe stata aumentata automaticamente, arrivando nel 2018 a toccare l'apice con una imposizione pari 25,5 per cento;
   ad avviso degli interpellanti, nonostante la misura meritoria, rimane una preoccupazione poiché il Governo, pur dopo aver disinnescato le cosiddette «clausole di salvaguardia», continuerà a far lievitare la pressione fiscale: secondo le stime degli interpellanti la pressione fiscale attuale pari al 43,5 per cento farà registrare un aumento effettivo pari al 44.1 per cento nel biennio 2016-2017 e una riduzione con un valore pari solo al 43,7 per cento nel 2019;
   ad avviso degli interpellanti di ciò non sono consapevoli i contribuenti poiché i dati forniti dall'Esecutivo, grazie al ricorso a quelli che agli interpellanti appaiono alcuni artifici contabili, fa apparire agli italiani un quadro opposto, naturalmente più favorevole al contribuente;
   secondo le dichiarazioni del Governo, infatti, l'imposizione fiscale sarebbe in netto calo: dichiarata al di sotto del 43 per cento per quest'anno (42,9 per cento), essa si ridurrebbe al 41,6 per cento entro il 2019. I modi usati dall'Esecutivo per «opacizzare» l'andamento effettivo delle imposte sono ad avviso degli interpellanti i seguenti:
    nel calcolo, si tiene conto di due misure che, in realtà, falsano le valutazioni. Il primo è relativo al bonus di 80 euro, calcolato al netto della classificazione contabile. L'agevolazione, secondo il Governo, si traduce in una minore pressione fiscale sui redditi da lavoro dipendente. Si omette però di enunciare il fatto che il bonus degli 80 euro in busta paga interessa solo una parte limitata della popolazione. Inoltre la cosiddetta disattivazione delle clausole di salvaguardia (relative all'aumento dell'IVA e delle accise sulla benzina, oltre alla revisione delle detrazioni fiscali, che se attuate avrebbero comportato l'innalzamento della pressione), non attuandosi viene considerata riduzione effettiva delle imposte;
   ad avviso degli interpellanti ciò da luogo a una falsa rappresentazione della realtà fattuale, poiché si ricorre all’escamotage di prospettare, prima del documento di economia e finanza, un aumento esponenziale delle tasse per poi non darvi attuazione indicendo in errore il cittadino contribuente e ostentando mediaticamente una riduzione della pressione fiscale che in realtà non vi sarà –:
   se i fatti narrati in premessa trovino conferma e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intenda assumere per dare soluzione al problema descritto.
(2-00925) «Barbanti, Artini, Baldassarre, Bechis, Mucci, Prodani, Rizzetto, Rostellato, Segoni, Turco, Pisicchio».

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la riforma dell'indicatore della situazione economica equivalente è stata presentata come un'operazione mirata alla semplificazione e alla sburocratizzazione amministrativa in favore del contribuente. In realtà fin dalla sua prima applicazione questa ha presentato diverse difficoltà e notevoli incongruenze a discapito dei contribuenti che intendeva invece agevolare;
   la revisione è stata operata con l'articolo 5 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, con cui è stata introdotta una nuova modalità di determinazione dei campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) secondo criteri che permettano di prevedere, nel calcolo dell'indicatore, una più ampia classificazione dei redditi familiari (come i redditi tassati con regimi sostitutivi e redditi non tassati), di migliorare la capacità selettiva dell'indicatore mediante una maggiore valorizzazione della componente patrimoniale, di focalizzare l'attenzione su tipologie familiari con carichi particolarmente gravosi (in merito al numero di figli o alla presenza dei figli disabili), di differenziare l'indicatore in riferimento al tipo di prestazione richiesta, di ridefinire i benefici da attribuire sulla base delle condizioni economiche, di rideterminare le soglie delle prestazioni e di rafforzare il sistema dei controlli attraverso la riduzione al minimo delle autocertificazioni. Una delle principali novità della riforma prevede, infatti, che alcune informazioni importanti relative al reddito, che prima erano auto-dichiarate, non debbano essere più inserite nel modello dal contribuente, perché l'INPS richiede le informazioni direttamente all'Agenzia delle entrate;
   prima con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 159 del 2014, poi con la circolare dell'INPS n. 171 del 2014, si è provveduto, quindi, all'introduzione, a partire dal 1o gennaio 2015, del nuovo modello ISEE, con lo scopo, almeno nelle intenzione del Governo, di migliorare l'equità sociale a favore delle famiglie più numerose e disagiate. Al fine di implementare la semplificazione e la sburocratizzazione, con lo stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, si è stabilito che l'INPS rendesse disponibile online il nuovo servizio dedicato all'indicatore attraverso una piattaforma telematica da cui scaricare il nuovo modello e procedere all'acquisizione, alla gestione e alla consultazione della dichiarazione sostitutiva unica (DSU) da inviare per ottenere l'indicatore 2015;
   con la riforma aumentano considerevolmente i nuovi modelli DSU che lievitano, oggi, ad otto: due modelli base, la cosiddetta DSU-mini, che tutti i sono tenuti a compilare e che serve per la maggior parte delle prestazioni poiché si riferiscono al nucleo familiare, alla casa di abitazione, alle informazioni su reddito, patrimonio mobiliare e immobiliare; una serie di altri modelli, i restanti sei, che invece vanno compilati esclusivamente per alcune tipologie di prestazioni, i cosiddetti ISEE Università, ISEE Sociosanitario, ISEE minorenni, e altro;
   il contribuente deve quindi compilare i moduli DSU, consegnarli direttamente all'ente che eroga la prestazione, oppure al comune, o al CAF, o all'INPS, ed è proprio l'istituto previdenziale che alla fine calcola l'indicatore della situazione economica equivalente;
   si apprende, però, da numerosi organi di stampa, dalle dichiarazioni dei dirigenti dei sindacati CAF e dagli stessi contribuenti che, con la riforma, al posto della semplificazione e della sburocratizzazione fiscale, si siano moltiplicati i disagi non soltanto per i contribuenti, ma anche per i centri di assistenza fiscale;
   i CAF, infatti, impiegano oggi molto più tempo per concludere una pratica, che deve inoltre essere perfezionata in più riprese, poiché, oltre alle complicazioni dovute alla compresenza di diversi moduli (quindi a fronte dei 20 minuti prima necessari oggi ne occorrono fino al doppio), la nuova procedura richiesta vede un'attesa di almeno 10 giorni, che può allungarsi fino ai 20. Dopo la compilazione del modello, infatti, questo va spedito all'INPS che in 10 giorni deve controllarlo e poi rispedirlo ai CAF, che devono farlo firmare all'utente e riconsegnarlo. Nel caso però in cui ci sia qualche incongruenza dovuta alle autocertificazioni, l'INPS lo rinvia al CAF, che a sua volta deve richiamare l'utente per sistemare l'errore, poi rispedire il modello ed attendere nuovamente 10 giorni. Il contribuente è quindi costretto ad un'attesa molto più lunga;
   a tutto ciò si aggiunge l'onere aggiuntivo a carico del contribuente a cui è richiesta, in luogo dell'autocertificazione, un'importante mole di documenti che non soltanto li costringe a recarsi più volte negli uffici per chiedere maggiori chiarificazioni a riguardo, ma ad ulteriori carichi fiscali, poiché sembra che alcune banche richiedano addirittura un compenso per il rilascio di documenti che invece dovrebbero essere gratuiti proprio in quanto necessari alla compilazione dell'ISEE;
   in questo modo, da un lato, dall'altro si stanno ingolfando i centri di assistenza fiscale ma dall'altro, si sta sopratutto arrecando un grave pregiudizio al contribuente, che sarà costretto a recarsi almeno due o tre volte presso i centri di assistenza fiscale per avere il documento, sostenere anche spese aggiuntive prima non previste ed attendere anche fino a 20 giorni, esponendolo inoltre al rischio di perdere qualche agevolazione a causa delle lungaggini richieste per la procedura;
   ciò equivale a rendere indisponibile il servizio in quanto molti contribuenti che necessitano di assistenza, oltre ai suddetti disagi, spesso non trovano posto nei centri di assistenza fiscale ormai intasati e non possono quindi correttamente procedere con la compilazione dei modelli. Sono quindi costretti a procedere autonomamente con il relativo pericolo di operare a proprio discapito;
   la semplificazione, quindi, non sembra essere arrivata, anzi le nuove regole sembrano colpire le fasce più deboli che richiedono questo indicatore, portando qualche contribuente a scoraggiarsi a tal punto tanto da rinunciarci. Recenti stime prevedono infatti che con la nuova riforma dell'ISEE si assisterà ad un calo del numero di contribuenti che accederanno alle agevolazioni sociali, a causa del minore spazio lasciato all'autocertificazione e all'aumento dei controlli;
   la nuova ISEE dunque, la cui ratio si fonda sul principio di welfare secondo cui i cittadini economicamente più svantaggiati devono avere diritto a prestazioni agevolate per i servizi pubblici essenziali, sembra essere paradossalmente diventato uno strumento per fare nuovamente cassa sui cittadini e disperdere in maniera irrazionale le risorse statali. Da un lato, la percentuale stimata di contribuenti in difficoltà che presumibilmente rinunceranno al calcolo dell'indicatore con grave pregiudizio in termini di godimento dei servizi di cui questi non usufruiranno più. Dall'altro, la nuova richiesta dei CAF che, a fronte di un maggior carico di lavoro, richiedono una rimodulazione di segno positivo per i compensi ricevuti dall'INPS, il cui costo, ancora una volta, sarà sempre sostenuto dai contribuenti;
   da ultimo, ma non meno importante, la speculazione che gli istituti di credito stanno operando a spese di ignari cittadini che sono costretti a richiedere alle banche la nuova mole di documenti necessari per la compilazione dei moduli. Nonostante il Ministero del lavoro e delle politiche sociali abbia dichiarato che sia intervenuta un'intesa di massima fra il Ministero e l'ABI in base al quale quest'ultima ha sollecitato gli istituti di credito a «rendere disponibile la giacenza media richiesta ai fini ISEE alla propria clientela», resta il fatto che alle banche resta la facoltà di adottare le soluzioni più idonee. Quindi in questo senso, il Governo, ancora una volta, non sta prendendo le misure adeguate e sembra, per l'ennesima volta, prendere le parti e fare il gioco dei potentati del Paese, lasciando indietro le classi più deboli meritevoli di maggior tutela;
   è chiaro secondo gli interroganti come il Governo abbia commesso degli errori macroscopici in questo senso, sarebbe quindi necessario rimodulare quantomeno le procedure burocratiche così come evitare che i contribuenti si carichino in qualsiasi modo di spese aggiuntive prima non previste ed evitare che questi rinuncino al calcolo dell'indicatore in oggetto perché ciò equivarrebbe a metterli in condizione di dover rinunciare al godimento di servizio essenziali che uno Stato di diritto sociale, quale il nostro si qualifica costituzionalmente, deve invece garantire, rimuovendo efficacemente ogni ostacolo di ordine economico e sociale suscettibile di alterare l'uguaglianza sostanziale tra i cittadini;
   il Ministro dell'economia e delle finanze ha dichiarato che Ministero del lavoro sta provvedendo alla costituzione di un «comitato consultivo ai fini del monitoraggio sull'attuazione della disciplina dell'ISEE e dell'eventuale proposta di correttivi» formato dai rappresentanti dei Ministeri, dell'INPS, delle regioni e province autonome, dell'ANCI, delle parti sociali e delle associazioni nazionali. A questo proposito lo stesso Ministero starebbe richiedendo, a regioni e comuni, notizie relative «alle misure predisposte per garantire che l'erogazione delle nuove prestazioni avvenga in conformità con le disposizioni della nuova disciplina ISEE», ma ad oggi, a ridosso dell'imminente scadenza, tutti i disagi dei contribuenti non sembrano essere stati appianati e molti rischiano di rimanere senza un'adeguata assistenza per la compilazione dei modelli. Agli interroganti appare chiaro come una tale consultazione sarebbe dovuta intervenire prima della riforma e non a riforma già attuata, al fine di studiare in maniera preventiva le possibili ripercussioni negative che il riordino avrebbe potuto avere sul contribuente, in luogo di aprire il tavolo di confronto a riforma già in atto quando i contribuenti hanno già scontato disagi e difficoltà –:
   quali iniziative il Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie competenze, intenda intraprendere al fine di rivedere le attuali norme procedurali di compilazione e rilascio dell'indicatore della situazione economica equivalente in modo da attuare effettivamente, e al più presto, una sostanziale sburocratizzazione e semplificazione a favore del contribuente che, attualmente, è costretto ad adempimenti maggiori rispetto al precedente sistema, costringendolo non soltanto ad una, più lunga attesa, ma anche ad obbligazioni di certificazione e sopratutto a nuovi oneri fiscali, che colpiscono i contribuenti appartenenti alle fasce più disagiate, così come specificato in premessa;
   quali iniziative il Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie competenze, intenda intraprendere al fine di garantire a tutti i contribuenti in difficoltà un'adeguata assistenza, con particolare riferimento al fatto che, come specificato in premessa, a causa dell'eccessivo ingolfamento dei centri di assistenza fiscale, molti non riescono a ricevere il giusto supporto per la compilazione dei modelli. (4-08769)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni gli agenti di polizia penitenziaria hanno subito pesanti penalizzazioni, costretti a lavorare in condizioni disumane, mal pagati, costretti ad operare in assenza dei requisiti minimi di sicurezza e sottoposti a turni massacranti a causa della cronica carenza d'organico, che continua ad aggravarsi in seguito ai blocchi delle assunzioni nella pubblica amministrazione;
   al blocco del turn-over nel comparto si aggiungono anche il congelamento degli stipendi e l'innalzamento dell'età pensionabile, e sembrerebbe essere in atto il tentativo di far pagare al personale di polizia che vive presso le caserme degli istituti penitenziari il canone di affitto ed uso degli alloggi collettivi, alloggi sempre più indecorosi;
   inoltre, con la legge di stabilità per il 2014 si è intervenuti anche in merito al pagamento degli straordinari da corrispondere agli agenti di polizia penitenziaria, stabilendo, attraverso una norma di interpretazione autentica del comma 3 dell'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica 11 settembre 2007, n. 170, che «la prestazione lavorativa resa nel giorno destinato a riposo settimanale o nel festivo infrasettimanale, non dà diritto a retribuzione di lavoro straordinario se non per le ore eccedenti l'ordinario turno di servizio giornaliero»;
   in recepimento di tale interpretazione il Ministero della giustizia con una prima circolare del 19 gennaio 2015 ha disposto il recupero delle somme corrisposte negli anni 2012 2013 a titolo di lavoro straordinario reso dal dipendente nel giorno di riposo settimanale o di festivo infrasettimanale, e con una seconda circolare dell'11 marzo 2015 ha previsto che ogni dipendente dovrà procedere alla restituzione della somma della quale risulti debitore, e che si dovrà prevedere la facoltà di rateizzare il debito previa redazione di apposito piano di ammortamento;
   a fronte della continua decurtazione delle somme dovute agli agenti di polizia penitenziaria e degli stessi organici del Corpo, asseritamente imputabili alle ristrettezze di bilancio, il Governo ha stanziato oltre venti milioni in tre anni per dare attuazione alle norme di cui al decreto-legge 28 giugno 2014, n. 92, in materia di rimedi risarcitori in favore di detenuti e internati –:
   se sia informato di quanto esposto in premessa e se non ritenga di rivedere le citate circolari, che appaiono come una ennesima ingiusta penalizzazione del personale di polizia penitenziaria;
   se non ritenga di integrare gli stanziamenti finanziari per il Corpo di polizia penitenziaria, al fine di consentire sia la necessaria integrazione degli organici, sia il corretto pagamento di tutte le somme dovute agli agenti, sia, infine, per garantire che questi possano operare in condizioni di sicurezza. (4-08766)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   come riportato da diversi organi di stampa, al centro di forti polemiche è la questione della galleria La Franca, lunga un chilometro, sulla strada statale SS77 Foligno-Civitanova, tra l'Umbria e le Marche, con apertura al traffico prevista nei prossimi mesi, in quanto, secondo alcune testimonianze di lavoratori che hanno prestato servizio nella realizzazione del tunnel, la stessa sarebbe stata costruita con materiali scadenti e non sarebbe del tutto sicura;
   nei giorni scorsi, infatti, un operaio che ha lavorato alla realizzazione della galleria La Franca ha asserito che all'interno del tunnel si registrerebbero seri problemi di sicurezza a causa della scarsità di cemento nell'opera. Secondo la sua testimonianza, al fine di risparmiare tempo, costi e materiali adoperati, in alcuni punti della galleria non ci sarebbe cemento a sufficienza per reggere il peso e l'intera struttura, che si trova in una zona altamente sismica, potrebbe crollare;
   l'operaio ha denunciato il fatto in un'intervista andata in onda il 12 aprile 2015 durante la trasmissione Report su Rai 3, in cui riassume le modalità di intervento nella realizzazione del tunnel mettendo in guardia circa le possibili conseguenze: «Qui cemento non ce n’è, ci sono 10 centimetri e invece dovrebbero essercene minimo 40. (...) Ai miei figli dico sempre di non passarci». L'operaio ha evidenziato i difetti strutturali: «Questa è a volta della galleria, l'arcatura, queste sono le spalle, che devono tenere lo sforzo, ma qua cemento non ce n’è. Non c’è lo spessore e quindi può cascare. Essendo una zona sismica, trema, si rompe, e tristo chi passa sotto». E inoltre: «Sopra la volta c’è anche un problema di vuoti, che si creano quando costruisci ma dovrebbero essere riempiti con un cemento alleggerito. Non l'abbiamo messo, perché costa. Tutto per risparmiare, perché le bolle del materiale sono state fatte, per forza sono state fatte». «Tutto quel tratto è fatto male, ma la galleria è la peggiore che ho fatto. Io ai miei figli dico sempre di non passarci perché è pericoloso. Meglio la strada vecchia che questa nuova»;
   successivamente, un altro operaio ha confermato: «L'ho visto con i miei occhi, a mio avviso la copertura finale era striminzita, era povera. Poca copertura dello spessore del cemento, non c'era la copertura necessaria. Dovrebbero esserci dai 50 ai 60 centimetri di spessore, e invece sulla galleria di spessore ce ne erano a volte dai 12 ai 20 centimetri. Infatti si vedono tutte crepe e cemento. Addirittura su un allargo, una piazzola di sosta all'interno della galleria, dal tetto della galleria al soffitto ci stavano una trentina di metri, perché c'erano un vuoto enorme che non penso sia stato riempito»;
   il presidente dimissionario dell'Anas, Pietro Ciucci, ha minimizzato le accuse del primo operaio sostenendo che si tratta di «una denuncia anonima priva di riscontri» ed ha difeso la totale legalità nell'esecuzione dei lavori: «Sulla galleria La Francia, in corso di costruzione nell'ambito dei lavori di realizzazione del Quadrilatero Marche-Umbria, la qualità e la quantità dei materiali utilizzati (calcestruzzo, ferro, centine) risulta ben superiore rispetto a quanto previsto dal progetto esecutivo, e senza alcun aumento dei costi, trattandosi di corrispettivo per lavori “a corpo”. Peraltro nell'ambito dei protocolli di legalità sottoscritti dalla nostra società Quadrilatero con le prefetture di Macerata e Perugia, sono stati adottati controlli specifici sulla qualità del calcestruzzo condotti dal Gruppo Interforze e tesi a garantire la completa tracciabilità ed originalità delle forniture. Già lo scorso anno è stata inoltre effettuata un'indagine georadar su circa il 25 per cento dell'opera, ispezionando complessivamente 240 metri per ciascuna canna. Da tale indagine non è emersa alcuna criticità in merito a sottospessori né a vuoti a tergo dei rivestimenti. Ad ogni buon fine, come previsto dalle procedure Anas in caso di denunce anonime, è stata disposta l'estensione di tali verifiche tramite tecnologia georadar sull'intera galleria e le relative attività sono iniziate già nella giornata di oggi, alla presenza delle telecamere di Report. Quanto all'invito dell'operaio a non “passare” su quel tratto in quanto sarebbe pericoloso, va precisato che l'opera non è stata completata né collaudata e quindi non è ancora aperta al traffico, per cui desta stupore che si dia credito ad affermazioni prive di qualsiasi fondamento e di così enorme gravità»;
   pertanto, dopo la segnalazione della trasmissione Report, l'Anas, pur anticipando che fino a questo momento i test sono stati costantemente e correttamente eseguiti e non hanno mai dato riscontro di eventuali pericoli, ha già inviato dei tecnici per un'ulteriore ispezione sulla galleria e nei prossimi giorni si sapranno i risultati dei nuovi controlli;
   se le testimonianze rese dagli operai che hanno lavorato nella galleria La Franca risultassero veritiere, si sarebbe di fronte ad una situazione gravissima non solo sul piano del rispetto della legalità, ma anche per quanto riguarda la sicurezza dei cittadini –:
   quali urgenti iniziative intenda adottare affinché si faccia la massima chiarezza sui controlli e sul collaudo dei lavori già realizzati e di quelli che devono ancora essere conclusi, dal momento che tali controlli sono affidati ad un team interno della stessa stazione appaltante;
   essendo la strada statale SS77 un asse viario fondamentale per il progetto Quadrilatero e quindi per il potenziamento infrastrutturale del territorio interessato, se non ritenga necessario ottenere adeguate garanzie circa la sicurezza e la solidità strutturale dell'opera, rimuovendo immediatamente, previa accurata verifica, qualunque ostacolo alla stessa ed escludendo senza ombra di dubbio che la galleria sia stata realizzata utilizzando meno cemento del necessario o lasciando vuoti che avrebbero dovuto essere riempiti;
   dal momento che, secondo la disciplina vigente sugli appalti, i controlli sono affidati alla cosiddetta «alta sorveglianza» della stessa stazione appaltante, se non sia opportuno assumere iniziative per modificare la normativa affidando i controlli ad un organo terzo, in modo da garantire verifiche certe e super partes, essendo in gioco la sicurezza dei cittadini.
(2-00929) «Galgano, Mazziotti Di Celso, Catania, Vezzali».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   nei scorsi giorni un cedimento del pilone del viadotto Himera della principale autostrada siciliana, la Palermo-Catania, dovuto ad una frana proveniente da un paese a monte della stessa autostrada, ha causato pesanti disagi per il traffico della Sicilia. Ciò ha comportato gravi ripercussioni, come detto, per coloro che intendono raggiungere le due parti dell'isola: infatti il traffico viene oggi dirottato su una vecchia statale che non permette un facile scorrimento delle vetture. Per i pullman ed i mezzi pesanti la situazione è ancora peggiore: infatti per andare a Catania si va prima a Messina, mentre per raggiungere Enna e Caltanissetta occorre dirigersi verso Agrigento;
   l'Anas si è impegnata a garantire, nel più breve tempo possibile, la predisposizione del progetto di demolizione della parte del viadotto autostradale interessata dal dissesto ed a realizzare in tempi brevi interventi di manutenzione straordinaria dei percorsi alternativi. Attualmente il viadotto Himera è sotto costante monitoraggio;
   è da sottolineare, altresì, come lo smottamento del paese di Caltavuturo che ha causato, come detto, il cedimento dei piloni dell'autostrada ha origini lontane nel tempo: infatti i primi segnali di cedimento del terreno nella cittadina risalgono al 2005 e sempre in quell'anno cominciarono le perizie geologiche, appelli ai comuni, e lettere agli assessorati e alla Protezione Civile;
   è necessario garantire una costante opera di prevenzione e di manutenzione del territorio per evitare in futuro che gli smottamenti del terreno causino tanto gravi danni, come quelli avvenuti con il cedimento del pilone del viadotto Himera;
   va evidenziata, altresì, la necessità di interventi di protezione del territorio che risultano indispensabili per arginare il fenomeno del dissesto idrogeologico. Risulta quindi fondamentale la conoscenza geologica del territorio, sia nella fase propedeutica alla progettazione, sia in quella del monitoraggio successivo all'esecuzione dell'opera;
   l'Anas ha ricordato che non ha alcuna competenza sul versante franato che peraltro, era assai distante dalla sede autostradale e che lo stesso ente non ha mai ricevuto né direttive né fondi per la risoluzione del dissesto. Inoltre non risultano pervenute segnalazioni del pericolo da parte degli enti territoriali;
   il viadotto Himera non aveva, pertanto, necessità di alcun monitoraggio in quanto la struttura, prima dei fatti accaduti, risultava perfettamente efficiente a seguito dei controlli periodici dei tecnici di Anas;
   in ogni caso non si può tenere chiusa al traffico la principale arteria di collegamento tra il capoluogo di regione e Catania: le imprese ed i cittadini, infatti, subirebbero danni incalcolabili. Le conseguenze di quanto accaduto sono drammatiche per la Sicilia: sembra infatti che vi sia il rischio che l'autostrada rimanga inagibile per anni, con tutti i problemi che ciò comporterà per i pendolari, per il commercio e per l'intera economia della regione. Tra l'altro, si verificheranno purtroppo danni ingenti anche all'agricoltura. Infatti, per raggiungere la parte occidentale dell'isola, si dovranno sostenere maggiori costi di trasporto, che si sommano al tempo necessario per raggiungere Palermo dalle strade alternative;
   è necessario, pertanto, a fronte dei gravi disagi già citati potenziare la viabilità su ferro e la rete infrastrutturale secondaria, che costituiscono elementi fondamentali per risolvere il problema della viabilità dell'isola;
   a breve, dovrebbe essere aperto un tavolo tecnico per affrontare i temi dell'emergenza idrogeologica ed infrastrutturale della Sicilia, con l'obiettivo di individuare misure serie che garantiscano il monitoraggio e la prevenzione delle strutture viarie e di comunicazione della regione;
   appare necessaria, pertanto, una sinergia tra i ministeri competenti ed autorità locali per accelerare la progettazione dei necessari interventi stradali –:
   quali iniziative urgenti intenda adottare per ripristinare la viabilità del tratto compreso tra Palermo e Catania franato a seguito dello smottamento del terreno, al fine di garantire la ripresa dell'economia dell'isola, stante l'importanza fondamentale che questa arteria stradale costituisce per i cittadini e le attività produttive;
   quali ulteriori misure urgenti intenda adottare il Governo per individuare, monitorare e proteggere il territorio da frane e smottamenti che minacciano la già precaria viabilità e l'incolumità dell'utenza;
   quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di garantire una efficace ammodernamento e messa in sicurezza delle reti stradali della Sicilia, al fine di dotare l'isola di una rete viaria che sia effettivamente a servizio dell'intero territorio.
(2-00930) «Garofalo, Dorina Bianchi, Bosco, Pagano, Minardo, Buttiglione, Tancredi, Piso, Roccella, Piccone, Binetti, Cera, Scopelliti, Causin, Misuraca, D'Alia».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   venerdì 10 aprile 2015 un movimento franoso ha investito almeno due piloni del viadotto Hymera al chilometro 61 tra gli svincoli di Scillato e Tremonzelli sulla A19 in direzione Catania;
   le conseguenze, ad oggi accertate, consistono nell'abbattimento dei due piloni che sorreggono un segmento del viadotto che si è «adagiato» sulla corsia dell'autostrada in direzione Palermo. Ad oggi non vi è certezza se anche questa corsia sia stata danneggiata;
   il piano previsto dall'Anas, protezione civile e regione siciliana per l'abbattimento di entrambe le campate e la loro ricostruzione prevede 18 mesi di lavori e un costo di 30 milioni di euro;
   la frana che ha investito i piloni della A19 è attiva dal 2005 nel territorio del comune di Caltavuturo e da allora la frana ha continuato il suo movimento verso valle;
   una relazione, redatta dal servizio geologico e geofisico della regione siciliana, metteva in guardia sui rischi di una frana che sin dal 2005 aveva fatto intuire il suo potenziale distruttivo. Nel rapporto si parla di una rilevante massa di terreno che era venuta giù distruggendo la provinciale Scillato-Caltavuturo, uno «scivolamento» di un fronte lungo 200 metri e largo 250. Testualmente si legge che il piede di quella frana «si estende fino al fiume Hymera, sotto l'autostrada». L'unico intervento fatto allora fu l'abbattimento di alcuni alberi di pino;
   quello che è accaduto probabilmente si sarebbe potuto evitare solo se si fosse dato seguito alle dieci indagini geologiche commissionate dalla ex provincia di Palermo e scomparse nel nulla. Quei sondaggi sono costati 30 mila euro e i lavori, iniziati nell'ottobre 2005, furono consegnati nel giugno 2006 e non hanno prodotto una relazione tecnica conclusiva, ma dimostrano comunque i ritardi degli organi competenti per interventi sia sulla sede stradale che sul piano del dissesto idrogeologico, visto che da quelle indagini in poi non è stato posto in essere nessun atto per limitare il pericolo;
   nel 2007 il comune di Caltavuturo chiese invano alla provincia di Palermo di inserire fra le priorità i lavori di rifacimento della viabilità locale e di consolidamento del fronte franoso;
   nel 2008 il consiglio provinciale di Palermo bocciò un ordine del giorno che impegnava la giunta a intervenire sul versante pericoloso;
   il 25 giugno 2013 il comune di Caltavuturo ha segnalato all'assessorato regionale al territorio tre frane che hanno segnato il territorio negli ultimi anni (in contrada Favarella, Olivazzo e Arancitello);
   in data 13 marzo 2015 il comune di Caltavuturo (Palermo) segnalava alla prefettura di Palermo, al comando polstrada Sicilia occidentale, a polstrada Palermo, alla protezione civile regionale, al commissario della provincia regionale di Palermo, il pericolo frane sulla strada provinciale 24 scillato-caltavuturo;
   in data 23 marzo 2015 il Comune di Caltavuturo ritrasmetteva nota sulla situazione della frana alla presidenza della regione siciliana e all'assessorato infrastrutture e trasporti regionale;
   in data 28 marzo 2015 il giornale on line delle Madonie madonielive pubblicava con corredo fotografico l'aumento dell'attività del fronte franoso;
   in data 29 marzo a seguito di nuovi smottamenti e alla chiusura parziale della strada provinciale 24 il consiglio comunale di Caltavuturo tornava a chiedere interventi urgenti;
   così come riportato da siti di informazione quali madoniepress.it e esperonews.it in data 4 aprile 2015 il movimento verso valle della frana aveva distrutto la sede stradale della provinciale 24, raggiungendo circa 50 metri dalle sedi dei piloni della A19;
   dalla sequenza degli articoli appare evidente come tra giorno 30 marzo 2015 e 8 aprile 2015 il movimento di discesa della frana fosse aumentato di velocità. Il tutto a poche decine di metri dalla sede dei piloni del viadotto Hymera sulla A19 Palermo-Catania;
   malgrado questi alert, la frana di Caltavuturo ha continuato a far danni sino a un mese fa, travolgendo la provinciale e fino al 10 aprile quando ha colpito il pilone della A19 che ha tagliato a metà la Sicilia;
   risulta pertanto chiaro come ci sia stato sia un errore nei ritardi degli interventi di messa in sicurezza sia una chiara e colpevole sottovalutazione della situazione;
   la chiusura dell'autostrada A19 tra Scillato e Tremonzelli ha, di fatto, interrotto i collegamenti tra la parte orientale e occidentale dell'isola;
   la viabilità alternativa, anche a causa del crollo della provinciale 24, è stata caricata sulla strada statale 643 di Polizzi e sulla strada statale 120;
   entrambe le arterie sono assolutamente inadeguate alla funzione assegnata anche a causa di smottamenti, frane, caduta massi e avvallamenti che limitano velocità e sicurezza;
   da servizi radiotelevisivi e giornalistici si può chiaramente calcolare in oltre 80 minuti per tratta l'aumento del tempo di percorrenza per raggiungere Palermo da Catania e viceversa;
   ancora peggiore la situazione per i veicoli di massa superiore alle 3,5 tonnellate che dovranno utilizzare le autostrade A18 (Messina-Catania) e A20 (Messina-Palermo);
   dalle notizie fino ad ora giunte il ripristino, seppure parziale, della circolazione su unica corsia non potrà avvenire prima di almeno 5/6 mesi;
   lo stato disastroso delle infrastrutture viarie in Sicilia è testimoniato da numerosi precedenti, anche eclatanti;
   in data 21 maggio 2009 il viadotto Geremia II sulla strada statale 626 del Salso che collega Caltanissetta a Gela subiva il distacco del giunto, per crollare in data 28 maggio 2009;
   in data 2 febbraio 2013 il viadotto «Verdura» sulla strada statale 115 Agrigento-Sciacca collassava;
   in data 7 luglio 2014 il viadotto Petrulla sulla strada statale 626 nel tratto Licata-Ravanusa collassava. A seguito del crollo si accertava una condizione di rischio e instabilità anche sul viadotto «Salso» della stessa 626;
   in data 30 dicembre 2014 il viadotto Scorciavacche della strada statale 189 Palermo-Agrigento, inaugurato ma mai collaudato, collassava per «carenze strutturali e costruttive», come riportato dalla relazione della commissione ispettiva istituita dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   in data 6 giugno 2014 il «servizio vigilanza enti» dell'assessorato mobilità e infrastrutture della regione siciliana produceva una relazione sullo stato delle autostrade gestite dal Consorzio autostrade siciliane nel quale evidenti apparivano le condizioni drammatiche e di mancanza di sicurezza;
   in particolare, nella relazione si sottolinea: mancanza di segnaletica orizzontale e verticale; disfunzioni e malfunzionamenti negli impianti di ventilazione delle gallerie; carenza delle colonnine di soccorso, manto stradale deformato, assenza manto stradale drenante; ritardi nelle opere di messa in sicurezza anche a causa della mancanza di approvazione dei bilanci 2012, 2013 e 2014;
   in data 12 marzo 2015 la regione siciliana con delibera n. 76 procedeva con una prima individuazione delle situazioni di rischio sulla mobilità a seguito delle precipitazioni del febbraio 2015. Da tale relazione si evince, per limitarsi alle situazioni di maggior rischio, che:
    per quanto riguarda la provincia di Agrigento sono state individuate le seguenti situazioni di rischio: relativamente alla strada statale 640, scivolamento e colamento; relativamente alla strada provinciale 8 di Butera, voragini e frane con interdizione alla viabilità; relativamente alla strada provinciale 37 crollo del ponte S. Carlo in territorio del comune di Caltabellotta; relativamente alla strada provinciale 3B smottamenti e frane; relativamente alla strada statale 115 esondazioni presso ponte Verdura; relativamente alla strada provinciale 26, frana con distruzione della sede stradale nel territorio di S.G. Gemini;
    per quanto riguarda la provincia di Caltanissetta risultano: relativamente alla strada provinciale 8 voragine e frana, con interruzione viabilità nel territorio di Butera; relativamente alla strada statale 121 frane e smottamenti nel tratto Marianopoli-S. Caterina; relativamente alla strada provinciale 7, strada provinciale 26 e strada statale 191 nel territorio di Mazzarino, danni e allagamenti; relativamente alla strada provinciale 12 di Niscemi, colate di fango e smottamenti; relativamente alla strada statale 190 nel Comune di Sommatino, frane; relativamente alla strada provinciale di Sutera-Campofranco, smottamenti; inoltre caduta massi e movimenti franosi si registrano sulle strade provinciali 48, 49A, 49B, 81, 193, 197, 163, 248, 19, 43, 44, 6, 33, 243, 42, 252, 146, 37, 101, 46, 26, 13, 126, 191;
    per quanto riguarda la provincia di Messina si registrano: relativamente alla strada statale 116 smottamenti; relativamente alla strada provinciale 10 frana; con riferimento alla strada provinciale 85 grave condizione di dissesto; con riferimento alla strada provinciale 27 frana e smottamenti; relativamente alla strada provinciale 25, crollo massi, interdetta alla viabilità;
    per quanto riguarda la provincia di Palermo si rilevano: relativamente alla strada provinciale 26 frana nel territorio di Cafalà Diana; relativamente alla strada provinciale 110 cedimento sede viaria; relativamente alla strada statale 188 caduta massi e interdizione alla viabilità; relativamente alla strada statale 114 frana e smottamento; relativamente alla strada provinciale 7 smottamenti e frane nel territorio di Piana degli Albanesi; relativamente alla strada regionale 13 di Santa Cristina Gela, voragini e crolli; relativamente alla strada provinciale 9-bis caduta massi; relativamente alla strada statale 113 comune di Trabia, cedimento manto stradale; relativamente la strada provinciale 18, che collega Palermo a Piana degli Albanesi è chiusa al traffico ormai da mesi proprio a causa dei lavori di manutenzione che però non sono ancora stati completati, mentre la strada provinciale 34, seconda e unica alternativa che permette di collegare Piana degli Albanesi con Palermo, è già interessata da altri cedimenti e smottamenti;
    per quanto riguarda la provincia di Trapani si registrano: in relazione alla strada statale 113 all'altezza di Alcamo, caduta massi; in relazione alla strada statale 118 Salemi, frane e smottamenti;
   con la stessa delibera n. 76 la regione siciliana stanziava 49 milioni di euro per il ripristino delle situazioni di rischio sulla mobilità, ma nel marzo 2015, la direzione infrastrutture della provincia di Palermo redigeva un calcolo sui costi per la messa in sicurezza della viabilità nel territorio provinciale. Da tale documento risulta che le opere necessarie ammontano a: 19 milioni di euro per l'area del partinicese, 70 milioni di euro per l'area delle alte Madonie, 40 milioni di euro per l'alto corleonese, 2 milioni di euro per l'area di Termini Imerese, 27 milioni per le basse Madonie, 12 milioni per l'area del lercarese, 35 milioni per l'area del basso corleonese;
   si evince, pertanto, l'assoluta inadeguatezza delle risorse ad oggi stanziate dalla regione siciliana per l'intera regione;
   a seguito delle misure in stabilità sui fondi della politica agricola comune non impegnati alla data del 30 settembre 2014 si registra come con questa misura si siano perse le risorse per interventi per mitigazione del rischio idrogeologico;
   con la stessa misura non risultano più disponibili ulteriori risorse per diverse centinaia di milioni per opere relative alla viabilità: tra queste, 57 milioni di euro per la mobilità provinciale e 7 milioni per interventi per la sicurezza stradale;
   in data 12 aprile 2015, il Giornale di Sicilia riporta che la spesa per il ripristino delle condizioni di sicurezza ammonterebbe a 650 milioni di euro;
   la viabilità secondaria su strada provinciale è spesso fondamentale per i percorsi casa lavoro, nonché per raggiungere in modo rapido le vie principali, anche per motivi di pubblica sicurezza e in caso di emergenza. Pertanto, la condizione drammatica delle strade provinciali è fonte di enormi disagi per intere comunità;
   a titolo di esempio, si richiama la situazione sulla strade SP 2, Partinico-San Cipirrello fondamentale per raggiungere gli istituti scolastici di Partinico dai comuni dell'area limitrofa e la strada provinciale 4 Corleone-San Cipirrello che è stata ripristinata dagli abitanti del comprensorio in modo non conforme pur di poter raggiungere i propri appezzamenti di terreno;
   identica situazione, con frane non segnalate, avvallamenti e rischi, si vive sulla strada provinciale 20 San Giuseppe Jato-Monreale e la strada provinciale 34 San Giuseppe Jato-Piana degli Albanesi, come denunciato dai sindaci della zona, che hanno chiesto interventi urgenti senza, però, ottenere riscontri positivi da regione e provincia per mancanza di fondi;
   il lungo elenco di crolli, situazioni di rischio e di degrado della rete stradale in Sicilia dimostra lo stato di abbandono e di incuria in cui versano centinaia di strade urbane, extraurbane e autostrade che avrebbero bisogno di manutenzione ordinaria e straordinaria al fine di eliminare ogni situazione di rischio per i viaggiatori;
   purtroppo, si deve invece prendere atto di come nessun intervento viene programmato e realizzato neanche quando ci sono dei chiari segnali di pericolo, come nel caso del viadotto Hymera sulla A19 Palermo-Catania richiamato in premessa, dove un movimento franoso in atto già da tempo si avvicinava sempre di più dalla montagna ai piloni dell'autostrada;
   probabilmente, la situazione siciliana non è tanto diversa da quella di altre regioni e se si facesse una seria mappatura della rete stradale nazionale, ci si accorgerebbe che la situazione è disastrosa in gran parte del Paese ed è per questo che, a parere degli interpellanti è giunto il tempo di aprire una riflessione sulle inefficienze e sulla gestione dei lavori delle grandi e piccole infrastrutture, delle ordinarie manutenzioni, dei collaudi, degli interventi straordinari –:
   se il Governo non intenda intervenire, per quanto di competenza, per accertare le responsabilità sulla vicenda del cedimento del viadotto Hymera sulla A19 Palermo-Catania, specialmente in relazione alla sottovalutazione del rischio già accertato e denunciato alle autorità competenti circa un movimento franoso in atto dal 2005 e intensificatosi negli ultimi giorni fino a giungere ad una distanza di circa 50 metri dai piloni ceduti;
   se il Governo non intenda avviare un attento monitoraggio sullo stato dei collegamenti stradali al fine di stanziare le risorse necessarie per effettuare gli interventi più urgenti di manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade, come quelle descritte in premessa;
   se il Governo intenda utilizzare, almeno in parte, le risorse della programmazione europea 2014/2020 per consentire agli enti locali di avere gli strumenti finanziari necessari per effettuare interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade autostrade e in particolare, delle strade extraurbane che, specialmente in Sicilia, si trovano oggi in pessime condizioni, sono interessate da cedimenti e smottamenti e rappresentano un serio rischio per l'incolumità dei cittadini e delle cittadine.
(2-00932) «Scotto, Palazzotto».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   UIRNet è un organismo di diritto pubblico, attuatore unico per la realizzazione del sistema di gestione della logistica nazionale, ai sensi del decreto ministeriale del 20 giugno 2005 n. 18/T del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e successivo articolo 61-bis della legge 24 marzo 2012, n. 27;
   detto soggetto si pone l'obiettivo di mettere in rete il mondo dei trasporti e della logistica, senza introdurre modificazioni di mercato indotte dai servizi offerti e senza privilegiare l'una o l'altra categoria di operatori. Specificamente, UIRNet è impegnata nella realizzazione della Piattaforma logistica nazionale (PLN), un sistema ITS (Intelligent Network System) per il dialogo integrato degli attori intermodali e diversi buffer di compensazione per la gestione ottimale dei flussi da/verso i nodi del sistema operatori della supply chain, ecc.;
   nel dicembre 2013 (con successiva riapertura dei termini) è stato bandita una gara per la selezione del promotore per l'affidamento in finanza di progetto di un contratto di concessione per l'estensione e la gestione della piattaforma logistica nazionale;
   al punto II.1.5) del bando di gara si indica ad oggetto della procedura «la selezione del Promotore che realizzi, a mezzo della finanza di progetto nei servizi, l'estensione della Piattaforma Logistica Nazionale e che provveda alla gestione della detta Piattaforma per un periodo di 20 anni. Il Promotore si deve impegnare a finanziare l'operazione con l'apporto di almeno 20 000 000 EUR (ventimilioni) ed a corrispondere a UIRNet S.p.A. un canone annuo di almeno 2 500 000 EUR (duemilionicinquecentomila) a partire dall'anno 2015. A seguito della nomina del Promotore, UIRNet S.p.A. darà avvio ad una gara informale per la scelta del Gestore della Piattaforma Logistica Nazionale unicamente tra i soggetti che partecipano alla presente procedura»;
   nella Gazzetta Ufficiale 5a Serie speciale – contratti pubblici n. 36 del 25 marzo 2015 viene resa nota l'aggiudicazione dell'appalto, con delibera di consiglio di amministrazione dell'11 febbraio 2015, in favore del RTI fra HP enterprise services Italia srl (Mandataria) – F.A.I. Service società cooperativa (mandante) – Vitrociset spa (mandante), nominato «Promotore». Si tratta appunto di un raggruppamento temporaneo che ha consentito ai soggetti imprenditoriali di partecipare alla gara con la convergenza dei requisiti soggettivi;
   si tratta di soggetti giuridici di natura privatistica che, tuttavia, si troveranno a gestire dati tanto sensibili attinenti la piattaforma logistica nazionale ed in un ruolo che dovrebbe essere di assoluta imparzialità che, secondo l'interrogante, appare in nuce tradita dal, tutt'altro che potenziale, conflitto di interesse generato dalla circostanza che si tratta, nel caso della Fai Service, di un'emanazione di un'associazione di categoria del trasporto;
   i rilevanti interessi economici che necessariamente guidano l'attività dei soggetti privati si pone in forte attrito con la mission istituzionale volto alla realizzazione dell'interesse pubblico, ragion per cui sarebbe stato ben più ricorrere ad una società di natura pubblica;
   nel tempo la UIRNet ha fruito di un rilevante contributo pubblico (25,3 milioni di euro per la piattaforma e 15,2 milioni per il progetto security) di cui occorre render conto, specie in considerazione del prossimo graduale traghettamento verso altri soggetti, tra l'altro di natura privata –:
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sia in grado di riferire circa la scelta di attivare una procedura mediante pubblicazione di bando finalizzato alla presentazione di offerte col meccanismo della finanza di progetto e non della concessione, facendo specifico riferimento allo studio di fattibilità posto alla base della decisione;
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sia in grado di riferire circa la scelta di avvalersi di un soggetto privato e se intenda promuovere accertamenti per la verifica dei requisiti dei singoli soggetti del RTI ai fini di escludere ipotesi, anche potenziali, di conflitto di interesse;
   se possa riferire circa le specifiche competenze tecniche del raggruppamento temporaneo di impresa risultato aggiudicatario e se sia in grado di fornire elementi a garanzia dell'imparzialità e dell'efficienza dello stesso;
   se il Ministro interrogato possa quantificare dettagliatamente l'ammontare dei contributi ricevuti dalla UIRNet.
(5-05322)


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la galleria «La Franca» sulla strada statale Foligno-Civitanova, tra Umbria e Marche, rappresenta uno dei progetti centrali del «Quadrilatero Marche Umbria», un'opera infrastrutturale, a totale partecipazione pubblica, che sarà realizzata attraverso un innovativo sistema di cofinanziamento detto piano di area vasta;
   il costo complessivo dell'opera, che consiste nel completamento e adeguamento di due arterie principali (l'asse Foligno-Civitanova Marche strada statale 77 e l'asse Perugia-Ancona statali 76 e 318), della pedemontana Fabriano-Muccia/Sfercia e altri interventi viari, è di 2.233 milioni di euro;
   durante una puntata della trasmissione televisiva Report, andata in onda il 12 aprile 2014, un operaio dell'ANAS ha dichiarato che la galleria «La Franca», lunga circa un chilometro, non è del tutto sicura, ammettendo che nelle «spalle» dell'arcatura della galleria non ci sia cemento a sufficienza per reggere il peso; in particolare, si parla di 10 centimetri invece dei 40 in grado di sostenere lo sforzo;
   dall'intervista emergono anche altri falle costruttive come problemi di vuoti d'aria che in condizioni di sicurezza dovrebbero essere riempiti con un cemento alleggerito ma sembra che non sia stato usato perché «costa soldi». L'operaio ha inoltre affermato che tutto il tratto interessato è stato fatto male e che ci sono pericoli per la sicurezza visto che la zona è sismica;
   nella stessa occasione, il presidente dell'Anas, Pietro Ciucci, ha dichiarato che sono stati adottati controlli specifici su a qualità del calcestruzzo (...) lo scorso anno è stata inoltre effettuata un'indagine georadar su circa il 25 per cento dell'opera, ispezionando complessivamente 240 metri per ciascuna canna. Da tale indagine non è emersa alcuna criticità in merito a sottospessori né a vuoti a tergo dei rivestimenti. Ad ogni buon fine, come previsto dalle procedure Anas in caso di denunce anonime, è stata disposta l'estensione di tali verifiche tramite tecnologia georadar sull'intera galleria;
   l'opera, in ogni caso, non è stata completata né collaudata e quindi non è ancora aperta al traffico, ma, come afferma lo stesso operaio intervistato, è tecnicamente completa;
   nel nostro Paese, purtroppo, i casi di grandi opere realizzate con materiali «al ribasso» non sono rari basta pensare ad alcuni tratti della Salerno-Reggio Calabria dove la mafia controllava le ditte d'appalto e il risparmio del 3 per cento sui materiali era la tangente alla criminalità organizzata, o anche al cedimento della rampa di accesso al viadotto di Scorciavacche in Sicilia, aperta a Natale con 3 mesi di anticipo e crollata una settimana dopo, porta dritto a lavori fatti in «economia»;
   proprio su questo l'Anas ha anticipato nella stessa puntata di Report le conclusioni della sua commissione interna: sensibile riduzione del sistema di rinforzo, mancata verifica di idoneità dei piani di posa, scadente esecuzione del drenaggio e della stesa del rilevato, anche in funzione dei materiali utilizzati. La responsabilità, quindi, per Anas cade sul direttore lavori per mancato controllo;
   la regione Umbria ha intanto dichiarato, per voce dell'assessore Rometti, che a breve sarà inviata una lettera a firma della presidente Marini per acquisire tutti gli elementi tecnici di questa storia –:
   se, in base a quanto esposto in premessa, non ritengano opportuno porre in essere tutte le azioni per verificare la veridicità delle affermazioni dell'operaio nonché il corretto svolgimento dei lavori dell'opera «La Franca», anche attraverso la collaborazione di tecnici esterni, prima che questa venga aperta al pubblico, al fine di scongiurare episodi gravi come quelli purtroppo già accaduti nel nostro Paese. (5-05323)


   TERZONI, MICILLO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nelle regioni Marche e Umbria è in fase di realizzazione il progetto della Quadrilatero, opera viaria che è stata inserita nell'Allegato infrastrutture collegato al Documento di Economia e Finanza, approvato in data 10 aprile 2015, in quanto ritenuta «ponte indispensabile» per favorire il collegamento tra regioni, mari e corridoi europei;
   in base alle dichiarazioni di un operaio, che ha preferito mantenere l'anonimato, e che ha partecipato ai lavori della galleria «La Franca», nel tratto tra Foligno (PG) e Civitanova Marche (MC), rilasciate al programma tv di Rai3 «Report» e trasmesse il 12 aprile 2015, sono emersi alcuni aspetti che destano non poche preoccupazioni;
   in particolare il sopracitato operaio ha affermato che «nella volta della galleria e nell'arcatura della stessa di cemento non ce n’è. Ci sono 10 cm quando ce ne dovrebbero essere 40-50. Non c’è lo spessore. E può cascare. Essendo una zona sismica, trema, si rompe, e triste chi passa sotto»;
   inoltre, sempre secondo quanto dichiarato dall'operaio alla giornalista Giovanna Boursier, risultano irregolarità anche nella parte superiore alla volta della galleria: «lì c’è anche un problema di vuoti – ha raccontato l'uomo – che si creano quando costruisci ma dovrebbero essere riempiti con un cemento alleggerito. Non l'abbiamo messo, perché costa. Tutto per risparmiare, perché le bolle del materiale sono state fatte, per forza sono state fatte». Si ipotizza dunque un sistema di bolle regolari, ma una netta riduzione, del materiale, che potrebbe causare dei crolli, tanto che l'operaio arriva perentoriamente ad asserire che «tutto quel tratto è fatto male, ma la galleria è la peggiore che ho fatto. Io ai miei figli dico sempre di non passarci perché è pericoloso. Meglio la strada la vecchia che questa nuova»;
   inoltre, in un video apparso nel portale online de Il Corriere della sera (www.Corriere.it), un altro operaio che ha preso parte ai lavori nella galleria dichiara quanto segue: «L'ho visto con gli occhi miei: dovrebbero esserci dai 50 ai 60 centimetri di spessore sulle pareti e invece sulla galleria di spessore ce ne è dai 12, 15, 18 ai 20 centimetri. Ce ne è poco e infatti si vede... quando c’è poco cemento si formano delle crepe... e ce ne sono tante». E a seguire: «Sopra la Galleria «La Franca», in un allargo, c’è un vuoto enorme – 30 metri – non penso sia stato riempito. Noi operai gli si diceva che più si andava avanti e più il problema diventava grosso. Ma loro ci ribadivano: andate avanti, avanti. Non sono un tecnico ma posso dire che il lavoro va fatto in una certa maniera...» «La Copertura del getto finale, vista con i miei occhi, era povera, era striminzita»;
   nella replica alle sopra citate dichiarazioni degli operai, apparsa su diversi organi di stampa e altri mezzi di informazione, il presidente di Anas Pietro Ciucci, ha tenuto a precisare quanto segue:
    «sulla galleria “La Franca”, in corso di costruzione nell'ambito dei lavori di realizzazione del Quadrilatero Marche-Umbria, – come avevo già comunicato per iscritto e in modo dettagliato alla stessa Boursier – la qualità e la quantità dei materiali utilizzati (calcestruzzo, ferro, centine) risulta ben superiore rispetto a quanto previsto dal progetto esecutivo, e senza alcun aumento dei costi, trattandosi di corrispettivo per lavori “a corpo”. Peraltro, nell'ambito dei protocolli di legalità sottoscritti dalla nostra società Quadrilatero con le prefetture di Macerata e Perugia, sono stati adottati controlli specifici sulla qualità del calcestruzzo condotti dal gruppo Interforze e tesi a garantire la completa tracciabilità ed originalità delle forniture. Già lo scorso anno è stata inoltre effettuata un'indagine georadar su circa il 25 per cento dell'opera, ispezionando complessivamente 240 metri per ciascuna canna. Da tale indagine non è emersa alcuna criticità in merito a sottospessori né a vuoti a tergo dei rivestimenti. Ad ogni buon fine, come previsto dalle procedure Anas in caso di denunce anonime, è stata disposta l'estensione di tali verifiche tramite tecnologia georadar sull'intera galleria e le relative attività sono iniziate già nella giornata di oggi, alla presenza delle telecamere di Report. Quanto all'invito dell'operaio a non “passare” su quel tratto in quanto sarebbe pericoloso, va precisato che l'opera non è stata completata né collaudata e quindi non è ancora aperta al traffico, per cui desta stupore che si dia credito ad affermazioni prive di qualsiasi fondamento e di così enorme gravità»;
   poche ore dopo Pietro Ciucci ha deciso di rimettere l'incarico di consigliere e di presidente dell'Anas a partire dall'assemblea degli azionisti per l'approvazione del bilancio 2014, nelle mani del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Graziano Delrio;
   sempre nella trasmissione Tv «Report» erano state segnalate alcune anomalie relative al viadotto di Scorciavacche sulla strada statale Salerno-Agrigento in Sicilia, dove, una volta conclusi i lavori e i collaudi delle strutture viarie, si era verificato il cedimento del rilevato di terra; anche in questa circostanza i telespettatori avevano ascoltato le delucidazioni fornite su questo crollo dai componenti della commissione di collaudo nominati dallo stesso presidente di Anas Pietro Ciucci apparse agli interroganti poco trasparenti e sostanzialmente elusive della questione;
   l'operaio intervistato da «Report» sulla galleria «La Franca» aveva dichiarato anche: «Quando c’è da fare dei cubetti per vedere se questo materiale ha delle caratteristiche appropriate e buone, si fa su una macchina, su una sola betoniera»; nell'approfondimento realizzato sempre da «Report» sui controlli di cemento, un operaio, che aveva preso parte in passato a dei lavori relativi a un tratto della strada statale Aurelia, aveva dichiarato: «Ci può essere cemento che non è quel che è... L'università controlla il campione che gli porti, che non è il campione che del cemento che viene. Non sempre, però in dei tratti dove si può risparmiare, si risparmia. Oppure ci sono ferri, acciaio, centine che non sono posizionati a un tot di metri»;
   queste rivelazioni non solo lasciano molte perplessità sull'efficacia dei controlli e sulla effettiva regolarità dei materiali utilizzati per opere viarie di tale imponenza e importanza, ma avrebbero giustificato l'interruzione in via cautelativa dei lavori nel tratto sopra citato della galleria «La Franca» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e se ci sia l'interesse a fare chiarezza sulla correttezza dei procedimenti e dei controlli, previsti dalle normative vigenti, e quali siano gli indirizzi del Governo in merito all'opera viaria Quadrilatero, alla luce di quanto emerso, prima della sua apertura al traffico automobilistico prevista per l'inizio del 2016. (5-05328)


   RIZZETTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la vigente legge 28 gennaio 1994, n. 84, «Riordino della legislazione in materia portuale», disciplina l'ordinamento delle attività portuali per adeguarle agli obiettivi del piano generale dei trasporti e classifica il Porto di Catania nella categoria II, classe I di rilevanza economica internazionale con funzioni commerciale, industriale e petrolifera, di servizio passeggeri, peschereccia, turistica e da diporto;
   la relazione annuale sull'Attività portuale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti della direzione generale per i porti – divisione 2 aggiornata all'anno 2013, oltre a riferire le notizie riguardanti le attività svolte dalle autorità portuali, riporta i dati relativi al traffico merci e passeggeri nei singoli porti e, per il porto di Catania, si registra un sensibile aumento del volume totale del traffico merci del 20,83 per cento (il miglior risultato nella finestra temporale dal 1996 al 2013) e il peggioramento del traffico passeggeri, in cui si osserva un calo del 10,75 per cento, con 390.457 transiti;
   la variante PUA – VCS (piano urbanistico attuativo variante Catania Sud) predisposta dall'amministrazione del comune di Catania e approvata dalla regione siciliana con D.A. n. 468 del 7 giugno 2005 nonostante la mancata applicazione di procedura VAS, prevede la riqualificazione di aree della zona a sud della città con la realizzazione di un sistema integrato per la fruizione del litorale, di un parco costiero, di zone turistico ricettive, di impianti sportivi, di un campo da golf, di verde urbano e di parcheggi, e che si estende dal Porto nella zona a sud della città;
   il progetto relativo ai lavori di «Costruzione di Nuova Darsena commerciale a servizio del traffico Ro-Ro e containers» nell'ambito del PON-Trasporti 2000/2006 — Misura III.1 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che con nota MINF/PORTI5150 del 14 maggio 2014 ha ribadito un impegno totale per il PON-TRASPORTI dell'autorità portuale di Catania di euro 9.837.994,35, di cui, per effetto del decreto ministeriale n. 14974 del 20 novembre 2012, sono stati erogati euro 1.541.623,00; nella succitata nota MINF/PORTI/5150 veniva disposta la reiscrizione in bilancio della residua somma di euro 8.296.371,35 sullo stato di previsione di spesa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per l'anno 2014;
   l'autorità portuale di Catania, con nota del 20 giugno 2014, ha reso noto che l'Istituto di credito Dexia Crediop, che aveva garantito «il finanziamento di una parte cospicua delle somme necessarie alla realizzazione della citata opera» (la costruzione della nuova darsena commerciale a servizio del traffico Ro-Ro e container nell'ambito del PON-Trasporti 2000/2006 — Misura III.1), ha manifestato l'intendimento di «non procedere ad erogare gli importi derivanti dai contratti di mutuo sottoscritti» con la stessa autorità portuale;
   tale determinazione del citato istituto di credito ha prodotto l'urgenza della corresponsione delle cifre stanziate in favore dell'autorità portuale di Catania dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per l'opera di costruzione della nuova darsena, per far fronte agli impegni economici assunti con il contratto sottoscritto con l'esecutore dell'opera;
   l'autorità portuale di Catania nella citata nota precisa che «l'esatto ammontare delle risorse PON assegnate per la realizzazione dell'opera in oggetto (...) ammonterebbe ad euro 13.950.000: quota FESR euro 8.780.000 e quota Fondo di Rotazione euro 5.170.000» come si evince dalla convenzione sottoscritta in data 21 maggio 2007 prorogata e integrata con convenzione del 16 aprile 2010 e con nota n. 516/RU del 13 ottobre 2008 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   l'autorità portuale di Catania ha disposto l'impegno a copertura degli atti giuridicamente vincolanti (delibere n. 17/08 del 10 ottobre 2008 e n. 22/09 del 20 aprile 2009, il bando di gara e il contratto sottoscritto con l'appaltatore nel 2010) per una cifra di euro 13.950.000;
   la riduzione delle somme stanziate da parte del Ministero a euro 9.837.994,35, dopo l'assegnazione definitiva dell'appalto, ha costituito un grave danno nei confronti dell'ente e soprattutto dell'azienda, la Tecnis di Catania;
   l'ente aveva maturato un debito nei confronti dell'appaltatore di oltre 15 milioni di euro per il mancato pagamento degli stati di avanzamento eseguiti;
   il complesso dei crediti maturati dall'azienda risultavano nell'ordine di 19 milioni di euro;
   l'appello lanciato dalla Tecnis, a mezzo stampa, al Presidente del Consiglio dei ministri il 30 luglio 2014, come apparso su diverse testate online del periodo, per ottemperare il pagamento delle spettanze di un credito per un ammontare di 27 milioni di euro, è stato accolto dal Presidente del Consiglio Renzi ed è stata autorizzata dal Ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan l'erogazione di una prima parte per 8 milioni e 200 mila euro;
   dagli scandali sui maxi appalti, che hanno portato alle dimissioni l'ex Ministro Lupi, e dalle indagini attualmente in corso, condotte dalla direzione distrettuale antimafia di Catania sull'appalto indetto da Rfi e Italferr per il raddoppio ferroviario Spoleto-Campello, è emerso il coinvolgimento dell'impresa edile Tecnis, già coinvolta in altri affari riconducibili a Cosa Nostra, in particolare ai lavori di «Sistemazione e adeguamento della piattaforma stradale» lungo la strada statale n. 118 «Corleonese-Agrigentina», nei lavori di sistemazione ed adeguamento della piattaforma stradale al tipo C.2 tra il chilometro 18+700 ed il chilometro 24+650;
   il porto di Augusta, già sede di autorità portuale che con decreto dirigenziale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha ottenuto un finanziamento di cui al PON 2007-2013 di 67,32 milioni di euro per tre progetti inseriti nella «Scheda Grande Progetto» e più precisamente il 2o stralcio del Terminal Container, l'acquisizione delle aree, l'ampliamento dei piazzali del porto commerciale e l'adeguamento di un tratto di banchina per l'attracco di mega-navi container;
   alla luce dei fatti esposti, si ritiene necessario fare chiarezza sul bando relativo al maxi-appalto per la costruzione della nuova darsena commerciale al porto di Catania per verificare la legittimità dell'assegnazione del bando alla società Tecnis e dei finanziamenti concessi. In particolare, non è dato sapere per quale motivo, il credito richiesto dalla società costruttrice Tecnis non è più stato della somma iniziale di 19 milioni ma di 27 milioni di euro. Tale richiesta, tra l'altro, è stata avallata in parte dal Governo con autorizzazione del Ministro Pier Carlo Padoan, posto che è stata erogata una prima tranche della somma;
   inoltre, visto che il porto di Catania ha una rilevanza economica internazionale e, considerando le sue peculiarità, si vuole verificare la possibilità di trasferire l'attività mercantile al porto di Augusta, permettendo al porto di Catania di esercitare unicamente la funzione di porto turistico –:
   se il Ministro interrogato non intenda adottare iniziative per procedere a verifiche e controlli, anche documentali, sul bando, sulla VAS della darsena commerciale e sulle erogazioni economiche concesse a seguito del diniego del mutuo precedentemente accordato dalla Banca Dexia all'autorità portuale;
   se risulti se e quali iniziative siano state intraprese nei confronti della Dexia Crediop per quelle che l'interrogante considera gravi inadempienze nell'erogazione dei mutui accordati;
   se il Ministro in concerto con la regione siciliana, non reputi opportuno valutare la possibilità di trasferire l'attività mercantile del porto di Catania, di rilevanza economica internazionale, presso il porto di Augusta e permettere al porto di Catania di esercitare unicamente la funzione di porto turistico vista la sua posizione urbanistica strategica a ridosso del prestigioso centro storico barocco a incremento degli indotti della croceristica, della diportistica, della pesca professionale e turistica, creando tra l'altro nuove opportunità occupazionali. (5-05332)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con decreto ministeriale del 17 febbraio 2015 l'allora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Maurizio Lupi, ha nominato commissario straordinario per l'autorità portuale di Trieste (APT) Zeno D'Agostino, che si è insediato, come da decreto, il 24 febbraio prendendo il posto dell'uscente presidente dell'autorità portuale di Trieste Marina Monassi;
   Zeno D'Agostino rimarrà in carica, in qualità di commissario, per sei mesi, in attesa, come dalla normativa prevista con la legge n. 84 del 28 gennaio 1994, della nomina del presidente dell'autorità portuale di Trieste;
   notizie giornalistiche riportano diverse dichiarazioni con le quali molti esponenti del governo centrale e di quello regionale garantirebbero che tale nomina a commissario non sia «a tempo» ma verrà trasformata successivamente in una nomina definitiva a pieno titolo;
   altre dichiarazioni avrebbero giustificato la nomina di un commissario con l'approvazione della nuova riforma dei porti e la conseguente riorganizzazione complessiva delle autorità portuali;
   sul territorio, il commissariamento ha destato molte preoccupazioni sia in merito alla necessità di un presidente dell'autorità portuale che non abbia la spada di Damocle di una scadenza breve del proprio mandato, sia, e soprattutto, per i dubbi che ha sollevato il decreto stesso;
   l'atto ministeriale cita, al terzo capoverso, «CONSIDERATO che, nelle more del perfezionamento del procedimento di rinnovo della Presidenza dell'Autorità stessa e per il lasso temporale strettamente connesso al completamento delle varie procedure, è necessario avvalersi, al fine di assicurare la regolare prosecuzione delle attività gestionali dell'Ente, dell'Istituto del commissariamento straordinario»;
   le istituzioni locali hanno regolarmente espresso nei tempi previsti la terna di nomi ai sensi della legge 84 del 1994 e, infatti, lo stesso sindaco di Trieste Cosolini aveva sollecitato al Ministro la nomina tempestiva del presidente dell'autorità portuale di Trieste, in vista della vicina scadenza del mandato dell'ex Presidente Monassi;
   inoltre, la legge 84 del 1994 prevede solo tre casi in cui si renda necessaria la nomina di un Commissario: 1. quando trascorso il termine di cui all'articolo 9 comma 3 lettera a), il piano operativo triennale non sia approvato nel successivo termine di trenta giorni; 2. quando non risultino conseguiti gli obiettivi del piano che il comitato portuale approva, entro novanta giorni dal suo insediamento, su proposta del presidente. 3. quando il conto consuntivo evidenzi un disavanzo;
   nessuno dei tre casi sopra descritti si è verificato per il porto di Trieste. Anzi, durante il passaggio di consegne, la presidente uscente ha illustrato il percorso dell'autorità portuale di Trieste, negli ultimi 4 anni evidenziando come Trieste, nel 2013, abbia raggiunto il primato italiano per volume di traffici complessivi con 56.585.708 tonnellate, come in tutti gli ultimi esercizi si siano registrati consistenti avanzi d'amministrazione e come la stessa autorità portuale di Trieste si sia impegnata in investimenti infrastrutturali a beneficio di tutti gli utenti del porto;
   per la peculiarità della situazione attuale del porto di Trieste e per le sfide future, quali il nuovo piano regolatore in fase di approvazione, gli investimenti nell'area di crisi industriale complessa della Ferriera di Servola, gli impegni di crescita dello scalo tra cui figurano il progetto di allungamento del molo VII, la piattaforma logistica, e l'ampliamento e ammodernamento ferroviario, si renda necessaria la figura di un presidente stabile –:
   se intenda chiarire i motivi del ritardo nelle procedure di nomina del presidente dell'autorità portuale di Trieste;
   quali siano i reali motivi per cui si è provveduto a nominare il commissario straordinario, visto che i presupposti previsti per legge non sussistono e come intenda porvi rimedio;
   in che modo ritenga di procedere in merito alla nomina del presidente dell'autorità portuale di Trieste, al fine di scongiurare un fermo nell'attività della stessa autorità e quali siano i tempi e le modalità di nomina. (4-08775)


   AGOSTINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'ingegner Pozzi Vincenzo è stato Presidente dell'ANAS spa dal 19 dicembre 2002 al 20 luglio 2006: tre anni e sette mesi. In precedenza l'ingegner Pozzi aveva ricoperto altri incarichi presso l'ANAS: Commissario Straordinario dell'Ente dal novembre 2001; Amministratore dell'Ente da febbraio 2002 a dicembre 2002; 
   nel giugno 2006 il Ministro delle infrastrutture pro tempore, durante un'Audizione presso la X Commissione permanente della Camera dei deputati, ha espresso l'intento di voler commissariare l'ANAS a seguito del «dissesto» finanziario provocato dal management aziendale;
   in data 5 luglio 2006, un comunicato stampa dell'ANAS spa annuncia le dimissioni del presidente della società a far data dall'approvazione del bilancio 2005 da parte dell'assemblea dei soci prevista per il 20 luglio 2006 e che anche l'intero consiglio di amministrazione decide di dimettersi;
   tra l'altro il presidente dimissionario dichiara: «Intendo partecipare all'Assemblea per il voto sul Bilancio nella totalità dei miei doveri e diritti di capo azienda»;
   risulta agli interroganti che in precedenza, e precisamente il 3 luglio 2006, l'ANAS spa direzione generale, con nota DCRUO/sap/rcfa n. 78, a firma del direttore centrale risorse umane e organizzazione dottor Buoncristiano e dal direttore generale amministrazione e finanza dottor Picciarelli, ha disposto il pagamento, con valuta 3 luglio 2006, all'ingegner Pozzi di un importo netto di 1.398.862,70, a titolo di competenze di chiusura del presidente calcolate nell'importo lordo di circa 1.800.000,00 euro (in considerazione del fatto che all'epoca le trattenute sulla liquidazione venivano calcolata con l'aliquota del 23 per cento), per un periodo lavorativo di tre anni e sette mesi, tale cifra appare esorbitante ad avviso degli interroganti e sostanzialmente auto decisa dal «capo azienda» quando era ancora in carica. Una liquidazione costosissima e anticipata rispetto alla conclusione del rapporto di lavoro; un primato originale nella cessazione dei rapporti di lavoro in quanto la liquidazione viene corrisposta al termine del rapporto e non in anticipo e dal soggetto subentrato anziché da chi è in carica –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suesposti e quali iniziative intendono assumere per far cessare il «sistema» in vigore all'ANAS spa, proseguito anche con la gestione del presidente — direttore Pietro Ciucci, come evidenziato in altri atti di sindacato ispettivo, e in particolare se le competenze liquidate all'ingegner Pozzi rispondano a criteri obiettivi, valutati e/o approvati dai Ministeri vigilanti e degli organi di controllo interni;
   se intendano e come perseguire eventuali responsabilità riferite anche al pagamento anticipato della ingentissima somma, a fronte di un periodo lavorativo molto limitato e che comporta una liquidazione pari a 41.860,00 euro al mese di lavoro e se intenda promuovere iniziative per recuperare, almeno in parte, le somme indebitamente versate. (4-08780)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la sera del 10 aprile 2015, nel quartiere denominato Campo di Marte del comune di Lodi, una signora in bicicletta ha subito uno scippo, perdendo la borsa ed il suo contenuto, successivamente ritrovati;
   in seguito allo scippo, diversi residenti nell'area hanno tentato di inseguire il ladro, uno straniero di presumibili origini africane, impiegando inizialmente delle automobili;
   nel corso della sua fuga, per seminare le autovetture che lo inseguivano, il ladro è entrato in diverse proprietà, scavalcando cancelli e seminando il panico tra gli abitanti di alcune villette, prima di dirigersi verso l'aperta campagna;
   nei campi, tuttavia, il malvivente ha trovato altri inseguitori a piedi, uno dei quali è riuscito a placcarlo, riuscendo tuttavia comunque a fuggire, grazie all'aiuto di alcuni complici, alcuni dei quali avrebbero minacciato i residenti all'inseguimento del malvivente estraendo un coltello;
   i complici hanno avuto buon gioco a far scappare il ladro anche perché le forze dell'ordine hanno tardato ad intervenire sulla scena dei fatti –:
   quali misure il Governo intenda in concreto assumere nel Lodigiano per rassicurare una cittadinanza sempre più spaventata dall'intraprendenza della criminalità comune e se in particolare non si ritenga opportuno potenziare i locali presidi delle forze dell'ordine, dotandoli delle risorse umane e dei mezzi necessari a proteggere la popolazione residente.
(4-08768)


   RICCIATTI, FERRARA, SCOTTO, QUARANTA, PIRAS, KRONBICHLER, MELILLA, DURANTI, COSTANTINO, NICCHI, MARCHETTI e LUCIANO AGOSTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 aprile 2015, l'agenzia di stampa Ansa ha riportato una serie di dati relativi, ai principali settori di intervento della guardia di finanza delle Marche nel corso del 2014;
   tra questi vi è l'azione di contrasto alla criminalità organizzata ed economico finanziaria, che ha portato alla denuncia di 43 persone, all'accertamento di 14 violazioni penali e 18 interventi contro l'usura, con 8 persone denunciate;
   in materia di reati fallimentari, societari, bancari e finanziari la guardia di finanza ha condotto 86 interventi, con 97 persone denunciate, e 7 arrestate, mentre sempre in ordine alla lotta alla criminalità organizzata sono stati sottoposti a sequestro, in base alla normativa antimafia, beni per oltre 1,1 milioni di euro, con la confisca definitiva di beni per 60 mila euro;
   il fenomeno della criminalità organizzata, secondo quanto ribadito da diverse autorevoli fonti, tra le quali la direzione nazionale antimafia e la procura generale della Repubblica presso la corte d'appello di Ancona, negli anni sta interessando in modo sempre più consistente la regione Marche, anche a causa della crisi economica;
   nel corso di questo ultimo anno l'odierna interrogante ha sottoposto in numerose occasioni la questione al Ministro interrogato, per conoscere le azioni poste in essere dallo stesso nelle Marche, soprattutto sotto il profilo della prevenzione, in ordine ai fenomeni delle criminalità organizzata e delle infiltrazioni di stampo mafioso nel tessuto imprenditoriale della regione;
   alla data odierna non è stato fornito ancora alcun riscontro in merito alle vicende segnalate;
   quali misure sta adottando, o intenda adottare, il Ministro interrogato per arginare i fenomeni descritti, in premessa, in particolare modo sotto il profilo della prevenzione. (4-08772)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Ciclofficina Popolare Raffaele Viviani è un luogo, situato nel comune di Castellammare di Stabia, dove è possibile riparare, recuperare e/o creare biciclette;
   come tutte le ciclofficine popolari esso è un luogo dove questa attività è il punto di partenza di un percorso di riflessione sul consumo e sugli stili di vita, sulla mobilità e sui trasporti;
   la Ciclofficina Popolare Raffaele Viviani è autogestita e senza scopi di lucro, e nasce dall'iniziativa di ciclisti urbani che hanno fatto dell'uso e della riparazione della bicicletta il mezzo di un diverso stile di vita, basato sulla necessità del recupero e del riciclo dei materiali, sull'efficacia della lentezza, sul rispetto delle diversità e sullo scambio di conoscenze all'interno di strutture orizzontali;
   il 9 aprile 2015 la Ciclofficina Popolare Raffaele Viviani è stata vittima di un brutale raid durante il consueto orario di apertura al pubblico;
   un gruppo di persone munito di mazze, cinture e catene senza nessuna motivazione plausibile ha aggredito i giovani volontari mentre svolgevano le attività inerenti il laboratorio;
   si è trattato di un'aggressione a senso unico, durante la quale sono stati riportati danni alla struttura ed alle persone presenti: in particolare, un ragazzo ha ricevuto una ferita al volto per cui sono stati necessari dodici punti di sutura;
   sembrerebbe emergere dalle prime indagini che autori dell'aggressione sarebbero dei giovani legati all'organizzazione neofascista CasaPound;
   non è questo, l'unico atto di violenza degli ultimi mesi avvenuto in Campania per opera dei militanti e dei simpatizzanti di CasaPound –:
   quali misure intenda prendere per fare piena chiarezza sull'accaduto;
   se non ritenga doveroso ed urgente intervenire in maniera netta e concreta al fine di impedire che gruppi dichiaratamente neofascisti (la cui esistenza è vietata dalla Costituzione repubblicana) continuino a perpetrare atti di violenza ed intimidazione. (4-08773)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i segretari comunali e i segretari provinciali sono dirigenti pubblici presenti in tutti i comuni italiani, a prescindere dalla loro dimensione, e in tutte le province;
   essi garantiscono, nello svolgimento della funzione di direzione e coordinamento dell'organizzazione, la conformità dell'azione amministrativa degli enti locali alle leggi ed ai regolamenti;
   negli ultimi anni tale ruolo di garanzia è stato rafforzato dal legislatore attraverso la posizione in capo agli stessi della responsabilità del sistema dei controlli interni e della trasparenza negli enti locali;
   i segretari comunali sono i primi collaboratori del sindaco e hanno un ruolo di primo piano nel perseguire l'efficacia e l'efficienza del lavoro nei comuni;
   funzioni analoghe sono svolte dai segretari provinciali nei loro enti;
   nel luglio del 2014 è stata paventata la possibile eliminazione di questa figura dirigenziale;
   laddove ciò si concretizzasse comuni e province si ritroverebbero private del dirigente di vertice che opera affinché il programma politico-amministrativo degli amministratori eletti sia realizzato al meglio, tenuto conto dei mezzi a disposizione e nel rispetto della normativa;
   si tratta, peraltro, dell'unica professione nella pubblica amministrazione in cui non solo l'accesso all'impiego, ma anche la progressione in carriera è condizionata al superamento di concorsi severi che richiedono un alto livello di conoscenza del diritto amministrativo e anche del diritto civile, finanziario e penale;
   in seguito all'annuncio della possibile eliminazione dei segretari comunali e provinciali è nato un appello al mondo politico, della cultura e delle istituzioni per richiamare l'attenzione su una figura poco conosciuta ai non addetti ai lavori ma che rappresenta una risorsa strategica per affrontare il profondo processo di riforma che sta investendo le autonomie locali;
   l'appello in questione si chiama «Manifesto contro l'abolizione del segretario comunale», e molte voci autorevoli, specialmente di ambito accademico, vi hanno aderito;
   cancellare i segretari comunali senza aver attuato pienamente il disegno autonomistico previsto in Costituzione e senza aver prima risolto il problema dei controlli interni e delle garanzie di sistema, oltre che quello della responsabilità nella direzione operativa degli enti locali, significa sovvertire l'ordine metodologico delle riforme necessarie per realizzare effettivamente autonomie responsabili;
   peraltro l'inserimento in una sezione esaurimento, da cui i comuni avranno solo la facoltà di attingere, potrebbe minare alla radice quel dovere di imparzialità che dovrebbe caratterizzare l'agire di un qualsiasi funzionario –:
   se sia favorevole il Governo ad un'abolizione delle figure di segretario comunale e segretario provinciale;
   se non ritenga doveroso che un'eventuale abolizione di tali figure non rischi, in questa fase, di comportare più disfunzioni che migliorie;
   se non ritenga doveroso aprire un tavolo di confronto con le categorie interessate ed i promotori del «Manifesto contro l'abolizione del segretario comunale»;
   se, in caso di un inserimento degli attuali segretari in una sezione esaurimento da cui i comuni possano, facoltativamente, attingere, vi sia un rischio relativo al dovere di imparzialità dei funzionari coinvolti;
   se non ritenga vada prevista una ricollocazione con modalità analoghe a quelle oggi assicurate al personale delle province. (4-08779)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta immediata:


   BRESCIA, DI BENEDETTO, SIMONE VALENTE, LUIGI GALLO, VACCA, MARZANA, D'UVA e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   risale soltanto a lunedì, 13 aprile 2015, l'ultimo episodio di crollo in un edificio scolastico;
   il fatto è avvenuto nella scuola elementare «Pessina» di Ostuni (Brindisi) quando gli alunni erano in classe; si sono staccati 5 metri quadrati di intonaco di solaio e alcuni bambini sono stati colpiti violentemente alla testa, ma fortunatamente non versano in gravi condizioni;
   la scuola interessata è frequentata da 687 bambini, dei quali 462 frequentano la scuola elementare e 225 la materna, e l'edificio è stato inaugurato nel 2015 dopo 4 anni di chiusura per lavori di ristrutturazione;
   ormai non si contano più episodi di questo tipo, solo per fare qualche esempio: il distacco dell'intonaco nella scuola di Pescara, il 18 febbraio 2015, che ha causato il ferimento di tre studenti; il crollo di un soffitto in un asilo in Lombardia, l'8 gennaio 2015, che ha ferito sette bambini; la morte di uno studente in un liceo di Lecce, l'8 gennaio 2014, caduto in un pozzo di luce a causa del cedimento di una grata; il crollo, il 30 aprile 2014, del soffitto di una palestra della scuola elementare di Russi (Ravenna); il crollo dell'intonaco del soffitto di una palestra, il 10 settembre scorso, in una scuola di Tivoli, dove sono rimasti feriti due insegnanti;
   tutti questi fatti sono avvenuti durante il mandato dell'attuale Presidente del Consiglio dei ministri, che sin dal giorno del suo insediamento, ha dichiarato che la scuola e, in particolare, l'edilizia scolastica sarebbero state al centro della sua agenda politica;
   sulla pagina Facebook, il Presidente del Consiglio dei ministri, a maggio del 2014, annunciava: «10.000 nuovi cantieri, 5 miliardi di euro di investimenti tra 2014 e 2015, quasi 4.000 scuole interessate e, soprattutto, 2 milioni di ragazzi studieranno in scuole più sicure»;
   è all'esame alla Camera dei deputati, in Commissione cultura, scienza e istruzione, il disegno di legge « la buona scuola» che dedica un intero capo all'edilizia scolastica, ma, al di là di un mero riordino della normativa attuale e al tentativo di recupero delle risorse esistenti, non si ravvisano risorse aggiuntive, né una seria programmazione pluriennale, la sola in grado di affrontare in modo adeguato il problema;
   infine, è preoccupante che dalla lettura del documento di economia e finanza, appena licenziato dal Consiglio dei ministri, si evinca che ci sarà un taglio dello 0,2 per cento rispetto al prodotto interno lordo delle risorse destinate alla scuola fino al 2020 e che, di questi tagli, 500 milioni interesseranno l'edilizia scolastica –:
   come il Ministro interrogato intenda intervenire per garantire, anche attraverso una modifica del quadro normativo vigente, che siano effettuati controlli più incisivi ed efficaci sulla qualità degli interventi realizzati nelle strutture scolastiche, in modo da evitare nella maniera più assoluta che sia messa a rischio l'incolumità degli studenti e degli operatori scolastici. (3-01440)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIRACÌ, MARTI, PALESE, DISTASO, CHIARELLI e FUCCI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il crollo del soffitto avvenuto all'interno della scuola elementare «Enrico Pessina» di Ostuni, che ha provocato il ferimento di due alunni e una insegnante, ripropone ancora una volta, l'esigenza della messa in sicurezza degli edifici pubblici a partire da quelli scolastici, in considerazione del fatto che gli interventi di programmazione dell'edilizia scolastica risalenti alla legge 11 gennaio 1996, no 23, e proseguiti con il programma delle infrastrutture strategiche avviato dalla cosiddetta «legge obiettivo» no 443 del 2001, nonché dai successivi interventi normativi, non hanno conseguito significativi risultati;
   la suesposta struttura scolastica, peraltro recentemente ristrutturata, dopo quattro anni di lavori costati oltre 1 milione di euro ed inaugurata il 7 gennaio 2015, unitamente a numerose altre situate in diverse regioni del Paese che hanno subito di recente danni strutturali (766 gli incidenti avvenuti solo nel 2014), certificano la mancanza di una visione organica sia dal punto di vista degli interventi finanziari previsti a livello nazionale e comunitario, nell'ambito delle misure finalizzate all'efficienza degli edifici, che sotto il profilo di un'anagrafe scolastica unica nazionale, in grado di rappresentare uno strumento conoscitivo fondamentale per la programmazione, strumento che, stando a quanto risulta da un articolo del quotidiano «la Repubblica», dovrebbe essere ufficializzato la prossima settimana (con un ritardo di 19 anni);
   il recente piano di edilizia scolastica del Governo prevede oltre 17 mila interventi da effettuare entro il 2015 per le scuole, i cui fondi, sono gestiti direttamente dai dirigenti scolastici, i quali scelgono sul territorio le ditte cui affidare i lavori di restauro, pone dubbi e perplessità, ad avviso degli interroganti, in quanto ciò che è avvenuto nella scuola di Ostuni sulla qualità della messa in sicurezza e dei lavori di ristrutturazione dimostra in realtà il contrario;
   gli interroganti evidenziano, inoltre, che, nonostante per gli interventi di manutenzione straordinaria siano disponibili importanti risorse finanziarie in favore degli istituti scolastici, pari a circa 550 milioni di euro rinvenibili dal decreto-legge no 69 del 2013 (cosiddetto decreto del fare) e dalle delibere del Cipe, emerge l'evidente assenza di una regia d'insieme da parte del Governo Renzi, nel valutare i singoli lavori effettuati, nonché, nello svolgere una verifica globale degli edifici prima di riavviare la didattica all'interno di tali strutture;
   superare la logica degli interventi «spezzatino» senza una visione d'insieme sugli edifici scolastici, rappresenta ad avviso degli interroganti un'esigenza non più rinviabile, anche in considerazione dei risultati che emergono dal rapporto sulla sicurezza, qualità e accessibilità nelle scuole italiane, predisposti nel mese di settembre 2014 dall'associazione «Cittadinanza attiva», che evidenza come tre edifici su quattro presentino danni strutturali e quattro su dieci una manutenzione carente o addirittura inesistente;
   a parere degli interroganti, in considerazione dei rilievi critici precedentemente esposti, risulta necessario trasferire la proprietà degli stabili direttamente agli istituti scolastici, in analogia con quanto avvenuto per le università, affinché si possa liberare, dal ruolo di semplici «inquilini» dei comuni e delle province, la figura dei presidi e attivare realmente l'autonomia scolastica –:
   quali orientamenti nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se, in considerazione del grave episodio avvenuto all'interno della scuola di Ostuni, il cui crollo di cinque metri quadrati dell'intonaco avrebbe potuto provocare addirittura il decesso per i bambini e gli insegnanti, non ritengano urgente e necessario assumere iniziative, per quanto di competenza per avviare controlli a livello nazionale per tutte le scuole nelle quali sono state evidenziate carenze infrastrutturali o di manutenzione, al fine di incrementare le pratiche di sicurezza che evidentemente appaiono ancora insufficienti;
   se non ritengano opportuno valutare la possibilità di prevedere la cessione degli immobili scolastici direttamente alle scuole, trasferendone, la proprietà, così come esposto in premessa, al fine di migliorare il sistema dell'autonomia scolastica e i livelli di manutenzione e messa in sicurezza degli edifici medesimi;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano intraprendere al fine di potenziare il sistema dei controlli e migliorare l'efficienza della programmazione dei fondi previsti per gli interventi di ripristino degli edifici scolastici, in considerazione dei rilievi critici di cui sopra nonché di quanto riportato dall'articolo del quotidiano «la Repubblica», del 14 aprile 2015 secondo il quale gli aggiornamenti che saranno resi noti la prossima settimana rileveranno che le strutture scolastiche che presentano lesioni strutturali a livello nazionale non saranno un terzo, ma oltre la metà del numero complessivo. (5-05320)


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   una delle novità dell'esame di maturità dell'anno scolastico in corso sono le simulazioni della seconda prova del liceo scientifico, due riguardanti le tracce di matematica e due riguardanti le tracce di fisica;
   il 25 febbraio 2015 si è svolta la prima prova simulata di matematica che il Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca ha preparato e inviato a tutti gli istituti per orientare non solo gli studenti, ma anche i loro docenti alla preparazione della prova degli esami di Stato;
   l'esito di tale prova ha destato non poche polemiche e perplessità in merito ai risultati raggiunti ed ha fatto emergere preoccupazioni nel corpo docente e negli alunni, anche sull'effettiva disponibilità di strumenti a loro disposizione per la preparazione della prova, attraverso, principalmente, l'aggiornamento dei libri di testo di matematica e di fisica –:
   se il Ministro interrogato abbia effettivamente riscontrato difficoltà nell'approccio alle prove simulate;
   se non ritenga opportuno, alla luce dei risultati riscontrati nelle simulazioni, mantenere per l'anno scolastico in corso l'espletamento delle prove, così come svoltesi negli anni precedenti;
   se non ritenga necessario, infine, assumere ogni iniziativa di competenza affinché possano essere aggiornati gli strumenti a disposizione degli insegnanti e degli studenti ai fini della migliore preparazione per gli anni successivi alla prova inclusi i libri di testo per la preparazione delle materie interessate. (5-05330)

Interrogazione a risposta scritta:


   ROCCELLA, SANDRA SAVINO, CALABRÒ, MINARDO, SCOPELLITI, TANCREDI, SAMMARCO, BUTTIGLIONE, BINETTI, PISO, VIGNALI, DE MITA, SALTAMARTINI, TOTARO, NASTRI, MAIETTA, GIGLI, VALENTINI, VELLA, PAGANO, CHIARELLI, MAROTTA, BIANCONI, FITZGERALD NISSOLI, ELVIRA SAVINO, CASTIELLO, LAFFRANCO, GIAMMANCO, BIANCOFIORE, ABRIGNANI, POLIDORI, SISTO, CARFAGNA, GELMINI, CALABRIA, MOTTOLA, LAINATI, PARISI, DISTASO, ALBERTO GIORGETTI, LATRONICO, PRESTIGIACOMO, ALTIERI, PALMIERI, SQUERI, SBERNA, CERA, FAUTTILLI, FUCCI, ALLI e PICCONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 30 della Costituzione italiana sancisce il dovere e il diritto dei genitori a «mantenere, istruire ed educare i figli»;
   la Convenzione dei diritti del bambino, all'articolo 14, afferma «il diritto del fanciullo alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione», e ribadisce «il diritto e il dovere dei genitori di guidare il fanciullo nell'esercizio del summenzionato diritto in maniera che corrisponda allo sviluppo delle sue capacità»;
   la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, all'articolo 2 del Protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (STE n. 9), ricorda come «lo Stato, nell'esercizio delle funzioni che assume nel campo dell'educazione e dell'insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere a tale educazione e a tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche», e raccomanda «di procedere rapidamente all'analisi richiesta per identificare le riforme necessarie a garantire in maniera effettiva il diritto alla libertà di scelta educativa»;
   la normativa nazionale, con la legge n. 53 del 2003, all'articolo 1, comma 1, dichiara che la scuola persegue il fine di «favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana nel rispetto dei ritmi dell'età evolutiva, delle differenze e dell'identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori»;
   contrariamente a quanto fin qui citato, sono mesi che nelle scuole italiane, di ogni ordine e grado, vengono attivate iniziative extracurriculari che si occupano di tematiche eticamente sensibili, di temi che affrontano problematiche di carattere antropologico, e in generale di argomenti che entrano nella sfera dell'intimità personale, senza alcun coinvolgimento delle famiglie, e quindi senza l'autorizzazione dei genitori, violando, di fatto, il diritto alla libertà di scelte educativa dei genitori, nell'ambito di una alleanza fra la scuola e la famiglia;
   queste iniziative attivate dalle scuole coinvolgono studenti di ogni ordine e grado, anche piccolissimi, e si basano sulla diffusione di materiale di propaganda gay e gender;
   il 10 marzo 2015 qualificate fonti di stampa denunciavano l'ennesimo episodio di propaganda gender a Trieste;
   a finire nell'occhio del ciclone, questa volta, è stato il «Gioco del rispetto – Pari e dispari»: un progetto al quale ha aderito il comune di Trieste, proposto ai bambini di 45 scuole dell'infanzia di Trieste e che mira, come si legge sull'opuscolo informativo, «a verificare le conoscenze e le credenze di bambini e bambine su cosa significa essere maschi o femmine, a rilevare la presenza di stereotipi di genere e ad attuare un primo intervento che permetta loro di esplicitare e riorganizzare i loro pensieri, offrendo ai bambini anche un punto di vista alternativo rispetto a quello tradizionale»;
   il progetto in questione non era stato inserito nel pof, il piano di offerta formativa, e quindi non era stato prospettato alle famiglie, proprio per questo motivo, un genitore, accortosi per caso del progetto e contrariato dall'iniziativa non precedentemente discussa e quindi non autorizzata, ha inviato una diffida alla dirigente scolastica;
   solo dopo alcuni giorni dalla diffida, la scuola ha deciso di affiggere in bacheca avvisi generici per i genitori circa l'implementazione del gioco. Avvisi che presentavano il progetto per la «sensibilizzazione contro la violenza sulle donne», cosa che non corrisponde al reale contenuto dell'iniziativa;
   sempre solo alcuni giorni dopo la diffida, la dirigente ha fatto esporre un cartello con scritto: «Kit» e una freccia che indica una scatola su un tavolino. Questa doveva essere, probabilmente, la sua attività di informazione alle famiglie circa la valenza educativa del «Gioco» in questione;
   il progetto è stato dunque presentato a giudizio degli interroganti con finta trasparenza e in modo molto generico ai genitori e solo dopo che era già entrato nella scuola, senza l'autorizzazione delle famiglie;
   il progetto in questione ha immediatamente suscitato lo sconcerto dei genitori dei bambini;
   in particolare, ciò che ha allarmato le famiglie sono i giochi proposti nel progetto e alcune frasi riportate nelle schede di gioco contenute nel kit distribuito negli istituti che hanno aderito all'iniziativa e che forniscono alle insegnanti indicazioni su come svolgere i giochi stessi;
   uno di questi giochi prevede che: «... L'insegnante a questo punto fa notare che le sensazioni e le percezioni che (n.d.a.: i bambini) hanno provato sono uguali per i corpi dei maschi e per i corpi delle femmine. I corpi funzionano nello stesso modo. Per rinforzare questa percezione i bambini/e possono esplorare i corpi dei loro compagni/e (utilizzare uno stetoscopio, se si riesce a reperirlo), ascoltare il battito del cuore a vicenda, respirare per riempire i polmoni e poi svuotarli facendo porre la mano sul torace, eccetera Ovviamente i bambini/e possono riconoscere che ci sono delle differenze fisiche che li caratterizzano, in particolare nell'area genitale. È importante confermare loro che maschi e femmine sono effettivamente diversi in questo aspetto, e nominare senza timore i genitali maschili e femminili ma che tali differenze non condizionano il loro modo di sentire, provare emozioni, comportarsi con gli altri/e»;
   tra i giochi proposti c’è pure quello del «Se fossi» durante il quale i bambini utilizzando dei costumi si travestono. «I bambini e le bambine – scrivono le schede informative – potranno indossare dei vestiti diversi dal loro genere di appartenenza e giocare così abbigliati»;
   è evidente a giudizio degli interroganti, in questo caso come in altri, che non si cerca tanto di insegnare il rispetto tra le persone, ma di introdurre l’«ideologia del gender» fra i minori e di instillare nei giovani alunni l'idea che non esistono maschio e femmina, madre e padre;
   per le norme nazionali e internazionali lo Stato, nell'esercizio delle funzioni che assume nel campo dell'educazione e dell'insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere all'educazione dei figli nel rispetto dei ritmi dell'età evolutiva, delle differenze e dell'identità di ciascuno e secondo le proprie convinzioni religiose e filosofiche –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per garantire il diritto alla libertà di educazione della famiglia e la scelta educativa dei genitori, e quali misure intenda promuovere per arginare quello che agli interpellanti appare un fenomeno ormai incontrollato di propaganda gay e gender nelle scuole italiane. (4-08770)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 7, lettera f), della legge delega n. 183 del 2014, «allo scopo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo e di rendere più efficiente l'attività ispettiva», ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi sulla seguente materia: «Revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, tenendo conto dell'evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive ed organizzative dell'impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore»;
   la materia dei controlli a distanza è oggi disciplinata dall'articolo 4 della legge n. 300 del 1970 (cosiddetto Statuto dei lavoratori) il quale prevede che: «È vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori. Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l'ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l'uso di tali impianti»;
   in realtà tutto l'impianto della legge n. 300 del 1970, seppur da alcuni ritenuto ingiustamente «superato», reca disposizione per la tutela e la dignità del lavoratore: gli articoli 2, 3 e 6 dello Statuto disciplinano il potere di controllo del datore di lavoro sui lavoratori, così attuando la garanzia della dignità del lavoratore – che costituisce il limite della libertà di iniziativa economica di cui al comma 2 della Costituzione – e, nel loro combinato disposto, distinguono la tutela del patrimonio aziendale (e, quindi anche la vigilanza) alla vigilanza sull'attività lavorativa. La finalità è quella di evitare per un verso forme di controllo occulto e, per altro verso, di escludere un controllo di tipo poliziesco, quale quello effettuabile dalle guardie giurate, che, nel tempo della emanazione dello Statuto, appariva vessatorio nella forma e di limitare le ispezioni sulla persona del lavoratore;
   l'articolo 4, completando le garanzie nei confronti dei controlli occulti, vieta il controllo a distanza operato con impianti audiovisivi e con altre apparecchiature installate allo scopo esclusivo del controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, e, al contempo, operando una sorta di bilanciamento di interessi, al comma 2 ne ammette l'installazione solo se finalizzati a soddisfare esigenze organizzative e produttive o di sicurezza del lavoro, ma previo accordo con le rappresentanze sindacali o, in mancanza, se interviene provvedimento autorizzatorio dell'ispettorato del lavoro;
   una volta ottenuto il provvedimento autorizzatorio dell'ispettorato, l'uso dell'impianto audiovisivo ovvero della apparecchiatura è ammesso per la realizzazione delle esigenze organizzative, produttive e di sicurezza e non anche al fine (sia pure concomitante con quello difensivo) di effettuare la sorveglianza del lavoratore;
   dall'ambito di applicazione della norma i controlli cosiddetti difensivi, quelli diretti ad accertare condotte illecite del lavoratore quali, ad esempio, quelli assicurati dai sistemi audiovisivi di controllo dell'accesso ad aree riservate o le apparecchiature di rilevazione di telefonate ingiustificate, ma solo se non ne risulti indirettamente un controllo sull'attività lavorativa;
   ove ciò accada rimane applicabile la garanzia prevista dal secondo comma dell'articolo 4 per la semplice ragione che l'innegabile e comprensibile esigenza di evitare condotte illecite da parte di terzi o degli stessi dipendenti non giustifica forme di controllo a distanza che determinano un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore;
   l'evoluzione tecnologica, informatica ed elettronica ha creato una serie di questioni legate sia alle caratteristiche intrinseche della tecnologia stessa, sia alle sue modalità di utilizzazione e alla sua capillare diffusione nel mondo del lavoro e ciò sul rilievo della estrema pervasività di un sistema che raccoglie dati diversi e consente verifiche incrociate;
   computer, impianti di telefonia mobile, navigazione in internet, posta elettronica, ed anche badge e sistemi di riconoscimento (biometrici o RFID – radio frequency identification device – palmari), sono ormai normali strumenti di lavoro, e presentano una capacità di intrusione elevatissima anche perché il loro uso consente controlli incrociati e aprono lo sguardo sugli aspetti più intimi della persona del lavoratore;
   l'utilizzo di internet, ad esempio, può formare oggetto di analisi profilazione, ed integrale ricostruzione mediante elaborazione di file cronologici (log file) della navigazione web ottenuti, da un server aziendale (proxy server) o da altri strumenti di registrazione; i servizi di posta elettronica sono suscettibili di controlli che possono giungere alla conoscenza da parte del datore di lavoro del contenuto della stessa corrispondenza del lavoratore; come il palmare, il badge dotato di banda magnetica consente la identificazione del lavoratore ai varchi di ingresso in azienda, ma in caso di predisposizione di altri rilevatori, anche la localizzazione continua del lavoratore; l'utilizzazione dei dati biometrici (impronte digitali, conformazione della mano, impronta dell'iride) utilizzati per l'identificazione dei lavoratori all'ingresso dei luoghi di lavoro è particolarmente invasiva (come è accaduto per la richiesta di Fincantieri di applicare un microchip agli scarponi o agli elmetti degli operai – Il fatto quotidiano del 6 aprile 2015);
   questi strumenti, come altre forme di tecnologia avanzata, ogni volta che consentono forme di controllo a distanza che per le modalità di realizzazione ledono la dignità del lavoratore e perciò stesso vanno oltre quella dimensione umana alla quale si è fatto cenno, rimangono sussumibili entro la previsione dell'articolo 4 dello statuto;
   le disposizioni dello statuto hanno conservato la loro piena validità e modernità anche di fronte alla pervasività dell'evoluzione tecnologica;
   recentemente. Il Fattoquotidiano on line del 6 aprite 2015 ha dato la notizia che «lo scorso 1° aprile il Consiglio d'Europa ha rivolto ai 47 Stati membri una “raccomandazione” (in realtà un aggiornamento rispetto a quanto disposto nel 1989) sui principi da seguire quando si legifera in tema di lavoro, privacy e nuove tecnologie. Ai punti 15 e 16 si fa esplicito riferimento alle tecnologie utilizzate per monitorare i lavoratori e a quei sistemi in grado di rivelare la loro disposizione; il testo ribadisce che il monitoraggio dell'attività del dipendente non può essere lo scopo principale, bensì solo l'indiretta conseguenza di un'azione volta a proteggere la produzione e la salute e la sicurezza dei lavoratori. Al contrario è fatto divieto assoluto di controllare “attività e comportamenti” dei dipendenti e di usare telecamere o altri sistemi di sorveglianza in spogliatoi, mense e aree ricreative. Viene ribadita poi la necessità di un confronto con le organizzazioni sindacali»;
   la raccomandazione, che si applica sia al settore pubblico sia al privato, indica che i datori di lavoro dovrebbero evitare di interferire in modo ingiustificato e irragionevole nel diritto al rispetto della privacy dei dipendenti sul luogo di lavoro, precisando che questo principio si estende a tutte le tecnologie dell'informazione. Il testo contiene una serie di garanzie volte a far sì che i dati personali dei dipendenti siano adeguatamente protetti, e fornisce linee guida sulla raccolta dei dati personali da parte dei datori di lavoro, la loro registrazione e comunicazione esterna (a degli organismi pubblici, per esempio);
   la raccomandazione impone limiti ferrei su qualsiasi tipo di controllo operato nei confronti dei dipendenti, ma anche sulla raccolta e l'utilizzo di tutti i loro dati personali. Viene così stabilito che ai datori di lavoro è vietato usare qualsiasi tecnologia al solo scopo di controllare le attività e i comportamenti dei dipendenti, ma soprattutto, nel caso si renda necessario utilizzare telecamere, o altri sistemi di sorveglianza, questi non dovranno mai essere posizionati in zone dove normalmente i dipendenti non lavorano, come spogliatoi, aree ricreative, o mense;
   ad essere off limits sono anche tutte le comunicazioni «private» dei dipendenti. Mentre l'accesso a quelle professionali, per esempio una mail a un collega, è consentito solo se il lavoratore è stato informato che questo può accadere, e unicamente se l'accesso è necessario per motivi di sicurezza, o, per esempio, per garantire che un lavoro venga terminato. Il lavoratore ha poi il diritto di sapere quali dati il «padrone» sta raccogliendo su di lui e perché, e ha anche il diritto di visionarli, di chiederne la correzione, e addirittura la cancellazione. Nella raccomandazione vengono elencate anche tutte le informazioni che un datore di lavoro non può chiedere al dipendente o a chi vuole assumere, e i limiti che deve rispettare nel comunicare, anche all'interno della stessa azienda, i dati raccolti;
   alla luce della raccomandazione europea, la nuova normativa dovrà portare ad un rafforzamento delle garanzie e dei diritti già previsti nell'articolo 4 dello statuto dei lavoratori, stante la pervasività delle nuove tecnologie;
   altrettanto determinante è la circostanza che il nuovo contratto a tutele crescenti previsto dal decreto legislativo n. 23 del 2015 ha di fatto «liberalizzato» il licenziamento per giusta causa e giustificato motivo soggettivo (licenziamento disciplinare anche per condotte extra lavorative) limitando drasticamente la tutela reintegratoria e così indebolendo la posizione del lavoratore di fronte a licenziamenti anche per fatti estranei all'attività lavorativa;
   si rende necessario un intervento del Governo volto a rafforzare e migliorare la tutela del dipendente nel quadro delle garanzie già previste dallo Statuto dei lavoratori –:
   quale sia la posizione del Governo in merito e se nella predisposizione dell'emananda normativa abbia intenzione di rispettare quanto prescritto dalla raccomandazione del Consiglio d'Europa anche migliorando e/o rafforzando l'attuale quadro normativo previsto dallo Statuto dei lavoratori in tema di garanzie sindacali e diritti del lavoratore in materia di controlli a distanza e/o con apparecchiature elettroniche, scongiurando il rischio di profilazione, controllo e/o sorveglianza occulta dei lavoratori per fini estranei all'attività lavorativa.
(2-00927) «Ciprini, Chimienti, Cominardi, Dall'Osso, Lombardi, Tripiedi, Gallinella, L'Abbate, Massimiliano Bernini, Benedetti, Gagnarli, Parentela, Manlio Di Stefano, Di Battista, Sibilia, Del Grosso, Grande, Spadoni, Scagliusi, Basilio, Paolo Bernini, Corda, Frusone, Rizzo, Tofalo, Grillo, Silvia Giordano, Baroni, Di Vita, Lorefice, Mantero».

Interrogazioni a risposta immediata:


   ALFREIDER, GEBHARD, PLANGGER, SCHULLIAN e OTTOBRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 118, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità per il 2015), ha istituito uno sgravio contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato effettuate nel 2015, consistente nell'esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, per un importo massimo di 8.060 euro annui per un massimo di 36 mesi;
   tale disposizione prevede uno stanziamento limitato di risorse, pari a 1 miliardo di euro annui, a valere sul fondo di rotazione gestito dal Ministero dell'economia e delle finanze, di cui all'articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, il cui monitoraggio viene effettuato sulla base di una relazione mensile che l'Inps fa al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dell'economia e delle finanze;
   da notizie di stampa, anche di riviste specializzate del settore, sembra che l'agevolazione abbia sortito l'effetto di produrre un notevole incremento di assunzioni a tempo indeterminato con risvolti positivi in termini occupazionali, ma, con risorse così limitate, le imprese che stanno assumendo, nonostante tutte le difficoltà connesse alla perdurante crisi economica, temono che non potranno usufruire dell'incentivo fiscale e sarebbe opportuno dare un segnale di sostegno anche ad esse –:
   se possa fornire dati aggiornati in suo possesso sull'attuale disponibilità del fondo di rotazione utilizzato a copertura dell'esonero contributivo di cui all'articolo 1, comma 118, della legge 23 dicembre 2014, n.190, e, visto il successo in termini occupazionali della norma, se ritenga di poter promuovere la proroga di tale previsione normativa, ovvero promuoverne l'evoluzione nel senso di renderla strutturale, anche tramite l'ampliamento della disponibilità finanziaria del fondo destinata allo sgravio contributivo per le imprese che assumono a tempo indeterminato. (3-01434)


   PIZZOLANTE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il riconoscimento comunitario del buon lavoro svolto dal Governo, in termini di riforme strutturali e di politiche di bilancio, ha consentito una maggiore flessibilità nell'applicazione delle regole comunitarie sul rientro del debito pubblico; si è così formato una «spazio di manovra», definito «tesoretto», del valore di 1,6 miliardi di euro per il 2015 da destinare ad interventi urgenti; ulteriori e più ampi spazi di manovra sono previsti per i prossimi anni;
   il Governo ha preannunziato che utilizzerà queste risorse tramite un apposito provvedimento; sulle possibili destinazioni sono state avanzate le più disparate ipotesi;
   i lavoratori autonomi sono stati tra i più colpiti dalla crisi economica che affligge il nostro Paese dal 2008, in particolare perché nei loro confronti non sono applicabili gli ammortizzatori sociali, né gli altri interventi a sostegno del reddito dei lavoratori dipendenti; numerosissimi sono gli artigiani, commercianti e professionisti espulsi dal sistema economico –:
   se il Governo non ritenga opportuno adottare appositi strumenti a sostegno dei lavoratori autonomi, in particolare prevedendo un «bonus per il lavoro autonomo», dando così l'opportunità a chi ne è stato «espulso» di rientrare nel circuito economico, utilizzando a tal fine le risorse evidenziate in premessa. (3-01435)


   SIMONETTI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI e SALTAMARTINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è notizia pubblicata sul quotidiano La Nazione il 12 aprile 2015 quella di uno studio scientifico svolto presso la facoltà di psicologia di un'università italiana nel periodo settembre 2013-aprile 2014 su un campione di 50 esodati, finalizzato a verificare se la «riforma Fornero» del 2011 ha provocato «l'insorgenza di alterazioni psicopatologiche conclamate e se ha avuto ripercussioni sullo stato di salute generale e sulla qualità di vita dei diretti interessati»;
   dalla ricerca è emerso che le persone coinvolte «condividono una dolorosa e arrabbiata constatazione di uno stravolgimento esistenziale, non solo per effetto della sopraggiunta precarietà economica, ma anche per la rottura dei legami sociali, talvolta anche familiari». Non essendo l'esodato né più lavoratore né ancora pensionato, «l'inattesa perdita dell'identità sociale porta inevitabilmente a riflettere sul tratto di vita già vissuto e su quello a venire. Sorge un sentimento di sfiducia, uno scoraggiamento che fa sentire fragili, vulnerabili, inutili, impotenti. Alcuni sperimentano un senso di vergogna, che conduce lentamente all'isolamento»;
   lo studio conferma, dunque, gli effetti destabilizzanti che la «riforma Fornero» ha prodotto sotto il profilo economico, sociale e psicologico, sulle persone rimaste in mezzo al guado; «L'aspetto intergenerazionale svolge anch'esso una parte importante: da un lato, i genitori anziani che necessitano di assistenza suscitano una serie di implicazioni psicologiche legate al processo di “presa di coscienza” del proprio invecchiamento; dall'altro, i rapporti con i figli (universitari, disoccupati, indipendenti con o senza una famiglia) si fanno complessi e ambivalenti: si acuiscono le difficoltà di comunicazione, si entra in “concorrenza” nella ricerca di un lavoro, si invertono i ruoli (sono i figli che “mantengono” il padre o la madre esodato/a)»;
   a parere degli interroganti è vergognoso che il Governo, a quattro anni dall'indecente riforma che l'attuale maggioranza ha condiviso ed approvato, tenga ancora centinaia di persone nel limbo, adducendo ragioni di copertura finanziaria ed indisponibilità di risorse;
   in proposito si ricorda che circa un mese fa il Ministro interrogato ha dichiarato: «Abbiamo più soldi che esodati finora quantificati», «sono stati stanziati quasi 12 miliardi di euro» e che dalle verifiche sembrerebbe emergere che «c'erano più soldi che domande»;
   sempre con riguardo alle risorse economiche necessarie per completare il processo di salvaguardia ed includere nella platea dei beneficiari le persone e le categorie (ad esempio lavoratori precoci, postali, lavoratori della scuola «quota 96» ed altre) ad oggi escluse, il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi, nel presentare il documento di economia e finanza, ha annunciato l'esistenza di un «tesoretto» di 1,6 miliardi di euro, sul cui utilizzo ancora non è stata presa alcuna decisione –:
   se non convenga sull'opportunità di emanare con urgenza provvedimenti di propria competenza che contemplino una settima e conclusiva salvaguardia per tutti gli esclusi dalle precedenti sei salvaguardie, utilizzando a copertura degli oneri le risorse disponibili nel fondo di cui all'articolo 1, comma 235, della legge n. 228 del 2012, come derivanti dall'avanzo di amministrazione delle entrate già accertate e vincolate alle misure di salvaguardie dai precedenti sei provvedimenti in materia, eventualmente ricorrendo, qualora le stesse dovessero risultare insufficienti, al cosiddetto «tesoretto» di cui al documento di economia e finanza. (3-01436)


   BRUNETTA, MOTTOLA, POLVERINI, PALESE e OCCHIUTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sul sito dell'Inps compaiono rielaborazioni statistiche che prefigurano un ricalcolo delle pensioni relativamente ai seguenti comparti: fondo speciale delle Ferrovie dello Stato spa; fondo speciale dirigenti ex-Inpdai; fondo speciale per il trasporto aereo. Il tutto etichettato sotto la rubrica «operazione porte aperte», quasi a voler far intendere che gli attuali trattamenti pensionistici per queste categorie di lavoratori siano non stati il frutto dell'applicazione delle leggi vigenti in materia, ma di oscuri raggiri che dovrebbero essere corretti sulla base di criteri arbitrariamente scelti dagli analisti che hanno compiuto le simulazioni;
   le simulazioni mettono a confronto gli attuali trattamenti con quanto invece gli interessati avrebbero dovuto percepire in base ad ipotesi teoriche che sono solo nella testa degli loro estensori. Con la conseguenza di determinare un drastico ridimensionamento dei trattamenti in essere;
   l'operazione è scorretta da diversi punti di vista. Gli anonimi analisti, infatti, si appropriano di competenze che, fino a prova contraria, appartengono al legislatore nazionale e non sono delegabili. La loro analisi, inoltre, è viziata da evidenti incongruenze. I dati mettono a confronto la situazione effettiva, che è frutto della storia personale di ciascun pensionato, basata sulla certificazione amministrativa fornita al momento del pensionamento, con ipotesi che, per carenza di informazione, sono frutto, innanzitutto, di un «a priori»: le ipotesi di riforma non hanno, infatti, avuto il vaglio del Parlamento e presumono una ricostruzione che, non avendo a disposizione le necessarie informazioni, mescola elementi diversi (come risulta dalle note metodologiche), tra loro non omogenei, ricorrendo a forme di interpolazione arbitraria e comunque non verificate, nel metodo, da nessun organo terzo;
   operazioni di tale natura sono naturalmente legittime, quando sono effettuate da istituzioni private, il singolo ricercatore, l'università, eventuali centri studi e via dicendo; diventano inaccettabili quando collocate nel sito istituzionale dell'ente preposto alla gestione del sistema previdenziale. In questo secondo caso la loro valenza informativa assume un significato diverso. Rischia di diventare, oggettivamente, incubatore per future, più o meno prossime, decisioni governative. Tanto più che il presidente dell'Inps non fa mistero di avere un suo personale progetto di riforma del sistema pensionistico, che confonde ulteriormente i profili della previdenza con quelli della semplice assistenza;
   autorevoli esponenti del Governo hanno più volte escluso che l'ennesima riforma del sistema pensionistico faccia parte dell'agenda politica. Tuttavia il presidente dell'Inps insiste. Ne illustra gli ipotetici contenuti in conferenze stampa, dibattiti, interviste e talk show. Tutto ciò lascia intendere che quelle elaborazioni rappresentano il pavimento analitico sulla base del quale – congiuntura politica permettendo – impostare la futura riforma, i cui effetti sarebbero devastanti. Visto che si tratterebbe di introdurre un'ulteriore stretta fiscale, con conseguente taglio – comunque la si chiami o lo si giustifichi – che dovrebbe riguardare le pensioni superiori alle 2 mila euro al mese. Ritenute, a torto, appartenenti alla categoria delle «pensioni d'oro»;
   il presidente dell'Inps non può in alcun modo avocare a sé la facoltà di proporre dei radicali cambiamenti di quelle leggi che avrebbe il dovere di applicare e che assicurano stabilità al sistema pensionistico. Compito istituzionale dell'Inps non è quello di sostituirsi impropriamente al circuito decisionale – Parlamento e Governo – cui spetta deliberare in materia. Compito dell'Inps è gestire al meglio le risorse di cui dispone, che sono frutto del sacrificio di milioni di lavoratori. La priorità del suo presidente dovrebbe essere quello di garantire il massimo dell'efficienza – che oggi lascia molto a desiderare – dell'istituto che è stato chiamato a dirigere; piuttosto che occuparsi di argomenti ultronei. Del resto, se vuole coltivare il terreno dell'innovazione, gli spazi che ha a disposizione sono sterminati. Basti pensare al tema della separazione tra assistenza e previdenza. Qui la confusione, anche contabile, regna sovrana. E genera equivoci a non finire, che pesano sulla stessa reputazione internazionale del Paese. Fa lievitare impropriamente la spesa previdenziale, caricandovi gli oneri impropri delle prestazioni sociali. Nei quadri di contabilità nazionale, pertanto, la prima appare sovradimensionata, creando l'immagine di un suo carico eccessivo, rispetto alle analoghe elaborazioni – molto più puntali – degli altri Paesi;
   secondo l'ultimo consuntivo approvato (2013) le spese di funzionamento dell'Inps ammontano a 4.209,6 milioni di euro. Il personale addetto è pari a oltre 33 mila unità, ma gli sportelli sono aperti al pubblico solo dalle 8.30 del mattino alle 11.30. Dati che dimostrano quanti siano ancora ampi gli spazi di razionalizzazione, specie se si considera che nel 2013 l'Inps è riuscito a riversare nelle casse dello Stato, grazie alle economie realizzate, ben 536,3 milioni di euro. E che una cifra ancora maggiore, pari a 552,8 milioni di euro, era stata versata nel 2012. È, pertanto, auspicabile che il nuovo presidente, di cui è nota la preparazione accademica, possa fare ancora di più, dedicando tutta la sua attenzione a quello che è il core business dell'istituto;
   è bene, quindi, che ogni equivoco sia sgombrato e che tutti coloro che operano in campo pensionistico seguano uno stesso indirizzo di coerenza e di rigore;
   mantenere questa situazione di ambiguità è, infatti, intollerabile e alimenta il sospetto che sia lo stesso Governo a spingere i tecnici a precostituire il terreno più favorevole, su cui intervenire successivamente. Com’è già avvenuto per il contributo di solidarietà sulle pensioni più elevate, che poi la Corte costituzionale ha dichiarato anticostituzionale. Il tema delle pensioni, che investe milioni di persone, non può essere agitato in modo scomposto. Ogni ventilata ipotesi di riforma genera incertezze. Spinge milioni di cittadini ad adottare comportamenti conservativi, comprimendo i consumi e quindi aggravando la situazione congiunturale del Paese. Il cui principale handicap è dato proprio dalla caduta della domanda interna –:
   se il Ministro interrogato condivida le proposte di riforma più volte enunciate dal presidente dell'Inps, con la prevista riduzione delle pensioni superiori a 2 mila euro al mese, e se, nel caso, il Governo intenda predisporre un atto formale su cui avviare una discussione di merito in Parlamento, oppure se, qualora quanto esposto in premessa corrisponda ad un'iniziativa estemporanea del presidente dell'Inps, che travalica, quindi, le competenze attribuitegli, intenda stigmatizzare tale atteggiamento, in particolare per l'utilizzo strumentale del sito istituzionale dell'Inps, eliminando ogni ambiguità, soprattutto nei confronti di tutti quei cittadini potenzialmente colpiti dalle proposte di riforma, e richiamando il dovere e la necessità per il presidente di adottare un comportamento coerente con il ruolo che è stato chiamato a svolgere, fermo restando che i propri interessi accademici possono essere coltivati nelle sedi all'uopo dedicate. (3-01437)


   SBERNA e GIGLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   utilizzando l'indicatore della situazione economica equivalente (isee), introdotto dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, i contribuenti a basso reddito possono accedere in condizioni agevolate a prestazioni sociali e servizi di pubblica utilità;
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, ed il decreto ministeriale del 7 novembre 2014 sul nuovo modello della dichiarazione sostitutiva unica è stata varata una riforma dell'isee (ex articolo 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201) con decorrenza 1o gennaio 2015;
   con la circolare n.48/2015 l'Inps ha comunicato le soglie isee 2015 ricalcolate con i nuovi criteri previsti dalla riforma;
   l'11 febbraio 2015 il tribunale amministrativo regionale del Lazio, con le sentenze nn. 2454, 2458 e 2459 del 2015, ha stabilito che il nuovo isee deve essere rivisto, dichiarando l'illegittimità dell'articolo 4 decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, nella parte in cui prevede che nel reddito complessivo siano conteggiate anche le indennità e le pensioni percepite dai soggetti disabili;
   in una delle tre sentenze, inoltre, il tribunale amministrativo regionale del Lazio ha ritenuto illegittima la differenza tra le franchigie previste per i maggiorenni con disabilità/non autosufficienti e quelle, più alte, previste per i minori con disabilità non autosufficienti;
   essendo il software in uso all'Inps per le elaborazioni della dichiarazione sostitutiva unica tarato sulla normativa vigente, senza i correttivi apportati dalle sentenze, potrebbe verificarsi un'ulteriore situazione di stallo, che porterebbe a ritenere le certificazioni rilasciate a partire dal dicembre 2002 illegittime;
   agli interroganti giungono numerose segnalazioni relative alle criticità che il nuovo isee comporta: è diffuso il disorientamento per famiglie, centri di assistenza fiscale, sportelli informativi, associazioni, enti locali;
   l'Associazione comuni bresciani segnala, insieme alle criticità già segnalate da altri soggetti, quali la complessità burocratica e il raddoppio dei tempi di espletamento delle pratiche da parte dei centri di assistenza fiscale, la forte preoccupazione per la sostenibilità economica e di sistema per le amministrazioni locali in relazione alle franchigie per persone con disabilità media o grave e per non autosufficienti, collegate alle prestazioni agevolate di natura sociosanitaria erogate in ambiente residenziale a ciclo continuativo;
   sulla base di simulazioni effettuate si sono evidenziate alcune criticità: il potenziale incremento di spesa a carico dei comuni per le persone già collocate in strutture residenziali; la difficoltà a determinare la reale e attuale situazione reddituale, dal momento che il reddito considerato per la determinazione dell'isee non fa riferimento alla situazione reddituale al momento dell'ingresso dell'ospite in struttura, ma al secondo anno solare precedente la presentazione della dichiarazione sostitutiva unica; le problematiche relative alla corretta imputazione dei costi tra la quota socio-sanitaria e quella sociale –:
   se il governo, considerate le criticità su esposte e gli enunciati delle sentenze del tribunale amministrativo regionale del Lazio, non intenda procedere ad una tempestiva sospensione dell'applicabilità del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, in vista di una sua revisione. (3-01438)


   GNECCHI, ALBANELLA, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, DAMIANO, DELL'ARINGA, DI SALVO, CINZIA MARIA FONTANA, GIACOBBE, GREGORI, GRIBAUDO, INCERTI, MAESTRI, MARTELLI, MICCOLI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, ROTTA, SIMONI, TINAGLI, ZAPPULLA, MARTELLA e BINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 7 maggio 2014, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si è tenuto un incontro con il Ministro interrogato e i capigruppo delle Commissioni lavoro di Camera e Senato per affrontare il tema delle salvaguardie che permettono ad alcune tipologie di lavoratori di accedere al trattamento pensionistico secondo le regole previgenti alla manovra sulle pensioni del 2011 della Ministra Fornero; l'incontro ha portato ad un emendamento del Governo sostitutivo delle proposte di legge in Commissione lavoro alla Camera dei deputati ed è stata approvata la sesta salvaguardia;
   è ormai convinzione consolidata e condivisa che il tema previdenziale necessiti di una soluzione strutturale, in grado di consentire alle persone che si sono ritrovate senza lavoro a pochi mesi dal pensionamento secondo le vecchie regole di potervi accedere, così favorendo anche il naturale turn over e l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, a vantaggio delle esigenze delle aziende e per ridare fiducia ai giovani;
   altrettanto indispensabile è affrontare anche le contraddizioni che si sono sin qui manifestate nell'applicazione pratica delle salvaguardie già approvate, quali, ad esempio, quelle riguardanti i lavoratori e le lavoratrici in mobilità da procedure concorsuali di fallimento o per cessata attività dell'impresa, a causa delle quali, nell'ovvia impossibilità di poter presentare un accordo di mobilità, non sono stati ammessi alle salvaguardie. Lo stesso dicasi per il diverso trattamento riconosciuto agli accordi sottoscritti in sede governativa o non governativa, facendone scaturire un'illogica discriminazione per i secondi e un'incomprensibile penalizzazione per lavoratori e imprese;
   ancora, l'aspettativa di vita non viene considerata per i «quarantisti» in mobilità, a differenza di quanto si applica per i «quotisti» e per le pensioni di vecchiaia, penalizzando, quindi, in particolare le donne, che, per l'aspettativa di vita, non maturano il diritto a pensione entro la mobilità e quindi rimangono per anni senza alcun trattamento, una situazione che potrebbe ulteriormente aggravarsi a decorrere dal gennaio del 2016, quando dovrebbe scattare un ulteriore aumento legato all'aspettativa di vita;
   i lavoratori agricoli ed edili sono stati trattati in modo diverso dagli altri lavoratori dipendenti;
   ancora non sono state adottare le soluzioni amministrative relative alla conferma della sperimentazione della così detta «opzione donna» fino al 31 dicembre 2015 e all'applicazione della finestra mobile e dell'aspettativa di vita successivamente al 31 dicembre 2015, con la decorrenza del trattamento pensionistico come per tutti gli altri pensionandi. Si consideri che diverse lavoratrici che sono andate in mobilità o in esodo, soprattutto nel settore bancario, sono state licenziate contando sul pensionamento entro la fine del 2015 e, qualora venisse confermata questa opzione, rimarranno senza lavoro, senza ammortizzatore sociale e senza pensione fino all'età per la pensione di vecchiaia, per un periodo anche di 10 anni –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare con riferimento a quanto evidenziato in premessa, prevedendo a tal fine una sollecita apertura di un confronto tecnico con l'Inps, le Commissioni lavoro di Camera e Senato e le parti sociali, volto ad approfondire le molteplici situazioni rimaste ancora irrisolte e poter individuare le opportune soluzioni entro tempi programmati e congrui. (3-01439)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MASSIMILIANO BERNINI, BARONI, SILVIA GIORDANO, GALLINELLA e L'ABBATE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel corso degli ultimi anni, numerose sono state le iniziative e le manifestazioni che hanno coinvolto cittadini malati da SLA (sclerosi laterale amiotrofica), molte delle quali spontanee, altre organizzate da associazioni senza scopo di lucro;
   alcuni dei soggetti in questione hanno costituito nel 2010 il «Comitato 16 novembre» che nasce come una rete informale di persone, malati di SLA, familiari e amici, che si riconoscano nella lettera aperta inviata al Governo;
   la presente lettera è l'atto fondativo per la battaglia concreta dei malati di SLA in difesa della propria dignità e nella quale si impegnano a mantenere un presidio senza interruzioni avviato il 16 novembre 2010 a Roma davanti al Ministero dell'economia e delle finanze sostanziandolo con azioni positive che non diano tregua alle istituzioni inadempienti nei confronti del diritto alla salute riportato nella Costituzione;
   tra le battaglie vinte dai cittadini malati di SLA, dai loro famigliari e amici, si annovera quella per lo stanziamento nel 2010 di 100 milioni di euro a sostegno dell'assistenza domiciliare diretta o indiretta, degli assistenti familiari e delle attività svolte dai congiunti che prestano assistenza ai malati di SLA ed interamente destinati alla realizzazione di prestazioni, interventi e servizi socio-sanitari in favore delle persone affette da SLA, aggiuntivi e non sostitutivi a quelli già previsti;
   si definisce assistenza diretta quella in cui gli operatori sociali del comune prestano la propria opera al domicilio dei pazienti per attività non sanitarie, mentre per assistenza indiretta ci si riferisce alla famiglia che riceve un assegno con cui pagare l'assistente familiare, rendicontando le spese al comune;
   i 100 milioni di euro servono a realizzare o potenziare l'assistenza domiciliare, a garantire la formazione e il supporto di assistenti familiari e a riconoscere concretamente l'insostituibile attività assistenziale svolta dal familiare-caregiver;
   come riporta il decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nell'intesa il 60 per cento dei 100 milioni di euro è stato ripartito in base alla prevalenza dei malati di SLA di età pari o superiore a 45 anni (45-60 anni) residenti nelle varie regioni, mentre il restante 40 per cento è stato suddiviso tra le regioni secondo i criteri utilizzati per il riparto delle risorse per le politiche sociali; in questo modo il 16 per cento delle risorse totali sarà destinato alla Lombardia, seguita da Lazio e Campania (rispettivamente il 9,08 e il 9,97 per cento dei fondi), l'8,36 per cento del fondo andrà alla Sicilia, il 7,8 per cento al Veneto e il 7,61 per cento al Piemonte;
   le regioni, d'intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, potranno svolgere, anche tramite protocolli interregionali, attività di ricerca in collaborazione con le associazioni dei malati per ottimizzare i modelli assistenziali utilizzando l'1 per cento delle risorse assegnate;
   le regioni saranno tenute a comunicare al Ministero del lavoro e delle politiche sociali tutti i dati necessari al monitoraggio dei flussi finanziari, degli interventi, dei trasferimenti effettuati, dei progetti finanziati con le risorse del fondo ed anche le procedure per favorire l'integrazione socio-sanitaria nella programmazione degli interventi;
   non più tardi del novembre 2014, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti che ha ricevuto i rappresentanti delle associazioni Fish e Fand insieme al sottosegretario pro tempore della Presidenza del Consiglio Delrio, hanno dichiarato l'impegno del Governo ad incrementare lo stanziamento per il fondo «per le non autosufficienze» fino a 400 milioni di euro;
   i cittadini malati di SLA e le loro associazioni segnalano gravi ritardi nell'erogazione dei contributi, come avviene ad esempio nella regione Lazio dove l'assegnazione è iniziata solo nel 2013 e ancor più tardi nei comuni capofila;
   i cittadini malati di SLA e le loro associazioni denunciano che dei 24 mesi che si sarebbero dovuti garantire, solamente 20 sono stati «coperti» dagli stanziamenti e che ai malati di SLA che hanno deciso di ricevere il contributo in forma indiretta è stata sospesa l'erogazione –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se le regioni abbiano comunicato al Governo tutti i dati necessari al monitoraggio dei flussi finanziari, degli interventi, dei trasferimenti effettuati, dei progetti finanziati ed anche le procedure adottate per favorire l'integrazione socio-sanitaria nella programmazione degli interventi e quali misure siano previste in caso di inadempienze;
   quali azioni intenda adottare affinché le risorse fluiscano dallo Stato/Governo alle regioni e da queste, a comuni copofila, fino ad arrivare ai malati gravi e di SLA, onde evitare che ci siano interruzioni delle attività di assistenza;
   quali iniziative intendano assumere, per quanto di competenza, per garantire l'erogazione nei confronti dei cittadini malati di SLA che hanno deciso di ricevere il contributo in forma indiretta;
   se si intendano assumere iniziative per garantire il mantenimento del «Fondo per le non autosufficienze» per i malati di SLA e per tutti i disabili gravi, con gli importi ufficializzati dagli organi di Governo. (5-05317)

Interrogazione a risposta scritta:


   COMINARDI, ALBERTI, BASILIO e SORIAL. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni la crisi economica, il calo della domanda interna e dei consumi delle famiglie ha determinato un mutamento del panorama occupazionale e produttivo nel settore della grande distribuzione;
   come riportato dal quotidiano online «www.giornaledibrescia.it», articolo del 26 marzo 2015, il colosso della grande distribuzione Auchan avrebbe disdetto unilateralmente, a partire dal 1 luglio 2015, il contratto integrativo aziendale, sottoscritto nell'ottobre 2007. Tale misura avrebbe coinvolto, per la provincia di Brescia, circa 600 lavoratori dei tre centri commerciali di Roncadelle, Mazzano e Concesio. Secondo l'articolo, i sindacati avrebbero manifestato il loro rifiuto di procedere ad una sospensione del contratto che potrebbe determinare un abbassamento del livello d'inquadramento e retributivo dei lavoratori. Alla luce di quanto detto i sindacati sono in stato di agitazione con il relativo blocco degli straordinari;
   sempre nella provincia di Brescia, come riportato dal quotidiano online «Bresciatoday.it», articolo del 2 aprile 2015, nel centro commerciale di Roncadelle – «Le Rondinelle» – sarebbe in procinto di chiudere anche «Ristò» e per i 34 lavoratori del ristorante sarebbe stata avviata la mobilità;
   tra l'altro, come riportato sul quotidiano online «Bresciaoggi.it», articolo del 10 aprile 2015, dal titolo «Ikea Center, il cantiere pronto a decollare», nella zona di Roncandelle dovrebbe sorgere il «mega centro commerciale Inter Ikea di Roncadelle», con 165 negozi, il più grande store della provincia di Brescia. Inoltre, Auchan spa e il Consorzio degli operatori con i loro punti vendita all'interno del complesso «Le Rondinelle», proponevano appello innanzi al Consiglio di Stato avverso la sentenza del Tar, per impedire l'avventa del concorrente posizionato a poco più di un chilometro di distanza;
   a giudizio dell'interrogante, in tale situazione di crisi economica ed occupazionale la disapplicazione unilaterale dei contratti integrativi aziendali potrebbe comportare, in assenza di un partecipato processo di concertazione tra le aziende e i lavoratori e le associazioni sindacali, un mutamento in peius delle condizioni di lavoro e dei diritti dei lavoratori. Tale vicenda risulta ancora problematica in virtù del rilascio delle relative autorizzazioni e della realizzazione di nuovi poli e centri commerciali su tutto il territorio nazionale, che spesso si trasformano in vere e proprie cattedrali nel deserto, con le relative conseguenze sulla libera concorrenza degli operatori economici;
   del resto, a parere dell'interrogante, da un punto di vista normativo, l'articolo 31 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, inerente la liberalizzazione dell'apertura di nuovi esercizi commerciali senza contingenti limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi natura, andrebbe integralmente abrogato – ed in tal senso è stata presentata la proposta di legge n. 750 a prima firma del deputato Dell'Orco – al fine di disincentivare ed impedire l'apertura di nuove aree commerciali, vista la crisi dei livelli occupazionali nel settore della grande distribuzione –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti in premessa e quali iniziative intendano adottare, per quanto di loro competenza, per la tutela dei lavoratori coinvolti nelle aziende citate;
   se i Ministri interrogati intendano intervenire con l'ausilio degli strumenti ispettivi e di vigilanza, al fine di verificare quali siano state le circostanze che abbiano portato alla disdetta unilaterale del contratto integrativo aziendale dei lavoratori di Auchan e quali concrete iniziative intendano adottare, per quanto di loro competenza, al fine di promuovere l'apertura di un tavolo di contrattazione tra le parti coinvolte;
   se i Ministri interrogati, nell'ambito delle palesi criticità che emergono nel settore della grande distribuzione, intendano valutare l'adozione di iniziative normative volte ad apportare i dovuti correttivi all'articolo 31 del decreto-legge n. 201 del 2011 in tema di vincoli territoriali per la creazione di centri commerciali. (4-08774)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COMINELLI e LACQUANITI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2013 la provincia di Brescia, ha autorizzato una nuova discarica di inerti a Cazzago San Martino presso il bacino estrattivo della Macogna a ridosso della frazione Duomo;
   l'autorizzazione arriva a valle di un lungo contenzioso fra amministrazioni, comitati, cittadini, i circoli locali di SEL e Pd, i quali auspicavano che l'ex cava, che ricopre una superficie di 400 ettari, fosse riqualificata e trasformata in un grande parco sovracomunale (detto della Macogna), nei territori di Rovato e Cazzago;
   la conversione dell'ex cava in parco, fortemente voluta dalle precedenti amministrazioni di Rovato e Cazzago, e da quelle di Berlingo e Travagliato, avrebbe dotato la cittadinanza di un'area verde di cui si sente un grande bisogno, anche a titolo di risarcimento per un territorio già martoriato dalla presenza di tante cave e dal passaggio della Tav e dell'autostrada Brebemi;
   inoltre la discarica si troverebbe a meno di 10 metri da due rogge, i canali usati per l'irrigazione dei campi, provocando il possibile rischio di contaminazione delle falde idriche di superficie;
   stando a quanto si legge nell'autorizzazione che ha validità decennale sono ben 43 le tipologie diverse di rifiuti che potranno essere conferite in discarica, tra cui anime di fonderia, fanghi e rifiuti di perforazione di pozzi per acque dolci, terre derivate dalla lavorazione delle barbabietole, fanghi prodotti dai processi di disinchiostrazione nel riciclaggio della carta, rifiuti del trattamento delle scorie, scorie non trattate eccetera;
   va inoltre considerato che la discarica si troverebbe a ridosso della Franciacorta, una delle più importanti e prestigiose zone vinicole d'Italia, patria di uno degli spumanti più rinomati e apprezzati al mondo, marchio DOCG;
   nell'articolo 21 del decreto legislativo n. 228/2001 comma 1 è previsto che, lo Stato, le regioni e gli enti locali tutelano, nell'ambito delle rispettive competenze: la tipicità, la qualità, le caratteristiche alimentari e nutrizionali, nonché le tradizioni rurali di elaborazione dei prodotti agricoli e alimentari a denominazione di origine controllata (DOC), a denominazione di origine controllata e garantita (DOCG), a denominazione di origine protetta (DOP), a indicazione geografica protetta (IGP) e a indicazione geografica tutelata (IGT). 2. Tale tutela è realizzata, in particolare, con: a) la definizione dei criteri per l'individuazione delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti, di cui all'articolo 22, comma 3, lettera e), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, come modificato dall'articolo 3 del decreto legislativo 8 novembre 1997, n. 389, e l'adozione di tutte le misure utili per perseguire gli obiettivi di cui al comma 2 dell'articolo 2 del medesimo decreto legislativo n. 22 del 1997; b) l'adozione dei piani territoriali di coordinamento di cui all'articolo 15, comma 2, della legge 8 giugno 1990, n. 142, e l'individuazione delle zone non idonee alla localizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti ai sensi dell'articolo 20, comma 1, lettera e), del citato decreto legislativo n. 22 del 1997, come modificato dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 389 del 1997;
   appare evidente tale decisione appare in netto contrasto con la necessità di tutelare una zona di grande pregio come la Franciacorta oltre a destare non poche perplessità dal momento che si tratterebbe della sessantottesima discarica presente nel bresciano, un sovraffollamento che talvolta costringe i gestori di discariche di inerti a reperire materiale anche fuori regione –:
   se non intenda verificare possibili rischi di compromissione dell'area della Franciacorta e delle produzioni vitivinicole a marchio DOCG e intervenire per evitare qualunque possibile danno all'immagine del marchio Franciacorta. (5-05318)


   ANTEZZA, TARICCO, MONGIELLO e TERROSI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la crisi della filiera cunicola persiste da alcuni anni e si è acuita nel periodo più recente, sia per le importazioni sottocosto, di dubbia provenienza, sia per la scarsa propensione dei grossi macellatori italiani ad esportare, sia per i meccanismi di formazione dei prezzi all'origine;
   il consumo è sostanzialmente stabile nel tempo. I dati Ismea dimostrano che il volume di consumo delle carni cunicole è passato da una quota di circa il 2,8 per cento nel 2008 a poco meno del 2,7 per cento nel 2013, mentre la quota in valore si è ridotta di molto poco in cinque anni (da 2,6 per cento a 2,5 per cento);
   la scarsa propensione dei grossi macellatori italiani ad esportare, nonostante in molti Paesi europei vi siano condizioni più convenienti, sta peggiorando il saldo commerciale del settore, favorisce speculazioni sui prezzi all'origine e derive monopolizzanti che hanno praticamente distrutto la coniglicoltura nel sud Italia con effetti restrittivi sulla concorrenza;
   l'Autorità garante per la concorrenza e il mercato, pronunciandosi sul funzionamento delle borse merci camerali, sia nel settore cunicolo (parere n. AS850 del 29 aprile 2011) sia nel riso (parere n. AS1167 del 13 gennaio 2015), ha ritenuto i regolamenti camerali non più compatibili con le norme sulla concorrenza e ha, inoltre, osservato che la coesistenza a tutt'oggi di diverse piazze fisiche locali, appare un ostacolo al corretto svolgimento del processo concorrenziale, soprattutto in presenza della regolamentazione nazionale della Commissione unica nazionale Cun-Conigli, condivisa da tutti gli operatori del settore;
   l'Antitrust, attraverso questi pareri, ha quindi dichiarato che le modalità di gestione delle commissioni camerali facilitano il coordinamento tra gli operatori dell'industria di trasformazione, specie quando questa risulta caratterizzata da un assetto stabilmente oligopolistico e da un elevato potere contrattuale nei confronti dei produttori di materia prima;
   per aumentare il grado di trasparenza e neutralità nel settore, con la risoluzione unitaria n. 00048, approvata in Commissione XIII agricoltura il 1o aprile 2014, il Governo si è impegnato ad adottare una serie di misure tra cui la modifica del regolamento della Commissione unica nazionale – Cun che rappresenta l'unico mercato di riferimento per il settore, nonché la chiusura delle borse merci;
   tuttavia, ad oggi le commissioni camerali locali continuano ad essere operative condizionando il corretto svolgimento del processo concorrenziale nell'assenza dei necessari provvedimenti conseguenti all'approvazione della citata risoluzione approvata in Commissione XIII per giungere alla definitiva chiusura delle borse merci locali per il settore cunicolo;
   un documento scritto del 3 dicembre 2014 da parte del consorzio di macellatori, che ha approvato il Protocollo istitutivo della Commissione unica nazionale, invita «tutte le Associazioni di Parte Macellatori, a sospendere con decorrenza immediata l'attività dei propri Commissari all'interno della Commissione unica nazionale conigli a favore dell'immediato ripristino della Commissione cunicola della Borsa merci di Verona», in chiaro contrasto con il piano d'interventi per il settore cunicolo, con le risoluzioni parlamentari e con i pareri dell'Antitrust;
   il passaggio da una pluralità di borse merci locali ad un unico soggetto a livello nazionale è già in essere attraverso la Commissione unica nazionale Cun-Conigli e il suo protocollo istitutivo risalente al 12 luglio 2012;
   a seguito di quel documento e della fuoriuscita dalla Commissione unica nazionale di alcuni macellatori, non si è ancora provveduto a rimpiazzare i posti vuoti nonostante le richieste pervenute al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali da parte del Comitato macellatori riuniti del Mezzogiorno, che da diversi anni sollecita una sua presenza in Commissione unica nazionale auspicabile ai fini di un riequilibrio della rappresentanza territoriale dei macellatori –:
   se i Ministri siano a conoscenza della situazione esposta in premessa e quali siano i motivi che hanno impedito ad oggi di dare attuazione agli impegni presi con la risoluzione n. 8-00048 soprattutto in relazione alla misure per la chiusura delle borse merci locali per il settore cunicolo;
   se non ritengano urgente assumere un'iniziativa, se del caso normative, per prevedere forme di decadenza automatica dal ruolo di commissario della Commissione unica nazionale in assenza di specifica attestazione di compatibilità con il lavoro svolto a tutela della concorrenza del settore;
   quali iniziative intendano adottare affinché non trovino applicazione i regolamenti delle «Commissioni prezzi», presso le borse merci delle varie camere di commercio di Verona, Treviso e Milano;
   quali iniziative, in questa prospettiva, il Governo intenda adottare affinché sia resa operativa la pronuncia dell'Antitrust (parere n. AS850 del 29 aprile 2011) sul funzionamento delle borse merci camerali, in cui si ritiene che i regolamenti camerali non sono più compatibili con le norme sulla concorrenza e che la coesistenza a, tutt'oggi di diverse piazze fisiche locali, appare un ostacolo al corretto svolgimento del processo concorrenziale;
   quali misure intendano adottare, da un lato, per favorire in Commissione unica nazionale una rappresentanza dei macellatori equilibrata tra i vari territori nazionali, dall'altro per promuovere e tutelare la nascita di nuovi macelli, garantendo l'accesso al mercato per gli allevatori del sud in condizioni di parità rispetto agli altri e assicurando in tal modo ai consumatori la possibilità di scelta di acquisto plurale e locale. (5-05324)


   BURTONE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il virus della xylella sta seriamente compromettendo il comparto olivicolo della Puglia con una situazione di estrema rilevanza tant’è che è stato nominato da parte del Governo un commissario straordinario per affrontare una vera e propria emergenza;
   la xylella è un batterio veicolato negli ambienti agro-forestali da insetti, la cosiddetta «cicalina» di notevole virulenza ed in grado di portare a morte numerose specie di interesse agrario;
   i focolai sono maggiormente diffusi nel Salento ma la veicolazione e l'attuale stagione primaverile rischiano di far espandere gli stessi focolai;
   il dibattito anche sugli organi di informazione si sta polarizzando sulla questione eradicazione o no delle piante;
   non adeguata informazione viene fatta per operatori e semplici proprietari di piante di ulivo che si trovano anche in altri comprensori del Paese anche a distanze non eccessive dal cosiddetto epicentro della patologia;
   in particolare vi è il comprensorio della collina materana e del territorio di Ferrandina noto per la majatica e le olive nere a forno in cui sono numerosissime le piante di ulivo anche monumentali e che non è molto distante dai focolai pugliesi;
   si tratta di un territorio in cui l'olivicoltura rappresenta una voce importante della economia locale e con produzioni davvero di qualità –:
   se e quali iniziative il Governo, anche attraverso l'azione del commissario straordinario, intenda attivare per tutelare e promuovere adeguata azione di informazione e profilassi al fine di mettere in sicurezza e ridurre i rischi di espansione della patologia salvaguardando il comprensorio in oggetto. (5-05325)


   BURTONE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   gli agrumi della Sicilia continuano ad essere vittime di una terribile patologia, il virus citrus tristeza (Ctv), che interessa circa 32.000 ettari di agrumeti, soprattutto nelle province di Catania e Siracusa;
   il problema presente da diversi anni rischia di compromettere seriamente la produzione agrumicola tant’è che potrebbe addirittura essere a rischio estinzione la produzione agrumicola siciliana nei prossimi due/tre lustri se non si interviene con immediatezza;
   la superficie colpita dal virus continua ad aumentare negli anni ed è aumentata la veicolazione della sua trasmissibilità;
   occorrono misure di sostegno per il comparto, in quanto il costo degli espianti ed i mancati guadagni legati alle vendite «perdute» sono assolutamente rilevanti tanto da indurre l'abbandono delle coltivazioni;
   sarebbe imminente il varo da parte del Ministero del Piano agrumicolo nazionale;
   alla luce delle analisi del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria (Cra), con il suo Centro di ricerca per l'agrumicoltura e le colture mediterranee di Acireale è assolutamente indispensabile prevedere un piano specifico per il territorio siciliano –:
   se e quali iniziative intende adottare il Governo al fine di contrastare efficacemente l'espansione del virus Ctv che sta interessando le produzioni agrumicole della Sicilia orientale e quali misure di sostegno intenda prevedere per un comparto ormai al collasso. (5-05326)


   GALLINELLA, L'ABBATE e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Associazione Italiana Allevatori – AIA – è Ente morale riconosciuto con il decreto del Presidente della Repubblica n. 1051 del 27 ottobre 1950 e conta 47 tra Associazioni provinciali ed interprovinciali allevatori (Aipa/Apa), 19 Associazioni regionali Allevatori – ARA, 27 Associazioni nazionali allevatori di specie o razza (Ana);
   ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge n. 30 del 1991, i libri genealogici del bestiame sono tenuti dalle ANA, mentre, ai sensi dell'articolo 3, comma 2, della stessa legge i controlli delle attitudini produttive sono svolti, per ogni specie, razza o altro tipo genetico, dall'Associazione italiana allevatori (AIA) per il tramite degli uffici provinciali del libro di pertinenza delle Associazioni provinciali ed interprovinciali allevatori;
   la mission dell'Associazione è dettata dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, che attraverso specifiche leggi dello Stato, affida all'Associazione italiana allevatori il compito di perseguire gli obiettivi istituzionali indicati dallo statuto Associazione italiana allevatori: svolgimento dei controlli delle attitudini produttive o svolgimento dei controlli funzionali; tenuta dei libri genealogici e dei registri anagrafici; assistenza tecnica alle aziende zootecniche, gestione informatizzata dei dati del sistema allevatori; coordinamento della rete di laboratori nazionali; azioni mirate al benessere animale e sicurezza alimentare; valorizzazione del prodotto italiano al 100 per cento;
   a seguito delle ultime decisioni avallate dall'intesa raggiunta nella Conferenza tra Stato e regioni l'ammontare complessivo della contribuzione pubblica si è progressivamente ridotto, con la conseguente difficoltà economico/gestionale da parte delle organizzazioni nazionali e territoriali del sistema allevatori;
   nel corso del 2014 le crescenti difficoltà economiche hanno indotto l'Associazione italiana allevatori, le ANA e le APA/AIPA a ricorrere per gran parte del proprio personale all'Istituto della Cassa integrazione in deroga e con l'esercizio 2015 la situazione sembra essersi pesantemente aggravata anche per l'impossibilità normativa delle strutture di ricorrere nuovamente all'Istituto della Cassa integrazione in deroga;
   a seguito della delibera assembleare assunta in data 16 gennaio 2015 è stata decisa la partecipazione dell'Associazione allevatori italiani ad EXPO 2015;
   l'allocazione dell'Associazione è prevista nell'ambito del padiglione Italia presso lo spazio espositivo della Confederazione nazionale coltivatori diretti, come rilevabile dalla nota inoltrata dalla presidenza dell'AIA ad alcune strutture territoriali nonché all'Assessorato agricoltura della regione Lombardia del 13 marzo 2015 (protocollo n. 1177/2015);
   dalla suddetta nota si evince, inoltre, che la Confederazione nazionale Coltivatori diretti metterà a disposizione dell'Associazione italiana allevatori per tutta la durata della manifestazione spazi attrezzati, servizi e infrastrutture;
   l'importo che l'associazione sosterrà in conseguenza della sottoscrizione di una specifica convenzione con la confederazione nazionale coltivatori diretti è pari a 366 mila euro e tale somma, come deliberato dagli organi direttivi dell'Associazione italiana allevatori sarà addebitata a tutte le APA/ARA socie operanti sul territorio nazionale secondo un criterio che prevede un importo fisso pari a 5 mila euro ed importo variabile pari a 0,10 euro per capo grosso controllato;
   oltre al suddetto importo l'Associazione italiana allevatori ha già anticipato alle proprie associate che sarà necessario provvedere ad ulteriori investimenti, ripartiti tra la stessa AIA e le ANA, relativi ad allestimento spazi, produzione materiale divulgativo e di presentazione, al costo del personale impegnato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta e se la ritenga opportuna considerando che l'obiettivo prioritario dell'Associazione italiana allevatori dovrebbe essere il raggiungimento della mission così come esposta in premessa e che le attività indicate in premessa non sembrano previste dagli obiettivi statutari quali la realizzazione delle attività legate alla tenuta dei libri genealogici e la realizzazione dei controlli funzionali del bestiame, specie in considerazione delle difficoltà che sta affrontando il personale dell'associazione;
   come il Ministro interrogato intenda assicurare il principio di trasparenza economica da parte delle finanziate strutture del sistema dell'Associazione italiana allevatori. (5-05329)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GIGLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con interpellanza urgente n. 2-00800 dell'8 gennaio 2015, veniva segnalata al Governo l'incongruenza evidente fra l'informazione contenuta nel foglietto illustrativo del farmaco ellaOne (Ulipristal acetato, la pillola dei cinque giorni dopo) e quanto invece emerge dalla letteratura medica e, pur contraddetta dalle conclusioni, anche dai documenti ufficiali dell'EMA: l'Agenzia europea dei medicinali;
   infatti, ellaOne, presentato come farmaco che previene l'ovulazione e il concepimento, ha una quantomeno possibile efficacia anti-annidamento: può impedire cioè che un figlio già concepito si annidi in utero. I dati in letteratura medica suggeriscono, anzi, che proprio questa sia la modalità d'azione prevalente del farmaco;
   in risposta agli interpellanti, il Ministro della salute annunciava l'intenzione di effettuare un approfondimento tecnico presso il Consiglio superiore di sanità al fine di approfondire i profili di sicurezza del medicinale e di esprimersi nuovamente alla luce della intervenuta variazione a livello comunitario;
   dagli organi di stampa si è appreso che il parere del Consiglio superiore di sanità sia stato consegnato al Ministro il 10 marzo 2015, ma ad oggi, tuttavia, il parere del Consiglio superiore di sanità non è stato reso pubblico;
   nel frattempo, in data 25 marzo 2015 l'AIFA ha deciso di trasformare l'ulipristal acetato in un prodotto da banco, limitando la necessità di prescrizione medica alle sole minorenni;
   è importante che il parere del Consiglio superiore di sanità venga reso noto, soprattutto se contiene valutazioni, su questi aspetti. Una corretta informazione è dovuta alle donne, affinché esse possano conoscere i farmaci che sono messi a loro disposizione: la scelta, in caso contrario, non sarebbe libera ma condizionata da una falsa informazione. Ne seguirebbe l'impossibilità di un consenso informato in un campo, quello della procreazione, a elevato impatto esistenziale;
   l'informazione è altresì indispensabile per i medici e, più in generale, per tutti gli operatori sanitari. Non può prescinderne, infatti, un esercizio della professione che voglia essere libero e consapevole, nonché rispettoso di una utenza che anche nel ricevere una informazione corretta e completa deve sentirsi rispettata e resa responsabile;
   sarebbe opportuno venisse reso pubblico il testo integrale del parere espresso dal Consiglio superiore di sanità in data 10 marzo 2015, in risposta ai quesiti stessi illustrati nella interpellanza citata –:
   se, in relazione al meccanismo d'azione di ellaOne, il Consiglio superiore di sanità abbia chiarito «se si possono escludere effetti anti-annidamento» e se, per la similarità con la molecola del mifepristone, sia stato escluso l'effetto abortivo per assunzione di dose multiple del farmaco. (5-05321)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PETRAROLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'arresto cardiaco improvviso (o «morte cardiaca improvvisa») è un evento che colpisce nel mondo occidentale centinaia di migliaia di persone ogni anno. Si può calcolare, secondo quanto afferma la Croce rossa italiana, un arresto cardiaco improvviso per mille abitanti per anno: ciò significa in Italia (58 milioni di abitanti) un'incidenza di 50 – 60 mila casi ogni anno. Per la maggior parte si tratta d'individui in età ancora giovane, spesso ignari dei fattori di rischio da cui sono affetti;
   la prevenzione in questi casi è tutto. I defibrillatori, che, con lo sviluppo tecnologico hanno raggiunto un elevato grado di efficienza tanto da attivarsi solo in caso di arresto cardiaco e quindi sono in grado di ridurre notevolmente la mortalità da fibrillazione ventricolare nei luoghi pubblici se utilizzati entro i 5 minuti dall'evento;
   la città di Milano, che conta 1,3 milioni di abitanti, avrebbe bisogno, infatti, in situazione normale, di 200 defibrillatori nei luoghi pubblici, e di almeno 50 unità in più solo per il periodo di Expo, previsto dal 1o maggio al 31 ottobre 2015;
   queste stime derivano da un adattamento, per il capoluogo lombardo, di uno studio presentato al congresso della società europea di cardiologia a Barcellona e condotto dai ricercatori del Paris Descartes university sulla città di Parigi, secondo cui, per i 2,2 milioni di abitanti della città, servirebbero 350 defibrillatori;
   la giunta della regione Lombardia ha incrementato il numero dei defibrillatori automatici di 30 unità da dislocare all'interno del sito espositivo, però il numero di quelli sparsi nei luoghi più frequentati della città è notevolmente inferiore al reale bisogno della cittadinanza, solo 130 rispetto ai 200 necessari;
   in sostanza Milano avrebbe un deficit di 70 unità, a regime ordinario, pertanto resta escluso l'afflusso straordinario di turisti previsto per semestre di Expo;
   è in pubblicazione un bando per l'assegnazione di altri 100 defibrillatori a istituzioni pubbliche, dispositivi da distribuire in tutta la Lombardia, quindi ben difficilmente la quota che spetterà a Milano potrà colmare il gap. Risulta, inoltre, all'interrogante che tutta la rete della metropolitana è completamente sprovvista di defibrillatori;
   secondo il Commissario unico di EXPO 2015, Giuseppe Sala, sono stati venduti poco meno di 9 milioni di biglietti, quindi è elevata la probabilità del verificarsi di casi d'arresto cardiaco durante il periodo della manifestazione internazionale;
   con mozione n. 1-00717 l'interrogante aveva già posto la problematica, in merito alla promozione dell'effettiva dotazione dei defibrillatori nei luoghi pubblici –:
   se non intenda il Ministro interrogato assumere ogni iniziativa di competenza affinché, le stazioni della metropolitana e ogni luogo considerato a rischio siano dotati del necessario numero di defibrillatori. (4-08767)


   FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in vista dell'8 marzo 2015, «giornata della donna», l'Organizzazione mondiale della sanità ha pubblicato un documento sulle otto priorità in termini di salute per le donne, ovvero:
    a) cancro. I due dei tumori più comuni che colpiscono le donne sono al seno e al collo dell'utero. Rilevare precocemente entrambi questi tipi di cancro è la chiave per mantenere le donne in salute. Gli ultimi dati globali mostrano che circa mezzo milione di donne muoiono di cancro cervice e mezzo milione di cancro al seno ogni anno. La stragrande maggioranza di questi decessi si verifica nei paesi a basso e medio reddito, dove lo screening, la prevenzione e il trattamento sono quasi inesistenti, e in cui la vaccinazione contro il papilloma virus ha bisogno ancora di prendere piede;
    b) salute riproduttiva. Problemi di salute sessuale e riproduttiva sono responsabili di un terzo di problemi di salute per le donne di età compresa tra 15 e 44 anni. Il sesso non sicuro è un importante fattore di rischio – in particolare tra le donne e le ragazze nei Paesi in via di sviluppo. Questo è il motivo per cui è così importante offrire contraccettivi ai 222 milioni di donne che non possono averli;
    c) salute materna. Molte donne stanno beneficiando degli enormi miglioramenti delle cure durante la gravidanza e il parto introdotti nel secolo scorso. Ma tali benefici non si estendono ovunque e nel 2013, quasi 300.000 donne sono morte per complicazioni durante la gravidanza e il parto. La maggior parte di queste morti avrebbero potuto essere evitate;
    d) HIV. Sono le giovani donne che portano il peso delle nuove infezioni da HIV. Troppe giovani donne lottano ancora per proteggersi contro la trasmissione sessuale del virus e per ottenere il trattamento di cui hanno bisogno. Sempre loro risultano essere particolarmente vulnerabili alla tubercolosi - una delle principali cause di morte nei paesi a basso reddito delle donne tra i 20 e i 59 anni;
    e) infezioni sessualmente trasmesse. Oltre a proteggersi dall'HIV e dal papillomavirus (HPV), è anche fondamentale migliorare la prevenzione di malattie come la gonorrea, la clamidia e la sifilide. La sifilide non trattata è responsabile di più di 200.000 nati morti e morti fetali precoci ogni anno, oltre che del decesso di oltre 90.000 neonati;
    f) violenza contro le donne. Oggi, una donna su tre sotto i 50 anni ha subito una violenza fisica o sessuale. Questo genere di violenza colpisce sia la loro salute fisica che quella mentale, nel breve e lungo termine. È importante che gli operatori sanitari siano in grado di riconoscerla e fornire supporto alle persone che ne soffrono;
    g) salute mentale. L'evidenza suggerisce che le donne sono più inclini degli uomini a sperimentare l'ansia, la depressione, e disturbi somatici. La depressione è il problema di salute mentale più comune per le donne e il suicidio una delle principali cause di morte per le donne sotto i 60 anni. È di vitale importanza aiutare a sensibilizzare le donne ai problemi di salute mentale, dando loro la fiducia necessaria per richiedere assistenza;
    h) le malattie non trasmissibili. Nel 2012, circa 4,7 milioni di donne sono morte a causa di malattie non trasmissibili prima di raggiungere i 70 anni. Sono morti a causa di incidenti stradali, consumo di tabacco, abuso di alcol, droghe e sostanze, e l'obesità - più del 50 per cento delle donne in sovrappeso in Europa e nelle Americhe. Aiutare le donne ad adottare stili di vita sani è la chiave per una vita lunga e sana;
    i) essere giovani. Le ragazze adolescenti devono affrontare una serie di sfide: le malattie sessualmente trasmissibili, l'HIV, e la gravidanza. Circa 13 milioni di ragazze adolescenti (di età inferiore ai 20 anni) partoriscono ogni anno. Le complicazioni di queste gravidanze sono una delle principali cause di morte per le giovani madri. Molte, inoltre, soffrono le conseguenze di aborti a rischio;
    l) invecchiare. Avendo lavorato spesso in casa, le donne più anziane possono avere minori pensioni e sussidi, un minor accesso alle cure sanitarie e ai servizi sociali rispetto ai loro colleghi maschi. Le donne anziane hanno anche un rischio maggiore di abusi e, in generale, peggiori condizioni di salute;
   sulla base di questi dati l'Organizzazione mondiale della Salute ha organizzato, presso le Nazioni Unite, una conferenza internazionale per affrontare i problemi legati alla condizione delle donne anche alla luce degli impegni assunti nella Dichiarazione di Pechino del 1995 e rinnovare l'impegno globale per eliminare le disuguaglianze che mettono l'accesso a servizi sanitari decenti fuori dalla portata di tante donne –:
   quali siano stati gli esiti della conferenza presso le Nazioni Unite;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere in merito alle priorità indicate dall'Organizzazione mondiale della sanità e riportate in premessa.
(4-08776)


   FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 125, della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015) ha riconosciuto un assegno di importo pari a 960 euro per ogni figlio nato o adottato tra il 1o gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017. L'assegno viene erogato mensilmente a decorrere dal mese di nascita o adozione e per 3 anni, a condizione che il nucleo familiare del genitore richiedente sia in una situazione economica corrispondente a un valore dell'ISEE non superiore a 25.000 euro annui;
   lo stesso articolo riconosce una misura doppia qualora il valore dell'ISEE non sia superiore a 7.000 euro annui;
   l'accesso al bonus, secondo attendibili stime, potrebbe interessare circa 330.000 bambini sui 500.000 che in media nascono annualmente in Italia;
   a oggi in Italia sono nati circa 50.000 bambini le cui famiglie, potenzialmente, potrebbero avere accesso al contributo economico;
   il comma 126 del citato articolo 1 della legge n. 190 del 2014 prevedeva che entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro dell'economia e delle finanze, fossero stabilite le disposizioni necessarie a dare attuazione al bonus;
   allo stato, tale decreto non risulta emanato e il ritardo si somma ai problemi che molte famiglie stanno incontrando nella redazione del nuovo ISEE, necessario per valutare il possesso dei requisiti di accesso al contributo economico –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere il Governo in merito a quanto esposto in premessa. (4-08777)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazioni a risposta immediata:


   VARGIU. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 22 del decreto legislativo n. 33 del 2013 dispone precisi obblighi di pubblicazione dei dati relativi agli enti pubblici vigilati e agli enti di diritto privato in controllo pubblico, nonché alle partecipazioni in società di diritto privato;
   nello specifico il comma 1 prescrive a ciascuna amministrazione la pubblicazione e l'aggiornamento annuale di tre diversi elenchi che riguardano:
    a) gli enti pubblici, comunque denominati, istituiti, vigilati e finanziati dall'amministrazione medesima ovvero per i quali l'amministrazione abbia il potere di nomina degli amministratori dell'ente. Per tali enti vanno elencate le funzioni attribuite e le attività svolte in favore dell'amministrazione o le attività di servizio pubblico affidate;
    b) le società di cui sono detenute direttamente quote di partecipazione anche minoritaria. Per tali società sono da indicare l'entità della quota, con l'indicazione delle funzioni attribuite e delle attività svolte in favore dell'amministrazione o delle attività di servizio pubblico affidate;
    c) gli enti di diritto privato, comunque denominati, in controllo dell'amministrazione, con l'indicazione delle funzioni attribuite e delle attività svolte in favore dell'amministrazione o delle attività di servizio pubblico affidate;
   il comma 2 prescrive, per ciascuno di tali enti, la pubblicazione dei dati relativi alla ragione sociale, alla misura dell'eventuale partecipazione dell'amministrazione, alla durata dell'impegno, all'onere complessivo a qualsiasi titolo gravante per l'anno sul bilancio dell'amministrazione, al numero dei rappresentanti dell'amministrazione negli organi di governo, al trattamento economico complessivo a ciascuno di essi spettante, ai risultati di bilancio degli ultimi tre esercizi finanziari. Sono, altresì, pubblicati i dati relativi agli incarichi di amministratore dell'ente e il relativo trattamento economico complessivo;
   un'approfondita e scrupolosa ricerca condotta dal centro studi dei Riformatori sardi, sulla base di quanto pubblicato dalle amministrazioni provinciali e comunali sui loro siti, ha rilevato la presenza di 29 società partecipate dalle province e 26 partecipate comunali al 100 per cento. Di queste ultime 15 si trovano nei comuni con popolazione inferiore ai 15 mila abitanti;
   i ricercatori del centro studi dei Riformatori sardi hanno verificato la sussistenza dei requisiti previsti dal comma 2 dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 33 del 2013 e dall'analisi è emerso che il 58 per cento delle partecipate provinciali e il 73 per cento delle società partecipate comunali in house non pubblica o non aggiorna i dati relativi specificatamente agli oneri erogati dalle amministrazioni alle partecipate e ai risultati di bilancio;
   la ricerca ha accertato, inoltre, che le amministrazioni provinciali e comunali hanno erogato complessivamente negli ultimi anni circa 60 milioni di euro (rispettivamente 32,5 milioni di euro le province e 26,8 milioni di euro i comuni per le società in house). Tale ammontare si intende come parziale e sottostimato, perché limitato solo alle cifre dichiarate dalle singole amministrazioni;
   un focus specifico sugli enti controllati nei sette comuni con popolazione superiore ai 30 mila abitanti (Cagliari, Sassari, Nuoro, Quartu Sant'Elena, Oristano, Alghero, Olbia) ha rilevato la presenza, in questi comuni, di 66 enti tra enti pubblici vigilati, società partecipate a qualsiasi quota ed enti di diritto privato controllati per un totale di oneri dichiarati pari ad almeno 35,1 milioni di euro;
   tra le suddette realtà si riscontra oltre la metà di enti con requisiti di trasparenza non coincidenti con quanto stabilito dall'articolo 22 del decreto legislativo n. 33 del 2013;
   al comma 4 dell'articolo 22 del decreto legislativo n. 33 del 2013 si dispone che, nel caso di mancata o incompleta pubblicazione dei dati relativi agli enti sopra indicati, è vietata l'erogazione in loro favore di somme a qualsivoglia titolo da parte dell'amministrazione interessata –:
   se possano essere considerati legittimi i trasferimenti alle società partecipate e agli altri enti citati dal comma 1 dell'articolo 22 del decreto legislativo n. 33 del 2013 erogati dalle amministrazioni inadempienti con gli obblighi previsti dallo stesso articolo e, in caso negativo, se possano essere revocati. (3-01432)


   AIRAUDO, PLACIDO, SCOTTO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DURANTI, DANIELE FARINA, FERRARA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, MATARRELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il burrascoso avvio dell’iter di riordino delle funzioni istituzionali di cui alla legge n. 56 del 2014 (cosiddetta legge Delrio), che vede coinvolte in primis le province e che sposterà, secondo un preciso ed affrettato timing scandito dai commi da 418 a 430 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015), funzioni e personale corrispondenti in altri enti, attraverso una riduzione della dotazione organica del personale, nella misura del 50 per cento per le province e del 30 per cento per le città metropolitane, e l'avvio delle relative procedure per la mobilità per le unità in esubero hanno generato una situazione di vero stallo istituzionale;
   secondo il suddetto timing, infatti, il 31 marzo 2015 scadeva il termine entro cui ogni ente provinciale, con la presentazione delle liste di eccedenza di organico, avrebbe dovuto individuare il personale che intende mantenere per gestire le nuove funzioni attribuitegli dalla «riforma Delrio». Ma, com'era ampiamente e tristemente prevedibile, la medesima data è scivolata via senza novità di rilievo;
   è, inoltre, trascorso, oramai da quasi un mese, il termine entro il quale, secondo lo stesso cronoprogramma, il Ministro interrogato avrebbe dovuto adottare il decreto per fissare tutti quei criteri finalizzati alle procedure di mobilità del personale soprannumerario delle province, con riferimento all'ambito territoriale della mobilità, al domicilio ed alle caratteristiche professionali e di anzianità anagrafica e contributiva, al fine di favorire il più possibile la ricollocazione del personale interessato e valorizzarne la professionalità acquisita, tutti criteri fondamentali anche ai fini della realizzazione, da parte dello stesso dicastero, della piattaforma informatica alla quale è affidato il compito di realizzare l'incontro domanda/offerta di mobilità tra i dipendenti provinciali in sovrannumero e gli enti coinvolti nella loro ricollocazione;
   l'assenza del suddetto decreto si accompagna anche all'assenza del censimento dei posti vacanti e delle disponibilità finanziarie delle pubbliche amministrazioni. È, infatti, rimasto solo sulla carta quel passaggio, oramai scaduto il 1o marzo 2015, entro cui le amministrazioni avrebbero dovuto redigere piani di riassetto economico, organizzativo, economico, finanziario e patrimoniale, fissandone le relative procedure per la mobilità;
   anche gli enti intermedi, come le regioni su tutti, non si stanno mostrando particolarmente collaborativi (qualcuno parla addirittura di una forma di boicottaggio più o meno esplicito da parte loro). Il rimescolamento di personale, infatti, coinvolgerà in primo luogo le stesse regioni, a cui saranno dirottati molti dei dipendenti finiti in esubero per effetto della redistribuzione delle funzioni provinciali. Risulta agli interroganti che ad oggi soltanto Liguria, Toscana, Umbria e Marche hanno approvato la legge propedeutica al trasferimento delle competenze sottratte alle province e sulla base della quale andranno definite le classi di mobilità e di ripartizione dei dipendenti in esubero;
   ma non sono soltanto le regioni a dover allargare i propri organici, pur se chiamate ad integrare la quota più ampia di lavoratori. Stessa linea dovrà essere seguita anche da Stato e comuni, gli altri due livelli istituzionali, in cui, secondo i dettami della legge di stabilità per il 2015, saranno dirottati i lavoratori delle province in esubero. D'altra parte non si può, in ogni caso, non prendere atto della circostanza che molte amministrazioni pubbliche hanno estrema difficoltà ad accettare l'influenza nella propria autonomia della scelta normativa di congelare le nuove assunzioni al fine di assorbire tutto il personale delle disciolte province;
   tale situazione, unita all'assenza di un coordinamento nel processo di ricollocazione, sta determinando il caos più totale, come casi di: mobilità riservate ma non esclusivamente ai dipendenti soprannumerari; mobilità neutre aperte a tutti; concorsi, come quello indetto dall'Agenzia delle entrate per effetto del «decreto milleproroghe» 2015; mobilità che non considerano la priorità dei dipendenti soprannumerari, come loro collocazione in testa a ogni altro interessato, ma solo come punteggio di favore, situazione determinatasi nel caso del bando da 1.031 posti del Ministero della giustizia;
   il numero esatto dei lavoratori coinvolti dalla suddetta diaspora, secondo i calcoli delle parti sociali, è prossimo alle 20.000 unità: si tratterebbe, pertanto, del più grande processo di mobilità dei dipendenti pubblici mai realizzato nel nostro Paese;
   il fondato timore di tutti è che i dipendenti delle province, da esuberi designati, possano finire, tra continui rinvii amministrativi, in un limbo senza un esito prevedibile, vittime dell'impeto riformatore di un Governo che sembra più preoccupato di annunciare il risultato piuttosto che assumere l'atteggiamento migliore con il quale guidare il cambiamento;
   all'incertezza sulla complessiva tenuta del sistema, soprattutto dopo i preoccupanti tagli apportati ai finanziamenti degli enti locali con la legge di stabilità per il 2015, e sulle effettive garanzie a salvaguardia dei livelli occupazionali e salariali, si aggiunge la difficoltà delle amministrazioni interessate al processo di riorganizzazione di conciliare la ricollocazione del personale provinciale alle proprie effettive esigenze lavorative, senza mortificare o disperdere il patrimonio professionale di quanti, sino ad oggi, sono stati quotidianamente al servizio dei cittadini;
   qualsiasi ipotesi d'indiscriminata messa in mobilità di lavoratori pubblici va, pertanto, contrastata attraverso una gestione condivisa del processo di riforma dell'assetto istituzionale che consenta di riorganizzare il sistema valorizzando il capitale umano –:
   come si intendano rispettare i termini di perfezionamento del suddetto processo di riordino e come si intenda giungere, entro il 31 dicembre 2016, al pieno ricollocamento di tutto il personale delle province, intervenendo, se necessario, anche normativamente per correggere i tagli finanziari a regioni, province e comuni, al fine di evitare il collocamento in disponibilità anche di un solo dipendente e, quindi, scongiurare l'avvio dei licenziamenti a conclusione dell'intero iter. (3-01433)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   il Gruppo Prysmian è una realtà multinazionale che opera nel settore dei cavi e sistemi per l'energia e le telecomunicazioni. Il Gruppo vanta nel 2013 un fatturato di circa 7 miliardi di euro e una presenza in 50 paesi con 91 stabilimenti e circa 19.000 dipendenti, posizionandosi in particolare nella fascia di mercato a più elevato contenuto tecnologico;
   nel settore dell'energia, il Gruppo Prysmian opera nel business dei cavi e sistemi terrestri e sottomarini per la trasmissione di energia, cavi speciali per applicazioni in diversi settori industriali e cavi di media e bassa tensione per le costruzioni edili e le infrastrutture, mentre per il settore delle telecomunicazioni produce cavi e accessori per la trasmissione di voce, video e dati, con fibra ottica, cavi ottici e in rame e sistemi di connettività;
   in Italia il Gruppo opera attraverso la società Prysmian Cavi e Sistemi Italia srl, con sede legale a Milano, in Viale Sarca 222;
   Prysmian produce in Italia negli stabilimenti di Merlino (LO), Giovinazzo (BA), Pignataro Maggiore (CE), Livorno, Ascoli Piceno, Origgio (VA) e Quattordio (AL) cavi e accessori per la generazione, il trasporto e la distribuzione dell'energia elettrica; per il cablaggio di navi, per i sistemi di sollevamento, per treni e metropolitane; per le linee ferroviarie, per ascensori, per l'alimentazione e il controllo di impianti industriali, per le energie rinnovabili, come il fotovoltaico e l'eolico. Inoltre, Prysmian Italia è il centro di eccellenza per la progettazione, la vendita e la produzione di cavi ed accessori dedicati ad impianti petrolchimici e di estrazione, infrastrutture e piattaforme offshore;
   attraverso la Società Prysmian PowerLink srl, il Gruppo produce – nello stabilimento di Arco Felice (NA) – cavi sottomarini, impiegati per la realizzazione dei più grandi collegamenti esistenti al mondo, mentre nell'ambito del business Telecomunicazioni, Prysmian Italia opera sul mercato italiano ed estero con una struttura dedicata, la società Fibre Ottiche Sud srl di Battipaglia (SA) è specializzata nella produzione di fibre ottiche;
   si tratta, quindi, di una azienda ad alto contenuto tecnologico e con una consistente presenza in Italia, con fatturati in attivo e leadership nel settore riconosciuta a livello mondiale;
   il 27 febbraio 2015 la società ha annunciato la propria volontà di chiudere lo stabilimento di Ascoli Piceno, che conta 120 lavoratori;
   secondo quanto riportano fonti sindacali non ci sarebbero al momento margini di discussione con, l'azienda in merito alla possibilità di evitare la chiusura, mentre qualche possibilità ci sarebbe in ordine alla gestione della fase di chiusura stessa. Graziano Bachetti della Rsu Cgil ha affermato, infatti, che «il capo del personale Gianluca Delle Piane ha fatto intendere che ci sarebbe potuta essere un'apertura sul come gestire la chiusura, probabilmente nell'ottica di ricollocamenti o incentivazioni» (dichiarazione riportata dal Corriere Adriatico del 1o marzo 2015);
   sono immaginabili, anche nel caso più roseo della ricollocazione in altri stabilimenti, i gravi disagi che i 120 lavoratori dello stabilimento di Ascoli potrebbero dover affrontare a seguito della decisione della chiusura dello stabilimento. Si pensi soltanto all'ipotesi di trasferimento in altri stabilimenti situati a centinaia di chilometri di distanza dal luogo di residenza, che costringerebbe i lavoratori a riprogrammare la propria vita e quella delle proprie famiglie, sopportando ulteriori spese che contrarrebbero sensibilmente la loro disponibilità economica. Senza contare le ovvie ripercussioni economiche negative su un territorio già colpito significativamente da crisi industriali;
   il Governo ha stanziato 430 milioni di euro per finanziamenti agevolati che il Ministero dello sviluppo economico concederà alle imprese del sud Italia che hanno partecipato ai bandi «Investimenti innovativi» e «Efficienza energetica» in Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Sono state oltre 1000 le imprese del Meridione che hanno presentato domanda di accesso ai due bandi aperti rispettivamente il 4 marzo 2014 ed il 29 aprile 2014, delle quali 856 potranno contare su agevolazioni sotto forma di finanziamento rimborsabile che andranno a coprire il 75 per cento dei costi totali ammissibili dei programmi di investimento in innovazione tecnologica o per la riduzione del consumo di energia primaria, pari in tutto a 574 milioni di euro (dati Ministero dello sviluppo economico);
   il vice presidente della regione Marche Antonio Canzian ha dichiarato di aver ottenuto preoccupanti informazioni da fonti ministeriali secondo le quali «la Prysmian è risultata nei primi posti della speciale graduatoria del bando di 430 milioni per Efficienza e Innovazione alle imprese del sud Italia, l'azienda avrebbe così ottenuto un finanziamento di 40 milioni per l'ampliamento dello stabilimento di Giovinazzo, in Puglia» (dichiarazione riportata dal Corriere Adriatico del 3 marzo 2015); traendo, da ciò, la conclusione che la chiusura dello stabilimento di Ascoli sia riconducibile alla maggior convenienza nel produrre nel sud Italia a seguito del programma di incentivi citato;
   alla Prysmian sarebbe stata concessa un'agevolazione di 32 milioni di euro di cui 13 a fondo perduto e 19 con finanziamento agevolato per gli stabilimenti di Arco Felice (Napoli), Battipaglia (Salerno), Pignataro Maggiore (Caserta) (fonte Corriere Adriatico del 3 marzo 2015);
   se tale indiscrezione fosse confermata si porrebbe, con tutta evidenza, la necessità di inibire un utilizzo distorto di incentivi e agevolazioni – pur positivi — volti a stimolare la crescita in una area del Paese economicamente depressa;
   si evidenzia, peraltro, che il 17 novembre 2014 a Sidney, Australia, sede centrale della Prysmian lo stesso Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha elogiato il medesimo gruppo affermando: «Un'azienda italiana può essere leader nel mondo se noi coinvolgiamo la gente a lavorare giorno dopo giorno in un grande progetto, grazie del vostro lavoro, grazie della vostra qualità»;
   il 16 settembre 2014 a Bruxelles la Commissione europea ha approvato la nuova Carta di aiuti di Stato 2014-2020 determinando l'intervento finanziabile alle regioni già previste e in favore di altri comuni, tra i quali anche Ascoli Piceno dove è localizzato il sito produttivo che il gruppo Prysmian, nella persona dell'amministratore delegato, ha annunciato di dismettere in data 9 aprile 2015 –:
   quali iniziative intendano, intraprendere i Ministri interpellati alla luce di quanto descritto dalla presente interpellanza al fine di salvaguardare lo stabilimento Prysmian di Ascoli;
   quali proposte saranno avanzate al riguardo nell'ambito del prossimo tavolo di confronto presso il Ministero dello sviluppo economico tra azienda, organizzazioni sindacali e rappresentanti delle istituzioni del territorio;
   se il Governo sia in grado di confermare la concessione di agevolazioni pubbliche per gli stabilimenti Prysmian situati nel sud Italia;
   se il Governo non ritenga di intervenire, anche con iniziative di carattere normativo, per correggere le possibili distorsioni che la concessione di incentivi può attivare, prevedendo – ad esempio – misure di esclusione di incentivi e agevolazioni per realtà economiche multinazionali, in attivo e già operanti con successo nel territorio nazionale;
   in base a quali criteri l'Agenzia Invitalia ed il Governo eroghino e monitorino i reali effetti dei finanziamenti previsti dalla Carta di aiuti di Stato 2014-2020;
   se non si ritenga quanto mai necessario porre in essere ogni iniziativa finalizzata a vincolare detti finanziamenti, se non all'incremento, almeno al mantenimento dei livelli occupazionali 2014 del gruppo Prysmian;
   quali iniziative di competenza si intendano assumere al fine di prevedere un finanziamento specifico anche in favore del sito produttivo di Ascoli Piceno, che sinora si è contraddistinto per la sua efficienza;
   come sia possibile conciliare l'erogazione di finanziamenti pubblici in favore di un gruppo produttivo, con la finalità di salvaguardia ed incremento dell'occupazione, con la contestuale dismissione, da parte dello stesso gruppo, di un sito efficiente localizzato in altro territorio;
   quali azioni il Governo intenda assumere per tutelare il posto di lavoro di centinaia di dipendenti e impedire che imprese che beneficiano dei finanziamenti pubblici finiscano per generare nuova disoccupazione in aree del Paese già in grande difficoltà.
(2-00924) «Ricciatti, Scotto, Civati, Ferrara, Luciano Agostini, Airaudo, Placido».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   a seguito di un accordo siglato lo scorso 27 marzo, la Buzzi Unicem, multinazionale piemontese attiva nella produzione e distribuzione di cemento, calcestruzzo e aggregati naturali, ha acquistato, per circa 120 milioni di euro, il 99,5 per cento del capitale della Sacci Spa, gruppo che, con i suoi stabilimenti in Italia, da circa 70 anni opera nel settore;
   l'accordo prevede il contestuale risanamento di tutta l'esposizione debitoria della Sacci, conseguente al precedente accordo di ristrutturazione, ma per completare la procedura d'acquisto occorre attendere alcuni mesi, in quanto è necessario il parere favorevole dell'autorità garante della concorrenza e del mercato, nonché l'approvazione delle banche e dei creditori del gruppo Sacci, la cui esposizione finanziaria ammonta a circa 400 milioni di euro;
   attraverso l'acquisizione della Sacci spa, la Buzzi Unicem intende svolgere un ruolo di primo piano nel processo di consolidamento del settore in Italia, potendo vantare già di suo un fatturato di due miliardi e mezzo di euro e dunque una grande solidità finanziaria;
   la situazione aziendale della Buzzi Unicem lascia presupporre per il gruppo la possibilità di investire nella nuova proprietà e rilanciare l'attività produttiva degli stabilimenti Sacci che già da qualche tempo, in alcuni casi, lavorano a singhiozzo e dove sono state avviate procedure di mobilità a carico dei lavoratori per complessive 135 unità, in organico presso le sedi di: Roma, Castelraimondo (MC), Livorno, Pescara, Monte Roberto (AN), Bagno a Ripoli (FI), S. Martino sulla Marrucina (CH), Mondolfo (PU), Roseto degli Abruzzi (TE), Tavernola Bergamasca (BG), San Giovanni Teatino, Collecorvino (PE), Notaresco (TE), Roma Portuense;
   di fronte ad un così complesso ed importante piano di acquisizione è opportuno conoscere concretamente il contenuto e gli indirizzi del piano industriale del gruppo Buzzi;
   di recente i sindacati hanno unitariamente indetto lo stato di agitazione in tutti i siti produttivi della Sacci spa, a sostegno delle posizioni dei lavoratori, chiedendo l'apertura di un tavolo nazionale, finalizzato alla ricerca di soluzioni utili ad evitare le chiusure degli stabilimenti in questione e, più in generale, ad accertare la natura e le caratteristiche del piano industriale del gruppo Buzzi –:
   quali siano le intenzioni e le iniziative in itinere intraprese dal Governo per verificare il contenuto e gli obiettivi del piano industriale del gruppo Buzzi, al fine di tutelare la piena occupazione dei siti produttivi, scongiurando la chiusura di stabilimenti in grado di dare anche ai nuovi acquirenti solidi elementi di continuità produttiva se non addirittura di espansione.
(2-00926) «Manzi, Lodolini, Morani, Petrini, Carrescia, Carella, Albini, Ermini, Taricco, Castricone, Manfredi, Arlotti, Rotta, Cova, Giuseppe Guerini, Gribaudo, Zappulla, Porta, Gnecchi, Carnevali, Tidei, Miccoli, Becattini, Mauri, Cominelli, Luciano Agostini, Marchetti, Malpezzi, Magorno, Richetti, Rocchi».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PARENTELA, LUIGI DI MAIO, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, BENEDETTI e GALLINELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che il Fatto Alimentare avrebbe chiesto l'immediata censura ad Antitrust e Giurì dell'istituto di autodisciplina pubblicitaria per l'ultimo spot di McDonald's trasmesso in tv e sulla rete;
   nel video di 20 secondi si vede il cameriere di una pizzeria che chiede a una giovane coppia con bambino che tipo di cosa vogliano ordinare. Mentre mamma e papà appaiono indecisi, la richiesta è girata al piccolo che senza pensarci urla: «Happy Meal». Dopo questa risposta la scena cambia, e la famiglia festeggia la scelta;
   il bambino in pizzeria che nello spot di McDonald's chiede un Happy Meal è scorretto perché discredita la categoria dei pizzaioli, induce in errore sulle corrette abitudini alimentari dei bambini, abusa dei naturali sentimenti dei genitori verso i figli, e gioca sulla naturale credulità e mancanza di esperienza dei piccoli in materia alimentare;
   un Happy Meal nella maggioranza dei casi comprende un hamburger, una bibita dolce, una porzione di patatine fritte e un dessert dolce (oltre 700 calorie). L’Happy Meal può comprendere anche un hamburger, una bottiglietta di acqua minerale, una porzione di carote e uno yogurt biologico (per un totale di circa 250 kcal), ma questa combinazione viene scelta da una percentuale ridicola di bambini i quali preferiscono la prima soluzione con più calorie, troppi grassi e troppi zuccheri;
   l'interrogante è cofirmatario dell'atto di sindacato ispettivo n. 4-07991, per giunta senza risposta, nel quale si evidenzia che «secondo i dati dell'Istituto superiore della sanità l'Italia detiene il triste primato europeo del numero di bambini sovrappeso o obesi e che secondo il recente rapporto dell'Osservatorio del dipartimento di sociologia e ricerca sociale dell'università Milano Bicocca, un bambino su 4 è sovrappeso e uno su 10 è obeso. In Italia la prevalenza di sovrappeso in età pediatrica supera di circa 3 punti percentuali la media europea, con un tasso di crescita/annua dello 0,5-1 per cento, pari a quella degli Stati Uniti»;
   la pubblicità televisiva influenza moltissimo i bimbi nelle preferenze alimentari, non solo come consumatori da blandire ed educare, ma anche come canale tra il mercato del consumo e la famiglia: secondo alcune ricerche USA nel 2004 i bambini da 4 a 12 anni hanno determinato 330 miliardi di dollari di spese adulte e ne hanno influenzato altri 340;
   McDonald's non è nuova a pubblicità ambigue e a iniziative eclatanti come il coinvolgimento dell'allora Ministro dell'agricoltura Zaia o di cuochi del calibro di Gualtiero Marchesi, oppure l'abbinamento temporaneo di alcune proposte culinarie «tipiche» come la pasta Barilla, il Parmigiano Reggiano e la bresaola della Valtellina. Tutte trovate brillanti che servono a ingentilire i menu principali della catena caratterizzati da troppe calorie, troppi zuccheri e troppi grassi e dove il principale ingrediente è carne proviene da vacche a fine carriera, di qualità non proprio eccellente tanto da non essere venduta nemmeno nei supermercati;
   è doveroso ricordare che nel 2011 in Brasile McDonald's è stata condannata a pagare una multa di 1,3 milioni di euro per pubblicità ingannevole. L'accusa rivolta dalla fondazione di difesa del consumatore Procon di San Paolo era di diffondere cattive abitudini alimentari ai bambini enfatizzando la presenza di un giocattolo in omaggio nella confezione dell’Happy Meal;
   è significativo che la catena più importante di fast food inserita nella lista dei principali sponsor di Expo 2015 proponga spot scorretti proprio pochi giorni prima dell'inaugurazione dell'esposizione mondiale;
   in Italia, né il Codice di Autoregolamentazione Tv e minori, né la legge n. 122 del 1998, né la successiva legge Gasparri, né il recente codice di consumo, hanno dettato disposizioni specificamente rivolte alla regolamentazione della pubblicità di prodotti alimentari. Infatti, i citati provvedimenti legislativi e autoregolamentari non si sono mai preoccupati dei danni derivanti dalla proposizione mediatica di modelli alimentari scorretti, nella convinzione che fosse sufficiente tutelare bambini ed adolescenti dagli spot dei prodotti da fumo e degli alcolici. Pertanto, si fa riferimento alle normative comunitarie che definiscono principi, parametri minimi è disposizioni specifiche a tutela dei minori, come il divieto di inserire la pubblicità nei programmi di cartoni animati –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno, per controbilanciare gli effetti dannosi di un'informazione distorta in materia di salute alimentare ad opera di multinazionali che lucrano sul consumo di alimenti e, al contempo, salvaguardare le fasce più deboli quali quelle dei bambini, avviare una campagna di sensibilizzazione su tv, web e negli ambienti pubblici, come le scuole, al fine di rendere più informati e consapevoli i consumatori;
   quali iniziative di natura normativa il Governo intenda intraprendere al fine di regolamentare la pubblicità di prodotti alimentari tutelando la salute dei consumatori ed introducendo misure specifiche per i minori. (5-05327)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Famiglietti e altri n. 1-00685, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Albanella.

  La mozione Cariello e altri n. 1-00688, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Pisano, Benedetti.

  La mozione Iori e altri n. 1-00785, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Antimo Cesaro, Rabino, Albanella, Piazzoni.

  La mozione De Girolamo e altri n. 1-00797, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sammarco.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Prestigiacomo e altri n. 7-00655, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sammarco.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Petraroli n. 4-08689, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Mannino.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Vallascas n. 7-00648, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 403 del 1o aprile 2015.

   Le Commissioni VIII e X,
   premesso che:
    l'Unione europea si è data un obiettivo unilaterale al 2020 di riduzione delle emissioni climalteranti del 20 per cento rispetto al 1990. A questo obiettivo sono connessi l'aumento delle fonti rinnovabili fissato al 20 per cento dei consumi di energia e l'efficienza energetica come riduzione del 20 per cento dei consumi di energia. Al 2030 si è successivamente data obiettivi più stringenti: il 27 per cento di produzione di energia da fonti rinnovabili, miglioramento del 27 per cento di efficienza energetica, –40 per cento di riduzione di CO2;
    dai primi dati disponibili nel 2014 la riduzione delle emissioni di gas serra rispetto al 1990 si attesterà a circa il 19 per cento arrivando – con ben 6 anni di anticipo – molto vicino al target UE 2020 di riduzione del 20 per cento;
    la penetrazione delle rinnovabili nei consumi di energia nel 2014 – con ben 6 anni di anticipo – raggiungerà il target UE 2020 obbligatorio del 17 per cento;
    i consumi di energia si sono ridotti – già al 2014 – a 31 per cento, molto al disotto del livello del 20 per cento considerato come obiettivo 2020 di miglioramento di efficienza energetica dalla direttiva 2012/27/UE e dalla SEN (strategia energetica nazionale);
    la grande crisi economica che ha colpito l'Europa e soprattutto il nostro Paese non permette più un approccio superficiale e ideologico alle politiche energetico-ambientali. Esse possono rappresentare realmente un'opportunità per uscire dalla crisi solo se si è in grado di investire su quelle più efficaci dopo un'accurata analisi costi e benefici;
    il piano geotermico del Governo 2010 e 2012 risulta, ad avviso dei firmatari del presente atto, non oculato, in quanto predisposto senza alcuna norma dello Stato sugli inserimenti nei territori di tali impianti e senza alcuna attenzione alle problematiche poste dallo sfruttamento geotermico (sismicità, falde acquifere, paesaggio, salute pubblica per citarne alcuni);
    il decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, che abroga le precedenti disposizioni in materia fissate dalla legge 9 dicembre 1986, n. 896, semplifica le procedure d'assegnazione in concessione delle risorse geotermiche e le regole per ottenerne le autorizzazioni, con lo scopo di facilitare l'uso della geotermia a fini energetici e di ridurre le emissioni di anidride carbonica;
    il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, al fine di promuovere la ricerca e lo sviluppo di nuove centrali geotermoelettriche sperimentali, ha agevolato la possibilità di installare su tutto il territorio nazionale impianti pilota, con potenza nominale installata non superiore a 5 MWe, sancendo che l'autorità competente per il conferimento dei relativi titoli minerari fosse il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con la regione interessata;
    il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, «recante misure urgenti per la crescita del Paese», ha disposto l'inserimento dell'energia geotermica tra le fonti energetiche strategiche;
    il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, recante «disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», ha stabilito che gli impianti geotermici pilota sono di competenza statale e che pertanto sono sottoposti alla valutazione di impatto ambientale di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e ha, inoltre, stabilito (per gli stessi impianti) l'esclusione dalle previsioni della «direttiva Seveso» (direttiva 96/82/CE), generando preoccupazioni rispetto alla loro sicurezza nelle operazioni di esercizio, con particolare riferimento alla prevenzione di incidenti connessi alla presenza di sostanze pericolose;
    il decreto ministeriale 6 luglio 2012, in attuazione all'articolo 24 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, introduce una incentivazione «base» per gli impianti geotermici ad autorizzazione regionale assoggettati alla doppia fase di ricerca e poi concessione, ma introducendo una incentivazione maggiore per gli impianti pilota sperimentali di potenza fino a 5 megawatt (per una potenza complessiva fino a 50 megawatt), ponendo una condizione paradossale in cui impianti di maggiore potenza, sperimentali e potenzialmente pericolosi, hanno un iter autorizzativo semplificato e un incentivo maggiorato;
    le opportunità a lungo termine dischiuse dall'impiego dell'energia geotermica, se da un lato offrono un forte stimolo alla ricerca, dall'altro pongono alcune problematiche che richiedono risposte allo scopo di far progredire la tecnologia. Ad esempio: in che misura è utilizzabile la risorsa geotermica e quali costi economici comporta; quali azioni dovranno essere sostenute per ottenere da parte delle comunità un clima di consenso sufficiente a consentire il sostegno in termini di ecologia e rischi legati allo sfruttamento della risorsa geotermica per la produzione di elettricità; come si relaziona nel complesso, la geotermia rispetto alle altre fonti energetiche concorrenti; se sarà possibile elaborare in breve termine un quadro normativo che faciliti lo sviluppo della geotermia intesa sia per la produzione di elettricità che per gli usi diretti (pompe di calore, raffrescamento-riscaldamento);
    l'approccio valutativo suggerito dovrebbe essere di tipo interdisciplinare con un confronto con altre tecnologie. Inoltre, una dialettica con i vari gruppi d'interesse nel processo decisionale dovrebbe essere presa in considerazione. È necessario confrontare i punti di forza e di debolezza della geotermia, in tutte le sue diverse applicazioni, al fine di ottenere indicazioni sul ruolo che essa potrà svolgere all'interno del futuro mix energetico nazionale,

impegnano il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa utile, anche normativa, al fine di predispone delle linee guida a cura dei Ministeri competenti, di concerto con le regioni e gli enti locali, in campo geotermico che definiscano, chiaramente i parametri ambientali di riferimento e le soglie di tolleranza, tutti i dispositivi necessari per il controllo e la prevenzione dei potenziali impatti, in particolare sismicità, falde acquifere, paesaggio e salute pubblica, da inserire in fase di richiesta di valutazione di impatto ambientale, e un piano di tutela per coprire il rimborso di eventuali danni territoriali, anche attraverso una polizza fideiussoria;
   a predisporre una «zonazione» del territorio su basi geologiche, sismo-tettoniche ed idrogeologiche per identificare le aree che, già individuate dagli strumenti urbanistici come idonee per insediamenti industriali, siano adatte ad ospitare insediamenti geotermici e le aree in cui vietare il rilascio di concessioni di ricerca e la realizzazione di impianti geotermici, al fine di evitare potenziali fonti di inquinamento ambientale e pericoli per la salute dei cittadini residenti in tali aree;
   ad assumere iniziative per introdurre dei vincoli alle concessioni di ricerca e alla realizzazione di impianti geotermici in base alla vicinanza di aree di produzioni agricole di qualità e per subordinare il rilascio di concessioni ad una valutazione di impatto economico sulle attività produttive locali e alla stesura del bilancio idrico; ree di produzioni agricole di qualità;
   a sostenere lo sviluppo e la diffusione della geotermia a bassa entalpia, ossia impianti che sfruttano il calore a piccole profondità, per l'importante contributo che può dare alla riduzione del fabbisogno energetico del patrimonio edilizio italiano;
   ad assumere iniziative per rivedere gli attuali meccanismi incentivanti garantiti al geotermico, in quanto fonte rinnovabile, al fine di confermare detti incentivi solo qualora la produzione di energia non comporta consumo di acqua proveniente dagli acquiferi superficiali oltre che da quelli termali e dal geotermico;
   ad assumere ogni iniziativa utile al fine di armonizzare i diversi regimi di incentivazione attualmente vigenti per gli impianti geotermici pilota e quelli ad autorizzazione regionale utilizzanti le stesse tecnologie;
   a prevedere iniziative al fine di rivedere la norma contenuta nella legge 9 agosto 2013, n. 98, richiamata in premessa, per includere di nuovo le previsioni della «direttiva Seveso» nelle operazioni di trivellazione ed esercizio degli impianti geotermici pilota, con particolare riferimento alla prevenzione di incidenti rilevanti ed all'assenza ex lege dei requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione territoriale, con riguardo alla destinazione e all'utilizzazione dei suoli che tengano conto della necessità di mantenere le opportune distanze tra stabilimenti e zone residenziali o frequentate dal pubblico;
   ad adottare una opportuna iniziativa al fine di inserire l'obbligo della sigillatura del pozzo atta ad evitare la possibilità di scambio tra falde idriche diverse e l'obbligo di evitare il depauperamento della risorsa idrica di falda e di superficie sia in termini quantitativi che qualitativi; prevedendo delle penali;
   ad assumere iniziative per concedere la qualifica di impianto pilota solo ad impianti per cui il contributo di innovazione e sperimentazione sia attestato da specifico brevetto nazionale per il quale venga dimostrato, sulla base di documentate evidenze tecnico-scientifiche, l'impiego di tecniche di coltivazione, di uso diretto del calore o di trasformazione del calore endogeno in energia elettrica migliori in termini ambientali rispetto alle tecniche standard;
   ad assumere iniziative per assegnare alle regioni interessate la competenza in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA) anche per gli impianti geotermici pilota;
   ad assumere iniziative normative affinché per gli impianti già a regime e per quelli che eventualmente verranno realizzati sia previsto (pena la sospensione della concessione) un sistema di controlli ambientali effettuati dalla ISPRA e dalla competente agenzia regionale per la protezione ambientale, a spese del concessionario, volti a verificare (pena la sospensione della concessione) che le acque destinate al consumo umano soddisfino i requisiti del decreto legislativo n. 31 del 2001, che le altre matrici ambientali non risultino contaminate e che la sismicità non aumenti significativamente, prevedendo anche che i risultati dei controlli e dei monitoraggi supplementari siano divulgati al pubblico entro 15 giorni per il tramite dei siti Web del gestore, dell'autorità ambito e dell'agenzia ambientale competente per quel territorio;
   ad assumere iniziative normative per una moratoria sugli impianti geotermici, sulle trivellazioni profonde e sui progetti di impianti geotermici, ad eccezione di quelli finalizzati unicamente all'utilizzo diretto del calore, almeno fino alla emanazione da parte del Governo degli «indirizzi e linee guida» e del quadro normativo, che permettano di valutare il rischio ambientale e sismico connesso alle attività antropiche effettuate in profondità, con particolare riferimento agli impianti geotermici pilota attualmente in fase di valutazione di impatto ambientale presso Castel Giorgio (Umbria) e Montenero (Toscana) agli impianti «flash» in Amiata (Toscana).
(7-00648)
«Vallascas, Busto, Crippa, Daga, Micillo, De Rosa, Da Villa, Della Valle, Fantinati, Lupo, Mannino, Terzoni, Zolezzi».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza urgente Roccella n. 2-00897 del 17 marzo 2015;
   interrogazione a risposta scritta Vargiu n. 4-07993 del 17 febbraio 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Sberna n. 5-05207 del 31 marzo 2015;
   interpellanza Elvira Savino n. 2-00921 del 9 aprile 2015;
   interrogazione a risposta orale Brunetta n. 3-01430 del 10 aprile 2015.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Ciprini e Gallinella n. 5-05108 del 23 marzo 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-08778;
   interrogazione a risposta scritta Massimiliano Bernini e altri n. 4-08717 del 9 aprile 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05317.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Giorgia Meloni n. 4-08641 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 403 del 1o aprile 2015. Alla pagina 23508, seconda colonna, alla riga undicesima, deve leggersi: «degli investimenti Invitalia» e non come stampato.