Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 26 marzo 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    le imprese dello spettacolo, riconosciute come tali anche dalla legge 7 agosto 2012 n. 134 articolo 51-bis, necessitano di una semplificazione per le procedure relative all'autorizzazione e allo svolgimento delle attività di pubblico spettacolo poiché le norme che regolamentano gli spettacoli dal vivo sono particolarmente complesse e intrecciano numerosi livelli di competenza e settori interni alla pubblica amministrazione con la conseguente difficoltà, da parte di un operatore del settore o di un organizzatore, di doversi rivolgere a numerosi interlocutori per ottenere i diversi permessi o autorizzazioni, con conseguente scarsa chiarezza di tempi, procedure e costi;
    l'elevato numero di pratiche e di autorizzazioni da richiedere per lo svolgimento di un pubblico spettacolo e la scarsa chiarezza sopra descritta, molto spesso scoraggiano l'organizzazione di eventi: tutto ciò pone forti limiti non solo alla fruizione di eventi culturali e musicali per i cittadini ma penalizza anche l'indotto economico esistente anche in virtù del potenziale che il settore dello spettacolo dal vivo detiene;
    la crisi economica ha delle ripercussioni nel tessuto sociale delle nostre comunità e determina una difficoltà sempre maggiore da parte delle amministrazioni nel supportare con adeguati strumenti economici l'attività svolta nell'ambito dell'organizzazione di eventi e spettacoli dal vivo;
    in Italia i locali con dimensione tra i 500 e gli 800 posti rischiano sempre più di scomparire, con conseguenze negative in ambiti non solo culturali bensì economici, turistici e occupazionali; questo quadro alimenta un panorama già di per sé non incoraggiante, che vede oggi in numerose province del nostro Paese una scarsa offerta relativa all'organizzazione degli eventi e degli spettacoli presi in oggetto del presente testo;
    l'attuale situazione pone conseguentemente limiti non solo alla fruizione di eventi culturali, musicali e di intrattenimento per i cittadini ma penalizza l'indotto economico esistente anche in virtù del potenziale economico ed occupazionale che il settore dello spettacolo dal vivo detiene;
    alcune città italiane hanno già avviato sperimentazioni di procedure semplificate e meno onerose per le produzioni artistiche nel nostro Paese;
    il comune di Milano, in occasione di Expo 2015, ha avviato un percorso per facilitare l'organizzazione degli eventi che, nell'ambito di «Expo in città» (iniziativa di comune e Camera di commercio di Milano) interesseranno tutte le arti creative, adottando delle linee guida per una convenzione tra il comune e la SIAE – Società italiana autori ed editori – al fine di garantire non solo semplificazioni procedurali ma anche agevolazioni sul diritto d'autore e, più in generale, la promozione della creatività giovanile; questa prima esperienza di accordo quadro tra ente locale e SIAE, combinata all'apertura dello «Sportello Manifestazioni Expo in città» per dare un supporto agli operatori sia a livello di consulenza che di semplificazione amministrativa, prevede agevolazioni concrete agli operatori che organizzeranno iniziative ed eventi live che faranno parte del calendario di Expo in città; per citare alcuni esempi, è prevista una riduzione del 10 per cento sui compensi fissi per diritto d'autore nel caso di manifestazioni gratuite con esecuzioni musicali di repertorio, gli organizzatori saranno esonerati dalla costituzione di depositi cauzionali a garanzia del diritto d'autore (laddove i compensi previsti per il periodo di attività non risultino superiori a 1000 euro), la SIAE sosterrà e promuoverà progetti di creatività giovanile, e non solo, tra quelli approvati dal Comitato di Expo in città, la SIAE di Milano assicurerà anche la presenza di un addetto presso lo sportello manifestazioni Expo in città, ubicato all'interno del comune per offrire consulenza e supporto amministrativo, e infine consentirà l'accentramento di tutte le pratiche autorizzative in un unico luogo per gli eventi di Expo in città, sempre attraverso lo Sportello e la gestione centralizzata delle licenze SIAE, oltre a costituire un osservatorio sulle attività di spettacolo che avranno luogo nell'area metropolitana milanese durante Expo in città. Tutto ciò va ad aggiungersi a quanto la società ha già avviato con la gratuità dell'iscrizione fino ai 30 anni di età e l'apertura di un nuovo sito giovani.siae.it, primo importante passo nel processo di trasformazione digitale di SIAE attualmente in corso;
    il comune di Firenze ha avviato una procedura informatizzata adottata dalla Direzione attività economiche per dare immediata applicazione al rinnovato articolo 68 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, come modificato dall'articolo 8-bis del cosiddetto «Decreto Cultura»), ovvero alla possibilità di organizzare uno spettacolo di intrattenimento fino ad un massimo di 200 persone che si svolge entro le ore 24 del giorno di inizio dietro semplice presentazione per via telematica di una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA),

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, se dal caso normative, volte ad orientare l'iniziativa dei comuni a semplificare e rendere efficienti le procedure relative all'autorizzazione e allo svolgimento delle attività di pubblico spettacolo, nel rispetto dei seguenti criteri:
    a) valorizzazione e diffusione delle buone pratiche già attuate da comuni virtuosi e attivazione di sperimentazioni volte a semplificare i procedimenti che abbiano ad oggetto l'esercizio di attività di pubblico spettacolo;
    b) adeguamento e armonizzazione della normativa relativa allo Sportello unico attività produttive includendo i procedimenti che abbiano ad oggetto l'esercizio di attività di pubblico spettacolo;
    c) previsione di specifica modulistica uniforme su tutto il territorio nazionale, privilegiando la procedura telematica e l'utilizzo della posta elettronica certificata;
    d) valorizzazione dello strumento dell'autocertificazione, in particolare per le attività di cui all'articolo 68 e 69 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, come modificato dalla legge n. 112 del 2013;
    e) istituzione di un'anagrafe dei luoghi per lo spettacolo (Venue) contenente le ipotesi di allestimento preautorizzate dalle commissioni di vigilanza da poter adottare integralmente;
    f) istituzione di un'anagrafe comunale degli organizzatori di spettacoli dal vivo presenti sul territorio contenente tutta la documentazione inerente agli stessi;
    g) redazione, di concerto con SIAE, di un tariffario ragionato e semplificato che preveda agevolazioni per spettacoli di base, con particolare attenzione a quelli indicati dal punto d);
   ad individuare per tali finalità un fondo denominato «Fondo per la semplificazione in materia di spettacolo».
(1-00768) «Tentori, Pierdomenico Martino, Montroni, Mattiello, Marzano, Rampi, Mazzoli, Marchetti, Moretto, Senaldi, Parrini, Moscatt, Guerra, Giuseppe Guerini, Gribaudo, Manzi».

Risoluzioni in Commissione:


   La VII Commissione,
   premesso che:
    la cronaca quotidiana dei rapporti conflittuali, e finanche violenti, che spesso connotano le relazioni tra i più giovani e il numero sempre più elevato di casi in cui nelle scuole vengono ostacolati i programmi di educazione alla diversità, impongono di riconsiderare i percorsi formativi offerti dalla scuola, nell'ottica di promuovere il superamento delle discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale, educando le nuove generazioni, lungo tutte le fasi del loro apprendimento scolastico, al rispetto della differenza. Tra gli obiettivi nazionali dell'insegnamento nella scuola italiana è divenuto, pertanto, indifferibile porre espressamente, come elemento portante e costante, la promozione del rispetto della diversità. Il che risponde altresì all'esigenza di dare puntuale attuazione ai principi di pari dignità e non discriminazione di cui agli articoli 3, 4, 29, 37 e 51 della Costituzione;
    obiettivo prioritario della nostra società, infatti, deve essere l'affermazione dell'uguaglianza dei diritti, della tutela di ogni diversità e della salvaguardia della dignità e della libertà della persona, innanzitutto nella sua dimensione di genere;
    questo è anche il senso delle politiche europee in materia: a seguito del programma promosso dal Consiglio d'Europa «Combattere le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere», per l'attuazione e l'implementazione della raccomandazione del Comitato dei ministri CM/REC (2010)5, è stata elaborata la Strategia nazionale per la prevenzione ed il contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere finalizzata alla realizzazione di un piano triennale di azioni pilota (2013-2015), integrate e multidisciplinari, volte alla prevenzione e al contrasto delle discriminazioni in tale ambito;
    tale impegno è stato formalizzato nelle direttive del Ministro del lavoro e delle politiche sociali con delega alle pari opportunità per l'attività amministrativa per gli anni 2012 e 2013, che assegnano all'UNAR, operante presso il dipartimento per le pari opportunità, anche l'attuazione di obiettivi operativi rilevanti in materia di prevenzione e contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere, e, in particolare, la definizione di una Strategia nazionale in collaborazione con il Consiglio d'Europa;
    in allegato alla raccomandazione CM/REC (2010)5 al punto VI – Istruzione si specifica che tenendo nel debito conto l'interesse superiore del fanciullo, gli Stati membri dovrebbero adottare le misure legislative o di altro tipo appropriate, destinate al personale insegnante e agli allievi, al fine di garantire l'effettivo godimento del diritto all'istruzione, senza discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere;
    ciò comprende in particolare il rispetto del diritto dei bambini e dei giovani all'educazione in un ambiente scolastico sicuro, al riparo dalla violenza, dalle angherie, dall'esclusione sociale o da altre forme di trattamenti discriminatori e degradanti legati all'orientamento sessuale o all'identità di genere. In particolare, tenendo nel debito conto l'interesse superiore del fanciullo, dovrebbero a tale scopo essere adottate misure appropriate a ogni livello per promuovere la tolleranza e il mutuo rispetto a scuola, a prescindere dall'orientamento sessuale o dall'identità di genere. Tali misure dovrebbero comprendere la comunicazione di informazioni oggettive agli alunni e agli studenti sull'orientamento sessuale e l'identità di genere, per esempio nei programmi scolastici e nel materiale didattico, nonché la fornitura delle informazioni, e la protezione e il sostegno necessari per consentire loro di vivere secondo il proprio orientamento sessuale e la propria identità di genere. Gli Stati membri potrebbero inoltre predispone e attuare politiche scolastiche e piani d'azione per promuovere l'uguaglianza e la sicurezza e garantire l'accesso a formazioni adeguate o a supporti e strumenti pedagogici appropriati per combattere la discriminazione. Tali misure dovrebbero tenere conto del diritto dei genitori di curare l'educazione dei propri figli;
    ai fini della sensibilizzazione sulle tematiche LGBT il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in occasione della Giornata internazionale contro l'omofobia, il 10 maggio 2012 ha emanato una specifica circolare rivolta a tutti gli istituti scolastici, con la quale si ricorda il ruolo della scuola nella costruzione di una comunità inclusiva che riconosce le differenze e il ruolo di contrasto di ogni forma di discriminazione, compresa l'omofobia, sottolineando in particolare come la scuola debba cimentarsi ogni giorno con la costruzione di una comunità inclusiva che riconosce le diversità di ciascuno. È, infatti – ad un tempo – essenziale comunità formativa dei futuri cittadini e luogo importantissimo per la crescita e la costruzione dell'identità di ciascuna persona e come tale deve favorire la costruzione dell'identità sociale e personale da parte dei bambini e dei ragazzi, il che comporta anche la scoperta del proprio orientamento sessuale. Il loro ruolo nell'accompagnare e sostenere queste fasi non sempre facili della crescita risulta decisivo, anche grazie alla capacità di interagire positivamente con le famiglie;
    il dipartimento per le pari opportunità in data 30 gennaio 2013 ha siglato un apposito protocollo di intesa con il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca al fine di favorire l'educazione delle nuove generazioni al rispetto dell'altro, al rifiuto di ogni forma di violenza o discriminazione, al valore civico dell'inclusione sociale;
    tuttavia, negli ultimi mesi si registrano una serie di casi molto preoccupanti che segnalano una pericolosa e ingiustificata inversione di tendenza rispetto a tali indicazioni. Solo per citare alcuni esempi: nello scorso mese di novembre la Curia di Milano ha spedito una circolare ai 6.102 insegnanti di religione del milanese per indagare su come sia affrontato nelle classi il tema dell'omosessualità e per avere la segnalazione dei colleghi e dei progetti che nella loro scuola trattano con gli alunni temi legati all'omosessualità e all'identità di genere; nella provincia di Perugia, le famiglie di alcuni studenti si sono viste recapitare fuori dalle scuole un «manuale di autodifesa dalla teoria del gender», a Verona il consiglio comunale ha approvato una mozione «per monitorare i progetti di educazione sessuale e affettiva nelle scuole cittadine», a Perugia un maestro è stato costretto a dimettersi dopo una segnalazione sollevata durante una riunione di classe che lo descriveva come «poco compatibile con l'insegnamento ai ragazzi» per via del suo «stile di vita non adatto» riferendosi alla sua vita sessuale, in un istituto di Moncalieri è ancora in corso un'inchiesta interna sulla frase pronunciata lo scorso novembre da un'insegnante di religione: «dall'omosessualità si può guarire con la psicanalisi, perché è un problema psicologico», avrebbe detto la donna;
    a riferire un panorama inquietante è anche una recente indagine effettuata Studenti.it, popolarissimo portale dedicato agli allievi delle scuole medie e superiori. Secondo loro, il 58 per cento degli studenti italiani ha subito o ha direttamente assistito in prima persona a episodi di omofobia. Nei dettagli, il 38 per cento riferisce di essere stato testimone di episodi di discriminazione e di omofobia da parte di studenti verso altri studenti, il 12 per cento dichiara di aver assistito a episodi di questo genere da parte di professori ai danni degli allievi e l'8 per cento rivela di esserne stato vittima in prima persona;
    in tal senso, appare necessario predispone iniziative volte a creare un clima di accoglienza e rispetto delle differenze legate all'orientamento sessuale e all'identità di genere, propedeutico al superamento delle discriminazioni. Tali obiettivi dovrebbero essere perseguiti attraverso l'implementazione di attività di informazione e sensibilizzazione degli studenti sulle questioni relative all'identità di genere e all'orientamento sessuale favorendo l'incontro e il confronto fra le differenze. Complementari ad esse sono le attività conoscitive di analisi, studio e monitoraggio dei fenomeni omofobici e discriminatori a danno degli studenti omosessuali, necessarie a delineare i profili di un fenomeno ancora non abbastanza esaminato,

impegna il Governo:

   a garantire l'effettivo godimento del diritto all'istruzione, senza discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere in linea con raccomandazione del Comitato dei ministri CM/REC (2010)5;
   a promuovere e realizzare iniziative volte a sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema della cultura della differenza anche al fine di prevenire nelle scuole il bullismo basato sull'omofobia;
   a promuovere iniziative di sensibilizzazione mirate a sviluppare tutte le forme possibili di collaborazione con enti e associazioni necessarie alla costruzione di percorsi formativi e iniziative comuni, in particolare a porre in essere attività di sensibilizzazione e formazione rivolte agli operatori impegnati in campo educativo e scolastico, riconoscendo che proprio nella fase adolescenziale si realizza la costruzione del sé e la definizione dell'orientamento sessuale, così come l'emergere di atteggiamenti omofobici e transfobici;
   a favorire l'inclusione e il benessere in ambito scolastico dei ragazzi LGBT;
   a promuovere e sostenere il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali e l'esercizio della tolleranza e della libertà nell'ambito dei principi democratici di coabitazione;
   a introdurre, nel sistema nazionale educativo di istruzione, attività didattiche volte all'educazione di genere;
   a promuovere iniziative per le attività di aggiornamento e formazione dei docenti e l'attivazione presso le scuole di punti di ascolto deputati ad intercettare ed offrire assistenza personale a studenti vittime di episodi di omofobia e di transfobia, attraverso misure di prevenzione, consulenza e tutela;
   a prevedere la realizzazione di attività integrate, organizzate secondo una logica di pianificazione programmata orientata all'attuazione di una consistente campagna di comunicazione sociale contro l'omofobia;
   a prevedere la realizzazione di seminari di approfondimento rivolti a insegnanti e studenti, finalizzati a favorire una maggiore consapevolezza rispetto alla condizione delle persone gay, lesbiche, bisessuali transessuali e alle cause del pregiudizio manifestato nei loro confronti, al fine di incrementare l'impatto delle attività privilegiando tecniche e metodologie partecipative (inclusi giochi di ruolo, utilizzo di materiali audiovisivi, discussioni guidate e altro;
   a prevedere la costruzione di percorsi di monitoraggio dei fenomeni criminali e di collaborazione istituzionale con le forze di governo del territorio e della pubblica sicurezza, funzionali alla realizzazione di successivi lavori conoscitivi di analisi dei fenomeni omofobici e discriminatori.
(7-00640) «Carocci, Malpezzi, Coscia, Coccia, Ascani, Ghizzoni, Blazina, Ventricelli, Rocchi, Malisani, Bossa, Pes, Narduolo, Sgambato, Manzi».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    l'INPS, Istituto nazionale della previdenza sociale è l'ente che gestisce il sistema previdenziale in termini di imposizione, riscossione e recupero dei contributi ed in termini di erogazione di prestazioni pensionistiche sia per la generalità dei lavoratori dipendenti del settore privato e del parastatale attraverso il Fondo pensioni lavoratori dipendenti sia i lavoratori autonomi (gestioni previdenziali dei lavoratori autonomi artigiani e commercianti) e sia per i parasubordinati, venditori a domicilio, professionisti senza cassa, lavoratori autonomi occasionali ed associati in partecipazione attraverso la gestione separata. La gestione separata è un fondo pensionistico finanziato con i contributi previdenziali obbligatori dei lavoratori assicurati e nasce con la legge n. 335 del 1995 (articolo 2, comma 26) di riforma del sistema pensionistico, anche nota come «riforma Dini» che dispone l'iscrizione alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, di tutte le categorie residuali di liberi professionisti, per i quali non è prevista una specifica cassa previdenziale, delle forme di collaborazione coordinata e continuativa (cosiddetta co-co-co), della categoria dei venditori a domicilio, ex articolo 36 della legge n. 426 del 1971;
    a tale gestione è attualmente applicato il contributo del 27,72 per cento (per i collaboratori il 28,72). Nelle collaborazioni coordinate e continuative, i contributi sono per 2/3 a carico del committente e per 1/3 a carico del collaboratore. L'obbligo di versamento compete tuttavia al committente anche per la quota a carico del lavoratore, che viene pertanto trattenuta in busta paga all'atto della corresponsione del compenso;
    la «Riforma Fornero» (legge n. 92 del 2012) ha apportato delle importanti novità il cui obiettivo è stato quello di limitare l'utilizzo improprio di questa tipologia, prevedendo disincentivi sia di carattere normativo che contributivo; nello specifico, infatti, è stato previsto un graduale allineamento del costo contributivo a quello del lavoro dipendente, tale da portare tale aliquota, nel 2018 al 33 per cento;
    la legge di stabilità 2014 ha stabilito che per gli autonomi titolari di partita IVA, ovvero professionisti senza albo iscritti alla gestione separata INPS, la contribuzione dovuta per il 2014 resti ferma al 27,72 (mentre salga al 22 per cento nei casi in cui è applicabile l'aliquota ridotta). Sembrano quindi aver fatto effetto le richieste dei professionisti senza albo e senza cassa di categoria che protestavano contro i continui aumenti progressivi dei contributi pensionistici da versare alla gestione separata INPS;
    più in particolare, le partite IVA iscritti alla gestione separata INPS dal 2013 avrebbero dovuto versare all'Istituto un'aliquota pari al 28 più lo 0,72 destinato a finanziare le prestazioni assistenziali. Il comma 521 della legge di stabilità 2014 approvato con voto di fiducia dall'Assemblea del Senato ha invece modificato la progressione proposta dalla riforma del lavoro, facendo slittare di un anno tale aumento, per i soli professionisti iscritti alla gestione separata che non sono iscritti ad altra cassa previdenziale;
    questi pagheranno, nelle prossime annualità, le seguenti aliquote: nel 2014 il 27,72; nel 2015 il 29,72; nel 2016 il 30,72; nel 2017 il 31,72; nel 2018 il 32,72; nel 2019 il 33,72;
    va tuttavia sottolineato che pur avendo bloccato l'aumento 2014, i lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata dell'INPS, chiamati al versamento integrale di tutti i contributi a differenza di quanto avviene per i parasubordinati, continuano a versare contributi più elevati rispetto a tutti gli altri lavoratori indipendenti, liberi professionisti, commercianti, artigiani;
    ad esempio, i professionisti iscritti ad un ordine versano approssimativamente il 14, mentre commercianti e artigiani si attestano intorno al 21/22;
    il blocco dell'aumento contributivo per il solo 2014 comunque di fatto non risolve il problema alla radice e tra un anno il problema si riproporrà. È evidente che non è sostenibile l'equiparazione del professionista al parasubordinato,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative al fine di rivedere le casse previdenziali prevedendo una cassa specifica per i lavoratori autonomi adeguando la percentuale contributiva a quella prevista per la cassa gestione artigiani e commercianti, senza l'applicazione del minimale;
   ad assumere iniziative volte a creare un'unica cassa per i lavoratori autonomi accorpandola alla gestione artigiani/commercianti, applicando un'unica contribuzione a tutti questi lavoratori autonomi/soci/imprenditori per snellire la gestione delle casse previdenziali senza l'applicazione del minimale;
   ad adottare iniziative al fine di procedere con l'aumento della contribuzione della gestione separata come già previsto dalla legge n. 92 del 2012 per le collaborazioni in modo da garantire pensioni adeguate e aumentare il costo del lavoro delle forme contrattuali atipiche, spesso usate in maniera distorta al posto di contratti di lavoro dipendente in quanto più convenienti escludendo ovviamente tale aumento per i lavoratori autonomi;
   a valutare un'iniziativa diretta all'azzeramento dei contributi, o a prevedere un aumento graduale dei contributi per i nuovi lavoratori autonomi per i primi 3/5 anni di attività in modo da agevolare l'inserimento di tali imprenditori nel mercato del lavoro sia per giovani che per soggetti di qualsiasi età che a seguito della perdita di lavoro (magari dipendente) iniziano una propria attività autonoma;
   a valutare la possibilità di erogare gli assegni al nucleo familiare, oltre che agli autonomi iscritti alla Gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, anche agli autonomi iscritti ad albo professionale, prevedendo un meccanismo analogo e pari importo di quello previsto per il lavoro dipendente, prevedendo meccanismi di compensazione tra INPS e relativa cassa professionale, con relativo calcolo totale in base all'intero reddito prodotto dal nucleo familiare;
   ad adottare ogni iniziativa normativa volta all'istituzione di un regime agevolativo e sospensivo dei gravami fiscali e contributivi (INPS, IRPEF), che saranno poi dilazionati e versati a partire dalla piena ripresa lavorativa, così come l'esclusione dagli studi di settore, per tutti i lavoratori iscritti alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, che dichiarino un periodo di inattività per gravi motivi personali o di salute, con la previsione della relativa copertura pensionistica figurativa per tutto il periodo di sospensione;
   ad assumere iniziative per revisionare ed ampliare il periodo di malattia indennizzabile previsto per gli iscritti alla gestione separata, prevedendo un periodo pari a quello previsto per i lavoratori dipendenti e rivedere la disciplina relativa all'indennità di malattia, prevedendo meccanismi tali da consentire il calcolo dell'indennità su una retribuzione convenzionale stabilita per legge a prescindere dai mesi di contribuzione con particolare riguardo alla previsione della possibilità di utilizzare come base utile ai fini della corresponsione, le retribuzioni convenzionali giornaliere, stabilite anno per anno per legge per la categoria di appartenenza laddove il reddito professionale fosse inferiore;
   a valutare la possibilità di estendere l'ambito della disciplina di degenza ospedaliera prevista per i lavoratori iscritti alla Gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 anche ai casi di terapie invasive;
   ad assumere iniziative normative affinché venga riconosciuto il congedo parentale anche al padre lavoratore iscritto alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, nei casi in cui la madre non ne abbia diritto o che non abbia titolo all'indennità di maternità;
   ad assumere iniziative normative per prevedere l'estensione del riconoscimento dell'esposizione all'amianto ai fini della concessione dei benefici previdenziali di cui all'articolo 13, comma 7, legge n. 257 del 1992, modificato dalla legge n. 271 del 1993, anche ai lavoratori autonomi al pari dei lavoratori dipendenti.
(7-00641) «Rizzetto, Rostellato, Baldassarre, Prodani, Segoni, Barbanti, Turco, Artini, Mucci, Bechis».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    nell'autunno del 2005 in Francia è stata segnalata per la prima volta la presenza di un insetto che rappresenta una grave minaccia per l'apicoltura europea;
    si tratta della Vespa velutina, un insetto originario del Nord dell'India, della Cina meridionale e dell'Indocina, che per nutrirsi attacca gli alveari per catturare le api operaie e anche altri insetti utili all'ecosistema, rappresentando un grande pericolo per la biodiversità, ma anche per la popolazione essendo una specie di calabrone estremamente aggressivo e di grandi dimensioni;
    dal novembre 2012 è stato possibile identificarne la presenza anche in Italia, inizialmente in Liguria e in Piemonte e si stima una rapida diffusione su tutto il territorio nazionale, come avvenuto in Francia, dove, anche a causa dell'assenza di un coordinamento centrale a livello nazionale, si è arrivati in poco tempo al 75 per cento del territorio interessato dal grave problema;
    il settore apistico si trova già in una fase di crisi che lo ha investito e che dura da molti anni, causata dal fenomeno dello spopolamento degli alveari e dalla moria delle api e ora è costretto ad affrontare questa nuova minaccia con un conseguente calo produttivo per le imprese nazionali che stanno subendo un grave danno economico con rischi molto seri per la conservazione della capacità produttiva agricola, dell'occupazione e dell'ecosistema nazionale;
    la diffusione della Vespa velutina comporterebbe danni inestimabili per la biodiversità, un livello di danno pari a 600 milioni annui alle coltivazioni agricole entomofile per la carenza degli impollinatori e un danno stimato intorno ai 75 milioni annui alle produzioni apistiche per l'impatto sulle famiglie d’apis mellifera. Le proiezioni di probabile diffusione della Vespa velutina sono lungo le direttrici nord padana, costa adriatica e costa tirrenica. Le stime di costo per la sola rimozione dei nidi è di 60/70 milioni annui;
    la legge 24 dicembre 2004, n. 313, recante: «Disciplina dell'apicoltura» riconosce l'apicoltura come attività di interesse nazionale utile per la conservazione dell'ambiente naturale, dell'ecosistema e dell'agricoltura in generale ed è finalizzata a garantire l'impollinazione naturale e la biodiversità di specie apistiche, con particolare riferimento alla salvaguardia della razza di ape italiana (Apis mellifera ligustica Spinola) e delle popolazioni di api autoctone tipiche o delle zone di confine;
    pertanto risulta estremamente importante un tempestivo intervento governativo non solo per verificare lo stato di diffusione nel Paese di tale nuova specie esotica e il possibile inquadramento della specie Vespa velutina come specie nociva, ma specialmente per definire linee programmatiche e progettuali per contrastare urgentemente il fenomeno e tentarne l'eradicazione dal territorio nazionale ricorrendo anche a mezzi non convenzionali come ad esempio le trappole proteiche (esche) e utilizzando a supporto le nuove tecnologie, come ad esempio il radar armonico ora in fase di studio e probabilmente in grado di individuarne i nidi,

impegna il Governo:

   a definire una strategia di intervento per la definitiva eradicazione della Vespa velutina, con particolare riferimento alle tecniche, più o meno innovative, destinate alla distruzione dei nidi;
   a far in modo che la protezione civile sia coinvolta direttamente;
   a disporre l'impiego del Corpo forestale dello Stato nelle aree a rischio;
   ad assumere iniziative per stanziare fondi sufficienti a sostenere gli interventi di contrasto;
   a prevedere misure di indennizzo per gli apicoltori danneggiati.
(7-00639) «Schullian, Pastorelli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   EXPO 2015 spa ha emanato un bando per «identificare, raccogliere, diffondere, favorire il trasferimento di buone pratiche sulla sicurezza alimentare (BSDP)», collegate al tema chiave della prossima Esposizione Universale di Milano: Nutrire il Pianeta, Energia per la vita;
   il bando BSDP prospettava la possibilità, per 15 progetti selezionati tra quelli depositati, di profittare di spazi appositamente dedicati presso il Padiglione 0 del sito espositivo, nonché di beneficiare di convegni e altre iniziative mediatiche per diffondere e promuovere i rispettivi contenuti;
   peraltro, come specificato dal bando BDSP, l'individuazione dei progetti vincitori sarebbe dovuta avvenire attraverso un procedimento di selezione scevro da conflitti d'interesse e tale da garantire la trasparenza, la tracciabilità e la pubblicità dell'intero processo di selezione attraverso la pubblicazione di un verbale relativo alla valutazione di ogni proposta, esaminata mediante valutazioni statistiche efficienti e puntuali, nel rispetto della normativa di legge applicabile;
   la società Expo 2015 spa è controllata per il 40 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, per il 20 per cento da regione Lombardia, per il 20 per cento dal comune di Milano, per il 10 per cento dalla città metropolitana di Milano e per un ulteriore 10 per cento dalla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Milano;
   secondo quanto segnalato ai deputati interpellanti, in data 20 marzo 2015, una delle società partecipanti, l'Emitech srl, presieduta dal signor Nicola Diaferia, avrebbe depositato denuncia presso la procura della Repubblica di Milano (prot. 0594363/2015) segnalando varie irregolarità, tra cui la sussistenza di conflitti d'interesse tra alcuni dei progetti presentati e le commissioni valutatrici (in taluni casi financo composte da soggetti che avrebbero preso direttamente parte a progetti poi risultati vincitori), nonché la violazione dei principi di trasparenza previsti dal bando, laddove, alla data di emanazione dei risultati (che peraltro sarebbe avvenuta il 4 febbraio 2015, con oltre un mese di ritardo) e quantomeno sino alla presentazione della denuncia, nonché del presente atto, non sarebbero ancora stati resi pubblici i verbali relativi all'analisi dei progetti presentati, verbali previsti dal bando per garantire la trasparenza, pubblicità e tracciabilità del processo di selezione;
   in particolare, il signor Nicola Diaferia avrebbe denunciato quattro irregolarità;
   la prima riguarderebbe il progetto «Cafèycaffe», ID: 9733, che sarebbe stato assegnato in presenza di un gravissimo conflitto d'interessi, dal momento che risulterebbe componente della commissione di valutazione finale dei progetti il dottor Andrea Illy, presidente ed amministratore delegato di Illycaffè spa, laddove peraltro tale azienda risulterebbe essere direttamente e strettamente collegata hai partner del progetto;
   la seconda riguarderebbe il progetto «Irrigazione fase 1 e fase 2», ID: 6801. Anche in questo caso, l'anomalia riscontrata sarebbe la presenza di un conflitto d'interessi, dal momento che risulterebbe partner dell'iniziativa lo stesso istituto di cui sei componenti facevano parte della commissione di prevalutazione. In particolare: il dottor Pandi Zdruli (componente dello CIHEAM-IAMB), preposto esattamente alla valutazione dei progetti dell'area tematica 1 (gestione sostenibile delle risorse naturali); il dottor Thaer Yaseen (componente CIHEAM-IAMB) preposto alla valutazione dei progetti dell'area tematica 2; il dottor Lamberto Lamberti (componente CIHEAM-IAMB) preposto alla valutazione dei progetti dell'area 4; il dottor Omar Bassaoud (componente CIHEAM-IAMB) preposto alla valutazione dei progetti dell'area 4; il dottor Roberto Capone (componente CIHEAM-IAMB) preposto alla valutazione dei progetti dell'area 5; il dottor Hamid El Bilali (componente CIHEAM-IAMB) preposto alla valutazione dei progetti dell'area 5. Secondo il denunciante, pertanto, parrebbe evidente la massiccia presenza di componenti dello IAMB nella commissione di prevalutazione, la cui funzione era precipuamente quella di esaminare nel merito, ed analiticamente, i progetti, al fine di «consegnare» alla commissione finale quelli ritenuti più meritevoli ed affidarli così al giudizio conclusivo, non più tecnico ma principalmente politico. Sempre secondo il denunciante, pertanto, sarebbe persino pleonastico precisare che, ove si fosse voluto, come pretenziosamente affermava il bando, rispettare alti standard etici, ed in particolare, tra gli altri, il principio dell'assenza di conflitto di interessi, sarebbe stato improponibile inserire tra i soggetti valutatori di progetti riferibili allo IAMB personalità provenienti dallo stesso IAMB. Tale ovvietà, dunque, precede qualunque esame nel merito dei progetti, in quanto proprio la presenza di un palese e macroscopico conflitto di interessi determina, ipso facto, la violazione del primo, e più importante, dei pilastri etici del processo di valutazione;
   la terza riguarderebbe il progetto «Cent.Oli.Med.» – ID: 7803. Anche in questo caso, l'anomalia riscontrata sarebbe il medesimo conflitto d'interessi di cui alla seconda irregolarità; in questo caso, però, a parere del soggetto denunciante, la violazione del principio dell'assenza di conflitto di interessi appare ancor più sfacciata, in quanto il soggetto proponente il progetto era, come detto, lo stesso IAMB.;
   la quarta riguarderebbe il progetto «ITCLFP» – ID: 8716. Anche in questo caso, l'anomalia riscontrata sarebbe la presenza di un conflitto d'interessi, dal momento che risulterebbe da una semplice ricerca sul web che il progetto sia il frutto di una cooperazione della regione Puglia e dello IAMB con l'acronimo di SPIIE. Tale progetto è stato concluso nell'anno 2011; in particolare, il 4 luglio 2011 si tenne al Cairo una conferenza stampa finale, nella quale furono rappresentati i risultati della suddetta cooperazione. Anche in questo caso, dunque, appare, quale soggetto protagonista dell'iniziativa, lo stesso IAMB, i cui componenti erano membri della commissione di prevalutazione. L'unica differenza, secondo quanto denunciato, sarebbe che nel progetto presentato a concorso lo IAMB non figura affatto, in quanto nemmeno citato tra i partner, così oscurandosi il ruolo da protagonista che esso ha avuto in effetti;
   inoltre, il denunciante segnala che, contrariamente a quanto previsto inizialmente, chiunque abbia partecipato al bando con un proprio progetto non ha, a tutt'oggi, la possibilità di verificare il punteggio assegnato al proprio progetto, e men che meno la possibilità di comparare il punteggio conseguito con quelli assegnati ad altri progetti, oltre che, evidentemente, la graduatoria complessiva e finale;
   infine, secondo il denunziante le irregolarità denunciate si collocano, quando ad effettiva incidenza sui risultati finali, nella fase di prevalutazione dei progetti. In quella fase, infatti, sono stati vagliati analiticamente e tecnicamente i progetti, ed è stata eseguita la selezione dei meritevoli di approdare alla fase finale, laddove – sempre nell'opinione del soggetto denunciante – nulla può ragionevolmente obiettarsi in riferimento ai valutatori finali;
   sempre secondo quanto segnalato ai deputati interpellanti, in data 12 febbraio 2015, la medesima società partecipante avrebbe inviato, a mezzo posta elettronica certificata, un esposto con i fatti allegati a vari soggetti rilevanti (tra cui l'Autorità Nazionale Anti Corruzione – ANAC, EXPO 2015 spa e il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali), senza tuttavia ottenere riscontro alcuno, quantomeno sino al deposito del presente atto di sindacato ispettivo;
   appare di tutta evidenza l'urgenza di verificare la veridicità delle circostanze sopra riportate, le quali – ove confermate – determinerebbero una palese violazione dei criteri d'imparzialità e trasparenza imposti per il procedimento di selezione dei progetti vincitori dal bando BSDP, comportando la necessità d'intervenire immediatamente da parte delle pubbliche amministrazioni che detengono il controllo di Expo 2015 spa, annullando, se del caso, tutte le assegnazioni sino ad ora effettuate –:
   se i Ministri interpellati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non ritengano di dover intervenire, per quanto di loro competenza e in qualità di soci di maggioranza relativa della società Expo 2015, nonché al fine di tutelare l'immagine internazionale dell'Italia seriamente esposta in occasione di un evento così importante come quello in oggetto, al fine di ripristinare oggettivi canoni di valutazione del progetti presentati dopo la pubblicazione del bandi;
   se ai Ministri interpellati risulti che taluni dei progetti vincitori del bando BSDP di EXPO 2015 spa siano effettivamente stati oggetto di valutazione da parte di soggetti poi chiamati a esaminare i medesimi progetti nelle commissioni valutative previste dal bando richiamato o se, comunque, sussistano degli evidenti collegamenti tra i soggetti e i progetti richiamati precedenti al processo di valutazione considerato che possano inficiarne la trasparenza e l'imparzialità, anche con riferimento ai pregressi rapporti tra il progetto Cafèycafè e l'amministratore delegato di Illycaffè – nonché membro della commissione di valutazione finale del bando BSDP – il signor Andrea Illy;
   se i Ministri interpellati non ritengano di doversi attivare, per quanto di competenza e se la circostanza esposta dal denunciante venisse confermata, affinché siano pubblicati i verbali di valutazione dei progetti partecipanti al bando BSDP, al fine di garantire la trasparenza, la pubblicità e tracciabilità del processo di selezione del vincitori nel rispetto della normativa di legge applicabile;
   se i Ministri interpellati ritengano che quanto accaduto sia in linea coi criteri d'imparzialità e trasparenza previsti dal bando;
   quali siano le modalità con le quali i Ministri interpellati, se appurata la veridicità dei fatti, ritengano d'intervenire, per quanto di competenza, al fine di individuare gli eventuali responsabili e ristorare gli eventuali pregiudizi subiti dal partecipanti al bando, nonché dai cittadini, al fine di evitare, anche mediante l'esercizio del potere di iniziativa legislativa, che meccanismi distorsivi analoghi si ripetano in futuro.
(2-00911) «Luigi Di Maio, Caso, Manlio Di Stefano, Carinelli, De Rosa, Zolezzi, Toninelli, Alberti, Cominardi».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   recentemente, in una ottica di revisione dell'assetto organizzativo delle direzioni provinciali delle Agenzie delle entrate, alcune amministrazioni hanno operato scelte organizzative con il duplice effetto – da una parte – di una ricollocazione in altre sedi del personale dei team delocalizzati degli uffici di controllo e dall'altra della cessazione o chiusura dell'operatività di tali team di controllo della direzione provinciale delle entrate;
   in particolare, con disposizione di servizio n. 37/2014 del 20 maggio 2014 il direttore provinciale dell'Agenzia delle entrate – direzione provinciale di Perugia ha disposto la cessazione dell'operatività del team delocalizzato di Foligno (Perugia);
   dunque il personale operante presso il suddetto team composto di 18 unità di personale è stato di fatto trasferito all'ufficio controlli – area imprese minori e lavoratori autonomi sede di Perugia;
   le organizzazioni sindacali con un comunicato del 15 maggio 2014 hanno indetto una assemblea criticando duramente la scelta adottata dall'amministrazione;
   la soppressione dei team delocalizzati ed in particolare del team di controllo di Foligno comporterà pesanti disagi non solo per il personale operante che, con ogni probabilità, dovrà impiegare i propri mezzi (il cui onere graverà proprio sul personale) per svolgere i fini istituzionali di controllo e verifica fiscale ma anche per il contribuente che per rapportarsi al personale operante e recarsi all'ufficio controlli del capoluogo di regione dovrà spostarsi percorrendo maggiori distanze con maggiore perdita di tempo;
   risulta che in data 16 giugno 2014 c’è stato un incontro tra l'amministrazione e le organizzazioni sindacali per discutere anche della problematica dei team di controllo;
   il modello organizzativo dei team delocalizzati adottato nel 2010 è presente in altre regioni d'Italia e conta numerosi addetti; appare discutibile la scelta adottata unilateralmente dall'amministrazione di far cessare l'operatività del team a Foligno;
   pur essendo comprensibile in linea di principio l'esigenza di innovare e semplificare per ridurre i costi, appare discutibile – si ripete – la scelta adottata unilateralmente dall'amministrazione di interrompere l'operatività del team a Foligno né è giustificabile, ad avviso dell'interrogante, secondo un piano generale di razionalizzazione degli uffici poiché più oneroso e faticoso per il personale risulterà effettuare i controlli in luoghi distanti dal capoluogo di regione (da Perugia per raggiungere località come Norcia, Città della Pieve, Gualdo Tadino e altre);
   appare necessario un chiarimento per comprendere quale sia la causa che ha indotto l'amministrazione a procedere alla cessazione della sede di Foligno e se ciò risponda ad un disegno organico e razionale di riassetto organizzativo di tutte le strutture –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali siano i loro orientamenti;
   se la scelta di operare la cessazione dei team delocalizzati di controllo attualmente operanti sul territorio sia frutto di una scelta o di un programma condiviso dal Governo e dai Ministri interrogati e, in particolare, se condividano le valutazioni economiche e politiche che hanno portato alla scelta di far cessare la operatività del team di Foligno;
   se ritengano che l'eventuale chiusura dei team di controllo con sede a Foligno sia un provvedimento coerente con la necessità di garantire il contrasto all'evasione fiscale ed il mantenimento del livello dei servizi di tax compliance rivolti al contribuente e resi sul territorio;
   se il Governo non intenda assumere iniziative per l'apertura di un tavolo di confronto tra l'amministrazione e le organizzazioni sindacali e, nelle more, per la sospensione della operatività della decisione di chiusura della sede di Foligno.
(5-05165)


   CIPRINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia; la legge 4 maggio 1983, n. 184, «Diritto del minore ad una famiglia» e successive modificazioni, prevede l'affidamento del minore ad una famiglia o ad una persona singola in grado di garantirgli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui ha bisogno nel caso in cui il minore sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo o, qualora questo non sia possibile, l'inserimento in una comunità di tipo familiare o in un istituto di assistenza pubblico e privato;
   il diritto del minore alla famiglia si atteggia in maniera particolarmente delicata soprattutto con riferimento alla condizione dei minori allontanati dalla famiglia di origine con provvedimento di una autorità giudiziaria;
   in una risoluzione del 2009 (Linee guida relative all'accoglienza eterofamiliare dei minori, adottate dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 2009, A/RES/64/142, pubblicata il 24 febbraio 2010), le Nazioni Unite impegnano gli Stati con ogni mezzo (finanziario, psicologico e organizzativo) a preservare il rapporto del minore con la sua famiglia di origine e ad impedire che il bambino ne debba uscire e, in tal caso, ad agevolarne il rientro, dettando criteri ben precisi sull'affidamento temporaneo, quali: che il minore sia tenuto in luoghi vicini alla sua residenza abituale; che si ponga attenzione a che il minore non sia oggetto di abuso o sfruttamento; che l'allontanamento si prospetti temporaneo e si cerchi di preparare il rientro in famiglia al più presto possibile; che il dato della povertà familiare non sia da solo sufficiente a giustificare l'allontanamento del minore; che i motivi d'ordine religioso, politico ed economico non siano mai causa principale dell'invio di un minore fuori dalla famiglia; che sia preferita, ove possibile, l'assegnazione ad un ambiente familiare rispetto all'istituto (soprattutto sotto i tre anni di età);
   tuttavia, sono sempre più numerosi i fatti di cronaca giudiziaria che dimostrano come giudici e pubblici ministeri fanno sempre più affidamento a opinioni, relazioni e conclusioni di psicologi, psichiatri e assistenti sociali del servizio sociale o dei consultori familiari con l'assunto che, grazie alla loro conoscenza, sia possibile determinare la responsabilità di una persona (paradigmatico è, ad esempio, il caso di Rignano Flaminio) senza che queste relazioni o perizie – a parere dell'interrogante – possano considerarsi prove concrete come dovrebbe accadere in un giusto processo;
   in data 19 dicembre 2011 nasceva prematuramente all'età prenatale di 27 settimane la minore G. dall'unione dei genitori M.D. e F.G.;
   la minore veniva ricoverata per quattro mesi in ospedale fino alla dimissione avvenuta in data 12 aprile 2012 e dunque affidata ai genitori con la seguente diagnosi: «prematurità d'alto grado, neonata piccola per l'EG, bronco displasia di grado lieve, persistenza dotto di Botallo, ittero trattato con fototerapia, anemia della prematurità. All'encefalo 19 dicembre 2011 sospetta GNH-IVH bilaterale e all'ecoencefalo 15 gennaio 2012 ipercogenicità parenchimale da ricontrollare»;
   la mattina del 16 luglio 2012 la minore presentava un forte malessere e, trasportata all'ospedale cittadino, la TAC evidenziava ematoma subdurale e occipitale con successivo ricovero della stessa in data 17 luglio 2012;
   in prossimità delle dimissioni della bimba, che sarebbe stata affidata ai genitori, la commissione di unità di Crisi dell'ospedale eleva un sospetto maltrattamento sulla base dell'incongruenza delle spiegazioni fornite dalla madre della minore sulle modalità dell'infortunio occorsole e, dopo aver acquisito informazioni da «colleghe del territorio», veniva effettuata la segnalazione agli organi competenti;
   veniva aperta una indagine penale dalla procura della Repubblica di Ascoli Piceno per l'ipotesi di reato di cui agli articoli 81, 572, 582, 583 codice penale a danno della minore G.;
   in seguito ad un esposto anonimo, in data 3 agosto 2012 il pubblico ministero presso la procura per i minorenni di Ancona ai sensi dell'articolo 8 della legge n. 184 del 1983 iscritto al R.G.A.C. n. 904/12 chiedeva al tribunale per i minorenni di Ancona «la dichiarazione dello stato di adottabilità di G. nata ad Ascoli Piceno il 19 dicembre 2011 con collocamento della stessa presso una idonea coppia ed ogni ulteriore conseguente statuizione. Con la dichiarazione di decadenza dei genitori dalla potestà parentale». Il pubblico ministero minorile fondava la propria richiesta sulla base di «un esposto anonimo diretto al Servizio Sociale del Comune di Ascoli Piceno in cui è evidenziato che i genitori della minore assumono reiteratamente nei confronti della stessa atteggiamenti incongrui»; che «le informazioni fornite sono precise e circostanziate tanto da apparire raccolte da persona che ha avuto modo di frequentare la minore e la sua famiglia prima della nascita»;
   nella stessa data del 3 agosto 2012 il tribunale per i minorenni di Ancona con decreto cron. 2131 (procedimento n. 13/12 ADS) disponeva «L'apertura della procedura relativa all'abbandono di (............), SOSPENDE entrambi i genitori dalla potestà sulla minore (...), AFFIDA la minore al SS del Comune di Ascoli Piceno in collaborazione con l'ASUR competente per l'adozione di tutte le iniziative opportune a tutela della neonata ivi compreso il collocamento della minore in idonea struttura, una volta giudicata dimissibile, con facoltà della madre di seguirla, riferendo a questo Ufficio con relazione trimestrale, salvo urgenze e salvo la prima immediata relazione, sulla situazione della minore e sulle iniziative intraprese». In detto decreto si afferma che «la descrizione della dinamica, a detta dell'Unità di Crisi del suddetto presidio non appariva compatibile con la lesività riportata dalla bambina; che in atti vi è lettera anonima contenente gravi e pesanti accuse nei confronti dei genitori della minore, incolpati di condotte incongrue, poco tutelanti e fonti di sicuro pregiudizio per la bimba»;
   in esecuzione al predetto decreto, la minore veniva dimessa in data 9 agosto 2012 dall'ospedale Salesi di Ancona e veniva affidata al responsabile della comunità di Macerata designata dal tribunale, dove faceva subito ingresso unitamente alla madre;
   avverso tale decreto, in data 17 settembre 2012, i genitori della minore proponevano reclamo alla corte d'appello delle Marche – Sezione Minori –, chiedendone l'annullamento e l'affidamento della minore ai genitori; la corte d'appello delle Marche con decreto cron. 347 del 14 novembre 2012 rigettava il reclamo, ritenendo al momento il decreto adottato dal tribunale adeguato all'interesse della minore, in quanto l'istruttoria non si era ancora conclusa, pur puntualizzando che una lettera anonima non poteva costituire fondamento di un provvedimento giudiziario;
   in data 16 febbraio 2013 il difensore dei genitori della minore faceva richiesta al tribunale per i minori di valutare l'opportunità di trasferire la bimba e la mamma in altra comunità, più vicina alla città di residenza dei genitori (Ascoli Piceno), per ridurre il disagio dei viaggi quotidiani del padre tra Ascoli Piceno e Macerata; tale richiesta era generata dalla necessità di ovviare al clima difficile che si era creato intorno alla mamma all'interno della comunità stessa, anche a seguito di alcune lesioni riscontrate nella bimba, che venivano attribuite alla mamma come maltrattamenti;
   a seguito di tali episodi – così come riferiti dalla comunità – il tribunale per i minorenni con decreto cron. 1882 del 23 maggio 2013, depositato il 21 giugno 2013, disponeva l'allontanamento della madre anche dalla comunità e la predisposizione di un ciclo di sei incontri monitorati e garantiti a distanza di entrambi i genitori presso il consultorio familiare; veniva altresì disposta una consulenza tecnica d'ufficio sulle capacità vicarianti delle zie della minore e dei rispettivi mariti, considerata la disponibilità in ordine a un eventuale affido, e sull'attuale stato psichico-relazionale della minore;
   la madre della minore veniva allontanata dalla comunità di Macerata il successivo 24 giugno 2013;
   nel settembre 2013 la procura chiedeva l'archiviazione del procedimento penale a carico del padre;
   all'udienza del 15 gennaio 2014 e con successiva richiesta del 24 febbraio 2014 il difensore dei genitori chiedeva e reiterava, anche alla luce dell'archiviazione del procedimento penale a carico del padre, l'immediata revoca della sospensione della potestà al padre ed il collocamento della minore presso lo stesso, richieste ad oggi non riscontrate;
   risulterebbe all'interrogante che la minore sia tutt'ora in comunità e che la madre sia stata allontanata sulla base di quanto riferito dagli operatori della comunità e dunque la minore non abbia contatto da diverso tempo con la madre;
   risulta che il procedimento penale a carico del padre è in fase di archiviazione e che il padre ha notevoli difficoltà nel ristabilire una relazione con la figlia anche a causa della distanza che lo separa dalla comunità in cui si trova la figlia; le istanze depositate dal legale dei genitori al fine di modificare il provvedimento suddetto sarebbero tuttora prive di riscontro;
   risulterebbe che la procedura di allontanamento della minore dal proprio nucleo familiare sia stata originata da un mero esposto anonimo poi posto alla base delle decisioni adottate dal tribunale;
   sulla base di questa e di altre storie di minori allontanati dal proprio nucleo familiare avvenute in passato appaiono drammaticamente fondate le conclusioni di una ricerca della regione Piemonte secondo cui «L'attuale sistema di sostegno e tutela dei minori sta rischiando di andare in corto circuito a causa del potere sproporzionato degli operatori sociali e della leggerezza con cui le decisioni di allontanamento vengono prese»;
   secondo giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia, per un genitore ed il proprio figlio il fatto di essere insieme rappresenta un elemento fondamentale della vita familiare. Le misure interne che lo impediscono costituiscono un'ingerenza nel diritto tutelato dall'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo così laddove risulta provata l'esistenza di un legame familiare, lo Stato deve per principio agire in modo tale da consentire a questo legame di svilupparsi, e deve dunque adottare misure idonee affinché il genitore possa riunirsi al proprio figlio –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri interrogati, ciascuno per quanto di competenza, siano a conoscenza dei fatti esposti;
   quali iniziative intendano adottare, anche di carattere normativo, per la tutela del benessere dei minori al fine di evitare che i minori possano essere sottratti alle famiglie in forza di decisioni adottate dall'autorità giudiziaria sulla base di esposti anonimi, relazioni di psicologi, assistenti sociali, consultori familiari, operatori sociali e psichiatri che valutino l'operato dei genitori in modo unilaterale e senza una verifica del grado di validità e di attendibilità e riscontro delle informazioni, dati, fonti e giudizi su cui si basano le conclusioni raggiunte da tali operatori;
   quali iniziative intendano adottare, anche di carattere normativo, affinché tutti i processi decisionali concernenti provvedimenti di allontanamento dei minori dal nucleo familiare vengano assunti nel rispetto delle garanzie e dei diritti costituzionalmente previsti del giusto processo, del contraddittorio delle parti sulle fonti di prova acquisite e dei diritti della difesa dei genitori coinvolti in tali processi garantendone in maniera effettiva la conoscenza e la partecipazione anche tramite i propri difensori e i consulenti di parte;
   quali iniziative – anche di tipo normativo – intendano adottare affinché il genitore possa riunirsi al proprio figlio in conformità alla normativa nazionale, europea ed internazionale e ai princìpi espressi dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea in materia di affido temporaneo, favorendo programmi di supporto per il recupero della genitorialità con adeguati progetti e disincentivando la odiosa prassi degli «allontanamenti facili» e i continui scostamenti dei minori da una struttura all'altra;
   se il Ministro della giustizia non ritenga che sussistano i presupposti per promuovere iniziative ispettive presso il Tribunale dei minorenni di Ancona ai fini dell'eventuale esercizio di tutti i poteri di propria competenza;
   se i Ministri, ciascuno per quanto di competenza, intendano farsi promotori, con i modi e i mezzi che riterranno più opportuni, di un serio programma di supporto finalizzato al sostegno e al recupero della genitorialità. (5-05167)


   TINO IANNUZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Biocogein srl ha proposto la realizzazione in località Sabatella/Sorvella nel comune di Capaccio – Paestum di un impianto per la produzione di energia elettrica alimentato a biomasse, da fonte FER di cui al codice progetto 48-01;
   su tale progetto, con deliberazione unanime, si è negativamente e motivatamente espresso il consiglio comunale di Capaccio per una pluralità di distinte ma convergenti ragioni;
   la predetta centrale verrebbe a ricadere in una zona agricola caratterizzata da produzioni agroalimentari di elevata qualità (produzioni biologiche e tradizionali con marchio IGP e DOP) e dalla presenza di centri di assoluta eccellenza legati alla filiera lattiero-casearia bufalina ed alla produzione di mozzarella di bufala campana DOP;
   in quella zona fondamentali e strategiche sono la valorizzazione e la tutela delle tradizioni agroalimentari locali di indubbio pregio, oggetto di espresso riconoscimento legislativo;
   inoltre, gli scarti ed i materiali residui derivanti dalle attività complessive di coltivazione agricola nel territorio di Capaccio; non potrebbero mai garantire l'autosufficienza nel funzionamento della centrale; è questo un aspetto fondamentale che preoccupa giustamente le popolazioni interessate e che evidenzia come sia sbagliata la costruzione di quell'impianto nella località prescelta;
   la zona interessata dal progetto è, altresì, vicina all'area archeologica di Paestum, il cui sito è inserito nella lista del patrimonio dell'umanità dell'Unesco ed è visitato da rilevanti flussi turistici provenienti da ogni parte del mondo; inoltre nelle vicinanze ricadono aree naturali protette;
   nella conferenza di servizi, convocata dalla regione Campania – l'amministrazione procedente – nella ultima seduta del 16 febbraio 2015 si è registrato «il contrasto tra autorità con competenze complementari o supplementari in materia sanitaria», proprio perché si sono evidenziati problemi e preoccupazioni in ordine alla salubrità dell'ambiente ed alla tutela della salute delle persone;
   ne è derivata, pertanto, la necessità di attivare la procedura, contemplata dall'articolo 14-quater, comma 3 della legge n. 241 del 1990 e successive modificazioni e integrazioni, senza che la regione abbia ritenuto di manifestare la sua volontà in merito all'impianto, mentre avrebbe dovuto determinarsi negativamente per tutelare le istanze e le esigenze dei territori e delle comunità interessate;
   molto forte e netta è la posizione negativa sul progetto, espressa a più riprese, con dovizia di argomenti ed in molteplici iniziative pubbliche, dalla comunità di Capaccio-Paestum;
   quali iniziative il Governo intenda assumere per far valere – anche nell'ambito della procedura di cui all'articolo 14-quater, comma 3 della legge n. 241 del 1990 – le sopraindicate e motivate ragioni che ostano alla realizzazione del progetto della centrale a biomasse in località Sabatella/Sorvella del comune di Capaccio. (5-05186)


   MURA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il trasporto aereo rimane ancora oggi il più sicuro, i dati parlano da soli: gli incidenti infatti sono stati 12 nel 2014 e 16 nel 2013. Negli ultimi 5 anni nel mondo è avvenuto un incidente ogni 4,34 milioni di voli;
   gli standard di controllo e di sicurezza, come dimostrano gli incidenti, sono alti. In Italia quelli fissati dall'Enac sono uguali per tutti: sia le compagnie tradizionali che le «low cost» applicano procedure operative e di discrezionalità da parte dell'equipaggio che sono equivalenti;
   il disastro aereo che ha coinvolto l'Airbus A320 della Germanwings, in cui sono rimaste uccise 150 persone, riapre comunque nuovi e inquietanti interrogativi sugli standard di sicurezza delle compagnie «low cost»;
   l'Airbus A320, schiantatosi sulle Alpi francesi, era piuttosto «impopolare» tra i piloti della Germanwings a causa dei suoi frequenti problemi tecnici ed «uno degli aerei che rimanevano più spesso a terra»;
   il velivolo della compagnia «low cost» controllata da Lufthansa era uno dei più vecchi Airbus 320: immatricolato nel 1990 venni mandando in cielo per la prima volta il 29 novembre dello stesso anno;
   l'anzianità del veicolo alimenta i dubbi sulla sicurezza di quel volo: si pensi, ad esempio, che la flotta Alitalia ha una media di età di solo 8 anni;
   i dubbi sulla sicurezza dei voli low cost sono in particolare legati alla manutenzione e al rispetto dei suoi cicli;
   le compagnie «low cost» sono costituite da una miriade di vettori che spesso riescono a sfuggire dalla rete dell'Icao, l'organizzazione internazionale dell'aviazione civile, che sovraintende al trasporto aereo, il che rende difficile controllare sia le piccole che le grandi compagnie e verificare sicurezza, efficienza e qualità dei servizi;
   in alcune compagnie «low cost», che hanno come obiettivo il massimo utilizzo degli aeromobili e la massimizzazione del profitto, il personale è più stressato e questo può ripercuotersi sulle procedure e sul grado di discrezionalità nel prendere le decisioni;
   in queste «low cost» il personale non sempre riesce ad esprimere dubbi e lamentele: in Ryanair, la prima compagnia a basso costo in Italia, con basi in tutto il Paese, i piloti e gli assistenti di volo hanno denunciato più volte una pressione sui tempi;
   in queste compagnie le hostess e gli steward non si limitano a fornire assistenza, ma svolgono più funzioni: puliscono l'aereo e sovrintendono alle operazioni di imbarco, quasi sempre il rientro alla base di partenza avviene in giornata;
   come è stato denunciato anche sulla stampa, questo può comportare che qualcuno voglia spingere la macchina al massimo, pur di portare a termine il volo, che, in altre compagnie, con organizzazione e tempi diversi, verrebbe con tutta probabilità cancellato;
   la decisione ultima spetta al comandante, in capo al quale secondo il codice della navigazione vi è la responsabilità giuridica: se le pressioni della compagnia sono forti, il margine di discrezionalità del comandante stesso si restringe con conseguente riduzione del livello di sicurezza del volo in questione –:
   se non ritengano urgente attivarsi attraverso 1'ENAC e tutte le autorità competenti affinché, alla luce di quanto emerso anche in recenti inchieste giornalistiche, sia ulteriormente aumentato il livello di sicurezza dei voli italiani, sia quelli operati da compagnie tradizionali sia quelli svolti da compagnie «low cost»;
   quali iniziative intendano adottare affinché la politica del «massimo utilizzo degli aeromobili e della massimizzazione del profitto» condotta da alcune compagnie «low cost» che operano in Italia non ricada sul personale a bordo (piloti e assistenti di volo) e, conseguentemente, sulle procedure e sul grado di discrezionalità delle decisioni che esso è chiamato a prendere;
   quali iniziative intendano adottare affinché le politiche industriali di alcune compagnie «low cost» siano rispettose dei diritti dei lavoratori e della sicurezza dei passeggeri, molti dei quali hanno ripetutamente denunciato comportamenti da parte delle compagnie che nulla hanno a che fare con la sicurezza e la serenità del personale di bordo. (5-05187)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MATARRELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   per effetto della legge n. 56 del 2014, meglio nota come legge «Delrio», tra l'altro, sottoposta per volontà di alcune regioni, al vaglio della Corte costituzionale, si è voluto dare un nuovo corso all'assetto istituzionale delle province italiane, prevedendo per le stesse nuove competenze e nuove modalità di elezione degli organi politici;
   con la legge di stabilità 2015, entrata in vigore il 1o gennaio 2015, si è voluto imprimere una forte e grossolana accelerata al processo di riordino degli enti locali, determinando condizioni di notevole caos nelle competenze e certe condizioni di prossimi dissesti finanziari per molte province, con riflessi assolutamente negativi sulle comunità locali e con elevatissimo rischio di restrizione del già contingentato intervento pubblico a favore del settore della sicurezza sociale, della cultura, della pubblica istruzione e delle politiche giovanili;
   negli ultimi anni, a fronte della drastica riduzione dei trasferimenti erariali e regionali a favore degli enti locali, è andata progressivamente aumentando la misura del concorso degli enti locali alla spesa dello Stato con prelievi e sanzioni varie, tra i quali, quelle per eventuali sforamenti del patto di stabilità, statisticamente rinviabile, ma metà drasticamente inevitabile per tutti gli enti. Questo insieme di circostanze è stato tale e rischia sempre più di rendere incerti gli equilibri finanziari e, per la stragrande maggioranza delle province italiane, incerta la possibilità di approvare bilanci di previsione triennali, come previsto dalle norme ordinarie, e persino di avere sufficienti risorse per pareggiare il solo bilancio dell'anno in corso, con conseguenti drastiche ricadute sulla possibilità di garantire le retribuzioni al personale dipendente per l'intero anno, in uno con i servizi ai cittadini;
   questa è sicuramente la situazione in cui versa, tra le altre, la ex florida, finanziariamente parlando, provincia di Brindisi, di cui l'interrogante sino a qualche anno fa, è stato consigliere provinciale di maggioranza;
   la situazione appare ancor più grave se si considera che alla insufficienza di risorse finanziarie, persino per garantire retribuzioni e servizi rientranti nelle cosiddette funzioni fondamentali previste dalla legge Delrio, tra cui precipuamente, viabilità, ed edilizia scolastica, le province dovranno farsi comunque carico di sostenere spese anche per le funzioni non fondamentali (per servizi e personale);
   in Puglia la situazione appare ancora più grave in quanto in assenza di una regia regionale volta a riordinare in maniera sistematica le funzioni dismesse dalle province, il rischio ormai prossimo dei disavanzi di bilancio si somma a quello di mobilità dell'ex personale delle province verso l'incerto e con la possibile perdita del patrimonio delle professionalità acquisite in particolare nella gestione dei servizi (attività culturali, biblioteche, musei, le ICO e i servizi sociali);
   la provincia di Brindisi dispone di una centralissima biblioteca, polo regionale e nazionale di eccellenza, centro di aggregazione e luogo di cultura fruibile gratuitamente da tutti; dispone di un Museo archeologico di fama internazionale che tra l'altro ospita beni archeologici, quindi di proprietà dello Stato (Sovraintendenza archeologica), che, una volta messi in mobilità i dipendenti, diventeranno se non assegnati e valorizzati, da immobili di pregio, presto dei ruderi inseriti in un contesto culturalmente ed economicamente in forte crisi;
   la provincia di Brindisi ha uno sbilancio di 12 milioni di euro e le previsioni per 2016 e 2017 sono non prevedibili in quanto prossime a zero risorse;
   per equilibrare il bilancio 2015, la provincia non ha altra soluzione se non inserire in entrata tutte quelle voci volte a coprire le spese di mantenimento dei servizi non rientranti nelle funzioni proprie;
   la situazione economica e finanziaria delle province in genere e di quella di Brindisi che si cita come esempio, non solo perché territorio da cui proviene l'interrogante e di cui ha conoscenza diretta e certa, è aggravata in maniera assolutamente inaccettabile, dalla incompiuta riforma secondo cui, le funzioni sono tagliate, le spese devono essere tagliate, i trasferimenti azzerati, i prelievi dello Stato certi e progressivamente crescenti, le sanzioni per lo sforamento del patto comminate, ma gli enti devono da soli mantenere tutto il personale, continuare a garantire i servizi sino al momento in cui la regione decide il riordino e, paradosso del paradosso, devono anche sostenere le spese di competenza dello Stato per le sue funzioni proprie, vedasi in particolare, i costi delle politiche attive del lavoro e della polizia provinciale;
   appare difficilmente comprensibile che lo Stato abbia trasferito alle province nel 1999 i ministeriali del vecchio collocamento e che ora decida di ritrasferirli nella costituenda agenzia, ma che sono stati da alcuni anni a carico dei bilanci provinciali e lo sono tutt'ora;
   appare del tutto evidente che l'accelerazione che s’è voluta imprimere con la legge di stabilità ha sconvolto un già complesso e delicato processo, sicuramente necessario, rendendolo praticamente difficilmente sostenibile tanto da determinare gravi rischi alla tenuta finanziaria di molti enti, al mantenimento di molti servizi anche essenziali, alla sicurezza del mantenimento di posti di lavoro in un momento di grave crisi economica in cui la compressione dei consumi non facilita certo la ripresa della produzione e, quindi, della ricollocazione;
   le intelligenze potranno produrre l'osservanza delle norme ma non certo «produrre» o «creare» risorse finanziarie, quindi comunque, si assisterà a servizi dismessi, centri chiusi, scuole e strade dissestate, personale demotivato, mortificato ed inserito in pericolosi spirali di mobilità –:
   quali azioni intenda intraprendere affinché il patrimonio culturale costituito da biblioteche, musei e fondazioni musicali gestiti dalla provincia non rischino di essere devalorizzati;
   se non intenda esonerare la provincia e quindi farsi carico delle spese come, ad esempio, la vigilanza del museo, il riscaldamento nelle scuole medie superiori visto che dal 1o gennaio 2015 non sono più competenze delle province;
   se si stia provvedendo, ed entro quali tempi, a garantire la copertura della spesa del personale del mercato del lavoro e del corpo della polizia provinciale, a rifinanziare il Fondo nazionale delle politiche sociali, per sostenere i comuni nelle spese per l'integrazione scolastica ed il trasporto disabili visto che prima il tutto era garantito dalle province. (4-08562)


   LODOLINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le attività balneari insistenti sul demanio marittimo rappresentano un elemento di attrattività e di opportunità di sviluppo che, nonostante la lunga crisi economica, continua a dare opportunità di lavoro;
   su tali aree demaniali, fondamentali per più comparti economici, si ha la necessità di mettere in atto processi di innovazione, di investimenti che le rendano sempre più attrattive e fruibili e che ne preservino la bellezza e il paesaggio;
   il Governo entro il 17 aprile 2013 avrebbe dovuto emanare un decreto legislativo per il riordino delle concessioni demaniali marittime;
   si è tutt'ora, in una fase di incertezza, che richiede una forte accelerazione;
   la legge n. 221 del 2012 ha prorogato la scadenza delle concessioni demaniali marittime al 31 dicembre 2020. Tale legge non è mai stata notificata all'Europa. È inoltre pendente presso la Corte di giustizia europea il ricorso sulla validità della proroga al 31 dicembre 2020 che probabilmente avrà il suo epilogo fra estate e autunno di quest'anno;
   altro aspetto che va evidenziato è quello che riguarda i canoni demaniali. I canoni demaniali applicati non corrispondono alla effettiva redditività delle concessioni ed hanno creato disparità ed iniquità che hanno completamente stravolto i valori e messo a repentaglio oltre 250 imprese che occupano quasi 4000 persone. Il riferimento è ai cosiddetti «pertinenziali», che va risolto in tempi rapidissimi (ci si augura che in aprile possa esserci un provvedimento in cui inserire la norma), visto che ad alcuni sono già arrivate le revoche delle concessioni;
   il calcolo sulla base dei valori OMI va eliminato e con esso anche la distinzione fra facile e difficile rimozione sostituendola con un criterio che invece tenga conto della effettiva tipologia di attività svolta e anche della effettiva occupazione demaniale oggetto di concessione;
   ad oggi non si sa quali e quante sono le concessioni, tanto che il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Sandro Gozi, per confrontarsi con l'Europa ha dovuto attivare il proprio dipartimento per gli affari esteri per richiedere ai comuni informazioni in merito e, ad oggi, ne sono ritornate circa un 30 per cento;
   è opportuno dare attuazione all'articolo 5 del decreto legislativo n. 85 del 28 maggio 2010 che prevede il passaggio del demanio marittimo alle regioni e quindi che il Governo predisponga i relativi decreti attuativi;
   relativamente al tema del rinnovo delle e concessioni delle relative procedure di gara si potrebbe attivare un doppio binario:
    a) il primo riguarderebbe le concessioni in essere che dovrebbero essere prorogate sulla base del confronto con l'Europa senza procedura di gara;
    b) il secondo riguarderebbe le nuove concessioni demaniali che, per il nostro territorio, presumo non riguarderebbe nessuno;
   si potrebbe, tuttavia, determinare una fase di stallo legata alla durata della proroga che potrebbe bloccare quel processo di innovazione e di investimenti, coerenti con i piani di spiaggia di cui si ha bisogno ora e subito;
   ci sono operatori che stanno accorpandosi, che hanno voglia e coraggio di investire e per fare questo ci vogliono certezze e tempi per ricorrere al credito;
   per quanto riguarda le gare sono i comuni che da soli o in associazione volontaria devono bandire le gare col criterio della offerta economicamente più vantaggiosa con criteri che prevedano:
    a) il diritto del Concessionario uscente di un indennizzo da parte del concessionario subentrante determinato sulla base di una valutazione dei beni non integralmente ammortizzati, degli investimenti effettuati e del valore commerciale di mercato della impresa;
    b) che non si possa fare ricorso all'istituto dell'avvalimento;
    c) che sia valutata l'esperienza acquisita nel tempo e il valore dei profili professionali e del piano occupazionale;
    d) che sia valutato il piano economico e finanziario di copertura degli investimenti e di annessa gestione;
    e) che non si possano acquisire più di due concessioni sia direttamente che indirettamente;
    f) che sia valutata la coerenza della offerta col piano spiaggia –:
   se il Governo ritenga opportuno che, in via preliminare, sia istituita, a livello di Governo, una cabina di regia sotto la guida della Presidenza del Consiglio con la presenza del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, del Ministro dell'economia e delle finanze e dell'Agenzia del demanio;
   se si intenda definire un tavolo di confronto con comuni e regioni, visto che l'uso del demanio marittimo, oltre alla attività turistico ricreativa riguarda il commercio, la pesca e l'acquacoltura, l'industria e la portualità;
   se si intendano assumere iniziative per chiarire definitivamente il tema della proroga delle concessioni, posto che, ad oggi le concessioni su demanio marittimo sono, per norma europea, valide fino al 31 dicembre 2015;
   se si intenda verificare la possibilità di elaborare una «white list» dei concorrenti tramite le prefetture per prevenire eventuali tentativi di infiltrazioni.
(4-08568)


   VENITTELLI e BORGHI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 54 del decreto legislativo n. 152 del 2006 definisce il «dissesto idrogeologico», come «la condizione che caratterizza aree ove processi naturali o antropici, relativi alla dinamica dei corpi idrici, del suolo o dei versanti, determinano condizioni di rischio sul territorio»;
   il dissesto idrogeologico rappresenta una delle maggiori criticità del nostro Paese. Si tratta di un problema confermato dai dati: l'82 per cento dei comuni è esposto a rischio idrogeologico, 5 milioni e 700 mila i cittadini vivono in aree di potenziale pericolo e 1,2 milioni edifici insistono su queste aree; secondo dati recenti il costo complessivo dei danni provocati in Italia da calamità naturali è pari a circa 3,5 miliardi di euro all'anno e le risorse necessarie per fronteggiare gli effetti di questi eventi tendono ad aumentare di anno in anno;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in collaborazione con il dipartimento dei servizi tecnici nazionali, il dipartimento della protezione civile e Anpa, ha individuato, anche sulla base dei dati disponibili presso la protezione civile e l'Autorità di bacino del Po, che il Molise detiene il primato nazionale per percentuale di comuni ad alto rischio di alluvioni e frane (51 per cento);
   il Molise è al terzo posto della classifica nazionale per rischio di dissesti idrogeologici ed in particolare per le frane, ci sono 8800 frane attive, con ben 88 comuni a rischio per l'instabilità dei versanti caratterizzati da una quasi totale natura argillosa con circa 3560 chilometri su un totale di 4618; secondo una classifica del quotidiano La Stampa il Molise si posiziona al primo posto con una media di rischio per la popolazione residente pari al 19,4 per cento per frane e smottamenti;
   il rischio coinvolge anche i beni culturali del territorio molisano: il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha stilato la «Carta del rischio» ed ha evidenziato che il Molise detiene anche il primato per opere culturali che rischiano di crollare a causa di fenomeni franosi (144 beni solo per la provincia di Campobasso);
   l'inverno 2015, è stato segnato dal 36 per cento di precipitazioni in più rispetto alla media nella regione Molise e che gli avvenimenti recenti hanno causato ingenti danni su tutto il territorio molisano, interessando terreni seminati, frutteti, vigneti ed oliveti, con fenomeni pluviali che hanno ulteriormente accentuato il rischio di frane e smottamenti. Danni preoccupanti si sono registrati anche per le aziende zootecniche molisane, anche per l'interruzione di fornitura delle reti idriche ed elettriche;
   a questo si aggiunga la pericolosità derivante dalla mancata messa in sicurezza degli alvei dei corsi d'acqua, che in ogni parte del territorio verso l'Adriatico e il versante opposto venafrano registra fenomeni ciclici di esondazione anche in ambiti urbanizzati, pensiamo ai comuni di Montaquila, Pozzilli, Venafro che inducono danno per la possibile perdita di vite umane, distruzione delle attività agricole e produttive oltre che del paesaggio naturale con bilancio socio-economico negativo;
   la fondovalle Sinarca subisce, ad ogni precipitazione, gravi disagi dovuti allo straripamento del torrente Sinarca, che inonda i campi e le strade provocando danni alle abitazioni e alle aziende agricole;
   il fiume Biferno rompe gli argini distruggendo campi e colture con gravi danni per le aziende che vengono colpite dai continui allagamenti;
   il dissesto idrogeologico rappresenta una delle maggiori criticità del nostro Paese e l'azione contro essa è la prima e la più importante delle «grandi opere» di cui avrebbe bisogno il territorio italiano, e necessità di azioni incisive sia sul lato normativo sia su quello degli investimenti. Non ultimo, è di queste ore la notizia che si sia rimessa in moto la frana che da mezzo secolo sta minando il territorio di Petacciato, particolarmente nevralgico per via degli attraversamenti infrastrutturali dell'asse autostradale, ferroviario e statale, che hanno registrato enormi disagi e in centro abitato comportato lo sgombero degli edifici pubblici. Un fenomeno che trae origine dal mare e qui si innesca anche un'altra problematica, quella dell'erosione marina costiera, che comprimendo a valle il territorio causa in effetto tenaglia rispetto agli smottamenti a monte, mettendo a repentaglio non solo le vie di comunicazione, ma anche le prospettive turistiche ed economiche del litorale molisano;
   è stato di recente firmato il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti che ripartisce i 50 milioni di euro destinati ai provveditorati per le opere pubbliche per interventi urgenti in materia di dissesto idrogeologico concordati con la struttura tecnica di missione insediata presso la Presidenza del Consiglio;
   è necessario sempre più implementare una cultura della prevenzione e della mitigazione del rischio idrogeologico mediante risorse certe e politiche strutturali che consentano a tutti gli effetti di preservare dai rischi naturali vite umane e le attività economiche e turistiche –:
   quali interventi siano stati ad oggi predisposti per la prevenzione e la mitigazione del rischio idrogeologico e una adeguata gestione e manutenzione di fiumi e canali e se, al riguardo, siano in fase di realizzazione progetti di intervento che utilizzino anche i fondi comunitari 2014-2020 nonché interventi innovativi per la tutela della biodiversità, per la «rinaturazione» dei corsi d'acqua, per la creazione di invasi ed infrastrutture per la gestione ed utilizzo delle acque. (4-08576)


   MURA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   l'ANCI ha manifestato grande preoccupazione per alcune rilevanti criticità che investono la vita dei comuni, una preoccupazione condivisa dalla quasi totalità dei sindaci d'Italia;
   i comuni hanno contribuito in maniera decisiva al difficile processo di sviluppo e crescita, peraltro ancora in corso, del nostro Paese, in particolare attraverso la devoluzione allo Stato, dal 2010 al 2014, di oltre 17 miliardi di euro a cui aggiungere nel 2015 un ulteriore sforzo di 1 miliardo e mezzo da spending review e 1,8 da patto di stabilità;
   malgrado le difficoltà degli ultimi anni, legate al risanamento economico, non sfugge a nessuno come sia stato positivo il rapporto negoziale tra ANCI e Governo;
   è comunque urgente, come ha sottolineato l'ANCI in una lettera all'esecutivo, dare soluzione a questioni che avrebbero dovuto trovare accoglimento nella legge di stabilità e invece sono state stralciate rimanendo a tutt'oggi irrisolte;
   occorre, in primis, tradurre in legge, l'intesa – sottoscritta in Conferenza unificata nella scorsa settimana – che consente maggiore sostenibilità dell'armonizzazione contabile, nonché offre soluzioni ragionevoli alle sanzioni di patto per annualità pregresse ed irregolarità formali, e soprattutto misure indispensabili per il decollo delle città metropolitane;
   una questione particolare critica che richiede una soluzione a breve è la materia di IMU/TASI: a tutt'oggi, infatti, non è stato ricostituito il fondo compensativo di 625 milioni di euro riconosciuti come indispensabili nel 2014 a 1800 comuni (pari a 30 milioni di abitanti) per evitare che subissero una perdita di gettito nel passaggio dal regime IMU alle aliquote Tasi;
   l'assenza di queste risorse rappresenta per quei comuni, già gravati pro quota del taglio di 1 miliardo e mezzo di euro, un raddoppio del taglio e l'oggettiva impossibilità di chiudere i bilanci;
   vi è la condizione di assoluta criticità in cui versano le nuove città metropolitane, che sono gravate da un taglio particolarmente oneroso – 1 miliardo di euro nel 2015 e altri 2 nel biennio 2016-2017 – dovendo onorare tutti gli impegni dei precedenti enti;
   peraltro, denuncia l'ANCI: «la complessa materia delle funzioni delegate dalle Regioni stenta a trovare regolazione – e però la legge obbliga Città metropolitane ad assicurare continuità nella erogazione di servizi – e i percorsi di mobilità verso altre amministrazioni del 30 per cento del personale – da cui dovrebbero derivare risparmi di spesa – non sono per ora attivati per incompletezza di norme e procedure e il personale, con tutti i relativi oneri diretti e indiretti, continua a essere interamente a carico delle Città metropolitane e degli enti provinciali di secondo grado»;
   le città metropolitane – come gli enti provinciali di secondo grado – hanno l'inderogabile dovere di assicurare servizi essenziali, tra cui la manutenzione di edifici scolastici e di reti stradali, l'assistenza ai disabili, che se non garantiti espongono i cittadini a gravi rischi e le strutture amministrative a responsabilità civili e penali;
   infine, vi è l'urgenza di adottare misure di semplificazione ordinamentale concordate tra ANCI e Governo, ma non incluse nella legge di stabilità –:
   se non ritengano urgente convocare un incontro per definire le questioni sollevate dall'ANCI e dai sindaci d'Italia;
   quali iniziative intendano adottare per aprire una nuova fase di riassetto della finanza locale che affermi l'autonomia, la centralità e la responsabilità dei comuni e delle città metropolitane nel nuovo quadro istituzionale, «che consenta ai sindaci di partecipare attivamente ed accompagnare con spirito di innovazione e di coesione istituzionale le riforme strutturali e di sistema indispensabili per il cambiamento dell'Italia»;
   quali iniziative intendano adottare per assicurare le risorse necessarie alle città metropolitane, dotate di funzioni fondamentali proprie che richiedono una differenziazione, nell'applicazione della manovra, con le province, anche per il ruolo che esse sono chiamate a svolgere nel campo dell'innovazione e dello sviluppo;
   se non si ritenga necessaria l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di attuazione – anche solo parziale – dell'articolo 24 del decreto legislativo n. 68 del 2011 sul federalismo fiscale che consentirebbe di garantire alle città metropolitane le risorse necessarie alla gestione delle funzioni a loro attribuite dalla «legge Delrio», risorse che saranno comunque reperibili anche in virtù dei maggiori introiti fiscali derivanti dalla ripresa dei consumi e della produzione e dal recente accordo italo-svizzero sul rientro dei capitali depositati all'estero (oggi contabilizzati nel bilancio dello Stato per 1 euro);
   se non ritengano opportuno assumere iniziative normative urgenti in materia di enti locali che includano le misure, amministrative e finanziarie, di immediata ed urgente applicazione, che consentano di ottemperare agli obblighi di legge ed istituzionali e soprattutto alle responsabilità verso i cittadini. (4-08577)


   SIBILIA, COLONNESE, PETRAROLI e FICO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la legge 7 aprile 2014 n. 56, cosiddetta legge Delrio, detta una disciplina apparentemente organica del riordino delle province; 
   dopo la sua approvazione la legge 56 del 2014 ha subito altresì modifiche introdotte dal decreto-legge 66 del 2014, convertito in legge 23 giugno 2014 n. 89, e dal decreto-legge 90 del 2014, convertito in legge 11 agosto 2014 n. 114; sul tema specifico delle funzioni dei nuovi enti, la legge 56 del 2014 prevede che le province, quali enti con funzioni di area vasta, esercitano le seguenti funzioni fondamentali: a) pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza; b) pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale, nonché costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente; c) programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale; d) raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali; e) gestione dell'edilizia scolastica; f) controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale;
   le funzioni non fondamentali che le regioni avrebbero dovuto definire con atti ufficiali nelle loro competenze entro fine dicembre, ma che a tutt'oggi non vedono la luce eccezion fatta per la regione Toscana, riguardano: protezione civile (attuazione dei piani regionali, predisposizione dei piani provinciali prima spettanti alla prefettura); risparmio e rendimento energetico; trasporti (molte competenze furono ereditate dalla motorizzazione civile); autoscuole (autorizzazioni, vigilanza, consorzi, esami di idoneità per gli insegnanti); imprese di revisione e riparazione di autoveicoli; rilascio di licenze per autotrasporto ed albo provinciale degli autotrasportatori; industria; difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell'ambiente e prevenzione delle calamità; tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche; valorizzazione dei beni culturali; protezione della flora e della fauna parchi e riserve naturali; caccia e pesca nelle acque interne; organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, rilevamento, disciplina e controllo degli scarichi delle acque e delle emissioni atmosferiche e sonore; servizi sanitari, di igiene e profilassi pubblica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale; compiti connessi alla istruzione secondaria di secondo grado ed artistica ed alla formazione professionale, compresa l'edilizia scolastica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale;
   i tempi di attuazione della «legge Delrio» sono totalmente disallineati dalla legge di riordino delle regioni, ancora assenti, e dalla legge di stabilità che sostanzialmente modifica e abolisce le disposizioni della «legge Delrio», proprio perché introduce un fattore nuovo: l'obbligo in capo alle province di versare allo Stato a regime 3.380 miliardi;
   al riguardo si pone un'evidente questione di legittimità costituzionale della riduzione prevista della spesa corrente per le province e città metropolitane di un miliardo per il 2015, 2 miliardi per il 2016 e 3 miliardi per il 2017, che si traduce in un versamento allo Stato di una quota rilevante delle entrate proprie degli enti per violazione dell'articolo 119 della Costituzione;
   il comma 4 dell'articolo 119 Cost. recita: «le risorse derivanti dalle fonti di cui ai comuni precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città Metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite». Ebbene l'effetto dei tagli previsti dal decreto-legge 24 aprile 2014 n. 66 convertito con modificazioni della legge 23 giugno 2014 n. 89 («Le Province devono assicurare una riduzione della spesa per acquisti di beni e servizi pari a 340 milioni di euro nel 2014 e di 510 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017») e della legge di stabilità 2015 (un miliardo per il 2015, 2 miliardi per il 2016 e 3 miliardi per il 2017) non consente l'esercizio neanche delle funzioni primarie riconosciute alle province e città metropolitane dalla legge 56 del 2014, con conseguente disavanzo di parte corrente, interruzione dei servizi e premessa per dissesto finanziario;
   anche l’iter previsto per la mobilità del personale soprannumerario appare lungo ed incerto, visto che non si conoscono i posti disponibili verso le amministrazioni cui dovrebbero transitare i dipendenti;
   ad oggi l'unica disposizione attuata è stata il cambio alla guida degli organi politici in quanto i presidenti di provincia sono i sindaci e i consigli provinciali sono costituiti da amministratori comunali;
   in sintesi si respira un clima di incertezza diffusa, senza possibilità di confronti e soprattutto con una mancanza di chiarezza sulle risorse finanziarie a disposizione;
   in tutto questo sono in pericolo servizi essenziali per i cittadini come ad esempio tutto ciò che è riservato per la tutela del patrimonio culturale che comprende la conservazione di collezioni museali, beni librari e documentali, archivi multimediali, fondi storici, mostre ed esposizioni, incontri, didattica, salvaguardia delle competenze di centinaia di operatori culturali e così via –:
   quali provvedimenti la Presidenza del Consiglio dei ministri intenda adottare per risolvere quello che gli interroganti giudicano un vero e proprio caos normativo prodotto con tali interventi. (4-08578)


   LOREFICE, COLONNESE, BRESCIA, GRILLO, SILVIA GIORDANO, DI VITA, MANTERO, CANCELLERI e RIZZO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo pubblicato in data 24 marzo 2015 sul quotidiano «La Sicilia» dal titolo «Cara di Mineo, con i soldi per i migranti parentopoli dei posti di lavoro e sagre» scritto dall'inviato Mario Barresi si legge che dalle carte dell'inchiesta emergono «favori» in tutti i comuni del Calatino, tutte attività finanziate con l'industria dell'accoglienza: dalla sagra del carciofo all'assunzione del nipote del sindaco, dalla festa del patrono al posto di lavoro per il candidato che non è stato eletto o per il consigliere comunale disoccupato;
   il centro di accoglienza per richiedenti asilo ha generato quasi un migliaio di posti di lavoro, tutti assegnati senza alcun bando pubblico. In alcuni casi questi posti di lavoro sono spartiti scientificamente in una sorta di «manuale Cencelli» — fra i comuni «soci», come qualche sindaco ha ammesso in pubblico;
   l'articolo riporta che la «parentopoli» di Cara e dintorni, le cui carte sono sui tavoli delle procure, che indagano anche su gestione e appalti, e della Commissione antimafia all'Assemblea Regionale siciliana; non riguarda soltanto l'Ncd del presunto «indagato eccellente», Giuseppe Castiglione. Pare che ci siano dentro quasi tutte le forze politiche. E ci sarebbe dentro anche il Pd, che domenica scorsa ha preso posizione contro lo scandalo del centro di accoglienza per richiedenti asilo, chiedendo il commissariamento del centro con un documento votato dalla direzione provinciale. Non sarebbero coinvolti solo partiti, ma anche sindacati e associazioni che gestiscono in prima linea i posti e gli eventi;
   il centro di accoglienza per richiedenti asilo è considerato da molti residenti «come la Fiat» in un territorio in cui l'agricoltura boccheggia;
   il sindaco di Ramacca, Francesco Zappalà, in un'intervista rilasciata a SudPress ha dichiarato che per il suo comune sono state assunte 35 persone, «di cui 25 le ha fatte Pippo Limoli di Ncd, 5 o 6 il sindacato». Un gruppo di consiglieri d'opposizione l'ha definita una «triangolazione tra Pd, Cgil ed Ncd sull'asse Zappalà-Vitale-Limoli» con i nomi legati al primo cittadino che ha fatto assumere tre nipoti. Al centro di accoglienza per richiedenti asilo sono stati pure assunti i figli dei consiglieri comunali Paolo Cafici, Salvatore Pedalino e Anna Gurrisi. Pare una strana coincidenza, a dire del giornalista, che il consigliere Sergio Ialuna esce dalla maggioranza, dichiarandosi indipendente, dopo il licenziamento del fratello dal centro di accoglienza per richiedenti asilo;
   il sindaco Zappalà, riguardo lo Sprar di Ramacca, si vanta di «non averlo fatto con Paolo Ragusa», il presidente di Sol Calatino, consorzio di cooperative nell'Ati che si è aggiudicata la gestione del centro di accoglienza per richiedenti asilo. Allo Sprar di Ramacca, gestito da «Luoghi Comuni» di Acireale, lavora la moglie del consigliere comunale Giuseppe Paglia e il figlio della dirigente dell'ufficio servizi sociali, Cristina Di Mauro, che ha un ruolo di controllo e rendicontazione sull'attività del centro. Il responsabile dello Sprar nell'ambito dell'integrazione fra comuni è poi Davide Grasso, nipote di Pippo Grasso, sindaco di Castel di Judica;
   il sindaco Grasso, che secondo fonti giornalistiche sarebbe amico personale di Ignazio La Russa e dialogante con Ncd, in una seduta consiliare avrebbe dichiarato che gli avevano «garantito la possibilità di effettuare 25 assunzioni fra Cara e Sprar», tra queste il capogruppo di Ncd Pierluca Torrisi, il figlio del presidente del consiglio comunale Antonio Sindoni e il figlio del consulente del sindaco Vincenzo Trovato. Allo Sprar, sorto in un immobile di proprietà di un cugino di un consigliere di Ncd, lavorerebbe anche il consigliere Emanuele Russo, e la gestione di sagre del pecorino e rassegne è affidata a due associazioni vicine a consiglieri o candidati non eletti della lista del sindaco Grasso;
   il sindaco di Mineo, Anna Aloisi, dapprima consulente legale di Sol.Calatino e poi presidente del consorzio dei comuni, sembra aver avuto una notevole «spinta» in campagna elettorale avendo favorito 24 assunzioni nel trimestre caldo delle Amministrative ed avendo ottenuto una vittoria per meno di 300 voti: come risulta da fonti di stampa, anche a Mineo la mappa delle assunzioni non è al di sopra di ogni sospetto: il vicesindaco Salvo Tamburello ha una sorella impiegata al consorzio; l'assessore Massimo Pulici avrebbe collocato un nipote e un cognato; il consigliere Giuseppe Biazzo è componente del consiglio di amministrazione di Sol.Calatino e la moglie lavora allo Sprar; il consigliere Mariella Simili lavora al centro di accoglienza per richiedenti asilo così come il figlio della consigliera Caterina Sivillica e, il fratello del consigliere Gianluca Barbanti; lavorano allo Sprar anche la moglie del vicepresidente del Consiglio Mario Margarone e Riccardo Targusso, assessore designato da Giuseppe Mistretta;
   il sindaco di Vizzini, Marco Sinatra, presidente dell'assemblea del consorzio, pare avrebbe fatto entrare una coppia di cugini al centro di accoglienza per richiedenti asilo; mentre i consiglieri comunali Vito Arnone e Eliana Costantino lavorano tramite la coop Il Sorriso al locale Sprar; nella giunta sono entrati 3 assessori – Santi Cilmi, Santo Lentini e Giuseppe Palma – i cui figli erano già in precedenza stati assunti allo Sprar;
   a Licodia Eubea il figlio del sindaco Giovanni Verga lavora con uno degli avvocati più gettonati dal centro di accoglienza per richiedenti asilo, mentre anche la cognata del presidente del consiglio comunale Alessandro Astorino risulterebbe assunta allo Sprar;
   a Raddusa, secondo quanto sostenuto dall'opposizione, al centro di accoglienza per richiedenti asilo sono stati assunti il cognato del presidente del consiglio comunale Salvatore Macaluso, il figlio dell'assessore Mario Rapisarda e i nipoti dell'ex vicesindaco Francesco Leonardi e del consigliere Luigi Allegra; mentre allo Sprar sarebbero stati assunti la sorella del consigliere comunale Carmelo Pagana, il nipote del vicesindaco Serafina Schilirò, la figlia del consigliere Allegra, la zia del consigliere Salvatore Currao, la figlia della segretaria del sindaco Anna Di Leonforte;
   a Caltagirone sarebbe stato impiegato al centro di accoglienza per richiedenti asilo il marito del capogruppo Ncd Elisa Privitera, mentre a Grammichele allo Sprar lavorerebbe un cugino del presidente del consiglio comunale Pietro Palermo –:
   se siano a conoscenza dei profili di inopportunità e di poca trasparenza nella gestione delle assunzioni del centro di accoglienza per richiedenti asilo e dello Sprar e quali provvedimenti, compresi eventuali invii di ispettori ministeriali, intendano intraprendere;
   se non intendano fare chiarezza, per quanto di competenza ed autonomamente rispetto alla magistratura, sulla gestione amministrativa dei centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo e, in particolare, sulla gestione del personale assunto;
   se non ritengano opportuno ed eticamente doveroso verificare la veridicità di tutte le informazioni riportate dalla stampa. (4-08587)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   TANCREDI e PAGANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da numerose e ripetute notizie apparse sui principali media, sia nazionali che locali, risulterebbe che nella «cassa di colmata» risultante dal dragaggio dei fondali del porto della città di Molfetta – attualmente sottoposto a sequestro giudiziario – sarebbero stati riversati rifiuti pericolosi costituiti da alcune migliaia di ordigni bellici;
   si è ipotizzato che in tale situazione tali ordigni sarebbero suscettibili di esplosione anche per «simpatia» –:
   se il Governo sia a conoscenza di tali notizie e se sia in grado di confermarne la veridicità;
   ove corrispondano al vero le notizie stampa che denunciano tale situazione, se non si ritenga opportuno e se si preveda di adottare, con la massima urgenza, tutte le iniziative idonee a scongiurare tale eventuale pericolo. (3-01397)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO, RIZZETTO, PRODANI, MUCCI, SEGONI, BALDASSARRE, BECHIS, ARTINI, TURCO e BARBANTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella XVI legislatura è stata presentata dai deputati radicali, primo firmatario Maurizio Turco, l'interrogazione a risposta scritta 4-18712 — rimasta senza risposta – con la quale si chiedeva quali fossero le ragioni del ritardo con il quale il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva richiesto i verbali delle udienze preliminari al fine di costituirsi parte civile nel processo contro alcuni amministratori della raffineria Tamoil di Cremona, visto che durante l'udienza tenutasi il 19 novembre 2012 il giudice Guido Salvini aveva reso noto di aver ricevuto tale richiesta solo il 31 ottobre 2012 quando appena il 27 ottobre aveva ammesso gli imputati al rito abbreviato;
   in data 18 luglio 2014 è stata emessa una sentenza con la quale sono stati condannati i dirigenti della raffineria Tamoil di Cremona:
    GILBERTI ENRICO per il reato di cui agli articoli 81-434 del codice penale alla pena di anni sei di reclusione e per quello di cui all'articolo 257 del decreto legislativo n. 152 del 2006 alla pena di sei mesi di arresto e 9.000 euro di ammenda e BILLI GIULIANO GUERRINO per il reato di cui agli articoli 81-434 del codice penale alla pena di anni tre di reclusione oltre al pagamento in solido delle spese processuali relative al reato cui la condanna si riferisce e l'interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e li dichiara altresì in stato di interdizione legale durante l'espiazione alla pena;
   ABULAIHA MOHAMED SALEH e COLOMBO PIERLUIGI alla pena di un anno e otto mesi di reclusione ciascuno per il reato di cui all'articolo 449 del codice penale e alla pena di quattro mesi di arresto e di 6.000 euro di ammenda per il reato di cui all'articolo 257 del decreto legislativo n. 152 del 2006 oltre al pagamento in solido delle spese processuali relative al reato cui la condanna si riferisce concedendogli il beneficio della sospensione condizionale della pena subordinando tale beneficio alla prosecuzione dei necessari interventi di bonifica e ripristino ambientale;
   GILBERTI, BILLI, ABULAIHA e COLOMBO al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali cagionati alle costituite parti civili che saranno liquidati in separato giudizio civile assegnando alle parti civili una provvisionale immediatamente esecutiva;
   al Comune di Cremona – che al pari del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non si è costituito parte civile – è stata riconosciuta una provvisionale di 1 milione di euro in ragione del fatto che il dottor Gino Ruggeri, segretario dell'associazione radicale Piero Welby di Cremona, iscritto nelle liste elettorali del comune di Cremona si è avvalso, in ragione del mancato intervento del comune, della facoltà di cui all'articolo 9 del Testo unico degli enti locali;
   nella sentenza si legge: «il comune di Cremona, rimasto estraneo al processo, affermi brevemente nella delibera in data 25 maggio 2012 che ha portato alla scelta di non costituirsi che dalla condotta della TAMOIL non sarebbero derivati al comune di Cremona danni di natura patrimoniale diversi dal danno ambientale di esclusiva pertinenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare»;
   «appare infine opportuno ricordare (...) che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonostante la natura dei reati contestati agli imputati, e pur ritualmente e più volte informato (ad esempio la comunicazione di questo ufficio al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 17 maggio 2012, 9 luglio 2012 e 9 ottobre 2012 non seguite da alcun intervento), non ha presenziato alle udienze né si è costituito parte civile» –:
   visto che la prima comunicazione del Giudice per le indagini preliminari di Cremona è del 17 maggio 2012, a cui sono seguiti i solleciti del 9 luglio e 9 ottobre 2012, se risulti agli atti per quali motivi il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia richiesto i verbali delle udienze preliminari al fine di costituirsi parte civile nel processo contro alcuni amministratori della raffineria Tamoil solo il 31 ottobre 2012, giusto 4 giorni dopo che il giudice aveva ammesso gli imputati al rito abbreviato;
   se risulti agli atti quando il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ricevuto l'informazione inviata il 17 maggio dal tribunale di Cremona e quale procedura è stata seguita per questa e le successive informazioni del 9 luglio e del 9 ottobre per arrivare al 31 ottobre, data in cui il Ministero ha richiesto – in tempo non più utile – i verbali delle udienze preliminari al fine di costituirsi parte civile;
   se e quanto sia stato speso e/o sia previsto di spendere nella bonifica della raffineria Tamoil di Cremona. (5-05185)


   VALIANTE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con la legge quadro sulle aree protette n. 394 del 1991, dando attuazione agli articoli 9 e 32 della Costituzione, si sono dettati i princìpi fondamentali per l'istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e di promuovere la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del Paese. Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la regione si istituiscono e delimitano i parchi nazionali in via definitiva. La norma sopracitata, in particolare, all'articolo 9 attribuendo all'Ente parco personalità di diritto pubblico, sede legale e amministrativa nel territorio del parco e subordinandolo alla vigilanza del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prevede quali sono gli organi necessari dello stesso: un presidente, un consiglio direttivo, una giunta esecutiva, un collegio dei revisori dei conti e la comunità del parco. Lo stesso articolo 9, inoltre, prevede che il consiglio direttivo debba essere composto da «esperti particolarmente qualificati in materia di aree protette e biodiversità». All'articolo 24, si prevede che: «in relazione alla peculiarità di ciascuna area interessata, ciascun parco naturale regionale preveda, con apposito statuto, una differenziata forma organizzativa indicando i criteri per la composizione del consiglio direttivo, la designazione del presidente e del direttore, i poteri del consiglio, del presidente e del direttore, la composizione ed i poteri del collegio dei revisori dei conti e degli organi di consulenza tecnica e scientifica, le modalità di convocazione e di funzionamento degli organi statutari, la costituzione della comunità del parco». La regione Campania, ad esempio, con la legge regionale n. 33 del 1993, istitutiva di parchi e riserve naturali, detta i requisiti necessari per i soggetti che ambiscono a ricoprire la carica di presidente di parco; e, infatti, all'articolo 8 si prevede che il presidente dell'Ente parco «venga nominato dalla Giunta Regionale su proposta degli Assessori alle Foreste, alla Urbanistica e all'Ecologia, sentito il parere delle Commissioni Consiliari competenti ai sensi della legge n. 26 del 24 aprile 1980 e prescelto tra persone che si siano distinte per i loro studi e/o per la loro attività nel campo della protezione dell'ambiente e non ricoprano cariche elettive e/o amministrative negli Enti locali, negli organi di gestione di Enti regionali nonché cariche elettive regionali, parlamentari ed europee». La giunta regionale dunque deve nominare il presidente in seguito ad una selezione accurata curriculare, basata sulle reali esperienze, assicurandosi che tali soggetti siano «persone distinte per i loro studi e/o per la loro attività nel campo della protezione dell'ambiente». Da tali esempi, che, se anche riguardano i parchi regionali sono indicativi di un criterio e un indirizzo chiaro nella valutazione dei curricula e nelle procedure di nomina, è evidente ci si assicuri la scelta al vertice degli enti di soggetti preparati e portatori di una spiccata sensibilità alle tematiche della tutela dell'ambiente e del territorio. È condizione necessaria ma non sufficiente aver condotto studi in materie ambientali o l'aver soltanto intrapreso attività genericamente connesse all'ambiente. La giurisprudenza amministrativa, infatti, ha affermato che il dato rilevante è l'aver svolto un impegno di durata e rilevanza tale da assurgere ad «elevato elemento di distinzione e specifica qualificazione del soggetto interessato». L'organo di giustizia amministrativa pone l'accento sulla concretezza e sul rilievo dell'attività svolta. Ed in tal senso anche il Consiglio di Stato ha ribadito la ratio sottolineando la differenza che passa tra attività che possono considerarsi rilevanti e foriere di impegno effettivo da quelle che, al contrario, si configurano solo apparentemente come tali (Consiglio di Stato sentenza 4468/2007). Ne deriva che non il titolo di studio né una generica attività inerente alla tutela dell'ambiente sono elementi sufficienti a consentire ad un soggetto di ricoprire il vertice dell'organizzazione ente parco. Colui che intenda accedere alla carica deve aver svolto un impegno in materia non solo concreto ma anche di qualità superiore alla media. Esemplificativo appare il precedente costituito dalla sentenza 2803/2006 del TAR Campania in cui il giudice amministrativo non ha ritenuto sufficiente considerare come elemento distintivo il solo avere ricoperto la carica di assessore comunale all'ambiente, per essere la stessa «un'esperienza professionale di politica amministrativa e non quindi indicativa di un particolare impegno nella salvaguardia, conservazione e valorizzazione del patrimonio pubblico». L'amministrazione, dunque, nello scegliere la personalità più indicata a ricoprire il ruolo di presidente dell'ente parco deve, anche nel rispetto delle norme e di una consolidata giurisprudenza, vagliare accuratamente gli studi e le esperienze di ciascun candidato considerandone la quantità e la qualità, privilegiando colui il quale si è realmente distinto per un impegno attivo nella salvaguardia e nella tutela del territorio –:
   quali iniziative di competenza, anche normative, intenda assumere per assicurare che le procedure di nomina in atto di organi direttivi e presidenziali dei parchi nazionali sia o in linea con quanto disposto dall'articolo 9, comma 4, della legge n. 394 del 1991, ottemperando ai princìpi di legalità, buon andamento e imparzialità dell'amministrazione previsti all'articolo 97 della nostra Carta Costituzionale, oltre che con i consolidati orientamenti giurisprudenziali delle magistrature amministrative. (5-05190)

Interrogazione a risposta scritta:


   GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è noto che l'inalazione di fibre d'amianto volatili nell'organismo umano è stata dichiarata all'unanimità dalle autorità sanitarie internazionali quale causa certa di tumori;
   la presenza di manufatti in cemento-amianto (m.c.a.) non costituisce di per sé rischio per la salute dei cittadini e/o per la tutela ambientale, in quanto il rischio dipende dalla probabilità di una dispersione di fibre amiantifere in aria e/o nel suolo. La probabilità della cessione è a sua volta connessa alla perdita di compattezza del m.c.a., il che si realizza per una lunga esposizione agli agenti atmosferici e/o per danneggiamento ad opera dell'uomo;
   la ASL 10 e l'ARPAT Firenze hanno elaborato un piano per proporre ai sindaci, quali autorità competenti in tema di tutela e protezione della salute della popolazione e della gestione del territorio, una procedura utile per disporre di elementi per conoscere la presenza di manufatti in cemento amianto all'esterno di residenze o in aree accessibili al pubblico, nonché all'interno di abitazioni o condomini, nonché il relativo livello di rischiosità. La proposta è stata posta all'attenzione dei comuni della provincia fiorentina, appartenenti al bacino di competenza della ASL 10, fra la fine del 2009 e gli inizi 2010;
   l'amministrazione comunale di Poggibonsi (Siena), con ordinanza datata 23 marzo 2012, ha mappato le aree del territorio con presenza di coperture in cemento-amianto (eternit) e disposto di valutarne lo stato di conservazione, rendicontando un totale di 57 mila metri quadrati di superficie. Tale mappatura, tuttavia, copre soltanto il 16,5 per cento dei siti sensibili (edifici pubblici o aperti al pubblico), teoricamente i più pericolosi per la popolazione in presenza di amianto disperdibile;
   i consiglieri M5S di Poggibonsi hanno pertanto interrogato il sindaco per chiedere un aggiornamento dei dati sulle coperture in cemento-amianto sugli edifici pubblici e quale sia ad oggi la situazione sulle tubature in amianto dell'acqua (potabile e di scarico) gestite da Acque spa;
   la giunta comunale di Poggibonsi, in data 3 marzo 2015, ha risposto alla interrogazione evidenziando che il comune può intervenire solo qualora si presentino dei casi di pericolo per la salute, che tutti gli edifici comunali presentano elementi di amianto compatto e non friabile, senza precisare a quando risalgano gli ultimi controlli. La risposta, tuttavia, omette di indicare dati in merito ad una vasta area di una ex-fornace «Le Piaggiole», e in merito alle tubature per l'acqua in amianto, che a Poggibonsi sono circa 14 chilometri, come dichiarato dal gestore stesso Acque spa;
   in merito all'area ex Piaggiole, già segnalata da un gruppo di cittadini residenti con una raccolta firme, risulta agli interroganti che sia il comune di Poggibonsi che l'Arpat toscana non conoscano con precisione l'estensione della superficie in amianto, come dimostra anche l'elenco consultabile online;
   il decreto ministeriale (sanità) del 6 settembre 1994, al punto 4, dispone che il responsabile dell'area contenente amianto dovrebbe effettuare controlli periodici e manutenzione, in particolare «nel caso siano in opera materiali friabili provvedere a far ispezionare l'edificio almeno una volta all'anno, da personale in grado di valutare le condizioni dei materiali, redigendo un dettagliato rapporto corredato di documentazione fotografica. Copia del rapporto dovrà essere trasmessa alla USL competente la quale può prescrivere di effettuare un monitoraggio ambientale periodico delle fibre aerodisperse all'interno dell'edificio»;
   è evidente che senza disporre di dati aggiornati e soprattutto senza che le verifiche siano fatte anche sullo stato di manutenzione del materiale in cemento-amianto, i sindaci sono impossibilitati a verificare se ci siano i presupposti del «pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica» –:
   se il Ministro interrogato, sia a conoscenza del livello di aggiornamento dei dati concernenti la presenza e lo stato di manutenzione e sicurezza delle coperture in cemento amianto (m.c.a.) sul territorio nazionale, e in particolare nel comune di Poggibonsi;
   se tali dati risultino adeguati e aggiornati e quali iniziative intenda assumere nel caso in cui non lo fossero. (4-08581)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ALTIERI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'orchestra sinfonica della città metropolitana di Bari, nata grazie all'amministrazione provinciale di Bari nel 1968 con lo scopo di divulgare la cultura musicale nella provincia, rappresenta oggi una grande realtà musicale con oltre 100 concerti all'anno;
   nel 1971 l'orchestra è stata riconosciuta dal Ministero dello spettacolo «formazione d'interesse nazionale» e ha iniziato il suo cammino di istituzione concertistica orchestrale (ICO);
   la succitata orchestra, accolta sempre con favore da gran parte delle critica nazionale ed internazionale, presenta un nucleo stabile composto da 32 professori a tempo indeterminato e dipendenti della città metropolitana di Bari e altri 15 aggiunti a seconda delle necessità di produzione;
   con il processo di riordino delle funzioni delle province, avviato con la legge «Delrio», n. 56 del 7 aprile 2014, l'orchestra sinfonica della provincia di Bari è passata nelle competenze della neo istituita città metropolitana di Bari, tuttavia, a detta dell'interrogante, tale normativa non ha specificato chiaramente le competenze delle città metropolitane, e se tra queste rientrino le attività culturali; non risultano tuttora emanati i decreti attuativi;
   le norme dell'ultima legge di stabilità 2015 prevedono ulteriori tagli a danno degli enti locali. Tali tagli mettono a serio rischio l'attività dell'istituzione concertistica orchestrale, ad oggi infatti, la città metropolitana di Bari non ha potuto dar seguito alla programmazione dell'intera stagione 2015 con grave danno d'immagine e di pubblico;
   le succitate problematiche funzionali ed economiche e le incertezze amministrative derivanti dalla legge «Delrio», mettono l'istituzione concertistica orchestrale di Bari a rischio scioglimento con relativa ipotesi di mobilità per i professori d'orchestra con status di dipendenti pubblici –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative, anche di tipo normativo, intenda adottare per evitare che l'orchestra sinfonica della città metropolitana di Bari venga sciolta e quali risorse, per quanto di competenza, si intendano investire per garantirne la sopravvivenza e la corretta gestione. (5-05178)


   LOSACCO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'uomo di Altamura trovato nel 1993 nella grotta di Lamalunga, proprio nei pressi della città della provincia di Bari è l'unico scheletro completo di un Neanderthal mai scoperto;
   lo scheletro appartiene a un uomo che 150 mila anni fa precipitò in un pozzo naturale dove morì di stenti;
   ed è stata proprio la caratteristica del pozzo e il rivestimento calcareo che lo ha protetto fino ad oggi e questo ha consentito di effettuare prelievi per lo studio del DNA;
   i risultati di questo studio frutto di un progetto coordinato da Giorgio Manzi della Sapienza di Roma e da David Caramelli dell'università di Firenze, in collaborazione con le autorità locali e la Soprintendenza archeologica della Puglia sono stati pubblicati dalla rivista Journal of Human Evolution;
   tanto la morfologia della superficie articolare quanto l'analisi del DNA estratto dall'osso, hanno infatti confermato che l'uomo di Altamura era un Neanderthal, la specie vissuta in tutta Europa tra almeno 200 mila e circa 40 mila anni fa;
   sebbene rappresenti solo una piccola parte dello scheletro, che resta tuttora imprigionato nella grotta, le informazioni che esso ha potuto rivelare sono di estrema importanza scientifica;
   questi dati genetici permettono, fra l'altro, di considerare lo scheletro di Altamura come il più antico Neanderthal da cui siano state estratte porzioni di materiale genetico (mtDNA) e dunque un ottimo candidato per analisi genomiche di grande interesse scientifico;
   per quanto esistano in Europa e nel Vicino Oriente diversi campioni fossili riferibili a Homo neanderthalensis, nessuno può eguagliare per grado di completezza e stato di conservazione il reperto pugliese;
   l'uomo di Altamura rappresenta quindi una formidabile ricchezza per il territorio dell'Alta Murgia, da valorizzare –:
   alla luce di questa importante scoperta, quali iniziative il Governo intenda attivare per proseguire nell'attività di ricerca scientifica nonché per valorizzare tale patrimonio in termini di promozione culturale e storica, anche in relazione all'evento che interesserà la vicina Matera quale capitale della cultura 2019. (5-05182)

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la legge della regione Abruzzo n. 49 del 2012 –emanata in attuazione dell'articolo 5, comma 9, del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106 – ha introdotto una serie di misure dirette a «incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, la promozione della riqualificazione delle aree degradate, la riqualificazione degli edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione o da rilocalizzare e lo sviluppo della efficienza energetica e delle fonti rinnovabili», che si concretizzavano, per gli immobili aventi destinazione residenziale, nella possibilità di realizzare una volumetria supplementare anche previo abbattimento dell'esistente;
   il secondo comma dell'articolo 1 della predetta legge regionale n. 49 del 2012 stabilisce la facoltà per i comuni di avvalersi delle misure incentivanti «sulla base di specifiche valutazioni o ragioni di carattere urbanistico, edilizio, paesaggistico, ambientale, in relazione alle caratteristiche proprie delle singole zone ed al loro diverso grado di saturazione edilizia e della precisione negli strumenti urbanistici dei piani attuativi»;
   il comune di Roseto degli Abruzzi (Teramo), con delibera consiliare n. 67 del 28 dicembre 2012, ha recepito la disciplina in questione con modalità che appaiono all'interrogante tali da estendere impropriamente quanto previsto dalla legge regionale; in particolare, sulla base di tale delibera, si è consentito l'abbattimento di una «villa storica», denominata «Villa Paris», in territorio di Roseto degli Abruzzi; un'analoga sorte potrebbero avere anche alle altre sedici ville storiche attualmente presenti nel centro abitato di Roseto, le quali, invece, venivano tutelate dalla precedente delibera comunale n. 5 del 23 febbraio 2010, di recepimento della legge regionale n. 16 del 19 agosto 2009, che prevedeva la non applicabilità della normativa regionale in parola proprio a questa tipologia di patrimonio edilizio avente rilevanza storica –:
   se il Ministro sia a conoscenza che la Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici dell'Aquila si sia espressa contro l'abbattimento della Villa Paris con motivazioni assolutamente condivisibili sul piano giuridico ma disattese dall'amministrazione comunale di Roseto degli Abruzzi;
   se e come intenda intervenire per tutelare il patrimonio storico e architettonico del territorio di Roseto degli Abruzzi. (4-08583)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BENAMATI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende da notizie di stampa, il gruppo finanziario assicurativo Unipol si candida a dare vita al primo polo alberghiero italiano: la compagnia bolognese è stata selezionata per negoziare in esclusiva l'acquisto della catena Una hotel, 31 strutture e un fatturato di circa 80 milioni di euro annui, di proprietà di Fenice Holding;
   Unipol è già proprietaria della catena Ata hotel, un gruppo che conta 21 alberghi appartenuto al gruppo Sai della famiglia Ligresti;
   se l'operazione andasse in porto, la fusione tra Ata e Una hotel vedrebbe la nascita di una realtà con circa 170 milioni di ricavi, 52 strutture e 8.600 camere;
   l'offerta complessiva sarebbe attorno ai 200 milioni di euro, una cifra che permetterebbe di ripianare una larga fetta dei circa 270 milioni di debiti che gravano sulla società nei confronti delle banche creditrici che sono poi anche i soci del venditore Fenice holding;
   sempre da notizie di stampa, il Fondo strategico italiano (che è una holding di partecipazioni il cui azionista di controllo è il gruppo Cassa depositi e prestiti spa con l'80 per cento – CDP 77,7 per cento e Fintecna 2,3 per cento – e l'azionista di minoranza è la Banca d'Italia con il 20 per cento), è molto interessato a entrare nell'operazione Una hotels-Atahotels: il capitale del Fondo strategico italiano è aperto ad altri investitori istituzionali, italiani o esteri;
   il 7 novembre 2014 è stato annunciato un accordo tra Fondo strategico italiano e FSI investimenti (società detenuta per circa il 77 per cento da Fondo strategico italiano e per il 23 per cento circa da Kuwait Investment Authority) che prevede l'ingresso nel capitale del gruppo Rocco Forte, con sede a Londra, per un importo di 60 milioni di sterline, pari a 76 milioni di euro; il gruppo Rocco Forte, che è uno dei principali operatori mondiali nella gestione di alberghi a 5 stelle ed è presente in Italia a Roma, a Firenze e in Sicilia;
   già alla fine del 2013 il fondo aveva annunciato l'intenzione di lavorare nel settore degli hotel, lanciando l'idea di un polo italiano per mettere in rete una serie di strutture alberghiere oggi a proprietà frammentata o familiare;
   nei mesi scorsi CDP investimenti SGR ha lanciato FIT – fondo investimenti per il turismo, un fondo immobiliare destinato a investire nel settore turistico-alberghiero –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quale siano l'orientamento e le indicazioni operative del Fondo strategico italiano nel settore del turismo. (5-05189)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel corso di un convegno dell'Associazione per gli studi di banca e borsa, il vicedirettore della Banca d'Italia, ha evidenziato nuovamente la necessità dell'introduzione di un intervento normativo, per agevolare lo smobilizzo dei crediti deteriorati, senza escludere a priori un possibile ruolo dello Stato;
   a tal fine, il dirigente della Banca d'Italia, ha sostenuto che le banche devono accrescere, nel loro stesso interesse, la capacità di fornire sostegno finanziario all'economia reale, aggiungendo inoltre che nonostante i dati più recenti, che indicano un miglioramento nella disponibilità del prestito, la normalizzazione del mercato del credito, tuttavia non è ancora completa e le conseguenze negative si ripercuotono sulle imprese, in particolare quelle di piccola dimensione;
   quest'ultimo segmento dimensionale, specie quelle aziende caratterizzate da fragilità negli equilibri economici e patrimoniali, secondo il suesposto dirigente, continuano infatti a mostrare segnali di difficoltà nell'accedere a finanziamenti esterni e pertanto, (nell'attuale contesto nel quale emergono segnali di ripresa dell'economia, nell'area euro e in Italia), occorrerà evitare politiche pro-cicliche e gestire regole esistenti con flessibilità;
   in tale scenario, un intervento da parte delle autorità può consentire la risoluzione di problemi di coordinamento fra le banche e accelerare lo smaltimento delle partite deteriorate, evitando che un fallimento del mercato finisca per frenare l'economia;
   la cessione dei crediti in sofferenza, a giudizio del vicedirettore della Banca d'Italia e componente del direttorio della Bce, risulterebbe vantaggiosa, sia per le famiglie e le imprese, che beneficerebbero di una maggiore disponibilità di credito e della ripresa economica, che per il sistema bancario, che vedrebbe ridotto il peso delle partite anomale, con benefici sul fronte dei relativi costi operativi e dell'onerosità della raccolta, oltre che per lo Stato, in quanto dal rilancio congiunturale, ricaverebbe un maggiore gettito fiscale;
   il vicedirettore Panetta a tal fine, ha affermato che i possibili interventi in materia di cessione di crediti in sofferenza, attualmente allo studio, sono incentrati su soluzioni di mercato e le loro caratteristiche saranno definite nelle prossime settimane, anche nel confronto con operatori specializzati con le stesse banche;
   quanto al grado di coinvolgimento dello Stato, è oggetto di dialogo con le istituzioni europee, al fine di vagliare la coerenza degli interventi con le regole sugli aiuti di Stato, all'interno della Commissione europea;
   il quadro normativo europeo risulta inoltre essere cambiato nello scorso biennio e pertanto soluzioni come quelle adottate in passato in altri Paesi, secondo il parere del suesposto dirigente della Banca d'Italia, non possono essere percorribili;
   secondo Panetta inoltre, importanti vantaggi deriverebbero da misure anch'esse allo studio, in grado di ridurre la durata delle procedure esecutive per il recupero crediti, che nel nostro Paese risulta essere più lunga della media europea e rappresenta una delle principali cause dell'accumulo dei crediti deteriorati nei bilanci delle banche;
   le suesposte e articolate osservazioni, espresse dal vicedirettore della Banca d'Italia, pubblicate dal quotidiano economico Il Sole 24 ore il 22 marzo 2015, evidenziano, a giudizio dell'interrogante, una serie di aspetti interessanti ed importanti connessi al fenomeno del cosiddetto «credit crunch», la cui stretta creditizia se da un lato risulta rallentata, dall'altro evidenzia, come il quadro economico e finanziario, sebbene leggermente migliorato rispetto al recente passato (grazie all'aumento delle esportazioni e la debolezza dell'euro rispetto al dollaro), permane ancora complesso, in particolare nei confronti delle piccole e medie imprese, che continuano a mostrare segnali di difficoltà nell'accedere a finanziamenti esterni;
   l'intervento normativo, secondo il dirigente della Banca d'Italia, che si rivela essere sempre più urgente al fine di consentire di risolvere i problemi di coordinamento fra le banche e accelerare lo smaltimento delle partite deteriorate, attraverso una società costituita con lo scopo di acquistare a prezzi ridotti ampi portafogli di crediti in sofferenza per gli istituti (bad bank), a giudizio dell'interrogante, necessita a tal fine, da parte del Ministro interrogato, di adeguati chiarimenti e precisazioni su quali siano pertanto le intenzioni e gli orientamenti del Governo da intraprendere nel breve periodo –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se il Ministro interrogato intenda confermare il contenuto riportato nell'articolo del quotidiano in precedenza richiamato, la cui analisi da parte del vicedirettore della Banca d'Italia, evidenzia la necessità di un'iniziativa normativa per agevolare lo smobilizzo dei crediti deteriorati, attraverso la costituzione di una società costituita con lo scopo di acquistare a prezzi ridotti ampi portafogli di crediti in sofferenza per gli istituti;
   in caso affermativo quali iniziative di tipo normativo intenda intraprendere, al fine di dar seguito alle considerazioni espresse dal dirigente della Banca d'Italia;
   quali iniziative, infine, nell'ambito delle proprie competenze, intenda intraprendere, al fine di migliorare l'accesso al credito delle piccole e medie imprese, che nonostante i timidi segnali di allentamento dei criteri di erogazione, a giudizio dell'interrogante estremamente rigorosi, permangono tuttora di evidente difficoltà. (4-08565)


   CAPARINI, GUIDESI, BUSIN, FEDRIGA, ALLASIA, BORGHESI, BOSSI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la sentenza della commissione tributaria regionale del Veneto-Mestre 80/06/11 del 5 ottobre 2011 ha rigettato l'appello proposto dall'Agenzia del territorio-Agenzia delle entrate contro una società di gestori funiviari del Veneto sul nuovo classamento di un immobile di pertinenza della società convenuta in giudizio;
   la Corte di Cassazione ha però successivamente accolto il ricorso da parte dell'amministrazione finanziaria affermando invece l'illegittimità della tipologia catastale assegnata all'immobile per la non sussistenza del presupposto del classamento come «mezzo pubblico di trasporto» assegnato ad un impianto di risalita che svolgerebbe invece, ad avviso della Corte, una «funzione commerciale di ausilio ed integrazione dell'uso delle piste sciistiche»;
   la Corte di Cassazione ne deduce quindi che ad una tale fattispecie risulta pienamente applicabile l'articolo 1-quinquies del decreto-legge n. 44 del 2005, di interpretazione autentica dell'articolo 4 del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249 per la definizione di «immobili urbani» ai fini catastali;
   il suddetto articolo 1-quinquies stabilisce che l'immobile urbano «si interpreta nel senso che i fabbricati e le costruzioni stabili sono costituiti dal suolo e dalle parti ad esso strutturalmente connesse, anche in via transitoria, cui possono accedere, mediante qualsiasi mezzo di unione, parti mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso. Pertanto, concorrono alla determinazione della rendita catastale, ai sensi dell'articolo 10 del citato regio decreto-legge, gli elementi costitutivi degli opifici e degli altri immobili costruiti per le speciali esigenze dell'attività industriale di cui al periodo precedente anche se fisicamente non incorporati al suolo»;
   ne deriva che gli impianti di risalita vedranno riclassificarsi i propri immobili con conseguente ridefinizione della rendita catastale incidente nel calcolo dell'imposta municipale unica. Le considerazioni di diritto che hanno portato ad un simile dispositivo non sembrano però agli interroganti del tutto condivisibili;
   la nota protocollare 90253 del 19 novembre 2007 della direzione centrale cartografia, catasto e pubblicità immobiliare ha chiarito che non sono da censire nella categoria E/1 «gli impianti di risalita quali: funivie, sciovie, seggiovie e simili, quando hanno destinazione esclusivamente o prevalentemente commerciale in quanto non assimilabile a servizio di trasporto, ma al soddisfacimento di fini ricreativi, sportivi o turistico-escursionistici». In tale caso, quindi, la categoria catastale adeguata sarebbe la D/8 in cui sono ricompresi i «fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un'attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni» e non la categoria E/1 ricomprensiva invece delle «stazioni per servizi di trasporto terrestri, marittimi aerei ed impianti di risaliti in genere»;
   seppur queste infrastrutture svolgano, infatti, funzione di sostegno ad attività economiche a scopo commerciale, sopratutto con fini sportivi, non si può però certo considerare questa funzione come prevalente ma accidentale, essendo, queste, le uniche strutture che permettano il raggiungimento di aree del territorio altrimenti inaccessibili;
   già nel 1977, con l'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 27 luglio 1977, n. 616, che trasferiva alle regioni le funzioni amministrative relative ai servizi pubblici di trasporto esercitati con linee filoviarie, funicolari e funiviarie, l'articolo 84 definiva quali «servizi pubblici di trasporto di persone e di merci» quelli esercitati con «linee tranviarie, metropolitane, filoviarie, funicolari e funiviari di ogni tipo»;
   di conseguenza, le leggi regionali che regolano i servizi pubblici di trasporto di persone esercitati con linee filoviarie, funicolari e funiviarie hanno definito come «veicoli destinati al trasporto di persone o per trainare le persone su apposita pista» gli impianti funiviari «in servizio pubblico» per il trasporto di persone nei quali «una o più funi vengono utilizzate per costruire vie di corsa e per regolare il moto, anche su apposita sede terrestre»;
   oltre alle argomentazioni giuridiche, non si possono poi non tenere in considerazione le gravi conseguenze economiche che questa sentenza potrà avere in un settore, comparto strategico dell'economia delle zone montane, già duramente colpito dalla crisi economica e continuamente soggetto all'imprevedibilità delle condizioni meteorologiche;
   un tale salasso si aggiunge alle draconiane misure che nell'ultima legge di stabilità si sono disposte a scapito aree montane quali l'IVA sul pellet, le agevolazioni per l'acquisto di gasolio da riscaldamento e l'IMU agricola, la cui riforma organica è arrivata successivamente con il decreto-legge n. 4 del 2015. Così l'IMU sugli impianti di risalita si aggiungerà all'aumento dell'IVA dal 4 al 10 per cento del pellet, principale combustibile utilizzato in queste aree per il riscaldamento, alla diminuzione dei crediti di imposta per l'acquisto del carburante da riscaldamento, considerato un bene di prima necessità in aree climaticamente difficili come quelle montane, e alla «stangata» dell'IMU sui terreni agricoli che colpisce i tantissimi proprietari di terreni agricoli non ricompresi nell'esenzione senza alcuna considerazione per la bassissima redditività di questi appezzamenti ubicati a ridosso o all'interno di aree geograficamente – ma non giuridicamente – considerate montane, normalmente svantaggianti per le colture –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire con opportune iniziative, di natura interpretativa, al fine di ricomprendere, senza alcun dubbio e in maniera definitiva, le stazioni filoviarie, funicolari e funiviarie all'interno della categoria catastale E/1 e non nella categoria D/8, affinché sia correttamente riconosciuto a simili strutture, da un punto di vista giuridico, anche ai fini fiscali, la funzione pubblica di trasporto, non dissimilmente da altri impianti e infrastrutture esplicanti il medesimo servizio di trasporto. (4-08567)


   RUSSO, FAENZI, ALTIERI, CATANOSO, CHIARELLI, SARRO, FABRIZIO DI STEFANO e PARISI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il bollino per farmaci da dispensare dal Servizio sanitario nazionale deve essere fabbricato secondo caratteristiche tecniche fissate dal Ministero della salute in relazione alle esigenze di una efficace azione di contrasto alle frodi in danno del Servizio sanitario nazionale (decreto ministeriale Sanità 29 febbraio 1988 e poi decreto ministeriale Salute 2 agosto 2001 ed ora decreto ministeriale 30 maggio 2014);
   il citato decreto, all'articolo 4, prevede altresì che «nel quadro dei principi di sicurezza enunciati in premessa le aziende farmaceutiche si approvvigionano del bollino di cui al presente decreto presso l'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, il quale assicura modalità di forniture adeguate alle esigenze produttive delle aziende stesse. A tale scopo l'Istituto si avvale anche, sotto la sua responsabilità, di un adeguato numero di aziende fiduciarie, secondo necessità»;
   così come specificato nel decreto, l'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato si avvale di operatori economici privati ai quali è stata riconosciuta apposita autorizzazione alla produzione in sicurezza del bollino farmaceutico;
   l'Istituto, così come imposto da provvedimenti legislativi, è l'unica realtà presso la quale le aziende farmaceutiche possono approvvigionarsi del bollino;
   in virtù di detto esclusivo rapporto, all'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato sono garantiti rilevanti margini di utili rispetto all'effettivo costo di produzione del bollino;
   l'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, rivendicando una esclusiva legale nella fabbricazione dei bollini ottici farmaceutici, avrebbe deciso di internalizzare completamente il servizio predisponendo addirittura l'acquisto diretto di macchinari per l'autoproduzione e sospendendo la procedura per una gara pubblica indetta per la fornitura di bollini da parte delle imprese cartografiche terze;
   l'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato nasce come Istituito Poligrafico dello Stato nel 1928, acquisisce la sezione «Zecca» cinquant'anni dopo e dal 2002 è stata trasformata in società per azioni con azionista unico il Ministero dell'economia e delle finanze;
   la fabbricazione del bollino è destinata ad una profonda revisione in considerazione dell'introduzione normativa della ricetta elettronica –:
   quali iniziative intenda assumere per scongiurare una irragionevole decisione che rischia di arrecare un grave danno alle casse dello Stato in virtù dell'acquisto di macchinari il cui costo non potrebbe essere ammortizzato in un periodo medio-lungo per via della imminente modernizzazione del sistema di rendicontazione e controllo della spesa sanitaria. (4-08573)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 20 dicembre 2013 al giornale on line umbro «Tuttoggi.info» è stato recapitato l'avviso di sequestro preventivo, mediante oscuramento, di 3 articoli contenenti intercettazioni relative all'inchiesta che riguarda la banca Popolare di Spoleto (BPS) e che vede indagate 34 persone, legate a vario titolo all'istituto, per reati che vanno dalla appropriazione indebita alla bancarotta fraudolenta, intermediazione usuraria e altri reati per lo più finanziari ed economici;
   il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Spoleto ha disposto il sequestro preventivo mediante oscuramento o cancellazione in modo da impedire la lettura degli articoli apparsi sulla testata on line di Tuttooggi.info a seguito della querela presentata da Giovannino Antonini, ex dominus della BPS, che lamentava l'avvenuta pubblicazione sulla testata on line del giornale di alcuni brani di intercettazione riguardanti la sua persona ed inerenti il procedimento penale n. 319/2009;
   è la prima volta che un provvedimento di censura riguarda un quotidiano on line;
   i fatti riguardano l'indagine per presunti illeciti penali in cui è coinvolta banca Popolare di Spoleto, istituto quotato in borsa, fatti sui quali vi è un incontestabile diritto di informazione per la pubblica opinione;
   il tribunale del riesame di Perugia con provvedimento del 10 gennaio 2014, depositato in data 21 gennaio 2014 ha revocato il sequestro preventivo e conseguentemente ha ordinato l'immediato ripristino della situazione precedente l'oscuramento degli articoli apparsi sulla testata on line di tuttoggi.info ritenendo che gli articoli sequestrati (oscurati) siano stati legittimamente pubblicati nell'esercizio del diritto di cronaca poiché il signor Carlo Ceraso ha agito in un momento procedimentale (dopo la conclusione delle indagini ex articolo 415-bis codice di procedura penale) in cui detto diritto di pubblicazione è sancito in modo puntuale dalla norma ex articolo 114 codice di procedura penale;
   si apprende che la procura della Repubblica ha proposto ricorso innanzi alla Corte di Cassazione con udienza fissata in data 4 giugno 2014;
   a darne notizia è stato un comunicato dell'Ordine dei Giornalisti dell'Umbria (in Tuttooggi.info del 4 giugno 2014) nel quale si afferma: «Si discuterà nelle prossime ore in Cassazione il ricorso della Procura avverso l'ordine di revoca del Tribunale del Riesame di Perugia, emesso il 10 gennaio 2014, del sequestro disposto dal Gip di alcuni articoli pubblicati dalla testata online Tuttoggi.info, relativi all'indagine giudiziaria sulla Banca Popolare di Spoleto. L'Ordine dei Giornalisti dell'Umbria – continua il comunicato –, che già si era espresso sulle vicenda insieme all'Asu ed al Consiglio nazionale dell'Ordine, torna a preoccuparsi per l'insistenza con la quale l'ufficio del Pm continua a proporre una visione negativa e limitante del diritto all'informazione. Annullandone una delle funzioni fondamentali: il potere di controllo. Tentando di reintrodurre norme sciagurate sul divieto di pubblicazione degli atti che la stessa politica ha ipotizzato ma è poi riuscita ad accantonare. Lo stesso Tribunale del Riesame si era espresso con nettezza affermando che le notizie e gli atti, si trattava di trascrizione di alcune intercettazioni degli imputati non più coperte dal segreto istruttorio, sono stati «pubblicati legittimamente». Nell'esprimere la solidarietà ai colleghi di Tuttoggi.info, l'Ordine dei giornalisti dell'Umbria, ricordando che è già in essere una iniziativa parlamentare sulla vicenda, ed esprimendo certezza sulla sensibilità sempre dimostrata dalla Cassazione per i delicati argomenti della libertà di informazione, conferma la disponibilità a valutare tutte le iniziative che si renderanno opportune laddove si mettessero in discussione diritti fondamentali come la tempestività dell'informazione per la vita democratica del Paese» –:
   se il Ministro è a conoscenza dei fatti esposti;
   se non ritenga di assumere un'iniziativa normativa al fine di evitare che la tutela dell'obbligo alla segretezza e riservatezza delle indagini e degli atti possa comportare una limitazione eccessiva del fondamentale diritto di informazione e di stampa previsto dall'articolo 21 della Costituzione. (5-05166)


   IORI, MARCHI, GANDOLFI e INCERTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   ad inizio 2015 il presidente del tribunale di Reggio Emilia, Francesco Maria Caruso, ha rilasciato alla stampa locale una intervista nella quale lanciando un appello ai parlamentari reggiani, metteva in luce un forte sottodimensionamento dell'organico del tribunale di Reggio Emilia, sia per quanto riguarda il numero dei magistrati che il personale amministrativo;
   il presidente Caruso ha evidenziato come, secondo i dati trasmessi dal dottor Barbuto, attuale direttore dell'organizzazione giudiziaria, il tribunale di Reggio Emilia sia tra i sei più gravati d'Italia per il rapporto tra giudici e cittadini residenti, con un carico di lavoro doppio rispetto alla media nazionale, mantenendo comunque un indice di produttività assolutamente positivo con numeri superiori alla media;
   il progetto per il rifacimento delle piante organiche di tutti gli uffici giudiziari d'Italia è stato definito due anni fa dalla direzione generale dell'organizzazione giudiziaria e in base ad esso il tribunale reggiano avrebbe diritto a tre magistrati in più e ad un secondo presidente di sezione, oltre ad ulteriore personale amministrativo in proporzione;
   il sottodimensionamento dell'organico rispetto alle stesse previsioni del Ministero della giustizia non è di certo una novità per il tribunale di Reggio Emilia, già durante la presentazione alla stampa dell'attività dell'anno 2014, il presidente Caruso lamentava la mancanza di tre giudici, di un sostituto procuratore e di personale di cancelleria. Per avere un'idea della gravità della situazione è sufficiente pensare che in media vi sono 22 mila e 500 residenti per magistrato, quando il rapporto dovrebbe essere di uno a undicimila;
   detta situazione problematica, già pienamente conosciuta dal Ministero della giustizia, sarà poi ulteriormente aggravata dal carico giudiziario derivante dal maxi processo che si celebrerà a Reggio Emilia a seguito dalla colossale operazione contro la ‘ndrangheta che ha portato all'arresto a vario titolo di 117 persone, di cui 62 nel territorio reggiano. Secondo il presidente Caruso, il tribunale potrà fare fronte unicamente con difficoltà a un simile inconsueto carico giudiziario e comunque solo chiedendo uno straordinario impegno ai magistrati addetti che dovranno essere sottratti al lavoro corrente –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa per quanto di competenza, per addivenire, nel più breve tempo possibile, ad un aumento dell'organico dei magistrati e del personale amministrativo del tribunale di Reggio Emilia, sia per adeguare il personale alle piante organiche degli uffici giudiziari d'Italia sia per sopperire alla esigenze derivanti dal maxi processo che si terrà a seguito dell'operazione contro la ‘ndrangheta svolta in territorio reggiano.
(5-05191)


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la Sardegna è stata suo malgrado e con grave spregiudicatezza dello Stato crocevia internazionale del terrorismo islamico;
   nel silenzio assoluto nella casa circondariale di Macomer erano detenuti i terroristi tra i più ricercati al mondo;
   tre anni fa con un atto di sindacato ispettivo restato senza alcuna risposta da parte del Governo l'interrogante denunciò tutto quello che avveniva in quel carcere in assenza delle più elementari regole di sicurezza chiedendo l'allontanamento di inquietanti figure che, secondo le ultime indiscrezioni, progettavano strategie e attentati di ogni genere;
   nel carcere di Macomer erano detenuti colui che a lungo fu considerato il numero uno della strage di Madrid, Rabei Osman il grande reclutatore il franco-tunisino Raphael Gendron, braccio destro dell'iman Ayachi, leader islamista «belga» pregiudicato per terrorismo, ucciso subito dopo la detenzione a Macomer in uno scontro con le truppe dell'esercito di Damasco, e il tunisino Bouyahia Hamadi Ben Abdul, l'uomo della caffettiera inserito nella lista nera di Obama tra i sessanta terroristi più ricercati al mondo;
   fu proprio Bouyahia Hamadi a consegnare all'interrogante un manoscritto nel quale tentava una maldestra autodifesa confermando in quell'occasione di essere dal 2000 sotto controllo dell'antiterrorismo internazionale;
   tra loro anche Khalil Jarraya, tunisino di 41 anni, detto il colonnello perché aveva combattuto nelle milizie bosniache dei «Mujihaddin» durante la guerra nella ex Jugoslavia;
   era Khalil Jarraya il vero promotore della cellula jaddista fermata a Faenza e di cui facevano parte altri detenuti di Macomer come Hechmi Msaadi, tunisino di 33 anni, Ben Chedli Bergaoui, tunisino di 36 anni, e Mourad Mazi;
   a Macomer hanno soggiornato a lungo i più efferati terroristi ma quel che è più grave è il fatto che questi detenuti potevano organizzare e dialogare con loro di tutto comprese le strategie terroristiche;
   nel corso di quella visita l'interrogante riscontrò personalmente che tra i terroristi vi era un rapporto costante e aggiornato in tempo reale;
   tra loro i colloqui avvenivano costantemente attraverso le finestre esterne del carcere con un vero e proprio collegamento vocale continuo;
   il fatto che oggi emerga da più parti che in quella struttura possa essere stato progettato l'ennesimo attentato di matrice jaddista conferma la gravità della gestione di questi detenuti da parte dello Stato;
   siamo dinanzi ad una struttura investigativa antiterrorismo che svolge un lavoro delicatissimo e che poi viene mortificato da una gestione secondo l'interrogante sciatta e dilettantesca delle strutture penitenziarie;
   terroristi della lista nera di Obama detenuti in un carcere per minorenni;
   una situazione gravissima che oggi lascia trapelare la reale situazione che si viveva in quel carcere;
   se fosse confermato che nel carcere di Macomer è stata architettata e progettata la strage di Tunisi devono essere individuati i responsabili di questa scandalosa gestione;
   la notizia dei terroristi islamici in terra sarda trapelò solo in quell'occasione quando uno di quei personaggi di spicco tramortì con una caffettiera un agente di sicurezza spedendolo all'ospedale in gravi condizioni;
   il giorno nel corso di una visita ispettiva emerse la situazione gravissima che fu denunciata con un'azione parlamentare;
   il Governo di allora con il Ministro Severino non solo non intervenne ma confermò la scelta di Macomer per quel tipo di detenuti anche se vi erano stati già diversi tentativi di rivolta da parte degli islamici;
   è altrettanto accertato che i detenuti di Macomer una volta fuori sono ritornati in azione;
   basti pensare che due mesi fa il dipartimento di Stato americano ha emesso una lista nera dei terroristi più ricercati e tra questi spiccano l'uomo della caffettiera, Bouyahia Hamadi Ben Abdul braccio destro di Abdul Omar e Jarraya Khalil;
   lo era sino a poco tempo fa anche il franco-tunisino Raphael Gendrom, braccio destro dell'imam Ayachi, leader islamista «belga» pregiudicato per terrorismo ucciso in uno scontro con le truppe dell'esercito di Damasco e che nel carcere di Macomer svolgeva il ruolo di coordinatore del gruppo;
   nel corso della trasmissione Matrix su Canale 5 del 25 marzo 2015 in un servizio puntuale sulla gestione del carcere sono stati mostrati i registri delle telefonate dei detenuti;
   dalle immagini si poteva in modo chiare leggere il traffico telefonico dei vari terroristi verso le località più disparate e presumibilmente senza alcun tipo di controllo, proprio perché non risultavano interpreti disponibili in quel carcere;
   appare gravissimo che tali registri si trovassero ancora in quella struttura e che gli stessi venissero pubblicamente mostrati confermando la superficialità della gestione da parte del provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria;
   appare gravissimo che nelle celle dei detenuti e nel luogo in cui avvenivano queste conversazioni telefoniche si trovassero quotidiani afferenti la lotta armata e il fondamentalismo islamico;
   serve un'indagine sulla gestione di quel carcere;
   tutto questo conferma una gestione inaccettabile del sistema carcerario in Sardegna e obbliga ad una mobilitazione ancora più decisa per evitare la decisione di inviare in Sardegna i più efferati capi mafia;
   occorre impedire l'attuazione di questa infausta decisione perché si tratta di un piano gravissimo che emette a rischio la sicurezza della Sardegna e del suo popolo –:
   se non ritenga di dover dare spiegazione sull'utilizzo di una casa circondariale come carcere per terroristi di livello internazionale consentendo agli stessi una irragionevole e davvero grave contiguità che consentiva agli stessi di scambiarsi informazioni di ogni genere;
   se all'interno del carcere fosse attivo personale plurilingue per valutare le conversazioni e non solo tra i vari detenuti;
   se risulti attendibile l'indiscrezione trapelata nei media che il recente attentato di Tunisi possa essere stato pianificato o che comunque avesse un qualche legame con il carcere di Macomer;
   se non ritenga di dover revocare il decreto di chiusura del carcere di Macomer non foss'altro perché tale provvedimento di chiusura confermerebbe una valutazione di totale inadeguatezza della struttura per ospitare quella tipologia di detenuti;
   se non ritenga di dover promuovere un'indagine interna per verificare le ragioni che portarono a realizzare in quel carcere un'ala di AS2 decisione comunque non compatibile con esigenze di sicurezza. (5-05193)

Interrogazione a risposta scritta:


   MURA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i lavori di completamento del padiglione del villaggio penitenziario di Sassari-Bancali, destinato ad accogliere 92 cittadini privati della libertà sottoposti al regime di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario, il regime detentivo di isolamento previsto per i reati di terrorismo, eversione, ndrangheta e mafia, hanno subito una brusca accelerazione;
   il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria sembra infatti voler disporre della struttura prima dell'estate per iniziare a trasferire i detenuti, nonostante le polemiche sulla concentrazione di 184 detenuti al regime di 41-bis suddivisi tra Cagliari e Sassari;
   in Sardegna, nelle due case circondariali di Sassari-Bancali e Cagliari-Uta, saranno trasferiti poco meno di un terzo dei ristretti considerati più pericolosi in Italia;
   il regime «duro» applicato potrebbe negativamente incidere sul clima generale della detenzione;
   si profila anche il rischio di limitare le iniziative finalizzate al recupero sociale e rieducativo dei reclusi;
   anche la necessaria presenza dei GOM, gli agenti del gruppo operativo mobile, il reparto della polizia penitenziaria istituito nel 1999 che opera alle dirette dipendenze del capo del dipartimento per i compiti relativi alla custodia della detenzione speciale, potrebbe trasformare profondamente la realtà dei due luoghi di pena, da poco inaugurati e ancora in fase di rodaggio dove l'umanità degli assistenti penitenziari è un tratto caratteristico;
   il trasferimento nell'isola di un numero così elevato di detenuti pericolosi, sottoposti al regime del carcere «duro» è, secondo l'interrogante, inopportuno e pericoloso per l'ambiente sociale e la sicurezza dei due istituti di pena –:
   se sia a conoscenza del fatto che si tratta di un progetto non condiviso dalla comunità isolana e verso il quale si nutrono forti perplessità anche da parte delle istituzioni locali;
   se non ritenga opportuno limitare il numero dei detenuti privati della libertà sottoposti al regime di pena di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario che saranno trasferiti in Sardegna prima dell'estate nelle due case circondariali di Sassari-Bancali e Cagliari-Uta;
   quali misure intenda adottare per far sì che il trasferimento nelle carceri dell'isola dei 92 detenuti sottoposti al regime del carcere duro non aggravi le condizioni sociali ed economiche di una terra che, anche attraverso il peso delle servitù militari, non può farsi carico da sola di problemi ed emergenze nazionali che andrebbero condivise in modo equo anche con altre regioni. (4-08570)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI e BUSINAROLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il signor Giuseppe Lucà, tecnico professionale (geologo) in Anas spa, compartimento di Perugia, riveste il ruolo di direttore operativo per i lavori della direttrice Civitavecchia Orte Rieti, tratta Terni (San Carlo) confine regionale;
   in data 4 dicembre 2012 il signor Lucà, dopo aver appreso nel maggio del 2012 di presunte irregolarità, si è rivolto al nucleo di polizia tributaria (guardia di finanza) di Perugia esponendo che all'ex direttore dei lavori, nonché RUP (responsabile unico dei lavori), ing. M. L., «è stato liquidato nella misura del 50 per cento (pari ad un ammontare di circa 230.000,00), dall'Anas Spa, l'incentivo riguardante l'ex articolo 18 della legge 109 del 1994, come previsto dalla n. 56 del manuale operativo» che esibiva al militare verbalizzante;
   il signor Lucà riferiva nell'esposto l'anomalia nascente «dal fatto che il regolamento Anas che stabilisce le modalità di erogazione di detto incentivo, detta che lo stesso deve avvenire all'emissione del certificato di ultimazione dei lavori, della relazione sul conto finale, della nomina del collaudatore e alla presentazione delle parcelle di tutti gli aventi diritto. Tutte circostanze che in questa precisa situazione non si sono verificate, in quanto i lavori si trovavano a quel periodo al 70 per cento di avanzamento»;
   lo stesso infine rappresentava l'utilizzo delle autovetture aziendali per uso personale e la corresponsione di una elevata indennità di alloggio pari a circa euro 1.500,00/1.800,00, senza l'utilizzo degli appartamenti che erano in uso ai precedenti dirigenti;
   il signor Lucà rappresentava tali fatti anche all'organizzazione sindacale;
   successivamente all'esposto, nella primavera del 2013 il signor Giuseppe Lucà si è rivolto al servizio mobbing dell'ospedale di Foligno (Perugia) lamentando fenomeni di molestie morali, vessazioni, persecuzione e violenze psicologiche ai suoi danni da parte dei colleghi e superiori e la preoccupazione di subire un trasferimento in altra sede; nel settembre del 2012 ha ricevuto un avviso di garanzia dalla procura della Repubblica di Perugia per presunta violazione dell'articolo 368 codice penale (calunnia) ai danni dei dirigenti del compartimento Anas dell'Umbria (procedimento n. 4114/13 RG) e nei suoi confronti è stato aperto un procedimento disciplinare;
   sono sempre più numerosi gli episodi di dipendenti che all'interno dell'amministrazione denunciano presunte irregolarità ma subiscono l'isolamento da parte della amministrazione di appartenenza;
   l'articolo 1, comma 51, della legge 6 novembre 2012, n. 190, prevede che «Fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all'autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia. Nell'ambito del procedimento disciplinare, l'identità del segnalante non può essere rivelata, senza il suo consenso, sempre che la contestazione dell'addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione, l'identità può essere rivelata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell'incolpato» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti;
   se i Ministri, ciascuno per le proprie competenze, intendano assumere concrete iniziative, con i modi e i mezzi che riterranno più opportuni, per chiarire i fatti esposti;
   se intendano assumere iniziative volte alla verifica del rispetto della legge 6 novembre 2012, n. 190 e della normativa in materia di trattamento dei dati personali e sensibili da parte dell'Anas spa e se l'Anas abbia conformato il proprio Codice etico alle previsione della suddetta legge;
   quali iniziative, nei limiti delle proprie attribuzioni, intendano adottare – anche di tipo normativo – affinché la posizione dei cosiddetti whistleblower venga adeguatamente tutelata nelle aziende, in ambito privato e pubblico, da fenomeni di mobbing e altre forme di vessazione o discriminazione che possano pregiudicarne l'integrità psicofisica o la carriera lavorativa. (5-05160)


   MOGNATO e NACCARATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in alcune aree del Paese, e soprattutto nel nord-est è ormai invalsa la prassi, da parte di molti autisti in possesso di patente di guida italiana e dipendenti o titolari di imprese italiane, di recarsi in Slovenia al fine di ottenere il patentino ADR con tempi più celeri e modalità semplificate rispetto all'analoga procedura italiana;
   l'autista titolare di patente di guida italiana può legittimamente conseguire il c.f.p. ADR in altro Stato dell'Unione ed impiegarlo per condurre il veicolo di un'azienda italiana, come confermato dalla nota prot. n. 18104 DIV3/E del 25 giugno 2012 del dipartimento per i trasporti, la navigazione ed i sistemi informativi e statistici – direzione generale per la motorizzazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   non sussiste nessuna obbligazione giuridica, da parte del titolare di un c.f.p. ADR conseguito in uno Stato membro dell'Unione europea, di convertire il medesimo in equipollente documento nazionale, ferma rimanendo la facoltà da parte dello stesso titolare di chiederne la conversione, come stabilito nella nota di cui al punto precedente;
   in Italia, proprio per evitare fenomeni sospetti di «nomadismo dei patentini» vige l'obbligo di giustificare da parte dell'autista la frequenza del corso e lo svolgimento del relativo esame in una provincia non confinante con quella di residenza;
   tale fenomeno può configurarsi come una vera e propria concorrenza indebita nei confronti degli operatori ed autisti che, soprattutto nel Nord-est, ottengono il c.f.p. ADR secondo le procedure correnti, e quindi all'interno della provincia di residenza ovvero di una provincia confinante con quella di residenza –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   quali iniziative intenda adottare al fine di correggere la situazione di indebita concorrenza che si è venuta a configurare, a danno potenziale degli autisti e delle aziende del nostro Paese. (5-05177)

Interrogazione a risposta scritta:


   PILOZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada regionale 155 racc. per Fiuggi, ex strada statale 155 racc. Fiuggi, conosciuta anche come Strada Anticolana, è una importante arteria stradale che collega il casello autostradale di Anagni (Frosinone), sulla A1 Roma-Napoli, con la cittadina termale di Fiuggi;
   il collegamento viario venne inaugurato nell'anno 1953 per consentire lo sviluppo economico e industriale dell'intera area del comprensorio di Anagni nonché della importante città di Fiuggi;
   con decreto legislativo n. 112 del 1998, la strada statale 155 per Fiuggi venne trasformata in strada regionale e la gestione trasferita alla regione Lazio. Il collegamento è oggi gestito dalla società regionale ASTRAL;
   la presenza dell'Anticolana, ha consentito nel corso degli anni un importante sviluppo turistico del Polo termale di Fiuggi, meta nel corso degli anni di milioni di turisti e che, ancora nel 2014, ha raggiunto la ragguardevole cifra di circa 700.000 presenze presso gli stabilimenti termali utilizzando principalmente il collegamento della strada statale 155;
   nel corso degli ultimi anni, la strada regionale 155 ha conosciuto un progressivo degrado strutturale, anche in seguito al taglio dei fondi nazionali e regionali volti alla manutenzione stradale, degrado che oggi ha raggiunto e ampiamente superato i tollerabili livelli di guardia;
   l'inesorabile disgregazione del manto stradale, che non viene interessato da una manutenzione straordinaria da numerosi anni, la mancata manutenzione della segnaletica e dei numerosi svincoli lungo il percorso, vista la presenza di diversi paesi, rendono oggi la strada statale 155 per Fiuggi, nel tratto tra lo svincolo autostradale di Anagni e Fiuggi, una delle strade più pericolose dell'intero comprensorio regionale;
   tale è la pericolosità della strada, che per la sua natura si presta ad uno scorrimento veloce, che negli ultimi anni il numero degli incidenti gravi è enormemente aumentato, l'ultimo in ordine di tempo solo nei giorni scorsi come riportano le cronache locali, e numerosi sono stati purtroppo gli incidenti mortali;
   oggi la strada statale 155 Anticolana richiede dunque urgentissimi interventi di manutenzione straordinaria volti a recuperare e ripristinare il manto stradale, la segnaletica orizzontale e verticale e i numerosi svincoli che lo caratterizzano, anche in considerazione del fatto che, nella prossima primavera, un tratto della strada statale 155 sarà attraversato dal Giro d'Italia;
   l'ente preposto alla manutenzione, la società regionale ASTRAL, a causa dei numerosi tagli nazionali e regionali ai Fondi destinati alla manutenzione, pur avendo segnalato l'esigenza di un pronto intervento di manutenzione e predisposto appositi studi tecnici, non risulta assolutamente in grado di provvedere agli interventi necessari alla messa in sicurezza complessiva della strada in assenza di risorse economiche aggiuntive;
   con i pochi fondi a disposizione, l'Astral ha programmato lavori di manutenzione straordinaria di alcuni tratti di una galleria nel territorio del comune di Acuto, lavori in grave ritardo di esecuzione e, in ogni caso, insufficienti a mettere in sicurezza il tratto stradale in assenza di un complessivo e organico intervento;
   negli anni scorsi, attraverso leggi e provvedimenti del CIPE sono stati destinati fondi per l'ammodernamento e la manutenzione di strade regionali del Lazio quali a titolo esemplificativo i seguenti: delibera CIPE n. 144 del 27 dicembre 2002: finanziamento di euro 60.000.000,00 per i lavori di costruzione del 2o lotto dell'ammodernamento della strada regionale 156 dei Monti Lepini; legge n. 166 del 1o agosto 2002, articolo 19, comma 1, lett. gg): finanziamento di euro 1.000.000,00 in favore della regione Lazio per la progettazione e la realizzazione dell'intervento «Opere per la messa in sicurezza della superstrada Cassino-Formia» (SR Ausonia); legge n. 166 del 1o agosto 2002, all'articolo 19, comma 1, lettera t): finanziamento di euro 1.225.000 per la progettazione e la realizzazione dell'intervento «Lavori di sistemazione e miglioramento dell'inserimento ambientale relativi all'ex strada statale n. 4-bis del Terminino ed alla strada provinciale di raccordo tra Terminillo e Leonessa»: delibera CIPE n. 11 del 18 marzo 2005: finanziamento di 6.640.665 euro per la progettazione definitiva dell'opera «completamento dell'adeguamento a 4 corsie della strada regionale n. 2 Cassia tronco tra il km 41+300 e il km 74+400»; legge obiettivo – finanziamento del CIPE per euro 7.360.000,00 per le progettazioni preliminari: adeguamento sistema Pontina-A12-Appia e suoi collegamenti funzionali con i quadranti sud-ovest e sud-est della capitale – nuovo sistema trasporti area Castelli – completamento Cassia sino a Viterbo – bretella autostradale Cisterna-Valmontone – adeguamento strada statale Salaria nel tratto Passo Corese Rieti; finanziamenti del Ministero infrastrutture per opere sulle strade regionali a seguito del trasferimento delle competenze con il decreto legislativo n. 112 del 1998: euro 43.977.854,33 ogni annualità dal 2002 al 2010;
   inoltre, a quanto risulta all'interrogante, la provincia di Frosinone, persistendo tali rischi per l'incolumità dei cittadini, ha addirittura paventato il rischio di chiusura di alcuni tratti oramai particolarmente pericolosi dell'arteria stradale. Ciò avrebbe delle devastanti ripercussioni sull'economia del territorio, atteso che il collegamento è essenziale sia d'inverno che d'estate, per accedere alle stazioni sciistiche sui Monti Ernici e Simbruini e al Polo termale di Fiuggi nonché alle tante realtà commerciali e industriali che ancora persistono, nonostante la crisi economica, sul comprensorio in questione;
   i cittadini e le amministrazioni delle città del comprensorio esprimono quotidianamente profonda preoccupazione circa lo stato dell'arteria stradale e le conseguenze sull'incolumità delle persone;
   la gravità della situazione citata, che nella realtà quotidiana delle migliaia di persone che quotidianamente la percorrono è ancora più grave di come un atto parlamentare riesca a descriverla, richiede dunque l'utilizzo di Fondi straordinari che consentano la messa in sicurezza dell'arteria stradale citata –:
   se sia a conoscenza del gravissimo stato di degrado della strada regionale 155 racc. per Fiuggi, già strada statale 155 racc. per Fiuggi e se non ritenga opportuno, alla luce dei fatti descritti, assumere iniziative normative per individuare fondi straordinari al fine di consentire i necessari interventi per evitare il ripetersi di gravi incidenti stradali. (4-08571)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella relazione annuale della Direzione nazionale antimafia (Dna) per il periodo 1 luglio 2011 – 30 giugno 2012, si legge quanto segue: «È [...] evidente l'elevata appetibilità che le aree del centro nord d'Italia, caratterizzate da contesti ricchi e sedi di importanti crocevia per lo spaccio delle sostanze stupefacenti (emblematico è, a tale proposito, il caso di Perugia)»;
   in effetti, pur se non paragonabile alle grandi città (Roma, Milano, Torino), il capoluogo perugino, con il suo relativo benessere e un'ampia popolazione universitaria, come emerge dal dossier «La droga in Umbria» del 2014 dell'Associazione Libera, è una piazza interessante per le organizzazioni criminali che trovano nella città un mercato «ricco» per la cessione degli stupefacenti ma anche per «avviare» altre attività illecite;
   il fenomeno ormai non è nuovo: come è evidenziato nella Relazione della Commissione d'inchiesta della regione Umbria su «Infiltrazioni mafiose in Umbria, metodologie di controllo, prevenzione e lotta alla criminalità organizzata» del 27 settembre 2012 «emerge con chiarezza che la situazione umbra manifesta i segni di infiltrazioni criminali di stampo mafioso nell'economia legale e si ricollega pienamente a quanto è affermato nell'ultima relazione della Direzione Investigativa Antimafia (DIA) (febbraio 2012), laddove si sottolinea che la nuova strategia delle organizzazioni criminali di stampo mafioso è la espansione delle attività al di fuori del contesto territoriale del mezzogiorno, non nella forma classica del controllo pieno, di dominio, del territorio ma nella ricerca di impieghi ed attività utili al riciclaggio di enormi quantità di denaro liquido provenienti dal traffico di droga, armi ed esseri umani.»;
   la criminalità organizzata, a detta della Commissione d'inchiesta, agisce in Umbria, non con le forme note dell'organizzazione mafiosa volta al controllo del territorio, quanto piuttosto «nel contesto di una finanziarizzazione dell'economia»;
   la relazione della Commissione precisa che: «L'Umbria, sotto tale aspetto, non ha anticorpi sviluppati e un vigile controllo sociale nei confronti del fenomeno criminale mafioso, e nemmeno l'abitudine a tenere alta la guardia dell'attenzione e del sospetto. Perciò l'Umbria corre il rischio di essere un campo fertile in cui infiltrarsi, acquisire patrimoni, attività con forte flusso di cassa, per operare il riciclaggio dei proventi delle attività mafiose condotte in altre parti (audizione n. 1). Emerge dalle audizioni che l'assenza di comprovati fenomeni di radicamento ingenera nell'opinione pubblica, nelle organizzazioni sociali ed economiche e anche nel sistema istituzionale, un atteggiamento di sottovalutazione del fenomeno delle infiltrazioni malavitose. Di fronte alle inchieste giudiziarie che evidenziavano un fenomeno in espansione, davanti alle stesse segnalazioni giornalistiche, è prevalsa a lungo l'idea di considerarli episodi isolati, intrusioni in un contesto sano che restava totalmente refrattario all'infiltrazione. Alcuni dei soggetti auditi, pur senza giungere a posizioni negazioniste, hanno manifestato un'esplicita sottovalutazione del rischio di infiltrazione»;
   proprio nel 2011 si sono verificati alcuni eventi comprovanti infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto perugino: è nota l’«Operazione Apogeo» del 14 settembre 2011 condotta nelle province di Perugia, Caserta, Ancona, Firenze, Padova e Pesaro nel corso della quale i carabinieri del R.O.S e i militari del G.I.C.O della Guardia di finanza di Perugia e Firenze hanno concluso un importante intervento nei confronti di un'organizzazione criminale dedita alla truffa aggravata, al riciclaggio, alla bancarotta fraudolenta, all'emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, con l'aggravante del metodo mafioso;
   l'organizzazione, che si presume collegata al clan dei Casalesi, aveva sede a Perugia. Secondo gli investigatori, questo gruppo criminale disponeva di ingenti capitali con i quali, attraverso società inesistenti o con sede all'estero, acquisiva attività commerciali nel settore alberghiero, della ristorazione ed edilizio, penetrando nel tessuto economico locale anche attraverso l'acquisizione di imprese in crisi;
   anche dal rapporto Ecomafie 2014 emerge un quadro poco rassicurante sulla penetrazione delle associazioni criminali nel tessuto economico e sociale umbro;
   tuttavia recentemente il prefetto di Perugia Antonio Reppucci, nell'ambito di una conferenza convocata per «difendere» Perugia e ridimensionare l'allarme droga e criminalità, ha accollato alle famiglie la responsabilità della diffusione degli stupefacenti presente nel capoluogo con toni e frasi pesanti che sono state trasmesse anche dai telegiornali nazionali del 22 giugno 2014;
   con una nota pubblicata sul quotidiano La Nazione e Il Giornale dell'Umbria del 21 giugno 2014 il procuratore della procura perugina dottoressa Antonella Duchini si è dissociato in maniera netta dalle affermazioni del prefetto, rilevando che «le tematiche afferenti al consumo ed alla cessione di sostanze stupefacenti, che indubbiamente investono anche il nostro territorio, sono complesse e riguardano sia l'aspetto della repressione (proprio delle forze dell'ordine e della magistratura) che quello della prevenzione attraverso politiche sociali rivolte alle famiglie, che non devono sentirsi isolate ma piuttosto supportate e coinvolte» e, si legge ancora nella nota, «Sotto altro diverso profilo, quanto alle affermazioni del signor prefetto circa l'assenza di evidenze certe di infiltrazioni della criminalità organizzata nel territorio umbro, rilevo, quale procuratore Distrettuale Antimafia, che il fenomeno è attuale ed in corso da oltre un decennio, come risulta dalla relazione della Procura Nazionale Antimafia» (da Il Giornale dell'Umbria del 21 giugno 2014);
   secondo il Procuratore Antimafia «solo l'efficace attività di contrasto tuttora in corso, ha impedito (...) lo sviluppo endemico di forme di criminalità organizzata»;
   come si è appreso dai telegiornali nazionali del 22 giugno 2014, il Ministro dell'interno avrebbe provveduto alla «rimozione» del prefetto di Perugia Antonio Reppucci;
   la vicenda ha fatto emergere, ad avviso dell'interrogante, una sostanziale sottovalutazione nonché scarsa conoscenza del fenomeno e del suo impatto sulla società e sul tessuto economico del territorio umbro che per le sue caratteristiche appare fortemente «appetibile» dalle organizzazioni criminali –:
   se il Ministro sia al corrente dei risultati della Relazione della Commissione d'inchiesta della regione Umbria su «Infiltrazioni mafiose in Umbria, metodologie di controllo, prevenzione e lotta alla criminalità organizzata» del 27 settembre 2012 e del dossier 2014 dell'Associazione Libera «La droga in Umbria» che evidenziano importanti elementi di fragilità e di esposizione al rischio infiltrazioni in Umbria e se non intenda promuovere, nell'ambito delle proprie competenze, azioni informative non solo di controllo e repressione del fenomeno, ma anche di prevenzione;
   quali misure, alla luce delle vicende di questi ultimi giorni, il Ministro interrogato abbia assunto o intenda mettere in atto, nell'ambito delle proprie competenze, per rafforzare l'azione di contrasto, anche con ulteriori «strumenti di controllo, alla penetrazione e alla diffusione delle associazioni criminali sul territorio umbro, in particolare nei settori degli investimenti immobiliari, delle operazioni finanziarie e dei traffici illeciti. (5-05163)


   BASSO, GIACOBBE, BAZOLI, GALPERTI e DE MENECH. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   i Corpi di polizia provinciale sono istituiti e disciplinati ai sensi della legge quadro 7 marzo 1986 n. 65 e delle varie leggi regionali in materia di polizia locale; numerose leggi dello Stato e delle regioni, attribuiscono alla polizia provinciale, altre specifiche competenze e funzioni, in diversi ambiti e settori;
   la polizia provinciale ha competenza a carattere generale sull'intero territorio della provincia di appartenenza e, in special modo, su quelle materie che, a norma del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, sono state delegate dallo Stato all'ente provinciale, fatte salve le specifiche competenze di altri organi;
   la polizia provinciale concorre, con funzione ausiliaria, ai servizi di ordine e sicurezza pubblica. La provinciale si occupa del controllo del territorio, svolgendo le diverse funzioni di polizia all'interno di vari contesti territoriali, dall'entroterra e nelle aree più interne, alle periferie e, nelle aree urbane di molte realtà italiane;
   la polizia provinciale partecipa alle attività operative, nell'ambito dei «piani coordinati di controllo del territorio», unitamente ai vari organi di polizia dello Stato, ai sensi dell'articolo 7 della legge 24 luglio 2008, n. 125. Opera alle dipendenze della provincia di riferimento, quale ente territoriale locale dello Stato italiano, ed ha competenza riferita al territorio dell'ente di appartenenza e nei limiti delle proprie attribuzioni;
   l'ordine del giorno n. 9-01542-A/008 – accolto dal Governo alla Camera dei deputati il 21 dicembre 2013 a seguito dell'approvazione in prima lettura della legge 56 del 2014, impegnava il Governo pro tempore a predisporre, nella sua competenza legislativa in materia di tutela dell'ambiente, tutte le misure necessarie per il trasferimento delle funzioni del Corpo di polizia provinciale al Corpo forestale dello Stato, procedendo al contempo al trasferimento del personale e dei relativi mezzi;
   nel quadro della ridistribuzione delle funzioni provinciali prevista dalla legge 56 del 2014, per preservare il bagaglio delle esperienze e delle professionalità maturate dal personale dei Corpi e servizi di polizia provinciale ed analoghe figure alle dipendenze delle amministrazioni provinciali, appare logico il transito prioritariamente del personale nel Corpo forestale dello Stato, lasciando nel contempo possibile la diversa collocazione nelle polizie degli enti locali, incluse le nuove città metropolitane;
   la circolare n. 1/2015 della Presidenza del Consiglio dei ministri («linee guida in materia di attuazione delle disposizioni in materia di personale e di altri profili connessi al riordino delle funzioni delle province e delle città metropolitane. Articolo 1, commi da 418 a 430, della legge 23 dicembre 2014, n. 190») recita che per il personale dei Corpi di polizia provinciale «saranno definiti specifici percorsi di ricollocazione a valle degli interventi di razionalizzazione e potenziamento dell'efficacia delle funzioni di polizia, anche in funzione di una migliore cooperazione sul territorio» –:
   quali siano i percorsi di ricollocazione decisi e, in particolare, la precisa tempistica prevista, al fine di fornire le dovute garanzie al personale dei Corpi e servizi di polizia provinciale in maniera da preservare il loro prezioso bagaglio di esperienze e di professionalità maturate in questi anni. (5-05183)


   VALIANTE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 23 marzo 2015 l'Autorità nazionale anticorruzione inviava ai consiglieri comunali di Scafati richiedenti, una formale comunicazione, a seguito di una loro segnalazione (acquisita presso la stessa autorità con protocollo n. 3186 del 15 gennaio 2015) in merito alla opportunità di rimozione del responsabile della prevenzione della corruzione e dell'ufficio procedimenti disciplinari (R.C.P.) del comune. L'Autorità nazionale anticorruzione, nella persona del segretario generale dottoressa Angela Lorella Di Gioia, sottolineava che con orientamento n. 120 del 3 dicembre 2014, per casi analoghi in presenza di provvedimenti di rinvio a giudizio a carico del dirigente responsabile della prevenzione corruzione e della trasparenza, l'amministrazione deve contemplare la possibilità di conferire la carica ad altro dipendente munito delle necessarie competenze per assicurare imparzialità e autonomia valutativa. A supporto di tale tesi veniva citata la circolare n. 1 del 2013 del Dipartimento della funzione pubblica nella quale è statuito che la nomina del responsabile della corruzione deve ricadere su un dirigente che abbia dato dimostrazione di comportamento integerrimo. L'Autorità anticorruzione pertanto invitava il comune di Scafati a effettuare opportuni controlli in merito sul dirigente incaricato considerando l'inopportunità che un soggetto rinviato a giudizio riveste il ruolo R.C.P –:
   di quali elementi disponga in relazione alla vicenda sopra descritta e se intenda assumere iniziative normative volte a sancire il divieto di attribuzione dell'incarico di responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza a persone che si trovano in situazioni come quella di cui in premessa. (5-05192)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRUNO BOSSIO, MAGORNO e STUMPO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 19 marzo 2015 circa 35 richiedenti asilo, ospiti di un'apposita struttura, hanno bloccato per quasi quattro ore la strada provinciale 511 che collega Pizzo Calabro a Tropea, in Calabria, posizionando massi sulla carreggiata e causando ritardi e deviazioni del traffico;
   la protesta intendeva sollecitare, tra le altre richieste una maggiore celerità nel rilascio dei permessi di soggiorno e la possibilità che la questura conceda documenti per i lavoratori così da potersi rendere utili senza dover trascorrere le giornate senza alcun impegno particolare;
   è del 18 marzo, invece, la notizia della protesta dei migranti ospiti del CARA di Isola Capo Rizzuto (Crotone): le condizioni in cui sono costretti i richiedenti asilo collocati nella struttura ha costretto centinaia di essi a bloccare la statale 106 ed i voli dell'aeroporto di Crotone pur di attirare l'attenzione sul loro caso;
   il CARA Sant'Anna di Isola Capo Rizzuto (Crotone) è, attualmente, il più grande centro d'accoglienza per richiedenti asilo d'Italia e da oltre dieci anni la sua gestione è affidata alla Confederazione nazionale «Misericordie d'Italia»;
   l'ultima gara d'appalto di validità triennale è stata vinta dalle «Misericordie» nel 2012 per un importo complessivo di 28.021.050 euro Iva esclusa;
   la cifra complessiva erogata dallo Stato per ogni ospite è di 21,4 euro al giorno, di cui 2,50 da erogare sotto forma di pocket money, vale a dire la quota giornaliera che spetta al migrante e che lo Stato affida ai gestori del centro affinché la eroghino agli ospiti della struttura;
   la cifra erogata, secondo l'indagine «Arcipelago CIE» dell'Associazione Medici per i diritti umani sarebbe la più bassa d'Italia;
   il 22 maggio 2015 è stata effettuata una visita al suddetto Centro dalla sottoscritta, dall'onorevole Nicola Stumpo, dal dirigente regionale del PD della Calabria Giovanni Manoccio, da Manlio Caiazza, Segretario dei Giovani Democratici della città di Crotone e da Gaspare Galli dirigente dei Giovani Democratici;
   dalla visita apprendemmo che il CARA di Crotone ospitava 1.700 persone, a fronte di una capacità di accoglienza di 729 posti;
   il direttore Francesco Tipaldi informava altresì la delegazione che il complesso poteva in realtà contare su 124 posti in più rispetto a quelli previsti considerando i posti del CIE (Centro di identificazione ed espulsione), ma che questo risultava essere chiuso per inagibilità a seguito della morte, il 10 agosto 2013, di un trattenuto 31enne marocchino e della rivolta che ne seguì, il 12 agosto;
   nel corso della visita fu possibile rendersi conto delle difficili condizioni della struttura a partire dalla sua posizione in una località distante dal centro abitato, a ridosso della strada statale 106 di cui è difficile e pericoloso l'attraversamento pedonale per l'assenza di strisce, di isole o fermate di autobus;
   di questi ospiti solo 250 dormono in edifici in muratura mentre gli altri sono alloggiati in vecchi container sovraffollati in cui la separazione tra uomini e donne e gruppi familiari, prevista dall'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 2004, non è sempre garantita;
   il sovraffollamento produce spesso contrasti tra le diverse etnie, di cui è ultimo ma non unico esempio la maxi-rissa registratasi il 4 giugno 2014 tra afgani e pakistani che ha visto coinvolte oltre 400 persone e procurato trenta feriti tra gli ospiti del CARA;
   tale rissa è conseguenza diretta della mancanza di danaro dovuta alla circostanza che l'erogazione del pocket money si concretizza illecitamente nella distribuzione di due pacchetti di 10 sigarette a settimana come equivalente dell'intero importo dovuto;
   le condizioni igieniche risultarono assolutamente inadeguate a causa della mancanza di pulizia e del danneggiamento dei sanitari, senza contare l'assenza di riscaldamento, tutti servizi che il gestore è tenuto ad assicurare secondo il capitolato d'appalto, approvato con decreto ministeriale 21 novembre 2008, articolo 1, n. 3, lettera e) che, se non adeguatamente prestati, possono essere causa (articolo 19 del medesimo capitolato) di risoluzione del contratto;
   il personale impiegato è certamente insufficiente e fornito di competenze professionali assolutamente inadeguate rispetto alla complessità della situazione del centro;
   il servizio di mediazione culturale non garantisce la copertura delle principali lingue parlate dagli ospiti presenti nel centro come, del resto, il servizio d'informativa legale, relativa ai diritti/doveri dell'ospite nonché alla procedura di asilo, che è insufficiente e spesso incomprensibile agli ospiti;
   nel 2014 sono stati consegnati al Ministero dell'interno i risultati del secondo rapporto di monitoraggio su CIE e CARA effettuato dalle organizzazioni della rete Praesidium che pare presentarsi peggiore del primo rapporto datato 20 e 25 settembre 2013 e contenente i dati dei primi due monitoraggi;
   le criticità emerse sul CARA di Crotone sono state oggetto da una documentata inchiesta giornalistica curata da Raffaella Cosentino e Alessandro Mezzaroma ed apparsa su Repubblica.it il 6 maggio 2014 con il titolo «Milioni sulla pelle dei rifugiati»;
   più di recente, a Crotone è stata fatta incetta, fin dalle prime ore di vendita, da parte di alcune persone, di tutte le copie del settimanale L'Espresso nel quale era annunciato (sebbene poi in realtà pubblicato sulle pagine online dello stesso settimanale) un ennesimo articolo che ricostruiva gli affari delle Misericordie di Isola Capo Rizzuto, come da notizia dello stesso L'Espresso online del 2 marzo;
   in particolare per quanto riguarda il CARA di Crotone nell'inchiesta veniva evidenziata l'incongruità dell'erogazione in «beni e servizi» del cosiddetto pocket money perché «facendo un calcolo approssimativo di 2,50 euro per una media di 1.500 persone, si arriva alla somma di 3.750 euro al giorno che moltiplicato per 21 mesi (il periodo medio di permanenza degli ospiti nel centro), cioè 630 giorni, fa oltre due milioni di euro»;
   in seguito all'articolo la «Misericordie» replicava citando una nota della prefettura di Crotone del 19 marzo 2013 dalla quale si evinceva che, a seguito della verifica sulle singole schede del buono economico, limitatamente ad un campione di 3.000 soggetti, la minore erogazione di «Misericordie» fosse di appena 9.653,61 euro rispetto agli oltre 2.000.000 stimati nell'articolo citato, cifra tra l'altro restituita da «Misericordie» stessa –:
   quali siano i risultati del secondo rapporto di monitoraggio della rete Praesidium su CIE e CARA consegnato nel 2014 al Ministero dell'interno e finora non divulgato;
   quali iniziative si intendano assumere affinché venga reso noto il rapporto della prefettura di Crotone citato come nota del 19 marzo 2014 dalla replica di «Misericordie» all'articolo di inchiesta di Repubblica.it;
   quali provvedimenti l'ente gestore, la questura di Crotone e il Ministero dell'interno intendano assumere per migliorare l'accoglienza e affinché siano applicate le norme del capitolato d'appalto sulla dotazione minima personale, sull'assistenza 24h su 24h da garantire con l'impiego di figure professionali adeguate e, più in generale, su tutti i servizi a carico dell'ente gestore su cui la prefettura (ex articolo 22 capitolato d'appalto) è tenuta a vigilare, considerando che la mancata o inesatta esecuzione del contratto, se rilevati in sede ispettiva, di controllo e di monitoraggio o lamentati dagli utenti, devono portare ad una penale di almeno il 3 per cento del corrispettivo mensile (ex articolo 16 del capitolato d'appalto);
   quali iniziative si intendano assumere affinché si proceda alla riforma del cosiddetto pocket money che presso il CARA di Sant'Anna attualmente è erogato (quando è erogato) in beni e servizi invece che in danaro, una procedura che non garantisce né l'emancipazione degli ospiti, impossibilitati ad acquistare beni e servizi al di fuori dal Centro, né favorisce l'integrazione sociale ed economica dei migranti con la comunità locale;
   quali misure si intendano adottare per velocizzare le pratiche di riconoscimento dello status di rifugiato ai migranti che ne fanno richiesta, essendo ormai i tempi per espletare tale procedura fisiologicamente più lunga di quella prevista dalla legge. (4-08566)


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in provincia di Brescia sta emergendo un'anomala e preoccupante situazione relativa alla gestione delle pratiche inerenti alla sanatoria 2012 per la regolarizzazione dei lavoratori migranti in stato di clandestinità, che a Brescia, da parte di prefettura e questura, vede l'80 per cento di domande respinte, a fronte di una media nazionale del 20 per cento;
   questa situazione pare essere frutto di un'applicazione della legge di emersione che non ha riscontro in nessuna delle altre province italiane. Al riguardo, lo stesso responsabile del dipartimento immigrazione del Ministero dell'interno, in visita a Brescia, ha stigmatizzato le modalità di applicazione della sanatoria da parte della prefettura;
   la cosiddetta «anomalia bresciana», secondo associazioni locali e organizzazioni sindacali, deriva principalmente da due fattori:
    a Brescia sono state considerate prove valide a dimostrare la presenza in Italia antecedente al 31 dicembre 2011 dei lavoratori aspiranti all'emersione solo quelle risalenti ai sei mesi precedenti, senza che nella legge sia in alcun modo previsto un tale limite e quando in tutte le altre province sono state considerate valide anche prove degli anni precedenti il 2011;
    sarebbe stata messa in atto una sistematica operazione inquisitoria convocando nelle stazioni dei carabinieri, negli uffici della polizia locale e provinciale e dell'ispettorato del lavoro i datori di lavoro e i lavoratori che hanno presentato domanda di emersione; sarebbero stati interrogati sulle modalità di svolgimento dei rapporto di lavoro senza alcuna assistenza e senza la presenza di un interprete anche quando si trattava di soggetti con scarsa conoscenza della lingua italiana. Ogni incertezza o imprecisione nelle risposte sarebbe stata ritenuta prova della insussistenza del rapporto di lavoro con conseguente rigetto di centinaia di domande;
   al riguardo il TAR di Brescia ed il Consiglio di Stato hanno affermato recentemente che non ci si può basare, per la valutazione della sussistenza e della conformità del rapporto di lavoro a quanto richiesto dalla legge di emersione sulle sole dichiarazioni rese davanti agli organi di polizia e che eventuali accertamenti sul punto devono essere svolti direttamente dagli uffici della prefettura;
   a questa gestione anomala relativa alla sanatoria 2012 si aggiunge la situazione dei permessi di soggiorno. La questura di Brescia infatti, sta respingendo migliaia di domande di rinnovo. A Brescia il permesso di soggiorno di un anno per attesa occupazione non viene quasi mai concesso perché la questura impiega mediamente più di un anno a rinnovare il permesso di soggiorno (quando la stessa legge «Bossi-Fini» un termine massimo di 60 giorni) e quindi il termine di un anno per cercare lavoro viene «consumato» nell'attesa del rinnovo riducendo enormemente le possibilità di trovare una nuova occupazione perché è molto più difficile farsi assumere con un permesso di soggiorno scaduto. I lunghi tempi di rinnovo, inoltre, sono del tutto incompatibili con le caratteristiche di un mercato del lavoro che offre principalmente contratti precari di breve e brevissima durata;
   per denunciare l'anomala situazione determinatasi in relazione alla sanatoria 2012 e al rilascio dei permessi per i lavoratori migranti in provincia di Brescia nei giorni scorsi si sono svolte in città manifestazioni di protesta, acutizzate anche dall'incomprensibile decisione della questura di Brescia di vietare ogni tipo di manifestazione nella centrale piazza della Loggia, militarizzando il centro città;
   nella giornata del 24 marzo 2015 a Brescia, nell'ambito di un presidio di protesta, si sarebbero registrate violente e immotivate cariche delle forze dell'ordine, con conseguenti 3 feriti e 4 fermati;
   da quanto emerge dai video diffusi dagli organi di informazione e facilmente reperibili in rete, l'intervento violento della forza pubblica sarebbe stato ingiustificato e controproducente al fine del mantenimento dell'ordine pubblico, così come non è comprensibile, ad avviso dell'interrogante la gestione complessiva dell'ordine pubblico che, anziché tendere a contenere e limitare situazioni di tensione, sta contribuendo in questo modo ad esacerbare un clima di tensione crescente che rischia di esplodere, con conseguenze ben più gravi per la città di Brescia, in occasione della prevista manifestazione di sabato 28 marzo 2015 –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere in merito alla necessità di verificare le modalità con cui la prefettura e la questura di Brescia stanno dando applicazione alle leggi nazionali in merito alla sanatoria 2012 e al rilascio dei permessi di soggiorno annuali per attesa occupazione affinché da parte di tali organi dello Stato non si verifichi alcuna forma di discriminazione;
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per garantire il diritto dei cittadini alla libertà di manifestazione e per ridurre il preoccupante clima di tensione che in città è palpabile e che i recenti comportamenti da parte dei responsabili dell'ordine pubblico, a giudizio dell'interrogante non hanno contribuito a mitigare. (4-08585)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   una brillante e complessa operazione di polizia ha portato all'individuazione ed allo smantellamento di una cellula jihadista italo-albanese, attiva nel campo del reclutamento dei cosiddetti foreign fighters che combattono in favore del sedicente Stato islamico, sorto a cavallo tra Siria ed Iraq nel 2014;
   in tale contesto, la Digos ha annunciato, in data 25 marzo 2015, di aver tratto in arresto a Brescia due albanesi accusati di far proselitismo in favore del cosiddetto Califfato;
   nella medesima circostanza, la Digos ha altresì reso noto di aver sottoposto a «sorveglianza speciale» un giovane italo-tunisino, residente a Cermentate, in provincia di Como, senza procedere al suo arresto o farne oggetto di indagini approfondite;
   del giovane italo-tunisino sottoposto a «sorveglianza speciale» si parlava anche in un lungo rapporto curato dall’intelligence del nostro Paese e pubblicato in parte da un noto settimanale nazionale, ove si precisava che il giovane aveva manifestato più volte l'intenzione di recarsi in Siria ed Afghanistan, vantando rapporti con l'organizzazione dello Stato islamico, allora ancora denominato Isis;
   l'indagine condotta dalla Digos ha confermato l'importante ruolo che i social media rivestono nelle strategie di reclutamento del sedicente Stato islamico ed, al contempo, che il territorio nazionale e quello delle province bresciana e comasca sono infiltrati dagli adepti del Califfo;
   non può conseguentemente essere trascurato il pericolo che il radicamento di forti comunità di immigrati musulmani provenienti da Paesi a rischio rappresenta per la sicurezza e l'ordine pubblico –:
   quali misure particolari, oltre al sequestro dei documenti per espatriare, siano applicate in caso di sottoposizioni a «sorveglianza speciale»;
   se il Governo ritenga ancora opportuno, alla luce della conferma dell'importanza del web come canale di reclutamento dei jihadisti, persistere nel ridimensionamento delle capacità della polizia delle comunicazioni;
   se, in ragione delle risultanze delle indagini, non si ritenga opportuno rafforzare i presidi delle forze dell'ordine nella provincia di Como, possibilmente prevedendone l'integrazione con personale specificamente addestrato alla conduzione di attività antiterroristiche;
   se, in ragione dell'evidente infiltrazione jihadista in atto nel territorio nazionale, non si ritenga opportuno considerare l'adozione di misure più drastiche sotto il punto di vista del controllo dell'immigrazione clandestina, in particolare attuando un blocco navale nei confronti della Libia, riconducendo negli Stati d'origine coloro che risultino soggiornare irregolarmente nel nostro Paese e sottoponendo a più rigidi controlli i luoghi di culto islamici. (4-08588)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   la riduzione del numero di stabilizzazioni annunciata nelle linee guida su «La Buona Scuola», consolida il numero degli esclusi che a vario titolo avrebbero potuto vantare il diritto all'accesso nei ruoli del personale docente sia della scuola materna, che elementare che secondaria, ivi compresi i licei;
   ciò rappresenta a giudizio dell'interrogante un abuso evidente ed una palese ingiustizia, visto che la normativa preesistente (decreto legislativo 297 del 1994, nel paragrafo sezione Il Reclutamento del personale docente ed educativo) recita testualmente, all'articolo 399, comma 1: «L'accesso ai ruoli del personale docente della scuola materna, elementare e secondaria, ivi compresi i licei artistici e gli istituti d'arte, ha luogo, per il 50 per cento dei posti a tal fine annualmente assegnabili, mediante concorsi per titoli ed esami e, per il restante 50 per cento, attingendo alle graduatorie permanenti di cui all'articolo 401»; al comma 2 della medesima legge, dice: «Nel caso in cui la graduatoria di un concorso per titoli ed esami sia esaurita e rimangano posti ad esso assegnati, questi vanno ad aggiungersi a quelli assegnati alla corrispondente graduatoria permanente. Detti posti vanno reintegrati in occasione della procedura concorsuale successiva»;
   si evidenzia, inoltre, che secondo l'articolo 400, comma 19, del medesimo decreto legislativo: «Conseguono la nomina i candidati che si collocano in una posizione utile in relazione al numero delle cattedre o posti eventualmente disponibili»;
   nel disegno di legge di prossima presentazione, denominato «La Buona Scuola», invece verrebbero esclusi i permanenti in graduatoria, eliminando lo scorrimento della stessa, contrariamente a quanto previsto dal decreto ministeriale n. 356 dello stesso Governo Renzi, del maggio 2014, che per quanto riguarda il concorso del 2012, idonei ma non vincitori, contemplava lo scorrimento delle graduatorie. Cosa per la quale il 1o settembre del 2014 migliaia di docenti sono stati immessi in ruolo. Se fosse approvato, il nuovo disegno di legge escluderebbe i rimanenti idonei della stessa graduatoria (circa 7.000), che vedrebbero cancellati i loro diritti al 1o settembre del 2015. Ciò rappresenterebbe, secondo l'interpellante, una sostanziale violazione dei diritti dei lavoratori e avrebbe anche dei forti, connotati anticostituzionali, a fronte dell'articolo 3 della Costituzione italiana che sancisce il principio di eguaglianza in eguali condizioni. Si verrebbe a creare, così, una palese difformità di trattamento tra idonei della stessa graduatoria;
   appare conculcato anche il principio del legittimo affidamento, riconosciuto a livello sia europeo che nazionale (sin dal 1978);
   l'articolo 7 del capo III del testo del disegno di legge in questione, così come diffuso, nell'indicare la chiamata diretta dei dirigenti scolastici, potrebbe risultare, a giudizio dell'interpellante, un «pericoloso incentivo» ai rapporti clientelari –:
   come i Ministri interpellati intendano operare affinché questa disparità di trattamento venga sanata rivedendo il testo, con particolare riferimento al personale incluso nelle graduatorie ad esaurimento;
   se non reputi opportuno far valere queste regole nei futuri concorsi e non per quelli effettuati sulla base di leggi preesistenti, evitando così di ledere anche giuridicamente, i diritti acquisiti dei concorrenti partecipanti al bando 2012.
(2-00912) «Melilla».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 34 della Costituzione garantisce il diritto all'istruzione e la legge n. 104 del 1992 prevede l'inclusione nelle scuole di ogni ordine e grado degli studenti con disabilità;
   la legge ha previsto per gli insegnanti di sostegno un percorso formativo altamente specializzato volto alla preparazione e formazione degli insegnanti che andranno a supportare gli studenti con disabilità;
   i corsi di specializzazione per le attività di sostegno sono organizzati dagli atenei italiani e preparano attraverso un percorso articolato e specifico, insegnanti in grado di rispondere alle esigenze degli studenti con disabilità in modo da poter realizzare l'effettiva inclusione scolastica;
   gli attuali corsi di specializzazione diretti ad abilitare i futuri insegnati di sostegno ai sensi del decreto ministeriale n. 249 del 10 settembre 2010 sono iniziati da poco e dunque i docenti iscritti al corso conseguiranno la prescritta abilitazione solamente con l'inizio del prossimo anno scolastico 2014/2015 ovvero durante il prossimo anno;
   recentemente con decreto del 22 maggio 2014 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha previsto disposizioni per la presentazione delle domande per la costituzione delle graduatorie di istituto in tempi utili per il regolare avvio del prossimo anno scolastico 2014/2015;
   l'articolo 2 del bando prevede che: «Ai posti di sostegno accedono i candidati in possesso: a) dei titoli di specializzazione di cui all'articolo 325 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, al decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologia 26 maggio 1998, emanato di concerto con il Ministro della pubblica istruzione, dell'università e della ricerca 20 febbraio 2002; b) della Laurea in scienze della formazione primaria con specifico modulo per il sostegno; c) del diploma di specializzazione conseguito a seguito della frequenza dei corsi di cui all'articolo 13 del decreto ministeriale 10 settembre 2010, n. 249. Tutti i titoli di accesso di cui al presente articolo devono essere posseduti entro la data di scadenza dei termini di presentazione delle domande di cui al successivo articolo 7»;
   ai sensi dell'articolo 7 la scadenza per la presentazione delle domande di inserimento nelle relative fasce di istituto è stata fissata per il 23 giugno 2014 e le graduatorie si rinnovano ogni tre anni senza possibilità di inserimento nel corso del triennio;
   per garantire a coloro che conseguono il titolo di abilitazione dopo il 23 giugno 2014 l'inclusione nelle suddette graduatorie, il Miur ha permesso l'inserimento con riserva, che verrà sciolta il 31 luglio, data entro la quale tutti i PAS (percorsi abilitanti speciali) e gli studenti di scienze della formazione primaria (che saranno abilitati per la scuola dell'infanzia e primaria), finiranno i loro percorsi;
   tale riserva varrebbe anche per gli abilitandi al sostegno didattico per gli studenti con disabilità;
   tuttavia proprio tali docenti non potranno avvalersi di tale riserva poiché il corso di sostegno è iniziato non prima di marzo 2014 e non può avere una durata inferiore agli 8 mesi e dunque nessun docente iscritto al corso per le attività di sostegno terminerà il corso entro il 31 luglio 2014, data ultima per lo scioglimento della riserva;
   ciò determinerà l'impossibilità per i docenti abilitati al sostegno di inserirsi nelle graduatorie triennali di circolo e di istituto sebbene conseguiranno il titolo già a febbraio del 2015 con conseguente pregiudizio anche per gli studenti disabili che con molta probabilità saranno supportati nei propri studi da docenti non abilitati al sostegno, sebbene ci siano futuri docenti specializzandi per tale ruolo –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti esposti;
   quali urgenti misure, anche di tipo normativo, intende adottare il Ministro interrogato per garantire ai docenti iscritti ai corsi di specializzazione per il sostegno e prossimi al conseguimento del titolo di abilitazione al sostegno, l'inclusione nelle rispettive graduatorie anche al fine di tutelare il diritto degli studenti disabili ad avere personale adeguatamente preparato e formato. (5-05162)


   CIPRINI, COMINARDI, TRIPIEDI, DALL'OSSO, LOMBARDI, BARONI e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i docenti abilitati con tirocinio formativo attivo (TFA) e con scienze della formazione primaria (SFP) hanno conseguito o sono in procinto di conseguire il titolo di specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità ai sensi del decreto ministeriale n. 706 del 9 agosto 2013;
   i docenti abilitati con tirocinio formativo attivo/scienze della formazione primaria, a differenza dei colleghi di corso abilitati con precedenti tipologie di corso/concorso (SSIS ed altri), a fronte del superamento della medesima procedura selettiva/concorsuale, della frequenza del medesimo corso e del superamento dei medesimi esami finali, conseguiranno un titolo la cui spendibilità ai fini lavorativi appare problematica;
   la spendibilità del titolo di specializzazione, così come l'abilitazione in una determinata classe di concorso per le graduatorie d'istituto (GI), limita la possibilità per un docente di inserirsi nelle suddette graduatorie scegliendo fino a un massimo di venti scuole (graduatorie di istituto di seconda fascia) all'interno di una sola provincia a fronte di un elevato fabbisogno presente sul territorio nazionale;
   al momento attuale vige l'assenza di un canale di reclutamento che contempli la specificità del titolo conseguito (specializzazione sostegno) nonostante vi sia un elevato fabbisogno di docenti specializzati in tutti gli ordini e gradi d'istruzione;
   il disegno di legge cosiddetto «La Buona Scuola» sarebbe penalizzante per gli abilitati tirocinio formativo attivo/scienze della formazione primaria specializzati o specializzandi nel sostegno didattico agli alunni con disabilità, sia per il quasi azzeramento degli incarichi di supplenza riguardante la relativa classe di abilitazione sia per l'impossibilità di prendere parte al piano di stabilizzazioni straordinario sul sostegno previsto dal decreto-legge n. 104 del 2013 (cosiddetto decreto Carrozza);
   è noto che la sentenza della Corte di giustizia europea ha stigmatizzato il ricorso a contratti a tempo determinato oltre i trentasei mesi di servizio su posto vacante e disponibile;
   in alcune province dove le graduatorie ad esaurimento (GAE) e le graduatorie di merito (GM) del sostegno sono esaurite e dove il numero degli specializzati presenti in seconda fascia delle GI e insufficiente, potrebbero essere conferiti incarichi/supplenze a non specializzati e questo si profila come in contrasto con quanto espresso nella legge n. 104 del 1992;
   i docenti in II fascia delle graduatorie d'istituto (GI) avranno il solo concorso come canale di reclutamento e la possibilità di essere immessi in ruolo sul sostegno dipende esclusivamente, allo stato attuale, dal superamento del concorso sulla disciplina per cui si è abilitati, con il rischio della creazione di una forte e ingiusta disparità fra docenti Specializzati sul sostegno appartenenti ad una classe di concorso con più posti a bando e docenti Specializzati sul sostegno appartenenti ad una classe di concorso più «sfortunata» –:
   se sia intenzione del Ministro assumere iniziative per procedere ad una separazione delle carriere tra l'incarico di sostegno e le lassi disciplinari, e quali misure intenda adottare al fine di favorire l'ingresso stabile di specializzati nei ruoli del sostegno;
   se il Ministro intenda provvedere alla creazione di una graduatoria provinciale in luogo delle attuali graduatorie d'istituto per l'attribuzione degli incarichi di supplenza che superi il limite di 20 istituti scolastici;
   quali iniziative intenda adottare il Ministro per assicurare il diritto di precedenza spettante ai docenti specializzati sul sostegno anche non presenti nelle graduatorie ad esaurimento o nelle graduatorie di merito affinché le procedure per la chiamata dalle segreterie delle scuole per le supplenze su posti di sostegno avvengano in conformità con la normativa vigente;
   se intenda – una volta esauriti gli elenchi degli insegnanti di sostegno delle graduatorie ad esaurimento e delle graduatorie di merito – assumere iniziative per procedere alla stabilizzazione dei docenti specializzati nel sostegno di cui al decreto ministeriale n. 706 del 2013.
(5-05176)


   ALTIERI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Auditorium «Nino Rota» di Bari annesso al Conservatorio «Niccolò Piccinni» è chiuso da oltre vent'anni privando la ICO di Bari e l'orchestra del conservatorio della loro naturale «casa della musica»;
   in data 31 ottobre 2006 la regione Puglia, la provincia di Bari e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca hanno sottoscritto un protocollo d'intesa per la ristrutturazione dell'Auditorium «Nino Rota» prevedendo una spesa complessiva di 8.472 167,94 euro, divisi tra regione Puglia (2.840.512,94 euro), provincia di Bari (3.631.655,00) e Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (2 milioni di euro);
   nel settembre 2009 sono stati avviati i lavori di ristrutturazione che sono stati completati nel settembre 2014 come appurato dalla visita del sottosegretario al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, senatrice Angela D'Onghia, accompagnata dai vertici della regione Puglia e della provincia di Bari;
   da quel momento pur essendo terminato il recupero, la struttura resta «tristemente» chiusa a causa del ritardo del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nel pagamento della propria quota come stabilito dal succitato protocollo d'intesa. La provincia di Bari e la regione Puglia hanno liquidato oltre il 90 per cento delle proprie spettanze riservandosi – come previsto dalle norme – di versare il saldo al momento dei collaudi. Come si apprende dal conservatorio di Bari, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, invece ha versato solo il 40 per cento della propria quota provocando un'azione legale da parte dell'impresa che reclama il pagamento di due stati di avanzamento dei lavori e di conseguenza non procede con i collaudi delle opere necessarie per le pratiche di agibilità;
   ad oggi la struttura è completa ma non fruibile; ciò comporta, per i soggetti pubblici che hanno contribuito con propri fondi al recupero, ulteriori spese per il nolo di spazi adeguati allo svolgimento di concerti e manifestazioni culturali come è evidente nel caso dell'orchestra sinfonica della città metropolitana di Bari –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali urgenti iniziative intenda porre in essere per quanto concerne il pagamento del saldo della propria quota che ad oggi è la causa principale della mancata apertura dell'Auditorium «Nino Rota»;
   come s'intenda strutturare e finanziare la gestione dell'Auditorium «Nino Rota» una volta riaperto al pubblico. (5-05184)

Interrogazione a risposta scritta:


   NICCHI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti giornalistiche (Il Tirreno di Prato del 24 marzo 2015) che il liceo artistico «Brunelleschi» di Montemurlo ha respinto l'iscrizione scolastica di un ragazzo affetto da disturbi dell'umore perché tecnicamente rappresenta un «esubero»;
   l'iscrizione del ragazzo era stata fatta a gennaio, online, tramite il sito del Ministero, e aveva avuto esito favorevole, «a patto che non venisse formata una nuova classe»;
   il diniego è arrivato a marzo 2015; secondo le affermazioni della madre la scuola non avrebbe motivato il perché dell'esclusione, nonostante il diritto all'istruzione garantito anche dalla legge 104 del 1992 (legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e il diritto delle persone handicappate) attraverso la figura dell'insegnante di sostegno;
   il caso sopra esposto non è l'unico, sarebbero almeno 9 i ragazzi portatori di handicap respinti dal liceo Brunelleschi (quattro dal liceo Rodari);
   il rifiuto trae motivazione da una delibera del consiglio d'istituto del liceo Livi (cui fa capo il Brunelleschi di Montemurlo), datata 13 febbraio 2015, la quale «raccomanda la massima attenzione nella costituzione delle classi con alunni disabili, nel senso di limitare, per quanto possibile, in presenza di grave disabilità, la formazione delle stesse con più di 20 alunni»;
   la delibera si richiama ad un decreto ministeriale del 3 giugno 1999, il quale sottolinea che «la presenza di più di un alunno in situazione di handicap nella stessa classe può essere prevista in ipotesi residuale ed in presenza di handicap funzionalmente lievi», da cui si evince il criterio stabilito: un disabile per classe, come ammette il preside del liceo Cicognini-Rodari;
   il preside del liceo Cicognini-Rodari, che fa parte anche del Glh (gruppo lavoro handicap provinciale) ha puntualizzato che altri studenti disabili sono stati dirottati sul classico, a dimostrazione di come, rispetto a certe disabilità, ogni istituto possa funzionare, e che al socio-psico-pedagogico ci sono 50 alunni disabili in totale, una media di due ragazzi per classe, quando di legge il rapporto ottimale sarebbe uno per classe. Non è possibile andare oltre quel numero se si vuole consentire una reale inclusione e dare un vero servizio alle famiglie;
   gli studenti disabili al pari degli altri dovrebbero avere diritto di scegliere liberamente e senza alcun tipo di vincolo la scuola che preferiscono;
   in un Paese che si pretende avanzato come l'Italia, una madre di un bambino disabile si vede negata l'iscrizione del figlio a scuola senza motivazioni reali;
   la scuola che non permette ai disabili di iscriversi non e certamente labuonascuola –:
   se non ritenga di intervenire presso la scuola sopra citata per verificare i fatti esposti in premessa;
   se non ritenga necessario intervenire anche sul piano normativo in materia, al fine di favorire più concretamente i ragazzi portatori di disabilità così da evitare discriminazioni. (4-08582)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI, DAGA, DI BATTISTA, MASSIMILIANO BERNINI, GRANDE, CURRÒ e CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società Sapa Spa, a seguito della fusione dei due gruppi mondiali del settore, Norsk Hydro e Sapa Group, è una azienda leader mondiale dell'alluminio nella realizzazione di estrusi in alluminio. La produzione della società comprende prodotti utilizzati nelle più diverse applicazioni sia in Italia sia all'estero come tubi, barre, barrame e sponde ma anche parti speciali per il settore automobilistico e progetti per il settore edilizia e costruzioni e in molti altri campi;
   la Sapa ha uno stabilimento in Fossanova (provincia di Latina) e contava anche di uno stabilimento in Bolzano (quest'ultimo sarebbe già stato venduto per concentrare le attività presso lo stabilimento di Feltre nella provincia di Belluno);
   dalla stampa locale (Il Messaggero.it del 5 maggio e Latinatoday.it del 6 maggio 2014) si apprende la notizia con la quale l'azienda ha comunicato «a sorpresa» – tra l'incredulità dei dipendenti – l'apertura della procedura di licenziamento collettivo per cessazione di attività con la consegna alle organizzazioni sindacali e alla rappresentanza sindacale unitaria aziendale dell'avvio del provvedimento per 136 licenziamenti;
   la vicenda ha destato stupore tra i dipendenti poiché circa dieci giorni fa la direzione aziendale aveva dato rassicurazioni alle segreterie territoriali ed alle Rsu rispetto agli ordinativi ed al proseguimento delle attività, tanto da scongiurare il ricorso alla cassa integrazione guadagni;
   le segreterie dei sindacati hanno già convocato una assemblea con i lavoratori e proclamato lo stato di agitazione;
   la crisi dello stabilimento di Fossanova della Sapa si inserisce in un tessuto sociale quale quello della provincia pontina già marcatamente colpito dalla crisi industriale e da altre crisi occupazionali con effetti pesanti sulle famiglie e i lavoratori dipendenti;
   stupisce – a parere degli interroganti – l'improvviso provvedimento di licenziamento collettivo che ha raggiunto i lavoratori senza passare attraverso un coinvolgimento aperto dei lavoratori in ordine allo stato dell'azienda e la valutazione di tutti gli strumenti previsti dal nostro ordinamento giuridico in caso di crisi aziendale, non ultimo l'eventuale adozione di contratti di solidarietà ora agevolati anche dal recente decreto-legge n. 34 del 20 marzo 2014, in corso di conversione in legge;
   rimane forte la preoccupazione tra i 136 dipendenti in merito alla propria sorte lavorativa e che la annunciata crisi si trasformi in strumento di delocalizzazione dell'attività produttiva e di riduzione della forza lavoro;
   la società Sapa conta numerosi dipendenti giovani e qualificati e ha un know-how importante la cui perdita rappresenterebbe un danno anche per l'indotto e l'intera economia del territorio;
   è necessario un intervento del Governo finalizzato alla verifica di un rilancio dell'attività dello stabilimento di Fossanova e alla predisposizione di un serio piano industriale in maniera tale da ridurre il più possibile l'impatto della crisi sul reddito dei dipendenti e tale da favorire il mantenimento della produzione presso lo stabilimento di Fossanova –:
   se i Ministri siano a conoscenza della descritta situazione;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno ed urgente istituire un tavolo interministeriale che veda protagonisti tutti i soggetti interessati al fine di predisporre un serio e condiviso piano industriale – anche sollecitando l'eventuale intervento di nuovi acquirenti che diano garanzie del mantenimento della forza lavoro occupata – volto alla verifica del rilancio dell'attività produttiva dello stabilimento di Fossanova e alla individuazione di ogni possibile strada che abbia come interesse preminente il mantenimento dei livelli occupazionali tramite l'adozione di tutti gli strumenti previsti dalla normativa vigente e che eviti l'ipotesi di una delocalizzazione della produzione dal territorio pontino. (5-05168)


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Antonio Merloni spa si trova in amministrazione straordinaria e i dipendenti (circa 1400) delle sedi di Fabriano e Nocera Umbra si trovano in cassa integrazione guadagni;
   recentemente la corte di appello di Ancona ha confermato la sentenza di annullamento della cessione aziendale dello stabilimento alla J&P Industries spa a suo tempo compiuta dai commissari straordinari;
   il 12 maggio 2014 verrà a scadenza il trattamento di cassa integrazione guadagni di cui godono i circa 1400 dipendenti della ex Antonio Merloni, cosicché gli stessi, in assenza di un intervento statale, corrono il serio rischio di rimanere privi di qualsiasi forma di sostegno e di reddito per i mesi a seguire –:
   se i Ministri interrogati, ciascuno per le proprie competenze, intendano assumere iniziative a favore dei lavoratori non assunti della ex Antonio Merloni – urgenti misure di sostegno al reddito ovvero la proroga del trattamento di cassa integrazione in vista della sua imminente scadenza anche in considerazione della gravità della situazione oggetto di esame dell'autorità giudiziaria. (5-05169)


   CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la legge 12 giugno 1990, n. 146, norma l'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e la salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati nonché l'istituzione della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge; 
   in data 13 marzo 2014 l'organizzazione sindacale ADL Associazione difesa lavoratrici e lavoratori varese – sindacato di base, con una lettera fax avente ad oggetto «denuncia di violazione normativa sciopero e attività antisindacale da parte di SEA e conseguente richiesta di intervento» diretta a Sea spa Sea Handling spa alla Commissione di garanzia e all'ENAC direzione, aeroportuale Malpensa, ha denunciato comportamenti della società SEA in contrasto con il diritto di sciopero nonché la condotta antisindacale in violazione dell'articolo 28 della legge n. 300 del 1970 tenuta dalla medesima società durante lo sciopero di 24 ore del 7 marzo 2014 nell'aeroporto di Milano Malpensa;
   l'organizzazione sindacale con la suddetta lettera ha evidenziato che durante lo sciopero del 7 marzo 2014 la società Sea informava i lavoratori comandati, tramite i suoi responsabili in servizio e mediante sistema BDV (schermata voli seguita dai dipendenti apt), che erano stati aggiunti diversi voli e che da loro dovevano essere garantiti nonostante Enac Centrale non avesse effettuato nessuna variazione alla lista dei voli da garantire; solo più tardi la Sea eliminava dal BDV i suddetti voli; la ADL ha contestato, inoltre, il comportamento di Sea per aver comandato un numero sproporzionato di lavoratori in servizio che venivano successivamente invitati a lasciare il posto di lavoro per andare a casa e rientrare al lavoro solo durante la fascia garantita dalle ore 18 alle ore 21;
   la ADL, infine, contestava il comportamento dei capi reparto ck-in e dei responsabili in turno e coordinatori in linea che avrebbero proceduto «d'autorità alla timbratura manuale in uscita» informando che l'azienda non avrebbe proceduto al pagamento delle ore di lavoro svolto tra la timbratura in uscita «forzata» e l'inizio della fascia garantita –:
   se, nell'ambito delle proprie competenze, i Ministri interrogati abbiano intenzione di verificare i fatti esposti e quali iniziative intendano assumere al fine di garantire una corretta gestione delle relazioni sindacali ed evitare il ripetersi di comportamenti lesivi dei diritti dei lavoratori che esercitano il diritto di sciopero garantito dalla Costituzione. (5-05171)


   CIPRINI e RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 18 marzo 2014, è stato inaugurato a Milano il nuovo store «Eataly» di Oscar Farinetti che ha preso il nome dello storico teatro Smeraldo;
   dalla stampa (Il Giornale del 16 marzo 2014) si apprende che a occuparsi della ristrutturazione non è stata un'impresa edile locale ma la Cobetra Power di Suceatra in Romania;
   la società rumena, con sede legale in Romania, avrebbe una filiale in Italia e tramite il sistema di appalti, subappalti e del «distacco» di imprese, ha ottenuto l'appalto per i lavori di ristrutturazione per demolire e ricostruire l'interno dell'ex teatro;
   secondo quanto riportato da Il Giornale del 16 marzo 2014, i contratti che hanno firmato i 25 operai con Cobetra mediamente si aggirano tra i 500 e gli 800 ron di stipendio base lordo (dunque tra i 110 e 176 euro) per 40 ore settimanali di lavoro: tradotto tra i 2,75 e i 4,40 euro all'ora;
   eppure la cifra dei contributi (che non vengono versati in Italia ma nel Paese di origine) arriverebbe a euro 2.100 tanto che il segretario Cisl di Milano Fabio Del Carro ha rimarcato la stranezza che «se fossero davvero corrisposti verrebbe da chiedersi come mai non vengono assunti operai italiani, visto che sarebbero più economici dei romeni» (da Il Giornale del 16 marzo 2014);
   l'articolo 36 della Costituzione prevede il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa –:
   se corrisponda al vero il fatto descritto e se i Ministri ritengano opportuno, e nel caso con quali azioni, intervenire al fine di verificare il rispetto dei diritti contributivi e retributivi dei lavoratori della Cobetra e della normativa italiana ed europea in tema di minimi contrattuali;
   quali iniziative – anche di tipo normativo – intendano adottare i Ministri, ciascuno per le proprie competenze, per garantire il rispetto dell'articolo 36 della Costituzione nei casi di distacco e/o subappalto di lavori ad imprese straniere. (5-05173)


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Gruppo Sangemini è un grande polo del beverage interamente italiano che commercializza, tra le altre, l'omonima acqua con il brand Sangemini, Fabia, Amerino, Vita di Sangemini;
   il gruppo ha una unità produttiva a San Gemini (Terni) che comprende anche la produzione dei succhi di frutta «Vita di Sangemini» (marchio Sangemini Fruit) e un'altra ad Acquasparta (Terni);
   recentemente la società Sangemini, per vicende collegate alla crisi e anche ad una gestione sempre più problematica, nel gennaio del 2014 è stata ammessa alla richiesta di concordato preventivo dal tribunale di Terni con una offerta vincolante di affitto di un ramo d'azienda presentata dalla cordata guidata dal gruppo Norda;
   dopo una sofferta negoziazione, secondo notizie recenti (Giornale dell'Umbria del 22 marzo 2014), è stato firmato l'accordo relativo all'affitto del ramo di azienda che prevede l'assorbimento di 95 addetti da parte di Norda nella newco che si chiamerà «Sangemini Acque»: 90 provenienti dalla vecchia società della Sangemini (su 102), quattro da Amerino e uno proveniente dalla Sangemini Fruit;
   con la sigla del recente accordo, sono rimasti «fuori» circa 23 lavoratori provenienti dalla chiusura della Sangemini Fruit per i quali sarebbero previsti percorsi di cassa integrazione straordinaria per almeno un anno;
   nonostante la conclusione dell'accordo che ha visto l'assorbimento dei 95 dipendenti e al quale le parti sono giunte non senza sacrifici per l'occupazione e il livello del reddito dei lavoratori, rimane la preoccupazione dei dipendenti ed ex dipendenti Sangemini per il proprio futuro lavorativo –:
   se i Ministri, ciascuno per le sue competenze, non ritengano opportuno, e nel caso con quali azioni, intervenire tempestivamente al fine di tutelare i lavoratori rimasti privi di occupazione favorendo l'assorbimento della forza lavoro in esubero;
   quali misure intendano assumere per tutelare tutti i lavoratori dell’(ex) gruppo Sangemini favorendo il ricorso agli strumenti previsti dalla normativa vigente al fine di assicurare la salvaguardia dei livelli occupazionali e il reddito dei lavoratori. (5-05174)


   MARTELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori del gruppo Fincantieri sono in stato di agitazione e hanno proclamato in data 25 marzo 2015 tre ore di sciopero per ciascun turno contro l'ipotesi di rinnovo di contratto integrativo;
   la situazione è particolarmente delicata presso lo stabilimento di Marghera chiamato a consegnare a giorni la nave Viking Star;
   le organizzazioni sindacali, unanimemente, contestano l'ipotesi di rinnovo giudicandolo estremamente penalizzante per i lavoratori sia dal punto di vista economico sia in termini di ridimensionamento della sfera dei diritti;
   in particolare dai lavoratori viene contestata la presunta volontà della società di introdurre dei microchip all'interno delle scarpe da lavoro;
   l'azienda dal suo canto ha smentito tale ipotesi affermando che ritiene utile che: in ciascun suo sito aziendale vengano adottati impianti audiovisivi e o altre apparecchiature tecnologiche per incrementare il livello di sicurezza complessiva nei luoghi di lavoro, e che non verranno utilizzate per il controllo a distanza dei lavoratori;
   le citate rassicurazioni da parte aziendale non hanno affatto tranquillizzato le maestranze che rimangono fortemente preoccupate rispetto alla suddetta ipotesi e stanno decidendo di adottare iniziative forti come appunto lo sciopero;
   il prossimo incontro sul contratto integrativo e fissato per il 16 aprile 2015;
   con la legge delega sul «jobs act», la n. 183 del 10 dicembre 2014, all'articolo 1, comma 7, lettera f), è prevista una specifica delega finalizzata proprio ad effettuare la revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, tenendo conto dell'evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive e organizzative dell'impresa con la tutela, della dignità e della riservatezza del lavoratore;
   manca ancora il decreto attuativo specifico di tale delega;
   l'Autorità garante ha da parte sua indicato le modalità idonee per procedere a tali controlli indiretti e, pertanto, l'esercizio della delega sull'intera, disciplina dei controlli a distanza sui lavoratori non potrà non tenere in considerazione tale parere;
   le linee Guida del garante per la protezione dei dati personali del 1o marzo 2007 prevedono una serie di «paletti» a partire dal principio di pertinenza rispetto all'utilizzo delle tecnologie;
   le linee guida del Garante prevedono altresì il principio di specificità, per il quale sono vietati i controlli generalizzati e a tappeto senza precisi motivi, il principio di indispensabilità in quanto deve essere verificata la disponibilità di altri controlli meno invadenti, il principio di proporzionalità, in modo tale che l'esigenza di tutelare i diritti del datore di lavoro non porti ad annullare quelli del lavoratore alla propria riservatezza, nonché il principio di informazione, poiché il lavoratore deve essere sempre informato preventivamente sulla tipologia di controllo implementata;
   in considerazione di quanto esposto, appare quindi quanto mai opportuna una riflessione per la complessità della materia e per evitare l'innescarsi di una conflittualità che avrebbe pesanti ripercussioni sui luoghi di lavoro –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle proteste in atto presso gli stabilimenti Fincantieri e se non intenda, pur trattandosi di una piattaforma per il rinnovo di un contratto integrativo, approfondire il merito della questione, anche in vista della emanazione dei decreti delegati ai sensi della legge n. 183 del 2014 con l'obiettivo di tenere nella dovuta considerazione sia le esigenze produttive e organizzative dell'impresa sia la imprescindibile tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore. (5-05180)


   GRIBAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la normativa concernente la disciplina del collocamento e del rapporto di lavoro dei centralinisti non vedenti è contenuta nella legge 29 marzo 1985, n. 113, fatta salva all'articolo 1, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68;
   la direzione generale del lavoro, divisione IV, con parere prot. 13/III/0001968/MA001.A005 del 21 febbraio 2011, in risposta all'Agenzia del lavoro, ufficio inserimento lavorativo soggetti svantaggiati, della provincia autonoma di Trento, sul caso di una richiesta di iscrizione all'albo professionale nazionale centralinisti non vedenti da parte di una signora non vedente residente in Veneto, ha precisato che ai sensi dell'articolo 1, comma 1, della legge n. 113 del 1985 l'iscrizione all'albo professionale riguarda i privi della vista del territorio della regione o della provincia autonoma di residenza. In proposito, si legge nel citato parere che «l'articolo 6, comma 5, consente l'iscrizione negli elenchi unici del collocamento mirato, anche in Province diverse da quella di residenza, purché rientranti nel territorio di competenza della D.R.L. o della D.P.L (Province Autonome) tenutarie dell'Albo»;
   permangono difficoltà per l'inserimento lavorativo dei centralinisti telefonici non vedenti, per il fatto che i servizi provinciali per l'impiego continuano a iscrivere indistintamente persone provenienti da tutta Italia, senza prevedere forme di maggior tutela per quelli residenti in regione che, in attesa dell'avviamento al lavoro, rischiano di vedersi superati nella graduatoria delle liste speciali da soggetti residenti fuori regione, già iscritti in altre province a cui viene permesso di recuperare anzianità di disoccupazione;
   in sede di avviamento al lavoro di un soggetto privo della vista, occorre necessariamente considerare diversi fattori ambientali, quali appunto la distanza della sede di lavoro dalla residenza del soggetto da avviare, messa in relazione alla autonoma capacità dell'interessato nel gestirsi da solo lontano dal nucleo familiare;
   numerosi sono, infatti, i rifiuti al lavoro da parte di soggetti privi della vista avviati in regioni distanti da quella di appartenenza, ovvero anche le richieste di trasferimento per ricongiungimento al nucleo familiare dopo la conclusione del periodo obbligatorio di permanenza in servizio (sorprende, in tale senso, l'avviamento al lavoro, poi rifiutato dall'interessato, di un centralinista telefonico privo della vista presso la capitaneria di porto di Ancona, sebbene l'interessato fosse residente a Palermo e risultasse regolarmente iscritto presso altri servizi per l'impiego della regione siciliana);
   la questione è stata sollevata più volte, ma invano, dall'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti – ONLUS, facendo richiesta al Ministero del lavoro e delle politiche sociali di emanare direttive più stringenti ai servizi per l'impiego, perché rendano univoci su tutto il territorio nazionale i criteri di composizione della graduatoria provinciale dei centralinisti privi della vista nel senso di una regionalizzazione del sistema di avviamento al lavoro, secondo la ratio della legge n. 113 del 1985 e in linea con il citato parere ministeriale (prot. UICI n. 9011 del 6 luglio 2012 alla direzione generale del mercato del lavoro, n. 9770 del 18 luglio 2012 alla direzione generale per l'inclusione e le politiche sociali, n. 9538 del 16 luglio 2012 e n. 10030 del 23 luglio 2012 al Vice Ministro del lavoro e delle politiche sociali n. 10291 del 25 luglio 2012 alla direzione generale per l'inclusione e le politiche sociali n. 3760 del 13 marzo 2014 e n. 5656 del 16 aprile 2014 alla direzione generale del mercato del lavoro);
   l'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti ha svolto una indagine conoscitiva, su base nazionale, sullo stato occupazionale dei centralisti telefonici privi della vista, per acquisire elementi utili a comprendere il fenomeno degli scavalcamenti nelle liste speciali del collocamento obbligatorio. Sono stati coinvolti ufficialmente i centri provinciali per l'impiego di tutta Italia e la lettura dei dati rilevati ha confermato un quadro allarmante. Se, da un lato, ci sono responsabili provinciali per l'impiego che hanno limitato l'iscrizione in graduatoria ai soli centralinisti non vedenti inoccupati residenti in regione, con l'adozione in delibera del parere ministeriale prot. 13/III/0001968/MA001.A005 secondo un meccanismo che funge da calmiere agli spostamenti soprattutto delle regioni del sud a quelle del nord (tra i più virtuosi, va menzionato il Centro per l'impiego di Isernia – delibera del 9 aprile 2014), dall'altro molti ancora autorizzano con valutazioni che appaiono «generose» l'iscrizione di soggetti residenti interregionali ed extraregionali, avendo sull'argomento idee a giudizio dell'interrogante molto confuse (dallo stralcio della graduatoria dell'ufficio legge 68 del 1999 del centro per l'impiego di Pistoia, si rileva che all'albo degli abilitati alle funzioni di centralinisti telefonici sono iscritti n. 8 persone, di cui n. 5 residenti in provincia di Pistoia N. 1 in provincia di Trapani, n. 1 in provincia di Prato n. 1 in provincia di Benevento. Così come anche presso il centro per l'impiego di Livorno si segnala una situazione che all'interrogante appare anomala, con n. 12 soggetti privi di vista abilitati iscritti, di cui n. 2 residenti in provincia di Livorno precisamente alla 5a e 8a posizione, n. 1 in provincia di Caserta, n. 4 in provincia di Napoli, n. 2 in provincia di Cosenza, n. 1 in provincia di Ragusa, n. 1 in provincia di Benevento, n. 1 in provincia di Palermo);
   è confermata, confrontando i dati estratti delle varie graduatoria provinciali per l'impiego, la circostanza secondo la quale i centralinisti telefonici privi della vista siano iscritti contemporaneamente in più centri per l'impiego oltre alla provincia di residenza, ingolfando il carico di lavoro del personale amministrativo tenuto a verificare la contestuale iscrizione in più regioni e rendendo tutto il sistema del collocamento mirato poco incisivo nei confronti di chi è residente in loco ed attende da anni un'occupazione;
   la provincia di Terni ha risposto all'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti con lettera datata PEC 11 marzo 2014, chiarendo come la commissione provinciale tripartita, nella seduta del 28 gennaio 2014, abbia ritenuta non accoglibile, l'istanza dell'iscrizione all'albo professionale, «ciò anche in base agli approfondimenti effettuati da questo Ufficio in fase di istruttoria. È stato valutato che all'articolo 6, comma 7 della Legge 29 marzo 1985 n. 113, attribuisce, ai centralinisti telefonici non vedenti residenti nella Provincia ed ai non residenti che ne facciano richiesta il diritto paritario di essere inseriti nella graduatoria provinciale al fine dell'avviamento al lavoro;
   sul problema dell'iscrizione al collocamento obbligatorio di persone disabili provenienti da fuori regioni, a svantaggio dei residenti in regioni, è stata presentata, per conto dell'onorevole Nadia Masini, anche l'interrogazione permanente a risposta scritta 4-04304 nel corso dell'XI legislatura –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario adottare opportune iniziative per ribadire con fermezza la validità del parere prot. 13/III/0001968/MA001.A005 emesso dalla direzione generale del mercato del lavoro, nel senso di circoscrivere la possibilità di iscrizione all'albo professionale di cui alla legge n. 113 del 1985, ai privi della vista del territorio della regione o della provincia autonoma di residenza. (5-05194)

Interrogazione a risposta scritta:


   COMINARDI, ALBERTI, BASILIO e SORIAL. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come ampiamente riportato nell'interrogazione parlamentare n. 5-04874, presentato dal Movimento Cinque Stelle, il Mercatone Uno, gruppo emiliano delle famiglie Cenni e Valentini e leader nel settore di mobili, complementi d'arredo e prodotti per la casa in totale, controllato dalla holding M. Estate spa in cui l'accomandita per azioni Cenni Holding mantiene il 63 per cento, Valfina il 27 per cento e Bernasconi il 10 per cento, ha circa 3700 lavoratori;
   come si apprende dal comunicato pubblicato in data 21 marzo 2015 sul sito della Federazione italiana lavoratori commercio e turismo (FILCAMS CGIL), l'azienda ha presentato l'istanza di concordato preventivo il 19 gennaio 2015 e sembrerebbero pervenute tre manifestazioni di interesse di potenziali acquirenti che dovranno essere valutate dal tribunale competente. Sempre secondo il comunicato citato, il numero dei negozi appartenenti al gruppo Mercatone Uno, che verranno coinvolti nella chiusura definitiva, considerata anche la chiusura di circa 10 punti vendita nello scorso anno, sarebbero poco più del 50 per cento;
   a livello territoriale, secondo quanto riportato dal quotidiano online «il giorno.it» articolo del 22 marzo 2015, il supermercato del gruppo «Mercatone Uno» di Castegnato, in provincia di Brescia, sarebbe in procinto di chiudere il 27 aprile 2015. I lavoratori del supermercato che rischierebbero di perdere il posto di lavoro sarebbero una trentina e avrebbero scioperato anche nella giornata del 22 marzo 2015 al fine di manifestare, anche alla clientela del supermercato stesso, le problematiche occupazionali inerenti alla chiusura di questa attività;
   a giudizio degli interroganti, la chiusura del supermercato del Mercatone Uno, per il territorio di Castegnato, dopo 15 anni di attività, potrebbe determinare una grave disagio per i lavoratori coinvolti e le loro rispettive famiglie, ferma restando la preoccupazione dell'interrogante su tutta la vicenda relativa al gruppo Mercatone Uno a livello nazionale e per la quale si richiede l'immediato intervento del Ministero del lavoro e delle politiche sociali al fine di assicurare la tutela dei livelli occupazionali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e quali iniziative intenda intraprendere al fine di tutelare i lavoratori del gruppo Mercatone Uno, con particolare attenzione alla vicenda del territorio bresciano.
(4-08569)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA e L'ABBATE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi della normativa vigente l'attività di vigilanza e controllo della riproduzione e del sistema della selezione animale è attribuita, in regime di monopolio, all'Associazione italiana allevatori (AIA), alle Associazioni di razza o specie (ANA) ed alle Associazioni territoriali (ARA ed APA) ad essa aderenti;
   nel rispetto degli orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, in concorso e con l'intesa delle amministrazioni interessate, stabilisce annualmente l'ammontare della contribuzione;
   i richiamati orientamenti europei definiscono le percentuali massime dei contributi pubblici alle attività di miglioramento genetico nei limiti percentuali del 100 per cento per le attività di Libro genealogico e registro anagrafico e del 70 per cento per le attività di controllo funzionale, del 40 per cento per investimenti in centri per la riproduzione animale e del 30 per cento a copertura dei costi di mantenimento dei riproduttori maschi di elevata qualità genetica;
   delle suddette contribuzioni pubbliche (nazionali e regionali) sono beneficiarie, in via quasi esclusiva – fatta eccezione per importi marginali riferibili ai costi di mantenimento di alcuni riproduttori di elevata qualità genetica – i centri di produzione di materiale seminale e soprattutto le strutture del sistema AIA i cui bilanci sono per la massima parte dipendenti dal finanziamento pubblico come evidenziato dalle difficoltà operative che le strutture devono affrontare in caso di riduzione dei trasferimenti di risorse;
   nel corso degli ultimi anni le cariche gestionali elettive e dirigenziali delle strutture associative sono state ricoperte quasi esclusivamente da aderenti di una nota organizzazione sindacale delle imprese agricole –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto enunciato in premessa nonché dei ripetuti rilievi formulati al Governo dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato ai fini del superamento del regime monopolistico, se non ritenga di dover intensificare i controlli sulle strutture beneficiarie di risorse pubbliche, in particolare quelle per la tenuta e gestione dei libri genealogici e per le attività di controllo funzionale, rendendo noti in particolare i livelli delle retribuzioni e delle indennità liquidate a tutti i livelli e da tutte le strutture del sistema AIA ai propri organi dirigenziali. (5-05181)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRAGA, OLIVERIO, LUCIANO AGOSTINI, MARIANI, CENNI, CARRA, TINO IANNUZZI, TERROSI, MANFREDI, SENALDI e ZANIN. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da alcune agenzie stampa, da un allarme lanciato da AIAB – Associazione italiana agricoltura biologica e da un articolo di Roberto Giovannini, apparso su La Stampa online il 24 marzo 2015, che il glifosato, principio attivo diffusissimo presente anche nel diserbante agricolo, è una sostanza chimica tra quelle pesantemente sospettate di provocare tumori e danni al DNA secondo l'autorevole IARC, l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, organismo scientifico collegato all'Organizzazione mondiale della sanità;
   è opportuno ricordare che lo studio del citato IARC non solo riporta la «probabile cancerogenicità» del glifosato, ma rileva la sua correlazione fortissima con danni riscontrabili sul DNA umano: molti lavoratori esposti hanno infatti sviluppato un'alta vulnerabilità al linfoma non Hodgkin;
   il glifosato è poi utilizzato in almeno 750 prodotti per l'agricoltura, il giardinaggio, il trattamento degli spazi urbani e nel nostro Paese viene irrorato pesantemente su campi e giardini ed è, secondo AIAB, il diserbante più usato in Italia. Questo agrofarmaco non va però messo solo in relazione all'uso degli OGM, pur ricordando che, ad esempio, la Monsanto commercializza soia, mais, cotone e colza Roundup Ready tolleranti applicazioni dell'erbicida e che rappresentano la gran parte della superficie mondiale geneticamente modificata –:
   se il Governo sia a conoscenza della questione e se non ritenga opportuno, anche per tramite degli istituti di ricerca afferenti al Governo, di verificare la compatibilità con l'ambiente e la salute umana del glifosato e se la sua cancerogenicità fosse verificata, se intenda assumere iniziative per bandirne da subito l'utilizzo. (4-08579)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 32 della Costituzione tutela il diritto alla salute come bene assoluto e diritto inviolabile;
   il legislatore con la legge istitutiva del sistema sanitario nazionale (legge n. 833 del 1978) ha previsto le modalità di attuazione da parte delle strutture pubbliche dei servizi sanitari diretti al soddisfacimento della richiesta da parte del cittadino;
   per garantire il fondamentale diritto alla salute, essenziale importanza riveste non soltanto la cura dei pazienti ma anche la prevenzione delle malattie e dei fattori di rischio di eventuali «ricadute» o cosiddette «recidive» attraverso gli strumenti dello screening preventivo e di controllo che devono avvenire in tempi ragionevoli con le liste di attesa presenti nelle strutture sanitarie;
   recentemente in Umbria sempre più spesso vengono denunciati sulla stampa locale criticità in merito ai tempi di erogazione delle prestazioni sanitarie (anche per visite di controllo di routine o per alcune visite specialistiche collegate a comuni patologie cardio-vascolari) e di accesso alle cure richieste dal cittadino-paziente (liste di attesa);
   il Giornale dell'Umbria del 16 aprile 2014 ha raccolto la denuncia di una donna perugina che, dopo aver ricevuto la comunicazione di una diagnosi di noduli al seno, si è rivolta al centro unico di prenotazione dell'Ausl di Perugia per richiedere una mammografia di controllo; alla stessa è stato detto che il primo posto disponibile è per l'agosto del 2015 a Castiglione del Lago (PG); per fare il medesimo esame a Perugia avrebbe dovuto attendere addirittura a dicembre 2015, circa un anno dopo il tempo massimo;
   anche il Corriere dell'Umbria del 16 aprile 2014 ha raccolto la denuncia di una lettrice perugina che chiesto la prenotazione di una visita sanitaria per un «ecocuore» (tecnicamente un ecocardiogramma) di controllo e ha ottenuto la visita per dicembre 2014 (tra ben otto mesi);
   la lettrice del Corriere conclude spiegando che «È naturale così che chi ha la possibilità economica si rivolge ai privati»;
   a tal proposito il recente atto di indirizzo approvato dalla giunta regionale umbra prevede che la Attività libero professionale intramuraria «non deve essere concorrenziale nei confronti del sistema sanitario nazionale» e «non può essere utilizzata come strumento per la riduzione delle liste d'attesa» (Corriere dell'Umbria del 16 aprile 2014);
   altre fonti giornalistiche (Il Messaggero Umbria del 13 febbraio 2014 e del 6 aprile 2014) riferiscono di liste di attesa, sia in ospedale che all'Usl Umbria 2, che vanno da sei mesi a un anno: si parla di liste bloccate e attese per una visita specialistica «che farebbero perdere la pazienza anche al biblico Giobbe con ripercussioni sempre più pesanti sui pazienti» (Il Messaggero Umbria del 6 aprile 2014);
   alcuni cittadini umbri si trovano nelle condizioni di doversi spostare per ottenere la prestazione sanitaria richiesta con aggravio di costi ovvero c’è il rischio concreto che alcuni cittadini addirittura rinuncino alla prestazione;
   il problema delle liste di attesa e di accesso alle cure in tempi ragionevoli è di particolare importanza non solo per garantire il diritto di cura del cittadino ma anche perché, con l'entrata in vigore del decreto legislativo di attuazione della direttiva europea n. 2011/24/UE, è possibile che si verifichino fenomeni di «mobilità sanitaria» verso Paesi dell'Unione europea da parte di cittadini italiani che non riescono ad ottenere i servizi sanitari richiesti, anche a causa delle lunghe liste di attesa con conseguente perdita di qualità del sistema sanitario italiano –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei dati aggiornati, sui tempi di attesa delle prestazioni sanitarie erogate dal sistema sanitario, in particolare con riferimento alla regione Umbria, prestazioni per le quali sono previsti tempi massimi operativi in relazione alle classi di priorità assegnate ed, in particolare, dei dati aggiornati sui tempi di attesa per gli esami di controllo e preventivi non classificati tra quelli d'urgenza e si intenda assumere iniziative per renderli pubblici;
   se il Ministro intenda effettuare un apposito monitoraggio delle liste di attesa, incluse quelle della regione Umbria, al fine del loro contenimento e quali iniziative abbia adottato o quali misure urgenti di competenza intenda adottare per ridurre le criticità delle liste di attesa a garanzia del sistema sanitario e del diritto di accesso alle cure in tempi ragionevoli.
(5-05170)


   CIPRINI, GALLINELLA, TRIPIEDI e COMINARDI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il diritto alla salute è un bene assoluto ed inviolabile garantito dalla Costituzione (articolo 32) recepito dal legislatore con la legge istitutiva del sistema sanitario nazionale (legge n. 833 del 1978) nella quale, ribadito il fondamentale diritto alla tutela della salute, vengono indicate le modalità di attuazione da parte delle strutture pubbliche dei servizi sanitari diretti al soddisfacimento della richiesta;
   le strutture sanitarie svolgono un ruolo fondamentale nella erogazione dei servizi sanitari a tutela del diritto alla salute, quale diritto fondamentale del cittadino;
   in tale contesto diventano essenziali i modelli e i criteri da adottare per la valutazione delle prestazioni erogate dal sistema sanitario;
   da una recente classificazione (basata quasi esclusivamente su parametri economici quali il punteggio griglia LEA, l'incidenza percentuale avanzo/disavanzo, l'incidenza percentuale spesa assistenza collettiva, la percentuale spesa assistenza distrettuale, l'incidenza percentuale spesa assistenziale ospedaliera, la degenza media pre-operatoria, le percentuali dimessi reparti chirurgici con DRG medici, il costo medio ricoveri ordinari per acuti, il costo medio per ricovero post acuto, la spesa per prestazione assistenza specialistica attività clinica, la spesa per prestazione assistenza specialistica laboratorio, spesa per prestazione specialistica diagnostica strumentale, spesa pro capite per assistenza per assistenza sanitaria di base e altro) la sanità della regione Umbria è stata collocata tra le più efficienti d'Italia;
   tuttavia, la valutazione del sistema sanitario non può basarsi esclusivamente sulla verifica dell'entità delle prestazioni erogate nei confronti dei cittadini, ma deve comprendere anche una verifica della qualità dell'assistenza, appropriatezza e accessibilità dei cittadini ai servizi, anche attraverso l'implementazione di sistemi di indicatori maggiormente mirati;
   la valutazione di un sistema sanitario non può prescindere da alcuni fondamentali requisiti quali ad esempio, la qualità delle prestazioni assistenziali sia ospedaliere sia territoriali, strettamente connesse al rapporto numerico ottimale tra utenti ricoverati e operatori sanitari, il numero di ricoveri di pazienti in stanze o corridoi, le liste d'attesa con tempi ragionevoli, i cosiddetti LEA (livelli essenziali di assistenza) devono garantire l'accesso alle prestazioni sanitarie in tempo congruo senza incentivare l'esodo dei pazienti verso le strutture sanitarie o diagnostiche private o accreditate, la valutazione post ricovero dell'esito degli interventi, gli operatori sanitari, sopratutto infermieri, operanti nelle strutture sanitarie regionali con rapporto di lavoro che garantisca stabilità e sicurezza non solo al lavoratore ma anche alla struttura sanitaria;
   recentemente anche in Umbria, pur premiata secondo i criteri economici di efficienza, sempre più spesso vengono denunciati disservizi e criticità in merito ai tempi di erogazione delle prestazioni sanitarie e all'accesso alle cure richieste dal cittadino-paziente (liste di attesa);
   fonti giornalistiche (Il Messaggero Umbria del 13 febbraio 2014 e del 6 aprile 2014) riferiscono di liste di attesa, sia in ospedale che all'Usl Umbria 2, che vanno da sei mesi a un anno: si parla di liste bloccate e di attese per una visita specialistica «che farebbero perdere la pazienza anche al biblico Giobbe con ripercussioni sempre più pesanti sui pazienti» (Il Messaggero Umbria del 6 aprile 2014);
   alcuni cittadini umbri si trovano nelle condizioni di doversi spostare per ottenere la prestazione sanitaria richiesta con aggravio di costi ovvero si corre il rischio che alcuni cittadini addirittura rinuncino alla prestazione;
   ancora in Umbria risulta che non si è ancora concluso il concorso per la formazione di una graduatoria a tempo indeterminato per infermieri il cui bando risale al 23 luglio 2013 già indetto da azienda ospedaliera e asl n. 2 di Perugia e mancherebbe un audit costante con le associazioni di tutela degli utenti per il rilevamento delle criticità che affliggono il sistema sanitario regionale;
   l'articolo 14, comma 2 e 4, del decreto legislativo n. 502 del 1992 prevede che: «Le regioni promuovono inoltre consultazioni con i cittadini e le loro organizzazioni anche sindacali ed in particolare con gli, organismi di volontariato e di tutela dei diritti al fine di fornire e raccogliere informazioni sull'organizzazione di servizi. Tali soggetti dovranno comunque essere sentiti nelle fasi dell'impostazione della programmazione e verifica dei risultati conseguiti e ogni qualvolta siano in discussione provvedimenti su tali materie. Per le finalità del presente articolo, le regioni prevedono forme di partecipazione delle organizzazioni dei cittadini e del volontariato impegnato nella tutela del diritto alla salute nelle attività relative alla programmazione, al controllo e alla valutazione dei servizi sanitari a livello regionale, aziendale e distrettuale. Le regioni determinano altresì le modalità della presenza nelle strutture degli organismi di volontariato e di tutela dei diritti, anche attraverso la previsione di organismi di consultazione degli stessi presso le unità sanitarie locali e le aziende ospedaliere» e che «Al fine di favorire l'orientamento dei cittadini nel Servizio sanitario nazionale, le unità sanitarie locali e le aziende ospedaliere provvedono ad attivare un efficace sistema di informazione sulle prestazioni erogate, sulle tariffe, sulle modalità di accesso ai servizi. Le aziende individuano inoltre modalità di raccolta ed analisi dei segnali di disservizio, in collaborazione con le organizzazioni rappresentative dei cittadini [...]»;
   l'articolo 14, comma 7, del decreto legislativo n. 502 del 1992 prevede che: «È favorita la presenza e l'attività, all'interno delle strutture sanitarie, degli organismi di volontariato e di tutela dei diritti»;
   anche nel piano sanitario regionale si prevedono istituti volti a rendere effettiva la partecipazione degli utenti alla valutazione dei servizi sanitari;
   dalle disposizioni citate emerge che nel processo di valutazione della qualità delle prestazioni sanitarie un ruolo di centralità è riservato agli utenti dei servizi stessi;
   la partecipazione alle scelte sulle questioni inerenti alla salute è un diritto/dovere dei cittadini al fine di consentire una visione diversa dai meri tecnicismi medici o finanziari che consentirebbe di affrontare in maniera maggiormente adeguata alle aspettative dei malati criticità e problemi spesso trascurati o sottovalutati;
   tuttavia, nessuno degli istituti partecipativi previsti dalla legge nazionale e regionale risulterebbe pienamente ed effettivamente attuato nella regione umbra –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza degli effetti, sull'intero territorio nazionale e con particolare riguardo alla situazione della sanità umbra, degli interventi di contenimento della spesa in termini di salvaguardia dei livelli essenziali di assistenza e di governo dei tempi delle liste di attesa per le prestazioni sanitarie, tenendo conto anche di modelli e indicatori di valutazione maggiormente mirati alla qualità e alla appropriatezza delle prestazioni sanitarie rese al paziente;
   quali iniziative intenda adottare il Ministro, nell'ambito delle proprie competenze, anche di tipo normativo, al fine di verificare ed incentivare l'effettiva attuazione degli istituti di partecipazione delle organizzazioni dei cittadini, previsti dalla legislazione nazionale, nelle attività relative alla programmazione, al controllo e alla valutazione dei servizi sanitari a livello regionale, aziendale e distrettuale ed in particolare nella sanità umbra.
(5-05172)


   VALIANTE. — Al Ministro della salute, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   presso il consiglio regionale della Campania, con alcune interrogazioni, veniva sollevata la questione della delibera del direttore generale dell'Asl di Salerno n. 365 del 2014, che, accogliendo l'istanza presentata dal dirigente interessato, avrebbe provveduto a trattenere in servizio il dottor Pantaleo Palladino fino al 25 gennaio 2019 e, cioè, fino al compimento dei settanta anni di età;
   il provvedimento appariva in contrasto con l'articolo 22 della legge n. 183 del 2010 che prevede come limite massimo per il collocamento a riposo il compimento del sessantacinquesimo anno di età ovvero, su istanza dell'interessato, la maturazione del quarantesimo anno di servizio effettivo senza superare i settanta anni di età. Avendo il dirigente compiuto i sessantacinque anni il 25 gennaio 2014 e maturato i quaranta anni di servizio effettivo il 6 ottobre 2014, alla luce anche della nota operativa dell'Inpdap n. 56 del 22 dicembre 2010 (punto 5, cpv. 3), si evidenziava come per servizio effettivo si sarebbero dovute intendere tutte le attività lavorative rese presso l'ente di appartenenza o comunque rese presso la pubblica amministrazione;
   nella risposta del 1o agosto 2014 del presidente della giunta regionale della Campania (nota prot. 16080 del 16 settembre 2014), a sostegno della validità della delibera n. 365 del 4 aprile 14, veniva richiamata, in contrapposizione alla circolare Inpdap n. 56 del 2010, una nota del dipartimento della funzione pubblica DEP 0054991 P-1.2.2.2. del 9 dicembre 2010, indirizzata all'ospedale S. Camillo Forlanini di Roma. Da un'attenta analisi risultava che la citata nota della Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento funzione pubblica, in materia di «Collocamento a riposo per limiti di età della dirigenza medica e di quella del ruolo sanitario del Servizio Sanitario Nazionale», ricevuta dal San Camillo Forlanini in data 14 dicembre 2010 (prot. n. 18845), confermava in maniera ancora più puntuale quanto disposto dalla citata circolare Inpdap n. 56 del 2010 ossia che «l'espletamento del servizio a qualunque titolo sia pure presso altro ente, datore o azienda, costituiscono servizio effettivo, come tale computabile nell'ambito dell'anzianità massima di servizio dei 40 anni» e ancora che «... per servizio effettivo deve intendersi qualunque tipo di lavoro espletato dal pubblico dipendente presso qualunque datore di lavoro sia pubblico che privato»;
   con la delibera n. 365 del 2014 il dirigente percepirà di fatto un aumento economico grazie al doppio regime retributivo e contributivo introdotto dall'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011 convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Antecedentemente alla legge n. 214 del 2011 al dipendente non spettavano, ai fini pensionistici, miglioramenti economici trascorsi i 40 anni di servizio, differentemente da quanto accade oggi in forza del regime contributivo introdotto dalla decreto-legge n. 92 del 2012 «Fornero», che consentirà il computato del trattamento pensionistico, grazie al regime contributivo, oltre i 40 anni di servizio effettivo;
   recentemente, il 18 settembre 2014, il sub-commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro della regione Campania con circolare n. 3957/C ha comunicato ai direttori generali delle aziende sanitarie, che i dirigenti medici maturano i requisiti per il collocamento a riposo al «raggiungimento del quarantesimo anno di età» in accordo a quanto disposto dall'articolo 22 della legge n. 183 del 2010. A conferma di ciò l'azienda ospedaliera di Salerno ha recepito la direttiva regionale 3957/C del 2014 con deliberazione n. 921 del 30 settembre 2014 –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano assumere al fine di chiarire l'applicazione al caso in questione del decreto-legge n. 201 del 2011, dell'articolo 22 della legge n. 183 del 2010, della circolare Inpdap n. 56 del 2010, della comunicazione del Dipartimento della funzione pubblica DEP 0054991 P-1.2.2.2. del 9 dicembre 2014, nonché della circolare del sub-commissario ad acta della regione Campania 3957/C del 18 settembre 2014 per una rapida soluzione della problematica. (5-05175)


   BURTONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con sentenza della Corte Costituzionale n. 162 del 2014 è stata dichiarata incostituzionale la legge n. 40 del 2004 nel punto in cui pone il divieto di tecniche con utilizzazione di gameti di donatori, cosiddette «eterologhe»;
   la sentenza della Consulta si basa sull'illogicità di tale divieto, ma anche sulla disparità di trattamento che veniva a determinarsi, consentendo esclusivamente alle coppie più abbienti di ricevere le cure all'estero;
   già prima di tale decisione nel Paese vi era un acceso dibattito che riguardava i costi della fecondazione medicalmente assistita e la disparità di trattamento esistente fra i pazienti residenti in differenti aree, posto che alcune regioni avevano provveduto a predisporre appositi DRG regionali o utilizzavano DRG nazionali in modo inappropriato offrendo ai propri cittadini o a quelli provenienti da altre regioni (secondo i dati della relazione ministeriale sull'applicazione della legge n. 40 del 2004 la migrazione extraregionale sarebbe pari a 14.940 dei cicli – 27 per cento del totale nazionale) forme differenziate e non sempre corrette di sostegno economico, mentre altre hanno lasciato il peso economico totalmente sulle spalle delle coppie;
   con l'aggravante che alcune regioni meno virtuose, pur non essendo la materia contemplata nei livelli essenziali di assistenza, provvedevano al rimborso in compensazione nell'ipotesi di propri cittadini che «emigravano» verso regioni che provvedevano alle cure a carico del servizio sanitario;
   ciò è stato causato da meccanismi normativi poco trasparenti, e sicuramente reiterati nel tempo, spesso utilizzando DRG inappropriati. Al punto che, addirittura, la regione siciliana, nel proprio piano sanitario regionale 2011/2013 denunciava questa come una ingente perdita del proprio budget per la sanità in mobilità passiva, dimensionata in un 40 per cento delle coppie siciliane;
   successivamente alla sentenza della Consulta sulle tecniche eterologhe tale dibattito si è sviluppato e lo stesso Ministro della salute si è pronunciato con dichiarazioni ufficiali, sostenendo che sarebbe stata contemplata nei LEA anche la fecondazione medicalmente assistita;
   tale intendimento del Governo è stato ribadito dal consulente del Ministro alla salute Assuntina Morresi in un incontro pubblico tenutosi a Roma l'11 dicembre 2014 alla presenza delle rappresentanze delle associazioni dei pazienti infertili di tutt'Italia nel quale ha affermato che il Governo avrebbe mantenuto la promessa di inserire, nei livelli essenziali di assistenza la procreazione medicalmente assistita;
   tuttavia dagli intendimenti non si è ancora passati alla fase operativa ed al loro inserimento nei livelli essenziali di assistenza;
   questa assenza di riferimenti normativi continua a provocare evidenti disparità tra fra coppie abbienti che possono accedere alle cure e coppie meno abbienti;
   si viene altresì a materializzare anche una disparità di trattamento fra i residenti delle diverse  regioni in considerazione della presenza di comprensori regionali che sostengono economicamente tali cure con DRG regionali ed altri che lasciano l'intera spesa sulle spalle dei pazienti;
   a seguito dello scontro venutosi a creare e dell'incertezza sulla materia molte regioni hanno bloccato i meccanismi di compensazione per cure ricevute dai propri cittadini in altre regioni che sostengono i costi con DRG inappropriati;
   va inoltre segnalato che molte coppie, sperando in un rapido inserimento delle cure nei livelli essenziali di assistenza hanno deciso di attendere per l'inizio dei trattamenti puntando sulla accessibilità al servizio sanitario nazionale. L'attesa tuttavia in considerazione dell'età della donna risulta fattore determinate per il buon esito della cura;
   è indispensabile per il servizio sanitario nazionale dare certezze a chi intende rivolgersi a questi trattamenti e chiarire se e quando avverrà l'inserimento nei LEA –:
   se trovi conferma l'intenzione di inserire le cure concernenti la procreazione medicalmente assistita nell'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, e quali saranno i tempi affinché questa volontà si concretizzi dal punto di vista normativo, per dare certezza alle coppie nonché agli operatori del servizio sanitario nazionale evitando situazioni di palese discriminazione. (5-05188)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PILI e MARROCU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Inps ha revocato con una decisione gravissima l'indennità di accompagnamento a Marta Deidda, giovane studentessa universitaria di Villacidro;
   nel 2010 l'Inps l'aveva riconosciuta invalida al 100 per cento, con il diritto a percepire l'indennità di accompagnamento;
   la giovanissima ragazza soffre di una malattia rara e l'Inps le aveva riconosciuto la malattia ma dopo due anni ha revocato il provvedimento;
   Marta Deidda si affida così ai giudici della sezione lavoro del tribunale di Cagliari che respingono il ricorso;
   la giovane ragazza impugna la consulenza medica di prima istanza e indica gli unici due presidi ospedalieri in Italia che si occupano della sua rara e grave patologia;
   la ragazza è stata sottoposta negli anni a terapie di ogni genere e delicatissimi interventi chirurgici alla testa e non solo;
   la ragazza è costretta in un groviglio di cavi, pompe, stimolatori come essa stessa ha raccontato;
   Marta Deidda gli è stata confermata l'invalidità e una pensione di 200 euro mensili ma revocato l'accompagnamento, nonostante il 100 per cento d'invalidità;
   la rarità della patologia ha bisogno di un pieno riconoscimento da parte del Ministero competente e delle strutture preposte ad esso collegate;
   è grave negare ad una giovane ragazza il diritto all'accompagnamento proprio per la riconosciuta invalidità del 100 per cento e per l'accertata rara patologia di cui è affetta;
   è indispensabile che il Governo intervenga urgentemente sulla vicenda e attraverso l'Inps ripristini il diritto sacrosanto all'accompagnamento –:
   se non intenda il Governo intervenire urgentemente sulla vicenda facendo chiarezza sulla malattia rara della giovane donna di Villacidro emanando apposite e urgenti direttive sulla materia;
   se non intenda fornire supporto all'Inps al fine di valutare con la necessaria il caso della giovane Marta Deidda e ripristinare il diritto all'indennità di accompagnamento. (4-08574)


   MORETTO e MIOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro della salute nelle scorse settimane ha predisposto il decreto per aggiornare i LEA che attendevano una revisione dal 2001;
   il decreto è all'attenzione delle regioni e se ne prevede un rapido esame allo scopo di poter dare attuazione alle attese di molti pazienti che chiedono di poter accedere alle nuove prestazioni contenute nel documento in esame;
   da una prima analisi del provvedimento emergono alcune criticità che il Presidente dell'AIL – associazione italiana contro le leucemie, linfomi e mieloma – professor Franco Mandelli ha descritto in una nota inviata a tutte le organizzazioni territoriali dell'AIL e che merita una risposta tale da dissipare ogni dubbio sull'ipotizzato ridimensionamento dei LEA;
   nella nota il professor Mandelli fa riferimento a quanto previsto al Capo IV, articolo 22, allorché si afferma che «la responsabilità clinica delle cure domiciliari di terzo livello è affidata al medico di medicina generale, al pediatra di libera scelta, secondo gli indirizzi regionali» e si chiede la ragione per la quale la responsabilità clinica della cure di terzo livello per patologie che presentano un elevato grado di complessità (quali malattie ematologiche oncologiche e non, neoplasie in fase di cure specifiche, AIDS, patologie rare, fibrosi cistica, e altro) venga demandata unicamente al medico di medicina generale e al pediatra di libera scelta. Ed aggiunge: «Sono queste figure professionali di grande importanza, ma che non possono gestire la complessità e l'intensità richieste per le cure specialistiche dedicate ai pazienti ematologici. I pazienti non possono quasi mai trovare nelle strutture distrettuali competenze specialistiche in grado di gestire clinicamente (nel senso decisionale e prescrittivo, oltre che operativo) le problematiche insorte in fasi di non autosufficienza, anche transitoria. Nel caso delle malattie ematologiche si citano a titolo esemplificativo le cure domiciliari di supporto in dimissione protetta post-trapianto di cellule staminali emopoietiche e post-chemioterapia ad alte dosi, l'erogazione a domicilio di chemioterapie e terapie antitumorali biologiche per pazienti non autosufficienti, la gestione delle complicanze infettive con stretto monitoraggio infettivologico e terapeutico, il supporto trasfusionale intensivo con globuli rossi e piastrine anche a domicilio. Le varie esperienze consolidate di continuità di cure specialistiche ematologiche sul territorio nazionale rappresentano una risposta adeguata agli specifici bisogni dei pazienti, validata in numerosi studi che evidenziano una riduzione dell'inappropriatezza degli accessi ai DEA e dei ricoveri nei reparti di degenza. Nel Lazio, in Lombardia, e in altre regioni si sta lavorando proprio su specifici percorsi terapeutici e assistenziali domiciliari, in cui appare essenziale il ruolo di coordinamento e responsabilità svolto dai medici curanti dalla UOC di Ematologia. Vi è infatti un rapporto diretto fra il personale (medici ed infermieri che operano in ospedale e quelli dell'assistenza domiciliare) così da garantire a domicilio la stessa assistenza dell'ospedale. Il rischio è quello di tornare indietro rispetto ai LEA del 2001, senza tenere conto della necessità di interscambiabilità dei setting di cura (ospedale – domicilio) sia nelle fasi iniziali che nelle fasi avanzate di malattie complesse. Appare dunque necessario che sia mantenuta anche la modalità assistenziale di ospedalizzazione domiciliare, con responsabilità quindi del medico ospedaliero, per i casi di cure domiciliari con erogazione di prestazioni ad elevata complessità, secondo gli specifici indirizzi regionali. Tale modalità è peraltro prevista nel recente decreto del Ministro della salute “Definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera” del 21 luglio 2014 e sua modifica del 15 gennaio 2015 dove, al capitolo 10 denominato Continuità Ospedale-Territorio dell'allegato 1 (pag.33), si individua nei programmi di “ospedalizzazione domiciliare per particolari ambiti patologici” uno dei modi più efficaci per attuare appunto la continuità ospedale territorio» –:
   alla luce delle dichiarazioni espresse dal professor Mandelli che appaiono più che fondate, se il Ministro non ritenga opportuno chiarire se nel decreto che contiene i nuovi LEA, la responsabilità clinica delle cure domiciliari di terzo livello è affidata unicamente al medico di medicina generale, escludendo la responsabilità ospedaliera già prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante i LEA del 2001, e come intenda rassicurare le persone colpite da malattie ematologiche sulla qualità della cura e dell'assistenza che anche a domicilio si deve avvalere di esperienze specialistiche. (4-08586)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   alla cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il dipendente percepiva un emolumento denominato, nell'ambito privato, trattamento di fine rapporto e, nell'ambito del pubblico impiego, trattamento di fine servizio; tale trattamento è costituito dalla somma degli accantonamenti annui di una quota della retribuzione rivalutata annualmente;
   secondo quanto disposto dall'articolo 2120 del codice civile, la retribuzione annua assunta quale base di computo del trattamento di fine rapporto «comprende tutte le somme, compreso l'equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese»;
   il trattamento di fine servizio assume, invece, quale base di computo l'ultima retribuzione annua percepita dal dipendente ed è finanziato attraverso la contribuzione versata sia dal datore di lavoro pubblico, sia dal dipendente con una trattenuta mensile a titolo di rivalsa;
   tale contribuzione, applicata sull'80 per cento della retribuzione lorda mensile, ammonta: – al 9,6 per cento per i dipendenti «statali» ed è corrisposta per una quota pari al 7,1 per cento al datore di lavoro e per una quota pari al 2,5 per cento dal dipendente; – al 6,1 per cento per i dipendenti degli enti locali ed è corrisposta per una quota pari al 3,6 per cento dal datore di lavoro e per una quota pari al 2,5 per cento dal dipendente;
   la legge 8 agosto 1995 n. 335 da un lato ha previsto l'estensione del regime del trattamento di fine rapporto a favore dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni assunti a far data dal 1o gennaio 1996 (articolo 2, quinto comma), rimettendo alla contrattazione collettiva il compito di definire le modalità attuative di tale estensione; dall'altro lato la legge n. 335 del 1995 ha stabilito che il trattamento di fine rapporto sarebbe stato corrisposto «dalle amministrazioni ovvero dagli enti che già provvedono al pagamento dei trattamenti di fine servizio» (articolo 2, ottavo comma);
   a causa di difficoltà di natura tecnica e finanziaria, il termine di entrata in vigore del regime del trattamento di fine rapporto a favore dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (1o gennaio 1996) non è stato rispettato; pertanto, la legge 27 dicembre 1997 n. 449 ha successivamente previsto a favore dei dipendenti pubblici già in servizio il diritto di opzione, ossia la possibilità di trasformare il trattamento di fine servizio in trattamento di fine rapporto (cinquantaseiesimo comma dell'articolo 59) e ciò al fine di favorire la costituzione di forme di previdenza complementare nell'ambito del pubblico impiego;
   in data 29 luglio 1999, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative nei comparti pubblici ha sottoscritto il contratto collettivo nazionale quadro in materia di trattamento di fine rapporto e di previdenza complementare per i dipendenti pubblici;
   le disposizioni di detto accordo sono state recepite nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 20 dicembre 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 111 del 15 maggio 2000;
   tali disposizioni prevedono: a) l'operatività del regime del trattamento di fine rapporto nei confronti di tutti i dipendenti assunti dopo il 31 dicembre 2000 con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, nei confronti di tutti i dipendenti con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato in essere alla data del 30 maggio 2000 (data di entrata in vigore delle disposizioni del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 20 dicembre 1999) e nei confronti di tutti i dipendenti assunti prima del 31 dicembre 2000 con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato che hanno esercitato l'opzione di cui all'articolo 59, cinquantaseiesimo comma, della legge 27 dicembre 1997 n. 449; b) l'operatività del regime del trattamento di fine servizio nei confronti di tutti i dipendenti assunti entro il 31 dicembre 2000 con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e nei confronti del personale «non contrattualizzato»; c) l'esclusione del «contributo previdenziale obbligatorio del 2,5 per cento» per i dipendenti che hanno esercitato l'opzione di cui all'articolo 59, cinquantaseiesimo comma, della legge 27 dicembre 1997 n. 449 (articolo 1, secondo comma); d) l'entità del «contributo previdenziale» dovuto a favore del fondo per il trattamento di fine rapporto, quantificato in misura pari al 9,6 per cento della base contributiva di riferimento per il personale dello Stato e in misura pari al 6,10 per cento della base contributiva di riferimento per il personale degli enti locali (articolo 1, settimo comma);
   tuttavia, con decorrenza dal 1o gennaio 2001, le pubbliche amministrazioni hanno continuato ad effettuare la trattenuta del 2,5 per cento sull'80 per cento della retribuzione lorda mensile anche nei confronti del personale assoggettato al regime del trattamento di fine rapporto, ossia dei dipendenti assunti dopo il 31 dicembre 2000 con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;
   alla luce di tutto ciò, nel corso degli anni si sono susseguite diverse pronunce giurisprudenziali sul tema;
   il primo intervento giurisprudenziale nella materia in esame è stato del Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, il quale ha sollevato la questione di legittimità costituzionale in relazione all'articolo 12, decimo comma, del decreto-legge n. 78 del 2012. Tale contenzioso ha avuto ad oggetto la trattenuta del 2,5 per cento operata a carico dei magistrati che, con decorrenza dal 1o gennaio 2011, sono stati assoggettati al regime «misto» TFS-TFR e, quindi, questioni sotto molteplici profili analoghe e similari a quelle in esame;
   con sentenza n. 223 del 2012, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 12, decimo comma, del decreto-legge n. 78 del 2010 e ciò in base alla seguente motivazione: «fino al 31 dicembre 2010 la normativa imponeva al datore di lavoro pubblico un accantonamento complessivo del 9,60 per cento sull'80 per cento della retribuzione lorda, con una trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50 per cento, calcolato sempre sull'80 per cento della retribuzione. La differente normativa pregressa prevedeva dunque un accantonamento determinato su una base di computo inferiore e, a fronte di un miglior trattamento di fine rapporto, esigeva la rivalsa sul dipendente di cui si discute. Nel nuovo assetto dell'istituto determinato dalla norma impugnata, invece, la percentuale di accantonamento opera sull'intera retribuzione, con la conseguenza che il mantenimento della rivalsa sul dipendente, in assenza peraltro della “fascia esente”, determina una diminuzione della retribuzione e, nel contempo, la diminuzione della quantità del TFR maturata nel tempo. La disposizione censurata, a fronte dell'estensione del regime di cui all'articolo 2120 del codice civile (ai fini del computo dei trattamenti di fine rapporto) sulle anzianità contributive maturate a fare tempo dal 1o gennaio 2011, determina irragionevolmente l'applicazione dell'aliquota del 6,91 per cento sull'intera retribuzione, senza escludere nel contempo la vigenza della trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50 per cento della base contributiva della buonuscita, operata a titolo di rivalsa sull'accantonamento per l'indennità di buonuscita, in combinato con l'articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032. Nel consentire allo Stato una riduzione dell'accantonamento, irragionevole perché non collegata con la qualità e quantità del lavoro prestato e perché – a parità di retribuzione – determina un ingiustificato trattamento deteriore dei dipendenti pubblici rispetto a quelli privati, non sottoposti a rivalsa da parte del datore di lavoro, la disposizione impugnata viola per ciò stesso gli articoli 3 e 36 della Costituzione»;
   le ulteriori pronunzie giurisprudenziali rinvenute nella materia in esame sono state rese dal tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, e dal tribunale di Treviso, sempre in funzione di giudice del lavoro. Il tribunale di Roma ha espressamente affermato che «la riduzione dello stipendio del personale assoggettato al regime del trattamento di fine rapporto nella corrispondente misura del 2,5 per cento non trova alcuna giustificazione» e ha, conseguentemente, condannato le amministrazioni resistenti alla restituzione degli «importi corrispondenti alla decurtazione del 2,5 per cento operata sulla retribuzione lorda» nei limiti della prescrizione quinquennale;
   il tribunale di Treviso ha espressamente riconosciuto l'applicabilità del principio di diritto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 223 del 2012 «a tutte le ipotesi in cui il medesimo trattamento di fine rapporto applicato al dipendente privato venga esteso a quello pubblico con modifiche sfavorevoli per quest'ultimo non giustificate da differenze relative alla qualità e quantità della prestazione lavorativa che se è uguale per entrambe le categorie di dipendenti deve comportare per ciascuna lo stesso risultato economico» e ha, conseguentemente, rigettato l'opposizione proposta dall'Amministrazione resistente al decreto ingiuntivo esperito dal dipendente per conseguire la restituzione delle trattenute illegittimamente operate;
   la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 244 del 2014 dichiara inoltre che: «Il trattamento di fine servizio è, infatti, diverso e (...) normalmente “migliore” rispetto al trattamento di fine rapporto disciplinato dall'articolo 2120 codice civile, per cui il fatto che il dipendente (...) ha diritto all'indennità di buonuscita – partecipi al suo finanziamento, con il contributo del 2,5 per cento (sull'80 per cento della sua retribuzione), non integra un'irragionevole disparità di trattamento rispetto al dipendente che ha diritto al trattamento di fine rapporto. Per altro verso, il fatto che alcuni dipendenti delle pubbliche amministrazioni godano del trattamento di fine servizio ed altri del trattamento di fine rapporto è conseguenza del transito del rapporto di lavoro da un regime di diritto pubblico ad un regime di diritto privato e della gradualità che, con specifico riguardo agli istituti in questione, il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalità, ha ritenuto di imprimervi»; in altri termini, la Corte Costituzionale ha dichiarato legittimo il doppio sistema del TFR e TFS aggiungendo anche che chi è in regime di TFS partecipa con il suo contributo del 2,5 per cento; l'immediata conseguenza è quella della conferma che chi è in regime di TFR non deve partecipare in alcun modo e che la trattenuta del 2,5 per cento è illegittima –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover intervenire al fine di dare attuazione alla giurisprudenza della Corte costituzionale. (4-08575)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da informazioni della stampa on line (da www.ternimania.it del 22 maggio 2014 e www.terninrete.it del 21 maggio 2014) si apprende che la trattativa per la cessione delle aree all'interno dello stabilimento del polo chimico temano della Polymer (necessaria per il rilancio dell'intero polo), tra Basell e la cordata formata da Novamont, Cosp Tecno Service ha subito uno «stallo»;
   a detta degli ex lavoratori della Basell, che si sono costituiti in un comitato, sarebbero emerse «in maniera palese le enormi distanze fra le parti in merito ai criteri per la valutazione del valore delle aree» (da www.umbrialeft.it del 21 maggio 2014);
   la circostanza ha suscitato l'allarme tra i lavoratori poiché se non si sblocca la vendita potrebbero «saltare» i progetti di reindustrializzazione e di rilancio dell'area, in particolare il cluster della chimica verde nonché il prospettato riassorbimento di circa 60 ex lavoratori da parte della Basell;
   la vicenda necessita di un intervento del Governo finalizzato ad una celere soluzione del caso, poiché si inserisce in una situazione di mercato già difficile che riguarda l'intera area del polo chimico ternano e che potrebbe avere ripercussioni negative su tutte le imprese dell'indotto e che occupano numerosi lavoratori e addetti –:
   quale sia lo stato attuale della trattativa per la cessione dell'area e quali iniziative di competenza intendano adottare i Ministri interrogati per il rilancio del sito produttivo;
   quali azioni intendano adottare per favorire i progetti di reindustrializzazione e il dialogo tra le parti sociali che abbiano come interesse primario la salvaguardia dei livelli occupazionali dell'intero polo chimico ternano e il riassorbimento degli ex lavoratori Basell. (5-05161)


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da informazioni della stampa on line (da www.umbria24.it e www.ilmessaggero.it del 12 giugno 2014) si apprende che dal 12 giugno 2014 all'impresa New Neofil di Terni, nata da uno «spacchettamento» della Meraklon Yam, è stata sospesa l'erogazione della fornitura di energia elettrica;
   lo stabilimento ternano conta attualmente 42 dipendenti ed è specializzato nella produzione di filo di polipropilene;
   la decisione di sospendere la fornitura di energia elettrica sarebbe stata assunta dal consorzio Polymer che ripartisce la fornitura di energia e di cui la New Neofil non fa parte (il consorzio è composto da altre aziende che operano all'interno del polo chimico ternano) per una morosità – non meglio precisata – nel pagamento della fornitura (da www.umbria24.it e www.ilmessaggero.it del 12 giugno 2014);
   il direttore generale dello stabilimento Marco Mazzalupi, per fronteggiare l’«emergenza», ha attivato il gruppo elettrogeno a gasolio anche per garantire la prosecuzione dell'attività di impresa;
   la vicenda necessita ad avviso degli interroganti di un intervento del Governo finalizzato ad una celere soluzione del caso poiché si inserisce in una situazione di mercato già difficile che riguarda l'intero polo chimico ternano e che potrebbe avere ripercussioni sulla regolare prosecuzione dell'attività e redditività di tutte le imprese che operano nel polo e che occupano numerosi lavoratori e addetti –:
   se i Ministri siano a conoscenza della descritta situazione;
   se i Ministri interrogati, ciascuno per quanto di competenza, non ritengano opportuno ed urgente assumere ogni iniziativa di competenza per favorire soluzioni condivise da tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, al fine di scongiurare eventuali ripercussioni negative sia sulla regolare prosecuzione dell'attività di tutte imprese del polo chimico ternano sia sui livelli occupazionali e tese anche al rilancio dell'intero sito produttivo. (5-05164)


   CARLONI e TARTAGLIONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 12 della legge 29 dicembre 1993, n. 580 («Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura»), disciplinando la composizione degli organi delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, stabilisce che i componenti di ciascun consiglio camerale siano designati dalle organizzazioni rappresentative delle imprese appartenenti ai settori dell'agricoltura, dell'artigianato, delle assicurazioni, del commercio, del credito, dell'industria, dei servizi alle imprese, dei trasporti e spedizioni, del turismo e degli altri settori di rilevante interesse per l'economia della circoscrizione territoriale di competenza della camera di commercio, nonché dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dalle associazioni di tutela degli interessi dei consumatori e degli utenti e dalla Consulta degli ordini professionali, in rapporto proporzionale alla loro rappresentatività in ambito provinciale;
   ai sensi del comma 4 del medesimo articolo 12, il Ministro dello sviluppo economico disciplina, con proprio decreto, i tempi, i criteri e le modalità relativi alla procedura di designazione dei componenti del consiglio;
   in attuazione di quanto sopra, il decreto ministeriale 4 agosto 2011, n. 156 ha stabilito che le organizzazioni imprenditoriali di livello provinciale – aderenti ad organizzazioni nazionali rappresentate nel CNEL, ovvero operanti nella circoscrizione da almeno tre anni prima della pubblicazione – fanno pervenire alla camera di commercio, ai fini della ripartizione dei consiglieri, un'unica dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà contenente una serie di dati, tra cui, il numero delle imprese che risultano iscritte, a norma del proprio statuto, alla data del 31 dicembre dell'anno precedente a quello di pubblicazione dell'avviso, purché nell'ultimo biennio abbiano pagato almeno una quota annuale di adesione (articolo 2, comma 2, lettera b), del decreto ministeriale n. 156 del 2011);
   il decreto ministeriale n. 156 del 2011, all'articolo 9, comma 2, ha stabilito altresì che il grado di rappresentatività di ciascuna organizzazione imprenditoriale, nell'ambito del settore, è calcolato sulla base delle percentuali relative al numero delle imprese ad essa iscritte, al numero degli occupati nelle imprese iscritte, al valore aggiunto relativo agli occupati delle imprese iscritte, e «al diritto annuale versato dalle imprese aderenti all'organizzazione imprenditoriale, rispetto al totale del diritto annuale versato dalle imprese aderenti alle organizzazioni imprenditoriali dello stesso settore economico, che hanno effettuato validamente la trasmissione della documentazione»;
   a seguito di una richiesta di parere in merito all'applicazione dell'articolo 2, comma 2, lettera b), del decreto ministeriale n. 156 del 2011, e in particolare in merito al versamento delle quote associative, il Ministero chiariva, con circolare n. 121215 del 24 maggio 2012, che: «La quota di adesione, nella sua quantificazione annuale, e le modalità di riscossione delle stesse sono stabilite in autonomia dall'associazione»;
   con la circolare n. 39517 del 7 marzo 2014, («Applicazione del decreto 4 agosto 2011 n. 156 – procedimento di rinnovo dei consigli camerali – ulteriori chiarimenti»), in ordine al pagamento della quota associativa delle imprese aderenti all'associazione di categoria, in modo del tutto arbitrario, il Ministero tuttavia affermava che: «deve trattarsi di una quota effettiva di adesione e non di una quota meramente simbolica (...). A tal fine nell'evidenziare che, certamente possono considerarsi quote meramente simboliche quelle inferiori all'unità di conto monetaria, pari a un euro, si ritiene che possono essere considerate tali le quote superiori a tale importo ove palesemente e drasticamente sproporzionate rispetto a quelle medie riscosse dalle altre associazioni del medesimo settore»;
   tale prescrizione è stata confermata con la circolare n. 0211086 del 27 novembre 2014, con la quale il Ministero ha precisato che la precedente circolare «è stata adottata (...) proprio per risolvere alcuni problemi e rischi manifestatesi nelle procedure di valutazione della rappresentatività delle associazioni di categoria in sede di attribuzione alle stesse dei seggi di rappresentanza del relativo settore in occasione del rinnovo dei Consigli delle camere di Commercio», essendo emersa la necessità di evitare che l'effettivo pagamento delle quote sociali «sia sostanzialmente eluso attraverso l'acquisizione di iscritti con quote irrisorie o solo simboliche», a supporto citando, inoltre, un «precedente costituito dell'analoga prescrizione, condivisa nel relativo parere del consiglio di Stato, contenuta in un diverso regolamento»;
   diversamente da quanto indicato dal Ministero, nel citato parere il Consiglio di Stato non ha espresso alcun parere in ordine alla quantificazione della quota associativa, nonostante l'esplicita richiesta da parte dello stesso Ministero, mentre ha esplicitamente ricordato che il potere regolamentare del Ministero non può estendersi fino a modificare i requisiti stabiliti dalla legge, suggerendo di modificare il termine «irrisorio» con quello «meramente simbolico»;
   il Ministero con le lettere circolari n. 39517 del 7 marzo 2014 e n. 0211086 del 27 novembre 2014, ha, di fatto, modificato il requisito del pagamento nell'ultimo biennio della quota associativa (ex articolo 2, comma 2, lettera b), del decreto ministeriale n. 156 del 2011) prevedendo il criterio della cosiddetta quota proporzionata di categoria;
   lo stesso Ministero, nella n. 0211086 del 27 novembre 2014, ha ricordato che la prescrizione relativa alla quota associativa costituisce «un criterio che in futuro merita di essere approfondito o migliorato... Si resta naturalmente disponibili ad ulteriori approfondimenti e confronti che possano consentire, con il contributo di tutte le altre associazioni interessate, di individuare criteri sempre più adeguati di valutazione della rappresentatività in questo delicato settore, come certamente è possibile ed opportuno nel contesto della riforma del sistema camerale prevista, mediante delega legislativa, dal disegno di legge di riforma della pubblica amministrazione presentato nei mesi scorsi dal governo ed attualmente in corso di esame parlamentare» –:
   quali iniziative e in quali tempi il Ministro interrogato intenda porre in essere per rivedere i criteri di valutazione della rappresentatività delle associazioni di categoria in sede di attribuzione dei seggi nei consigli camerali, in particolare eliminando l'esplicita quantificazione della quota associativa. (5-05179)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il piano di razionalizzazione degli uffici postali sul territorio nazionale, presentato dalla dirigenza di Poste italiane nel mese di febbraio 2015, sta suscitando la preoccupazione e il disappunto di molte regioni ed enti locali, che stanno rivendicando un ruolo attivo nel processo di razionalizzazione, e oltre cento sindaci hanno già dichiarato che si mobiliteranno per impedire che si abbatta sugli uffici la scure del nuovo piano;
   il piano di razionalizzazione, che è parte delle linee guida del nuovo piano industriale della società, fa riferimento alla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni del 29 giugno 2014, che interviene sui punti di accesso alla rete postale, modificando i criteri di distribuzione degli uffici di Poste italiane, secondo le previsioni del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 7 ottobre 2008;
   in base allo stesso piano nel 2015 dovrebbero chiudere circa 400 uffici postali sul territorio nazionale, ed è anche prevista la riduzione degli orari di molti uffici;
   a seguito delle critiche al piano esposte dalle suddette categorie Poste italiane lo ha sospeso, ma nella nota che la società ha diffuso si parla espressamente solo di rinvio per il tempo necessario a un confronto con regioni e comuni interessati per «conciliare le esigenze aziendali con le istanze e le possibili eccezioni rappresentate dai territori», senza intaccarne, sembrerebbe, la sostanza;
   nella sola regione Veneto è prevista la chiusura di settantatre uffici postali, con gli ovvi disagi che ne conseguono per i cittadini;
   tra gli uffici che dovrebbero chiudere vi è anche quello di Pozzi di San Giorgio al Tagliamento, nel comune di San Michele al Tagliamento in provincia di Venezia, che serve un'utenza di oltre duemilacinquecento persone, molte delle quali sono anziane, elemento che dovrebbe rappresentare uno dei criteri per scongiurare le chiusure;
   proprio le persone anziane, infatti, sono quelle maggiormente colpite dalla chiusura, posto che doversi recare a chilometri di distanza per raggiungere gli altri uffici creerà loro notevoli disagi;
   gli uffici postali rappresentano un presidio dello Stato sul territorio oltre che un servizio a imprese e cittadini –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere affinché il piano di razionalizzazione non comporti eccessivi disagi agli utenti dei comuni interessati dalla chiusura o riduzione dell'apertura al pubblico degli uffici e si garantisca il pieno diritto della cittadinanza all'accessibilità del servizio. (4-08563)


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane spa ha presentato un piano di riorganizzazione in cui viene prevista la chiusura di molti uffici e il ridimensionamento degli orari di apertura degli sportelli, causando quindi notevoli difficoltà nella gestione operativa degli uffici e generando una diminuzione della qualità del servizio fornito alla clientela;
   a partire dal 13 aprile 2015 verrà chiuso anche l'ufficio postale attualmente aperto due giorni a settimana nella località di Tontola, frazione di Predappio che, contando al momento 38 conti correnti postali, è stato giudicato improduttivo e diseconomico dalla società che dovrebbe garantire il servizio pubblico postale;
   Poste Italiane spa è una società a capitale interamente pubblico che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e che deve garantire l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato, in cui la società si impegna a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
   il servizio pubblico postale deve essere garantito a tutti i cittadini come diritto e non come opportunità di guadagno, ma il piano di razionalizzazione presentato da Poste Italiane non sembra tenere conto dell'importanza che questi uffici rivestono, soprattutto nei piccoli centri già di per sé disagiati che lottano per contrastare lo spopolamento, dove la posta rappresenta un vero e proprio presidio, né della particolare morfologia del territorio;
   pochi giorni fa Poste Italiane, nella persona dell'amministratore delegato Francesco Caio, si è ufficialmente impegnata con il Sottosegretario allo sviluppo economico Antonello Giacomelli e il presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Angelo Cardani a coinvolgere regioni ed enti locali nella fase precedente a quella di razionalizzazione per spiegare come verrà assicurata la tutela del servizio universale per i cittadini, eppure sembra che le amministrazioni locali dei comuni interessati siano state debitamente coinvolte ed informate;
   i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale;
   questa operazione di razionalizzazione si traduce in gravi disservizi soprattutto per i residenti anziani, che si troveranno a non poter usufruire con la dovuta comodità di servizi essenziali, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file nei giorni di apertura, ritardare le operazioni o affrontare frequenti e difficili spostamenti;
   il criterio guida per la distribuzione degli uffici postali stabilito dal decreto ministeriale 7 ottobre 2008 è costituito, in base alla normativa vigente, dalla distanza massima di accessibilità al servizio, espressa in chilometri percorsi dall'utente per recarsi al presidio più vicino. In particolare, «il fornitore del servizio universale assicura un punto di accesso entro la distanza massima di 3 chilometri dal luogo di residenza per il 75 per cento della popolazione, un punto di accesso entro la distanza massima di 5 chilometri dal luogo di residenza per il 92,5 per cento della popolazione, un punto di accesso entro la distanza massima di 6 chilometri dal luogo di residenza per il 97,5 per cento della popolazione». Nel caso specifico, l'ufficio postale alternativo a quello della frazione di Tontola, è quello del comune di Predappio che dista 7 chilometri»;
   la delibera n. 342/14/Cons dell'AgCom, nel modificare i criteri di distribuzione degli uffici postali, ha disposto specifici divieti nei confronti di Poste a tutela degli utenti del servizio postale universale che abitano nelle zone svantaggiate del Paese –:
   se non ritenga urgente intervenire con tutte le iniziative necessarie, anche promuovendo una concertazione tra la direzione di Poste Italiane spa e le amministrazioni locali, per evitare che decisioni unilaterali assunte da Poste Italiane spa arrechino disagi agli abitanti della frazione di Tontola, che si vedrebbero privati dell'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, così come previsto dall'accordo siglato fra le Poste Italiane spa e lo Stato;
   se non ritenga doveroso promuovere, per quanto di competenza, un tavolo di confronto fra le parti coinvolte finalizzato a valutare l'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e ad individuare possibili soluzioni alternative, più rispondenti allo specifico contesto territoriale, così come previsto dalla delibera dell'Agcom, che siano in grado di coniugare le esigenze di equilibrio economico con quelle di tutela dell'utenza;
   se siano stati svolti, per quanto di competenza, i dovuti controlli sul rispetto delle disposizioni stabilite dal decreto ministeriale 7 ottobre 2008 e dalla delibera n. 342/14/Cons dell'Agcom. (4-08564)


   PASTORELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in tema di banda larga, la strategia Europa 2020 e l'Agenda digitale europea prevedono gli obiettivi che gli Stati membri devono realizzare entro il 2020:
    copertura banda larga a 2 Mbps per tutti i cittadini europei entro il 2013 (1o obiettivo);
    copertura banda larga veloce, maggiore di 30 Mbps per tutti i cittadini europei entro il 2020 (2o obiettivo);
    copertura banda larga ultraveloce, maggiore di 100 Mbps, per il 50 per cento dei cittadini europei entro il 2020 (3o obiettivo);
   in tema di servizi digitali, gli obiettivi europei da raggiungere entro 2015 sono:
    almeno il 50 per cento della popolazione usi servizi di e-government;
    almeno il 50 per cento degli utenti digitali utilizzi l’e-commerce;
    il 75 per cento della popolazione acceda abitualmente a internet;
    il 33 per cento delle PMI dovrà vendere e acquistare online;
   nel 2014, la Commissione europea ha analizzato i progressi dei 28 Paesi dell'Unione europea in relazione agli obiettivi digitali sopra descritti l'Italia risulta fanalino di coda in tutte le classifiche europee sulla digitalizzazione e diffusione della banda ultra-larga, soprattutto a causa di un deficit di infrastrutturazione digitale, che si concentra nelle zone meno densamente abitate, di una generalizzata debolezza della domanda e della scarsa alfabetizzazione digitale;
   un esempio su tutti per capire la situazione che molti stanno vivendo in Italia, soprattutto nei centri minori, è la lamentela di cui si è fatto portavoce il sindaco di Forano, in provincia di Rieti, il quale evidenzia, sia tramite la stampa locale sia con una missiva indirizzata a Telecom Italia spa, la situazione di disagio che cittadini, imprenditori e istituzioni stesse vivono quotidianamente in quanto la linea ADSL viaggia ad una velocità talmente bassa da pregiudicare qualsiasi tipo di attività;
   lo scorso 3 marzo 2015 il Consiglio dei ministri ha approvato la Strategia italiana per la banda ultralarga e per la crescita digitale 2014-2020. Le due strategie sono state definite dall'Agenzia per l'Italia digitale e dal Ministero dello sviluppo economico sotto il coordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri e mirano a colmare il ritardo digitale del Paese sul fronte infrastrutturale e nei servizi;
   l'Italia nel 2014 risultava ancora il Paese con la minor copertura di reti digitali di nuova generazione (NGA) in Europa, sotto la media europea di oltre 40 punti percentuali per l'accesso a più di 30 Mbps (Megabyte per secondo), un 20 per cento di copertura, contro il 62 per cento europeo; con la prospettiva di giungere solo nel 2016 al 60 per cento di copertura a 30 Mbps e in assenza di piani di operatori privati per avviare la copertura estensiva a 100 Mbps;
   essendo l'Italia al di sotto della media europea di oltre 40 punti percentuali si è determinata la necessità di recuperare il gap e raggiungere l'obiettivo strategico di massimizzare la copertura entro il 2020 da un punto di vista infrastrutturale, raggiungendo come minimo gli obiettivi definiti per il secondo pilastro dell'Agenda Digitale europea – cioè internet in ultrabroadband ad almeno 100 Mbps per almeno il 50 per cento della popolazione come utente, con un 100 per cento dei cittadini che abbiano la copertura a 30 Mbps – ma dandosi come obiettivo del piano il raggiungimento dei 100 Mbps fino all'85 per cento dei cittadini –:
   quali iniziative concrete il Ministro interrogato abbia intenzione di adottare anche alla luce del nuovo piano nazionale per la banda ultralarga che «propone un mix virtuoso di investimenti pubblici e privati», al fine di sopperire in tempi brevi alle numerose difficoltà di comunicazione che interessano soprattutto i centri minori anche magari verificando in sinergia con Telecom Italia lo stato di implementazione e diffusione di tali tecnologie che rappresentano, per la totalità dei cittadini, strumenti indispensabili del vivere quotidiano. (4-08572)


   MURA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il cosiddetto disegno di legge sulla Concorrenza, approvato dal Governo il 20 febbraio 2015, – in particolare l'articolo relativo alle imprese di autoriparazione – rischia di avere gravi ripercussioni sul comparto;
   le organizzazioni di categorie, Cna e Confartigianato in testa, hanno segnalato il grave impatto delle nuove norme che rischiano di escludere dal mercato la gran parte delle aziende sarde;
   con la nuova normativa, infatti, si obbligherebbero gli automobilisti a effettuare le riparazioni esclusivamente presso le officine convenzionate dalle assicurazioni e gli autoriparatori ad accettare le condizioni delle compagnie;
   si tratta di una vera misura devastante per le imprese di autoriparazione, in particolare in Sardegna dove sono presenti circa 3.700 aziende con 10 mila addetti;
   la riforma rischia di consegnare il mercato delle riparazioni auto nelle mani delle assicurazioni;
   i consumatori devono poter scegliere liberamente l'officina di fiducia dove far riparare il veicolo incidentato, senza essere costretti a rivolgersi alle carrozzerie convenzionate con l'assicurazione –:
   se sia a conoscenza di questa situazione, che colpisce in particolare la regione Sardegna dove il comparto delle autoriparazioni occupa ben 10.000 addetti;
   se non ritenga opportuno apportare una modifica al testo del cosiddetto disegno di legge sulla concorrenza, in particola reale ove si obbligano gli automobilisti a effettuare le riparazioni esclusivamente presso le officine convenzionate dalle assicurazioni e gli autoriparatori ad accettare le condizioni delle compagnie;
   quali iniziative intenda assumere affinché la nuova normativa possa salvaguardare i posti di lavoro e tutelare i diritti dei consumatori in un settore che già oggi vive una crisi pesantissima che rischia di essere aggravata ulteriormente dal peso delle compagnie di assicurazioni. (4-08580)


   ALLASIA, SIMONETTI e MOLTENI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è scaduto il 28 febbraio 2015 il termine per l'ufficializzazione di eventuali manifestazioni di interesse su Mercatone Uno da parte di potenziali investitori nell'ambito della procedura di concordato preventivo avviata dal Gruppo a gennaio;
   la «Mercatone Uno» (236 negozi a marchio Mercatone e 68 dei negozi a insegna Tre Stelle) è in crisi profonda e 34 punti vendita dove i conti registrano i peggiori passivi sembrano arrivati al capolinea;
   l'azienda ha 450 milioni di euro di debiti e in questo momento è in corso quello che si chiama «concordato in bianco» e per sperare in un esito positivo, dovrebbero arrivare nuovi operatori disposti a rilevare più del 50 per cento dei punti vendita. Gli acquirenti interessati a negozi in crisi non si trovano. Di fatto dal 21 marzo 34 negozi hanno iniziato svendite autorizzate dal tribunale che sono l'anticamera della chiusura;
   l'azienda ha sedi in tutta Italia e 12 punti vendita in Piemonte in cui lavorano circa 400 persone. Da quattro anni ai dipendenti è applicato un contratto di solidarietà per 16 ore settimanali, che corrisponde ad uno stipendio di circa 300 euro mensili, i lavoratori dei punti vendita di Mappano e Brandizzo (To) sono stati in stato di agitazione e hanno presidiato i negozi giorno e notte al fine di sensibilizzare sulle difficili prospettive del gruppo –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se non intenda riattivare il tavolo nazionale, per cercare di salvaguardare l'occupazione di tutti i dipendenti nazionali e dei circa 400 dipendenti dei 12 punti vendita siti in Piemonte. (4-08584)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Labriola e altri n. 1-00766, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Capelli, Caruso, Lo Monte.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Prataviera e Fedriga n. 7-00634, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Simonetti.

Apposizione di firme ad una interpellanza.

  L'interpellanza Duranti n. 2-00896, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Piras, Ricciatti, Melilla, Pellegrino.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Prataviera e Fedriga n. 5-04899, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Simonetti.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Rizzetto e altri n. 5-04967, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Quartapelle Procopio, Spadoni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fedriga e Grimoldi n. 5-05116, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Simonetti.

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: risoluzione in Commissione Rostellato n. 7-00286 del 6 marzo 2014.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e Gallinella n. 4-04170 del 24 marzo 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05174;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e Rizzetto n. 4-04171 del 24 marzo 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05173;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e altri n. 4-04516 del 16 aprile 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05172;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini n. 4-04573 del 18 aprile 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05171;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e Gallinella n. 4-04628 del 24 aprile 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05170;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e Gallinella n. 4-04736 del 7 maggio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05169;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e altri n. 4-04777 del 12 maggio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05168;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini n. 4-05044 del 5 giugno 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05167;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini n. 4-05078 del 10 giugno 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05166;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e Gallinella n. 4-05174 del 18 giugno 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05165;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e Gallinella n. 4-05223 del 23 giugno 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05164;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e Gallinella n. 4-05250 del 24 giugno 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05163;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e Chimienti n. 4-05254 del 24 giugno 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05162;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e Gallinella n. 4-05324 del 1o luglio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05161;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e Businarolo n. 4-05422 del 7 luglio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05160;
   interrogazione a risposta scritta Gribaudo n. 4-07514 del 14 gennaio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05194.