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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 13 marzo 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 35, quarto comma, della Carta costituzionale afferma il principio della tutela generale per il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni e sancisce specificamente un principio di tutela per il lavoro italiano all'estero;
    in modo particolare, sono radicati nel nostro ordinamento giuridico: il principio della parità di trattamento in base al quale ciascuno Stato stipulante riconosce ai lavoratori stranieri, operanti sul proprio territorio nazionale, gli stessi diritti riservati ai cittadini residenti; il principio della territorialità della legislazione applicabile che prevede, come regola generale, l'applicazione della legislazione di sicurezza sociale del luogo dove viene effettivamente svolto il lavoro; il principio dell'esportabilità delle prestazioni ad ulteriore garanzia del lavoratore migrante, in base al quale le prestazioni non sono soggette a riduzione, sospensione o soppressione per il fatto che l'avente diritto trasferisca la propria residenza in un altro Paese; il principio della totalizzazione dei periodi assicurativi in base al quale è consentito il cumulo dei periodi di occupazione, assicurazione e residenza compiuto dal lavoratore in virtù delle legislazioni dei vari Paesi, nella misura necessaria ed a condizione che non si sovrappongano;
    deve essere posta in essere ogni azione finalizzata e finalizzabile alla piena adesione a detti fondamentali principi costituzionali;
    per i lavoratori e il personale italiano all'estero assumono fondamentale importanza le esigenze relative agli aspetti di natura previdenziale, soprattutto in ipotesi di assegnazione del dipendente in Paesi extracomunitari non convenzionati in materia di sicurezza sociale con l'Italia, laddove scatta l'obbligo di doppia contribuzione del lavoratore sia in Italia che nel Paese estero;
    in tale ambito occorrerà porre in essere ogni iniziativa tanto di monitoraggio quanto di reale intervento presso quei Paesi con cui non siano ancora stati stipulati accordi di regolamentazione o con i quali sia invece necessario provvedere al relativo rinnovo;
    in ambito previdenziale internazionale è principio generale è quello per cui i contributi si pagano nel Paese ove viene svolta l'attività (cosiddetto «lex loci laboris»). Vi sono però talune deroghe volte ad agevolare la mobilità geografica dei lavoratori; le principali sono rappresentate dal distacco in ambito comunitario, o dal distacco in Paesi extracomunitari, previdenzialmente convenzionati con l'Italia;
    per quanto riguardo il distacco comunitario, disciplinato in particolare dal regolamento (CE) n. 883/2004 e relativi provvedimenti attuativi, si deve osservare che l'ambito di applicazione è piuttosto ampio perché, oltre a comprendere i distacchi in Paesi aderenti all'Unione europea, coinvolge, in forza di specifici accordi internazionali, anche i distacchi in Paesi dello Spazio economico europeo (Islanda, Liechtenstein e Norvegia) e Svizzera;
    fuori dall'ambito comunitario «allargato», come sopra individuato, emergono criticità e/o ovvie difficoltà dettate anche dalla «distanza» culturale tra Paesi;
    in ipotesi di distacco extracomunitario, infatti, si deve verificare in primo luogo l'esistenza di una convenzione in materia di sicurezza sociale fra Italia e Paese estero, grazie alla quale il lavoratore possa continuare a contribuire solo in Italia e non anche all'estero. In presenza di tale accordo, l'ulteriore passaggio è quello di controllare se la convenzione copra tutti i contributi (invalidità, vecchiaia, superstiti, malattia ed altro) o solo i principali (invalidità, vecchiaia, superstiti) lasciando che per i contributi «minori» sussista comunque una doppia contribuzione;
    la situazione peggiore, tuttavia, si verifica in caso di distacco in Paese extracomunitario non convenzionato (come ad esempio India o Cina) in cui i contributi, oltre che in Italia, ai sensi della legge n. 398 del 1987, sono dovuti anche nel Paese di svolgimento dell'attività lavorativa, con un notevole aggravio dei costi aziendali;
    per garantire la tutela dei diritti previdenziali dei lavoratori italiani emigrati, l'Italia ha già stipulato negli anni numerose convenzioni bilaterali di sicurezza sociale con i Paesi di emigrazione con il precipuo scopo di garantire maturazione ed esportabilità delle prestazioni pensionistiche;
    attualmente l'Inps eroga in tutto il mondo circa 500.000 pensioni in convenzione internazionale; molte di queste convenzioni sono state stipulate in anni remoti e scontano, pertanto, un difetto di obsolescenza sia sul piano formale che sostanziale e necessitano, come detto, di essere adeguate ai cambiamenti che hanno investito le legislazioni previdenziali dei Paesi che le hanno stipulate;
    l'impegno ad aggiornare le convenzioni bilaterali di sicurezza sociale e a sottoscriverne di nuove deve basarsi sulla precisa consapevolezza che l'emigrazione italiana nel mondo ha cambiato volto e, quindi, occorre fornire nuove e più penetranti tutele alle nuove figure di nuovi lavoratori migranti, aggiornando le convenzioni attualmente vigenti e preso atto che esistono numerose convenzioni già sottoscritte dal nostro Paese ma mai ratificate dal Parlamento;
    tali esigenze divengono ancor più pregnanti se si pensa alla necessità di perseguire, nelle ipotesi virtuose, quel principio di «reciprocità» tra Italia e Paesi esteri che dovrebbe portare il nostro Paese ad adeguarsi – come nel caso del reddito di cittadinanza – alle linee adottate da quasi tutti i Paesi europei in materia di protezione sociale;
    alla luce della necessità di mettere mano ad una completa revisione del sistema pensionistico italiano che vada nella direzione di un radicale mutamento di tendenza rispetto ai disastrosi principi introdotti dalla cosiddetta «riforma Fornero», sarà, pertanto, altresì da riprendere un percorso di negoziazione per il rinnovo degli accordi bilaterali di sicurezza sociale con i Paesi non aderenti all'Unione Europea, in adesione ai principi di cui all'articolo 35, quarto comma, della Carta costituzionale,

impegna il Governo:

   a porre in essere ogni iniziativa utile all'affermazione dei principi contenuti all'articolo 35, quarto comma, della Carta costituzionale;
   nel più ampio quadro di un processo di riforma delle tutele sociali e previdenziali nel nostro Paese, il cui avvio secondo i firmatari del presente atto è da ritenersi improrogabile, a riprendere i negoziati, sospesi da troppi anni, per la stipula e il rinnovo degli accordi bilaterali di sicurezza sociale con i Paesi di emigrazione italiana non aderenti all'Unione europea e, comunque, con tutti i Paesi stranieri, nei casi in cui emerga l'esigenza di intervenire per la stipula e/o la revisione degli accordi bilaterali.
(1-00761) «Dall'Osso, Tripiedi, Chimienti, Ciprini, Cominardi, Lombardi, Villarosa, Colletti».

Risoluzioni in Commissione:


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    dal primo gennaio 2015 nei Mari del Nord Europa (Mare del Nord, Canale della Manica, Mar Baltico), dell'America del Nord (coste dell'Atlantico e del Pacifico di Stati Uniti, Canada e Caraibi), sono vietati i combustibili per uso marittimo con un tenore di zolfo superiore allo 0,10;
    dalla stessa data e fino al primo gennaio 2020 nei mari italiani e nell'intero Mediterraneo tale limite massimo permane alla soglia del 3,5 per cento, percentuale trentacinque volte maggiore rispetto a quella prevista per gli altri mari sopra citati, nonostante il minore ricambio delle acque e la maggiore fragilità complessiva del sistema marino del Mediterraneo, chiuso tra il Canale di Suez e lo Stretto di Gibilterra;
    dal primo gennaio 2020 tale limite si ridurrà per il Mediterraneo allo 0,50 per cento, percentuale ancora cinque volte più alta rispetto agli altri mari; tale limite potrà essere ridotto solo dopo il primo gennaio 2025;
    il 25 febbraio 2015, la Commissione europea, con una comunicazione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea degli investimenti, ha delineato un programma strategico per arrivare ad una effettiva Unione europea dell'energia (Pacchetto Energy Union);
    al centro dell’Energy Union è la sicurezza energetica dell'Europa, con la previsione di realizzare un ampio mercato euro mediterraneo del gas naturale, capace di portare anche ad un minore impatto ambientale dell'energia e prezzi più bassi per i consumatori. La comunicazione annuncia una prossima direttiva per lo sviluppo strategico del gas naturale liquefatto che fa seguito alla direttiva 33/2012 per riduzione dello zolfo nei combustibili marittimi e alla direttiva 94/2014, per la realizzazione di piccoli e medi depositi costieri e stazioni di servizio per l'alimentazione di GNL dei camion e di gas naturale delle autovetture in Europa;
    ai fini della tutela dell'ambiente marino mondiale i limiti alle emissioni inquinanti dei combustibili ad uso marittimo (oltre agli ossidi di zolfo anche gli ossidi di azoto, la CO2 ed i particolati) sono decisi dall'Organizzazione marittima internazionale (IMO) in ambito ONU;
    i limiti IMO sono adottati dall'Europa con specifiche direttive che lasciano ai Paesi membri la scelta di assumere parametri più cautelativi, anticipando le scadenze per mari di propria competenza territoriale, ma non di rinviare i termini di scadenza;
    la direttiva 2012/33/UE che ha disposto i limiti differenziati per i mari europei descritti in precedenza, è stata recepita con legge 6 agosto 2013, n. 96, «Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea – Legge di delegazione europea 2013 (Gazzetta Ufficiale 20 agosto 2013, n. 194), cui è stata data definitiva attuazione con il decreto legislativo 16 luglio 2014, n. 112;
    in occasione del conferimento della delega, in Commissione VIII fu segnalata l'opportunità dell'anticipo dell'entrata in vigore dei nuovi limiti;
    successivamente, in sede di espressione del parere del suddetto schema del decreto legislativo di attuazione, in considerazione del mancato inserimento dell'osservazione segnalata, la Commissione VIII condizionò il parere favorevole all'anticipo al primo gennaio 2018 per i mari Adriatico e Ionio dei limiti di tenore di zolfo allo 0,10 per cento, da estendere a tutti gli altri mari italiani dal primo gennaio 2020, con l'obiettivo di ridurre di tre e cinque anni il ritardo con i Mari del Nord Europa; analoghe valutazioni e proposte emendative furono avanzate dalla 13a Commissione territorio, ambiente, beni ambientali del Senato della Repubblica e tali osservazioni ebbero parere favorevole del rappresentante del Governo in sede di votazione;
    l'esigenza di anticipare al 2018 l'entrata in vigore della riduzione dei limiti relativi al tenore di zolfo dei combustibili per uso marino, previsti dalla direttiva 2012/33/UE per i mari Adriatico e Ionio, è determinata dall'estrema gravità dell'inquinamento atmosferico dei mari e delle coste del Mediterraneo, che ha ormai superato quello dei trasporti in terraferma a causa della elevata crescita dei traffici commerciali mondiali ed in particolare di quelli tra il sud-est Asiatico e l'Oceano Atlantico sulle rotte mediterranee;
    il testo finale del decreto legislativo ha solo parzialmente recepito le richieste dell'VIII Commissione, prevedendo l'anticipazione al 1o gennaio 2018 dell'entrata in vigore dei nuovi limiti per il Mare Adriatico e il Mare Ionio, ma a condizione che questi siano adottati anche dagli Stati membri dell'Unione prospicienti le stesse zone di mare;
    i sistemi armatoriali, della logistica marittima, della cantieristica, della produzione e approvvigionamento di combustibili a bassissimo tenore di zolfo (gasolio 0,10) o alternativi (come il metano liquido, GNL) e l'insieme delle industrie connesse ai trasporti marittimi dell'Europa del Nord e dell'America del Nord stanno affrontando questa sfida ambientale con un nuovo ciclo di investimenti e con l'innovazione tecnologica;
    tale situazione rischia di danneggiare la competitività delle imprese italiane che svolgono attività analoghe in ambito mediterraneo e mondiale, imprese che rischiano di essere progressivamente espulse dai nuovi mercati mondiali delle tecnologie marittime ecocompatibili;
    l'attuale fase di ribasso del prezzo del petrolio sta favorendo l'utilizzo dei combustibili a bassissimo tenore di zolfo sul naviglio esistente, in quanto riduce il costo della materia prima compensando i maggiori costi di raffinazione, mentre si conferma la scelta del GNL per le nuove imbarcazioni; anche il prezzo del gas liquefatto è in discesa ed è attesa una ulteriore riduzione con l'avvio delle esportazioni dagli Stati Uniti;
    la prospettiva dell'abbandono del petrolio, le cui lavorazioni sono sempre più appannaggio dei Paesi produttori esportatori di prodotti raffinati, a favore del gas metano nei trasporti marittimi e terrestri di lungo raggio è favorita nell'Europa mediterranea dalla presenza di numerosi rigassificatori e fonti di approvvigionamento cui si aggiungeranno rinnovati impianti di liquefazione di gas naturale in Algeria e un rigassificatore in Croazia;
    di recente è stata approvata un'altra importante direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, la direttiva n. 2014/94/UE del 22 ottobre 2014, sulla realizzazione di infrastrutture per i combustibili alternativi al petrolio e che obbliga gli Stati Membri a sviluppare e adottare, entro due anni dall'entrata in vigore della direttiva, una strategia nazionale che definisca gli obiettivi di infrastrutturazione, le strategie di sviluppo delle reti distributive, le necessarie misure di sostegno del GNL (gas naturale liquido) ed altre azioni a sostegno dei trasporti elettrici ed a idrogeno;
    gli Stati membri dovranno assicurare tra l'altro, attraverso una specifica strategia nazionale, alla quale il Ministero dello sviluppo economico sta già lavorando, la realizzazione di un numero appropriato di punti di fornitura di GNL, sia per i trasporti marittimi che terrestri (entro il 31 dicembre 2020, tutti i porti della rete trans-europea dei trasporti dovranno essere dotati di punti di rifornimento del GNL per il trasporto marittimo accessibili a tutti);
    tale direttiva incentiva l'uso di combustibili alternativi ai prodotti petroliferi legittimando il possibile ruolo del GNL come combustibile marino pulito del prossimo futuro (sia per ragioni economiche che per ragioni ambientali); nella strategia climatica europea di riduzione delle emissioni di gas serra nei trasporti (-60 per cento entro il 2050), l'innovazione tecnologica per il miglioramento dell'efficienza energetica delle navi dovrà avvenire in un quadro di progressivo abbandono del petrolio per ottimizzare i risultati delle misure di riduzione di inquinamento, di miglioramento efficienza energetica e di tutela della salute;
    per l'Italia, su mandato della Conferenza delle regioni, la regione Marche coordina la gestione e l'attuazione del programma europeo Adrion per l'implementazione della strategia di Eusair (EU Strategy for the Adriatic and Ionian Region) nel periodo 2014-2020; nella strategia di Eusair è previsto lo sviluppo coordinato di infrastrutture energetiche e dei trasporti;
    Adrion può contare complessivamente su un fondo iniziale di 99 milioni di euro, di cui 83,4 milioni provenienti dal fondo europeo di sviluppo regionale e 17,7 milioni a valere sullo strumento di assistenza preadesione (Ipa) per la realizzazione degli interventi nelle regioni interessate,

impegna il Governo:

   ad attivarsi in tutte le sedi competenti europee e internazionali, con iniziative a carattere bilaterale e multilaterale, al fine di indurre gli altri Paesi rivieraschi del Mediterraneo, iniziando dai mari Adriatico e Ionio, a condividere l'esigenza di recepire l'abbassamento dei limiti relativi al tenore di zolfo dei combustibili per uso marino a partire dal 2018, analogamente a quanto previsto dalla legislazione italiana;
   a promuovere un'azione italiana in particolare nell'ambito dell'IMO (Organizzazione marittima internazionale), dove l'Italia è tra i Paesi fondatori e presso la quale gode di ampia credibilità, al fine di concordare, con gli altri Paesi rivieraschi dell'Adriatico, dello Ionio e dell'intero Mediterraneo, la necessità di introdurre limiti vincolanti, in coerenza con la direttiva 2012/33/Ue analogamente alla normativa italiana, anche negli altri Paesi, membri dell'Unione e non, prospicenti le stesse zone di mare;
   a promuovere il perseguimento degli obiettivi sopra citati anche nell'ambito della strategia europea per la Macroregione adriatico-ionica Eusair, che comprende i Paesi non ancora aderenti alla Unione europea, come Albania, Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Serbia, in considerazione degli obiettivi primari della Macroregione indicati dalla Commissione europea, tra cui rilevano la crescita «blu», la crescita sostenibile e la qualità ambientale;
   ad assumere tempestivamente ogni iniziativa di competenza per il recepimento della direttiva 2014/94/UE e a farsi promotore di una iniziativa concordata e coordinata al fine di predispone, con gli altri Paesi membri interessati, un piano infrastrutturale di depositi e stazioni di servizio di GNL che riguardi unitariamente i porti e le principali vie costiere delle due sponde di Adriatico e Ionio, in linea con quanto previsto dalla direttiva 2014/94/UE;
   ad attivare un'iniziativa volta a promuovere un coordinamento dei porti e delle principali vie costiere di Italia, Francia e Spagna, per l'area occidentale del Mediterraneo, con al centro la regione Sardegna interessata ad una rapida metanizzazione del proprio territorio.
(7-00627) «Giovanna Sanna, Realacci, Carrescia, Arlotti, Cominelli, Dallai, Mariani, Francesco Sanna, Vaccaro, Zardini, Tino Iannuzzi, Borghi, Nardi, Gadda, Culotta, Ventricelli, Ginoble».


   La X Commissione,
   premesso che:
    in Italia il contrabbando e la contraffazione costituiscono un grave problema che penalizza notevolmente l'economia italiana con ingenti somme sottratte all'erario con grave danno per le aziende. Il peso delle vendite di merci contraffatte sfiora il 20 per cento dell'intero commercio mondiale, nel 2015, il settore del falso costerà agli Stati circa 1.700 miliardi di dollari (stime della IBCC International Chamber of Commerce, BASCAP 2011);
    il fatturato del mercato del falso nel nostro Paese è stimato in 6,9 miliardi di euro; se questi prodotti contraffatti fossero venduti sul mercato legale si avrebbero 13,7 miliardi di euro di produzione aggiuntiva, con conseguenti 5,5 miliardi di euro di valore aggiunto. La produzione aggiuntiva genererebbe acquisti di materie prime, semilavorati e servizi dall'estero per un valore delle importazioni pari a 4,2 miliardi di euro. La produzione complessiva degli stessi beni in canali ufficiali assorbirebbe circa 110.000 unità di lavoro a tempo pieno (rapporto Censis sulla contraffazione, ottobre 2012);
    il contrabbando di tabacchi lavorati è notevolmente aumentato nel corso degli ultimi anni in conseguenza della crisi economica e per questo si prevede che possa continuare a crescere nel corso dei prossimi anni;
    le disposizioni attualmente vigenti non costituiscono un efficace deterrente per fronteggiare tale realtà e appare evidente la necessità di rivedere le normative che mirano al contrasto di tali fenomeni;
    la maggiore tutela della proprietà intellettuale e la valorizzazione dell'industria italiana sono necessarie priorità per lo sviluppo del nostro Paese che riguardano molteplici settori come la moda, l'agroalimentare, il food, il tabacco, l'innovazione tecnologica;
    per poter arginare il fenomeno, oltre a disposizioni normative adeguate, è necessario fornire alle forze dell'ordine poteri che permettano maggiore operatività in fase di indagine, nonché azioni veloci ed efficaci;
    tali fenomeni, ed in particolare il contrabbando, costituiscono fonte di reddito di associazioni criminali nazionali e internazionali, in cui il venditore finale è il terminale ultimo di queste organizzazioni malavitose,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per una revisione della disciplina attuale a tutela della proprietà intellettuale, definendo in particolare misure per la lotta al contrabbando e alla contraffazione che:
    a) forniscano alle forze dell'ordine i poteri necessari per il contrasto di tali fenomeni, riconoscendo gli strumenti adeguati atti a combattere le ramificazioni territoriali di tali organizzazioni, i traffici di merci illegali, gli scambi economici, e le modalità organizzative;
    b) contribuiscano a combattere la criminalità organizzata nelle sue molteplici forme ed emanazioni territoriali;
    c) semplifichino le procedure normative già esistenti, garantendo maggiore incisività e operatività;
    d) adeguino le relative disposizioni del codice penale e di procedura penale;
    e) potenzino le capacità di controllo e di repressione a livello nazionale dei fenomeni di contraffazione, tramite un maggiore coordinamento delle forze dell'ordine deputate a tale scopo;
    f) diano seguito ad una celere emanazione del regolamento del Ministro dell'economia e delle finanze in materia di rintracciabilità dei prodotti del tabacco e di legittimazione della loro circolazione, come previsto nell'articolo 1, commi 5), 6), 7), del decreto legislativo 15 dicembre 2014, n. 188, in conformità alla direttiva 2014/40/UE attualmente in fase di recepimento nell'ordinamento italiano;

   a disporre un'analisi dettagliata da presentare in Parlamento entro tre mesi, che possa stimare il recupero di entrate a beneficio dello Stato che derivano da attività di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale nell'ambito della lotta al contrabbando e alla contraffazione;
   ad assumere iniziative per attuare rapidamente la direttiva 2014/40/UE.
(7-00626) «Donati, Cenni, Marco Di Maio, Galperti, Lodolini, Morani, Benamati, Fanucci, Gadda, Vazio, De Menech, Iori, Ascani, Moretto, Senaldi, Fregolent, Rosato, Berretta, Fragomeli, Carrescia, Folino, Tidei, Arlotti, Capozzolo, Verini, Ginato».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   DI VITA, MANTERO, GRILLO, SILVIA GIORDANO e LOREFICE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in Italia (i dati di fonte Istat sono reperibili sul sito www.handicapincifre.it) oltre 3 milioni di persone — il 5-6 per cento della popolazione — convivono con una forma di disabilità;
   importanti Istituti di ricerca hanno affrontato in questi anni analisi di vario tipo sui siti della pubblica amministrazione italiana; tra i più importanti si ricorda «Il pentagono della qualità» realizzata dal Censis in collaborazione con atenea sulla PA centrale (aprile 2001) che ha analizzato 32 siti dei Ministeri e di altri enti pubblici di rilevanza nazionale. Questo studio ha dimostrato come l'accessibilità sia diventato un requisito importante per la pubblica amministrazione ma che occorre ancora lavorare molto per una piena e totale soluzione del problema;
   una ricerca elaborata dalla Nielsen e presentata allo Smau 2002, ha provato a quantificare il numero degli anziani e dei disabili che rimangono tagliati fuori dalla mancata democratizzazione della Rete, spiegando che circa il 20 per cento dei disabili ha una buona attitudine a navigare su Internet (si tratta, spiega lo studio, di circa 530.000 persone) e ricordando che la quota di over 65 non disabili che usa il web è il 2,4 per cento del totale (un po’ meno di 130.000 persone). Il dossier presentato dalla Banca popolare di Milano arriva a stimare che un sito non adeguatamente accessibile taglia fuori un pubblico già oggi ricettivo di circa 650.000 persone;
   l'analisi dei dati emersi da detti studi e ricerche ha confermato che le istituzioni dello Stato e le pubbliche amministrazioni stanno andando sul web in ordine sparso con punte di eccellenza accanto ad imbarazzanti ritardi;
   accessibilità web vuol dire soprattutto la rimozione delle barriere informatiche che ostacolano gli utenti con disabilità nell'uso di tecnologie Internet;
   le difficoltà che le persone con disabilità incontrano nell'usare un sistema informatico derivano da carenze nella progettazione del software e dei contenuti dei siti web, che non tengono conto dei principi della progettazione universale e dell'usabilità e della possibilità di utilizzare dispositivi specificamente realizzati per favorire l'uso dei computer da parte dei disabili;
   l'importanza dell'accesso dei disabili alle tecnologie informatiche è stata sottolineata da tempo in numerosi documenti internazionali ed è argomento prioritario nei programmi della Commissione europea. Anche a livello nazionale si è posta la necessità di elaborare strategie operative per il raggiungimento di questi obiettivi, fissando regole compatibili con il rapido evolversi della tecnologia e in grado di tenere conto del panorama vasto e composito delle necessità dei disabili;
   accessibilità significa anche usabilità, cioè la capacità di un sito di esporre le informazioni in modo efficace e intuitivo, facilmente raggiungibili. In questo ambito più generale l'accessibilità implica considerazioni, spesso dettate dal buon senso oltre che da valutazioni tecnologiche, che consentono di progettare e realizzare siti più facilmente utilizzabili da tutte le categorie di utenti;
   la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dal Parlamento italiano con la legge 3 marzo 2009, n. 18, afferma e sottolinea il diritto all'accesso all'informazione. Secondo l'articolo 21 le persone con disabilità hanno diritto a ricevere informazioni su base di uguaglianza. Quando ciò non accade la discriminazione è evidente;
   la legge n. 4 del 9 gennaio 2004, «Disposizioni per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici», cosiddetta legge Stanca, ha costituito un primo, importante passo per lo sviluppo di un web che consenta a tutti di accedere alle informazioni ed ai servizi che vengono proposti; la legge, ed i successivi decreti, definiscono un insieme di regole e procedure che consentono di valutare il livello di accessibilità di un sito e conseguentemente di certificarlo, impegnando inarticolate le pubbliche amministrazioni a fornire informazioni in modo che siano accessibili e fruibili a tutti i cittadini;
   il concetto di accessibilità dei siti web è strettamente legato a un principio fondamentale della nostra società, quello delle pari opportunità, e l'accesso dei cittadini disabili ai servizi della pubblica amministrazione deve quindi essere garantito a tutti. L'obiettivo della legge è l'abbattimento delle barriere digitali che limitano o impediscono l'accesso agli strumenti della società dell'informazione da parte dei disabili;
   con il regolamento attuativo della predetta legge n. 4 del 2004, sono stati sanciti i criteri e i principi operativi ed organizzativi generali per l'accessibilità, mentre con il decreto ministeriale attuativo sono stati definiti i requisiti tecnici e le metodologie per la verifica dell'accessibilità dei siti web pubblici;
   l'esigenza di porre in essere strumenti per combattere il cosiddetto digital divide è stata dunque avvertita dal legislatore, in particolare con il CAD (Codice dell'amministrazione digitale), il cui articolo 8 dispone che «lo Stato promuove iniziative volte a favorire l'alfabetizzazione informatica dei cittadini con particolare riguardo alle categorie a rischio di esclusione, anche al fine di favorire l'utilizzo dei servizi telematici delle pubbliche amministrazioni»;
   ancora, i cittadini e le imprese hanno, fra l'altro, diritto a richiedere ed ottenere l'uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni (articolo 3, comma 1, CAD);
   sul medesimo tema, la linea di intervento 4, «Promozione e attuazione dei principi di accessibilità e mobilità», del Programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità ha stabilita, in sintesi, ha previsto di contemplare specificamente i seguenti aspetti: razionalizzazione, aggiornamento e adeguamento dell'impianto complessivo della normativa italiana alla dimensione culturale e operativa promossa dalla Convenzione ONU in materia di accessibilità; adozione dei regolamenti attuativi secondo quanto già elaborato a livello tecnico («Schema di Regolamento per la eliminazione delle barriere architettoniche»); maggior promozione dell'attuazione del diritto all'accesso alle tecnologie e ai media, anche attraverso un impegno specifico dell'Agenzia per l'Italia digitale;
   con circolare n. 61/2013 diretta a tutte le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, con oggetto «Disposizioni del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 in tema di accessibilità dei siti web e servizi informatici. Obblighi delle pubbliche Amministrazioni.», l'Agenzia per l'Italia digitale (AgID) ha altresì provveduto a informare le pubbliche amministrazioni sui nuovi adempimenti posti a loro carico dalla recente normativa. In particolare, con riferimento agli obiettivi di accessibilità, l'Agenzia per l'Italia digitale ha altresì fornito alle pubbliche amministrazioni sia un questionario, che esse potessero utilizzare per effettuare un'autovalutazione circa lo stato di adeguamento dei propri siti e servizi web alla normativa sull'accessibilità, sia un esempio di format per la pubblicazione sui siti web degli obiettivi annuali di accessibilità;
   malgrado la normativa vigente sopra citata, a distanza di alcuni anni, i siti della pubblica amministrazione italiana presentano ancora un livello eterogeneo di adeguamento alla normativa sull'accessibilità degli stessi siti web che risultano, nel complesso, ancora poco accessibili. A fronte di situazioni di eccellenza, molti siti web pubblici non permettono a tutti i cittadini un pieno accesso ai servizi erogati sul web e non risultano totalmente accessibili;
   emblematica, in tal senso, è la lamentela generalizzata recentemente pervenuta alla prima firmataria del predetto atto su segnalazione di un privato cittadino, il quale, sulla base della propria esperienza personale, riferisce dell'impossibilità constatata di accedere ai documenti in formato pdf dell'area riservata del sito istituzionale dell'INPS. In sostanza, non risulterebbe accessibile la lettura dei bandi delle borse di studio, dei soggiorni all'estero, dei vari concorsi, e altro, a meno che non si disponga del plugin di adobe, nonché la versione del browser e il sistema operativo indicati dall'INPS. Tale aspetto sarebbe contrario a quanto sancito dalla normativa sinora citata, nonché e alle norme W3C (obbligatorie per i siti istituzionali), norme che hanno avuto origine allo scopo precipuo di tutelare quelle le fasce più deboli della popolazione che fanno uso di particolari risorse per l'utilizzo del PC, nonché ipovedenti e «analfabeti» informatici;
   un miglioramento della situazione si dovrebbe ottenere con la realizzazione del sito PubbliAccesso dell'AgID; il sito, non ancora integralmente operativo, dovrebbe infatti divenire un punto di riferimento per tutta la pubblica amministrazione favorendo la comunicazione tra tutti gli attori interessati alle tematiche dell'accessibilità;
   uno dei problemi fondamentali resta tuttavia la formazione di coloro che realizzano i siti; questo richiede infatti un'investimento di risorse che va dall'aggiornamento all'acquisto di software. Questi software, hanno ovviamente un costo, di cui però la pubblica amministrazione dovrebbe tenere conto nel proprio bilancio preventivo;
   l'amministrazione pubblica, in ultima analisi, deve reputare l'accessibilità web come l'adempimento di una vera e propria missione, quella di avvicinare i cittadini, tutti, senza esclusione, affinché possano partecipare alla vita democratica e per servirli al meglio nell'esercizio dei diritti –:
   quali attività di verifica abbia già intrapreso, o intenda al più presto intraprendere, al fine di valutare l'adeguamento di tutti i siti istituzionali e delle pubbliche amministrazioni alle norme sull'accessibilità web e quali ulteriori provvedimenti intenda adottare per colmare le eventuali lacune riscontrate;
   quali siano le cause principali che determinano oggi la mancata ottemperanza alla normativa sull'accessibilità web da parte di certe istituzioni e pubbliche amministrazioni;
   se possa fornire un report dell'attività svolta recentemente a riguardo dall'Agenzia per l'Italia digitale, nonché lo stato di pubblicazione per ogni amministrazione pubblica, ad oggi, degli obiettivi di accessibilità e lo stato di attuazione del piano per l'utilizzo del telelavoro, come previsto dalla circolare citata nelle premesse;
   se e quali eventuali sanzioni, risultino ad oggi esser state comminate a carico dei dirigenti amministrativi alla luce della situazione descritta in premessa;
   se possa chiarire per quali ragioni il portale www.pubbliaccesso.gov.it risulti ancora in fase di aggiornamento e entro quale termine la sua funzionalità;
   con quali modalità e secondo quali criteri soggettivi e oggettivi sia stato formato l'albo dei valutatori di accessibilità dell'AgID e secondo quali regole venga gestito il medesimo;
   quanti accessi si stimi verrebbero effettuati in media al portale www.pubbliaccesso.gov.it;
   quali opportune attività promozionali presso le amministrazioni pubbliche abbia già intrapreso, o intenda intraprendere, al fine di pubblicizzare maggiormente l'utilizzo del portale www.pubbliaccesso.gov.it presso. (4-08407)


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da maggio 2014 ad oggi l'euro si è svalutato progressivamente di ben 8 punti percentuali arrivando ultimamente quasi alla pari col dollaro anche per l'operazione Quantitative Easing da parte della Banca centrale europea e la riduzione dei tassi di interesse;
   sembra che la svalutazione dell'euro sia considerata la soluzione alla crisi e a tutti i mali del nostro Paese, perché dovrebbe produrre effetti positivi sull'economia dell'eurozona da due principali punti di vista: secondo gli economisti da un lato dovrebbe incrementare le esportazioni, dall'altro l'aumento dell'inflazione dovuto all'incremento dei prezzi dei prodotti importati (tra cui le materie prime e in particolare il petrolio);
   sebbene l'aumento delle esportazioni sia certamente un bene, l'Italia esporta per circa il 40 per cento all'interno dell'area euro ed inoltre il contesto è tutt'altro che favorevole ad una ripresa dell’export anche al di fuori dell'eurozona: tra sanzioni contro la Russia e Stati Uniti che puntano a ridurre il proprio deficit con l'estero, le esportazioni difficilmente possono essere un traino per la crescita;
   chi sta da anni traendo vantaggio dell'euro debole per esportare, anche ben oltre i limiti imposti dalle regole del Six Pack, è la Germania, che da tempo dovrebbe essere costretta ad espandere la propria domanda e sulla carta lo è, ma non lo fa, anche perché la Commissione europea non si decide ancora a sanzionare i tedeschi per il loro eccesso di export;
   per quanto riguarda l'aumento dell'inflazione, a livello tecnico andrebbe a contrastare la deflazione, ma in sé e per sé, «inflazione importata» sarà di modesta entità, perché i prezzi nei Paesi industrializzati sono relativamente poco sensibili all'aumento dei costi delle importazioni, ma soprattutto dovrebbe avere un effetto recessivo, non espansivo: va da sé infatti che se i prezzi aumentano a causa dell'aumento dei costi delle importazioni, la domanda in generale non ne può certo beneficiare, anzi, visto che i consumatori si ritrovano con prezzi più alti, ma con le stesse entrate di prima, con ogni probabilità ridurranno i loro già bassi consumi;
   la banca centrale giapponese la Bank of Japan, dopo il fallimento della recente svalutazione dello yen (se si esclude il boom del primo trimestre 2014), ora spiega che l'inflazione «buona» (ed efficace in un arco temporale medio-lungo) è solo quella che viene dagli aumenti salariali;
   il Quantitative Easing non è però un piano esente da rischi, come dichiarato di recente dallo stesso Mario Draghi: «Siamo consapevoli che le nostre misure possono comportare dei rischi alla stabilità finanziaria»;
   secondo i maggiori economisti uno degli effetti collaterali inevitabili del Quantitative Easing, è una bolla finanziaria che potrebbe risolversi anche solo in un aumento del grado di diseguaglianza tra ricchi e poveri, con un impatto minimo sui consumi: in linea teorica, tassi d'interesse negativi dovrebbero spingere da un lato a consumare di più e dall'altro a indirizzare gli investimenti verso attività più rischiose, presumibilmente più vicine alla economia «reale», ma questo comunque poi dipende dalle banche, quindi non è affatto sicuro;
   il Quantitative Easing di per sé non è sufficiente a creare «moneta» e a generare inflazione: la liquidità creata dalla Bce può rimanere nel circuito finanziario e alimentare una pericolosa bolla speculativa oppure può iniziare a fluire nell'economia reale, ma solo se le banche, attraverso l'attività creditizia, la trasformano in «aggregati monetari» per l'economia, «spendendola» ovvero trasferendola a qualcuno, impresa o commerciante, che è in grado di investirla in attività reali e in lavoro;
   secondo l'economista Marcello Esposito de La voce.info: «La parte più delicata di un Qe o di una parziale monetizzazione del debito non sta nelle fasi iniziali, ma nella sua conclusione, fase estremamente complessa anche quando il «malato» risponde positivamente alle cure. Le bolle speculative alimentate dal Qe devono essere sgonfiate lentamente per evitare che scoppino e travolgano l'economia reale... Il problema potrebbe quindi sorgere se la Bce non avesse il tempo di aspettare i «fondamentali», ad esempio perché l'inflazione riparte, ma l'economia reale no» –:
   se il Governo sia consapevole di quanto descritto in premessa e in che modo voglia intervenire affinché i rischi della svalutazione dell'euro messi in evidenza possano essere prevenuti e il Paese venga tutelato nel caso in cui le previsioni più negative degli economisti dovessero rivelarsi giuste;
   in che modo il Governo si stia attivando per garantire che gli effetti del Quantitative Easing siano il più possibile positivi e dunque che le risorse messe in campo vengano effettivamente trasmesse all'economia reale, e non vadano invece ad alimentare la pericolosa bolla finanziaria di cui in premessa;
   in quale modo il Governo intenda adoperarsi affinché la svalutazione dell'euro e il previsto aumento dell'inflazione non abbiano ricadute negative sui consumi già decisamente bassi a causa della crisi e in che modo abbia intenzione di sostenere dunque l'economia reale e i consumatori che, con le stesse esigue risorse economiche, si troveranno a dover affrontare prezzi più alti;
   se e in che modo il Governo intenda promuovere l’export italiano affinché la svalutazione della nostra moneta possa davvero apportare dei benefici anche alla nostra economia;
   se il Governo stia predisponendo misure per affrontare la fase conclusiva del Quantitative Easing che è la più delicata e potrebbe stravolgere l'economia reale del nostro Paese. (4-08408)


   REALACCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottobre del 2014 la Commissione europea autorizzò sussidi pubblici da parte del Governo britannico per la costruzione della nuova centrale nucleare di Hinkley Point. Secondo questo «aiuto di Stato» sarà garantito per 35 anni che l'energia prodotta dall'impianto sia pagata circa il doppio del valore di mercato attuale, con la differenza coperta con le risorse di tutti consumatori. La nuova centrale infatti per più di tre decenni godrà di uno «strike price» di 92,5 sterline (circa 123 euro) per ogni MWh generato, che in valore nominale al 2058, anno in cui scadrà l'incentivazione, diverranno 279 sterline per MWh;
   come per altri due impianti in costruzione in Europa, a Flamanville in Francia e Olkiluoto in Finlandia, anche nel Regno Unito si è assistito ad una lievitazione dei costi e a notevoli ritardi nella costruzione della centrale. L'impianto di Hinkley Point, secondo alcuni articoli del Financial Times, non costerà più 16 miliardi di sterline come preventivato un anno fa da EDF ma oltre un terzo in più: 24,5 miliardi di pound (cioè circa 31,7 miliardi di euro). La cifra iniziale di 16 miliardi, ha fatto sapere EDF, era in valuta 2012 e non comprendeva i costi del capitale e altri costi di preliminari. Da qui si evince che il sostegno pubblico per la costruzione del predetto impianto nucleare sia fondamentale;
   è stata diffusa la notizia riportata peraltro anche dal quotidiano online Qualenergia, che sull'aiuto di Stato britannico per la centrale di Hinkley Point il Governo austriaco abbia annunciato di fare ricorso contro la decisione della Commissione europea che ad ottobre 2014 aveva dato il via libera al sostegno pubblico di Londra per la nuova centrale da 3,3 GW, che nei programmi al 2023 dovrebbe fornire il 7 per cento del fabbisogno elettrico del Paese;
   lo Stato austriaco si appellerà contro l'aiuto britannico «perché non considera il nucleare una tecnologia sostenibile né in termini ambientali né in termini economici». E, secondo alcune agenzie stampa, il direttore del Ministero dell'ambiente austriaco, Andreas Molin aggiunge: «Se si accetta l'argomento che Hinkley Point sia un “fallimento di mercato” – come scritto nella decisione della Commissione sul via libera agli aiuti – lo strumento si potrebbe applicare a tutte le altre tecnologie per la produzione elettrica, probabilmente anche alle altre forme di conversione dell'energia e forse anche al di fuori del settore energetico. Pensiamo che la cosa riguardi ogni singolo mercato». All'azione austriaca potrebbero accodarsi — stando ad indiscrezioni del Guardian – anche il Lussemburgo e un altro Stato membro anche perché i trattati comunitari europei non giustificano un aiuto come quello britannico, essendo difficile dimostrare l'interesse comune dell'Unione nella costruzione di un reattore atomico nel Regno Unito –:
   se il Governo italiano sia a conoscenza della vicenda e se non intenda valutare l'opportunità di fare ricorso, come già fatto dal Governo federale austriaco, contro la decisione della Commissione europea che autorizzò in autunno nonostante la precaria sostenibilità finanziaria del progetto, il sussidio pubblico pluridecennale alla costruzione della centrale nucleare di Hinkley Point nel Regno Unito. (4-08414)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GIAMMANCO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   numerosi media, blog e organi di stampa in Turchia e in alcuni Paesi europei riportano la notizia di un nuovo cosiddetto «rifugio per animali» a Istanbul. In realtà questa struttura non sarebbe volta alla custodia di animali, ma all'eliminazione di massa di decine e decine di migliaia di cani;
   i cani verrebbero rinchiusi in spazi di 0,5 metri quadrati, senza spazio per muoversi, stazionando nei propri escrementi, senza assistenza veterinaria, senza cibo, in attesa di una morte che può definirsi liberatoria, al termine di questa detenzione;
   l'edificio è costruito in cemento e acciaio, senza riscaldamento, senza luce, senza riparo dalle intemperie e senza possibilità di ombra o copertura dal sole;
   questo vero e proprio campo di sterminio si trova a 3 chilometri di distanza dal nuovo terzo ponte sul Bosforo, nella periferia di Istanbul, e include 2 forni crematori;
   a Istanbul vivono circa 200.000 cani randagi; non si conoscono con precisione le procedure adottate per la soppressione di questi animali;
   la costruzione e la manutenzione di questo campo risulterebbe molto costosa, ma si può ragionevolmente ritenere che con l'aiuto di volontari ed associazioni, attraverso, ad esempio, l'adozione di una preventiva campagna di sterilizzazione dei cani randagi, si sarebbero dovuto sostenere costi inferiori o, addirittura, non sarebbe stata necessaria la realizzazione di una simile struttura;
   considerando la forte rilevanza economica del turismo, non solo italiano, verso la Turchia, in particolare verso la città di Istanbul e le sue ricchezze storiche e culturali, questa forma brutale e barbara di eliminazione di cani randagi non può non influire sulla reputazione della città turca;
   questa iniziativa ricorda da vicino quanto accaduto ormai un secolo fa sempre a Istanbul, quando migliaia di cani randagi vennero raccolti e lasciati crudelmente morire su un'isola del Mar di Marmara –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga opportuno procedere ad una segnalazione formale nei confronti del Governo della Turchia, per porre fine ai trattamenti crudeli a cui sarebbero sottoposti i cani randagi di Istanbul, rinchiusi nella struttura citata, anche in considerazione dell'importante flusso turistico italiano diretto verso le località turche, in vista della prossima stagione turistica estiva. (5-05027)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DISTASO, ALTIERI e FUCCI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   dall'11 marzo 2015 quattro pescatori della marineria di Mola di Bari – il comandante Pietro Di Lorenzo, il responsabile di macchina Angelo Scognetti e i due marinai Sante Pietanza e Angelo Lapresentazione – sono trattenuti a Valona (Albania) per un presunto, sconfinamento delle acque territoriali che sarebbe avvenuto durante l'attività di pesca;
   notizie di stampa delle ore successive a quanto accaduto riportano che il console d'Italia a Valona si sarebbe recato al porto per fare chiarezza sulla vicenda e per assicurarsi riguardo alle condizioni dei marittimi;
   anche alla luce dei buoni rapporti intercorrenti tra Italia e Albania, è importante che il Governo segua con attenzione questa vicenda perché si arrivi a una positiva conclusione –:
   quali siano le prime informazioni di cui il Ministro disponga in merito all'episodio di cui in premessa;
   quali siano stati gli elementi in merito raccolti in loco da parte del console d'Italia a Valona;
   quali iniziative stia assumendo sulla base delle informazioni e degli elementi così raccolti. (4-08416)


   SCAGLIUSI, SIBILIA e SPADONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   le rappresentanze diplomatiche, gli uffici consolari e gli istituti italiani di cultura sono uffici all'estero del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, come da articolo 130 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 che qui si riporta: «Gli uffici all'estero comprendono: le rappresentanze diplomatiche, che si distinguono in Ambasciate e Legazioni, denominate negli articoli seguenti Missioni diplomatiche, e in rappresentanze permanenti presso Enti o Organizzazioni internazionali; gli uffici consolari, che si distinguono in uffici consolari di I e di II categoria; gli istituti italiani di cultura»;
   l'attività per promozione dell'Italia all'estero svolta dalle rappresentanze diplomatiche, dagli uffici consolari e dagli istituti italiani di cultura mira a stabilire ed intrattenere relazioni con le autorità, il corpo diplomatico e gli ambienti locali, a sviluppare iniziative e contatti di natura politica, economico-commerciale e culturale nell'interesse del sistema Paese, ad accedere a fonti di informazione e a tutelare le collettività italiane all'estero, come stabilito dal decreto-legge n. 66 del 2014 entrato in vigore il 24 aprile 2014 e convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, che ha pertanto profondamente modificato il decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 in materia;
   l'articolo 16-bis del decreto-legge n. 66 del 2014 prevede la ripartizione tra «gli uffici all'estero» del Ministero come chiaramente definito nel comma 2 che qui si riporta: «2. Per le attività di cui al comma 1 è istituito un fondo nello stato di previsione del Ministero degli affari esteri, da ripartire tra gli uffici all'estero con uno o più decreti del Ministero degli affari esteri, da comunicare, anche con evidenze informatiche, al Ministero dell'economia e delle finanze, tramite l'Ufficio centrale del bilancio, nonché alla Corte dei conti.»;
   per dare attuazione al decreto-legge n. 66 del 2014 l'Amministrazione degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha emanato la circolare n. 2 del 26 settembre 2014, a firma del segretario generale, avente ad oggetto «Attività per la promozione dell'Italia», nella quale, definendo le modalità di erogazione del fondo, si individuano esclusivamente negli ambasciatori i soggetti destinatari delle risorse economiche e si lascia alla discrezionalità dei medesimi l'eventuale assegnazione ad altro personale della gestione di tali fondi;
   tale modalità di assegnazione regolata dalla circolare incrementa al livello massimo la discrezionalità della figura posta al vertice della missione dello Stato italiano nel Paese estero nella ripartizione delle risorse, essendo l'ambasciatore legittimato fra l'altro a non consentire alcun rimborso delle attività promozionali di consoli o di direttori di istituti di cultura, e ad autorizzare spese per le attività promozionali gestite in proprio dall'ambasciatore medesimo nella sua residenza solo sulla base di forfait, senza ulteriore documentazione di riscontro come fatture o ricevute o scontrini fiscali;
   a quanto consta agli interroganti nessun dato amministrativo-contabile in merito alle spese promozionali previste dal decreto-legge n. 66 del 2014 risulta al momento pubblicato sul sito web del Ministero né su quelli delle sedi all'estero né sul sito soldipubblici.gov.it;
   l'organo di informazione Il Fatto Quotidiano online ha pubblicato il giorno 28 febbraio 2015 un articolo concernente l'attività del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale in cui si affermava che «grazie alla nuova legge sull'attività promozionale dell'Italia all'estero (i commi 1 e 2 dell'articolo 16-bis del decreto-legge n. 66 del 2014 per l'abolizione dell'assegno individuale di rappresentanza) l'ambasciatore disporrà a sua discrezione di un notevole gruzzolo di denaro per cene, cocktail, feste e acquisti alimenti e bevande secondo la sua volontà senza altro controllo»;
   fin dall'inizio dell'incarico, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha dichiarato la volontà di rendere trasparenti tutte le spese degli enti pubblici, anche come modo per combattere la corruzione utilizzando il canale web come strumento essenziale di comunicazione civica e di trasparenza delle pubbliche amministrazioni –:
   come si concili l'assegnazione delle risorse finanziarie alla discrezionalità dei soli ambasciatori prevista dalla circolare interna con la normativa vigente e segnatamente con l'articolo 16-bis del decreto-legge n. 66 del 2014 che prevede la ripartizione tra gli uffici all'estero, cioè ambasciate, consolati e Istituti di cultura;
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per dare trasparenza alle spese effettuate e per misurarne l'efficacia nei termini delle finalità previste dal decreto-legge n. 66 del 2014 nonché quando sarà possibile consultare sul web i dati relativi alle spese per la promozione dell'Italia. (4-08421)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 1996 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 13 settembre 1996, n. 215, istituisce l'ente parco nazionale dell'arcipelago di La Maddalena, ai sensi dell'articolo 9, comma 1, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 «Legge quadro sulle aree protette»;
   l'ente parco ha personalità di diritto pubblico, è sottoposto alla vigilanza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e ne sono organi: il presidente, il consiglio direttivo, la giunta esecutiva, il collegio dei revisori dei conti e la comunità del parco;
   il decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 73 «Regolamento recante riordino degli enti vigilati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a norma dell'articolo 26, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133» ha modificato la normativa in materia dettata dalla succitata legge quadro n. 394 del 1991 e ha ridotto il numero dei componenti del consiglio direttivo da dodici a otto (articolo 1, comma 1);
   l'articolo 1 dello statuto dell'ente parco nazionale dell'arcipelago di La Maddalena – secondo quanto disposto dall'articolo 9, comma 8-bis, e seguenti della legge n. 394 del 1991 – assegna alla comunità del parco un ruolo consultivo e propositivo ed attribuisce alla stessa il compito di deliberarne il piano pluriennale economico e sociale;
   la comunità del parco è a sua volta costituita da tre enti: la regione autonoma della Sardegna, la provincia di Olbia Tempio ed il comune di La Maddalena;
   ogni cinque anni, la RAS trasmette le nomine al Ministro interrogato per il decreto di nomina;
   il decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 73, all'articolo 1, comma 1, primo capoverso, prevede che «il Consiglio Direttivo è formato dal Presidente e da otto componenti nominati con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare entro 30 giorni dalla comunicazione della rispettiva designazione. Il Ministro procede alla nomina sentite le regioni interessate che si esprimono entro e non oltre 30 giorni dalla data della richiesta. Decorso inutilmente detto termine il Ministro procede egualmente alla nomina dei soggetti designati»;
   l'attuale presidente della regione Sardegna ha convocato la comunità del parco, composta da regione, provincia Olbia/Tempio e comune di La Maddalena, al fine di designare, di concerto, quattro nominativi;
   il comune di La Maddalena è interessato fra meno di due mesi alla prossima competizione elettorale amministrativa di maggio 2015;
   il sindaco uscente, quasi a scadenza di mandato, ha designato due componenti della comunità del parco in quota al proprio comune, quali il coniuge di un assessore ed il suo segretario particolare uscente, rischiando di non rispondere alle esigenze della propria collettività per i prossimi cinque anni a fronte del futuro risultato elettorale di maggio 2015;
   la legge 20 luglio 2004, n. 215, dispone norme sul conflitto di interessi che, pur non perseguendo l'intento vero e proprio di imporre l'incompatibilità delle cariche di governo con quella di parenti incardinati in qualsivoglia altra carica politica, ha avuto lo scopo, come si legge sin dal primo disegno di legge (A.C. 1707, XIV legislatura), di far prevalere, sotto il profilo etico, il munus publicum su qualsiasi altra ipotesi di conflitto rilevante, così da impedire che sul responsabile svolgimento dell'attività di Governo possa pesare il sospetto di un esercizio non imparziale;
   nella stessa disposizione è previsto che sussista un conflitto di interessi qualora il titolare di cariche governative partecipi alla formazione di un atto o ometta un atto dovuto che abbia un'incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio non solo del titolare, ma anche del coniuge o dei parenti entro il secondo grado, ovvero delle imprese o società da essi controllate, secondo quanto previsto dall'articolo 7 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (articolo 3), conflitto che vale allo stesso modo anche quando si assumano atti o comportamenti aventi per oggetto o per effetto quello di costituire o mantenere una posizione dominante in favore dei medesimi familiari e delle loro imprese e società (articolo 4, comma 3);
   è fin troppo evidente che per analogia e comparazione di diritto la nomina del coniuge di un esponente di un esecutivo comunale a far parte di un ente (in questo caso l'ente parco) di cui lo stesso comune è soggetto costituente, di indirizzo e di controllo fa emergere a giudizio dell'interrogante vari profili di incompatibilità familiare, più recentemente messi a punto, laddove è stata riconosciuta e regolata la situazione della «convivenza», accanto a quella, ormai sufficientemente consolidata, del coniugio, della parentela e dell'affinità (che, peraltro, non si spinge mai oltre al quarto grado e, quindi, al cugino dell'interessato o del coniuge del medesimo) –:
   se non ritenga di dover sottoporre ad attenta valutazione, prima di qualsiasi fase decretativa finale, le nomine proposte al fine di evitare casi palesi ed evidenti di incompatibilità quantomeno familiare, considerata l'indicazione di persone attigue e incardinate alle dirette dipendenze funzionali del sindaco;
   se non ritenga di dover soprassedere alla ratifica delle nomine per consentire alla futura amministrazione di La Maddalena di poter svolgere a pieno titolo il ruolo di indirizzo verso l'ente parco senza pregiudicare tale funzione con nomine di fine mandato che appaiono all'interrogante dubbie sul piano della legittimità e gravi su quello morale, etico e politico;
   se non ritenga corretto e doveroso rinviare il decreto di nomina della comunità del parco nazionale dell'arcipelago di La Maddalena, a conclusione della consultazione elettorale al fine di consentire alla comunità del parco di designare i componenti del parco, in relazione alle proprie quote, al fine di individuare i componenti effettivamente rappresentativi della comunità di La Maddalena per i prossimi cinque anni. (4-08423)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CANCELLERI e PESCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 192 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 11 del 2015, cosiddetto «milleproroghe», ha nuovamente aperto i termini per la richiesta di un nuovo piano di rateazione per il pagamento delle somme iscritte a ruolo, fino a un massimo di 72 rate, a condizione che la decadenza sia intervenuta entro il 31 dicembre 2014 e che la relativa richiesta sia presentata non oltre il 31 luglio 2015;
   la norma ripropone, nella sostanza, quanto già sperimentato con l'articolo 11-bis del decreto-legge n. 66 del 2014, che aveva consentito ai debitori decaduti entro il 22 giugno 2013 di presentare domanda di concessione di un nuovo piano di rateazione entro il 31 luglio 2014;
   così come per la precedente riapertura di termini, il nuovo piano di rateazione non è prorogabile, essendone altresì prevista la decadenza con il mancato pagamento di sole due rate, anche non consecutive: ciò diversamente da quanto previsto dalla disciplina ordinaria, in virtù della quale la decadenza si verifica con il mancato pagamento di otto rate complessive;
   la facoltà è concessa per le dilazioni di pagamento (di cui all'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973), relative a tutte le somme iscritte a ruolo e in carico presso l'agente della riscossione;
   si ritiene che la nuova possibilità sancita dal decreto-legge «milleproroghe» sia applicabile alle precedenti dilazioni straordinarie, richieste in applicazione del decreto-legge n. 66 del 2014;
   sul punto, però sarebbe auspicabile un chiarimento ufficiale: infatti, sembrerebbe che Equitalia intenda interpretare in maniera restrittiva la disposizione di cui al decreto legge «milleproroghe», negando la rateazione per i contribuenti già decaduti da precedenti dilazioni straordinarie richieste in applicazione dell'articolo 11-bis del decreto-legge n. 66 del 2014;
   se così fosse, la portata applicativa e la stessa utilità della disposizione verrebbe gravemente compromessa dal momento che la misura di cui al «milleproroghe» era diretta, per l'appunto, a favorire soprattutto la rimessione in termini dei contribuenti decaduti dalla dilazione straordinaria di cui al decreto-legge n. 66 del 2014 –:
   se confermi l'orientamento restrittivo del concessionario Equitalia e se non ritenga opportuno, in ogni caso, intervenire con una circolare ministeriale interpretativa al fine di chiarire che il beneficio di cui all'articolo 10, comma 12-quinquies, del decreto-legge n. 192 del 2014 si intende esteso anche ai contribuenti già decaduti dalle dilazioni straordinarie concesse in applicazione dell'articolo 11-bis del decreto-legge n. 66 del 2014, in attuazione e in armonia con la ratio legis della citata disposizione di cui al decreto-legge n. 192 del 2014. (5-05026)


   CARIELLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nella Legge di Stabilità del 23 dicembre 2014 n. 190 al comma 246 dell'articolo 1, si prevede che «Al fine di consentire di allungare il piano di ammortamento dei mutui e dei finanziamenti per le famiglie e le micro e piccole medie imprese individuate dalla raccomandazione 2003/361/CE della Commissione, del 6 maggio 2003, il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministero dello sviluppo economico, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e previo accordo con l'Associazione bancaria italiana e con le associazioni dei rappresentanti delle imprese e dei consumatori, concordano senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, tutte le misure necessarie al fine di sospendere il pagamento della quota capitale della rete per gli anni dal 2015 al 2017»;
   norma che, nella seduta del 26 novembre 2014, della Commissione V (Camera) Bilancio, Tesoro e Programmazione in sede referente veniva approvata con parere favorevole del Governo e sottoscritta da colleghi di diverse forze politiche;
   la ratio della disposizione di legge è di istituire a favore delle micro e piccole medie imprese e famiglie, titolari di mutui e finanziamenti, il diritto di sospendere il pagamento della quota capitale delle rate dei mutui e dei prestiti per il prossimo triennio, al fine di rendere il ricorso a tale possibilità il più generale e immediato possibile. La misura vuole rappresentare una vera e concreta «boccata di ossigeno» sia per le PMI che, ulteriore novità, per le famiglie alle prese con gli effetti nefasti della crisi con la finalità puntuale di fermare la moria di imprese causata proprio dalle banche che potrebbero, invece, trasformarsi in un importante fattore di sviluppo per l'intera economia. Esiste però un altro obiettivo, ancor più ambizioso, ed è quello di rilanciare l'economia nel suo complesso. Infatti, così com’è stata concepita dal legislatore, non esiste alcun limite alla utilizzabilità di questo strumento pertanto non sarà esclusivamente riservato alle PMI e alle famiglie in difficoltà bensì a «tutti» con l'intento di finanziare in modo indiretto, automatico, immediato e privo di costi burocratici i loro investimenti e consumi contribuendo così ad invertire il trend negativo della recessione. Come prima e immediata conseguenza vantaggiosa è quindi l'alleggerimento della posizione debitoria dei soggetti PMI e famiglie che in un momento congiunturale economico di forte recessione come quello attuale, rappresenta una misura fondamentale per la ripresa economica e quindi per il sostegno della domanda aggregata creando a favore delle PMI e famiglie, in qualità di debitori, il diritto di sospendere la restituzione della quota capitale. Operazione che seppur non sia a costo zero apporta un vantaggioso potenziale in termini di maggiore disponibilità di liquidità nell'immediato che si traduce per le PMI in un aumento di produttività e quindi di profitto, mentre per le famiglie, in un innalzamento della capacità di spesa. Tutto ciò rende la norma, un'importante strumento di rilancio dell'economia nel suo complesso i cui vantaggi si possono sintetizzare come di seguito si evidenzia. Dal lato delle PMI e famiglie: pur rimanendo obbligate al pagamento degli interessi, le PMI e le famiglie avranno diritto, previa richiesta, alla sospensione del pagamento della sola quota capitale; pur non estinguendosi il debito con l'istituto di credito concessionario del mutuo e/o dei prestiti il debitore avrà la possibilità di allungare i tempi di pagamento; sarà accessibile a tutte le categorie di PMI e famiglie senza alcun limite di reddito; mentre per gli istituti di credito: il miglioramento della redditività in quanto gli interessi passivi sui mutui e prestiti aumenterebbero in funzione dello slittamento nel tempo, comportando così il sostegno della patrimonializzazione degli intermediari creditizi stessi; la riduzione del numero di crediti in sofferenza, che lo diventerebbero solo in caso di mancata corresponsione degli interessi, e della loro tossicità essendo così un collaterale migliore da offrire alla BCE per la concessione di prestiti. Sostanzialmente, in termini macroeconomici, una volta resa efficace genererà una maggiore crescita di almeno un punto percentuale, quindi un fondamentale impulso all'economia reale del nostro Paese;
   importante e significativo è stato l'eco mediatico della norma de quo e numerose sono, dall'entrata in vigore della legge di stabilità ad oggi, le richieste che provengono non solo da micro e piccole medie imprese ma anche da associazioni di imprese e categorie di interesse nonché singoli cittadini, padri di famiglia che non riescono ad assolvere ai loro impegni di spesa mensilmente, che attendono con speranza l'inizio dell'applicazione della «sospensione della quota capitale» chiedendone notizie positive a riguardo;
   si avvicina lo scadere dei 90 giorni dall'entrata in vigore della norma, in cui il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministero dello sviluppo economico, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e previo accordo con l'Associazione bancaria italiana e con le associazioni dei rappresentanti delle imprese e dei consumatori, concordano senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, tutte le misure necessarie al fine di sospendere il pagamento della quota capitale della rete per gli anni dal 2015 al 2017 –:
   se, nell'arco di tempo ex lege, ancora in corso, abbia posto in essere tutte le attività necessarie al fine di addivenire, entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge n. 190 del 2014 ad un accordo con le parti interessate citate dalla norma de quo, quali Associazione banche italiane, Associazioni rappresentanti delle imprese e dei consumatori, per rendere attuativa la norma;
   quali iniziative concrete intenda adottare al fine di dare piena attuazione della misura e quindi rendere effettivo il comma 246 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014, entro il termine di legge, nel pieno rispetto della ratio della stessa normativa, come in premessa, al quale il Governo si è impegnato in questa sede ad ottemperare. (5-05029)


   VALIANTE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale amministrazione comunale di Camerota, con atto deliberativo n. 6 del 14 marzo 2013, si è avvalsa dei benefici normativi di cui al riequilibrio finanziario ex articoli 4 e 5 del decreto-legge 10 ottobre 2012 n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 213 del 2012, che si ricorda va approvato entro un determinato arco temporale e nel corso del quale l'Ente è tenuto a rispettare e a dare corso a quanto in esso preventivato;
   da quella data non è dato conoscere l'esito della procedura invocata, benché il competente Ministero dell'interno – dipartimento per gli affari interni e territoriali – direzione centrale della finanza locale abbia sollecitato all'Ente il completamento dei provvedimenti per la definitiva istruttoria e dalla lettura degli atti amministrativi, risulterebbe che la condotta della intera gestione dell'Ente non sia in linea con i rigori di cui al piano di riequilibrio proposto;
   a tanto, si aggiunge che sin dalla data di insediamento dell'attuale amministrazione comunale vari sono stati gli esposti e le segnalazioni di irregolarità amministrativa e contabile inoltrati sia alla procura della Corte dei conti delegazione regionale per la Campania, sia agli altri organismi di controllo territorialmente competenti;
   solo a titolo puramente indicativo sono state segnalate irregolarità relative all’iter procedurale di assunzione – ex articolo 110 Tuel – per il responsabile dell'aree amministrativa del comune. Altre irregolarità sono state inoltre segnalate relativamente all'approvazione dei bilanci di previsione per le annualità 2012-2013-2014 e per i rispettivi conti consuntivi per le annualità 2012-2013.
   l'intera gestione amministrativa dell'Ente si caratterizza per la:
    1) mancata esibizione di atti più volte rimarcata con solleciti;
    2) mancato deposito degli atti propedeutici all'approvazione del bilancio;
    3) non veridicità di alcune risorse finanziarie iscritte in bilancio;
    4) mancata indicazione dei debiti fuori bilancio;
    5) determine di liquidazione e pagamenti di transazione per debiti fuori bilancio che si presentano carenti sul piano dell'istruttoria;
   ogni richiesta formale di integrazione di documentazione e chiarimento rivolta agli organismi di controllo interno, quali il responsabile del servizio finanziario e il revisore unico dei conti, il più delle volte rimane inevasa –:
   si attende la definizione e il pronunciamento sulla richiesta di riequilibrio finanziario pluriennale da parte della Corte dei conti – sezione regionale di controllo per la Campania;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano intraprendere, congiuntamente, in relazione a tale grave perdurante situazione di irregolarità amministrativa e contabile e si intendano rendere note le determinazioni assunte dagli organi governativi di vigilanza; in particolare, se sia stata promossa o si intenda promuovere una verifica da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica della Ragioneria generale dello Stato con riferimento a quanto esposto in premessa. (5-05038)


   DA VILLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la società SOSE – Soluzioni per il sistema economico spa è una società costituita dal Ministero dell'economia e delle finanze (per l'88 per cento del capitale) e dalla Banca d'Italia (per il restante 12 per cento), in base all'articolo 10, comma 12 della legge n. 146 dell'8 maggio 1998;
   il Ministero dell'economia e delle finanze rientra a pieno titolo nell'elencazione di amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, presupposto per l'applicazione della normativa sulla «prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione» di cui alla legge 6 novembre 2012, n. 190, e di cui al recente decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, e successive modificazioni. L'articolo 11, comma 2, di quest'ultimo decreto estende poi, pur parzialmente, il perimetro di applicazione delle regole sulla trasparenza «agli enti di diritto privato in controllo pubblico»;
   operativa dal 1999, SOSE spa svolge attività relative alla realizzazione e all'aggiornamento degli studi di settore, alla determinazione dei fabbisogni standard in attuazione del federalismo fiscale, nonché ogni altra attività di analisi strategica dei dati e di supporto metodologico all'amministrazione finanziaria in materia tributaria e di economia d'impresa;
   per il raggiungimento di questi obiettivi, la SOSE spa ha attivato una serie di consulenze e collaborazioni a progetto con vari esperti, che dovrebbero coadiuvare il suo personale dipendente;
   nonostante quanto affermato nella pagina web dedicata al «lavora con noi», da un attento controllo sembrerebbe che SOSE pubblichi solo saltuariamente bandi e/o avvisi, e più frequentemente soltanto qualche informazione succinta sui profili professionali ricercati. Non pare procedere, inoltre, alla pubblicazione delle graduatorie delle selezioni espletate e, infine, non sembra esservi certezza in ordine alla remunerazione degli incarichi poiché, per ogni profilo richiesto, campeggia una dicitura dal seguente tenore: «il corrispettivo economico sarà commisurato all'esperienza e alle conoscenze effettive del candidato». La società pare quindi riservarsi ampi margini discrezionali nelle modalità di scelta delle risorse umane, nella loro valutazione e nella loro remunerazione. Ciò, però, sembra all'interrogante contraddire le norme che estendono alle società strumentali gli stessi obblighi previsti per le assunzioni da parte dell'amministrazione controllante (articolo 4, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95) come l'obbligo di procedure a evidenza pubblica, il rispetto dei princìpi di adeguata pubblicità, imparzialità, pari opportunità (articoli 35-36 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165);
   fino a qualche settimana dopo la data di presentazione, da parte dell'interrogante, di una precedente interrogazione ancora priva di risposta, la n. 5-04259 presentata nella seduta numero 347 del 10 dicembre 2014, successivamente al quale un repentino profondo e quanto mai opportuno aggiornamento del sito istituzionale di SOSE spa, nella sezione «Amministrazione Trasparente» del sito medesimo mancava non solo la sotto-sezione «organizzazione», di cui all'articolo 13, comma 1, del decreto legislativo n. 33 del 2013, ma risultava altresì completamente assente la sotto-sezione «consulenti e collaboratori» di cui all'articolo 15, comma 1, del decreto legislativo n. 33 del 2013. Tale deficit avrebbe dovuto comportare peraltro l'inefficacia degli atti di conferimento degli incarichi a quel tempo già affidati (comma 2), l'applicazione di una sanzione pari al corrispettivo pagato, in relazione agli incarichi attribuiti, nei confronti del dirigente che ha disposto il loro pagamento (comma 4) e infine l'avvio del procedimento sanzionatorio di cui all'articolo 46;
   come riportato dalla stampa locale del Veneto, in un convegno, organizzato dall'ANCI Veneto, sul tema de «I Costi standard e l'impatto nei bilanci dei Comuni Veneti» era presente, con l'esplicita qualità di consulente SOSE spa, l'onorevole Marco Stradiotto;
   fino a quando, a cavallo tra 2014 e 2015, una prima e ancora incompleta compilazione della sottosezione «consulenti e collaboratori» non è andata a integrare la precedentemente lacunosissima sezione «Amministrazione Trasparente» del sito istituzionale di SOSE spa, non si aveva contezza ufficiale che Marco Stradiotto ne fosse consulente. Si è dovuto attendere il recente aggiornamento del sito istituzionale per sapere che tale rapporto, definito con contratto a progetto, dovrebbe essere decorso dal 3 febbraio 2014 al 31 dicembre 2014;
   i dati relativi ai collaboratori e ai consulenti di SOSE finora pubblicati, che (in base al sottotitolo «Collaborazioni e Consulenze anno 2014») riguarderebbero rapporti costituiti o in essere nell'anno 2014, sono corredati dalle date di sottoscrizione del contratto, dalla forma di collaborazione, dalla durata del rapporto, e dall'attività o ambito progettuale di impiego. Non sono ad oggi presenti i curriculum vitae dei collaboratori, né vi sono indicazioni relative ai loro compensi. Manca qualsiasi riferimento ai criteri di assegnazione dell'incarico e in particolare alla valutazione comparativa di altre candidature, e men che meno a eventuali graduatorie;
   scorrendo l'elenco in questione, come detto mancante del riferimento a curriculum e corrispettivi, appaiono, tra gli altri, i nominativi di Marco Stradiotto, in possesso di diploma tecnico in agraria, e quello della ragioniera Annalisa Scroccaro, assegnataria di un contratto a progetto per una collaborazione la cui durata è indicata dal 10 febbraio 2014 al 31 dicembre 2014;
   prima di diventare consulente esterno per SOSE spa, il signor Stradiotto è stato, nell'ordine: sindaco di Martellago (Venezia) dal 1992 al 2003, deputato della XIV legislatura dal 2001 al 2006, consigliere del Ministro per l'attuazione del programma da maggio 2006 ad aprile 2007, Sottosegretario allo sviluppo economico dal 24 aprile 2007 al 8 maggio 2008, senatore della XVI legislatura e segretario provinciale del PD di Venezia, incarico che ricopre tuttora;
   la ragioniera Scroccaro è dipendente del Comune di Martellago (Venezia), nel quale risulta responsabile dell'ufficio tributi, ruolo che ha ivi ricoperto anche nel periodo in cui lo Stradiotto fu sindaco di Martellago stessa;
   SOSE spa, nella pagina web dedicata al suo «team» lavorativo, afferma che l'azienda avrebbe «deciso di investire sulla squadra, distinguendosi per l'alta professionalità delle proprie risorse» e poi ancora che essa «attualmente, combina un variegato mix di risorse con competenze metodologiche in ambito statistico, analisti economici e di business, architetti di datawarehousing e di business intelligence, data scientist, nonché informatici con uno spiccato know how tecnologico». Rispetto a questo altisonante bouquet di qualifiche esperte, alcuni parametri curriculari noti relativi ai collaboratori suindicati destano allo scrivente qualche perplessità, o quanto meno fanno avvertire l'esigenza di un supplemento di informazioni atto a soppesare la effettiva idoneità all'incarico –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti in premessa, quale tipo di procedura sia stata utilizzata per giungere ad affidare l'incarico di consulente al signor Marco Stradiotto e alla signora Annalisa Scroccaro, a quanto ammonti il loro compenso, quali siano state le candidature alternative vagliate per i rispettivi incarichi, quale sia stata l'eventuale graduatoria finale;
   se il Ministro non ritenga che, data la mancata pubblicazione nell'apposita sezione «Amministrazione Trasparente» del sito di SOSE spa entro i termini previsti dall'articolo 15, comma 4, del decreto legislativo n. 33 del 2013, e la mancanza a tutt'oggi perdurante, dei dati richiesti ai sensi delle lettere b) e d) del comma 1 del medesimo articolo, gli incarichi conferiti non siano da dichiarare inefficaci ai sensi comma 2 del medesimo articolo, con irrogazione delle sanzioni, previste al comma 3, a carico del o dei dirigenti che li hanno conferiti;
   se il Ministro non ritenga di intervenire sulla propria controllata SOSE spa acciocché siano pubblicati sul sito istituzionale della stessa i dati relativi alle collaborazioni e consulenze relative all'anno 2015;
   se la prassi seguita da SOSE spa sia da ritenersi pienamente rispettosa della normativa vigente per l'assunzione di nuovo personale e l'assegnazione di consulenze professionali e/o contratti di collaborazione;
   se il Ministro non ritenga di intervenire sulla propria controllata acciocché, in riferimento non solo al 2014 ma al periodo precedente e successivo, siano resi pubblici da SOSE spa i profili curriculari di ogni consulente, il corrispettivo degli incarichi di collaborazione e consulenza affidati e il numero di rinnovi a oggi eventualmente effettuati per ciascun consulente o collaboratore, nonché le modalità d'impiego di ogni singolo consulente in riferimento ai tempi di lavoro, alla sede in cui viene svolto o elaborato il progetto, agli obiettivi assegnati e ai risultati prodotti;
   se il Ministro non ritenga di intervenire acciocché siano resi pubblici da SOSE spa l'elenco dei clienti e l'ammontare dei ricavi provenienti dal settore pubblico e privato, nonché la modalità di acquisizione dei lavori o progetti in ambito pubblico. (5-05039)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OTTOBRE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia delle entrate svolge l'attività di riscossione «coattiva» dei tributi in mancanza del pagamento spontaneo del contribuente tramite la società per azioni «Equitalia», presente su tutto il territorio nazionale (tranne in Sicilia) con tre «agenti della riscossione»: Equitalia Nord, Equitalia Centro, Equitalia Sud;
   le somme che risultano dovute a seguito dei controlli, di qualsiasi tipo, e degli accertamenti effettuati dall'amministrazione finanziaria vengono iscritte a ruolo, il ruolo viene trasmesso agli agenti della riscossione che provvedono alle seguenti operazioni: predisposizione e notifica delle cartelle, riscossione delle somme e riversamento nelle casse dello Stato e degli altri enti impositori e avvio dell'esecuzione forzata, in caso di mancato pagamento;
   in caso di mancato pagamento, da parte del contribuente, delle cartelle entro 60 giorni dalla data di notifica, sulle somme iscritte a ruolo sono dovuti gli interessi di mora per ogni giorno di ritardo, nonché l'intero compenso dovuto all'agente della riscossione (calcolato sul capitale e sugli interessi di mora) e tutte le eventuali ulteriori spese derivanti dal mancato (o intempestivo) pagamento della cartella; trascorso questo termine, l'agente della riscossione può avviare azioni cautelari e conservative e le procédure per la riscossione coattiva su tutti i beni del creditore e dei suoi coobbligati (come, per esempio, il fermo amministrativo di beni mobili registrati e il pignoramento dei beni);
   se il contribuente ritiene illegittimo o infondato un atto emesso nei suoi confronti (ad esempio avviso di liquidazione o di accertamento, cartella di pagamento), può rivolgersi alla commissione tributaria provinciale per chiederne l'annullamento totale o parziale;
   per tutte le liti tributarie esistono due gradi di giudizio di merito: in primo grado, dinanzi alla commissione tributaria provinciale territorialmente competente, si può ricorrere contro gli atti emessi dagli uffici delle entrate, delle dogane, dagli enti locali e contro le cartelle di pagamento e i provvedimenti emessi dagli agenti della riscossione, oppure in appello, dinanzi alla commissione tributaria regionale, si può proporre impugnazione per le sentenze emesse dalle commissioni tributarie provinciali; contro le sentenze della commissione tributaria regionale è possibile ricorrere per Cassazione;
   dinanzi alla Commissione tributaria centrale (soppressa dalla riforma del 1992, entrata in vigore il 1o aprile 1996) continuano ad essere decisi i giudizi già proposti alla data del 1o aprile 1996, fino ad esaurimento delle liti pendenti; le sezioni della commissione tributaria centrale hanno sede presso ciascuna commissione tributaria regionale e presso le commissioni tributarie di secondo grado di Trento e di Bolzano;
   il processo tributario inizia con la proposizione del ricorso alla competente commissione tributaria provinciale, che va notificato all'ufficio che ha emanato l'atto impugnato entro 60 giorni dalla data in cui il contribuente ha ricevuto il medesimo atto; entro 30 giorni dalla data in cui ha provveduto alla notifica del ricorso, il contribuente deve costituirsi in giudizio, cioè deve depositare o trasmettere alla commissione tributaria copia del ricorso, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale;
   il ricorso non esenta il contribuente dal versamento, anche se provvisorio e in alcuni casi parziale, delle somme richieste con l'atto impugnato; se il ricorso viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto stabilito dalla sentenza della commissione deve essere rimborsato d'ufficio, con i relativi interessi, entro 90 giorni dalla notificazione della sentenza;
   la proposizione del ricorso non sospende gli effetti giuridici dell'atto impugnato, tuttavia, il ricorrente ha facoltà di chiedere alla commissione tributaria competente la sospensione dell'atto impugnato (ad esempio, avviso di accertamento o cartella di pagamento), mediante la proposizione di un'apposita istanza, qualora ritenga che dall'atto gli possa derivare un danno grave e irreparabile; se la Commissione concede la sospensione, gli effetti permangono fino alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado; se la sospensione riguarda un atto di recupero di aiuti di Stato, gli effetti cessano dopo sessanta giorni, salvo conferma da parte della Commissione, su istanza di parte, per altri sessanta giorni;
   quando il giudizio è in materia di sanzioni tributarie, la sospensione può essere disposta dalla commissione tributaria regionale, che deve necessariamente concederla se il contribuente produce un'idonea garanzia, anche a mezzo fideiussione bancaria o assicurativa;
   quando si giunge alla sentenza definitiva del processo tributario la sentenza della commissione provinciale può essere appellata alla commissione regionale competente; le sentenze pronunciate in grado d'appello possono essere impugnate con ricorso per Cassazione solo per i seguenti motivi: motivi attinenti alla giurisdizione, violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza, violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro, nullità della sentenza o del procedimento;
   quanto ciò premesso stabilisce una tempistica a dir poco utopica, a parere dell'interrogante, per le diverse fasi di ricorso; le sospensioni previste certo non coprono il periodo necessario a pervenire alla sentenza definitiva fino all'ultimo grado di giudizio;
   d'altro canto, ormai sempre più contribuenti ricorrono, giustamente, fino all'ultimo grado di giudizio per vedere riconosciuti errori sempre più spesso imputabili alla scarsa comunicazione delle amministrazioni pubbliche o a malfunzionamenti tecnici vari –:
   se il Ministro non ritenga opportuno valutare, in questo momento di perdurare della crisi economica per le famiglie e per le piccole e medie imprese, la possibilità di una iniziativa normativa atta a prolungare il periodo di sospensione della riscossione delle cartelle esattoriale fino all'ultimo grado di giudizio, sin dalla prima richiesta di sospensione prodotta dal contribuente o dalla commissione tributaria competente. (4-08410)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il custode giudiziario dell'area SIN di Bagnoli-Coroglio, dottor Maurizio Pernice, ha inviato al comune di Napoli un piano d'intervento relativo all'area citata che recepisce precedenti rilievi della procura;
   in tale piano d'intervento vengono identificati in SOGESID (società interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze) ed ISPRA i soggetti che dovranno agire per predisporre le attività pre-bonifica, incluso il bando da mettere successivamente a gara;
   SOGESID ha recentemente pubblicato un bando online per «ricerca urgente di personale in vista di attività future», i cui termini di presentazione delle candidature sono scaduti ai primi di febbraio 2015;
   in particolare, il bando riguardava la ricerca con procedura avente carattere di urgenza di alcuni profili professionali nell'ambito di convenzioni in fase di esecuzione/attivazione per le quali verranno attivati contratti di lavoro subordinato o di collaborazione, ed è disponibile al seguente link (http://www.sogesid.it);
   si tratta, praticamente, di una versione leggermente modificata del piano Bagnoli previsto dalla legge n. 164 dell'11 novembre 2014;
   il comma 13-quater dell'articolo 33 di tale legge prevedeva che il commissario straordinario di Governo (mai nominato), all'esito della procedura di mobilità di cui all'articolo 1, commi 563 e seguenti, della legge n. 147 del 27 dicembre 2013, verificasse i fabbisogni di personale necessari per le attività di competenza del soggetto attuatore ovvero della società da quest'ultimo costituita ed assumesse ogni iniziativa utile al fine di salvaguardare i livelli occupazionali dei lavoratori facenti capo alla società Bagnolifutura alla data della dichiarazione di fallimento;
   verificata, quindi, l'esigenza operativa del curatore e la selezione del personale avviata dalla SOGESID nelle scorse settimane, occorre cogliere nel merito quanto previsto il comma 13-quater in materia di mobilità;
   i dipendenti di Bagnolifutura dal 29 maggio 2014 (data della messa in liquidazione della Bagnolifutura) ad oggi, sono rimasti sospesi o in cassa integrazione;
   solo 5 unità di personale dipendente della STU sono state assorbite recentissimamente (e peraltro con contratto in prova) in una partecipata del comune di Napoli, ASIA;
   le altre ipotizzate assunzioni con lo strumento della mobilità tra partecipate pubbliche non sono ancora operative;
   la SOGESID è alla ricerca di profili professionali tipicamente identificabili tra i dipendenti della Bagnolifutura, i quali hanno competenze e conoscenze più che utili per attuare in tempi rapidi le attività ascritte dal custode giudiziario dell'area –:
   se non si ritenga urgente e doveroso assumere iniziative affinché SOGESID assuma in parte o in tutto i dipendenti della Bagnolifutura ancora in attesa di essere assorbiti, come prevedeva il piano Bagnoli. (4-08411)


   CANCELLERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 2 febbraio 2015 è stata emessa dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la circolare prot. 2533;
   la stessa circolare impone alle agenzie del settore l'uso esclusivo del sistema informatico nazionale, il portale dell'automobilista, gestito da Poste italiane, che consente unicamente il versamento dei diritti su conti correnti intestati al Ministero e non più su quelli della regione;
   questa disposizione, che riguarda ben 1500 imprese, tra studi di consulenza e autoscuole siciliane abilitate al disbrigo delle pratiche automobilistiche, comporta che dal 31 marzo in poi, la Sicilia perderà gradualmente tutte le entrate relative ad immatricolazioni, targhe e passaggi di proprietà e le altre svariate tipologie di operazioni che riguardano auto, motocicli e mezzi pesanti, per un totale che potrebbe arrivare a 40 milioni di euro annui;
   l'intento legittimo del Ministero di prevedere un collegamento al sistema informatico nazionale (Ced) finalizzato ad uniformare le procedure, si è trasformato nell'affluenza nei conti ministeriali di tributi regionali, in contrasto con le prerogative statutarie;
   dopo anni in cui tutte le entrate, sia quelle relative ad operazioni eseguite presso gli uffici della motorizzazione civile sia quelle eseguite da soggetti terzi, erano nel bilancio dell'isola dal 2011, attraverso un aggiornamento della procedura informatica centralizzata, lo Stato si è gradualmente impossessato di ogni somma derivante da tali operazioni;
   il tutto è avvenuto tramite semplici circolari e pareri che non hanno valenza giuridica e quindi in spregio delle prerogative statutarie dell'isola;
   occorre evitare che la Sicilia venga ancora una volta espropriata di proprie risorse economiche necessarie per il buon funzionamento dei servizi pubblici –:
   se i Ministri interrogati non intendano garantire il rispetto delle prerogative della regione siciliana ed emanare una nuova circolare per superare quanto descritto in premessa. (4-08418)


   CANCELLERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa (Invitalia) agisce, su mandato del Governo, per accrescere la competitività del Paese e, in particolare, del Mezzogiorno e per sostenere i settori strategici per lo sviluppo dell'economia;
   in particolar modo, la richiamata Agenzia Invitalia, prevede la concessione di finanziamenti a tasso agevolato, di contributi a fondo perduto e di servizi di assistenza tecnica per tre tipologie di iniziative: «lavoro autonomo, microimprese e franchising»;
   il decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, è l'unico strumento vero per fare impresa e far nascere start up di giovani, l'articolo 15 cita:
   «1. Ai soggetti ammessi alle agevolazioni sono concedibili i seguenti benefici:
    a) contributi a fondo perduto e mutui agevolati per gli investimenti, secondo i limiti fissati dall'Unione europea;
    b) contributi a fondo perduto in conto gestione, secondo i limiti fissati dall'Unione europea;
    c) assistenza tecnica in fase di realizzazione degli investimenti e di avvio delle iniziative»;
   con avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del 24 aprile 2013, «per esaurimento fondi» INVITALIA Spa comunicava l'interruzione della presentazione delle istanze di agevolazione ai benefici previsti dal decreto legislativo n. 185 del 2000 autoimpiego nel Centro-Nord del nostro Paese, lasciando «ex abrupto», senza alcun preavviso, migliaia di imprese e giovani che erano in fase di presentazione della propria istanza, in una situazione di gravissimo danno materiale e morale, senza alcuna ulteriore informazione e/o prospettiva di sorta;
   è stata informalmente prospettata, la prossima chiusura delle medesime agevolazioni previste dal decreto legislativo n. 185 del 2000 autoimpiego, con le medesime modalità, anche nelle regioni del Centro-Sud a far data presumibilmente, dal 30 marzo 2015, per la medesima motivazione di «esaurimento fondi e mancato rifinanziamento» cosa che l'interrogante giudica inaccettabile;
   il decreto legislativo n. 185 del 2000, rappresenta sull'intero territorio nazionale, l'unico strumento di agevolazione finanziaria realmente accessibile a giovani e/o di aspiranti imprenditori, i quali, unicamente dotati delle necessarie competenze e della propria determinazione all'autoimpiego imprenditoriale, possono solo attraverso tale strumento, accedere ai necessari finanziamenti per avviare in autonomia le proprie microattività imprenditoriali;
   paradossalmente, a far data dal 2007, giacciono in Italia circa 20 miliardi di euro di Fondi europei inutilizzati ed a rischio di restituzione, per il mancato utilizzo, per motivazioni che andranno appurate, perseguite e risolte per evitare il persistere di un ulteriore quanto intollerabile cattivo uso di tali risorse ai danni del nostro Paese –:
   se intenda assumere iniziative urgenti e risolutive volte allo sbocco dei Fondi europei inutilizzati e/o altre risorse, da destinare all'immediato rifinanziamento, stabile e strutturale, del decreto legislativo n. 185 del 2000, autoimpiego sull'intero territorio nazionale;
   se intenda intraprendere ogni verifica di competenza ritenuta utile o necessaria al fine di identificare e perseguire le responsabilità attribuibili a tutti i soggetti dello Stato istituzionalmente preposti al corretto, efficiente ed efficace utilizzo dei Fondi strutturali europei, affinché si possa adottare ogni provvedimento di tutela e sostegno dei diritti e gli interessi legittimi di cittadini ed imprese del nostro Paese, attraverso il tempestivo e corretto utilizzo degli fondi stessi;
   se ritenga opportuno l'avvio di ogni procedimento di indagine ritenuto utile o necessario al fine di appurare quale sia stato l'effettivo utilizzo di tali Fondi europei giacenti «inutilizzati» dal 2007 ad oggi, nonché la destinazione ed utilizzo di eventuali interessi e/o rendimenti che tali fondi hanno eventualmente generato durante tale periodo. (4-08420)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, ROSTELLATO e SEGONI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la cronaca recente di Rovigo ha evidenziato nella zona di Cavanella Po, una fiorente attività di pesca massiva quasi completamente al di fuori della legalità;
   nei mesi scorsi la Guardia forestale territorialmente competente ha scoperto e messo sotto sequestro alcune celle frigorifere capaci di contenere tonnellate di pesce, che verrebbe pescato illegalmente nel fiume Po e successivamente stoccato in tali celle frigorifere – senza alcun rispetto, nemmeno delle più elementari, norme igienico-sanitarie vigenti – per poi essere caricato su furgoni, diretti principalmente alla volta dei mercati dell'Est;
   il comandante della forestale di Rovigo, riferisce alla stampa, che, trascorse solo due settimane dal sequestro delle celle frigorifere, «i frigoriferi sono ricomparsi in un container»;
   l'areale padano che abbraccia tutto il corso del grande fiume Po da Mantova al Delta del Po, da Venezia a Ravenna, da Rovigo e Ferrara, conteggia migliaia di chilometri di acqua dolce, tra fiumi e canali, ed ospita un'ampia varietà di flora e fauna che in questi luoghi ha trovato il proprio habitat ideale, che oggi viene minacciata da queste organizzazioni di pescatori senza scrupoli;
   i cittadini del posto chiamano questi pescatori «pirati» o «barbari», e sul tema il presidente della provincia di Rovigo, afferma «Prima erano ungheresi, ora romeni: originari del Delta del Danubio, di cui hanno messo a rischio l'integrità ambientale con tecniche di pesca selvaggia, furono costretti ad andarsene per le restrizioni imposte dalle autorità romene e dall'Unesco, trasferendosi da noi»;
   il comandante della polizia provinciale di Ferrara aggiunge che, solo nell'area di Mantova, le indagini hanno ormai «portato alla luce almeno 8 bande, ma sono molte di più», si stima, infatti, vi sia una compagine di almeno 400 pescatori dediti alla pesca di frodo che operano sulle rive del Po;
   molte di queste persone appartengono all'etnia dei Lipoveni, un antico popolo del Danubio che vive di pesca: il loro arrivo in Italia si segnala in coincidenza di un accordo commerciale stipulato nel 2012 tra il Mercato ittico di Milano ed il consolato generale della Romania che intendeva assicurare flussi durevoli di prodotti ittici d'acqua dolce da destinare al mercato romeno;
   queste bande, strutturate in clan familiari, agiscono prevalentemente di notte su veloci imbarcazioni, accompagnate da vedette che segnalano l'eventuale presenza delle forze dell'ordine;
   le attrezzature utilizzate hanno effetti devastanti sulla biosfera acquea del fiume: reti di centinaia di metri, apparecchi elettro-storditori e sostanze chimiche, consentono loro di pescare qualsiasi tipo di pesce che si trovi a nuotare in quella zona (pesci siluro, carpe, carassi, cefali, breme) lasciando dietro di sé solo un'assordante desolazione;
   appare più che verosimile che ogni clan sia in grado di organizzare 2-3 spedizioni a settimana da 30 quintali ciascuna, il pesce poi è venduto a 10-15 euro al quintale, senza alcun controllo sanitario o di tracciabilità; il presidente della provincia di Rovigo sostiene, pertanto, che «Siamo al limite del disastro ambientale»;
   nella città di Ferrara, che conta oltre 4 mila chilometri di canali, l'università stima che nell'arco di un anno sia andato perduto almeno un terzo del patrimonio ittico;
   il problema della pesca di frodo nella zona del Po oltre ad essere largamente diffuso porta con sé, inoltre, molteplici violazioni di legge: dalla violazione delle norme igieniche, all'evasione fiscale, allo scarico abusivo di liquami e sostanze chimiche, agli abusi edilizi;
   nonostante la Guardia forestale, la Guardia di finanza, le Guardie della provincia ed i carabinieri si impegnino nella repressione del fenomeno e le Prefetture convochino tavoli per organizzare la lotta a tali, forme di illegalità ambientale, l'area da controllare è estremamente vasta se confrontata con le limitate risorse a disposizione delle forze dell'ordine;
   in questo scenario si annoverano tuttavia delle azioni conclusesi positivamente: la provincia di Ferrara ha recuperato 16 chilometri di reti illegali, 14 barche, 2 motori fuoribordo; la Guardia forestale di Rovigo ha intercettato più di 100 quintali di pesce; le sanzioni, tuttavia, «non hanno effetto sui predatori — afferma il comandante Castagnoli —. Su 46 mila euro di multe elevate, ne sono state riscosse 4500...»;
   l'unica deterrenza che si riesce ad ottenere si attua con il sequestro dei mezzi impiegati per attuare il reato ma ciò è consentito solo in caso di contestazione del reato di cui all'articolo 733-bis del codice penale che punisce la distruzione di habitat all'interno di un sito protetto con l'arresto fino a diciotto mesi e con l'ammenda non inferiore a 3.000 euro, chiunque distrugga o deteriori compromettendone lo stato di conservazione un habitat naturale ricadente in una zona classificata come zona a tutela speciale a norma dell'articolo 4, paragrafi 1 o 2, della direttiva 2009/147/CE, o qualsiasi habitat naturale o un habitat di specie per cui un sito sia designato come zona speciale di conservazione a norma dell'articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 92/43/CE;
   tale fattispecie non risulta, tuttavia, immediatamente applicabile in molti casi riscontrati nei controlli di polizia dell'areale padano;
   unitamente a ciò, resta il fatto che alcuni elementi di tali bande richiedono la licenza di pesca professionale, richiedibile da chiunque alla provincia, al costo di circa 50 euro, di modo da precostituirsi una minima copertura in caso di controllo;
   allo stato attuale quindi potrebbe risultare opportuno attuare un inasprimento delle sanzioni, consentendo, altresì, un più diffuso sequestro dei mezzi, ovvero la sospensione delle licenze di pesca professionale per alcuni periodi od in alcune aree, ovvero ancora l'irrigidimento dei requisiti per ottenerle;
   per altro verso apparirebbe essere utile l'inserimento di dette aree sotto la protezione ambientale che salvaguardia gli habitat naturali con l'emanazione di normative ad hoc di modo da rendere più diffusa l'applicabilità dei divieti di cui all'articolo 733-bis del codice penale al fine di consentire una maggiore generale efficacia dell'azione di controllo e di repressione dei reati per mezzo di un utilizzo più di diffuso delle sanzioni accessorie del sequestro dei mezzi dei pescatori illegali, salvaguardando contemporaneamente tutte quelle attività di pesca professionale legale che in queste aree vengono, invece, condotte nel pieno rispetto delle normative ambientali ed igienico-sanitarie vigenti –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta;
   se disponga o se sia in grado, comunque, di fornire dati statistici in relazione al numero complessivo di notizie di reato relativamente alla pesca illegale nell'areale padano ed in particolare nelle province di Rovigo, Mantova e Ferrara, anche non esclusivamente ricollegabili o riferentesi all'articolo 733-bis del codice penale, ed il numero di sequestri effettuati in relazione a tali notizie di reato disposti dall'autorità giudiziaria, negli ultimi 5 anni;
   se disponga o se sia in grado, comunque, di fornire dati statistici relativamente ai casi nei quali siano state rilevate violazioni della normativa concernente la sicurezza degli alimenti e la tutela della salute pubblica ovvero violazioni delle normative, anche dell'Unione europea, poste a tutela della tracciabilità del prodotto ittico ed alla salute del consumatore, nello specifico relativamente alle province dell'areale padano quali Rovigo, Mantova e Ferrara, negli ultimi 5 anni;
   se disponga o se sia in grado, comunque, di fornire dati statistici concernenti la pesca illegale, per violazione delle normative ambientali ed igienico-sanitarie vigenti se siano state presentate denunce all'autorità giudiziaria per questi fatti, se siano stati radicati procedimenti penali, anche in caso di successiva archiviazione, se siano state irrogate condanne penali, anche accessorie, e quante in totale, e se, ad oggi, vi siano procedimenti pendenti o sopravvenuti a livello nazionale e per ciascuna provincia italiana, negli ultimi 5 anni;
   se ritenga di assumere apposite iniziative normative, per un inasprimento delle sanzioni relativamente agli illeciti legati al mancato rispetto della normativa igienico-sanitaria ovvero di tutela della salute pubblica, e/o l'inserimento dell'areale padano tra le aree a protezione ambientale rafforzata al fine di ottenere una più stringente salvaguardia di tali habitat naturali anche al fine di diffondere l'applicabilità dei divieti di cui all'articolo 733-bis del codice penale e così consentire una maggiore generale efficacia dell'azione di controllo e di repressione dei reati legati alla pesca illegale nelle aree indicate. (5-05028)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TENTORI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 5 giugno 2014 il Governo rispondeva in 8a Commissione alla Camera, all'atto di sindacato ispettivo n. 5-02937, che chiedeva conto delle cause dei ritardi connessi alla già programmata opera di realizzazione della pista ciclabile lungo la strada statale 36 tra Lecco e Abbadia Lariana. Il Governo rispondeva che l'esecuzione dell'opera sarebbe ripresa solo a seguito dell'esito dei giudizi pendenti;
   si attendeva a giorni la sentenza del TAR del Lazio che avrebbe potuto sbloccare il cantiere, ma si apprende da notizie di stampa dell'arresto dell'imprenditore a capo del consorzio che avrebbe dovuto realizzare la ciclabile tra Lecco e Abbadia, raggiunto da due provvedimenti cautelari emessi dal tribunale di Roma ed eseguiti martedì dalla Guardia di finanza;
   si apprende altresì dalla stampa che le accuse nei suoi confronti sono quelle di bancarotta fraudolenta, estorsione ed intestazione fittizia di beni. I finanzieri hanno sequestrato società per un valore di oltre 108 milioni di euro e tra queste il 75 per cento del fondo consortile del Consorzio stabile Aedars di Roma, al quale sono stati affidati i lavori per la ciclopista lecchese;
   la realizzazione della passerella ciclopedonale lungo la strada statale 36 «del Lago di Como e dello Spluga», principale arteria di collegamento tra Lecco e la Valtellina, che collega il centro abitato di Abbadia Lariana (LC) e la località Pradello con prolungamento fino alla località Caviate nel comune di Lecco; è da ritenersi strategica per la viabilità del territorio lariano e la messa in sicurezza della stessa strada statale 36, considerata anche la pericolosa promiscuità di traffico e la assoluta mancanza di strade alternative in grado di congiungere tutto il versante del Lario orientale alla città capoluogo;
   tale infrastruttura, con l'imminente avvio di Expo 2015, si configura anche di primaria importanza per lo sviluppo turistico del territorio rivierasco e la fruizione delle sponde del lago, assumendo quindi una grande rilevanza di natura economica, ambientale e strutturale;
   alla data odierna persiste lo stato di abbandono dei lavori, come evidenziato all'atto di sindacato ispettivo n. 5-02937, e persiste la situazione di pericolo dovuta a suddetto stato di abbandono e all'assenza di percorsi ciclo-pedonali alternativi –:
   se sia a conoscenza della questione e se non reputi urgente intervenire al fine di non rischiare di lasciare incompiuta un'opera strategica posto che le risorse per il completamento dei lavori sono già state stanziate, e di poter fornire indicazioni sui tempi e sulle modalità di completamento dell'opera alla luce degli accadimenti passati e dei recenti sviluppi. (5-05037)

Interrogazione a risposta scritta:


   CANCELLERI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 9 marzo 2014 è avvenuto l'ennesimo incidente sulla strada statale 626, dove un ventenne di Riesi (CL) è morto e altre due persone sono rimaste ferite di cui una in gravissime condizioni ricoverato all'ospedale «Sant'Elia» di Caltanissetta;
   sempre lungo la suddetta strada statale, tra Licata e Ravanusa, lo scorso 7 luglio è crollata una delle campate del ponte Petrulla causando il tamponamento a catena di alcune autovetture con conseguente ferimento di quattro persone;
   l'Anas ha pubblicato il 12 novembre 2014 sulla Gazzetta Ufficiale, un bando di gara, per i lavori di completamento della strada statale 626 dir «Licata — Braemi», che collegherà l'abitato di Licata con la strada statale 626 «Della Valle del Salso», in provincia di Caltanissetta. In particolare, il bando riguarda l'8o lotto secondo stralcio dei lavori di completamento dell'itinerario «Licata — Torrente Braemi», tra la contrada «Cipolla» e la strada statale «Caltanissetta — Gela», per un'estensione complessiva di oltre 2,600 chilometri;
   considerato che il traffico sulla strada statale 626 è aumentato enormemente avendo assorbito tutto il flusso veicolare che transitava sulla strada statale 640 che collega Agrigento, passando da Caltanissetta, con lo svincolo autostradale della A19 in quanto lo stesso è chiuso per i lavori di raddoppio, adeguamento e ammodernamento della strada;
   considerato che la strada statale 640 ad oggi doveva essere già riaperta al transito veicolare –:
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti non intenda appurare eventuali responsabilità da parte dell'Anas e quali provvedimenti intenda assumere per esercitare un controllo puntuale nell'esecuzione dei lavori assicurando la conclusione in tempi brevi dell'opera;
   quali determinazioni l'ANAS intenda adottare per alleviare i gravi disagi a cui è andata incontro la popolazione per la scadente alternativa adottata nel dirottamento di tutto il traffico sulla strada statale 626 e di conoscere, altresì, il motivo dei ritardi nel completamento dei lavori sulla strada statale 640. (4-08417)

INTERNO

Interrogazioni a risposta orale:


   BURTONE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si registrano in numero crescente le aggressioni all'interno degli ospedali del comprensorio catanese accrescendo la necessità di assicurare un posto di polizia permanente h 24 all'interno dei nosocomi della città metropolitana;
   durante la fascia notturna non è prevista infatti la presenza di alcun operatori di polizia, mentre durante il giorno è assicurato da una sola unità;
   soprattutto al pronto soccorso di registrano spesso tensioni con operatori paramedici, infermieri e medici aggrediti da avventori e parenti di pazienti per presunte cure non adeguate o apriorità nei codici;
   le organizzazioni sindacali delle forze dell'ordine hanno segnalato da tempo il problema a questore e competenti direzioni sanitarie;
   va detto che la presenza di posti di polizia permanenti può essere di assoluto supporto alle attività investigative anche per l'accertamento di fatti delittuosi e consentirebbe agli operatori sanitari di poter lavorare con maggiore sicurezza e serenità soprattutto negli ospedali di riferimento dei quartieri più complessi di Catania –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare per consentire l'apertura h 24 di posti di polizia all'interno dei nosocomi di Catania e il loro potenziamento in termini di unità operative assicurando maggiore sicurezza ai cittadini e agli operatori sanitari soprattutto nelle ore notturne. (3-01360)


   IACONO, ROBERTA AGOSTINI, LENZI, POLLASTRINI, ALBANELLA, AMODDIO, CULOTTA, PICCIONE, VILLECCO CALIPARI, ZAPPULLA, CAPODICASA, GRECO, GULLO, CARDINALE e FABBRI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   dalla stampa e in particolare da un'inchiesta a firma di Antonello Mangano pubblicata dal settimanale l'Espresso si apprende la gravissima e inquietante situazione che riguarda delle donne, in questo caso prevalentemente rumene, che lavorano nelle campagne della zona di Ragusa, vittime di spaventose violenze e sfruttamento sessuale e lavorativo;
   le campagne iblee rappresentano uno dei distretti ortofrutticoli più importanti d'Italia, il centro di un sistema produttivo che esporta in tutta Europa grazie al clima e alla composizione del terreno durante tutto l'anno;
   un tipo di coltivazione così «intensa» richiede moltissima manodopera;
   sono migliaia dunque le donne dell'est che lavorano nelle campagne, vivono segregate in casali isolati, spesso con i figli piccoli;
   dall'inchiesta dell’Espresso risulta che, in questo totale isolamento, esse si trovino costrette a subire ogni genere di violenza sessuale: si racconta, nell'omertà e nell'acquiescenza di tutti, di una realtà fatta di «festini» forzati nei casali sperduti nella campagna, di segregazione, di sfruttamento e di aborti;
   viene rimandata un'immagine delle campagne del nostro Paese come luogo sempre più «borderline», dove la ricerca del lavoro rischia di unirsi sempre più a fenomeni criminali e di sfruttamento;
   le donne rumene che lavorano delle campagne del ragusano sono come molte altre donne con la medesima storia: arrivano in Italia con la speranza di un futuro migliore, non solo dal punto di vista economico, poiché spesso fuggono da contesti familiari difficili e matrimoni deludenti, convinte che qui le prospettive siano più allettanti e gli uomini meno maschilisti;
   l'emigrazione rumena, come quella che segna molti altri paesi dell'Est Europa, ha subito negli ultimi anni una fortissima femminilizzazione, dovuta in gran parte all'offerta di lavoro domestico e di cura nelle società di arrivo, che richiedono per questo tipo di occupazione soprattutto donne ma anche al fatto che le madri, le figlie, le mogli rumene, sembrano essere quelle cui sono maggiormente delegate, più in generale, la fatica del lavoro e la responsabilità di sostenere la famiglia in tutte le sue dimensioni;
   come un rapporto elaborato dall'Associazione per i diritti umani di Vittoria sull'immigrazione femminile nella fascia trasformata del ragusano illustra nel dettaglio, le donne rumene trovano nel lavoro e nell'indipendenza la fondamentale ragione della loro migrazione: la loro principale occupazione è proprio quella di operaie agricole e quasi tutte sono occupate per 10, 11 mesi l'anno;
   in Romania, del resto, moltissime sono le donne ancora impiegate nel settore agricolo e per alcune di loro, quindi, partire dal loro Paese per lavorare altrove, ancora una volta da contadine, sembra una scelta assolutamente percorribile;
   a denunciare per primo questo vergognoso fenomeno, particolarmente diffuso nelle piccole aziende di Vittoria a conduzione familiare, ma non solo, Don Beniamino Sacco, della parrocchia di Santo Spirito, a Vittoria grazie al quale anni fa è stato incarcerato uno degli sfruttatori, secondo il quale «l'arrivo di donne dell'Est ha scombussolato il panorama agricolo siciliano, in cui la moglie del proprietario sta a casa e difficilmente lavora nelle campagne. Questa presenza femminile ha destato inizialmente curiosità e in seguito un vero e proprio scompenso sociale. Si cominciava a dire che i proprietari avessero “riscoperto il piacere della campagna” poiché alla sera tornavano a casa sempre più tardi. Molte famiglie sono entrate in crisi»; in realtà, si faceva strada la tentazione della violenza legata allo sfruttamento e al degrado: una ricerca condotta dall’«Associazione per i diritti umani» di Vittoria rivela di abitazioni nelle quali «I buchi nel soffitto fanno passare l'acqua piovana. Le mura sono erose dall'umidità. Proliferano i miceti, con conseguenti patologie come l'asma in soggetti, soprattutto in tenera età, prima perfettamente sani. Il tutto nel totale disinteresse del locatario»;
   di fronte a certi orrori lo sfruttamento sul lavoro passa quasi in secondo piano, anche se significa salari da dieci euro al giorno, temperature di fuoco sotto i teloni, veleno che può rovinare i polmoni, la pelle, gli occhi, per tacere delle «fumarole»: quando di notte bruciano piante secche e fili di nylon, di mattina si soffoca;
   nella zona in passato sono intervenuti sia Emergency che Medici Senza Frontiere;
   Vittoria è il primo comune in Italia per estensione delle coltivazioni plastificate e per numero di aborti in proporzione al numero di abitanti: spesso le rumene che abortiscono sono giovanissime, e arrivano in ambulatorio accompagnate da uomini, che spesso sono i proprietari delle serre in cui lavorano;
   nelle campagne isolate della provincia ragusana sembra essere tutto lecito, come testimoniato da molte delle vittime: ad approfittare di loro pare siano un po’ tutti, senza distinzione, dai capi ai loro familiari fino ad arrivare ad amici e conoscenti, nella più totale omertà, anche della comunità d'origine: i mariti delle vittime, quando ci sono, spesso nascondono la testa sotto la sabbia, per paura, per necessità;
   «Se non ci fossero i migranti, la nostra agricoltura si bloccherebbe», dice all’Espresso Giuseppe Nicosia, sindaco di Vittoria «C’è una buona integrazione, ma la violenza sulle donne è un peso sulla coscienza di tutti. Un fenomeno disgustoso, anche se in regressione. Così si produce l'ortofrutta che troviamo in tutti i supermercati. Abbiamo circa 3000 aziende agricole di piccola e media dimensione, è la più grossa espressione dell'ortofrutta meridionale, oltre che il mercato è il più importante d'Italia di prodotto con confezionati»;
   nel 2011 risultavano regolarmente registrati 11.845 migranti, una stima di quelli che lavorano nelle serre oscilla tra 15 mila e 20 mila: Giuseppe Scifo della Flai Cgil spiega che allo sfruttamento lavorativo si aggiunge la segregazione. Per questo è stato avviato il progetto «Solidal Transfert», un pulmino che permette di spostarsi senza dipendere dai padroni;
   quello che emerge dall'articolo di Antonello Mangano è un quadro desolante: si scopre di rumene costrette a prostituirsi (a volte con la consapevolezza dei mariti, spaventati dalla possibilità di perdere il lavoro) per dell'acqua o per non perdere la possibilità di recarsi in paese con i figli; si scopre di donne minacciate con le pistole per prestazioni sessuali da «padroni» con la compiacenza delle mogli –:
   quali iniziative urgenti i Ministri competenti intendano adottare al fine di fare luce su tale inquietante situazione e quali misure, immediate e di lungo periodo, ritengano di dover predisporre al fine di proteggere queste donne e i loro figli da tali indicibili violenze e dallo sfruttamento nonché al fine di ripristinare la legalità. (3-01361)


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si apprende a mezzo stampa che cinquemila donne lavorano nel settore agricolo nella campagna della provincia siciliana di Ragusa, in un contesto che presenta aberranti condizioni igieniche e in alloggi, spesso dati abusivamente in locazione dai datori di lavoro, che non sono dotati dei più essenziali servizi, quali l'energia elettrica e l'acqua corrente;
   le inchieste de L'Espresso del 15 settembre e dell'8 ottobre 2014, alle quali hanno fatto seguito numerosi articoli di stampa sulle testate locali, denunciano un contesto di totale isolamento dove le lavoratrici subirebbero atti di violenza sessuale e di prevaricazione da parte dei datori di lavoro, i quali condizionerebbero il versamento dei salari all'esercizio di prestazioni sessuali;
   parallelamente alle violenze sessuali di cui sarebbero vittime le donne, anche numerosi lavoratori uomini sarebbero costretti in una situazione di sfruttamento e di violenza diffusa; ad agosto del corrente anno, un lavoratore del Bangladesh sarebbe stato ucciso in piena campagna con un movente probabilmente legato al racket delle giornate agricole;
   alcune delle vittime degli abusi avrebbero sporto regolare denuncia alle forze dell'ordine del comune di Vittoria; tuttavia, tali denunzie non avrebbero avuto alcun seguito e le vittime si sarebbero trovate prive di ogni forma di protezione;
   le organizzazioni impegnate nei programmi di emersione e di protezione anti-tratta lamentano una mancanza delle risorse necessarie a fronteggiare un problema che risulterebbe in costante espansione;
   il mercato agricolo costituisce l'essenza dell'economia della provincia di Ragusa; lo sfruttamento dei lavoratori irregolari da parte di alcuni imprenditori altera la concorrenza e compromette le attività degli imprenditori che operano nella legalità; ciò costituisce una grave forma di oppressione dell'economia locale –:
   quali verifiche, per quanto di competenza, siano state compiute in merito alla condizione di degrado e di sfruttamento in cui versano migliaia di lavoratrici e di lavoratori nella provincia di Ragusa;
   quali urgenti iniziative di competenza intendano assumere per potenziare i programmi di ispezione e di vigilanza nella provincia di Ragusa e per assicurare alle vittime di sfruttamento e di abusi un effettivo coinvolgimento nei programmi di protezione anti-tratta. (3-01362)


   PIAZZONI, CHAOUKI, DI SALVO, MATTIELLO e QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   una recente inchiesta giornalistica pubblicata dal settimanale L'Espresso ha portato all'attenzione dell'opinione pubblica una gravissima e inquietante situazione di violenza e sfruttamento sulle donne straniere, per la maggior parte di nazionalità rumena, che da anni si protrae nelle campagne del ragusano;
   le campagne iblee rappresentano un distretto ortofrutticolo tra i più importanti d'Italia, dove le coltivazioni intensive si sostengono grazie al lavoro quotidiano di una manodopera principalmente di composizione straniera;
   su circa 3000 aziende agricole di piccola e media dimensione, nel 2011 risultavano regola ente registrati 11.845 migranti, ma una stima reale parrebbe oscillare tra le 15 mila e le 20 mila persone straniere impiegate nel lavoro dei campi e nelle serre;
   sono migliaia dunque le donne straniere, con netta prevalenza di donne provenienti dall'est Europa, che lavorano nelle campagne del ragusano, vivendo segregate in casali isolati, spesso con minori a carico;
   quello che emerge dall'inchiesta giornalistica è un quadro raccapricciante di abusi, violenze ed omertà. In un contesto di quasi totale isolamento infatti, queste donne si trovano costrette a subire ogni genere di violenza sessuale, una realtà fatta di segregazione, sfruttamento, aborti e veri e propri «festini» forzati nei casali sperduti della campagna, nell'omertà e nell'acquiescenza di tutti;
   questa vicenda tratteggia un quadro desolante delle campagne e del mondo rurale del nostro Paese. Condizioni di sfruttamento lavorativo che a volte rasentano vere e proprie nuove forme di «schiavismo» sono state più volte denunciate dalle organizzazioni sindacali e da associazioni e Organizzazioni non governative che si occupano della tutela dei diritti umani;
   sulla questione specifica occorre inoltre ricordare come da tempo la Flai-CGIL, ma anche Emergency e Medici Senza Frontiere siano impegnate a difesa della dignità e dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici nella campagne di Vittoria e del ragusano. È stato attivato da poco il progetto «Solidal Transfert», promosso da CGIL e Medici Senza Frontiere, un pulmino che permette ai braccianti di spostarsi senza dipendere dai datori di lavoro, proprio per evitare che la situazione di isolamento in cui questi ultimi e le loro famiglie vivono continui a sfociare in sfruttamento lavorativo e ricatti sessuali nei confronti delle donne, anche in cambio di beni di prima necessità;
   Vittoria è il primo comune in Italia per estensione delle coltivazioni plastificate e per numero di aborti in proporzione al numero di abitanti: spesso le donne straniere che abortiscono sono giovanissime e arrivano in ambulatorio accompagnate dai proprietari delle serre in cui lavorano;
   nelle campagne isolate della provincia ragusana sembra essere tutto lecito, come testimoniato da molte delle vittime: ad approfittare di loro pare siano un po’ tutti, senza distinzione, dai capi ai loro familiari fino ad arrivare ad amici e conoscenti, nella più totale omertà, anche della comunità d'origine: i mariti delle vittime, quando ci sono, spesso risultano acquiescenti alla situazione, per paura o per necessità;
   una ricerca condotta dall’«Associazione per i diritti umani» di Vittoria rivela che le abitazioni in cui vivono i lavoratori stranieri sono molte volte piccole, senza infissi, con letti che altro non sono che cartoni, buchi nel soffitto che fanno passare l'acqua piovana, mura erose dall'umidità in cui proliferano i miceti, che causano patologie come l'asma, soprattutto in soggetti di tenera età, prima perfettamente sani. Il tutto nel totale disinteresse dei locatari, che invece, in molti casi, chiedono cifre d'affitto fino a 300 euro;
   anche la Chiesa si è mossa fin dal principio per denunciare e contrastare questo vergognoso fenomeno. Don Beniamino Sacco, della parrocchia di Santo Spirito, da anni si batte denunciando come il fenomeno non sia isolato e, grazie al suo operato, a Vittoria anni fa è stato incarcerato uno degli sfruttatori. Lo stesso religioso in un successivo articolo pubblicato sempre da L'Espresso, confessa: «Qualcuno mi accusa di aver rovinato il paese per aver difeso gli immigrati. Sono orgoglioso di essere stato dalla loro parte. Non potevo tacere»;
   in questo secondo articolo emergono inoltre dettagli ulteriori sulla vicenda, che ribadiscono come lo sfruttamento lavorativo e le violenze sessuali ai danni delle donne straniere nelle campagne del ragusano siano noti da anni. Risalirebbe a ben 4 anni fa la prima denuncia al commissariato di Vittoria per un ricatto operato da un datore di lavoro che chiedeva prestazioni sessuali, in cambio del posto di lavoro e del pagamento degli arretrati, a una coppia di lavoratori rumeni. La testimonianza si trova anche nel video «Solidal», prodotto dalla Cgil, reperibile in rete. Nonostante ciò la denuncia cade nel vuoto, tant’è che la coppia perde il lavoro;
   secondo quanto raccolto da testimonianze di operatori della cooperativa Proxima, attiva nel contrasto della tratta e nella difesa dei diritti fondamentali, le violenze sessuali sarebbero solo la punta dell’iceberg. Troppi sarebbero i lavoratori non contrattualizzati, che per mesi ricevono solo acconti di salario e con ingenti crediti da riscuotere, mai evasi dai datori di lavoro. Carenti sarebbero inoltre le ispezioni per la sicurezza sui luoghi di lavoro;
   la terribile realtà scoperchiata dall'inchiesta giornalistica più volte citata necessita di un intervento rapido e deciso da parte delle istituzioni. Non appare infatti tollerabile che in alcune zone del Paese possano verificarsi lesioni della dignità umana e dei diritti fondamentali così numerose e di così grave portata –:
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati intendano adottare al fine di fare luce definitivamente su tale inquietante situazione e quali misure, immediate e di lungo periodo, ritengano di dover predisporre al fine di proteggere queste donne e i loro figli da tali indicibili violenze e dallo sfruttamento nonché al fine di ripristinare la legalità sui luoghi di lavoro descritti in premessa; (3-01363)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OTTOBRE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Grotteria (RC) ha un territorio molto vasto (43,52 chilometri quadrati) che si estende dal mar Jonio, dove confina con i comuni di Marina di Gioiosa Jonica e Siderno, alla località montana di Croce Ferrata, al confine tra la provincia di Reggio Calabria e quella di Vibo Valentia;
   da circa 100 anni il comune di Grotteria aveva sempre avuto la caserma dei carabinieri come presidio dello Stato, ma nel 1998 a seguito dell'inagibilità dei locali privati in locazione al Ministero dell'interno, la caserma è stata spostata nei locali della stazione dei carabinieri di Mammola;
   l'amministrazione comunale di Grotteria sensibile al problema sicurezza dei propri abitanti, si è subito adoperata alla ricerca di un altro immobile idoneo ad ospitare la stazione dei carabinieri operante nel comune, affrontando il problema in un contesto di recupero, ristrutturazione, riqualificazione e rilancio del centro storico, anche perché dai contatti con l'allora comandante dei carabinieri era emersa l'esigenza di poter disporre di un presidio all'interno del centro storico e nella parte a monte dello stesso per motivi logistici;
   l'amministrazione ha così inserito la costruzione della caserma dei carabinieri nel piano annuale delle opere pubbliche, approvato con delibera C.C. n. 10 del 23 febbraio 1999 e con lo stesso atto si è impegnata ad assumere un mutuo di 1.000.000.000 di lire (euro 516.456,89) con la Cassa depositi e prestiti a totale carico dell'ente;
   l'incarico per la progettazione relativa alla costruzione della nuova caserma è stata data a tecnici esterni che in prima battuta hanno stimato una maggiorazione dell'importo stanziato per l'opera finita maggiorato del 90 per cento, dopo le conseguenti delibere comunali e richieste di approvazione alla provincia di Reggio Calabria, il comune con nota prot. 5324 del 15 novembre 1999 ha chiesto alla prefettura competente di comunicare la disponibilità ad assumere in affitto l'immobile da realizzare;
   la prefettura di Reggio Calabria ha a sua volta trasmesso la suddetta documentazione al comando provinciale dei carabinieri per il parere di competenza, quest'ultimi hanno fatto rilevare la necessità di variazioni al progetto per un ridimensionamento dell'immobile adeguandolo al fine di contenere la spesa a quanto prefissato all'inizio del progetto;
   le modifiche richieste e le comunicazioni obbligatorie dovute alle variazioni hanno portato il comune di Grotteria, solo in data 28 aprile 2003 con prot. 1759, a presentare il progetto definitivo che teneva in conto le modifiche richieste dal comando dei carabinieri, allo stesso tempo il comune di Grotteria sollecitava una risposta alla prefettura di Reggio Calabria in merito alla proposta di locazione;
   da quel momento una serie di incontri e comunicazioni tra il comune di Grotteria, il comando dei carabinieri e le autorità competenti, portano avanti il progetto della costruzione della nuova caserma dei carabinieri, con conseguenti continue modifiche richieste dall'Arma per l'adeguamento dei locali e conseguenti impegni economici da parte del comune stesso;
   in data 2 febbraio 2015, nel mentre l'ufficio tecnico del comune era in attesa di una positiva risposta ufficiale da parte del comando dei carabinieri a seguito di modifiche migliorative richieste dagli stessi, perveniva comunicazione da parte della legione carabinieri Calabria della soppressione della locale stazione dei carabinieri ed il suo accorpamento a quella di Mammola;
   nel consiglio comunale di Grotteria riunitosi in seduta aperta il 19 febbraio 2015, alla presenza dei rappresentanti dell'Arma dei carabinieri, del presidente dell'assemblea dei sindaci e della cittadinanza, è emersa l'assoluta necessità di mantenere la locale stazione dei carabinieri quale presidio di legalità, indispensabile per la lotta alla micro criminalità e alla criminalità organizzata;
   la storia di questi piccoli comuni è simile in tutta Italia, la crisi economica, poi, ha ulteriormente velocizzato il continuo declino degli stessi, per la popolazione diventa difficile ottenere l'appagamento delle esigenze primarie se non si interviene con azioni tese al miglioramento della qualità della vita e alla dotazione delle infrastrutture; la mancanza di uffici e servizi, di attrezzature urbane e di una viabilità confacente alle attuali esigenze di pendolarismo lavorativo costituiscono notevoli freni al mantenimento della popolazione sul territorio, se poi si aggiunge che uno dei problemi più importanti soprattutto nei paesi interni della Calabria è quello della sicurezza, è naturale che lo spopolamento sia più veloce se anche l'unico presidio di Stato venga rimosso;
   il bilancio del comune di Grotteria per 20 anni è stato condizionato dalla costruzione della nuova caserma dei carabinieri, grazie alla forte volontà di tutta la popolazione di mantenere un presidio per la legalità in un territorio già difficile; i sacrifici economici del piccolo comune si proietteranno anche sui bilanci delle future amministrazioni senza aver raggiunto alcun risultato, inoltre l'impegno economico assunto in questa vicenda dal Ministero risulterà vano, proprio in un momento in cui le risorse economiche sono attentamente e oculatamente distribuite sul territorio –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se valutata la vicenda non intenda riesaminare la soppressione della suddetta stazione dei carabinieri di Grotteria anche in relazione al possibile danno per il controllo del vasto territorio da Gioiosa Jonica e Fabrizia in provincia di Vibo Valentia. (4-08409)


   LOREFICE, BRESCIA, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, MANTERO, GRILLO, BARONI, CANCELLERI e RIZZO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sono circa 3500 i migranti sbarcati nelle coste siciliane ospitati dal CARA (Centro di accoglienza richiedenti asilo) di Mineo nella piana di Catania, considerato il centro di accoglienza più grande d'Europa;
   da un'inchiesta di Panorama dell'11 marzo 2015 è emerso che ogni giorno almeno 200 uomini lavorano in nero come braccianti arruolati nelle campagne dei paesi vicini di Mineo, Ramacca, Grammichele, Palagonia e Scordia per raccogliere arance, carciofi, olive alla misera paga di dieci euro al giorno;
   dalle testimonianze dei giornalisti, che seguono i migranti mentre escono dal centro prima delle sei del mattino e i fotografano, emerge che alcuni gruppetti vengono prelevati direttamente davanti il centro, nonostante l'ingresso sia sorvegliato da decine di militari; altri raggiungono, a piedi o in bici, la strada statale 417 che collega Gela a Catania e aspettano che qualcuno passi e li carichi su un furgone o un'auto che li conduca in campagna. Sarebbe stato organizzato addirittura anche un servizio di taxi abusivo costituito da poche monovolume vetuste, stazionate stabilmente dietro una curva, sulla strada che porta al centro, guidate da altri extracomunitari che vivono nei paraggi;
   la polizia stradale ha fermato molte volte i taxi abusivi, ma né le multe né le denunce e i sequestri delle auto rubate hanno scoraggiato il «business». Già quattro mesi fa, al bivio di Grammichele, la polizia stradale di Caltagirone ha fermato un camion guidato da un produttore di Mazzarrone che coltiva cipolle. Sotto il telone l'uomo nascondeva venti migranti afgani e marocchini del Cara. Altri sono stati scoperti nel cassone di un'Ape di un agricoltore;
   i migranti iniziano a lavorare nei campi alle 7:30 del mattino raccogliendo frutta e verdura, fanno una breve pausa alle 12, mangiando un panino, e riprendono a lavorare fino alle 16 per la misera paga di 10 euro e il panino. Un bracciante italiano costa invece sessanta euro al giorno;
   la Flai-Cgil, il sindacato degli agricoli, stima che sono almeno 200 i richiedenti asilo sfruttati ogni giorno. Nuccio Valenti, segretario del sindacato, spiega ai giornalisti che da tempo sono state presentate denunce al prefetto, ai sindaci e all'ispettorato del lavoro, ma nulla pare sia stato fatto dalle autorità competenti;
   a Ramacca, dove decine di migranti lavorano ogni giorno raccogliendo carciofi, il tema è stato discusso il 29 ottobre 2015 in consiglio comunale, con all'ordine del giorno il tema: «Immigrati e condizione sociale». Un documento firmato da alcuni consiglieri comunali sollecitava il dibattito: «Lo sfruttamento di questi lavoratori da parte di pseudo imprenditori che schiavizzano queste persone può creare condizioni di forti tensioni sociali» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suesposti e, se eventualmente, intendano avviare, una verifica, per quanto di competenza, per appurare lo stato effettivo delle cose;
   se non intendano vigilare, per quanto di competenza, in collaborazione con le autorità locali, affinché i migranti non diventino vittime della tratta di schiavi, anche in considerazione del fatto che la permanenza media di 14 mesi dei migranti nel Centro di accoglienza richiedenti asilo di Mineo è la più alta d'Italia;
   se non ritengano opportuno promuovere l'istituzione del registro dei lavoratori stagionali quale strumento di contrasto al lavoro nero e allo sfruttamento. (4-08413)


   LA RUSSA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le due targhe di marmo apposte nei giardini Verdi nella zona di stazione Brignole a Genova e dedicate ad Ugo Venturini, il militante missino colpito a morte da estremisti di sinistra mentre il 18 aprile 1970 mentre assisteva pacificamente ad un comizio elettorale di Giorgio Almirante, sono state divelte e distrutte nella mattinata di sabato 7 marzo 2015 in occasione della contestazione da parte di elementi dei Centri sociali verso la manifestazione del segretario della Lega Nord nel capoluogo ligure;
   stando a quanto riportato dagli organi di stampa gli autori della devastazione sarebbero stati visti e filmati dagli agenti della Digos in servizio per la manifestazione;
   le targhe sono state apposte dal comune di Genova il 18 aprile 2011 e non è la prima volta che formano oggetto di attacchi vandalici –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per individuare i responsabili della distruzione della targa in oggetto e per assicurare adeguate condizioni di sorveglianza affinché non possano più ripetersi ignobili atti come quelli descritti in premessa. (4-08415)


   BARONI, LOMBARDI, DI BATTISTA, RUOCCO, VIGNAROLI, DAGA, GRILLO, MANTERO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, DI VITA, CECCONI e DALL'OSSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella indagine conoscitiva su «La sfida della tutela della salute tra nuove esigenze del sistema sanitario e obiettivi di finanza pubblica» nel cui documento conclusivo si dice esplicitamente che la spesa farmaceutica ospedaliera è aumentata significativamente negli ultimi anni con un trend superiore al 12 per cento annuo fra il 2006 e il 2010, che si è ridotto nell'ultimo biennio, ma comunque viaggia sempre al 4 per cento annuo, a fronte di una spesa farmaceutica territoriale che addirittura è crollata dell'8,5 per cento nell'ultimo biennio;
   in data 11 luglio 2014 la polizia di Stato comunicava l'esecuzione di otto ordinanze di custodia cautelare in carcere per associazione a delinquere finalizzata al furto e alla ricettazione di farmaci trafugati dalla farmacia-magazzino interna del policlinico Umberto I di Roma a seguito di una lunga e complessa indagine avviata già alla fine del 2012;
   i farmaci in questione sono tutti di grande importanza sociale oltre che di elevato valore economico, andando a curare malattie specifiche e specialistiche come l'artrite reumatoide, nonché alcuni tipi di tumori, e alcuni sono difficilmente reperibili nelle comuni farmacie;
   risultano trafugate 350 fiale di ENBREL per un valore di 80.000 euro, 300 fiale di HUMIRA per un valore di 130000 euro (farmaci entrambi usati per la cura dell'artrite reumatoide), 2000 scatole di CLEXANE 6000 per un valore di circa 40000 euro (farmaco antitrombotico). Ancora più significativo era l'ammanco di molte scatole di antitumorali orali per un costo a compressa che va dai 42,5 agli 85 euro;
   in totale la stima dell'ingente valore economico dei farmaci trafugati è stato stimato in circa un milione di euro, di cui 400.000 sono stati recuperati, mentre gli altri sono stati venduti, secondo fonti di stampa, soprattutto verso l'Est Europa e l'Africa;
   fra le persone tratte in arresto inoltre, attraverso intercettazioni telefoniche, la Polizia di Stato scopriva che ve ne erano alcune che, sempre all'interno del nosocomio romano, erano dedite allo spaccio di sostanze stupefacenti e, circostanza ancor più grave, durante l'orario di lavoro –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti in premessa;
   se il Ministro dell'interno intenda potenziare il commissariato che si trova presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza», tenendo conto del fatto che all'interno del nosocomio viene stimata una presenza fra lavoratori, pazienti e parenti dei pazienti di circa 25000 persone al giorno. (4-08426)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PALAZZOTTO, PANNARALE e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel settembre del 2000 il liceo linguistico Provinciale «A. Lincoln» di Enna è stato formalmente individuato come scuola paritaria ai sensi della legge n. 62 del 2000;
   con convenzione tra il Ministero dell'istruzione e la provincia regionale di Enna del 26 agosto 2012, il cui schema è stato approvato dal consiglio provinciale di Enna con delibera n. 67 del 2012, si è proceduto a trasferire il Liceo Linguistico «A. Lincoln» al sistema scolastico statale a decorrere dal 1o settembre 2012;
   in data 1o agosto 2014 è stato stipulato tra il Ministero dell'istruzione e la provincia regionale di Enna, un accordo di mobilità, ai sensi dell'articolo 30 del decreto legislativo n. 165 del 2001, del personale docente e ATA con il quale si disciplina la relativa procedura di mobilità dai ruoli provinciali ai ruoli statali. Contestualmente veniva assicurata la relativa copertura finanziaria;
   l'accordo di mobilità, facendo riferimento al numero di 57 unità per il liceo linguistico, ha previsto l'attuazione delle procedure di mobilità nei limiti dei rispettivi posti di organico determinati in applicazione dell'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008 convertito dalla legge n. 133 del 2008;
   con delibera del commissario straordinario della provincia regionale di Enna n. 50 del 20 agosto 2014, in attuazione dell'accordo del 1° agosto 2014, sono stati approvati i criteri per la mobilità in questione;
   con avviso di mobilità del 4 settembre 2014 l'ufficio scolastico regionale per la Sicilia ha indetto, la relativa procedura di passaggio-diretto tra amministrazioni diverse su base volontaria;
   la provincia regionale approvava successivamente la graduatoria degli aventi diritto alla mobilità e la trasmetteva tempestivamente (comunque entro settembre 2014) all'ufficio scolastico regionale e al Ministero per la formalizzazione e la sottoscrizione del contratto di lavoro per i lavoratori transitati nello Stato;
   con nota del 13 ottobre 2014 il dipartimento della funzione pubblica ha trasmesso al MIUR la nota del MEF nella quale pare siano state formulate delle osservazioni inerenti alle tabelle di equiparazione e quindi problematiche in ordine all'inquadramento del personale in mobilità;
   in data 11 dicembre 2014 il MIUR ha chiesto alle due strutture (MEF e Dipartimento della funzione pubblica) di fornire una chiave di lettura che concili da un lato l'assenso formulato dall'Ufficio relazioni sindacali del dipartimento funzione pubblica alle pattuizioni contenute nel CCNL e dall'altro la posizione del MEF che ha invitato l'amministrazione ad attendere l'adozione delle tabelle di equiparazione;
   alla data odierna non pare siano stati compiuti ulteriori passi per la soluzione del problema descritto in premessa, con evidente preoccupazione dei lavoratori (docenti e ATA) a causa della mancata chiusura della procedura di mobilità –:
   se il ministro interrogato sia al corrente di quanto espresso in premessa e come intenda intervenire, per quanto di competenza, affinché la procedura di mobilità avviata per il personale docente e ATA del liceo linguistico provinciale «A. Lincoln» di Enna e sede distaccata di Agira si concluda nel più breve tempo possibile al fine di far transitare il suddetto personale dai ruoli provinciali ai ruoli statali. (5-05030)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   il gruppo Almaviva, fondato nel 1983, con 37.000 dipendenti e più di 50 sedi operative, si colloca:
    a) all'undicesimo posto nella graduatoria dei Gruppi industriali italiani nel mondo per numero di addetti;
    b) al sesto posto, nella medesima graduatoria, tra i Gruppi privati;
   in ambito CRM (customer relationship management), il Gruppo Almaviva opera attraverso la società Almaviva Contact, ed è tra i leader di mercato con circa 10.000 lavoratori, tra cui 8.500 assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con sede operative a Roma, Milano, Napoli, Rende, Catania, Palermo, con ricavi annui di circa 200 milioni di euro;
   soffermandoci sui dati inerenti al personale:
    1. il 90 per cento sono assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;
    2. quasi il 70 per cento sono localizzati nelle regioni meridionali;
    3. il 68 per cento sono donne;
    4. L'età media è di 38 anni – oltre 3.000 persone hanno superato i 40 anni;
    5. aziendale media è di oltre 8 anni – oltre 3.000 persone vantano una presenza in azienda di oltre 10 anni;
    6. i familiari fiscalmente a carico sono oltre 4.000;
   con riferimento al periodo 2000-2013, il Gruppo Almaviva è di gran lunga il Gruppo italiano – di qualunque comparto industriale – che ha creato più posti di lavoro in Italia: circa 15.000. E si tratta di lavoro «buono», perché stabile e generato prevalentemente nelle aree economicamente più svantaggiate del paese;
   nonostante le indubbie competenze vantate dalle società di Almaviva, negli specifici settori di competenza di ciascuna, negli ultimi mesi il gruppo sta attraversando una fase di crisi economica le cui conseguenze si stanno ripercuotendo sulle migliaia di dipendenti che rischiano il posto di lavoro;
   Almaviva prevede nel proprio statuto, caso unico in Italia, il divieto di delocalizzazione la propria attività e si batte da tempo perché venga fermato il fenomeno della delocalizzazione selvaggia, chiedendo con forza il rispetto della normativa esistente;
   l'attività svolta dai call center collocati al di fuori dell'Unione europea è oggetto delle disposizioni di legge introdotte dall'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012), rubricato «Misure a sostegno della tutela dei dati personali, della sicurezza nazionale, della concorrenza e dell'occupazione nelle attività svolte da call center»; in particolare, la norma prevede, al comma 4, che quando un cittadino effettua una chiamata ad un call center deve essere informato preliminarmente sul Paese estero in cui l'operatore con cui parla è fisicamente collocato e deve, al fine di poter essere garantito rispetto alla protezione dei suoi dati personali, poter scegliere che il servizio richiesto sia reso tramite un operatore collocato nel territorio nazionale;
   il Garante per la protezione dei dati personali è intervenuto in materia con la delibera n. 444 del 10 ottobre 2013, recante «Provvedimento prescrittivo in materia di trattamento dei dati personali effettuato mediante l'utilizzo di call center collocati in paesi al di fuori dell'Unione europea» e, successivamente, con delibera n. 582 del 18 dicembre 2013;
   in data 2 dicembre 2014, a conclusione del Tavolo AlmavivA Contact, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico, viene annunciato l'avvio immediato dei controlli sul rispetto da parte dei call center di quanto previsto dal richiamato articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012;
   successivamente, in data 15 gennaio 2015, in occasione della riunione del tavolo governativo sul settore dei call center, ed in relazione alla annunciata attività di verifica, il Ministero dello sviluppo economico ha ufficialmente reso noto che «i controlli a campione e quelli a tappeto effettuati da dicembre ad oggi dicono che sono eccessivamente diffuse nei call center le violazioni relative al trattamento dei dati personali. Il Ministero dello sviluppo economico, dunque, fa scattare le previste sanzioni pecuniarie nei confronti dei committenti, responsabili del mancato rispetto dell'articolo 24-bis del decreto n. 83 del 2012»;
   inoltre, l'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012, al comma 3, prevede che gli incentivi all'occupazione previsti dalla legge 29 dicembre 1990, n. 407, non possano essere erogati ad aziende che delocalizzano attività in Paesi esteri;
   alle su esposte criticità v’è da aggiungere che le disposizioni in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro, di cui al decreto legislativo 183 del 2014, hanno di fatto posto talune aziende in una posizione di favore rispetto ad altre, essa deriva, in modo evidente, dalla possibilità di godere o meno dell'opportunità di contrattualizzare i dipendenti con la nuova tipologia contrattuale cosiddetta «a tutele crescenti»;
   va altresì tenuto conto che la legge di stabilità 2015 l'articolo 1, comma 118, ha introdotto un esonero contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato decorrenti dal 1o gennaio al 31 dicembre 2015, ponendo anche in questo caso talune aziende in una posizione di favore rispetto ad altre –:
   se alla luce del complesso quadro di criticità afferente il settore dei call center, il Ministro interrogato, per quanto di competenza, non ritenga opportuno intervenire con maggior concretezza, anche in sede normativa, al fine di porre in essere ogni iniziativa utile a tutelare i lavoratori del settore medesimo;
   se, a seguito dell'introduzione della normativa in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro di cui al decreto legislativo 183 del 2014 nonché all'introduzione dell'articolo 1, comma 118, della legge di stabilità 2015, ritenga utile avviare una approfondita indagine circa l'impatto e/o le eventuali ripercussioni, che potrebbero derivare dall'applicazione delle predette norme, le quali adducono il rischio di immettere nel mercato elementi di discrasia in materia di concorrenza tra imprese titolari di rapporti contrattuali a tempo indeterminato ante o post «jobs act».
(2-00895) «Lombardi, Cominardi, Tripiedi, Ciprini, Dall'Osso, Chimienti».

Interrogazione a risposta orale:


   NICCHI, AIRAUDO, PLACIDO e MATARRELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   un articolo di Chiara Saraceno, pubblicato sulla rivista Micromega del 28 dicembre 2014, si concentra su «quei lavoratori invisibili che sono i bambini e ragazzi sotto i quattordici anni che lavorano in totale condizione di illegalità e non appaiono in nessuna statistica del lavoro»;
   come riporta il suddetto articolo, le stime, che comprendono sia gli italiani che stranieri, variano, e sono ferme a circa quindici anni fa, quando «l'Istat stimava vi fossero circa 144 mila bambini tra i 7 e i 14 anni “economicamente attivi”, mentre uno studio della Cgil ne stimava circa 400 mila»;
   la tabella per età degli infortuni sul lavoro denunciati del rapporto INAIL, anno 2013, denuncia 63.828 minori di 14 anni che hanno subito un infortunio sul lavoro: il 9,19 per cento di tutti gli infortuni dell'anno;
   questo numero è rimasto pressoché stabile nell'ultimo triennio (ma è aumentato rispetto al 2009), a fronte di una diminuzione in tutte le altre fasce di età;
   è il doppio circa della stima fatta dall'ISTAT nel 1988;
   anche tenendo conto che alcuni di questi incidenti possono essere avvenuti mentre il bambino aiutava occasionalmente un genitore nelle sue attività, la cifra è circa il doppio di quella – 31.500 – che l'ISTAT quindici anni fa stimava riguardasse situazioni di vero e proprio sfruttamento;
   la cifra di oltre sessantamila bambini coinvolti in incidenti sul lavoro in un anno suggerisce che i bambini lavoratori siano molti di più –:
   se non intenda attivarsi al fine di giungere a una quantificazione più aggiornata e reale del fenomeno del lavoro minorile nel nostro Paese;
   se non si ritenga indispensabile prevedere opportune iniziative volte a contrastare il fenomeno del lavoro minorile illegale e degli infortuni sul lavoro dei minori. (3-01364)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DELLA VALLE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Brek è un marchio di Cibis spa, società che si occupa di ristorazione, che raggruppa ristoranti, caffè, focaccerie ed altre tipologie di esercizi, tutti rivolti al consumo fuori casa;
   Cibis fa riferimento al gruppo finanziario GECOS operativo nei settori della grande distribuzione organizzata (Gruppo PAM: Pam, Panorama, In's, Pam Franchising), del retail aeroportuale (Nuance) e della ristorazione moderna (Cibis);
   il gruppo Pam (acronimo di Più a meno) realizza ricavi annui per oltre 2 miliardi di euro ed ha registrato nel 2013 un utile netto di 13,7 milioni di euro. Conta ben 468 punti vendita a gestione diretta e 142 in franchising. Complessivamente, lavorano per il gruppo veneziano della grande distribuzione più di undicimila persone;
   sul sito istituzionale di Brek si legge «È il 1975 quando il Gruppo Pam apre a Trieste il suo primo ristorante Brek, un esempio di ristorazione ancora sconosciuto in Italia e ispirato a format internazionali. In un periodo in cui modelli di consumo e mode cambiano rapidamente, Brek si fa subito notare grazie alla sua formula assolutamente rivoluzionaria, che piace al grande pubblico per il dinamismo degli ambienti, l'alta qualità dei prodotti e dei servizi»;
   sempre sul sito si legge che sono presenti 19 ristoranti self-service Brek in tutta Italia, ma poi nell'elencazione puntuale se ne contano solo 15 (5 in Veneto, 4 in Lombardia, 2 in Toscana, 4 in Piemonte di cui due a Torino, in Piazza Solferino e Piazza Carlo Felice, 1 a Grugliasco e 1 a San Mauro Torinese);
   dalle informazioni raccolte negli ultimi due anni sarebbero stati chiusi 7 punti vendita a Roma, il centro commerciale Panorama Roma Est, lo storico Brek di Mestre, il Brek di Lecco, il Bar Tosto a San Mauro Torinese, il centro cottura per ristorazione Brek Pianiga (PD);
   nei giorni scorsi è stata improvvisamente comunicata la volontà di chiudere la sede Brek di Torino, Piazza Solferino, per non meglio precisate motivazioni economiche, tra cui l'eccessivo costo dell'affitto del locale sito all'angolo tra piazza Solferino e via Maria Teresa, su tre piani;
   al momento la situazione è monitorata dall'assessorato comunale, ma visto il coinvolgimento di altre strutture (San Mauro) e la potenziale ricaduta su altre sedi piemontesi ed italiane, sarebbe auspicabile un intervento regionale ed anche un tavolo nazionale;
   il 16 di marzo 2015 sarebbe convocato un tavolo con i sindacati e la proprietà per conoscere il futuro dei 38 lavoratori attualmente impiegati con diverse mansioni presso la sede Brek di Piazza Solferino, Torino, per i quali si prospetta un licenziamento con indennizzo senza poter usufruire di altri ammortizzatori sociali;
   da quanto esposto in premessa sono a rischio migliaia di posti di lavoro senza tutele sociali per i lavoratori licenziati –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative i Ministri intendano porre in essere al fine tutelare i lavoratori dipendenti del Brek. (5-05034)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO, BARBANTI, ROSTELLATO, BALDASSARRE, ARTINI, PRODANI, SEGONI, TURCO, BECHIS e MUCCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso della protesta delle aziende del comparto della viticoltura del Friuli Venezia Giulia rispetto al progetto di organizzare – nei territori del Friuli Venezia Giulia, Veneto e Trentino – una doc interregionale Pinot grigio che dovrebbe essere chiamata «Delle Venezie»;
   la proposta di realizzare un doc unica tra le più importanti aree di produzione del Pinot grigio (300 milioni di bottiglie l'anno vendute principalmente negli Stati Uniti, in Germania e Inghilterra) è stata avanzata dal Veneto, sembra con l'intento di tutelare il Pinot grigio, evitando imitazioni e un calo del prezzo;
   il Comitato promotore per la difesa del vino friulano ha espresso la propria contrarietà all'iniziativa veneta, precisando per l'appunto che non c’è assolutamente la volontà di costituire una doc con il Veneto e che contro l'eventuale attuazione di questo progetto saranno proposti ricorsi giudiziari per tutelare la produzione di Pinot grigio del Friuli Venezia Giulia;
   il progetto prevede la cancellazione di tutte le storiche Igt friulane utilizzate e valorizzate da decenni e, inevitabilmente, metterebbe a rischio anche l'esistenza delle storiche denominazioni a origine controllata del Friuli Venezia Giulia;
   a quanto è dato sapere, i dirigenti dell'assessorato all'agricoltura del Friuli hanno espresso parere favorevole all'iniziativa. Tuttavia, al riguardo, non sono stati interpellati i produttori friulani, i quali si oppongono al progetto che danneggerebbe il Pinot grigio friulano;
   il Veneto e le sue istituzioni sono i principali sponsor del progetto Pinot grigio doc delle Venezie e per oggettive motivazioni legate alla dimensioni di questa regione ne diverrebbero anche il motore dirigenziale, dunque, la produzione del Friuli Venezia Giulia – con la propria storia, cultura e identità – sarebbe inevitabilmente danneggiata;
   è assurdo a giudizio dell'interrogante che i responsabili regionali del Friuli Venezia Giulia abbiano espresso la volontà di aderire al progetto senza consultare gli imprenditori del comparto in questione. Altre regioni come l'Alto Adige, che, come il Friuli Venezia Giulia ha una forte identità produttiva, hanno immediatamente espresso il loro dissenso all'iniziativa;
   l'iniziativa porterebbe ad una doc di nuova costituzione, per cui la sua presentazione dovrebbe essere accompagnata anche dall'adesione di un consistente numero di produttori regionali, come è avvenuto per la doc Friuli Venezia Giulia. Sicché, in mancanza dell'adesione dei produttori l'iniziativa non può essere realizzata;
   è bene evidenziare che un prodotto come il vino e indissolubilmente legato al territorio, pertanto, per il buon andamento del comparto è necessario tutelare il prodotto regionale. Inoltre, proprio per il legame al territorio, si esclude che una doc dalle caratteristiche assolutamente non omogenee per terreno, clima, potrebbe superare l'approvazione del comitato nazionale delle doc –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato in merito ai fatti premessi;
   se e quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro per tutelare il prodotto Pinot Grigio del Friuli Venezia Giulia, le aziende produttrici sarebbero irrimediabilmente pregiudicate con danno all'economia della regione, qualora sia costituita la doc interregionale come esposto in premessa. (5-05033)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GELLI. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi si è svolto a Pisa un convegno promosso dalla CNA dal titolo «legalità, qualità professionalità» finalizzato a sensibilizzare operatori, istituzioni e cittadini in merito ai prodotti e servizi del settore del benessere e dell'estetica;
   un settore che in Italia conta più di 30 mila imprese tra centri benessere, trattamenti estetici e palestre, 70 mila addetti, un numero di clienti annuo stimato attorno ai 40 milioni ed un giro d'affari stimato attorno ai 21 miliardi di euro;
   secondo le stime della Cna c’è un'altra metà del comparto, circa il cinquanta per cento, che opera in maniera irregolare, traducendosi, ovviamente, anche in un danno economico per l'erario e l'occupazione;
   in considerazione della espansione del settore diventa sempre più necessaria una iniziativa forte, a partire dalle istituzioni, per contrastare il fenomeno diffuso dell'abusivismo che crea condizioni di concorrenza sleale e di alto e concreto rischio per la salute dei cittadini;
   il mancato rispetto delle regole igienico sanitarie e l'utilizzo in modo non corretto di apparecchiature e cosmetici, infatti, può causare dermatiti, micosi, funghi, allergie dovute a prodotti non testati, scaduti o di scarsa qualità, oppure traumi muscolari e danni ai capillari causati da massaggi non professionali, ma anche epatite C provocata da strumenti non sterilizzati correttamente;
   in base a quanto predisposto per il settore alimentare occorre creare rapidamente una sinergia tra istituzioni e operatori per creare le condizioni di fermo contrasto della illegalità e una indispensabile valorizzazione della qualità delle imprese che operano correttamente in questo ambito –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare per la realizzazione sul modello di quanto già è stato fatto per il settore della sicurezza alimentare, di un piano nazionale finalizzato ad organizzare, in maniera capillare, su tutto il territorio nazionale, un adeguato sistema di controllo sui prodotti e servizi nel settore dell'estetica e del benessere, tutelando le imprese che rispettano le regole e difendono la salute dei cittadini. (5-05032)


   ANZALDI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 febbraio 2015 il Governo nel rispondere alla interrogazione n. 5-04447, sempre a firma dell'interrogante, concernente la normativa sulla produzione e distribuzione dei medicinali veterinari nel nostro Paese, ha affermato che la competente direzione generale del Ministero al fine di conoscere le opinioni rispetto al testo della proposta, presentata dalla Commissione Unione europea, di revisione della normativa comunitaria, ha avviato un confronto con le Associazioni dei diversi portatori di interesse che, però a tutt'oggi non hanno fornito ulteriori valutazioni in ordine alla questione della evidente anomalia che riguarda il prezzo dei farmaci per gli animali;
   rispetto a quanto riportato in precedenza l'interrogante segnala che in data 12 marzo 2015, sul sito www.farmacoveterinario.it è stato pubblicato il «confronto dell'acqua zuccherata», meglio nota come soluzione glucosata, che, evidentemente, per motivi scientifici, dovrebbe essere la stessa cosa in ambito umano che in quello veterinario;
   risultano, invece, in maniera davvero sorprendente, esservi ben due commercializzazioni della citata soluzione mediante flaconi in vetro da 500 ml di soluzione glucosata (destrosio) una ad uso umano e una ad uso veterinario;
   in questo caso non è necessario fare alcuna ponderazione su pesi e formulazioni, dato che si tratta dello stesso prodotto;
   come si evince, facilmente, dai confronto la soluzione veterinaria risulta avere un costo maggiorato del 10 per cento rispetto a quello per uso umano, e soprattutto desta stupore che la sua scadenza sia di un anno inferiore a quella del «corrispettivo umano»;
   questo caso evidenzia, ulteriormente, ove ve ne fosse stato bisogno, l'anomalia che nel nostro Paese riguarda il prezzo dei farmaci per animali partendo da una delle cose più semplici quale la soluzione glucosata –:
   se il Ministro sia a conoscenza di tale caso e quali siano le motivazioni che determinano questa differenza sia in termini di prezzo che addirittura della data di scadenza;
   se questo esempio possa essere portato all'attenzione del tavolo di confronto, avviatosi il 29 gennaio 2015, al fine di poter intervenire e modificare il quadro normativo comunitario, che regolamenta il prezzo dei farmaci con l'obiettivo di porre rimedio a questa evidente anomalia, evitando speculazioni a vantaggio esclusivamente delle case farmaceutiche. (5-05035)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL, CASO, ALBERTI, COMINARDI e BASILIO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 5 marzo 2015, a Folzano, una frazione del comune di Brescia, il valore di cromo VI rilevato nell'acqua è arrivato a livelli record: fino a 300 microgrammi litro, 6 volte il limite stabilito dalla legge per l'acqua potabile con il decreto legislativo n. 31 del 2001, di 50 per l'acqua del rubinetto e di 5 per la falda;
   questo valore ha portato il comune ad emettere un'ordinanza per vietare categoricamente il consumo di quell'acqua «perché non è potabile e non può essere destinata al consumo umano», che riguarda quattro pozzi privati della zona sud (Folzano, via Case Sparse, via Berther e via Noce), e coinvolge 4 abitazioni e un'azienda agricola con allevamento di vacche da latte; sette persone però non hanno nemmeno l'allaccio con l'acquedotto, quindi dovranno utilizzare acqua in bottiglia;
   il 2 marzo scorso, ad Ospitaletto, provincia di Brescia, è stato rilevato che le falde acquifere sono inquinate da cromo esavalente per un valore di ben 70 volte oltre il limite di legge, ossia fino a 364 microgrammi per litro: si è scoperto questo sotto il tracciato del TAV;
   nel dicembre del 2014 è stata riscontrata la presenza di cromo esavalente oltre i limiti sotto la terza corsia dell'autostrada A4, mentre si stava creando un sottopasso per la Brebemi: il valore era di 1.400 volte oltre il limite;
   soltanto pochi giorni fa ed esattamente il 3 marzo 2015, l'interrogante aveva espresso la sua preoccupazione in sede di risposta in Assemblea ad una interrogazione datata dicembre 2013 sul grave problema della presenza del cromo VI nell'acqua di Brescia e dintorni, alla quale soltanto a quella data veniva data risposta, peraltro risultata insoddisfacente per l'interrogante;
   il Sottosegretario di Stato per la salute, Vito De Filippo, rispondendo alla interrogazione n. 3-01321 ha dichiarato che «nel corso dell'incontro in sede comunitaria del gruppo di esperti in materia di acqua potabile (direttiva n. 98/83/CE che ho citato) che si è svolto a Bruxelles in data 18 dicembre 2014, proprio su proposta dell'autorità sanitaria centrale italiana, che valuta la rilevanza della questione in esame, è stata posta all'ordine del giorno la necessità e l'urgenza di aggiornare i parametri di controllo previsti in direttiva di sostanze chimiche di interesse comune per gli Stati membri, tra le quali anche il cromo VI. A tale riguardo, è stata comunicata dalla Commissione europea la pianificazione di un accordo di cooperazione tra la Commissione europea e l'Organizzazione mondiale della sanità per la revisione tecnico-scientifica dei criteri che presiedono ai parametri e ai valori di parametro attualmente indicati nella direttiva n. 98/83/CE»;
   nel comune di Brescia e nella provincia, le morti per tumore al fegato, casi di cancro al pancreas, cancro alla laringe, incidenza per malattie pneumologiche e altre malattie legate all'aria e all'alimentazione e a quello che viene ingerito sono elevatissime e sono oltre la media nazionale;
   il cromo esavalente è una sostanza che «sulla base di evidenze sperimentali ed epidemiologiche è stata classificata dalla IARC (International Agency for research on Cancer) come cancerogena per l'uomo (classe I)» (Fact sheet: «Cromo esavalente», Ispesl, dipartimento di medicina del lavoro, Centro ricerche Parma CERT); diversi studi, infatti, hanno dimostrato l'elevata tossicità del cromo esavalente se ingerito o se ne vengono respirati i fumi;
   in una sua nota l'ISS (Istituto superiore di sanità) spiega che «il Cromo esavalente, diffuso in composti di origine industriale quali cromati e tiolati, è caratterizzato da elevata tossicità e cancerogenicità»; infatti «il Cr (VI) è stato classificato dalla IARC (International Agency for research on Cancer) nel gruppo 1 (cancerogeno per l'uomo) sulla base di studi epidemiologici che hanno dimostrato associazione tra esposizione per via inalatoria al Cr(VI) e cancro al polmone», e, anche se «l'esposizione per ingestione a Cr(VI) è associata a mino grado di rischio», «uno studio di cancerogenesi a lungo termine in roditori, effettuato dall'NTP (National Toxicology Program), ha evidenziato che la somministrazione del Cr(VI) per via orale è associato ad un'aumentata incidenza di tumori della cavità orale nel ratto e dell'intestino tenue nel topo in entrambi i sessi» e che «i composti di Cr(VI) sono genotossici in un ampio range di test di genotossicità in vitro e in alcuni studi in vivo in seguito a somministrazione per via orale»;
   sempre secondo la nota dell'Istituto superiore di sanità, anche se l'esposizione per ingestione al Cr(VI) è legata ad un rischio minore poiché i composti del cromo esavalente nel tratto gastrointestinale dell'uomo sono ridotti efficientemente a composti Cromo III, che non è pericoloso, «tuttavia non si può escludere che anche a bassi livelli di esposizione una piccola percentuale possa eludere la riduzione a Cr(III), riduzione che determina i potenziali effetti tossici o cancerogeni»;
   l'aumento del cromo esavalente nell'acqua di Brescia è una triste eredità del passato industriale della zona: i bagni di cromo sono una protezione essenziale per tutte le lavorazioni metalliche (dalle posate alle armi) e fino a pochi anni fa le scorie liquide venivano scaricate semplicemente nei corsi d'acqua e nel terreno, infatti nel Mella per decenni sono finiti quintali e quintali di liquidi tossici che hanno inquinato i pozzi nella bassa valle, parte della città, fino ad arrivare nella Bassa, il granaio della provincia;
   oggi non sono aumentate le fonti inquinanti, ma i veleni rilasciati nell'ambiente in passato proseguono inesorabili la loro discesa e stanno dunque percolando fino alla falda profonda;
   lo Stato italiano parla di limite massimo di 5 microgrammi per litro per l'acqua di falda che si alza a 50 per quella che scende dal rubinetto di casa nostra (decreto legislativo n. 31 del 2001), limite specifico per il cromo in generale che è stato stabilito dall'Unione Europea 15 anni fa, e segue le linee guida sull'acqua potabile dell'Organizzazione mondiale della sanità, quarta edizione 2011, dove però è l'Organizzazione mondiale della sanità stessa, che, pur riconfermando il valore standard, che risale addirittura al 1958, specifica che quel valore è individuato come livello provvisorio, alla luce di alcune incertezze di ordine tossicologico, e totale, nel senso che non prende in considerazione un livello apposito per il cromo esavalente, dal momento che permangono difficoltà analitiche per la valutazione di questa sola forma, che però è riconosciuta essere molto pericolosa per l'organismo umano;
   l'EPA (environmentale protection agency) sta attualmente completando la valutazione del rischio per la salute umana del cromo esavalente e in base alle conclusioni deciderà se sia necessario ridefinire lo standard di riferimento del Cr per l'acqua potabile; nel frattempo ha raccomandato un programma di monitoraggio del cromo esavalente nelle acque potabili;
   l'OEHHA (office of environmental health hazard assessment) dell'Agenzia di protezione ambientale della California ha recentemente fissato il limite a 0,02 microgrammi per litro, quantità ben cinquecento volte inferiore alle concentrazioni medie presenti nell'acquedotto di Brescia;
   l'acqua può essere pericolosa per la salute umana anche per la presenza di un mix di inquinanti con cui si entri in contatto per lunghi periodi, ovvero per la co-presenza, pur sempre sotto i valori limite, anche di altri inquinanti, come solventi clorurati;
   da quanto finora emerso, dunque, nonostante la portata devastante dal punto di vista ambientale dell'inquinamento derivante dall'utilizzo e dalla dispersione nell'ambiente del cromo esavalente sarebbe stata nota da molti anni, non sarebbe stata intrapresa nessuna iniziativa realmente efficace e sistemica, soprattutto di mappatura dei siti e delle indispensabili bonifiche –:
   se il Governo sia al corrente della situazione descritta in premessa e in particolar modo del carattere di urgenza che il problema del cromo VI ha assunto nella zona di Brescia ormai da troppo tempo, come evidenziato ultimamente dalle recenti scoperte di valori record della sostanza che segnano ormai un «bollettino di guerra»;
   se il Governo non intenda rispondere a questa emergenza ambientale e sanitaria che a quanto pare è molto più grave di quanto si era valutato in sede istituzionale e minaccia da troppi anni la salute della popolazione della città di Brescia e dintorni, anche attraverso iniziative normative per abbassare da subito, in via precauzionale, il limite massimo fissato dal decreto legislativo n. 31 del 2001 per il cromo VI, in modo da tutelate la salute dei cittadini;
   se il Governo non consideri necessario attivarsi anche promuovendo adeguatamente la revisione tecnico-scientifica dei criteri che presiedono ai parametri e ai valori di parametro attualmente indicati nella direttiva n. 98/83/CE, di cui in premessa;
   se il Governo non intenda intervenire e in che modo, per quanto di competenza, anche per informare adeguatamente la popolazione sullo stato del territorio e dei rischi per la salute;
   se il Governo non consideri necessario avviare in tempi rapidi, attraverso l'Istituto superiore di sanità, un'indagine epidemiologica aggiornata sugli eventuali effetti nocivi dell'inquinamento della falda acquifera sulla salute dei cittadini della zona interessata. (4-08422)


   BARONI, GRILLO, DI VITA, MANTERO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, CECCONI e DALL'OSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la relazione dell'Agenas relativa all'andamento della spesa sanitaria negli anni 2008-2013 ha evidenziato come la regione Lazio nel 2013 continui ad avere un disavanzo di gestione di 669,626 milioni di euro, ripianati con l'aumento dell'addizionale IRPEF regionale (tasse dei cittadini) che ha portato nelle casse della regione medesima un'entrata di 791 milioni di euro;
   la ASL RM G insiste su un vasto territorio della regione Lazio prevalentemente nella zona est della capitale avendo come sede principale Tivoli;
   si è accertato che l'ospedale di Tivoli, grazie alle segnalazioni dei cittadini a cui è seguita un'indagine del Movimento 5 Stelle, ripresa dal Fatto quotidiano TV del 23 gennaio 2015, attende da quattro anni l'apertura del nuovo e modernissimo reparto di emodinamica, chiuso per mancanza di personale e costato ai cittadini stessi oltre tre milioni di euro;
   la mancata apertura di questo reparto costringe i pazienti di quel quadrante colpiti da IMA (infarto miocardico acuto) ad essere ricoverati nel reparto attrezzato più vicino, ossia quello del Policlinico Umberto I di Roma, mettendo a repentaglio molte vite umane che non vengono curate in maniera appropriata nella cosiddetta «ora d'oro», ovvero la prima ora dall'insorgere dei sintomi della patologia in questione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se la mancata apertura del reparto di emodinamica dell'ospedale di Tivoli possa dipendere dalla carenza di risorse derivante dall'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario. (4-08425)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è di questi giorni la notizia, riportata dalla stampa locale con grande dovizia di particolari, che l'ex sindaco del comune di Eboli, avvocato Martino Melchionda, a compimento di quelli che all'interrogante appaiono discutibili accordi politici trasversali, sarebbe stato nominato presidente del Consorzio farmaceutico intercomunale;
   il Consorzio farmaceutico intercomunale (CFI), nato nel 1996, è una realtà organizzativa e associativa nata dalla volontà di singoli comuni, tra cui anche il Comune di Eboli, uniti nell'obiettivo di investire sul territorio per la salute pubblica dei cittadini;
   tale Consorzio, però, secondo quanto si apprende dalla stampa locale, sarebbe diventato negli anni un «carrozzone» politico capace soltanto di accumulare situazioni deficitarie e la nomina del nuovo presidente a giudizio dell'interrogante è l'ennesimo segnale di una classe politica pronta a mettere a rischio la credibilità stessa delle istituzioni locali;
   sempre secondo le fonti di stampa, uno dei mentori di questa operazione sarebbe il sindaco di Scafati, Pasquale Aliberti;
   al di là delle polemiche di carattere meramente politico, però, ciò che rileva è che il nuovo incarico dell'avvocato Melchionda è stato assegnato in aperta violazione del decreto legislativo dell'8 aprile 2013, n. 39, recante «disposizioni in materia di inconferibilità ed incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni...»;
   in particolare, l'articolo 7, comma 2 del citato decreto recita in modo chiaro: «A coloro che nei due anni precedenti siano stati componenti della giunta o del consiglio della provincia, del comune o della forma associativa tra comuni che conferisce l'incarico, ovvero a coloro che nell'anno precedente abbiano fatto parte della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, nella stessa regione dell'amministrazione locale che conferisce l'incarico, nonché a coloro che siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione, non possono essere conferiti: [..] c) gli incarichi di amministratore di ente pubblico di livello provinciale o comunale [...]»;
   il presidente del Consorzio farmaceutico intercomunale sia un amministratore dello stesso lo confermano lo statuto e l'atto costitutivo del Consorzio stesso che precisano che il presidente fa parte ed, anzi, presiede il consiglio di amministrazione;
   in definitiva l'incarico conferito all'ex sindaco di Eboli, quale presidente del Consorzio farmaceutico intercomunale, di cui fa parte anche il comune di Eboli con una quota societaria e con ben tre farmacie comunali, ad avviso dell'interrogante non è «incompatibile», ma «inconferibile», ossia non poteva essere dato e, quindi, ai sensi dello stesso decreto legislativo n. 39 del 2013, articolo 17, esso è nullo;
   nella vita politica ed amministrativa nazionale e, in particolare, provinciale, sempre di più, c’è bisogno di «trasparenza» negli atti: operazioni come questa della nomina di Melchionda alla presidenza di un Consorzio del quale lo stesso comune di cui è stato sindaco, fa parte, vanno secondo l'interrogante nel senso opposto;
   la questione morale, la trasparenza, la legalità, la credibilità delle istituzioni sono valori che non possono essere ulteriormente calpestati, con il rischio sempre più concreto di minacciare la stessa tenuta democratica del Paese –:
   se si intenda inoltrare una segnalazione ai sensi dell'articolo 16, comma 2, del decreto legislativo n. 39 del 2013, all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), in relazione al conferimento dell'incarico di presidente del Consorzio farmaceutico intercomunale. (4-08424)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, LUCIANO AGOSTINI, MARCHETTI, LODOLINI, QUARANTA, SCOTTO e FERRARA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il piano industriale 2015-2020 presentato da Poste Italiane spa a prevede la razionalizzazione e la chiusura di numerosi uffici postali in sedi periferiche;
   a livello nazionale si prevede la chiusura definitiva di circa 450 uffici mentre 600 uffici avranno un'apertura con orario ridotto;
   nelle Marche, come in altre aree del Paese, ad essere particolarmente penalizzate sono le zone periferiche. Nello specifico il processo di riorganizzazione interessa per il 36 per cento la provincia di Pesaro Urbino, con 9 razionalizzazioni e 3 chiusure; per il 24 per cento quella di Macerata con 6 razionalizzazioni e 2 chiusure; per il 21 per cento Ascoli Piceno con 3 chiusure e 4 razionalizzazioni; per il 12 per cento Ancona con 1 chiusura e 3 razionalizzazioni, e per il 6 per cento su Fermo 1 chiusura e 1 razionalizzazione;
   dal piano di sviluppo di Poste Italiane spa emerge, in sostanza, un «cambio di vocazione» che punta alla riallocazione di risorse, recuperate dalla chiusura degli uffici periferici e dalla razionalizzazione, verso nuovi servizi prevalentemente focalizzati su risparmio, assicurazioni e commerce;
   Poste Italiane è affidataria del servizio universale che garantisce a tutti i cittadini la possibilità di fruire del servizio indipendentemente dal reddito e dalla collocazione geografica;
   il fornitore del servizio universale deve garantire per almeno 5 giorni a settimana una raccolta e una distribuzione al domicilio di ogni persona (fisica o giuridica), salvo deroghe stabilite dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e notificate alla Commissione europea;
   gli uffici postali rappresentano un importante presidio sul territorio, che diventa indispensabile soprattutto per alcune categorie di cittadini come gli anziani, quelli con una scarsa dimestichezza con strumenti informatici e telematici, o che risiedono in aree periferiche del Paese;
   la delibera n. 342/14/CONS dell'Agcom ha modificato i criteri di distribuzione degli uffici postali fissati dall'articolo 2 del decreto del Ministro dello sviluppo economico del 7 ottobre 2008, prevedendo criteri più restrittivi a tutela degli utenti del servizio postale universale, sopratutto in riferimento alle «aree geografiche remote del territorio nazionale, quali le “isole minori” e le “zone rurali e montane”, individuandole come “situazioni particolari” meritevoli di specifica considerazione nell'ambito del servizio postale universale»;
   la suddetta delibera impone, inoltre, a Poste Italiane di «avvisare con congruo anticipo le Istituzioni locali sulle misure di razionalizzazione; al fine di avviare un confronto sull'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e sulla possibile individuazione di soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale nelle zone periferiche»;
   il Ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan ha più volte manifestato il progetto di privatizzare Poste Italiane, attualmente società per azioni con capitale detenuto interamente dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   l'amministratore delegato di Poste Italiane Francesco Caio ha dichiarato che il contratto di servizio va ripensato perché allo stato attuale non è più sostenibile («Il piano Poste 2020 è molto ambizioso ma non può prescindere da un ripensamento del servizio universale postale adeguato alle nuove esigenze delle famiglie italiane che ora appare disallineato rispetto ai reali bisogni e quindi non più sostenibile dal punto di vista economico», dichiarazione riportata da Il Sole 24 Ore del 16 dicembre 2014);
   non rientra nelle prerogative dell'affidatario del servizio universale stabilire contenuti e limiti del servizio stesso e la funzione del servizio universale è proprio quella di garantire il servizio postale agli utenti che risiedono in zone «economicamente non vantaggiose» per una impresa che opera sul libero mercato;
   dal piano industriale di Poste 2020 ad avviso degli interroganti emerge chiaramente la tendenza dell'azienda a riallocare risorse in attività a redditività più elevata a scapito delle attività «tradizionali» del servizio postale, e con il processo di privatizzazione tale tendenza sarà verosimilmente più accentuata –:
   quali misure intendano adottare i Ministri interrogati, per garantire la piena operatività del servizio universale, in particolare modo per i cittadini che risiedono in aree svantaggiate del Paese;
   quali iniziative intendano intraprendere affinché siano rispettate e indicazioni dell'Agcom sulla concertazione tra Poste Italiane e le istituzioni del territorio nel processo di riorganizzazione degli uffici postali. (5-05031)


   TERZONI, CECCONI, GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le misure nazionali dell'Accordo di Programma sottoscritto il 10 marzo 2010 a seguito della crisi del Gruppo Merloni, gestite da Ministero dello sviluppo e Invitalia, non hanno prodotto progetti di attività imprenditoriale né risultati occupazionali;
   siamo alla scadenza del periodo di vigenza dell'Accordo stesso e i 35 milioni di euro giacciono inutilizzati. D'altro canto è ancora aperto il contenzioso sulla procedura di vendita dei beni produttivi della ex Merloni alla JeP Industries, con contestuale riassunzione di 700 lavoratori, gestita dal Ministero dello sviluppo economico, che rischia di essere annullata per problemi formali e ricorsi, con il rischio di una ulteriore drammatica emorragia di lavoro;
   le organizzazioni sindacali CGIL CISL E UIL Marche denunciano il fatto che nonostante in data 28 gennaio 2015, in un incontro al Mise, il Vice Ministro De Vincenti aveva assicurato tempi brevissimi per la firma della proroga dell'Accordo di Programma tra Governo e regioni Marche e Umbria, l'imminente varo di una modifica della legge 181 del 1989 per favorire gli investimenti, un'azione decisa sulla vertenza JeP, alla data del 12 marzo 2015 ossia dopo 40 giorni tutto sembra essersi arenato e la situazione socio-economica dell'area si sta ulteriormente degradando;
   da tempo viene denunciato il fatto che nelle a fronte di 62 progetti presentarti nelle Marche e una quarantina nell'Umbria i vincoli imposti dalla legge 181 del 1989, complicata e farraginosa, rendono inaccessibili le risorse alle Pmi –:
   quali siano le tempistiche con le quali il Ministro interrogato intenda prorogare l'Accordo di programma tra Governo e regioni Marche e Umbria;
   in quale modo intenda intervenire per modificare, facilitare e alleggerire gli iter burocratici che consentono l'accesso al fondo. (5-05036)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIBILIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane, spa è una società a capitale interamente pubblico che gestisce i servizi postali in un regime di sostanziale monopolio;
   il servizio universale è erogato sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato, in cui la società si impegna a raggiungere determinati standard di qualità, tra cui quelli riguardanti l'adeguatezza degli orari di apertura degli portelli rispetto alle prestazioni richieste;
   Poste Italiane spa riceve significativi contributi da parte dello Stato nell'ambito della legge di stabilità per consentire agli uffici postali periferici di erogare i servizi postali essenziali;
   il piano nazionale di riorganizzazione previsto dall'azienda, che diventerà operativo dal 13 aprile, prevede la chiusura di 455 uffici postali e la riduzione degli orari di apertura in 608 uffici;
   in data 22 gennaio 2014 il presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in risposta ad una specifica missiva del presidente dell'intergruppo parlamentare per lo sviluppo della montagna, ha ricordato che, con apposita delibera, l'Autorità ha «ritenuto opportuno inserire (...) specifici divieti di chiusura di quegli uffici che servono gli utenti che abitano nelle zone remote del Paese (...) ritenendo prevalente l'esigenza di garantire la fruizione del servizio nelle zone disagiate anche a fronte di volumi di traffico molto bassi e di alti costi di esercizio»;
   in tale missiva, l'Autorità chiarisce che «i divieti di chiusura, è bene sottolinearlo, tutelano situazioni individuate in base a parametri oggettivi: la natura prevalentemente montana e la scarsità abitativa sono desunte da classificazioni ISTAT e da dati demografici»;
   inoltre, la delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni obbliga Poste Italiane ad avviare, con congruo anticipo, con le istituzioni locali, delle misure di razionalizzazione per intraprendere un confronto sulle possibilità di limitare i disagi per le popolazioni interessate individuando soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale;
   si stanno diffondendo notizie di imminenti chiusure di sportelli e uffici in tutta Italia, con conseguente diminuzione della qualità e della fruibilità del servizio fornito alla clientela soprattutto nei piccoli comuni e rispetto alla popolazione anziana;
   con nota assunta in atti al prot. n. 392 del 5 febbraio 2015, a firma del direttore di filiale di Poste Italiane di Avellino, l'amministrazione comunale di Castel Baronia riceveva notizia del nuovo orario di apertura al pubblico a partire dal 13 aprile solo nei giorni di lunedì mercoledì e venerdì dalle ore 8,20 alle 13,45;
   il sindaco di Castel Baronia, con nota prot. n. 440 del 9 febbraio 2015, comunicava ai vertici di Poste Italiane il netto dissenso per una tale iniziativa che provocherà disagi non solo alla cittadinanza ma anche alle comunità vicine poiché l'ufficio postale, tra l'altro ristrutturato di recente, soddisfa ad oggi le esigenze di un bacino d'utenza proveniente anche dai comuni di Carife, San Nicola Baronia e San Sossio Baronia –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda porre in essere per garantire il rispetto del contenuto della delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sul divieto di chiusura degli uffici postali in zone montane e scongiurare che nei comuni piccoli, come Castel Baronia, i cittadini-utenti debbano sopportare i disagi derivanti dalla mancata erogazione dei servizi postali essenziali. (4-08412)


   TANCREDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni 5 marzo 2015 e seguenti vaste aree della regione Abruzzo sono state interessate da interruzioni del servizio elettrico di lunga durata – risultando alcune zone tuttora disalimentate (ultimi dati desunti da comunicati Enel dell'11 marzo 2015) – a causa di una forte ondata di maltempo che ha colpito diverse regioni del centro Italia;
   in particolare, sono state coinvolte le province di Teramo, Chieti e Pescara e parzialmente la provincia dell'Aquila, tutte duramente colpite da forti venti e da nevicate a quote medio-basse, che hanno causato la caduta di piante, alberi ad alto fusto e rami sulle linee elettriche, con la formazione di manicotti di ghiaccio sui conduttori;
   i disservizi hanno interessato sia la rete di trasmissione (alta tensione) gestita da Terna, sia le reti di distribuzione (media e bassa tensione) gestite da Enel spa;
   in base ai dati riportati dai principali quotidiani, dai comunicati stampa ufficiali di Enel Distribuzione spa delle istituzioni locali (prefettura e regione) e della protezione civile nella giornata del 5 marzo si è registrato il picco massimo di utenti disalimentati pari a circa 146.00; alcune migliaia di utenti sono rimasti disalimentati sino al 9 marzo; per alcuni la ripresa del servizi è avvenuta solamente l'11 marzo;
   non si riscontrano precedenti analoghi negli ultimi dieci anni in relazione al numero di utenti interessati e la vastità del territorio flagellato dal maltempo –:
   se risulti al Governo se Terna ed Enel spa abbiano agito nel rispetto degli obblighi di servizio finalizzati ad assicurare la pronta riparazione dei guasti e la tempestiva ripresa del servizio in condizioni di sicurezza;
   se risulti se Enel spa abbia agito in conformità dei piani di emergenza vigenti, adottando tutte le misure e i meccanismi necessari a garantire il servizio minimo essenziale, riducendo l'impatto determinato dal fuori servizio, e se vi sia stata un'adeguata tempestività da parte della stessa impresa nell'informare le pubbliche autorità competenti circa le possibili tempistiche di ripresa del servizio elettrico;
   quali iniziative urgenti, nell'ambito delle proprie competenze, intenda assumere il Ministro nei confronti di Terna, nonché delle imprese di trasmissione e di distribuzione, con riferimento all'adempimento degli obblighi di servizio e all'adeguatezza dei piani di emergenza vigenti. (4-08419)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Mongiello e altri n. 7-00625, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Preziosi.

Pubblicazione di un testo riformulato e indicazione dell'esatto ordine dei firmatari.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Fitzgerald Nissoli ed altri n. 1-00445, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 221 del 30 aprile 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    sono quasi un milione le pensioni in convenzione internazionale erogate dall'Inps a cittadini italiani residenti all'estero (circa 500.000) e ad emigrati rientrati in Italia, e sono centinaia di migliaia i cittadini italiani residenti all'estero e in Italia i quali matureranno, nei prossimi anni, il diritto ad una pensione italiana in pro rata attraverso l'applicazione di una convenzione bilaterale o multilaterale di sicurezza sociale;
    per tutelare i diritti previdenziali dei lavoratori italiani emigrati, nel corso degli anni l'Italia ha stipulato numerose convenzioni bilaterali di sicurezza sociale con i Paesi di maggiore emigrazione; tali convenzioni hanno garantito in materia di sicurezza sociale la parità di trattamento dei lavoratori che si spostavano da un Paese all'altro, l'esportabilità delle prestazioni previdenziali e, soprattutto, la totalizzazione dei contributi ai fini del perfezionamento dei requisiti contributivi minimi previsti dalle varie legislazioni per la maturazione di un diritto a prestazione;
    tali convenzioni sono state stipulate, tranne alcune eccezioni, negli anni Settanta e Ottanta, come ad esempio quella con l'Argentina che risale al 1984, quella con il Brasile che risale al 1977, quella con l'Uruguay che risale al 1985, quella con il Venezuela che risale al 1991, quella con gli USA che risale al 1978, quella con il Canada che risale al 1979, con la ex Jugoslavia addirittura al 1961 – le più recenti, per modo di dire, sono quelle con la Croazia del 1999 e quella con l'Australia che risale del 2000; sono evidentemente convenzioni obsolete nello spirito, nei contenuti e nella forma e che non possono più tutelare adeguatamente diritti e interessi o doveri dei futuri pensionati perché non sono state adeguate alle evoluzioni e agli aggiornamenti, talvolta radicali, delle legislazioni e dei sistemi previdenziali dei Paesi contraenti;
    nessuna delle convenzioni bilaterali stipulate dall'Italia contempla, e quindi disciplina, nel suo campo di applicazione oggettivo il nuovo sistema contributivo introdotto in Italia a partire dal 1o gennaio 2012 con il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni dalla legge 28 dicembre 2011, n. 214;
    nessuna delle convenzione bilaterali contempla nel proprio campo di applicazione soggettivo i dipendenti pubblici italiani, gli ex iscritti Inpdap e i liberi professionisti, i quali, quando emigrano nei Paesi extracomunitari, sono esclusi da ogni forma di tutela previdenziale (un'intollerabile disparità di trattamento con i dipendenti privati che è stata invece da tempo colmata dai regolamenti comunitari di sicurezza sociale);
    sono più di dieci anni che lo Stato italiano ha sospeso i negoziati con i Paesi di emigrazione italiana per la stipula e il rinnovo delle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale; sono numerose le convenzioni già firmate dall'Italia, approvate dai Parlamenti degli altri Paesi contraenti ma mai ratificate dal Parlamento italiano; sono decine di migliaia i cittadini italiani residenti in Paesi dell'America Latina non ancora convenzionati con l'Italia – come Cile, Perù, Ecuador e Messico – ai quali viene negato il diritto a pensione in regime internazionale nonostante la titolarità di una posizione assicurativa in Italia;
    appare incomprensibile e ingiustificabile l'eliminazione dell'unità di consulenza per la sicurezza sociale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, strumento di ricerca, consulenza e progettazione per l'avvio dei negoziati bilaterali;
    le convenzioni bilaterali di sicurezza sociale non devono tutelare solo la vecchia emigrazione: stanno emergendo, infatti, moderne figure di nuovi migranti italiani, come i liberi professionisti, i ricercatori, i piccoli imprenditori, gli artigiani, gli insegnanti, gli studenti, i lavoratori al seguito delle imprese, i tanti giovani che si recano a lavorare all'estero, anche per lunghi periodi, dove versano i contributi e pagano le tasse, e i quali rischiano poi, a causa delle convenzioni oramai obsolete, di non essere adeguatamente tutelati negli ambiti previdenziale, fiscale e sanitario;
    nella strategia di internazionalizzazione del Paese, a causa del drastico ridimensionamento delle cosiddette politiche migratorie che da alcuni anni si sta determinando, rischiano di offuscarsi le potenzialità legate alla presenza degli italiani nel mondo e tende a restringersi la rete di relazioni che essa ha assicurato nel tempo, con grave danno per il Paese soprattutto in questo passaggio di gravi difficoltà economiche e sociali;
    oltre a limitare le prospettive di internazionalizzazione dell'Italia, la sensibile riduzione dell'intervento pubblico e il totale abbandono della gestione delle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale non consente di esercitare una doverosa tutela dei diritti e un rigoroso controllo dei doveri socio-previdenziali di una parte non marginale della comunità, costituita da anziani che spesso vivono in realtà dove i sistemi di protezione sociale non assicurano livelli di tutela adeguati e dai nuovi soggetti migranti, i quali sono protagonisti di una mobilità internazionale fonte di carriere lavorative ed assicurative frammentate che necessitano di nuovi e più adeguati strumenti di tutela previdenziale, fiscale e sanitaria;
    è quindi di primario interesse nazionale fare in modo che non si indeboliscano i rapporti con la diffusa e articolata presenza degli italiani nel mondo e che non vengano a mancare in un momento di seria difficoltà gli apporti derivanti dalla diffusa diaspora italiana; nello stesso tempo, è ineludibile dovere etico riconoscere all'emigrazione italiana il contributo storico dato in momenti difficili al Paese e non ignorare i compiti di tutela e di solidarietà verso coloro che sono in seria difficoltà, a partire dalla tutela previdenziale e sanitaria,

impegna il Governo:

  alla luce delle importanti e sostanziali modifiche intervenute in questi ultimi anni nel sistema previdenziale italiano, ad istituire un tavolo tecnico che veda la presenza dei rappresentanti dei Ministeri interessati, dell'Inps e dei patronati nazionali con il preciso compito di:
    a) monitorare lo stato delle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale in essere e verificare la loro compatibilità con le modifiche intervenute nel sistema previdenziale italiano e l'eventuale conseguente necessità di rinegoziazione;
    b) verificare, a fronte dell'aumentata mobilità internazionale di lavoratori e lavoratrici sia in uscita che in ingresso in Italia, la necessità di stipulare nuovi accordi bilaterali di sicurezza sociale completando il quadro giuridico di salvaguardia dei diritti sociali – e di aggiornare quelli in vigore, a garanzia di una più adeguata, efficace ed ampia tutela previdenziale.
(1-00445)
(Nuova formulazione) «Fitzgerald Nissoli, Porta, Adornato, Allasia, Amendola, Binetti, Buonanno, Caon, Capelli, Capua, Caruso, Catalano, Catania, Causin, Cimmino, Cirielli, D'Agostino, De Mita, Dellai, Di Lello, D'Incecco, Gianni Farina, Fauttilli, Fedi, Galgano, Gelli, Gigli, Ginoble, Gitti, Giuseppe Guerini, Guerra, Invernizzi, Kyenge, La Marca, Lo Monte, Locatelli, Marazziti, Marcolin, Mazziotti Di Celso, Molea, Monchiero, Nesi, Oliaro, Pagano, Pastorino, Patriarca, Picchi, Piepoli, Pilozzi, Pisicchio, Preziosi, Rabino, Rondini, Santerini, Sberna, Scanu, Scotto, Sottanelli, Tacconi, Tinagli, Totaro, Vaccaro, Vargiu, Vecchio, Vezzali, Vitelli».
(30 aprile 2014)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta immediata in Commissione Cancelleri n. 5-05001 dell'11 marzo 2015.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Burtone n. 5-03380 del 31 luglio 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-01360;
   interrogazione a risposta in Commissione Iacono e altri n. 5-03776 del 10 ottobre 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-01361;
   interrogazione a risposta scritta Quartapelle Procopio n. 4-06416 del 15 ottobre 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-01362;
   interrogazione a risposta scritta Piazzoni n. 4-06437 del 16 ottobre 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-01363;
   interrogazione a risposta scritta Nicchi n. 4-07446 dell'8 gennaio 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01364.

ERRATA CORRIGE

   Risoluzione in Commissione Rostellato e altri n. 7-00606 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 378 del 19 febbraio 2015. Alla pagina 21791, seconda colonna, dalla riga quarantaquattresima alla riga quarantasettesima, deve leggersi: (7-00606) «Rostellato, Rizzetto, Bechis, Segoni, Artini, Barbanti, Baldassarre, Mucci, Turco, Prodani» e non: (7-00606) «Rostellato, Rizzetto, Bechis, Segoni, Artini, Barbanti, Baldassarre, Mucci, Tancredi, Prodani», come stampato.