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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 12 marzo 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    in ampie aree del mondo, dall'area mediorientale – Iraq, Siria, Libia, Palestina — a quella del Nord e del Centro dell'Africa — Libia, Nigeria, Somalia —, si sono intensificate le persecuzioni nei confronti dei cristiani. Le continue violazioni della libertà religiosa, ispirate dall'odio ultrafondamentalista causano morte, sofferenze, l'esilio, perdita delle persone care e dei propri beni;
    i cristiani al mondo che in questo momento subiscono persecuzioni sono stimati in non meno di 100 milioni, e le uccisioni, secondo le valutazioni più prudenti, sono almeno 7000 all'anno (ma per qualcuno si dovrebbe aggiungere uno zero);
    le violazioni della libertà religiosa non riguardano solo i cristiani: la follia omicida dell'ISIS, per esempio colpisce con eguale crudeltà gli Yazidi, i musulmani Sciiti e anche i musulmani sunniti che non accettano le prevaricazioni dei terroristi. Sono rase al suolo non soltanto le chiese, ma anche i templi, le moschee e i minareti. I cristiani, tuttavia, vantano il triste primato di essere circa l'80 per cento del totale dei perseguitati per ragioni religiose;
    il terribile destino riservato ai ventuno coopti decapitati nei giorni scorsi sulle coste libiche, espiando la «colpa» di essere, cristiani, a poche centinaia di miglia dalla Sicilia, ha esplicitato nel modo più turpe che si tratta di una tragedia molto prossima a noi;
    il rischio è che la moltiplicazione delle notizie di uccisioni, di massacri, di distruzioni provochi non un incremento della capacità di reagire da parte dell'Occidente, dell'Europa e dell'Italia, ma un incremento della nostra assuefazione, come se fossero eventi inevitabili, qualcosa che comunque deve succedere;
    la risposta a un'aggressione ingiusta deve essere intelligente e adeguata al contesto. È dunque necessario che un eventuale intervento sia multilaterale, non di sole potenze «occidentali», coinvolgendo possibilmente anche Paesi musulmani;
    l'intervento militare, doveroso da realizzare, sarà efficace soltanto se coerente con l'atteggiamento culturale. È fondamentale pertanto respingere l'idea che tutto l'Islam è il male assoluto, quasi fosse una guerra finale fra l'Occidente e un miliardo e mezzo di musulmani. L'unico modo di disinnescare l'ultra-fondamentalismo islamico e il terrorismo è trovare dei musulmani che ci aiutino a farlo: fuori e dentro i confini nazionali;
    quel che è certo è che non può proseguire una indifferenza di fatto, che concorre ad aumentare i lutti, le violenze e le distruzioni,

impegna il Governo:

   a rendersi promotore nelle sedi europee e internazionali di ogni iniziativa necessaria ad assicurare la concreta protezione dei perseguitati per motivi religiosi, in coerenza con le numerose deliberazioni adottate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite con gli interessi già approvati dal Parlamento italiano;
   ad assumere, in particolare, l'iniziativa in sede europea e internazionale della costituzione di una compagine, aperta ai principali attori regionali, che reagisca alle violenze più efferate e tuteli popolazioni e comunità oggetto di massacri e di persecuzioni solo per ragioni di fede religiosa;
   ad aggiornare periodicamente la Camera sullo stato dei lavori e sui risultati ottenuti.
(1-00760) «Dambruoso, Pagano, Bernardo, Binetti, Bueno, Catania, Capezzone, Centemero, Antimo Cesaro, Chiarelli, D'Agostino, Fabrizio Di Stefano, Ermini, Fauttilli, Galati, Galgano, Riccardo Gallo, Gigli, Laffranco, Latronico, Maietta, Marazziti, Marotta, Matarrese, Molea, Palese, Piepoli, Piso, Rabino, Romele, Santerini, Tancredi, Vargiu».

Risoluzioni in Commissione:


   La I Commissione,
   premesso che:
    il piemontese è una lingua neolatina occidentale e i suoi caratteri tipologici ne fanno un idioma completamente autonomo dall'italiano, più prossimo all'occitano, al francese, al franco provenzale, al catalano, e costituisce un punto di transizione tra le parlate gallo-italiche dell'Italia settentrionale e le lingue gallo-romanze. Si caratterizza per la ricchezza sia del consonantismo che del vocalismo e per le sue particolarità morfologiche, sintattiche e lessicali, che lo allontanano decisamente dall'italiano sul piano fonologico, morfologico e sintattico;
   la definizione delle lingue storiche è ben chiarita nella Carta europea delle lingue regionali e minoritarie del Consiglio d'Europa, firmata a Strasburgo il 5 novembre 1992 e che testualmente, all'articolo 1, dichiara: «per “lingue regionali e minoritarie” si intendono le lingue usate tradizionalmente sul territorio di uno Stato dai cittadini di detto Stato che formano un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione dello Stato e diverse dalla (e) lingua (e) ufficiale (i) di detto Stato; questa espressione non include né i dialetti della (e) lingua (e) ufficiale (i) dello Stato né le lingue dei migranti». L'importanza delle lingue storiche è assai ben definita nel preambolo della stessa Carta europea delle lingue regionali e minoritarie, dove viene stabilito che: «il diritto di usare una lingua regionale o minoritaria nella vita privata e pubblica costituisce un diritto imprescrittibile, conformemente ai principi contenuti nel Patto Internazionale relativo ai diritti civili e politici delle Nazioni Unite e conformemente allo spirito della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del Consiglio d'Europa»;
    nella risoluzione adottata il 16 marzo 1998 il Consiglio d'Europa afferma, nel preambolo della «Carta europea delle lingue regionali o minoritarie», fatta a Strasburgo il 5 novembre 1992, «il diritto imprescrittibile delle popolazioni ad esprimersi nelle loro lingue regionali o minoritarie nell'ambito della loro vita privata e sociale». Ne consegue che «la difesa e il rafforzamento delle lingue regionali o minoritarie nei vari paesi e nelle varie regioni d'Europa rappresentano un contributo importante all'edificazione di un'Europa basata sui princìpi di democrazia e di diversità culturale»;
    il primo documento letterario che ci è pervenuto risale al secolo XII (i «Sermon Subalpin», una raccolta di ventidue omelie festive, opera di un autore anonimo) che è probabilmente anteriore alle più antiche testimonianze dell'uso del volgare di Firenze (i conti dei banchieri fiorentini sono del 1211) e più esteso e senza dubbio più importante dal punto di vista culturale;
    una vera «koinè» (lingua comune) si sviluppa nel Seicento, età che segna la nascita di una letteratura a carattere nazionale, la quale abbraccia poco alla volta tutti i generi, dalla lirica al romanzo, alla tragedia, all'epica eccetera. La prima grammatica risale al 1783 e fu pubblicata, ad opera di Maurizio Pipino, presso la Stamperia reale. Questo progetto, che ancora oggi è significativo per la storia della nostra lingua, era nato dal desiderio di insegnare il modo quotidiano di parlare della Corte sabauda (in piemontese, non in italiano) a Maria Adelaide Clotilde Saveria di Francia, diventata per nozze Principessa di Piemonte;
    nel 1859, il cavaliere Vittorio di Sant'Albino compilò uno straordinario «Gran Dizionario Piemontese-Italiano», pubblicato dalla società l'Unione tipografica editrice (ristampato anastaticamente nel 1993 da L'Artistica di Savigliano). Sempre in quell'anno, la stessa casa editrice pubblicò la «Grammatica della lingua piemontese» di Camillo Brero e Remo Bertodatti, ricca di allegati quali: proverbi e manere ’d di; andvinaje; precisasion e finesse; note di storia letteraria; faule e leggende; cansono popular teatro piemonteis e altro;
    nel secondo ottocento si assiste, inoltre, a un fenomeno forse unico in Italia: la nascita di molti giornali in lingua regionale. Pochi, purtroppo, sono gli esemplari sopravvissuti all'usura del tempo, comprensibilmente se si pensa all'uso che si faceva della carta, e tutte le testate sono diventate rare o rarissime o addirittura introvabili. Il teatro sociale in lingua piemontese, in epoca risorgimentale, ha dato più di milleduecento opere teatrali, attestando una coscienza civile e un'avvertenza dei problemi delle classi lavoratrici cittadine e contadine che invano cercheremmo a quell'epoca in lingua nazionale. Esempio di poesia civile e di satira politica è nei vigorosi accenti del medico Edoardo Ignazio Calvo, sul finire dell'ottocento, che ascolterà più tardi gli infiammati appelli di Angelo Brofferio e di Norberto Rosa per il Risorgimento italiano;
    la lingua piemontese è stata lingua di lavoro e di commercio, di scienza e di letteratura, di teatro e di liturgia, ma soprattutto lingua di Stato per otto secoli;
    nell'ultimo secolo la lingua piemontese ha potuto godere i frutti di una più precisa e completa standardizzazione, che ha dato un contributo notevole alla stabilità e all'unità della stessa lingua, la quale, però patisce l'influenza dell'italiano e rischia di sparire nel secolo XXI, a meno che non si intervenga con delle misure serie per garantirne la tutela;
    nel Novecento, inoltre, si è sviluppata una prosa critica e scientifica di livello assai elevato;
    la questione della tutela giuridica delle minoranze linguistiche è stata oggetto di numerosi dibattiti parlamentari nel corso di varie legislature, che hanno condotto alla definitiva approvazione – nella XIII legislatura – della legge 15 dicembre 1999, n. 482. Tale legge, che reca norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche e storiche, è volta in primo luogo a dare attuazione all'articolo 6 della Costituzione. L'entrata in vigore della citata legge n. 482 del 1999 ha consentito all'Italia di sottoscrivere, il 27 giugno 2000, la Carta europea delle lingue regionali e minoritarie, già approvata dal Consiglio d'Europa nel novembre 1992, e di aderire alla convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, fatta a Strasburgo il 1o febbraio 1995, ratificata dalla legge 28 agosto 1997, n. 302. La Convenzione impegna i Paesi aderenti a non discriminare l'utilizzo delle lingue minoritarie ed a riconoscerne il diritto dell'uso da parte delle minoranze in tutti gli ambiti, compresi quello dell'istruzione e dei rapporti con la pubblica amministrazione;
    la normativa italiana attualmente vigente contiene norme per la tutela delle lingue e delle culture minoritarie storicamente presenti in Italia, ossia delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano ed il sardo. Tale legge, tuttavia, non ha considerato la lingua piemontese;
    la giustificazione più cogente ed inoppugnabile per il riconoscimento del piemontese quale lingua minoritaria parlata sul territorio italiano, va individuata nell'esplicita volontà manifestata in tal senso dal consiglio e dalla giunta della regione Piemonte. Infatti, la regione Piemonte ha riconosciuto l'importanza della propria lingua storica con l'approvazione di diversi ordini del giorno del consiglio regionale nella sesta legislatura (n. 799 del 18 giugno 1998; n. 812 del 7 luglio 1998; n. 1077 del 12 ottobre 1999 e, soprattutto, n. 1118 del 15 dicembre 1999, con il quale ne ha riconosciuto lo status di «lingua regionale»). La regione Piemonte ha riconosciuto l'importanza della propria lingua storica anche con l'approvazione della legge regionale 10 aprile 1990, n. 26, recante «Tutela, valorizzazione e promozione della conoscenza dell'originale patrimonio linguistico del Piemonte», modificata successivamente dalla legge regionale 17 giugno 1997, n. 37. La regione Piemonte ha poi approvato la legge 7 aprile 2009, n. 11, recante «Tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio linguistico del Piemonte», che la Corte costituzionale con sentenza n. 170 del 10 maggio 2010, ha dichiarato incostituzionale in, tutte quelle parti della legge laddove la lingua piemontese viene parificata alle lingue minoritarie riconosciute dalla Stato e meritevoli di tutela mediante la legge n. 482 del 1999 «Tutela delle minoranze linguistiche», nonostante essa non rientri fra queste;
    è bene sottolineare che la lingua piemontese è storicamente la lingua parlata di una nazione. La prima lingua del primo Parlamento italiano non è solo proprietà dei piemontesi, ma è patrimonio storico di tutto il Paese e non tocca solo ai piemontesi difenderla e illustrarla, ma a tutti i popoli che compongono questa nazione, consci del loro passato, riconoscerla con le altre come lingua storica. I piemontesi hanno contribuito alla realizzazione di questo Paese con lo statuto albertino, prima costituzione europea, con una maturità civica senza confronti in nessun'altra regione. Si ritiene che questa lingua, fondamento e pilastro risorgimentale, che ha contribuito alla nascita di questo Stato, meriti un riconoscimento che non intacca minimamente l'unicità e la viabilità della lingua nazionale;
    vi sono ulteriori considerazioni da tener presente:
     a) il piemontese costituisce una koinè, una comune lingua regionale e non un dialetto municipale; tale koinè si venne fissando sulla base del dialetto di Torino, ampliato ed arricchito da apporti di altre parlate. La validità del piemontese comune si estende tuttora almeno alle province di Torino, Cuneo, Asti, Vercelli e Biella nella loro interezza. In esse, le poche migliaia di parlanti il franco-provenzale o l'occitano sono tutti in grado di parlare correntemente anche il piemontese (si veda il già citato Quaderno 113 IRES Piemonte);
     b) il piemontese ha attestazioni scritte molto antiche, risalenti addirittura alla fine del XII secolo. La letteratura in piemontese costituisce un corpus imponente e continua a svolgersi in modo assai vitale. Esistono periodici scritti interamente o in parte in piemontese, pregevoli antologie ed una vitale editoria. In forma facoltativa, grazie al sostegno della citata legge regionale, il piemontese è insegnato in centinaia di classi delle scuole di ogni ordine e grado da ormai una decina di anni; corsi universitari di lingua e letteratura piemontese sono stati attivati con ottimo successo;
     c) il piemontese può vantare numerose grammatiche e dizionari. La grammatica normativa più importante, e che codifica la grafia tradizionale adottata oggi praticamente da tutti coloro che scrivono nella lingua regionale, è la Gramàtica Piemontèisa di Camillo Brero (1969), comparsa in più edizioni e tradotta in italiano;
     d) il piemontese presenta caratteri linguistici marcatamente diversi dall'italiano, e gli abitanti delle altre regioni, eccetto in parte quelle contigue, non sono in grado di capirlo né in forma orale né in forma scritta. Sono lampanti le affinità con il francese e l'occitano;
     e) il parlare piemontese non comporta oggi alcuno stigma, come invece avviene in molte altre parti d'Italia, in cui, insensatamente, l'uso del dialetto dichiara una collocazione culturalmente ed economicamente inferiore;
     f) pur essendosi affermato come comune lingua regionale, il piemontese non ha causato la totale sparizione dei dialetti locali, molti ancora parlati fra gli abitanti di un dato paese, i quali però tutti si servono agevolmente della koinè, nelle interazioni con parlanti non paesani;
     g) anche a livello europeo il piemontese è stato riconosciuto tra le lingue minoritarie (non fra i dialetti) nella raccomandazione n. 928 del 1981 e nella risoluzione del 16 ottobre 1981 dell'Assemblea del Consiglio d'Europa, nonché dall'UNESCO,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per riconoscere la lingua piemontese come parte integrante dell'insieme delle lingue regionali presenti nella Repubblica con pieno diritto di cittadinanza nell'ambito della legge di tutela, procedendo quindi all'inserimento della stessa all'articolo 2 della legge n. 482 del 1999.
(7-00624) «Invernizzi, Simonetti, Allasia».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    è rimasto senza utili risposte l'allarme lanciato dalle maggiori organizzazioni professionali agricole e del settore della cooperazione agroalimentare di livello nazionale sulla crisi che sta scuotendo il sistema olivicolo ed oleario italiano;
    le denunce che tali organizzazioni lanciano alle istituzioni, segnatamente al Governo ed al Parlamento, sono più che preoccupanti e fanno sapere che l'annata 2014 per l'olio italiano è stato un «anno nero». La campagna del 2014 si ricorderà per un calo produttivo drammatico, con una riduzione del 30-40 per cento rispetto alla media nazionale degli anni precedenti. Una situazione che ha messo in crisi i produttori olivicoli e le coltivazioni di pregio del Paese, rispetto alla quale è ormai necessario adottare azioni urgenti. Seppure dovesse risultare che il calo produttivo del 2014 sia stato un fatto occasionale, rimane tuttavia fermo che sono sempre troppi e di lungo retaggio i rischi per il settore: continua perdita di competitività, mancata innovazione, abbandono della produzione ed elevata possibilità di esporre l'olio italiano a fenomeni fraudolenti;
    l'olio extravergine di oliva è l'unico olio vegetale direttamente commestibile, quindi dotato di complessi di gusto ed aroma che ne determinano i crescenti consumi mondiali. La produzione mondiale è in aumento e stabilizzata dal 2010 su oltre 3.000.000 tonnellate/anno. È una «commodity» di alto valore, che con meno del 4 per cento della produzione di oli vegetali movimenta il 20 per cento del mercato;
    l'Italia storicamente aveva una posizione di rilievo per le caratteristiche qualitative del prodotto e per la importanza quantitativa delle produzioni in un mondo che vedeva l'olivo come pianta colonizzatrice e l'olio come produzione povera, talora malfatta e maleodorante, da inviare a raffinerie italiane che lo trasformavano in oli di oliva commestibili. Oggi la realtà mette in evidenza che in tutti i Paesi olivicoli e non olivicoli le piantagioni di olivo sono diventate piantagioni da reddito, e la nuova olivicoltura mondiale, che arriva appunto a 3.000.000 di tonnellate, è ottenuta con nuove e moderne piantagioni, altamente produttive, competitive, con produzioni di qualità crescente, in grado di competere sui mercati allo stesso livello delle qualità italiane, con la differenza che l'Italia con le sue produzioni decrescenti attualmente non è in grado di imporsi in nessun tipo di mercato; nel 2013/2014 la produzione italiana, probabilmente inferiore alle 400.000 tonnellate da stime ancora da verificare, rappresenta solo il 13 per cento della produzione mondiale;
    come ben risulta dal testo e dagli allegati del piano olivicolo-oleario 2009/2013 predisposto dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, ad oggi ormai superato, il comparto produttivo risulta compromesso. Il Comparto olivicolo può contare solamente su circa un milione di aziende, di cui gran parte in zone collinari e deve fare i conti con coltivazioni di proprietà che gestiscono 100 o 250 piante di olivo come patrimonio aziendale, con l'età stessa delle piantagioni che, ad esempio, in alcune zone di Italia supera i 300-500 anni, con l'estrema frammentazione varietale, con un innumerevoli cultivar delle quali non si conoscono né il comportamento agronomico né le caratteristiche dell'olio. Sono queste solo le più evidenti criticità dell'olivicoltura attuale dell'Italia che danno appena un'idea delle difficoltà del comparto, ove il ricambio generazionale ha ormai fatto venir meno i tradizionali agricoltori;
    questa situazione comporta anche riflessi pesantemente negativi sulle tecniche di conduzione, approssimative e mirate al massimo risparmio fino a nessun intervento, riportando la coltivazione dell'olivo ad una coltura di sussistenza ed in certi casi senza tener conto della conservazione dell'ambiente;
    ciò d'altro canto provoca anche difficoltà insormontabili per la produzione di olio di qualità, visto che la maggior parte degli agricoltori raccoglie le drupe quando può, frange quando può e come può, mentre la mancanza di disponibilità economico-finanziarie limita anche i più essenziali interventi di fertilizzazione e di difesa;
    da una rapida valutazione dei dati statistici è facile ricavare questo degrado progressivo della struttura, poiché praticamente si è passati da oltre 800.000 tonnellate di olio nel 2004 a meno di 400.000 tonnellate (probabili) nella presente campagna;
    l'ultima campagna ha messo drammaticamente alla luce i difetti, le manchevolezze e le necessità delle strutture produttive; una previsione di produzione già nettamente inferiore alle attese, mostrava già le tendenze al decremento del comparto. Un forte attacco di mosca olearia, lasciato incontrollato per mancanza di mezzi economici per effettuare i necessari trattamenti e l'abbandono di frutti sulla pianta determinato dal loro basso valore, hanno certamente abbassato i limiti della produzione, potendo essa arrivare a meno di 400.000 tonnellate in un momento in cui il valore dell'olio stava risalendo verso limiti di convenienza economica e malgrado nel Mediterraneo si annunciassero produzioni da record;
    il paradosso di questa situazione è che questo aumento del valore dell'olio andrà a favore dei principali competitori italiani; infatti, il consumo di olio di oliva in Italia è assestato intorno alle 600.000 tonnellate, quindi sono necessarie 200.000 tonnellate di buon olio (rivalutato) solo per soddisfare il fabbisogno nazionale, alle quali si dovranno aggiungere almeno altre 200.000 tonnellate per poter continuare ad alimentare le esportazioni. Attualmente l'Italia produce circa la metà dell'olio rispetto ai propri fabbisogni;
    per valutare attentamente le possibilità e gli indirizzi di sviluppo del comparto olivicolo, occorre verificare il mercato generale, il comportamento e le produzioni dei principali Paesi olivicoli e le spinte allo sviluppo del comparto olivicolo-oleario a livello globale. Nell'orizzonte europeo, compare gigantesca la montagna produttiva spagnola che ancora una volta supera 1.500.000 tonnellate (circa il 50 per cento della produzione mondiale), con produzioni provenienti da piantagioni nuove, irrigue specializzate, integralmente meccanizzabili ed inserite in una filiera già in corso di adeguamento alle caratteristiche qualitative che il mercato richiede; gli agricoltori spagnoli hanno rinnovato le piantagioni, riorganizzato le filiere, acquistato marchi di prestigio anche italiani ed ora stanno lavorando intensamente sulla qualità intrinseca delle loro maggiori produzioni nazionali. Competere con queste realtà significa competere tecnologicamente;
    sempre nell'ambito europeo, la Grecia si presenta con una olivicoltura solo parzialmente rinnovata, ma con oli di elevata qualità ed a prezzi relativamente bassi. Nell'ambito del Mediterraneo una forte spinta al miglioramento tecnologico nello specifico settore dell'olivicoltura è in atto in Marocco, che tre anni fa ha lanciato il programma «Maroc Vert», che prevede interventi praticamente a fondo perduto per nuove piantagioni, ed in Turchia, ove l'olivo è visto come un investimento produttivo ed il potenziale di esportazione di questo Paese si sta avvicinando alle 100.000 tonnellate/anno. In sottofondo rimangono ancora Paesi come Siria e Tunisia, che insieme possono coprire 400.000 tonnellate (quantità pari all'attuale produzione italiana) di oli a basso costo;
    al di fuori dell'area mediterranea si stanno sviluppando interessanti realtà olivicole, delle quali si deve tener conto, perché, se non influenzano il mercato nazionale, sono delle minacce concrete per le esportazioni. Negli Stati Uniti, in California, sta crescendo un nucleo di olivicoltori che mirano ad impadronirsi del mercato nordamericano, che rappresenta la migliore zona di esportazione degli oli italiani. Questo avviene sia con l'immissione sul mercato di oli di buona qualità prodotti in California, con impianti moderni, ma anche attraverso organi di stampa e dossier ufficiali che evidenziano i difetti del sistema produttivo italiano, praticamente inesistente nel loro immaginario collettivo;
    nell'America del Sud, Cile ed Argentina sono impegnati nella produzione di olio attraverso nuove piantagioni, e l'Argentina ha dichiarato l'olio di oliva «alimento nacional»; attualmente è accreditata di una produzione reale di 30.000 tonnellate, con grandi ambizioni sul mercato nordamericano (Stati Uniti, Canada);
    dall'altra parte del globo, la realtà australiana, ancora modesta, ma tutta costituita da nuove piantagioni, mira ai mercati orientali che rappresentano un potenziale sbocco anche per le produzioni italiane;
    si tratta, in genere, nel resto d'Europa (Portogallo, Spagna, Francia e parzialmente Grecia) e nel resto del mondo (Marocco, Turchia, Sudamerica, Australia) di olivicolture da reddito ove l'unica finalità dell'impianto è produzione di oli di oliva ottenuti con tecnologie moderne di raccolta, trasformazione, e ben organizzate, in grado di dare tutte oli di eccellente qualità sotto il profilo di genuinità e purezza, e di caratteristiche organolettiche talora diverse, ma non necessariamente inferiori a quelle del prodotto nazionale;
    per fermare l'abbandono ed il «disamoramento» dell'olivicoltura come fatto produttivo che trascinerebbe inesorabilmente nella caduta anche alcune delle linee commerciali più rilevanti del made in Italy» come gli oli di alta qualità, occorre prendere atto che la struttura deve essere modificata; questo non sarà fatto certamente in un arco di tempo breve, e senza un adeguato intenso lavoro di programmazione; si dovrebbe iniziare innanzitutto a ricostruire lo scheletro di una struttura produttiva efficiente attraverso nuove piantagioni che siano nel giro di pochi anni in grado di sopperire almeno ai fabbisogni nazionali e mantenere l'immagine di un mondo olivicolo dinamico e produttivo in grado di sostenere un'esportazione di qualità, e ridare al Paese un settore capace di dare occupazione e recuperare quelle forze lavoro che derivano dall'abbandono progressivo dell'olivicoltura tradizionale;
    queste nuove piantagioni dovrebbero possedere tutti i requisiti per lo sviluppo e l'applicazione di tutte le moderne tecnologie;
    in numerosi distretti rurali esistono ampie zone a vocazione olivicola-agricola, ove si potrebbe operare con queste nuove piantagioni, che assumerebbero un importate ruolo nella evoluzione del paesaggio analogamente a quanto avvenuto per i vigneti, che negli ultimi trent'anni sono stati totalmente sostituiti dalle nuove piantagioni adatte alle mutate esigenze agronomiche e tecnologiche, e con evidenti vantaggi paesaggistici ed ambientali;
    per dare un'idea dell'immensità delle operazioni e della urgenza di iniziare le attività si portano ad esempio alcuni numeri: supponendo di dover soddisfare un fabbisogno di 200.000 tonnellate/anno di olio di oliva si dovrebbero portare a regime 150.000/200.000 ettari di nuovi oliveti che con una media di 1 tonnellata/ettaro di olio potrebbero riuscire a colmare il fabbisogno;
    è evidente che un processo di questa portata richiede un arco di tempo lungo ed accurate calibrazioni dei processi a monte ed a valle delle piantagioni; è tuttavia necessario sempre ricordare che l'impianto di un oliveto determinerà una produzione 3-5 anni dopo, e che occorre aspettare comunque 8-10 anni per arrivare ad una produzione stabilizzate;
    è quindi necessario avviare immediatamente il processo nelle zone e con gli agricoltori che sono interessati;
    a tale scopo occorrerebbe un sistema di strumenti incentivanti che da un lato sia in grado di permettere agli investimenti di poter essere gestiti agevolmente riducendo l'effetto delle numerose norme ed autorizzazioni necessarie per la costituzione di nuove piantagioni, che dovrebbero essere realizzate solo sulla base di rigorosi criteri tecnico-scientifici, e dall'altro di permettere di costituire una linea specifica di finanziamenti, se del caso tramite un fondo di incentivazione, individuando nel modo più opportuno la fonte delle risorse necessarie e che potrebbe per esempio essere previsto a livello regionale a carico degli attuali contributi di cui ai piani di sviluppo rurale o delle organizzazioni comuni di mercato, da utilizzare per la costituzione di nuove piantagioni di olivo analogamente a quanto si sta facendo nel settore della viticoltura;
    un'operazione di questo tipo non sarebbe finalizzata alla sola produzione olivicola, ma contribuirebbe a movimentare attività e quindi capitali in un indotto che va dall'attività vivaistica alle macchine agricole all'impiego di forze lavoro direttamente nelle piantagioni e indirettamente nelle attività indotte, e a creare linee produttive che già direttamente possono essere pilotate verso prodotti di alta gamma e di qualità certificate;
    va evidenziato che una situazione problematica come quella attuale che sta attraversando l'olivicoltura, l'Italia l'ha già attraversata e in parte superata, alla fine degli anni Novanta nel settore, dell'agrumicoltura; per esse è stato adottato un piano nazionale condiviso dalle autorità dell'Unione europea e poi è stato attuato dalle regioni che ha brillantemente conseguito i risultati prefissati;
    tale piano sarebbe necessario anche per il grande valore ambientale che riveste la coltivazione dell'olivo specialmente per quanto riguarda la protezione che conferisce al suolo e quindi alla riduzione del rischio idrogeologico e per la conservazione del territorio, essendo questa pianta, tra le specie arboree coltivate, quella con minori esigenze in termini fabbisogno idrico e difesa fitosanitaria;
    lo sviluppo dell'olivicoltura avrebbe una propria valenza strategica anche per gli scenari futuri: a livello globale grazie alla diffusione della dieta mediterranea sta iniziando a diffondersi anche nei Paesi non tradizionalmente consumatori una cultura legata all'olio extravergine di oliva ed alle sue proprietà; questo fenomeno relativamente nuovo è rappresentato da manifestazioni, concorsi internazionali, forum e portali dedicati, curati da giornalisti, e food blogger. Tali iniziative non solo mettono in evidenza le migliori produzioni, ma riescono anche con estrema facilità ed ascolto ad evidenziare la scarsa qualità dei prodotti commerciali (Merum, Olive Center UC Davis, truthinoliveoil, jooprize, NYT e altro). In tale prospettiva è concretamente ipotizzabile che in un prossimo futuro sarà sempre più presente questa consapevolezza e mutata sensibilità del consumatore e sarà quindi necessario cogliere tali opportunità per elevare la qualità del prodotto esportato;
    l'Italia possiede un grande patrimonio varietale ancora tutto da valorizzare ed in questo contesto teso a valorizzare la qualità e le specificità, avrebbe quindi un elevato margine competitivo e forti posizioni di vantaggio;
    non è da sottovalutare poi che nello sviluppo dei nuovi impianti della futura olivicoltura nazionale vi sarebbero forti ricadute in termini occupazionali, soprattutto nel campo agroindustriale ed agroalimentare, con l'utilizzo e l'impiego dei macchinari necessari alle conduzioni agronomiche e raccolta delle olive che ne riducano sensibilmente i costi di gestione e che oggi rappresentano l'eccellenza della industria italiana meccanica del settore, sia in Italia e sia all'estero, nonché con la maggior richiesta di impianti di estrazione e separazione in due fasi dove alcune industrie italiane sono all'avanguardia con brevetti che permettono di non utilizzare acqua e con ottimi risultati per il riutilizzo delle sanse per uso agricolo e la nutrizione animale;
    sarebbe necessario quindi approvare un apposito programma per lo sviluppo dell'olivicoltura nazionale ed in questo senso dotare l'attuale ordinamento nazionale di una norma specifica volta a rafforzare e sostenere lo sviluppo dell'olivicoltura ed avente contenuti analoghi a quelli di cui all'articolo 1, comma 1, della predetta legge n. 423 del 1998;
    tale norma dovrebbe prevedere che, per fare fronte alla grave situazione di declino della coltivazione dell'olivo ed alla crisi di produttività del comparto olivicolo nazionale, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, d'intesa con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ed acquisito il parere delle competenti commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, presenti al Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) per l'approvazione le linee programmatiche di indirizzo e di, intervento per l'olivicoltura italiana anche al fine di contenere i costi di produzione, di riorganizzare la commercializzazione e di migliorare la qualità dei prodotti agricoli, tenendo conto dell'esigenza di risanamento tecnico-colturale e varietale,

impegna il Governo:

   ad intraprendere le opportune iniziative, possibilmente anche a carattere d'urgenza, affinché si attui un piano per il rilancio, il rafforzamento e lo sviluppo dell'olivicoltura nazionale (piano olivicolo nazionale), allo scopo seguendo un procedimento normativo, amministrativo ed operativo, analogo a quello attuato ai sensi della legge 2 dicembre 1998, n. 423, come meglio indicato in premessa, valutando in tale ambito, la possibilità di individuare ed autorizzare una congrua somma di spesa, se del caso da associare all'istituzione di un fondo di rotazione per gli investimenti, il cui importo sia non inferiore a 90 milioni di euro da ripartire nell'arco di un triennio;
   ad attivare iniziative dirette alla valorizzazione dell'olio extravergine di oliva, con particolare riguardo ad azioni divulgative volte a favorire la conoscenza delle proprietà nutrizionali e salutistiche degli oli extravergini di qualità.
(7-00625) «Mongiello, Oliverio, Realacci, Amato, Antezza, Bossa, Capozzolo, Carella, Carloni, Cassano, Cenni, Covello, Culotta, D'Arienzo, D'Incecco, Di Gioia, Marco Di Maio, Donati, Epifani, Famiglietti, Fanucci, Fedi, Folino, Galperti, Giacobbe, Ginefra, Ginoble, Grassi, Iacono, Iori, Lodolini, Magorno, Massa, Mazzoli, Montroni, Moscatt, Pelillo, Porta, Sgambato, Tullo, Venittelli, Villecco Calipari, Zardini, Bini, Sani, Albanella».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   dalla mattina di giovedì 5 marzo 2015, il maltempo ha imperversato sulla regione Toscana e, soprattutto a causa del vento forte, ha causato gravi danni quantificabili attorno ai 400 milioni di euro, di cui circa 300 relativi al settore vivaistico;
   tale eccezionale circostanza ha causato la morte di una persona ed oltre dieci feriti;
   la caduta di alberi sulla rete elettrica ha comportato la sospensione delle forniture elettriche per più di duecentomila utenze, con notevole disagio per le abitazioni e vere e proprie emergenze per le strutture che erogano servizi essenziali;
   le forti raffiche di vento hanno inoltre causato danni alla rete stradale e ferroviaria, comportando notevoli disagi al sistema dei trasporti;
   si registrano, su tutto il territorio regionale, ingenti danni ad edifici pubblici e privati, oltre che ad attività produttive;
   le amministrazioni comunali e provinciali devono affrontare difficoltà grandissime anche per quanto riguarda l'edilizia scolastica: interi edifici hanno subìto ingenti danneggiamenti e gli alunni sono stati trasferiti in locali allestiti per l'emergenza, una situazione complessa, che rende problematica la didattica e gli aspetti organizzativi;
   tutto il territorio toscano risulta gravemente colpito, ma si riscontrano danni in modo particolare nelle province di Arezzo, Lucca, Pistoia, Prato e nella zona della Versilia, con danneggiamenti alla rete viaria, al patrimonio pubblico, alle civili abitazioni e alle imprese;
   il settore vivaistico della città di Pistoia ha subito danni gravissimi: il 30 per cento delle aziende florovivaistiche di questi territori rischia di non riaprire a causa dei danni, mettendo a rischio un indotto di circa seimila lavoratori;
   il distretto di Pistoia, leader in Europa nelle piante ornamentali d'alto fusto con 1.250 aziende impegnate a coltivare cinquemila ettari, che danno lavoro a 12mila persone, è stato colpito dal maltempo alla vigilia del periodo primaverile, quando si concentrano le spedizioni dirette per l'80 per cento all'estero, generando dunque un danno ulteriore e gravissimo;
   il presidente della regione Toscana Enrico Rossi ha informato il Governo della gravità della situazione e dichiarato lo stato di emergenza regionale –:
   se il Governo ritenga opportuno dichiarare lo stato di emergenza ai sensi dell'articolo 5 della legge 225 del 1992;
   se il Governo ritenga opportuno assumere iniziative per allentare i vincoli imposti dal patto di stabilità interno, al fine di utilizzare le risorse per la ricostruzione degli edifici danneggiati e il ripristino della normalità;
   quali misure il Governo intenda adottare per evitare maggiori danni a persone o cose e per assicurare in tempi celeri il ripristino dei servizi e delle attività colpite.
(2-00894) «Fanucci, Donati, Parrini, Bini, Cenni, Ermini, Fontanelli, Fossati, Giampaolo Galli, Giulietti, Manciulli, Marchetti, Marchi, Melilli, Rocchi, Simoni, Ferro, Fedi, Boccadutri, Lodolini, Berretta, Andrea Romano, La Marca, Censore, Vazio, Tullo, D'Ottavio, Fabbri, Fiorio, Gelli, Famiglietti, Porta».

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   la nuova legge elettorale della regione Umbria (legge regionale 23 febbraio 2015, n. 4) è stata approvata dal consiglio regionale nella riunione del 17 febbraio 2015, a ridosso dello scioglimento dello stesso per scadenza naturale del mandato e dell'indizione delle elezioni amministrative in tale regione;
   tra i tratti salienti della nuova legge elettorale si segnalano: l'introduzione di un unico turno elettorale (risulta dunque eletto il candidato alla presidenza che abbia ottenuto la maggioranza relativa); l'assegnazione del premio di maggioranza (60 per cento dei seggi regionali, pari a 12) alla coalizione che abbia ottenuto il maggior numero di voti senza che, a tal fine, sia richiesto il raggiungimento di una soglia minima di voti; l'assegnazione di un seggio (tra gli 8 riservati alle minoranze) al candidato alla presidenza della giunta regionale «miglior perdente»; l'introduzione di soglie d'accesso differenziate a seconda che si tratti di liste che sostengono il candidato presidente risultato vincitore o miglior perdente oppure di liste collegate ad altro candidato alla presidenza;
   in relazione alla, suddetta disciplina, non si può ignorare che, con riguardo alle norme della legge elettorale della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica che prevedevano l'attribuzione di un premio di maggioranza in difetto del presupposto di una soglia minima di voti o di seggi (articolo 83, comma 1, n. 5, e comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 e articolo 17, commi 2 e 4, del decreto legislativo n. 533 del 1993) e suscettibili di trasformare formazioni di maggioranza relativa che avessero conseguito ridotte percentuali di suffragi in formazioni di maggioranza assoluta dei componenti l'assemblea, la Corte costituzionale (sentenza n. 1 del 2014) ha affermato che le anzidette norme, «pur perseguendo un obiettivo di rilievo costituzionale, qual è quello della stabilità del governo del Paese e dell'efficienza dei processi decisionali nell'ambito parlamentare, dettano una disciplina che non rispetta il vincolo del minor sacrificio possibile degli altri interessi e valori costituzionalmente protetti, ponendosi in contrasto con gli articoli 1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 della Costituzione. In definitiva, detta disciplina non e proporzionata rispetto all'obiettivo perseguito, posto che determina una compressione della funzione rappresentativa dell'assemblea, nonché dell'eguale diritto di voto, eccessiva e tale da produrre un'alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l'intera architettura dell'ordinamento costituzionale vigente»;
   non sembrano esservi ostacoli ad una lettura estensiva della sentenza in esame e alla conseguente riferibilità dei principi da essa sanciti ai sistemi elettorali regionali, posto che i parametri utilizzati dalla Consulta per addivenire alla declaratoria di illegittimità del premio di maggioranza (articoli 1, comma 2, 3, 48, comma 2, 67 della Costituzione) sostanziano i principi alla base del circuito democratico e del diritto all'eguaglianza del voto ed appaiono dunque riferibili a tutte le assemblee elettive;
   un ragionamento analogo a quello prima svolto vale anche per i principi concernenti le modalità di espressione del voto. La Corte costituzionale, nella richiamata sentenza n. 1 del 2014, ha infatti dichiarato costituzionalmente illegittime le disposizioni legislative statali che introducevano le così dette «liste bloccate» (articolo 1, comma 1, e articolo 18-bis, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957; articolo 1, comma 2; articolo 8, comma 4, del decreto legislativo n. 533 del 1993), per violazione dell'articolo 48. Pertanto, anche la normativa regionale che preveda la ripartizione dei seggi tra le liste concorrenti, traducendo la scelta dell'elettore in un voto di preferenza esclusivamente per la lista, priva – analogamente alla normativa nazionale dichiarata illegittima – l'elettore di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti e a giudizio dell'interpellante confligge con il medesimo principio costituzionale;
   il sistema di elezione del presidente della giunta regionale e dei consigli regionali è disciplinato da un complesso di leggi statali stratificatosi sulla originaria legge 17 febbraio 1968, n. 108, «Norme per l'elezione dei Consigli regionali delle regioni a statuto normale» cui hanno fatto seguito, tra l'altro, la legge 23 febbraio 1995, n. 43, «Nuove norme per l'elezione dei Consigli delle regioni a statuto ordinario», che ha introdotto l'attuale sistema maggioritario quando presidente e giunta erano eletti dal consiglio regionale; la legge-quadro 2 luglio 2004, n. 165, «Disposizioni di attuazione dell'articolo 122, primo comma, della Costituzione», che stabilisce i principi cui sottostà la potestà legislativa della regione in materia elettorale, stante la disposizione costituzionale che la sottopone ai «limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge, della Repubblica» e, da ultimo, l'articolo 14 del decreto-legge n. 138 del 2011, che ha ridotto il numero dei seggi dei consigli regionali a far data dal primo rinnovo degli organi successivo alla sua entrata in vigore;
   la gran parte delle legislazioni elettorali regionali è costituita dal combinato disposto della disciplina nazionale e delle singole leggi regionali ed ha conservato l'impianto proporzionale in circoscrizioni corrispondenti al territorio delle province, l'esito maggioritario in sede regionale e l'assegnazione alla lista o alla coalizione «vincente» di una maggioranza consiliare del 55 e 60 per cento;
   la disciplina nazionale rappresentata dalla legge n. 108 del 1968, come modificata, in particolare, dalla legge n. 43 del 1995, presenta non poche analogie con il sistema elettorale dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte costituzionale. Con specifico riguardo alla disciplina del premio di maggioranza, anche la disciplina statale e infatti fondata su un sistema proporzionale (per l'80 per cento), è un premio di maggioranza, che assorbe il restante 20 per cento e che viene attribuito in assenza di una soglia minima. Tale premio è però diversamente modulato a seconda che le liste collegate al presidente abbiano raggiunto o meno il 40 per cento dei voti validi: in caso negativo, alla coalizione risultata vincitrice sono assegnati il 55 per cento dei seggi, in caso affermativo, alla coalizione vincitrice sono invece assegnati 60 per cento dei seggi;
   il raffronto tra la suddetta disciplina e quella dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale evidenzia forti analogie in relazione all'ipotesi che le liste collegate al presidente della giunta non abbiano raggiunto il 40 per cento dei seggi, poiché l'attribuzione del premio di maggioranza opera indipendentemente dal raggiungimento di una soglia minima di voti;
   non sfuggono ad analoghe considerazioni neanche le leggi elettorali regionali;
   quello umbro non è infatti un caso isolato né in relazione ai contenuti della legge elettorale, né in relazione ai tempi di approvazione della suddetta legge;
   basti pensare, in relazione a quest'ultimo aspetto, che, in tutte le regioni i cui cittadini si recheranno alle urne il 10 maggio 2015, la relativa legge elettorale e stata modificata tra la fine del 2014 e l'inizio del 2015, non al solo fine di adeguare il numero dei seggi consiliari alle disposizioni statali in materia, ma allo scopo di introdurre una significativa riforma del sistema elettorale. Limitando l'analisi alle sole regioni in cui si andrà al voto nel mese di maggio, l'interpellante ricorda che: la legge elettorale campana è stata modificata con la legge regionale 7 agosto 2014, n. 16, e indi con la legge regionale 6 febbraio 2015, n. 3; la legge elettorale delle Marche: è stata modificata con la legge regionale 20 febbraio 2015, n. 5; la legge elettorale pugliese è stata modificata con l'approvazione, lo scorso 26 febbraio, della proposta n. 346, in attesa di pubblicazione; la legge elettorale toscana è stata modificata con la legge 26 settembre 2014, n. 51; la legge elettorale del Veneto è stata da ultimo modificata con la legge 27 gennaio 2015, n. 1; la legge elettorale umbra – come detto – è stata modificata con legge 23 febbraio 2015, n. 4. Da ultimo, è in discussione presso il consiglio regionale ligure, la proposta di legge regionale n. 363 recante la legge elettorale regionale (sino ad ora ha infatti trovato applicazione la legge statale);
   la modifica del sistema elettorale a ridosso delle elezioni regionali non appare peraltro una novità: basti pensare, quanto, al recente passato, che la legge elettorale della Regione Calabria, dove le elezioni si sono svolte il 23 novembre 2014, è stata modificata con legge 12 settembre 2014, n. 19; la legge elettorale dell'Emilia Romagna, dove le elezioni si sono svolte in pari data, e stata modificata con la legge 23 luglio 2014, n. 21;
   la modifica del sistema elettorale di un organo a ridosso del suo rinnovo, oltre a confliggere con le norme di buona condotta in, materia elettorale determina effetti di profonda instabilità nel sistema, poiché, anche qualora il Governo decidesse di promuovere la questione di legittimità costituzionale delle leggi elettorali dinanzi alla Corte costituzionale a norma dell'articolo 127 della Costituzione, la pronuncia della Consulta sarebbe inevitabilmente tardiva rispetto alle consultazioni elettorali;
   l'assegnazione del premio di maggioranza alla coalizione che abbia ottenuto il maggior numero di, voti senza che, a tal fine, sia richiesto il raggiungimento di una soglia minima di voti opera, limitatamente alle regioni che andranno al voto nel mese di maggio, sia nella regione Umbria sia nella regione Campania. D'altro canto, nella regione Liguria si assiste al paradosso per cui, se il consiglio dovesse approvare la nuova legge elettorale a ridosso delle elezioni opererebbe in spregio alle esigenze di certezza del diritto e di buona condotta in materia elettorale, ma, se ciò non dovesse avvenire, continuerebbe ad applicarsi la normativa nazionale che prevede il voto di lista bloccato (il cosiddetto listino) e l'attribuzione del premio di maggioranza alle liste che non abbiano raggiunto il 40 per cento dei seggi indipendentemente dal raggiungimento di una soglia minima di voti;
   poiché non si può giustificare una differenziazione dei principi validi per il livello nazionale rispetto a quelli validi a livello regionale; appare non più differibile un intervento del Parlamento nazionale, in forza dell'articolo 122 della Costituzione, finalizzato a modificare la normativa contenuta nella legge n. 108 del 1968 e a dettare nuove norme di principio cui devono uniformarsi le regioni in materia elettorale e ad uniformare regimi variegati in relazione ad istituti che richiederebbero – allo scopo di scongiurare la più assoluta incertezza nella predeterminazione di regole che presiedono all'esercizio della sovranità popolare per enti importanti come le regioni – una disciplina unitaria;
   non appare più rinviabile neanche un intervento del Governo al fine di promuovere un ampio confronto in materia con le regioni, anche in sede di Conferenza Stato-regioni;
   la legittima necessità per le regioni di adeguare i propri sistemi elettorali all'intervenuta riduzione del numero dei consiglieri regionali deve rappresentare l'occasione per una revisione dei medesimi in chiave costituzionale e, in tale contesto, il ruolo del Governo deve essere attivo e propositivo –:
   se il Governo non intenda promuovere dinanzi alla Corte costituzionale, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione, per le ragioni indicate in premessa e ferma restando la necessità di farsi promotore di un dibattito e di un confronto istituzionale di ampio respiro con le regioni sui sistemi elettorali vigenti, la questione di legittimità costituzionale della legge regionale dell'Umbria n. 4 del 2015.
(2-00891) «D'Alia».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LUIGI GALLO, SILVIA GIORDANO, SIBILIA, CECCONI, DALL'OSSO, BARONI, TOFALO e COLONNESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i lavori di costruzione per l'Ospedale del mare sono iniziati nel dicembre 2004 e si prevede termineranno non prima del gennaio del 2015, dopo oltre dieci anni dall'aggiudicazione, con un investimento che inizialmente doveva essere, per la parte pubblica di euro 119 milioni di euro circa e che prevedeva un parallelo investimento del privato aggiudicatario per 91 milioni e che oggi si prevede che supererà i 400 milioni, interamente a carico della parte pubblica e senza alcun investimento privato;
   oltre alla tempistica ed al fiume di danaro davvero esorbitante investito sinora e che si prevede di investire, sconcerto per questa immane opera deriva anche dalla sua localizzazione, atteso che l'Ospedale del mare è in costruzione nel quartiere Ponticelli del comune di Napoli immediatamente al confine con il comune di Cercola, a 100 metri dalla zona rossa vesuviana, in un'area distante fra 7 e 8 chilometri dal vulcano, comunque classificata come zona gialla, ovvero zona a pericolosità differita;
   ulteriori aspetti che suscitano perplessità nella vicenda connessa alla realizzazione di questa mega struttura ospedaliera, destinata secondo le previsioni a divenire un'azienda di rilievo nazionale da circa 500 posti letto in cui far confluire ben quattro nosocomi napoletani, quali il Loreto Mare, l'Ascalesi, il San Gennaro e gli Incurabili, sono rappresentati dalla procedura con la quale avvenne l'individuazione dell'ATI aggiudicataria della costruzione tanto che, inizialmente, la stazione appaltante ASL Napoli 1 faceva ricorso allo strumento del project financing (ovvero al sistema della licitazione privata, con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa e il sistema del project financing) per poi successivamente «riformulare» l'aggiudicazione secondo una procedura che non prevede più la partecipazione del privato alla costruzione prima ed alla gestione poi dell'opera, a giudizio degli interroganti con evidente pregiudizio per gli altri soggetti inizialmente concorrenti per l'aggiudicazione dell'appalto in parola;
   inoltre, la riformulazione della procedura di realizzazione dell'opera è avvenuta a seguito di una transazione sottoscritta dalla Astaldi spa, capofila dell'Ati aggiudicataria (e composta anche da Giustino Costruzioni s.p.a., Ing. C. Coppola Costruzioni s.p.a., Ingg. F&R Girardi Costruzioni Civili Industriali s.p.a. e Siemens s.p.a, a cui subentrava, poi, la «Partenopea Finanza di Progetto S.p.A.» che poi, a sua volta, appaltava i lavori all'ATI formata da Astaldi spa, mandataria, Giustino Costruzioni s.p.a., Ing. C. Coppola Costruzioni s.p.a. ed Ingg. F&R Girardi Costruzioni Civili Industriali s.p.a.), e l'ing. Ciro Verdoliva, nominato nel maggio 2009 commissario ad acta per accelerare i lavori con competenza esclusiva di provvedere alla liquidazione di tutte le relative spese, che ha previsto che il privato provveda al completamento dei lavori con soli fondi pubblici, rinunciando alla gestione dei servizi non sanitari, ma incassando per detta rinuncia un risarcimento di 45,5 milioni di euro;
   con detta transazione, in buona sostanza si riconosce all'ATI guidata dalla Astaldi s.p.a un risarcimento addirittura superiore a quello di 40 milioni di euro inizialmente richiesto dalla stessa con la domanda di arbitrato inoltrata in data 20 marzo 2009 (peraltro fondata su una clausola compromissoria di fatto nulla, in quanto contenuta nell'atto ricognitivo mai approvato e pertanto, per sua stessa previsione, inefficace e oggetto di un procedimento penale attualmente in corso) volta alla risoluzione del contratto per presunti inadempimenti da parte della stazione appaltante; con detto atto transattivo, come detto, si azzera del tutto l'investimento privato per il quale la stessa ATI aveva inizialmente richiesto una mera riduzione a 20 milioni di euro, cosa del tutto incompatibile con la tipologia contrattuale inizialmente sottoscritta dalle parti e con la procedura con quale era avvenuta l'aggiudicazione in favore della concessionaria stessa;
   corollario di questa transazione è anche, tra l'altro, un accordo del valore di quasi 3 milioni di euro tra l'Astaldi spa e il suo direttore dei lavori, ingegner Matteo Gregorini (in passato consulente per la stessa Asl Napoli 1 dei finanziamenti per l'edilizia sanitaria dai quali sono state attinte le risorse per erigere il nosocomio) a cui verrà corrisposto il predetto compenso, nonostante sia stato rimosso dall'incarico 3 anni fa a seguito del suo rinvio a giudizio per truffa e falso nell'ambito dell'inchiesta della procura della Repubblica di Napoli sul nosocomio;
   è bene altresì ricordare che il conseguente procedimento penale, partito nel 2008 ed attualmente in corso, vede dodici persone rinviate a giudizio tra dirigenti asl e amministratori delle ditte concessionarie per reati che vanno dalla falsità materiale ed ideologica della progettazione preliminare e delle delibere connesse alla truffa relativa alle modifiche delle condizioni originarie in senso favorevole alla concessionaria, dal tentativo di truffa per il riconoscimento alla concessionaria dei maggiori costi all'abuso d'ufficio;
   in definitiva, i provvedimenti che sono stati adottati per sbloccare l’impasse dei lavori cagionati dalla procedura di arbitrato avviata dalla concessionaria ad avviso degli interroganti rappresentano senza dubbio un profondo stravolgimento dell'oggetto originario del contratto di affidamento in forza del quale, oltre all'esorbitante incremento dei costi per l'amministrazione, si verificherà l'ulteriore aggravio derivante dalla necessità di riaffidare i servizi dai quali l'ATI è stata esonerata;
   alla luce di quanto sopra appare davvero incomprensibile la logica giuridico-amministrativa con la quale sono stati adottati provvedimenti che hanno stravolto la procedura originariamente attivata, confermando l'affidamento alla ATI guidata dall'Astaldi s.p.a. anche a fronte di inadempienze della stessa, quali l'ingiustificato rallentamento prima e la sospensione poi dei lavori, circostanza che avrebbero dovuto comportare, secondo gli interroganti, la risoluzione del contratto ex articolo 119 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica n. 354 del 1999; soluzioni certamente più lineari potevano essere l'affidamento dei lavori necessari a completare l'opera mediante lo scorrimento nella graduatoria della gara originaria (facendo ricorso alle prescrizioni normative generali disciplinati la materia in quanto, in maniera clamorosamente anomala, nel bando di gara non venne inserita la clausola di «scorrimento») o mediante l'indizione di una nuova gara per le opere non ancora ultimate dall'originaria concessionaria;
   tale contesto di assoluta indeterminatezza in ordine alla effettiva ultimazione di questa infinita opera riverbera i suoi effetti, oltre che sulle pubbliche finanze, anche sulla generale situazione ospedaliera in Campania che versa in uno stato caotico in ragione proprio dell'attuazione solo parziale del decreto n. 49 del 27 settembre 2010 emesso dal presidente della giunta regionale Campana, quale commissario ad acta per la prosecuzione del piano di rientro del settore sanitario regionale, che nel prefigurato obiettivo di procedere ad un riassetto della rete ospedaliera e territoriale, ha già dato corso agli interventi di dismissione/riconversione/riorganizzazione dei presidi che non sarebbero in grado di assicurare profili di efficienza e di efficacia, pur in mancanza della ultimazione dell'Ospedale del mare che avrebbe dovuto coprire le predette dismissioni ospedaliere, il tutto ad esclusivo discapito della qualità dell'offerta sanitaria per i cittadini campani, aspetto destinato ad incrementare il penoso fenomeno delle migrazioni sanitarie alla ricerca di un'assistenza sanitaria adeguata –:
   se e quali iniziative abbia intrapreso, ovvero intenda intraprendere, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro, al fine di verificare in che misura i costi dell'opera, enormemente lievitati dai 119 milioni di euro di investimenti pubblici inizialmente previsti a 400 milioni secondo quanto da ultimo preventivato, siano dipesi da un legittimo stravolgimento della procedura di progettazione preliminare e di successiva aggiudicazione, considerata anche la transazione che ha visto il riconoscimento di ingenti somme a titolo risarcitorio in favore delle imprese aggiudicatarie a cui veniva riconfermato l'appalto;

   quali iniziative abbia intrapreso, ovvero intenda intraprendere, alla luce delle cospicue risorse statali stanziate per la realizzazione dell'Ospedale del mare, al fine di valutare se sussistano i presupposti per costituirsi nei giudizi attualmente pendenti innanzi alla magistratura penale che si occupa della vicenda, per la doverosa tutela del pubblico erario;
   se e quali iniziative intendano intraprendere, per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro, affinché, nelle more dell'effettiva entrata in esercizio di tutti i reparti del realizzando ospedale, si ponga argine alla situazione caotica in cui versa il settore ospedaliero in Campania, riattivando i reparti già dismessi nei presidi ospedalieri oggetto degli interventi di riorganizzazione di cui al citato decreto n. 49 del 2010 e sospendendo tutti i provvedimenti volti alla dismissione/riconversione/riorganizzazione dei presidi stessi quanto meno sino all'effettiva entrata in piena efficienza dell'Ospedale del mare. (5-05009)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, MELILLA, DURANTI, NICCHI, PELLEGRINO, LUCIANO AGOSTINI, MARCHETTI, PIRAS, QUARANTA, KRONBICHLER, SANNICANDRO, MANZI e LODOLINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 56 del 2014, (cosiddetta «legge Delrio») ha avviato un processo di revisione istituzionale che ha interessato, nella prima fase, la riorganizzazione territoriale e strutturale delle province;
   per effetto della «riforma Delrio» le province sono state private di alcune competenze, tra le quali quelle di carattere socio-assistenziale. Tuttavia, essendo il processo di riorganizzazione ancora in itinere, sono diversi i casi in cui si rilevano vuoti normativi ed incongruenze in grado di mettere a rischio diritti costituzionalmente rilevanti, soprattutto per le categorie più deboli;
   tra questi, il recente caso segnalato nella regione Marche dall'Unione italiana ciechi e ipovedenti della stampa dei libri di testo in braille. Per essere disponibili per l'anno scolastico 2015/2016 è necessario che i testi vadano predisposti dalle tipografie specializzate entro aprile 2015, con la garanzia che un ente territoriale si faccia carico dei costi, che ammontano a circa 125 mila euro;
   il problema è stato segnalato alla giunta della regione Marche la quale, per il tramite del suo presidente Gian Mario Spacca, si è detta risoluta a trovare una soluzione in tempi ravvicinati (agenzia ANSA del 9 marzo 2015);
   lo stesso presidente Spacca ha ribadito tuttavia che: «i pesanti tagli nazionali hanno determinato una riduzione dei trasferimenti alle Regioni di 2,6 miliardi di euro nel sociale, Le Marche hanno dovuto predisporre un bilancio con tutti i capitoli azzerati. Ora siamo in grado di recuperare qualche risorsa che destineremo alle voci più urgenti e quello della sicurezza sociale». Una situazione ben lungi dall'essere sostenibile, dato che operando sulle singole urgenze difficilmente si potranno garantire in modo stabile diritti di rango costituzionale;
   le province avevano sino ad oggi assicurato agli studenti non vedenti i libri scolastici trascritti ed accessibili. La regione ha assicurato il suo impegno, ma i tempi paiono essere particolarmente stringenti, anche in vista del rinnovo del consiglio regionale e della giunta previsti per maggio 2015. Qualora la giunta regionale non adottasse una delibera per questa spesa, prima della sua decadenza, l'alto costo dei libri trascritti dell'anno scolastico 2015/2016 potrebbe ricadere sulle famiglie, dei bambini –:
   posto che il diritto all'istruzione dei disabili è oggetto di specifica tutela da parte sia dell'ordinamento interno che internazionale (Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, entrata in vigore sul piano internazionale il 3 maggio 2008 e ratificata e resa esecutiva dall'Italia con legge 3 marzo 2009, n. 18), quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere il Governo per far fronte gravi carenze dei servizi socio-assistenziali causati dal riordino istituzionale introdotto dalla «legge Delrio» dai tagli dei trasferimenti alle regioni. (4-08385)


   NICCHI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 marzo 2015 si è abbattuto sulla Toscana un evento atmosferico disastroso che ha interessato la maggior parte delle zone della regione: da Firenze a Pistoia, dalla Maremma alla Versilia;
   sono caduti migliaia di alberi giganteschi (con 50/100 anni di vita), sono stati danneggiati molte migliaia di tetti di case, edifici pubblici, chiese e centinaia di tetti sono stati completamente scoperchiati;
   in diverse province della Toscana il vento ha soffiato a oltre 150 chilometri l'ora e tante persone hanno dichiarato di non aver mai visto un evento ventoso così distruttivo negli ultimi 80 anni, al punto che il paesaggio in molte zone è stato sconvolto: la provincia di Pistoia (in particolare Pistoia, Agliana e Montale) risulta l'area che ha subito i danni più disastrosi (nella sola Pistoia, in via del Villone sono stati abbattuti quasi tutti i platani alti più di dieci metri e danni enormi ci sono stati anche agli alberi di Piazza del Carmine, nel Parco della Rana, nel Parco del Villone Puccini, nel Parco di Monteoliveto, nel Parco della Resistenza, in Via Sestini, nel Campo Scuola e altro); a Pietrasanta è stata devastata la celebre Versiliana di D'Annunzio; a Forte dei Marmi molti negozi sono stati devastati; a Firenze le raffiche di grecale hanno sollevato parte del tetto della Chiesa dell'Autostrada del Michelucci; a Prato sono crollate parti delle antiche mura; a Bolgheri sono stati abbattuti una decina di cipressi dello storico viale reso celebre da Giosuè Carducci; a Livorno ci sono stati disagi ed allagamenti;
   il comparto florovivaistico, in provincia di Pistoia e in molte parti della regione è stato colpito duramente dall’«uragano», causando danni per centinaia di milioni di euro, ma almeno altrettanti danni sono quantificabili per le abitazioni private, gli edifici pubblici, il verde pubblico –:
   se il Governo non intenda deliberare lo stato di emergenza per la regione Toscana a seguito degli eventi metereologici di cui in premessa, affinché siano stanziate le opportune risorse per la riparazione dei danni subiti dalle abitazioni private, dagli edifici pubblici, dal verde pubblico, dalle attività produttive;
   se non si ritenga di assumere iniziative, per le aree colpite di cui in premessa, per consentire l'esclusione dal patto di stabilità interno delle risorse necessarie per gli interventi provenienti dallo Stato, nonché per le spese sostenute dagli enti locali a valere su risorse proprie o provenienti da donazioni di terzi;
   se non si intendono assumere iniziative per stanziare ulteriori risorse finanziarie per gli indispensabili e sempre più urgenti interventi di messa in sicurezza del territorio. (4-08387)


   PAGANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   pur nella sua ipocrisia, la legge sull'aborto (n. 194 del 1978) ha come titolo «Norme per la tutela sociale della maternità» e precisa, al comma 2 dell'articolo 1, che «L'interruzione volontaria della gravidanza non è mezzo per il controllo delle nascite»;
   l'articolo 4 precisa che si può ricorrere all'aborto allorquando la donna «accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito»;
   l'aborto realizzato al di fuori delle previsione dell'articolo 4 della legge n. 194, è oggetto di sanzione penale; l'incitamento ad utilizzare l'aborto come mezzo anticoncezionale o al di fuori delle previsioni dell'articolo 4, deve (o dovrebbe) considerarsi apologia di reato;
   si è tuttavia diffusa una subcultura permissivista e antinatalista, che ritiene l'aborto una sorta di diritto, da utilizzare a proprio piacimento assecondando i propri desideri;
   assieme a questa errata concezione se ne associa un'altra, secondo la quale la famiglia numerosa è una sorta di relitto del passato, comunque un'aggregazione sociale culturalmente arretrata;
   se ne è avuta riprova il 10 febbraio 2015, quando sul palco del festival di Sanremo è salita la famiglia Anania, la più numerosa d'Italia, composta da padre, madre e da 16 figli; a cagione di questo fatto la famiglia è stata trattata come un fenomeno da baraccone;
   la cattiva coscienza del popolo del web ha prodotto in pochi minuti quasi 3.000 tweet di ironie ed insulti sul web. Per non parlare dei commenti al vetriolo dei cosiddetti blogger, spuntati il giorno successivo su vari siti;
   quel che tuttavia è inammissibile e contrario alla legge è stato l'insulto gratuito arrivato da Saverio Raimondo, conduttore del Dopo Festival Rai, in onda (in tutto il mondo) solo sul web, che ha commentato: «Ricordo alla famiglia Anania che l'aborto è passato in Italia»; il conduttore Rai ritiene invece che l'aborto sia un metodo contraccettivo: il suo pregiudizio è aggravato dall'ignoranza; il conduttore Rai ha violato gli obblighi del contratto di servizio, oltre che il buonsenso e il buongusto;
   il contratto di servizio che individua gli obblighi informativi della Rai, quale concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, prevede oltre al pluralismo informativo, un'adeguata preparazione culturale dei conduttori e una serie di obblighi di correttezza dai quali deriva il divieto di esprimere posizioni che si configurino come apologia di reato –:
   se il Governo non ritenga promuovere, nelle scuole e nell'ambito della programmazione obbligata a carico della concessionaria pubblica, una campagna informativa in favore della maternità, nella quale sia chiarito che l'interruzione volontaria della gravidanza non è mezzo per il controllo delle nascite e che l'aborto (o l'incitamento all'aborto) realizzato al di fuori dalle specifiche condizioni della legge n.194 del 1978 è penalmente sanzionabile.
(4-08388)


   OLIVERIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa è una società che si occupa della gestione del servizio postale in Italia. È anche una delle più rilevanti società italiane di servizi;
   da una recente nota stampa pubblicata il 10 marzo 2015 sul Quotidiano della Calabria, è emersa la notizia della chiusura imminente dell'ufficio postale di Campoli Caulonia, frazione del comune di Caulonia in provincia di Reggio Calabria;
   si tratta di una decisione che fa parte di un progetto di pianificazione che ha fatto scattare la protesta di lavoratori, sindacati e soprattutto cittadini;
   a partire dal 2007 il servizio postale, attraverso le varie segnalazioni inviate da parte dei cittadini che si recavano alle poste, ha vissuto la cronica carenza di personale applicato al frontend degli uffici postali e la non ottimale gestione delle risorse umane, prima per due giorni alla settimana, poi per uno soltanto, rendendo sempre più critica la vita dei cittadini della frazione di Campoli di Caulonia dello Stato;
   l'impatto di questa riorganizzazione sul territorio calabrese interessato, qualora venisse messa in atto, sarebbe fortemente negativo e costringerebbe i residenti della frazione, prevalentemente anziani, a una difficile mobilità per riscuotere il vitalizio o per effettuare qualunque altra tipologia di operazione;
   le due frazioni oltre ad essere distanti tra di loro, circa venti chilometri, consentono il raggiungimento dei siti, da parte di coloro che non hanno un mezzo proprio, utilizzando un servizio di autobus che effettua una sola corsa giornaliera;
   le poste, insieme alle farmacie, alle scuole e alle stazioni dei carabinieri, storicamente rappresentano l'avamposto dello Stato proprio nei territori svantaggiati e svolgono una serie di servizi essenziali per i cittadini, tra questi, solo a titolo esemplificativo, il pagamento delle pensioni;
   a giudizio dell'interrogante, è importante evidenziare che la dimensione e la rilevanza in termini di qualità delle attività svolte negli uffici postali calabresi richiederebbero piuttosto che un ridimensionamento, un potenziamento del personale e dei presidi presenti. Le Poste italiane spa non dovrebbero decidere in solitudine dove chiudere e dove tenere aperto. Queste valutazioni di tipo strategico dovrebbero essere frutto di un percorso che coinvolga anche l'amministrazione dello Stato e le amministrazioni locali, sempre più indignate per tali scelte –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e, conseguentemente, quali siano, per quanto di competenza, le iniziative che intendono adottare per garantire il proseguimento dell'attività degli uffici postali in Calabria, la cui ipotetica chiusura determinerebbe un ulteriore colpo per l'intera economia calabrese, già particolarmente colpita dalla crisi economica. (4-08391)


   RAMPI, SCANU, AMENDOLA, COSCIA, MANZI, MALISANI, ASCANI, RACITI, QUARTAPELLE PROCOPIO, MAURI, NARDUOLO, GHIZZONI, VERINI e GIORGIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   sempre più spesso, nel corso degli eventi bellici che devastano popoli e nazioni si verificano attacchi al patrimonio storico ed artistico;
   nel corso di questi attacchi siti archeologici e musei vengono distrutti in maniera sistematica o depredati di pezzi importanti vengono destinati al traffico illecito del mercato clandestino di opere arte, nei cui proventi il terrorismo di matrice internazionale trova un'importante fonte di autofinanziamento;
   l'Unesco, ha ripetutamente rivolto i propri appelli alla Corte penale internazionale (Cpi) dell'Aia dopo la distruzione da parte dell'Isis di reperti archeologici di inestimabile valore, gli ultimi dei quali nella zona di Mosul in Iraq hanno suscitato una ondata di indignazione nel mondo intero, denunciando come queste devastazioni siano una forma di pulizia culturale e una distruzione illecita del patrimonio che colpisce le identità delle diverse comunità, nonché una strategia del terrore per destabilizzare e manipolare le popolazioni;
   anche il Segretario generale delle Nazioni Unite, Unite Ban Ki-moon, che ha definito le azioni dei jihadisti contro il patrimonio storico-artistico come un «crimine di guerra» ha esortato la comunità internazionale ad intervenire per mettere fine alle azioni mirate a distruggere il patrimonio artistico e archeologico;
   negli ultimi giorni i miliziani dell'Is hanno dato alle fiamme circa diecimila libri antichi della città di Mosul, distrutto le statue conservate nel museo di Mosul e le città archeologiche di Nimrud e Hatra senza che nessuno abbia reagito, ed altri episodi si segnalano in Iraq, Siria, con rischi anche per la Libia;
   le nostre Forze armate hanno maturato, nel corso dell'ultradecennale esperienza nelle missioni internazionali di pace e di stabilizzazione, un'indiscussa esperienza e una non comune capacità di interoperabilità nelle strutture sociali e organizzative dei Paesi in conflitto;
   il Multinational Civil Military Cooperation Group (CIMIC), reparto multinazionale della NATO a guida italiana, è specializzato nella proiezione di unità di specialisti nel soccorso e nella ricostruzione di aree sconvolte da conflitti e che presiede all'interazione tra le forze militari e le componenti civili presenti nelle aree di crisi;
   le Forze armate italiane, e l'Arma dei carabinieri in particolare, annoverano tra le proprie file unità altamente specializzate alla tutela dei beni artistici e culturale ed al contrasto del traffico illecito di opere arte;
   numerose sono le missioni archeologiche italiane che sono intervenute e intervengono in aree colpite dalle guerre, che stanno formando le strutture di quei Paesi nella tutela dei beni culturali, che sono in grado di dare supporto ad interventi mirati di messa insicurezza, tutela, e di lotta al traffico illecito di reperti e beni artistici –:
   quali azioni il Governo italiano possa e intenda intraprendere a tutela di questo patrimonio dell'umanità;
   se intenda prevedere, già nel prossimo provvedimento di proroga delle missioni internazionali di pace, la presenza, nell'ambito del contingente italiano e del CIMIC group in particolare, di operatori dei reparti specializzati per la tutela dei bei artistici e culturali, anche appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile, al fine di porre in essere ogni utile azione – in stretta cooperazione con le autorità civili dei Paesi di intervento – per garantire, come chiesto dall'ONU e dall'UNESCO, la messa in sicurezza dei beni storici, culturali, artistici ed archeologici messi a repentaglio dalla furia distruttrice dell'Is e per contrastare il consistente traffico illecito di opere d'arte diretto a finanziarie le attività terroristiche di matrice internazionale;
   se intenda valutare se sussistano i presupposti per favorire – nell'ambito dei decreti legislativi correttivi discendenti dalla legge 244 del 2012, recante la revisione dello strumento militare nazionale – la costituzione – all'interno delle Forze armate di complessi minori specializzati nella protezione e messa in sicurezza dei beni culturali, storici, artistici ed archeologici presenti nei territori di intervento delle Forze armate nelle missioni internazionali di pace e di stabilizzazione.
(4-08395)


   SIBILIA e SCAGLIUSI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 febbraio 2015 è stato pubblicato sul sito on line l'inkiesta (www.linkiesta.it) un articolo dal titolo «Politica e massoneria: così la cocaina entra in Italia» a firma di Alessandro Da Rold e Luca Rinaldi, riguardante «il business della cocaina in Italia, tra collegamenti della ‘ndrangheta con la mafia negli Stati Uniti, la nostra politica nazionale e i lavori per Expo 2015» e «le connessioni con gli ambienti della massoneria di Reggio Calabria, il controllo del Porto di Gioia Tauro dove ogni anno transita almeno una tonnellata di “bianca” e, infine, il sodalizio con il cartello di narcotrafficanti del Messico “Los Zetas”»;
   nell'articolo si fa riferimento alla relazione della direzione nazionale antimafia del 2014 e, nello specifico, al passaggio in cui si racconta «come la coca attraversi l'oceano Atlantico per arrivare fino in Italia e poi essere smistata in tutta Europa»: «è stato dimostrato dalla vasta indagine in questione che italoamericani legati alla famiglia Gambino di New York hanno raggiunto un accordo con persone legate alla cosca di ‘ndrangheta appartenente alla famiglia Ursino ancora una volta della Jonica – per organizzare un traffico di stupefacenti del tipo “eroina” dalla Calabria a New York e di “cocaina” dal Sudamerica in Calabria, quest'ultimo attraverso intermediari dimoranti negli Stati Uniti»;
   secondo la Direzione nazionale antimafia come si legge ancora nell'articolo, si tratta «di un dato concreto che costituisce la riprova di una svolta epocale quando Cosa Nostra newyorchese deve sviluppare un traffico di stupefacenti di alto livello non si collega, come sarebbe ovvio, con Cosa Nostra siciliana, ma con la ‘ndrangheta calabrese». E questo perché «la cocaina altro non è che la principale fonte di guadagno, da cifre colossali, per le cosche calabresi – il principale “polmone finanziario” – pronte a reinvestire i capitali – non appena “ripuliti” all'estero – nell'edilizia, nel movimento terra, nelle cooperative e nelle aziende che lavorano per i grandi appalti del Nord Italia»;
   ancora si sottolinea che «le infiltrazioni delle ndrine nel tessuto politico economico del settentrione hanno fatto sì che si creasse una struttura criminale unitaria, coordinata e compatta, che conosce sinergie, momenti decisionali comuni, divisione dei compiti funzionali al raggiungimento di un risultato che ridonda benefici a largo spettro su tutta l'organizzazione» e che «la politica, a questo punto, riceve “servizi” e vantaggi dalla ‘ndrangheta e restituisce il favore consentendo alle imprese dell'organizzazione di fare sempre nuovi affari, che generano nuove ed ulteriori ricchezze che consolidano, così, la posizione economica della ‘ndrangheta, rafforzandone, anche e di conseguenza, la capacità di giocare un ruolo sempre più importante pure nel mercato della cocaina e così via in una crescita economica e criminale: si tratta di un circolo vizioso che sembra non avere fine»;
   con riferimento ai lavori pubblici in corso di svolgimento in Lombardia per Expo 2015, il prefetto di Milano ha già adottato circa 60 provvedimenti interdittivi antimafia contro imprese risultate controllate o infiltrate o condizionate dalla criminalità organizzata di tipo mafioso;
   la relazione della Direzione nazionale antimafia del 2014 cita, in particolare, il caso dell'onorevole Amedeo Matacena, condannato, in via definitiva, nel giugno 2013 dalla Suprema Corte, per il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa, nonché protagonista di una lunga e perdurante latitanza in relazione alla quale, fra gli altri, è imputato l'ex Ministro dell'interno Claudio Scajola, che, nel luglio 2014, veniva rinviato a giudizio proprio per avere agevolato il Matacena a sottrarsi all'esecuzione della pena;
   secondo i magistrati «è proprio nella città di Reggio Calabria che la ‘ndrangheta ha sviluppato in modo più prepotente i citati rapporti, che non sono altro (per la ‘ndrangheta) che un ulteriore strumento per stringere direttamente, o indirettamente relazioni con gli ambiti più alti», mentre il porto di Gioia Tauro, dove dal 1o luglio 2013 al 30 giugno 2014 sono stati sequestrati chilogrammi 1406,065 di cocaina, altro non sarebbe che un vero e proprio hub per il traffico di droga e i contatti con i narcos –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, in caso affermativo, quali siano le politiche di contrasto alla criminalità organizzata poste in essere ad oggi in tema di infiltrazioni negli appalti pubblici, di riciclaggio del denaro proveniente da attività illecite, di traffico internazionale di droga, di commistioni tra clan malavitosi, politica ed istituzioni e quali risultati abbiano portato finora. (4-08396)


   AIRAUDO, PLACIDO e PAGLIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 20 febbraio 2015 il settimanale l'Espresso nella seconda parte dell'inchiesta Swissleaks ha rivelato che tra i nominativi inclusi nella ormai famosa «lista Falciani», dal nome dell'informatico che consegnò alle autorità francesi file provenienti dalla banca elvetica Hsbc contenenti informazioni su clienti coperti da segreto bancario, sono compresi anche quelli riconducibili alla famiglia Agrati, proprietaria della storica azienda metalmeccanica italiana che sin dai primi anni ’40 che produce e commercializza sistemi di fissaggio, nota anche come il colosso delle viti. Lo stesso settimanale da conto del fatto che l'azienda non ha risposto alle richieste di chiarimenti;
   oltre al conto pari a 6,8 milioni di dollari associato all'amministratore delegato Cesare Annibale Agrati, nella lista compaiono altri depositi riferibili alla «Agrati International», società con base nel paradiso offshore di Madeira, l'isola dell'Atlantico a sovranità portoghese;
   da circa un anno l'Agrati spa sta affrontando un processo di ristrutturazione industriale che ha portato alla chiusura dello stabilimento di Collegno, con conseguente avvio delle procedure di licenziamento per gli 82 lavoratori dello stabilimento;
   tra le motivazioni addotte nella lettera recapitata ai lavoratori con la quale la società comunicava la cessazione dell'attività produttiva si riportavano la fase di crisi ed il conseguente ridimensionamento del mercato europeo degli autoveicoli; la delocalizzazione delle produzioni oltre Europa; la mancanza di prospettive di ripresa e la carenza di competitività del sito di Collegno rispetto alla produzione in Estremo Oriente;
   nonostante nell'immediato il Governo, al fine di scongiurare l'interruzione dell'attività e salvaguardare i livelli occupazionali, sia stato invitato in ambito parlamentare a fare chiarezza sulla reale situazione produttiva dell'azienda e sulle ragioni della decisione assunta dalla proprietà di chiudere lo stabilimento piemontese e procedere con i licenziamenti collettivi e il giorno 28 gennaio 2014 fosse stato firmato (congiuntamente tra azienda e rappresentanza sindacale) il verbale d'accordo riguardante il premio di risultato che evidenziava il pieno raggiungimento degli obbiettivi di produttività e qualità riguardanti l'anno 2013, l'azienda è comunque ricorsa al regime di cassa integrazione guadagni straordinaria, che, per merito degli stessi lavoratori impegnati in un'incessante mobilitazione, è stata recentemente prorogata a tutto il 2015 –:
   se sia a conoscenza di quali finanziamenti pubblici, ed in caso affermativo di quale importo, abbia beneficiato nel corso di tutta la sua attività imprenditoriale il gruppo industriale riconducibile alla famiglia Agrati;
   se sia a conoscenza delle ragioni che hanno portato l'Agrati spa ad interrompere la produzione nello stabilimento di Collegno, nonostante la stessa avesse raggiunto nell'anno precedente lusinghieri obiettivi di produttività;
   se i comportamenti, che appaiono elusivi e che hanno portato esponenti della famiglia Agrati a trasferire ingenti risorse finanziarie su conti correnti esteri, siano avvenuti nel rispetto della normativa fiscale italiana. (4-08398)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in sede di conversione del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1 recante «Disposizioni urgenti per l'esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e dell'area di Taranto» è stato introdotto il comma 2-ter all'articolo 4 il quale prevede che «Al fine di favorire il preminente interesse al recupero di rifiuti e materiali, nel rispetto dei princìpi definiti dalla citata direttiva 2008/98/CE, i residui della produzione dell'impianto ILVA di Taranto costituiti dalle scorie provenienti dalla fusione in forni elettrici, a combustibile o in convertitori a ossigeno di leghe di metalli ferrosi e dai successivi trattamenti di affinazione e deferrizzazione delle stesse classificate con codice europeo dei rifiuti 100201, 100202 o 100903, possono essere recuperati per la formazione di rilevati, di alvei di impianti di deposito di rifiuti sul suolo, di sottofondi stradali e di massicciate ferroviarie (R5) o per riempimenti e recuperi ambientali (R10), se conformi al test di cessione di cui al decreto del Ministro dell'ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario n. 72 alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, ovvero in applicazione della disciplina del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, se più favorevole. In questo caso, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale provvede ad accertare l'assenza di rischi di contaminazione per la falda e per la salute, ai sensi dell'articolo 177, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, nel termine di dodici mesi dall'avvenuto recupero;
   la disposizione ha suscitato fra gli operatori, del settore rifiuti molte difficoltà interpretative in particolare per il riferimento al Regolamento della Comunità europea n. 1907/2006 (noto come regolamento REACH) che è un atto complesso, certamente applicabile anche alle materie prime derivate dai rifiuti ma che non ha nulla a che vedere con il test di cessione di cui al DM 5 febbraio 1998; in particolare è di difficile interpretazione come applicare il concetto del «...se più favorevole» del citato articolo 4 in quanto appare equivoco, difficilmente comparabile ed oggettivizzabile;
   il regolamento Reach è infatti finalizzato alla valutazione delle caratteristiche di pericolo delle sostanze chimiche e del rischio in condizioni ragionevolmente prevedibili, ex-ante, mentre il test di cessione previsto dal decreto ministeriale 5 febbraio 1998, consiste nella simulazione del rilascio ambientale di sostanze a lunghissimo termine; nel regolamento comunitario non sono previsti criteri assoluti per l'accertamento del rischio di contaminazione ex post per una falda acquifera o per la salute e, pertanto, non appare chiaro in che termini si possa procedere all'attuazione della norma di legge;
   la connessione fra questa disposizione, quella comunitaria sulla cessazione della qualifica di rifiuti (end of waste), quella sul Reach ed il decreto ministeriale, 5 febbraio 1998 rendono necessario un intervento chiarificatore ed anche, in particolare, l'adeguamento del decreto ministeriale sulle cosiddette procedure semplificate per il recupero –:
   se il Ministro interrogato intenda adottare un'iniziativa, per fare chiarezza sulle modalità applicative dell'articolo 4, comma 2-ter, del decreto-legge 1 del 2015 indicando i criteri per l'eventuale verifica ex post e procedere anche alla revisione del decreto ministeriale 5 febbraio 1998 allo scopo di adeguarlo alla previsione comunitaria sulla cessazione della qualifica di rifiuti (end of waste). (5-05011)


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 11 del decreto legislativo n. 36 del 2003 e relativi allegati individuano in maniera dettagliata le caratteristiche della copertura superficiale finale delle discariche di rifiuti pericolosi e non pericolosi. In particolare, tale copertura deve garantire l'isolamento dei rifiuti dall'ambiente esterno, la minimizzazione delle infiltrazioni d'acqua e dei fenomeni d'erosione, la riduzione il più possibile della necessità di manutenzione, la resistenza agli assestamenti ed ai fenomeni di subsidenza localizzata;
   la copertura deve essere realizzata mediante una struttura multistrato di diversi spessori e materiali. Con riferimento ai singoli strati, ed in particolare a quelli drenanti, la normativa non specifica la natura del materiale da utilizzare ma fornisce precise indicazioni sullo spessore degli stessi e sulle prestazioni che devono garantire;
   la parte seconda del decreto legislativo n. 156 del 2006, nel Titolo III-bis relativo all'A.I.A, articolo 29-bis (individuazione delle migliori tecniche disponibili), collega il soddisfacimento dei requisiti tecnici delle B.A.T. al rispetto dei requisiti tecnici del decreto legislativo n. 36 del 2003 che vengono quindi identificati come «migliori tecniche disponibili»;
   tale connessione non esclude però che altre tecnologie applicative di pari caratteristiche prestazionali o addirittura superiori possano essere utilizzate secondo il principio dell'equivalenza prestazionale;
   in alcune regioni quali il Piemonte, il Veneto e l'Emilia Romagna sono state rilasciate autorizzazioni volte a consentire la stratigrafia superficiale di alcune discariche di rifiuti mediante l'utilizzo di geocompositi drenanti in sostituzione degli strati drenanti dell'acqua meteorica e del biogas di cui all'articolo 1, paragrafo 2.4.3, punti 2 e 4 del decreto legislativo n. 36 del 2003,vista la capacità drenante, drenante sotto carico e drenante garantita per almeno 30-40 anni, la resistenza alla trazione minima da eventuali sollecitazioni trasmesse dai mezzi d'opera e assestamenti, l'inerzia chimica e la resistenza meccanica;
   in alcune altre regioni le agenzie ambientali hanno invece espresso contrarietà all'utilizzo di geocompositi in quanto il decreto legislativo n. 36 del 2003 non prevede espressamente l'utilizzo di sistemi equivalenti per gli strati drenanti;
   difformi modalità applicative creano incertezza del diritto e distorsioni nel mercato dello smaltimento dei rifiuti per le evidenti differenze di costi fra le diverse soluzioni tecniche che pur assicurano un'equivalente tutela ambientale –:
   se il Ministro interrogato ritenga di fare chiarezza sulla corretta interpretazione del decreto legislativo n. 36 del 2003, allegato 1, relativamente alla possibilità di utilizzo di sistemi equivalenti per gli strati drenanti dell'acqua meteorica (par. 2.4.3.) e del biogas (par. 2.4.3, punti 2 e 4) costituiti da geocompositi aventi dimostrata capacità drenante, drenante sotto carico, drenante garantita per almeno 30-40 anni, resistenza alla trazione minima da eventuali sollecitazioni trasmesse da mezzi d'opera e assestamenti, inerzia chimica e resistenza meccanica.
(5-05012)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PARENTELA, DIENI, NESCI, NICOLA BIANCHI, DE LORENZIS, LIUZZI, SPESSOTTO, DELL'ORCO e MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Salerno Reggio-Calabria da lunedì 2 marzo 2015 è tornata tristemente al centro delle cronache nazionali con il crollo della quinta campata del Viadotto «Italia» (lato Reggio Calabria) – dove erano in esecuzione i lavori di predisposizione della demolizione dell'impalcato per la realizzazione della nuova autostrada – che è costato la vita ad un operaio di 25 anni precipitato da un'altezza di circa 80 metri mentre era alla guida di una piccola ruspa. L'incidente è avvenuto in un cantiere tra Laino Borgo e Mormanno;
   in questi lavori l'Anas ha solo un compito di controllo, mentre l'Italsarc che fa da contraente generale, ha affidato direttamente i lavori a una sessantina di imprese, tra le quali società di rilevanza nazionale come la Cmb di Carpi e la società Ghella spa di Roma che a loro volta subaffidano ad altre imprese più piccole. Ed è proprio in queste pieghe che – a detta del sindacalista Antonio Di Franco, della Fillea di Castrovillari – si verifica «un allentamento nei controlli e nella vigilanza dei protocolli di legalità sottoscritti, in particolare proprio sui contratti e sull'organizzazione del lavoro, sugli orari di lavoro, data la complessità e i tempi stretti di realizzazione»;
   il tragico evento è accaduto in un cantiere che, nei mesi scorsi, era stato segnalato dai sindacati alla prefettura di Cosenza per l'alto grado di rischio dovuto a turni di lavoro troppo pesanti. Già nell'ottobre del 2014, infatti, i sindacati avevano presentato alla prefettura di Cosenza una segnalazione e una richiesta di intervento delle interforze di polizia per le verifiche sui flussi di manodopera e gli orari di lavoro secondo quanto disposto dal «protocollo di legalità» stipulato tra lo stesso ufficio territoriale del Governo, l'Anas, e il contraente generale, Italsarc. Il protocollo prevede, tra le altre norme rivolte a contrastare l'infiltrazione criminale nei cantieri, anche il rispetto dei contratti di fornitura e di lavoro subordinato impiegato nell'ammodernamento del terzo macrolotto della A3;
   a seguito della tragedia il pm ha disposto il sequestro della parte di strada interessata dall'incidente mortale e ha individutato due consulenti che dovranno effettuare un primo sopralluogo per poi procedere alle verifiche della stabilità della struttura dell'intero viadotto, mentre il presidente dell'Anas ha nominato una commissione d'inchiesta interna;
   il tratto tra gli svincoli di Laino Borgo e Mormanno è stato chiuso al traffico e l'Anas ha individuato percorsi alternativi, differenziati per il traffico pesante e leggero con presidi fissi agli svincoli, poiché «non sono prevedibili i tempi di riapertura del tratto»;
   chiudere un importante snodo di traffico che coinvolge, oltre alla Calabria, anche la Sicilia, oltre a generare disagi per gli automobilisti, ha ripercussioni anche sull'economia di queste due regioni che vedranno lievitare i tempi di consegna delle merci delle aziende che ivi risiedono. Il presidente dell'associazione Aitras che rappresenta i circa quindicimila trasportatori siciliani sulla questione ha affermato: «L'ottanta per cento del trasporto su gomma è dedicato all'ortofrutta; un comparto che impone una regola semplice e secca: in ventidue ore la merce appena raccolta deve stare nei mercati del Centro e del Nord. Altrimenti la puoi buttare. Con gli eterni rallentamenti sulla A3 a stento ci riuscivamo prima; ora, con le deviazioni imposte dai percorsi alternativi ci vogliono circa trenta ore. E noi siamo fuori». A questo si deve aggiungere che l'aumento di ore necessarie a raggiungere la destinazione impone l'aumento del numero di autisti in turno su ogni mezzo, obbligati dal codice della strada a un numero massimo di ore di guida al giorno con un notevole aumento dei costi –:
   se, a seguito del tragico evento, non ritenga opportuno verificare se siano state effettivamente rispettate le norme che tutelano la sicurezza dei lavoratori sul tratto di autostrada incriminato;
   quali misure intenda adottare affinché venga garantita in tempi rapidi la transitabilità del tratto autostradale, al momento interrotto, scongiurando danni al comparto ortofrutticolo ed al turismo che andrebbero ad impattare fortemente sulla già martoriata economia siciliana e calabrese. (4-08377)


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Calabria continua a vivere gravissimi problemi legati al dissesto idrogeologico e, in particolare nella provincia di Catanzaro, il Quotidiano della Calabria del 4 marzo 2015 mette in risalto, ancora una volta, la fragilità del territorio calabrese;
   a seguito di un sopralluogo effettuato sulla strada provinciale n. 157, che collega, una volta riaperto il tratto stradale, il quartiere Santa Maria a Germaneto, emerge la necessità di interventi per la messa in sicurezza del manto ormai compromesso;
   la strada interessata risulta particolarmente importante, anche in considerazione del fatto che la stessa, nella sua piena funzionalità, collega rapidamente alcuni fra i rioni più popolosi della zona sud della città e la sede universitaria;
   a rendere più preoccupante la situazione si aggiungono le piogge, che negli ultimi tempi hanno dato luogo a episodi molto critici, come le numerose frane, con gravi disagi per i loro abitanti;
   richieste di urgente intervento sono state inoltrate a tutte le istituzioni locali e sottolineano la necessità di promuovere e finanziare ulteriori interventi per risolvere definitivamente le problematiche relative al dissesto, evitando il ripetersi di altri movimenti franosi con grave rischio per gli automobilisti;
   la situazione appare molto critica e gli interventi da predisporre devono essere rapidi proprio perché le continue carenze infrastrutturali limitano l'utilizzo della importante arteria;
   è importante attivare l'attenzione delle istituzioni locali e sollecitare gli organismi preposti ad effettuare gli urgenti e indispensabili interventi;
   la provincia di Catanzaro chiede che le vengano assegnate adeguate risorse per far fronte ai danni provocati dal maltempo e per intervenire in modo incisivo sulle infrastrutture più importanti, che hanno subito danni;
   i fatti esposti sono ad avviso dell'interrogante preoccupanti e richiedono una immediata verifica al fine di salvaguardare la popolazione locale –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per adeguare le risorse finanziarie destinate alla difesa del suolo e alla prevenzione del dissesto idrogeologico, assicurando che l'assegnazione delle stesse avvenga in modo da privilegiare le aree a più alto rischio franoso, come quella della provincia di Catanzaro;
   se il Governo intenda promuovere ogni utile iniziativa di competenza, compreso un tavolo di concertazione che coinvolga gli enti locali interessati, per la messa in sicurezza della strada provinciale n. 157 interessata dagli eventi franosi di quest'ultimo periodo, a tutela dell'incolumità degli utenti e dei cittadini. (4-08393)


   AGOSTINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sta lavorando ad un decreto per regolamentare il limite di emissione in atmosfera della frazione di carbonio organico totale (COT) da parte degli impianti per la produzione energetica, tra cui quelle a biogas;
   per effetto di tale decreto interministeriale sembrerebbe che i livelli massimi di emissione vadano intesi solo per la frazione non metanica del Cot e non per il metano incombusto;
   il superamento dei livelli di Cot rilasciati in atmosfera, lo si vuole ricordare, aveva portato nei mesi scorsi la procura della Repubblica di Macerata, dopo una segnalazione da parte dell'Arpam, ad intervenire sulle centrali di Corridonia e Loro Piceno con una prima richiesta di spegnimento a cui, poi, è seguito il sequestro dei due impianti. I successivi controlli sollecitati dai magistrati su altre centrali del maceratese hanno comportato anche allo spegnimento e al sequestro dell'impianto di Matelica;
   successivamente autorità pubbliche e soggetti privati hanno fatto richiesta di valutare se la voce «COT» possa riferirsi alla solo componente non metanica dell'emissione, con conseguente scorporo della componente metanica;
   la competente direzione generale per le valutazioni ambientali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha pertanto predisposto uno schema di decreto per l'aggiornamento dei valori limite di emissione in atmosfera per le emissioni di carbonio organico totale (COT) degli impianti alimentati a biogas che riferisce la voce «COT» alla sola componente non metanica dell'emissione;
   il predetto schema di decreto è stato quindi trasmesso dalla direzione generale per le valutazioni ambientali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con nota del 14 ottobre 2014 PROT. 0021334, al capo di gabinetto del Ministero della salute, per l'acquisizione dell'assenso tecnico, prima dell'invio per l'esame da parte della Conferenza Unificata;
   con nota del 19 novembre 2014 il Ministero della salute, in riscontro alla predetta nota del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha quindi espresso il suo assenso tecnico sullo schema di decreto, dopo aver interpellato l'Istituto superiore di sanità (che ha reso parere il 13 novembre 2014) e la competente direzione generale del Ministero della salute (nulla osta del 14 novembre 2014 per la sottoposizione dello schema di decreto alla firma del Ministro);
   successivamente il Ministero dello sviluppo economico, con nota del 5 dicembre 2014 (prot. n. 0028350), ha richiesto una parziale modifica dello schema di decreto di aggiornamento dei valori limite COT;
   la proposta del Ministero dello sviluppo economico è stata quindi accolta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che, con nota del 24 dicembre 2014 (prot. n. 0026721), ha trasmesso lo schema di decreto così modificato al capo dell'ufficio di gabinetto del Ministero della salute che, a sua volta, con nota del 14 gennaio 2014, ha richiesto un nuovo parere tecnico-scientifico all'Istituto superiore di sanità sulla nuova bozza di decreto; in data 12 febbraio 2015 l'Istituto superiore di sanità ha quindi espresso quello che all'interrogante appare un laconico ed apodittico parere favorevole (prot. 4187/ISS), sulla base di una scarna istruttoria ove si osserva che «la nuova versione di decreto ripropone per questi impianti i valori limite alle emissioni atmosferiche per il COT-escluso il metano, già presenti nella bozza precedente (prot. Ministero della salute DGPRE 0029443 – P – 05/11/2014)... “e che” ... in un considerato presente nella bozza di decreto, si ricorda come l'articolo 271 valori limite di emissione e prescrizione per gli impianti e le attività del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, può prevedere che si possono stabilire valori limite di emissione e prescrizioni per gli impianti e le attività del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, può prevedere che si possono stabilire valori limite di emissione e prescrizioni più restrittivi di quelli contenuti negli allegati alla parte quinta del decreto legislativo n. 152 del 1996 e successive modificazioni e integrazioni, anche inerenti le condizioni di costruzione o di esercizio, purché ciò sia necessario al perseguimento ed al rispetto dei valori e degli obiettivi di qualità dell'aria» e quindi si conclude «Pertanto si ritiene condivisibile lo schema di decreto in oggetto»...;
   il predetto schema di decreto, ove approvato in via definitiva, sarebbe a giudizio dell'interrogante di dubbia legittimità in quanto in contrasto sia con norme di rango costituzionale, che con i principi generali recepiti nel codice dell'ambiente, nonché con i principi generali di diritto internazionale e comunitario del diritto dell'ambiente e con gli accordi vigenti in ambito internazionale e comunitario ai fini delle riduzione dei gas ad effetto serra; in particolare, ove la predetta proposta venisse trasposta in un decreto ministeriale, secondo la procedura di cui all'articolo 281, comma 5, del decreto legislativo n. 152 del 2006, lo Stato Italiano sarebbe esposto a procedura di infrazione, nonché a contenziosi domestici, comunitari e finanche in sede internazionale;
   le criticità del provvedimento in esame sarebbero, quindi, plurime e derivanti dal contrasto con più livelli normativi, nazionali, nonché di diritto comunitario e sovranazionali, oltre che dovute, a giudizio dell'interrogante, a difetto di istruttoria e di motivazione;
   si tratta, inoltre, di proposta in contrasto con gli orientamenti interpretativi già espressi dalla giurisprudenza amministrativa del Tar (Tar Piemonte, Torino, sezione Prima, n. 1046 del 2013 del 1124/07/2014) e del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, sezione V, n. 3316/2014), che hanno chiarito che nel rispetto dei limiti di emissione del Carbonio Organico Totale debba ricomprendersi ogni composto organico, metanico e non;
   a conferma di questa interpretazione si cita anche un parere dello stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di cui alla nota DVA 2012-0025033 del 17 ottobre 2012 (parere richiamato anche nella sentenza n. 3316/2014 della sezione V del Consiglio di Stato) nel quale si legge che: «Il riferimento al COT (carbonio organico totale) senza altre specificazioni porta ad escludere che si possa intendere come COT escluso metano»;
   l'inclusione della componente metanica nella misurazione dei valori di COT si spiega, sul piano tecnico, in considerazione del fatto che il metano è tra i gas maggiormente responsabili dell'effetto serra e, dunque, climalterante; si veda in proposito la nota del Ministero della salute del 24 settembre 2014 (prot. n. 26279/AMPP-IA- 12): «la presenza tra i contaminanti rilevati di metano uno dei 6 inquinanti considerati ai fini delle rendicontazioni degli impegni del Protocollo di Kyoto, e sostanza considerata dall'Interfovernmental Panel on Climate Change (IPCC) climalterante (con potere superiore a circa 20 volte a quello della CO2), implica certamente un impatto ambientale», nonché il bollettino del settembre 2014 della Organizzazione metereologica mondiale, Agenzia delle Nazioni Unite (http://www.wmo.int);
   la totale esclusione del gas metano tra COV secondo l'interrogante è in diretto contrasto con la normativa internazionale e comunitaria; l'Unione europea ha infatti da tempo classificato il metano tra i cosiddetti «gas ad effetto serra» ed ha messo in campo specifiche azioni tese al contenimento di detto fenomeno (cfr. la relazione della Commissione della Comunità europea del 10 marzo 1994, avente ad oggetto una «Prima valutazione dei programmi nazionali esistenti nel quadro del meccanismo di controllo della Comunità delle emissioni di CO2 e di altri gas ad effetto serra» – comunicazione n. 557 del 15 novembre 1996 della Commissione; risoluzione A4-0120 pubblicata sulla GUCE n. C. 138 del 4 maggio 1998 del Parlamento europeo; proposta di decisione della Commissione europea del 23 gennaio 2008 n. COM/2008/0017; decisione n. 406/2009 seguita dalla direttiva 2009/29/CE;
   la definitiva adozione del decreto interministeriale di modifica dell'allegato I alla parte quinta del decreto legislativo n. 152 del 2006 potrebbe inoltre a giudizio dell'interrogante interferire con l'attività della magistratura e costituire ius superveniens in relazione ad alcune recenti vicende giudiziarie che hanno interessato il settore degli impianti a biogas nelle Marche: ci si riferisce al sequestro preventivo di due impianti a biogas in località Loro Piceno e Corridonia, entrambi di proprietà del gruppo Viridis Energia, disposto dal Gip di Macerata, su richiesta della procura della Repubblica di Macerata, in data 15 ottobre 2014, in seguito al superamento dei limiti legali dei valori di COT, misurati al lordo della componente metanigena (il «Messaggero-Marche» del 17 ottobre 2014) –:
   se il Ministro interrogato intenda procedere all'immediato arresto dell’iter procedurale per l'adozione del citato decreto per l'aggiornamento dei valori limite di emissione in atmosfera per le emissioni di carbonio organico totale (COT) degli impianti a biogas, ai sensi dell'articolo 281 comma 5 del decreto legislativo n. 152 del 2006, che darebbe luogo alla emanazione di un atto ad avviso dell'interrogante di dubbia legittimità in quanto in contrasto con plurime fonti normative, di livello nazionale e sovranazionale, nonché carente sotto il profilo dell'istruttoria, e della motivazione. (4-08402)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO, RIZZETTO, BALDASSARRE, BECHIS, SEGONI, ARTINI, BARBANTI, MUCCI, PRODANI e TURCO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'archivio di Stato è un archivio le cui competenze consistono nella conservazione e sorveglianza del patrimonio archivistico e documentario di proprietà dello Stato e nella sua accessibilità alla pubblica e gratuita consultazione;
   svolgono la funzione di sorveglianza mediante la partecipazione alle commissioni istituite (ai sensi dell'articolo 41 del codice) sugli archivi correnti e di deposito degli organi amministrativi e giudiziari dello Stato e sulla gestione dei flussi documentali, qualunque ne sia il supporto, anche in base alla normativa vigente in materia di riproduzione sostitutiva di documenti digitali e gestione elettronica dei documenti, esplicano funzioni relative al trattamento e la comunicazione dei documenti riservati, svolgono attività di promozione e curano lo studio, la ricerca, l'ordinamento, l'inventariazione, la riproduzione e conservazione dei documenti conservati;
   gli archivi di Stato in Italia sono 103, uno per provincia con sede nel capoluogo; esistono inoltre 35 sezioni di archivio di Stato con sede in importanti città non capoluogo di provincia che possiedono un patrimonio documentario importante e non trasferito presso la sede dell'archivio di Stato competente perché, secondo il principio della pertinenza territoriale, sarebbe sconsiderato trasferire altrove poiché strettamente legati al territorio dove hanno sede;
   nonostante l'altissima importanza attribuita agli archivi di Stato, si continuano a tagliare le risorse: il personale in servizio è in numero progressivamente decrescente poiché non c’è stata una politica di turn over rispetto ai pensionamenti, alcuni istituti archivistici e bibliotecari sono in una grave e cronica condizione di sotto-organico che costringe inevitabilmente i responsabili a una continua riduzione di orari all'utenza;
   il budget destinato agli archivi è in larga misura «eroso» dal pagamento degli affitti, e nonostante ciò non si è mai posta concretamente in essere una politica di riuso di strutture pubbliche in abbandono (come caserme ed altro) per favorire un'eventuale ampliamento dello stesso archivio;
   inoltre vi sono archivi di Stato che si trovano in edifici pubblici per cui lo Stato eroga agli enti locali grandi somme di denaro come affitti con un evidente inutile esborso di risorse tra gli enti stessi e che potrebbero invece essere utilizzate per una maggiore valorizzazione degli archivi di Stato o per le spese ordinarie;
   per far fronte a questa situazione di progressivo degrado non solo è necessaria una strategia complessiva, ma anche investimenti adeguati –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato sulla situazione esposta in premessa;
   se il Ministro interrogato non intenda effettuare una mappatura complessiva della situazione in cui vertono numerosi archivi di Stato e se non intenda, per quanto di competenza, assumere iniziative, anche normative, affinché sia garantita a tali archivi una struttura adeguata per l'importante compito che sono tenuti a svolgere;
   se il Ministro interrogato non intenda rivedere il numero del personale impiegato in ogni struttura ed eventualmente procedere a nuove assunzioni laddove vi siano carenze di organico al fine di garantire la piena funzionalità degli archivi stessi e un passaggio di competenze nel caso vi fosse personale in uscita per pensionamento al fine di non disperdere le professionalità acquisite. (5-05006)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PETRAROLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano locale la Prealpina, nell'articolo del 20 febbraio 2015 intitolato «L'Isolino Vergogna», si parla dell'Isolino Virginia situato nel territorio di Biandronno ma di proprietà del comune di Varese, l'Isolino copre un'area di 9200 metri quadrati sul lago di Varese, ormai famoso per il suo storico livello di degrado dovuto ai processi di eutrofizzazione delle acque a seguito di elevate concentrazioni di fosforo;
   Pisolino Virginia è un sito dichiarato nel 2011 patrimonio dell'Umanità dall'Unesco ed è anche un parco archeologico con la presenza di un'importante area palafitticola con un museo civico preistorico e dal 1863 è uno dei siti più famosi della preistoria europea;
   attualmente non vi è alcun collegamento funzionale con l'isolotto. I cittadini che volessero approdare sull'isolotto si ritroverebbero in un'area abbandonata dove plastica, bottiglie di birra, rifiuti usciti dai cestini, tronchi e parti di alberi abbandonati in una delle ultime pulizie condotte dopo nel 2013 rovinano la bellezza del luogo e poi ancora degrado tutt'intorno;
   l'unico ristorante presente sull'Isolino Virginia è stato chiuso dopo una lunga battaglia legale, da quel momento le chiavi della struttura sono nelle mani del comune. Vicino al molo due imbarcazioni abbandonate che stentano a galleggiare, anche il molo necessita di urgenti riparazioni;
   la parte archeologica, i cui lavori di scavo sono iniziati nel 2013, è in uno stato di abbandono, delimitata e protetta per evitare di accedere;
   l'isolino Virginia potrebbe essere una meta ambita per molti turisti italiani e stranieri ma occorrono urgenti interventi e ricordare che è anche un patrimonio per le generazioni future che, visto il degrado di oggi, non potranno goderne domani –:
   quali siano i tempi di ultimazione dei lavori dell'area archeologica presente sull'Isolino e se e quali fondi statali siano stati stanziati per eseguirne i lavori di scavo. (4-08397)


   VALLASCAS, FANTINATI, DA VILLA, GRILLO, LOREFICE, CANCELLERI e CRIPPA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la fondazione Teatro Lirico di Cagliari, da sempre ai vertici delle istituzioni musicali italiane per qualità ed eccellenza delle produzioni, da alcuni anni, si troverebbe in una situazione di forte criticità per effetto, secondo le organizzazioni di categoria, di una gestione da parte dei vertici dell'ente inadeguata alla storia del teatro e alle grandi competenze e professionalità maturate dal personale artistico e dalle maestranze nel corso degli anni;
   a tale proposito, appare rilevante segnalare che la gestione è oggetto anche di due distinte inchieste della magistratura, una delle quali, si è conclusa nel mese di novembre del 2014, con il rinvio a giudizio del presidente del consiglio di amministrazione della Fondazione, l'attuale sindaco di Cagliari;
   questo stato di cose, assieme alla discontinuità e incertezza delle risorse finanziarie, avrebbe determinato un clima di profondo disagio nelle attività dell'ente con effetti negativi sulla programmazione artistica, sulla stabilità dei rapporti contrattuali di artisti e maestranze, nonché sulla regolarità stessa nella corresponsione delle spettanze stipendiali;
   la situazione, già particolarmente critica, sembra essere degenerata negli ultimi mesi, in concomitanza con la nomina del nuovo sovrintendente, con ulteriori ritardi nei pagamenti e nell'avvio della stagione concertistica 2015;
   in particolare, a destare profonda preoccupazione, secondo le rappresentanze sindacali e i dipendenti dell'ente, che in più circostanze nelle ultime settimane hanno organizzato diverse iniziative di protesta, sarebbe proprio l'assenza, allo stato attuale, di un'organica programmazione artistica per tutto l'anno in corso;
   il vertice dell'ente avrebbe cercato di ovviare a questa evenienza programmando in extremis e sino al mese di maggio una decina di concerti che, secondo le organizzazioni sindacali, non possono in alcun modo colmare l'assenza di una stagione concertistica;
   la mancanza di una vera e propria programmazione rappresenta l'elemento di maggiore inquietudine, per gli effetti sotto il profilo della promozione della cultura musicale tra i pubblici di riferimento e la discontinuità nel processo di fidelizzazione, per i danni d'immagine dell'istituzione e per l'impossibilità di avviare con adeguato anticipo le attività di promozione delle produzioni e di prevendita degli abbonamenti;
   questa situazione si sarebbe verificata in occasione dei primi due concerti programmati dalla Fondazione, venerdì 6 e sabato 7 marzo, a ciascuno dei quali avrebbe assistito poco più di un centinaio di spettatori;
   alla scadenza del contratto con il precedente, sono state avviate le procedure di selezione e nomina, del nuovo sovrintendente del teatro, individuato nella persona della dottoressa Angela Spocci, proposta dal consiglio di indirizzo dell'ente al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo che ha emanato il decreto di nomina il 5 febbraio 2015;
   la nomina del neo sovrintendenze non sembra abbia apportato dei cambiamenti nell'immediato né sembra poterlo fare per il futuro. Sembrerebbe altresì che, per le risoluzioni assunte e le stesse modalità di interlocuzione con rappresentanti sindacali, dipendenti dell'organismo e altri soggetti interessati, la sua presenza abbia esacerbato alcune criticità e alcune situazioni di disagio attraversate dall'istituzione;
   tra i primi atti compiuti, secondo quanto riportato dagli organi di stampa e dalle note ufficiali dei rappresentanti sindacali, avrebbero acquistato particolare rilevanza i licenziamenti del direttore della programmazione, del direttore degli allestimenti scenici e del maestro del coro, oltre alle contestazioni sollevate al responsabile dell'ufficio economato;
   le professionalità allontanate dal nuovo sovrintendente, in considerazione dell'esperienza maturata negli anni e delle capacità riconosciute, rappresenterebbero uno dei punti di forza del teatro;
   il provvedimento del sovrintendente appare pertanto un atto che rischia di indebolire l'ente in un ambito, come quello della produzione artistica, che andrebbe, viceversa, rafforzato perché rappresenta il cuore delle attività dell'istituzione; 
   nel complesso l'attività posta in essere a tutt'oggi dal nuovo sovrintendente apparirebbe, a detta dei rappresentanti sindacali, più orientata a un riordino dei bilanci dell'ente con un contenimento della spesa e un ridimensionamento del personale, per cui l'ente sembrerebbe quasi sottoposto a una gestione commissariale;
   appare viceversa assente nella gestione dell'ente un'impronta e un indirizzo artistico-musicale necessari per il rilancio dell'istituzione musicale per quanto concerne la qualità dell'offerta culturale e le conseguenti risultanze sotto il profilo della redditività delle produzioni e della buona tenuta dei bilanci;
   secondo le rappresentanze sindacali, per l'anno 2015, l'ente avrà entrate pari a circa 19 milioni di euro, una cifra che renderebbe possibile una programmazione artistica di più ampio respiro rispetto al cartellone predisposto dalla dirigenza aziendale nelle ultime settimane;
   l'attività artistica svolta dall'ente nell'anno in corso è determinante per l'attribuzione del punteggio utile alla definizione dei contributi FUS 2016, pertanto i ritardi nell'avvito della stagione lirico-sinfonica nonché la ridotta programmazione in corso rischierebbero di compromettere i finanziamenti e la sopravvivenza stessa della fondazione;
   allo stato non si conosce nel dettaglio la situazione economica e patrimoniale dell'ente e sussistono forti preoccupazione per la continuità occupazionale dei numerosi lavoratori dell'ente, tra i quali sono presenti un centinaio di lavoratori precari che rischiano, dopo anni di attività, di non essere confermati –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   quali criteri siano stati seguiti per la nomina del nuovo sovrintendente della Fondazione del teatro lirico di Cagliari e se, oltre alle capacità manageriali, siano state adeguatamente valutate le competenze artistico-musicali che rappresentano il cuore delle attività di un teatro;
   se congiuntamente al curriculum dei candidati, siano state valutate eventuali proposte progettuali di sviluppo e promozione dell'attività artistica nonché le iniziative da porre in essere per il reperimento delle risorse economiche necessarie al funzionamento dell'istituzione;
   quali iniziative intenda adottare per fare in modo che la Fondazione teatro lirico di Cagliari superi l'attuale fase di crisi, venga data stabilità alle attività di artisti e maestranze e sia definito in tempi brevi un cartellone Lirico-Sinfonico per tutto il 2015, in linea con gli standard qualitativi da sempre garantiti dalla Fondazione;
   quali iniziative intenda adottare per evitare che la situazione di attuale immobilismo dell'ente possa compromettere la qualità economica dei contributi FUS 2016 destinati al teatro di Cagliari. (4-08401)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LATRONICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le risorse già destinate agli interventi del piano di azione coesione che risultavano essere non ancora impegnate alla data del 30 settembre 2014 sono state utilizzate dal comma 122 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2015 per la copertura degli oneri derivanti dagli sgravi contributivi finalizzati a nuove assunzioni a tempo indeterminato, pari a 1 miliardo di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e a 500 milioni per il 2018, mediante la riprogrammazione delle risorse; il Governo ha giustificato lo storno sostenendo che altrimenti tali risorse sarebbero andate perdute;
   il comma 123 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2015 dispone che entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge medesima, il Gruppo di azione coesione provvede alla individuazione delle linee di intervento del piano di azione coesione che saranno oggetto di riprogrammazione in conseguenza della riduzione delle risorse destinate al piano stesso, mediante modifica alle relative dotazione nell'ambito del fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie di cui alla legge 183 del 1987;
   in aggiunta alla situazione dei fondi strutturali relativi al periodo 2007-2013 che rischiano di essere persi definitivamente, in quanto non riconosciuti dalla Unione europea o perfino restituiti dalle regioni ritardatarie (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) nel dicembre 2014 il Governo ha proceduto al dimezzamento delle risorse nazionali relative alla politica di coesione relativo al periodo 2014-2020, per la definizione del nuovo quadro strategico nazionale;
   l'attività dell'Agenzia per la coesione territoriale (istituita ai sensi dell'articolo 10 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125), finalizzate ad imprimere una svolta decisiva nella capacità di spesa dei fondi europei e sostenere pertanto lo sviluppo produttivo del Mezzogiorno, risulta essere inadeguata rispetto alle finalità per le quali l'Agenzia era stata istituita;
   il prodotto interno lordo nel Mezzogiorno è crollato del 13,6 per cento (6,7 per cento negli ultimi 2 anni), si è allargato il divario tra Centro-Nord e Sud per quanto riguarda il prodotto interno lordo pro capite sceso al 56,6 per cento. Nei sette anni di crisi, nel Sud si sono persi oltre 620 mila posti di lavoro (il 62 per cento del totale della perdita di lavoro in Italia), facendo crollare la forza lavoro a 5,8 milioni di persone con una perdita dell'occupazione del 9,6 per cento;
   si registra la mancanza di significative misure del Governo Renzi in favore del Mezzogiorno, salvo la recente sortita relativa alla creazione di un Ministero per il Mezzogiorno, di cui sono prova, a giudizio dell'interrogante, il disimpegno economico in danno delle aree sottoutilizzate e la generale scarsa attenzione governativa riguardo alla questione meridionale –:
   quali siano gli effetti del disimpegno di risorse del piano azione e coesione, di cui al comma 122 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2015, con particolare riferimento alla regione Basilicata;
   quale sia lo stato di attuazione delle previsione del comma 123 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2015 in materia di riprogrammazione del piano azione e coesione;
   quali iniziative si intendano adottare per garantire la piena operatività e l'efficienza dell'Agenzia per la coesione territoriale. (5-05020)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO, RIZZETTO, BALDASSARRE, BECHIS, SEGONI, ARTINI, BARBANTI, MUCCI, PRODANI e TURCO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dal giornale «La Stampa» che a Perugia gli istruttori cinofili formano i detenuti affinché siano in grado di insegnare ai cuccioli i comandi utili all'interazione con l'essere umano, in particolare con i non vedenti;
   il progetto denominato Prison puppy raiser è di supporto al programma Lions «Cani guida per non-vedenti»: quattro detenuti si occuperanno, nel rispetto del protocollo della scuola per cani Guida Lions di Limbiate, della loro socializzazione;
   negli Stati Uniti, dove il programma Leader Dogs for the Blind, lanciato nel lontano 2002, interessa oggi 6 case circondariali, ha importantissimi risvolti umani e sociali in quanto i reclusi selezionati per il programma, una volta liberi, sono meno inclini ad essere coinvolti in situazioni illegali e sono motivati nel loro nuovo compito di educatori-formatori, sapendo che il ruolo da loro svolto in qualità di puppy raiser sarà determinante per la crescita equilibrata del cane;
   il carcere fornirà lo spazio ed affiderà ai detenuti la cura e l'accompagnamento interno dei cuccioli, che potranno muoversi in ogni spazio dell'istituto penitenziario, ad esclusione delle zone di sicurezza;
   gli istruttori cinofili della scuola per cani guida Lions di Limbiate formeranno i detenuti affinché siano in grado di insegnare ai cuccioli i comandi utili all'interazione con gli umani, nonché nozioni sulla gestione e cura dei loro piccoli nuovi amici;
   a parere dell'interrogante l'iniziativa di coinvolgere i reclusi in attività di questo genere, rappresenta l'effettiva applicazione dell'articolo 27 della nostra Costituzione che recita «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato» –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato sull'iniziativa esposta in premessa;
   se non intenda, anche alla luce del richiamato articolo 27 della Costituzione, favorire maggiormente iniziative di questo tipo, estendendole, ad altre case circondariali e carceri presenti sul territorio nazionale. (5-05008)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CRIVELLARI, D'ARIENZO, ROTTA, ZARDINI e DAL MORO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la linea ferrata percorre un territorio importante della regione Veneto, partendo da Verona arrivando a Cerea, Legnago per proseguire verso Badia Polesine, Lendinara, Costa e Rovigo da dove prosegue per i comuni di Adria, Loreo, Rosolina e Chioggia;
   questo percorso è stato diviso in due tratte una Rovigo-Verona e l'altra Rovigo-Chioggia (Venezia) toccando tre territori e tre province diverse Verona-Rovigo-Venezia;
   oltre alla tratta di competenza delle Ferrovie dello Stato, parte di questa rete è di pertinenza del trasporto regionale con la Sistemi territoriali spa;
   la stazione di Rovigo è un centro importante dove il pendolarismo studentesco e dei lavoratori si concentra verso le città di Padova-Venezia-Ferrara-Bologna e Verona;
   la tratta Rovigo-Chioggia mette in collegamento le località più periferiche della provincia di Rovigo e quelle ad alta vocazione turistico-balneare, come Rosolina e la stessa Chioggia-Sottomarina;
   sulle diverse linee viaggiano mezzi di vecchia tecnologia con tempi di percorrenza lunghi;
   manca ancora il completamento dell'infrastruttura elettrica nelle tratte isola della Scala-Cerea e Legnago-Rovigo, con un efficientamento della sostenibilità del trasporto su rotaia;
   ad oggi mancano le possibilità di un biglietto unico per la percorrenza dei diversi tratti;
   in più occasioni la stampa locale ha sottoposto all'attenzione della cittadinanza il degrado in cui versano molte delle piccole stazioni ferroviarie locali;
   si sono manifestati in più occasioni ritardi nei servizi di linea e a volte la cancellazione di viaggi, causando disagi e disservizio alla popolazione;
   la richiesta di mobilità della popolazione del Polesine e di quelle limitrofe è in costante aumento; essa si riversa verso l'utilizzo dell'automobile in quanto, è eseguita e ancora poco funzionale l'offerta dei servizi via treno –:
   se intenda verificare, per quanto di competenza, quale sia lo stato dell'efficienza delle reti ferroviarie sopradescritte e dei servizi a queste collegate, quali siano, se esistono, i programmi di investimento ed efficientamento delle linee ferrate che collegano Rovigo a Verona e a Chioggia e quali siano  i programmi di recupero delle aree degradate dopo l'abbandono o la chiusura delle piccole stazioni ferroviarie. (5-05013)


   DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, DELL'ORCO, SPESSOTTO, LIUZZI, PARENTELA, MICILLO, MANNINO, TERZONI, DAGA, BUSTO, DE ROSA, ZOLEZZI, DIENI, NUTI e NESCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso dagli organi di stampa di un tragico evento occorso lunedì 2 marzo 2015 sull'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, in un cantiere sul Viadotto Italia, nel tratto autostradale tra Laino Borgo e Mormanno, a causa del crollo di una campata stradale; l'evento ha provocato la morte di un operaio, Adrian Miholca, venticinquenne, caduto per un'ottantina di metri, mentre stava svolgendo opere di demolizione sulla quinta campata;
   ne è seguita, per ordine della magistratura competente, la chiusura dell'autostrada tra gli svincoli di Laino Borgo e Mormanno al fine di garantire la sicurezza e di rendere possibili accertamenti e ulteriori verifiche tecniche, non avendo contezza della stabilità della struttura prima di predisporre il ritorno alla normalità;
   l'Anas, in una successiva nota pubblicata il 4 marzo 2015, smentisce che si sia trattato di «prove di demolizione» ma di «predisposizione alla demolizione», cosa che, ad avviso dell'interrogante, farebbe pensare che non sia stato adeguatamente considerato che anche queste attività (del tipo: rimozione barriere, cordoli, apertura botole), sono potenzialmente pericolose, specie se eseguite durante il contestuale scorrimento del traffico;
   allo stato si apprende, sempre da organi di stampa, che, a seguito del crollo della campata, per l'urto violento su uno dei piloni su cui la stessa poggiava, si temono gravi conseguenze sulla staticità dell'opera;
   a ciò si aggiungono i notevoli disagi, oltre che per la circolazione locale, anche per gli operatori commerciali, specie quelli di trasporto merci su gomma, costretti in un dedalo di percorsi alternativi come ribadisce la nota Anas dell'8 marzo: «I mezzi pesanti in direzione nord escono allo svincolo di Spezzano Terme-Tarsia e rientrano in autostrada allo svincolo di Lauria Nord, attraverso le statali 283, 534, 106 e la 653. I mezzi pesanti in direzione sud escono allo svincolo di Lagonegro Nord, percorrono le statali 585 e 18 e poi rientrano allo svincolo di Falerna in autostrada. I mezzi leggeri in direzione nord escono allo svincolo di Mormanno, percorrono le provinciali 134, 241 e 133, rientrano in autostrada allo svincolo di Laino Borgo. In direzione sud, i mezzi leggeri escono allo svincolo di Laino Borgo, percorrono le provinciali 133, 241 e 134, e rientrano in autostrada allo svincolo di Mormanno»; si profila il rischio di compromettere il rispetto degli accordi commerciali tra aziende e grande distribuzione per i notevoli ritardi conseguenti, con ulteriori perdite in un momento di gravissima crisi economica, specie per il Mezzogiorno;
   in ogni caso, è noto che il cantiere del Viadotto Italia era al centro di polemiche sindacali per le condizioni di lavoro, fatte risalire anche alla pratica dei lavori affidati in subappalto;
   nonostante gli ulteriori stanziamenti nella legge di stabilità per il completamento di altri lotti mancati, permangono ritardi nei lavori di realizzazione e ammodernamento, per cui non da oggi l'autostrada non solo non migliora le condizioni, ma addirittura si sgretola e miete altre vittime nei cantieri aperti per ultimare il tracciato dell'autostrada A3 –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e possa fornire compiutamente elementi sulla dinamica dell'incidente e sulla messa in sicurezza dei cantieri, nonché sulla predisposizione ed il rispetto dei protocolli e dei piani per la sicurezza sugli stessi;
   quali iniziative urgenti intenda, per quanto di competenza, porre in essere al fine di provvedere agli opportuni accertamenti per verificare la stabilità del viadotto, con riferimento anche alla carreggiata non direttamente interessata dal crollo e alla qualità dei materiali di costruzione dei pilastri interessati (e nella specie se cemento depotenziato);
   se il Ministro possa fornire informazioni in merito al ripristino (e ai relativi tempi) della linea e della viabilità in ragione della chiusura della carreggiata, per non continuare a gravare sui cittadini e sugli autotrasportatori, già provati da lungaggini, anche dovute a numerosi fenomeni di infiltrazioni criminose;
   se il Ministro possa riferire un quadro aggiornato dello stato dei lavori, lotto per lotto, con specifica indicazione dello stato di avanzamento dei lavori evidenziando criticità e problemi riscontrati, della percentuale di esecuzione e dei termini per l'ultimazione degli stessi.
(5-05014)


   ROSTELLATO, RIZZETTO, BALDASSARRE, BECHIS, SEGONI, ARTINI, BARBANTI, MUCCI, PRODANI e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa, nello specifico dal giornale il Mattino di Padova dell'11 marzo 2015 che a causa del sovraffollamento del treno nella tratta delle 7.39 una ragazza è svenuta;
   è accaduto sulla tratta Monselice-Padova: a raccontare l'episodio è un giovane medico, Valeria Ferri, che si è trovata a soccorrere la passeggera svenuta. «Il treno era stracarico – commenta – eravamo tutti stipati»;
   questa tratta è servita da un treno non adeguato al numero di pendolari (lavoratori e studenti) che ogni mattina partono da Monselice in direzione Padova;
   questo comporta necessariamente un sovraffollamento e di conseguenza anche un grave rischio per i cittadini come il caso della ragazza esposto nella premessa;
   nella stessa intervista si apprende che il medico avendo sentito che cercavano un medico, si era precipitata nel prestare soccorso, ma a causa del sovraffollamento, l'intervento non è stato immediato. Per fortuna si è trattato, come spiega il medico, di un semplice svenimento da sovraffollamento, ma se fosse stato qualcosa di grave, in quelle condizioni sarebbe stato impossibile prestare soccorso;
   a parere dell'interrogante è inaccettabile che accadano situazioni pericolose e rischiose come queste –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere ogni iniziativa di competenza al fine di garantire la sicurezza di un pronto intervento in caso di emergenza e scongiurare il rischio del verificarsi altri episodi come quello esposto in premessa o ancor più gravi. (5-05023)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   ai Ministri interrogati è nota la pluridecennale vicenda di Carlo Massone, autotrasportatore e titolare della ditta omonima di Castelletto d'Orbia in frazione Crebini (Alessandria), per le innumerevoli interrogazioni parlamentari che si sono succedute dal 1994 ad oggi, che lo hanno visto protagonista di una tenace lotta contro quello che egli stesso ha definito lo scandalo «collaudopoli» ossia l'esistenza di un sistema generalizzato di corruzione che coinvolge gli uffici territorialmente competenti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, della motorizzazione e di altri enti, quali l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL), abilitati al rilascio delle certificazioni attestanti i collaudi a norma di legge degli automezzi pesanti, sia usati che di nuova immatricolazione, e questo a detrimento della qualità degli automezzi venduti e della sicurezza della circolazione stradale;
   come sopradetto, la questione è approdata nella aule parlamentari in numerose occasioni, con interrogazioni presentate a partire dalla XII legislatura e fino a quella tuttora in corso, dove anche recentemente il Governo è intervenuto rispondendo, lo scorso 10 luglio 2014, all'interrogazione n. 5-02234 del deputato Emanuele Fiano, presentata il 26 febbraio 2014;
   l'ennesima non risposta del Governo e l'assenza di significative iniziative contro il sistema «collaudopoli» hanno spinto il signor Carlo Massone a presentare, presso la guardia di finanza compagnia di Nove Ligure, ben due denunce (verbale di ricezione del 21 maggio 2014 e del 23 luglio 2014) nei confronti di due dirigenti pubblici rei, a detta del signor Massone, di continuare a fornire notizie non corrispondenti al vero non consentendo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti una corretta valutazione del suo caso, nello specifico con riferimento alla perizia terza ed imparziale, disposta dall'autorità giudiziaria relativamente alla sua complessa vicenda, redatta l'11 novembre 1992 dal dottor ingegner Carlo Pollarolo nominato CTU dal tribunale di Alessandria in data 28 novembre 1991;
   nel suo esposto il denunciante, dichiara che: «In virtù delle interrogazioni parlamentari richiamate desidero portare a conoscenza di chi è preposto a fare giustizia che le commissioni parlamentari che hanno attenzionato il mio caso, hanno valutato sulla base di una perizia di parte – PLURA SpA – e non su una perizia effettuata dal CTU dottor ingegner Carlo Pollaroro nominato dal Giudice del Tribunale di Alessandria»;
   le accuse mosse da Carlo Massone contro l'attuale direttore alla motorizzazione di Alessandria, e il direttore della direzione generale territoriale Nord Ovest del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, relativamente all'istruttoria relative alla suddetta documentazione, se confermate risulterebbero indubbiamente gravi e lesive dell'immagine delle istituzioni da essi rappresentate. Preme ricordare che, in merito, è stato aperto un procedimento penale contro ignoti, iscritto al n. 2014/4159 RE. GE. della procura della Repubblica di Alessandria, conclusosi con richiesta di archiviazione a detta di Carlo Massone senza che siano state esperite indagini appropriate;
   questa pluridecennale battaglia mediatica, giudiziaria e politica condotta dal signor Carlo Massone l'ha ormai ridotto sul lastrico al punto che da tempo minaccia il suicidio in quanto impossibilitato a condurre un'esistenza dignitosa –:
   se i Ministri interrogati vogliano accertarsi di quanto in premessa chiarendo se nelle precedenti risposte, date nelle sedi parlamentari, siano stati utilizzati tutti i pareri prodotti sulla complessa vicenda del signor Carlo Massone e, in particolare, se siano stati valutati con la dovuta attenzione quelli terzi ed imparziali disposti dall'autorità giudiziaria. (4-08376)


   BERGAMINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   lo spettacolo viaggiante è uno dei pochi settori che favorisce l'aggregazione sociale anche in piccoli comuni del territorio nazionale privi di altri locali di spettacolo o attività culturali. Tale attività è regolata dalla legge n. 337 del 1968, la quale riconosce, all'articolo 1 la «funzione sociale» dello spettacolo viaggiante ed impegna lo Stato a promuovere e consolidare lo sviluppo del settore;
   dal novembre 2014 una parte del parco automezzi dello spettacolo viaggiante non può più accedere alle autostrade e strade principali a seguito di una risposta data dal Ministero per le infrastrutture e trasporti ad un quesito posto dall'AISCAT (Associazione italiana società concessionarie autostrade e trafori) sull'ammissibilità alla circolazione di mezzi in dotazione allo spettacolo viaggiante, muniti di documento sostitutivo della carta di circolazione;
   si evidenzia che tali mezzi sono stati dotati di documento sostitutivo (DGM243) dal 1986 a seguito di visita e prova, e su tale documento è espressamente prevista la circolazione sulla «intera rete nazionale». Inoltre, tale documento sostitutivo è specificatamente previsto dal Regolamento di esecuzione del nuovo Codice della strada;
   a svolgere questo tipo di attività, vi sono all'incirca 5.000 imprese, che effettuano spostamenti limitati, con percorrenza media annua di circa 1.000 chilometri l'anno. Gli spostamenti riguardano le attrazioni, i carriaggi e le abitazioni mobili, con un parco automezzi di circa 15.000 unità. Da un censimento condotto dall'ANESV per conto del Ministero dei trasporti nel 1997 risultano circa 1.100 i mezzi circolanti dotati di DGM243;
   nello specifico, il Ministero dei trasporti dopo decenni e a seguito di un quesito posto dall'AISCAT ha rilevato che l'articolo 175 del Codice della strada, al punto 7, lettera a), vieta di trainare veicoli non considerati rimorchi. In realtà, si ritiene che nel momento in cui ai veicoli, dopo visita prova e punzonatura sul telaio o sugli organi di traino, è stato rilasciato il documento sostitutivo della carta di circolazione, con il modello DGM243, tali veicoli non possono essere quelli di cui si parla all'articolo 175, comma 7, in quanto equiparati, di fatto, ai rimorchi. Non a caso tali mezzi hanno sempre circolato sulla rete stradale ed autostradale negli ultimi trent'anni ottenendo i permessi, qualora eccezionali per massa o sagoma;
   pertanto risulta palesemente evidente che i veicoli dotati di autorizzazione di cui al DGM243 non possano essere quelli previsti dal punto 7 dell'articolo citato, in quanto di fatto dotati di caratteristiche tecniche e documentazione autorizzatoria che di fatto dimostra che tali veicoli sono in effetti dei rimorchi, tant’è che come già affermato, essi circolano da decenni sul territorio nazionale;
   negare l'evidenza di quanto affermato sino ad ora vuol dire costringere tali autotreni a spostarsi da una città all'altra impegnando strade secondarie, creando non solo disagi alla circolazione, ma soprattutto un pericolo agli utenti della strada ed abitanti dei piccoli centri urbani;
   inoltre, si ritiene che la previsione fornita dal Ministero sia inammissibile in quanto un articolo del Codice della strada non può essere interpretato creando situazioni di pericolo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti;
   quali misure intenda attuare affinché sia individuata una soluzione che riprenda l'interpretazione adottata dal 1986 al 2014, la quale ha sempre consentito ai mezzi inerenti l'attività degli esercenti spettacoli viaggianti, dotati di autorizzazione, il transito in sicurezza sulle autostrade e strade principali. (4-08381)


   BERGAMINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel 1991 l'aeroporto «Giuseppe Verdi» di Parma ha avviato la propria attività affidando la gestione della struttura alla società SO GE AP SpA, appositamente costituita nel 1983, e fondata da enti pubblici del comprensorio del territorio di Parma, alcuni istituti di credito e oltre 130 imprese private;
   nel 2008, con l'autorizzazione da parte del Ministero dell'economia e delle finanze e dell'ENAC, è stato concluso un processo di privatizzazione della società di gestione che ha portato un fondo austriaco, a cui fa capo la Meinl Bank, a controllarne il 67,95 per cento del capitale;
   l'aeroporto di Parma costituisce una risorsa importante per il collegamento di un territorio che ospita una sede universitaria di prestigio, con settori di ricerca nel campo medico e fisico, nonché dotato di un'alta concentrazione di attività economiche, artigianali, industriali e del terziario. Inoltre, dal 2007 Parma è sede dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) al cui insediamento è stata subordinata la presenza in città di un aeroporto internazionale;
   lo scalo in questione possiede una superficie totale di 3.450 metri quadrati e può garantire una capacità di 700.000 passeggeri l'anno. Nel 2008 sono stati spesi circa 40 milioni di euro che hanno permesso la realizzazione di una serie di lavori: l'ampliamento del terminale, dei parcheggi degli aeromobili e delle macchine dei passeggeri, l'ammodernamento della pista e l'acquisto di nuovi mezzi di terra a servizio dei voli. Inoltre, nel 2008 l'ENAV (Ente nazionale, assistenza al volo) ha investito circa 15 milioni di euro per la costruzione di una nuova torre di controllo che ancora non è stata terminata;
   dopo questi importanti investimenti, l'aeroporto di Parma ha poi conosciuto notevoli difficoltà a svilupparsi, essenzialmente a causa delle scarse risorse finanziarie messe a disposizione dagli enti locali azionisti. Attualmente, l'aeroporto registra perdite croniche che oscillano tra i 3,5 e i 4 milioni di euro l'anno;
   la regione non ha riservato alla questione la dovuta attenzione. Essa infatti avrebbe dovuto provvedere ad un progetto coordinato, tra le aerostazioni di Parma, Forlì e Rimini, al fine di consentire uno sviluppo armonico degli aeroporti emiliano romagnoli che, invece, si sono trovati ad essere in competizione fra loro;
   per sostenere il proprio percorso la società ha avviato una procedura finalizzata all'individuazione di un partner privato disponibile ad investire in un progetto di sviluppo dell'infrastruttura aeroportuale. Nello specifico, la società cinese Izp Technologies aveva manifestato la volontà di rilevare le quote di maggioranza dello scalo aeroportuale e investire 250 milioni di euro per la realizzazione di un maxi polo logistico;
   il 4 febbraio 2015 c’è stato un incontro, in municipio, tra la città di Parma e la società cinese intenzionata ad acquisire l'aeroporto Giuseppe Verdi. Le basi per l'operazione erano state poste in ottobre a Roma, in sede governativa, con la firma di un accordo di massima, che avrebbe dovuto concretizzarsi entro il mese di novembre;
   con l'occasione i rappresentanti della società cinese hanno illustrato per sommi capi la volontà di costruire a Parma un centro espositivo commerciale, che potrebbe fare da punto di riferimento per il mercato europeo e nordafricano, attirando nella città sia turisti sia operatori commerciali. Da parte dei rappresentanti di Parma sono arrivate sollecitazioni in ordine a precise e documentate richieste, ad impegni con tempi e risorse certi, a garanzie per l'acquisto e il rilancio della struttura aeroportuale;
   dall'incontro tra la società Izp ed i rappresentanti del comune di Parma non si è avuta più alcuna notizia in merito all'investimento. Un articolo de Il Sole 24 Ore dello scorso 17 febbraio rende noto che la possibilità di una trattativa con la cordata cinese sembra essere stata accantonata;
   il 10 marzo 2015 l'assemblea dei soci di SO GE AP spa ha deliberato un aumento di capitale di 2,5 milioni di euro da sottoscrivere entro fine maggio. Si tratta della cifra che serve per mantenere operativo lo scalo per un altro anno e che sarà sottoscritta in parte dal socio di maggioranza austriaco, la Meinl Bank, e dagli altri soci. Le industrie di Parma hanno dato disponibilità a partecipare alla sottoscrizione condizionandola, però, ad un intervento delle istituzioni;
   la prospettata ipotesi di una chiusura dello scalo a causa di disimpegno degli investitori, appare assolutamente dannosa sia per il territorio che per gli scali aeroportuali vicini a quello di Parma al quale, molto spesso, richiedono supporto logistico in situazioni di maltempo. Nello specifico, riferendoci al 2015, la chiusura dell'aeroporto comporterebbe notevoli disagi anche per la buona riuscita di Expo, proprio perché si tratta di un'infrastruttura strategica per tutto il territorio nazionale –:
   se e con quali iniziative il Governo intenda intervenire al fine di evitare la chiusura dell'aeroporto «Giuseppe Verdi» di Parma. (4-08382)


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   un'associazione di pendolari abruzzesi che usufruisce della tratta ferroviaria Avezzano – Roccasecca fatto un rilevamento dell'andamento della circolazione ferroviaria nel periodo compreso tra il 19 gennaio e il 9 febbraio 2015;
   i treni sono arrivati in orario o in anticipo (di 1 minuto) 73 volte, su un totale di oltre 300 corse. Per il resto vi sono stati ben 227 ritardi, anche di un'ora;
   inoltre, nell'ultimo mese la linea è stata interrotta in più di una occasione per caduta di alberi, con ripercussioni sulla circolazione;
   questi ritardi potrebbero essere risolti con un minimo di buon senso e con un modesto investimento organizzativo e logistico;
   i pendolari, in una nota chiedono il ripristino dei punti di incrocio soppressi, eccezion fatta per Balsorano, i cui lavori di ripristino del binario di raddoppio volgono al termine, una completa revisione del materiale rotabile utilizzato, una rimodulazione degli orari per tenere nel giusto conto le reali esigenze degli utenti –:
   se non ritenga doveroso, per quanto di competenza, convocare un tavolo congiunto, con le due regioni interessate dalla tratta, Abruzzo e Lazio e con Trenitalia, per studiare soluzioni tecniche che possano superare in breve tempo il grave e costante disagio ai pendolari della linea.
(4-08390)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   FURNARI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da diversi giorni, sia i media che la stampa locale, riportano la notizia che il Ministero dell'interno starebbe valutando la possibilità di realizzare, nel porto di Taranto, un hub di identificazione di immigrati. Sembrerebbe dunque che sia stata avanzata una richiesta di individuare un'area che possa ospitare i profughi il cui arrivo è previsto dalla Libia nei prossimi mesi a causa delle note vicende di crimini e terrore legate all'Isis. Tale struttura d'accoglienza dovrà servire ad ospitare i profughi che da Lampedusa saranno trasferiti a Taranto dove resteranno il tempo necessario per essere «identificati» e successivamente saranno valutate le richieste di asilo politico e, di conseguenza, la destinazione finale;
   le stesse fonti giornalistiche riportano che, venerdì scorso, l'Autorità portuale e la capitaneria di porto di Taranto avrebbero svolto una prima riunione tecnica per individuare alcune possibili alternative all'interno dello scalo ionico come richiesto dal Viminale. La certezza, almeno per il momento, è che bisognerà allestire un'area capace di accogliere almeno 500 persone per un periodo di tempo che varia tra le 48 e 72 ore;
   già nel recente passato era palesata l'ipotesi di prevedere un simile centro a Taranto che, per la posizione geografica, rappresenta uno scalo privilegiato per l'accoglienza degli immigrati prima di individuare soluzioni definitive;
   se dal punto di vista geografico la soluzione sarebbe positiva, dal punto di vista pratico l'area del porto è completamente carente di strutture che consentano un'assistenza adeguata sia dal punto di vista logistico che da quello igienico-sanitario necessarie per assicurare il rispetto delle condizioni di dignità umana –:
   quali siano le informazioni e gli orientamenti del Ministro circa quanto riferito in premessa e, in particolare, rispetto all'intenzione di rendere il porto di Taranto un hub di accoglienza e, in caso affermativo, come ritenga di riorganizzare l'intero sistema di gestione dell'accoglienza sul territorio per renderlo adeguato all'emergenza in corso. (4-08378)


   NUTI e D'UVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC) è stata creata nel 2010 tramite il decreto legge 4 febbraio 2010, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2010, n. 50, ed è stata posta sotto la vigilanza del Ministero dell'interno;
   tra le funzioni attribuite all'ANBSC, in particolare al comma 2 lettere d) ed e) dell'articolo 110 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, vi è l'amministrazione e la destinazione dei beni confiscati;
   ad oggi un numero ancora troppo elevato di beni risulta non essere ancora destinato; oltre a ciò, persistono non trascurabili problematiche in relazione ai beni che, invece, dopo un lungo iter, vengono assegnati: in particolare, molti immobili mantenuti al patrimonio dello Stato, bisognosi di ristrutturazioni per poter essere agibili, necessitano di investimenti che troppo spesso non possono essere effettuati a causa di una cronica carenza di fondi;
   il risultato è l'abbandono di questi immobili, anche di grande valore, che lasciati all'incuria, vedono peggiorare la degradante situazione in cui versano, mentre, in altri casi, vengono occupati abusivamente;
   è opinione degli interroganti, che eventuali investimenti per ristrutturare questi immobili e renderli agibili, potrebbero portare molti benefici, anche economici, nel lungo periodo, in quanto un maggior numero di immobili gratuiti a disposizione potrebbe garantire minori fitti passivi alla pubblica amministrazione e maggiore efficienza organizzativa;
   inoltre, dimostrando che lo Stato è capace di portare a termine il percorso di sequestro, confisca e assegnazione degli immobili, rendendoli infine realmente fruibili e non lasciandoli all'incuria, si otterrebbe un non trascurabile risultato simbolico nella lotta alla criminalità organizzata;
   i commi 5 e 6 dell'articolo 48 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, dispongono che, nei casi in cui non sia possibile effettuare la destinazione o il trasferimento dei beni per le finalità di pubblico interesse, è ammessa la vendita, con diritto di opzione prioritaria da parte del personale delle Forze armate e il personale delle Forze di polizia costituite in cooperative edilizie;
   secondo quanto previsto dalla normativa sopra richiamata, se i beni assegnati agli enti territoriali entro un anno non vengono assegnati, devono tornare nelle disponibilità dell'ANBSC, la quale può procedere ai sensi dei richiamati commi 5 e 6; tuttavia, ad opinione degli interroganti, questa funzione non viene regolarmente espletata e beni destinati agli enti territoriali rimangono inutilizzati nelle loro disponibilità;
   agli interroganti risulta che ad oggi, non siano ancora stati venduti immobili confiscati alla criminalità organizzata a cooperative edilizie formate dal personale delle forze armate e di polizia, nonostante, a quanto risulti agli interroganti, siano state inviate numerose richieste e solleciti da parte di queste ultime all'ABNSC: in particolare, risulta che la cooperativa edilizia COPS s.r.l. con sede a Palermo, sin dal 2012, anno della sua costituzione, abbia avuto a tal fine rapporti con l'Agenzia, senza risultato alcuno;
   tra le altre funzioni in capo all'ANBSC, elencate al comma 2, lettera a), dell'articolo 110 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, vi sono anche l'acquisizione dei dati relativi ai beni sequestrati e confiscati, lo stato dei procedimenti di sequestro e confisca, la verifica dello stato dei beni nei medesimi procedimenti, l'accertamento della consistenza, della destinazione e dell'utilizzo di tali beni, la programmazione dell'assegnazione e della destinazione dei beni confiscati, l'analisi dei dati acquisiti, nonché delle criticità relative alla fase di assegnazione e destinazione;
   ad opinione degli interroganti, è irragionevole e controproducente che migliaia di beni nelle disponibilità dell'ANBSC non vengano destinati, così come è altrettanto irragionevole e controproducente che beni mantenuti al patrimonio dello Stato non vengano impiegati e giacciano abbandonati –:
   quali siano i dati e le statistiche relativi agli immobili mantenuti al patrimonio dello Stato ai sensi della lettera a), del comma 3, dell'articolo 48 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, ma inutilizzati a causa dell'inagibilità degli stessi, e gli investimenti che sarebbero necessari per ristrutturare tali immobili e renderli agibili e fruibili;
   quali siano i dati e le statistiche relativi agli immobili destinati al patrimonio degli enti territoriali che tuttavia risultano essere senza assegnazione o comunque non utilizzati;
   se non intenda adottare tutte le iniziative, anche normative, eventualmente di concerto con altri Ministri, al fine di garantire le necessarie risorse per rendere realmente fruibili gli immobili, confiscati alla mafia, in particolar modo quelli mantenuti al patrimonio dello Stato ai sensi della lettera a) del comma 3, dell'articolo 48, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159;
   per quali ragioni non siano ancora state avviate le procedure di vendita di immobili a cooperative edilizie Costituite da membri delle forze armate e di polizia ai sensi dei commi 5 e 6, dell'articolo 48 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e nello specifico, per quali ragioni non è sono ancora state avviate la procedura di vendita in favore della cooperativa edilizia COPS. (4-08383)


   ROSTELLATO, ARTINI, BARBANTI, BALDASSARRE, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI, TURCO e PISICCHIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   per il grave rischio sanitario e ambientale con cui i cittadini dei comuni di Pernumia, Battaglia Terme e Due Carare sono costretti a convivere dal 2005 costituito dalla ex C&C, altrimenti nota come «la fabbrica dei veleni»;
   tale struttura è un fatiscente edificio al centro di una nota e abnorme vicenda di traffico di rifiuti tossici, avvenuta ai piedi del Parco dei Colli Euganei, vicino alle rinomate stazioni termali di Battaglia Terme, Montegrotto Terme e Abano Terme. La storia è risaputa, e ha lasciato in eredità al territorio 52.000 tonnellate di rifiuti speciali pericolosi all'interno di capannoni fatiscenti, nelle immediate vicinanze di centri abitati, campagne produttive e di un corso d'acqua che porta le sue acque a ridosso della Laguna di Venezia;
   in seguito ad un processo per traffico di rifiuti tossici la struttura è stata prima sottoposta a sequestro e in seguito, dopo la revoca del sequestro, abbandonata a se stessa con il suo pericoloso contenuto;
   la struttura, nel 2009, è stata inserita dalla regione Veneto nell'elenco dei siti inquinati e da bonificare, ma solo nel 2011 la regione Veneto ha stanziato 500.000 euro per la messa in sicurezza e per attività di caratterizzazione, fondi spesi nel corso del 2013-2014 per rinforzare alcune strutture e tappare le numerose falle sul tetto e alle pareti. Ma, al primo evento meteorologico importante, la struttura ha evidenziato la sua estrema fragilità e i gravi rischi cui è esposta;
   l'evento atmosferico del 13 ottobre 2014 che si è abbattuto nella bassa padovana, ha colpito la struttura provocando falle sulle parti dell'edificio, smontando il portone e sollevando parzialmente il tetto;
   la violenza del vento incuneata nell'edificio, ha fatto disperdere le sue polveri in un raggio di incalcolabile ampiezza;
   la struttura è sottoposta anche ad altri rischi, dall'incendio (già verificatosi) al terremoto, all'alluvione, rischi che non sono affatto teorici e che più volte hanno fatto temere il verificarsi di una tragedia di immani proporzioni; l'andamento ciclico di eventi meteorologici eccezionali dimostra che i rischi, che da tempo i comitati e le associazioni denunciano, sono sempre più probabili e le conseguenze per la popolazione e l'ambiente sono imprevedibili e potenzialmente disastrose. Tutto questo non fa che aumentare l'allarme della popolazione che si sente sempre più minacciata –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interpellati rispetto ai fatti esposti in premessa e se non intendano accertare, anche per il tramite del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente la situazione della struttura;
   come intendano agire al fine di impedire rischi per l'incolumità pubblica dovuti alla mancata messa in sicurezza della struttura. (4-08403)


   CHAOUKI, LUCIANO AGOSTINI, AMENDOLA, ALBANELLA, BENI, BLAZINA, BORGHI, BRAGA, CARRA, CAPONE, CIMBRO, COCCIA, D'INCECCO, FABBRI, FEDI, FONTANELLI, GIAMPAOLO GALLI, CARLO GALLI, GIACOBBE, LAVAGNO, LACQUANITI, LOCATELLI, MARCHI, MAESTRI, MARAZZITI, MOGNATO, MORETTO, PATRIARCA, PIAZZONI, PINNA, RAMPI, REALACCI, RIGONI, ROMANINI, PORTA, ROSSOMANDO, SBROLLINI, SCHIRÒ, SGAMBATO, VERINI e ZAMPA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si apprende che nel corso della puntata del programma televisivo Piazza Pulita, condotto da Corrado Formigli, andata in onda lunedì 2 marzo 2015 su La7 che l'europarlamentare Gianluca Buonanno, ospite della trasmissione, avrebbe detto, più di una volta, a proposito della comunità Rom le seguenti testuali parole: «sono la feccia della società»;
   sempre nella medesima trasmissione, in diretta televisiva, il rappresentante della Lega Nord, in un confronto diretto con Djana Pavlovic, Presidente della Federazione rom e sinti, avrebbe continuato a rivolgersi alla comunità rom appellandoli «ladri» e «farabutti», e aggiungendo «il 90 per cento della vostra gente è così» e «abbiamo un sacco di rom e di zingari che sono dei ladri e dei farabutti»;
   l'intervento dell'onorevole Gianluca Buonanno sembrerebbe aggiungere una violazione della legge Mancino del 25 giugno 1993 n. 205, che sanziona e condanna gesti, azioni e slogan aventi per scopo l'incitazione e l'istigazione all'odio, alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali –:
   ferme restando le garanzie connesse con la relativa funzione, se non intenda assumere iniziative normative volte a implementare le sanzioni per esternazioni apertamente xenofobe, razziste e istigatrici alla violenza, qualora provengano da persone che esercitano una funzione pubblica o ricoprono incarichi istituzionali.
(4-08406)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   PAGANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dalla stampa si apprende che è approdato negli asili di Trieste con un finanziamento della regione e la benedizione del comune, il gioco del gender, con il nome fuorviante di «gioco del rispetto»;
   il gioco del rispetto viene presentato con finta trasparenza ai genitori, mediante generici avvisi affissi nelle bacheche, che introducono il tutto parlando di «sensibilizzazione contro la violenza sulle donne», come se un bambino di 4 o 5 anni potesse essere un mostro, picchiatore o stupratore;
   nell'opuscolo informativo si legge che il «gioco» serve «a verificare le conoscenze e le credenze di bambini e bambine su cosa significa essere maschi o femmine, a rilevare la presenza di stereotipi di genere e ad attuare un primo intervento che permetta loro di esplicitare e riorganizzare i loro pensieri, offrendo ai bambini anche un punto di vista alternativo rispetto a quello tradizionale»;
   sul sito che presenta il «gioco» adottato dal 2013 in 4 asili del Friuli-Venezia Giulia in maniera sperimentale si legge che «il rispetto di genere ha senso insegnarlo già ai bambini di 3 anni e che gli stereotipi si possono combattere, anzi, si devono combattere proprio a quell'età»;
   alle proteste dei genitori, Fabiana Martini, che si firma come vicesindaca di Trieste, risponde difendendo a spada tratta «il gioco del rispetto», che è stato pure presentato al Ministro dell'istruzione Stefania Giannini, senza che però sia mai entrato a far parte del Piano formativo ufficiale;
   la vicesindaca ha ribattuto alle critiche con un comunicato stampa sostenendo, che «il Gioco del rispetto è un progetto completamente estraneo al recente e controverso dibattito sul gender». Settanta maestre hanno adottato la contestata iniziativa ludico-didattica ed i genitori dovranno autorizzare i propri figli per iscritto;
   tuttavia appare evidente che questa attività è stata posta in essere prima di prevedere una espressa autorizzazione dei genitori (in occasione della trasmissione dei mondiali di calcio 2014, taluni bambini che partecipavano al gioco domandavano ai genitori per quale ragione non stesse giocando nessuna femmina) e traendo in errore genitori con la genericità degli avvisi;
   senza considerare le violazioni dei trattati internazionali che prevedono il rispetto del diritto dei genitori ad impartire ai figli l'educazione che ritengano più opportuna e i risvolti penali derivanti dalle modalità applicative, va sottolineato il comportamento inaccettabile e ad avviso dell'interrogante discriminatorio degli amministratori e dei docenti che, a quanto consta all'interrogante, non avrebbero imposto il gioco a bambini di famiglie musulmane o indù riservandolo solo a bambini di famiglie cristiane –:
   quali provvedimenti intendano adottare i Ministri interrogati nei confronti degli amministratori e dei docenti, in relazione alle modalità applicative, non rese adeguatamente note ai genitori, del programma educativo semiclandestino, denominato: «gioco del rispetto». (3-01359)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GADDA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, disciplina il riconoscimento dei titoli di studio e di abilitazione alle professioni in Italia, per lo straniero, prevedendo che egli, per le attività per le quali è richiesto il possesso di una autorizzazione o licenza o l'iscrizione in apposito registro o albo, debba richiedere alle competenti autorità amministrative, una dichiarazione attestante la non sussistenza di motivi ostativi al rilascio del titolo autorizzatorio;
   tale dichiarazione è rilasciata quando sono soddisfatte tutte le condizioni e i presupposti previsti dalla legge per il rilascio del titolo abilitativo e quando sono rispettati i parametri di riferimento riguardanti le disponibilità finanziarie occorrenti per l'esercizio delle attività;
   in merito al primo punto, lo stesso decreto del Presidente della Repubblica prevede che i cittadini stranieri, se in possesso di un titolo abilitate all'esercizio di una professione conseguito in un Paese non appartenente all'Unione europea, possono richiederne il riconoscimento; avviene, così, che l'ufficio competente di volta in volta nei singoli casi, verifichi la corrispondenza tra il percorso di studio e abilitativo seguito nel Paese d'origine con quelli previsti dal nostro ordinamento, al fine di convalidarne o meno l'equipollenza;
   in caso l'ufficio competente riscontri una sostanziale differenza tra il piano di studio italiano e quello svolto dallo straniero, lo stesso provvede ad istituire una commissione d'esame che accerti, attraverso il superamento di una prova attitudinale, le nozioni teoriche e pratiche nelle materie nelle quali è stata individuata la non esaustiva conoscenza;
   in assenza di accordi bilaterali di reciproco riconoscimento dei titoli di studio ed abilitativi, questa prassi viene seguita anche con stranieri la cui comprovata conoscenza della materia non è avvalorata dai titoli necessari: risulta all'interrogante che, anche a professionisti e docenti universitari in altri Paesi ai quali non siano state riscontrate le corrispondenze del caso, l'ufficio competente abbia provveduto a chiedere il superamento di un esame ulteriore. Una prassi che, a parere dell'interrogante, sottopone il professionista ad una fase di incertezza e angoscia;
   risulta all'interrogante che l'istituzione di dette commissioni esaminatrici avviene a cadenza irregolare, che non rende agevole il riconoscimento dei titoli abilitativi per lo straniero, con ulteriore allungamento dei tempi della procedura; all'interrogante risultano casi di stranieri che attendono, da quasi quattro anni, di potersi candidare in dette prove –:
   se il Ministro sia a conoscenza, allo stato attuale, di quante sono le richieste d'esame per l'abilitazione alle professioni in Italia, da parte di stranieri in possesso di titoli da integrare ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica citato in premessa;
   quale tempistica il Ministro preveda per l'evasione di tutte le richieste che sono state presentate e quale sia la tempistica standard del Ministero per lo svolgimento della prova attitudinale per gli stranieri che intendono essere abilitati alle professioni in Italia;
   per quali ragioni si stiano riscontrando ritardi o attese, anche cospicue, nell'istituzione delle commissioni esaminatrici per l'abilitazione alle professioni in Italia;
   se il Ministro intenda per assumere iniziative incrementare il numero dei Paesi con i quali sussistono intese bilaterali al fine di riconoscere automaticamente e reciprocamente i titoli di studio e le abilitazioni alle professioni. (5-05016)


   GRILLO e D'UVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel periodo tra giugno-luglio-agosto, 2014 all'università degli studi di Catania sono stati effettuati acquisti per arredamento e lavori con la procedura dell'affidamento diretto, in particolare si tratta:
    «Acquisti arredi per gli uffici della Direzione generale sita al piano secondo di Palazzo Centrale» per un costo totale di euro 12.584,30, come da prot. N. 73109 del 19 giugno 2014 della Nota Istruttoria firmata dal vicario del dirigente Ing. A. Pappalardo;
    «Lavori di rifunzionalizzazione della Direzione generale – piano secondo di Palazzo Centrale», come da Nota Istruttoria n. 67549 del 6 giugno 2014, con firma illeggibile, dal costo euro 21.960,00 per diversi piccoli lavori tra cui la creazione di una nuova porta in una parete;
    «Lavori di tinteggiatura corridoio della direzione generale – piano secondo di Palazzo Centrale», come da Nota istruttoria – Lavori urgenti protocollo n. 96690 del 6 agosto 2014, firmata dal vicario dirigente Agatino Pappalardo con un costo di euro 30.000,00;
    «Lavori impiantistici nel vano sud-est a piano terra di Palazzo Centrale» come da Nota istruttoria – Lavori urgenti per euro 26.000,00, come da protocollo n. 96714 del 6 agosto 2014 nota firmata dal vicario dirigente Agatino Pappalardo;
    «Lavori di smontaggio, modifica e successivo montaggio di parete prefabbricata nel vano a sud-est piano terra Palazzo Centrale», come da nota istruttoria – lavori urgenti per un costo di euro 3.172,00 come da protocollo n. 99766 del 25 agosto 2014 nota firmata dal vicario dirigente Agatino Pappalardo;
    «Lavori di tinteggiatura straordinaria del corridoio lato sud-ovest al secondo piano di palazzo Centrale». Nota istruttoria – Lavori urgenti per un costo di euro 6200,00, protocollo 96985 6 agosto 2014 nota firmata dal vicario dirigente Agatino Pappalardo;
    «Lavori di completamento della tinteggiatura corridoi lato sud-ovest al secondo piano di Palazzo Centrale» da costo di euro 6200,00, protocollo 100154 del 26 agosto 2014 come da Nota istruttoria Lavori Urgenti firmata dal vicario dirigente Agatino Pappalardo;
    «Lavori di verniciatura degli infissi interni della Direzione Generale sita al piano secondo di Palazzo Centrale» costo euro 3900,17 come da nota istruttoria – lavori urgenti protocollo 100554 del 27 agosto 2014 firmata dal vicario dirigente Agatino Pappalardo;
    «Acquisto poltrone per tavolo riunione per uffici della Direzione generale sita al piano secondo di Palazzo Centrale» trattasi di 14 poltrone come da Nota istruttoria protocollo 10.248,00 del 27 agosto 2014 da costo di euro 10248,00 firmata dal vicario dirigente Agatino Pappalardo;
    «Acquisto arredi postazioni di lavoro segreteria della Direzione Generale sito al piano secondo di Palazzo Centrale», costo euro 15.616.000 come da nota istruttoria n. 105733 del 10 settembre 2014 firmata dal vicario dirigente Agatino Pappalardo;
    «Intervento di raffinatura e lucidatura pavimentazione c/o Salone Palazzo Centrale», piano secondo dal costo di euro 3.633,00 come da nota istruttoria protocollo n. 111121 del 19 settembre 2014 firmata dal vicario dirigente Agatino Pappalardo;
    «Acquisto apparecchi illuminanti per la Sala Rappresentazione della Direzione Generale e per i corridoi e gli spazi comuni di tutto il secondo piano di Palazzo Centrale»; dal costo di euro 11.224,00, come da protocollo n. 100978 del 28 agosto 2014 firmata dal vicario dirigente Agatino Pappalardo;
   in data 6 marzo 2015 viene resa pubblica una nota firmata dal rettore pro tempore dell'Università degli, Studi di Catania, Giacomo Pignataro, indirizzata al direttore generale, ai dirigenti e per conoscenza al personale tecnico-amministrativo dell'ateneo etneo che ha come oggetto il segreto di ufficio e di riservatezza sui documenti amministrativi, in particolare si riferisce agli atti, molti dei quali con procedura dell'affidamento diretto, che hanno deciso l'acquisto di arredi o l'inizio di lavori nell'ateneo catanese nel periodo di giugno-luglio-agosto, 2014;
   a detta degli interroganti si ritiene che i procedimenti degli acquisti e dei lavori, vista l'assenza di uno statuto d'ateneo e per l'evidente divario tra costi sostenuti per i dettagli di spesa sopra segnalati in rapporto al reale valore di mercato di tali interventi, facciano sorgere dubbi sulla correttezza degli importi stanziati, anche alla luce della nota sulla riservatezza sui documenti amministrativi del Rettore pro tempore e in considerazione del basilare principio di economicità e buon andamento della pubblica amministrazione;
   l'articolo 9 dello statuto in vigore prevede che nel collegio dei revisori dei conti dell'università di Catania siedano un componente scelto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e un componente del Ministero dell'economia e delle finanze –:
   se i membri del collegio dei revisori dei conti nominati dai Governo abbiano avuto conoscenza e abbiano mosso rilievi in merito alla congruità e alla legittimità degli acquisti e dei lavori effettuati all'università degli studi di Catania nel periodo tra giugno ed agosto 2014 descritti in premessa posto che gli interroganti esprimono perplessità in merito al rispetto del principio di economicità cui dovrebbero attenersi tutte le pubbliche amministrazioni. (5-05025)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCHIRÒ. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'applicazione dell'articolo 64 del decreto-legge, convertito – con modificazioni – dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e nello specifico la disposizione di cui alla lettera b) che ha disposto la ridefinizione dei curricoli attraverso la razionalizzazione dei piani di studio e dei relativi quadri orari – con particolare riferimento agli istituti tecnici e professionali – ha determinato, negli ultimi anni, un drastico taglio delle ore di laboratorio e la conseguente riduzione di circa 20 mila insegnanti tecnico-pratici, destinati per qualifica e classe di concorso all'attività laboratoriale;
   con sentenza n. 3527, 8 aprile 2013, il Tar del Lazio ha giudicato illegittimi tali interventi che hanno negli ultimi anni determinato un impoverimento generale della formazione tecnico-pratica utile per la formazione di quelle figure intermedie, oggi richieste dal mercato del lavoro;
   le linee guida sulla «Buona Scuola» riportano nuovamente la didattica al concetto di «(...) affiancare al sapere il sapere fare, partendo dai laboratori, perché permettere ai ragazzi di sperimentare e progettare con le proprie mani è il modo migliore per dimostrare che crediamo nelle loro capacità (...)»;
   nell'ambito delle consultazioni, sulle suddette linee guida – concluse nei giorni scorsi – dal settore è emersa l'esigenza di ridare maggiore specificità e qualificazione ai percorsi del settore economico, quali gli indirizzi amministrazione finanza e marketing (AFM), relazioni internazionali per il marketing (RIM) e sistemi informativi aziendali (SIA);
   tale esigenza risponde ad una legittima aspettativa del personale docente di poter continuare a svolgere con impegno e competenza il proprio lavoro, ma corrisponde anche all'impegno di riconoscere gli interessi e i bisogni attuali degli studenti –:
   come il Ministro interrogato intenda intervenire al fine di ripotenziare le ore di laboratorio e ridare maggiore specificità e qualificazione ai percorsi del settore economico, quali gli indirizzi amministrazione finanza e marketing (AFM), relazioni internazionali per il marketing (RIM) e sistemi informativi aziendali (SIA).
(4-08380)


   MERLO e BORGHESE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i docenti iscritti nelle Gae e (graduatorie ad esaurimento) all'indomani della decisione del Governo di presentare al Parlamento un disegno di legge sulla «riforma della scuola» rischiano oltre alla ipotizzata assunzione dei precari, la soppressione delle graduatorie ad esaurimento a decorrere dal settembre del 2015 (articolo 12, comma 10);
   un numero enorme di docenti abilitati (con valore concorsuale) non riuscendo ad essere inclusi nell'immediato piano di assunzioni (per carenza di posti vacanti, o per lunghezza dello scorrimento della classe di concorso di riferimento), vedrebbe, di punto in bianco leso il diritto al ruolo;
   i docenti che negli ultimi anni hanno lavorato a vario titolo come supplenti e che hanno cumulato punteggio, garantendo il corretto funzionamento della scuola vedono vanificati i loro sforzi lavorativi;
   l'eventuale riserva nel prossimo concorso di una, quota di posti per gli ex docenti iscritti in graduatoria ad esaurimento (articolo 13 comma 4, lettera a)) è chiaramente poco utile, dal momento che non vi sono posti disponibili nel 2015;
   non si capisce, inoltre, perché una quota di tali posti dovrebbe esserci l'anno successivo –:
   se il Ministro interrogato intenda, per quanto di competenza e in accordo con le organizzazioni sindacali della scuola rivalutare le situazioni sopraelencate per non ledere palesemente i docenti, iscritti nelle graduatorie ad esaurimento in attesa di stabilizzazione da diversi anni, con particolare riferimento a coloro che si ritrovano in quelle classi di concorso nelle quali gli esuberi sono molto corposi e che sono già stati danneggiati dalla precedente riforma. (4-08399)


   PAGANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 7 febbraio 2015 a Lecce nella parrocchia di S. Giovanni Battista si è tenuta una conferenza sulla famiglia, organizzata dalla stessa parrocchia insieme con l'associazione Alleanza Cattolica. L'incontro si è svolto con un centinaio di persone presenti e ha trattato delle misure necessarie per affrontare le concrete e quotidiane difficoltà delle famiglie italiane e delle leggi, approvate o in via di approvazione, che appaiono ostili all'istituto familiare. Esso si è potuto tenere in modo tranquillo perché al di fuori del salone parrocchiale un notevole numero di poliziotti si è frapposto rispetto ad appartenenti ad associazioni e movimenti lgbt che, come è accaduto in altre circostanze, avevano preannunciato iniziative di protesta e di disturbo. Sui media del territorio l'associazione LeA-Liberamente e Apertamente aveva scritto in una nota nei giorni precedenti che «questo tipo di iniziative in una società democratica, laica e progredita siano lesive della dignità di tutte le persone, non solo omosessuali, in quanto sono occasione di incitamento all'odio, scorretta informazione e diffusione di un clima di terrore psicologico legato alle tematiche che riguardano le persone lgbt (lesbiche, gay, bisex, transgender)». La stessa LeA ha organizzato un «presidio», contestualmente alla conferenza, cui hanno aderito Agedo Lecce, Ergot Officine, Casa delle Donne, Rete Antirazzista, SEYF, DNAdonna, Arci Lecce, Circolo Arci Zei, Fermenti Lattici, DifferenteMente, Democrazia Atea, Alternativa Comunista. Verso la fine della conferenza, i rappresentanti di queste associazioni sono stati raggiunti da esponenti di area antagonista e di centri sociali: la presenza in forze della Polizia di Stato ha permesso di tenere a distanza i contestatori;
   il 16 febbraio sui muri della chiesa anzidetta sono comparse scritte offensive verso la religione cattolica e una statua della Madonna, nelle vicinanze dell'ingresso, è stata sporcata con vernice rossa: il fatto ha avuto rilievo anche sulle testate giornalistiche nazionali. Pur non potendosi attribuire in via diretta ai contestatori della sera del 7 la responsabilità delle scritte e dell'oltraggio del 16 febbraio, è certo che gli attacchi rivolti e le parole adoperate hanno creato le premesse per quanto è accaduto in un secondo momento. Alcune delle associazioni prima menzionate, che hanno reso quelle che l'interrogante giudica inaccettabili dichiarazioni verbali, sono le stesse i cui esponenti sono spesso invitati a tenere corsi di «educazione al genere» all'interno delle scuole, spesso utilizzando i libretti diffusi dall'Unar –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere per evitare che associazioni che mostrano tanta intolleranza e che ad avviso dell'interrogante creano un clima favorevole a gesti come quelli descritti continuino ad accedere all'interno degli istituti scolastici italiani per svolgere corsi di formazione. (4-08400)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DI SALVO, FREGOLENT, BOCCUZZI, D'OTTAVIO, LAVAGNO e PICCOLI NARDELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   al Teatro Regio di Torino, negli ultimi anni, si è cercato di attuare un processo di stabilizzazione per il personale precario da anni, mettendo come priorità l'anzianità di servizio;
   l'articolo 11, comma 19, del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, dispone che: «Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato presso le fondazioni lirico-sinfoniche è instaurato esclusivamente a mezzo di apposite procedure selettive pubbliche»;
   tale norma ha esteso anche al personale tecnico-amministrativo la procedura di assunzione esclusivamente tramite concorso pubblico (prima prevista solo per il personale artistico);
   nel caso del Teatro Regio di Torino, questo ha impedito l'assunzione a tempo indeterminato di 14 persone (diverse delle quali selezionate, in passato, con prove pubbliche) che lavorano da anni nel teatro, in alcuni casi in strutture delicate come i servizi informatici –:
   se sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di tutelare il personale in questione, che da anni lavoro presso il Teatro. (5-05017)


   LOREFICE, COMINARDI, SILVIA GIORDANO, CANCELLERI, DI VITA, MANTERO, GRILLO e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)» pubblicata in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 300 del 29 dicembre 2014 – Supplemento Ordinario n. 99, ha provveduto ad adeguare le pensioni al costo della vita per appena lo 0,30 per cento;
   sono state rivalutate anche le prestazioni a favore degli invalidi civili, ciechi e sordomuti. Inoltre le prestazioni corrisposte agli invalidi civili che compiono l'età prevista per l'assegno sociale (65 anni 3 mesi considerato che a tale requisito si applica la speranza di vita previsto dal decreto-legge n. 78 del 2010) saranno «trasformate» d'ufficio in assegno sociale;
   la pensione per ciechi civili assoluti (se ricoverati) e ciechi parziali è passata da euro 278,91 per il 2014 a euro 279,75 per il 2015;
   numerose associazioni di non vedenti hanno lamentato l'eccessiva esiguità degli importi suddetti, del tutto inidonei a soddisfare anche le più essenziali necessità;
   il blocco delle pensioni e la riduzione all'adeguamento del costo della vita restano la parte più grave, iniqua e dolorosa introdotta dal legislatore;
   tale sistema di adeguamento delle pensioni non ha mai tutelato concretamente il reale potere di acquisto dei pensionati, che, negli ultimi 15 anni ha subìto oltre il 30 per cento di perdita;
   questi provvedimenti stanno comportando un duro sacrificio per i pensionati;
   sono in molti a pensare che le esigenze di contenimento della spesa pubblica, della salvaguardia del bilancio dello Stato, di tenuta finanziaria del sistema previdenziale, possono essere salvaguardati con una seria lotta all'evasione, agli sprechi di spesa, alla corruzione e ai tanti comportamenti illeciti. Il blocco e/o la riduzione del costo della vita sulle pensioni sono soluzioni (7 volte in 15 anni) non assolutamente ispirate a criteri di ragionevolezza;
   è evidente che a tali inique misure, di dubbia legittimità costituzionale, nei confronti dei pensionati, si debba dare una risposta –:
   se non sia il caso di accogliere le istanze delle associazioni di non vedenti e di assumere iniziative per adeguare l'importo della pensione per ciechi civili assoluti (se ricoverati) e ciechi parziali a quello previsto per l'assegno sociale, pari ad euro 448,51. (5-05018)


   FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'ENPAF, Ente nazionale di previdenza e di assistenza farmacisti, è un ente gestore di forme di previdenza di primo pilastro, avente lo scopo di provvedere al trattamento pensionistico dei farmacisti ad esso iscritti ed al trattamento pensionistico integrativo per i farmacisti dipendenti che già per legge pagano i contributi all'INPS;
   i contributi obbligatori debbono essere corrisposti per tutta la durata dell'iscrizione a norma dell'articolo 3 dello statuto dell'Ente; è fatta temporanea eccezione per l'iscritto colpito da infortunio o da malattia con conseguente inabilità assoluta all'esercizio professionale per la durata superiore a sei mesi e per l'iscritto disoccupato involontariamente; in tali casi, l'iscritto può richiedere che il contributo da lui corrisposto per la sezione previdenza sia rimborsato dalla sezione assistenza per il periodo della malattia o della disoccupazione in relazione alle possibilità della relativa gestione, sempre che sussistano le condizioni previste dal successivo articolo 37;
   tutti i farmacisti obbligatoriamente iscritti all'Ordine, siano essi occupati, inoccupati o disoccupati, devono quindi pagare la tassa annuale di iscrizione all'Ordine medesimo (pari a 125 euro) ed i contributi Enpaf;
   sono previste, su domanda, riduzioni percentuali del contributo obbligatorio Enpaf in favore dell'iscritto che, in relazione all'attività esercitata, sia soggetto anche al regime di assicurazione generale obbligatoria. Analoga facoltà di riduzione (pari all'85 per cento) è prevista anche sia in favore dei disoccupati involontari, che in favore degli iscritti e dei pensionati Enpaf che non esercitino attività professionale;
   a decorrere dal 1o gennaio 2004, per gli iscritti per la prima volta all'Enpaf, soggetti all'assicurazione generale obbligatoria in ragione dell'attività professionale esercitata, hanno facoltà di versare, in luogo del contributo previdenziale, un contributo di solidarietà pari al 3 per cento del contributo approvato dal Consiglio nazionale, inefficace ai fini previdenziali;
   tale contributo, quindi, proprio perché non dà diritto ad alcun riconoscimento a livello pensionistico, si configura come una sorta di «obolo» da versare all'ENPAF per poter svolgere la propria professione;
   sono previste – ovviamente – sanzioni in caso di omesso o tardivo pagamento dei contributi dovuti; l'iscritto che non provveda al versamento dei contributi obbligatori entro i termini stabiliti dall'ente, ovvero vi provveda in misura inferiore a quella dovuta, è infatti tenuto a versare all'Ente il contributo evaso aumentato di una somma aggiuntiva determinata applicando, in ragione d'anno, il tasso d'interesse di differimento e di dilazione di cui all'articolo 13 del decreto-legge 29 luglio 1981, n. 402, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 settembre 1981, n. 537, e successive modificazioni ed integrazioni, ulteriormente maggiorato di tre punti, ai sensi dell'articolo 1, comma 217 e seguenti, della legge 23 dicembre 1996, n. 662;
   secondo le norme succitate, la somma aggiuntiva non può essere comunque superiore al 100 per cento dell'importo dei contributi non corrisposti entro la scadenza fissata;
   in caso di evasione, oltre a alla somma aggiuntiva, l'iscritto è tenuto anche al pagamento di una sanzione «una tantum», graduata secondo criteri fissati dal decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di concerto con il Ministro del tesoro del 18 marzo 1997;
   indubbiamente in questi anni di crisi economica una quota cosiddetta a fondo perduto – in quanto appunto inefficace ai fini previdenziali – è decisamente gravosa, specie per i collaboratori di farmacia o parafarmacia (questi ultimi peraltro hanno già come ente pensionistico l'Inps);
   non da ultimo, il diritto al trattamento pensionistico si consegue dopo il 68o anno di età con un minimo di 30 anni di contributi e 20 anni attività, per un ammontare, comunque, di circa il 15 per cento del totale dei contributi versati –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare affinché possano essere rivisti in diminuzione le quote a carico di tutti i farmacisti occupati ed al contempo possano essere esonerati dal versamento della medesima tutti gli inoccupati;
   se non ritenga opportuno valutare di assumere iniziative affinché l'Ente proceda alla restituzione delle quote sinora percepite in termini di contributo di solidarietà dal 2008, anno di stima di inizio della crisi economica, all'anno 2014;
   se non convenga sulla necessità di risolvere la questione della doppia contribuzione e di rendere l'Enpaf un ente a contribuzione volontaria per coloro che, in ragione dell'attività esercitata, sono già per legge iscritti all'assicurazione generale obbligatoria;
   se non ritenga, altresì, opportuno assumere iniziative per prevedere la facoltà per l'iscritto, in caso di mancato raggiungimento dei 30 anni di versamenti, di ottenere la restituzione dei contributi comunque versati o, in alternativa, la possibilità della totalizzazione ovvero della ricongiunzione a titolo oneroso. (5-05019)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ELVIRA SAVINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto nazionale della previdenza sociale con la circolare n. 1 del 9 gennaio 2015 ha fornito analiticamente le linee guida che hanno indotto l'Istituto stesso ad operare una vera e propria trattenuta sulle pensioni lorde degli italiani;
   in particolare con la predetta circolare l'ente ha reso nota l'operazione di trattenuta sulle pensioni di gennaio e febbraio 2015 denominata «conguaglio pensione da rinnovo» basata, essenzialmente, sull'effetto della perequazione automatica del rateo pensionistico;
   tale meccanismo che, in linea di principio, dovrebbe avere funzione di garanzia e, quindi, ancorare il potere di spesa al costo reale della vita, può in alcuni e specifici casi rivelarsi sostanzialmente nocumento per quella fascia di pensionati per i quali il venir meno, anche di pochi euro, può determinare conseguenze oltremodo dannose;
   ed infatti, nello specifico, la ridetta circolare correggendo il coefficiente di rivalutazione previsionale applicato dall'INPS per tutto il 2014, ha verificato di aver corrisposto su tutte le pensioni lo 0,1 per cento in più rispetto a quanto realmente dovuto in virtù della rivalutazione;
   l'Istituto, pertanto, senza alcuna preventiva comunicazione e/o pubblicità della operazione, ancor più dovuta perché da considerarsi in peius rispetto alle aspettative dei soggetti beneficiari, che senza loro colpa avevano fatto affidamento anche su quelle entrate che oggi vengono loro sottratte, ha operato la ridetta trattenuta sui ratei pensionistici di gennaio e febbraio 2015;
   tale meccanismo, per ricalcoli relativi all'anno 2014, ha portato l'INPS a sottrarre circa 12 euro su ogni pensione da 1.000,00 euro. Trattasi di un conguaglio negativo dello 0,1 per cento, ovvero di una vera e propria trattenuta dello 0,1 per cento sulla rata di pensione;
   pur dando per scontato ma non accertato che le operazioni contabili e di calcolo poste in essere dall'Istituto di previdenza siano comunque legittime ed applicate conformemente al quadro di riferimento normativo vigente, viene da chiedersi se, considerato l'attuale momento storico politico e sociale, sia stato opportuno consentire o quantomeno non impedire l'operatività del ridetto meccanismo perequativo;
   responsabile del valore negativo della perequazione è l'inflazione che, allo stato purtroppo, si trova ai minimi storici. A pagare, tuttavia, sono i pensionati, in particolare quelli percepienti le pensioni minime e le più esigue, i quali, vedendo ancora una volta aggredito il loro potere di acquisto, contrarranno ancora di più la loro volontà di spesa con risvolti sempre più negativi per l'economia del nostro Paese;
   mai come in questo determinato periodo storico, di forte stagnazione economica che non permette di riporre grande fiducia sulla possibilità di agganciare la ripresa in maniera solida e strutturata, l'effetto negativo economico e psicologico dell'operata trattenuta, potrà ulteriormente aggravare il quadro complessivo di sfiducia che il cittadino ed in questo caso il pensionato, ravviserà e sulla base del quale orienterà le proprie scelte;
   prelevare forzosamente, anche importi minimi, sui ratei di pensione che oggi si rivelano già insufficienti per condurre una vita decorosa e dignitosa, va inevitabilmente a minare ogni aspettativa sul futuro generando ulteriore precarietà che si riversa pesantemente sulla economia dell'Italia;
   è giunto il momento di restituire fiducia al Paese promuovendo soluzioni positive per favorire la ripresa dalla crisi partendo proprio dalla tutela di quella parte della società che oggi non solo ha perso fiducia ma che è realmente impossibilitata a far fronte anche ai bisogni più elementari;
   nello specifico, per via della inflazione molto bassa, il meccanismo perequativo applicato dall'Ente di previdenza ha permesso di operare una vera e propria trattenuta sui ratei pensionistici di gennaio e febbraio 2015 –:
   se, attesi i pregressi provvedimenti del Governo che hanno bloccato la perequazione per determinati soggetti e per un determinato periodo di tempo, sia possibile prevedere normativamente un sistema che blocchi automaticamente l'adeguamento delle pensioni quando lo stesso, pur ancorato all'inflazione risulti di segno negativo e, tanto, per non permettere il ripetersi della situazione descritta in premessa;
   se sia possibile prevedere un meccanismo da parte dell'Istituto di previdenza che permetta ai pensionati appartenenti alle fasce più basse di reddito, ad esempio fino ad 1.000,00, di potersi vedere riaccreditare le somme trattenute nei primi mesi dell'anno 2015, somme sulle quali gli stessi, appartenenti alle fasce meno tutelate della cittadinanza, avevano fatto legittimo affidamento. (4-08394)


   FRATOIANNI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende da notizie giornalistiche, la società controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze, Fincantieri, in sede di discussione con le parti sociali per il rinnovo dei contratti, avrebbe proposto l'inserimento di microchip nelle scarpe da lavoro degli operai e negli elmetti;
   sempre secondo notizie di stampa, confermate dal racconto dei rappresentanti sindacali, l'amministrazione di Fincantieri giustificherebbe una tale proposta con motivazioni legate alla sicurezza degli operai e dei lavoratori sui cantieri e persino per misurare lo stato di usura delle scarpe –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se tale proposta sia idonea alla tutela e alla sicurezza dei lavoratori;
   se possa configurarsi una forma di telecontrollo, a prescindere dalla sicurezza. (4-08404)


   FRATOIANNI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Vincenzo Giunta, guardia giurata da sei anni per la Svaviapol, a giugno del 2014 ha scoperto di essere ammalato di macroadenoma cerebrale. In sostanza un tumore al cervello. Ha dovuto sottoporsi a tre interventi chirurgici: il 2 ottobre del 2014, il 2 dicembre 2014 e il 20 febbraio scorso, a Milano;
   dopo gli interventi e le terapie del caso, il 3 marzo 2015 ritorna a Brindisi e trova una lettera di licenziamento da parte dell'azienda Svaviapol per aver «superato la soglia di comporto», ovvero perché ha fatto troppe assenze;
   va detto che, di certo c’è da parte dell'azienda un calcolo sbagliato nella computazione dei giorni di assenza, visto che si considerano i 240 giorni a cavallo fra il 2014 e il 2015 e non nell'anno solare. Inoltre, la legge prevede che per patologie gravi il periodo di assenza possa essere esteso fino a 300 giorni. Pertanto, il licenziamento non sarebbe giustificato;
   appare all'interrogante lesivo della dignità del lavoratore un provvedimento di licenziamento di questo tipo –:
   se, con la nuova disciplina del Jobs Act sui licenziamenti, casi di questo tipo possano aumentare e diventare prassi consolidata, a discapito dei lavoratori e dei loro diritti, soprattutto in situazioni come quella di Vincenzo Giunta, in cui il lavoratore con una patologia grave è costretto ad attendere la sentenza di un giudice, oppure ad accettare un indennizzo, e quali iniziative intenda assumere, anche sul piano normativo, per evitare situazioni come quelle descritte. (4-08405)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   l'associazione Greenpeace nel suo rapporto «A come Ape. Un'agricoltura senza pesticidi è possibile» del maggio 2014, ha ricordato come la drastica riduzione delle popolazioni di api, è allarmante data la nostra dipendenza da questi insetti impollinatori che garantiscono sia la biodiversità naturale che la nostra sicurezza alimentare. In Europa per esempio, le api sono diminuite del 25 per cento tra il 1985 e il 2005;
   studi scientifici hanno ormai dimostrato che l'agricoltura industriale, con l'uso sempre crescente di fertilizzanti, diserbanti, insetticidi, fortemente dipendente dalla chimica, è strettamente corresponsabile della riduzione sensibile delle api e dei servizi di impollinazione che questi insetti garantiscono ai nostri raccolti e alla flora selvatica;
   l'utilizzo massiccio di prodotti chimici in agricoltura sta producendo anche nel nostro Paese uno spopolamento degli alveari, con pesanti conseguenze sugli habitat e sugli stessi produttori di miele, come denunciato dalle diverse associazioni nazionali degli apicoltori che hanno chiesto alle istituzioni di adottare efficaci misure, anche attraverso l'eliminazione dell'uso di tali sostanze;
   il n. 7 di ottobre 2014, della rivista L'apicoltore italiano, ha riportato un'indagine effettuata nei territori del Nord-est del nostro Paese, circa il collegamento della moria di api e l'utilizzo di prodotti fitosanitari nei territori dove erano presenti le medesime api. Questo territori era interessato prevalentemente da colture di mais, meleti (38,7 per cento con localizzazione predominante nella provincia di Bolzano) e vigneti. I campioni di api risultati contaminati da almeno un principio attivo sono il 72,2 per cento;
   nella suddetta indagine si legge inoltre che addirittura il 69,2 per cento dei campioni di api risulta contaminato da almeno due pesticidi, il 40,3 per cento da almeno tre, fino a un caso estremo (proveniente dal comune Verano-Vöran sopra Merano, Bolzano) nel quale i principi attivi rilevati nello stesso campione sono addirittura undici. Le api maggiormente contaminate tra quelle analizzate provengono soprattutto dai comuni della provincia di Bolzano;
   la stessa Associazione apicoltori sudtirolesi, al suo congresso provinciale tenutosi a Bolzano l'8 marzo di quest'anno, ha ammesso il preoccupante nesso fra malattie e di seguito moria delle api e l'agricoltura intensiva col dispiego crescente di fertilizzanti industriali e pesticidi. Jens Pistorius, ricercatore al Julius-Kühn-Institut in Germania e relatore al congresso degli apicoltori sudtirolesi ha pure confermato la maggior gravità del fenomeno in zone del Trentino-Alto Adige, ove le monocolture delle mele sono particolarmente intensive e concentrate;
   la popolazione di Malles-Venosta in provincia di Bolzano, con referendum tenutosi l'autunno scorso a cui ha partecipato il 70 percento degli aventi diritto (residenti dall'età di 16 anni in su), si è pronunciata al 75 percento per il bando dei pesticidi dal territorio comunale;
   si ricorda che la «strategia europea per l'uso sostenibile dei pesticidi» (COM (2006) 372) è stata attuata con la direttiva comunitaria n. 2009/128/CE che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi. Detta direttiva è stata recepita dal nostro Paese con il decreto legislativo n. 150 del 2012; con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 22 gennaio 2014 è stato adottato il piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 150 del 2012;
   va inoltre evidenziato come nel gennaio 2013, l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha pubblicato tre pareri sui rischi derivanti dall'esposizione ai tre insetticidi neonicotinoidi. L'Efsa ha esaminato effetti letali e sub-letali sulle api mellifere, concludendo che questi insetticidi determinano effetti acuti sulle api;
   dal 1o dicembre 2013, i tre insetticidi neonicotinoidi, il thiamethoxam, l’imidacloprid e il clothianidin (prodotti da Bayer), sono parzialmente vietati per due anni nell'Unione europea per i comprovati effetti dannosi sulle api –:
   se il Governo non intenda attivarsi in sede europea al fine di sostenere il bando permanente e totale dei tre pesticidi neonicotinoidi, principale causa della moria delle api;
   se non si ritenga necessario assumere iniziative al fine di allargare l'estensione del bando a tutte le sostanze di sintesi chimica riconosciute dannose e letali per le api e gli insetti impollinatori;
   se non si ritenga necessario avviare, anche attraverso mirati incentivi fiscali, una progressiva riduzione nell'uso dei pesticidi di sintesi (diserbanti, insetticidi e fungicidi) attraverso l'implementazione dell'agricoltura ecologica e lo sviluppo di pratiche ecologiche sostenibili;
   se non intenda incentivare le amministrazioni pubbliche nonché associazioni di categoria (per esempio la Coldiretti e le varie leghe dei contadini) a seguire l'esempio del comune di Malles Venosta di cui in premessa, impegnandosi a rendere sempre meno gravato di pesticidi e sostanze nocive alla salute il loro territorio e i terreni agricoli;
   se non si ritenga necessario sostenere con adeguate misure, iniziative che mirino ad arginare l'ulteriore propagazione delle monocolture intensive a favore di un'agricoltura diversificata più a misura d'uomo e degli animali.
(2-00892) «Kronbichler, Zaccagnini».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GAGNARLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la riforma dell'OCM zucchero, approvata dall'Unione europea in data 24 novembre 2005, ha mirato a realizzare una elevata riduzione del prezzo di mercato ed una forte compressione delle quantità prodotte in Europa, nel duplice intento di avvicinare il prezzo comunitario a quello internazionale e di conformarsi ai vincoli ed alle condizioni degli accodi commerciali di libero scambio (EBA ed altri);
   i progetti di riconversione degli zuccherifici Italiani sono la conseguenza della restrittiva Riforma comunitaria dell'OCM zucchero approvata dall'Unione europea in data 24 novembre 2005, e sono frutto di un accordo per la produzione di energia da fonti rinnovabili siglato tra Actelios Spa, Società del Gruppo Falck, e SECI, holding a cui fanno capo le partecipazioni del Gruppo Maccaferri;
   a Castiglion Fiorentino, in data 10 dicembre 2007, le società PowerCrop srl ed Eridania Sadam spa (in qualità di soggetti proponenti), la regione Toscana, la provincia di Arezzo, il comune di Castiglion Fiorentino e le organizzazioni sindacali dei lavoratori, con l'obiettivo di governare il processo di riconversione di un settore che, per la regione Toscana, ha rappresentato una importante risorsa economica ed occupazionale, sottoscrivono un accordo di riconversione produttiva di un vecchio zuccherificio ivi allocato;
   tale Accordo, sottoscritto approvato dal comitato interministeriale del 31 gennaio 2007, prevede la realizzazione e la gestione di una centrale di produzione di energia elettrica alimentata da olio vegetale, estratto da colture oleaginose e da biomasse di origine agroforestale, derivanti dallo sviluppo di una filiera agricola «no food», nonché l'agevolazione agli insediamenti di iniziative produttive, preferibilmente agroindustriali, denominato «Polo delle energie rinnovabili di Castiglion Fiorentino»;
   in data 26 marzo 2013 la Corte costituzionale pubblica la sentenza n. 62 del 2013 che dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 29, comma 2, del decreto-legge n. 5 del 2012; tale decreto-legge stabilisce che al fine di garantire l'attuazione dei progetti di riconversione industriale, prevalentemente nel settore della produzione di energia da fonti rinnovabili, il Comitato interministeriale di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto-legge n. 2 del 2006, nel caso in cui i relativi procedimenti autorizzativi non risultino ultimati e siano decorsi infruttuosamente i termini di legge per la conclusione di tali procedimenti, nomina senza indugio un commissario ad acta per l'esecuzione degli accordi per la riconversione industriale;
   in data 15 aprile 2013 la giunta provinciale di Arezzo con delibera n. 204 istituisce sul progetto PowerCrop il comitato di inchiesta pubblica sulla valutazione di impatto ambientale prevista dall'articolo 53 della L.R.T. n. 10 del 2010. Nell'ambito della VIA giungono numerose osservazioni di svariate associazioni e comitati presenti sul territorio, tra cui il Comitato Tutela Valdichiana, mentre 8 sindaci di altrettanti comuni della Valdichiana aretina, con un documento congiunto esprimono totale dissenso rispetto al «Polo delle energie rinnovabili di Castiglion Fiorentino», e le sue ricadute negative sul territorio;
   in data 29 aprile 2014, con deliberazione n. 204, la giunta provinciale di Arezzo pronuncia, la non compatibilità ambientale del progetto di PowerCrop s.r.l., in linea con la relazione finale del comitato di inchiesta pubblica;
   in data 17 luglio 2014 PowerCrop s.r.l. impugna presso il TAR della Toscana la deliberazione n. 204 della giunta provinciale di Arezzo, ma il Tribunale amministrativo toscano, in data 10 febbraio 2015, respinge il ricorso di PowerCrop;
   in data 24 giugno 2014 il decreto-legge n. 91 del 2014 (competitività), poi convertito dalla legge 11 agosto 2014 n. 116, all'articolo 30-ter, stabilisce, per i procedimenti autorizzativi di riconversione degli zuccherifici Italiani non ultimati, decorsi infruttuosamente i termini di legge, la nomina di un commissario ad acta per l'esecuzione degli accordi per la riconversione industriale sottoscritta con il comitato interministeriale, in totale disaccordo con la citata sentenza 62 del 2013 della Corte costituzionale;
   in data 5 febbraio 2015 il comitato interministeriale di cui alla legge n. 1 del 2006 nomina nuovamente il prefetto di Arezzo commissario ad acta per il «Progetto di riconversione di Castiglion Fiorentino» –:
   se non ritenga inopportuna la nomina del prefetto di Arezzo a commissario ad acta per il «Polo energie rinnovabili di Castiglion Fiorentino», poste le motivazioni della sentenza della Corte costituzionale n. 62/2013 che hanno dichiarato l'illegittimità della nomina commissariale governativa stabilita dal decreto legislativo n. 5 del 2012, in quanto la competenza esclusiva ricadrebbe in capo alla regione, e posto che alla data di approvazione del decreto-legge n. 91 del 2014, il procedimento autorizzativo sul progetto presentato dalla PowerCrop per l’ex zuccherificio di Castiglion Fiorentino, risultava già concluso a seguito della delibera n. 204 di diniego della provincia di Arezzo.
(5-05007)

Interrogazione a risposta scritta:


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto nazionale di economia agraria (INEA) è un ente pubblico di ricerca nel campo strutturale e socio-economico del settore agro-industriale, forestale e della pesca, e sottoposto, per competenza, alla vigilanza del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   la legge di stabilità per l'anno 2015 (articolo 1, comma 381, della legge 23 dicembre 2014, n. 190) prevede l'incorporazione dell'Istituto nazionale di economia agraria (INEA) nel Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), che assume la denominazione di Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria, conservando la natura di ente nazionale di ricerca e sperimentazione. Questo subentra nei rapporti giuridici attivi e passivi dell'INEA, ivi inclusi i compiti e le funzioni ad esso attribuiti;
   le finalità della suddetta disposizione sono quelle di riorganizzare il settore della ricerca e della sperimentazione nel settore agroalimentare e di sostenere gli spin off tecnologici nonché di razionalizzare e contenere la spesa pubblica;
   in adempimento al comma 382 dell'articolo 1 della suddetta legge di stabilità 2015, con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali del 2 gennaio 2015, viene nominato il dottor Salvatore Parlato quale commissario straordinario del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria, che dura in carico un anno, prorogabile, per motivate esigenze, una sola volta;
   il commissario straordinario si sostituisce agli organi statutari del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura ed ha tra i suoi compiti quello di disporre interventi di incremento dell'efficienza organizzativa ed economica, finalizzati all'accorpamento, alla riduzione e alla razionalizzazione delle strutture e delle attività degli enti, nonché di riduzione delle spese correnti rispetto ai livelli attuali;
   il commissario straordinario con proprio decreto (n. 3 del 21 gennaio 2015) ha istituito il Centro di responsabilità amministrativa INEA (CRAI) individuando la dottoressa Laura Proietti quale titolare pro tempore del suddetto Centro al fine di assicurar la continuità dell'azione amministrativa e scientifica facente capo all'ente incorporato (INEA). La stessa dottoressa Proietti risulta essere anche direttore generale dell'INEA nominata con deliberazione n. 22 del 31 marzo 2014;
   il comma 381 della suddetta legge di stabilità per il 2015 prevede che ai componenti degli organi dell'INEA siano corrisposti compensi, indennità o altri emolumenti comunque denominati fino alla data di incorporazione;
   ancora non è stato emanato il decreto ministeriale di trasferimento e non è stato redatto il bilancio di chiusura dell'INEA e gli attuali vertici restano, quindi, in carica per garantire la fase transitoria;
   il direttore generale pro tempore dell'INEA ha fatto presente al Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria la mancanza di disponibilità finanziaria in capo all'ente incorporato per assicurare la continuità dell'azione amministrativa e scientifica facente capo all'ente stesso –:
   quale sia stata la ratio che ha portato alla decisione del commissario straordinario del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria di istituire il Centro di responsabilità amministrativa INEA, decisione questa che sembra all'interrogante essere in netto contrasto con le finalità del comma 381 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2015 di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica;
   a che punto sia l'emanazione del decreto interministeriale di cui al suddetto comma 381 che prevede il trasferimento delle risorse umane, strumentali e finanziarie dell'INEA nonché l'approvazione del bilancio di chiusura dell'Istituto nazionale di economia agraria;
   se la nomina della dottoressa Proietti a direttore generale del Centro di responsabilità amministrativa INEA non determini maggiori oneri rispetto a quelli attualmente sostenuti dall'ente incorporato per le funzioni di direttore generale.
(4-08386)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   GALGANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 10 marzo 2015, il Consiglio superiore di sanità ha deliberato il parere, a proposito del contraccettivo di emergenza, a base di ulipristal acetato (nome commerciale EllaOne) – contraccettivo meglio noto come la «pillola dei 5 giorni dopo», stabilendo che potrà essere venduto solo dietro ricetta medica, indipendentemente dall'età della richiedente;
   il Consiglio superiore di sanità, presieduto da Roberta Siliquini, era stato sollecitato dal Ministro interrogato ad esprimere un nuovo parere sulle modalità prescrittive del farmaco anticoncezionale d'emergenza a seguito della recente deliberazione dell'Agenzia europea dei medicinali (Ema) che prevedeva la vendita senza l'obbligo di ricetta medica avendo riscontrato l'assenza di rischi in gravidanza;
   il Ministero della salute rende inoltre noto che «In attesa dei dettagli del dispositivo, la decisione è che «il farmaco EllaOne debba essere venduto in regime di prescrizione medica indipendentemente dall'età della richiedente». Ciò soprattutto – spiega la nota del Ministero – per evitare gravi effetti collaterali nel caso di assunzioni ripetute in assenza di controllo medico». Mentre per quanto riguarda il test di gravidanza, il Consiglio superiore della sanità propone che sia eseguito solo se l'anamnesi della paziente induce un sospetto di gravidanza in corso;
   si tratta di una decisione che va in direzione opposta rispetto a quella assunta dalla Commissione europea, che il 12 gennaio 2015 ha autorizzato la possibilità di rendere disponibile il contraccettivo di emergenza, direttamente in farmacia senza obbligo di prescrizione da parte del medico. La decisione avrebbe dovuto essere applicata in tutti gli Stati membri europei nel 2015;
   la pillola Ellaone, negli ultimi 5 anni, è stata già utilizzata da più di 3 milioni di donne in ben 70 Paesi. L'Unione europea ha dato il via libera pieno alla vendita senza alcun tipo di obbligo. A novembre 2014 è arrivato il «sì» dell'Agenzia del farmaco europea (Ema), a gennaio 2015 si è espressa la Commissione europea con un parere totalmente in linea con l'Ema; nessuna ricetta medica è prevista perché la pillola sia disponibile in farmacia. La decisione dovrebbe essere applicabile a tutti gli Stati membri, ma in accordo alle procedure nazionali. La procedura nazionale italiana sembrerebbe avviarsi in senso totalmente opposto rispetto alla normativa europea, mentre molti Stati, come la Germania, hanno già eliminato l'obbligo di prescrizione medica;
   il via libera della Commissione europea è arrivato dopo il parere positivo rilasciato a novembre dalla Commissione per i prodotti medicinali umani (Chmp) dell'Agenzia europea dei medicinali, secondo cui EllaOne funziona meglio nelle prime 24 ore e può essere utilizzata in sicurezza senza prescrizione medica –:
   se non si ritenga opportuno attivarsi affinché la «pillola dei 5 giorni dopo» sia messa in commercio anche nel nostro Paese senza l'obbligo di ricetta, in linea con le decisioni prese dall'Unione europea. (3-01358)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIBAUDO e CULOTTA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 12 febbraio 2015 a Catania la piccola Nicole nasce in una sala parto della casa di cura Gibiino. Per l'aggravarsi delle sue condizioni, dopo il rifiuto di ricovero in tre ospedali catanesi, viene trasferita d'urgenza verso il reparto di terapia intensiva dell'ospedale di Ragusa, ma muore in ambulanza tra Catania e Ragusa;
   nello stesso giorno a Napoli, Rosa 8 mesi, dopo essere stata ricoverata all'ospedale pediatrico Santobono qualche giorno prima per una bronchiolite, viene dimessa perché, «presentava criteri clinici e laboratoristici idonei» e una volta a casa muore;
   da Napoli a Catania la denuncia dei genitori è la stessa «Chi ha sbagliato deve pagare»;
   in entrambi i casi sono state avviate delle indagini sia dagli assessorati regionali competenti che dal Ministero interrogato così come sono state avviate delle inchieste dalle procure di riferimento per accertare le responsabilità sui fatti accaduti;
   a seguito della ventilata ipotesi da parte del Ministro Lorenzin circa il commissariamento della sanità siciliana l'assessore Borsellino si dice pronta a dimettersi;
   anche mercoledì 18 febbraio 2015 in risposta al question time in aula relativo al caso Nicole, il Ministro Lorenzin ha ipotizzato un intervento sostitutivo della regione –:
   quali siano i criteri e i presupposti per l'eventuale commissariamento della sanità in Sicilia;
   quali iniziative si intendano adottare con riferimento ai gravi atti accaduti anche nella regione Campania, tenuto conto che, da tempo, la sanità in tale regione è demandata alla gestione di un commissario straordinario. (5-05024)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 15-quater del decreto legislativo n. 502 del 1992 («Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421») ha stabilito l'esclusività del rapporto di lavoro dei dirigenti del ruolo sanitario;
   nello specifico settore della pediatria l'applicazione della norma ha comportato dopo la sua entrata in vigore la scelta, da parte di circa il 90 per cento dei pediatri di famiglia che svolgevano contemporaneamente l'attività di pediatri ospedalieri od universitari a tempo definito, di optare per il tempo pieno nel Servizio sanitario nazionale;
   tale situazione consentì di fatto l'apertura di importanti prospettive occupazionali nell'ambito della pediatria di libera scelta per tanti giovani pediatri su tutto il territorio nazionale;
   a distanza di oltre vent'anni da allora, anche nel contesto della crisi economica del nostro Paese, da alcuni anni assistiamo al fenomeno opposto, ovvero alla scelta di numerosi pediatri ospedalieri che, in virtù del proprio contratto nazionale, riapprodano, ormai a fine carriera, alla pediatria di famiglia, considerata un porto sicuro dal punto di vista economico e professionale;
   questa situazione, che si evidenzia essere del tutto legittima sul piano formale e giuridico, di fatto comporta un restringimento degli spazi di lavoro per molti giovani pediatri che si trovano relegati nel ruolo di «sostituti a vita»;
   appare del tutto evidente che la possibilità, seppur legittima sotto il profilo giuridico, che un pediatra ospedaliero possa rientrare nella pediatria di famiglia mediante una corsia preferenziale e a scapito dei giovani colleghi rappresenti un'anomalia legislativa che meriterebbe la giusta attenzione da parte delle istituzioni;
   a parere dell'interrogante questa situazione è motivo di approfondimento, ancor più oggi nel momento in cui nel nostro Paese è forte un dibattito di carattere generale sulla cosiddetta «staffetta generazionale», per riflettere su possibili interventi che rivedano la possibilità per i pediatri ospedalieri in pensione di accedere alla pediatria di libera scelta –:
   quale sia la posizione del Ministro interrogato rispetto a quanto esposto in premessa e se, nel contesto di quanto sopra descritto, sia ritenuto opportuno un intervento che vada nel senso di garantire in modo concreto il necessario ricambio generazionale. (4-08379)


   MELILLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   gli acufeni sono una condizione invalidante. Corrispondono a confusioni sgradevoli, percepiti nell'orecchio e nella testa, e questo in assenza di stimoli acustici e uditi solamente dalla persona che ne soffre;
   un acufene (tinnitus in lingua latina ed inglese), è un affezione uditiva che percepisce rumori continui, a volte multipli (come fischi, ronzii, fruscii, pulsazioni eccetera) che durano anni e che l'orecchio avverte come estremamente fastidiosi al punto da influire sulla qualità della vita del soggetto che ne è affetto;
   patologia che, nonostante la sua particolarità che ne sia affetto circa il 10 per cento della popolazione (pari a circa 5 milioni di persone in Italia), è del tutto, o quasi, ignorata dai media e poco se ne parla, mentre l'informazione sarebbe essenziale per la tempestività dell'intervento;
   detta disfunzione non è stata classificata, ad oggi, come una malattia vera e propria, ma è piuttosto ritenuta una condizione che può derivare da una molteplicità di cause. Tra di esse si possono includere: danni neurologici (ad esempio dovuti a sclerosi multipla), infezioni dell'orecchio, stress ossidativo, stress emotivo, presenza di corpi estranei nell'orecchio, allergie nasali che impediscono (o inducono) il drenaggio dei fluidi, accumulo di cerume e l'esposizione a suoni di elevato volume. Può anche essere un accompagnamento della perdita dell'udito neurosensoriale o una conseguenza della perdita dell'udito congenita, oppure può essere anche un effetto collaterale di alcuni farmaci (acufene ototossico). Occorre, innanzitutto, riuscire a riconoscere le cause, essendo principalmente un fenomeno soggettivo;
   la condizione individuale è in genere valutata clinicamente basandosi su una semplice scala che evidenzia il danno da «lieve» a «catastrofico» in base agli effetti che esso comporta, sia dal punto di vista psicologico che, valutando, l'interferenza che ha con il sonno e sulle normali attività quotidiane. Se viene individuata una causa di fondo, il suo trattamento può portare a miglioramenti, in caso contrario si ricorre, di solito, alla psicoterapia;
   ad oggi, non vi sono farmaci efficaci, sebbene sia una condizione di frequente incidenza sulla popolazione;
   è difficile districarsi tra le terapie proposte per la cura, poiché numerosi lavori scientifici confermano l'efficacia di terapie diverse, nonostante sia impossibile che alcune di esse abbiano realmente effetto, mancando ogni presupposto basato su anatomia e fisiologia per giustificare il loro funzionamento o la causa sottostante che avrebbe dato origine al problema;
   ci sono diverse cure, sia farmacologiche che coadiuvandosi dell'uso della laserterapia, pubblicizzate come efficaci ma che spesso non sono di alcuna utilità. Quando i sintomi non regrediscono entro i primi mesi dalla loro insorgenza, vi è la possibilità che divengano cronici a tutti gli effetti –:
   se non si ritenga essenziale riconoscere questa patologia come malattia vera e propria con connotati fortemente invalidanti (a volte si è arrivati a fenomeni di grande depressione sfociata in suicidio), evitando di liquidarla semplicemente come «disturbo fastidioso»;
   se non si ritenga altresì importante inserire detta patologia nei LEA (livelli essenziali di assistenza);
   come intenda adoperarsi affinché si dia al più presto avvio a studi e ricerche su detta patologia, aiutando e ampliando il numero degli organi sanitari e delle associazioni che già, in maniera del tutto autonoma, si stanno adoperando in questo senso, come l'Università di Pavia e come Mario Negri di Milano e con l'ausilio di associazioni come l'AIT Onlus, che in Italia conta già 2000 aderenti. (4-08389)


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da recenti notizie stampa apparse sulla Gazzetta del Sud del 3 marzo 2015, si apprende che il reparto pediatrico dell'ospedale cittadino di Lamezia Terme, rischia la chiusura definitiva a causa del blocco del turnover imposto dal piano di rientro della Calabria che impedisce l'assunzione di nuovo personale;
   nel reparto di pediatria, per esempio, risultano in servizio da più di un anno solo quattro medici a fronte dei sette previsti, mentre il personale paramedico, anch'esso presente in misura ridotta, dovrebbe essere implementato per garantire un servizio dignitoso;
   questa carenza di organico, che sta sfiancando il personale ospedaliero, costringe gli operatori del reparto di pediatria a subire turni logoranti in condizioni di forte disagio, che viene svolto con professionalità e capacita con l'unico fine di fornire ai piccoli pazienti la giusta e doverosa assistenza;
   il protrarsi di questo stato di cose e la mancanza di interventi mirati, potrà arrecare ai degenti grave nocumento e, in alcuni casi, anche un peggioramento delle condizioni di salute;
   a parere dell'interrogante non è accettabile che questo ospedale, punto nevralgico della cittadina e dei paesi del circondario, vada sempre più deteriorandosi, togliendo importanti servizi ai cittadini ai quali non potranno più essere garantiti i livelli minimi assistenziali;
   il reparto di pediatria di Lamezia Terme affronta quotidianamente enormi difficoltà: un solo medico di turno si deve occupare in media di 14 bambini ricoverati in corsia e al contempo anche degli altri bambini che arrivano al pronto soccorso;
   la privazione di servizi essenziali, nel contesto dell'offerta della struttura ospedaliera, comporterà un deterioramento qualitativo di un sistema sanitario le cui inefficienze metteranno sempre più a rischio la salute dei cittadini;
   la carenza di personale, che rappresenta un gravissimo problema, si inserisce all'interno di un contesto sociale, quello calabrese, già profondamente provato da una crisi che sta coinvolgendo ogni settore –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e dei disagi che verrebbero arrecati, soprattutto ai bambini di quest'area, e quali iniziative di competenza intenda adottare, nel quadro del piano di rientro dai disavanzi sanitari, per assicurare alla comunità interessata i livelli essenziali di assistenza e il diritto costituzionale alla tutela della salute, all'assistenza medica ed alla cura dei bambini. (4-08392)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   l'ordinamento nazionale della polizia locale è disciplinato dalla legge 7 marzo 1986, n. 65. I profondi mutamenti prodotti dalla legge di riordino delle Province e quelli in itinere con la riforma della pubblica amministrazione incidono e incideranno anche sul ruolo della polizia provinciale;
   in tale contesto gli agenti e gli ufficiali di polizia provinciale vivono una situazione di profonda incertezza legata al processo di riforma;
   attualmente essi svolgono compiti di polizia ambientale, uso e difesa del suolo, caccia e pesca; il destino del personale non è stato definito neppure dalla circolare n. 1/2015 del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione che ha rinviato al processo di riorganizzazione delle polizie senza però indicare alcun orientamento;
   gli obiettivi condivisibili di ottimizzare le risorse disponibili (umane ed economiche), evitare qualsiasi attività di sperpero e polverizzazione delle conoscenze e professionalità acquisite sin dall'entrata in vigore della legge 65 del 1986, eliminare sovrapposizioni e duplicazioni in materia di controlli, come ad esempio sopralluoghi presso attività produttive effettuato, più volte, da diversi Organi, devono essere perseguiti in tempi brevi;
   il processo di razionalizzazione «del sistema delle Polizie» riguarda anche il Corpo forestale dello Stato e la polizia di Stato; in tale contesto la polizia provinciale non può essere ancora lasciata in una «terra di nessuno» in cui oggi si trova in assenza di chiare prospettive –:
   quali sono gli intendimenti del Governo in merito al percorso di riordino della polizia provinciale e di tutela del relativo personale.
(2-00893) «Carrescia, Manzi, Morani».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARRESCIA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   consolidata giurisprudenza, in questi anni, ha di fatto rafforzato le attribuzioni funzionali della polizia locale e quindi anche di quella provinciale, individuandone di nuove quali il riconoscimento di forza di pubblica sicurezza e riconoscendone la specialità all'interno della struttura dell'ente di appartenenza;
   la Corte di Cassazione ha più volte affermato il principio della competenza piena del personale della polizia locale di perseguire ogni tipo di reato e di poter intervenire in caso di commessa o tentata violazione della legge penale nella fattispecie del delitto o della contravvenzioni;
   rispetto ad altre forze di polizia esistono però ancora situazioni di criticità sotto il profilo previdenziale ed assistenziale per gli agenti di polizia locale a seguito dell'abolizione dell'accertamento della dipendenza dell'infermità da causa di servizio, del rimborso delle spese di degenza per causa di servizio, dell'equo indennizzo e della pensione privilegiata, disposti dall'articolo 6, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214;
   tali criticità derivano dal fatto che non si è tenuto in debito conto dei rischi connessi con le operazioni svolte dalla polizia locale impegnata in servizi esterni e, nello specifico per quella provinciale, del rischio di malattie professionali collegate ai livelli di inquinamento ed a pericoli ambientali per la necessaria e assai frequente presenza in luoghi degradati ovvero dei rischi connessi ai controlli in materia venatoria e alla repressione del bracconaggio –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per la soppressione dell'articolo 6, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ed assicurare al personale delle polizie locali, quelle provinciali quindi incluse, lo stesso trattamento, relativamente agli istituti dell'accertamento della dipendenza dell'infermità da causa di servizio, del rimborso delle spese di degenza per causa di servizio, dell'equo indennizzo e della pensione privilegiata, oggi riservati ad altre forze di polizia. (5-05015)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TERZONI, CECCONI e AGOSTINELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Prysmian è presente nel territorio della Provincia di Ascoli Piceno con uno stabilimento nel quale sono occupati circa 120 lavoratori;
   la sua attività è specializzata nella produzione di sistemi e materiali per l'energia e le telecomunicazioni;
   dal suo sito internet si apprende che il gruppo Prysmian vanta circa 19.000 dipendenti che operano in 50 paesi per un totale di 91 stabilimenti;
   il 27 febbraio del 2015 la società ha annunciato di voler chiudere lo stabilimento di Ascoli Piceno;
   la multinazionale Prysmian Cables & Systems Ltd non è un gruppo in crisi avendo chiuso lo scorso esercizio con un utile netto di 115 milioni di euro e di 153 milioni nell'esercizio precedente;
   lo stesso Presidente del Consiglio il 17 novembre 2014 in occasione di una visita a uno stabilimento Prysmian in Australia ha sottolineato la solidità economica del gruppo dichiarando: «Un'azienda italiana può essere leader nel mondo se noi coinvolgiamo la gente a lavorare giorno dopo giorno in un grande progetto, grazie del vostro lavoro, grazie della vostra qualità. Prysmian oggi è una delle più importante, aziende italiane, per cui oggi sono particolarmente felice, e neppure i giornalisti italiani comprendono bene l'importanza della Prysmian in tutto il mondo»;
   nonostante la mobilitazione dei lavoratori e l'interessamento della politica locale i sindacati hanno espresso preoccupanti perplessità sulla possibilità di intervenire in tempi rapidi in maniera tale da scongiurare la cessazione dell'attività;
   da fonti stampa si apprende che la Prysmian avrebbe avuto accesso a un finanziamento messo a disposizione del Ministero dello sviluppo economico di circa 40 milioni per operare l'ampliamento di stabilimenti collocati nelle regioni del sud Italia;
   la notizia trova conferma nelle parole del vice presidente della regione Marche che ha dichiarato «Come sembra da queste informazioni la Prysmian è risultata nei primi posti della speciale graduatoria del bando di 430 milioni per Efficienza e Innovazione alle imprese del sud Italia. L'azienda avrebbe così ottenuto un finanziamento di circa 32 milioni di euro per tre suoi stabilimenti campani in parte a fondo perduto e in parte come finanziamento agevolato»;
   l'annuncio della chiusura è avvenuto quindi dopo che il gruppo aveva avuto accesso al finanziamento attraverso il bando del Ministero dello sviluppo economico;
   appena pochi mesi prima, il 30 giugno 2014, presso la sede di confindustria di Ascoli Piceno, la Prysmian Cavi e Sistemi Italia srl e le rappresentanze sindacali unite dello stabilimento di Ascoli Piceno della Prysmian Cavi e Sistemi Italia srl firmavano un accordo per la rimodulazione e l'assegnazione dei premi di risultato come previsto dall'articolo 25 del vigente contratto collettivo nazionale del lavoro e a fine 2014 lo stabilimento di Ascoli ha raggiunto tale premio produzione ripetendo quanto successo nei precedenti 15 anni;
   pochi giorni prima dell'annuncio della chiusura, agli operai è stato proposto di investire il proprio trattamento di fine rapporto nelle azioni del gruppo;
   il sindaco di Ascoli Guido Castelli dopo aver incontrato il dottor Giampiero Castano responsabile dell'unità gestione vertenze del dicastero ha comunicato l'impegno assunto dallo stesso a convocare un tavolo nazionale in tempi rapidi e a richiedere ad INVITALIA una dettagliata relazione sul contenuto e la disciplina dei contratti di sviluppo siglati in favore del gruppo Prysmian proprio allo scopo di accertare la coerenza tra detti interventi di sostegno finanziario e l'annunciata volontà di smantellamento dello stabilimento di Ascoli Piceno –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se corrisponda al vero l'accesso al finanziamento previsto dai bandi del Ministero dello sviluppo economico per «Investi enti innovativi» e «Efficienza energetica» rivolti alle attività con sede in Calabria, Puglia, Basilicata e Sicilia;
   se non ritenga di dover intervenire anche a livello normativo per evitare che la concessione di finanziamenti possano provocare squilibri occupazionali all'interno dello stesso territorio nazionale andando in palese conflitto con gli obiettivi fissati dal piano di finanziamento stesso;
   di quali elementi disponga riguardo alla regolarità del contenuto e la disciplina dei contratti di sviluppo siglati in favore del gruppo Prysmian;
   se ritenga opportuno che questi fondi non siano vincolati alla tutela dei lavoratori italiani e al mantenimento degli stabilimenti in funzione sul suolo nazionale e che un gruppo industriale possa ricevere 32 milioni dal Governo e poi chiudere gli stabilimenti;
   se intenda adottare ogni iniziativa utile, anche normativa, al fine di intervenire in casi descritti in premessa per fare in modo che le aziende vengano messe nelle condizioni di continuare ad operare mantenendo i macchinari presenti negli stabilimenti anche per consentire un'eventuale acquisizione da parte di terzi.
(5-05010)


   PARENTELA, L'ABBATE, GAGNARLI, GALLINELLA, BENEDETTI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   come noto, dal 13 dicembre 2014 è divenuto applicabile il regolamento (UE) 1169/2011 e, con esso, è venuta, a mancare l'obbligatorietà di indicare in etichetta la sede dello stabilimento di produzione alimentare per i prodotti realizzati e commercializzati in Italia, considerato che il Governo italiano non ha provveduto a notificare, nei termini stabiliti alla Commissione europea, la volontà del mantenimento di tale prescrizione pur avendo, il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, annunciato il 21 dicembre 2014, di aver chiesto al Ministro dello sviluppo economico di ripristinare l'obbligo in parola;
   il regolamento (UE) n. 1169/2011, oltre ad uniformare le regole a presidio dell'informazione dei consumatori in relazione agli alimenti all'interno del mercato unico europeo, ha introdotto, altresì, l'obbligo di indicazione dell'eventuale presenza di allergeni nelle etichette degli alimenti preconfezionati e l'opportuna comunicazione ai consumatori anche quando gli alimenti sono venduti al dettaglio o somministrati, ad esempio, in bar o ristoranti;
   il regolamento de quo ha superato molte delle previsioni di cui al decreto legislativo n. 109 del 1992, tuttavia, ad oggi, non è ancora disponibile la normativa nazionale di applicazione e permane quindi estrema incertezza tra gli operatori sui tempi e sulle modalità di effettiva applicazione delle disposizioni comunitarie nonché su quali sanzioni debbano essere applicate per la violazione degli adempimenti in esso previsti;
   il regolamento italiano con legge 6 agosto 2013, n. 96 (articolo 2), ha delegato l'Esecutivo ad emanare un decreto legislativo per stabilire le sanzioni in relazione al nuovo regolamento (UE) n. 1169/2011, ma fino a quando le disposizioni sanzionatorie non saranno in vigore, le autorità di controllo saranno prive di poteri sanzionatori per la violazione delle nuove norme, come pure di quelle preesistenti in tema di etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari, fatto salvo quanto scritto e ribadito, sui prodotti venduti sfusi e i preincarti;
   il Ministero dello sviluppo economico, in data 6 marzo 2015 ha pubblicato una circolare specificando che, «nelle more dell'adozione della disciplina sanzionatoria», è ancora possibile applicare la gran parte delle sanzioni previste all'articolo 18 del decreto legislativo 109 del 1992. Allegata alla circolare, vi è una «tabella di concordanza» che associa le sanzioni del vecchio decreto 109 del 1992 alla violazione delle norme contenute nel successivo regolamento (UE) n.1169/2011 in palese contraddizione con il principio di stretta legalità, cristallizzato nell'articolo 25 della Costituzione della Repubblica italiana. Tale principio – declinato sia nel codice penale sia nella legge 689 del 1981, sul procedimento sanzionatorio amministrativo – esclude la possibilità di applicazione delle norme «per analogia»: il fatto che dà luogo all'applicazione della pena deve essere previsto in modo «espresso» in un atto avente forza di legge;
   in questa situazione di «vacuum legis» risulta molto grave la situazione dei consumatori allergici e dei celiaci, ancora privi di effettiva protezione non solo sui prodotti alimentari in vendita (imballati, sfusi e preincartati), ma soprattutto su alimenti e bevande somministrati nei bar e pubblici esercizi, ristoranti, mense e nel mondo del catering. Anche in questo caso mancano opportune sanzioni: il Ministero della salute si è limitato a precisare, con circolare del 6 febbraio 2015, i doveri di informazione ai consumatori a carico di pubblici esercenti e ristoratori;
   l'interrogante ha già depositato data 14 novembre 2014 l'interpellanza urgente n. 2-00743 chiedendo al Governo di notificare alla Commissione europea la volontà di legiferare per mantenere l'obbligo di indicare in etichetta lo stabilimento di produzione e confezionamento dei prodotti alimentari. In tale sede il Governo ha risposto che non essendovi una legge ad hoc, non si sono potuti adattare i provvedimenti richiesti nell'interpellanza urgente. L'interrogante, preso atto dell'inerzia del Governo, ha presentato, in data 2 dicembre 2014, con i colleghi del M5S, una proposta di legge n. 2762 ed ha chiesto ai cittadini di far sentire la propria voce, attraverso una lettera indirizza al Presidente del Consiglio, al Ministro dello sviluppo economico e al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. In 10.000 hanno accolto l'invito, ma il Governo, allo stato attuale, sembra aver ignorato tale appello –:
   se non si ritenga opportuno assumere urgentemente iniziative volte a definire le norme relative alle sanzioni, diversificate in base all'attività svolta, da applicare agli operatori che non ottemperano agli obblighi previsti dal regolamento (UE) 1169/2011 in materia di fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, al fine di dotare le autorità preposte ai controlli di degni strumenti necessari a garantire la corretta applicazione delle disposizioni in esso contenute;
   se non si ritenga improcrastinabile notificare alla Commissione europea la volontà di mantenere l'obbligo di indicare in etichetta la sede dello stabilimento di produzione alimentare per i prodotti realizzati e commercializzati in Italia.
(5-05021)


   RICCIATTI, SCOTTO, GIANCARLO GIORDANO, FERRARA, PLACIDO e AIRAUDO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 marzo 2015 le maggiori agenzie di stampa (Ansa, Radiocor, Adnkronos) hanno diffuso le dichiarazioni di Marc Bitzer, vice-chairman di Whirlpool, secondo il quale entro aprile 2015 sarà concluso il lavoro sul piano industriale relativo alla fase post acquisizione di Indesit da parte di Whirlpool;
   alla domanda se sono in vista tagli di posti di lavoro, il manager Whirlpool, ha dichiarato che l'azienda non sta lavorando in quella direzione, aggiungendo però che «a oggi, prima del nuovo piano industriale, non c’è lavoro per le migliaia di dipendenti (1.783) attualmente in cassa integrazione di Indesit: bisogna trovare una soluzione a questo. Non c’è lavoro per tutto il comparto degli elettrodomestici perché nel nostro settore c’è un eccesso di capacità produttiva e questo vale anche per Indesit. Per questo dobbiamo cercare di consolidare»;
   le affermazioni riportate, pur esprimendo una posizione cauta della dirigenza Whirlpool, lasciano trasparire – verosimilmente – il mancato riassorbimento dei dipendenti Indesit attualmente in cassa integrazione –:
   se il Governo sia informato circa gli sviluppi del redigendo piano industriale Whirlpool/Indesit;
   se sia in grado di fornire chiarimenti sulle affermazioni del vice presidente di Whirlpool Marc Bitzer; quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere per favorire il rientro in azienda del maggior numero possibile di lavoratori Indesit, attualmente in cassa integrazione. (5-05022)

Interrogazione a risposta scritta:


   PALAZZOTTO, PELLEGRINO, NICCHI, RICCIATTI, MELILLA e ZACCAGNINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 3 marzo 2015 il Governo ha presentato il piano per la banda ultralarga che si pone l'obiettivo di portare internet veloce in tutta Italia superando il digital divide e garantendo servizi di qualità per tutte e tutti;
   al di là dei buoni e condivisibili principi contenuti nel piano, a parere degli interroganti esistono nel testo alcuni elementi che meritano quantomeno un approfondimento e un chiarimento da parte del Governo;
   a pagina 13 e a pagina 14 del documento della Presidenza del Consiglio «Strategia italiana per la banda ultralarga», ad esempio, si legge testualmente: «Adeguamento agli altri Paesi europei dei limiti in materia di elettromagnetismo» e ancora, alla fine di pagina 59 si legge: «Infine, nella convinzione che si debba costruire un mercato unico digitale europeo partendo dunque dalle regole e dalle opportunità, l'Italia dovrà uniformarsi ai limiti degli altri Paesi europei in materia di elettromagnetismo con immediati vantaggi in termini di diffusione del servizio di connettività a banda ultralarga wireless»;
   a parere degli interroganti tali stralci sono assolutamente generici dal momento che in Europa vi sono Paesi come il Belgio che hanno limiti in materia di elettromagnetismo più bassi dell'Italia e altri Paesi che hanno limiti molto più alti;
   l'Italia ha il limite dei 6 V/m nelle 24 ore (recente modifica rispetto al calcolo sui 6 minuti) e di 20 V/m come picco. Gli Stati europei hanno adottato i limiti standard di 41 v/m sulla banda dei 900 Mhz, 58 v/m sulla banda dei 1800 Mhz e di 61 v/m sulle frequenze oltre i 2 Ghz;
   adeguarsi potrebbe significare quindi un aumento di 10 volte dei limiti di esposizione per la popolazione, cosa che li uniformerebbe, di fatto, a quelli per i lavoratori che sono però consapevoli di eventuali rischi associati all'attività lavorativa per una normativa che ne tutela funzioni e attività (testo unico 81 del 2008);
   la sola idea di poter uniformare i limiti di esposizione per un bambino a quelli per un lavoratore formato ed informato appare agli interroganti del tutto sbagliata;
   inoltre, nel precedente documento della Presidenza del Consiglio «Strategia italiana per la banda ultralarga» del novembre 2014 a pagina 13, si leggeva: «Razionalizzazione dello spettro elettromagnetico e innalzamento di limiti elettromagnetici»;
   confrontando i due documenti sembrerebbe che il Governo sia passato da una volontà esplicita ad una più velata e tutto farebbe pensare, in entrambe le versioni, all'intenzione di procedere ad un aumento dei limiti di legge in materia di elettromagnetismo –:
   se non si intenda chiarire la posizione del Governo rispetto a quanto descritto in premessa e, qualora il Governo intenda procedere ad un aumento dei limiti di legge in materia di elettromagnetismo, se non si ritenga opportuno perseguire prima altre strade, che pure esistono, per garantire servizi di qualità senza rinunciare alla tutela della popolazione, valutando altre soluzioni che andrebbero oltre la difesa degli interessi economici dei gestori della telefonia mobile e a salvaguardia della salute dei cittadini. (4-08384)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Capelli e altri n. 1-00697, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Pinna.

  La mozione Nicchi e altri n. 1-00706, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Pellegrino, Fratoianni, Quaranta, Placido, Zaccagnini, Airaudo, Marcon, Pannarale, Zaratti, Melilla, Duranti, Costantino, Palazzotto, Giancarlo Giordano, Sannicandro, Daniele Farina, Piras, Kronbichler.

  La mozione Garavini e altri n. 1-00710, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Marazziti, Fauttilli, Carra, Capone, Antezza, Malisani, Piccione, Santerini.

  La mozione Zampa e altri n. 1-00758, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Nicoletti.

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Binetti e altri n. 1-00702, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Sberna e Gigli e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Binetti, Sberna, Buttiglione, D'Alia, Piccone, Tancredi, Garofalo, Saltamartini, Causin, Cera, Calabrò, Roccella, Alli, Pagano, Scopelliti, Sammarco, Gigli».

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente De Girolamo n. 2-00876, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Binetti.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Mucci n. 5-04533, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Prodani.
  L'interrogazione a risposta in Commissione Ginefra n. 5-04584, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Benamati.
  L'interrogazione a risposta in Commissione Losacco n. 5-04622, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Benamati.
  L'interrogazione a risposta in Commissione De Maria n. 5-04758, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Benamati.
  L'interrogazione a risposta in Commissione Massimiliano Bernini e Parentela n. 5-04972, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Benedetti, L'Abbate.
  L'interrogazione a risposta in Commissione Sgambato e altri n. 5-04982, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Scotto.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Garavini n. 1-00710, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 363 del 15 gennaio 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    in Italia il fenomeno del gioco d'azzardo è in continua crescita e in questi anni sta assumendo dimensioni sempre più rilevanti, come si può rilevare dall'andamento delle statistiche dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato relative alla quantità di denaro giocato. In parallelo si stanno anche rafforzando le evidenze scientifiche che dimostrano come la pratica del gioco d'azzardo possa dar luogo a forme di vera e propria dipendenza (gioco d'azzardo patologico) o a comportamenti a rischio (gioco d'azzardo problematico);
    i dati aggiornati ad ottobre 2012 confermano la grande espansione del gioco d'azzardo in tutta Italia, con il primato per il fatturato della Lombardia (1.284 milioni di euro), seguita nell'ordine dal Lazio (797), dalla Campania (688), dell'Emilia-Romagna (573), del Veneto (503), del Piemonte (484), della Sicilia (468), della Puglia (438), della Toscana (433), dell'Abruzzo (203). Per quanto riguarda la spesa pro capite al primo posto si colloca l'Abruzzo con 155,28 euro a testa, seguito da Lazio (144,83), Lombardia (132,31), Emilia-Romagna (131,96), Molise (127,52), Liguria (122,23), Marche (121,97), Campania (119,30), Umbria (118,74), Valle D'Aosta (118,29), Toscana (117,91);
    il gioco d'azzardo è la terza industria italiana, con il 3 per cento del prodotto interno lordo nazionale, 5.000 aziende, 120.000 addetti, 400.000 slot machine, 6.181 punti gioco autorizzati, oltre il 15 per cento del mercato europeo e oltre il 4,4 per cento del mercato mondiale, il 23 per cento del mercato mondiale del gioco on line. Nel 2011 sono stati giocati 79.814 miliardi di euro, 70.262 miliardi di euro nei primi 10 mesi del 2012, il 12 per cento della spesa delle famiglie italiane. Sono 15 milioni i giocatori abituali, 2 milioni quelli a rischio patologico, circa 800.000 i giocatori già malati. Sono necessari 5-6 miliardi di euro hanno per curare i dipendenti dal gioco, mentre le tasse incassate dallo Stato sono 8 miliardi di euro;
    le persone più interessate al gioco sono le fasce più deboli e fragili della società: giocano il 47 per cento degli indigenti, il 56 per cento delle persone appartenenti al ceto medio-basso; il 70,8 per cento di chi ha un lavoro a tempo indeterminato, l'80,2 per cento dei lavoratori saltuari, l'86,7 per cento dei cassintegrati. Giocano di più e con più soldi i ragazzi delle scuole professionali, e giocano il 61 per cento dei laureati, il 70,4 per cento di chi ha il diploma superiore, l'80,3 per cento di chi ha la licenza media. Giocano anche gli adolescenti: si stima che giochi il 47,1 per cento degli studenti tra i 15 e i 19 anni: il 58,1 per cento dei ragazzi e il 36,8 per cento delle ragazze. Gli adolescenti sono più a rischio dipendenza: circa il 4-8 per cento ha un problema di gioco e il 10-14 per cento è a rischio di diventare giocatore patologico. Giocano pure i bambini: l'8 per cento dei bambini tra i sette e gli undici anni gioca con denaro on line;
    la dipendenza dal gioco è una vera e propria malattia che compromette lo stato di salute fisica e psichica del giocatore, il quale non riesce a uscirne da solo. Il malato di gioco (gioco d'azzardo patologico) è cronicamente e progressivamente incapace di resistere all'impulso di giocare e spesso si trova nella condizione di dover chiedere prestiti a usurai o a fonti illegali; a volte giunge alla perdita del lavoro per assenteismo. Tutto questo produce sofferenza e difficoltà di relazione anche all'interno della famiglia;
    le sale giochi proliferano sempre di più in tutti i centri urbani e, tuttavia, le amministrazioni locali non riescono ad intervenire efficacemente per fermare il dilagante fenomeno, anche per la mancanza di poteri effettivi da parte delle autorità comunali di imporre norme restrittive in grado di impedire almeno la vicinanza delle sale giochi con i luoghi cosiddetti «sensibili» o per far rispettare una distanza congrua fra una sala e l'altra;
    il gioco d'azzardo on line, conosciuto anche da molti come gambling on line, sta diventando sempre più pericoloso, proprio perché, a differenza di quello terrestre, abbatte tutte le inibizioni;
    sul portale dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato sezione gioco è possibile avere un'ampia informazione su tutti i giochi presenti suddivisi per: gioco del lotto; giochi numerici a totalizzatore; giochi a base sportiva; giochi a base ippica; apparecchi da intrattenimento; giochi di abilità, carte, sorte a quota fissa; lotterie; bingo; gioco a distanza; mentre non vi sono dati circa il fenomeno del gioco in Italia, né dati aggiornati sono presenti sul sito del Ministero della salute o sul sito della Presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento antidroga;
    diversamente dal modello legislativo e giurisprudenziale europeo, che è influenzato da principi di libera concorrenza, a livello nazionale si ritiene invece che il gioco d'azzardo debba essere sottoposto a concessione, distinguendolo dalle altre attività di gioco. Il tutto allo scopo di evitare e prevenire possibili infiltrazioni del crimine organizzato e/o fenomeni di illegalità e di garantire che si tratti di un'attività regolamentata e trasparente;
    nel corso della passata legislatura la Commissione parlamentare affari sociali ha promosso un'indagine conoscitiva sugli aspetti sociali e sanitari della dipendenza dal gioco d'azzardo dalla quale è emerso nel testo conclusivo l'esigenza di disporre di una conoscenza dei dati epidemiologici tecnicamente e scientificamente validati, la necessità di nuove regole per limitare l'offerta dei giochi, tutelare i minori, liberare l'industria del gioco dagli inquinamenti della malavita ed affrontare il tema della presa in carico dei giocatori patologici;
    in questi ultimi anni più volte il Parlamento e il Governo sono intervenuti a normare questa materia, basta ricordare:
     a) il decreto-legge n. 158 del 2012 (cosiddetto decreto Balduzzi), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, che all'articolo 5, comma 2, ha riconosciuto la ludopatia come una patologia che caratterizza i soggetti affetti da sindrome da gioco con vincita in denaro, così come definita dall'Organizzazione mondiale della sanità, prevedendo anche l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatia; all'articolo 7, comma 4, dispone dal 1o gennaio 2013, al fine di contenere la diffusione delle dipendenze dalla pratica di gioco con vincite in denaro, il divieto di messaggi pubblicitari di giochi con vincite in denaro nelle trasmissioni televisive, radiofoniche e nelle rappresentazioni teatrali o cinematografiche rivolte prevalentemente ai giovani; su giornali, riviste, pubblicazioni, durante trasmissioni televisive e radiofoniche, rappresentazioni cinematografiche e teatrali, nonché via internet, che incitano al gioco ovvero ne esaltano la sua pratica, ovvero che hanno al loro interno dei minori, ovvero che non avvertono del rischio di dipendenza dalla pratica del gioco; al comma 4-bis dispone che la pubblicità dei giochi che prevedono vincite in denaro deve riportare in modo chiaramente visibile la percentuale di probabilità di vincita che il soggetto ha nel singolo gioco pubblicizzato; infine il comma 5-bis prevede che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca segnali agli istituti di istruzione primaria e secondaria la valenza educativa del tema del gioco responsabile affinché gli istituti, nell'ambito della propria autonomia, possano predisporre iniziative didattiche volte a rappresentare agli studenti il senso autentico del gioco e i potenziali rischi connessi all'abuso o all'errata percezione del medesimo;

     b) la legge 11 marzo 2014, n. 23 (cosiddetta delega fiscale), all'articolo 14, ove si prevede che il Governo è delegato ad attuare il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici;
     c) la legge n. 190 del 23 dicembre 2014 (legge di stabilità 2015) all'articolo 1, comma 133, dove si prevede che nell'ambito delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale a decorrere dall'anno 2015 una quota pari a 50 milioni di euro è annualmente destinata alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo come definita dall'Organizzazione mondiale della sanità. Una quota delle risorse, nel limite di 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017, è destinata alla sperimentazione di modalità di controllo dei soggetti a rischio di patologia, mediante l'adozione di software che consentano al giocatore di monitorare il proprio comportamento generando conseguentemente appositi messaggi di allerta, nonché lo spostamento sotto il Ministero della salute dell'Osservatorio nazionale istituito ai sensi dell'articolo 7, comma 10, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189,

impegna il Governo:

   a dare rapida attuazione a quanto disposto dall'articolo 14 della legge 11 marzo 2014, n. 23, con l'emanazione dei previsti decreti sul riordino della normativa in materia di giochi pubblici e del regime autorizzativo all'esercizio dell'offerta di gioco, prevedendo, ai sensi della legge delega stessa, l'introduzione e la garanzia di applicazione di regole trasparenti e uniformi nell'intero territorio nazionale in materia di titoli abilitativi all'esercizio dell'offerta di gioco, di autorizzazioni e di controlli, garantendo forme vincolanti di partecipazione dei comuni competenti per territorio al procedimento di autorizzazione e di pianificazione, che tenga conto di parametri di distanza da luoghi sensibili validi per l'intero territorio nazionale, della dislocazione locale di sale da gioco e di punti di vendita in cui si esercita come attività principale l'offerta di scommesse su eventi sportivi e non sportivi, nonché in materia di installazione degli apparecchi idonei per il gioco lecito;
   a predisporre canali ufficiali di informazione nonché una divulgazione periodica con cadenza annuale dei dati statistici relativi al gioco d'azzardo, con particolare attenzione ai dati relativi ai giocatori, alle somme giocate e ai territori più coinvolti;
   ad assumere iniziative per adottare le necessarie disposizioni tese ad impedire l'accesso dei minori ai locali adibiti al gioco d'azzardo e agli apparecchi di gioco, nonché a tutelare i soggetti maggiormente vulnerabili e a rischio di gioco d'azzardo patologico;
   ad assumere iniziative per l'introduzione di nuove disposizioni vincolanti in materia di pubblicità del gioco d'azzardo, con particolare attenzione alla tutela dei minori e dei soggetti vulnerabili, nonché all'esigenza di vietare messaggi pervasivi oppure ingannevoli o illusori circa le probabilità di vincita;
   a valutare possibili iniziative utili a prevenire l'eventualità che gli apparecchi per il gioco d'azzardo divengano strumenti di riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite;
   a garantire attraverso il Ministero della salute adeguate risorse destinate alla cura e alla riabilitazione delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo;
   a predisporre, anche attraverso l'Osservatorio nazionale sulla dipendenza da gioco d'azzardo patologico, campagne di informazione e sensibilizzazione sui rischi connessi al gioco d'azzardo patologico.
(1-00710)
(Nuova formulazione). «Garavini, Marazziti, Miotto, Beni, Lenzi, Causi, Ginato, Gelli, Murer, Carnevali, Sbrollini, D'Incecco, Sgambato, Fabbri, Fauttilli, Carra, Capone, Antezza, Malisani, Piccione, Santerini».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza urgente Rostellato n. 2-00888 del 10 marzo 2015.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta orale Luigi Gallo e altri n. 3-01284 del 10 febbraio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05009.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   MATTEO BRAGANTINI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco lamenta non soltanto una significativa carenza di organici, ma altresì importanti deficit di mezzi ed equipaggiamenti, al punto che in taluni casi è stato segnalato in passato il tentativo del personale di provvedere in proprio agli acquisti degli elementi di prima necessità per la propria attività;
   tale situazione sta anche generando pericoli, come prova la circostanza che il 6 aprile 2014 un'autobotte da sette tonnellate, con oltre 230 mila chilometri alle spalle, abbia perso le ruote posteriori mentre si accingeva ad entrare in autostrada dal casello di Brescia Centro, provocando un incidente che avrebbe potuto anche avere gravissime conseguenze;
   di contro, lo scorso 24 marzo l'agenzia Ansamed ha dato notizia dell'avvenuta consegna al Governo egiziano di ben 56 veicoli antincendio – 3 di grandi, 46 di medie e 7 di piccole dimensioni – di valore complessivamente pari a ben 11 milioni di euro, nel quadro del programma di aiuto alla bilancia dei pagamenti del Cairo, gestito dalla Cooperazione italiana e denominato «Commodity Aid» –:
   per quali ragioni il Governo ritenga di dover anteporre le esigenze della politica di cooperazione allo sviluppo al soddisfacimento delle esigenze primarie del soccorso tecnico urgente nazionale, che scarseggia ormai in uomini e mezzi, e rischia di subire nuovi drastici tagli per effetto della spending review. (4-04409)

  Risposta. — L'episodio menzionato nell'interrogazione in esame, occorso a Brescia il 6 aprile 2014, ha riguardato un'autopompa serbatoio.
  Al riguardo, si precisa che non si è verificato il distacco di ruote o di altre parti del mezzo e che il guasto non ha provocato alcun incidente poiché l'autopompa si è arrestata in condizioni di assoluta sicurezza.
  Con riferimento al programma «Commodity Aid Italia-Egitto», si rappresenta che esso fa capo al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, che, come previsto dalla normativa di settore, ha utilizzato i relativi fondi esclusivamente per l'acquisto di beni di origine italiana. Tra le forniture vi è stata quella di 56 veicoli antincendio consegnati alla Protezione civile egiziana.
  In proposito, il citato Ministero ha rappresentato che il programma è coerente con gli obiettivi strategici della cooperazione italiana delineati nelle linee guida da esso stesso emanate per il triennio 2014-2016, che identificano proprio l'Egitto come uno dei venti Paesi destinatari in via prioritaria degli aiuti italiani.
  Più in generale, per quanto concerne la situazione del parco automezzi e delle attrezzature logistiche del Corpo nazionale, si rappresenta che a causa della riduzione degli stanziamenti sui relativi capitoli di spesa, subiti nel corso degli ultimi esercizi finanziari, non è stato possibile effettuare un'adeguata sostituzione. Ciò ha determinato il progressivo invecchiamento di una certa percentuale dei veicoli, per i quali non è stato possibile effettuare un costante rinnovo.
  Si precisa, tuttavia, che recentemente il decreto-legge n. 119 del 2014, convertito con legge n. 146 del 2014, ha previsto all'articolo 8 misure per l'ammodernamento di mezzi, attrezzature e strutture del Corpo nazionale, autorizzando una spesa di 2 milioni di euro per l'anno 2014, 4 milioni per l'anno 2015 e 6 milioni per ciascuno degli anni dal 2016 al 2021, da destinare al Corpo medesimo per l'acquisto di automezzi per il soccorso urgente.
  Quanto alle carenze di organico, alle quali pure si fa riferimento nell'interrogazione in esame, si segnala che diversi provvedimenti legislativi adottati nel corso degli ultimi anni hanno incrementato le dotazioni organiche dei ruoli operativi del Corpo.
  Un primo incremento di 1.000 unità nella qualifica iniziale di vigile del fuoco si è avuto con l'articolo 8 del decreto-legge n. 101 del 2013, convertito con legge n. 125 del 2013. Tale personale è stato già assunto.
  Successivamente il decreto-legge n. 90 del 2014, convertito con legge n. 114 del 2014, ha previsto un ulteriore incremento degli organici in misura pari a mille e trenta unità.
  Nell'ambito di tale contingente, 400 unità sono state assunte il 29 dicembre 2014 e le restanti 600 saranno assunte nel secondo semestre dell'anno 2015, attingendo, nella misura del 50 per cento ciascuna, dalla graduatoria degli idonei del concorso pubblico a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco e dalla graduatoria degli idonei della procedura selettiva indetta con decreto ministeriale n. 3747 del 27 agosto 2007.
  Le altre 30 unità, destinate alla banda musicale dei vigili del fuoco, saranno assunte secondo le modalità di cui all'articolo 148 del decreto legislativo n. 217 del 2005, per le finalità ivi previste.
  Per completezza, si informa che, sempre il 29 dicembre 2014, sono stati assunti altri 214 vigili del fuoco derivanti dal turn over 2013.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI, MICILLO e NICCHI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i rifiuti radioattivi attualmente presenti in Italia derivano, prevalentemente, dal pregresso programma nucleare, e si trovano nelle installazioni gestite dalla Sogin spa — Centrali nucleari di Trino, del Garigliano, di Latina e di Caorso, definitivamente spente negli anni ottanta, degli impianti EUREX di Saluggia ed ITREC della Trisaia (MT) dell'ex ENEA, degli impianti Plutonio ed OPEC presso il Centro della Casaccia (Roma), nel Deposito Avogadro di Saluggia (VC), della Deposito Avogadro S.p.A. — e nelle installazioni del Centro Comune di Ricerche di Ispra (VA) della Commissione Europea;
   a questi rifiuti si aggiungono i rifiuti prodotti dalle installazioni militari, quelli di origine medica, industriale e di ricerca, per i quali si registra una produzione di alcune centinaia di metri cubi l'anno. Tali rifiuti trovano collocazione presso le installazioni di alcuni operatori nazionali, le più rilevanti delle quali sono le installazioni della Nucleco, presso il Centro ENEA della Casaccia;
   in Italia, i rifiuti radioattivi sono classificati in tre categorie, secondo il grado di pericolosità radiologica:
    a) I categoria: rifiuti radioattivi la cui radioattività decade fino al livello del fondo naturale in tempi dell'ordine di mesi o al massimo di qualche anno. A questa categoria appartengono una parte dei rifiuti da impieghi medici o di ricerca scientifica;
    b) II categoria: rifiuti radioattivi a bassa/media attività o a vita breve, che perdono quasi completamente la loro radioattività in un tempo dell'ordine di qualche secolo;
    c) III categoria: rifiuti radioattivi ad alta attività o a vita lunga, per il decadimento dei quali sono necessari periodi molto più lunghi, da migliaia a centinaia di migliaia di anni;
   i rifiuti radioattivi, classificati in relazione alla tipologia dei radionuclidi presenti secondo i criteri di classificazione definiti nella guida tecnica n. 26 dell'ISPRA, ammontano, al dicembre 2012, secondo la banca dati dell'ISPRA predisposta sulla base dei dati forniti annualmente dagli esercenti, a circa 27.000 metri cubi per la prima e seconda categoria e 1.700 metri cubi per la terza;
   a tali rifiuti andranno ad aggiungersi circa 30.000 metri cubi, prevalentemente di seconda categoria, derivanti dalle operazioni di disattivazione delle installazioni;
   come è noto, non esiste in Italia un deposito centralizzato per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi di seconda categoria e per lo stoccaggio a lungo termine di quelli di terza. I rifiuti radioattivi già prodotti e quelli che continuano ad essere prodotti nelle attività di mantenimento in sicurezza degli impianti, o propedeutiche allo smantellamento, dovranno pertanto continuare ad essere stoccati presso gli stessi siti;
   il combustibile estratto (scaricato) dai reattori contiene ancora una grandissima quantità di elementi fertili (torio, uranio 238) e fissili (uranio 233, 235, plutonio) potenzialmente utilizzabili. In particolare le scorie degli attuali reattori seconda e terza generazione funzionanti ad uranio) contengono una grandissima quantità di U238 (94 per cento), una piccola quantità di U235 e di plutonio (2 per cento) una ancor minore quantità di altri nuclei pesanti (attinoidi) mentre un 3-4 per cento è dato dagli atomi «spezzati» cioè dai prodotti di fissione;
   benché il plutonio sia radiotossico, il suo recupero insieme all'uranio 233 e 235 è talvolta, attuato; il problema è che tali atomi sono frammisti ai prodotti di fissione (anch'essi altamente radiotossici) e vanno dunque separati. Tale processo è detto ritrattamento o riprocessamento delle scorie e produce da un lato nuovi elementi fertili e fissili, dall'altra delle scorie inutilizzabili ed estremamente pericolose che devono essere collocate in luoghi sicuri. Per quanto riguarda i costi, dovendo operare sul «combustibile irraggiato» cioè «spento» ovvero altamente radioattivo, il ritrattamento è una operazione estremamente onerosa e non è detto che sia sempre economicamente conveniente effettuarla;
   va considerato inoltre sottolineato che gli impianti di ritrattamento (così come quelli di arricchimento) sono ovviamente a rischio di incidente nucleare; lo stesso trasporto dei materiali da e per questi impianti è soggetto a rischi. Alcuni degli incidenti più gravi oggi noti sono infatti avvenuti in queste installazioni. Per tali motivi non è detto che il ritrattamento venga attuato (alcuni paesi come gli USA hanno deciso di non ritrattare il combustibile esausto): pertanto con «scorie» si può intendere sia il combustibile scaricato dai reattori, sia lo scarto inutilizzabile dei processi di ritrattamento. Nei due casi i volumi da smaltire (così come i rischi e le problematiche citate) sono molto differenti;
   per quanto riguarda il combustibile nucleare italiano irraggiato derivante dall'esercizio delle centrali nucleari, esso è in gran parte (circa 1630 tonnellate) stato trasferito negli anni passati nel Regno Unito. Nel 2006 è stato stipulato un accordo intergovernativo con la Francia per il riprocessamento delle 235 tonnellate restanti (190 nella centrale di Caorso e 45 nel deposito Avogadro e nella centrale di Trino). Tale accordo prevede il completamento delle operazioni di trasferimento entro il 2015 ed il rientro dei residui in Italia tra il 2020 ed il 2025. Va detto che a seguito del complesso delle operazioni di riprocessamento all'estero dovranno rientrare in Italia alcune decine di metri cubi di rifiuti condizionati ad alta attività;
   nell'audizione dell'ISPRA avvenuta presso le Commissioni VIII e X della Camera dei deputati il 30 ottobre 2013 si è appreso che nell'ambito del suddetto accordo con la Francia è stato completato nel 2010 il trasferimento delle 190 tonnellate di Caorso. Risultavano ancora da trasferire circa 30(t). Va detto che negli anni recenti il trasferimento del combustibile dai siti piemontesi, ripreso nello scorso anno, è proceduto con notevoli difficoltà anche per le note vicende della Val di Susa. Il programma sarebbe attualmente sospeso per il diniego espresso dalle autorità francesi al trasferimento dei rimanenti quantitativi in relazione, da un lato, all'assenza di una specifica autorizzazione per l'impianto di ricezione di La Hague a trattare il combustibile ad ossidi misti presente nel deposito Avogadro, e dall'altro, ed è quello più importante, sul piano più politico, alla necessità, sempre da parte francese, di avere evidenza di concreti progressi in merito alla realizzazione del deposito nazionale, destinato a ricevere i residui derivanti dalle operazioni di ritrattamento;
   la notizia della sospensione del trasferimento dei combustibili italiani in Francia è stata ripresa dalla stampa in questi giorni a seguito di una mozione presentata in consiglio regionale del Piemonte;
   la Stampa di Vercelli in data 11 settembre 2014 riportava un'intervista rilasciata dal neo Presidente di regione Sergio Chiamparino il quale afferma che i vertici SOGIN, da lui interpellati, lo avrebbero assicurato che «i viaggi riprenderanno», intendendo i vincoli oggetto dell'accordo italo francese sul riprocessamento;
   in vista della realizzazione del deposito unico nazionale, anche a seguito dell'emanazione del decreto legislativo n. 45 del 2014 di attuazione della direttiva 2011/70/EURATOM afferente alla «gestione responsabile e sicurezza del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi», pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 71 del 26 marzo 2014 che ha sancito la nascita dell'ISIN: ispettorato per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, permangono dubbi e incertezze sull’iter previsto, anche in considerazione della mancata nomina dei vertici dell'ISIN stessa, tema sulla quale il primo firmatario del presente atto ha presentato già un'interrogazione (4-05411) –:
   se i Ministri interrogato non ritengano opportuno comunicare con massima trasparenza la situazione inerente l'accordo tra Francia e Italia sul trattamento di 235 tonnellate di combustibili nucleari usati italiani firmato il 24 novembre 2006 e attualmente in vigore;
   in vista della realizzazione del deposito unico nazionale ed in attesa delle nomine dell'ISIN, così come previsto dal decreto legislativo n. 45 del 2014, se il Governo non ritenga opportuno stilare e rendere pubblico un cronoprogramma certo riguardo le decisioni da adottare per configurare una policy nazionale che individui gli attori istituzionali necessari affidando loro compiti complementari e congruenti in conformità agli standard Ue ed internazionali. (4-06031)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  L'accordo intergovernativo tra Francia e Italia, siglato a Lucca il 24 novembre 2006, prevede il riprocessamento nell'impianto francese di La Hague di 235 tonnellate di combustibile nucleare, utilizzato presso gli impianti nucleari italiani.
  Ai sensi di tale accordo, in data 27 aprile 2007 la Società gestione impianti nucleari ha stipulato un contratto con la società francese AREVA, per il riprocessamento di combustibile nucleare irraggiato proveniente da Caorso (PC), Trino (VC), Garigliano (CE) e dal Deposito Avogadro di Saluggia (VC).
  Nel luglio 2013, il Governo francese ha rifiutato a So.G.I.N. il consenso alla spedizione dal deposito Avogadro. Le ragioni della mancata concessione dell'autorizzazione al trasporto sono state da un lato, il fatto che la licenza di esercizio dell'impianto di La Hague non consentisse di ricevere la tipologia di combustibile oggetto del trasporto e, dall'altro, che non ci fossero indicazioni chiare in merito alle prospettive di rientro del materiale riprocessato, in considerazione dello stato di avanzamento ancora embrionale della procedura di localizzazione del deposito unico nazionale in Italia.
  Nell'ottobre 2013 si è tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico un incontro bilaterale tra Italia e Francia sul tema. La delegazione francese ha rilevato la notevole valenza politica del programma di spedizione per il proprio Governo, sostenendo che lo stesso potrà riprendere solo se saranno fornite idonee garanzie dal Governo italiano in merito al rientro del materiale riprocessato a La Hague.
  In considerazione dell'apprezzamento comunque espresso dalle autorità francesi circa gli sforzi del Governo italiano sulla questione, So.G.I.N., d'intesa con Areva ha proposto una nuova spedizione da Trino (VC) di materiale differente e compatibile con l'attuale licenza di esercizio dell'impianto di La Hague.
  Nel gennaio 2014 il Governo francese ha, tuttavia, nuovamente rifiutato il consenso alla spedizione, in ordine al fatto che è stata ritenuta prematura la ripresa dei trasporti prima del raggiungimento di tappe significative nel processo di individuazione e realizzazione del deposito unico nazionale in Italia.
  Nel novembre 2014 il Ministro Guidi ha comunicato al Ministro Royal il raggiungimento di una prima tappa significativa con l'emanazione, da parte dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, dei criteri tecnici di identificazione delle aree idonee ad accogliere il deposito nazionale e il conseguente avvio, da parte di So.G.I.N., delle attività di elaborazione della Carta nazionale dei siti, la cui consegna alle autorità italiane è prevista a breve. Essendo stato così intrapreso il procedimento che porterà alla localizzazione del deposito, secondo quanto normativamente stabilito dall'articolo 27 del decreto legislativo n. 31 del 2010, si confida in una risposta da parte del Governo francese che consenta di riprendere i trasporti del materiale da avviare a trattamento, contestualmente definendo il cronoprogramma di rientro.
  Per quanto concerne il secondo interrogativo posto dagli interroganti si evidenzia che la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi è una priorità per il Governo, come si può rilevare dalle previsioni di cui agli articoli 7 e 8 del decreto legislativo n. 45 del 2014, ove è fornita specifica disciplina per la definizione del «programma nazionale» per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi.
  L'articolo 8 del succitato decreto legislativo dispone che il programma nazionale comprenda una serie di elementi tra i quali gli obiettivi generali della politica nazionale riguardante la gestione dei combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, le tappe più significative e chiari limiti temporali per l'attuazione di tali tappe, nonché le responsabilità per l'attuazione del programma nazionale. In quella sede, pertanto, il Governo fornirà le indicazioni richieste in merito alla configurazione di una policy nazionale in materia nucleare.
  Quanto poi all'individuazione degli attori istituzionali nella materia nucleare si evidenzia che, in attesa dell'operatività dell'Isin (Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione), le funzioni di Autorità di regolamentazione competente continuano a essere svolte, ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 45 del 2014, dal Dipartimento nucleare, rischio tecnologico e industriale dell'Ispra.
Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   CAPARINI, BUSIN, MOLTENI, ALLASIA e ATTAGUILE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a seguito del passaggio dalla trasmissione analogica al digitale terrestre sono innumerevoli le difficoltà di ricezione del segnale, in particolare dei canali RAI, riscontrate in ampie aree del Paese; nella provincia di Biella, non è ancora possibile godere della visione dei programmi televisivi RAI nonostante paghino regolarmente il canone. Il 1° agosto 2013 è stato siglato un accordo fra AGCOM, Ministero e RAI che, modificando alcune assegnazioni delle frequenze, avrebbe dovuto risolvere nei prossimi mesi le problematiche interferenziali ai danni del Multiplex 1, Piemonte incluso, e che le graduatorie stilate dallo stesso Ministero per l'assegnazione delle frequenze alle emittenti locali in Piemonte e Lombardia pubblicate avrebbero potuto, inoltre, modificare a breve il quadro pianificatorio risolvendo parte delle interferenze evidenziate;
   a Crespadoro (Vicenza) sono numerosi i problemi riferiti alla ricezione del segnale Rai, che in molti casi si limita ai 3 canali principali, anziché ai 15 pubblicizzati. La concessionaria, nel rispondere alle denunce dei cittadini ha semplicemente spiegato che la mancata visione dei vari canali è dovuta ad una mancanza di copertura del territorio per la quale non è responsabile la concessionaria pubblica;
   nei comuni facenti parte del la comunità montana della Valsassina, Val D'Esino e della Valvarrone in provincia di Lecco, comprendente 28 comuni per un totale di circa 20 mila abitanti che nel periodo turistico raggiungono le 100 mila presenze, perdurano le difficoltà di ricezione che rimangono gli stessi già fruibili con la vecchia tecnologia di trasmissione. Nel contempo gli operatori concorrenti il sistema radiotelevisivo nazionale (su tutti Mediaset e La 7) hanno provveduto ad ottimizzare l'emissione del segnale permettendo così la perfetta ricezione e visione dei relativi canali televisivi;
   in provincia di Rimini disfunzioni di diversa natura, spesso legate a specifiche condizioni meteorologiche. In alcune zone del territorio ulteriori segnali arrivano e interferiscono anche da altre regioni, come nel caso delle interferenze provocate dal ripetitore di Udine in Friuli Venezia Giulia, mentre recentemente sono stati segnalati un problema di abbassamento di potenza del ripetitore localizzato a San Marino e problemi al ripetitore di Monte Nerone;
   rispondendo a numerose interrogazioni in materia relative alla scarsa o assente copertura del segnale presentate presso la Commissione di vigilanza RAI, l'azienda concessionaria per l'area oggetto dell'interrogazione ha confermato l'esistenza delle problematiche interferenziali precisando di aver ripetutamente informato il Ministero dello sviluppo economico della questione;
   qualunque sia la causa alla base del problema della mancata ricezione del segnale RAI i cittadini convengono che non siano state attivate azioni mirate al fine di garantire una reale situazione di accesso al nuovo sistema che doveva offrire, nelle dichiarazioni iniziali, maggiori servizi, portando ad un miglioramento della situazione preesistente (tanto che a questo scopo sono state destinate alla RAI, negli ultimi anni, ingenti risorse ad esempio, nel decreto-legge n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011, circa 60 milioni di euro);
   la Rai, in qualità di concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, così come previsto dall'articolo 45 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, dovrebbe svolgere un servizio pubblico sul territorio italiano, sulla base di un contratto nazionale stipulato con il Ministero delle comunicazioni, assicurando a tutti i cittadini la possibilità di usufruirne;
   la discordanza fra quanto espresso nel contratto di servizio e la realtà dei fatti mina la credibilità e la trasparenza del sistema radiotelevisivo pubblico, e ne mette in dubbio l'affidabilità;
   in Commissione Trasporti della Camera dei deputati giace una risoluzione che impegna il Governo a consentire alle emittenti locali la trasmissione di marchi, programmi o palinsesti di emittenti nazionali, misura che consentirebbe di risolvere l'annosa questione della carenza frequenziale della concessionaria pubblica radiotelevisiva nelle aree marginali del Paese –:
   quali azioni di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere per far sì che il diritto di accesso alle reti del servizio pubblico radiotelevisivo sia garantito, attraverso la trasmissione in tecnica digitale terrestre, a tutti i cittadini italiani con copertura integrale sul territorio, così come previsto dall'articolo 45 del decreto legislativo n. 177 del 2005 e dal contratto di servizio stipulato tra l'azienda e il Ministero. (4-07545)

  Risposta. — In merito alle difficoltà di ricezione del segnale dei canali Rai riscontrate in diverse aree del Paese, si fa presente quanto segue.
  Per le carenze riscontrate nella ricezione dei programmi dei Mux Rai nella zona di Crespadoro (VI) e nei comuni facenti parte della comunità montana della Valsassina, Val d'Esino e Valvarrone, la società, ha evidenziato che la copertura radioelettrica in tali zone non risulta inferiore alla precedente copertura analogica di Rai 1, nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 6 del contratto di servizio attualmente in vigore.
  In ogni caso, considerato che la missione della società Rai è quella di migliorare, compatibilmente alle risorse frequenziali ed economiche disponibili, l'offerta radiotelevisiva, i competenti uffici del Ministero dello sviluppo economico hanno richiesto approfondimenti circa le problematiche di ricezione dei Mux Rai nelle zone della comunità montana suindicata.
  Si evidenzia, comunque, la possibilità per gli enti locali, di richiedere l'attivazione di impianti ripetitori ai sensi dell'articolo 30 comma 1 del decreto legislativo n. 177 del 2005 (Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici). Considerate, infatti, le difficoltà di ricezione esistenti nelle zone che per la loro conformazione orografica sono da sempre difficilmente raggiungibili dal segnale terrestre, in aggiunta agli oltre 2000 impianti gestiti da Rai Way sono stati autonomamente realizzati e gestiti altri impianti da parte degli enti locali. In Val d'Aosta, in occasione dello switch off è stato definito un accordo tra la regione e Rai Way che affida a quest'ultima la gestione di tali impianti per ciò che concerne la parte radioelettrica; in Piemonte e nel Lazio sono stati individuati alcuni siti di comunità montane per i quali Rai Way ha fornito gli apparati radioelettrici in comodato gratuito, sovvenzionati con contributo statale. Altri analoghi interventi sono stati effettuati con l'intervento diretto delle regioni o di altri enti senza il coinvolgimento di Rai.
  La Rai ha, inoltre, segnalato che i singoli utenti televisivi possono usufruire (dotandosi di parabola e decoder satellitare) della ricezione dell'intera offerta digitale mediante l'utilizzo della nuova piattaforma satellitare gratuita tivù sat che replica sul satellite l'intera programmazione del servizio pubblico e di altri canali nazionali ed esteri.
  Per quanto riguarda poi, la provincia di Biella, si comunica che sono state avviate analisi tecniche per la compatibilizzazione tra l'impianto Rai e quello dell'emittente locale Telelibertà irradianti da Monte Penice sul canale 22.
  Il canale 22 è stato confermato all'emittente Telelibertà per il servizio in Lombardia e l'accordo procedimentale sottoscritto in data 1o agosto 2013 dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Mise e Rai, che ha prodotto la delibera 149/14/CONS, ha assegnato alla Rai il CH. 22 in Piemonte.
  È stato, pertanto, avviato un tavolo tecnico tra Agcom, Mise, Rai e Telelibertà, al quale ha fatto seguito una attività tecnica di compatibilizzazione da parte dell'ispettorato tecnico Piemonte, ancora in corso, e che sta producendo, con la collaborazione della società Rai e Telelibertà miglioramenti del servizio della concessionaria pubblica nelle aree piemontesi.
  Risultano, invece, risolte le problematiche dei Mux Rai in provincia di Rimini, in quanto la società Rai ha proceduto all'abbassamento della potenza di trasmissione degli impianti Rai di Udine, che interferivano alcuni impianti Rai in Emilia Romagna, verificando, successivamente, il miglioramento della ricezione.
  Al riguardo, la società Rai ha evidenziato che al fine di rendere ottimale la ricezione dei Mux Rai è necessario che la popolazione residente nella zona della costa riminese orienti correttamente le proprie antenne verso le sorgenti costituite dagli impianti di Mordano di Romagna (San Marino), Riccione e Bertinoro.
  Per quanto riguarda, infine, la zona di Monte Nerone (PU), risulta che il relativo impianto Rai Mux 1, interferisce un'emittente nazionale in Umbria e che, pertanto, la società Rai dovrà presentare un progetto di modifica dell'impianto stesso, per il contenimento delle emissioni nella regione Marche.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   CASTELLI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'area del Vicentino, come altre zone del Nord Est, risente in maniera forte dell'attuale crisi economica europea ed italiana anche per quanto riguarda la tenuta occupazionale;
   dal 2011 è andata in crisi ed è arrivata alla fine dello stesso anno in fallimento l'azienda Thermoplast di Orgiano, azienda che fabbricava oggetti di materiale plastico e dava occupazione a circa 100 dipendenti;
   è in corso da tempo un'azione giudiziaria di cui dà dettagliata notizia il quotidiano il Giornale di Vicenza il 15 gennaio 2014: «Il provvedimento civile chiama in causa gli amministratori, i principali dirigenti e i componenti del collegio sindacale di Thermoplast e di società collegate, a partire dal fondatore Gaetano Ferrari, 71 anni, di Altavilla, assistito dall'avvocato Marco Dal Ben, per proseguire con la sorella Claudia Ferrari, 60 anni, di Montecchio Maggiore; il nipote Mirko Bertuzzo, 40 anni, anch'egli di Montecchio Maggiore e i dirigenti Mauro Pagnin, 54 anni, di Vigodarzere e Valeriano Faccio, 56 anni, di Creazzo. Sono colpiti dal sequestro anche i sindaci Andrea Pier Carli, 78 anni, di Vicenza, Claudio Borasio di Alessandria e Tiberio Martinelli, 66 anni, di Cologna, per non avere rilevato con tempestività i comportamenti dannosi degli amministratori. L'inchiesta della procura era stata avviata su segnalazione della curatela che fin da subito aveva ravvisato gravi irregolarità nei confronti dell'imprenditore Ferrari, indagato per concorso in bancarotta fraudolenta assieme ad altre persone. Le indagini della polizia tributaria della guardia di finanza sono coordinate dal pubblico ministero Luigi Salvadori, che è prossimo a inviare gli avvisi di conclusione delle indagini. Quest'ultime svolte anche all'estero sono complicate dagli intrecci societari. L'inchiesta della procura era stata avviata su segnalazione della curatela che fin da subito aveva ravvisato gravi irregolarità nei confronti dell'imprenditore Ferrari, indagato per concorso in bancarotta fraudolenta assieme ad altre persone. (...) Infatti, per gli inquirenti se a partire dal 2005 Thermoplast aveva conosciuto difficoltà gestionali, è il 22 novembre 2010 che con la fusione per incorporazione dell'azienda decotta Design Plast srl, che faceva capo sempre alla famiglia Ferrari, esplosero le contraddizioni con l'acquisizione di un sacco di debiti. Quell'anno la società accusò perdite per 14 milioni di euro e il patrimonio netto diventò negativo di 9 milioni. Questa fusione, concordano gli esperti di tribunale e procura, ha «contribuito a determinare lo stato d'insolvenza». Ma perché allora fu fatta, se fu perniciosa? Perché Gaetano Ferrari, secondo gli inquirenti, temeva che il fallimento di Design Plast coinvolgesse i suoi parenti e travolgesse anche il proprio patrimonio a causa delle garanzie immobiliari rilasciate. Ferrari, per contro, non la pensa così, fatto sta che deve rispondere di concorso in bancarotta assieme a Marco Bertan (avvocato Enrico Ambrosetti) e Umberto Santich (avvocato Valeria Lievore), amministratori di Plast Echology, con la quale venne stipulato un contratto d'affitto d'azienda. Inoltre, sono indagati pure Mario Fossatelli, già amministratore di Palazzetto spa, il prestanome romano Raffaele Campaiola, amministratore delle società che acquisirono il patrimonio di Ferrari, e Paola Pantano e Franco Ortenzi»;
   inoltre sempre ne il Giornale di Vicenza, il 13 settembre 2012 si legge: «Dunque, l'impero patrimoniale che Ferrari si era costruito in una vita di ingegnoso lavoro, a causa di scelte imprenditoriali negli ultimi anni sbagliate, complice la gravosa crisi che dal 2008 ha messo in ginocchio larga parte dell'economia occidentale, è in buona parte a disposizione dei creditori. Soprattutto le banche che avevano finanziato l'acquisto di numerosi immobili per i quali avevano consegnato a Ferrari un sacco di milioni. Oltre al fondatore del gruppo, sono indagati per concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale per il dissesto Thermoplast, Marco Bertan (avvocato Enrico Ambrosetti e Luca De Muri) di Creazzo, e Umberto Santich (avvocato Valeria Lievore) di Latina, amministratore di Plast Echology, ditta che ha stipulato un contratto di affitto di ramo d'azienda con la prima e che per Salvadori sarebbe stato un mezzo per «porre in essere operazioni di mera dissipazione del patrimonio di Thermoplast». Sotto inchiesta è finito anche Mario Fossatelli, 63 anni, di Ciampino, amministratore di Palazzetto, il cui pacchetto azionario era controllato per il 99 per cento dalla fiduciaria Kompass Limited Liability e il rimanente 1 per cento da Maurio Pagnin, già dirigente di Thermoplast. Con Fossatelli è indagato pure colui che, per la Finanza, è il prestanome romano Raffaele Campaiola, amministratore di Esopus Holding sa, Esperian srl e Berica Società Forestale srl, che hanno acquisito il ricco patrimonio di Ferrali»;
   l'amministratore della Plast Echology Umberto Santich è persona già nota alle cronache giudiziarie da tempo; in particolare Daniele Autieri nel suo recente libro la Provvista cita più volte Santich per le sue società di copertura di attività presumibilmente illecite insieme al consigliere comunale Orsi per una torbida vicenda di fondi raggirati dalla regione Campania a favore di bambini handicappati; eppure Umberto Santich era stato, a detta di Autieri, presidente di una ong di cooperazione internazionale, il CINS ma anche amministratore di FIN SOCIAL, società con scopo sociale l'attività di lobbying nei Paesi del terzo mondo;
   il senatore Elio Lannutti nella XVI legislatura aveva interrogato il Ministro degli esteri con atto 4-07498 del 17 maggio 2012; nell'atto ispettivo il senatore Lannutti scriveva «i quotidiani romani e nazionali hanno dato notizia di un'inchiesta del pubblico ministero Paolo Ielo incardinata presso la Procura della Repubblica di Roma sul consigliere comunale romano Orsi e sul suo consulente commercialista Umberto Santich, in relazione ad alcune vicende finanziarie ed immobiliari conseguenti alla distorsione di fondi pubblici destinati a bambini gravemente malati e disabili della Campania; Il Messaggero del 6 febbraio 2011 in particolare riportava alcune dichiarazioni al pubblico ministero Ielo di Vincenzo La Musta (ex collaboratore di Orsi) a proposito di come Orsi recuperasse il denaro per acquistare gli immobili nelle circa 200 aste delle cartolarizzazioni del Ministero del tesoro: La provvista la realizzava attraverso sue società. La contabilità è tenuta in Toscana, presso un commercialista (...) so che si approvvigionava anche a Benevento, al sud, con flussi finanziari che venivano schermati da società del gruppo. La contabilità reale, tuttavia, è tenuta da Umberto Santich (...) socio della società “la Fontana”, con sede a Minturno, che utilizza per le compravendite immobiliari. Una parte delle quote è detenuta da una fiduciaria in Svizzera; dalle visure camerali presso la Camera di commercio si rilevano le seguenti attività di Umberto Santich, nato a Minturno il come ex azionista o azionista o socio delle seguenti società: Svimm immobiliare Srl, Seam 3A Srl, Dimensione virtuale Srl, Balestrari Prati Srl, Balestrari Campo Srl, Ostara Srl, Indu-striando Srl, Memory in Life Srl, Mirabilia Re Srl, Fontana Srl; dalla consultazione dei documenti camerali si rileva che Santich è inoltre stato o è tuttora amministratore: preposto in Lucia Srl uni personale; U.R. Srl.; Um. MA. Immobiliare Snc; Kairus Immobiliare Sas.; Unica società di mutuo soccorso; Phantasia Sas; Elco Sas; Il Vascello Sas; Ism Snc; Bullicante Immobiliare Srl; Svimm Immobiliare Srl; Fin Social Srl; la Fontana Srl con sede in Minturno, provincia di Latina, sarebbe stata, per quanto apparso sulla stampa citata, il presumibile vettore principe di pulizia dei capitali illeciti della vicenda Orsi; risulta che fino a poco tempo fa il Presidente del CINS era un certo Umberto Santich e in ogni caso che il 28 aprile 2009 Irene Pivetti, presidente della fondazione “Leam to be Free”, conduce un'iniziativa a Roma sulla cooperazione in Colombia con il Presidente del CINS, Umberto Santich; premesso che sul sito del Ministero relativo alle prestazioni professionali per il 2011-2012 in tabella è previsto un compenso per 75.000 euro complessivi per Umberto Santich, e che nella stessa tabella dei consulenti del Ministero, insieme a Santich, appare anche l'avvocato Marco Rago, compensato con 110.000 euro e tra l'altro incaricato di varie mansioni dal commissario di Governo per l'Expo Shanghai 2010; si chiede di sapere se gli azionisti di Fontana Srl sono lo stesso Umberto Santich e la Mitone Holding Sa, corso Elvezia n. 13, Lugano, cioè una fiduciaria schermo svizzera; lo stesso Umberto Santich risulta essere stato amministratore o essere stato, in imprese di lobbying impegnate in business all'estero nei Paesi poveri, presidente di una ONG di cooperazione, finanziata tra l'altro dal Ministero degli affari esteri, ed inoltre consulente di rilievo dello stesso Ministero; nel caso in cui Umberto Santich sia la medesima persona e non si tratti di un caso di omonimia, quali siano i motivi per cui, alla luce dell'indagine del pubblico ministero Ielo della procura della Repubblica di Roma, non si sia provveduto alla sospensione dell'incarico di consulenza per il Ministero a Santich; (...) quali iniziative intenda adottare al fine di dirimere tutti i possibili i conflitti di interessi nelle persone incaricate dallo stesso Ministero, allontanando ogni sospetto su vicende che appaiono espressione di difesa di interessi privati in contrasto con la tutela dell'interesse generale»;
   la risposta, in data 12 luglio 2012, all'interrogazione del senatore Lannutti da parte del sottosegretario Dassù appare contraddittoria; se da una parte non risponde sulla coincidenza o meno di persona sul nominativo Santich tra la persona indagata per la vicenda Orsi e il dirigente a contratto alla Farnesina nel 2011/2012 («Il signor Umberto Santich non è noto né quale membro dell'organizzazione non governativa Cooperazione italiana Nord Sud (CINS), menzionata nell'atto, né, tanto meno, quale Presidente della stessa»), dall'altra, ultra petita, informa a proposito del CINS che il signor Rocco Borgia, nominato dal 22 ottobre 2008 rappresentante legale del CINS successivamente nominato liquidatore della stessa organizzazione, e il signor Filippo Statuti Iacocucci, ex Segretario generale del CINS, sono stati rinviati a giudizio (per i reati di cui agli articoli 54, 110 e 640-bis del codice penale) dalla procura della Repubblica di Roma per truffa ai danni del Ministero;
   dalla consultazione recente del camerale di Santich, nato a Formia il 25 gennaio 1968, si evince la coincidenza di persona tra quello implicato nel processo Orsi a Roma con quello di Plast Echology di cui alla citata vicenda penale di Vicenza;
   da una banale ricerca con motori di ricerca piuttosto risulta http://www.Itbf.it/allegati/.INVITO–WORKSHOP–II–LA,–28– aprile–2009.pdf la presenza, di Umberto Santich quale presidente del CINS nel 2009 a un prestigioso convegno internazionale –:
   se, dagli atti depositati o da notizie in possesso del Governo, non emergano ulteriori profili volti a chiarire la vicenda già oggetto di esame in occasione dello svolgimento, nel luglio 2012, dell'interrogazione n. 4-07948, citata in premessa;
   se risulti se la questione sia stata a suo tempo segnalata alla Corte dei conti;
   quali iniziative siano state assunte dal Governo affinché persone che sono incorse in vicende giudiziarie, come il citato Santich, non possano continuare a svolgere attività per conto di istituzioni finanziate dallo Stato ovvero intrattenere addirittura rapporti di collaborazione, in qualsiasi forma, con i Ministeri. (4-06315)

  Risposta. — Come a sua tempo evidenziato in risposta alla precedente interrogazione sul tema, richiamata anche dall'interrogante, si conferma che il signor Umberto Santich non è noto al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale né quale membro dell'organizzazione non governativa «Cooperazione italiana Nord Sud» (Cins) né quale Presidente della stessa.
  Nel 1998, il Ministero ha ricevuto una richiesta di riconoscimento di idoneità ai sensi della legge n. 49 del 1987 da parte dell'organizzazione Cooperazione italiana nord sud, concessa nel 2000. Al momento del riconoscimento dell'idoneità. Presidente del Cins risultava essere il dottor Antonio Domenico Provenzani, che ha ricoperto tale carica fino al 2007.
  Quanto poi alla richiesta volta ad accertare se il signor Umberto Santich di cui alle cronache giudiziarie brevemente delineate nella prima parte della interrogazione coincida con l'Umberto Santich titolare di un contratto di consulenza con il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale dal 2011 al 2012, si sottolinea che, a seguito di una ricerca tra i contratti repertoriati dai competenti uffici della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (Dgcs), tra tutti gli esperti esterni inviati in missione, non risulta agli atti evidenza di alcuna missione, né contratto di consulenza stipulato con alcun signor Umberto Santich.
  Si segnala, infine, che prima di procedere all'instaurazione di rapporti di collaborazione, in qualsiasi forma, vengono effettuati i previsti controlli d'ufficio ai sensi degli articoli 43 e 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 e si richiede all'interessato una autocertificazione sul godimento dei diritti civili e politici.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   CIMBRO, FIANO, ALBANELLA, CAPONE, COVA, GARAVINI, LAFORGIA, LAVAGNO, LOCATELLI, MARANTELLI, MINNUCCI, MOGNATO, PRINA, SCANU, SCOTTO, ROMANINI, TERROSI, VERINI, PELLEGRINO e GRIBAUDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'anno 2009 l'amministrazione comunale di Turbigo provvedeva a titolare una via di nuova progettazione al defunto Ezio Maria Gray, gerarca fascista che sostenne pubblicamente il Manifesto della razza del 1938 e le leggi razziali, aderendo poi nel 1943 alla Repubblica sociale italiana;
   costui fu, infatti, un personaggio che durante il regime fascista rivestì ruoli e cariche rilevanti, tra cui luogotenente generale della Milizia, consultore della Scuola di mistica fascista, membro del Gran consiglio del fascismo e del direttorio nazionale del Partito nazionale fascista, Vicepresidente della Camera dei fasci. Fu catturato nell'aprile del 1945 dopo una fuga avventurosa da Milano, stava per essere fucilato ma si gettò in ginocchio davanti ai partigiani implorando un regolare giudizio e fu risparmiato. Durante il processo davanti all'Alta Corte di Giustizia, il Gray ammise senza alcun pentimento ed, anzi, con «orgoglio» il proprio contributo nell'aver mantenuto in vigore il regime di Mussolini nonché il proprio sostegno all'intervento in guerra. Fu condannato a 20 anni di reclusione; venne poi scarcerato nel 1946 grazie all'amnistia concessa da Togliatti con l'avvento della Repubblica;
   approfondendo la biografia di Ezio Maria Gray, è emerso come costui fosse un gerarca che si distinse per la costante propaganda, violenta e razzista, dell'ideologia fascista. Ancor prima del fascismo, nel 1911 il Gray, tenente di fanteria, volontario nella guerra di Libia, contribuì alla sanguinosa repressione della rivolta di Tripoli che vide una quantità impressionante di fucilazioni e impiccagioni;
   dopo l'adesione al fascismo, si distinse per il suo violento antibolscevismo e fu un «ras» tenace, duro e facinoroso, un sostenitore del cosiddetto «squadrismo». Partecipò, in particolare, alle numerose azioni violente promosse nel luglio del 1922 dalle «bande» del fascismo novarese contro i socialisti (che causarono la distruzione di circa 50 circoli del partito socialista nella Provincia di Novara, provocando decine di morti e feriti), culminate nel celebre assalto alle istituzioni democratiche (40 comuni amministrati dai socialisti), tra cui l'estromissione della giunta e del sindaco Giuseppe Bonfantini dal Palazzo Civico di Novara. Inoltre, deplorò, sul momento, l'uccisione nel 1924 di Giacomo Matteotti, per poi però considerarla «necessaria»;
   il Gray fu un personaggio esplicitamente razzista: il suo nome compare nell'elenco di coloro che sostennero pubblicamente l'aberrante ideologia contenuta nel Manifesto della razza del 1938, appoggiando le ignominiose leggi razziali. Già a partire dal 1937, infatti, il Gray aveva avviato una campagna propagandistica razzista per mezzo della rubrica radiofonica «Cronache del regime», considerato tra i responsabili politici della persecuzione razziale, durante la RSI il Gray encomio sulla stampa la squadra d'azione «Muti» (punta di diamante della repressione antipartigiana, protagonista di numerosi rastrellamenti e crimini), esaltando fino all'ultimo l’«indistruttibile vitalità del fascismo»;
   v’è da aggiungere che, riacquistata la libertà grazie all'amnistia, il Gray capeggiò formazioni neofasciste clandestine e poi riprese l'attività politica quale dirigente del Movimento sociale italiano. Un rapporto dei servizi segreti statunitensi sulla riorganizzazione di gruppi paramilitari di estrema destra riferiva che «il membro più attivo è Ezio Maria Gray, il giornalista fascista recentemente amnistiato». Il Governo De Gasperi mandò Gray al confino definendolo «pericoloso all'esercizio delle libertà democratiche»;
   tornando all'oggetto di questo atto, il movimento popolare che ha accompagnato la presa di coscienza del fatto, ha redatto una petizione popolare sottoscritta da più di 400 cittadini turbighesi (che ha ottenuto il sostegno di numerose sezioni dell'A.N.P.I, di associazioni culturali e storici del territorio) al fine di eliminare tale titolazione che appare offensiva dei valori della democrazia repubblicana. Tale petizione è stata consegnata al sindaco il quale nel giugno scorso individuò nella giunta l'organo per discutere la problematica. Di tale scelta furono avvisati i sottoscrittori in apposita riunione dei capigruppo;
   durante questa il sindaco spiegò che tale decisione derivava dalla possibilità che durante il consiglio comunale potessero esserci scontri fra sostenitori dell'una e l'altra parte, conseguenti a due serate organizzate da A.N.P.I. a favore della petizione e da organizzazione della costellazione neofascista a sostegno della titolazione. Tale dubbio, legittimo, appariva tuttavia inusuale: il consiglio comunale di una Repubblica ormai matura, non deve mai apparire ostaggio di elementi che combattono tale Repubblica ed il suo sistema valoriale. Inoltre, rappresentanti di partiti o movimenti neofascisti non erano mai stati presenti in precedenza in consiglio;
   a seguito di ciò, i membri del gruppo consiliare «Uniti per una Turbigo da vivere» e gli ideatori della sottoscrizione, hanno provveduto a chiedere il consiglio comunale, modalità più atta a garantire la possibilità di comprendere le ragioni delle parti e discutere delle scelte eseguite;
   al sopraddetto consiglio, tenutosi il 24 luglio 2014, figuravano diversi rappresentanti delle forze dell'ordine, di cui alcuni dotati di equipaggiamento antisommossa. Tale spiegamento di forze trovava ragione nella presenza estemporanea e numerosa di diversi rappresentanti di Casa Pound, tutti in supporto della titolazione della via ad Ezio Maria Gray;
   purtroppo il confronto fra le due diverse idee (mantenere ed abolire la titolazione) ha mostrato chiaramente e il sostegno dell'amministrazione comunale al Gray, ma non alla persona ed al suo agire al di fuori, delle attività di partito, ma all'insieme valoriale stesso del fascismo; nello specifico, ha colpito quanto dichiarato dal sindaco e dall'assessore Fabrizio Allevi;
   secondo le dichiarazioni il Gray ha donato dei libri alla biblioteca di Novara ed al comune di Turbigo; è uomo di cultura, tanto è vero che il suo nome compare in una targa nella biblioteca di Novara; ha realizzato documenti ed esternazioni che vanno intese per il periodo in cui furono pronunciate; il Gray è stato giornalista e parlamentare della Repubblica; non è stato condannato per reati di sangue e d'oro; ha rappresentato «con coerenza» una parte della storia, dimostrandosi «una persona di indubbia qualità culturale e morale»;
   gravissime le affermazioni dell'assessore Fabrizio Allevi, il quale ha provveduto a citare le parole del Presidente della Repubblica in merito all'invasione ungherese da parte dell'Unione Sovietica;
   la posizione delle opposizioni è stata ferma e documentata, tendente a dimostrare come i soli fatti certi della vita del Gray durante il fascismo siano talmente gravi ed univoci da rendere impossibile il mantenimento della titolazione della via;
   al termine del consiglio comunale, che ha visto il mantenimento della titolazione, si è potuto osservare la sfilata dei rappresentanti delle associazioni della costellazione neofascista andare a stringere la mano del sindaco;
   in modo del tutto spontaneo diversi cittadini hanno cominciato a lasciare sul palo indicante il cartello della titolazione dei nastrini colorati. Nessuna scritta, nessun insulto: solo dei nastrini quale forma di simbolica e pacifica protesta verso l'omaggio fatto dall'amministrazione comunale ad un personaggio che si rese corresponsabile degli orrori perpetrati durante la dittatura fascista;
   ulteriore dimostrazione di quale ruolo abbia il Gray nel panorama del neofascismo è riscontrabile da quanto pubblicato sui giornali digitali e su Facebook. È stato creato un gruppo in cui sono comparsi post di chiaro stampo fascista, per non dire di altri in cui si riportano articoli di Gray tratti dall'Istituto di cultura fascista;
   la presenza di una via intitolata al gerarca non può che creare comprensibile inquietudine ed allarme in tutti coloro che hanno a cuore i valori antifascisti, di libertà, pace e fratellanza, custoditi nella nostra Costituzione –:
   se il Ministro dell'interno intenda acquisire elementi in relazione all'istruttoria condotta per intitolare ad Ezio Maria Gray una via nel comune di Turbigo;
   se non intenda assumere iniziative normative per introdurre un esplicito divieto di autorizzare la denominazione di vie o piazze ad esponenti politici fascisti o legati alla storia del regime fascista.
(4-06821)

  Risposta. — Il comune di Turbigo, con delibera della giunta comunale del 31 gennaio 2007, ha approvato l'intitolazione di una via di nuova progettazione al defunto Ezio Maria Gray. Detta intitolazione è stata autorizzata dalla prefettura di Milano in data 2 agosto 2007, previo parere favorevole della Società storica lombarda.
  Ezio Maria Gray è stato deputato nella seconda e nella terza legislatura, nonché senatore nella quarta legislatura. È stato anche consigliere comunale a Roma e a Novara dal 1960 al 1961. In precedenza aveva ricoperto la carica di deputato anche nel ventennio fascista.
  Dal punto di vista professionale, s'identifica come scrittore, giornalista, direttore di giornali e collaboratore di rubriche radiofoniche dell'Ente nazionale audizioni radiofoniche.
  Ezio Maria Gray ha donato la propria collezione di libri al comune di Turbigo, dove ha trascorso parte della sua vita nella villa che è oggi la sede municipale. Nel settembre 2003, la provincia di Milano ha stanziato un contributo per la valorizzazione del patrimonio librario donato dal Gray al comune di Turbigo, patrimonio che poi, nel 2006, è stato riconosciuto di livello sovracomunale nei progetti «Tesori Nascosti» del polo culturale del castanese.
  Nel giugno 2014, 423 cittadini, sostenuti da alcune sezioni dell'Associazione nazionale partigiani d'Italia, hanno presentato al comune di Turbigo una petizione diretta ad ottenere la cancellazione della denominazione stradale dalla toponomastica comunale, in quanto ritenuta offensiva dei valori della democrazia repubblicana, a causa della notoria militanza del predetto Gray nelle gerarchie del ventennio fascista.
  La richiesta è stata respinta nella seduta del Consiglio comunale del 24 luglio 2014,
  La presenza di un contingente dell'Arma dei carabinieri in tale occasione, all'esterno della sala consiliare e senza alcuna interferenza con i lavori, è da riferirsi a una valutazione effettuata del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, in considerazione della delicatezza delle tematiche sollevate dalla petizione nonché della possibile presenza di esponenti di ideologie politiche contrapposte.
  Nel corso della predetta seduta, comunque, non si sono verificate turbative dell'ordine e della sicurezza pubblica.
  Si soggiunge, sul piano normativo, che l'attribuzione, da parte dei comuni, di toponimi a nuove aree di circolazione è disciplinata dall'articolo 1 della legge n. 1188 del 1927, che attribuisce al Prefetto la competenza ad autorizzare intitolazioni di nuove strade, piazze pubbliche o monumenti.
  L'attuazione della legge è oggetto di costante monitoraggio da parte dell'amministrazione dell'interno, che al momento non ravvisa gli estremi di un intervento normativo.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   FIORONI, MARRONI, MARCO DI STEFANO, VALIANTE, FIORIO, PARIS, BARGERO, GRIBAUDO, MARIANI, D'OTTAVIO, GIULIETTI, FASSINA, D'ATTORRE, GIORGIS, LEVA, GIANNI FARINA, CARLO GALLI, CHAOUKI, MOSCATT, GULLO, MIGLIORE, CIVATI, ALBINI, STUMPO, GIUSEPPE GUERINI, CARRA, BENAMATI, INCERTI, GASPARINI, LATTUCA, ZOGGIA e GRASSI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le recenti dichiarazioni del Presidente del Consiglio e del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione rendono esplicite le intenzioni del Governo di prorogare ancora per un anno il blocco della contrattazione di contenuto economico, prolungando quanto previsto, in origine dall'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 e successivamente dal decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2013, in attuazione della previsione di cui all'articolo 16 del decreto-legge n. 98 del 2011;
   per la prima volta nella storia della Repubblica il contratto nazionale dei dipendenti pubblici e la loro retribuzione resta fissata a quella prevista dal contratto 2006-2009, sei anni senza rinnovo contrattuale e di adeguamento alle retribuzioni;
   nel comparto privato, nonostante la crisi e con la responsabilità di tutte le parti, si stanno rinnovando i contratti con innovazioni importanti e per niente scontate in tema di retribuzione, di produttività, di funzioni della contrattazione aziendale;
   è condivisibile la preoccupazione riguardo ai bilanci dello stato e alla dinamica della spesa pubblica. La spesa consolidata delle pubbliche amministrazioni ha infatti superato la soglia degli 800 miliardi di euro con una previsione per il 2014 di quasi 810 miliardi. Il contenimento della spesa è una priorità del Paese. La revisione dei bilanci e la ristrutturazione delle uscite comporta un impegno che non si può eludere. Tuttavia, la linea di rigore e la «politica della lesina», deve seguire un'analisi approfondita delle voci di spesa, secondo i criteri di una ben intesa spending review, e un'attenzione forte all'equità e alle esigenze della crescita economica;
    mentre l'aggregato della spesa pubblica aumenta progressivamente, la componente di spesa legata alle retribuzioni dei dipendenti pubblici è in costante flessione. Dal 2010, anno in cui è stato introdotto il blocco della contrattazione, al 2013 la spesa è scesa di 8 miliardi, consegnando al risanamento oltre mezzo punto in termini di rapporto spesa/Pil. Nel solo 2013, rispetto al 2012, la spesa per redditi da lavoro dipendente si è ridotta dello 0,7 per cento;
   le misure di forte limitazione al turn-over nei settori pubblici, dal 2006 al 2012 hanno fatto scendere i lavoratori pubblici di 310 mila unità. Una riduzione che ha alleggerito i costi del personale, senza tuttavia essere seguita da una necessaria razionalizzazione delle risorse umane e da una reale riorganizzazione dei servizi in base ai mutati bisogni di persone, imprese e comunità;
   rispetto all'Europa i numeri del pubblico impiego nel nostro Paese sono virtuosi, la quota di spesa pubblica sul PIL al netto degli interessi nel 2013 è stata pari al 45,55 per cento del PIL, circa un punto e mezzo sotto il livello medio dell'area euro;
   i dati di comparazione delle retribuzioni secondo l'Ocse evidenziano in Italia una spesa di quasi tre volte la media europea per i livelli più elevati della dirigenza e di contro registrano una penalizzazione per i funzionari italiani, personale per lo più laureato e comunque con professionalità medio-alta, con retribuzioni comparativamente più basse a livello internazionale;
   il problema della spesa pubblica, dunque, non è legato al costo del pubblico impiego ma a fattori di altra natura. A partire dal decentramento fallito risoltosi in un policentrismo anarchico che ha condotto all'irrigidimento della spesa corrente destinata ai costi di funzionamento della macchina pubblica, drenando risorse destinate ai servizi e alla innovazione, e ad un progressivo aumento del prelievo fiscale. Tra il 1997 e il 2014, i tributi centrali, pari al 78 per cento del gettito totale, sono aumentati del 42,4 per cento (in termini assoluti pari a 112 miliardi). I tributi locali, invece, hanno registrato un incremento del 190,9 per cento (pari, in termini assoluti, a + 69,5 miliardi di euro), con un gettito che nel 2014 sfiorerà i 106 miliardi di euro. La pletora di «apparati ombra» e la duplicazione di centri decisionali, oltre ad una conseguente frammentazione dell'azione amministrativa, spiegano altresì l'anomalia della spesa per acquisti di beni e servizi, un capitolo che pesa 132 miliardi l'anno, e quella delle oltre 10.000 società partecipate pubbliche che hanno generato perdite dirette per 1,2 miliardi;
   così procedendo il Governo sceglierebbe, ancora una volta, di colpire una categoria già fortemente penalizzata dalle misure di rigore adottate nell'ultimo quinquennio: i dipendenti pubblici, cittadini soggetti al pari di altri ad una insostenibile pressione fiscale (44 per cento), hanno perso in questi anni, per mancati rinnovi, una quota di reddito che va – a seconda dei comparti – dai 2.800 ai 5.600 euro. Cifre consistenti se riportate ai livelli retributivi medi che sono compresi fra i 26 e i 42 mila euro lordi e che, in questi anni, hanno subito una forte perdita del potere d'acquisto (-8,4 per cento fino al 2013). Effetti negativi, questi ultimi, non compensati dal bonus fiscale che non ha inciso in modo determinante, sia perché non ha sanato le perdite legate al mancato rinnovo, sia perché ha riguardato solo una parte dei dipendenti pubblici oltre ad essere stato assorbito dall'inasprimento fiscale;
   il Governo perseguendo nella medesima direzione, quella di un blocco contrattuale che continua a rinviare ulteriormente il riassetto complessivo del sistema della contrattazione pubblica, ovvero la revisione e l'aggiornamento di istituti contrattuali che vanno a sostegno di processi di innovazione tecnologica, organizzativa e di sviluppo, ha rinunciato ad uno strumento importante di modernizzazione della pubblica amministrazione. I reiterati tagli lineari agli organici hanno obbligato le amministrazioni ad una continua attività di revisione degli assetti organizzativi ma hanno di fatto impedito il consolidamento di procedure, competenze e professionalità, con inevitabili, negativi riflessi sulla quantità e qualità dei servizi erogati;
   le esigenze connesse agli obiettivi di bilancio devono in ogni caso essere perseguite con criteri di proporzionalità e ragionevolezza e nel rispetto del principio di eguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione e conformemente agli altri valori tutelati dalla Costituzione, a partire da quelli definiti dagli articoli 36 e 97. L'articolo 36 della Costituzione attribuisce infatti al lavoratore «il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro» e che è legittimo che i lavoratori abbiano adeguamenti contrattuali correlati all'andamento dell'inflazione. Inoltre, l'articolo 39 anche tenuto conto di quanto evidenziato dalla Corte Costituzionale (sentenze n. 142 del 1980 e n. 34 del 1985), esprime i due principi della libertà sindacale e dell'autonomia collettiva, garantendo ai cittadini la libertà di organizzarsi in sindacati e ai sindacati la libertà di agire nell'interesse dei lavoratori;
   il prolungamento della situazione di blocco della contrattazione a contenuto retributivo porta alla corresponsione di retribuzioni diverse a dipendenti che svolgono la medesima attività – ma che hanno maturato una progressione di carriera in momenti temporali diversi – e andrebbe valutata alla luce del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all'articolo 97 della Costituzione oltre che del principio di eguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione; e pertanto, accorre tenere conto del fatto che l'allungamento temporale della misura del blocco dell'adeguamento retributivo rischia di trasformare l'intervento eccezionale in una vera e propria deroga al meccanismo medesimo, da valutare attentamente rispetto alle previsioni costituzionali;
   appare, inoltre, necessario ricordare ancora che il regime delle proroghe dei blocchi contrattuali, imposto ormai da quattro anni escludendo l'intervento del Governo previsto per tutto il 2015, contrasta, secondo quanto stabilito dalla Corte costituzionale, con il carattere di eccezionalità e di temporaneità proprio di interventi urgenti. Una ulteriore proroga del blocco dei contratti, inoltre, si presenta significativamente punitiva per una sola categoria sociale – quella dei dipendenti pubblici – già fortemente colpita da un progressivo processo di oggettivo impoverimento –:
   quali azioni concrete il Governo intenda intraprendere per evitare la reiterazione di una norma che si presenterebbe con tutta evidenza iniqua e contraddittoria;
   perché si intenda rinunciare, per un altro anno, al rinnovo del contratto, principale leva di innovazione del welfare e del sistema pubblico;
   come si intendano affrontare le conseguenze recessive a livello macroeconomico di una compressione ulteriore dei redditi medio bassi di una così ampia categoria sociale. (4-06771)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame, con la quale si chiedono chiarimenti in merito alle politiche contrattuali e salariali del Governo per il pubblico impiego, con particolare riferimento alla reiterazione dei meccanismi di blocco della contrattazione collettiva e degli scatti stipendiali previsti negli anni scorsi.
  Il Governo in carica ha ereditato dai precedenti numerose misure di contenimento della spesa pubblica, derivanti da un difficile contesto economico e dalle esigenze di risanamento della finanza pubblica, che hanno comportato sacrifici anche per categorie più deboli, inclusi i lavoratori dipendenti, pubblici e non. Il Governo si è, peraltro, premurato di distribuire l'onere del risanamento finanziario, in modo da attenuarne il peso gravante su quelle categorie. In particolare, per i contribuenti con redditi più bassi è stata prevista l'erogazione mensile di un bonus fiscale in misura fissa pari a ottanta euro, di cui hanno beneficiato, tra gli altri, quasi 800.000 lavoratori pubblici. Questo beneficio è stato confermato dal disegno di legge di stabilità, appena approvato dal Parlamento.
  Con il blocco della contrattazione collettiva economica, prorogato al 2015, un ulteriore contributo, parzialmente compensato dal periodo di bassa inflazione, è chiesto ai dipendenti pubblici, per i quali peraltro non viene messa in discussione la certezza del posto di lavoro. Vorrei però segnalare che il congelamento del trattamento fondamentale al 31 dicembre 2010 non riguarda la retribuzione accessoria. Il disegno di legge di stabilità prevede, inoltre, il superamento del blocco degli scatti di stipendio correlati all'anzianità di servizio (cosiddetti automatismi retributivi). Vorrei ancora ricordare che le menzionate disposizioni, pur nella citata ottica del contenimento della spesa per il personale pubblico, fanno salva l'erogazione dell'indennità di vacanza contrattuale, in applicazione dell'articolo 2, comma 35, della legge 22 dicembre 2008, n. 203.
  Vorrei infine ricordare che, pur nella indisponibilità delle risorse finanziarie necessarie per il riavvio delle contrattazione collettiva relativa gli assetti economici, rimane la possibilità di riaprire la contrattazione giuridica, in ordine alla quale ho già manifestato alle organizzazioni sindacali la mia disponibilità.
Il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazioneMaria Anna Madia.


   GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'8 maggio 2013 un uomo di 29 anni, Claudio Faraldi, è morto nel carcere francese di Grasse, in Costa Azzurra;
   sul decesso del signor Faraldi la prima firmataria del presente atto ha già depositato nella corrente legislatura l'atto 5/00122, cui è stata data risposta il 30 luglio 2013;
   il Signor Faraldi sarebbe morto per un attacco di cuore, ma la famiglia sarebbe stata avvertita solo tre giorni dopo l'avvenuto decesso;
   il carcere di Grasse è tristemente noto alla cronaca per il decesso durante la detenzione di un altro italiano, Daniele Franceschi. Pochi giorni fa il Tribunale di Grasse ha condannato un medico e un'infermiera del carcere per l'omicidio colposo di Daniele Franceschi –:
   se ai Ministri interrogati risulti o se intendano richiedere alle autorità francesi se il signor Faraldi avesse manifestato di avvertire dolori nei giorni precedenti la sua morte, o avesse fatto richiesta di ricovero o, infine, se dagli esami autoptici definitivi siano risultate anomalie nel corpo del signor Faraldi e chi fossero i sanitari di turno nel carcere di Grasse durante la fase del decesso del signor Faraldi. (4-06709)

  Risposta. — Si conferma innanzitutto quanto si è già avuto modo di comunicare all'interrogante nella risposta alla sua precedente interrogazione in Commissione n. 5-00122 del maggio 2013: il caso relativo al decesso del connazionale Claudio Faraldi, avvenuto l'8 maggio 2013 nel carcere di Grasse in Francia, è seguito con la massima attenzione dalla Farnesina anche per il tramite dell'Ambasciata a Parigi e del Consolato generale a Nizza.
  Come noto, i primi risultati dell'esame autoptico, effettuato il 16 maggio 2013 da un collegio di due «medici legisti» – ovvero senza la presenza di periti esterni, ipotesi esclusa dalla legislazione francese – non hanno evidenziato tracce di violenza fisica sul connazionale. A conclusione di tali accertamenti la famiglia ringraziò la Farnesina per l'assistenza ricevuta e procedette, il successivo 23 maggio 2013, all'inumazione del connazionale.
  Risulta, peraltro, che i familiari abbiano dichiarato che, nei giorni precedenti la morte, il signor Faraldi non avrebbe manifestato sintomi di malore; inoltre, in occasione dell'ultima visita in carcere da parte della compagna, due giorni prima del decesso, era apparso in buona salute. Secondo quanto risulta al Consolato generale, non vi sarebbero state richieste di ricovero ospedaliero da parte del connazionale precedentemente al suo decesso.
  La procura di Grasse ha avviato una «informazione giudiziaria» per fare piena luce sulle circostanze che hanno portato al decesso del signor Faraldi, nell'ambito della quale la famiglia del connazionale si è costituita parte civile. Notizie ufficiali relative ai risultati del sopra citato esame autoptico (già in ogni caso noti alla famiglia e ai suoi legali), ai nomi del personale sanitario di turno la sera della morte e al dossier medico del ragazzo sono attualmente coperte da segreto istruttorio e potranno essere rese pubbliche solo al termine dell'indagine. Quest'ultima è stata recentemente assegnata ad un nuovo giudice istruttore, in quanto il precedente magistrato è stato trasferito presso altro tribunale.
  La procura della Repubblica di Roma, da parte sua, con nota del 12 dicembre 2014 ha fatto sapere ai competenti uffici del Ministero della giustizia che non risultano iscritti procedimenti penali in relazione ai fatti di cui all'interrogazione in esame.
  Il Ministero della giustizia ha reso noto che, dalla consultazione del protocollo informatico effettuata da parte dell'ufficio cooperazione internazionale della Direzione generale giustizia penale del Dipartimento affari di giustizia, non emergono notizie in merito alla detenzione all'estero del cittadino italiano Claudio Faraldi.
  La Farnesina continuerà a monitorare con la massima attenzione – nel rispetto delle attribuzioni istituzionali della magistratura francese – l'andamento della vicenda, anche per il tramite dell'ambasciata a Parigi e del Consolato generale a Nizza, che mantiene contatti costanti con la madre del connazionale e con il legale della famiglia, nonché con la procura di Grasse.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   LODOLINI e GIULIETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Indesit è un pezzo di storia importante del made in Italy, un simbolo del nostro boom economico italiano: nasce a Torino nel 1953, finisce ai Merloni, a Fabriano, nel 1985. La Indesit company dei Merloni diventa un colosso da 16 mila dipendenti, con 14 stabilimenti, un gruppo che sbaraglia la concorrenza in Italia e punta a competere in Europa e nel mondo con Bosch, Electrolux, Lg, Philips. Negli anni Novanta diventa il numero due in Europa. Nel 2009 la crisi impatta duramente l'azienda, che perde il 17 per cento dei ricavi. Nel 2012 utili e ricavi tengono ma solo grazie al mercato russo e a quello britannico, inoltre senza l'effetto dell'euro forte il bilancio sarebbe in rosso;
   nel mese di luglio 2014 il gruppo americano Whirlpool ha rilevato il 66,8 per cento delle azioni con diritto di voto, corrispondenti al 60,4 per cento del capitale con un investimento di 758 milioni di euro e un premio del 5 per cento sui valori di borsa degli ultimi sei mesi;
   Whirlpool si appresta a lanciare un'offerta pubblica di acquisto sulle rimanenti azioni Indesit. L'offerta partirà il 3 novembre per concludersi il 21 dello stesso mese (salvo proroghe), e ha per oggetto 34.244.635 azioni, pari al 29,99 per cento del capitale della società degli elettrodomestici. Whirlpool stanzia 11 euro per ogni titolo Indesit, con pagamento fissato per il 28 novembre;
   a quanto si apprende dal quotidiano La Repubblica, in un articolo del 31 ottobre 2014, il gruppo Whirlpool una volta salito al 100 per cento di Indesit, condurrebbe la storica società con base a Fabriano fuori dalla borsa (delisting). Alcuni osservatori temono che, portando la società fuori dal cono di luce di piazza Affari, il gruppo statunitense potrebbe avere le mani più libere per avviare eventuali operazioni per così dire poco gradite ai lavoratori;
   in data 13 ottobre 2014 la Commissione europea ha dato il via libera all'operazione condotta da Whirlpool. Il via libera della Commissione europea è arrivato dopo il via libera dato dalle varie autorità antitrust;
   «mentre si apprestano a salire al controllo totale della storica società di elettrodomestici – si legge sul quotidiano La Repubblica – gli americani di Whirlpool svelano, almeno in parte, i piani futuri sulla Indesit, parlando di un generale processo di “riorganizzazione” che in questa fase non sembra escludere categoricamente la chiusura di qualche stabilimento». Una possibilità, quest'ultima, che è alla base delle preoccupazioni dei sindacati, che proprio per questo motivo nei giorni scorsi avevano chiesto la convocazione di un tavolo sulla questione da parte del Governo;
   Whirlpool corporation, si legge nel documento sull'offerta pubblica di acquisto (Opa), secondo anticipazioni stampa, «sta valutando varie opzioni al fine di integrare le attività e le società del gruppo. Tali opzioni sono finalizzate a permettere al gruppo integrato di beneficiare di una struttura societaria ed economica più efficiente e potrebbero includere operazioni straordinarie come fusioni infragruppo e trasferimenti di cespiti o aziende o rami d'azienda, nonché la riorganizzazione delle attività produttive e distributive e il consolidamento di alcune funzioni tra i due gruppi»;
   e ancora, aggiunge il gruppo statunitense degli elettrodomestici nel documento: «Le suddette fusioni infragruppo potrebbero includere anche una fusione per incorporazione» di Indesit «in un'altra società del gruppo Whirlpool ulteriore rispetto alla fusione». Il gruppo americano, inoltre, sta considerando la razionalizzazione delle funzioni amministrative e produttive tra Whirlpool e Indesit. Il gruppo integrato potrà unire le rispettive migliori esperienze e incrementare la capacità di utilizzazione degli impianti produttivi, generando significative efficienze da cui trarranno beneficio i clienti e i consumatori di tutta Europa;
   vanno richiamati l'accordo sindacale del mese di dicembre 2013 con Indesit e gli 83 milioni di euro di investimenti negli impianti italiani di Indesit e una serie di ammortizzatori sociali –:
   se il Governo sia a conoscenza delle intenzioni della acquirente Whirlpool, con particolare riferimento a quanto sopra descritto e al piano industriale;
   se non ritenga di doversi attivare per la convocazione di un tavolo che coinvolga tutti i soggetti interessati, ivi compresi gli enti locali nel cui territorio hanno sede i vari stabilimenti;
   quale sia il destino degli stabilimenti, alcuni dei quali, da quel che si evince, potrebbero essere accorpati e forse, nella peggiore delle ipotesi anche chiusi con evidenti negative ripercussioni sui livelli occupazionali e sugli investimenti previsti. (4-06734)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  Nel mese di dicembre 2013 è stato sottoscritto, com’è noto, presso il Ministero dello sviluppo economico, un accordo con i principali interlocutori istituzionali, aziendali e sindacali che ha impegnato le parti per un percorso industriale e occupazionale in grado di dare prospettive alla Indesit.
  Secondo quanto previsto dal citato accordo, l'azienda Indesit, per 5 anni, non ricorrerà a licenziamenti, riporterà in Italia produzioni realizzate in Spagna, Polonia e Turchia ed effettuerà investimenti per oltre 80 milioni di euro. Tale accordo è stato successivamente sottoposto al referendum dei lavoratori che lo hanno condiviso, approvando così la via di rilancio di questa importante realtà industriale.
  Vorrei ricordare che Indesit company Spa, fa capo alla holding Fineldo Spa.
  Nel luglio 2014 Indesit company spa ha comunicato che Whirlpool Corporation e Fineldo Spa hanno sottoscritto un accordo per la cessione della partecipazione detenuta da Fineldo in Indesit Company Spa. Inoltre Whirlpool ha sottoscritto con alcuni membri della famiglia Merloni accordi per l'acquisto delle azioni da essi detenute in Indesit. Ai sensi di tali accordi, Whirlpool acquisterebbe un numero complessivo di azioni rappresentanti il 66,8 per cento dei diritti di voto in Indesit. Secondo quanto pubblicizzato da fonti corporate, Whirlpool allo stato intende finanziare quest'operazione per cassa, insieme a finanziamenti bancari e facendo ricorso al mercato del debito statunitense e internazionale, a seconda della tempistica del closing e delle condizioni di mercato.
  È necessario rilevare, che, l'acquisizione del controllo di Indesit da parte di Whirlpool è soggetta sia all'autorizzazione del Tribunale di Ancona, ottenuta recentemente, sia alla procedura dell'autorità antitrust per cui si è in attesa dell'esito. Infatti, in data 8 settembre 2014 è stato notificato alla Commissione europea un progetto di concentrazione in conformità dell'articolo 4 del regolamento (CE) n. 139/2004 del Consiglio.
  A seguito di un esame preliminare la Commissione ha ritenuto che la concentrazione notificata possa rientrare nel campo d'applicazione del regolamento sulle concentrazioni. Tuttavia, al riguardo, si è riservata di prendere una decisione definitiva.
  Rimanendo in attesa dell'esito della procedura di cui sopra, al fine di monitorare la vicenda Indesit, il Ministero dello sviluppo economico ha continuato a tenere ulteriori incontri per la verifica della situazione con le parti coinvolte nella vertenza.
  Al momento, tuttavia, non risultano piani di ristrutturazione che prevedano eccedenze occupazionali al di fuori di processi di riorganizzazione che stanno interessando una parte del gruppo dirigente.
  Presso il Ministro dello sviluppo economico, infine, in data 19 febbraio 2015 si terrà un nuovo incontro nel corso del quale la direzione della Whirlpool illustrerà il piano industriale conseguente all'acquisizione, peraltro già operativa, della società Indesit.
Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   MARTELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella serata del giorno 9 aprile 2014 sono giunti a Marghera circa 40 profughi provenienti dalla Sicilia;
   i sindaci di Venezia e Mira secondo quanto riferiscono le notizie di stampa erano stati informati dell'arrivo di questi profughi, da far alloggiare presso due appartamenti di Mestre e presso l'ostello mirese di Giare, solo nel pomeriggio della stessa giornata;
   giunti presso gli uffici di via Nicolodi a Marghera per le operazioni di riconoscimento alcuni profughi hanno forzato le porte degli autobus e sono scappati;
   dei circa quaranta profughi solo 13 sono rimasti a bordo dei mezzi per procedere alle operazioni di riconoscimento mentre gli altri si sono dileguati approfittando della sera;
   l'episodio desta preoccupazione per una serie di considerazioni a partire dal fatto che le coste Siciliane da diversi giorni sono nuovamente meta di approdo di migliaia di profughi;
   è del tutto evidente che gli amministratori locali per quanto meritoriamente solidali verso i profughi e lo Stato non possono essere informati senza un congruo preavviso ovviamente finalizzato a rendere più snelle e operative le procedure di approdo dei profughi anche in termini di sicurezza –:
   in considerazione del fatto che gli sbarchi continuano ad avvenire lungo le coste della Sicilia, se e quali iniziative il Governo intenda porre in essere per evitare il ripetersi di simili episodi e se non intenda riconvocare tutte le regioni e gli enti locali per affrontare per tempo quella che rischia di preannunciarsi come una nuova emergenza umanitaria. (4-07800)

  Risposta. — In riferimento ai fatti riferiti all'interrogante, si informa che fin dal 14 gennaio 2014 la Prefettura di Venezia aveva sensibilizzato i sindaci e il presidente della provincia all'esigenza di individuare, ognuno nel territorio di propria competenza, strutture idonee all'accoglienza temporanea dei migranti, alla luce del nuovo afflusso previsto.
  Non avendo ricevuto risposte positive da parte degli enti locali, il successivo 21 febbraio 2014 la prefettura ha contattato alcuni enti gestori operanti nel privato sociale, aventi comprovata esperienza in ambito di sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati o in progetti simili.
  Le cooperative sociali «Il Villaggio Globale» e la «Città Solare» hanno offerto la propria disponibilità all'accoglienza. In quest'ultimo caso, poiché l'ostello gestito dalla cooperativa era di proprietà comunale, la disponibilità all'accoglienza è stata comunicata – per il necessario raccordo istituzionale – all'amministrazione locale, la quale ha dato il proprio assenso.
  In tale contesto, è stato organizzato, per il giorno 8 aprile 2014, l'arrivo nelle predette strutture di un gruppo di 40 migranti di origine eritrea da poco sbarcati in Sicilia. Al riguardo, preciso che la questura di Ragusa aveva provveduto a trasmettere a quella di Venezia l'elenco nominativo, con data di nascita e relativa nazionalità, corredato delle schede di prima identificazione e delle relative foto.
  La prefettura di Venezia, dopo averne informato gli amministratori comunali di Venezia e Mira, ha predisposto il trasferimento degli stranieri e la Questura ha fornito un servizio di scorta tecnica al pullman dal momento dell'arrivo all'aeroporto di Bologna a quello dello smistamento, collocato nella sede distaccata della questura di Venezia, a Marghera.
  Arrivati in prossimità della predetta struttura della polizia di Stato, circondata da un'alta recinzione sovrastata da filo spinato, i migranti – che erano partiti dalla Libia dove, come successivamente appurato, avevano trascorso un periodo in stato di costrizione fisica – notata la presenza di auto in colori d'istituto e di personale in servizio, hanno paventato evidentemente di essere nuovamente sottoposti ad un regime di privazione della libertà personale. Pertanto, quando il pullman si è fermato, gli stranieri hanno azionato la porta di emergenza posteriore e alcuni di essi si sono dati alla fuga travolgendo gli operatori preposti alle operazioni di assistenza.
  Complessivamente, si sono dileguate 25 persone su 40, che – è bene chiarire –, non erano sottoposte a vincoli restrittivi, trattandosi di soggetti in regime di protezione internazionale.
  Successivamente, accertato che l'equivoco era stato generato dalla mancanza di una chiara comunicazione ai migranti sulle varie fasi del trasferimento e della destinazione finale presso le strutture di accoglienza, per scongiurare situazioni analoghe, in sede di riunione dei prefetti e dei questori del Veneto, è stata rappresentata la necessità di un'interazione più serena con gli immigrati mediante l'assistenza di mediatori culturali di lingua araba. Ciò anche al fine di fornire informazioni esatte circa la condizione di libertà di cui godono sul territorio nazionale, in attesa della definizione della procedura per il riconoscimento della protezione internazionale.
  Nell'interrogazione si richiama l'attenzione del Governo anche sulla necessità di un costante coinvolgimento di regioni ed enti locali nella gestione dell'emergenza immigrazione in atto sul territorio nazionale.
  A questo proposito si rappresenta che, proprio nel senso auspicato dall'interrogante, il Governo sta portando avanti un'incisiva riforma del sistema di accoglienza dei migranti fondata sul metodo della concertazione tra lo Stato e il mondo delle autonomie territoriali.
  La volontà del Governo di mutare la governance del settore ha trovato la sua chiara espressione nell'elaborazione di un Piano operativo nazionale sul quale la Conferenza unificata ha sancito l'intesa proprio nella seduta del 10 luglio 2014. La portata innovativa del Piano sta, oltreché – come detto – nel coinvolgimento a regime delle autonomie locali, nel fatto che la gestione dei flussi acquisisce la connotazione di attività ordinaria, strutturata e programmabile.
  Il piano distingue l'accoglienza in tre fasi strutturate in maniera tale da consentire il tempestivo passaggio dall'una all'altra:
   la fase del soccorso e prima assistenza, attuata in appositi centri governativi ubicati nelle regioni di sbarco o limitrofe, nei quali il periodo di permanenza sarà molto breve al fine di garantire il massimo turn over delle presenze;
   la fase della prima accoglienza e qualificazione, da attuare per periodi limitati in un'inedita tipologia di struttura governativa – l'hub – concepita come base logistica di livello regionale o interregionale, dove avverrà – tra l'altro – la selezione tra gli aventi diritto all'asilo e quelli che non ne hanno titolo;
   la fase della seconda accoglienza e integrazione, realizzata attraverso lo Sprar, che viene confermato come sistema unico di accoglienza delle persone richiedenti o titolari di protezione internazionale, esteso anche all'accoglienza di secondo livello di tutti i minori non accompagnati.

  Il motore della complessa macchina dell'accoglienza è il Ministero dell'interno che, per la ripartizione dei migranti sul territorio nazionale e l'organizzazione delle altre misure previste dal piano, si avvale del supporto e delle indicazioni del tavolo di coordinamento nazionale, a cui partecipano, oltreché le amministrazioni statali interessate, la Conferenza delle regioni, l'Unione province italiane e l'Associazione nazionale comuni italiani, nonché dei tavoli regionali presso le prefetture dei capoluoghi di regione.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 19 maggio 2014 si è svolta una riunione presso il Ministero dello sviluppo economico del tavolo di confronto tra regione Sardegna e Governo sulla metanizzazione della Sardegna, preso atto della notizia dell'uscita della Sfirs, la finanziaria regionale, dal Consorzio Galsi, che deve ancora stabilire l'avvio dei lavori per la condotta tra Algeria e Italia, passando appunto attraverso la Sardegna;
   ad oggi la Sardegna è l'unica regione d'Italia e, insieme alla Corsica, l'unica regione europea, a non essere ancora metanizzata, mentre l'energia prodotta nell'isola non può essere stoccata e, quindi, utilizzata nei periodi di maggiore necessità, e viene venduta altrove, in particolare nel Centro-sud Italia;
   di conseguenza il costo dell'energia nell'isola, consumata nella maggior parte nel settore industriale, con il 53 per cento, rimane particolarmente elevato, soprattutto se confrontato con i prezzi che sopportano le altre regioni italiane per l'approvvigionamento energetico, risolvendosi in un fortissimo svantaggio competitivo per le imprese sarde e in un danno economico a carico di tutti gli utenti;
   l'unica fonte energetica presente nell'isola che può essere messa a confronto con il metano è il GPL, che, tuttavia, ha un costo superiore di ben quattro volte, al netto delle imposte, rispetto al gas naturale;
   il tavolo di confronto presso il Ministero dello sviluppo economico si è chiuso con l'incarico alla giunta regionale di stabilire, per mezzo di un advisor, quale delle tecnologie sul mercato possa essere utilizzata per portare il metano nell'isola, se un rigassificatore o, ad esempio, un deposito per gas compresso;
   nelle more della realizzazione di una modalità per l'approvvigionamento metanifero appare quanto mai necessario ed urgente introdurre misure finanziarie idonee a compensare i maggiori costi sopportati dagli utenti dell'isola, che potrebbe sere individuato in una compartecipazione dello Stato al costo del GPL nella regione –:
   quali iniziative intenda assumere nel senso di cui in premessa, al fine di sostenere, in particolare, il tessuto produttivo della regione, ma anche di agevolare i singoli utenti. (4-04904)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si segnala, per la parte di competenza, che tra gli interventi previsti nell'ambito della questione infrastrutturale sarda, fu collocata la realizzazione del metanodotto Galsi, la cui conferenza dei servizi del procedimento di autorizzazione si chiuse con esito positivo il 22 dicembre 2011.
  Il ritardo della realizzazione del progetto Galsi e quindi della metanizzazione dell'isola, è da imputare alla crisi del mercato energetico che non favorisce e non sostiene, nell'immediato, la decisione d'investimento da parte della componente azionaria algerina, maggioritaria nella società Galsi.
  Per quel che concerne, invece, le problematiche del costo dell'energia e in particolare del prezzo del Gpl si evidenzia che:
   le tariffe applicate sulle distribuzioni di Gpl per mezzo di rete urbana in Sardegna (così come nel resto di Italia), sono determinate dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas e il sistema idrico (in seguito Aeegsi) secondo il sistema del cosiddetto «price cap», in linea con quanto avviene anche per le distribuzioni di gas naturale. Ovviamente, di sotto al price cap definito da Aeegsi resta in facoltà dell'operatore applicare eventuali sconti, previa comunicazione a Aeegsi. In particolare, va sottolineato come le suddette tariffe – per la parte relativa alla componente della materia prima – sono aggiornate mensilmente dalla stessa Aeegsi sulla base delle medie dei prezzi internazionali del Gpl (Fob Algeria, Arabia Saudita e Mare del Nord) del mese precedente. Si tratta, dunque, di un sistema di aggiornamento basato sull'andamento delle quotazioni internazionali del prodotto – in linea con le dinamiche di acquisto del sui mercati internazionali – e che, pertanto, prescinde dalle dinamiche interne;
   per i prezzi al dettaglio delle bombole tra maggio e luglio 2013 l'osservatorio prezzi e tariffe del Ministero dello sviluppo economico ha effettuato una ricognizione dei prezzi del Gpl in bombole dai dati rinvenibili sui siti web delle camere di commercio e da queste pubblicati a seguito delle rilevazioni nel proprio ambito territoriale. Dalle tabelle ivi indicate, è emerso che i prezzi praticati nella zona di Oristano sono competitivi rispetto a tutto il territorio nazionale e ciò senza considerare che nel caso della Sardegna, così come delle isole minori, tale prezzo beneficia di un'agevolazione sull'accisa anche sul Gpl in bombole ai sensi dell'articolo 12, comma 4, della legge n. 488 del 1998, pari a circa 0,159 euro al chilo, misura stabilita proprio per compensare, almeno parzialmente, il differenziale di prezzo tra i cittadini serviti dalla rete del gas e quelli non serviti (le quotazioni riportate nella tabella sono infatti al lordo di tale beneficio).

  La provincia di Cagliari si posiziona, invece nella zona medio-alta del confronto, ma non nelle posizioni peggiori.
  Infine sulle iniziative del Governo per sostenere, fra l'altro, anche il tessuto produttivo della regione Sardegna si segnala che presso il Ministero dello sviluppo economico è stato istituito a marzo 2014 un gruppo di coordinamento nazionale, volto alla predisposizione di uno studio sugli aspetti normativi, tecnici ed economici, nonché, quelli attinenti alla sicurezza e all'impatto sociale per l'utilizzo del gas naturale liquefatto (di seguito Gnl), nei trasporti marittimi e su gomma limitatamente al trasporto pesante (camion, autobus, treni); il gruppo di coordinamento ha l'obiettivo di predisporre il Piano strategico nazionale sull'utilizzo del Gnl in Italia.
  Al gruppo di coordinamento nazionale Gnl partecipano il Mise con il ruolo di coordinatore, i Ministeri dei trasporti, dell'ambiente e degli interni, le regioni, l'Anci, le Capitanerie di porto, le associazioni di settore interessate, i gestori dei terminali Lng, centri di ricerca quali Rina e Cig, le Università, l'Enea ed altri soggetti interessati.
  Il Gruppo coordinamento nazionale risponde all'impegno che ha preso il Governo italiano, in sede parlamentare, ad adottare iniziative per la realizzazione di centri di stoccaggio e ridistribuzione nonché norme per la realizzazione dei distributori di gas naturale liquefatto in tutto il territorio nazionale. Tale iniziativa è stata adottata anche al fine di ridurre l'impatto ambientale dei motori diesel nel trasporto via mare e su strada, nonché di ridurre i costi di gestione ormai divenuti insostenibili per tutti gli utilizzatori di motori diesel e per sviluppare l'uso del Gnl.
  Circa la richiesta di introdurre misure finanziarie idonee a compensare i maggiori costi sopportati dagli utenti dell'isola, che potrebbe essere individuato in una compartecipazione dello Stato al costo del Gpl nella regione, si rimanda alla valutazione del competente Ministero dell'economia e delle finanze.
Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   MERLO e BORGHESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 9 settembre 2014, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione A/68/304 con la quale ha deciso di elaborare e approvare un quadro giuridico multilaterale per i processi di ristrutturazione del debito sovrano con lo scopo, tra le altre cose, di aumentare l'efficienza, la stabilità e la prevedibilità del sistema finanziario internazionale;
   l'iniziativa è stata promossa dal G77 più la Cina e il testo ha ottenuto 124 voti a favore, 11 contrari e 41 astensioni;
   tale risoluzione «sottolinea la necessità di continuare a correggere i punti deboli e i disequilibri sistemici, così come la necessità di dispiegare sforzi costanti per riformare e rafforzare il sistema finanziario internazionale»; riconosce «la necessità di creare un quadro giuridico che faciliti la ristrutturazione ordinata del debito sovrano, che permetta di ristabilire la redditività e la crescita, senza creare incentivi che aumentino inavvertitamente il rischio di inadempienza, e che serva da elemento dissuasorio affinché i creditori non intraprendano contenziosi destabilizzanti durante le negoziazioni di ristrutturazione del debito sovrano»; altresì, ribadisce «l'importanza di stabilire un insieme chiaro di principi per gestire e risolvere le crisi finanziarie, che tenga in conto l'obbligo per i creditori del debito sovrano di operare in buona fede e con spirito di cooperazione, per patteggiare una riorganizzazione consensuale del debito degli Stati sovrani»;
   l'economia italiana sta avendo difficoltà ad uscire dall'attuale recessione e continuerà ad essere vulnerabile alle tensioni geopolitiche e macroeconomiche. Il Fondo Monetario Internazionale stima che il prodotto interno lordo italiano si contrarrà quest'anno allo 0,1 per cento e crescerà all'1,1 per cento nel 2015;
   in questo contesto, il debito pubblico in Italia è cresciuto nel primo trimestre del 2014 di 50.927 milioni di euro e si colloca a 2.120.143 milioni. Questa cifra stima che il debito abbia raggiunto il 135,60 per cento del PIL in Italia, mentre nel trimestre precedente, il quarto trimestre del 2013, era del 132,60 per cento;
   se si compara il debito in Italia nel primo trimestre del 2014 con quello dello stesso trimestre del 2013 si vede che il debito annuale è cresciuto di 84.145 milioni di euro;
   il presidente del G77, Llorenti Soliz, sostiene che bisogna «trovare una soluzione opportuna, efficace e durevole» al problema del debito dei Paesi;
   la crisi del debito sovrano della zona euro, attualmente focalizzata in Portogallo, Spagna e Italia, continuerà ad essere il principale centro d'attenzione per gli investitori. Ritardando l'azione, la crisi potrebbe raggiungere dimensioni difficili da gestire, finendo, oltretutto, per influenzare altre grandi economie della regione;
   il mercato dei buoni di debito sovrano si trova fortemente influenzato da un pugno di grandi gruppi di investitori privati (denominati in gergo finanziario «fondi avvoltoi») che si dedicano all'acquisto di debito scontato dei Paesi in processo di ristrutturazione, con lo scopo di ottenere grandi guadagni in conseguenza del contenzioso contro gli accordi di perdita tra gli Stati e i creditori privati. Questa situazione minaccia la possibilità degli Stati di trovare delle soluzioni durevoli ai propri problemi di debito sovrano e di conseguire i propri processi di sviluppo sostenibile;
   la menzionata risoluzione A/68/304, riconosce che «gli sforzi di uno stato di ristrutturare il proprio debito sovrano non devono vedersi frustrati e ostacolati dai creditori commerciali, e dai fondi di investimento specializzati, come i fondi di copertura, che acquisiscono debiti degli stati fortemente indebitati a fini speculativi nei mercati secondari a prezzi molto scontati, con l'intenzione avviare un contenzioso per cercare di ottenere il rimborso della totalità del valore»;
   l'azione dei «fondi avvoltoi», come è successo recentemente nel caso argentino, consentita dalla mancanza di una regolamentazione dei processi di ristrutturazione dei debiti sovrani, ha pregiudicato i piccoli investitori privati e i risparmiatori che, pur disponibili ad accettare una perdita del valore dei loro buoni, non si sono visti pagare i servizi corrispondenti ai loro buoni a causa del contenzioso giudiziario iniziato da questi fondi;
   tenuto conto che i creditori privati di debito sovrano sono sempre più numerosi, anonimi e difficili da coordinare, che ci sono diversi tipi di strumenti di debito e che si emette debito in una grande varietà di giurisdizioni, cosa che complica la ristrutturazione del debito sovrano, diventa sempre più, urgente stabilire criteri, parametri e linee guida che facciano in modo che i sistemi finanziari nazionali siano più trasparenti e sostenibili e, fondamentalmente, che proteggano i piccoli investitori e risparmiatori dall'accaparramento da parte dei grandi gruppi finanziari, di titoli di debito di paesi in default;
   l'esperienza dell'Italia con il default del debito sovrano dell'Argentina nel 2001 e il danno che questa crisi causò ai piccoli risparmiatori e pensionati italiani, rendono più evidente la necessità di procedere con la regolamentazione dei processi di ristrutturazione per proteggere gli attori più vulnerabili del sistema finanziario: i piccoli risparmiatori;
   nella Carta delle Nazioni Unite, al capitolo IX: COOPERAZIONE INTERNAZIONALE ECONOMICA E SOCIALE, articolo 55, si stabilisce che: «Al fine di creare le condizioni di stabilità e di benessere necessario per le relazioni pacifiche e amichevoli tra le nazioni, basate sul rispetto del principio di parità di diritti e di autodeterminazione dei popoli, le Nazioni Unite promuoveranno: (...)La soluzione dei problemi internazionali di carattere economico» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali siano i loro orientamenti sul piano politico;
   se e per quale motivo i Ministri interrogati non considerino l'Assemblea generale delle Nazioni Unite l'ambito più appropriato per discutere un quadro giuridico multilaterale per i processi di ristrutturazione del debito sovrano;
   per quale motivo non appoggino una decisione orientata a ottenere strumenti che consentano maggior efficienza, stabilità e prevedibilità del sistema finanziario internazionale, oltre a stabilire principi e regole di gioco chiare in un mercato, quello dei buoni di debito sovrano, fortemente influenzato da capitali speculativi che spesso danneggiano i piccoli e medi investitori. (4-06234)

  Risposta. — A seguito della sentenza emessa nel giugno 2014 dalla Corte sprema degli Stati Uniti in favore dei creditori holdouts sulla vicenda dei «tango bonds», l'Argentina ha avviato un'offensiva diplomatica volta ad attirare l'attenzione della comunità internazionale sulla complessa e rilevante materia del debito estero.
  All'United nations general assembly l'Argentina è riuscita a coalizzare i G77 (inclusi anche i nuovi importanti creditori come Brasile, Cina e India) e altri Paesi sull'iniziativa che ha portato, il 9 settembre 2014, all'adozione a larga maggioranza della risoluzione 68/304. La risoluzione in parola mira alla creazione, entro la 69a sessione dell'Unga (settembre 2015), di un quadro regolatorio internazionale sui processi di ristrutturazione dei debiti sovrani e prevede, quale primo passo, l'adozione entro dicembre 2014 di una risoluzione «procedurale» per definire le modalità del negoziato intergovernativo.
  In ragione dell'importanza obiettiva che il tema assume per la comunità internazionale, degli stretti rapporti politici bilaterali dell'Italia con molti fra i Paesi promotori, a cominciare dall'Argentina, e della priorità che la questione ha assunto per il G77 in ambito Onu, con rischi di una spaccatura fra Paesi occidentali e restante membership delle Nazioni unite, l'Italia, in veste di Presidenza dell'Unione europea, aveva promosso una posizione di astensione, seguita al momento del voto dalla maggior parte degli Stati membri, lasciando in tal modo aperta la via del dialogo.
  Negli ultimi mesi, l'Italia ha lavorato in diversi fori multilaterali per individuare una linea di compromesso, volta a conciliare la divaricazione creatasi in seno all'Assemblea generale con l'approvazione della risoluzione 68/304. Grazie al nostro impulso il Comitato dei rappresentanti permanenti ha adottato, il 10 novembre 2014, una posizione comune Ue che afferma la disponibilità degli Stati membri a partecipare costruttivamente ai negoziati sui seguiti della risoluzione 68/304, nel rispetto dei seguenti principi. Essi includono: la disponibilità a negoziare un «set di principi» non vincolanti; il miglioramento dell'approccio contrattuale, in primis attraverso il rafforzamento – proposto dal Fondo monetario internazionale (Fmi) – delle clausole contrattuali («collective action» e «pari passu») nelle emissioni di bonds sovrani; il riconoscimento del ruolo preminente del Fmi e l'invito a quest'ultimo a partecipare ai negoziati a New York; la considerazione del ruolo e dell'esperienza di altri fori rilevanti, in particolare del Club di Parigi (raggruppamento informale dei grandi creditori statuali).
  L'Argentina ha recentemente mostrato qualche disponibilità negoziale sulla sostanza della questione; infatti, su sua iniziativa è stato incluso, nel comunicato finale del Vertice G20 di Brisbane (15-16 novembre 2014), un paragrafo che sostiene l'introduzione nei contratti di emissione dei bonds sovrani di clausole rafforzate di «collective action» e «pari passu». Tale risultato può rappresentare un possibile comune denominatore nella ricerca di un compromesso con i G77.
  Con tali premesse si sta svolgendo a New York il negoziato che vede un ruolo attivo dell'Italia, anche in veste di Presidente della II commissione dell'Assemblea generale ove si svolgono le discussioni sui seguiti della risoluzione 68/304.
  La prima fase negoziale si è conclusa con l'adozione a larga maggioranza da parte della II commissione dell'Assemblea generale, il 5 dicembre 2014, della risoluzione procedurale. Non essendo stato possibile raggiungere un compromesso sul testo, l'Italia ha promosso in ambito coordinamento Ue una posizione di astensione, seguita da 18 Stati membri (hanno votato contro Germania, Regno Unito, Belgio, Bulgaria, Danimarca, Finlandia, Irlanda, Paesi Bassi, Rep. Ceca e Ungheria). Con l’Explanation of vote, letta dalla delegazione italiana a nome di tutti gli Stati Membri, è stata ribadita la disponibilità di questi ultimi a partecipare ai negoziati intergovernativi che si svolgeranno nell'istituendo comitato ad hoc, nel rispetto dei termini della posizione comune Ue adottata dal Coreper il 10 novembre 2014.
  Si segnala che, in sede comunitaria, la questione è stata all'ordine del giorno delle ultime riunioni dell’Economic and financial committee (Cef) e del Comitato dei rappresentanti permanenti. In tali occasioni, le delegazioni dei 28 si sono espresse su posizioni nettamente contrarie alla creazione di un quadro vincolante in ambito Nazioni unite per la ristrutturazione del debito sovrano, favorendo invece un approccio «di mercato», basato sui lavori in corso in ambito Fmi.
  Ad esser oggetto di trattazione è stata principalmente la questione della partecipazione o meno dell'Unione europea ai negoziati a New York, dove la risoluzione sarà discussa. Essendo chiaro a tutte le delegazioni il rischio di un eventuale voto degli Stati membri in formazione sparsa (anche per l'effetto che potrebbe avere sulla posizione degli altri Paesi potenzialmente alleati), è emerso un interesse condiviso a partecipare con una posizione unitaria al negoziato, così da poterlo influenzare verso la direzione voluta.
  Commissione e Servizio europeo per l'azione esterna hanno presentato un paper messo a punto congiuntamente, che mira ad offrire un impegno dell'Unione rigorosamente circoscritto entro determinati limiti, successivamente rafforzato per andare incontro alle esigenze del Regno unito (che chiedeva garanzie su due punti: il ruolo leader che deve giocare il Fmi e il fatto che il negoziato si svolga su princìpi non vincolanti).
  Nella posizione comune (allegato disponibile presso il servizio assemblea) Ue e Stati membri prendono quindi nota del progetto di risoluzione delle Nazioni unite, rifiutando tuttavia di discutere di un meccanismo vincolante e statutario di ristrutturazione del debito; richiamano l'approccio di mercato volontario e contrattuale recentemente oggetto di discussione in sede Fmi, chiedendo che i lavori del Comitato ad hoc si basino su di esso; concordano che il lavoro del Comitato debba essere limitato ad elaborare un set di princìpi non vincolanti; esprimono infine l'intenzione di influenzare i lavori in tal senso, o altrimenti di abbandonarli.
  Da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, che ha seguito unitamente al Ministero degli affari esteri e delle cooperazione internazionale il processo di adozione della risoluzione 68/304, si evidenzia l'importanza che la discussione in seno all'Unga sul debito sovrano sia coerente con le azioni intraprese in altre sedi multilaterali.
  Le esigenze espresse nel testo della risoluzione di continuare a correggere i punti deboli e gli squilibri sistematici, di riformare il sistema finanziario internazionale, di ristabilire la redditività e la crescita, senza aumentare i rischi di inadempienze, sono tenute ben presenti nelle altre sedi multilaterali e in particolare al Fmi che è costantemente impegnato a rafforzare gli strumenti esistenti, anche alla luce delle esperienze maturate e delle vicende verificatesi nel sistema finanziario internazionale. L'approccio seguito dal Fmi di natura contrattuale è caratterizzato da un'adeguata flessibilità ed è orientato al mercato, come tale consente di pervenire a soluzioni più sostenibili per i paesi in difficoltà e tali da consentire loro di avere nuovamente accesso al mercato di capitali. A tale proposito è importante sottolineare che ultimamente l'Fmi, anche a seguito delle crisi debitorie recenti, ha adottato un nuovo documento sul rafforzamento delle clausole di azione collettiva e di parità di trattamento dei creditori, volte anche a contrastare fenomeni speculativi da parte dei creditori privati. I paesi dell'area euro, compresa l'Italia, avevano dato corso ai suggerimenti dell'Fmi, introducendo clausole di azione collettiva nei titoli del debito di nuova emissione (ai sensi dell'articolo 12, comma 3 del Trattato istitutivo il Meccanismo europeo di stabilità, ratificato in Italia con legge 23 luglio 2012, n. 116, tutti i paesi dell'area euro sono obbligati a prevedere che i titoli del debito sovrano di nuova emissione, con scadenza superiore ad un anno, a partire dal 1o gennaio 2013, devono essere dotati di clausole di azione collettiva con identico impatto giuridico sui paesi stessi). Dette clausole stabiliscono le procedure per poter addivenire a un'ordinata ristrutturazione dei titoli del debito sovrano, previa approvazione dell'emittente e di una maggioranza qualificata di investitori, con effetto di vincolo nei confronti di tutti i possessori. Tali norme sono state applicate in Italia a tutti i titoli di Stato di nuova emissione con scadenza superiore ad un anno con il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 7 dicembre 2012 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale serie generale n. 294 del 18 dicembre 2012). Va precisato che sul mercato statunitense le clausole di azione collettiva erano state introdotte dal 2003.
  Nelle ultime interlocuzioni, l'attenzione del Fmi è stata posta soprattutto alla questione dei titoli sovrani soggetti a legislazione estera, ossia su ciò che ha determinato le problematiche in cui è in corso recentemente il Governo argentino a causa delle azioni legali dei possessori che hanno dissentito dalle proposte di ristrutturazione. Su tale argomento a livello di zona euro, in seno al competente sottocomitato del Comitato economico-finanziario, sono state già delineate le linee d'azione per prevenire tali fenomeni e, in alcuni casi come l'Italia, queste sono state già poste in essere.
  Alla luce di ciò, nel riconoscere i meriti di una discussione sul tema anche in sede Unga, pure da parte del Mef si ritiene per le ragioni anzidette che anche in questo contesto si debba tener conto dei lavori in corso di svolgimento al Fmi, evitando di sostenere meccanismi vincolanti per gestire la ristrutturazione del debito sovrano, che sarebbero altrimenti in contrasto con un corretto funzionamento dei mercati.
  Si ritiene pertanto utile continuare a seguire con attenzione i seguiti della risoluzione in modo da orientare i lavori Unga verso l'adozione di princìpi non vincolanti sulla ristrutturazione del debito sovrano e che siano basati sull'approccio contrattuale orientato al mercato seguito in sede europea e dal quale è opportuno evitare di discostarsi.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   MOLTENI, GUIDESI e FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 4 giugno 2014, presso la sala del Mappamondo della Camera dei deputati, si è svolto un convegno organizzato dall'Anfaci, l'Associazione nazionale dei funzionari civili dell'interno, sul diritto d'asilo, a cui hanno partecipato, tra gli altri, i prefetti Bruno Frattasi, presidente dell'Anfaci, Ignazio Portelli, segretario generale, Riccardo Compagnucci, vicario del dipartimento libertà civili e immigrazione Mario Morcone, già Capo del dipartimento libertà civili;
   secondo notizie di stampa, pare che in occasione di tale convegno il Sottosegretario all'interno, con delega all'immigrazione, Domenico Manzione abbia dichiarato pubblicamente: «Stiamo mettendo a punto una circolare interpretativa, ormai quasi pronta e in emanazione a breve scadenza, per riconoscere la cittadinanza italiana a coloro che sono figli di chi ha ottenuto la protezione internazionale»;
   stando alle intenzioni dichiarate dal Sottosegretario, con tale circolare si vuole estendere il diritto alla cittadinanza ai figli di chi gode di protezione internazionale, sulla base di una supposta analogia con il riconoscimento previsto per i figli degli apolidi dalla legge n. 5 febbraio 1992, n. 91;
   per «protezione internazionale» si intende sia lo status di rifugiato, di cui alla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, sia lo status di protezione sussidiaria, quale definito alle lettere e) e g) dell'articolo 2 della nuova direttiva cosiddetta qualifiche (2011/95/UE);
   inoltre, gli status di rifugiato e quello di protezione sussidiaria non sono a tempo «indeterminato», ed infatti è la stessa direttiva a prevedere sia per l'uno che per l'altro i requisiti ma altresì i motivi di cessazione, revoca ed esclusione, rispettivamente agli articoli 11, 12 e 14, nonché 16 e ciò creerebbe notevoli problemi ai figli di chi ha ottenuto ma poi perso la protezione internazionale;
   la nuova proposta di circolare ministeriale, sebbene chiamata dal sottosegretario «interpretativa», ad avviso degli interroganti, si palesa in realtà quale strumento per l'introduzione nel nostro ordinamento dello ius soli, in contrasto con il principio dello ius sanguinis che attualmente regola la cittadinanza, peraltro, in un ambito in cui dovrebbe essere il Parlamento a legiferare;
   non si comprende tale intervento normativo da parte del Governo ancor di più se, sempre stando alle dichiarazioni del Sottosegretario Manzione, la platea degli interessati «è ristretta», e se si considera che, secondo stime di fonti qualificate del Viminale, si tratterebbe di duecento persone al massimo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto dichiarato dal Sottosegretario, con delega all'immigrazione, Domenico Manzione e se ciò corrisponda al vero; se ritenga opportuno l'introduzione del principio dello ius soli nel nostro ordinamento, così come sembrerebbe sia intenzione della circolare «interpretativa» ministeriale sopra citata; anche per stimolare un confronto e dibattito su una iniziativa che va ad incidere profondamente sulle nostre tradizioni giuridiche, essendo lo ius sanguinis principio fondante della legislazione italiana in materia di cittadinanza. (4-05049)

  Risposta. — L'interrogante ha chiesto di conoscere se risponda al vero che il Ministero dell'interno intendesse, con mera circolare interpretativa, estendere l'acquisto della cittadinanza iure soli ai minori nati in Italia dai beneficiari di protezione internazionale, sulla falsariga di quanto la normativa di settore prevede espressamente per i minori nati in Italia da genitori apolidi.
  In realtà, la problematica di cui questa Amministrazione si è fatta carico non è quella evidenziata nell'interrogazione, bensì quella di evitare che all'interno del nucleo familiare di uno straniero titolare di protezione internazionale potesse venirsi a determinare un'irragionevole disparità di trattamento tra i figli minori.
  Infatti, in base a un precedente orientamento, la protezione internazionale riconosciuta allo straniero veniva automaticamente estesa – per espressa previsione di legge – ai figli minori presenti in Italia all'atto della presentazione della domanda da parte del genitore, ma non ai figli minori non presenti in quel momento, in quanto giunti o nati successivamente sul territorio nazionale.
  La Commissione nazionale per il diritto di asilo è intervenuta per rivisitare tale interpretazione, facendo leva su alcune recenti modifiche normative, che hanno ulteriormente rafforzato il principio della tutela dell'unità del nucleo familiare, affermando il carattere di priorità del superiore interesse del minore.
  In particolare, tale organismo, con circolare interpretativa del 17 luglio 2014, ha chiarito che anche i minori nati o giunti in Italia dopo il riconoscimento della protezione internazionale al genitore beneficiano, fino al compimento della maggiore età, della protezione medesima.
  Conseguentemente, il dipartimento della pubblica sicurezza è stato invitato a fornire le opportune istruzioni alle questure, ai fini dell'iscrizione dei figli minori nati in Italia nei documenti rilasciati al titolare della protezione internazionale.
  Si assicura, infine, che la predetta circolare non ha inciso in alcun modo sugli aspetti legati all'acquisto della cittadinanza, regolati dalla legge n. 91 del 1992. Ogni eventuale modifica dei principi su cui si basa tale legge non potrà che essere oggetto di approfondita valutazione in sede parlamentare.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   MURA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nel 2015 ricorrerà il centesimo anniversario del genocidio del popolo armeno, il primo del secolo scorso, nel quale persero la vita, per mano dei turchi dell'impero ottomano, circa un milione e mezzo di persone;
   ancora oggi, a distanza di quasi un secolo, la Turchia continua a negare l'esistenza di quel crimine contro l'umanità e persegue una politica repressiva nei confronti di chiunque parli espressamente di «genocidio» per indicare la pulizia etnica nei confronti dei cristiani armeni;
   anche Papa Francesco si è pronunciato contro questa tragedia, definendo lo sterminio degli armeni il «primo genocidio del XX secolo»;
   in quell'occasione la Turchia ha espresso per via diplomatica il proprio disappunto per la posizione assunta dal Pontefice;
   in data 25 ottobre a Cagliari, nell'ambito del II Meeting internazionale delle politiche del Mediterraneo, organizzato dal Centro italo arabo Assadakah, si è svolto un convegno dal titolo: «Verso il Centenario del genocidio armeno: 2015 anno della memoria» al quale hanno partecipato, tra gli altri, l'ambasciatore della Repubblica armena in Italia, Sargis Ghazaryan, e il sindaco di Cagliari Massimo Zedda;
   nel corso del convegno, il sindaco della città sarda ha rivelato di aver ricevuto una nota riservata dell'ambasciata turca in Italia che lo invitata a non prendere parte al convegno commemorativo di questo crimine certificato dalla storia, ritenendo la sua presenza non opportuna;
   la notizia è stata riportata anche dagli organi di stampa;
   l'ambasciatore della Repubblica armena in Italia, Sargis Ghazaryan, ha confermato che le pressioni della Turchia per via diplomatica non rappresentano un'eccezione in Italia e sono in linea con una politica che nega l'esistenza del genocidio e le responsabilità dei turchi ottomani nello sterminio dei cristiani armeni;
   a quanto consta all'interrogante alcuni prefetti italiani avrebbero ricevuto note di protesta per il comportamento tenuto dalle autorità turche in occasione di eventi pubblici che commemorano il genocidio del popolo armeno –:
   se abbia notizia delle iniziative intraprese dall'ambasciata turca in Italia in occasione degli eventi commemorativi del genocidio del popolo armeno;
   se non ritenga grave l'ingerenza delle autorità turche, per via diplomatica, negli affari che riguardano la libera espressione di cittadini nella Repubblica italiana;
   se non ritenga opportuno presentare formale protesta nei confronti del Governo turco per l'atteggiamento tenuto dall'ambasciata turca in Italia nei confronti del sindaco di Cagliari in occasione di un importante convegno sul genocidio armeno;
   quali iniziative intenda intraprendere per impedire che in futuro si possano ripetere i fatti sopra menzionati tesi a nascondere l'esistenza del genocidio del popolo turco e la responsabilità, certificata dalla storia, dei turchi dell'impero ottomano nello sterminio degli armeni.
(4-06840)

  Risposta. — Si desidera innanzitutto segnalare che il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale non era stato informato previamente dell'iniziativa svoltasi a Cagliari il 25 ottobre 2014, con il convegno dal titolo «Verso il centenario del genocidio armeno: 2015 anno della memoria».
  La Turchia, come noto, si oppone alla riconduzione degli eventi occorsi nel 1915 a danno della popolazione armena alla fattispecie del genocidio, pur riconoscendo che si sia trattato di una fase caratterizzata da gravissime sofferenze, con conseguenze disumane quali le deportazioni. Alla vigilia del 99o anniversario del cosiddetto «genocidio armeno», il 23 aprile 2014, l'allora Primo Ministro turco Erdogan aveva pubblicato un messaggio nel quale aveva presentato le condoglianze ai nipoti delle vittime armene dei predetti eventi. Nel messaggio veniva ribadita la posizione del Governo turco, mirante ad approfondire lo studio storico condiviso di tali eventi, come previsto dai Protocolli volti alla normalizzazione dei rapporti tra la Repubblica di Turchia e la Repubblica Armena, sottoscritti a Zurigo il 10 ottobre 2009 (la cui ratifica è incoraggiata da parte italiana). Da parte turca veniva sottolineata altresì l'apertura dei propri archivi storici agli studiosi.
  L'Ambasciata di Turchia Roma svolge un monitoraggio molto attento dei provvedimenti e degli atti di indirizzo degli enti locali italiani. Nei casi di delibere in favore del riconoscimento del «genocidio» armeno, risulta che essa intervenga di frequente, inviando ai rappresentanti degli enti interessati un promemoria informale contenente il punto di vista del Governo turco sulla questione. In alcuni casi, si ha notizia di successivi contatti di chiarificazione instaurati tra sindaci e funzionari dell'Ambasciata di Turchia.
  Anche nel caso del convegno dal titolo «Verso il centenario del genocidio armeno: 2015 anno della memoria», si è potuto verificare che l'Ambasciata di Turchia aveva inoltrato in data 22 ottobre 2014 una lettera al sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, nella quale si indicava che «iniziative organizzate in Paesi terzi con titoli chiaramente di parte sull'argomento non contribuiscono alla soluzione di una questione così delicata». La lettera riporta la posizione turca alla problematica ed acclude il messaggio ufficiale dell'aprile 2014 del Presidente della Repubblica di Turchia, Erdogan. Secondo quanto riferito dalla predetta Ambasciata, la missiva indirizzata al sindaco di Cagliari sarebbe stata inviata esclusivamente al fine di puntualizzare anche la posizione nazionale turca su tale delicata questione. Non sarebbero state esercitate in alcun modo ulteriori pressioni sulle autorità locali sarde, né sulle autorità governative a livello centrale, per scoraggiare lo svolgimento dell'iniziativa che si è regolarmente tenuta il 25 ottobre 2014.
  Alla luce di quanto esposto, non si è ritenuto di intraprendere iniziative di protesta nei confronti del Governo turco coerentemente con la linea del Governo italico, secondo cui la strada maestra per affrontare una questione tanto controversa quale quella del cosiddetto «genocidio armeno» risiede nel dialogo tra le parti e nell'approfondimento, senza pregiudizi e precondizioni, della ricerca storiografica – come previsto dagli stessi Protocolli di Zurigo, che contemplano la ricostruzione di una lettura quanto più possibile condivisa degli eventi della prima guerra mondiale nell'impero Ottomano.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da recenti notizie di stampa apparse sul Quotidiano della Calabria del 24 maggio 2014 si apprende che il distaccamento «Caronte» dei Vigili del fuoco di Lamezia Terme versa in uno stato di profondo disagio operativo che penalizza fortemente l'efficacia dei compiti ad esso assegnati;
   in particolare il distaccamento starebbe diventando una sede sotto potenziata: risulterebbero in servizio solo cinque vigili rispetto ai fabbisogni del bacino d'utenza che non può subire un ulteriore depauperamento della forza lavoro impegnata quotidianamente per garantire il necessario pronto intervento;
   anche il sindacato Usb che chiede che si arrivi ad una rapida soluzione, al fine di evitare grave disagio ai lavoratori;
   il personale, per carenze di risorse, non riesce a fare più formazione né addestramento per il mantenimento delle specializzazioni conseguite negli anni precedenti. Le professionalità venute meno per trasferimenti ad altri comandi, oppure per pensionamenti o transito ad altri ruoli, non vengono da tempo rimpiazzati. Inoltre i vigili sono costretti ad essere alloggiati in strutture molto fatiscenti;
   questo presidio è necessario anche per garantire le attività di pronto soccorso sulla statale 280 e sulla autostrada A3;
   la situazione sta diventando ormai insostenibile. Diverse sono state le segnalazioni che sono state fatte pervenire agli organismi competenti per informare circa la gravissima situazione in cui sono costretti ad operare i vigili del fuoco –:
   se il Ministro interrogato intenda celermente intervenire al fine di salvaguardare un essenziale ed adeguato livello qualitativo al Corpo dei vigili del fuoco di Lamezia, garantendo ad esso le risorse umane necessarie allo svolgimento dei compiti assegnati;
   se il Ministro interrogato intenda stanziare adeguate risorse finanziarie per mettere in condizioni il suddetto Corpo di poter contare sulla disponibilità di mezzi adeguati al soccorso e all'assistenza ai cittadini. (4-04999)


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'esigenza di assicurare un'adeguata protezione al territorio e una maggiore tutela alle persone è subordinata al delicato lavoro che viene svolto dai vigili del fuoco, soprattutto nel periodo estivo, durante il quale il loro coinvolgimento è ai massimi livelli;
   il corpo dei vigili del fuoco di Lamezia Terme risulta essere già vicino ad una situazione di collasso. Sono previsti, infatti, a decorrere dal 2015 significativi tagli ai quali si sommano quelli già effettuati precedentemente: depotenziare questo nucleo significa mettere a rischio la sicurezza del territorio, che è costituito essenzialmente da tratti costieri, laghi, fiumi e bacini artificiali;
   secondo quanto riportato dal Quotidiano della Calabria del 15 ottobre 2014 si evidenzia che il distaccamento del nucleo dei vigili del fuoco di Lamezia Terme risulta essere a rischio di declassamento dal gennaio 2015 a causa della riorganizzazione del Corpo;
   ad annunciare questo ennesimo taglio di presidi sul territorio, che causerebbe gravissime criticità per il lavoro svolto quotidianamente per garantire la sicurezza del territorio, è il presidente dell'associazione «Lamezia Libera», il quale ha annunciato che metterà in atto tutte le possibili azioni per contrastare i tagli che il Governo intende attuare sui vigili del fuoco;
   la città di Lamezia Terme possiede tutti i requisiti necessari per elevare di categoria il distaccamento di Caronte (area vasta di competenza comprendente 19 comuni, competenza stradale dallo svincolo di Pizzo Calabro a quello di Altilia Grimaldi, zona industriale più estesa del sud Italia, aeroporto internazionale, importante rete ferroviaria e autostradale e un'estensione di circa 160 chilometri quadrati con una popolazione di oltre 70.000 abitanti), invece viene declassata a differenza di altri centri che, con requisiti simili o inferiori, vengono potenziati;
   il distaccamento di Lamezia quindi sarà declassato e passerà da D3 con 52 uomini, 13 per ogni turno e due partenze, a D1 con 28 uomini, 7 per ogni turno, al pari di quelli esistenti in altri piccoli centri calabresi, tra cui Chiaravalle Centrale, Soverato e Sellia Marina –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali iniziative intenda promuovere per garantire la tutela del territorio calabrese e, in particolare, di quello lametino. (4-06495)

  Risposta. — Con le interrogazioni in esame l'interrogante richiama l'attenzione del Ministro dell'interno sul distaccamento dei vigili del fuoco di Lamezia Terme, interessato da un progetto di ridimensionamento della pianta organica che ne penalizzerebbe la funzionalità e gravato da una significativa carenza di mezzi di soccorso.
  Si premette che il comando provinciale dei vigili del fuoco di Catanzaro, nel cui ambito territoriale ricade il distaccamento di Lamezia Terme, dispone di un organico teorico di 309 unità appartenenti ai ruoli operativi. Le presenze effettive ammontano a 289 unità, con una carenza percentuale di personale che si colloca all'incirca nella media nazionale.
  Il distaccamento di Lamezia Terme, in particolare, è configurato nella categoria D2 con un organico teorico di 36 unità.
  Tanto premesso, si rappresenta che anche il comando provinciale dei vigili del fuoco di Catanzaro e il distaccamento di Lamezia Terme sono coinvolti nel progetto di riordino delle strutture del Corpo nazionale dei vigili del fuoco definito, a legislazione vigente e con invarianza della dotazione organica, al fine di corrispondere alle nuove esigenze del soccorso e alla domanda di sicurezza proveniente dal territorio.
  Il progetto ha ridefinito la mappatura delle sedi sia centrali che distaccate, riclassificandole in base ad indicatori riconducibili al rischio territoriale, alla popolazione, all'estensione territoriale, allo sviluppo industriale e commerciale.
  L'analisi effettuata ha consentito di bilanciare nel migliore modo possibile la distribuzione del personale nei vari comandi provinciali.
  Sulla base di ciò, il comando di Catanzaro passerà da 309 a 327 unità operative tra capi reparto, capi squadra e vigili permanenti.
  Il distaccamento di Lamezia Terme è stato riclassificato «SD4», con un incremento della dotazione organica da 36 a 46 unità (di cui 32 vigili permanenti, 12 capi squadra e 2 capi reparto). A queste si aggiungono ulteriori 4 unità assegnate al limitrofo distaccamento aeroportuale in aumento rispetto alla precedente classificazione, tenendo conto delle necessità di servizio della nuova base degli aeromobili canadair del Corpo nazionale.
  Più in generale, è opportuno ricordare che, nell'ottica di un potenziamento dell'organico in tutte le sedi territoriali, il decreto-legge n. 90 del 2014, convertito con legge n. 114 del 2014, ha previsto un incremento degli organici in misura pari a mille unità di personale operativo.
  Nell'ambito di tale contingente, 400 unità sono state assunte il 29 dicembre 2014 e le restanti 600 saranno assunte nel secondo semestre dell'anno 2015, attingendo, nella misura del 50 per cento ciascuna, dalla graduatoria degli idonei del concorso pubblico a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco e dalla graduatoria degli idonei della procedura selettiva indetta con decreto ministeriale n. 3747 del 27 agosto 2007.
  Per completezza, si informa che, sempre il 29 dicembre 2014, sono stati assunti altri 214 vigili del fuoco derivanti dal turn over 2013.
  Per quanto concerne i mezzi in uso, si rileva che, a causa della riduzione delle disponibilità finanziarie sui pertinenti capitoli di spesa, non è stato possibile effettuare un costante rinnovo del parco mezzi in dotazione a livello nazionale, con conseguente invecchiamento di quelli in funzione.
  Tale situazione ha comportato sia un aumento dei costi di manutenzione straordinaria per conservare in efficienza i mezzi operativi, sia una costante attività logistica volta a garantire la sostituzione di quegli automezzi che, di volta in volta, si rendono indisponibili in quanto soggetti a revisione.
  La carenza di mezzi presso il distaccamento di Lamezia Terme rappresenta, pertanto, una problematica comune a tante altre strutture sul territorio nazionale che, fin quando non saranno effettuate nuove dotazioni, potrà essere momentaneamente fronteggiata mediante un'opportuna ricollocazione dei mezzi disponibili a livello locale da parte della Direzione regionale dei vigili del fuoco della Calabria.
  Il problema è costantemente monitorato dal Ministero dell'interno e ha trovato una parziale soluzione con il decreto-legge n. 119 del 2014, convertito nella legge n. 146 del 2014, che ha autorizzato una spesa di due milioni di euro per lo scorso anno, quattro milioni di euro per il 2015 e sei milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2021, da destinare al Corpo nazionale dei vigili del fuoco per l'acquisto di automezzi per il soccorso urgente.
  Di tali risorse aggiuntive potranno beneficiare pro quota anche le strutture localizzate in Calabria, compatibilmente con le esigenze delle analoghe strutture sul resto del territorio nazionale.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   PELLEGRINO, FERRARA e DI SALVO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo di stampa pubblicato il 18 marzo 2014 sul quotidiano «Il Piccolo», si apprende che dopo quattro anni e mezzo di contratti di solidarietà e terminati tutti gli ammortizzatori sociali, se entro aprile non arriverà un compratore e un nuovo piano industriale, per gli ultimi 400 dipendenti della Ideal Standard di Orcenico di Zoppola – leader nel settore delle ceramiche e dell'arredo bagno – potrebbero scattare le procedure di mobilità con la chiusura definitiva dello stabilimento;
   dopo le chiusure di Ceramiche Galvani e di Richard Ginori la chiusura della Ideal Standard trasformerebbe il territorio di Pordenone da capitale dei sanitari a deserto industriale, rischiando di far sparire una vocazione industriale e un know artigianale che per mezzo secolo ha caratterizzato questo territorio. Con l'arrivo della crisi la disoccupazione nel pordenonese è al 10 per cento e non esiste alcun piano realistico per uno sviluppo economico alternativo. Il suo tessuto industriale è al collasso e come sempre accade in questi casi, come si è visto in un'altra importante e delicata vicenda che insiste nel Friuli, quella dell'Electrolux, i primi a pagare le conseguenze di questa dura realtà sono i lavoratori;
   oggi, nello stabilimento Ideal Standard di Orcenico si lavorano 270 mila pezzi l'anno con appena 430 addetti a fronte dei 700 dipendenti del 2006 e solo due linee produttive rimaste. Ideal Standard ha visto assottigliarsi anno dopo anno il numero del personale e ora si trova davanti ad un bivio: o la chiusura o la prosecuzione della produzione a ritmi e condizioni inaccettabili;
   tutti i dipendenti dello stabilimento di Orcenico lavorano in azienda da diversi anni, hanno delle vite avviate e delle famiglie e la chiusura del sito rappresenterebbe un vero e proprio «bagno di sangue» che il territorio non è in grado di sopportare;
   rispetto a 5 anni fa il mercato dei sanitari in Italia è crollato del 70 per cento sotto il peso della crisi che ha investito il settore dell'edilizia. Ideal Standard quindi ha deciso di sacrificare la fabbrica di Orcenico, per concentrare negli stabilimenti di Roccasecca e Trichiana la produzione orientata sulla specializzazione delle linee su articoli di alta gamma. Con l'inizio del 2014 è cominciata anche la cassa integrazione in deroga con la riduzione dell'orario da 6 a 4 ore e un salario pari al 65 per cento di quello previsto. Una cifra insostenibile per chi ha dei figli da educare o un mutuo da pagare;
   il rischio concreto è che i 430 dipendenti della Ideal Standard si vadano ad aggiungere al centinaio abbondante di contrattisti a tempo indeterminato – in buona parte immigrati – che ai primi accenni della crisi videro sparire il loro posto di lavoro per arrivare oggi a lavoratori che con 35 anni di servizio alle spalle, rischiano la mobilità e un limbo di 5-6 anni prima di poter accedere alla pensione. Per non parlare delle donne, che alla Ideal Standard sono circa il 10 per cento della forza lavoro e il 50 per cento nel reparto «wellness» e verrebbero doppiamente penalizzate visto che tutte le statistiche dimostrano come queste ultime abbiano maggiori difficoltà rispetto ai colleghi uomini nel trovare nuovi impieghi;
   l'Italia è il secondo Paese manifatturiero d'Europa eppure, a giudicare dallo stato di crisi in cui versano parecchie aziende del settore, sembrerebbe non sia, considerato più un settore strategico e se ciò fosse vero, sarebbe un tremendo errore; 
   dall'articolo di stampa già richiamato si apprende inoltre che ci sarebbe una cordata di imprenditori guidata da Stefano Boccalon, titolare della Glass srl di Treviso che sarebbe intenzionata a rilevare e rilanciare le unità produttive anche se a detta dell'imprenditore non ci sarebbero i presupposti per rendere competitivo lo stabilimento a causa dell'alto costo del lavoro e dell'energia e in ogni caso, anche se la trattativa andasse in porto, il lavoro sarebbe garantito solo per la metà dei dipendenti attualmente impiegati. A questo interesse si aggiungerebbe anche quello di alcune multinazionali del Far East, come i giapponesi della Lixil;
   non è più sostenibile dare una risposta ai problemi industriali con operazioni incentrate solo sulla continua riduzione dei costi del lavoro e scarsi investimenti sulle attività produttive, facendo pagare ai lavoratori e alla fiscalità generale le conseguenze delle eccedenze di personale e delle chiusure degli stabilimenti. Nel caso in questione si gioca con il futuro di 430 lavoratori –:
   se il Governo non intenda porre in essere ogni iniziativa di competenza volta ad affrontare le problematiche legate ad una vertenza che, purtroppo, si sta ulteriormente complicando in questi giorni affinché non si arrivi alla chiusura dello stabilimento Ideal Standard di Orcenico di Zoppola e vengano avviate serie trattative con potenziali acquirenti che possano garantire la continuità occupazionale nello stabilimento e puntino alla valorizzazione delle fabbriche e dei lavoratori, nonché allo sviluppo delle tecnologie e delle innovazioni;
   se il Governo non intenda attivarsi per quanto di competenza affinché al termine della cassa integrazione in deroga prevista per fine aprile 2014 venga scongiurata la procedura di mobilità per i 430 lavoratori e lavoratrici della Ideal Standard che rappresenterebbe l'anticamera del licenziamento (4-04079)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  Nel mese di dicembre 2013 è stato sottoscritto, com’è noto, presso il Ministero dello sviluppo economico, un accordo con i principali interlocutori istituzionali, aziendali e sindacali che ha impegnato le parti per un percorso industriale e occupazionale in grado di dare prospettive alla Indesit.
  Secondo quanto previsto dal citato accordo, l'azienda Indesit, per 5 anni, non ricorrerà a licenziamenti, riporterà in Italia produzioni realizzate in Spagna, Polonia e Turchia ed effettuerà investimenti per oltre 80 milioni di euro. Tale accordo è stato successivamente sottoposto al referendum dei lavoratori che lo hanno condiviso, approvando così la via di rilancio di questa importante realtà industriale.
  Vorrei ricordare che Indesit company Spa fa capo alla holding Fineldo spa.
  A luglio 2014 Indesit company spa ha comunicato che Whirlpool corporation e Fineldo Spa hanno sottoscritto un accordo per la cessione della partecipazione detenuta da Fineldo in Indesit company Spa. Inoltre Whirlpool ha sottoscritto con alcuni membri della famiglia Merloni accordi per l'acquisto delle azioni da essi detenute in Indesit. Ai sensi di tali accordi, Whirlpool acquisterebbe un numero complessivo di azioni rappresentanti il 66,8 per cento dei diritti di voto in Indesit. Secondo quanto pubblicizzato da fonti corporate, Whirlpool allo stato intende finanziare quest'operazione per cassa, insieme a finanziamenti bancari e il ricorso al mercato del debito statunitense e internazionale, a seconda della tempistica del closing e delle condizioni di mercato.
  È necessario rilevare, che, l'acquisizione del controllo di Indesit da parte di Whirlpool è soggetta sia all'autorizzazione del tribunale di Ancona, ottenuta recentemente, sia alla procedura dell'autorità antitrust per cui si è in attesa dell'esito. Infatti, in data 8 settembre 2014 è stato notificato alla Commissione europea un progetto di concentrazione in conformità dell'articolo 4 del regolamento (CE) n. 139/2004 del Consiglio.
  A seguito di un esame preliminare la Commissione ha ritenuto che la concentrazione notificata possa rientrare nel campo d'applicazione del regolamento sulle concentrazioni. Tuttavia si è riservata la decisione definitiva al riguardo.
  Rimanendo in attesa dell'esito della procedura di cui sopra, al fine di monitorare la vicenda Indesit, il Ministro dello sviluppo economico ha continuato a tenere ulteriori incontri per la verifica della situazione con le parti coinvolte nella vertenza.
  Non risultano, al momento tuttavia, piani di ristrutturazione che prevedano eccedenze occupazionali al di fuori di processi di riorganizzazione che stanno interessando una parte del gruppo dirigente.
  Presso il Ministro dello sviluppo economico infine, in data 19 febbraio 2015 si avrà un nuovo incontro nel corso del quale la direzione della Whirlpool illustrerà il piano industriale conseguente all'acquisizione, peraltro già operativa, della società Indesit.
  Infine, in riferimento all'ultimo quesito dell'atto in parola, il Ministero del lavoro ha comunicato che con propri decreti direttoriali del 23 aprile 2012 e dell'11 luglio 2013 è stata autorizzata la corresponsione del trattamento di integrazione salariale in favore dei lavoratori dipendenti della Indesit, unità produttiva di Roccasecca (FR), Trichiana (BL), Orcenico Inferiore (BS) per il periodo fino al 31 dicembre 2013.
  Successivamente alla società con un ulteriore decreto del 14 luglio 2014 è stato approvato un programma di crisi aziendale relativamente al periodo dal 31 dicembre 2013 al 29 dicembre 2014, in favore di un massimo di 11 dipendenti per l'unità di Milano, 10 per l'unità di Zoppola (PN) e 3 dell'unità di Trichiana (BL).
  Riferisce, infine il Ministero del lavoro, che a seguito di un accordo concluso in sede governativa il 10 febbraio 2014, con successivo decreto la società in parola ha ottenuto l'approvazione di cassa integrazione guadagni in deroga per il periodo 1o febbraio 2014 al 31 ottobre 2014, in favore di 396 lavoratori della sede di Orcenico Inferiore (PN) e n. 548 lavoratori della sede di Trichiana (BL).
Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   PRATAVIERA e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende dalle notizie riportate dagli organi di stampa il comune di Venezia ha autorizzato la limitazione nell'utilizzo di una propria piscina comunale ad entrambi i sessi in determinati giorni ed orari con la motivazione di venire incontro alle istanze della comunità musulmana;
   è noto infatti che i precetti religiosi islamici vietano alle donne di esporre il proprio corpo in pubblico se non interamente velato;
   negli ultimi 15 anni la componente straniera presente in Italia è triplicata. Se questo tasso di crescita dovesse mantenersi, la prospettiva è un raddoppio della popolazione straniera circa ogni tre anni; l'aumento esponenziale del fenomeno dell'immigrazione da Paesi di cultura islamica ha messo a dura prova le politiche di integrazione facendo emergere problematiche di diversa natura estremamente complicate e difficili da dirimere. Se, da un lato, è difatti connaturata nella storia democratica del nostro Paese una politica di integrazione e tolleranza, dall'altro lato non è più accettabile procrastinare interventi volti a garantire il rispetto della legalità da parte delle comunità musulmane presenti nel nostro territorio;
   nel nostro Paese gli uomini e le donne di fede musulmana sono circa 1 milione, poco più di 10.000 invece gli italiani convertiti all'Islam;
   è indispensabile promuovere l'uguaglianza dei diritti dell'uomo e della donna;
   la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1979, ratificata dall'Italia nel 1985, rappresenta uno degli strumenti di diritto internazionale più importanti in materia di tutela dei diritti umani delle donne. La Convenzione impegna gli Stati che l'hanno sottoscritta ad eliminare tutte le forme di discriminazione contro le donne, nell'esercizio dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali, indicando una serie di misure cui gli Stati devono attenersi per il raggiungimento di una piena e sostanziale uguaglianza fra donne e uomini;
   i diritti delle donne costituiscono parte integrante ed inalienabile di quel patrimonio di diritti universali in cui si riconoscono le moderne società democratiche;
   le cronache riportano con puntuale periodicità episodi di violenza commessi nei confronti di donne che rifiutano di sottoporsi ad irragionevoli dettami fanatico-religiosi;
   sempre più spesso, stando alle notizie pubblicate dagli organi d'informazione, si è dinnanzi a casi emblematici dove è facilmente riscontrabile, da un lato, il manifesto rifiuto da parte delle comunità musulmane presenti in Italia di rispettare le normative vigenti e di adeguarsi alla regole comportamentali e culturali del nostro Paese e, dall'altro lato, l'atteggiamento superficiale delle istituzioni che, non comprendendone i rischi, adottano semplicistiche soluzioni, mettendo conseguentemente in pericolo la sicurezza dei cittadini;
   è necessario quindi ribadire come non vi potrà mai essere integrazione senza la preventiva accettazione da parte di tutta la comunità islamica del principio fondamentale della separazione inequivocabile tra la sfera laica e quella religiosa e delle normative vigenti in materia di libertà individuale e di pensiero, di obbligo scolastico, di autodeterminazione e di uguaglianza formale di tutti i cittadini davanti alla legge, dello status giuridico o religioso delle donne, del rispetto del diritto di famiglia e dell'istituto del matrimonio, dei minori e dei non credenti e del trattamento degli animali;
   l'Islam si presenta fin dalle origini come un progetto globale che include tutti gli aspetti della vita. Include un modo di vivere, di comportarsi, di concepire il matrimonio, la famiglia, l'educazione dei figli, perfino l'alimentazione. In questo sistema di vita è compreso anche l'aspetto politico: come organizzare lo Stato, come agire con gli altri popoli, come rapportarsi in questioni di guerra e di pace, come relazionarsi agli stranieri e altro. Tutti questi aspetti sono stati codificati a partire dal Corano e dalla sunna e sono rimasti «congelati» nei secoli. La legge religiosa determina la legge civile e gestisce la vita privata e sociale di chiunque vive in un contesto musulmano e, se questa prospettiva è destinata a rimanere immutata, come è accaduto finora, la convivenza con chi non appartiene alla comunità islamica non può che risultare difficile;
   la legge islamica, rivolgendosi l'Islam a tutta l'umanità, è una legge personale e non dipende in nessun modo dall'elemento territoriale. La stessa nazionalità non è collegata, come avviene nella tradizione occidentale, allo ius sanguinis e allo ius loci, ma allo ius religionis, cioè all'appartenenza ad una comunità di credenti che non è legata all'esistenza di un entità statuale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative alla luce di decisioni come quella presa dal comune di Venezia che gli interroganti giudicano discriminatoria e nei fatti apportatrice dell'accettazione di un precetto che vuole la donna sottomessa all'uomo, intenda assumere per promuovere una nuova politica di integrazione che metta al centro il rispetto e l'accettazione dei valori costituzionali disincentivando quelle pratiche che si pongano in contrasto con tali valori. (4-04824)

  Risposta. — I fatti segnalati nell'interrogazione si riferiscono all'iniziativa denominata «Solodonne» promossa da due assessorati del Comune di Venezia (Assessorato cittadinanza delle donne e culture delle differenze – centro donna; assessorato allo sport) insieme all’«unione Italiana Sport per Tutti» e ai gestori della piscina comunale situata nel parco Alfredo Albanese della Bissuola di Mestre.
  Avviata a titolo sperimentale nelle giornate dell'11, 18 e 25 maggio 2014, l'iniziativa prevedeva che la struttura fosse destinata alle donne e ai bambini fino ai 7 anni d'età nella fascia oraria dalle 9 alle 10.30.
  L'obiettivo era di consentire alle donne, soprattutto di fede musulmana ma non solo, di fruire liberamente del servizi della piscina in assenza di utenti di sesso maschile, nel dichiarato intento di offrire «la possibilità di mettere insieme storie, culture e personalità diverse».
  Alle attività dei corsi e nel nuoto libero, dove sono state impegnate alcune istruttrici professioniste, hanno partecipato complessivamente 27 donne, nessuna delle quali ha indossato il cosiddetto «burkini», il costume intero creato appositamente per facilitare la pratica natatoria alle donne islamiche.
  L'iniziativa è stata avversata dal movimento politico Forza Nuova, che l'ha ritenuta in contrasto con qualsiasi forma di integrazione.
  Il 16 maggio 2014, quindi, si è svolta in Prefettura una riunione del Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica in cui è emersa la necessità di predisporre specifici servizi di vigilanza e controllo nei pressi della struttura sportiva per il 18 maggio 2014, giornata nella quale il suddetto movimento politico aveva organizzato una protesta.
  La manifestazione si è svolta senza significative turbative dell'ordine pubblico, grazie anche all'operato delle forze di polizia che hanno impedito ai dimostranti di avvicinarsi troppo alla struttura.
  Nella mattinata del successivo 25 maggio 2014, un centinaio di persone, questa volta in prevalenza attivisti dei locali centri sociali, hanno organizzato una contromanifestazione nei pressi della piscina comunale, in contrapposizione al movimento politico «Forza Nuova» che aveva espresso l'intenzione di disturbare nuovamente l'afflusso del pubblico. Anche in questo caso, la manifestazione si è svolta senza particolari rilievi, anche per l'assenza di Forza Nuova.
  Si rappresenta, infine, che l'iniziativa del comune è stata limitata alle tre giornate previste e non ha avuto alcun seguito.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   RICCIATTI, MIGLIORE, DI SALVO, AIRAUDO, SCOTTO, RAGOSTA, GIANCARLO GIORDANO, FERRARA e MARCON. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 3 dicembre 2013 presso il Ministero dello sviluppo economico è stato siglato l'accordo relativo alla vertenza Indesit tra l'azienda, il Ministero dello sviluppo economico, le regioni Campania e Marche, Confindustria Ancona e Caserta, le organizzazioni sindacali dei lavoratori, ad eccezione della Fiom;
   tale accordo prevede un investimento della azienda pari ad 83 milioni di euro e la ridefinizione delle missioni produttive per ogni sito del gruppo, l'impegno dell'azienda sino a tutto il 2018 di non ricorrere all'utilizzo di procedure unilaterali di mobilità, l'uso dei contratti di solidarietà, un limite alla cassa integrazione a zero ore di 4 mesi per ogni lavoratore, nei cinque anni di durata del piano;
   nel piano sottoscritto alla presenza del Ministero dello sviluppo economico si fa riferimento alla delocalizzazione di alcune produzioni;
   nel ridefinizione delle missioni produttive degli stabilimenti, al polo di Caserta viene sottratta la produzione di lavatrici da 5,6,7 chilogrammi che verrà definitivamente trasferita entro il 2014 nello stabilimento di Manisa, in Turchia;
   a Fabriano vengono portate le linee di produzione dei piani cottura ed una parte di quelle dei refrigeratori, mentre le linee di produzione di refrigeratori con volumi più consistenti dovrebbero restare negli stabilimenti del gruppo siti nell'Europa orientale; durante le trattative, secondo quanto riportato dall'agenzia Ansa del 21 ottobre 2013, la Indesit ha dichiarato di poter riassorbire gradualmente solo 400 lavoratori, con il nuovo piano industriale;
   dal quadro complessivo che emerge dal piano industriale, e dai volumi produttivi assegnati agli stabilimenti italiani del gruppo, non appare verosimile un riassorbimento di tutti i lavoratori che ricorrono agli ammortizzatori sociali;
   nell'accordo sottoscritto il 3 dicembre 2013 non vengono risolti aspetti rilevanti emersi durante la trattativa come il futuro degli stabilimenti italiani, la possibile vendita del gruppo e la salvaguardia dei livelli occupazionali ed è debole l'azione del Governo a salvaguardia dell'occupazione e dei prodotti realizzati in Italia –:
   quali ulteriori misure intenda adottare per salvaguardare gli stabilimenti italiani ed i tessuti produttivi dei territori interessati ed i livelli occupazionali.
(4-02861)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame si rappresenta quanto segue.
  Nel mese di dicembre 2013 è stato sottoscritto, com’è noto, presso il Ministero dello sviluppo economico, un accordo con i principali interlocutori istituzionali, aziendali e sindacali che ha impegnato le parti per un percorso industriale e occupazionale in grado di dare prospettive alla Indesit.
  Secondo quanto previsto dal citato accordo, l'azienda Indesit, per 5 anni, non ricorrerà a licenziamenti, riporterà in Italia produzioni realizzate in Spagna, Polonia e Turchia ed effettuerà investimenti per oltre 80 milioni di euro. Tale accordo è stato successivamente sottoposto al referendum dei lavoratori che lo hanno condiviso, approvando così la via di rilancio di questa importante realtà industriale.
  Vorrei ricordare che Indesit company spa fa capo alla holding Fineldo spa.
  A luglio 2014 Indesit company spa ha comunicato che Whirlpool corporation e Fineldo S.p.A. hanno sottoscritto un accordo per la cessione della partecipazione detenuta da Fineldo in Indesit company spa. Inoltre Whirlpool ha sottoscritto con alcuni membri della famiglia Merloni accordi per l'acquisto delle azioni da essi detenute in Indesit. Ai sensi di tali accordi, Whirlpool acquisterebbe un numero complessivo di azioni rappresentanti il 66,8 per cento dei diritti di voto in Indesit. Secondo quanto pubblicizzato da fonti corporate, Whirlpool allo stato intende finanziare quest'operazione per cassa, insieme a finanziamenti bancari e il ricorso al mercato del debito statunitense e internazionale, a seconda della tempistica del closing e delle condizioni di mercato.
  È necessario rilevare, che, l'acquisizione dei controllo di Indesit da parte di Whirlpool è soggetta sia all'autorizzazione del tribunale di Ancona, ottenuta recentemente, sia alla procedura dell'autorità antitrust per cui si è in attesa dell'esito. Infatti, in data 8 settembre 2014 è stato notificato alla Commissione Europea un progetto di concentrazione in conformità dell'articolo 4 del regolamento (CE) n. 139/2004 del Consiglio.
  A seguito di un esame preliminare la Commissione ha ritenuto che la concentrazione notificata possa rientrare nel campo d'applicazione del regolamento sulle concentrazioni. Tuttavia si è riservata la decisione definitiva al riguardo.
  Rimanendo in attesa dell'esito della procedura di cui sopra, al fine di monitorare la vicenda Indesit, il Ministero dello sviluppo economico ha continuato a tenere ulteriori incontri per la verifica della situazione con le parti coinvolte nella vertenza.
  Non risultano, al momento tuttavia, piani di ristrutturazione che prevedano eccedenze occupazionali al di fuori di processi di riorganizzazione che stanno interessando una parte del gruppo dirigente.
  Presso il Ministero dello sviluppo economico infine, in data 19 febbraio 2015 si avrà un nuovo incontro nel corso del quale la direzione della Whirlpool illustrerà il piano industriale conseguente all'acquisizione, peraltro già operativa, della società Indesit.
Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   SERENI, BALDELLI, GALGANO, GALLINELLA, RICCIATTI, LUCIANO AGOSTINI, ASCANI, MARIASTELLA BIANCHI, CARRESCIA, CIPRINI, GIULIETTI, LAFFRANCO, LODOLINI, MANZI, MARCHETTI, MORANI, PETRINI, TERZONI, VERINI e VEZZALI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda leader del comparto produttivo degli elettrodomestici, Antonio Merloni spa il 14 ottobre 2008 è stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria ai sensi del decreto-legge n. 347 del 2003 (cosiddetta «legge Marzano») e i commissari straordinari, una volta verificata e formalizzata l'impossibilità di procedere con una gestione in continuità dell'attività produttiva, hanno formalizzato al Ministero dello sviluppo economico, già nell'aprile 2009, la proposta di un programma di cessione dei complessi aziendali;
   il 21 novembre 2011, presso il Ministero dello sviluppo economico, veniva siglato l'accordo sindacale propedeutico alla cessione del ramo di azienda attivo della Antonio Merloni al gruppo Porcarelli, titolare del marchio QS Group spa, attraverso J.P. Industries spa;
   l'accordo prevedeva l'acquisizione da parte di J.P. Industries Spa, entro dicembre 2011 e con efficacia dal 1° gennaio 2012, degli stabilimenti produttivi situati a Fabriano (Ancona) (Santa Maria e Maragone) e a Nocera Umbra (Perugia) (Gaifana), di 700 rapporti di lavoro del personale dipendente nonché dei marchi Ardo e Seppelfricke;
   il costo della cessione, approvato dal comitato di vigilanza previsto dalla legge Marzano, è stato pari a circa 10 milioni di euro, più 3 milioni di crediti a cui il gruppo Porcarelli ha rinunciato e che vantava nei confronti della precedente gestione della Ardo;
   il 20 febbraio 2012 un gruppo di banche creditrici della precedente gestione A. Merloni (Mps Gestione Crediti Banca spa, Unicredit Management Bank, Banca delle Marche, Banca Popolare di Ancona, Cassa di risparmio di Fabriano e Cupramontana, Banca Cr di Firenze, Banca dell'Adriatico), ha presentato ricorso per chiedere l'annullamento della suddetta cessione;
   sabato 21 settembre 2013 la seconda sezione del tribunale civile di Ancona ha annullato la vendita della Antonio Merloni al gruppo Porcarelli, in quanto la cessione ha «violato un vincolo diretto a salvaguardare, nell'ambito della pluralità degli interessi, quello dei creditori». Il collegio ha rilevato anche varie violazioni delle «norme imperative relative al criterio di determinazione del valore del complesso industriale, tali da inficiare l'intera operazione di vendita per illiceità»;
   la sentenza, attesa da mesi, rischia di avere delle conseguenze drammatiche sulla tenuta del tessuto economico e sociale di una parte consistente del territorio umbro e marchigiano e in particolare di creare una grave situazione occupazionale riguardante non solo i 700 lavoratori ex Merloni che erano stati riassunti dalla J.P. Industries, ma anche i 1300 lavoratori del gruppo Merloni attualmente in cassa integrazione fino al prossimo novembre;
   nei giorni immediatamente successivi alla sentenza i lavoratori della J.P. Industries hanno risposto con una vasta mobilitazione nei territori interessati, che ha visto la solidarietà di tutte le istituzioni locali e regionali di Umbria e Marche;
   dalla stampa locale si apprende che i lavoratori sono intenzionati a chiedere un incontro con Papa Bergoglio nel corso della sua imminente visita ad Assisi del prossimo 4 ottobre 2013 per rappresentare al Santo Padre la situazione di assoluta incertezza e precarietà in cui si verrebbero a trovare a seguito della esecutività della sentenza;
   sulla vicenda il 23 settembre 2013 il consiglio regionale dell'Umbria ha approvato all'unanimità una risoluzione che, esprimendo forte preoccupazione, impegna la giunta regionale, a chiedere al Governo in tempi rapidissimi l'attivazione di una sede di confronto presso il Ministero dello sviluppo economico tesa a individuare urgenti misure per scongiurare gli effetti nefasti della sentenza e mettere in campo tutte le iniziative per garantire il rispetto del progetto e dei contenuti dell'accordo di programma, unitamente alla continuità degli ammortizzatori sociali per il complesso delle maestranze –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra riportati e quali iniziative intenda adottare, tenendo conto dei possibili effetti della sentenza del tribunale di Ancona, per evitare che i lavoratori e le loro famiglie, già duramente provati da anni di incertezze e precarietà, debbano ancora una volta pagare il prezzo più pesante di una crisi industriale di cui certo non portano le responsabilità. (4-01977)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame si rappresentano i seguenti elementi informativi.
  Alla fine del 2011, i commissari straordinari, a seguito della approvazione del programma di cessione da parte del Ministro dello sviluppo economico (decreto ministeriale 23 maggio 2009 prorogato per due anni ai sensi di legge), erano autorizzati a cedere il ramo d'azienda comprensivo degli stabilimenti di Maragone e Santa Maria in Fabriano in favore della JP industries (controllata da QS group imprenditore Porcarelli) a fronte di un corrispettivo di euro 10.000.000,00 con impegno a proseguire l'attività imprenditoriale ed a garantire il mantenimento di 700 persone per quattro anni (anziché due come da previsioni dell'articolo 63, comma 2, del decreto legislativo 270 del 1999).
  Un pool di banche (UniCredit management bank, in proprio e quale mandataria di Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana, Banca delle Marche, Banca Popolare di Ancona, Banca CR Firenze, Banca dell'Adriatico e Monte dei Paschi di Siena), nella qualità di creditrici ipotecarie, impugnavano l'atto di vendita. Insorgeva così un contenzioso tra la Antonio Merloni in amministrazione straordinaria e le medesime banche. I primi due gradi di giudizio (tribunale e corte di appello di Ancona), nell'accogliere le richieste degli istituti di credito, hanno dichiarato la nullità del contratto di vendita con la conseguente disapplicazione delle autorizzazioni amministrative rilasciate, sul presupposto della contrarietà a norma imperativa, essendo stata accettata una offerta inferiore al valore di stima e tenuto conto della redditività negativa all'atto della stima e nel biennio successivo (articolo 63, comma 1, del decreto legislativo sopra citato).
  Nel frattempo sono intervenuti due provvedimenti legislativi recanti novella all'articolo 65, che dispone in materia di impugnativa degli atti di vendita, e una interpretazione autentica dell'articolo 63, comma 1.
  In particolare, con legge del 21 febbraio 2014, n. 9 (conversione in legge del decreto legge «Destinazione Italia»), sono state introdotte le seguenti disposizioni:
  «Art. 65-bis. (Misure per la salvaguardia della continuità aziendale). 1. In caso di reclamo previsto dall'articolo 65, comma 2, sono prorogati i termini di durata del programma di cui all'articolo 54 ed ai commissari straordinari è attribuito il potere di regolare convenzionalmente con l'acquirente dell'azienda o di rami di azienda, sentito il comitato di sorveglianza e previa autorizzazione ministeriale, modalità di gestione idonee a consentire la salvaguardia della continuità aziendale e dei livelli occupazionali nelle more del passaggio in giudicato del decreto che definisce il giudizio.
  2. Le previsioni di cui al comma I si applicano anche alle procedure di amministrazione straordinaria di cui al decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39.
  Articolo 9, comma 2-bis. L'articolo 63 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, si interpreta nel senso che, fermi restando gli obblighi di cui al comma 2 e le valutazioni discrezionali di cui al comma 5, il valore determinato ai sensi del comma I non costituisce un limite inderogabile ai fini della legittimità della vendita.
  Allo stato, pende il giudizio in Cassazione avverso la sopra citata sentenza di appello, proposto dai commissari, e a quanto è dato sapere, anche dall'acquirente.
  Ciò premesso, nell'ambito del quadro normativo sopra descritto e in considerazione della grande incertezza operativa creatasi, delle paventate ripercussioni della sentenza di nullità (più volte lamentate da parte dell'acquirente ivi compresa la mancanza di supporto finanziario da parte del sistema bancario), e nel superiore interesse della continuità produttiva con conseguente tutela dell'occupazione, è già aperto un tavolo di confronto tra tutte le parti presso questo Ministero.
  Gli incontri in particolare, sono stati orientati a individuare, con il necessario assenso delle banche coinvolte, un percorso idoneo a governare la situazione nell'ipotesi in cui la sentenza di Cassazione dovesse confermare i due precedenti gradi di giudizio, con la conseguente necessità tra la procedura instauratasi e l'offerta dell'acquirente di dare sistemazione alle reciproche pretese restitutorie.
  Attualmente, verificata proceduralmente la fattibilità tecnico giuridica di un eventuale accordo volto alla miglior possibile stabilizzazione dell'attività, con conseguente mantenimento dei livelli occupazionali, i commissari sono in attesa di ricevere dall'acquirente JP industries una valutazione/proposta ai fini della concretizzazione in sede negoziale dell'accordo stesso.
Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   SIBILIA, SPADONI, GRANDE, MANLIO DI STEFANO, DI BATTISTA, SCAGLIUSI e DEL GROSSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 marzo 2014, come riportato da molti quotidiani e agenzie di stampa, tra cui Ansamed (la rete informativa dell'ANSA dedicata alla regione Mediterranea e al Golfo arabico), l'Italia ha donato all'Egitto 56 veicoli antincendio per un valore pari a circa 11 milioni di euro;
   i 7 veicoli di piccola dimensione, i 46 di media e i 3 di grande dimensione sono stati forniti dall'Iveco e dalla Brescia Antincendi International (Bai);
   tale intervento rientra nel programma di aiuto alla bilancia dei pagamenti denominato «commodity aid» della cooperazione italiana per sostenere la transizione e lo sviluppo dell'Egitto;
   l'utilizzo di questo strumento di aiuto, finanziato dal Ministero degli affari esteri italiano, è stato giustificato dalla doppia finalità di promuovere il made in Italy nei mercati di sbocco e sostenere le importazioni dei Paesi come l'Egitto, che non dispongono di alcune tipologie di produzione industriale, come quella dei veicoli antincendio;
   oltre a questi 56 mezzi l'Italia ha donato nel 2002 altri venti veicoli, nel 2007 tredici e un altro nel 2011, per un totale di 90 mezzi antincendio per un valore pari a 17 milioni di euro;
   a parere degli interroganti, le azioni di solidarietà e di sostegno allo sviluppo e alla cooperazione internazionale sono sempre da incentivare soprattutto se rientrano nell'ambito che attiene agli interventi a difesa della vita umana;
   tuttavia, moltissimi comandi dei vigili del fuoco in Italia devono far fronte quotidianamente a incidenti, spesso gravi, causati dalla obsolescenza del parco mezzi con cui vengono effettuati i soccorsi; a questo si aggiungano anche la carenza di personale e la scarsità delle risorse destinate agli strumenti che consentirebbero una maggiore e migliore operatività;
   una tale situazione ha da tempo generato forti preoccupazioni negli operatori in servizio, che sono spesso costretti a intervenire in precarie condizioni di sicurezza –:
   se il Governo intenda valutare l'opportunità di reperire nuove e più consistenti risorse finanziarie da destinare in via prioritaria al dipartimento dei vigili del fuoco per il rinnovo del parco mezzi al fine di garantire meglio il soccorso pubblico, la prevenzione incendi, e la difesa civile. (4-04723)

  Risposta. — Il programma «Commodity Aid Italia-Egitto», avviato nel 1996 sulla base del protocollo di accordo stipulato nel 1994, fa capo al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, che, come previsto dalla normativa di settore, ha utilizzato i relativi fondi esclusivamente per l'acquisto di beni di origine italiana. Tra le forniture vi sono anche quelle menzionate nell'interrogazione, relative ai veicoli antincendio consegnati alla Protezione civile egiziana.
  In proposito, il citato Ministero ha rappresentato che il programma è coerente con gli obiettivi strategici della cooperazione italiana delineati nelle linee guida da esso stesso emanate per il triennio 2014-2016, che identificano proprio l'Egitto come uno del venti Paesi destinatari in via prioritaria degli aiuti italiani.
  Più in generale, per quanto concerne la situazione del parco automezzi e delle attrezzature logistiche del Corpo nazionale, si rappresenta che a causa della riduzione degli stanziamenti sui relativi capitoli di spesa, subiti nel corso degli ultimi esercizi finanziari, non è stato possibile effettuare un'adeguata sostituzione, con conseguente progressivo invecchiamento di una certa percentuale dei veicoli.
  Si precisa, tuttavia, che recentemente il decreto legge n. 119 del 2014, convertito con legge n. 146 del 2014, ha previsto all'articolo 8 misure per l'ammodernamento di mezzi, attrezzature e strutture del Corpo nazionale, autorizzando una spesa di 2 milioni di euro per l'anno 2014, 4 milioni per l'anno 2015 e 6 milioni per ciascuno degli anni dal 2016 al 2021, da destinare al Corpo medesimo per l'acquisto di automezzi per il soccorso urgente.
  Quanto alle carenze di organico, alle quali pure si fa riferimento nell'interrogazione, si segnala che diversi provvedimenti legislativi adottati nel corso degli ultimi anni hanno incrementato le dotazioni organiche dei ruoli operativi del Corpo.
  Un primo incremento di 1.000 unità nella qualifica iniziale di vigile del fuoco si è avuto con l'articolo 8 del decreto legge n. 101 del 2013, convertito con legge n. 125 del 2013. Tale personale è stato già assunto.
  Successivamente il decreto legge n. 90 del 2014, convertito con legge n. 114 del 2014, ha previsto un ulteriore incremento degli organici in misura pari a mille e trenta unità.
  Nell'ambito di tale contingente, 400 unità sono state assunte il 29 dicembre scorso e le restanti 600 saranno assunte nel secondo semestre dell'anno 2015, attingendo, nella misura del 50 per cento, dalla graduatoria degli idonei del concorso pubblico a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco e dalla graduatoria degli idonei della procedura selettiva indetta con decreto ministeriale 3747 del 27 agosto 2007.
  Le altre 30 unità, destinate alla banda musicale dei vigili del fuoco, saranno assunte secondo le modalità di cui all'articolo 148 del decreto legislativo n. 217 del 2005, per le finalità ivi previste.
  Per completezza, si informa che, sempre il 29 dicembre 2014, sono stati assunti altri 214 vigili del fuoco derivanti dal turn over 2013.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   SIBILIA, MANLIO DI STEFANO, SCAGLIUSI, SPADONI, DI BATTISTA, DEL GROSSO e GRANDE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   sull'edizione del quotidiano online repubblica.it del 5 dicembre 2014 è stato pubblicato un articolo dal titolo «Io, turista italiano in Israele, rimasto chiuso in aeroporto per quattro giorni» riguardante la vicenda di Daryush Sabaghi, un italiano d'origine iraniana, bloccato dall'autorità di sicurezza israeliana allo scalo internazionale Ben Gurion di Tel Aviv e portato in quello che viene definito «carcere per turisti» prima di essere rimpatriato;
   secondo quanto riportato nell'articolo, il signor Sabaghi è arrivato in Israele per turismo e per svolgere attività di volontariato presso un ostello a Ramallah, in Cisgiordania. Invece ha passato 4 giorni e 3 notti in una cella di 10 metri quadri con tre letti a castello, una doppia inferriata stretta, un lavabo e un piccolo bagno con doccia;
   questo è il racconto fornito in un'intervista al quotidiano dal signor Sabaghi su quanto gli è accaduto «I veri motivi del respingimento all'aeroporto non sono ancora chiari. Durante gli interrogatori, le autorità aeroportuali mi hanno accusato di essere un pericolo e una minaccia per Israele e che forse potrei essere un terrorista. Nonostante sia cittadino italiano, le mie origini iraniane hanno probabilmente influenzato l'esito della loro decisione. Le autorità aeroportuali hanno controllato e-mail, profili Facebook e Twitter, fotografie, rubriche e ogni altra informazione presenti all'interno del telefono e del computer, nonché tutto il contenuto dei miei bagagli. E si ostinavano a farmi confessare chissà quale verità sul vero obiettivo del mio viaggio. Un pressing psicologico condito da minacce velate senza una giustificazione. All'inizio non mi è stata data nemmeno la possibilità di chiamare l'ambasciata. L'ho potuto fare una volta in cella grazie a Giacomo, un operatore della Croce Rossa che era venuto a fare dei controlli sullo stato della prigione. Mi ha scritto il numero dell'ambasciata su un pezzo di carta e ha aggiunto che avevo diritto di fare una chiamata al giorno. L'ambasciata comunque non ha potuto fare niente. Durante il soggiorno all'interno della prigione per turisti hanno sequestrato tutto: mi hanno fatto tenere solo qualche libro, sigarette e il portafogli. La nostra ora d'aria durava 20 minuti al giorno: 10 la mattina e 10 la sera»;
   rispedito a Roma, il signor Sabaghi ha chiesto via e-mail informazioni maggiori sull'accaduto all'ambasciata israeliana in Italia che, dopo pochi giorni, ha risposto: «Gentile signore, le autorità aeroportuali hanno rifiutato il suo ingresso per ragioni di sicurezza. Non potrà entrare in Israele per i prossimi 10 anni»;
   lo Stato di Israele ha lo statuto di osservatore dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa dal 1957 mentre è aperto ancora al dibattito all'interno del Consiglio stesso la proposta di allargare a Israele e delle altre democrazie mediterranee l'adesione al CEDU, atteso che, col suo focus privilegiato sui diritti umani, potrebbe costituire un importante test della volontà di tali governi di garantire lo stato di diritto e il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali ai propri cittadini e agli stranieri sotto la propria giurisdizione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della incresciosa vicenda accaduta al signor Sabaghi e se non ritenga opportuno valutare di assumere una qualche iniziativa, per quanto di competenza, sia per accertare i motivi del respingimento all'aeroporto di Tel Aviv sia per evitare che fatti simili possano succedere di nuovo senza un'adeguata informazione ai soggetti interessati circa le cause del fermo e del conseguente rimpatrio. (4-07245)

  Risposta. — Il signor Daryush Sabaghi, cittadino italiano di origine iraniana, è stato posto in stato di fermo amministrativo dalle autorità israeliane, secondo quanto dallo stesso riferito, il giorno 18 novembre 2014, al suo arrivo all'aeroporto di Tel Aviv. L'Ambasciata d'Italia a Tel Aviv è stata informata dal consolato generale in Gerusalemme – precedentemente contattato dal connazionale per via telefonica – e si è attivata per avere informazioni sul caso, interpellando a più riprese i competenti interlocutori israeliani e riuscendo a parlare con il signor Sabaghi. Quest'ultimo confermava di essere trattenuto presso il centro di detenzione amministrativa dell'aeroporto Ben Gurion in attesa di espulsione.
  Il signor Sabaghi assicurava di star bene e spiegava di essere diretto ad un ostello di Ramallah dove avrebbe svolto attività di volontariato in cambio dell'alloggio. Lo stesso riferiva di essere stato informato che sarebbe stato espulso il 22 novembre 2014 con volo della compagnia EasyJet, manifestando quindi interesse a partire in anticipo. L'ambasciata ha illustrato le procedure israeliane in materia, che il connazionale ha dichiarato di comprendere. In contatti intercorsi il 21 novembre 2014, il signor Sabaghi informava di avere deciso di attendere il rimpatrio programmato da parte israeliana, effettivamente avvenuto il giorno successivo. La nostra Rappresentanza ha tenuto costantemente informata la famiglia sugli sviluppi della vicenda.
  L'episodio si inserisce in una serie di casi riguardanti cittadini stranieri, anche italiani, interessati a svolgere attività in Cisgiordania, che frequentemente vengono respinti dalle autorità di sicurezza israeliane al loro arrivo nel Paese. Come evidenziato nell'avviso sul sito «Viaggiare sicuri» curato dall'unità di crisi della Farnesina, le autorità locali si riservano di stabilire discrezionalmente il respingimento di ogni cittadino straniero sulla base di proprie insindacabili valutazioni di sicurezza. Il rimpatrio può poi avvenire a titolo gratuito sul primo volo disponibile della compagnia aerea d'arrivo, oppure a spese dell'interessato su qualsiasi altro vettore.
  Come già in casi precedenti, l'ambasciata d'Italia a Tel Aviv ha tempestivamente chiesto spiegazioni agli interlocutori israeliani sulle motivazioni del trattamento cui è stato sottoposto il connazionale. In data 15 gennaio 2015 le Autorità israeliane hanno confermato che il diniego di ingresso nel Paese al signor Sabaghi era dovuto a ragioni di sicurezza.
  La Farnesina continuerà a monitorare con attenzione gli sviluppi della vicenda e a fornire la massima assistenza a tutti i connazionali coinvolti in casi simili.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   SORIAL. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il mondo sta assistendo ad una terribile ripresa del conflitto nella Striscia di Gaza, tra israeliani e palestinesi, che ha già provocato più di 200 morti e più di 1500 feriti tra i palestinesi e si è registrata il 16 luglio, anche la prima vittima israeliana: un civile israeliano rimasto ucciso al valico di Erez;
   la crisi pare sia stata innescata dall'uccisione di tre giovanissimi ragazzi israeliani rapiti il 12 giugno scorso, che ha dato vita ad azioni di rappresaglia, nonostante la smentita da parte di Hamas, incolpata da Israele, di avere la responsabilità degli omicidi;
   secondo la dichiarazione del portavoce Sami Abu Zuhri alla France Presse «la scomparsa e l'uccisione dei tre israeliani è basata solo sulla versione di Israele. L'occupazione sta cercando di usare questa storia per giustificare una guerra ad ampio raggio contro il nostro popolo»;
   in risposta ai tre omicidi, le frange estremiste israeliane (estremisti de La Familia) nella notte tra il 30 giugno e il 1° luglio hanno rapito un ragazzo palestinese e lo hanno ucciso bruciandolo vivo;
   il premier israeliano Netanyahu, in risposta ai lanci di razzi da parte di Hamas dalla Striscia di Gaza, dopo un iniziale atteggiamento di prudenza e moderazione, ha deciso di rispondere con un'azione militare, bombardando Gaza, comunicando all'esercito di prepararsi per una «una campagna forte, continua e lunga»;
   dopo una tregua durata solo alcune ore, il 15 luglio 2014, i bombardamenti sono ricominciati e la situazione sta peggiorando di ora in ora; l'esercito israeliano avrebbe chiesto a 100 mila persone nel nord e nell'est della Striscia di Gaza di evacuare le loro case, come riporta Ynet, citando fonti militari secondo cui i palestinesi hanno ricevuto dei messaggi in proposito;
   sembra che da anni ormai manchi un ruolo politico dell'Europa nel quadro di questi scontri, se non come sostegno economico e finanziario all'ANP e alla cooperazione euro-mediterranea, nonostante sia non solo responsabilità di tutti attivarsi per la pace nel Medioriente, ma ci sia anche una ricaduta diretta di tali scontri per i Paesi europei, ovvero l'aumento dei flussi migratori nel Mediterraneo già alimentati dalle altre crisi in Eritrea, Iraq e Siria –:
   quali siano gli orientamenti del Governo sui fatti riportati in premessa e se non si ritenga necessaria una forte presa di posizione del nostro Paese al fianco del Parlamento europeo, dell'Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite e delle organizzazioni umanitarie internazionali per intraprendere un serrato dialogo diplomatico per una ripresa del processo di pace, al fine di scongiurare terribile escalation di violenza ora in atto, che mette a repentaglio la vita della popolazione civile;
   se il Governo non intenda intervenire anche in sede europea, in considerazione del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, nell'ottica di dare all'Europa un ruolo più attivo e incisivo nella politica mediterranea nella promozione di una strategia a lungo termine, che possa attivare un processo politico di negoziato e cooperazione per arrivare alla pace reale e duratura tra i due popoli israeliano e palestinese. (4-05589)

  Risposta. — In un Medio Oriente scosso dalle forti tensioni in corso a Gerusalemme e in Cisgiordania, attorniate dalle spaventose crisi nelle aree circonvicine, il Governo è consapevole dell'urgenza che Israele e Palestina riprendano il negoziato diretto. Si tratta dell'unica alternativa per pervenire a una soluzione complessiva e durevole del contenzioso pluridecennale, basata sulla soluzione dei due Stati, come più volte ribadito dal Ministro degli affari esteri e della Cooperazione internazionale, Gentiloni, che ha ricordato la duplice esigenza di sicurezza di Israele e delle aspirazioni del popolo palestinese. Sul perseguimento di tale obiettivo si concentrano lo sforzo del Governo, in pieno coordinamento con i partner europei, l'alleato americano e i principali attori regionali.
  Nel semestre appena concluso, l'Italia, anche nella sua veste di Presidenza di turno dell'Unione europea, ha contribuito agli sforzi della Comunità internazionale volti dapprima ad assicurare la cessazione delle ostilità a Gaza e a favorire una rapida ripresa dei negoziati tra israeliani e palestinesi per il consolidamento del cessate il fuoco. Ciò grazie a uno stretto raccordo con le cancellerie europee e il Governo egiziano, che ha assunto il compito di mediare tra le due parti belligeranti (merita segnalare al riguardo la visita del Presidente Renzi al Cairo il 2 agosto 2014). La ricostruzione della Striscia di Gaza rimane una priorità assoluta della comunità internazionale, come evidenziato dagli esiti della Conferenza del Cairo del 12 ottobre 2014, che l'allora Ministro Mogherini ha co-presieduto e in cui è stato promesso un contributo totale internazionale di 4,5 miliardi di euro. In quella sede l'Italia ha annunciato un impegno finanziario di 18,7 milioni di euro.
  Purtroppo le attività di ricostruzione stentano a decollare e le condizioni di vita della popolazione restano assai precarie. L'auspicabile rientro dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) nella Striscia non si è peraltro realizzato a causa dello stallo nel processo di riconciliazione nazionale palestinese e del perdurante dissidio tra Hamas e al-Fatah. Rimangono critici i nodi relativi agli accessi alla Striscia (vitali per l'afflusso dei beni indispensabili per la ricostruzione), ivi inclusa l'ipotesi di collegamenti marittimi (sea links) e le questioni relative alla sicurezza di Israele (in primis, i tunnel). Ad influire negativamente sulla situazione a Gaza concorrono anche la prolungata chiusura del valico di Rafah, su decisione delle Autorità egiziane e la decisione del Cairo di istituire un'estesa buffer zone militarizzata lungo il confine terrestre con Israele e Gaza.
  In ambito europeo, l'Italia ha promosso il mantenimento della missione EUBAM-Rafah il cui mandato è stato prorogato dal Consiglio europeo fino al 30 giugno 2015. Sono attualmente in corso riflessioni sulla possibile riattivazione della missione quale contributo dell'Unione europea alla gestione post-crisi. La disponibilità dell'Ue a contribuire alla riattivazione e all'estensione delle missioni Psdc (Politica di sicurezza e difesa europea) sul terreno (ferma restando l'esigenza di un previo rientro effettivo dell'Anp a Gaza) è stata espressa anche dall'Alto rappresentante Mogherini sia alla parte israeliana sia a quella palestinese nel corso della sua visita del 7-8 novembre 2014. Inoltre, il Consiglio affari esteri del 17 novembre, adottando le Conclusioni sul processo di pace in Medio oriente cui l'Italia ha fortemente contribuito, ha espresso la volontà dell'Ue a svolgere un ruolo chiave negli sforzi internazionali a sostegno di un cessate-il-fuoco duraturo, anche attraverso la rapida riattivazione dell'estensione di obiettivi e mandato delle missioni Eubam Rafah ed Eupol Copps nei territori palestinesi. In ogni caso, occorre che sussistano una serie di pre-condizioni indispensabili (al momento lungi dal materializzarsi) per il riavvio dell'impegno della Psdc nella Striscia, tra cui un cessate-il-fuoco duraturo, il controllo effettivo di Gaza da parte dell'Autorità palestinese e la presenza delle relative forze di sicurezza, oltre ad un invito formale alla riattivazione delle missioni Psdc da parte di Israele e Palestina.
  Il processo di pace sta attualmente vivendo una fase estremamente convulsa e apparentemente priva di sbocchi a breve termine. A seguito della presentazione – il 30 dicembre 2014 – in Consiglio di sicurezza di una risoluzione, l'Autorità palestinese ha avviato la prevista offensiva diplomatica, diretta ad ottenere in ambito multilaterale ciò che il negoziato diretto non ha sin qui propiziato, ossia tempi certi per la fine dell'occupazione israeliana dei territori palestinesi e il ritiro israeliano sui confini pre-1967. La risoluzione non ha ottenuto i 9 voti necessari per essere approvata e quand'anche li avesse ottenuti sarebbe incorsa nel preannunciato veto da parte degli Stati Uniti. La reazione palestinese è stata quella di aderire a una ventina di convenzioni internazionali, incluso lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale di cui si accetta la giurisdizione a partire dal 13 giugno 2014 (in modo da ricomprendere gli eventi occorsi nell'estate). L'accessione della Palestina allo Statuto della Corte penale internazionale sarà effettiva a decorrere dal 1o aprile 2015. In risposta, le Autorità israeliane hanno congelato il trasferimento all'Anp di circa 100 milioni di euro di tributi riscossi per conto dell'Autorità palestinese relative al dicembre 2014. Pesa sulle decisioni dell’establishment israeliano anche la fluidità della situazione politica interna (dopo lo scioglimento della Knesset da parte del Premier Netanyahu e la convocazione delle elezioni parlamentari per il prossimo 17 marzo 2015) che potrebbe determinare nuove tensioni e strumentalizzazioni di eventi sul terreno a fini politici.
  Sono inoltre preoccupanti tutte le iniziative suscettibili di deteriorare la collaborazione e la fiducia tra israeliani e palestinesi. Le decisioni israeliane in direzione dell'espansione delle nuove colonie appaiono del tutto in contrasto con l'imperativo di non pregiudicare la soluzione dei due Stati. Nella stessa logica, si ritiene che le recenti decisioni israeliane sul trattenimento dei proventi fiscali destinati all'Anp debbano essere riviste, onde non aggravare ulteriormente la già precaria situazione finanziaria dell'Anp che potrebbe avere riflessi negativi anche sulla cruciale cooperazione di sicurezza tra Gerusalemme e Ramallah che, finora, non è venuta meno nonostante le crescenti tensioni tra le due parti. Al tempo stesso è opportuno che l'ANP si astenga dal promuovere iniziative di carattere giudiziario contro Israele onde non esacerbare ulteriormente la situazione.
  Negli ultimi mesi si sono moltiplicati gli episodi di violenza e provocazione reciproca tra le due parti che hanno interessato anche Gerusalemme e la Cisgiordania. Ancor più preoccupante la dimensione capillare dell’escalation di violenza, alimentata da episodi sempre più efferati, frutto soprattutto dell'iniziativa di singoli, fanatici o esasperati dall'assenza di prospettive. La Farnesina ha fermamente condannato il ciclo di violenze registratosi a Gerusalemme nei mesi scorsi, come l'attacco armato alla Sinagoga di Har Nof di novembre.
  L'Italia continua a sostenere concretamente il processo di formazione dello Stato palestinese attraverso i programmi di institution building dell'Autorità palestinese. Anche sul piano formale, il nostro Paese ha progressivamente preso atto della direzione irreversibile del processo di «state building», come evidenziato nel novembre 2012 dal nostro voto favorevole all'attribuzione alla Palestina dello status di Stato osservatore non membro nell'Assemblea generale delle nazioni unite. Quanto al riconoscimento dello Stato di Palestina, il Governo italiano mantiene una posizione coerente con l'approccio dinamico ed equilibrato sopra evidenziato. Esso deve avvenire al momento opportuno, con una tempistica che faccia sì che questo gesto possa contribuire a favorire l'auspicato esito del negoziato, ossia due Stati che vivano l'uno accanto all'altro in pace e sicurezza.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   SPADONI, MANLIO DI STEFANO e SCAGLIUSI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il dipartimento della funzione pubblica ha unificato la gestione degli adempimenti a carico delle pubbliche amministrazioni mediante il nuovo sistema integrato volto alla razionalizzazione del patrimonio informativo del dipartimento e alla semplificazione della comunicazione, PerlaPA;
   entrato in funzione nel 2011, il PerlaPA ha ottimizzato e semplificato, integrando le diverse banche dati, l'intero processo di comunicazione dei dati al citato dipartimento da parte delle amministrazioni pubbliche;
   con l'avviso del 30 novembre 2012, apparso sul sito www.perlapa.gov vengono forniti i seguenti elementi informativi: la legge n. 190 del 2012 per la prevenzione e la repressione della corruzione nella pubblica amministrazione, in vigore dal 28 novembre 2012, ha modificato l'articolo 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001 in materia di incompatibilità e di incarichi ai dipendenti pubblici; la nuova norma impone che le amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi, anche a titolo gratuito, ai propri dipendenti debbano comunicare in via telematica al dipartimento della funzione pubblica, entro quindici giorni dalla data di conferimento dell'incarico, gli incarichi conferiti o autorizzati ai dipendenti stessi; a seguito di tali interventi normativi è stata modificata la funzionalità relativa all'inserimento degli incarichi a dipendenti, aggiungendo un ulteriore campo obbligatorio da compilare, di tipo testo, nominato «Relazione di accompagnamento», che consente di accompagnare ciascun incarico con i dati richiesti dalla norma e, in particolare, relativi:
    a) alle norme in applicazione delle quali gli incarichi sono stati conferiti o autorizzati;
    b) alle ragioni del conferimento o dell'autorizzazione;
    c) ai criteri di scelta dei dipendenti cui gli incarichi sono stati conferiti o autorizzati;
    d) alla rispondenza dei medesimi ai principi di buon andamento dell'amministrazione;
    e) alle misure che si intendono adottare per il contenimento della spesa;
   è prevista la scadenza del 30 giugno di ciascun anno anche per l'invio della dichiarazione negativa che obbliga le amministrazioni a comunicare, anche nel caso in cui non siano stati conferiti o autorizzati incarichi ai propri dipendenti, anche se comandati o fuori ruolo;
   ai sensi dell'articolo 53, comma 9, del decreto legislativo n. 165 del 2001 «gli enti pubblici economici e i soggetti privati non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi. Ai fini dell'autorizzazione, l'amministrazione verifica l'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. In caso di inosservanza si applica la disposizione dell'articolo 6, comma 1, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, e successive modificazioni ed integrazioni. All'accertamento delle violazioni e all'irrogazione delle sanzioni provvede il Ministero delle finanze, avvalendosi della Guardia di finanza, secondo le disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689 e successive modificazioni ed integrazioni. Le somme riscosse sono acquisite alle entrate del Ministero delle finanze»;
   sempre ai sensi dell'articolo 53, comma 15, del medesimo atto normativo «le amministrazioni che omettono gli adempimenti di cui ai commi dall'11 al 14, non possono conferire nuovi incarichi fino a quando non adempiono. I soggetti di cui al comma 9 che omettono le comunicazioni di cui al comma 11 incorrono nella sanzione di cui allo stesso comma»;
   la prima firmataria del presente atto in data 25 febbraio 2014 (CRM:00401743) ha inoltrato un'istanza di accesso agli atti all'amministrazione degli affari esteri con la finalità, tra l'altro, di acquisire alcuni dati circa gli incarichi conferiti, con particolare riguardo al settore della cooperazione allo sviluppo; la risposta è risultata tuttavia incompleta –:
   se la direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri abbia dato corso a quanto previsto dagli adempimenti di legge ex articoli 15, 16, 18 e 20 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, per tutto il personale operante nell'ambito della legge 49 del 1987, in particolare nella trasmissione dei dati relativi: alle assegnazioni degli incarichi, al personale della carriera diplomatica e dirigenziale sia in Italia sia all'estero, comunicando ex-ante lo stato patrimoniale degli stessi, agli esperti in servizio ai sensi dell'articolo 12 della legge 49 del 1987, al personale di ruolo del Ministero degli affari esteri, al personale comandato o distaccato ad altre istituzioni, al personale esperto e di supporto reclutato dal settore privato o libero professionista e al personale assunto nell'ambito delle missioni di pace;
   se tali incarichi siano stati distribuiti equamente tra tutto il personale nel rispetto delle specifiche mansioni e se vi sia personale a cui non sono stati attribuiti incarichi o attribuiti solo parzialmente e, in caso affermativo, quali siano le motivazioni addotte;
   se abbiano dato corso, nell'ambito delle rispettive competenze, a quanto previsto dagli adempimenti di legge per tutto il personale operante della carriera diplomatica e dirigenziale operante all'estero e se sia stato comunicato ex-ante lo stato patrimoniale degli stessi (4-05125)

  Risposta. — Con riferimento al rapporto di lavoro regolato dalla legge n. 49 del 1987 e quindi relativo alla direzione della cooperazione allo sviluppo (Dgcs) del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per il primo quesito si informa che è stata data esecuzione agli adempimenti indicati nell'interrogazione, attraverso la raccolta di tutte le informazioni, debitamente accompagnate da una relazione di dettaglio, relative agli incarichi attribuiti al personale e ai compensi lordi, ai fini della comunicazione, secondo gli obblighi di legge, al Dipartimento della funzione pubblica, attraverso l'inserimento dei dati sul portale «Perla PA».
  In relazione al secondo quesito («se gli incarichi siano stati distribuiti equamente tra tutto il personale nel rispetto delle specifiche mansioni...»), si conferma che ogni incarico viene attribuito sulla base di quanto previsto dalla normativa vigente, tenendo conto ovviamente delle competenze e dello specifico profilo professionale dei funzionari interessati.
  Come previsto dalla normativa vigente in materia (legge n. 69 del 18 giugno 2009 decreto legislativo 27 ottobre 2009 n. 150), il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha reso note, attraverso il proprio sito internet, le informazioni richieste dagli adempimenti di legge e relative al personale della carriera diplomatica e dirigenziale. I dati di cui sopra sono consultabili nella sezione «Amministrazione trasparente», alla pagina

http://www.esteri.it./MAE/IT/Ministero/Tras- parenza_Comunicazioni_Legali/Personale/ organizzata secondo quanto prescritto dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   ZAN. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si è potuto apprendere da organizzazioni per i diritti umani e dagli organi di informazione, dall'8 luglio 2014, inizio dell'operazione militare «Protective Edge», Israele ha bombardato 950 volte la Striscia, distruggendo oltre 120 case (violando l'articolo 52 del Protocollo aggiuntivo I del 77 della convenzione di Ginevra), uccidendo 102 persone (inclusi 30 minori, 16 donne, 15 anziani e 1 giornalista), ferendo oltre 600 persone, di cui 50 in condizioni molto gravi; oltre 900 persone sono rimaste senza casa, 7 moschee, 25 edifici pubblici, 25 cooperative agricole, 7 centri educativi sono stati distrutti e 1 ospedale, 3 ambulanze, 10 scuole e 6 centri sportivi danneggiati;
   il lancio di razzi da Gaza, secondo il Magen David Adom (servizio emergenza nazionale israeliano), avrebbe causato nello stesso periodo 123 feriti di cui: 1 ferito grave; 2 moderati; 19 leggeri; 101 persone che soffrono di shock traumatico;
   secondo un appello dei cooperanti italiani in Palestina, il sistema sanitario di Gaza è al collasso: negli ospedali e nelle farmacie manca circa la metà dei farmaci inclusi nella lista dei farmaci essenziali stilata dalla Organizzazione mondiale della salute (http://www.who.int/medicines/publications/essentialmedicines/en/); mancano 470 tipi di materiali sterili e monouso, tra cui aghi, siringhe, cotone, disinfettanti, guanti e molto altro. Manca il carburante per alimentare ambulanze e generatori che permettono di far funzionare i macchinari salvavita e le sale operatorie durante le almeno 12 ore al giorno in cui l'unica centrale elettrica non riesce a fornire elettricità. Mancano le sacche di sangue necessarie a soccorrere le centinaia e centinaia di feriti;
   la Striscia di Gaza è isolata. Le frontiere con Egitto e Israele sono chiuse, ospedali, ambulanze e centri di pronto soccorso sono costantemente sotto la minaccia dei bombardamenti. Nonostante questo, il personale sanitario e i cooperanti anche italiani in loco continuano a prestare soccorso incessantemente;
   il Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr) ha lanciato l'allarme per cui centinaia di migliaia di persone nella Striscia di Gaza non hanno possibilità di approvvigionamento di acqua, essendo la stessa contaminata e comportando un serio rischio di diffusione di malattie;
   l'Italia, come recentemente denunciato dalla Rete italiana per il disarmo, che raggruppa le principali organizzazioni italiane impegnate sui temi del disarmo e del controllo degli armamenti, è oggi il maggiore esportatore dell'Unione europea di sistemi militari e di armi leggere verso Israele e proprio nei giorni scorsi, durante i raid aerei israeliani su Gaza, l'azienda Alenia Aermacchi del gruppo Finmeccanica ha inviato i primi due aerei addestratori M-346 alla Forza Aerea israeliana –:
   quali iniziative il Ministro intenda assumere per contribuire alla mediazione internazionale e alla riattivazione del tavolo dei negoziati, al fine di ripercorrere un processo di pace che garantisca il rispetto dei diritti umani per israeliani e palestinesi;
   se non intenda il Ministro attivarsi nell'immediato affinché il nostro Paese interrompa la fornitura di armi, di munizioni e di sistemi militari con Israele, così da impedire agli armamenti italiani di rendersi complici in futuro di atti di guerra e di violazione dei diritti umani di popolazioni già duramente colpite da decenni di conflitto. (4-05555)

  Risposta. — Nel delicato contesto medio-orientale, profondamente scosso dalle forti tensioni in corso a Gerusalemme e in Cisgiordania, a loro volta accerchiate da terribili crisi nelle aree vicine, il Governo è consapevole dell'urgenza e della necessità che Israele e Palestina tornino al negoziato diretto, basato sulla soluzione dei due Stati, quale unica alternativa per pervenire a una soluzione complessiva e durevole del loro contenzioso. Sul perseguimento di questo obiettivo si concentrano i nostri sforzi, in pieno coordinamento con i partners europei, l'alleato statunitense e i principali attori regionali.
  Vanno scoraggiate tutte le iniziative, da una parte e dall'altra, suscettibili di deteriorare la collaborazione tra israeliani e palestinesi, a partire da quella esistente nel cruciale comparto della sicurezza. A tale riguardo, l'Italia ha fermamente condannato il ciclo di violenze registratosi a Gerusalemme, come l'attacco armato alla Sinagoga di Har Nof il 18 novembre 2014, frutto di iniziative di singoli ma anche segno di frustrazione ed esasperazione della popolazione. Parimenti, hanno suscitato profondo sdegno la continua diffusione e l'incremento della violenza generata da fenomeni di antisemitismo anche in Europa, come i dolorosi recenti accadimenti di Place de Vincennes a Parigi hanno purtroppo confermato. Il nostro Governo è fortemente impegnato a favorire, anche attraverso un dialogo strategico, multidimensionale e approfondito con Israele, il rispetto delle identità religiose e nazionali e la condanna a fenomeni di radicalizzazione delle identità e della violenza. Per tale ragione, nell'ambito del programma del nostro semestre di Presidenza dell'Unione europea, abbiamo promosso un importante «Simposio Europeo sull'Educazione alla Shoah», svoltosi a Roma il 15 dicembre 2014, teso a creare, attraverso l'azione italiana, un network europeo per il rafforzamento e la promozione della memoria dell'Olocausto in Europa.
  Per quanto riguarda la cooperazione militare con Israele, essa si basa su un accordo bilaterale sottoscritto nel 2005. L'Italia è da sempre sensibile alle esigenze di sicurezza che caratterizzano il Paese, vieppiù nell'attuale instabile quadro geopolitico regionale caratterizzato da forti convulsioni che mettono a rischio la stabilità dei Paesi confinanti.
  In questo contesto, si desidera chiarire che l'Italia non fornisce ad Israele sistemi d'arma di natura offensiva. Da un punto di vista più generale, si ricorda che l'Italia, nel rilascio delle autorizzazioni alle esportazioni degli armamenti, applica rigorosamente gli otto criteri sanciti dalla posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio Europeo dell'8 dicembre 2008 («Norme comuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari»), che comportano l'effettuazione di approfonditi riscontri in merito alla situazione interna e regionale dei Paesi verso i quali le operazioni devono essere condotte, l'eventuale impatto delle esportazioni e dei transiti di tecnologia e delle attrezzature militari sui Paesi destinatari e sulle regioni circostanti, l'utilizzo finale del materiale, l'eventuale rischio di sviamenti o cessione a terzi dello stesso, il rispetto della pace internazionale e dei diritti umani da parte dei Governi destinatari. Oltre alla normativa europea, sul piano internazionale l'Italia applica pienamente gli embarghi e le altre misure di carattere restrittivo adottati a livello di Nazioni Unite.
  Con riferimento specifico alla fornitura degli M346 ad Israele, si segnala che il velivolo, come peraltro indicato dall'interrogante, è un nuovo addestratore avanzato. Nel pieno rispetto dei principi e del dettato normativo sancito dalla legge n. 185 del 1990, da parte italiana tali velivoli sono stati quindi forniti all'Aviazione israeliana in versione disarmata e da addestramento. Non si tratta dunque di aerei configurati con capacità offensive.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.