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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 9 marzo 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il territorio della regione Campania e, in particolar modo, le aree della provincia a nord di Napoli e a sud di Caserta sono oggetto, da decenni, di un costante processo di contaminazione e avvelenamento, generato da una continua attività di traffico e smaltimento illecito di rifiuti provenienti da tutto il territorio nazionale;
    nella zona in questione, conosciuta come Terra dei Fuochi, sono stati valutati sversamenti per circa 10 milioni di tonnellate di rifiuti di varia tipologia, dalle scorie provenienti dalla metallurgia termica dell'alluminio alle polveri di abbattimento fumi, passando per l'amianto, fanghi derivanti dai depuratori industriali e liquidi reflui contaminati da metalli pesanti;
    il decreto-legge n. 136 del 10 dicembre 2013 aveva disposto una serie di misure e una tempistica precisa per favorire le attività di analisi e monitoraggio delle aree contaminate, con l'obiettivo principale di verificare lo stato dei terreni agricoli e la eventuale tossicità dei prodotti agroalimentari;
    la legge è stata seguita da numerose direttive e decreti ministeriali in capo ai Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e al Ministro della salute, che hanno progressivamente stabilito le aree e le modalità di indagine atte a verificare lo stato di contaminazione delle matrici ambientali e dei prodotti agroalimentari;
    come ampiamente riportato nel dossier dell'associazione nazionale Legambiente, dal titolo «Terra dei Fuochi, a che punto siamo ?» del 10 febbraio 2015, l'applicazione della legge è in uno stato di allarmante ritardo, compromettendo quotidianamente le attività per la messa in sicurezza di un territorio colpito da numerose fonti di avvelenamento, con gravissimi danni per la salute dei cittadini residenti nelle aree contaminate; la conclusione dei lavori, prevista per ottobre 2014, appare drammaticamente lontana;
    in particolare, la direttiva ministeriale del 23 dicembre 2013 aveva individuato 57 comuni, 33 in provincia di Napoli e 23 in provincia di Acerra, nei quali effettuare in via prioritaria le attività di indagine ed analisi, predisponendo successivamente le misure necessarie alla messa in sicurezza e alla bonifica dei territori;
    i risultati delle indagini hanno prodotto una mappatura relativa ai 1.076 chilometri quadrati considerati e una classificazione, da 1 a 5, in merito al livello di contaminazione dei siti;
    la conferenza stampa del Governo datata 11 marzo 2014 ha fornito alcune informazioni circa lo stato di avanzamento delle attività di analisi: sono risultati collocabili in classi di rischio elevate (da 3 a 5) 51 siti, appartenenti a 7 comuni, per un totale di 64 ettari di terreni agricoli; tali siti avrebbero dovuto essere sottoposti a indagini dirette nei successivi 90 giorni e i risultati diffusi entro il 9 giugno 2014;
    in grave contrasto con il diritto di accesso alla informazioni ambientali sancito dalla Convenzione di Aarhus del 1998, recepita nel nostro ordinamento con la legge n. 108 del 16 marzo 2001 e richiamata anche nel testo del decreto-legge n. 136 del 2013, comma 4-bis dell'articolo 4, i dati relativi alle indagini delle aree monitorate sono stati resi pubblici solo parzialmente, attraverso un comunicato stampa dei Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute del 12 febbraio 2015, nonostante i lavori sul campo risultino conclusi; gli unici dati chiari provengono dalla conferenza stampa del Governo dell'11 marzo 2014. Ad un anno di distanza dalla pubblicazione della legge n. 6 del 2014, dunque, la qualità dell'informazione ambientale rimane gravemente carente, pur essendo riconosciuta in ambito internazionale e comunitario come uno dei principali strumenti per garantire il diritto alla salute e all'ambiente dei cittadini;
    oltre ai suddetti 51 siti, ne sono stati individuati ulteriori 1.335 potenzialmente inquinati (in classe 2a e 2b) per un totale di 906 ettari, a cui vanno aggiunte le aree agricole delle aree vaste (2c), che comprendono zone come Lo Uttaro e Masseria del Pozzo, e, infine, molte aree a ridosso dei siti di smaltimento rifiuti (2d), tutte a forte rischio ambientale, per le quali non sono tuttavia ancora state attivate le procedure di analisi e caratterizzazione;
    con direttiva ministeriale del 16 aprile 2014 sono stati aggiunti ulteriori 31 comuni in cui svolgere attività di analisi, ma non risulta essere partita oggi alcun tipo di misura in tal senso;
    tra le aree vaste vi sono zone di particolare rilevanza, come quella di Giugliano; l'area comprende infatti anche la discarica ex Resit, ove risultano essere state smaltite circa 340 mila tonnellate di rifiuti speciali pericolosi e 160 mila di rifiuti non pericolosi, con una conseguente produzione di 57 mila tonnellate di percolato destinate ad avvelenare le falde acquifere, e che comporterà ripercussioni drammatiche sulla popolazione e sulle attività economiche del giuglianese: per questa area è stata effettuata solamente l'attività di caratterizzazione, quando è chiaro che necessiterebbe di una immediata messa in sicurezza permanente;
    l'area del giuglianese, con i casi delle discariche ex Resit e Masseria del Pozzo, dimostra inoltre la potenziale infiltrazione della criminalità organizzata anche nel settore delle bonifiche: alcuni componenti del consiglio di amministrazione della società Tre Erre Srl, affidataria dell'appalto della messa in sicurezza dei due siti, sono stati coinvolti nell'inchiesta Mafia Capitale, bloccando, di fatto, le attività previste; il contratto prevede, infatti, un protocollo di legalità, nel quale viene disposta la rescissione immediata dello stesso in caso di infiltrazioni mafiose; la vicenda ha condotto, nel dicembre 2014, all'intervento del capo dell'Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, che ha avviato una verifica ispettiva in merito;
    allarmi in tal senso sono giunti, negli ultimi mesi, anche dal procuratore nazionale antimafia Franco Roberti e dal procuratore generale delle Corte dei conti, Salvatore Nottola, il quale, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2013 aveva quantificato in 43 milioni di euro il danno erariale dovuto alla gestione del contratto per l'attività di bonifica di siti inquinati e di stoccaggio dei relativi rifiuti nel litorale Domitio Flegreo e Agro Aversano;
    l'attività di bonifica dei siti inquinanti versa in una condizione di drammatico empasse; il Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, istituito con la legge n. 423 del 9 dicembre 1998, aveva classificato il sito litorale Domitio Flegreo e Agro Aversano quale Sito di interesse nazionale (SIN, comprendente 77 comuni delle province di Napoli e Caserta), derubricato a sito di interesse regionale dal decreto ministeriale 11 gennaio 2013 del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
    il suddetto dossier di Legambiente riporta come degli oltre 2.000 siti inquinati e censiti all'interno del perimetro dell'ex SIN, solo per lo 0,2 per cento sono in corso attività di bonifica, per lo 0,8 per cento è in corso o è stata conclusa l'attività di progettazione della stessa, per il 21,5 per cento è stata realizzata l'analisi o la caratterizzazione, mentre per il 74 per cento non è ancora stata svolta alcuna attività; nemmeno il successivo Piano regionale di bonifica ha condotto a risultati significativi in tal senso;
    l'audizione in Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Raffaella Capasso, datata 14 gennaio 2015, ha portato all'attenzione come ulteriore elemento di allarme lo stato delle falde acquifere, gravemente contaminate, le quali, tuttavia, non risultano essere state oggetto di attività di caratterizzazione e risanamento, come riporta il succitato dossier di Legambiente;
    nel corso della suddetta audizione è stato più volte sottolineato come per le falde e le acque sotterranee siano stati rilevati condizioni di avvelenamento e grave contaminazione dei pozzi, in particolar modo nel giuglianese, nell'ex Masseria Monti (dove sono stati tombati circa 300 mila tonnellate di rifiuti speciali pericolosi, con conseguente riversamento di 30 mila tonnellate di percolato direttamente in falda, contaminata da arsenico e metalli pesanti, in misura 260 volte maggiore rispetto al valore soglia) e nel marcianese; si ricorda in tal senso che nella zona del casertano molte utenze utilizzano sia la rete idrica pubblica che i pozzi privati, con forte rischio di travaso da un sistema all'altro;
    il sostituto procuratore Silvio Marco Guarriello, nel corso della stessa audizione, ha inoltre riportato i risultati di alcune indagini svolte nel casertano in merito alla gestione del ciclo integrato dei rifiuti, dalle quali sono emersi numerosi casi di differenziazione del rifiuto da parte dei cittadini e di sversamento del rifiuto tal quale nel sito di destinazione finale da parte delle ditte incaricate della raccolta; indagini successive hanno rilevato numerosi illeciti nelle attività dei consorzi in merito all'affidamento dei lavori alle ditte private;
    illeciti ed inefficienze sono state riscontrate anche per ciò che concerne i depuratori comunali, di cui, su 60, ne è risultato in regola solamente 1, con autocertificazioni mendaci da parte delle ditte private in merito alla qualità delle acque, costantemente smentite dai controlli dell'ARPA;
    al grave stato di avvelenamento del territorio causato dal traffico e dallo smaltimento dei rifiuti si aggiunge il gravissimo fenomeno dei roghi tossici, da cui deriva il nome di Terra dei Fuochi: i roghi di rifiuti comportano la dispersione in atmosfera, e il conseguente deposito al suolo, di particolato altamente velenoso, in particolar modo di diossine;
    le misure previste all'articolo 3 del decreto-legge n. 136 del 2013, come convertito dalla legge n. 6 del 2014 in merito ai roghi tossici non sembrano aver dato significativi risultati; la flessione del dato relativo al numero degli incendi è piuttosto marginale e riguarda soprattutto la provincia di Caserta: in ogni caso, il monitoraggio svolto dai vigili del fuoco riporta nel 2014 ancora 2.531 episodi di roghi;
    l'intero impianto della legge risulta incentrato sulle misure volte a contenere la contaminazione dei terreni agricoli e dei prodotti agroalimentari, e solo marginalmente sulla questione inerente il gravissimo rischio per la salute delle popolazioni locali;
    il citato decreto-legge dispone, all'articolo 1-bis, la pubblicazione dello studio epidemiologico SENTIERI dell'Istituto superiore di sanità relativo ai siti di interesse nazionale campani, che deve essere aggiornato periodicamente, in particolare in relazione alla sommatoria dei rischi e ai casi di superamento dei valori stabiliti per le polveri sottili;
    l'ultimo aggiornamento dello studio SENTIERI ha riportato dati inquietanti circa lo stato di salute dei cittadini residenti nella Terra dei Fuochi: sono stati rilevati, infatti, «eccessi della mortalità e dell'ospedalizzazione per diverse patologie a eziologia multifattoriale (che ammettono fra i loro fattori di rischio accertati o sospetti l'esposizione a un insieme di inquinanti ambientali che possono essere emessi o rilasciati da siti di smaltimento illegale di rifiuti pericolosi e/o di combustione incontrollata di rifiuti sia pericolosi, sia solidi urbani). Nell'insieme dei comuni [...] della provincia di Napoli (32 comuni) e della provincia di Caserta (23 comuni) la mortalità generale è in eccesso in entrambi i generi. [...] In particolare è stato individuato il gruppo di patologie per le quali sussiste un eccesso di rischio in entrambi i generi per [...] tumori maligni dello stomaco, del fegato, del polmone, della vescica, del pancreas (tranne che nell'incidenza fra le donne), della laringe (tranne che nella mortalità fra le donne), del rene (tranne che nell'incidenza fra gli uomini), del linfoma non Hodgkin (tranne che nella mortalità fra gli uomini)»;
    l'aggiornamento dello studio pone in evidenza un ulteriore, drammatico, dato, concernente i dati di ospedalizzazione per patologie tumorali di bambini ed adolescenti; in particolare, viene rilevato un eccesso di bambini ricoverati nel primo anno di vita per tutti i tumori, un eccesso di ospedalizzazione per i tumori del sistema nervoso e per leucemie nella fascia di età 0-14 nella provincia di Caserta, mentre nella provincia di Napoli, servita dal Registro tumori, un eccesso di incidenza per tumori del sistema nervoso centrale nel primo anno di vita e nelle classi d'età 0-14;
    risultano inaccettabili, dunque, i ritardi nell'applicazione, già carente sotto il profilo delle azioni a tutela della salute e della qualità dell'informazione ambientale, fondamentale per consentire alle comunità locali una effettiva consapevolezza circa lo stato dell'ambiente del proprio territorio;
    il decreto-legge n. 136 del 2013 disponeva, tra l'altro, al comma 4 dell'articolo 2, che il Comitato interministeriale di cui al comma 1 del medesimo articolo dovesse predisporre e inviare con cadenza semestrale una relazione alle Camere, avente ad oggetto il quadro aggiornato delle procedure di bonifica e messa in sicurezza dei siti inquinati, dello stato di avanzamento dei lavori e dei progetti, nonché il rendiconto delle risorse finanziarie impegnate e disponibili;
    il Comitato, la cui prima riunione si è svolta il 6 febbraio 2014, e che è stato ricostituito con decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri il 18 settembre 2014, non ha ancora prodotto né trasmesso alle Camere alcuna relazione, a distanza di un anno dall'approvazione della legge n. 6 del 2014;
    il decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, Proroga di termini previste da disposizioni legislative (cosiddetto Milleproroghe) ha disposto, al comma 6 dell'articolo 4, che i 10 milioni di euro stanziati attraverso il comma 199, articolo 1, della legge di stabilità 2015, per la prosecuzione del concorso delle forze armate alle operazioni di sicurezza e di controllo finalizzate alla prevenzione dei delitti di criminalità organizzata e ambientale nelle province della regione Campania, cosiddetta Operazione Terra dei fuochi, siano destinate anche al rifinanziamento dell'operazione Strade sicure, di cui all'articolo 24, commi 74 e 75, del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, anche in relazione alle esigenze derivanti da Expo 2015, non chiarendo tuttavia quali siano i criteri di ripartizione delle risorse destinate a tali operazioni;
    in data 12 febbraio 2015, attraverso un comunicato stampa, i Ministeri delle politiche agricole alimentari e forestali, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute hanno reso noto di aver firmato un decreto interministeriale per l'interdizione di alcuni terreni dall'uso agricolo, a seguito delle indagini dirette svolte nei primi 57 comuni della Campania oggetto di analisi;
    il suddetto comunicato ha reso noto che, su un totale di 42,95 ettari di superficie agricola classificata, relativi ai siti con livello di rischio 4 e 5, il 36,7 per cento risultano terreni con divieto di produzione agroalimentare, pari a 15,78 ettari; il 27 per cento rientrano invece tra i terreni con limitazione a determinate produzioni agroalimentari in determinate condizioni, pari a 11,6 ettari; il 36,1 per cento pari a 15,78 ettari, sono risultati invece idonei alle produzioni agroalimentari;
    restano ancora, tuttavia, da analizzare i siti con livello di rischio 1, 2 e 3 dei primi 57 comuni e tutte le classi di rischio relative ai 31 comuni rimanenti, nonché i livelli di inquinamento delle matrici ambientali;
    il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Gian Luca Galetti, come riportato dall'articolo apparso sul giornale Il Mattino in data 14 febbraio 2015 dal titolo «Terra dei Fuochi, basta farsi del male», aveva dichiarato che entro la fine del mese di febbraio sarebbero state ultimate le linee operative concernenti il tema delle bonifiche, data rimandata alla seconda metà di marzo (Avvenire, 6 marzo 2015, «Bonifiche, modello Expo per la Terra dei Fuochi»),

impegna il Governo:

   a far ripartire immediatamente le attività previste dal decreto-legge n. 136 del 2013 con particolare riguardo alle analisi e alla caratterizzazione di tutti i siti classificati;
   a impegnarsi in modo costante e significativo nella valutazione degli impatti della contaminazione ambientale sulla salute umana, predisponendo e attuando per quanto di competenza attività di screening specifiche su tutta la popolazione residente nei territori avvelenati e nei comuni limitrofi;
   ad assumere iniziative per quanto di competenza per dare avvio, in particolar modo, ad una attenta ed efficace attività di screening e prevenzione nelle scuole primarie e secondarie, anche avvalendosi del supporto dei medici di base operanti nei territori soggetti a contaminazione;
   a pubblicare ed aggiornare costantemente i dati relativi all'incidenza delle patologie riscontrate connesse con lo stato di avvelenamento dei territori, predisponendo studi e rapporti in grado di valutare quali siano le precauzioni da adottare da parte dei cittadini per limitare al massimo i danni sulla salute;
   ad avvalersi degli studi e dei dati già esistenti, soprattutto per ciò che concerne le informazioni a disposizione dei medici di base, assumendo iniziative per quanto di competenza per l'istituzione di un database che consenta la geolocalizzazione delle patologie;
   a coinvolgere attivamente le comunità locali nel monitoraggio, nell'elaborazione degli studi epidemiologici e nelle operazioni di messa in sicurezza e bonifica del territorio, valutando come risorsa indispensabile alla comprensione dei fenomeni di contaminazione ambientale l'esperienza maturata da cittadini, associazioni, medici ed organismi che operano da decenni sul territorio della Terra dei Fuochi;
   a reintrodurre il sito nell'elenco dei siti di interesse nazionale, in modo da garantire l'impegno e il controllo dal parte dello Stato in zone sottoposte da decenni a livelli di contaminazione ambientale drammatici;
   a impegnarsi attivamente nella promozione e nel rilancio della bonifica dei territori contaminati e, ove sia possibile, al ripristino degli stessi, assumendo iniziative normative per mantenere, per quanto di competenza per i terreni agricoli la medesima destinazione d'uso, senza ulteriore consumo di suolo;
   a prevedere, in apposite iniziative normative, l'applicazione dei principio ambientale comunitario chi inquina paga anche attraverso la costituzione un Fondo nazionale finanziato dalle industrie produttrici di rifiuti speciali e pericolosi e da risorse confiscate alla criminalità organizzata, integrato con risorse provenienti dal Fondo di sviluppo e coesione (ex FAS);
   a monitorare costantemente, per quanto di competenza, attraverso un controllo capillare, le attività di bonifica e messa in sicurezza dei territori citati, anche al fine di impedire l'infiltrazione del fenomeno mafioso in un settore particolarmente a rischio, eventualità che comporrebbe il fallimento di qualsiasi operazione di ripristino ambientale nella Terra dei Fuochi.
(1-00757) «Scotto, Pellegrino, Zaratti, Ferrara, Giancarlo Giordano, Nicchi».

Risoluzioni in Commissione:


   La IV Commissione,
   premesso che:
    nell'ambito degli schemi di decreti legislativi da adottare ai sensi della legge n. 244 del 2012, figura, tra i provvedimenti ritenuti «di minore portata» di competenza dello Stato Maggiore dell'Aeronautica militare, anche la soppressione del 1o laboratorio tecnico di controllo di Padova;
    il predetto provvedimento, che dovrebbe essere varato sulla base di esigenze di «accentramento degli assetti di supporto», comporterebbe la chiusura della struttura interessata a partire dal 2018;
    la struttura in questione rappresenta l'unico laboratorio per il nord Italia preposto ai controlli ambientali ed antinfortunistici, attraverso l'attività svolta da personale altamente specializzato in possesso di qualifiche abilitanti conseguite con un progressivo affinamento delle competenze nel settore ed una formazione specifica;
    l'organizzazione dei laboratori che si occupano di controlli ambientali, ideata su base territoriale con la presenza di due ulteriori strutture come quelle di Fiumicino per il centro Italia e di Mungivacca (Bari) per il sud Italia, dovrebbe portare ad una attenta valutazione della strategicità della struttura di Padova, la cui soppressione lascerebbe scoperto l'intero nord Italia in materia di controlli ambientali ed antinfortunistici;
    il laboratorio di Padova, grazie all'elevata specializzazione del suo personale, ha conseguito negli anni una importanza rilevante nei settore antinfortunistico di sicurezza sul lavoro, con particolare riferimento all'analisi ed alla ricerca scientifica nel settore dell'amianto e dell'utilizzo dei componenti da esso derivanti;
    per la peculiarità delle funzioni svolte e la rilevanza strategica, la struttura potrebbe ampliare il proprio ambito di competenze al di fuori del contesto degli enti aeronautici, ponendosi al servizio di tutte le Forze armate nel quadro di una collaborazione «interforze»;
    le prestazioni fornite dal 1o laboratorio tecnico di controllo rientrano nei costi di bilancio dell'amministrazione della Difesa e potrebbero essere poste al servizio di ulteriori enti ed amministrazioni pubbliche, anche civili, nel soddisfacimento delle esigenze di risparmio di spesa;
    l'eventuale soppressione di una simile struttura, con la conseguente dislocazione delle funzioni ad essa attualmente spettanti presso altri enti o addirittura committenti privati, comporterebbe maggiori oneri di spesa per l'amministrazione della Difesa,

impegna il Governo:

    ad assumere iniziative per sospendere la prevista soppressione del 1o laboratorio tecnico di controllo di Padova;
    a redigere entro il 2018 un piano di riqualificazione organizzativa dell'ente da realizzare mediante un accorpamento interforze nella città di Padova e un ampliamento degli enti beneficiari dei servizi qualificati nel settore dei controlli ambientali ed antinfortunistici.
(7-00618) «Basilio, Artini, Rizzo, Frusone».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la parte II, titolo I, capo II, sezione 1 del regolamento (UE) n. 1308/2013 (OCM unica), disciplina i programmi di distribuzione di ortofrutticoli, comprese le banane, e di distribuzione di latte nelle scuole;
    il 30 gennaio 2014 la Commissione europea ha pubblicato una nuova proposta di Regolamento (COM(2014)0032) che modifica il Regolamento (UE) n. 1308/2013 e il Regolamento (UE) n. 1306/2013 per quanto riguarda il finanziamento del regime di aiuti per la distribuzione di ortofrutticoli, banane e latte negli istituti scolastici;
    la proposta di Regolamento sopra citata, raggruppa in un quadro comune due programmi attualmente separati destinati alle scuole, ovvero il programma «Frutta nelle scuole» e il programma «Latte nelle scuole»;
    il 12 dicembre 2014, la commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo ha presentato il proprio progetto di relazione sulla proposta di regolamento del 30 gennaio 2014 (COM(2014)0032);
    il progetto di relazione di cui sopra ha previsto l'introduzione di 29 proposte di modifica all'impianto legislativo presentato dalla Commissione Europea nel 2014;
    tali iniziative testimoniano l'importanza attribuita dall'Unione europea al miglioramento degli standard dell'alimentazione e alla lotta alla pericolosa tendenza al sovrappeso e all'obesità nei bambini e negli adolescenti. Per tali motivi l'iniziativa europea mira ad incoraggiare nei giovani l'acquisizione di buone abitudini alimentari che, secondo gli studi, sono poi generalmente mantenute nel tempo. Infatti il consumo di ortofrutticoli e latte continua a diminuire in tutta l'Europa. Si stima che in Europa 22 milioni di bambini siano in sovrappeso, mentre gli adolescenti consumano in media solo tra il 30 per cento e il 50 per cento della porzione giornaliera raccomandata di frutta e verdura;
    gli esperti sono d'accordo sul fatto che un'alimentazione sana, soprattutto nell'infanzia, può svolgere un ruolo fondamentale nel ridurre i tassi di obesità e, quindi, il rischio di soffrire di gravi problemi di salute (come le malattie cardiovascolari e il diabete di tipo 2) negli anni successivi. A questo fine è essenziale consumare quantità adeguate di frutta e verdura. L'Organizzazione mondiale della sanità raccomanda un consumo netto giornaliero di 400 grammi di frutta e verdura a testa. La maggioranza degli europei non raggiunge questo obiettivo e il consumo è basso soprattutto fra i giovani;
    le produzioni ortofrutticole e lattiero casearie rappresentano ciascuno circa il 15 per cento del valore della produzione agricola dell'Unione europea e i programmi «frutta e latte nelle scuole» sono stati concepiti e introdotti dall'Unione allo scopo di promuoverne il consumo. Oltre alla loro rilevanza dal punto di vista economico, i programmi presentano benefici per la salute pubblica e sono adatti alla distribuzione nelle scuole;
    nonostante i programmi esistenti siano ormai integrati con successo nelle scuole e ne sia stata riconosciuta la pertinenza, le conclusioni di diverse relazioni e valutazioni esterne nel corso degli anni hanno messo in luce alcune carenze a livello di concezione e inefficienze a livello di funzionamento;
    la Comunicazione della Commissione europea del 16 dicembre 2014 (COM(2014)910 relativa al «work programme 2015», indica (Allegato) che la proposta di regolamento (COM(2014)0032) dovrà essere valutata nell'ambito del più ampio processo di semplificazione della Pac e che, in attesa di ciò, il lavoro delle istituzioni europee che operano in co-legislazione (Parlamento e Consiglio UE) dovrebbe essere messo in attesa;
    il Parlamento europeo ha chiesto di riconoscere ufficialmente l'obesità come malattia cronica e di inserire le questioni alimentari in tutte le politiche europee in modo da affrontare il problema della diffusione dell'obesità a tutti i livelli, attraverso un approccio onnicomprensivo e comune, in cui l'Unione europea possa assumere un ruolo guida nel coordinamento degli Stati membri e nell'individuazione delle prassi migliori;
    gli studi mostrano che le buone abitudini alimentari si acquisiscono nell'infanzia. Dalle ricerche emerge inoltre che le famiglie a basso reddito tendono a consumare meno frutta e verdura. La distribuzione gratuita di questi prodotti sani nelle scuole può quindi rappresentare un elemento decisivo, soprattutto nelle zone svantaggiate;
    programmi per la promozione di stili di vita sani esistono già in numerosi Paesi. In Italia per esempio il Ministero del lavoro e delle politiche sociali promuove il progetto «Guadagnare salute: rendere facili le scelte salutari» per contrastare i quattro principali fattori di rischio delle malattie croniche non trasmissibili (fumo, abuso di alcol, dieta scorretta e inattività fisica);
    altre azioni sono poste in essere dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca nella realizzazione del percorso della scuola verso EXPO 2015 e delle Celebrazioni ufficiali italiane per la Giornata mondiale dell'alimentazione; da segnalare anche il progetto «Buone pratiche per l'alimentazione – Intervento di promozione del consumo di prodotti ortofrutticoli freschi nelle scuole» realizzato anche attraverso l'installazione di distributori automatici di frutta e verdura nelle scuole secondarie di 1o e 2o grado;
    nell'ambito delle attività collegate al Programma europeo «Frutta nelle scuole», il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha destinato specifici fondi per la realizzazione di azioni di formazione rivolte agli insegnanti delle scuole primarie aderenti al Programma da parte del Centro per la nutrizione del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria (CRA);
    nei prossimi mesi si svolgerà a Milano l'Esposizione universale del 2015, dedicata al tema della nutrizione e del cibo, intitolata appunto «Nutrire il pianeta, energia per la vita»; tale evento può essere l'occasione per portare l'opinione pubblica ad un livello di consapevolezza maggiore in relazione ai temi dell'alimentazione sostenibile, sicura e nutriente; in tale contesto occorre favorire concretamente programmi di educazione alimentare nelle scuole – a partire dalle scuole elementari per promuovere un'alimentazione più sana, monitorando e valutando i comportamenti nutrizionali della popolazione e prevedendo specifiche attività per introdurre una corretta alimentazione;
    stili di vita sempre più frenetici, l'industrializzazione dei prodotti alimentari avvenuta negli ultimi decenni e il conseguente proliferare di numerose catene di fast food in tutto il territorio, modelli culturali sbagliati, hanno modificato i princìpi dietetici alimentari tipici della nostra cultura e in particolare quelli delle giovani generazioni, specialmente delle aree più urbanizzate;
    l'alimentazione sana, varia, equilibrata e di qualità è riconosciuta dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) come uno dei diritti umani fondamentali e come elemento indispensabile al concorrere alla diminuzione del numero degli obesi e dei diabetici, riducendo per oltre un terzo la possibilità di alcune malattie croniche e cardiovascolari;
    anche da un punto di vista strettamente economico, investire e sensibilizzare alla corretta alimentazione la popolazione italiana e in particolare le generazioni in età scolastica produrrebbe inevitabilmente una forte diminuzione dei costi sociali del settore sanitario;
    nell'ambito della presentazione della campagna «Latte nelle scuole» nel 2016, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali ha manifestato l'intenzione di avviare un'operazione forte al riguardo, introducendo un'ora di educazione alimentare a partire dalla scuola primaria di primo grado;
    il decreto-legge e il disegno di legge delega sulle linee guida de «La buona scuola» di imminente approvazione rappresentano una occasione da cogliere per portare avanti il progetto dell'educazione alimentare nelle scuole,

impegna il Governo:

   ad attivarsi in sede di Consiglio Unione europea dei Ministri per l'agricoltura, al fine di scongiurare quanto ipotizzabile dalla lettura del work programme 2015 della Commissione, ovvero un rinvio dei lavori sulla proposta di regolamento (COM(2014)0032) ad una fase successiva di semplificazione della Pac;
   ad adoperarsi in sede di negoziato Unione europea per modificare la logica delle passate iniziative (orientate principalmente alla promozione e distribuzione dei prodotti), verso un nuovo approccio che, rafforzando la dimensione educativa dei programmi frutta e latte nelle scuole, introduca presso le giovani generazioni un vero e ambizioso programma di educazione alimentare e in tale ambito, per quanto riguarda in particolare la gestione delle «misure educative» di cui all'articolo 1 della proposta di regolamento (COM(2014)0032) intervenire per:
    a) rafforzarne l'efficacia, allocando su di esse una percentuale minima (20 per cento) della dotazione finanziaria annuale destinata agli Stati membri;
    b) ampliare la gamma di prodotti agricoli ammissibili, considerando in particolare la valenza qualitativa e distintiva delle produzioni, a partire dai prodotti di qualità certificata, dai prodotti coltivati con il metodo biologico, dagli alimenti provenienti da filiera corta, dalle produzioni tipiche regionali e dai cibi rientranti nel modello nutrizionale della dieta alimentare;
    c) disciplinarne il funzionamento in maniera dettagliata al fine di affiancare alla distribuzione dei prodotti un'attività di educazione alimentare che, avvalendosi di esponenti del mondo istituzionale, imprenditoriale, e della ricerca universitaria, possa sensibilizzare presso gli istituti scolastici le giovani generazioni per riaffermare il legame con l'agricoltura delle produzioni e affrontare altri temi di più ampia portata quali la salute pubblica e le questioni ambientali;
    d) includerle, così come previsto per la fornitura dei prodotti, tra i beneficiari di pagamenti nazionali a integrazione dell'aiuto unionale di cui all'articolo 217 del regolamento (UE) 1308/2013;
   ad ampliare, oltre l'ortofrutta e il latte, la gamma di produzioni beneficiarie dei programmi di distribuzione presso gli istituti scolastici includendo, ad esempio, anche i prodotti lattiero-caseari, l'olio d'oliva e confermando la possibilità di distribuire ortofrutticoli freschi trasformati (senza aggiunta di zuccheri e sali);
   ad ampliare la visibilità e la promozione dei programmi, puntando in particolare sulla valenza educativa degli stessi attraverso un utilizzo efficace e innovativo degli strumenti di informazione e promozione presso gli istituti scolastici;
   ad avviare una fase di lavoro interministeriale che, partendo dalla gestione dei programmi di frutta e latte nelle scuole, possa mettere a sistema tutte le principali iniziative in materia di educazione alimentare per avviare un percorso di ampia portata presso gli istituti scolastici;
   a sostenere a rendere pienamente ed in maniera omogenea diffusi in tutto il territorio nazionale i programmi di prevenzione dei disturbi alimentari mediante l'individuazione delle prassi migliori, rafforzando le buone abitudini alimentari a partire dalla scuola dell'infanzia e indicando modelli comunicativi, pubblicitari e culturali psicologicamente adatti a sostenere un processo di crescita sano ed equilibrato;
   a valutare, d'intesa e tenendo conto del lavoro delle Commissioni Parlamentari di merito, l'opportunità di assumere iniziative normative in materia di educazione alimentare per promuovere un'alimentazione sana ed equilibrata sin dall'infanzia e per introdurre misure e attività necessarie ad avvicinare le giovani generazioni all'agricoltura, alla conoscenza della dieta mediterranea e ai prodotti di qualità e ad informali su aspetti ad essa correlati, quali sane abitudini alimentari, la lotta agli sprechi alimentari, le filiere alimentari locali, l'agricoltura di qualità e biologica, la conoscenza delle filiere e delle pratiche produttive;
   ad assumere iniziative necessarie per introdurre correttamente con le linee guida de «La buona scuola», di imminente approvazione, l'educazione alimentare nel ciclo della programmazione scolastica, a partire dalla scuola primaria di primo grado.
(7-00617) «Cenni, Sani, Oliverio, Carra, Cova, Dal Moro, Romanini, Tentori, Terrosi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   da oltre un mese il Parma FC, club di serie A, è ad un passo da un «fallimento tecnico», per un debito pregresso stimato (cautelativamente) in oltre 200 milioni di euro. Questo fatto straordinario è collegato anche ad una ipotesi di bancarotta fraudolenta a carico dell'ex presidente del club emiliano, l'imprenditore Tommaso Ghirardi. L'intera situazione è da inserirsi nel quadro ancor più grave del dissesto del sistema calcio, il cui livello debitorio ha sforato ormai il tetto di 1,7 miliardi di euro;
   il prodotto calcio è un brand da tutelare, sia da un punto di vista economico, sia da un punto di vista dell'immagine del Paese nella sua globalità;
   è da riformare, a parere dell'interpellante, l'intero sistema di «governance» del calcio italiano (con l'introduzione di nuove attività di audit per evitare, nei prossimi mesi, nuovi casi Parma Fc);
   sarebbe auspicabile prevedere l'introduzione di nuove regole di ingresso dei capitali nel mondo del calcio, vigilando sulla tracciabilità del denaro, per evitare potenziali infiltrazioni della malavita organizzata (sia italiana che straniera);
   la «legge Melandri» sulla ridistribuzione dei ricavi da diritti audiovisivi ai club professionistici del calcio è ormai obsoleta e non ha risposto assolutamente ai principi per cui era nata (generare maggiore competitività nel settore e ridurre il gap economico tra grandi e piccoli/medi club di calcio);
   la FIGC, come federazione riconosciuta dal CONI, riceve periodicamente, in quota parte, decine di milioni di euro per il corretto funzionamento della macchina/industria del calcio, risorse in parte riconducibili a «fondi pubblici» –:
   se siano a conoscenza dei fatti elencati in premessa e, considerato il coinvolgimento del Governo sulla vicenda, se intenda acquisire elementi in merito alla provenienza dei fondi con cui il presidente del Parma, Giampietro Manenti intende salvare il club;
   quali urgenti iniziative intendano porre in essere in merito al tema delicatissimo della tracciabilità del denaro nel football italiano;
   se non ritengano opportuno dar vita ad una prima indagine conoscitiva governativa sullo stato di salute del calcio italiano per acquisire dati quali-quantitativi sul «mondo del pallone».
(2-00879) «Rabino».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   il Governo Renzi ha fatto dell'etica pubblica e del rinnovamento generazionale della classe dirigente una bandiera del suo operato;
   con riferimento al pubblico impiego, il comma 2 dell'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, è intervenuto sul comma 9 dell'articolo 5 del decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95, modificandolo profondamente;
   il nuovo testo prevede che sia fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di conferire a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo. Il testo prevede, inoltre, che incarichi e collaborazioni sono consentiti, esclusivamente a titolo gratuito e per una durata non superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione. Il testo, infine, prevede che gli organi costituzionali si sarebbero dovuti adeguare alle disposizioni del presente comma nell'ambito della propria autonomia;
   a parere degli interpellanti si tratta di una norma molto condivisibile;
   tuttavia, una vicenda delle ultime settimane dimostra ulteriormente come il Governo presieduto dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi conosca una distanza abissale tra quello che annuncia e il suo operato quotidiano;
   infatti il secondo comma dell'articolo 3 della legge 9 agosto 1948, n. 1077, prevede che la nomina del segretario generale della Presidenza della Repubblica avvenga per decreto del Presidente della Repubblica, controfirmato dal Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio dei ministri;
   sul sito del Governo, difatti, si può leggere il seguente comunicato emesso il 17 febbraio 2015: «il Consiglio dei ministri si è riunito oggi, martedì 17 febbraio, alle ore 15.05 a Palazzo Chigi, sotto la presidenza del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti. Segretario il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Graziano Delrio. Il Consiglio dei ministri ha condiviso l'intendimento del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di nominare Ugo Zampetti Segretario generale della Presidenza della Repubblica. Il Consiglio è terminato alle ore 15.10»; 
   il dottor Ugo Zampetti è un dipendente della Camera dei deputati in quiescenza dal 1o gennaio 2015 dopo aver ricoperto per oltre quindici anni l'incarico di segretario generale della Camera stessa;
   non si capisce come sia stato possibile che il Consiglio dei ministri abbia «condiviso» una scelta in aperto contrasto con quanto previsto dal cosiddetto «decreto Madia» con riferimento alla possibilità di affidare incarichi pubblici ai dipendenti in quiescenza, senza precisare che la durata massima di tale incarico dovrebbe necessariamente essere limitata ad un anno;
   inoltre, la nomina del dottor Ugo Zampetti è stata seguita da un battage mediatico in relazione al fatto che egli avrebbe rinunciato alla retribuzione e all'alloggio di servizio;
   ai sensi del comma 489 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per l'anno 2014) avrebbe comunque dovuto, ad avviso degli interpellanti, optare tra la pensione e la retribuzione, pertanto non è ben chiaro quale sia il merito di aver preventivamente optato per la pensione, peraltro ben superiore al compenso del segretario generale del Quirinale;
   secondo quanto si apprende da fonti di stampa, peraltro, il nuovo comma 9 dell'articolo 5 del decreto-legge n. 95 del 2012, così come modificato dal predetto decreto-legge n. 90 del 2014, cosiddetto Madia, sarebbe stato recepito all'interno dell'ordinamento della Presidenza della Repubblica da un decreto presidenziale, il n. 14 del 2014, il quale non ha alcuna forma di pubblicità e di cui non è possibile avere copia nemmeno richiedendola agli uffici del segretariato generale. Delle modalità di ricezione, con deroghe, di tale norma contenuta nel cosiddetto «decreto Madia» si parlerebbe solo — in maniera piuttosto generica — in un documento pubblicato sul sito web della Presidenza della Repubblica;
   si renderebbe, pertanto, opportuna nell'ottica di trasparenza tanto sbandierata dal Presidente del Consiglio dei ministri una modifica normativa del primo periodo del primo comma dell'articolo 4 della legge 9 agosto 1948, n. 1077 nel senso di prevedere che ai decreti del Presidente della Repubblica concernenti lo status giuridico ed economico dei dipendenti del segretariato sia data pubblicità tramite pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale –:
   sulla base di quali criteri il Consiglio dei ministri abbia «condiviso» l'intendimento di nominare il segretario generale della Presidenza della Repubblica in evidente contrasto, ad avviso degli interpellanti, con la normativa vigente per la generalità dei cittadini, che prevede il limite di un anno agli incarichi gratuiti conferiti ai dipendenti pubblici in quiescenza;
   se il Governo non intenda verificare con quali modalità, nel rispetto della posizione costituzionale di autonomia della Presidenza della Repubblica, sia possibile, mediante una modifica della legge istitutiva del segretariato generale della Presidenza della Repubblica, prevedere forme di pubblicità per le norme interne relative allo status giuridico-economico del personale della Presidenza stessa.
(2-00880) «Luigi Di Maio, Fraccaro, Mannino».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo del 14 aprile 2014, apparso sulle pagine economiche del sito internet della testata Il Quotidiano della Calabria, ora Il Quotidiano del Sud, si segnala che, in ordine alla spesa dei fondi europei, la capacità di impegnare le somme resta ancora non sufficiente, al punto che nei due anni a venire, sarà necessario spendere quasi 16 miliardi e la Calabria segue la tendenza;
   nel predetto articolo, poi, si fa riferimento, riguardo al quadro prima fornito, a dichiarazioni rese all'Ansa da Shirin Wheeler, portavoce del commissario Ue pro tempore e alle Politiche regionali, Johannes Hahn;
   per quanto concerne la gestione 2007-2013, il 31 dicembre 2015 è la scadenza ultima per presentare fatture e certificazioni, ma l'Italia deve ancora assorbire il 48,1 per cento dell'allocazione totale di Fondi europei per lo sviluppo regionale (Fesr);
   i dati sino al 28 febbraio 2014, comprensivi della quota di cofinanziamento nazionale, indicano – per quanto riportato sul citato pezzo sul sito di Il Quotidiano della Calabria – che dopo sette anni dall'avvio della programmazione la media di spesa è del 51,9 per cento, per un totale di 17,314 miliardi;
   sino alla suddetta scadenza dovrà esserci perciò un'accelerazione, per assorbire oltre 16 miliardi in meno di due anni;
   uno dei problemi principali, stando alla ricostruzione del suddetto articolo giornalistico, è la «capacità di gestione e controllo dei fondi», che provoca «ritardi»;
   la Commissione, allora, ha raccomandato all'Italia di rafforzare – a tutti i livelli – i sistemi di auditing, per una migliore gestione delle risorse;
   al fine di accelerare la spesa, nel corso degli ultimi anni si è dato luogo ad una riprogrammazione applicata all'allocazione dei Programmi operativi regionali (POR) di Sicilia, Campania e Calabria;
   le tre succitate regioni sono coadiuvate da speciali task force a guida italiana (Campania e Sicilia dal 2012, mentre la Calabria dal 2013), con il compito di agevolare la spesa;
   per la Calabria, l'allocazione del POR è scesa da circa 2,9 miliardi di euro a 1,9, di cui ne sono stati assorbiti il 40,2 per cento, rimanendo 1,1 miliardi;
   con Decisione C (2012)327 del 20 gennaio 2012, la Commissione europea ha proposto la rettifica del programma per un valore del 25 per cento ha sospeso i pagamenti;
   il POR Calabria ha visto l'effettivo rimborso dall'Ue del solo 14 per cento e il flusso dei rimborsi sarà riattivato quando saranno risolti i relativi problemi;
   secondo i dati ufficiali di «OpenCoesione», le risorse totali tra fondi comunitari e nazionali 2007-2013 ammontano a 99,286 miliardi di euro;
   dei predetti fondi, per la Calabria il finanziamento è di 9,2 miliardi di euro, di cui 4,1 concretamente utilizzati, per un totale di 29.013 progetti;
   il quadro per provincia indica che, tra fondi comunitari e nazionali, a Cosenza su un totale di 2,2 miliardi sono stati utilizzati 711 milioni, a Catanzaro 731 milioni su 1,7 miliardi, a Crotone 155 su 455, a Vibo Valentia 103 su 618, a Reggio Calabria 598 milioni su 2 miliardi a disposizione;
   secondo il più aggiornato monitoraggio disponibile in rete, l'utilizzo dei fondi Fesr 2007-2013, che per la Calabria ammontano a 2,5 miliardi, è pari a 969 milioni, mentre per i fondi del Fse l'utilizzo è di 530 milioni su 715 milioni;
   con la deliberazione di giunta n. 295 del 15 luglio 2014, la regione Calabria ha approvato la strategia per l'innovazione e la proposta di POR FESR e FSE, allegandovi un proprio verbale in cui si affidano le funzioni di autorità di gestione del PO Fesr 2007/2013 alla dottoressa Paola Rizzo, dirigente responsabile dell'unità operativa autonoma «Adempimenti del ciclo di programmazione 2000/2006»;
   il dirigente generale del dipartimento regionale per il POR, richiamando il sistema complessivo dei controlli ha obiettato la correttezza procedurale del riferito affidamento, sollevando pesanti criticità anche in merito agli effetti sulla gestione del Programma e ricevendo dall'assessore al bilancio della regione Calabria intimazione ad attenersi all'indirizzo politico –:
   come, nell'ambito delle rispettive competenze, stiano controllando l'attuazione del POR Calabria in scadenza e quali criticità di gestione abbiano in proposito riscontrato;
   se, per gli impegni relativi all'assorbimento dei fondi, ritengano esservi elementi ostativi all'accelerazione di spesa richiesta dalla Commissione europea.
(5-04950)


   NESCI, SIBILIA, SPADONI, CARINELLI, DI BENEDETTO, VACCA e DELL'ORCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 5 gennaio 2015, sul blog di Beppe Grillo è stata pubblicata un'intervista con Gioele Magaldi, alto esponente della massoneria e autore del volume Massoni, società a responsabilità limitata, edito da Chiarelettere;
   nell'intervista in parola, Magaldi ha esposto argomenti affrontati nel suddetto volume, in cui asserisce che importanti decisioni d'indirizzo politico nazionale siano riconducibili ad accordi interni a potenti logge massoniche – dette Ur-Lodges –, per l'autore organizzate su scala globale in modo da condizionare le dinamiche della democrazia negli Stati;
   ancora, Magaldi ha affermato nell'intervista in questione che il già presidente del Consiglio dei ministri e della Commissione europea Romano Prodi è senz'altro parte del network massonico sovranazionale in termini perfino clamorosi e insospettabili»;
   nell'aprile 2012, l'avvocato cassazionista Gianfranco Orelli presentò un esposto alla procura della Repubblica di Varese, riassumendo i passaggi, compiuti tra il 9 e il 18 novembre 2011, che portarono Mario Monti, membro del Gruppo Bilderberg, a succedere a Silvio Berlusconi alla guida del Governo;
   nell'atto di cui si tratta, l'avvocato scrisse anche di una «perdita di sovranità nazionale», sottolineando che «la sovranità in Italia non sia esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione secondo il precetto posto dall'articolo 1»;
   in un articolo di Maria Teresa Meli apparso l'11 febbraio 2014 sul sito Internet della testata giornalistica Il Corriere della Sera, venne raccontato nei termini di una «staffetta» l'improvviso e imprevisto avvicendamento – poi avvenuto – alla Presidenza del Consiglio tra il deputato Enrico Letta e l'allora sindaco di Firenze Matteo Renzi;
   nel medesimo articolo, offrendo un racconto analogo a quello dato dai principali quotidiani italiani, la Meli scrisse che «l'ipotesi della staffetta, al momento, è l'unica al vaglio dei leader dei partiti, dei vertici delle istituzioni e degli ambienti economici e imprenditoriali che contano», aggiungendo che «nei palazzi della politica si parla solo di questo e si dà l'avvicendamento Letta-Renzi per prossimo, sebbene, non vi sia ancora niente di ufficiale»;
   tale ricostruzione giornalistica sembra rivelativa, dunque, di una situazione particolare, per certo non proprio qualificabile nei termini di una crisi parlamentare allora in atto, se anche alla stampa di settore essa appariva ignota, sorprendente, quasi a metà strada tra il fantasioso e l'inverosimile;
   di lì a poco, come noto, l'allora sindaco di Firenze, Matteo Renzi, andò alla guida del Governo al posto del deputato Enrico Letta;
   nel diritto penale italiano, l'attentato contro la Costituzione dello Stato è il reato previsto dall'articolo 283 del codice penale (come modificato dalla legge 11 novembre 1947, n. 1317), fino a prima dell'ultima modificazione tipizzato come il reato di chiunque avesse commesso «un fatto diretto a mutare la costituzione dello Stato, o la forma del Governo, con mezzi non consentiti dall'ordinamento costituzionale dello Stato»;
   la legge n. 85 del 2006, approvata sotto la presidenza del Consiglio di Silvio Berlusconi e recante «Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione», ha ridotto la pena edittale per l'attentato contro la Costituzione dello Stato;
   l'articolo 1 dell'anzidetta legge ha sostituito l'articolo 283 del codice penale sull'attentato contro la Costituzione dello Stato, subordinando codesto reato alla presenza di «atti violenti» in «un fatto diretto e idoneo a mutare la Costituzione dello Stato o la forma di governo», da punire «con la reclusione non inferiore a cinque anni»;
   è evidente che l'aggiunta, rispetto alla fattispecie giuridica temporalmente precedente, dell'espressione «atti violenti» nella riferita norma di tutela innanzi ai tentativi di «mutare la Costituzione dello Stato o la forma di governo» restringe il campo delle ipotesi di attentato contro la Costituzione dello Stato, salvando le fattispecie concrete riconducibili a piani, accordi e movimenti occulti di potere miranti – in astratto – alla modificazione della Costituzione repubblicana e della forma di governo con mezzi non consentiti dall'ordinamento costituzionale dello Stato;
   con decreto del Presidente della Repubblica – registrato alla Corte dei conti il 15 dicembre 2006 – su proposta del presidente del Consiglio Romano Prodi e del Ministro dell'economia e delle finanze Tommaso Padoa Schioppa, fu approvato il nuovo statuto della Banca d'Italia – allora governata da Mario Draghi, poi diventato governatore della Bce – contenente la modifica sostanziale del vecchio articolo 3, per cui in ogni caso, a fronte di un capitale di 156.000 euro, rimasto inalterato nel nuovo testo, doveva «essere assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della Banca da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto» fosse «posseduta da enti pubblici»;
   per quanto sopra riassunto, venne pertanto a cadere la norma giuridica che imponeva la partecipazione maggioritaria del potere pubblico al capitale della Banca d'Italia, per il 94,33 per cento in mano – al 2014 – a banche e assicurazioni private, fatto primo che oggettivamente leva ogni tutela statale rispetto alle attività affidate a al medesimo Istituto;
   il 28 gennaio 2014, dopo la fiducia alla Camera dei deputati del 24 gennaio, il Governo Letta ottenne l'approvazione definitiva del cosiddetto decreto-legge «Imu-Bankitalia», contenente una rivalutazione del capitale di Banca d'Italia, nonostante un'inedita e clamorosa opposizione dei rappresentanti parlamentari del Movimento 5 Stelle, che la Camera cercarono invano di impedire il voto;
   da codesto provvedimento di rivalutazione delle quote, gli azionisti (di Banca d'Italia) Intesa e Unicredit avrebbero per esempio avuto – secondo un articolo di Costanza lotti e Gaia Scacciavillani apparso il 24 gennaio 2014 sul sito Internet di Il Fatto Quotidiano – «un guadagno compreso fra i 2,7 e i 4 miliardi», con – figura nel commento degli articolisti – un particolare iter della normativa, «varata in fretta e furia dal Consiglio dei ministri il 27 novembre scorso, proprio mentre le forze politiche erano intente a votare la decadenza del senatore Silvio Berlusconi»;
   ciò che più rileva, però, nonostante rimasta quasi del tutto occultata, è l'avvenuta blindatura, mediante il succitato provvedimento, della proprietà di Banca d'Italia in capo alle banche commerciali che ne detengono le quote, con tutte le conseguenze nefaste derivanti nella sfera dei controlli in materia di attività bancaria e di tutela del risparmio privato, nonché, soprattutto, di perdita – da parte del popolo – della possibilità di riappropriarsi della sovranità monetaria contenuta nel dettato dell'articolo 1 della Costituzione e sottratta con una serie di specifiche norme nazionali e sovranazionali;
   con la legge del 7 febbraio 1992 n. 82, proposta dall'allora Ministro del tesoro Guido Carli, si stabilì che la decisione sul tasso di sconto fosse di competenza esclusiva del governatore della Banca d'Italia e non dovesse essere più concordata di concerto  il Ministro del tesoro;
   con il decreto legislativo del 10 marzo 1998, n. 43, la Banca d'Italia fu sottratta alla gestione da parte del Governo italiano e ne fu sancita l'appartenenza al sistema europeo delle banche centrali, con la conseguenza che da allora la quantità di moneta circolante è decisa in autonomia dalla Banca centrale;
   il 3 giugno 1999 fu presentato al Senato della Repubblica, nel corso della XIII legislatura, il disegno di legge n. 4083, nominato «Norme sulla proprietà della Banca d'Italia e sui criteri di nomina del Consiglio superiore della Banca d'Italia»;
   tale disegno di legge fu annunciato nella seduta pomeridiana n. 630 del 15 giugno 1999 e assegnato l'otto luglio 1999 alla 6a Commissione permanente (Finanze e tesoro) in sede referente;
   il medesimo disegno di legge prevedeva che il capitale della Banca d'Italia fosse «interamente sottoscritto dal Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica» e che fossero «incedibili» le quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia;
   ancora, il succitato disegno di legge delegava il Governo «ad emanare, entro un anno dalla data di entrata in vigore», «un decreto legislativo avente ad oggetto le modalità di rimborso delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia, prefissandone i princìpi e criteri direttivi»;
   il 2 marzo 2012 a Bruxelles fu redatto il cosiddetto fiscal compact, il patto di bilancio europeo che prevede enormi sacrifici;
   con l'approvazione del relativo trattato in Italia, avvenuta nell'estate del 2012, il riferito dispositivo è entrato nella Costituzione italiana;
   il derivante «pareggio di bilancio» è ormai un obbligo, tuttavia in contrasto con i doveri della Repubblica e con i diritti dei cittadini, sempre più sottoposti a tagli e tasse che producono perdita di servizi, di lavoro, di economie, di speranza nel futuro;
   l'Italia ha dunque ceduto prerogative di giurisdizione nazionale all'Unione europea, così risultando già ipotecate le politiche economiche dei prossimi decenni;
   l'approvazione del fiscal compact e degli atti collegati è opera dell'attuale maggioranza e dell'attuale opposizione, ad esclusione del Movimento cinque stelle e di Sinistra, ecologia e libertà, che non erano in parlamento nella XVI legislatura;
   il 9 maggio 2010 fu costituito il Fondo europeo di stabilità finanziaria, poi sostituito dal Meccanismo europeo di stabilità (Mes), detto anche Fondo salva-Stati, finalizzato alla stabilità finanziaria della zona euro e istituito dalle modifiche al Trattato di Lisbona (articolo 136);
   le suddette modifiche furono approvate il 23 marzo 2011 dal Parlamento europeo e ratificate dal Consiglio europeo a Bruxelles, il 25 marzo 2011;
   il Meccanismo europeo di stabilità ha assunto la veste di organizzazione intergovernativa, col potere di imporre scelte di politica macroeconomica ai Paesi aderenti;
   l'Italia ha sottoscritto una partecipazione al Meccanismo europeo di stabilità di 125.395.900.000 di euro, capitale che, per quanto deciso nella riunione del riunione del 30 marzo 2012 dell'Eurogruppo, è stato versato entro la metà del 2014;
   alle riferite misure europee non corrisponde un'informazione chiara e presto disponibile sui soggetti che le gestiscono, pur se rivolte all'intera popolazione degli Stati membri, in larga parte esclusa dalla conoscenza di trattati e dispositivi che nella pratica ne limitano in misura non più controllabile la capacità di spesa, con soppressioni continue dei servizi pubblici indispensabili, diminuzione dei trasferimenti statali agli enti del territorio, dissesti sempre più frequenti e il concreto rischio di sgretolamento della rappresentatività democratica;
   è recente, poi, la proposta di europeizzazione delle quote eccedenti il 60 per cento del rapporto fra debito del singolo Stato membro e Pil, da raggiungere entro 20 anni secondo le previsioni del «Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria»;
   nella formulazione corrente, la predetta europeizzazione delle quote eccedenti, denominata «Fondo di redenzione europeo», prevede, come garanzia dal singolo Stato membro, la possibilità di aggredire propri beni demaniali, opere d'arte e riserve auree;
   la riforma delle pensioni cosiddetta «Fornero», dal nome del Ministro responsabile, emanata ai sensi dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, la quale – arrivata in un contesto di crisi economica su cui, a parere degli interroganti, si registra una generale, gravissima menzogna in ordine alle sue cause – ha esteso a tutti i lavoratori il metodo di calcolo contributivo delle pensioni, di fatto condannando le nuove generazioni all'indigenza nella vecchiaia e dimenticando completamente la condizione del Mezzogiorno italiano, in cui persistono il lavoro nero e il lavoro mafioso, dei cui proventi, per l'Istat, si potrà inserire – a partire dal 2014, in coerenza con le linee Eurostat – una stima nei conti (e quindi nel Pil), con riferimento ad attività illegali come traffico di sostanze stupefacenti, servizi della prostituzione e contrabbando (di sigarette o alcol);
   nel succitato citato articolo di Gianni Barbacetto e Fabrizio D'Esposito riguardante il libro di Magaldi «Massoni, società a responsabilità limitata», edito da Chiarelettere, si fa riferimento a un elenco – mutuato dal volume in parola, nel quale, peraltro, si sostiene che il Presidente del Consiglio in carica, Matteo Renzi, sarebbe un «aspirante fratello» – di burocrati, politici e imprenditori italiani nelle UrLodges, cui secondo l'autore apparterrebbero Mario Draghi, Giorgio Napolitano, Mario Monti, Fabrizio Saccomanni, Pier Carlo Padoan, Massimo D'Alema, Gianfelice Rocca, Domenico Siniscalco, Giuseppe Recchi, Marta Dassù, Corrado Passera, Ignazio Visco, Enrico Tommaso Cucchiani, Alfredo Ambrosetti, Carlo Secchi, Emma Marcegaglia, Matteo Arpe, Vittorio Grilli, Giampaolo Di Paola, Federica Guidi –:
   se non ritengano indispensabile e urgente fornire precisi chiarimenti rispetto alle gravi questioni qui sollevate in ordine al Governo in carica;
   quali iniziative intendano assumere, nell'ambito delle rispettive competenze, per tutelare la Costituzione, specie a garanzia della sovranità monetaria contenuta nell'articolo 1 della medesima;
   se non ritengano improrogabile promuovere una modificazione normativa circa il valore e la proprietà delle quote della Banca d'Italia, di modo che esse siano soltanto dello Stato, e riguardo all'attuale fattispecie giuridica del reato di attentato alla Costituzione, perché esso si sostanzi in ogni fatto teso a modificare, indipendentemente da atti violenti, la Costituzione repubblicana o la forma di governo. (5-04954)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FAENZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il maltempo che ha colpito ancora una volta la regione Toscana, nelle giornate del 4 e del 5 marzo, causando disagi alla comunità locale e gravissimi danni alle infrastrutture e ai sistemi di collegamento, ripropone nuovamente, le difficoltà connesse alla prevenzione e alla riduzione del rischio idrogeologico nel nostro Paese, fortemente in ritardo dal punto di vista di efficaci politiche di tutela e salvaguardia del territorio;
   le fortissime raffiche di vento che in alcuni casi hanno raggiunto valori di velocità di oltre 125 chilometri orari causando centinaia di cadute alberi, sia lungo le strade che sui versanti, provocando addirittura il decesso di un automobilista in provincia di Lucca, hanno determinato, ingenti danni pari a circa 400 milioni di euro di cui 300 milioni di euro, nei confronti di numerose aziende vivaistiche del pratese e della Versilia;
   la tempesta di vento che si è abbattuta sull'area in precedenza esposta, ha infatti causato alle aziende florovivaistiche locali e alle strutture più colpite quali: serre, ombrari, impianti di irrigazione sostegni dei filari, ingenti danni economici superiori all'80 per cento mettendo a rischio un intero distretto agricolo importante per l'economia toscana;
   ulteriori profili di criticità che rilevano le aziende vivaistiche toscane, coinvolte dall'ennesimo evento meteorologico avverso, emergono anche dalle competenze agricole delle province, in corso di passaggio alla regione Toscana, a seguito della soppressione di tali enti locali, che non riescono adeguatamente a far comprendere chi deve coordinare il lavoro;
   secondo quanto sostenuto dal presidente della suindicata regione Rossi inoltre, per compensare i danni economici, stimati come suddetto, in circa 400 milioni di euro, di cui 300 milioni di euro relativi al settore vivaistico concentrato a Pistoia, risulterebbe pervenuta la promessa d'intervento, da parte della Banca europea per gli investimenti, attraverso l'attivazione di un plafond a tasso agevolato, a disposizione delle banche del territorio, destinato a imprese e pubbliche amministrazioni;
   ciononostante, per risarcire i danni alle imprese, alle famiglie e alle strutture viarie, elettriche e fognarie, derivanti dall'uragano che ha colpito la regione Toscana, lo stesso presidente Rossi, ritiene indispensabile l'intervento dello Stato, in considerazione dell'entità dei dissesti provocati dal forte vento;
   quanto suesposto a giudizio dell'interrogante, ribadisce la necessità di un netto miglioramento delle politiche di prevenzione, di messa in sicurezza e monitoraggio sul territorio, in materia di dissesto idrogeologico, i cui recenti interventi normativi e finanziari, si sono rivelati nettamente insufficienti e inadeguati rispetto alla reale esigenza nazionale, come dimostrano gli scenari drammatici, che hanno coinvolto numerose regioni del Paese ed in particolare la Toscana, nel corso degli ultimi anni;
   se da un lato, l'evento in precedenza esposto, è stato causato anche dall'imprevedibilità meteorologica, dall'altro è altrettanto vero, a parere dell'interrogante, come le condizioni di dissesto idrogeologico del Paese, hanno raggiunto livelli di estrema pericolosità, che pertanto richiedono un'attenzione continua e una politica nazionale, (non condizionata dalle situazioni di emergenza), che sappia destinare a progetti di ampio respiro, maggiori rispetto a quelle stanziate nel prossimo triennio dalla legge di stabilità –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle proprie competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se, in considerazione dei danni causati dal maltempo, che ha provocato gravissimi danni all'economia regionale della Toscana, ed in particolare al settore florovivaistico, fortemente colpito dall'eccezionale bufera di vento che ha causato 300 milioni di euro di danni, non ritengano urgente e necessario che sia dichiarato lo stato di emergenza stanziando a tal fine, le risorse finanziarie sufficienti ad avviare gli interventi più urgenti da parte della regione e dei comuni colpiti, nonché deliberare lo stato di calamità nei confronti del comparto florovivaistico toscano;
   in caso negativo quali iniziative urgenti, per le parti di competenza propria, intendano intraprendere, al fine di sostenere l'economia toscana ed in particolare quella florovivaistica, il cui settore agricolo composto da oltre 1.300 aziende che coltivano 5 mila ettari e garantiscono occupazione a oltre 12 mila addetti, è stato raso al suolo dall'ondata di vento, avvenuta nel corso delle giornate del 4 e del 5 marzo 2015;
   se dispongano di elementi in merito agli interventi finanziari da parte della Banca europea degli investimenti in favore delle province toscane che hanno subito danni derivanti dalla bufera di vento e se sia noto attraverso quali modalità tali risorse saranno erogate. (4-08319)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano Libero, nell'edizione del 19 febbraio 2015, riportava la notizia secondo la quale il Governo italiano, nello specifico il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, rientra tra i finanziatori governativi della «Clinton Foundation»;
   il contributo alla Fondazione dei Clinton, adesso rinominata «Bill, Hillary & Chelsea Clinton Foundation» dopo la cessazione dall'incarico di Segretario di Stato dell'amministrazione Obama da parte di Hillary, si aggirerebbe tra i 100 ed i 250 mila euro nel solo 2013 (non si conosce il dato preciso in quanto il database della Fondazione ordina unicamente per «range» la donazione omettendo la cifra effettiva);
   non si comprende, secondo l'estensore dell'articolo, a quale titolo il dicastero dell'ambiente abbia effettuato la donazione, se magari su «disposizione» della Presidenza del Consiglio dei ministri o su propria iniziativa e non si comprende, inoltre, quale dei due ministri abbia autorizzato la donazione, se il Ministro Clini o il Ministro Orlando;
   oltre alla donazione da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, secondo quanto riporta il quotidiano Libero e come si può evincere dall'elenco dei sottoscrittori italiani, si possono notare le donazioni da parte di grandi società pubbliche (di diritto privato) e private come Enel, Lottomatica, Monte dei Paschi di Siena e Pirelli;
   a giudizio dell'odierno interrogante tale donazione non appare congrua rispetto alle funzioni dei fondi stanziati con il bilancio dello Stato per il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che, non dovrebbero essere destinati per tali scopi, magari filantropici ma fuori dalla competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   a giudizio dell'odierno interrogante non si potrebbe né, tantomeno, dovrebbe contribuire con denaro pubblico ad attività private, anche se lodevoli e meritevoli;
   in un periodo di ristrettezze di bilancio come quello che sta attraversando il nostro Paese da molti anni, contribuire con denaro pubblico ad iniziative, non solo private ma in più straniere, costituisce secondo l'interrogante un affronto ed uno schiaffo morale nei confronti dei tanti italiani che non riescono ad affrontare le spese minime per la sopravvivenza. Non si riesce a giustificare tale spesa quando, viceversa, dal Governo in carica, di allora come di quello attuale, si oppongono carenze di risorse economiche per affrontare qualunque spesa pubblica destinata al benessere della collettività –:
   da quale capitolo di bilancio siano stati prelevati i soldi per questo contributo, chi li abbia autorizzati e quale provvedimento intenda adottare al riguardo. (4-08325)


   FRUSONE, SIMONE VALENTE e VACCA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 13 febbraio 2015 sul sito di Repubblica viene pubblicata la registrazione audio riguardante la telefonata tra Claudio Lotito, presidente della Lazio e Pino Iodice, direttore generale della società sportiva Ischia Isolaverde. Quest'ultimo all'insaputa di Lotito registra la telefonata a testimonianza delle enormi pressioni che il direttore generale starebbe subendo dal presidente della Lazio;
   Iodice spiega di aver reso nota la conversazione privata perché «Lotito fa pressioni: l'Ischia deve sostenere il suo programma o non avremo contributi». Nel corso della chiamata, Lotito parla del suo programma per rimettere in sesto in sei mesi la Lega Pro superando la contrapposizione tra club, propone un «anticipo di cassa» dalla Lega di A all'ex serie C, «ma se non troviamo un accordo in Lega Pro non si farà mai». Vanta di avere «17-18 voti» su 20 tra i club della massima serie. E conclude con il discorso sui diritti-tv: «Abbiamo portato i diritti tv a 1.2 miliardi grazie alla mia bravura, se ci abbiamo Latina, Frosinone, chi li compra i diritti? Non sanno manco che esiste, il Frosinone, il Carpi... e questi non se lo pongono il problema». Lotito da questa intercettazione ne uscirebbe fuori come il vero deus ex machina del calcio italiano. «Comanda, dice, nelle leghe e in Figc. A lui, tutti si rivolgono per avere un'idea, risolvere grane, trovare fondi»;
   nel progetto di Lotito, la Serie A dovrebbe, quindi, ottenere più soldi e le promozioni di club piccoli sarebbero una rovina proprio sul fronte dei diritti tv;
   il presidente del Frosinone, Maurizio Stirpe, sulla vicenda Lotito «è la punta dell'iceberg di un malessere che il calcio italiano cova da tempo. Non si riesce a trovare l'equilibrio giusto nel rapporto di solidarietà fra le leghe e questo fa pensare che si regga sulla potenza e la prevaricazione... all'interno della Serie A, il resto del mondo professionistico, è visto come una inutile escrescenza da togliere» –:
   se i Ministri interrogati non intendano promuovere azioni concrete che possano garantire un ambiente sportivo più «salubre» e genuino, valorizzando lo sport nella sua essenza e ponendolo come esempio di crescita, di sana competizione e di meritocrazia tra i giovani;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere in modo da garantire, insieme agli organi di garanzia del mondo del calcio nazionale, la massima trasparenza nella gestione delle federazioni ed in particolare della Figc, alla luce di quanto descritto in premessa.
(4-08330)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   LA MARCA, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI e PORTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il riconoscimento della validità delle patenti di guida in Paesi stranieri è normalmente affidato ad accordi bilaterali di reciprocità, uno strumento di cui l'Italia si è già avvalsa in circa sessanta casi, mentre nelle situazioni che esulano dagli accordi le normative esistenti in materia dettano le condizioni per usufruire temporaneamente dei titoli posseduti e per acquisire quelli che hanno validità nei Paesi di residenza;
   il nostro Paese, per le dimensioni delle sue attività di commercializzazione a livello internazionale e per l'entità dei flussi turistici in entrata ha un rilevante interesse a facilitare lo sviluppo della mobilità di connazionali in realtà straniere e quello dei cittadini di importanti partner nel nostro territorio;
   è auspicabile in ogni caso che, al di là degli accordi stipulati, si faccia una verifica dello stato di maturazione dei rapporti da tempo intrapresi e si programmi l'avvio di trattative con i Paesi nei quali le presenze di cittadini sono più elevate, sia di connazionali in tali realtà che di cittadini stranieri in Italia;
   il Canada è certamente uno dei Paesi con il quale esistono condizioni di scambio e positive prospettive di sviluppo dei rapporti sia per l'entità dell'interscambio che per la presenza di una folta comunità di italiani e di italo discendenti, che tende ad arricchirsi per i nuovi arrivi e che si dimostra assidua nei rientri a scopi familiari e turistici;
   fin dagli inizi del nuovo secolo si sono avviati contatti con le autorità canadesi per l'approvazione di uno schema quadro di accordo, da perfezionare successivamente tramite rapporti diretti con i governi provinciali, titolari delle materie in discussione, ma ad oggi non si è ancora giunti ad una conclusione, anche se essa sembra non lontana dal traguardo finale –:
   a quale livello di definizione sia giunto l'accordo bilaterale con il Canada per il reciproco riconoscimento delle patenti di guida e quali tempi sia possibile prevedere per la sua definitiva conclusione, tenendo anche conto della necessità di addivenire ad accordi con i governi provinciali, titolari delle competenze in materia. (4-08317)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   CAUSIN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'area della laguna di Grado e Marano e, più in generale, nel bacino della bassa pianura friulana gravitano importanti interessi di carattere economico e di significativa valenza sociale e sono individuate aree di interesse naturalistico, mondiale e comunitario;
   con il decreto del 12 dicembre 2012 del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Corrado Clini, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 3 gennaio 2013, è stato ridefinito il perimetro del Sito inquinato nazionale (SIN) della laguna di Grado e Marano con significative riduzioni areali, corrispondenti alla area della laguna, ai fiumi Ausa e Corno, e alle aree contermini, rimettendo alle competenze della Regione Friuli Venezia Giulia, come previsto all'articolo 2 del citato decreto le «necessarie operazioni di verifica ed eventuale bonifica delle porzioni di territorio già compreso nella perimetrazione»;
   nella relazione del dicembre 2012 sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia, predisposta dalla «Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti» sono richiamati i risultati delle indagini condotte dagli organi di supporto tecnico al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute, ISPRA e ISS, che nella laguna hanno individuato, proprio nel 2012, importanti criticità di carattere ambientale e sanitario per la presenza di significative concentrazioni di mercurio Hg nei sedimenti lagunari di tale sito;
   con riferimento alle attività di dragaggio nella laguna di Grado e Marano anche ARPA FVG, si era espressa in linea con quanto affermato da detti organi tecnici nazionali affermando («Relazione di caratterizzazione ambientale» del settembre 2012, allegato III alla delibera della giunta regionale del FVG n. 1737) che «una delle maggiori difficoltà attuali è l'impossibilità di traslocare il materiale dragato ai lati dei canali in ottemperanza alla legislazione nazionale vigente»;
   nella medesima relazione, per quel che riguarda la caratterizzazione ambientale, sono documentati fenomeni di inquinamento da mercurio delle specie ittiche maggiormente oggetto di pesca, in particolare latterino e orata, oltre i limiti per i quali ne è vietata la commercializzazione;
   presso la regione Autonoma Friuli Venezia Giulia sono già stati approvati dalla giunta regionale progetti di dragaggio nella laguna di Grado e Marano che non sembrano tenere conto delle documentazioni tecniche di cui si è dato conto nei paragrafi precedenti; occorre precisare che tali relazioni vanno dal maggio 2012 ad oggi e di conseguenza fanno riferimento ad una situazione che non ha avuto alcuna modifica significativa al riguardo;
   alcuni degli interventi di dragaggio in laguna di Grado e Marano così progettati sono stati già effettuati negli anni 2013 e 2014, e altri stanno per essere avviati;
   nella interrogazione 4-07375 del 22 dicembre 2014, che ad oggi non ha ancora avuto risposta, l'interrogante ha chiesto al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di conoscere riguardo il citato decreto 3 gennaio 2013 tra l'altro: «perché vengono ignorate le citate documentazioni tecniche redatte da ISS e ISPRA»;
   «se considerata la dichiarata assenza di istruttoria tecnica nella formulazione di tale decreto non si ritiene di procedere al suo ritiro/abrogazione anche a fini di autotutela, in considerazione della sua palese illegittimità»;
   nei mesi scorsi è stata presentata la variante 3 al progetto titolato «Lavori urgenti per il dragaggio del Fiume Corno finalizzati a garantire la sicurezza della navigazione favorirne la circolazione delle acque lagunari e contenere la dispersione delle sostanze inquinanti nell'ambiente lagunare» che recentemente ha concluso l’iter previsto di valutazione di screening per l'applicazione della valutazione di impatto ambientale regionale; si è stabilito di escludere la variante dalla procedura di valutazione di impatto ambientale; nei pareri prodotti per l'istruttoria riguardo questo ultimo progetto non si è tenuto alcun conto dei citati pareri degli organi nazionali di supporto tecnico, dell'anno 2012 ma ancora attuali;
   i sedimenti derivanti dal dragaggio del fiume Corno presentano grave inquinamento da mercurio come risulta dai risultati dei certificati analitici dei campioni prelevati nei punti indicati dalla citata relazione di caratterizzazione ambientale dell'ARPA Friuli Venezia Giulia, come approvata in sede di conferenza di servizi decisoria;
   le aree dell'intervento di dragaggio e conferimento dei sedimenti dragati si trovano all'interno del territorio soggetto al piano di bonifica dei siti inquinati del Friuli Venezia Giulia, approvato nel 2011 e tuttora vigente; tale piano di bonifica non prevede il conferimento tal quali di quei sedimenti inquinati, ma espressamente il loro trattamento;
   il verbale della conferenza di servizi decisoria tenutasi presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di data 26 luglio 2011 ha prescritto che in relazione a tali sedimenti inquinati, qualora i livelli di inquinamento superino il valore di intervento fissato da ICRAM nella conferenza di servizi decisoria del 15 dicembre 2004, pari a 1,4 mg/kg, le aree di deposito dovranno essere incluse nel progetto di bonifica; nel medesimo verbale è prescritto il possibile riutilizzo dei sedimenti dragati solo quando resi idonei dopo un idoneo trattamento, che non è avvenuto, né è in programma;
   a tutt'oggi non sono state espletate nell'area le «operazioni di verifica ed eventuale bonifica delle porzioni di territorio già compreso nella perimetrazione» con conseguente vincolo dell'area interessata agli interventi di cui alla variante 3;
   il manuale di movimentazione dei sedimenti (2007) del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, linea guida per la gestione degli interventi di dragaggio, evidenzia come per i sedimenti con concentrazione di mercurio oltre il Livello chimico limite di 1,0 mg/kg, abbondantemente superato, come avvenuto e avviene nei casi sopra citati, non sia possibile il conferimento tal quale;
   la USL territoriale competente aveva formalizzato nel 2010 un proprio parere, nel quale si prescriveva di conferire i sedimenti di dragaggio in vasche di stoccaggio temporaneo solo se fosse stato previsto il loro conferimento successivo in casse di colmata, in linea con quanto indicato dal citato manuale ministeriale;
   recentemente, 2014, anche la Commissione italo-slovena per la idroeconomia dell'Isonzo ha confermato che «l'inquinamento da mercurio» della Laguna di Grado e Marano è uno dei maggiori al mondo (come già certificato dalle Nazioni Unite in un documento del 2013), con un intrappolamento di almeno 250 tonnellate di mercurio provenienti dalla località di Idria in Slovenia. A tale quantità però vanno aggiunte anche le 186 tonnellate scaricate dall'impianto Cloro-Soda di Torviscosa, per un totale presente in Laguna di Grado e Marano di oltre 400 tonnellate complessive;
   lo standard di qualità ambientale, valore numerico che garantisce la qualità dell'intero ecosistema acquatico e della salute umana, previsto nei sedimenti dalla Unione europea come recepito in Italia ormai da molti anni, indica per il mercurio e i suoi composti il valore di 0,3 mg/kg s.s., di molto inferiore a quello riscontrato nei sedimenti oggetto di dragaggio e conferimento tal quali in laguna di Grado e Marano –:
   se non intenda inviare il Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente al fine di accertare la situazione della laguna di Grado e Marano alla luce delle considerazioni descritte in premessa.
(3-01342)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   NESCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni la stampa calabrese sta riportando più volte lamentele di turisti riguardanti un generale inquinamento delle coste nelle varie province calabresi;
    da anni Legambiente conduce una campagna – «Goletta Verde» – dedicata al monitoraggio ed all'informazione sullo stato di salute delle coste e delle acque italiane;
   secondo quanto denunciato dall'associazione il 21 luglio 2014, dopo aver esaminato e analizzato i dati relativi alle acque costiere calabresi anche grazie al contributo del COOU (Consorzio obbligatorio degli oli usati), la depurazione in Calabria rappresenta un'emergenza;
   dagli esami effettuati emerge che sui 24 punti monitorati ben 19 casi – in pratica l'80 per cento del totale – risultano «fortemente inquinati», giudizio che indica una carica batterica almeno due volte più alta di quella consentita dalla legge (decreto legislativo n. 116 del 2008 e decreto attuativo del 30 marzo 2010);
   quanto emerso dalle indagini di Legambiente, d'altronde, fa eco alla procedura d'infrazione (procedura n. 2014/2059 del 31 marzo 2014) aperta dall'Unione europea proprio alla vigilia della stagione balneare, per il mancato rispetto della direttiva comunitaria sul trattamento delle acque reflue urbane (direttiva 91/271 CE), da cui emerge come la Calabria sia, a riguardo, tra le peggiori regioni italiane, poiché nella procedura si segnalano ben 129 agglomerati urbani calabresi in cui figurano «anomalie» sulla depurazione;
   come infatti confermato pure da Legambiente, i suddetti agglomerati risultano non conformi poiché una parte del carico di acque reflue generato o non confluisce nel sistema fognario o, se vi confluisce, non arriva all'impianto di trattamento;
   in altri casi, ancora, non risultano impianti costruiti;
   la succitata procedura, peraltro, arriva dopo già due condanne inflitte dall'Unione europea a carico del nostro Paese;
   al suddetto riguardo, si ricorda, per brevità, soltanto l'ultima in ordine temporale, del 19 luglio 2013, in cui la Corte di Giustizia europea condannò l'Italia per la mancata applicazione della direttiva 91/271 CE in oltre cento agglomerati italiani, 18 dei quali comprendevano circa 90 comuni calabresi;
   lo stato emergenziale delle coste calabresi è stata già ampiamente descritto e denunciato nel dettagliato rapporto stilato ancora da Legambiente il 20 aprile 2013, «Depurazione in Calabria: tempo (quasi) scaduto», da cui è emerso, sulla base dell'ultimo censimento ISTAT riguardante i «Sistemi sulle Indagini sulle Acque» (dati 2009), che solo il 49,9 per cento del carico inquinante è servito da un servizio di depurazione adeguato e in linea, appunto, con quanto previsto dalle direttive europee, inferiore alla già modesta media nazionale del 76 per cento e sotto la media delle regioni del Mezzogiorno, che si attesta intorno al 66 per cento;
   i motivi di tale criticità sono stati espressi in maniera chiara dalla relazione relativa all'attività svolta dalla direzione marittima della Calabria e della Basilicata Tirrenica del 2013, secondo cui «l'esame delle criticità riscontrate, valutate complessivamente con le risultanze dell'analisi programmatica dell'ambiente marino e costiero nella zona marittima di giurisdizione, ha messo in evidenza che l'inquinamento delle acque marine della Calabria deriva principalmente dal carente sistema fognario e depurativo»;
   dalla documentazione di Legambiente emerge che la peggiore copertura del servizio di depurazione è quella di Vibo Valentia con solo il 49,9 per cento di abitanti serviti da una adeguato sistema di depurazione;
   accanto ai problemi e alle criticità già ricordate, nel territorio vibonese si segnala anche la «pratica di mancato allaccio ai depuratori, che, restano cattedrali nel deserto e non vengono utilizzati», come emerso dalla relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione Calabria, realizzata dalla competente Commissione parlamentare di inchiesta della XVI legislatura e approvata nel maggio 2011;
   nella succitata relazione si insiste sullo specifico «stato dell'arte» della provincia vibonese, da cui emerge ad esempio che «nel fiume Mesima confluiscono gli scarichi di 21 comuni [...] Dieci di questi comuni non risultano in possesso di impianti di depurazione, cinque comuni hanno impianti sottodimensionati o obsoleti. In alcuni dei restanti comuni, che risultano formalmente dotati di sistemi di depurazione, si registrano interi quartieri o frazioni privi di sistemi di collettamento». In altri casi (Briatico, Parghelia, Pizzo, Ricadi, Tropea) molti depuratori risultano privi di autorizzazione allo scarico, altri invece sono ancora sottoposti a sequestro giudiziario;
   la situazione testé descritta non sembra essere cambiata di una virgola, dato che dai controlli effettuati da Legambiente nella scorsa settimana è emerso che in provincia di Vibo Valentia, su sei punti monitorati, «fortemente inquinati» sono risultati Pizzo Calabro (foce del fiume Angitola, località Calamaio), Vibo Valentia (foce del fosso Sant'Anna, in località Bivona), Nicotera (foce torrente Britto), Joppolo (alla foce del torrente Mandricelle, presso spiaggia di Coccorino, in località Porticello) e Ricadi (foce fiumara Ruffa, in località Torre Ruffa);
   a Ricadi i tecnici di «Goletta Verde» hanno analizzato anche un altro punto (Cascatelle sulla spiaggia in località Formicoli), prelevando proprio un campione alla sorgente per verificarne la carica batterica, ma anche qui il risultato è stato «fortemente inquinato»;
   della questione si è occupata anche l'autorità giudiziaria che, l'8 luglio 2014, ha denunciato trenta sindaci dell'area vibonese per scarico abusivo, al termine di un'indagine a tappeto condotta dalla capitaneria di Porto di Vibo Marina che ha messo sotto osservazione gli impianti di depurazione del territorio provinciale, e da cui è emerso che i centri di Acquaro, Filandari, Francica, Gerocarne, Jonadi, Arena, Dasà, Dinami, Fabrizia, Filadelfia, Mileto, Nardodipace, Polia, San Calogero, Soriano, San Gregorio D'Ippona, San Nicola Da Crissa sono tutti sprovvisti di piattaforme;
   secondo la ricostruzione del quotidiano La Gazzetta del Sud del 9 luglio, «dai controlli sarebbe emersa una situazione disastrosa che richiederà anni prima di essere sanata. Di fronte ad un sistema depurativo che fa acqua da tutte le parti non bastano più le denunce e l'impegno della Capitaneria di porto»;
   secondo quanto ricostruito dalla stampa, la situazione sarebbe disastrosa: il servizio di depurazione nel vibonese coprirebbe solo il 40 per cento della popolazione; i reflui del 60 per cento degli abitanti scorrerebbe a mare o in fossi e torrenti; su 50 comuni della provini di Vibo ben 17 non sarebbero dotati di impianti (altri 7, invece, obsoleti); gran parte dei tronchi fognari scaricherebbero le proprie acque, senza alcun tipo di trattamento, nei corsi d'acqua che arrivano a mare;
   a tale situazione peraltro, come sembrerebbe emergere anche dalle indagini giudiziarie, fa da contraltare la mole di finanziamenti pubblici stanziati per completare, adeguare e ripristinare il sistema di fognatura e depurazione in Calabria;
   in totale, secondo i dati raccolti da Legambiente, tra fondi CIPE, POR, fondi del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e altri fondi strutturali, si parla di 717 milioni di euro stanziati negli ultimi dodici anni e, di questi, 42 circa per la provincia di Vibo Valentia –:
   se sia a conoscenza dei fatti suesposti;
   quali improcrastinabili e tempestive iniziative intenda assumere, nell'ambito delle rispettive competenze, al fine di monitorare il livello di inquinamento delle acque costiere calabresi, con particolare riferimento a quelle vibonesi;
   in che modo siano stati utilizzati i 717 milioni di euro di fondi pubblici ricordati in premessa e se i lavori finanziati siano o meno giunti a termine.
(5-04951)


   NESCI, MANNINO, COLONNESE e CARINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   Tropea (Vibo Valentia) è un comune famoso nel mondo per le sue bellezze naturalistiche e paesaggistiche, la sua spiaggia, il suo mare trasparente, la suggestività di faraglioni e scorci nonché per l'unicità della sua costa, cinematograficamente e televisivamente considerata, cui si unisce la tipicità della cipolla rossa, che ne prende il nome, coltivata nei vicini terreni;
   l'amministrazione comunale di Tropea intende realizzare un progetto di ripascimento e stabilizzazione del litorale in erosione, godendo, tra l'altro di fondi stanziati riguardanti la prima fase del Por Calabria, collegato al Fondo europeo di sviluppo regionale per gli anni 2007-2013;
   il progetto, denominato «lavori di ripascimento e stabilizzazione del litorale in erosione nel Comune di Tropea, APQ difesa del suolo, erosione delle coste delibera CIPE 35/005», ha ricevuto parere favorevole di compatibilità ambientale, con prescrizioni, mediante decreto della regione Calabria n. 15372 del 29 ottobre 2012, a firma del direttore generale, recependo la formulazione elaborata dal nucleo regionale di VIA-VAS-IPPC;
   in data 3 febbraio 2011, l'amministrazione di Tropea, ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 4 del 2008 e del regolamento regionale 4 agosto 2008, e successive modificazioni, ha trasmesso agli uffici regionali, la documentazione per la procedura di valutazione di impatto ambientale;
   con nota del 28 giugno 2009 la regione Calabria ha richiesto all'amministrazione comunale integrazione di documentazione, poiché alcune attività consistevano nel prelievo delle sabbie all'interno del parco marino regionale «Fondali di Capocozzo-S. Irene-Vibo Marina-Pizzo-Capo Vaticano-Tropea» (istituito con legge regionale della Calabria n. 13 del 2008), operazione che avrebbe potuto danneggiare l'area protetta;
   l'ente gestore del suddetto parco aveva già rilasciato parere negativo;
   il proponente ha fornito sia le note integrative che uno studio d'incidenza, facendo riferimento però esclusivamente al sito SIC IT 9340091 «zona costiera fra Briatico e Nicotera»;
   nel contenuto del parere di valutazione ambientale espresso, per converso, nessun riferimento sembra essere riservato alla valutazione d'incidenza di cui all'articolo 6 della direttiva comunitaria, recepita nella regione Calabria dal regolamento 3 del 2008 come modificato dalla DGR 749 del 2009;
   l'immenso valore naturalistico dell'area è riconosciuto dalla stessa Unione europea che l'ha inserita nell'elenco dei siti d'interesse comunitario, sottoposti alla tutela della direttiva 43/92/CEE «Habitat – Rete Natura 2000» quelli identificati con i codici IT9340091 «Zona costiera fra Briatico e Nicotera», IT9340094 «Fondali di Capo Cozzo-S. Irene», IT9340092 «Fondali di Pizzo Calabro», IT9340093 «Fondali di Capo Vaticano»;
   dall'esame della vicenda è facile comprendere che l'intervento in argomento potrebbe compromettere seriamente i livelli di tutela della conservazione biologica, con gravissime ricadute negative sulla conservazione degli habitat naturali e degli habitat delle specie, tutelati dalla direttiva comunitaria, presenti nei suindicati siti riconosciuti;
   non risulta agli interroganti siano state prese in considerazione dal nucleo di valutazione regionale le eventuali incidenze significative, singolarmente o congiuntamente, ad altri piani o progetti approvati o approvandi, ai fini degli effetti cumulativi, né risultano presi in considerazione quelli presumibilmente ricadenti sui SIC adiacenti, così come invece previsto ed imposto dal testo summenzionato al paragrafo 3, che dovrebbero necessariamente formare oggetto di un'opportuna valutazione dell'incidenza che si ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo;
   alla luce delle conclusioni della valutazione dell'incidenza sul sito le autorità nazionali competenti danno il loro accordo su tale piano o progetto, quindi soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l'integrità dei siti;
   dall’iter seguito dal comune proponente, nonché dalla regione valutante si evince chiaramente, ad avviso degli interroganti, come sia stata disattesa l'obbligatoria valutazione d'incidenza ambientale, secondo i criteri dettati dall'articolo 6 della direttiva «Habitat»;
   come ben chiarito nelle linee guida «La gestione dei siti della rete Natura 2000 – Guida all'interpretazione dell'articolo 6 della direttiva Habitat», elaborate dalla Commissione ambiente della Unione europea, i paragrafi 3 e 4 dell'articolo 6 della «direttiva Habitat» impongono ai valutatori di esporre la motivazione nel rilascio del proprio parere sulla base dell'assunzione di informazioni relative all'ambiente;
   se dalla valutazione di merito non risulta la base motivata per la conseguente decisione, questa non soddisfa lo scopo della direttiva e non può essere considerata opportuna;
   si profila nel caso di specie, ad avviso degli interroganti, una palese violazione, laddove nel parere di valutazione autorizzativo non viene fatto alcun riferimento al rilascio del parere motivato di valutazione d'incidenza, benché lo stesso debba essere rilasciato prodromicamente rispetto a qualsivoglia valutazione, autorizzazione, nullaosta e parere;
   emerge, per quanto dianzi rappresentato, un pericolo imminente dettato dalla realizzazione del progetto de quo, individuato nel probabile mancato raggiungimento dello scopo della direttiva «Habitat» come individuato nell'articolo 2 e consistente nel «salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato»;
   per le zone speciali di conservazione, gli Stati membri stabiliscono le misure di conservazione necessarie che implicano, all'occorrenza, appropriati piani di gestione specifici o integrati ad altri piani di sviluppo e le opportune misure regolamentari, amministrative o contrattuali che siano conformi alle esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali di cui all'allegato I e delle specie di cui all'allegato II presenti nei siti;
   non risulta, per converso, che il SIC interessato direttamente e quelli contigui abbiano ottenuto la necessaria tutela attraverso l'approvazione dei piani di gestione, né che siano state istituite zone di conservazione speciale entro i sei anni dall'istituzione dei SIC;
   a questo ultimo riguardo, si evidenzia quella di cui agli interroganti appare una grave violazione dell'obbligo comunitario;
   nel paragrafo 2 del medesimo articolo, stabilisce la direttiva che «gli Stati membri adottano le opportune misure per evitare nelle zone speciali di conservazione il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie, nonché la perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate, nella misura in cui tale perturbazione potrebbe avere conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi della presente direttiva»;
   nonostante quanto sopra esposto, a seguito del rilascio del parere di VIA il progetto esecutivo è stato riformulato sulla scorta delle prescrizioni imposte dagli enti interessati, seguito da un verbale di validazione redatto dai tecnici incaricati, dal responsabile unico e dal funzionario responsabile dell'area amministrativa di competenza del comune di Tropea, sì che il 31 gennaio 2013 la giunta comunale di Tropea (Vibo Valentia) ha deliberato di riapprovare il progetto esecutivo relativo ai lavori più sopra indicati, già avviati;
   la mancata applicazione della procedura di valutazione di incidenza può comportare l'apertura di procedure di infrazione a carico degli Stati membri e, per il principio di sussidiarietà, delle singole amministrazioni regionali che violino o disapplichino le norme di diritto comunitario, così come il mancato rispetto delle norme comunitarie fa venire meno il diritto di percepire fondi strutturali –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere affinché vengano tempestivamente adottate tutte le misure necessarie a garantire il rispetto della normativa comunitaria in tema di valutazione d'incidenza in ordine alla conservazione dei siti d'interesse comunitario individuati dalla direttiva 43/92/CEE «Habitat – Rete Natura 2000» e identificati come IT9340091 «Zona costiera fra Briatico e Nicotera», IT9340094 «Fondali di Capo Cozzo-S. Irene», IT9340092 «Fondali di Pizzo Calabro», IT9340093 «Fondali di Capo Vaticano», minacciati dalla realizzazione del progetto proposto dal comune di Tropea, a quanto consta agli interroganti privo di valutazione d'incidenza in palese contrasto con le disposizioni contenute nell'articolo 6 della direttiva 92/43/CEE, anche al fine di scongiurare un evidente pericolo di apertura di un'ulteriore procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia;
   quali iniziative di competenza intenda altresì intraprendere al fine di garantire uno stato di conservazione soddisfacente dei tipi di habitat naturale e di specie presenti nei suindicati siti e scongiurare, così, il rischio che siano colpiti da degrado dell'habitat e perturbazione delle specie, nonché per assicurare il riconoscimento delle zone di conservazione speciale in quell'area. (5-04952)

Interrogazione a risposta scritta:


   NICCHI, SCOTTO, ZARATTI e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   fonti giornalistiche (Corriere.it del 10 febbraio 2015) riportano che tra Sessa Aurunca e Mondragone, in un'area che si affaccia da un lato sul golfo di Gaeta e dall'altra sulle aree di Bagnoli e il litorale domizio dove ci sono importanti insediamenti militari, al confine tra la provincia di Caserta e il basso Lazio è presente una base antiatomica della Nato, abbandonata da anni e apparentemente inghiottita dalla natura;
   la base, il cui nome in codice era Proto, è stata costruita alla fine degli anni ‘50, poi dismessa e murata nel 1996. Probabilmente serviva come base di controllo per l'area del Mediterraneo e come rifugio antiatomico;
   le associazioni Generazione Aurunca e Caserterrae, che si battono per riportare alla luce la bellezza dell'area casertana denunciano da tempo il forte degrado dell'area della ex base Nato e chiedono che tipo di bonifica è stata fatta dalla ASL locale e l'intervento della prefettura, dell'ASL e dell'ARPA per mettere in sicurezza la zona, dato che i veleni presenti nella ex base, se non sufficientemente neutralizzati, potrebbero innescare processi devastanti per il territorio –:
   se non si intenda intervenire per quanto di competenza al fine di verificare il livello di degrado e di inquinamento ambientale dell'area di cui in premessa.
(4-08328)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   NESCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il complesso denominato «Tonnara di Bivona» in Vibo Valentia è un bene incamerato tra le pertinenze del pubblico demanio marittimo;
   il cespite è escluso dagli elenchi soggetti alla legge regionale della Calabria n. 17 del 21 dicembre 2005, nonché dalle recenti norme del federalismo demaniale (di cui ai commi 3 e 4 dell'articolo 3 del decreto-legislativo n. 85 del 2010), sicché la vigilanza di merito spetta alla capitaneria di porto;
   la soprintendenza competente esercita sul bene in argomento la vigilanza per l'applicazione del codice per i beni culturali (ex articoli 57 e 106 del decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni e integrazioni) da parte degli enti che ne hanno la proprietà o la gestione;
   ai sensi dell'articolo 57-bis del suddetto codice, ogni uso del bene deve essere preventivamente autorizzato dalla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Calabria;
   il quadro territoriale regionale (Q.T.R.) ha incluso la «Tonnara di Bivona» nella categoria dei beni identitari ai sensi dell'articolo 143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni e dell'articolo 51 del rammentato quadro territoriale regionale;
   il bene, si legge sul blog «Comune portosantavenere» (su piattaforma «Blogspot»), «sin dal 1990 ha fruito di una serie di finanziamenti pubblici (Soprintendenza BAP di Cosenza e regione Calabria) ai fini del recupero ed uso museale», con «una cifra che supera i 2 milioni di euro»;
   con lettera, nell'ottobre 2012 l'associazione antimafia «Gerbera gialla» chiese al comune di Vibo Valentia e alla procura della Repubblica come mai il suddetto museo del mare, finanziato per 1.304.000 di euro dalla regione Calabria con fondi del Por Calabria 2000/2006, non fosse stato completato e – si legge sul blog «Comuneportosantavenere» – «al suo posto sorge, invece, la sede estiva dei Vigili Urbani e quella di un'associazione locale»;
   contestualmente, la medesima associazione domandò quale fosse lo stato finale dei lavori e il relativo conto, l'esistenza di certificato di ultimazione lavori, di collaudo statico e di collaudo tecnico-amministrativo, nonché l'esistenza di parere circa la destinazione d'uso finale da parte della Soprintendenza ai beni monumentali e, all'occorrenza, del contenuto di codesto atto;
   il 30 agosto 2011, la redazione del summenzionato blog interpellò la Corte dei conti per sapere «se un uso difforme del bene storico rispetto ai finanziamenti ottenuti sia possibile», anche con il timore che tale prassi «possa condurre a breve allo stravolgimento strutturale dell'opera, compromettendo definitivamente il suo valore storico ed il suo uso culturale a vantaggio della (...) comunità, vanificando le risorse umane e finanziarie sin qui spese per la sua valorizzazione»;
   nel maggio 2013, lo stesso sindaco di Vibo Valentia, Nicola D'Agostino, sottolineò pubblicamente, presenti il prefetto di Vibo Valentia, il commissario dell'ente provincia e ufficiali di carabinieri e Guardia di finanza, che la «Tonnara di Bivona» è un bene di competenza demaniale, poi informando della sospensione delle concessioni d'uso rilasciate dal Comune nel 2010 e 2011 (su YouTube);
   l'8 dicembre il bene in argomento è stato utilizzato come seggio per le elezioni primarie del Partito democratico –:
   se sia a conoscenza dei fatti qui esposti;
   in virtù di quale norma e di quale titolo il bene risulti ad oggi utilizzato discrezionalmente dal comune di Vibo Valentia per usi diversi da quelli previsti nell'ambito dei finanziamenti erogati;
   se in capo al comune di Vibo Valentia – per gli usi sin qui disposti – risultino concessione d'uso e pareri autorizzativi da parte della competente soprintendenza BSE;
   quali verifiche possa promuovere in ordine allo stato e ai costi dei lavori finanziati;
   quali misure, nell'ambito delle proprie competenze, intenda adottare perché il bene sia restituito alla sua funzione, nel rispetto delle normative vigenti. (5-04953)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nella frazione Aquilinia in comune di Muggia (Trieste) sorge una collina denominata Monte San Giovanni. Sulla sommità del rilievo e delimitato da un lato dalla via Raffineria, si trova un complesso militare interrato realizzato durante la seconda guerra mondiale ed utilizzato fino al 1957;
   il manufatto bellico è composto da diverse cisterne sotterranee adibite a deposito di idrocarburi e collegate da un sistema di corridoi. Esistono tre vie di accesso di cui la principale è protetta da una cupola paraschegge in cemento armato. Una condotta interrata della lunghezza di un chilometro circa collegava il sito con la raffineria di oli combustibili Aquila, operante fino al 1987; detta condotta non appare mappata nelle cartografie né presa in carico o monitorata dagli enti preposti e le sue condizioni di servizio, integrità, reale sviluppo e tracciato sul territorio sono dunque sconosciute;
   il volume indicativo del complesso è di 430 metri cubi e nel libro «I sotterranei di Trieste» di Paolo Guglia ed Enrico Halupca (ed. Italo Svevo) realizzato dalla Società Adriatica di Speleologia – sezione di speleologia urbana di Trieste sono state pubblicate diverse fotografie dell'interno delle gallerie e degli accessi oltre alla pianta e alle sezioni del sito;
   l'area appartiene al demanio dello Stato – Ramo Guerra, anche se dal 2014 risulta essere in corso un'istruttoria d'intavolazione a favore di un soggetto privato. Desta preoccupazione tale operazione in quanto un qualunque soggetto privato non pare assolutamente in grado di fornire alla collettività le necessarie garanzie d'intervento in caso di sinistro e la solidità finanziaria per farsi carico della successiva messa in sicurezza definitiva (ovvero inertizzazione e riempimento) del complesso militare di cui in oggetto;
   all'interrogante giungono reiterate segnalazioni sulla potenziale pericolosità del sito, che sembrerebbe non essere mai stato sottoposto a verifiche dagli enti preposti e a una messa in sicurezza con successiva bonifica ed inertizzazione definitive;
   l'ubicazione stessa dell'installazione – ricavata in cima alla collina e ricoperta da materiale di riporto – rappresenta una fonte di preoccupazione in quanto l'eventuale collasso di qualche cisterna potrebbe rendere instabile il versante con rischio evidente di discesa verso la zona abitata; ciò vale anche per eventuali necessarie operazioni di inertizzazione ovvero di riempimento delle cisterne bonificate con inerti il cui peso potrebbe innescare cedimenti su strutture di tale vetustà con le temute imprevedibili conseguenze statiche in assenza di preventive verifiche;
   anche l'eventuale fuoriuscita di idrocarburi dalle cisterne sotterranee potrebbe avere delle ripercussioni qualora dovessero raggiungere le vicine falde acquifere. Rischio quest'ultimo che potrebbe essersi già verificato visto lo stato di abbandono dei serbatoi;
   l'area in oggetto, esterna al perimetro del SIN (sito di interesse nazionale) di Trieste, ovvero in quanto tale mai prima appunto caratterizzata, è situata in un territorio classificato dal piano regolatore del comune di Muggia come zona S5A – verde di connettivo –:
   se i Ministri interrogati, in accordo con gli enti locali, intendano promuovere il dovuto monitoraggio delle cisterne interrate a Monte San Giovanni, attivandosi per favorire, nel minor tempo possibile, la messa in sicurezza e la bonifica definitiva e non provvisoria della struttura militare dismessa;
   se non si ritenga opportuno provvedere alle necessarie operazioni di bonifica e di messa in sicurezza, prima della cessione di un sito del demanio militare ad un soggetto privato. (4-08323)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MICCOLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel 1991 l'ente pubblico «Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato» ha acquisito una casa editrice romana (poi divenuta Editalia s.p.a) operante, tra l'altro, nella produzione di libri d'arte, cura e pubblicazione dei cataloghi di importanti mostre;
   il decreto legislativo 21 aprile 1999, n. 116, ha disposto la trasformazione dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (IPZS) in società per azioni, previa verifica dei necessari requisiti economici e patrimoniali e approvazione di un piano triennale di impresa da parte del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, e che le azioni della società derivante dalla trasformazione dell'Istituto fossero attribuite al tesoro dello Stato;
   il 2 agosto 2002 il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), con deliberazione n. 59/2002 (Gazzetta Ufficiale n. 244 del 17 ottobre 2002) – ai sensi del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, recante misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica – ha deliberato la trasformazione dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato in società per azioni e che, tale comitato, per il fine menzionato, previa comunicazione alle Camere, potesse deliberare la trasformazione in società per azioni di enti pubblici economici, qualunque fosse il loro settore di attività;
   le azioni della società derivante dalla trasformazione dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato sono attribuite al Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministro dell'economia e delle finanze esercita i diritti dell'azionista;
   con la citata delibera l'IPZS diviene una società per azioni cosiddetta «società in house», con azionista unico il Ministero dell'economia e delle finanze che ne possiede il 100 per cento;
   Editalia spa, già patrimonio dell'IPZS, diventa una partecipata pubblica del Gruppo dell'Istituto stesso insieme a Sipleda spa;
   nel 2005 Editalia e Sipleda spa si fondono e l'IPZS detiene il 99 per cento della loro proprietà. Dalla loro acquisizione ad oggi si produce un fatturato di oltre mezzo miliardo di euro, derivante dalla vendita delle produzioni d'arte;
   tra i fini storici di Editalia vi è quello di promotore di cultura e di divulgazione dell'arte e degli artigiani dell'arte, rappresentando un giacimento di eccellenza del «made in Italy»;
   Editalia spa ha un fatturato medio di circa 30 milioni di euro l'anno, chiude i bilanci in utile e contribuisce al mantenimento di un alto il livello dell'immagine culturale dello Stato e della pubblica amministrazione;
   gran parte della medaglistica prodotta da Editalia viene realizzata attraverso commesse dirette affidate alla Zecca di Stato, con il contributo artistico, della Scuola dell'Arte della Medaglia;
   il Ministero dell'economia e delle finanze ha collocato la controllata Editalia nell'elenco delle partecipazioni pubbliche oggetto di dismissione;
   il 27 novembre 2014 l'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato con la presentazione del piano industriale 2015/2017, («Formalizzazione del ruolo Istituzionale di IPZS») ha ribadito che «l'obiettivo comune per la realizzazione di un interesse pubblico» dovrà essere «in linea con la Direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014»;
   il 17 dicembre 2014 l'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato con avviso pubblico, ha annunciato che «intende procedere all'indizione ed all'espletamento di una procedura di consultazione competitiva per la cessione del 99,999 per cento del capitale della società Editalia spa»;
   il bando su indicato, denominato «Procedura di Consultazione Competitiva» all'articolo 3.1 fa esplicito riferimento al «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE», ovvero al «D.Lgs. n. 163/2006» imponendo le esclusioni di cui all'articolo 38, comma 1, lettere a), b), c), d), e), f), g), h), i), l), m), m-bis), m-ter), m-quater);
   tale «procedura» ad avviso dell'interrogante non appare perfettamente «in linea con la Direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014», citata nel piano industriale 2015/2017 che, sebbene non ancora recepita, dovrebbe costituirne un riferimento; né il titolo «procedura di consultazione competitiva» è ravvisabile nella precedente direttiva 2004/18/CE;
   nei «Requisiti relativi alla capacità finanziaria» (rif. bando 3.2) vengono chieste solo le «referenze bancarie rilasciate almeno da due istituti bancari o intermediari autorizzati ai sensi del decreto legislativo n. 385 del 1993», mentre sembra non essere obbligatorio quello dei bilanci previsto dall'articolo 41 del decreto legislativo n. 163 del 2006 «Capacità economica e finanziaria dei fornitori e dei prestatori di servizi» ovvero:
    b) «bilanci o estratti dei bilanci dell'impresa, ovvero dichiarazione sottoscritta in conformità alle disposizioni del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445»;
    c) «dichiarazione, sottoscritta in conformità alle disposizioni del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, concernente il fatturato globale d'impresa e l'importo relativo ai servizi o forniture nel settore oggetto della gara, realizzati negli ultimi tre esercizi»;
   articolo 41 che, al di là della sua obbligatorietà o meno, in questo contesto parrebbe di più che opportuna applicazione;
   nei requisiti previsti dal bando non si ripropone quello relativo ai «Requisiti di idoneità professionale» (articolo 39 del citato codice dei contratti pubblici), pur trattandosi di un settore ad alto contenuto artistico e professionale;
   vi sono grandi valori tecnici ed economici in gioco –:
   se non intendano vigilare sull'ammissibilità, congruità e validità dei possibili acquirenti; su ogni aspetto riguardante l'appropriatezza ed economicità dei successivi passaggi;
   se intendano o meno considerare la possibilità di attivarsi per il mantenimento dei livelli occupazionali e per la salvaguardia degli interessi economici dello Stato i quali, specialmente in merito ai valori artistico-culturali rappresentati, appaiono sottovalutati o trascurati. (5-04955)


   SANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di novembre 2012 piogge di entità eccezionale hanno provocato alluvioni, esondazioni di corsi fluviali in numerose regioni d'Italia;
   tali fenomeni hanno devastato la provincia di Grosseto (e, in particolare, il comune di Orbetello e la frazione di Albinia), causando vittime tra la popolazione civile, l'evacuazione di migliaia di persone dalle proprie case, danni ingenti alle infrastrutture viarie, a numerosi centri abitati, aree artigianali e commerciali e produzioni agricole, ed al patrimonio storico artistico e culturale territoriale;
   in seguito a tale alluvione il Governo ha riconosciuto lo stato di emergenza anche per la provincia di Grosseto con la «deliberazione del Consiglio dei ministri dell'11 dicembre 2012: per le eccezionali avversità atmosferiche verificate a novembre 2012 in alcuni comuni delle Province di Arezzo, Grosseto, Lucca, Massa-Carrara, Pisa, Pistoia e Siena». Tale delibera ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale, nei territori interessati, fino al 10 marzo 2013;
   successivamente il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali ha emanato il decreto per il riconoscimento dello stato di calamità per le aree agricole interessate dall'alluvione, mentre il Parlamento ha stanziato finanziamenti straordinari in leggi ordinarie;
   da quanto appena esposto si evince quindi la gravissima situazione che ha colpito i territori, una situazione le cui conseguenze si ripercuotono ancora oggi sul tessuto sociale, economico, produttivo e occupazionale locale;
   l'Agenzia delle entrate (ente vigilato dal Ministero dell'economia e delle finanze) ha inviato recentemente ad alcune imprese della provincia di Grosseto, situate nella zona di Albinia, atti di contestazione per la violazione di norme tributarie;
   nel dettaglio, secondo l'Agenzia delle entrate, alcune imprese hanno ritardato (spesso soltanto di alcune settimane) l'invio delle notifiche per la variazione di accatastamento di alcuni beni immobili di oltre 30 giorni previsto dall'articolo 13, comma 14 del decreto-legge n. 201 del 2011;
   l'atto di contestazione prevede una ingente sanzione pecuniaria;
   risulta evidente che tali imprese abbiano ritardato l'invio della variazione di accatastamento indipendentemente dalla loro volontà: gli allagamenti, la temporanea sospensione delle attività quotidiane e della viabilità hanno infatti reso materialmente impossibile la corretta esecuzione delle misurazioni e dei lavori nei tempi prestabiliti –:
   se non ritenga necessario assumere iniziative urgenti per esentare dalle sanzioni pecuniarie (richieste dall'Agenzia delle entrate per aver inviato con ritardo le variazioni catastali) quelle imprese che ricadono nei comuni previsti dalla deliberazione del Consiglio dei ministri dell'11 dicembre 2012, citata in premessa, attuando quindi una moratoria fino al 10 marzo 2013, data in cui vigeva lo stato di emergenza nazionale. (5-04957)


   IMPEGNO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a seguito alle modifiche alla normativa antiriciclaggio, qualsiasi pagamento in contanti non può superare i 12.500 euro (decreto-legge n. 112 del 2008) tale limite è stato abbassato dal 31 maggio 2010 a euro 5.000 (decreto-legge n. 78 del 2010) e quest'ultimo limite è stato ulteriormente ridotto nel 2011 alla cifra di euro 2.500 dal 13 agosto (decreto-legge n. 38 del 2011);
   il 6 dicembre 2011 il decreto-legge n. 201 del 2011 ha ridotto, ulteriormente, la soglia massima per l'utilizzo del denaro contante, in un quadro di adeguamento alle disposizioni comunitarie finalizzate alla prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, portandola da 2.500 a 999.99 euro;
   il decreto-legge n. 16 del 2012 ha introdotto una deroga alla suddetta soglia massima, prevedendo che gli operatori del settore del commercio al minuto e le agenzie di viaggi e turismo possano procedere alla vendita per contanti di beni e servizi fino alla soglia massima di 15.000 euro laddove gli acquirenti siano persone fisiche che non abbiano né cittadinanza italiana, né quella di uno Stato membro dell'Unione europea o dello spazio economico europeo e che, inoltre, non risiedano nel territorio dello Stato italiano;
   durante il dibattito parlamentare relativo al disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 91 del 2014 (decreto-legge competitività) era stato introdotto dal Senato l'articolo 7-sexies, che recava nuove disposizioni in materia di limiti per il trasferimento di denaro contante, stabilendo che per l'acquisto di beni e servizi nei settori del commercio al minuto e delle agenzie di viaggi e turismo da parte di cittadini dell'Unione europea (o di Stati appartenenti allo spazio economico europeo) non residenti in Italia il limite per il trasferimento di denaro contante fosse quello vigente nello Stato di residenza dell'acquirente e tale articolo è stato soppresso dalla Camera dei deputati;
   nel corso dell'esame è stato accolto un ordine del giorno dell'8 agosto 2014 (9-02568-AR-007) che impegnava il Governo a «procedere alla valutazione di ogni possibile semplificazione normativa e procedurale (...) al fine di promuovere opportune iniziative di coordinamento normativo utili tanto alla fluidità delle transazioni commerciali tra operatori residenti e turisti extracomunitari e comunitari, quanto all'efficacia dell'azione di prevenzione e contrasto del riciclaggio, del finanziamento del terrorismo e dell'evasione fiscale»;
   il quadro normativo, precedentemente illustrato, comporta una forte differenza nell'utilizzo dei contanti tra l'Italia e gli altri Stati europei: Austria, Slovenia, Germania e Regno Unito non pongono alcun limite all'utilizzo dei contanti, in Francia il limite è di 3.000 euro per i residenti e di 15.000 euro per i non residenti, in Belgio di 3000 euro ed in Grecia di 1.500 euro. La Spagna, come la Francia, ha il doppio limite: 2.500 euro per i residenti e 15.000 euro per i non residenti;
   queste diversità normative pongono le aziende italiane in una situazione di evidente disparità rispetto alle altre realtà europee e ciò renderebbe necessario una ridefinizione delle norme antiriciclaggio in sede comunitaria, con l'obiettivo di evitare che la «tolleranza zero» di uno Stato membro comporti semplicemente un vantaggio per i commercianti di altri Paesi membri dell'Unione europea;
   tale quadro normativo pone in essere una vera e propria discriminazione in capo ai commercianti all'ingrosso che non rientrano nelle deroghe previste dalle attuali norme per le persone fisiche provenienti da Paesi extra-Unione europea, e non possono beneficiare del positivo impulso al commercio derivante dal turismo e dall'afflusso di soggetti stranieri in Italia –:
   quale sia il piano del Governo per dare risposta ai problemi posti e se ci sia la volontà di adeguare le norme sul commercio all'ingrosso a quelle già poste in essere per il commercio al dettaglio;
   se sussista, da parte del Governo, l'intenzione di agevolare la disciplina per il commercio all'ingrosso nell'ottica di una semplificazione degli aggravi burocratici nel commercio con i cittadini e le aziende extra-Unione europea. (5-04958)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   NESCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   nello scorso giugno l'interrogante scrisse una missiva alla Presidenza del Consiglio dei ministri e ai Ministri dell'interno, della funzione pubblica e per gli affari regionali, rappresentando la necessità di soluzioni urgenti per la provincia di Vibo Valentia, in dissesto finanziario e privata di alcuni dirigenti dell'ente, tratti in arresto;
   nella medesima missiva si poneva l'accento su un quadro generale estremamente drammatico, riassunto al Governo anche dall’ex commissario dell'ente Mario Ciclosi, «determinato – precisavo nella mia comunicazione ai destinatari rappresentanti del Governo – da una profonda difficoltà nella gestione ordinaria della provincia di Vibo Valentia, gravata, in un contesto di forte e diffuso dominio criminale, da vicende di appropriazione indebita, di violazione di doveri nei pubblici uffici e di bilanci passati fuori misura»;
   sempre nella missiva in argomento, si faceva riferimento a una precedente lettera dell'interrogante al Capo dello Stato, a proposito della vertenza Italcementi di Vibo Valentia;
   al Presidente della Repubblica l'interrogante scriveva: «Il silenzio logora le cose. La tristezza sparsa proietta una fine lenta e perciò crudele. Un'agonia senza rimedi né sollievi, almeno per ora. È la fotografia di un pezzo di Sud divorato da politica e affarismo criminale; a volte coincidenti, altre sodali»;
   la missiva di cui più sopra si concludeva con la richiesta di «un pronto interessamento delle Istituzioni in elenco, certa di prossimo riscontro, affinché la provincia di Vibo Valentia possa garantire normalmente, per le sue competenze, il governo del territorio»;
   alla data di oggi non vi è purtroppo seguito rispetto alla suddetta richiesta;
   in più circostanze l'odierna interrogante ha rappresentato formalmente al governo della provincia di Vibo Valentia la situazione disastrosa di strade di sua competenza, scrivendo anche, su sollecitazione di alcuni cittadini, all'assessorato per i lavori pubblici della regione Calabria, che non ha mai dato proprio riscontro;
   nel febbraio 2010 ci fu una frana sulla provinciale 46, in località «Trecroci» del comune di Polia (Vibo Valentia);
   diversi servizi giornalistici hanno raccontato la vicenda e le condizioni più recenti della menzionata strada, tra cui, uno di «Tele Cosenza» e uno di «Zoom web channel», reperibili rispettivamente sulla piattaforma video «YouTube» con i titoli Polia: frana strada provinciale 46, non riparata dopo tre anni e Zoom Polia abbandonata;
   in un articolo apparso nel luglio 2013 sul sito della testata «Cn24Tv», si legge della messa in sicurezza, da parte della provincia di Vibo Valentia, delle strade provinciali n. 83 «Daffinà-Parghelia» e n. 46 «Polia-Monterosso-Capistrano», con i lavori già avviati «per la mitigazione del rischio frana lungo la strada provinciale Polia-Monterosso-Capistrano. L'importo dei lavori appaltati ammonta a circa 151 mila euro. Lungo l'arteria sono previsti oltre al ripristino della carreggiata anche significativi lavori di sistemazione idrogeologica che garantiranno una maggiore sicurezza agli automobili. I cantieri ricadono entrambi nel comune di Polia: in località Scanzata e nella frazione Minniti»;
   nell'elenco degli interventi finanziati dalla regione Calabria, scaricabile dal sito della medesima, risulta la strada provinciale 46 per Polia, per un importo di 300 mila euro «per sistemazione idrogeologica per la mitigazione del rischio di frana lungo la S.P. 46, località Polia, Monterosso, Capistrano»;
   la provincia di Vibo Valentia ha comunicato alla sottoscritta, con nota dello scorso 13 settembre a firma del dirigente del settore VI dell'ente, Giacomo Consoli, che la strada «in oggetto indicata, a seguito degli eventi alluvionali che si sono abbattuti negli ultimi tre anni sul territorio provinciale, ha subito ingenti danni lungo il tracciato stradale, provocando frane e smottamenti delle scarpate, banchine ed avvallamenti del piano viabile; a causa di quanto sopra esposto, sono stati eseguiti in questo lasso di tempo, interventi tendenti e necessari per rendere praticabile e in sicurezza dell'arteria»;
   nella stessa nota del Consoli si legge che «a seguito di finanziamento da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (legge n. 296 del 2006, interventi straordinari per la viabilità ordinaria delle province della Sicilia e Calabria) per detta arteria, è stato redatto da parte di questo ufficio, sia il progetto definitivo nonché l'esecutivo, per l'importo complessivo di euro 500.000,00»;
   ancora, nella nota del suddetto dirigente è scritto che «la crisi economica che sta investendo il nostro paese, ha portato il Ministero per lo sviluppo economico, al taglio di parte dei fondi assegnati euro 4.500.000,00 su un finanziamento complessivo di euro 15.000.000,00) a questa Amministrazione Provinciale, relativamente ai lavori non aggiudicati alla data dell'11 novembre 2011 (data di comunicazione del taglio dei fondi da parte della Direzione Generale), oltre alla strada in oggetto, altre SS.PP., di uguale importanza, vedi la n. 74, la Bitonto, la strada statale 110 (ex Anas), la n. 80, la n. 6 e la n. 10, sono state sospese dal finanziamento di cui alla legge n. 296 del 2006»;
   per ultimo, nella riferita nota si precisa che «dai lavori contrattualizzati ed ultimati, risultano economie pari ad euro 1.736.942,04» e che al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la provincia di Vibo Valentia «ha chiesto la possibilità, quantomeno, di utilizzare le economie derivanti dalle opere già ultimate, per poter avviare i lavori già appaltati ed in fase di stipula di contratti» –:
   quali misure, nell'ambito delle rispettive competenze e considerata la particolare situazione della provincia di Vibo Valentia esposta in premessa, possano adottare per agevolare una migliore viabilità nel territorio, con particolare riferimento alle opere necessarie già appaltate. (5-04949)

Interrogazione a risposta scritta:


   GALATI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il viadotto «Italia» è uno tra i più importanti ponti italiani situati sull'autostrada Salerno-Reggio Calabria; con 1.166 metri di lunghezza, il ponte fu progettato a seguito di procedura selettiva indetta da ANAS nel 1964. Il viadotto è uno dei più alti al mondo, oltre che il secondo in Europa e rappresenta una delle principali opere ingegneristiche del sistema infrastrutturale nazionale, con importanti ricadute sullo sviluppo economico delle aree limitrofe;
   lo scorso 2 marzo 2015 si è appresa dalla stampa la tragica notizia di un incidente mortale avvenuto nel cantiere del macrolotto 3.2. della Salerno-Reggio Calabria, conseguente all'improvviso collasso della quinta campata del viadotto «Italia». Nel crollo è rimasto coinvolto un giovane operaio, dell'età di soli 25 anni, dipendente dell'impresa Nitrex S.r.l., impegnata in opere di predisposizione della demolizione dell'impalcato ed operante su committenza del consorzio stabile SIS Scpa, per l'abbattimento al suolo di n. 37 viadotti, per un totale di 112 impalcati e 63 pile, nell'ambito dei lavori di adeguamento di riqualifica dell'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, ricompresi nella gestione di ANAS spa;
   secondo le prime ricostruzioni della dinamica dell'incidente, il crollo della campata sarebbe stato improvviso e collegato al cedimento di uno dei piloni in cemento armato. Sempre da fonti stampa si apprende che ANAS spa avrebbe avviato un'inchiesta interna, procedendo alla nomina di una commissione per la verifica della dinamica e l'accertamento delle eventuali responsabilità del grave incidente;
   dal 1o ottobre 2012, in applicazione del disposto di cui all'articolo 36 del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011 e successive modificazioni e integrazioni, e dall'articolo 11, comma 5, del decreto-legge n. 216 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 14 del 2012 e successive modificazioni e integrazioni, le attività di vigilanza sull'esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione e di controllo della gestione delle autostrade, che erano in capo ad ANAS spa, sono state trasferite al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti –:
   entro quali termini il Ministro, nell'ambito delle proprie competenze, in termini di verifica sulle modalità di esecuzione degli interventi di manutenzione delle infrastrutture gestite, intenda procedere alla richiesta ad ANAS di una relazione dettagliata sulle procedure di appalto e subappalto per gli affidamenti dei lavori in corso sul viadotto Italia, al fine di consentire la verifica sulla regolarità della gestione delle procedure e la sussistenza dei requisiti di sicurezza nell'esecuzione dei lavori. (4-08318)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   VILLAROSA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo pubblicato il 19 febbraio 2015 dalla testata 24live.it si apprende della denuncia al pubblico, da parte di un consigliere comunale di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), di fattispecie inerenti l'attuale tema delle Commissioni Consiliari permanenti convocate, spesso, con ordini del giorno troppo scarni tali da giustificarne la convocazione quasi giornaliera;
   la riflessione del consigliere comunale nasce dall'oggettiva constatazione della mancanza di un carico di lavoro che possa necessitare la quotidiana convocazione delle commissioni consiliari e, conseguentemente, anche l'inutilità di un esborso di denaro pubblico che potrebbe rientrare a pieno titolo nella categoria degli sprechi;
   con determina numero 42 del 22 gennaio 2015, la dirigente del Io settore del comune di Barcellona Pozzo di Gotto, ha liquidato la somma relativa al IV trimestre 2014 precedentemente impegnata per il pagamento dei gettoni di presenza ai componenti del Commissioni Consiliari permanenti di studio e di consultazione e per le sedute di Consiglio Comunale, di euro 65.872,48 più euro 5.599,16 per IRAP;
   si può, facilmente, dedurre che la spesa annua sostenuta dai contribuenti per far racimolare uno stipendio ai Consiglieri Comunali di Barcellona Pozzo di Gotto supererebbe abbondantemente i 250.000 euro per quanto riguarda la quota «visibile» e sottoposta a trasparenza, senza considerare il costo dei permessi per i Consiglieri Comunali lavoratori dipendenti;
   recentemente, nella città di Agrigento è emerso un vero e proprio scandalo per una questione analoga, le Commissioni Consiliari, nel solo 2014, sono state convocate 1133 volte, anche più volte al giorno ed anche durante le festività, con la conseguenza di far intascare i gettoni di presenza ai Consiglieri Comunali con relativo costo, per la collettività, di oltre 285.000 euro annui. Su tale vicenda anche la Procura della Repubblica di Agrigento ha aperto un'indagine;
   il 3 febbraio 2015 la Guardia di Finanza, con un'irruzione al Palazzo Municipale, ha sequestrato tutti i verbali delle Commissioni Consiliari ed il 5 febbraio duemila persone sono scese in piazza durante una seduta di Consiglio Comunale;
   il fenomeno delle convocazioni giornaliere delle commissioni consiliari permanenti potrebbe interessare molti comuni del territorio nazionale. Considerando che l'Italia conta più di 8.000 comuni sembrerebbe facile dedurre che il «volume d'affari» di un eventuale abuso delle commissioni consiliari, e il relativo spreco di risorse pubbliche per la liquidazione dei gettoni di presenza, possa essere quantificato in alcuni miliardi di euro per ogni singolo anno –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritengano opportuno avviare, per quanto di competenza, una verifica in relazione a tale specifica tipologia di costo, anche inserendola nella programmazione annuale dei controlli effettuati dai servizi ispettivi di finanza pubblica, in modo da poter evidenziare eventuali anomalie e sprechi ed arginare comportamenti come quelli descritti in premessa che, ad avviso dell'interrogante, finiscono per determinare un uso improprio delle già scarse e preziose risorse pubbliche. (4-08315)


   CIRACÌ, DISTASO, ALTIERI e FUCCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'incontro del campionato di calcio di serie B Avellino-Bari del 7 marzo 2015, caratterizzato ancora una volta da un clima ostile e violento, sia all'interno dell'impianto sportivo, che nelle aree all'esterno dello stadio, conferma nuovamente le difficoltà culturali e organizzative esistenti a livello nazionale, nell'assicurare in modo stabile un clima di serenità e regolarità in occasione di eventi legati alle manifestazioni sportive;
   la tensione avvertita sulle tribune, dove erano stati posizionati i sostenitori del Bari, costretti ad uscire scortati dalla Polizia alla fine dell'incontro, incluso il settore destinato alle autorità, dove assistevano alla partita i dirigenti della squadra barese incluso il presidente Gianluca Paparesta, oggetto di insulti e offese immotivate, ribadisce a giudizio dell'interrogante, come sia ancora lontana una svolta positiva in Italia, in grado di debellare definitivamente il fenomeno legato alla violenza negli stadi;
   nonostante i più recenti interventi normativi finalizzati a rafforzare gli strumenti per il contrasto dei fenomeni di illegalità e di violenza connessi allo svolgimento di competizioni sportive, al fine di garantire la sicurezza del pubblico e la regolarità degli incontri di calcio, necessitano ulteriori e rigorose norme, a parere dell'interrogante, volte ad inasprire l'entità delle sanzioni penali per questi episodi, la cui recrudescenza si è manifestata proprio in occasione del suindicato incontro di calcio Avellino-Bari;
   l'interrogante evidenzia, inoltre, come i livelli di pericolosità e di violenza che si manifestano nel corso degli incontri di calcio, siano particolarmente elevati in occasione delle manifestazioni di categoria inferiore, in cui si segnala una particolare disorganizzazione, sia in capo alle società ospitanti, che in capo agli organi preposti alla vigilanza e sicurezza pubblica;
   a tal fine, sia i calciatori che i dirigenti del Bari, proprio in occasione dell'ultimo incontro con l'Avellino, sono stati oggetto di provocazioni, spintonamenti, lancio di oggetti contundenti e addirittura d'acqua, da parte dei sostenitori dell'Avellino, senza che ci sia stato alcun intervento immediato e incisivo da parte delle forze dell'ordine, per reprimere tali atti di violenza;
   l'interrogante segnala, altresì, che addirittura uno degli ausiliari destinato all'attività affidata agli steward, sia stato rimproverato dai suoi colleghi per aver tentato di difendere la tifoseria e la dirigenza barese presente all'incontro, oggetto di ripetute aggressioni;
   a giudizio dell'interrogante risultano pertanto scarsamente efficaci gli interventi e le campagne pubblicitarie diffuse attraverso gli organi d'informazione sia televisiva che della carta stampata, finalizzati ad un'etica comportamentale improntata al rispetto delle regole e al riconoscimento e all'attenzione verso l'altro, se poi accadono episodi intollerabili come quelli di Avellino, che evidenziano una scarsa ospitalità e gravi lacune nelle modalità d'intervento da parte delle forze dell'ordine, rimaste immobili, alla visione di atti di violenza e aggressioni subite ai danni dei calciatori e dei dirigenti del Bari calcio;
   a tal fine, occorre un'attività di monitoraggio ed un'analisi da parte del Ministero dell'interno, finalizzata ad accertare l'andamento dei gravi episodi di aggressione e brutalità che hanno subito sia i calciatori che la dirigenza della squadra del Bari, nel corso dell'incontro di calcio avvenuto contro l'Avellino, il 7 marzo 2015, svoltosi in un contesto tutt'altro che accogliente, segnato da continue azioni turbative dell'ordine e della sicurezza pubblica –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei gravi episodi di aggressione e di violenza che sia i calciatori che i dirigenti della squadra del Bari, hanno subito nel corso dell'incontro di calcio con l'Avellino avvenuto sabato 7 marzo 2015;
   in caso affermativo, se non ritenga urgente e opportuno avviare i necessari accertamenti di competenza circa gli avvenimenti deplorevoli, che hanno contraddistinto negativamente l'evento sportivo, sia con riferimento agli atteggiamenti violenti e minacciosi della tifoseria irpina, che in particolare all'operato delle forze dell'ordine, poco reattive nei confronti dei gesti di offesa e di maltrattamento che hanno subito sia i calciatori che i dirigenti della squadra barese;
   quali iniziative, nell'ambito delle competenze proprie, intenda assumere nei confronti di coloro che si sono resi responsabili dei gravi episodi che hanno turbato l'incontro di calcio in precedenza richiamato, i cui avvenimenti allontanano ancora di più il nostro Paese, da quelli come l'Inghilterra o la Spagna culturalmente più evoluti, che hanno debellato in modo radicale il fenomeno della violenza negli stadi. (4-08326)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   gli inquilini del condominio Parco Mena di Amalfi sono seriamente preoccupati per lo stato pericolante del costone roccioso che insiste sugli immobili del parco;
   in particolare, due palazzine del condominio sarebbero sormontate da un costone roccioso di proprietà privata, già in passato messo in sicurezza dal comune con l'installazione di reti;
   tale intervento, se ha certamente scongiurato la caduta di massi, avrebbe però favorito la caduta di arbusti pesanti, anche di 200 chilogrammi, nel cortile sottostante, come spesso lamentato dai condomini;
   tale situazione, che persisterebbe da circa due anni, nell'incuria delle istituzioni locali, desta preoccupazione tra i condomini, posto che in tale cortile sono parcheggiate le auto degli inquilini ed è luogo di transito di pedoni, oltre che area di gioco dei bambini;
   pur comprendendo le difficoltà economiche che i comuni italiani si trovano oggi a dover affrontare, l'opera di consolidamento e messa in sicurezza del costone roccioso appare ormai necessaria per la tutela della pubblica incolumità dei cittadini;
   a parere dell'interrogante, le autorità locali stanno affrontando la problematica in modo non adeguato e il persistere di tale situazione potrebbe sfociare in una tragedia che costerebbe al comune non solo ingenti spese, ma anche la responsabilità di vite umane –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle iniziative assunte dal prefetto di Amalfi a tutela della pubblica incolumità in relazione al costone roccioso che insiste sul condominio parco Mena in via Maestra dei Villaggi. (4-08327)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARZANA, SIMONE VALENTE, D'UVA, LUIGI GALLO, BRESCIA, DI BENEDETTO, VACCA e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con decreto ministeriale 30 giugno 2014 n. 526, «Costituzione delle graduatorie nazionali per l'attribuzione di incarichi e supplenze a tempo determinato per il personale docente delle istituzioni AFAM», il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha inteso trasferire al livello nazionale la formazione di graduatorie per il reclutamento personale docente nei conservatori musicali, sottraendole alla competenza dei singoli istituti;
   il suddetto decreto prevede per la formazione della graduatoria nazionale di tener conto dei soli titoli di studio e dell'anzianità di servizio degli iscritti, escludendo dai criteri la valutazione dei titoli artistici;
   ciò significa che per essere assunti sarà necessario aver conseguito il diploma e aver insegnato per 3 anni; in tal modo un giovane eccellente, che abbia tenuto concerti in Italia e all'estero, pubblicato dischi e vinto premi, dovrà possedere il requisito di anzianità minima (3 anni); oppure verrà preceduto di diritto da docenti che hanno avuto incarichi di insegnamento per un numero maggiore di giorni ma che non vantano esperienza artistica;
   il decreto 30 giugno 2014 n. 526, inoltre, ha escluso dalla graduatoria coloro che al novembre del 2013 non avessero maturato un'anzianità di servizio di almeno 540 giorni in 3 anni; la conseguente esclusione dei più giovani, che viene così sancita per l'anno accademico 2014-15, è destinata a protrarsi negli anni successivi, poiché coloro che sono stati esclusi per il 2014-15 per non aver raggiunto i 540 giorni di servizio non avranno più la possibilità di svolgere alcun periodo di servizio;
   la combinazione dei due criteri sopra esposti (irrilevanza dei titoli artistici e requisito di anzianità minima per l'accesso ai contratti di insegnamento a termine) unita al blocco del reclutamento in ruolo perdurante ormai da un quarto di secolo (l'ultima assunzione in ruolo tramite concorso pubblico risale al 1990), contribuisce a determinare la migrazione all'estero dei giovani musicisti italiani migliori;
   il decreto ministeriale n. 526 del 30 giugno 2014, all'articolo 11 stabilisce, peraltro, che le graduatorie in esso previste: «(...) sono utilizzate per la stipula dei contratti a tempo determinato, ai fini della copertura dei posti in organico vacanti e/o disponibili (...) fino alla emanazione del regolamento previsto dall'articolo 2, comma 7, lettera e) della legge n. 508/1999», cioè del Regolamento che fisserà le procedure di reclutamento del personale;
   da 15 anni dunque si è in attesa della piena attuazione della legge n. 508 del 1999 di riforma delle accademie di belle arti, dell'accademia nazionale di arte drammatica, degli istituti superiori per le industrie artistiche, dei conservatori di musica e degli istituti musicali pareggiati, approvata con il consenso unanime di tutte le forze politiche;
   in tutto questo periodo di tempo l'inerzia dell'esecutivo nell'emanazione del suddetto regolamento ha fatto sì che i titoli artistici siano rimasti irrilevanti, lo status di docenti dei conservatori non sia stato ancora equiparato a quello dei professori universitari e agli studenti non siano stati riconosciuti i titoli conseguiti a livello universitario;
   a proposito della carriera dei docenti AFAM, la legge di riforma (legge n. 508 del 1999) ha di fatto rivoluzionato l'assetto delle istituzioni dell'alta formazione artistica e musicale, richiedendo ad esse un impegno maggiorato sia a livello di orario che di ricerca;
   di contro viene ancora posticipata l'equiparazione economica con i professori universitari, infatti al comparto di contrattazione relativo ai docenti AFAM non si applicano i criteri e i parametri utilizzati per l'adeguamento delle carriere dei docenti universitari;
   successivamente, la legge n. 228 del 25 dicembre 2012 (legge di stabilità 2013) ha completato il processo riformatore, con la previsione del biennio specialistico e dell'equipollenza tra i titoli di primo e secondo livello rilasciati dalle istituzioni dell'alta formazione artistica e musicale e i titoli universitari;
   inoltre la legge 21 dicembre 1999, n. 508, prevede l'attività di ricerca, eppure, come è risultato con evidenza anche in occasione del Convegno internazionale dell’Association européenne des conservatoires, académies de musique et Musikhochschulen (AEM), tenutosi a Roma nel maggio 2012, l'Italia è tra i pochissimi paesi in Europa a non aver reso attuativa l'attività di ricerca artistica e musicologica, nonostante un'intensa e crescente attività di livello internazionale realizzata nelle accademie e nei conservatori –:
   se e con quali tempistiche il Ministro interrogato intenda intervenire per tener conto dei titoli artistici nell'ambito delle graduatorie nazionali;
   se il Ministro interrogato non intenda accelerare il più possibile l'emanazione del regolamento previsto dall'articolo 2, comma 7, lettera e), della legge n. 508 del 1999, in modo da rendere esecutive le disposizioni in esso contenute;
   a seguito dell'equipollenza dei titoli rilasciati dall'AFAM con quelli universitari, quali misure intende adottare al fine di adeguare le carriere dei professori delle istituzioni dell'alta formazione artistica e musicale a quelle dei loro colleghi universitari e conseguentemente riconoscerne anche l'equiparazione economica e contrattuale;
   quali atti intenda attuare affinché le istituzioni del sistema di alta formazione artistica e musicale possano effettuare l'attività di ricerca prevista dalla legge 21 dicembre 1999, n. 508, anche in relazione all'accesso ai finanziamenti, nazionali e internazionali, e all'attivazione dei dottorati di ricerca. (5-04948)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIBILIA e FICO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 23 gennaio 2014 con decreto direttoriale n. 197, la direzione generale per il coordinamento e lo sviluppo della ricerca del dipartimento per l'università, l'Afam e la ricerca pubblicava un bando relativo al programma SIR (scientific independence of young researchers) 2014 con l'obiettivo di finanziare progetti di ricerca svolti da gruppi di ricerca indipendenti e di elevata qualità scientifica, sotto il coordinamento di un principal investigator, italiano o straniero, che abbia conseguito il dottorato di ricerca o la specializzazione di area medica da non più di sei anni;
   il bando garantiva, almeno nei propositi, l'imparzialità e l'internazionalità delle commissioni che avrebbero valutato i progetti (comitati di sezione – CdS). Infatti, l'articolo 7, comma 2, recita: «Ogni CdS è nominato dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e formato, per ciascun macrosettore, da un “chair” e da 2 componenti, designati dal CNGR (Comitato nazionale dei garanti per la ricerca) all'interno di una rosa di 9 nominativi proposta dal consiglio scientifico dell'ERC (European Research Council) nell'ambito della comunità scientifica internazionale di riferimento. Per la valutazione dei progetti i CDS si avvalgono di revisori esterni anonimi (in numero di tre per ogni progetto) che operano in maniera indipendente scelti nell'ambito della comunità scientifica internazionale di riferimento. I componenti dei CdS restano anonimi fino alla conclusione della selezione. I componenti dei CdS e i revisori esterni anonimi, prima dell'accettazione dell'incarico, debbono rilasciare una dichiarazione d'impegno relativa al rispetto di principi deontologici, di riservatezza e di assenza di incompatibilità»;
   il 15 settembre 2014 con decreto direttoriale n. 2687 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca pubblicava una modifica all'articolo 7, comma 2, del bando SIR che all'articolo 1 recita: «L'articolo 7, comma 2, del D.D. n. 197 del 23 gennaio 2014, è così modificato: “2. Ogni CdS è nominato dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e formato, per ciascun macrosettore, da esperti scientifici di livello internazionale, designati dal CNGR attingendo a una rosa di nominativi presenti nell'elenco esperti MIUR/CINECA (7 per ogni settore ERC ricompreso nel corrispondente macrosettore), fornita direttamente dal CINECA, in base al criterio della competenza scientifica di settore, mediante sorteggio con procedura informatica. Per ogni settore ERC debbono essere designati dal CNGR due componenti; il numero complessivo dei componenti di ogni CdS è pari pertanto al doppio dei settori ricompresi nel macrosettore di riferimento (e quindi, in particolare, 18 per il macrosettore LS, 20 per il macrosettore PE e 12 per il macrosettore SH). Per ogni CdS, il CNGR designa altresì il presidente, scelto fra tutti gli esperti chiamati a far parte dello stesso CdS. I nominativi dei componenti dei CdS sono resi pubblici solo ad avvenuta conclusione della selezione. Per la valutazione dei progetti i CdS si avvalgono di revisori esterni anonimi (in numero di tre per ogni progetto), che operano in maniera indipendente, scelti dagli stessi CdS nell'ambito della comunità scientifica internazionale di riferimento. I componenti dei CdS e i revisori esterni, prima dell'accettazione dell'incarico, debbono rilasciare una dichiarazione di impegno relativa al rispetto di principi deontologici, di riservatezza e di assenza di incompatibilità”»;
   nello stesso documento in premessa risulta che solo il 25 febbraio 2014 il Ministero avrebbe chiesto all'ERC (European Research Council) di fornire i nomi dei valutatori e il 16 luglio 2014 il Presidente dell'ERC, Jean Pierre Bourguignon, avrebbe comunicato l'impossibilità, da parte dell'ERC, di aderire alla richiesta pervenuta;
   come evidenziato su sir.miur.it il 20 ottobre 2014 l'insediamento dei comitati di selezione doveva avvenire secondo il calendario seguente: 1) macrosettore LS: 21 ottobre; 2) macrosettore PE: 24 ottobre; 3) macrosettore SH: 29 ottobre;
   il 23 febbraio 2015 viene annunciato che le previsioni relative alle date delle riunioni finali dei comitati di selezione avrebbero riguardato il 27 febbraio per macrosettore PE e LS e il 2 marzo per macrosettore SH; allo stato attuale, come annunciato dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca sulla pagina del sito riguardante il programma degli aggiornamenti, risulta valutato il 90 per cento dei 5250 progetti presentati mentre per i restanti progetti, di cui la metà appartenente al macrosettore SH, persistono dei ritardi;
   rispetto alle sconcertanti modalità usate e ai ritardi accumulati nell'espletamento delle nomine dei comitati di selezione che appaiono agli interroganti non tenere conto delle professionalità che si sono messe in gioco, molti partecipanti stanno esprimendo un condivisibile dissenso;
   circa 400 giovani ricercatori italiani e stranieri, infatti, hanno scritto una lettera aperta al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca per denunciare il ritardo di un anno nella chiusura del bando Sir 2014 mentre in Europa in media ci vuole la metà del tempo –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda porre in essere per risolvere nel più breve tempo possibile questa situazione incresciosa;
   se il Ministro intenda valutare l'opportunità di attivarsi affinché siano garantiti nel futuro piani di finanziamento più stabili per la ricerca italiana, come accade in altri Paesi europei, con programmi definiti e bandi con scadenza annuale.
(4-08316)


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 2 del decreto interministeriale 24 novembre 1998, n. 460, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 131 del 7 giugno 1999, nel bando del concorso a cattedra del 2012, l'articolo 2, comma 3, recitava che erano inoltre ammessi a partecipare, per i posti di scuola secondaria di I e II grado, i candidati che alla data del 22 giugno 1999 (data di entrata in vigore del citato decreto interministeriale) erano già in possesso di un titolo di laurea ovvero di un titolo di diploma conseguito presso le accademie di belle arti e gli istituti superiori per le industrie artistiche, i conservatori e gli istituti musicali pareggiati, gli ISEF, che alla stessa data consentivano l'ammissione ai concorsi per titoli ed esami per il reclutamento del personale docente; i candidati che avevano conseguito i titoli di cui sopra entro l'anno accademico 2001-2002, se si trattava di corso di studi quadriennale o inferiore ed, entro l'anno accademico 2002-2003, se si trattava di corso di studi quinquennale, nonché i candidati che avevano conseguito i diplomi in questione, entro l'anno in cui si era concluso il periodo prescritto dal relativo piano di studi a decorrere dall'anno accademico 1998-1999;
   con la sentenza n. 11078/2013 depositata il 21 dicembre 2013, il TAR del Lazio sezione III-bis di Roma ha annullato la parte del bando relativo al concorso indetto con «D.D.G. n. 82 adottato in data 24 settembre 2012 dal Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca – Dipartimento per l'Istruzione – Direzione Generale per il personale della scuola, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Concorsi – IV Serie Speciale n. 75 del 25 settembre 2012, recante “Indizione dei concorsi a posti e cattedre, per titoli ed esami, finalizzati al reclutamento del personale docente nelle scuole d'infanzia, primaria, secondaria di I e II grado”», nella parte in cui, all'articolo 2, comma 3 prevede quanto precedentemente affermato; l'articolo 2 del bando veniva dichiarato illegittimo nella parte in cui non consentiva la partecipazione anche ai candidati che, dopo l'anno accademico 2002-2003 ed entro la data di scadenza del termine per la presentazione della domanda di partecipazione al concorso, avessero acquisito un titolo di laurea valido per l'accesso all'insegnamento nelle classi di concorso della scuola dell'infanzia, primaria, secondaria di I e II grado;
   inoltre, ai candidati che avevano conseguito la laurea entro l'anno accademico 2002-2003 era stato possibile frequentare i corsi SSIS; infatti l'ultimo ciclo SSIS è stato il IX, iniziato nel 2007/2008 e finito nel 2008/2009;
   oltre 2 mila vincitori del concorso a cattedra, dopo aver superato una durissima selezione con 200 mila aspiranti, una prova preselettiva, verifiche scritte e colloquio orale, rimarranno senza lavoro;
   nel settembre 2012 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca aveva infatti decretato che tra gli 11.542 vincitori del concorso a cattedra, circa il 64 per cento (7.351) sarebbe entrato in ruolo nell'anno scolastico 2013/2014 ed i restanti 4.191 avrebbero ottenuto la cattedra all'inizio del 2014/2015, ma ad oggi molti posti che erano stati messi a bando non ci sono più, probabilmente per un errore di calcolo e di programmazione;
   dunque, si è determinata una ingiustificata disparità di trattamento tra candidati che hanno conseguito la laurea entro l'anno accademico 2002-2003, ammessi al concorso a cattedra, e i candidati, che hanno conseguito la laurea negli anni accademici immediatamente successivi, ma entro la scadenza del termine per la presentazione della domanda. In termini più semplici significa che per il Consiglio di Stato il requisito d'accesso doveva essere attualizzato e non poteva riguardare (coincidere con) soltanto i laureati fino al 2003 –:
   se non ritenga opportuno rivedere i requisiti d'accesso per l'ammissione al summenzionato concorso, poiché la procedura messa in campo per accedere ai percorsi abilitanti non appare conforme alla legge;
   se intenda aprire il concorso a cattedra 2015 a tutti coloro che sono in possesso di titolo di studio idoneo con laurea quadriennale «vecchio ordinamento» e quinquennale specialistica/magistrale «nuovo ordinamento», quale titolo di studio valido all'insegnamento, conseguita entro la data fissata per la presentazione delle domande di partecipazione alla procedura selettiva. (4-08321)


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nelle linee guida de «La Buona Scuola», si prevede la soppressione delle GAE (graduatorie ad esaurimento), qualora ci fossero ivi inseriti ancora aspiranti docenti non assunti in ruolo;
   di fatto, chi è in graduatorie ad esaurimento, vi si trova perché ha superato un concorso pubblico per titoli ed esami (es. 1999), ha superato una durissima selezione per far parte delle scuole di specializzazione per l'Insegnamento (Siss) o si è abilitato in scienze della formazione primaria;
   chi è in graduatorie ad esaurimento ha rispettato la legge che gli assicurava il diritto all'assunzione, secondo lo scorrimento della graduatoria ad esaurimento, sia che avesse avuto o meno la possibilità di fare supplenze;
   pertanto vi è una palese violazione dei diritti acquisiti da decine di migliaia di persone che hanno seguito scrupolosamente un percorso approvato dalle leggi dello Stato italiano;
   nel caso di approvazione del disegno di legge non modificato per quanto attiene alle graduatorie ad esaurimento, saranno violati a giudizio dell'interrogante i diritti acquisiti di migliaia di persone, nonché il principio costituzionale di eguaglia a previsti dall'articolo 3 della Costituzione italiana e cioè che a parità di condizioni deve corrispondere un trattamento eguale;
   chi, inserito nelle graduatorie ad esaurimento, rimanesse escluso dalle assunzioni, con la conseguente soppressione delle stesse e si vedesse negato il diritto all'immissione in ruolo subirebbe una discriminazione palese nei confronti di chi avesse la «fortuna» di rientrare tra i nuovi criteri per la nomina in ruolo;
   verrebbe violato secondo l'interrogante il principio del legittimo affidamento, quale corollario della certezza del diritto, riconosciuto a livello europeo sin dal 1978 e a livello nazionale;
   si aprirebbe un inevitabile contenzioso giudiziario tra lo Stato e decine di migliaia di docenti inseriti in graduatorie ad esaurimento ed ingiustamente esclusi dal piano di assunzioni, compresi i docenti che in graduatorie ad esaurimento sono iscritti con riserva;
   la proposta di far svolgere un concorso ai docenti delle graduatorie ad esaurimento che non verranno assunti sarà considerata irricevibile, sia perché se non ci sono posti disponibili nemmeno se messi a concorso, sia perché i docenti delle graduatorie ad esaurimento hanno già superato un concorso. Così come è irricevibile la proposta di un «anno ponte»;
   approvare la soppressione delle graduatorie ad esaurimento significherebbe negare la parità di trattamento nei confronti di chi ha acquisito lo stesso diritto con i nuovi criteri –:
   se il Ministro interrogato non ritenga che detto dispositivo non possa e non debba essere retroattivo e che la possibile chiusura delle graduatorie ad esaurimento possa avvenire solo dopo aver immesso in ruolo tutti i docenti ivi inseriti;
   se non si ritenga opportuno dare precedenza agli idonei e non vincitori del concorso 2012, rispetto a chi è inserito in graduatorie ad esaurimento e che ha superato un egual concorso pubblico, seppure bandito tanti anni fa. (4-08322)


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a partire dall'anno accademico 2008/2009, il conservatorio di musica di Santa Cecilia di Roma ha delocalizzato i propri percorsi di studio nel settore musicale nella città di Rieti;
   l'esecuzione di questo progetto, frutto di un accordo con la provincia di Rieti – ente all'epoca competente in materia di valorizzazione dei beni culturali e in quelle connesse alla istruzione secondaria di secondo grado –, ha implicato peraltro il recupero e la valorizzazione di un immobile di pregio di proprietà della provincia stessa, Villa Battistini;
   l'iniziativa mirava da un lato a riconvertire un immobile pubblico di pregio in sede di un istituto di alta cultura (nonché, in parte qua, anche in polo museale), e dall'altro a coltivare e valorizzare la domanda (e la stessa offerta) di professionalità artistiche nel territorio della provincia di Rieti, attraverso politiche culturali adeguate;
   i lavori di adeguamento della struttura alle necessità didattiche proprie di un conservatorio, ivi compresi quelli di recupero di oggetti e suppellettili di interesse storico-artistico appartenuti al Mo Battistini, hanno comportato un  investimento di euro 716.560 di cui euro 240.000 dalla Mis. C.1 del fondo sociale europeo, euro 330.000 dal fondo regionale Lazio e euro 146.560 da un mutuo della provincia di Rieti;
   un'ulteriore somma, pari a euro 1.000.000, è stata stanziata anche per la sistemazione definitiva degli edifici soprastanti il corpo centrale della Villa e della dependance, per la realizzazione di un parcheggio auto e di uno spazio per le rappresentazioni all'aperto;
   a fronte di un simile impegno di risorse pubbliche, dopo soli 6 anni dall'inaugurazione dei corsi, le attività didattiche del conservatorio di Santa Cecilia a Rieti sembrerebbero essere messe in serio rischio;
   a quanto consta all'interrogante, i costi di gestione della struttura (tra cui la remunerazione dei docenti) e gli ingenti tagli ai trasferimenti erariali ai bilanci degli enti che in parte sostengono il progetto (regione, provincia e comune), stanno determinando la chiusura della succursale reatina in questione;
   un simile epilogo, non solo renderebbe inutili gli investimenti pubblici finora approntati, non solo priverebbe il territorio reatino di una risorsa culturale e formativa di notevole pregio, ma pregiudicherebbe la stessa conclusione dei percorsi accademici iniziati dagli attuali iscritti (ben 127 studenti);
   a ciò si aggiunga, la gravissima situazione in cui versano i docenti del conservatorio stesso, i quali, non solo hanno oggettive difficoltà nell'essere debitamente pagati, ma rischiano altresì di perdere il loro impiego presso la suddetta struttura, qualora la direzione decida di cessarne le attività didattiche;
   una simile situazione è inaccettabile in un Paese come il nostro, dove la cultura dovrebbe essere il bene primario da tutelare, per mezzo del quale creare crescita e sviluppo;
   la cittadinanza locale, e gli stessi studenti del conservatorio di Rieti, che in questi mesi si sono mobilitati per salvare una struttura che gli appartiene e da cui dipende il loro futuro, hanno diritto a risposte chiare da parte delle istituzioni dello Stato –:
   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato, per quanto di competenza, in merito ai fatti riferiti in premessa;
   se il Ministro, di concerto con il conservatorio di Santa Cecilia, la regione Lazio e gli enti locali interessati, non ritenga opportuno adottare le opportune iniziative di competenza affinché, da un lato, la succursale di Rieti del suddetto conservatorio non venga chiusa, e dall'altro si pervenga a un assetto che consenta la sostenibilità dei costi di gestione della struttura;
   se il Ministro, di concerto con il conservatorio di Santa Cecilia, la regione Lazio e gli enti locali interessati, non ritenga opportuno, nella denegata ipotesi che si debba addivenire alla interruzione delle attività didattiche della struttura, adottare le opportune iniziative di competenza affinché gli studenti già iscritti vedano garantito il loro diritto a portare a termine il percorso di studi. (4-08324)


   D'ALIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 30 dicembre 2010, n. 240, recante «Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario», nel quadro del complessivo processo di riordino della pubblica amministrazione, ha imposto alle università statali di provvedere, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della medesima legge (29 gennaio 2011), alla modifica dei propri statuti, in materia di organizzazione e di organi di governo dell'ateneo, con l'osservanza di principi e criteri direttivi, nonché nel rispetto di procedure, dettati dall'articolo 2 della medesima legge n. 240 del 2010, rubricato «Organi e articolazione interna delle università»;
   l'università di Catania, ai sensi della predetta legge, ha adottato il nuovo statuto con delibera del senato accademico del 21 luglio 2011, previo parere favorevole del consiglio di amministrazione del 20 luglio 2011;
   lo statuto dell'università di Catania, come sopra adottato, è stato prontamente trasmesso al Ministero, ai fini del controllo (di legittimità e di merito) previsto all'articolo 6 della legge 9 maggio 1989, n. 168, da esercitarsi entro centoventi giorni dalla ricezione dello stesso;
   il Ministero ha esercitato il controllo cui sopra attraverso una nota (contenente rilievi) del direttore generale del Ministero del 24 novembre 2011 (prot. n. 5039);
   l'università di Catania – ritenuto irrituale e illegittimo tale controllo, giacché non esercitato dal Ministro, come prescritto dalla legge n. 168 del 1989, bensì dal direttore generale – ha provveduto all'emanazione del nuovo statuto con decreto rettorale n. 4957 del 28 novembre 2011, che ha fatto seguito a conforme delibera del senato accademico e del consiglio amministrazione e che è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 279 del 30 novembre 2011;
   a seguito della pubblicazione del nuovo statuto nella Gazzetta Ufficiale, i competenti organi universitari hanno avviato le procedure per la costituzione dei nuovi organi statutari;
   con ricorso depositato presso il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, il 1o febbraio 2012 (numero di registro generale 234 del 2012), il Ministero ha chiesto l'annullamento del nuovo statuto dell'università di Catania, nonché di ogni altro atto connesso e/o consequenziale;
   il rettore pro tempore dell'università di Catania, preso contatto con il Ministero, al fine di favorire il raggiungimento di un accordo che ponesse fine alla lite in corso, ha promosso una serie di modifiche dello statuto del 2011, modifiche che sono state approvate dagli organi di governo dell'ateneo nel maggio del 2012, ma che non sono servite al raggiungimento di una transazione;
   il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, ha pronunciato sentenza di rigetto del ricorso ministeriale, con sentenza n. 2181 del 2012, depositata il 18 settembre 2012;
   il Ministero ha interposto appello, avverso la superiore sentenza del TAR Sicilia-Catania, di fronte al Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, con ricorso depositato il 25 marzo 2013 (numero di registro generale 222 del 2013);
   anche in questa occasione risulta all'interrogante che il rettore pro tempore dell'università di Catania ha preso contatto con il Ministero, al fine di favorire il raggiungimento di un accordo che ponesse fine alla lite in corso, ma tale azione non è servita al raggiungimento di una transazione, tant’è che il Ministero, in data 3 ottobre 2013, ha formulato al giudice istanza di prelievo che ha condotto alla fissazione dell'udienza  del 15 gennaio 2014;
   il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, definitivamente pronunciando sull'appello, con sentenza n. 150 del 2015, depositata il 27 febbraio 2015, ha accolto il ricorso di primo grado del Ministero ed ha, pertanto, annullato il nuovo statuto dell'università di Catania, nonché ogni altro atto connesso e/o consequenziale;
   all'esito del pronunciamento del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, l'università di Catania risulta priva di statuto conforme ai dettami della legge n. 240 del 2010, il che – in assenza della norma fondamentale su cui si regge l'autonomia universitaria – invalida gli atti adottati dall'ateneo e delegittima gli organi statutari a suo tempo costituiti, ai sensi dell'articolo 2, comma 8, della legge n. 240 del 2010, dopo l'approvazione del nuovo statuto, di recente annullato dal giudice amministrativo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se intenda procedere con urgenza, giusta l'esigenza di ripristinare immediatamente il legittimo svolgimento delle attività istituzionali dell'università di Catania, ai sensi dell'articolo 2, comma 6, della legge n. 240 del 2010, al fine di dotare l'ateneo catanese del nuovo statuto, conforme alla legge di riforma, e di avviare la ricostituzione degli organi statutari ai sensi di tale nuovo statuto. (4-08329)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, TRIPIEDI, LOMBARDI e CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con il termine «malattia professionale» si intende quella patologia che il lavoratore contrae in occasione dello svolgimento dell'attività lavorativa e che è dovuta all'esposizione nel tempo a fattori presenti nell'ambiente e nei luoghi in cui opera;
   mediante il decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, che ha disciplinato il funzionamento dell'Inail, con particolare riferimento all'articolo n. 3 e ai suoi allegati n. 4 e 5, sono state introdotte una serie di tabelle che stabiliscono quali malattie siano considerate professionali o «tecnopatie»;
   le suddette tabelle nel corso degli anni sono state aggiornate, fino all'intervento effettuato tramite il decreto ministeriale del 9 aprile 2008;
   secondo un articolo pubblicato su Repubblica.it in data 24 febbraio 2015, alcune delle 85 cosiddette «malattie tabellari» ad oggi riconosciute sono state contratte da 1500 dipendenti delle carrozzerie di Mirafiori i quali, dopo decenni di lavoro svolto alle catene di montaggio, si ritrovano oggi con ridotte capacità lavorative che impediscono loro di svolgere tutte, o in alcuni casi parzialmente, le attività lavorative;
   ad oggi, secondo quanto riportato dall'articolo di Repubblica.it a firma Paolo Griseri, rimangono senza lavoro 2.000 dipendenti delle Carrozzerie Mirafiori, destinati alla cassa integrazione fino a fine 2016, e tra questi ben 1.500 risultano affetti da varie forme di inidoneità, mentre 500 sono di fatto inutilizzabili su una linea di montaggio dal momento che risultano affetti da tecnopatia e oramai ad uno stadio molto avanzato della malattia;
   a tutt'oggi la problematica è rimasta quasi sconosciuta all'opinione pubblica, dal momento che per anni i lavoratori degli stabilimenti in questione hanno usufruito della cassa integrazione. Tuttavia permangono forti dubbi sulla sorte di questi lavoratori, molti dei quali di età avanzata, allo scadere di questo ammortizzatore;
   nonostante l'età permetta loro il pensionamento, la cosiddetta «riforma Fornero», entrata in vigore nel gennaio 2013, impedisce loro dal primo gennaio di usufruire del meccanismo degli scivoli per la pensione, acuendo in questo modo le preoccupazioni e lo stato di incertezza per la sorte di questi lavoratori –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per prevedere una deroga che consenta ai suddetti lavoratori in età avanzata di poter essere pensionati;
   se il Ministro interrogato intenda, per quanto di competenza e in accordo con l'azienda e le organizzazioni sindacali, agevolare un piano di riutilizzo dei lavoratori inidonei di cui in premessa, al fine di garantire da subito una loro ricollocazione al di fuori delle catene di montaggio prima che tali occupazioni vengano destinate alle nuove assunzioni preannunciate dalla società in questione. (5-04956)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   VILLAROSA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Sicilia, insieme ad altre regioni italiane, è sottoposta a piano di rientro finalizzato a verificare la qualità delle prestazioni ed a raggiungere il riequilibrio dei conti dei servizi sanitari regionali. Il Ministero della salute, attraverso il SIVEAS, affianca le regioni in questa difficile operazione, cercando di aiutare gli enti regionali, anche quelli a statuto speciale come la Sicilia, al raggiungimento degli obiettivi previsti dai piani di rientro;
   considerato il difficilissimo compito di rimettere in equilibrio il sistema di salute pubblica tra deficit finanziario ed erogazione di livelli essenziali di assistenza, appare abbastanza singolare la riflessione generica sul contenimento della spesa associata a comportamenti discutibili di alcuni direttori generali e di quello dell'ASP Messina in particolare;
   tutte le organizzazioni sindacali denunciano da tempo la scarsa disponibilità, del direttore generale dell'ASP di Messina dottore Gaetano Sirna, ad un confronto costruttivo e utile ai fini della partecipazione delle parti ai processi di riorganizzazione dell'azienda; infatti il direttore generale Sirna non si è presentato nemmeno all'audizione, con le organizzazioni sindacali, tenutasi il 29 ottobre 2014 presso la commissione servizi sociali e sanità dell'ARS, durante la quale il segretario regionale FIALS, ha illustrato le varie realtà inerenti al dipartimento di salute mentale e, soprattutto, le criticità delle nuove scelte strategiche determinate dal nuovo management soprattutto per i maggiori esborsi, di natura economica, di tali scelte;
   nei mesi precedenti non sono mancate le proteste, degli operatori sanitari del dipartimento di salute mentale, sulle inspiegabili decisioni «strategiche» della direzione generale, volte alla privatizzazione dei preziosi servizi pubblici di salute mentale, con tagli di personale infermieristico ai servizi del dipartimento di salute mentale nonostante la pianta organica approvata con decreto assessoriale, trasferimento di personale volontario o coatto anche a 70 chilometri di distanza dalla residenza del lavoratore, stipula di nuovi contratti con imprese private per la gestione delle strutture residenziali terapeutico-riabilitative, soppressione dell'assistenza infermieristica notturna nelle strutture residenziali garantita da sempre dal personale infermieristico dell'ASP per affidarla ad imprese private che utilizzeranno operatori per assistenza generica;
   dal sito fialsmessina.it il 22 gennaio 2015 si apprende la notizia della condanna, per condotta antisindacale, dell'azienda sanitaria provinciale di Messina, condanna che prevede l'annullamento delle determinazioni assunte per disciplinare la procedura di mobilità interna, volontaria e d'ufficio, nonché l'obbligo di astenersi in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi, oltre alla rifusione delle spese giudiziali;
   il tribunale, il 21 gennaio 2015, ha condannato l'ASP di Messina alla rifusione delle spese giudiziali, liquidata in euro 1.095,00 per compensi professionali, oltre i.v.a., c.p.a. e rimborso spese generali;
   in data 28 gennaio 2015 anche il tribunale amministrativo regionale, sezione staccata di Catania, ha accolto il ricorso n. 1941 del 2014 presentato dalla F.I.A.L.S. condannando l'azienda sanitaria provinciale di Messina alla rifusione delle spese di lite, liquidate in complessivi 1.000 euro oltre accessori di legge se dovuti;
   in data 13 febbraio 2015 il direttore generale dell'ASP Messina, dott. Gaetano Sima, dispone una nuova attivazione procedura mobilità interna del personale infermieristico in via prioritaria volontaria ed in subordine d'ufficio, reiterando, di fatto, un atto già giudicato negativamente da ben due tribunali;
   anche il primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo, si è recato personalmente a visitare ed ispezionare alcune delle strutture in questione, verificando la qualità dei servizi ed ascoltando gli operatori, i medici, i rappresentanti sindacali ed anche gli utenti di questi preziosissimi servizi che il sistema sanitario, per fortuna, ancora offre ai cittadini;
   al di là della limitatezza dei costi in concreto derivati da tali condotte non può sottacersene il costo indiretto in quanto, peggiorando il clima nelle strutture sanitarie, esse inevitabilmente rischiano di produrre effetti sull'erogazione dei livelli essenziali di assistenza –:
   se intenda, per quanto di competenza, anche nell'ottica del contenimento della spesa, in particolare per le regioni sottoposte a piano di rientro, assumere iniziative per arginare il grave fenomeno di costi imposti al bilancio sanitario da atti che, finendo per reiterare atti già annullati con soccombenza dell'ente e pagamento delle spese giudiziali, provocano ulteriori aggravi di spesa e se tali costi siano oggetto di attenzione nell'ambito del tavolo di verifica del disavanzo sanitario;
   di quali elementi disponga circa lo stato di attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari in Sicilia e, in particolare, circa i profili gestionali e finanziari dell'ASP di Messina. (4-08314)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Montgomery Watson Harza, MWH società anglo americana, ha messo nero su bianco il piano denominato Piano di dismissione e ripristino del sito per lo stabilimento Alcoa Portovesme – Italia;
   si tratta di un piano dettagliato che prevede di demolire gli impianti Alcoa di Portovesme;
   demolizione pezzo per pezzo da eseguirsi in un anno;
   verrebbe cancellato per sempre il piano di rilancio dell'alluminio primario e soprattutto la fine delle speranze per gli oltre mille lavoratori coinvolti nel polo industriale;
   Governo e regione sono a conoscenza di tutto ma continuano ad avviso dell'interrogante a perdere tempo in estenuanti rinvii e soprattutto senza adottare nessuna decisione in grado di dare un minimo di certezze sulla questione energetica che continua ad essere insieme alle bonifiche la partita decisiva per la ripresa produttiva;
   è semplicemente assurdo che si sia arrivati a questo punto con un piano di dettaglio per demolire lo stabilimento dopo tre anni di nulla di fatto, di promesse e memorandum rivelatisi sino ad oggi destituiti di ogni reale consistenza;
   il piano è stato trasmesso alla regione e al Governo ma tutti si sono guardati bene dal renderlo noto al pubblico;
   è un fatto di una gravità inaudita e si sta ancora una volta arrivando alle scadenze cruciali senza nessun risultato concreto;
   dopo la drammatica decisione di licenziare tutti i lavoratori già a dicembre scorso ora si corre il serissimo rischio che tra qualche mese inizino le operazioni di demolizione dello stabilimento;
   il progetto di demolizione è stato commissionato dall'Alcoa e affidato ad una delle più grandi società al mondo di progettazioni industriali;
   il piano di dismissione e ripristino del sito per lo stabilimento Alcoa di Portovesme (CI) è stato predisposto in ogni singolo dettaglio da MWH SpA su incarico di Alcoa Trasformazioni;
   nel piano è previsto di radere al suolo quasi tutto, tranne uffici e un capannone;
   si tratta secondo il piano di una superficie di 58 ettari;
   Alcoa ha dunque impresso un'accelerazione gravissima e durissima alla vertenza;
   nel piano è scritto in modo chiaro e netto: nel caso in cui non si realizzassero le condizioni previste da tali impegni Alcoa intende procedere allo smantellamento degli impianti, alla demolizione delle strutture e alla bonifica del sottosuolo, poiché considera queste attività propedeutiche alla riqualificazione dell'area da parte di nuovi operatori nel rispetto di quanto previsto dagli organi competenti in materia di gestione e pianificazione del territorio;
   in buona sostanza Alcoa facendo appello alle leggi e all'autorizzazione integrata si dichiara obbligata allo smantellamento dell'impianto;
   in questo caso è Alcoa che richiama una prescrizione dell'autorizzazione ministeriale che testualmente dice: «Il Gestore deve evitare qualsiasi rischio di inquinamento al momento della cessazione definitiva delle attività e il sito stesso deve essere ripristinato ai sensi della normativa vigente in materia di bonifiche e ripristino ambientale secondo quanto disposto all'articolo 3 punto f) del decreto legislativo n. 59 del 2005»;
   le attività di smantellamento e demolizione contemplate dal Piano di dismissione sono radicali e irreversibili;
   la demolizione è prevista in tre fasi;
   la prima fase sarà quella decisiva per l'impianto e riguarderà la demolizione di tettoia pece, edificio mescola, edificio pressa, capannone anodi crudi, edificio forni cottura anodi, reparto elettrolisi (celle di elettrolisi e attrezzature accessorie, escluso il fabbricato della sala celle) capannone resti anodici, tettoia lubrificanti, serbatoi olio combustibile BTZ (Mescola, Forni Cottura Anodi e Fonderia);
   la seconda fase cancellerà ogni elemento della produzione dell'alluminio primario con la demolizione dei nastri trasportatori allumina/Coke di petrolio, dei famosi Silos allumina, silos Coke di Petrolio, Sala conversione, Impianto rodding, edificio elettrolisi ed impianto aerazione/filtri, tettoia demolizione celle, edificio fonderia, torre piezometrica;
   la terza fase riguarderà le strutture collegate da uffici a laboratori, cucine e mense;
   la conclusione del piano prevede che le attività di smantellamento e demolizione vadano avanti fino al raggiungimento del piano campagna, con esclusione delle fondazioni degli edifici, delle platee e delle pavimentazioni, che potranno essere eventualmente utilizzate per la successiva riqualificazione delle aree;
   si tratta di un piano drammatico per il Sulcis e del tutto inaccettabile;
   un piano tenuto in silenzio da chi con inerzia ha portato la vertenza al licenziamento dei lavoratori e inesorabilmente sta portando alla fine dello stabilimento;
   questa drammatica conclusione sarebbe una pietra tombale sul futuro economico e produttivo del Sulcis Iglesiente;
   per questa ragione occorre un «decreto Sulcis» alla pari di quello dell'Ilva per reagire e non morire di stenti dinanzi alla negligenza di Stato e regione –:
   se il Governo sia a conoscenza di tale piano in tal caso per quale motivo non sia stato reso noto al pubblico come sarebbe stato doveroso;
   se intenda reagire con atti concreti a tale piano inaccettabile e con quali iniziative;
   se non ritenga, anche alla luce di questo piano, di assumere provvedimenti urgenti per la salvaguardia e la ripresa produttiva;
   se non ritenga necessario adottare un'urgente iniziativa, se del caso normativo al fine di garantire la ripresa produttiva e la ricollocazione sul mercato dello stabilimento con il riconoscimento di settore strategico nazionale per l'alluminio primario e l'applicazione di tutte le conseguenti azioni tese al riavvio degli impianti. (5-04959)


   CARRESCIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Prysmian spa è un'azienda leader mondiale per la produzione di cavi per applicazioni ne settore dell'energia e delle telecomunicazioni e di fibre ottiche;
   la Prysmian, come riportato da autorevoli organi di stampa («Il Sole 24 ore» del 10 dicembre 2014) ha chiuso l'anno passato con un portafoglio ordini record nei cavi sottomarini pari a 2,5 miliardi di euro; per il 2014, il gruppo ha confermato il raggiungimento di un margine operativo lordo nella parte bassa dell'intervallo 506-556 milioni di euro;
   in Italia il Gruppo Prysmian è presente con diversi stabilimenti fra i quali a Pignataro Maggiore, Ascoli Piceno, Arco Felice e Battipaglia;
   nel luglio 2014 il Presidente del Consiglio dei ministri ha presentato 24 nuovi progetti strategici finanziati con i cosiddetto «contratti di sviluppo», gestiti tramite Invitalia, e fra essi anche uno relativo alla Prysmian Powerlink;
   in tale contesto il programma di investimenti dell'azienda prevede il miglioramento dell'efficienza della filiera produttiva dei cavi sottomarini tramite l'utilizzo, di nuove tecnologie e impianti innovativi. Il contratto riguarda gli stabilimenti di Arco Felice (Napoli), Battipaglia (Salerno), Pignataro Maggiore (Caserta) e prevede investimenti per 48,4 milioni di euro circa, agevolazioni per 32 milioni di cui 13 milioni a fondo perduto e 19 milioni in finanziamento agevolato; l'obiettivo del contratto di sviluppo è la salvaguardia e la creazione di nuova occupazione per un totale di 1.857 addetti;
   il 27 febbraio 2015 l'amministratore della Prysmian Italia ha comunicato alla rappresentanza sindacale unitaria la chiusura dello stabilimento di Ascoli Piceno, una decisione inaspettata che va a gravare su un territorio, quale quello del Piceno, già fortemente colpito dalla crisi per l'abbandono, negli ultimi anni, di importanti realtà produttive e che ha invece necessità di investimenti a sostegno delle imprese per favorire la ripresa occupazionale;
   risulta che l'assessore al lavoro della regione Marche, Marco Luchetti, ed il sindaco di Ascoli Piceno, Guido Castelli, si siano immediatamente attivati con il Ministero dello sviluppo economico per scongiurare la chiusura dello stabilimento ascolano e che dai contatti con la sottosegretaria Simona Vicari e con il dottor Giampiero Castano, responsabile dell'unità gestione vertenze del dicastero, sia emerso l'impegno di dare grande attenzione, anche a livello nazionale, alla vertenza Prysmian avviando in tempi brevi un tavolo di confronto con le parti interessate;
   risulta altresì che il Ministro dello sviluppo economico si sia impegnato a chiedere ad Invitalia una dettagliata relazione sul contenuto e sulla disciplina degli accordi sottoscritti con il gruppo Prysmian al fine di verificare la coerenza tra gli interventi di sostegno finanziario e l'annunciata volontà di chiusura dello stabilimento di Ascoli Piceno;
   appare all'interrogante veramente singolare ma soprattutto inaccettabile sotto ogni profilo che a fronte di consistenti finanziamenti pubblici, di cui una parte notevole a fondo perduto, finalizzati a mantenere e creare occupazione in alcune regioni, l'azienda beneficiaria chiuda poi stabilimenti in altri territori dove pure è rilevante il tasso di disoccupazione –:
   se i Ministri interrogati siano compiutamente a conoscenza dei fatti esposti in premessa; quando verrà effettivamente reso operativo il tavolo nazionale sulla vertenza Prysmian e quali azioni il Ministro dello sviluppo economico intenda intraprendere per evitare la chiusura dello stabilimento di Ascoli Piceno, per tutelare il posto di lavoro di centinaia di dipendenti e impedire che imprese che beneficiano dei finanziamenti pubblici finiscano per generare nuova disoccupazione in aree del Paese già in grande difficoltà.
(5-04960)

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nello corso mese di febbraio la dirigenza di Poste italiane, in sede di Conferenza con le  regioni, ha reso note le linee guida del nuovo piano industriale della società, che prevede la razionalizzazione degli uffici postali sul territorio nazionale;
   il piano fa riferimento alla delibera dell'Autorità per la garanzia nelle comunicazioni del 29 giugno 2014, che interviene sui punti di accesso alla rete postale, modificando i criteri di distribuzione degli uffici di Poste italiane, secondo le previsioni del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 7 ottobre 2008;
   in base al piano coordinato da Agcom,  Ministero dello sviluppo economico e Poste italiane, nel 2015 dovrebbero chiudere circa 400 uffici postali sul territorio nazionale, ed è anche prevista la riduzione degli orari di molti uffici;
   i tagli proposti stanno suscitando la preoccupazione e il disappunto di molte regioni ed enti locali, che stanno rivendicando un ruolo attivo nel processo di razionalizzazione, e oltre cento sindaci hanno già dichiarato che si mobiliteranno per impedire che si abbatta sugli uffici la scure del nuovo piano;
   in Toscana, in particolare, sarebbe stata decisa la chiusura dell'ufficio postale di Buriano, dove vive una comunità composta prevalentemente da anziani che non hanno la patente e che hanno difficoltà a recarsi presso altri comuni per usufruire dei servizi postali, e la riduzione degli orari dell'ufficio postale di Castiglione della Pescaia –:
   quali provvedimenti intenda assumere affinché il piano di razionalizzazione non comporti eccessivi disagi agli utenti dei comuni interessati dalla chiusura o riduzione dell'apertura al pubblico degli uffici, garantendo il pieno diritto della cittadinanza all'accessibilità del servizio.
(4-08320)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Luigi Gallo e altri n. 5-04763, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Liuzzi.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Nesci n. 4-02923 dell'11 dicembre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04953;
   interrogazione a risposta scritta Nesci e altri n. 4-04290 del 2 aprile 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04952;
   interrogazione a risposta scritta Nesci n. 4-05663 del 24 luglio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04951;
   interrogazione a risposta scritta Nesci n. 4-05862 del 7 agosto 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04950;
   interrogazione a risposta scritta Nesci n. 4-06302 del 7 ottobre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04949;
   interrogazione a risposta scritta Nesci e altri n. 4-07566 del 16 gennaio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04954.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Grillo e altri n. 5-04943 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 386 del 6 marzo 2015. Alla pagina 22446, seconda colonna, alla riga diciottesima, deve leggersi: «quelle persone portatrici di handicap residenti in» e non come stampato.