Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 4 marzo 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il moto indipendentista baltico, avviatosi nei primi mesi del 1989 e caratterizzato da manifestazioni con forte carattere simbolico, rinominato la «rivoluzione cantata», culminò nel 1991 quando Estonia, Lettonia e Lituania separarono i loro destini da quello dell'Unione sovietica. Nel marzo di quell'anno con referendum popolare quasi l'80 per cento della popolazione estone dichiarò la volontà di distaccarsi dall'Urss e nel 1992 seguirono le prime libere elezioni nel Paese. Tuttavia, il percorso di smarcamento fu caratterizzato anche dal sorgere della cosiddetta «questione russa»: ragioni storiche, culturali, sociali, e politiche resero difficile una serena integrazione fra estoni ed ex-sovietici;
   dopo aver ottenuto l'indipendenza, il neonato Governo estone era bisognoso di ristabilire la propria sovranità e recuperare la propria identità, sia linguistica che culturale, persa durante l'occupazione. Su tali basi adottò il principio dello ius sanguinis e stabilì che solo i residenti nel Paese prima della seconda Guerra mondiale e i loro discendenti avevano il diritto di ottenere automaticamente la cittadinanza estone. La ratio legale e ideologica di questa legge va cercata nella continuazione de iure dello Stato prima dell'occupazione sovietica del 1940;
   vi era anche la possibilità di acquisire la cittadinanza per naturalizzazione; tuttavia, per ottenerla era necessario essere in possesso di specifici requisiti fra cui era ricompreso il superamento di un severo esame di lingua estone particolarmente impegnativo per i russofoni, dal momento che l'estone è una lingua appartenente al ramo finnico delle lingue uraliche, non presenta nessuna affinità con il russo, lingua di origine slava, ed è caratterizzato da un complesso sistema grammaticale difficile da apprendere senza un regolare corso di studi scolastico. Tale requisito ha impedito di fatto l'integrazione della maggior parte degli ex-sovietici residenti in Estonia, pari al 30 per cento della popolazione, i quali avevano per anni abitato e lavorato nel Paese baltico coltivando le proprie tradizioni e continuando a parlare russo, che fino al 1991 era la lingua ufficiale;
   le conseguenze di queste decisioni sono state drammatiche dal punto di vista politico, economico e sociale. Un'ampia fetta della popolazione si è ritrovata da un giorno all'altro senza cittadinanza, nell'impossibilità di parlare la propria lingua di origine, aspetto che comportò nella maggior parte dei casi anche la perdita del posto di lavoro (emblematico fu il caso del 1999 in cui trecento poliziotti di origine russa persero il proprio posto di lavoro perché non riuscirono a passare l'esame di lingua estone), e priva dei diritti civili quali ad esempio il diritto alla proprietà e il diritto all'elettorato attivo e passivo in occasione delle elezioni politiche, dunque non rappresentata in sede parlamentare laddove vedeva fievolmente difesi e tutelati i propri interessi. La frattura linguistica ha consolidato quella etnica;
   ne consegue che una parte della popolazione è da allora composta da «non cittadini», detti anche «alieni», ovvero residenti permanenti ma privi di cittadinanza, sia estone che sovietica (persa quest'ultima con il dissolversi dell'Urss), e a cui è stato dato il cosiddetto passaporto grigio, un documento che certifica il loro particolare e atipico status. Ad oggi si stima che circa l'8 per cento della popolazione estone appartiene a questa categoria, si tratta di persone che hanno vissuto una parte considerevole della loro esistenza senza il riconoscimento di alcuni diritti fondamentali e senza che il Paese in cui abitano, lavorano e pagano le tasse li riconosca membri di una collettività;
   solo nell'ultimo periodo la situazione ha visto una lieve svolta positiva. Infatti, a seguito dell'ingresso dell'Estonia nello spazio Schenghen (2007), è stata riconosciuta a tutti i residenti, indipendentemente dalla loro cittadinanza, la libera circolazione nell'area dell'Unione europea. Inoltre, l'Estonia ha recentemente adottato il principio dello ius soli, assicurando l'acquisizione della cittadinanza a tutti i nati in Estonia dopo il febbraio 1992. Tuttavia, permangono problemi per i possessori del passaporto grigio, i nati prima di quella data considerati ancora «non-cittadini»;
   gli effetti si ripercuotono anche nella quotidianità di questi individui che si trovano per ragioni varie, spesso di lavoro, in Italia e che incontrano ostacoli di ordine burocratico anche per le più semplici delle attività, come ad esempio l'iscrizione al sito on-line dell'Istituto nazionale della previdenza sociale. In molti casi le amministrazioni comunali italiane non sapendo come affrontare il problema hanno inserito nei documenti ufficiali la cittadinanza estone, generando ulteriori difficoltà e incertezze;
   questa situazione anomala confligge con i principi alla base del costituzionalismo contemporaneo. In tempi remoti era normale che ciascun individuo godesse di un regime e di un trattamento legale correlati al suo gruppo di nascita e alla sua posizione sociale, ma ad oggi il principio di eguaglianza è proclamato nelle costituzioni, nei trattati internazionali e nelle carte dei diritti: è impensabile che tali discriminazioni possano verificarsi all'interno degli Stati membri dell'Unione europea;
   infatti, l'Unione europea nei trattati sottolinea «il principio dell'uguaglianza dei cittadini, che beneficiano di uguale attenzione da parte delle sue istituzioni, organi e organismi» (articolo 9 Trattato sull'Unione europea) e ribadisce che «è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità» e che il «Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire regole volte a vietare tali discriminazioni» (articolo 18 Trattato sul funzionamento dell'Unione europea). Inoltre, nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea l'articolo 21 sancisce che: «È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale. Nell'ambito d'applicazione dei trattati e fatte salve disposizioni specifiche in essi contenute, e vietata qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità»; a completare il quadro è l'articolo 22 secondo cui: «L'Unione rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica». Nell'ordinamento italiano il principio di eguaglianza formale e il divieto di discriminazione sono previsti nei principi fondamentali della Carta costituzionale, all'articolo 3;
   nonostante i valori enunciati permane all'interno dell'Unione e nei suoi Stati membri l'esistenza di questa particolare categoria di individui, i «non cittadini», che è difficilmente inseribile all'interno di schemi conosciuti, non potendo essere inclusa neanche nella tipologia degli apolidi. In tal modo si creano palesi disparità di trattamento fra individui e, al contempo, si avalla uno stato di incertezza del diritto e della sua applicazione,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni iniziativa di competenza per eliminare, sulla base dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico nazionale ed europeo quali il principio di uguaglianza e il divieto di discriminazione, tutti gli ostacoli di ordine burocratico che impediscono ai «non cittadini» lo svolgimento di una vita regolare e dignitosa in Italia;
   ad adoperarsi in tutte le sedi istituzionali internazionali, nello specifico nell'ambito della Organizzazione delle Nazioni Unite e dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ed europee, quali Unione europea e Consiglio d'Europa, affinché si giunga a un superamento di questa situazione di incertezza e atipicità in modo che le palesi discriminazioni e disparità di trattamento descritte in premessa siano prontamente e definitivamente sanate.
(1-00756) «Pinna, Labriola, Catalano, Locatelli, Pisicchio, Pastorelli, Furnari, Quintarelli, Galgano, Tacconi, Porta, Giuditta Pini, Moscatt».

Risoluzioni in Commissione:


   La Commissione IX,
   premesso che:
    il decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, così come modificato dal decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1993, n. 575, all'articolo 373, comma 2, lettera c), prevede l'esenzione dal pagamento del pedaggio: «c) i veicoli con targa C.R.I., nonché i veicoli delle Associazioni di volontariato e degli organismi similari non aventi scopo di lucro, adibiti al soccorso nell'espletamento del relativo specifico servizio e provvisti di apposito contrassegno approvato con decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione e del Ministro dei lavori pubblici»;
    la circolare del 5 agosto 1997 n. 3973 del Ministero dei lavori pubblici stabilisce che l'esenzione del pedaggio autostradale è ad oggi concessa soltanto quando si verificano contemporaneamente le seguenti condizioni: veicolo immatricolato a nome delle associazioni di volontariato; il veicolo deve essere adibito al soccorso; impegnato nell'espletamento del relativo specifico servizio; provvisto dell'apposito contrassegno previsto dal decreto ministeriale, del 15 aprile 1994;
    allo stato attuale i viaggi effettuati per trasporto sanitario, anche con un veicolo di soccorso (autoambulanza) delle associazioni di pubblica assistenza e misericordie, non vengono considerati impegnati nell'espletamento del relativo specifico servizio e quindi non riconosciuti esenti;
    le norme attuali non precisano che cosa si intenda per veicoli «adibiti al soccorso»;
    la società Autostrade per l'Italia spa ha dato disdetta ad ANPAS (Associazione nazionale pubbliche assistenze) ed alla Confederazione delle Misericordie di Italia dell'accordo siglato nel 1999 per la fornitura di telepass esenti in comodato d'uso gratuito alle associazioni di pubblica assistenza e misericordia, mentre permane l'esenzione per Croce Rossa Italiana determinando una disparità di trattamento tra associazioni che svolgono lo stesso tipo di servizi;
    si tratta di una decisione che rischia di compromettere gravemente la salute dei cittadini: il lavoro di volontari e operatori, competenti e adeguatamente formati consente, infatti, di fornire una risposta immediata alle esigenze dei pazienti, ragione per cui Anpas e la Confederazione delle misericordie di Italia svolgono da anni un ruolo strategico fondamentale, in grado di offrire assistenza ospedaliera, servizi ambulatoriali e un'efficace mobilità sul territorio, svolgendo circa il 70 per cento del trasporto sanitario del nostro Paese;
    il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha incontrato a più riprese ambedue le organizzazioni nazionali (ANPAS e Confederazione nazionale delle Misericordie d'Italia) assicurando un intervento normativo con l'obiettivo di una chiara definizione dei veicoli «adibiti al soccorso» ed il mantenimento del telepass esente in modo permanente;
    in due successivi atti di sindacato ispettivo sulla materia, il sottosegretario Umberto Del Basso De Caro assicurava il 27 marzo 2014 che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ben consapevole dei disagi, «si adopererà, al fine di individuare, in tempi brevi, una idonea soluzione alla problematica in esame»;
    inoltre, l'11 luglio dello stesso anno, in risposta all'interpellanza urgente presentata alla Camera dei deputati, veniva ricordato il comunicato stampa del 2 aprile, attraverso cui Autostrade per l'Italia informava sulla possibilità di fornire telepass in comodato gratuito ai veicoli di soccorso delle associazioni di volontariato, e l'obbligo di autocertificazione dei transiti avvenuti in emergenza, quindi esenti che saranno successivamente stornati dalla concessionaria autostradale;
    il nuovo sistema, messo in atto da Autostrade per l'Italia spa con decisione unilaterale, prevede procedure burocratico-amministrative eccessivamente complesse ed onerose, con pratiche estranee alla storia, alla formazione e all'organizzazione delle stesse associazioni di volontariato e peraltro senza garantire la piena funzionalità del nuovo sistema;
    le ripetute istanze di modifica del codice della strada che l'Anpas, insieme alla Confederazione nazionale delle misericordie d'Italia, hanno avanzato formalmente sono rimaste inascoltate, così come la risoluzione approvata dalla IX Commissione della Camera dei deputati (n. 8-00060 a firma Tullo e Fossati) il 4 giugno 2014, che impegnava il Governo a «definire e rendere individuabili i veicoli adibiti al soccorso; concedere telepass per l'esenzione del pedaggio autostradale in comodato d'uso gratuito senza aggravi burocratici ed organizzativi ai veicoli di soccorso delle associazioni di volontariato, modificando ed integrando le concessioni in essere su tutte le autostrade italiane, senza oneri per il bilancio dello Stato»;
    come comunicato per scritto e ribadito negli incontri presso il Ministero da parte di ANPAS e Misericordie, si rende necessaria una modifica al codice della strada che sancisca in modo chiaro e definitivo il diritto all'esenzione del pedaggio autostradale per tutte le associazioni di volontariato che svolgono attività di soccorso sanitario,

impegna il Governo:

   a disporre tutte le iniziative volte alla modifica del codice della strada necessarie per determinare in modo chiaro il diritto all'esenzione del pedaggio autostradale per le attività di soccorso sanitario per tutte le associazioni di volontariato che si occupa o di questo tipo di servizi, senza oneri per il bilancio dello Stato;
   ad assumere iniziative affinché Società Autostrade concerti con le associazioni nazionali di volontariato i contenuti e le modalità delle convenzioni in modo che l'esenzione del pedaggio autostradale possa risultare di facile accesso e senza oneri di attivazione e gestione per i soggetti aventi diritto.
(7-00612) «Coppola, Fanucci, Fossati, Albini, Amoddio, Arlotti, Ascani, Bargero, Baruffi, Basso, Beni, Bergonzi, Stella Bianchi, Bini, Paola Boldrini, Bossa, Brandolin, Bruno Bossio, Camani, Campana, Capone, Carloni, Carra, Carrescia, Carrozza, Casellato, Cenni, Censore, Chaouki, Cova, Covello, Dallai, Marco Di Maio, Donati, Ermini, Fabbri, Cinzia Maria Fontana, Fontanelli, Fragomeli, Gadda, Carlo Galli, Galperti, Garavini, Giacobbe, Giorgis, Giuliani, Giulietti, Grassi, Gribaudo, Iacono, Incerti, Iori, La Marca, Laforgia, Lenzi, Lodolini, Maestri, Magorno, Malpezzi, Manfredi, Manzi, Marantelli, Marchetti, Mariani, Martella, Mattiello, Mazzoli, Misiani, Montroni, Moretto, Mura, Nicoletti, Oliverio, Parrini, Pastorino, Patriarca, Richetti, Andrea Romano, Rubinato, Senaldi, Taricco, Tartaglione, Tentori, Terrosi, Tidei, Tullo, Vazio, Verini, Zan, Albanella, D'Incecco, Ginoble, Antezza, De Menech, Preziosi, Luciano Agostini».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    la società moderna ha sempre più velocizzato e ampliato gli spazi di azione degli individui rendendo imprescindibile l'uso di mezzi di trasporto. È di tutta evidenza che poter usufruire di mezzi di trasporto è oggi essenziale per garantire pienamente la libertà e le pari opportunità dei cittadini. Non tutti però possono permettersi un mezzo di locomozione privato, ne consegue che oggi il diritto alla mobilità, inteso come diritto di accesso ad un sistema di trasporto pubblico, è un fondamentale diritto di cittadinanza che andrebbe inserito tra le tutele costituzionali e affiancato alla libertà di circolazione già garantita dall'articolo 16;
    il diritto alla mobilità comporta, tra le altre cose, anche una garanzia di accesso al trasporto pubblico delle fasce della popolazione più deboli o economicamente disagiate. Le regioni e i comuni, a cui il decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 (in attuazione della «legge Bassanini» n. 59 del 1997), conferisce funzioni e compiti, in materia di trasporto pubblico locale, hanno però interpretato diversamente questo aspetto del diritto alla mobilità tanto che, in alcuni casi, alle fasce disagiate sono stati concessi d'accordo con le società affidatarie del servizio pubblico, titoli di trasporto gratuito, in altri casi invece solo titoli agevolati;
    in considerazione della grave crisi economica che sta attraversando ormai da anni il nostro Paese i contratti di servizio di trasporto pubblico locale dovrebbero prevedere sempre nella struttura tariffaria un livello gratuito per disoccupati, almeno per quelli di non lunga durata per i quali è forse più semplice un reinserimento autonomo in un contesto lavorativo. Un'agevolazione sul trasporto pubblico locale garantirebbe infatti a questi soggetti quella maggiore mobilità, quella flessibilità e quella tempestività che possono essere caratteristiche fondamentali nella ricerca di un lavoro;
    come stabilito dal decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, per la regolamentazione dei servizi di trasporto pubblico locale, con riferimento ai servizi minimi, le regioni, sentite le organizzazioni sindacali confederali e le associazioni dei consumatori, approvano programmi triennali che individuano tra le altre cose anche le modalità di determinazione delle tariffe. Su quest'ultimo aspetto la norma non entra maggiormente nel dettaglio come invece sarebbe auspicabile soprattutto nel merito delle tariffe per le fasce disagiate;
    al fine di finanziare una tale manovra sarebbe opportuno prevedere un aumento delle risorse del fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, di cui all'articolo 16-bis del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, alimentandolo anche con un aumento del prelievo erariale unico attualmente applicato ai giochi pubblici sotto il controllo dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ed eventuali addizionali;
    sarebbe dunque opportuno avviare un confronto sul tema dell'accesso al servizio all'interno della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 al fine di definire anche nuovi criteri premiali nella ripartizione alle regioni del fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale,

impegna il Governo:

   a convocare la Conferenza unificata per valutare la possibilità di assumere iniziative per prevedere nei contratti con i gestori del servizio l'accesso gratuito al servizio di trasporto pubblico locale per i disoccupati che abbiano perso, da meno di tre anni, un precedente rapporto di lavoro con durata continuativa pari o superiore a 6 mesi, che abbiano un livello di ISEE non superiore ai 20 mila euro annui e che abbiano reso ai competenti servizi per l'impiego la dichiarazione di disponibilità ai sensi delle disposizioni previste dal decreto legislativo n. 297 del 2002 e delle eventuali disposizioni regionali, compresi gli iscritti alle liste di mobilità ai sensi della legge n. 223 del 1991 e della legge n. 236 del 1993;
   ad assumere iniziative per incrementare le risorse del fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, di un importo non inferiore a 50 milioni di euro annui, anche attraverso l'aumento del prelievo erariale unico attualmente applicato ai giochi pubblici ed eventuali addizionali;
   sentito il parere della Conferenza unificata, ad aggiornare il decreto di cui al comma 3 dell'articolo 16-bis del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 sulla ripartizione delle risorse del fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, prevedendo che le risorse di cui al precedente capoverso siano ripartite tra lei regioni che, anche per quanto di competenza per il tramite degli enti di governo di cui all'articolo 3-bis del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, introducano nei contratti con i gestori l'accesso gratuito per disoccupati che abbiano perso, da meno di tre anni, un precedente rapporto di lavoro con durata continuativa pari o superiore a 6 mesi, che abbiano un livello di ISEE non superiore ai 20 mila euro annui e che abbiano reso ai competenti servizi per l'impiego la dichiarazione di disponibilità ai sensi delle disposizioni previste dal decreto legislativo n. 297 del 2002 e delle eventuali disposizioni regionali, compresi gli iscritti alle liste di mobilità ai sensi della legge n. 223 del 1991 e della legge n. 236 del 1993.
(7-00613) «Dell'Orco, De Lorenzis, Carinelli, Nicola Bianchi, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano, Spessotto, Sibilia».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LIUZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 16 febbraio 2015, Il sole 24 ore ha pubblicato un articolo intitolato: «Il Governo ha 240 siti web ma uno su quattro è inattivo». Secondo i dati forniti dalla testata, i siti dormienti – 154 i domini web gov.it e 87 i portali raggiungibili dalle homepage dei siti istituzionali – fanno capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri e ad altri Ministeri;
   nell'articolo è riportato a titolo di esempio, l'esistenza di decine di siti web creati dai Governi per comunicare lo stato di avanzamento delle riforme, come il portale ad oggi inattivo «accessibile.gov.it» che avrebbe dovuto raccogliere le segnalazioni da parte dei cittadini;
   le iniziative dell'Esecutivo sul web sono regolamentate da norme innovative sulla comunicazione online tra Pubblica amministrazione e cittadini. La registrazione del dominio da parte del Governo, impone il rispetto delle leggi vigenti e di alcuni requisiti di qualità, oltre quelli previsti per l'accessibilità dei disabili;
   seppur le verifiche e le norme sulla trasparenza legate agli obblighi per i siti web della pubblica amministrazione vengano tendenzialmente rispettate sui portali del Governo, in base al test della Bussola della trasparenza strumento online della funzione pubblica – il sito della Farnesina ottiene un punteggio molto basso: solo 57 criteri su 72 sono rispettati (assente l'elenco degli incarichi di vertice, lo scadenzario dei nuovi obblighi, i tassi di assenza del personale e altro);
   a detta dell'interrogante, il Governo in carica, non destina risorse sufficienti per il completamento dell'Agenda digitale italiana, ancora lontanissima nei suoi obiettivi. Il DESI (Digital Economy and Society lndex) della Commissione europea 2015, classifica l'Italia al venticinquesimo posto, con carenze distribuite su tutte le aree riguardanti la digitalizzazione. Secondo il rapporto, per quanto riguarda i servizi pubblici digitali (dove l'Italia è al quindicesimo posto) i livelli di utilizzo dell’e-Government sono ancora molto bassi, «in parte perché i servizi pubblici online non sono sufficientemente sviluppati e in parte a causa delle carenze in termini di competenze digitali –:
   la legge n. 4 del 2004 attuata con l'emanazione dei requisiti tecnici di cui all'allegato A del decreto ministeriale 8 luglio 2005, modificati dal decreto ministeriale 20 marzo 2014 e della circolare n. 61 del 2013 dell'Agid (a cui spetta il controllo) ha introdotto i primi obblighi di legge legati all'accessibilità degli strumenti informatici e telematici da parte dei soggetti disabili;
   riguardo alla trasparenza sono stati inseriti degli obblighi ben precisi con il decreto legislativo n. 33 del 2013 del 2009 e la delibera n. 40 del 2015) (anac) i quali sanciscono che all'Autorità spetta irrogare le sanzioni (da 500 a 10000 euro);
   dal 2001 il nuovo codice dell'amministrazione digitale ha spinto a migliorare la fruizione dei siti internet della pubblica amministrazione e in questo senso sono state emanate le «linee guida per i siti web delle pubbliche amministrazioni» e numerosi vademecum operativi in dettaglio;
   in materia di privacy si ricordano le delibere del Garante n. 88 del 2011 e n. 243 del 2014 –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda porre in essere alla luce delle problematiche evidenziate in premessa.
(5-04909)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MURA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori espulsi dal mondo del lavoro prima di aver maturato il diritto a una pensione, i cosiddetti esodati, rappresentano oramai una nuova categoria sociale, nata con il deciso allungamento della vita lavorativa disposto dalla riforma Monti-Fornero del 2011;
   le conseguenze del fenomeno sono pesantissime sia per il presente che per il futuro: per un trentenne di oggi (che già dovrà mettere in conto un vitalizio molto ridotto), interrompere forzatamente il lavoro a cinquant'anni significherà avere un tasso di copertura della pensione rispetto all'ultima retribuzione più basso anche di venti punti percentuali, rispetto a quello che otterrebbe arrivando regolarmente al traguardo;
   in queste settimane all'interrogante sono giunte notizie preoccupanti circa gli effetti provocati dalla riforma pensionistica introdotta dal Governo Monti che rischia di aggravare, se non di rovinare, la vita di molte famiglie italiane;
   la legge n. 243 del 2004 cesserà i suoi effetti sperimentali il 31 dicembre del 2015;
   vi sono numerose lavoratrici donne che compiranno 57 anni pochi giorni dopo quella scadenza e, pertanto, non potranno usufruire del pensionamento anticipato, seppur con il sistema contributivo;
   per poche settimane — e in molti casi per pochi giorni — molte donne non potranno accedere alla pensione che, stando ai calcoli, dovrà essere posticipata nel 2022;
   è di tutta evidenza che a 57 anni risulta assai complicato, se non impossibile, per una persona, e in particolare per una lavoratrice donna, trovare una nuova occupazione;
   per queste persone l'unica alternativa è andare a riposo nel 2026 con una pensione di vecchiaia: questo significa rimanere senza stipendio per ben 11 anni –:
   quali provvedimenti intendano adottare per impedire il verificarsi di situazioni che metterebbero moltissime persone e famiglie in una situazione di disagio e povertà;
   se non ritenga urgente assumere iniziative dirette a prorogare gli effetti della legge n. 243 del 2004 per evitare a tante persone, in particolare a molte donne, una situazione umiliante con imprevedibili effetti dal punto di vista sociale. (4-08239)


   TONINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito dei progetti sottoposti dall'Italia alla Commissione europea per il finanziamento attraverso il Fondo europeo per gli investimenti strategici (EFSI) recentemente annunciati è incluso anche quello relativo alla realizzazione di un deposito sotterraneo per lo stoccaggio di 1300 milioni di metri cubi di gas nel comune di Cornegliano Laudense, in provincia di Lodi, il cui costo previsto ammonta a 600 milioni di euro;
   il serbatoio naturale è previsto sotto un comprensorio densamente abitato (circa 3.000 abitanti) e oggetto di intensi interventi di trasformazione territoriale e la relativa concessione mineraria coinvolge 5 comuni per una stima di circa 60.000 abitanti;
   il rapporto sullo stato delle conoscenze riguardo alle possibili relazioni tra attività antropiche e sismicità indotta/innescata in Italia dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale ha recentemente dimostrato la correlazione tra le trivellazioni allo scopo di stoccaggio del gas e l'aumento rilevante di rischio sismico nelle aree interessate da questo tipo di interventi;
   l'area di realizzazione del progetto presenta inoltre già di per sé un concreto rischio sismico; a questo proposito dovrebbe essere tenuta in considerazione l'esperienza fallimentare dell'analogo progetto spagnolo dell'impianto di stoccaggio del gas della piattaforma «Castor», cancellato con ingentissime perdite imputate al bilancio nazionale spagnolo nonostante il finanziamento fosse stato effettuato, analogamente al caso oggetto della presente interrogazione, tramite i project bond della Banca europea degli investimenti, in seguito al rilievo del rapporto ufficiale dell'Istituto geografico, nazionale spagnolo, da cui è stato confermato che i 540 terremoti avvenuti nel 2013 erano stati indotti dall'iniezione di gas nel giacimento –:
   se sia stato adeguatamente valutato il progetto per la realizzazione dell'impianto di stoccaggio di gas di Cornegliano Laudense e in base a quali studi e conclusioni sia stato deciso di approvare la sua inclusione tra i progetti oggetto di finanziamento attraverso il Fondo europeo per gli investimenti strategici. (4-08242)


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, BARONI, GRILLO, DI VITA e MANTERO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   per poter essere insignito dell'onorificenza di Grande ufficiale al merito della Repubblica bisogna aver acquisito benemerenze verso la Nazione nel campo delle scienze, delle lettere, delle arti, dell'economia e nel disimpegno di pubbliche cariche e di attività svolte ai fini sociali, filantropici ed umanitari, nonché per lunghi e segnalati servizi nelle carriere civili e militari, secondo quanto disposto dalla legge 3 marzo 1951, n. 178, dal decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1952, n. 458 e dal decreto del Presidente della Repubblica 31 ottobre 1952;
   la Medaglia d'oro al merito della sanità, secondo quanto disposto dal decreto legislativo 7 luglio 1918 n. 1048 e dal Regio Decreto 25 novembre 1929 n. 2193, è conferita con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro della salute a persone fisiche o enti che abbiano reso con cospicue elargizioni o con prestazioni, segnalati servizi nel settore della sanità pubblica in circostanze diverse da quelle previste per i Benemeriti della Salute Pubblica;
   il 4 febbraio e 22 maggio 2013, il Segretariato Generale della Presidenza del Consiglio dei ministri ha firmato due direttive inerenti una il criterio di conferimento dell'ambita onorificenza di Stato OMRI e l'altra l'istituto della revoca. Questo secondo provvedimento a firma del Sottosegretario di Stato Catricalà, circa l'istituto della revoca, richiama gli uffici competenti di Stato al fine di preservare il prestigio delle onorificenze cavalleresche e degli stessi insigniti, sensibilizzando prefetture, Ministeri, commissari del Governo per le province di Bolzano e Trento, presidenti di regioni e altri, a prestare la massima attenzione in ordine al coinvolgimento di decorati di onorificenze cavalleresche in questioni di gravità che potrebbero determinare l'avviamento delle procedure di revoca previste dalla normativa in materia (articoli 9 e 10 del decreto del Presidente della Repubblica 13 maggio 1952 no 458, articolo 5 della legge no 178 del 1951);
   il provvedimento ricorda inoltre i casi di revoca per indegnità previsti dall'articolo 5 della legge n. 178 del 1951 e precisa l'articolo 11 del citato decreto del Presidente della Repubblica 13 maggio 1952 n. 458 secondo cui «viene privato delle onorificenze chiunque venga condannato ai sensi degli articoli 28 e 29 del Codice Penale»;
   l'indegnità è da considerarsi non solo ed unicamente riferita ad una sentenza di condanna, ma in senso più ampio, in merito al comportamento disonorevole della persona insignita, a condizione che sia possibile accertare attraverso un'approfondita istruttoria fatti e circostanze;
   il 2 giugno 1974 Duilio Poggiolini è stato insignito del titolo di «Grande Ufficiale Ordine al Merito della Repubblica» e il 13 luglio 1977, ha pure ricevuto la «Medaglia d'oro al merito della sanità», per l'attività da lui svolta mentre era direttore del servizio farmaceutico del Ministero della salute;
   Poggiolini è stato processato e condannato, insieme alla moglie, in via definitiva per corruzione per aver accettato tangenti e regali dagli industriali del farmaco in cambio di favori sulle procedure d'approvazione dei loro prodotti. È stato arrestato dopo mesi di latitanza e nel 2012 la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di condanna per i coniugi e per l'allora Ministro della salute Francesco De Lorenzo ad un risarcimento nei confronti dello Stato di oltre 5 milioni di euro ciascuno;
   il 13 novembre 2014 Duilio Poggiolini è stato altresì rinviato a giudizio per omicidio colposo plurimo aggravato per la morte di emofilici italiani, nel processo riguardante i tanti italiani infettati da sangue infetto;
   nella puntata della trasmissione televisiva Report mandata in onda il 21 aprile 2013 il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro ha dichiarato al giornalista che lo ha intervistato che prenderà in carico la verifica della posizione di Duilio Poggiolini e, qualora accerti che non sussistano più i requisiti per il mantenimento dei titoli conferiti, proporrà la revoca degli stessi al Ministero della salute –:
   se i fatti suesposti siano già stati portati a conoscenza dei Ministri interrogati, anche attraverso segnalazione del prefetto di Roma, e quali iniziative intendano intraprendere, per quanto di competenza, considerato che la condanna definitiva costituisce estremo per la perdita dell'onorificenza per indegnità. (4-08253)


   BRUNO BOSSIO, MAGORNO e AIELLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la partita di calcio del campionato regionale di eccellenza della Calabria, Guardavalle-Acri in programma il 28 febbraio 2015 non si è disputata perché la squadra ospite ha deciso di non scendere in campo dopo essere stata oggetto di minacce prima dello svolgimento della gara;
   le pesanti minacce subite sarebbero state denunciate dalla dirigenza della squadra dell'Acri attraverso il sito ufficiale della società calcistica ed ampiamente riportate dalla stampa locale e nazionale;
   pare che tutto sia avvenuto prima in un ristorante dove, secondo quanto denunciato, durante il pranzo facevano la loro comparsa cinque persone non identificate le quali intimavano ai presenti di «perdere la partita altrimenti gli avrebbero spaccato le gambe». Sembrerebbe che uno dei calciatori sia stato pesantemente minacciato con un coltello puntato alla gola;
   nonostante la squadra dell'Acri si recasse allo stadio scortata dalla forza pubblica prontamente allertata dalla questura di Catanzaro, all'arrivo negli spogliatoi un tesserato veniva pesantemente aggredito alla presenza del commissario di campo;
   a quel punto dirigenti e calciatori dell'Acri, valutando che non ci fossero più le condizioni per giocare la partita in condizioni di serenità ambientale e psicologica, decidevano di non disputare l'incontro;
   su quanto accaduto si è appreso dalla stampa che è stata richiesta agli organi di giustizia sportiva una approfondita indagine da parte della Federazione italiana gioco calcio;
   soprattutto nell'ambito del calcio dilettantistico questi fenomeni sono abbastanza diffusi e si registrano sempre più spesso atti di intimidazione nei confronti di giocatori e di intere società sportive prima, durante e dopo le partite, tanto da far dubitare che la motivazione sportiva sia davvero quella prevalente;
   già in passato il fenomeno in Calabria era venuto alla luce attraverso incidenti gravi che, in alcuni casi, hanno registrato aggressioni con feriti in gravi condizioni e addirittura, in un caso, una vittima;
   si tratta di episodi gravi che non possono essere sottovalutati e che richiedono una pronta e ferma risposta non solo da parte degli organismi di autogoverno sportivi, ma anche di tutte le istituzioni;
   prioritaria diventa la necessità di liberare il calcio dal pesante condizionamento di coloro che ne fanno occasione di violenza e prevaricazione –:
   se il Governo sia a conoscenza dell'episodio citato in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di contrastare queste forme di violenza e restituire il calcio, a partire da quello dilettantistico, alla sana passione agonistica e sportiva. (4-08259)


   COCCIA. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse sugli organi si stampa sembrerebbe emergere che la Fondazione per la mutualità generale negli sport professionistici a squadre agisca in totale assenza di controllo e fuori dal quadro normativo;
   la «legge Melandri» del 2008 stabilisce che la Lega di Serie A devolva «una quota delle risorse economiche e finanziarie derivanti dalla commercializzazione dei diritti tv allo sviluppo dei settori giovanili delle società professionistiche, al sostegno degli investimenti per la sicurezza, anche infrastrutturale, degli impianti sportivi, e al finanziamento di almeno due progetti per anno finalizzati a sostenere discipline sportive diverse da quelle calcistiche»;
   questi fondi finiscono nella «Fondazione per la mutualità generale negli sport professionistici a squadre», e da questa vengono gestiti;
   in teoria la Fondazione dovrebbe ricevere attraverso un «ente veicolo» (Lega B, Lega Pro, Lega Dilettanti, Federazione basket e Coni) i progetti delle singole società, valutarli, scegliere i più utili o i più importanti e poi finanziarli;
   invece a quanto sembra i progetti vengono valutati, ovviamente, su base esclusivamente politica e in relazione agli interessi dei presidenti delle vari leghe;
   in tal senso, sembrerebbe che i fondi vengano spartiti a seconda delle convenienze e non in base alla bontà dei progetti che, a quanto pare, non vengono mai sottoposti a controllo e giudizio;
   inoltre, sembra capitare frequentemente che il consiglio faccia anticipi di cassa o «premi» progetti degli anni precedenti;
   tale consiglio è composto da 12 membri, 5, tra cui il presidente, li nomina la serie A, uno la serie B, 3 la Figc, uno la Fip, uno la Lega Basket, uno il Coni;
   la prima erogazione ufficiale è datata giugno 2013: le società e le leghe (con l'eccezione della Serie B) non erano ancora pronte e non presentarono alcun progetto. Tuttavia, il denaro arrivò ugualmente;
   il secondo anno, nel 2014, le Leghe attrezzarono una specie di «modulo di progetto», un documento Word da copiare e incollare. Anche in quel caso i soldi (73 milioni) vennero distribuiti;
   tuttavia, molti di quei progetti non sono mai nemmeno partiti. Ma siccome erano solo una scusa per prendere i fondi, sono stati ripresentati identici, quest'anno;
   per fare solo un esempio, la Lega Pro di Mario Macalli ha presentato sessanta progetti, uno per ogni società rappresentata. Sessanta progetti diversi che però in comune hanno, curiosamente, solo il preventivo, che, incredibilmente, è sempre identico, 33.333,3 euro;
   l'inchiesta giornalistica descrive dunque un quadro molto grave di malaffare diffuso –:
   se non ritenga opportuno chiedere chiarimenti al CONI circa tali fatti che, qualora fossero confermati, rappresenterebbero un fatto gravissimo. (4-08262)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA e RICCIATTI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   un peschereccio italiano della Italfish di Martinsicuro (Teramo) è stato sequestrato in Gambia per presunte violazioni delle normative di pesca;
   sono in stato di arresto il capitano della imbarcazione Sandro de Simone, abruzzese di Silvi (Teramo) e il capitano di macchina Massimo Liberati, marchigiano di San Benedetto del Tronto (AP);
   i due italiani sono ovviamente in grave stato di disagio con il peschereccio sequestrato nel porto di Banjiul;
   i familiari e le comunità marittime abruzzesi e marchigiane sono giustamente preoccupate e hanno chiesto un urgente intervento delle autorità italiane e della Farnesina e dell'agricoltura e pesca in particolare  –:
   quali iniziative stia assumendo per risolvere questa grave emergenza che coinvolge due nostri connazionali in quel Paese africano. (4-08254)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   PISO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito legge 11 agosto 2014 n. 116 (cosiddetto decreto competitività) all'articolo 13, comma 5, (lettera b-bis), ha introdotto una ad avviso dell'interrogante non meditata modalità di classificazione dei rifiuti, in base alla quale se non si può dimostrare con analisi che il rifiuto speciale è innocuo, il rifiuto stesso è classificato come pericoloso. La norma è entrata in vigore il 18 febbraio 2015 (cioè 180 giorni dopo l'entrata in vigore della legge di conversione del decreto – legge n.91);
   la classificazione dei rifiuti va effettuata dal produttore assegnando ad essi il codice CER, prima che il rifiuto sia allontanato dal luogo di produzione, applicando la decisione 2000/532/Ce. Al fine di stabilire se il rifiuto è pericoloso o meno debbono essere determinate le proprietà di pericolo che esso possiede; le indagini da svolgere richiedono di individuare i composti presenti nel rifiuto; determinare i pericoli connessi a tali composti ed infine di stabilire se le concentrazioni dei composti contenuti comportino che il rifiuto presenti delle caratteristiche di pericolo mediante comparazione delle concentrazioni rilevate all'analisi chimica con il limite soglia per le frasi di rischio specifiche dei componenti;
   le modalità applicative del citato decreto-legge, sono più rigide rispetto alle prassi applicative delle norme comunitarie più comunemente praticate in Europa. Il risultato paradossale di tale ad avviso dell'interrogante improvvida iniziativa sta già direttamente colpendo gli impianti di recupero e di riciclaggio, che sono costretti a respingere i materiali, sino al 17 febbraio accettati, per il timore di incorrere nelle severe sanzioni della legge; gli inceneritori respingono camion pieni di combustibile prezioso, le discariche rifiutano i carichi di spazzatura non certificata;
   il mancato adeguamento della classificazione dei rifiuti comporta il rischio di pesanti sanzioni penali (fino a due anni di arresto per la non corretta classificazione dei rifiuti...) e rende di fatto «meno competitivo» il sistema produttivo sul quale graveranno oneri non sussistenti in altri Paesi;
   una quantità di materiali preziosi, dovrà essere esportata, smaltita, incenerita o sottoposta a processo di termovalorizzazione all'estero, generando un danno all'economia nazionale e un doppio profitto (importazione a titolo oneroso per l'Italia e profitti derivanti dalla termovalorizzazione) per i Paesi, quali Svizzera e Germania, che adottano regole meno rigide –:
   alla luce di quanto espresso in premessa, quali provvedimenti urgenti il Ministro intenda adottare, al fine di evitare il collasso del sistema di smaltimento e riciclaggio e maggiori oneri complessivi per il nostro Paese, derivanti dal disposto dell'articolo 13, comma 5, (lettera b-bis), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito in legge 11 agosto 2014 n. 116. (3-01336)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BRAGA e GUERRA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   durante i lavori nei cantieri lungo il lotto B1 del sistema viabilistico della Pedemontana Lombarda ovvero la tratta di collegamento, lunga 7 chilometri, tra lo svincolo Lomazzo della A9 e l'innesto della strada statale 35 a Lentate sul Seveso e precisamente nelle campagne poste a sud nei comuni di Bregnano, Rovellasca e Lazzate è stato ritrovato materiale di scavo contenente amianto;
   la società Autostrada Pedemontana Lombarda spa contattata dai sindaci dei comuni interessati ha comunicato che si tratterebbe di materiale rinvenuto durante gli scavi già effettuati nel 2014, risalente a rifiuti probabilmente interrati negli anni Settanta; una vera e propria discarica abusiva sottoterra, un deposito illecito consistente in un fossato lungo circa cento metri, largo cinquanta e profondo da cinquanta centimetri dalla linea di coltura fino a qualche metro, nel quale sono stati abbandonati rifiuti di amianto e materiali di scarto, e sopra la quale, negli anni, è cresciuta una folta vegetazione;
   da quanto appreso dagli organi di stampa e dalle comunicazioni della società Autostrada Pedemontana Lombarda spa il materiale è stato raccolto in sacchi preposti, della dimensione di circa un metro cubo ciascuno, seguendo la corretta normativa; la stessa società Autostrada Pedemontana Lombarda spa ha dichiarato di essersi attivata, avvisando le autorità di competenza (Arpa, Asl), per procedere, secondo le norme e le procedure stabilite dalla legge, ad una loro pronta e corretta rimozione e per garantire la bonifica stessa delle terre interessate dal ritrovamento;
   la scoperta delle centinaia di sacchi contenenti rifiuti pericolosi rinvenuti durante gli scavi della tratta B1 della Pedemontana ha comprensibilmente messo in allarme i sindaci e gli amministratori dei comuni interessati, preoccupati della pericolosità del recupero e dell'incertezza del materiale effettivamente contenuto nei sacchi nonché della tempistica e della sicurezza del loro smaltimento –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti sopra esposti e come intendano verificare che lo smaltimento del materiale rinvenuto contenente amianto, da parte di Autostrada Pedemontana Lombarda spa, avvenga a norma di legge e a tutela della sicurezza e della salute pubblica dei territori interessati. (5-04910)

Interrogazione a risposta scritta:


   BUSINAROLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'annosa vicenda della discarica di Ca’ Filissine, impianto presente dal 1987 nella città di Pescantina (Verona), sotto sequestro dal 2006 e gestito dalla società Daneco, è nuovamente all'attenzione dell'opinione pubblica, in seguito ad un sopralluogo effettuato nell'ottobre scorso dai componenti della Commissione parlamentare di inchiesta su attività illecite connesse ai rifiuti e su illeciti ambientali, diretto a verificare lo stato delle cose;
   il comune di Pescantina, unico caso in Italia, nel 1995 ha scelto che la gestione della discarica fosse senza responsabilità, ovvero chi la gestiva non doveva occuparsi del percolamento. La situazione in cui versa, allo stato attuale, la discarica di Ca’ Filissine, denota il rischio di disastro ambientale, che interesserebbe il territorio e la popolazione residente. Ad oggi, infatti, il percolato ha raggiunto ormai i 36 metri, a fronte del limite, consentito dalla legge, di due metri. Di recente, inoltre, l'Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto (ARPAV), dipartimento regionale laboratori, servizio laboratorio di Verona, ha comunicato i dati degli esiti analitici relativi agli ultimi controlli effettuati sulla qualità dell'acqua faldifera presso i piezometri della rete di monitoraggio in servizio nell'area della discarica e presso alcuni piezometri realizzati ai fini della caratterizzazione dell'area ad est adiacente alla discarica (del 16-17 settembre 2014) e di percolato (del 18 marzo 2014), da cui è risultata la persistenza di una situazione di compromissione grave della qualità delle acque di falda nell'area ad est adiacente alla discarica;
   il 29 dicembre 2014 il consigliere comunale M5S del comune di Pescantina, Diego Verona, ha presentato una mozione con la quale si richiedeva un'indagine epidemiologica relativa alla situazione legata alla discarica di Ca’ Filissine, bocciata però dalla maggioranza del consiglio comunale, anche sulla base di una nota dell'ULSS 22 regione Veneto del 5 dicembre 2014, n. protocollo 63871/SISP che, in risposta alla richiesta di informazione su dati sanitari e segnalazione ARPAV di inquinamento ambientale, avanzata dal sindaco del comune di Pescantina, rilevava che: «Si è consultato l'Atlante Geografico di mortalità della regione Veneto, pubblicato nell'anno 2006 e relativo ai dati degli anni 1981-2000, unico documento ufficiale a noi noto che rappresenta dati di mortalità distinti per patologie con dettaglio geografico a livello comunale. Non sono rappresentati dati a maggior livello di dettaglio (frazioni di comuni) in considerazione dell'instabilità ed inattendibilità degli stessi riferiti a sottopopolazioni di ridotta consistenza numerica. L'esame dei dati riportati nell'Atlante non evidenzia, per il Comune di Pescantina, valori in eccesso riferiti alle patologie considerate, quali la mortalità per neoplasie e per malattie respiratorie»;
   sempre nella stessa nota, però, l'ULSS 22 rilevava che: «...Al di là della rilevabilità a posteriori di tali effetti e pur in assenza di nessi causali certi, va comunque evidenziato che, in via generale, nel caso in cui una fonte di pressione ambientale (esempio una discarica di rifiuti solidi urbani) abbia determinato un inquinamento significativo di matrici ambientali destinati a venire a contatto con le persone (esempio la falda acquifera da cui viene attinta acqua destinata ad uso potabile), con sostanze pericolose per la salute (ipotesi che nel caso in essere, la S.V. esclude), è plausibile che si possano manifestare) nel tempo, effetti sanitari avversi per la salute» e inoltre che: «...La letteratura scientifica è d'altra parte concorde nell'indicare come prioritaria, in applicazione del principio di precauzione, la necessità di contenere l'inquinamento ambientale, perlomeno nelle matrici destinate a venire a contatto con le persone, sotto a dei valori “di sicurezza” e – più in generale – ove non sia possibile eliminarlo, ridurne al minimo l'impatto. Nel caso di cui trattasi, considerato quanto indicato dalla S.V. in premessa alla Sua e quanto rilevato da ARPAV nella recente relazione trasmessa con nota n. 107151/2014 del 28 ottobre 2014 – ed in accordo con le relative conclusioni – sono da ritenersi prioritari gli interventi atti ad impedire che i fenomeni di inquinamento evidenziati possano giungere a contaminare la falda utilizzata (od utilizzabile) per l'emungimento di acqua ad uso potabile»;
   la nota redatta dall'ULSS 22 prende come punto di riferimento l'Atlante geografico della mortalità nella regione Veneto, il quale risulta essere stato pubblicato nel 2006 ed è basato su informazioni raccolte nel ventennio 1981-2000, per cui non è stato monitorato tutto il periodo dal 2000 al 2014, venendo così a mancare un quadro più aggiornato della situazione;
   la situazione risulta essere ancora più lacunosa poiché il comune di Pescantina non rientra tra i comuni presenti nel registro dei tumori del Veneto, in base al quale possono essere diffusi i dati statistici relativi all'incidenza dei tumori sul territorio;
   ad oggi, inoltre, risulta che non sia stato ancora prodotta, dalla prefettura competente, la certificazione antimafia, come previsto dalla normativa anticorruzione;
   alla luce di quanto sopra descritto appare evidente la necessità di un intervento urgente ed incisivo diretto ad impedire ogni possibile rischio di danno ambientale e ad una gestione trasparente legata alla discarica di Ca’ Filissine, anche in considerazione del fatto che nel gennaio 2014 due vertici aziendali della Daneco furono arrestati con le accuse di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, corruzione e attività finalizzate al traffico illecito di rifiuti –:
   se non ritengano altresì opportuno verificare i motivi del ritardo nella produzione della certificazione antimafia da parte della prefettura competente anche al fine di evitare lungaggini che porterebbero a non intervenire tempestivamente in una situazione di rischio da disastro ambientale per tutto il territorio e la popolazione interessati;
   se i Ministri interrogati non ritengano necessario l'avvio di una indagine epidemiologica per il tramite dell'Istituto superiore di sanità al fine di poter delineare un quadro analitico, basato su dati statistici recenti, che chiarisca ogni eventuale collegamento tra la discarica di Ca’ Filissine e la diffusione di determinate patologie. (4-08260)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in pieno centro storico del comune di Picerno in provincia di Potenza vi è uno storico palazzo denominato Palazzo Calenda di proprietà della famiglia Calenda di Napoli;
   il suddetto manufatto architettonico è stato uno dei simboli nella resistenza del 1799 contro la reazione sanfedista nonché nel corso degli anni ha avuto anche altri utilizzi compreso quello di struttura penitenziaria;
   dopo il terremoto del novembre 1980 la struttura è in completo stato di abbandono e costituisce una seria minaccia per la incolumità degli abitanti sia per chi vi risiede in prossimità sia per i passanti poiché si trova lungo una delle strade principali del Paese;
   pochi giorni fa proprio a Picerno si è svolto un incontro pubblico promosso dal Comitato per la valorizzazione del centro storico del comune lucano tra il sindaco, Giovanni Lettieri ed uno dei proprietari della famiglia Calenda concernente il futuro del palazzo;
   il sindaco ha chiesto collaborazione ai proprietari per la sicurezza e il decoro dell'area anche in considerazione delle ordinanze emanate nel corso degli anni e dalle varie amministrazioni succedutesi e dei procedimenti giudiziari che sono in iter proprio sull'argomento;
   la messa in sicurezza è la vera priorità per poi successivamente provare a realizzare un percorso per la ristrutturazione e la valorizzazione di un palazzo sicuramente di grande rilievo storico culturale;
    in base agli articoli 12-13-14 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 legge 6 luglio 2002, n. 137, è possibile verificare l'interesse culturale del palazzo da parte della competente soprintendenza;
   in base all'articolo 14 comma 1 del citato decreto legislativo, il soprintendente avvia il procedimento per la dichiarazione dell'interesse culturale, anche su motivata richiesta della regione e di ogni altro ente territoriale –:
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda attivare, sulla base di un accordo tra comune e proprietà del palazzo, per evitare che vi siano problemi di sicurezza per i cittadini in riferimento al palazzo medesimo e se non intenda promuovere un'azione di verifica da parte della competente soprintendenza sul possibile interesse culturale della struttura. (5-04907)


   DI BENEDETTO, MARZANA, BRESCIA, D'UVA, LUIGI GALLO, SILVIA GIORDANO, SIBILIA, TOFALO, VACCA, SIMONE VALENTE, COLONNESE e MANNINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   si apprende, in questi giorni, la notizia di nuovi crolli nel sito archeologico di Pompei. Stavolta si tratta dello smottamento di una parte del terreno del giardino della casa di Severus, la quale è ricompresa nella Regio VIII (insula 2), e di una piccola parte del muro di contenimento dello stesso giardino. Ciò è avvenuto a seguito delle forti precipitazioni che hanno impregnato di acqua il terreno;
   ad ogni modo, l'area era già stata classificata come a rischio e, per tal motivo, era stata posta sotto particolare attenzione dalla Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Ercolano e Pompei che aveva avviato una convenzione con i vigili del fuoco per intervenire su aree impervie come queste. Inoltre, la messa in sicurezza della Regio VIII era ricompresa all'interno del cosiddetto «Grande progetto Pompei», finanziato dalla Commissione europea. Attualmente sull'area sono intervenuti i funzionari tecnici della Soprintendenza per le verifiche e la programmazione dei primi interventi necessari di ripristino;
   con atto di sindacato ispettivo n. 5-03627 presentato dalla prima firmataria del presente atto nella seduta del 23 settembre 2014, era già stata espressa preoccupazione in relazione ai lavori commissionati tramite il «Grande progetto Pompei», che prevedevano il finanziamento di 105 milioni di euro tramite fondi FESR e nazionali, da destinare alla riqualificazione del sito archeologico, in particolare alla messa in sicurezza delle insulae: 4,5 milioni per la Regio VIII e 3, 9 milioni per la Regio VII. Entrambi, gli appalti sono stati aggiudicati dalla RTI Samoa restauri srl sulla cui affidabilità ed onorabilità erano stati espressi alcuni dubbi;
   in data 23 ottobre 2014, il Governo, in risposta alla su citata interrogazione, dichiarava che, in relazione alla messa in sicurezza della Regio VIII, si era dato avvio alla gara telematica in data 21 novembre 2013, espletando in maniera legittima la procedura, che si concludeva con nota del 25 marzo 2014 di comunicazione dell'aggiudicazione in favore della RTI Samoa restauri srl;
   avverso tale aggiudicazione avevano presentato ricorso sia la Forte Costruzioni e Restauri srl, secondo classificata, sia la Lattanzi srl, terza classificata nella gara. Entrambe le domande cautelari avanzate da parte delle due ditte sono state respinte dal tribunale amministrativo della Campania. Nelle more dei giudizio di merito, si è proceduto alla consegna dei lavori all'aggiudicataria;
   quest'ultima, come risulta dal sito www.garemibac.it, aveva un termine di 510 giorni, decorrenti dal 25 marzo 2014 (data dell'aggiudicazione), per completare l'esecuzione dei lavori: Essendo decorso, ormai, quasi un anno da tale data, i lavori di messa in sicurezza si dovrebbero ragionevolmente considerare, se non terminati, quantomeno portati ad un livello di avanzamento tale da non rendere accettabile un crollo come quello avvenuto nei giorni scorsi in relazione alla casa di Severus, a maggior ragione se ciò si è verificato a seguito di prevedibili, seppur forti, precipitazioni;
   si deve ricordare che, in data 7 gennaio 2015, il Ministro Franceschini si era recato presso il sito archeologico per un sopralluogo, non riscontrando alcuna irregolarità. D'altro canto, il Governo, nella su citata risposta all'interrogazione n. 5-03627, rassicurava di aver già svolto e di star svolgendo tutte le misure di verifica, sia in fase di aggiudicazione che dì esecuzione, dei lavori. Altresì, in data 5 aprile 2012, veniva firmato il «Protocollo per la legalità e la sicurezza del Progetto Pompei» tra la prefettura di Napoli e la Soprintendenza, al fine di garantire la corretta esecuzione degli interventi nel rispetto della normativa antimafia, e il monitoraggio degli appalti dei lavori, servizi e forniture, attraverso la tracciabilità degli accessi ai cantieri (c.d. «SILEG»). Nello stesso protocollo, infine, si prevedeva anche l'istituzione del «Gruppo di lavoro per la legalità e la sicurezza del progetto Pompei», il quale collaborava alla predisposizione dei bandi di gara, e dei relativi contratti inserendo clausole e condizioni finalizzate a prevenire tentativi di infiltrazione criminali, monitorando le procedure di gara per evitare concorrenza sleale;
   tutti gli interventi e gli strumenti posti in atto sono nobili, ma, allo stesso tempo, poco utili, dato che il sito archeologico di Pompei continua a subire crolli e smottamenti: si rende, quindi, necessario individuare i responsabili e le ragioni dell'accaduto –:
   quale sia lo stato di esecuzione del contratto stipulato tra la soprintendenza archeologica di Pompei, Ercolano e Stabia e la RTI Samoa Restauri srl;
   se le verifiche e gli strumenti di vigilanza e controllo a disposizione siano stati effettivamente utilizzati e a quali valutazioni finali abbiano condotto.
(5-04911)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro della difesa. – per sapere – premesso che:
   anche nelle Forze armate italiane, molti militari usufruiscono dei benefici assistenziali riconosciuti dalla normativa ex lege n. 104 del 1992;
   fra questi benefici v’è anche quello del temporaneo trasferimento in un reparto prossimo alla residenza o domicilio del parente invalido;
   per gli appartenenti alle Forze armate, il beneficio del trasferimento temporaneo è, ovviamente, riconosciuto per un periodo pre-stabilito: fin quando il familiare portatore di handicap è in vita;
   nel momento in cui viene a mancare il familiare, il militare dovrà ritornare al proprio reparto di appartenenza, precedente all'ultimo impiego;
   tale principio è sicuramente giusto ed equo, ma bisogna valutare il caso del militare che assiste un familiare handicappato di giovane età e questo può comportare che il decesso possa avvenire dopo 10, 20 o addirittura 25 anni di assistenza. In tal caso, dovrà ritornare a reparto di destinazione;
   in queste condizioni, la persona che usufruisce del beneficio non riesce a programmare la propria vita, in funzione del proprio incerto futuro;
   a questa problematica che riguarda tutto il comparto difesa, sembrerebbe che nessuno si sia mai interessato;
   a giudizio dell'interrogante e senza un ulteriore e, si ritiene superfluo, intervento normativo si potrebbe introdurre una norma regolamentare di applicazione/interpretazione per cui il militare rimanga definitivamente nel reparto di «provvisoria assegnazione» dopo 5/10 anni dalla prima assegnazione attraverso una semplice richiesta al proprio comandante di reparto, il quale esprimerà parere favorevole o non, oppure in base ad una decisione dello Stato maggiore, in base al comportamento del beneficiario negli anni di permanenza al reparto;
   ciò comporterebbe, innanzitutto, un innalzamento dei risultati dei soggetti interessati, oltre che la speranza di trasferimento per i beneficiari che hanno superato detto periodo;
   sono numerosi i militari in queste condizioni e non è giusto provvedere nella forma che il Ministro interrogato riterrà più opportuna –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-08241)


   MASSIMILIANO BERNINI e TOFALO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 73 reg. TULPS «il Capo della Polizia, i Prefetti, i Viceprefetti, gli Ispettori provinciali amministrativi, gli ufficiali di P.S., i pretori e i magistrati addetti al Pubblico ministero o all'ufficio di istruzione, sono autorizzati a portare senza licenza le armi di cui all'articolo 42 della legge» mentre «gli agenti di P. S., contemplati dagli articoli 17 e 18 della legge 31 agosto 1907, n. 690, portano, senza licenza, le armi di cui sono muniti, a termini dei rispettivi regolamenti»;
   gli appartenenti alle forze di Polizia a competenza generale sono dotati per servizio di una pistola Beretta 92FS dotata di colpi parabellum; solamente la guardia di finanza è dotata della Beretta modello 84;
   con un peso circa 1,5 chilogrammi da carica una lunghezza di 21 cm appare evidente come l'arma di ordinanza degli agenti di pubblica sicurezza non sia idonea ad essere occultata quando portata fuori dal servizio considerato inoltre che le normative interne vietano in modo categorico il porto dell'arma all'interno di zaini o borsette di ogni genere;
   tale arma, sebbene sia ottima per servizio, è assolutamente impossibile da portare al seguito fuori servizio per via delle difficoltà riscontrate nelle precedenti premesse;
   gli agenti di pubblica sicurezza, anche se fuori servizio, hanno l'obbligo di intervenire in situazioni che ne prevedano la necessità e che alcuni di loro possono sentire la necessità di portare un'arma anche fuori dal servizio per esigenze personali legate al lavoro che giornalmente svolgono e che spesso li mette in contatto con malavitosi dai quali possono temere ritorsioni;
   è buon senso pensare che se un agente di pubblica sicurezza può portare senza licenza l'arma di cui è munito ai sensi del regolamento, vi siano tutti presupposti psicofisici affinché egli possa portare senza licenza un'arma più adatta, per dimensioni, peso e potenza di fuoco, all'utilizzo per difesa personale –:
   se siano a conoscenza di quanto in premessa;
   se intendano procedere, per quanto di competenza e di concerto con tutte le parti in causa, affinché i rispettivi regolamenti delle varie forze di pubblica sicurezza permettano agli agenti di, pubblica sicurezza a competenza generale di portare, senza licenza, un'arma privata dalle caratteristiche più idonee all'utilizzo per la difesa personale o eventuali interventi effettuati al di fuori dell'orario di servizio. (4-08245)


   TOFALO, COZZOLINO, SIBILIA e DE LORENZIS. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la società Difesa e Servizi è stata istituita per valorizzare il patrimonio del Ministero della difesa, fra i quali lo sfruttamento dei loghi di reparti militari, con la vendita dei diritti di immagine per l'utilizzo ai fini commerciali;
   con una circolare i vari enti (Marina, Esercito, Carabinieri e Aeronautica) invitano i reparti distaccati ad acquistare merce dalle aziende licenziatarie dei marchi, il caso in specie è l'esercito italiano, il quale ha fornito ai reparti vari anche il catalogo stampato da ditta privata, facendo così divenire implicitamente lo Stato veicolo promozionale per una azienda privata;
   con questo sistema lo Stato con una mano vende i diritti di immagine, con l'altra acquista dagli acquirenti, i propri diritti di immagine;
   si evidenzia il grosso danno creato a tutta quelle aziende che comunque hanno sempre unito prezzo e qualità, ora sono state tagliate fuori per non aver acquistato i diritti dei marchi, poiché ritenevano inutile l'investimento considerato che il loro cliente è sempre e solo lo Stato;
   qualsiasi azienda che realizza articolo di qualità, ma non di prezzo idoneo, è costretta ad acquistare i diritti e abbassare la qualità, in quanto l'organo di controllo sulle spese degli enti, prende in considerazione solo il prezzo più basso della categoria di prodotti, mettendo allo stesso livello prodotti di buona qualità con quelli dozzinali;
   anche la giurisprudenza sottolinea che è legittimo il decreto del Ministro delle infrastrutture del 6 dicembre 2006, con il quale, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 26, comma 4, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (disposizione ora sostanzialmente replicata dall'articolo 133 comma 3 del decreto legislativo n. 165 del 2006), ma è stato rilevato, sulla base dei dati forniti dal Ministero dell'economia e delle finanze, uno scostamento tra inflazione programmata ed inflazione reale non superiore al 2 per cento con riferimento a ciascuno degli anni compresi tra il 1993 e il 2005;
   se in linea di principio può affermarsi che nell'istituto dell'appalto a prezzo chiuso si compendiano anche intuibile esigenze di contenimento dei costi delle amministrazioni appaltanti e di stabilizzazione della spese pubblica, la finalità, principale avuta di mira dal legislatore, attraverso l'ancoraggio del prezzo contrattuale alla indicata soglia di inflazione, è stata invece quella di prevedere un meccanismo di normale rivalutazione dei prezzo contrattuale, al fine di mantenere pressoché inalterato nel tempo il potere d'acquisto della moneta nello stesso espressa;
   se non si è sottolineata la necessità di un meccanismo rivalutativo del prezzo che renda la corrispondente obbligazione pecuniaria gravante sulla stazione appaltante, quantomeno entro certi limiti, suscettiva di essere attualizzata, sia pur nell'ambito di un rigido e forfettizzato criterio affidato ai rilevamenti annui dell'inflazione da parte del competente Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e se, dunque, la finalità del meccanismo di adeguamento di prezzo è dunque quella di consentire, entro certi limiti, di conservare nel tempo il valore del compenso da percepire da parte dell'appaltatore, per il caso che, a fronte di un significativo aumento dell'inflazione reale (e di una conseguente diminuzione dei potere di acquisto della moneta), il prezzo contrattuale sia divenuto meno remunerativo di quanto non lo fosse in origine, ne viene che, già, in base a tale corretta ricostruzione dell'istituto, non appare censurabile la determinazione della amministrazione di calcolare lo scostamento tra i due indici inflattivi sulla base dell'indice FOI;
   se si intuisse da risposta alla medesima interrogazione una linea politica al risparmio, senza tener in alcun conto il valore aggiunto del bene, osservo che la stessa ratio venisse utilizzata anche per le auto dei dipendenti dello Stato, al netto del fatto che sono auto e servono solo per spostamenti, invece di acquistare una superberlina, potrebbero accontentarsi di una utilitaria –:
   se non intenda assumere iniziative affinché possa individuarsi una forma di rivalutazione per i corrispettivi dovuti per le prestazioni di cui alla premessa.
(4-08266)


   FEDRIGA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la signora Vannia Gava, vicesindaco del comune di Sacile, eletta nelle liste della Lega Nord, è sposata da oltre dieci anni con un ufficiale dei carabinieri, Antonio Dibari, vicecomandante provinciale dell'Arma a Pordenone;
   nel corso di una trasmissione televisiva su un'emittente locale, il vicesindaco Gava ha lamentato la sussistenza di una presunta discriminazione a danno della propria famiglia, asserendo tra l'altro «di non poter portare» suo «marito a cena con amici della Lega o a eventi pubblici del partito», aggiungendo che «Lui è un militare e nell'ambiente gli è stato chiaramente fatto capire che è inopportuno che sia sposato con un vicesindaco della Lega Nord. Per questa ragione è stato al centro di attenzioni»;
   la frequentazione degli ambienti e delle amicizie della signora Vannia Gava sarebbe stata sconsigliata al Dibari;
   la signora Gava, vicesindaco di Sacile, ritiene che le interferenze di cui sopra possano mettere a repentaglio l'equilibrio della propria famiglia e starebbe perciò contemplando anche il proprio ritiro dalla vita politica attiva;
   il regolamento di disciplina militare non vieta agli ufficiali delle Forze armate del nostro Paese di contrarre matrimonio con persone dedite all'attività politica o esercenti responsabilità politico-amministrative, né vieta loro la partecipazione a qualsivoglia manifestazione, posto che vi si vada in borghese e fuori dall'orario di servizi –:
   se nei confronti di Antonio Dibari l'Arma dei carabinieri non stia esercitando indebite pressioni in ragione dell'appartenenza politica della moglie, vicesindaco di Sacile, alla Lega Nord e qualora ciò risulti, quali iniziative il Governo conti di assumere per far cessare l'interferenza.
(4-08270)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FANTINATI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel dicembre 2013, la legge di Stabilità 2014 era intervenuta a modificare sensibilmente la disciplina dell'anatocismo bancario (introdotto dall'articolo 25, comma 2 del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342), quella invisa pratica degli istituti di credito di applicare interessi su interessi ogni tre mesi, con ripercussioni di non poco peso su chi, nell'ultimo periodo, aveva avuto il «coraggio» di contrarre un finanziamento per effettuare investimenti e, quindi, per rilanciare l'economia nazionale;
   tale norma aveva, poi, lasciato al Cicr (Comitato interministeriale per il credito e il risparmio) il compito di adottare una delibera che attuasse il provvedimento, ma i criteri e le modalità non sono mai state emanate;
   nel frattempo è arrivato il decreto legge n. 91 del 2014 con il quale il Governo – all'articolo 31 – ha, di fatto, reintrodotto l'anatocismo, modificando il Testo unico bancario e affidando al Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (Cicr) il compito di determinare «modalità e criteri per la produzione, con periodicità non inferiore ad un anno, di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni in conto corrente o di pagamento;
   nell'agosto 2014, l'Assemblea del Senato, con il voto di fiducia, ha dato il via libera definitivo al Decreto competitività», contenente anche l'abrogazione dell'articolo 31;
   già le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza 2 dicembre 2010, n. 24418, dopo aver riaffermato l'illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi (articolo 1283 C.C.), avevano stabilito che né la banca, né il giudice possono applicare una capitalizzazione con una diversa periodicità: dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito, gli interessi a debito del correntista debbono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna. In questo modo è stata dichiarata illegittima anche la capitalizzazione annuale del servizio del credito;
   anche la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 78 del 2012, aveva dichiarato costituzionalmente illegittima la norma sui tempi di prescrizione per presentare ricorso contro gli istituti di credito che hanno applicato l'anatocismo, ossia il calcolo degli interessi sugli interessi a svantaggio del correntista creditore;
   notizie assunte dall'interrogante riferiscono che, nonostante le nuove disposizioni, gli istituti di crediti continuano a praticare l'anatocismo sui contratti in essere, alimentando le iniziative giudiziarie dei clienti che chiedono la restituzione (o i riaccrediti) degli interessi anatocistici addebitati sul conto corrente –:
   come intenda intervenire, per quanto di competenza, al fine di chiarire gli effetti dell'applicazione della norma contenuta del decreto-legge competitività, convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 116.
(5-04912)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   alcuni piccoli operatori, privati del mercato elettrico informano del fatto che Enel, approfittando della sua duplice veste di gestore della rete elettrica e di concorrente sul mercato, stia modificando totalmente le sue regole di gestione dei contratti di rete;
   in particolare, la metodologia cui ci si riferisce è l'improvviso richiamo fatto a regole mai applicate precedentemente (almeno negli ultimi 15 anni);
   tale repentino cambiamento di atteggiamento rischia di portare in breve all'espulsione dalla rete dei piccoli operatori del settore;
   infatti Enel non starebbe più accettando piani di rientro e pagamenti dilazionati, strumenti purtroppo oggi spesso necessari per le gravi condizioni economiche in cui versa l'intero Paese;
   forte della sua posizione dominante, Enel starebbe dunque di fatto disconoscendo la politica di collaborazione fino ad oggi adottata con gli altri operatori di mercato;
   si tratta di una politica che per legge qualsiasi potere dominante deve adottare;
   il rischio è che Enel, in questo modo, elimini tutti i potenziali concorrenti e si ritrovi sola sul mercato, tornando ad essere un operatore monopolista;
   tutto ciò andrebbe, chiaramente, a svantaggio della possibilità di scelta dei cittadini italiani –:
   se intenda acquisire elementi, in quanto azionista di Enel spa, sulla questione descritta in premessa. (4-08256)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della giustizia sta mettendo a segno una operazione di grande penalizzazione relativamente al Carcere di Buon Cammino;
   con un atto ad avviso dell'interrogante poco pubblicizzato, il Dap sta occupando la struttura per farne degli uffici di fatto impedendo alla regione di ottenere il passaggio immediato del bene al patrimonio regionale in quanto cessata la funzione statale del bene. In queste ore si sta preparando il blitz con il trasferimento di scaffali e scrivanie, personale e detenuti in regime di articolo 21, ovvero detenuti lavoratori;
   l'operazione è stata studiata a tavolino per impedire alla Sardegna e alla regione di acquisire quel patrimonio che ha cessato la sua funzione originaria e come tale, in quel preciso momento del trasferimento, doveva passare nelle pertinenze della regione medesima;
   si sta parlando della più importante struttura immobiliare della città di Cagliari da rifunzionalizzare e che per storia, architettura e posizionamento non può in alcun modo essere utilizzato per sistemare gli uffici di qualche dirigente;
   tutto il dibattito di questi mesi si infrange sull'atto del Ministero della giustizia e sull'inerzia di regione e comune;
   gli interventi di queste prossime ore sono secondo l'interrogante arbitrari, gravi e soprattutto senza alcuna autorizzazione;
   non è pensabile che si trasformi un carcere in uffici senza che il comune abbia dato alcuna autorizzazione in tal senso;
   si tratta anche di una modifica di destinazione urbanistica non accettabile;
   il sindaco di Cagliari lo dovrebbe impedire immediatamente;
   a questo atto bisogna reagire con atti concreti e immediati per impedire una operazione inaccettabile che sottrae alla città di Cagliari un patrimonio immenso;
   tutto questo segue una comunicazione del capo del dipartimento penitenziario del Ministero che mette in atto un piano gravissimo, senza aver discusso questo cambio di destinazione con nessuna istituzione locale;
   si sta compiendo un atto senza precedenti che incrementerà costi e oneri gestionali con quella che l'interrogante ritiene una spregiudicatezza inaudita da parte di coloro che stanno continuando a considerare la Sardegna alla stregua di una colonia;
   è clamorosa la decisione del Ministero della giustizia di trasformare il carcere di Buon Cammino in uffici con l'obiettivo di sottrarre il bene alla regione;
   si tratta di una decisione, a giudizio dell'interrogante, irragionevole, irrazionale e irresponsabile;
   lascia allibiti la decisione di non cedere alla regione e al comune di Cagliari il carcere di Buon Cammino per continuare a mantenere la proprietà dell'immobile che invece dovrebbe passare automaticamente nella disponibilità della regione Sarda;
   si è dinanzi ad un atto politico del Governo Renzi contro la Sardegna senza precedenti;
   si tratta dell'ennesimo tentativo di operare una sottrazione ai danni della Sardegna e dei sardi;
   si configura come una operazione attuata nel silenzio della regione;
   il carcere di Buon cammino e la sua straordinaria struttura devono passare immediatamente nella piena proprietà della regione;
   l'articolo 14 dello statuto è chiarissimo: la regione, nell'ambito del suo territorio, succede nei beni e diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare e in quelli demaniali, escluso il demanio marittimo. Un'interpretazione ancora più netta quella della Corte costituzionale –:
   se il Governo intenda revocare nell'immediato il trasferimento degli uffici del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria in quella struttura;
   se si intendano revocare tutte le decisioni e le iniziative messe in essere dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria della Sardegna;
   se non ritenga di dover mettere in atto tutte le procedure e iniziative conseguenti per l'immediata cessione del bene alla regione Sardegna e conseguentemente al comune di Cagliari. (5-04915)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COLLETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da fonti di stampa pare che gli ufficiali giudiziari non possano accedere alle banche dati della pubblica amministrazione;
   il tribunale di Novara con provvedimento del 21 gennaio 2015 ha infatti respinto l'istanza avanzata da una creditrice con la quale veniva chiesta l'autorizzazione all'accesso diretto da parte degli ufficiali giudiziari alle banche dati della pubblica amministrazione. Il motivo principale pare legato all'assenza dei decreti attuativi che ex articolo 155-quater del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 sarebbero dovuti essere messi a punto dal Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'interno e con il Ministro dell'economia e delle finanze e sentito il Garante per la protezione dei dati personali, portando così all'individuazione dei casi, dei limiti e delle modalità di esercizio della facoltà di accesso alle banche dati. I medesimi decreti avrebbero dovuto anche precisare le modalità di trattamento e conservazione dei dati;
   l'articolo 155-quater del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 non prevede un termine entro il quale i Ministeri siano tenuti a emanare i decreti attuativi sopra menzionati –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti in premessa ed entro quale data saranno emanati i decreti attuativi la cui mancanza rende inapplicabili le misure sull'esecuzione. (4-08243)


   GALATI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156, recante «Revisione delle circoscrizioni giudiziarie – Uffici dei giudici di pace, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148», ha disposto la riduzione degli uffici del giudice di pace di cui alla tabella A allegata al medesimo decreto, con trasferimento delle competenze territoriali degli uffici soppressi ai corrispondenti uffici sovraordinati;
   il comma 2 dell'articolo 3 del medesimo decreto, ha previsto la possibilità, per gli enti locali interessati, anche consorziati tra loro, di richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace, con competenza sui rispettivi territori, di cui è proposta la soppressione, anche tramite eventuale accorpamento e facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, ivi incluso il fabbisogno di personale amministrativo che sarà messo a disposizione degli enti medesimi;
   l'interrogante desidera anzitutto mettere in rilievo la forte rigidità dei vincoli già proposti da questa norma, che sembra non tenere conto delle condizioni di forte difficoltà in cui gli enti locali e territoriali, ed in specie a livello comunale, si trovano ad operare. Enti che rappresentano la diramazione terminale dell'apparato amministrativo statale (e che quindi si trovano a fronteggiare in modo immediato e diretto le reali ed effettive problematiche emergenti sui territori) la cui autonomia gestionale e finanziaria è oggetto negli ultimi anni di progressivi tagli lineari, che molto spesso interessano settori cruciali ed estremamente delicati dell'amministrazione pubblica; in questo caso, l'amministrazione della giustizia, strumento indispensabile per la tutela dei primari diritti dei cittadini, costituzionalmente garantiti ed espressione dei principi fondamentali di legalità ed eguaglianza sostanziale;
   il decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative (cosiddetto «Milleproroghe») convertito con modificazioni dalla legge n. 11 del 2015, ha proposto una parziale modifica della norma di cui sopra (comma 2 dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 156 del 2012), introducendo un differimento del termine proposto per richiedere il ripristino degli uffici soppressi, al 20 luglio 2015;
   in particolare, la norma introduce la possibilità per gli enti locali interessati, anche consorziati tra loro, le unioni di comuni nonché le comunità montane, di richiedere il ripristino degli uffici del giudice di pace soppressi, ponendo però i medesimi vincoli ed analoghe stringenti condizioni già previste dal decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156, riproponendo dunque ancora una volta agli enti l'onere, in caso di richiesta di ripristino di tali uffici, di farsi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio della giustizia nelle relative sedi, ivi compreso il fabbisogno di personale amministrativo che sarà messo a disposizione degli enti medesimi;
   si tratta di una previsione che rischia dunque di rimanere priva di contenuto e a parere dell'interrogante che contrasta con i principi di economia e realismo che dovrebbero caratterizzare l'azione legislativa, e che invece appaiono qui carenti;
   anche la previsione del trasferimento integrale dell'onere dell'amministrazione del servizio a carico degli enti, inoltre, appare all'interrogante non rispondente ai principi di leale cooperazione tra i diversi livelli di governo, nella misura in cui il Governo centrale, nel perseguire l'obiettivo del conseguimento di risparmi di spesa ai fini del riequilibrio del bilanci dello Stato, si limita semplicemente a scaricare voci di spesa per l'amministrazione di diritti essenziali a carico degli enti sotto-ordinati, senza neppure contemplare la possibilità di identificare e praticare soluzioni meno onerose e più efficienti e sostenibili, che distribuiscano equamente il carico dei costi di gestione della pubblica amministrazione tra le entità costitutive dello Stato;
   il Governo pare non aver contemplato, ad esempio, la possibilità di fare ricorso al personale in sovrannumero delle province, per la copertura del fabbisogno di personale amministrativo degli uffici soppressi, ipotesi neppure considerata e che potrebbe rappresentare quantomeno un'attenuante rispetto ai gravosi oneri che vanno delineandosi a carico degli enti;
   l'interrogante desidera portare all'attenzione del Ministro anche la difficoltà e gravosità che questa situazione determina a carico delle sedi circondariali che hanno assorbito gli uffici periferici, strutturalmente e dimensionalmente inadeguate a far fronte al nuovo ingente carico di gestione del servizio di amministrazione della giustizia –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione di grave difficoltà nella quale sono costretti ad operare gli enti locali e territoriali preposti all'amministrazione della giustizia a seguito delle soppressioni e degli accorpamenti operati nel 2012;
   in quali termini il Ministro ritenga di poter intervenire, al fine di promuovere una revisione delle attuali previsioni, considerate penalizzanti per l'amministrazione della giustizia e per l'effettiva tutela dei diritti di eguaglianza sostanziale dei cittadini. (4-08264)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   BORGHI e VENTRICELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dopo molti anni in cui si è combattuta una serrata battaglia da parte delle forze politiche presenti sul territorio, con l'impegno delle amministrazioni locali coinvolte, sono cominciati i lavori per l'ammodernamento della strada statale 96 Altamura-Bari;
   l'opera completa consiste nel raddoppio a quattro corsie del tracciato, in parallelo rispetto al vecchio e attuale percorso, e tale intervento comporterà un ingente investimento per diversi milioni di euro, prevedendo l'ammodernamento e l'adeguamento della attuale sede mediante la realizzazione di due carreggiate separate con due corsie per ogni senso di marcia e uno spartitraffico centrale;
   nell'ambito dei lavori, oltre alla viabilità complanare a servizio degli insediamenti locali, è prevista la realizzazione di diverse opere, tra cui spiccano due gallerie artificiali, «Micciola» e «San Nicola», rispettivamente della lunghezza di circa 220 e 480 metri e un viadotto in acciaio denominato «Lame Strette» di circa 240 metri;
   negli scorsi mesi, dopo una serie di ritardi rispetto alla tabella di marcia stabilita, sono stati portati avanti i lavori per rendere accessibile il tratto in agro Mellito, che pochi giorni fa è stato aperto al traffico sebbene, così come precisato dall'Anas, al momento sia fruibile una sola corsia;
   tale intervento renderà maggiormente agevole la comunicazione tra il territorio murgiano e la costa, ma nonostante tale risultato, rimangono ancora incompiuti i lavori relativi agli altri lotti della strada statale e, soprattutto, il potenziamento delle altre vie di comunicazione –:
   come intenda procedere per il completamento degli altri lotti, i cui lavori al momento non sono ancora in essere, a che punto siano le gare relative agli appalti e quando si intenda procedere con l'inizio dei nuovi lavori previsti, che renderanno fruibile l'intero tratto della strada statale. (5-04901)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, ROSTELLATO, TURCO e PASTORELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è attualmente in fase di valutazione d'impatto ambientale il progetto per la realizzazione del sistema viario tangenziale di Lucca – tratto Lucca est/1o stralcio: a titolo di ricostruzione storica, si informa che la medesima opera fu inserita già tra quelle necessarie allo svolgimento dei campionati mondiali di calcio del 1990 e successivamente tra quelle funzionali allo svolgimento delle celebrazioni che si svolsero a Genova nel 1992;
   quasi duecento cittadini attivarono diversi ricorsi presso il TAR del Lazio sezione I, che con la decisione n. 883 depositata il 12 giugno 1992 ritenne fondate le motivazioni dei ricorrenti e dispose l'annullamento della deliberazione adottata;
   tale intervento di presunta razionalizzazione della viabilità locale si trova ad oggi inserito tra gli interventi strategici a livello nazionale previsti dalla «legge obiettivo» n. 443 del 2001;
   gli interventi previsti hanno subìto, nel corso degli anni, notevoli modifiche passando da varianti di una viabilità statale (SS12) ad una viabilità secondaria di esclusivo rilievo locale. All'inizio era previsto un sistema di attraversamento dei valichi appenninici con ammodernamento della SS12 del Brennero e con la previsione della nuova tratta Lucca-Modena. Tale progetto preliminare di «sistema tangenziale di Lucca» redatto già a quel tempo dall'ANAS venne respinto dagli enti locali e dalla regione Toscana per quanto riguarda la tangenziale ovest (lotto zero), mentre per quanto riguarda la tangenziale est fu approvato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con prescrizioni in sede di valutazione di impatto ambientale;
   con la perdita del «lotto zero» e della tratta Lucca-Modena, il progetto ha cambiato completamente natura (tanto che l'intera procedura di valutazione di impatto ambientale è stata eseguita ex novo) essendo rivisto dall'ANAS sotto la forma di un «semplice» nuovo sistema tangenziale di collegamento tra l'autostrada A11 e la SS12 del Brennero che non ha, evidentemente, più alcun possibile riferimento ad «interessi strategici» nazionali tali da poter giustificare l'inserimento, del progetto all'interno delle procedure semplificate e «centralizzate» della cosiddetta «legge obiettivo». Tutto ciò è confermato dalla stessa tipologia d'intervento prevista, «strada di collegamento extraurbano cat. C 1», che ha portato ad uno spostamento delle competenze per il parere sulla valutazione di impatto ambientale dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare agli uffici della provincia di Lucca, che a sua volta, ha espresso molte perplessità sull'adeguatezza degli studi e degli interventi previsti nel progetto preliminare. Il rilievo in merito allo spostamento delle competenze è stato mosso anche dai garanti dell'inchiesta pubblica predisposta dalla provincia di Lucca conclusasi nel mese di ottobre 2014;
   nella delibera del C.I.P.E. n. 4/2014 si legge che «la legge di stabilità 2014 ha autorizzato la spesa di 485 milioni di euro per la realizzazione di nuove opere». Il criterio per la selezione delle nuove opere è espresso a pagina 34 ed è individuato con l'attuazione del piano investimenti 2007-2011 allegato al contratto di programma ANAS 2007 (DPEF 2008-2012, Allegato G);
   in tale piano di investimenti però la realizzazione della «tangenziale di Lucca» non appare affatto menzionata, minando, quindi, alla base i presupposti che permetterebbero un legittimo stanziamento di fondi da parte del CIPE per il finanziamento del primo stralcio di tale opera –:
   se, alla luce dei fatti, il Governo attribuendo al progetto in questione la qualifica di «opera strategica», provvederà al finanziamento attraverso delibere CIPE o se non intenderà revocare tale qualifica e le azioni economiche che ne conseguiranno. (5-04902)


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, MANNINO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sono in fase di realizzazione i «Lavori di riqualifica, con caratteristiche autostradali, della s.p. n. 46 “Rho-Monza”, dal termine della tangenziale nord di Milano (galleria artificiale) al ponte sulla linea ferroviaria Milano – Varese (compreso), corrispondenti alle tratte 1 e 2 del progetto preliminare della viabilità di adduzione al sistema autostradale esistente a8/a52»;
   con decreto n. 2 del 7 gennaio 2014 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha decretato la compatibilità ambientale del progetto relativo alla realizzazione della riqualifica con caratteristiche autostradali della sp 46 Rho-Monza individuando, tuttavia, una molteplicità di prescrizioni da osservarsi tanto prima dell'avvio dei lavori, quanto in fase di cantiere e nella successiva fase di esercizio dell'opera;
   al fine di verificare l'effettiva ottemperanza delle prescrizioni individuate, il succitato decreto ministeriale ha previsto l'istituzione di uno specifico Osservatorio ambientale istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, composto – tra gli altri – da rappresentanti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della regione Lombardia e della provincia di Milano;
   il decreto ministeriale prevede che «L'Osservatorio, che si avvarrà del supporto tecnico di Arpa Lombardia, dovrà anche effettuare tutte le attività occorrenti ai fini della vigilanza, monitoraggio e controllo delle attività di cantiere»;
   non si ha alcuna evidenza pubblica dell'attività svolta da tale osservatorio, infatti al riguardo non risulta reperibile nessuna informazione sui siti web delle autorità interessate, in violazione di quanto previsto dall'articolo 28 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   a seguito di quanto richiesto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, personale della UO procedimenti integrati, con la partecipazione di personale della UO. Attività produttive e controlli del dipartimento di Milano di ARPA, sede di Paderno Dugnano, ha effettuato un sopralluogo, in data 17 febbraio 2015, presso il cantiere base di via Nazario Sauro in Paderno Dugnano e nelle aree interessate dalle attività di lavorazione per la realizzazione dell'opera, rilevando gravi e manifeste inosservanze alle prescrizioni ambientali stabilite in decreto;
   a titolo di esempio, secondo il decreto ministeriale 2 del 7 gennaio 2014: «Tutte le opere viarie, in fregio ai corsi d'acqua, dovranno rispettare il vincolo di inedificabilità di 10 metri dal ciglio superiore del corso d'acqua, misurato dal piede dei rilevati stradali». Nel caso del ponte sul Seveso, costruito all'interno del cantiere di Paderno Dugnano, in via Colzani, le sponde risultano invece essere pochi metri se non addirittura nel letto del fiume. Il ponte, così come costruito, oltre a violare il quadro prescrittivo di riferimento, rappresenta un serio ostacolo al naturale deflusso delle acque;
   attesa la semplicità con cui sono di fatto riscontrabili le anomalie segnalate, appare anomalo il protrarsi nel tempo di una condizione fattuale difforme dagli strumenti normativi di riferimento qui segnalati;
   alcune delle situazioni sopra descritte sono state oggetto di specifico intervento degli organi di polizia locale di Paderno Dugnano che hanno, nelle immediatezze dell'intervento, verbalizzato le anomalie rilevate –:
   quali misure intenda mettere in atto il Governo per evitare, in tali cantieri, la possibile violazione delle prescrizioni a tutela del territorio, dell'ambiente e delle norme urbanistiche, prescritte dall'ordinamento vigente ed i conseguenti danni per territorio e cittadini. (5-04903)


   PELLEGRINO, ZARATTI, DANIELE FARINA e FRANCO BORDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 31 dicembre 2014 il Fatto Quotidiano.it ha pubblicato un articolo dal titolo: Brebemi, in legge di Stabilità 300 milioni per l'autostrada «senza soldi pubblici» ove si legge: «Il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi non aveva voluto confermare le indiscrezioni sull'intenzione di concedere un aiutino alla A35, il cui piano economico finanziario è a rischio a causa dei transiti molto inferiori alle attese. Nel testo della manovra è spuntato però un “fondo per la realizzazione di opere di interconnessione di tratte autostradali” I soldi pubblici che a metà dicembre il Ministro dei Trasporti Maurizio Lupi diceva di “non sapere” se sarebbero stati stanziati per l'autostrada Brebemi alla fine sono spuntati. Come ha rilevato L'Eco di Bergamo, nella legge di stabilità 2015 al comma 299 è disposta l'istituzione di un fondo da 300 milioni complessivi (20 all'anno dal 2017 al 2013) per la “realizzazione di opere di interconnessione di tratte autostradali per le quali è necessario un concorso finanziario per assicurare l'equilibrio del Piano economico e finanziario”. Esattamente la situazione della A35, inaugurata in pompa magna l'estate scorsa dal premier Matteo Renzi ma le cui sei corsie restano ampiamente sottoutilizzate. Con il risultato che i mancati introiti da pedaggi, uniti a costi di costruzione più alti del previsto, mettono a rischio la sostenibilità dell'opera di cui sono soci Gavio e Intesa Sanpaolo. Di qui la necessità di un “aiutino” pubblico, nonostante, appunto, solo poche settimane fa Lupi sí sia rifiutato di confermare l'ipotesi e abbia ricordato che i vertici della Brebemi avevano spesso sottolineato di aver costruito la prima autostrada “senza soldi pubblici”. Affermazione di per sé lontana dal vero, considerato che a finanziarla sono state in gran parte la Cassa depositi e prestiti, controllata all'80 per cento dal Tesoro, e la Banca europea degli investimenti. Peraltro al ministro aveva subito replicato a muso duro Roberto Maroni, secondo il quale in caso di mancato intervento il governo avrebbe dovuto “assumersi la responsabilità delle conseguenze”. Semplicemente, aveva fatto presente il governatore della Lombardia, bisogna decidere “se questa opera resta o chiude”. Ora la palla è nelle mani di Lupi. Nel testo della manovra si legge infatti che “alla ripartizione delle risorse” stanziate “si provvede con delibera del CIPE su proposta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.»;
   la legge di stabilità 2015, tra le altre disposizioni, infatti, ha previsto l'istituzione di un «Fondo» presso lo stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con una dotazione di 20 milioni di euro annui per il periodo dal 2017-2031, prioritariamente finalizzato alla realizzazione di opere di interconnessione di tratte autostradali per le quali è necessario un concorso finanziario per assicurare l'equilibrio del Piano economico finanziario;
   un articolo del settimanale «L'Espresso del 5 gennaio 2015, a firma di Michele Sasso, dal titolo «Brebemi, l'autostrada amica di Renzi e Maroni», ricorda come la Brebemi si sia rivelata «un clamoroso flop: sbagliati clamorosamente le previsioni per i flussi di traffico. Servirebbero 60 mila veicoli al giorno, non si arriva e 20 mila. E poi ci sono i costi di costruzione lievitati a dismisura in 18 anni per vedere sei corsie in mezzo ai campi. Risultato? Per metterci una pezza si batte cassa con il Governo». Da qui le risorse stanziate nella legge di stabilità 2015. Risorse stanziate, secondo gli interroganti, in contrasto con la volontà del Parlamento, dato che la Commissione ambiente ha chiesto di monitorare l'operazione affinché i costi dell'autostrada non gravassero sulle casse dello Stato;
   va peraltro evidenziato, come fino a maggio 2015, gli utenti Telepass che percorreranno l'autostrada Brescia-Milano hanno diritto a una riduzione del 15 per cento sul costo del pedaggio. Come ricorda il mensile «Altreconomia» ai mancati introiti da pedaggio (il 15 per cento di sconto accordato agli utenti Telepass per cinque mesi del 2015) corrisponde anche un disequilibrio nel piano finanziario dell'opera, la cui situazione economica era già in difficoltà. Ci si domanda chi paga alla fine, lo sconto di Brebemi –:
   se corrisponda il vero che lo stanziamento di cui in premessa, raggiungendo la considerevole cifra complessiva di 300 milioni di euro, sia stato voluto per la Brebemi, come peraltro si evincerebbe dalla stampa nazionale e locale e in tal caso come sia possibile, trattandosi di un'opera che doveva essere originariamente a totale finanziamento privato, che venga addirittura prevista la possibilità di una erogazione diretta di risorse pubbliche da parte del CIPE. (5-04904)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il progetto preliminare della linea AV/AC Torino-Venezia, per la tratta Verona-Padova, è ricompreso tra quelli relativi alle opere individuate dal I Programma delle infrastrutture strategiche ed è stato redatto da RFI e trasmesso al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in data 10 giugno 2003;
   al suddetto progetto sono state avanzate dalla regione Veneto una serie di osservazioni preliminari con richiesta di modifiche e varianti riguardanti anche l'attraversamento del nodo di Padova, per il quale si chiedeva la realizzazione di una fermata AC/AV sotterranea sotto l'attuale stazione di Padova Centrale;
   in considerazione dell'elevato costo di realizzazione di detta stazione sotterranea, valutato in uno studio di integrazione progettuale redatto da Rfi in 243 milioni di euro, recentemente è stata avanzata, da parte di alcuni soggetti istituzionali, una proposta per una nuova stazione per l'alta velocità da realizzarsi a circa 3 chilometri ad est di Padova Centrale, in località San Lazzaro dove a suo tempo era già stata prevista la realizzazione di una nuova fermata a servizio del Sistema ferroviario metropolitano regionale;
   questa nuova ipotesi progettuale per la nuova stazione AC/AV di Padova, presentata da Confindustria Padova ed elaborata con la società che ha progettato il nodo di Vicenza, ha raccolto il favore di regione Veneto, comune di Padova, camera di commercio di Padova e Confindustria di Padova che, nel mese di febbraio, hanno sottoscritto un protocollo d'intesa per la realizzazione dello studio di prefattibilità dei collegamenti ferroviari e viari della nuova stazione AV/AC RFI di Padova San Lazzaro;
   oggetto del protocollo d'intesa è la redazione di uno studio di prefattibilità ferroviario e viabilistico per la stazione Padova San Lazzaro, per il quale sono stati stanziati 50 mila euro, dei quali 15 mila a carico della regione del Veneto;
   stupisce come per un progetto così impattante per il territorio circostante e che prevede tutta una serie di riqualificazioni della stazione attuale, della viabilità e dell'urbanistica di San Lazzaro, non sia stata coinvolta, fin dalla fase degli studi progettuali, la società RFI, al fine di un approfondimento tecnico sulla viabilità, sui flussi e sulla distribuzione del traffico ferroviario nella tratta di cui in oggetto;
   ad avviso dell'interrogante, il progetto di una nuova stazione AV da realizzarsi in un quartiere, quale quello di San Lazzaro, situato agli estremi nordorientali del territorio comunale della città di Padova, non risponde ai criteri di economicità ed efficienza, dal momento che richiederebbe la costruzione ex novo di un nodo dei trasporti, con i relativi costi legati all'edilizia della nuova stazione, alla viabilità e alla costruzione di fabbricati di servizio;
   inoltre, come sottolineato nell'analisi tecnica condotta dall'associazione Ferrovie a Nordest nel caso di Padova la fermata San Lazzaro era già prevista quale fermata per il Sistema ferroviario metropolitano regionale per cui sarebbe stato sufficiente recuperare il progetto esistente piuttosto che deliberare lo stanziamento di risorse pubbliche per finanziare nuovi e costosi progetti –:
   alla luce delle considerazioni esposte in premessa, se il Ministro interrogato possa fornire ulteriori informazioni in merito all'ipotesi progettuale per la realizzazione di una nuova stazione AC/AV di Padova San Lazzaro e se non ritenga opportuno procedere urgentemente con l'istituzione di un tavolo tecnico e di una consultazione pubblica per approfondire pubblicamente le reali esigenze di realizzazione di una nuova stazione ferroviaria in località San Lazzaro, nonché valutare, insieme a tutti gli attori coinvolti, tra cui RFI, le alternative progettuali esistenti, al fine di individuare la soluzione più vantaggiosa per la città di Padova e per i suoi abitanti. (5-04894)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è diritto inalienabile e riconosciuto il rispetto del mantenimento del servizio universale e della continuità territoriale con le isole;
   tale servizio costituisce un diritto fondamentale e inalienabile alla mobilità di passeggeri e merci, senza discriminazioni e a pari condizioni;
   la decisione di privatizzare la Compagnia marittima Tirrenia senza attivare misure di salvaguardia efficaci per il mantenimento di tale diritto inalienabile ha provocato, con particolare riferimento alla Sardegna, gravissime discriminazioni e violazioni del diritto inalienabile alla continuità territoriale marittima;
   il rischio persistente che la già grave e penalizzante procedura di privatizzazione della Tirrenia possa degenerare con l'acquisizione di un'ulteriore quota di capitale azionario da parte di un concorrente diretto della stessa Tirrenia rende ancora più lesivo il diritto ad un servizio universale e garantito del diritto alla mobilità;
   in questo quadro, per il quale sono avviate azioni tendenti a segnalare alle autorità competenti tale eventualità e rischio, si inserisce anche la gestione del servizio di continuità territoriale tra le isole minori disciplinate anch'esse da norme esplicite sul mantenimento del servizio universale;
   l'evoluzione del processo di privatizzazione e nel contempo dei gravissimi limiti riscontrati nell'applicazione del principio di continuità territoriale e di oneri di servizio pubblico impongono una puntuale analisi e modifica sostanziale delle norme vigenti e della loro applicazione;
   risultano non più rinviabili una valutazione e un indirizzo del Parlamento tesi a tutelare in modo chiaro ed inequivocabile il principio di continuità territoriale e la sua tutela da potenziali e acclarate speculazioni private nell'ambito dello svolgimento di un servizio pubblico;
   in tal senso tale orientamento deve prendere spunto dalle lacune sostanziali e legislative riscontrabili nelle disposizioni legislative in essere;
   in particolar modo si deve far riferimento alle norme con le quali si è preso atto delle procedure di infrazione comunitaria al riguardo della privatizzazione della Tirrenia e della sua gestione;
   il decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 (in Gazzetta Ufficiale – serie generale – n. 223 del 25 settembre 2009), coordinato con la legge di conversione 20 novembre 2009, n. 166 (in questo stesso supplemento ordinario alla pag. 1), recante: «Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee» reca infatti norme relative alla privatizzazione della Tirrenia previste all'articolo 19-ter disposizioni di adeguamento comunitario in materia di liberalizzazione delle rotte marittime al comma 7 dispone: A decorrere dal 1o gennaio 2010, le funzioni e i compiti di programmazione e di amministrazione relativi ai servizi di cabotaggio marittimo di servizio pubblico che si svolgono all'interno di una regione sono esercitati dalla stessa regione. Per le regioni a statuto speciale il conferimento delle funzioni e dei compiti avviene nel rispetto dei relativi statuti»;
   è evidente ed esplicito il riferimento allo Statuto della regione Sardegna e alle sue prerogative;
   in tal senso il comma 9 del medesimo provvedimento disciplina: «Ai fini di cui al comma 8: a) entro il 31 dicembre 2009: 5) sono approvati dalle regioni Sardegna e Toscana, secondo i rispettivi ordinamenti e nel rispetto del mantenimento del servizio universale e della continuità territoriale con le isole, gli schemi di contratti di servizio di durata non superiore a dodici anni con le società, rispettivamente, Saremar e Toremar, costituenti altresì atti delle gare di cui al numero 4);
   anche in questo dispositivo appare esplicito il richiamo alle prerogative statutarie della Sardegna;
   ma tale norma di salvaguardia appare ancora più evidente nell'ambito del comma 24 dove in modo inequivocabile le norme in materia di privatizzazione appaiono in modo inequivocabile rinviate a specifiche norme d'attuazione;
   il comma 24 infatti dispone quanto segue: per le regioni a statuto speciale l'efficacia delle disposizioni di cui ai commi da 1 a 22 è subordinata all'emanazione, ove occorrente, di apposite norme di attuazione;
   in questo contesto appaiono rilevanti le norme e la giurisprudenza europea che articolano le proprie disposizioni in funzione del servizio universale di continuità territoriale, della tutela della non discriminazione e dell'onere del servizio pubblico;
   in tal senso appare indispensabile richiamare due fondamentali richiami della commissione europea in merito all'applicazione dei regolamenti:
    la Commissione europea, D.G. energia e trasporti, nella lettera prot. n. D (2009) 75213 del 21/12/2009, indirizzata alle autorità italiane nel quadro della procedura di infrazione n. 2007/4609; con riferimento al percorso di privatizzazione definito nel decreto-legge n. 135 del 25 settembre 2009, ha precisato, altresì, che «ai fini dell'applicazione del regolamento 3577/92 sul cabotaggio marittimo è del tutto irrilevante che gli operatori del servizio pubblico siano pubblici o privati»;
   la Commissione europea, nella lettera del dicembre 2009 ha affermato che «se le regioni effettuano il servizio «in house» ai sensi della sentenza Anav della Corte di giustizia (C-410/04) e tutti i relativi requisiti sono rispettati, il regolamento 3577/92 può considerarsi correttamente applicato»;
   la Corte di Giustizia europea, sez. I, 6 aprile 2006, n. C-410/04 ha emesso la sentenza su «Libera prestazione dei servizi — Servizio di trasporto pubblico locale — Affidamento senza procedura di gara — Affidamento da parte di un ente pubblico ad un'impresa di cui esso detiene il capitale»;
   in primo luogo la Corte di Giustizia ha richiamato le norme di riferimento alle quali ha ispirato la propria decisione:
    l'articolo 43 CE così prevede: «Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate (...). La libertà di stabilimento importa l'accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell'articolo 48, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali»;
    l'articolo 46 CE ha il seguente tenore: «1. Le prescrizioni del presente capo e le misure adottate in virtù di queste ultime lasciano impregiudicata l'applicabilità delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che prevedano un regime particolare per i cittadini stranieri e che siano giustificate da motivi d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica. 2. Il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 251, stabilisce direttive per il coordinamento delle suddette disposizioni»;
    l'articolo 49, primo comma, CE così prevede: «Nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno della Comunità sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione»;
    il testo dell'articolo 86, n. 1, CE e il seguente: «Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme del presente trattato, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 12 e da 81 a 89 inclusi»;
   in tal senso la Corte di Giustizia si è così pronunciata: «Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara: Gli artt. 43 CE, 49 CE e 86 CE, nonché i principi di parità di trattamento, di non discriminazione sulla base della nazionalità e di trasparenza non ostano a una disciplina nazionale che consente ad un ente pubblico di affidare un servizio pubblico direttamente ad una società della quale esso detiene l'intero capitale, a condizione che l'ente pubblico eserciti su tale società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente che la detiene;
   il 22 gennaio 2014 Joaquín Almunia, vicepresidente e commissario per la politica di concorrenza, in relazione alla procedura riguardante la vicenda Saremar, con una nota ufficiale ha dichiarato: «Gli Stati membri e le autorità regionali sono ovviamente liberi di finanziare servizi di interesse economico generale. Tuttavia, come previsto dalle norme UE, il finanziamento dovrebbe essere trasparente e basato su obblighi di servizio pubblico chiaramente definiti»;
   in particolar modo, e a sottolineare le responsabilità della regione Sardegna, nella grave gestione della vicenda Saremar la commissione scrive: La normativa SIEG prevede che i prestatori di servizi pubblici possano ricevere una compensazione pari ai costi netti sostenuti per assolvere ai loro obblighi di servizio pubblico, qualora i parametri per calcolare la compensazione siano previamente definiti e gli obblighi di servizio pubblico siano definiti in modo chiaro. Tuttavia, quando Saremar era stata incaricata dell'esercizio delle due rotte marittime, non era stato definito un relativo meccanismo di compensazione. Inoltre, gli atti di incarico non definivano chiaramente gli obblighi di servizio pubblico imposti a Saremar. La Commissione ha concluso che Saremar non aveva diritto a una compensazione e doveva rimborsare le somme ricevute;
   in questo contesto appare ancora più esplicito il richiamo della commissione nella decisione assunta: l'importo della compensazione non deve eccedere quanto necessario per coprire i costi netti determinati dall'adempimento degli obblighi di servizio pubblico, compreso un margine di utile ragionevole (punto 21);
   nella Decisione della Commissione del 22.01.2014 sulle Misure di Aiuto Sa.32014 (2011/C), Sa.32015 (2011/C), Sa.32016 (2011/C) cui la regione Sardegna ha dato esecuzione a favore di Saremar al punto (254) la commissione Europea inquadra la Saremar in un servizio gestito in house e infatti scrive: Sembrerebbe in effetti che Saremar agisca per conto della RAS come strumento per l'attuazione delle politiche di trasporto marittimo e sviluppo regionale della RAS;
   sempre nella decisione richiamata del 22 gennaio 2014 si fa esplicito riferimento alle condizioni finanziarie e gestionali della Saremar e le possibili strade percorribili per il suo salvataggio. Al punto (261) della decisione è infatti scritto: «Per le ragioni precisate in appresso, la Commissione ritiene che Saremar potesse essere considerata un'impresa in difficoltà ai sensi degli orientamenti per il salvataggio e la ristrutturazione all'epoca della concessione della compensazione;
   è esplicito il richiamo della commissione alle condizioni per il salvataggio e l'interesse della parte pubblica al suo intervento diretto nel salvataggio. In particolar modo al punto 262 della decisione del 22 gennaio 2014 è scritto:
    (262) Ai sensi del punto 9 degli orientamenti per il salvataggio e la ristrutturazione, un'impresa è considerata in difficoltà quando non è in grado di riprendersi con le proprie risorse o con le risorse che può ottenere dagli azionisti o sul mercato e se, in assenza di un intervento esterno delle autorità pubbliche, sarebbe quasi certamente costretta a uscire dal mercato;
    al punto 270 della decisione la commissione richiama esplicitamente un percorso possibile di salvataggio che la regione non solo non ha perseguito ma che ha maldestramente disatteso: (270) Poiché la società non ha ricevuto aiuti per salvataggio o ristrutturazione negli ultimi dieci anni, la Commissione conclude che è rispettato il principio del cosiddetto «aiuto una tantum» di cui al punto 72 e successivi degli orientamenti per il salvataggio e la ristrutturazione;
    a conferma del fatto che lo Stato Italiano e la regione Sardegna dovessero e soprattutto potessero attivare procedure di salvataggio è indicato al punto 273 della decisione dove è previsto: (273) In secondo luogo, perché una misura possa essere considerata compatibile ai sensi dei punti 34 37 degli orientamenti per il salvataggio e la ristrutturazione, il piano di ristrutturazione deve analizzare nei dettagli i problemi all'origine delle difficoltà e precisare i mezzi con cui si intende procedere per ripristinare la redditività a lungo termine e la salute della società entro un lasso di tempo ragionevole. Il piano di ristrutturazione deve essere elaborato sulla base di ipotesi realistiche circa le condizioni operative future, prendendo in considerazione scenari diversi – ottimisti, pessimisti e intermedi – che tengano conto dei punti di forza e delle debolezze specifiche dell'impresa. Il piano deve essere presentato alla Commissione corredato di tutte le informazioni utili, tra cui in particolare uno studio di mercato;
    al punto 274 la Commissione europea dichiara esplicitamente: (274) Nessun piano avente queste caratteristiche è stato trasmesso alla Commissione. È vero che la RAS ha presentato un piano industriale per Saremar per il periodo 2011 – 2022; è anche vero, però, che tale piano non rispetta le prescrizioni degli orientamenti per il salvataggio e la ristrutturazione;
    a conferma di quanto richiamato in numerosi atti di sindacato ispettivo relativamente alla gestione della continuità territoriale è fondamentale richiamare il principio disciplinato al punto 21 della disciplina SIEG del 2011: «l'importo della compensazione non deve eccedere quanto necessario per coprire i costi netti determinati dall'adempimento degli obblighi di servizio pubblico, compreso un margine di utile ragionevole.» A norma del punto 24 della disciplina SIEG del 2011, il costo netto necessario per l'adempimento degli OSP deve essere calcolato sulla base di un confronto della situazione del fornitore con e senza gli OSP da assolvere;
   risulta evidente che alla luce di quanto enunciato e disposto dalla giurisprudenza comunitaria e statale risulta possibile un intervento che possa ripristinare un pieno e adeguato servizio di continuità territoriale tra la Sardegna e le isole minori, salvaguardando i livelli occupazionale e garantendo una gestione diretta del servizio stesso, al fine di scongiurare distorsioni del servizio e di possibili fenomeni speculativi sulla gestione dello stesso –:
   se il Governo non ritenga necessario predisporre, proporre e approvare, d'intesa con la regione Sardegna, norme di attuazione che prevedano:
    a) la salvaguardia del diritto alla continuità territoriale tra isole minori in quanto diritto universale e inalienabile;
    b) l'attuazione del pieno diritto delle regioni a statuto speciale a disciplinare il servizio di cabotaggio marittimo secondo le articolazioni da definire con norme di attuazione in base alle normative vigenti;
    c) di dare attuazione alle disposizioni e alla stessa giurisprudenza che prevedono l'esercizio del servizio pubblico del cabotaggio marittimo attraverso società in house considerato che la stessa Commissione ha affermato che se le regioni effettuano il servizio «in house» ai sensi della sentenza Anav della Corte di giustizia (C-410/04) e tutti i relativi requisiti sono rispettati, il regolamento 3577/92 può considerarsi correttamente applicato;
   di adottare d'intesa con la regione Sardegna azioni e atti che prevedano il salvataggio e la ristrutturazione della società Saremar anche alla luce delle comunicazioni che la Commissione europea ha rivolto allo Stato italiano con le quali ha preso atto del mancato avvio di un piano industriale teso al salvataggio e ristrutturazione della società Saremar, con la conseguente soluzione delle condizioni pregiudiziali alla gestione della società stessa, anche di natura giudiziaria;
   l'imposizione dell'onere del servizio pubblico per i collegamenti tra le rotte minori regionali, tra le quali quelle da e per l'isola di Carloforte, la Maddalena e tra Santa Teresa di Gallura e la Corsica;
   una tariffa unica passeggeri, senza alcuna discriminazione di residenza, da ottenere con parametri oggettivi chilometrico ferroviari;
   una tariffa unica massima ammissibile che non superi l'attuale tariffa prevista per i residenti;
   clausole di salvaguardia totale per i lavoratori della società Saremar e delle condizioni contrattuali e previdenziali pregresse;
   l'ammodernamento del naviglio a disposizione attraverso un serio e concreto piano industriale. (5-04905)

Interrogazione a risposta scritta:


   CRISTIAN IANNUZZI, MASSIMILIANO BERNINI, GRILLO, CATALANO e FAVA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal prossimo mese di giugno 2015, il traghettamento dei treni da e per la Sicilia è destinato ad essere soppresso. I passeggeri in arrivo o in partenza dovranno scendere dal treno a Messina o a Villa San Giovanni e proseguire il viaggio via traghetto per poi salire su un nuovo treno;
   la decisione è stata confermata dal management delle Ferrovie dello Stato durante il confronto del 2 febbraio a Roma con i sindacati. In sostanza, prima c'erano 14 treni che collegavano la Sicilia con il resto dell'Italia, con il tempo sono stati ridotti a 5, tre diurni e due notturni. Ora dal prossimo giugno non sarà previsto nessun treno di giorno, ne resterà solo uno di notte e dei due traghetti delle Ferrovie attualmente i servizio sullo Stretto ce ne sarà soltanto uno;
   si tratta dell'attuazione di un progetto di rimodulazione del servizio diurno di treni a lunga percorrenza da e per la Sicilia che prevede l'ipotesi del traghettamento dei passeggeri sullo Stretto con navi veloci per ridurre i tempi di attraversamento;
   non si tiene conto però del fatto che, con questa soppressione quasi totale dei treni, si registreranno da subito 102 esuberi soltanto nel settore navigazione e la fine degli imbarchi periodici per circa 70 precari che ruotano nella flotta di Stato con contratto a tempo determinato. Con le ricadute sulla manovra, manutenzione e personale mobile di ferrovie, aggiunte al personale dell'indotto, la perdita di posti di lavoro si attesta intorno alle 700 unità;
   per precari e indotto l'azienda ferroviaria non ha alcun obbligo di ricollocazione; i ferrovieri in esubero sarebbero invece impiegati nell'assistenza ai passeggeri del treno che dalla stazione centrale dovranno raggiungere i mezzi veloci per attraversare lo Stretto;
   anche per i passeggeri si annunciano tempi difficili: in teoria la riduzione dei tempi di attraversamento (nelle intenzioni di RFI si dovrebbe passare dagli attuali 80 minuti a 20 minuti) dovrebbe avvenire grazie anche a interventi infrastrutturali negli scali per agevolare il passaggio treno/nave con supporto alla mobilità dei passeggeri;
   tali interventi strutturali dovrebbero consistere, stando alle dichiarazioni dei funzionari del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti che hanno partecipato all'incontro con gli enti locali interessati tenutosi a Roma il 6 febbraio 2015, in «tapis roulant, scale mobili e opere strutturali e infrastrutturali che rendano funzionale il servizio insieme a un maggior numero di collegamenti, servizi garantiti e assistenza passeggeri»;
   tuttavia nulla si è detto a proposito dei tempi di realizzazione, mentre è certo che tra appena quattro mesi l'attraversamento dello Stretto sarà già soltanto pedonale; chi giungerà a Messina su rotaia per proseguire verso il continente dovrà scendere dal treno, bagagli in mano, e raggiungere a piedi l'approdo della Metromare che non è neanche a portata di mano;
   restano i numeri a delineare il quadro di una lenta ma costante desertificazione dell'offerta: nel 2005 i treni a lunga percorrenza diretti dalla Sicilia al Nord erano 56, nel 2012 si sono ridotti a dieci, da giugno ne rimarranno solo due;
   appare evidente che tale ulteriore ridimensionamento del servizio ferroviario rientri in un progetto più ampio di totale abbandono della Sicilia al proprio destino a favore di soluzioni economicamente più vantaggiose per il gruppo Ferrovie dello Stato –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine di garantire la continuità territoriale, salvaguardando i livelli occupazionali dei lavoratori impiegati nel settore ed evitando l'ulteriore aggravio dello stato di isolamento della Sicilia rispetto al resto del territorio italiano. (4-08244)

INTERNO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

I Commissione:


   MATTEO BRAGANTINI e BORGHESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a livello europeo il settore armiero è stato recentemente disciplinato con l'adozione del regolamento (CE) n. 258/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 marzo 2012, emanato con l'intento di armonizzare le normative dei singoli Stati dell'Unione;
   a causa di un recepimento troppo restrittivo delle nuove normative europee, la già complessa istruttoria aziendale delle pratiche è passata dalle 16 pagine originarie alle attuali 86, caricando di ulteriore lavoro gli uffici delle questure e del Ministero dell'interno e paralizzando di fatto l'attività di export dell'intero comparto;
   pare che in altri Stati europei l'applicazione del regolamento 258/2012 non sia stata così restrittiva;
   in Italia, a differenza di altri Paesi dell'Unione europea, non vi è ad esempio una «black list» di Stati verso i quali sia fatto divieto esportare, ma ogni singola operazione esige un'apposita istanza, cui seguono ulteriori adempimenti da parte del cliente;
   tutte le procedure debbono essere altresì perfezionate su supporto cartaceo, con conseguenti aggravi di costi e tempi;
   malgrado il regolamento europeo preveda la possibilità di chiedere «open licence» valide per più clienti e per più quantitativi, la normativa italiana non prevede tale opportunità e permette al massimo licenze multiple valide solo per un solo destinatario;
   da tutto quanto precede risulta una grave perdita di competitività del compatto armiero nazionale interamente da ascrivere all'intervento normativo del nostro Paese –:
   se e quali iniziative il Ministro intenda assumere per modificare la normativa di recepimento del regolamento comunitario in questione al fine di agevolare l'attività di export, alleggerendo oneri e gravami burocratici che da diversi mesi stanno danneggiando pesantemente le imprese armiere rischiando di comprometterne la produzione ed i livelli occupazionali. (5-04916)


   COZZOLINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 22 agosto 2014, n. 119, come modificato dalla legge 17 ottobre 2014, n.146, prevede all'articolo 6 comma 2 l'istituzione di un fondo con una dotazione finanziaria di euro 62.700.000 per l'anno 2014, al fin di fronteggiare le esigenze straordinarie connesse all'eccezionale afflusso di stranieri sul territorio nazionale;
   sempre il comma 2 dell'articolo 6 del predetto decreto dispone che la ripartizione del fondo deve essere effettuata entro il 31 dicembre 2014 con decreto del Ministro dell'interno, previa intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze;
   il 2014 è stato l'anno in cui si è registrato il massimo afflusso di migranti sulle coste italiane con la cifra record di 170.816 arrivi sulle coste italiane –:
   se l'obbligo di legge di cui all'articolo 2, comma 6, del decreto-legge 22 agosto 2014, n. 119, come modificato dalla legge di conversione 17 ottobre 2014, n. 146, sia stato adempiuto entro i termini previsti, attraverso l'emanazione del decreto ministeriale di riparto del fondo di euro 62.700.000. (5-04917)


   GIGLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in provincia di Udine gli immigrati richiedenti asilo che sono complessivamente transitati dal settembre 2013 ad oggi sono 1202, di cui 682 giunti dalle frontiere terrestri e 520 provenienti dalle frontiere marine per la cosiddetta operazione Mare Nostrum;
   trovano oggi accoglienza nelle varie strutture della provincia di Udine 498 migranti;
   a seguito della circolare ministeriale n. 78 del 20 giugno 2014, sono state attivate dalla prefettura di Udine due tipologie di interventi in favore dei suddetti migranti;
   la prima è la Convenzione denominata «Aura», finalizzata all'accoglienza dei migranti provenienti dalle frontiere terresti, che si è concretizzata in due ulteriori Convenzioni;
   una prima Convenzione, sottoscritta in data 19 settembre 2014 con il comune di Udine, che prevede un costo pari a 29,50 euro per ospite pro capite, pro die. Nell'ambito di questa Convenzione trovano attualmente accoglienza 210 ospiti; una seconda, sottoscritta il 21 ottobre 2014 con il comitato provinciale della Croce Rossa, con un costo pari a 32,00 euro pro capite, pro die, grazie alla quale trovano accoglienza 210 ospiti;
   queste Convenzioni prevedono l'accoglienza dei migranti in residenze private oppure in strutture alberghiere. Vengono, inoltre, corrisposti i servizi di pernottamento, somministrazione dei pasti, forniture di beni per l'igiene personale, vestiario, assistenza ed informazione legale, accompagnamento, assistenza medico-sanitaria, attivazione di percorsi formativi;
   sono poi stato sottoscritte tre Convenzioni, a seguito della conclusione della procedura di gara finalizzate all'accoglienza dei migranti assegnati dai piani di riparto ministeriali e provenienti dalle frontiere marittime;
   una prima, stipulata il 1o settembre 2014 con il centro di accoglienza «E. Balducci» di Pozzolo del Friuli ad un costo pari a 30,00 euro pro capite, pro die, grazie alla quale trovano accoglienza 7 ospiti; nella stessa data è stata sottoscritta una seconda Convenzione, con l'Associazione «Nuovi Cittadini» di Udine, allo stesso costo pro capite e pro die della precedente. Grazie a questa seconda Convenzione sono ospitati, in strutture residenziali. Infine, è stata stipulata una terza Convenzione con il Centro Caritas dell'Arcidiocesi di Udine, in data 21 novembre 2014, per un costo pari a 27,50 euro pro capite, pro die per strutture di accoglienza di tipo residenziale e pari a 30,00 euro pro capite, pro die per l'accoglienza in strutture alberghiere. Grazie a questa terza convenzione sono accolti 108 ospiti;
   queste Convenzioni prevedono servizi di pernottamento in strutture alberghiere. Vengono, inoltre, corrisposti i servizi di pernottamento, somministrazione dei pasti, forniture di beni per l'igiene personale, vestiario, assistenza ed informazione legale, accompagnamento, assistenza medico-sanitaria, attivazione di percorsi formativi, nonché la corresponsione del pocket money giornalieri pari a 2,50 euro;
   riscontro fortemente positivo ha avuto, inoltre, le iniziative prese dalla prefettura di Udine, congiuntamente con la regione Friuli Venezia Giulia, con alcune amministrazioni locali, e con associazioni affidatarie dei servizi collaterali a quelli di albergaggio, per dare concreta attuazione al processo d'integrazione dei migranti;
   a tal fine sono già stati siglati due protocolli d'intesa con i sindaci dei comuni di Nimis e Lignano Sabbiadoro, per lo svolgimento di attività di volontariato da parte dei migranti che lo desiderino in favore delle comunità che li ospitano;
   appare evidente che questi accordi sono un esempio di come si debba concretamente intendere l'accoglienza: non solo garanzia di un pasto e di un letto ma anche, e soprattutto, strumento di concreta integrazione per la reciproca conoscenza tra popolazioni;
   il riscontro positivo di quanto sopra ricordato è confermato anche dalla volontà di attuare iniziative analoghe da parte dei comuni di Venzone e Palmanova;
   risulterebbe, tuttavia, che altre amministrazioni comunali si sono opposte a queste positive azioni, alimentando nelle popolazioni sentimenti xenofobi;
   il termine per il nuovo bando di gara, le cui procedure sono in corso di svolgimento, è stato fissato per il 18 marzo 2015;
   è quindi estremamente necessario consentire la prosecuzione di questo tipo di azione di accoglienza, che risulta particolarmente apprezzata dai migranti ma anche dalle popolazioni ospitanti –:
   se il Ministro interrogato intenda, nell'ambito delle sue competenze, agire per assicurare la conferma delle risorse da impiegare per il proseguimento delle azioni qui sopra illustrate, e che hanno avuto il grande merito di favorire non solo l'accoglienza ma anche una prima integrazione tra i migranti e le popolazioni locali e che hanno indirettamente sostenuto alcune strutture ricettive in periodo di sotto-utilizzazione, contribuendo all'economia generale dei comuni ospitanti.
   (5-04918)


   FIANO, CINZIA MARIA FONTANA e CHAOUKI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   domenica 18 gennaio 2015 a Cremona, al termine del derby di calcio Cremonese-Mantova, un uomo di quasi cinquant'anni è stato ricoverato in coma, in prognosi riservata, a seguito delle gravissime lesioni riportate alla testa nel corso di un'aggressione con spranghe, pugni e calci, riconducibile all'estrema destra;
   da notizie a mezzo stampa, alcuni testimoni avrebbero dichiarato che si sarebbe trattato di una vera e propria aggressione condotta da una cinquantina di persone che avrebbero assaltato il centro sociale Dordoni al termine della partita, alcune delle quali riconosciute da testimoni come appartenenti a Casapound e provenienti dalle vicine città di Parma e Brescia;
   sempre da notizie a mezzo stampa, sulle quali sarebbe peraltro in corso un'indagine della questura, sembrerebbe aver preso parte a questo grave episodio di violenza anche il coordinatore provinciale di Casapound Cremona, Gianluca Galli;
   la stessa questura di Cremona avrebbe confermato la circostanza dell'estraneità della partita di calcio con l'aggressione, la cui violenza sarebbe invece riconducibile ad una contrapposizione politica tra Casapound e gli appartenenti al centro sociale Dordoni;
   non è la prima volta che ambienti neo-fascisti ed esponenti di Casapound si rendono protagonisti di episodi di inaudita violenza, apparentemente giustificata da motivi calcisti o politici, come ad esempio avvenuto lo scorso novembre ai danni dei tifosi di calcio dell'Ardita, una squadra romana di terza categoria, considerata di sinistra, in occasione di una trasferta della squadra a Magliano Romano per una partita del campionato di calcio;
   anche in quell'occasione furono usati caschi, spranghe e bastoni e anche in quell'occasione vi sono stati diversi fermi, tra i quali quello di Diego Gaglini, 26enne di Vitorchiano, già candidato sindaco di Viterbo per Casapound alle ultime elezioni comunali del 2013 dopo che l'anno prima, sempre per Casapound, si era candidato alle regionali;
   a dispetto delle gravi notizie riportate, e dei numerosi episodi di violenza emersi nella cronaca, il sito ufficiale di Casapound prevede esplicitamente la possibilità che sia ad essa devoluto il 5 per mille da parte dei contribuenti, alla voce «sostegno alle attività non lucrative e associazioni di promozione sociale», e si propone apparentemente come associazione non lucrativa, dedita principalmente a proposte con forte caratterizzazione sociale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati e se non ritenga di rafforzare il monitoraggio sull'attività dell'associazione Casapound che gli interroganti giudicano anche alla luce dei gravi episodi di violenza di cui si sono resi autori e partecipi significativi esponenti dell'associazione, non coerente con i principi fondativi dell'ordinamento italiano denunciando, ove ne ricorrano gli estremi, condotte antigiuridiche all'autorità giudiziaria. (5-04919)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, LUCIANO AGOSTINI, MARCHETTI, LODOLINI, MANZI, VEZZALI, FERRARA, QUARANTA, MELILLA e PIRAS. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Fano in provincia di Pesaro Urbino conta 61.200 abitanti, secondo la rilevazione Istat del 2013;
   la città, la terza delle Marche per numero di abitanti, è generalmente considerata una «isola felice» dal punto di vista dei fenomeni criminali, questo anche per l'impegno e la professionalità profusi dalle forze di polizia presenti sul territorio, oltre che per un attivismo civico diffuso;
   nel corso degli ultimi anni, tuttavia, anche a causa dell'incedere della crisi economica, si stanno registrando segnali preoccupanti di aumento dei fenomeni criminali di varia entità;
   mentre fenomeni come la prostituzione e lo spaccio di sostanze stupefacenti sono stati mantenuti sotto la soglia di allarme, nell'ultimo anno – in particolare – si registra un aumento del numero di furti nelle abitazioni e nelle aziende del territorio. Fenomeni particolarmente gravi in quanto minano in modo diretto la percezione di sicurezza dei cittadini e l'economia del territorio, già particolarmente provata dalla crisi economica;
   si registra, altresì, un incremento del fenomeno del «turismo criminale»: soggetti che si spostano da altre regioni d'Italia – nord e sud – ma anche da paesi esteri (soprattutto dell'area Adriatica) per commettere reati nel territorio fanese;
   da un paio d'anni crescono anche gli allarmi relativi alle infiltrazioni mafiose nel suddetto territorio, circostanza peraltro segnalata dall'interrogante al Ministro in diverse altre occasioni;
   il procuratore generale presso la corte di Appello di Ancona, all'inaugurazione dell'anno giudiziario 2013, ha parlato di «accertata presenza nelle Marche, anche attraverso “vincoli” con organizzazioni autoctone, di personaggi di una certa caratura criminale provenienti da territori ad alta caratterizzazione mafiosa». Sempre secondo il procuratore generale «la regione Marche per il suo tessuto socio-economico, offre un terreno potenzialmente appetibile dalla criminalità organizzata, per attività di riciclaggio, di penetrazione nel settore degli appalti, oltre che per attività di carattere più strettamente criminale, come traffico di sostanze stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, usura, estorsioni e altro ancora. La mancanza di esperienze storiche di presenze di criminalità organizzata agevola l'aggressione esterna da parte di esponenti di associazioni mafiose strutturate e ben organizzate, molto esperte nella tecnica di dissimulazione e di occupazione progressiva di territori d'interesse». Inoltre, l'alto magistrato ha evidenziato come «le sottovalutazioni, gli atteggiamenti negazionisti o riduzionisti, che spesso accomunano responsabili politici e istituzionali, se pure giustificati dal desiderio di non criminalizzare i propri territori, sono in realtà quelli che provocano la rovina proprio dei territori che intenderebbero tutelare»;
   di analogo segno la relazione 2014 della direzione nazionale antimafia che segnala diverse indagini sulle attività economiche legate ad ambienti criminali di stampo mafioso, condotte nelle Marche dalla direzione distrettuale antimafia di Ancona;
   a fronte di tali segnali allarmanti si registra un altrettanto preoccupante arretramento – dal punto di vista di risorse e uomini impiegati – delle forze di polizia;
   esempio ne è la situazione del commissariato di pubblica sicurezza di Fano – posizionato in una zona strategica che copre, oltre al comune di Fano, anche l'area della Bassa Val Metauro – , che dispone di una pianta organica di appena 45 elementi, tra agenti e funzionari, su una popolazione maggiore di 61.200 abitanti;
   la pianta organica del commissariato è evidentemente inadeguata alle sfide che la sicurezza pone in un periodo delicato come questo, anche secondo autorevoli e qualificate opinioni di esponenti delle stesse forze di polizia;
   il prolungato blocco del turn over, la sospensione della leva obbligatoria – a seguito della legge n. 226 del 2004 la necessità della ferma nell'esercito come requisito preliminare per accedere al concorso nelle forze di polizia, hanno elevato visibilmente l'età media degli agenti di pubblica sicurezza. Nel commissariato citato tale età è stimata attorno ai 47 anni circa;
   l'organico del commissariato di Fano sarà ulteriormente ridotto a causa di imminenti pensionamenti;
   anche per tale ragione, ad avviso degli interroganti, si renderà necessario un intervento del Ministero al fine di integrare, con urgenza, la pianta organica e mantenere uno standard di sicurezza accettabile a fronte delle problematiche del territorio illustrate;
   in prossimità dell'avvio della stagione turistica, i limiti imposti dalla riduzione del personale delle forze di polizia appaiono con maggiore evidenza, anche per l'afflusso di turisti ed il conseguente aumento temporaneo dei cittadini nell'area litorale compresa tra i comuni di Marotta e Gabicce Mare;
   considerate le condizioni di sicurezza sul territorio sarebbe opportuno prevedere un incremento del personale di polizia, in particolare nel comune di Gabicce Mare, per prevenire eventuali episodi criminosi, sopratutto nella stagione estiva –:
   se non ritenga il Ministro interrogato di integrare e potenziare la pianta organica del commissariato di pubblica sicurezza di Fano con almeno 5 nuove unità;
   se non si ritenga di destinare ulteriori unità anche al comune di Gabicce Mare nella stagione estiva, al fine di intensificare i controlli in un'area particolarmente a rischio sotto il profilo dello spaccio di sostanze stupefacenti, anche per la contiguità geografica con la Romagna, regione storicamente interessata da tali fenomeni per la significativa presenza di locali notturni. (5-04908)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco costituisce un patrimonio inestimabile per la sicurezza del Paese;
   i vigili del fuoco sono distribuiti su tutto il territorio nazionale, che presidiano con 377 distaccamenti, 219 dei quali gestiti dai vigili volontari;
   gli uomini in organico sono 31.600, cui vanno aggiunti 20.000 volontari attivi, pari ad 1/5 del totale iscritto nelle liste dei vigili volontari;
   l'orientamento emerso nelle ultime sessioni di bilancio è alla riduzione di distaccamenti ed organici, a fronte di un bisogno di sicurezza che certamente non si è andato riducendo nel corso degli anni ed è anzi aumentato in dipendenza dell'aggravarsi degli effetti del dissesto idrogeologico nazionale;
   gli interventi ordinari del soccorso tecnico-urgente sono circa 700 mila all'anno;
   le retribuzioni spettanti al personale del Corpo nazionale permangono significativamente inferiori a quelle attribuite agli effettivi degli altri corpi dello Stato;
   per effetto dei tagli e delle limitazioni imposte al turnover, il personale soccorritore sta andando incontro anche ad un pericoloso invecchiamento. Già adesso l'età media dei vigili del fuoco è di circa 46 anni;
   i vigili volontari e discontinui sono da anni destinatari di misure che l'interrogante giudica vessatorie, inclusa quella che pone a carico degli aspiranti i costi da sostenere per le visite mediche propedeutiche alla loro partecipazione ai concorsi finalizzati al reclutamento;
   si segnalano altresì in molte realtà locali gravi insufficienze negli equipaggiamenti e nei materiali di consumo, attestate queste ultime dai debiti crescenti contratti con i fornitori di carburante;
   tutto questo accade mentre è allo studio la stabilizzazione di oltre 170 mila precari del mondo della scuola –:
   quali siano le ragioni alle spalle della scelta di ridurre distaccamenti ed organici del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, colpendone in particolare la componente volontaria e discontinua mentre invece si pensa ad una stabilizzazione di massa per la scuola, e come si conti di ovviare contestualmente all'accresciuta domanda di interventi del servizio tecnico-urgente. (4-08246)


   VILLAROSA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il reparto mobile della polizia di Stato svolge un ruolo molto importante e delicato finalizzato a garantire l'ordine pubblico e la sicurezza di tutti i cittadini. Gli agenti di questo reparto sono in prima linea lungo le strade delle città e, con il loro prezioso e difficile servizio, giornalmente, proteggono i cittadini e garantiscono un adeguato ed accettabile livello di sicurezza;
   questi agenti devono, spesso, affrontare situazioni critiche e, altrettanto spesso, si devono porre in relazione con individui devianti e potenzialmente pericolosi; è indispensabile, quindi, che tali agenti, adeguatamente addestrati, siano dotati di una preparazione tecnica e atletica non indifferente al fine di poter svolgere il loro prezioso compito in totale sicurezza anche per loro stessi;
   agli agenti del reparto mobile, anche per le ragioni sopra esposte, vengono riconosciute, giustamente, cospicue indennità, ciò fa sì che il reparto mobile rappresenti un reparto ambito dagli agenti i quali possono riuscire a guadagnare abbastanza sia durante l'attività di servizio ma anche dopo, una volta entrati in pensione;
   da quanto segnalato all'interrogante negli ultimi anni si assiste in maniera sempre più rilevante, ad un significativo aumento delle richieste di trasferimento dalla questura al reparto mobile. Tali richieste, spesso accettate, vengono prevalentemente inoltrate da agenti in età molto vicina a quella del pensionamento ed hanno, come effetto collaterale e prevedibile, quello di far aumentare, anche di molto, l'età media degli agenti che dovranno poi svolgere il compito di protezione e di garanzia di sicurezza per tutti i cittadini compito che richiede peculiari requisiti dal punto di vista fisico;
   da segnalazioni ricevute dall'interrogante si apprende che i trasferimenti al reparto mobile abbiano come elemento discriminante gli anni di anzianità di servizio. In particolare, per quinto riguarda gli ultimi tre blocchi di trasferimento verso il reparto mobile di Palermo, sembrerebbe, siano stati scelti individui con 25-30 anni di anzianità di servizio e, conseguentemente, con un'età anagrafica molto avanzata;
   inoltre, tale procedura penalizza gli agenti in servizio nel reparto mobile di altre città che, dopo quattro anni di servizio acquisiscono il diritto di richiedere il trasferimento per avvicinarsi alla provincia di nascita o di residenza e, spesso, la loro domanda viene respinta, mentre, di contro, assistono a questo utilizzo di trasferimenti come una sorta di «premio alla carriera» ed alle conseguenti indennità e benefici pensionistici, il tutto secondo l'interrogante a discapito dell'interesse generale e del livello di sicurezza che un reparto così speciale deve, o dovrebbe, garantire –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritenga opportuno valutare attentamente i criteri relativi ai trasferimenti verso i reparti mobile della polizia di Stato;
   se non ritenga, al fine di mantenere un'efficienza fisico-prestazionale del reparto mobile, prendere in considerazione l'eventualità di inserire limiti d'età per le richieste di trasferimento o, comunque, di sottoporre gli agenti richiedenti a test di efficienza fisica in modo da garantire nel tempo il prezioso servizio di cui beneficia la collettività. (4-08255)


   PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la gravissima situazione economica e sociale della Sardegna e la degenerazione della sicurezza con oltre 136 attentati ad amministratori pubblici negli ultimi due anni impongono risposte serie e concrete;
   da un Ministro dell'interno ci si aspettano decisioni chiare, immediate e inequivocabili;
   il Ministro dell'interno ha svolto una visita istituzionale in Sardegna che si è tradotta in una ennesima passerella blindata senza alcun fatto concreto sulle questioni fondamentali relative alla sicurezza e le cause concatenate a tale situazione;
   il Ministro ha di fatto blindato non solo la sua visita ma anche l'agenda degli incontri senza tener conto di tutte le gravi emergenze che attanagliano la regione;
   la decisione di non assumere iniziative di confronto sulle questioni prioritarie è un fatto già di per sé grave;
   atteggiamento stigmatizzabile è anche quello della regione che ha accettato a capo chino di sottostare a tali decisioni;
   risulta indispensabile invece imporre al Ministro dell'interno l'agenda sarda su questioni gravi che rischiano di diventare sempre più pericolose per la Sardegna e i sardi;
   l'emergenza sicurezza dei sindaci non la si affronta con scorte e tutele sporadiche;
   serve un chiaro esame del contesto sociale e risposte che alleggeriscano alla radice le pressioni contro i sindaci e gli amministratori;
   se lo Stato continuerà a scaricare sulle autonomie locali tutta la propria esigenza di cassa è evidente che non basteranno scorte e telecamere per contrastare fenomeni di degrado e sicurezza sociale;
   serve prevenzione, servono risposte economiche, giustizia sociale altrimenti il rischio è quello di risposte parziali ed inutili. A questo si aggiunge una pressione fiscale che sottopone sempre di più i sindaci a tensioni di ogni genere alle quali si aggiunge la crisi occupazionale che attraversa l'isola;
   non si può liquidare tutto a colpi di pattuglie;
   servono risposte concrete ed efficaci;
   occorre avere la capacità di individuare le ragioni più profonde della tensione sociale e la sua possibile evoluzione per intravedere e perseguire soluzioni in grado di prevenire tutti gli effetti del disagio e dell'insicurezza sociale;
   è indispensabile riproporre al Ministero dell'interno questioni serie e rilevanti che non possono e non devono essere sottaciute;
   da qui ad aprile oltre 1000 aziende agricole della Sardegna rischiano di andare all'asta mettendo sul lastrico non solo famiglie intere ma aziende importanti per il sistema economico dell'isola;
   vanno bloccate le aste legate al sistema criminale di riscossione;
   il Ministro secondo l'interrogante deve rivolgere formali scuse dello Stato alla famiglia Spanu per quella vergognosa parata violenta dello Stato che ha schierato centinaia di agenti in tenuta antisommossa contro quella povera famiglia;
   episodi di una gravità inaudita che non devono più ripetersi per evitare che la tensione sociale degeneri;
   gli agenti si usino per proteggere i cittadini non per aggredirli e cacciarli via dalle proprie case;
   gran parte degli immigrati che sono arrivati in Sardegna con voli charter e pullman gran turismo dopo 24 ore sono scappati, compresi gli ultimi 12 arrivati a Sadali dopo l'allarme sulle possibili infiltrazioni jihadiste nei carichi di migranti;
   si tratta di denaro sprecato per trasportare immigrati che in poche ore lasciano l'isola senza alcun tipo di controllo;
   occorre imporre uno stop incondizionato al trasferimento in Sardegna di mafiosi, camorristi ed esponenti della ‘ndragheta;
   a tutti i livelli della magistratura l'allarme infiltrazioni mafiose in Sardegna è stato ribadito con forza;
   quel piano del Ministero della giustizia deve essere fermato e il Ministro dell'interno non può e non deve stare a guardare;
   al Ministro dell'interno occorre ribadire che con il trasferimento dei capimafia nell'isola si sta giocando con il fuoco sulla testa della Sardegna e dei sardi;
   nessun presidio di sicurezza deve essere chiuso in Sardegna;
   nelle reiterate interrogazioni viene ribadita la gravità della chiusura di importanti presidi di polizia e non solo in Sardegna, dalle zone interne alle costiere;
   tutto questo deve essere bloccato;
   il Ministro dell'interno deve intervenire immediatamente comunicando che non vi sono le condizioni per fare in Sardegna altri tagli;
   una mancata decisione in tal senso confermerebbe che siamo, invece, dinanzi a visite celebrative destituite di ogni risultato concreto;
   ai sindaci della Sardegna occorrono sicurezza ma anche risorse per contrastare il degrado sociale che molto spesso si trasforma in degenerazione sociale;
   occorre prevenire a monte dando ai sindaci non il ruolo di esattori ma quello di chi sta in trincea a governare un processo sempre più evidente di uno Stato che si ritrae dai suoi obblighi scaricandoli sulle autonomie locali, a partire dall'aspetto finanziario;
   occorre dare risposte in termini economici perché non è più tempo di pacche sulle spalle –:
   se non ritenga di assumere iniziative, proprio in funzione delle gravi tensioni sociali che possono alterare l'ordine pubblico, per un blocco di tutte le aste giudiziarie in attesa di individuare un'azione in grado di eliminare questa gestione scandalosa della riscossione che genera suicidi e fallimenti;
   se non ritenga di dover porre fine alla gestione degli immigrati con l'ausilio di voli charter per trasferimenti verso la Sardegna che risultano poi di fatto fallimentari e inutili;
   se non ritenga di confermare o meno l'ausilio di un elicottero per rintracciare immigrati del contingente ultimo trasferito nel comune di Sadali e scomparsi dopo poche ore;
   se all'interno di quel contingente di 12 immigrati siano state rinvenute connessioni con cellule jihadiste;
   se non ritenga di dover disporre con il Ministro della giustizia il blocco del trasferimento dei detenuti in regime del 41-bis proprio per le gravi infiltrazioni che le stesse autorità giudiziarie hanno manifestato come rilevantissimo pericolo per la Sardegna;
   se non ritenga di dover bloccare tutte le possibili chiusure di presidi di pubblica sicurezza nel territorio della regione Sardegna proprio per le gravissime questioni legate alla sicurezza;
   se non ritenga di dover sollecitare un intervento adeguato dello Stato al fine di consentire ai sindaci sardi di fronteggiare in modo adeguato le gravi emergenze che si registrano in ogni realtà della Sardegna. (4-08257)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   nel 2014, per l'assegnazione dei contratti di formazione delle scuole di specializzazione in medicina e chirurgia, è stata adottata la formula del concorso nazionale; con il decreto ministeriale 8 agosto 2014, n. 612, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 29 agosto 2014, n. 67, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca emanava il bando per l'ammissione alle scuole di specializzazione in medicina per l'anno accademico 2013/2014; il concorso ha visto coinvolti 11.600 candidati, distribuiti in 117 sedi e 442 aule, sottoposti ai quiz tra mercoledì 28 e venerdì 31 ottobre 2014; ogni prova comprendeva 70 domande di carattere generale, più 30 quesiti di macroarea e 10 per la specifica SSM;
   nonostante la cura con cui è stato predisposto il concorso, si sono verificati dei problemi tecnici consistente nell'inversione di un blocco di domande tra due gruppi di partecipanti; i candidati interessati dall'errore tecnico che hanno affrontato le 30 domande presenti nei due blocchi invertiti sono stati circa 2923, 2.125 sono i concorrenti che hanno sostenuto soltanto le prove dell'area medica e 798 quelli che hanno sostenuto la prova inerente ai servizi clinici;
   in prima istanza il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca aveva immediatamente predisposto che il 7 novembre 2014 venissero ripetuti i test e inviato le comunicazioni agli interessati tramite il sito riservato sul portale www.universitaly.it; successivamente nella serata del 3 novembre 2014 il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha riunito parte della commissione nazionale incaricata, questa estate, di validare le domande del quiz, che ha vagliato i quesiti proposti ai candidati per l'area medica (29 ottobre) e quella dei servizi clinici (31 ottobre) stabilendo che, sia per l'una che per l'altra area, 28 domande su 30 erano comunque valide ai fini della selezione;
   il 6 novembre sono uscite le graduatorie le quali hanno generato, ulteriori polemiche: è stato segnalato da molti candidati che nel calcolo delle loro risposte positive e negative si è verificato una sorta di bug, nell'insieme del meccanismo di controllo. Ci si trova quindi davanti ad una concreta minaccia di ricorsi massicci dinanzi ai tribunali amministrativi regionali (TAR), sia per quel che riguarda la correttezza del complessivo procedimento, sia in relazione alla posizione che ciascuno studente occupa in graduatoria;
   negli scorsi anni i ricorsi, ai vari TAR, dei candidati non ammessi hanno prodotto come risultato costante la riammissione nelle facoltà a numero chiuso di studenti precedentemente esclusi; la giurisprudenza dei TAR ha realizzato di fatto una serie di sanatorie;
   nei casi di riammissione di studenti, tale giurisprudenza può incidere, sulla funzionalità delle varie colta, andando a modificare il corretto rapporto docenti studenti, ma non determina maggiori oneri di finanza pubblica;
   nel caso in questione i TAR potrebbero riammettere in graduatoria degli specializzandi, vincolando il sistema a un esborso economico non previsto e soprattutto andando ad incidere sulla disponibilità di contratti di specializzazione per i candidati dei prossimi anni. Se in linea teorica fossero ammessi alla specializzazione tutti gli 11.600 candidati gli oneri assommerebbero a 281 milioni di euro a fronte di una copertura di 127 milioni;
   peraltro, dal confronto internazionale rispetto ad altri Paesi dell'Unione europea, si rileva che in Germania su 8.400 laureati in medicina ogni anno tutti accedono ai corsi di formazione; in Francia ci sono più posti nelle scuole di specializzazione che laureati in medicina; in Spagna e Portogallo solo il 10 per cento dei laureati non accede alla formazione post-laurea; solo in Italia tale quota fino al decreto legge n. 90 del 2014 superava il 40 per cento, dei laureati, poi ridotta al 20 per cento occorre considerare, tuttavia, che tale decreto ha una portata limitata al solo 2015;
   nei prossimi tre anni più di 58.000 tra medici dipendenti del servizio sanitario nazionale, universitari e specialisti ambulatoriali andranno in pensione e, attualmente, il numero dei contratti di formazione specialistica previsti dall'attuale programmazione sarà di 42 mila unità; la recente riforma delle scuole di specializzazione, pur positiva, potrebbe risultare insufficiente a garantire la necessaria copertura dei posti lasciati vacanti –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere, per evitare che l'impatto delle decisioni dei T.A.R. generino rilevanti e non quantificati effetti di finanza pubblica, e incidano sull'attività delle strutture sanitarie, in particolare gli ospedali, dove gli specializzandi svolgono un ruolo rilevante;
   se non ritenga di fissare un principio in base al quale gli accessi alla specializzazione medica siano commisurati ai bisogni reali di salute del territorio.
(2-00876) «De Girolamo».

Interrogazione a risposta orale:


   SBERNA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Costituzione, l'ordinamento comunitario e le Convenzioni internazionali ratificate dall'Italia garantiscono il diritto all'istruzione a tutti i minori, senza discriminazioni fondate sulla cittadinanza o sulla regolarità del soggiorno, dunque anche ai minori stranieri privi di permesso di soggiorno;
   l'articolo 34 della Costituzione infatti riconosce che «La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita»; l'articolo 128, 2 e 3 della convenzione ONU sui diritti del fanciullo (ratificata e resa esecutiva con legge 176/91) rispettivamente stabiliscono che gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo all'educazione, rendono l'insegnamento primario obbligatorio e gratuito per tutti, incoraggiano l'organizzazione di varie forme di insegnamento secondario sia generale che professionale, aperte ed accessibili ad ogni fanciullo e adottano misure adeguate come la gratuità dell'insegnamento e l'offerta di sovvenzioni finanziaria in caso di necessità; i diritti sanciti dalla Convenzione devono essere garantiti a tutti i minori, senza discriminazioni e il superiore interesse del minore deve essere una considerazione preminente in tutte le decisioni riguardanti i minori; l'articolo 2 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo riconosce che «Il diritto all'istruzione non può essere rifiutato a nessuno»; l'articolo 14 della Carta di Nizza dichiara che «ogni individuo ha diritto all'istruzione»;
   l'articolo 2, comma 1 del Testo unico 286/98 riconosce anche allo straniero irregolarmente soggiornante «i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai princìpi di diritto internazionale generalmente riconosciuti»;
   l'articolo 6, comma 2 del testo unico delle leggi sull'immigrazione decreto legislativo n. 286/98, come modificato dalla legge 94/09, se correttamente interpretato, garantisce il diritto dei minori stranieri privi di permesso di soggiorno all'istruzione, alla formazione e all'accesso ai servizi socio-educativi;
   il diritto all'istruzione per degli alunni con disabilità viene garantito nelle scuole di ogni ordine e grado con l'assegnazione di insegnanti specializzati per l'attività di sostegno all'alunno con disabilità e all'intera classe. L'insegnante di sostegno infatti ha il compito di realizzare interventi individualizzati a seconda delle esigenze dei singoli alunni con disabilità;
   perché questo avvenga c’è bisogno che l'alunno sia riconosciuto in stato di handicap o in stato di handicap in situazioni di gravità ai sensi della legge n. 104 del 1992; la richiesta di riconoscimento di handicap va inoltrata telematicamente dal genitore all'INPS territorialmente competente dopo che il medico curante rilascia un certificato che attesta la natura delle infermità invalidanti o delle patologie in atto (anch'esso compilato su supporto informatico e inviato telematicamente all'Inps);
   gli stranieri possono presentare richiesta di riconoscimento dello stato di handicap (legge n. 104 del 1992) solo se hanno regolare permesso di soggiorno. Possono pertanto verificarsi casi in cui pur in presenza dell'accertamento medico specializzato (pediatra o neuropsichiatra infantile) di deficit che richiedano l'assegnazione di un insegnante di sostegno l'amministrazione scolastica si trovi impossibilitata a garantire il diritto allo studio perché la procedura telematica richiedendo l'inserimento del numero di permesso di soggiorno non si perfeziona;
   è quindi formalmente riconosciuto il diritto allo studio ai minori privi di permesso di soggiorno ma nel caso di minori con deficit fisici o psichici, maggiormente bisognosi di integrazione, il diritto risulta di fatto essere negato. Inoltre si crea in questo modo una evidente situazione di disparità di trattamento tra minori stranieri privi di permesso di soggiorno nonché una palese iniquità sociale –:
   come i ministri interrogati intendano adoperarsi perché possano essere rimossi gli ostacoli di cui in premessa affinché il diritto allo studio possa essere effettivamente garantito anche ai minori stranieri privi di permesso di soggiorno e riconosciuti da professionisti specializzati portatori di handicap. (3-01337)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il progetto del Governo Renzi dice: «Mai più precari nella Scuola», ma, tra un tweet e un annuncio di riforma, stanno trascorrendo gli anni più bui della scuola statale;
   a prova di ciò, semmai ce ne fosse stato bisogno l'8 febbraio 2015 è andata in onda su Rai3 l'inchiesta giornalistica sulle emergenze che investono la scuola pubblica italiana, dalla mancanza cronica di denaro, ai problemi legati alla sicurezza degli edifici scolastici, al sovraffollamento delle aule;
   da quanto tristemente emerso, le scuole sopravvivono ormai solo grazie all'intervento economico dei genitori, il cosiddetto «contributo volontario», diventato ormai un «contributo strutturale» e la prima voce di bilancio degli istituti pubblici;
   i «contributi» dei genitori, ad avviso dell'interrogante, non sono altro, infatti, che una forma eufemistica per sollevare lo Stato dall'obbligo, previsto dalla Costituzione, di sovvenzionare la scuola italiana, nell'osservanza anche dei principi di uguaglianza e del diritto allo studio;
   a togliere ogni dubbio sulla vicenda ci ha pensato il documento La Buona Scuola di Renzi;
   in particolare, nel capitolo destinato alle risorse, si afferma che le risorse pubbliche non saranno mai sufficienti a colmare le esigenze di investimenti nella scuola e che sommare le risorse pubbliche a interventi dei privati è l'unico modo per tornare a competere;
   questo dovrebbe essere l'impegno del Governo delle «larghe intese» sull'obbligo di garantire il diritto all'istruzione dei nostri figli;
   l'indagine giornalistica ha denunciato anche la preoccupante situazione di precarietà in cui versa il personale docente, che rischia di collassare sotto i colpi del nuovo progetto;
   in particolare, l'annunciata ennesima riforma del «Governo del fare» prevede l'abolizione degli scatti di anzianità, sostituiti da scatti di competenza legati al maturare di crediti didattici (legati alla qualità dell'insegnamento in classe), crediti formativi (acquisibili attraverso percorsi di formazione in servizio) e crediti professionali;
   nel rapporto «La buona Scuola» le tematiche degli aspetti retributivi e di progressione di carriera del personale docente vengono presentati, a giudizio dell'interrogante, in modo scorretto, artefatto e fuorviante, se solo si considera che lo stipendio dei docenti italiani è congelato dal 2009;
   per ottenere la «medaglia» di professore meritevole, non basterà dedicarsi ai propri alunni in classe, ma verrà premiato il docente «tuttofare» che si occuperà anche dell'organizzazione scolastica e della diffusione delle cosiddette buone pratiche, ma anche colui che si aggiornerà e si relazionerà bene con i propri alunni;
   avrà una «marcia in più» anche il docente che resterà a scuola nelle ore pomeridiane per costruire attività didattiche alternative e il tutto con prospettive stipendiali aleatorie e inconsistenti, posto che non sembrano essere state previste risorse aggiuntive per premiare il merito degli insegnanti;
   con le nuove regole, ogni tre anni solo il 66 per cento di tutti i docenti di ogni scuola (o rete di scuole) avranno diritto ad uno scatto di retribuzione, secondo criteri ancora poco chiari;
   ancora una volta quello che dovrebbe essere il motore della scuola, il corpo docente, a giudizio dell'interrogante viene trattato dallo Stato, in modo non congruo;
   ma vi è di più, perché è recente la notizia riportata dalla stampa che il Governo, nella inconsapevolezza del Ministero competente, avrebbe deciso di varare nell'immediato solo un disegno di legge, mettendo in dubbio i tempi dell'inserimento di oltre 120 mila precari, promesso per settembre –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se trovi conferma che lo Stato è oggi debitore nei confronti delle scuole tra i 700 e gli 800 milioni di euro, e quali iniziative ritenga opportuno adottare per scongiurare il pericolo che quella che oggi appare ormai come una riforma non più rinviabile rimanga uno spot di buone intenzioni e frasi ad effetto;
   quali urgenti iniziative intenda adottare per addivenire a una soluzione definitiva e tempestiva dell'annoso problema del precariato del corpo docente, anche attraverso lo stralcio dal disegno di legge che il Governo si appresta a varare della parte relativa alle assunzioni degli insegnanti. (4-08268)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   RABINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge delega n. 183 del 2014 dispone il riordino dell'attività ispettiva «attraverso l'istituzione (...) di una Agenzia unica per le ispezioni del lavoro, tramite l'integrazione in un'unica struttura dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell'INPS e dell'istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), prevedendo strumenti e forme di coordinamento con i servizi ispettivi delle aziende sanitarie locali e delle agenzie regionali per la protezione dell'ambiente» (articolo 1, comma 7, lettera l));
   l'obiettivo è quello di costituire uno strumento strutturale, teso a rendere più efficienti i controlli sul lavoro. Vi è, tuttavia, all'interno della norma in questione (articolo 1, comma 7, lettera i), della citata legge delega), una clausola che potrebbe rappresentare un ostacolo per la nascita di questo nuovo soggetto o, quantomeno, per la sua buona riuscita: la necessità che questo processo avvenga senza «nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica» e «con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente»;
   la prospettiva di costituzione di un'Agenzia unica per le ispezioni del lavoro, in cui dovrà confluire il personale dell'Inps, dell'Inail e dello stesso Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ha generato non poche problematicità. Nella nuova struttura dovrebbero confluire 3 mila ispettori del lavoro, 1.500 dell'Inps e 400 dell'Inail oltre a un ulteriore migliaio di addetti di supporto;
   la struttura ipotizzata con un organico di circa 6 mila addetti e 19 sedi sarebbe nata sulle ceneri di un'ottantina di direzioni provinciali e interregionali del Ministero la cui soppressione da una parte avrebbe, generato risparmi di spesa, ma dall'altra anche dipendenti in soprannumero per circa 1700, 1800 unità;
   se tale previsione venisse interpretata, avendo come unico riferimento il risparmio di spesa, si correrebbe il rischio di compromettere l'efficienza della costituenda Agenzia. Tuttavia, potrebbero determinarsi dei risparmi di spesa, posto che le attuali direzioni territoriali del lavoro scompariranno, in parte assorbite dall'Agenzia unica ispettiva, in parte dall'Agenzia nazionale per l'occupazione; un primo risparmio di spesa può essere individuato nei minori costi per le locazioni delle sedi;
   non è da sottovalutare, inoltre, il fatto che, mentre Inps e Inail sono generalmente proprietari degli immobili in cui si trovano i loro uffici, ciò è più raro per il Ministero; potrebbe essere interessante, a parere dell'interrogante, individuare le sedi periferiche della nuova Agenzia esclusivamente o principalmente presso strutture di proprietà. Una seconda fonte di risparmio è rappresentata dalla presenza di personale, che non rende immediatamente necessario avviare concorsi. Non sembra casuale, in tale prospettiva, che il previsto concorso per 250 ispettori del lavoro sia stato bloccato e si sia nel frattempo proceduto all'assorbimento degli idonei del concorso per ispettori Inps a dimostrazione che le presunte differenze con gli ispettori del lavoro sono minori di quel che alcuni paventano. Per tale ragione, si potrebbe pensare di investire nella nuova Agenzia anche solo una parte dei risparmi sopra descritti, anziché «distoglierli» verso nuove destinazioni;
   l'unificazione delle banche dati, infine, per un'attività di vigilanza mirata e «scientifica», potrà avvenire senza costi, così come prevede da dieci anni l'inattuato articolo 10 del decreto legislativo n. 124 del 2004, mentre i software informatici in uso presso l'Inps, più efficienti degli altri, dovranno solo essere implementati, così da poter essere messi a disposizione della nuova struttura;
   il processo di riorganizzazione dovrebbe contemplare risorse adeguate per garantire un adeguato funzionamento dell'attività ispettiva e delle remunerazioni dei lavoratori, tenendo conto che i lavoratori, nel contesto produttivo, sono i soggetti che vanno in via prioritaria salvaguardati. Questo perché è evidente che un servizio di ispezione efficiente, è garantito solo attraverso una formazione specifica degli operatori, un efficace coordinamento e risorse adeguate;
   in base allo studio realizzato dalla direzione centrale vigilanza, prevenzione e contrasto all'economia sommersa dell'Inps e finalizzato a sostenere la convenienza economica, operativa ed organizzativa di uno scenario alternativo per l'istituzione di un ruolo unico di vigilanza in materia di lavoro presso l'INPS è stato possibile evidenziare, come tale modello operativo e organizzativo sia possibile realizzarlo presso l'INPS in modo veloce ed efficiente;
   tra i primi vantaggi della realizzazione del ruolo unico presso l'INPS sono da annoverare quelli economici e che comporteranno un risparmio di spesa, dal momento che ad esempio le risorse umane, le tecnologie, l'organizzazione verranno coperti dai contributi evasi recuperati il cui valore aumenterebbe sensibilmente a fronte dell'applicazione del modello operativo, di governance e di intelligence dell'INPS particolarmente produttivo;
   il ruolo unico di vigilanza presso l'INPS consentirà di diffondere un'azione ispettiva omogenea maggiormente orientata al recupero della contribuzione. Tale approccio troverebbe supporto anche dalle associazioni datoriali, perché garantirebbe una riduzione dell'evasione contributiva e consentirebbe una revisione e alleggerimento del sistema sanzionatorio;
   l'attuale struttura centrale di coordinamento dell'INPS verrà potenziata con il seguente personale: 5 dirigenti; 12 capi ufficio; 25 funzionari; le retribuzioni degli ispettori del Ministero del lavoro e delle politiche sociali verranno allineate a quelle degli ispettori di INPS e INAIL; tutti gli ispettori saranno destinatari di un intervento di formazione abilitante, con l'integrazione della competenza ispettiva;
   la nuova struttura organizzativa dell'Agenzia unica di vigilanza sarà composta almeno da 3 direzioni generali, una struttura amministrativa composta da circa 60 dirigenti e 500 funzionari (quadri e impiegati); circa 1.800 ispettori perderanno il diritto all'incentivo per enti previdenziali (circa 6.000 euro lordi annui); la competenza ispettiva non muterà rispetto ad oggi e non si attiveranno i vantaggi derivanti da un'integrazione della stessa;
   l'INPS ha già avviato un percorso di potenziamento dell'intelligence istituendo un nucleo centrale costituito da 20 ispettori esperti, raddoppiando il numero dei dirigenti e quadruplicando il numero dei capi team dedicati e strutturando la Direzione centrale vigilanza in base ad aree geografiche (Nord-est, Nord-ovest, Centro, Sud) per un efficace coordinamento territoriale;
   l'INPS sta avviando un percorso strutturato di cooperazione con le aziende finalizzato a prevenire l'evasione e a regolarizzare il versamento dei contributi e premi dovuti al sistema pubblico;
   a parere dell'interrogante con l'istituzione di un'agenzia unica di vigilanza si affiancheranno modelli operativi attualmente adottati dall'INPS, dal Ministero e dall'INAIL, significativamente disomogenei in termini di produttività. Pertanto, l'istituzione di un'agenzia ex novo non consentirebbe un'immediata concentrazione sui temi di intelligence, dilatando significativamente nel tempo il potenziamento dell'attività ispettiva l'incremento del recupero contributivo. In tal senso, l'istituzione dell'agenzia unica potrebbe costituire un costo ulteriore per il sistema pubblico –:
   se non ritenga opportuno prevedere iniziative, anche di carattere normativo, volte a garantire l'adeguato funzionamento dei servizi ispettivi dell'Agenzia unica, tenendo soprattutto conto di adeguate remunerazioni per i lavoratori e le lavoratrici in essa impiegati, e se non ritenga opportuna la realizzazione del ruolo unico di vigilanza presso l'INPS, nell'ottica di semplificare e rendere più efficiente l'azione ispettiva. (3-01338)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ROBERTA AGOSTINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il sistema economico italiano è caratterizzato da un basso grado di coinvolgimento della popolazione femminile in età attiva nel mercato del lavoro, un dato molto distante da quello dei Paesi dell'Unione europea comparabili all'Italia per livello di sviluppo economico;
   secondo il rapporto 2014 dell'Istat, pubblicato a marzo 2014, il tasso di disoccupazione femminile italiano supera quello medio della Ue28 di oltre due punti percentuali (13,1 contro 10,8 per cento);
   abbandonare il lavoro per le donne è sempre meno una scia personale: diminuisce la quota di neo-madri che sceglie di interrompere il lavoro (53 per cento nel 2012, –15,3 per cento rispetto al 2005) e le difficoltà di conciliazione sono la motivazione più frequente (indicata dal 67 per cento di chi lascia il lavoro); aumenta la quota delle neo-madri licenziate: il 27,2 per cento nel 2012 rispetto al 16 per cento del 2005;
   la natalità continua a calare: secondo l'Istat sono 514.308 i nati nel 2013, quasi 20 mila in meno rispetto al 2012 (- 3,7 per cento);
   la legge n. 448 del 1998, agli articoli 65 e 66, prevede l'erogazione di un assegno a favore dei nuclei familiari che si compongono di almeno tre figli minori di un assegno di maternità a favore delle donne casalinghe o disoccupate che diventano mamme. L'articolo 75 del testo unico a tutela della maternità (decreto legislativo n. 151 del 26 marzo 2001) attribuisce gli assegni di maternità per lavori atipici e discontinui;
   la legge 8 marzo 2000, n. 53 «Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città» e il testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (decreto legislativo n. 151 del 26 marzo 2001) prevedono l'istituzione dei congedi dei genitori e l'estensione del sostegno ai genitori di soggetti portatori di handicap, l'istituzione del congedo per la formazione continua e l'estensione dei congedi per la formazione e il coordinamento dei tempi di funzionamento delle città e la promozione dell'uso del tempo per fini di solidarietà sociale;
   purtroppo si tratta di leggi poco monitorate e poco applicate e questo pregiudica l'utilizzo delle misure e previste da parte di tante persone. Gli ultimi dati dell'INPS parlano di un significativo incremento dell'uso del congedo da parte dei padri, dell'uso del congedo parentale da parte di lavoratrici autonome e libere professioniste, dell'uso del congedo per formazione. Si registra, invece, uno stallo per quanto attiene i progetti di riorganizzazione dei tempi delle città e una rara assegnazione degli assegni di maternità perché poco richiesti dalle madri, sintomo della scarsa conoscenza dei propri diritti da parte delle donne;
   il decreto legislativo recante attuazione dell'articolo 1, commi 8 e 9 della legge 10 dicembre 2014, n. 183, apporta alle leggi suindicate alcune modificazioni;
   le istituzioni devono impegnarsi ad approvare buone leggi ma è altrettanto importante il lavoro di monitoraggio, di applicazione e di diffusione tra i possibili fruitori delle stesse –:
   quale sia lo stato di attuazione della legge n. 53 del 2000 e della legge n. 151 del 2001 con particolare riferimento alla fruizione e pubblicità dell'assegno di maternità per le donne che non lavorano, e se sia intenzione del Ministro interrogato assumere iniziative per incrementare la pubblicità dei diritti spettanti alle madri. (5-04895)


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 2 marzo 2015 i deputati della Commissione XI Lavoro Pubblico e Privato hanno incontrato a Perugia i rappresentanti istituzionali della regione Umbria e i rappresentanti delle categorie al fine di acquisire dati ed informazioni sul contesto lavorativo e occupazionale nella regione e di valutare l'impatto degli strumenti legislativi «messi in campo» dal legislatore sulle realtà del territorio;
   come è emerso nel corso dell'incontro e dal dossier informativo consegnato, «La forte flessione delle ore autorizzate di Cassa integrazione guadagni in deroga (3.354.529, meno 39 per cento rispetto al 2013 secondo il dato INPS) discende principalmente dall'impossibilità di rilasciare le autorizzazioni per la nota problematica della mancanza dei fondi. In Umbria nel corso del 2014 hanno presentato richieste di cassa integrazione in deroga 2.509 datori di lavoro per un complessivo di 13.029 lavoratori, numeri comunque inferiori a quelli del 2013 che fanno supporre un fabbisogno finanziario superiore ai 40 milioni di euro.»;
   la richiesta di cassa integrazione in deroga riguarda – per la gran parte (81 per cento) – imprese di piccole dimensione, per un totale di oltre 13 mila lavoratori interessati: di questi, quasi 4.400 con almeno un mese di sospensione a zero ore;
   le risorse già utilizzate per il 2014 ammontano a 16,6 milioni di euro, ma servono altri 24 milioni di euro per coprire il fabbisogno del 2014 pari a 40 milioni di euro relativo alla cassa integrazione in deroga, della quale usufruiscono oltre 13 mila lavoratori umbri, fra i quali c’è anche chi da quasi un anno non percepisce alcun sostegno al reddito;
   tale situazione appare fortemente penalizzante anche perché «la regione Umbria dal 2013 ha modificato il proprio sistema di autorizzazione da un lato per contenere la spesa, nota la scarsità delle risorse finanziarie, e dall'altro per ridurre la forbice fra autorizzato e effettivamente fruito al fine di meglio controllare gli impegni finanziari.» –:
   per quale motivo a tutt'oggi non sia stata assicurata la puntuale e tempestiva copertura finanziaria per la cassa integrazione guadagni per l'anno 2014;
   quale tempistica preveda il Governo per l'attribuzione delle risorse relative alla cassa integrazione guadagni che mancano per coprire l'anno 2014 e quali misure intenda adottare per l'anno in corso, al fine di poter dare certezza sui tempi e sulle risorse a migliaia di famiglie e lavoratori umbri che versano in condizione di disagio lavorativo. (5-04896)


   COMINARDI, TRIPIEDI, ALBERTI, BASILIO, SORIAL, CHIMIENTI, CIPRINI e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con il termine di concertazione ci si riferisce ad una pratica di governo ed un approccio alla gestione delle relazioni industriali, basata sul confronto e la partecipazione alle decisioni politiche ed alla contrattazione in forma triangolare: organizzazioni sindacali, organizzazioni dei datori di lavoro e autorità pubbliche (a livello nazionale il Governo);
   in particolare la concertazione trova ampia applicazione in materia di mercato del lavoro, salari e contrattazione collettiva, organizzazione della previdenza sociale;
   è auspicabile che i tavoli di concertazione, fulcro del dialogo democratico, in tema di rapporti di lavoro, mantengano concretamente utilità e forza al fine di riequilibrare le crescenti e variegate esigenze delle parti sociali, anche alla luce del momento storico particolare attraversato dal nostro Paese;
   tra i settori coinvolti da mutamenti di status e variegate vicende contrattuali vi è tra gli altri il settore bancario, negli ultimi decenni, oggetto di importanti cambiamenti dovuti anche alla intervenuta innovazione tecnologica;
   come riportato nel comunicato dell'Ansa del 2 marzo 2015, in tale data si è svolto uno sciopero dei lavoratori del credito cooperativo (BCC) a cui avrebbero aderito circa il 70-90 per cento dei lavoratori del settore e, in Lombardia, l'adesione sembra aver superato il 95 per cento. Lo sciopero è stato proclamato dalle organizzazioni sindacali Fabi, Fiba Cisl, Fisac Cgil, Ugl e Uilca, ed avrebbe ad oggetto la disdetta del contratto di settore;
   in questo senso, come riportato nel comunicato stampa di Federcasse del 22 gennaio 2015, alla luce dell'intervento governativo sulle banche cooperative, approvato il 20 gennaio dal Consiglio dei ministri per le Banche Popolari, il Comitato esecutivo di Federcasse avrebbe deciso all'unanimità di confermare la disapplicazione dei contratti integrativi di secondo livello, prorogandone la validità sino al 31 marzo del corrente anno. Ad oggi, le banche di credito cooperativo aderiscono alle federazioni locali e sono associate a Federcasse (associazione nazionale di rappresentanza delle banche di credito cooperativo e casse rurali), che svolge funzioni di tutela e rappresentanza di tutta la categoria. Tra l'altro, come riportato nel comunicato stampa del 29 dicembre 2014 di Federcasse la medesima comunicava alle organizzazioni sindacali l'avvenuta disdetta dei contratti integrativi territoriali e aziendali, al fine di procedere ad un riordino complessivo della contrattazione collettiva del credito cooperativo;
   in tale situazione di crisi economica va da sé che la disapplicazione dei contratti integrativi non potrà che generare l'emergere di complessità meritevoli di una particolare attenzione da parte del Governo, il quale, nell'attuale fase congiunturale, avrà l'obbligo di adottare sensibilità straordinaria in ogni processo che coinvolga i lavoratori, oramai sovente alle prese con riallineamenti retributivi che nella maggior parte dei casi sono ispirati all’austerity e nei casi peggiori divengono giocoforza vettori dell'impoverimento collettivo –:
   se e quali concrete iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, per quanto di sua competenza, al fine di valutare con la massima attenzione quali siano state le circostanze specifiche alla base della proclamazione dello sciopero del 2 marzo 2015 dei lavoratori del credito cooperativo (BCC), cui avrebbe fatto seguito una adesione di circa il 70-90 per cento dei lavoratori del settore con punte del 95 per cento in Lombardia, tale da rendere urgente un sollecito intervento da parte del Governo, finalizzato all'analisi e al riavvio del dialogo tra le parti coinvolte. (5-04898)


   PRATAVIERA e FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   l'articolo 24, comma 10, del decreto-legge n. 201 del 2011 – cosiddetta Riforma Fornero – ha previsto la possibilità di accesso alla pensione anticipata – vale a dire ad età inferiore ai 62 anni – in favore di coloro che possono vantare un'anzianità contributiva di 42 anni ed 1 mese per gli uomini e 41 anni e 1 mese per le donne; in tal caso, però, è applicata una riduzione pari a 2 punti percentuali per ogni anno di anticipo nell'accesso al pensionamento rispetto all'età di 62 anni;
   l'articolo 1, comma 115, della legge di stabilità per il 2015 ha cancellato la predetta penalizzazione del 2 per cento di riduzione per tutti coloro che nel triennio 2015-2017 matureranno i requisiti per accedere alla pensione anticipata con 42 anni e 6 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 6 mesi di contributi per le donne;
   la mancata previsione di un effetto retroattivo del predetto comma 115 della legge di stabilità crea di fatto una sperequazione tra coloro che – a parità di requisiti anagrafici e contributivi – sono andati in pensione nel triennio 2012-2014 avendo subito un taglio all'assegno previdenziale spettante e coloro che andranno in pensione nel triennio a venire;
   a parere degli interroganti sarebbe stato opportuno, qualora la mancanza di risorse economiche avesse impedito un effetto retroattivo della norma contenuta nella finanziaria, quantomeno sospendere le penalizzazioni per il triennio 2015-2017 anche nei riguardi di coloro che hanno acceduto alla pensione con 42 anni e 6 mesi se uomini e 41 anni e 6 mesi se donne prima del 2015 –:
   se e quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare con urgenza per sanare quella che appare agli interroganti un'evidente ed ingiustificabile disparità di trattamento. (5-04899)


   PRATAVIERA e FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è notizia pubblicata su Liberoquotidiano.it del 1o marzo 2015 quella della sentenza n. 22/2015 della Corte costituzionale (depositata il 22 febbraio ma risalente al 27 gennaio) che riconosce agli immigrati senza carta di soggiorno la pensione di invalidità;
   secondo quanto riportato dal citato articolo nel disposto si legge che «agli stranieri senza carta di soggiorno, ma legalmente presenti in Italia, non può esser negata la pensione di invalidità, in particolare se questa è grave come la cecità»;
   la vicenda trae origine dal ricorso di un cittadino pakistano (K.S.), che il 1o maggio 2009 si era appellato al tribunale di Reggio Emilia per vedersi riconosciuto il diritto alla pensione ed all'indennità di accompagnamento in quanto «cieco civile con residuo visivo non superiore a 1/20 in entrambi gli occhi». L'Inps si era opposto al riconoscimento della prestazione assistenziale proprio perché il pakistano era privo di carta di soggiorno, mentre la Consulta ha stabilito il diritto alla pensione e pure alle indennità accessorie;
   tale sentenza rischia di aprire un vaso di Pandora con gravi ripercussioni per il bilancio dell'ente previdenziale e ad evidente danno dei cittadini italiani –:
   se il Governo abbia una stima di quanti stranieri senza carta di soggiorno, ma legalmente presenti in Italia, possano avvalersi di questa facoltà;
   se sia stata fatta una stima degli eventuali costi complessivi dell'Inps;
   come il Governo intenda garantire le prestazioni assistenziali e previdenziali dei cittadini italiani, qualora le stesse fossero messe a rischio dalla potenziale platea di applicazione del pronunciamento della Consulta. (5-04913)

Interrogazione a risposta scritta:


   MARCON, PELLEGRINO, AIRAUDO e PLACIDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 22 febbraio a Monfalcone (Gorizia) è stata presentata la «Britannia» nello stabilimento Fincantieri che sarà la più grande nave passeggeri mai costruita da Fincantieri. Con 144.000 tonnellate di stazza lorda, 330 metri di lunghezza e 38 di larghezza, conterà 1.837 cabine (75 per cento dotate di balcone) e potrà ospitare oltre 5.700 persone, compreso l'equipaggio;
   «Britannia» sarà la prima nave per P&O Cruises a nascere con la nuova livrea caratterizzata da fumaioli blu e una Union Jack stilizzata, lunga 97 metri, sulla prua e sarà la prima nave da crociera costruita a Monfalcone con due fumaioli. Unità innovativa, «Britannia» è caratterizzata innanzitutto da un nuovo approccio progettuale «a prova di futuro» («future-proof design»), per il lay-out e le performance d'avanguardia, e perché recepisce tutti i più recenti regolamenti in materia di grandi navi da crociera, tra cui il sistema di sicurezza del «Safe return to port»;
   dal 1990 ad oggi Fincantieri ha costruito 68 navi da crociera, altre 16 unità sono in costruzione o di prossima realizzazione negli stabilimenti del gruppo. Alla cerimonia erano presenti Enrico Morando, viceministro dell'economia e delle finanze, per l'armatore Micky Arison Chairman di Carnival Corporation, David Dingle Executive Chairman di Carnival Corporation e David Noyes, Ceo di P&O Cruises, mentre per Fincantieri tra gli altri, Giuseppe Bono e Vincenzo Petrone, rispettivamente amministratore delegato e presidente di Fincantieri;
   i cantieri navali rappresentano per la città di Monfalcone un simbolo ed un tratto caratterizzante per il suo territorio e la sua storia. La Fincantieri – Cantieri Navali Italiani s.p.a. è uno dei più importanti complessi cantieristici navali d'Europa e del mondo: azienda pubblica italiana, controllata da Fintecna, finanziaria del Ministero dell'economia e delle finanze;
   il cantiere navale di Monfalcone è da lunga data il motore trainante dell'economia locale, vi sono occupati migliaia di lavoratori ed altrettanti vivono dell'indotto. Fincantieri quindi rappresenta una potenza produttiva per tutta la regione ma tale ricchezza non viene percepita dai cittadini di questo territorio come in passato. Le politiche industriali attuate da Fincantieri infatti hanno comportato una serie di effetti per la città che potrebbero essere così riassunti:
    una politica di appalti al ribasso ha aumentato i livelli di insicurezza per i lavoratori (futuro incerto, fragilità economica e sociale, difficoltà di accedere alle tutele e altro) e determinato l'impossibilità di attuare un capillare controllo sulla qualità (tempi e carichi di lavoro) del lavoro nelle aziende dell'indotto;
    la ricerca di manodopera a basso costo ha determinato una sorta di delocalizzazione importata: aumento dei flussi di persone in transito temporaneo sul territorio, tensione abitativa persistente, ricadute sul tessuto sociale cittadino, con forte stress sulla comunità, la messa fuori mercato delle ditte locali, con appalti al massimo ribasso ed il fenomeno delle molte ditte straniere (comunitarie e non) e delle difficoltà enormi a poterle controllare (anche per una carenza totale di indirizzi ministeriali in merito);
   sulle relazioni materiali tra città e azienda, è necessaria una riflessione sul concetto di responsabilità sociale di impresa: questa viene definita come «l'integrazione volontaria delle preoccupazioni di carattere sociale e ambientale nelle attività produttive e commerciali delle imprese e nel loro relazionarsi con le diverse classi di portatori d'interesse» (definizione del libro verde della Commissione europea, 2001). I promotori della responsabilità sociale d'impresa spiegano che le imprese dovrebbero integrare i va ori etici nella gestione delle loro attività e che dovrebbero rapportarsi in modo esplicito con tutti gli agenti economici che sono interessati ed in qualsiasi modo coinvolti dal suo operare nel mercato (gli stakeholder o «portatori di interesse»); Stakeholder in quest'ottica sono in primis i dipendenti, ma anche la comunità dove fisicamente si insedia l'azienda;
   con Fincantieri un percorso di condivisione di progettualità in favore della comunità è già stato fatto nel recente passato, per quanto riguarda la riqualificazione di alcuni edifici parte del patrimonio urbano di Monfalcone (albergo impiegati, albergo operai, museo della cantieristica); si deve quindi proseguire su questa strada al fine di costruire percorsi condivisi di compensazione e attenzione al territorio;
   l'azienda Fincantieri non ha ancora fatto conoscere come darà applicazione al codice di comportamento nei confronti della città di Monfalcone, troppo spesso vista come un soggetto non paritario lasciato poi solo a gestire gli impatti sociali delle azioni aziendali, affinché gli accordi in materia urbanistica siano segnale di una minima compensazione per la città ma soprattutto dell'inizio di un dialogo costruttivo tra le parti, che sicuramente gioverà anche all'immagine dell'azienda;
   non è infine chiaro come l'azienda ha collocato azioni presso i dipendenti, e se intenda coinvolgere gli stessi e i cittadini residenti nelle città sede dei suoi stabilimenti nella consultazione per investimenti, nella direzione di un vero bilancio sociale;
   è emblematica la vicenda dei lavoratori della Ditta Beraud ex ditta storica dell'appalto diretto Fincantieri. Questi lavoratori erano stati inizialmente collocati in mobilità per asserita carenza di lavoro, salvo poi scoprire il 4 febbraio 2015 che la nuova ditta subentrata a Beraud Mare srl, la ditta Petrolavori che avrebbe potuto assumerli, avrebbe assunto soltanto lavoratori stranieri, mentre è di pochi mesi fa la notizia che Fincantieri sarebbe entrata in una società controllata dalla ditta fallita Santarossa di Pordenone per salvare fornitura e posti di lavoro –:
   se quanto previsto dall'accordo esposto in premessa riguardo alla commessa per la costruzione della nave «Britannia» rispetti i profili di corretto impiego delle risorse per aziende in crisi;
   se i lavoratori dipendenti posti in cassa integrazione siano stati sostituiti da lavoratori interinali o ditte esterne per il periodo di cassa integrarne; quanti siano lavoratori direttamente dipendenti da Fincantieri, quanti (mediamente, non ora che è appena partita la nave) dipendano dalle ditte in appalto e subappalto e quante siano le ditte straniere, quanti consorzi misti e quanti i lavoratori stranieri (non dipendenti da ditte italiane);
   se i lavoratori posti in mobilità siano stati sostituiti da ditte esterne con una arbitraria applicazione della direttiva Bolkestein circa i minimi retributivi;
   se il Ministro interrogato non ritenga di chiarire come la Fincantieri nel suo codice di comportamento intenda garantire la clausola sociale, in quanto non si sa quante e quali ditte esterne siano coinvolte d oggi e se tutte interamente pagate e a quali standard retributivi, atteso che l'accordo sulla trasparenza» non sarebbe stato ancora sottoscritto;
   se non ritenga di chiarire per quanto di competenza, sulla vicenda Beraud se vi siano il pieno rispetto delle norme comunitarie in tema di appalti;
   se non ritenga necessario chiarire il profilo nazionale del gruppo Fincantieri rispetto al suo piano di investimenti industriali, in particolare per gli stabilimenti siti in Italia. (4-08267)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   le condizioni di lavoro e di vita dei braccianti agricoli stranieri impiegati nell'Italia meridionale, sono state oggetto di numerose indagini, inchieste giornalistiche e dibattiti, non solo italiane ma anche europee, ad emergere lampanti sono realtà fatte di sfruttamento lavorativo ai limiti della schiavitù, condizioni abitative drammatiche nei casolari abbandonati e nei «ghetti», lavoro nero o grigio, caporalato; soprattutto dopo la «rivolta di Rosarno» del gennaio 2010 e lo sciopero dei braccianti africani di Nardò (Lecce) dell'agosto 2011, giornali, televisioni e siti internet hanno dedicato spesso articoli e inchieste a questi temi, con titoli quali Gli schiavi dei pomodori senza tetto né legge(«La Stampa», 3 agosto 2010); Rosarno, gli africani schiavi della ’ndrangheta («Corriere della Sera», 7 dicembre 2011), Così vivono ottocento forzati della ferra (Le inchieste di «Repubblica», 3 giugno 2013), Inferno Rosarno («Il manifesto», 27 ottobre 2013). E poi indagini sindacali (come Agromafie e caporalato, Flai-Cgil, 2013) e di importanti organizzazioni non governative (Volevamo braccia e sono arrivati uomini. Sfruttamento lavorativo dei braccianti agricoli migranti in Italia, Amnesty International, 2012) e gli studi più recenti compiuti da diversi ricercatori accademici;
   la Rete locale, fortemente radicata nel meridione «Campagne in Lotta», fatta di lavoratori italiani e stranieri, attivisti, ricercatori, gruppi di acquisto solidale, piccoli produttori ed altri ancora, provenienti da diverse parti d'Italia, ha recentemente pubblicato sul proprio sito internet un'inchiesta dal titolo «Foggia-Sliven andata e ritorno: Appunti per un'inchiesta militante sulle “altre braccia”», nella quale viene descritto il meccanismo di reclutamento di braccianti agricoli stranieri da consegnare alle varie forme di sfruttamento e di caporalato nostrano. L'inchiesta, partita da un lavoro sul territorio precisamente a Capitanata il Tavoliere delle Puglie, tristemente famoso per il grave sfruttamento che caratterizza chi qui raccoglie il pomodoro, evidenzia come: «Accanto ai “ghetti” africani, poi, scopriamo anche quelli bulgari, o rumeni. Già da qualche anno sappiamo che molti raccoglitori di pomodoro sono rom: intere famiglie, a volte con figli anche piccolissimi al seguito. Ma nell'estate del 2014 finalmente entriamo nella baraccopoli di Borgo Tressanti, che sorge accanto) ad un inceneritore e che ospita circa trecento persone [...] provenienti dalla Bulgaria. [...] gli abitanti di questa come di tante altre baraccopoli non hanno molta voglia di parlare: con tutta probabilità tra loro ci sono, come spesso accade, i caporali. Ma una cosa è certa: tutti vengono dalla medesima cittadina, Sliven»;
   la rete «Campagne in Lotta» si è recata nella cittadina bulgara di Sliven e nell'inchiesta ha descritto come «Da Sliven si parte non solo per la Capitanata, ma anche per la Piana di Sibari o per quella di Gioia Tauro, tutti luoghi di sfruttamento a noi noti, o anche per Napoli. I nostri ospiti ci fanno diversi nomi di padroni e intermediari, e ci mostrano contratti, CUD, codici fiscali di tutti i parenti[...] tramite le agenzie italiane che trattengono parte della paga – a loro rimanevano 30 euro per ogni giornata di lavoro, ma da questi, pare, se ne devono scalare altri 5 per i contributi. [...] Le maglie dello sfruttamento, poi, assumono forme diverse anche a seconda dei soggetti interessati: mentre i rom si affidano a persone della loro comunità, anche i bulgari gadzho partono per l'Italia, ma tramite altri canali. Su un giornale locale di annunci, si leggono offerte di lavoro in Italia da parte di agenzie non meglio identificate. Il nostro compagno di viaggi si presta al gioco, e all'altro capo del telefono una donna piuttosto scortese gli domanda se chi cerca il lavoro sia un uomo o una donna. Per gli uomini, spiega, c’è lavoro nella raccolta delle arance e dei mandarini, oppure in una fabbrica di smistamento della frutta. Nel primo caso, la paga è di un euro a cassetta (come effettivamente accade in Calabria), nel secondo sono 30 euro al giorno. Per dormire si pagano 100 euro al mese, e per partire con il minibus da Sofia (ogni giovedì e venerdì) ci vogliono 350 euro. C’è lavoro tutto l'anno, dice la rappresentante dell'agenzia, l'Italia è un paese molto grande dove tutto è coltivato. Alla richiesta di un contratto non sembra particolarmente accomodante – si può fare, se proprio è necessario. E i contatti con i datori italiani si possono avere, ma di solito ci pensano loro per questioni di lingua. Di annunci così se ne trovano frequentemente, e spesso le condizioni di lavoro e di vita che chi parte trova in Italia sono molto più dure di quelle che si aspetta. [...]Un capitolo a parte riguarda poi la manodopera femminile: anche in questo caso, le conversazioni con la gente ci danno la conferma di quanto già sentito in Italia. Se non sei disponibile con il padrone, rischi di perdere il posto. Un anziano signore, chiamato appositamente dal fratello per raccontarci la sua storia, spiega: nelle campagne di Foggia, gli uomini e le donne venivano divisi. Gli uomini venivano mandati più lontano, mentre le donne rimanevano vicino alla casa del padrone. Dopo qualche giorno, iniziavano le avances. Più di una persona, tra chi ricopre ruoli istituzionali, ci racconta anche che Sliven è considerata una “capitale della prostituzione”. In città, sono le donne e i travestiti, soprattutto rom, a fornire servizi sessuali a pagamento, nella zona del mercato. Ma sul giornale si trovano offerte alquanto esplicite di giovani donne che offrono i loro servizi per una decina di euro» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritengano opportuno procedere ad un monitoraggio e intervenire sulla tratta Sliven Foggia, circa l'eventuale esistenza di un business illegale organizzato che dalla Bulgaria si indirizza verso l'Italia, al fine di evitare il proliferare di situazioni atte a favorire la tratta di persone finalizzata allo sfruttamento della manodopera e della prostituzione, nell'ottica del contrasto del lavoro nero e dell'illegalità e nel contempo garantendo assistenza alle fasce più deboli della popolazione al fine di salvaguardare la dignità della persona sopra ogni cosa. (4-08251)


   ALBERTI, COMINARDI, SORIAL e BASILIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Franciacorta è una zona collinare che comprende numerosi comuni, tutti della provincia di Brescia e si estende tra l'estremità meridionale del Lago d'Iseo e la città capoluogo;
   la Franciacorta è soprattutto una delle più importanti zone viti-vinicole del mondo con prevalente vocazione spumanticola, con marchio docg di altissima qualità, già riconosciuta dal 1967 con decreto del Presidente della Repubblica, come zona a «denominazione di origine»;
   l'articolo 21 del decreto legislativo n. 228 del 18 maggio 2001, al comma 1 prevede che lo Stato, le regioni e gli enti locali tutelino, la tipicità, la qualità, le caratteristiche alimentari e nutrizionali, nonché le tradizioni rurali di elaborazione dei prodotti agricoli e alimentari a denominazione di origine controllata (DOC), a denominazione di origine controllata e garantita (DOCG), a denominazione di origine protetta (DOP), a indicazione geografica protetta (IGP) e a indicazione geografica tutelata (IGT);
   la tutela di queste aree è realizzata, in particolare, mediante la definizione dei criteri per l'individuazione delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti e l'adozione di tutte le misure utili per far sì che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente;
   come si apprende dalla stampa locale, «stando alle carte dell'inchiesta «No smoke» che ha travolto i vertici dell'Arpa, oltre trenta delle 280 mila tonnellate di «veleni» del polo industriale dismesso Sisas di Pioltello sono state tumulate senza precauzioni nella Bassa Bresciana e in Franciacorta»;
   gli scarti pericolosi, derubricati contraffacendo i codici in materiale inerte, sono stati semplicemente tumulati senza essere sottoposti ad alcun trattamento di sicurezza. Diecimilatrecentonovantanove tonnellate di fuliggine – si legge nelle sei ordinanze di custodia cautelare – sono state illecitamente conferite alla Systema Ambiente di Montichiari, impianto che gravita nella holding dei rifiuti di Manlio Cerroni, finito ai domiciliari per un'inchiesta su una presunta truffa orchestrata attorno alla mega discarica romana di Malagrotta;
   l'articolo riporta come i bacini estrattivi esauriti nel Bresciano – a differenza di altre zone d'Italia – finiscono sempre per essere convertiti in discariche;
   oltre ai comuni di Montichiari, Maclodio e Calcinato, l'inchiesta ha coinvolto il comune di Rovato, in Franciacorta, dove secondo quanto emerso dall'inchiesta nell'ex cava Rovedil sarebbero state conferite illecitamente 615 tonnellate di nerofumo (polvere di combustione) contenente il benzopirene, sostanza potenzialmente cancerogena;
   alla luce delle notizie riportate dalla stampa locale e vista la competenza del Parlamento italiano in merito alla tutela e alla salvaguardia delle emergenze ambientali, a causa del possibile inquinamento dei terreni e delle falde acquifere, tale vicenda potrebbe eventualmente avere ripercussioni sulla salute pubblica dei cittadini che vivono nella zona interessata –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se sussistano rischi di compromissione dell'area nella quale insiste la produzione marchio docg di altissima qualità Franciacorta, già riconosciuta dal 1967 con decreto del Presidente della Repubblica alla luce dei fatti indagati;
   se non ritengano opportuno intervenire al fine di evitare qualunque danno all'immagine della Franciacorta e alla qualità delle colture viti-vinicole presenti sul territorio e in che forma;
   se non si ritenga opportuno in via generale valutare se la regolamentazione dei fattori di pressione ambientale, degli impatti ambientali dei progetti e dei rischi cumulativi, sulle risorse agricole, ambientali, sugli ecosistemi e sulla salute dei cittadini residenti, garantiscano a sufficienza le esigenze di protezione di tali valori;
   quali misure, si intendano adottare per la tutela della salute pubblica;
   se non si intenda assumere un'iniziativa normativa al fine di istituire una moratoria per quanto riguarda l'autorizzazione di discariche in territori con un elevato indice di pressione ambientale come la provincia di Brescia;
   come si intenda migliorare gli strumenti ed i sistemi di controllo della tracciabilità dei rifiuti nel più ampio quadro di innovazione e modernizzazione della pubblica amministrazione per permettere l'informatizzazione dell'intera filiera dei rifiuti speciali a livello nazionale con garanzie di maggiore trasparenza, conoscenza e prevenzione dell'illegalità.
(4-08261)

RIFORME COSTITUZIONALI E I RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta scritta:


   VACCA, DELLA VALLE, DEL GROSSO, SCAGLIUSI, CARINELLI, SIBILIA, LOMBARDI, DADONE, SIMONE VALENTE, SORIAL, BATTELLI, COZZOLINO, TONINELLI, DIENI e COLLETTI. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   i dati, pubblicati nel minidossier dell’«associazione openpolis Parlamento», in cui si mettono a confronto i governi Renzi, Letta, Berlusconi e Monti, evidenziano che, complessivamente, il Governo Renzi risponde a meno del 25 per cento delle interrogazioni presentate dai parlamentari, rispetto al 40 per cento circa del Governo Letta, al 29 per cento del Governo Monti e al 39 per cento dell'ultimo esecutivo di Berlusconi;
   in un anno su un totale di 10 mila interrogazioni presentate, l'intera compagine del Governo Renzi ha risposto a meno di 2500 di esse, assestandosi tra i quattro Governi a confronto come il meno attivo;
   è bene ricordare che l'interrogazione parlamentare è un atto di sindacato ispettivo che ai sensi dell'articolo 128 del Regolamento della Camera, i deputati presentano al Presidente della Camera per sapere dal Governo se un fatto sia vero, o se il Governo ne abbia notizia, o se abbia preso o intenda prendere provvedimenti su un oggetto determinato;
   i deputati possono chiedere di ricevere la risposta in Assemblea, in Commissione o in forma scritta;
   l'azione di sindacato ispettivo, quindi, rientra tra le prerogative dei parlamentari;
   l'attuale compagine di Governo è composta da 16 Ministri e 45 tra Vice Ministri e Sottosegretari, i quali avrebbero dovuto rispondere, in media, a circa 153 atti di sindacato ispettivo ciascuno in un anno intero di Governo;
   ad avviso dell'interrogante il Governo Renzi, alla luce dei fatti, non primeggia per attività istituzionale, come invece primeggia per presenza televisiva –:
   cosa abbia impedito al Governo di rispondere alle interpellanze ed interrogazioni;
   quali iniziative intenda prendere per garantire un'adeguata risposta all'attività di sindacato ispettivo dei parlamentari. (4-08249)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   NICCHI, COSTANTINO, FRANCO BORDO, MELILLA, PANNARALE, RICCIATTI e ZACCAGNINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la prima Relazione al Parlamento sul Programma di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, trasmessa al Parlamento il 30 settembre 2014 dai Ministri della salute e della giustizia, in attuazione del decreto-legge n. 52 del 2014, convertito con modificazione dalla legge n. 81 del 2014, ha evidenziato che nonostante la proroga al 31 marzo 2015 del termine per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, «sulla base dei dati in possesso del Ministero della salute appare non realistico che le regioni riescano a realizzare e riconvertire le strutture entro la data stabilita»;
   Friuli Venezia Giulia, Valle d'Aosta, Campania, Calabria e Sardegna e le province autonome di Trento e di Bolzano non hanno trasmesso un programma di utilizzo dei finanziamenti. Piemonte, Lombardia, Umbria, Marche, Molise, Puglia e Sicilia hanno inviato o un programma di utilizzo dei finanziamenti non conforme alle indicazioni ministeriali e gli uffici sono in attesa delle integrazioni o modifiche richieste. Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Abruzzo, Veneto e Lazio hanno elaborato un programma di utilizzo dei finanziamenti conforme alle indicazioni ministeriali. Per queste regioni sono stati predisposti gli schemi di decreto interministeriale di approvazione dei programmi che, per le prime 4 regioni, sono all'esame del Ministero dell'economia e delle finanze per la preliminare concertazione tecnica. La regione Emilia Romagna ha richiesto la sospensione dell’iter di approvazione del decreto perché intenzionata ad apportarvi modifiche;
   per quanto concerne la distribuzione dei soggetti negli ospedali psichiatrici giudiziari, su un totale di 826, i dimissibili sono 476, i non dimissibili 314, mentre 36 non sono stati ancora giudicati valutabili. Ad Aversa ne sono registrati 119, a Barcellona Pozzo di Gotto 161, a Castiglione delle Stiviere 237, a Montelupo Fiorentino 80, a Napoli 92, a Reggio Emilia 99, mentre per 38 soggetti non è stata indicata la struttura di riferimento. A livello di programma terapeutico riabilitativo 28 sono in ambulatoriale, 16 in semiresidenziale, 404 in residenziale e per 28 non è stato segnalato il percorso;
   la relazione dimostra che gran parte degli internati risulta dimissibile: 476 persone, cioè oltre il 50 per cento degli attuali internati. Un dato che da solo dimezzerebbe il fabbisogno di REMS o «mini ospedali psichiatrici giudiziari» (previsto oggi in 900 posti). Analizzando le motivazioni che dichiarano i pazienti «non dimissibili» (si tratta di circa 350/400 persone) risulta che solo un'esigua minoranza sarebbe nelle condizioni di «dover restare» in ospedali psichiatrici giudiziari (o in seguito nelle REMS) secondo il dettato normativo. Solo il 17 per cento dei «non dimissibili» (quindi l'8,5 per cento degli attuali internati), secondo quanto riporta la relazione, conserva la condizione di «pericolosità sociale» come ridefinita dal decreto-legge n. 52 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 81 del 2014. Inoltre fra le persone dichiarate «non dimissibili» per ragioni diverse dalla pericolosità sociale, ben il 40 per cento (circa 160 unità) lo è per «motivazioni cliniche»: una tale motivazione non sembra accettabile vista la ratio della nuova legge che sposta l'asse dell'intervento dall'ospedale psichiatrico giudiziario al territorio;
   la relazione al Parlamento, dimostra quindi che gran parte degli internati risulta dimissibile, rendendo inutili proroghe e Rems: è possibile chiudere gli ospedali psichiatrici giudiziari e spostare gli interventi (e le risorse) per la cura delle persone nel territorio, e che, pertanto, si possono rivedere i programmi regionali, destinando i finanziamenti in conto capitale e quelli correnti al potenziamento dei Servizi socio sanitari (DSM in primis come prevede la stessa legge 81 del 2014), e ai budget per i «Progetti Terapeutici Riabilitativi Individuali» –:
   se non intenda confermare la data del 31 marzo 2015, quale data ultima per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, come previsto dal decreto-legge n. 52 del 2014;
   se non si intenda rivedere e aggiornare la realizzazione di REMS, anche alla luce dei dati forniti dalla prima relazione al Parlamento sul Programma di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, che dimostra come gran parte degli internati risulti dimissibile;
   se non si ritenga necessario dirottare gli interventi e le risorse per la cura delle persone nel territorio, spostando parte degli investimenti dalle Rems ai percorsi di cura e riabilitazione individuali, potenziando i servizi socio-sanitari territoriali quale condizione necessaria e indispensabile per prevenire il ricorso all'internamento e rendere del tutto residuale il ricovero nelle residenze per l'esecuzione delle misura di sicurezza (Rems);
   se non si intenda avviare opportune ed efficaci volte a monitorare e verificare che i tempi di permanenza dei soggetti internati negli ospedali psichiatrici giudiziari, nelle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza e nelle altre strutture di accoglienza, siano effettivamente quelli strettamente necessari per la riabilitazione e il reinserimento nell'ambiente di appartenenza, al fine di escludere una «cronicizzazione» dei soggetti internati nelle suddette strutture. (5-04914)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SAMMARCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la situazione della sanità, in modo particolare quella collegata ai tempi di attesa relativi alle prestazioni ambulatoriali e ospedaliere non derogabili, risulta in alcune regioni, tra cui la regione Lazio, ormai critica;
   il tribunale del malato attesta che le più importanti prestazioni sanitarie superano ormai di mesi il congruo periodo atto a garantire una corretta e sufficientemente precoce diagnosi, anche in presenza di patologie particolarmente serie e ingravescenti;
   servono 9 mesi per una risonanza magnetica e per un ecocardiogramma, 8 mesi per un'ecografia, 9 mesi, come una gravidanza, per una visita oculistica;
   ancora occorrono 7 mesi per una visita cardiologica e 6 mesi per una oncologica, per un intervento alla cataratta si aspettano mediamente 8 mesi e per un'operazione per calcoli renali 6 mesi;
   il 31 per cento dei pazienti denuncia un costo eccessivo delle prestazioni che nel Lazio vedono ticket a volte perfino più costosi della prestazione stessa, se fatta presso strutture private;
   sembra singolare all'interrogante che le regioni, in particolar modo la regione Lazio, applichino tariffe così alte per i ticket relativi alle prestazioni sanitarie in cambio di servizi, che alla luce di quanto sopra riportato, appaiono così lenti e così scadenti –:
   se quanto sopra corrisponda al vero, quali provvedimenti intenda adottare il Ministro per porre rimedio ad una situazione di oggettivo disagio per l'utenza e per eliminare una grave sperequazione distorsiva del corretto rapporto tra i servizi sanitari regionali e i cittadini-utenti con particolare riferimento all'esigenza di contenere le liste d'attesa. (4-08248)


   NESCI e PARENTELA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 12 febbraio 2015, a Catania una bimba nata la notte prima è morta in ambulanza, nel cuore della notte, prima di poter raggiungere l'ospedale;
   la causa del decesso – su cui sono in corso indagini da parte della Polizia di Ragusa – sarebbe da imputare al fatto che a Catania non c'erano posti letto disponibili nel reparto di rianimazione e, dunque, è stato necessario trasferire la neonata a Ragusa;
   secondo quanto si legge su «La Repubblica», «la piccola è venuta alla luce la scorsa notte (11 febbraio, nda) in una clinica privata. Dopo un parto regolare, ha accusato difficoltà respiratorie. I medici avrebbero invano cercato un reparto ospedaliero specializzato dove trasferirla. È stato chiesto allora l'intervento del 118, che ha avviato un monitoraggio nei tre ospedali catanesi dove è presente la Terapia intensiva pediatrica: il Garibaldi, il Santo Bambino e il Cannizzaro. Ma in nessuno dei tre centri c'era un letto libero. L'unico ospedale della Sicilia orientale che ha risposto all'appello è stato quello di Ragusa, distante oltre cento chilometri, a un'ora abbondante di viaggio. Ma la piccola è morta durante il trasporto in un'ambulanza privata»;
   il 25 febbraio 2015, ancora sul quotidiano «La Repubblica», si legge un intervento dei dottori Domenico Corea e Pasquale Novellino, rispettivamente direttore dell'unità operativa di ostetricia e ginecologia di Lamezia Terme (Catanzaro) e direttore di patologia neonatale di Catanzaro;
   nel summenzionato intervento i due medici sottolineano che quanto accaduto a Catania potrebbe tragicamente accadere anche in Calabria;
   «In Calabria – si legge nella nota – la situazione è drammatica. Per un'area (Catanzaro, Crotone e Vibo) dove avvengono circa 6.000 parti l'anno a fronte dei 12 posti letto previsti in Terapia Neonatale Intensiva, sono attivi, dopo la soppressione di 4 posti letto a Crotone e 4 a Lamezia Terme, solo 4 posti letto a Catanzaro. E non infrequente è il caso di trasferimenti di donne gravide e neonati fuori Regione [...] chiediamo un intervento rapido del ministro perché non vorremmo essere facili profeti»;
   su «Il Quotidiano della Calabria» del 3 marzo 2015, in un articolo a firma Giulia Mascaro, si legge: «chiude il reparto pediatria dell'Ospedale Giovanni Paolo II di Lamezia Terme per carenza di personale e le urgenze e disagi si riversano nell'ospedale Pugliese di Catanzaro»;
   secondo quanto raccontato dalla giornalista, quella passata da medici e pazienti dell'ospedale del capoluogo è stata «una notte di inferno» dato che «neanche la struttura ospedaliera catanzarese si è rivelata idonea a far fronte ad un'urgenza così forte, essendo i posti letto già terminati, tant’è che per evitare ulteriori disagi – per chi di disagi ne aveva già avuti abbastanza – si è deciso di aprire anche il reparto di pediatria universitaria, generalmente adibito esclusivamente a day-hospital»;
   a denunciare l'accaduto è stata Sarah Yacoubi, segretario territoriale FSI (Federazione sindacati indipendenti) di Catanzaro, secondo la quale «simili casi, dovuti alle note carenze di personale, stanno ormai diventando routinari in tutti gli ospedali calabresi determinando in tal modo disfunzioni ormai insanabili, per cui gli ospedali sono nel caos assoluto e nella regione, in assenza di precise direttive, regna l'anarchia gestionale e amministrativa cui i più volenterosi anche a rischio di sbagliare cercano di mettere delle pezze che però sono sempre più piccole del buco. La sanità calabrese è oggi paragonabile ad un'auto senza controllo»;
   non è la prima volta, peraltro, che l'ospedale di Catanzaro vive pesanti disagi. Sempre su «Il Quotidiano della Calabria» del 26 febbraio 2015, si legge: «Dodici malati, ognuno su una barella. Stipati, in gruppi di quattro, nelle tre stanze del pronto soccorso. Senza intimità, senza spazio, senza la possibilità di usare i bagni. È quello che è accaduto la notte scorsa all'ospedale di Catanzaro. Le piccole stanze del Pronto Soccorso sarebbero adibite solo per un'osservazione breve prima del ricovero. Ma c’è di più. Sempre la scorsa notte, altri dodici pazienti in barella sono stati smistati nei vari reparti dell'ospedale. In tutto, 24 malati in barella, mai registrato al Pugliese un numero simile, perché tutti i reparti sono saturi. «Se arriva un'emergenza, non sappiamo cosa fare. Non c’è più la possibilità di accogliere i malati». Lo sfogo, ieri mattina, di un infermiere. E stata una notte di inferno, all'ospedale Pugliese, una notte da record. Finite anche le barelle in uso. Nessuna risorsa «extra»»;
   secondo quanto emerso, a fronte di oltre duecento accessi al pronto soccorso in una sola notte, erano operativi solo due medici, quattro infermieri e pochissimi operatori sanitari;
   la gravissima carenza di personale potrebbe essere causa di episodi drammatici, come avvenuto già all'ospedale civile «Annunziata» di Cosenza (di cui l'odierna scrivente si è occupata con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-08016), dove, il 15 febbraio 2015, secondo quanto si legge sul sito de «La Gazzetta del Sud», due medici sono stati colti da infarto ed un terzo da ictus;
   secondo quanto denunciato dallo SMI (Sindacato dei medici italiani), la ragione dei malori risiederebbe nel fatto che i camici bianchi lavorano «in situazioni di continuo stress»;
   stando agli ultimi dati disponibili l'ospedale cosentino vivrebbe una situazione di pesante disagio dovuto, anche in questo caso, alla carenza di personale: su 40 unità operative, 16 sono affidate a facenti funzione, i medici presenti sono circa 350 su 622 previsti, gli infermieri 580 (265 in meno rispetto a quelli previsti), gli OSS 110 su 318 previsti;
   tale gravosa condizione non consente ai pazienti di ricevere spesso le opportune attenzioni e le cure dovute, come invece previsto dall'articolo 32 della Costituzione, secondo cui «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti» –:
   quali misure intendano adottare affinché siano assicurati per l'area lametino-catanzarese, con particolare riguardo per l'ambito di ostetricia, neonatologia e pediatria, i livelli essenziali di assistenza previsti e la tutela del diritto alla salute di cui all'articolo 32 della Costituzione, anche alla luce della denuncia del dottor Corea. (4-08250)


   CAPELLI, VARGIU e PIRAS. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 23 luglio 2014 la XII Commissione (Affari sociali), dopo un lungo e attento dibattito, ha approvato la soluzione Lenzi ed altri n. 8-00068, nuovo testo, «Iniziative volte a fronteggiare la peste suina africana e la malattia vescicolare suina»;
   nella succitata risoluzione si osservava tra l'altro che per quel che riguardava la malattia vescicolare suina (MVS) «l'accreditamento aziendale e regionale di indennità da malattia vescicolare suina consente la possibilità di movimentazione degli animali e delle carni, ma attualmente in Italia non si ha l'accreditamento di tutte le regioni per l'indennità da MVS. Infatti ad oggi le regioni Campania e Calabria presentano ancora dei focolai»;
   per quel che riguarda la peste suina africana (PSA), è noto che questa malattia, contagiosa tra gli animali ma non per l'uomo sta costituendo un grosso freno alle esportazioni di carne suina, stante anche quanto stabilito dalla Commissione europea che con propria decisione esecuzione 2011/852/UE, che ha definito tutta la Sardegna territorio «ad alto rischio»;
   il Commissario europeo per la salute e la politica dei consumatori Tonio Borg ha evidenziato il rischio della diffusione della peste suina africana al di fuori della Sardegna, con gravissimi danni per tutto l'allevamento suino europeo;
   la giunta regionale della Sardegna, con deliberazione n.25/18 del 2 luglio 2015 ha disposto la redazione e l'attuazione di un piano d'azione straordinario e l'istituzione di un Comitato ristretto d'indirizzo per l'eradicazione della PSA;
   a questo è seguita la legge regionale 22 dicembre 2014, n. 34, Disposizioni urgenti per l'eradicazione della peste suina africana, ed, infine, la delibera 5/6 del 6 febbraio 2015 che ha approvato definitivamente il piano d'azione straordinario sopra citato;
   la Commissione europea ha approvato il piano straordinario sopra citato, deliberando un co-finanziamento pari a 3.500.000 di euro, per contribuire a debellare il virus entro il 2017. Attualmente la somma è suddivisa in due tranche: 2 milioni di euro per il 2015; 1.500.000 di euro per il 2016;
   appare, quindi, evidente l'efficace e fattivo impegno messo in campo dalla regione Sardegna per l'eradicazione della malattia, riconosciuto anche dalla Commissione europea;
   le audizioni effettuate dalla Commissione durante la discussione della risoluzione ricordata, hanno sottolineato tra le criticità più gravi l'insufficiente attività di controllo in porti ed aeroporti;
   il problema della mancanza di controlli non vale solo per l'esportazione ma anche per l'importazione;
   è, infatti, noto che molte merci provenienti dall'estero sono introdotte in Sardegna senza nessuna necessaria autorizzazione, e senza che vengano svolti i previsti controlli sanitari;
   in tempi recenti, inoltre, proprio la carenza di controlli ha causato la diffusione di gravi virosi che hanno pesantemente danneggiato l'economia sarda e minacciato la salute delle persone;
   in particolare, così come per le esportazioni, anche per le importazioni si registra una mancanza totale di controlli effettivi, in particolare per quel che riguarda le merci che si muovono su gomma ed escono dalle aree portuali;
   il controllo sistematico delle merci e dei prodotti importati in Sardegna dovrebbe essere di competenza del Ministero della salute, si effettua presso punti di ispezione frontaliera che sono del tutto inesistenti in Sardegna;
   la totale assenza di presidi statali nel caso di importazioni dirette in Sardegna, rischia di creare gravi problemi di salute non solo per la popolazione sarda ma anche per quella italiana ed europea;
   la risoluzione della XII Commissione, al punto 1) impegna il Governo a «rafforzare i controlli su porti e aeroporti, anche favorendo l'istituzione in Sardegna di un punto di ispezione frontaliera» –:
   se il Ministro interroga abbia iniziato ad ottemperare l'impegno preso con l'accettazione della risoluzione e, in caso affermativo, quali iniziative di competenza abbia intrapreso per l'istituzione di punti frontiera in Sardegna, in modo da garantire un maggiore controllo e una più sicura tutela della salute dei cittadini. (4-08252)


   RONDINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 30 settembre 2014 l'Agenzia Italiana del farmaco (AIFA) e l'azienda farmaceutica Gilead Sciences hanno raggiunto l'accordo per la rimborsabilità del farmaco Sofosbuvir, il cui nome in commercio è Sovaldi, per il trattamento dei pazienti affetti da epatite cronica C;
   il 5 dicembre 2014 è stata pubblicata la delibera in Gazzetta Ufficiale con l'autorizzazione all'immissione in commercio e i criteri di rimborsabilità da parte del Sistema sanitario nazionale e dal 6 dicembre viene installata su piattaforma web AIFA il registro del farmaco con l'indicazione terapeutica: «Sovaldi è un medicinale soggetto a prescrizione medica limitativa, da rinnovare di volta in volta (RNRL), da ospedali o specialisti (internista, specialista in malattie infettive, gastroenterologo). L'erogazione di Sovaldi a carico del Servizio sanitario nazionale, è consentita solo su prescrizione di Centri specialistici all'uopo individuati dalle singole regioni. Per potersi fare prescrivere il farmaco, e infatti necessario che a regione di appartenenza abbia individuato i centri prescrittori e li abbia comunicati ad AIFA;
   si stima che in Italia siano circa 70-80 mila i pazienti più gravi a fronte di una patologia diagnosticata a 400-500 mila casi e con una stima complessiva, comprensiva anche di quelli non diagnosticati, di un milione di casi;
   con la legge di stabilità 2015 è stata prevista, ai commi 593-598, l'istituzione di un fondo speciale di 1 miliardo per il rimborso alle regioni per l'acquisto di farmaci innovativi, per il biennio 2015 e 2016 Il fondo è alimentato da un contributo statale alla diffusione di farmaci innovativi, e da una quota delle risorse destinate alla realizzazione degli obiettivi specifici del Piano sanitario nazionale. Tale fondo prevede il pagamento degli importi alle regioni in proporzione ai costi sostenuti per l'acquisto di farmaci innovativi;
   tuttavia, come ha sottolineato anche il direttore generale dell'AIFA Luca Pani, nel corso della presentazione del rapporto Osmed «L'uso dei farmaci in Italia dal gennaio-settembre 2014», lo scorso 26 gennaio, i 21 sistemi sanitari regionali diversi, stanno facendo sì che il farmaco sia erogato a soli 30 pazienti e 10 in 5-6 regioni;
   una volta individuati e sanciti con delibere i centri prescrittori, le regioni devono individuare le regole di distribuzione del farmaco. Le delibere per la distribuzione del farmaco sono state attualmente adottate solo in 9 regioni: Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia, Marche, Veneto Emilia-Romagna, mentre Valle d'Aosta, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Abruzzo e Basilicata non avrebbero attivato il programma di dispensazione del farmaco. Le regioni che invece non hanno ancora individuato i centri di prescrizione Sofosbuvir sono Sicilia, Campania, Calabria e Molise. Dunque soltanto l'81 per cento (17 su 21) dei sistemi sanitari regionali ha attivato i centri prescrittori, con un totale di 234 reparti. La situazione crea, così delle discrepanze nella prescrizione ed erogazione del nuovo farmaco ai pazienti malati di epatite C, non assicurando equo ed uguale accesso alla cura;
   il presidente dell'associazione EpaC, Ivan Gardini, sostiene che il motivo per cui le regioni stanno avendo ritardi nell'avviare le misure normative locali necessarie all'erogazione di Sofosbuvir è che «il fondo stanziato dalla legge di Stabilità 2015 per acquistare il farmaco non sia ancora nella disponibilità delle regioni, spingendole a procedere molto lentamente perché intanto devono anticipare i soldi»;
   il termine per la definizione delle procedure amministrative necessarie all'inserimento di Sovaldi nei prontuari terapeutici ospedalieri regionali è scaduto lo scorso 4 febbraio. Si evidenzia che il Ministro Lorenzin, il 12 febbraio 2015, ha dato incarico ai NAS di compiere «accertamenti urgenti presso gli Uffici competenti delle regioni al fine di verificare lo stato di attuazione della dispensazione a carico del SSN del nuovo farmaco», mostrando impegno e interesse per la problematica;
   è infine del 7 febbraio 2015 la notizia che alcuni malati di epatite C, seguiti dallo studio legale Defilippi & Associati di Parma, si sono rivolti ai giudici di Roma, Parma e Milano chiedendo, con provvedimento di urgenza, di «ordinare al Ministero della salute e all'Azienda Farmaceutica Gilead Science l'immediata cessazione della condotta sino a questo momento posta in essere in danno «del malato» fornendo «immediatamente la cura completa del farmaco Sofosbuvir pari a circa 40 pastiglie, ponendo le spese a carico del Servizio Sanitario Nazionale»;
   il 5 novembre, 2014 lo stesso Ministro della salute Lorenzin, già in risposta all'interrogazione n. 301133. dell'onorevole Miotto sulle «iniziative di competenza per la determinazione unica del prezzo dei farmaci nell'ambito dell'Unione europea, nonché iniziative urgenti per garantire l'accesso al farmaco Sovaldi per la cura dell'epatite C e per la pubblicazione del piano nazionale per la prevenzione delle epatiti virali», assicurava il suo impegno per «la definizione dei criteri di accesso alla terapia in questione per ottenere il massimo beneficio, garantendo anche la sostenibilità del sistema e l'equità e l'omogeneità dell'accesso stesso; è una priorità che ritiene nazionale e che non può essere gestita regione per regione in base alle differenti disponibilità economiche»;
   lo scorso 21 gennaio 2015 nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla «Sostenibilità del SSN» in commissione «Igiene e Sanità» del Senato, il direttore generale dell'Age.Na.S. Francesco Bevere, ha sottolineato l'importanza di rafforzare il monitoraggio, l'analisi e il controllo dell'andamento dei singoli sistemi interni sanitari regionali, che significa tra l'altro «controllare le attività degli erogatori, sanitari per verificare che ne siano rispettati tutti gli standard previsti e, al contempo, che nel momento in cui l'erogazione dei servizi viene messa a repentaglio, Age.Na.S, assieme al Ministero ed alle regioni, sarà in grado di individuare preventivamente ogni scostamento, affinché esso non produca nel tempo difetti nella performance gestionale e nella complessiva erogazione dei servizi sanitari, a danno dei cittadini»;
   in considerazione di quanto espresso in premessa e alla luce della necessità di garantire a tutti i pazienti, indipendentemente dalla loro regione di appartenenza, l'accesso al farmaco come intendano garantire, in tempi brevi, la capillare distribuzione delle nuove terapie HCV su tutto il territorio nazionale e permettere ad ogni malato un equo accesso alla cura –:
   se e quali azioni si vogliono intraprendere per rafforzare e assicurare il ruolo di monitoraggio e controllo dell'Age.Na.S. e del Ministero della salute nei confronti dei sistemi sanitari regionali. (4-08263)


   DI LELLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'ex casa di casa «Parco degli Ulivi» di Moschiano sorge sulla strada provinciale «ex strada statale 403» che congiunge il Vallo di Lauro ad Avellino e Salerno ma resta, un gigante immerso nel verde, depauperato della sua fruibilità dall'azione fatta negli anni da randagi e vandali. Già casa di cura privata poi centro per le malattie mentali, viene acquistata dall'Asl Irpina nel 2004 al fine di abilitare questa struttura alla cura dei malati dimessi dagli ospedali psichiatrici e essere adibita a strutture di distretto sanitario;
   a più di 10 anni dall'acquisto da parte dell'Asl, nulla è stato fatto per l'ex clinica diventata nel frattempo preda degli sciacalli;
   per questo i sindaci dell'unione dei comuni «Antico Clanis», comprendente Marzano di Noia, Domicella, Lauro, Moschiano, Pago Vallo di Lauro, Taurano e Quindici, si sono mobilitati per chiedere il risanamento e il riutilizzo del Parco degli Ulivi che, un tempo, era un'importante struttura, per un territorio particolarmente decentrato, per la radioterapia e che, tra l'altro, ospitava pazienti con patologie neurodegenerative ed internistiche;
   allo scopo di contrastare lo stato di totale abbandono dell'ex casa di cura, i sindaci del Vallo di Lauro hanno più volte chiesto al presidente della regione Campania a mettere in atto, nella sua qualità di commissario straordinario della sanità della regione, tutti gli atti amministrativi e tecnici di propria competenza affinché l'ASL di Avellino rendesse la struttura nuovamente fruibile;
   la citata unione dei comuni «Antico Clanis», con deliberazione n. 3 del 25 marzo 2014, rinnovava la richiesta alla giunta regionale di intervenire al fine di ristrutturare il sito sanitario per finalizzarlo alle attività di recupero di pazienti affetti da malattie neurodegenerative o di altra tipologia, non mancando di sottolineare che la stessa è stata oggetto, nella relazione del procuratore generale della Corte dei Conti della regione Campania, di una richiesta di 1.600.000,00 euro nei confronti della ASL e della regione Campania, che ne sono proprietari, valutato il danno erariale corrispondente alla mancata utilizzazione di costosi macchinari acquistati per la terapia contro i tumori da collocare nella ex casa di cura «Parco degli Ulivi» di Moschiano, acquistata con finanziamento pubblico e ai prevedibili costi di ripristino della funzionalità dell'immobile;
   preso atto della mancata risposta agli appelli da parte del commissario straordinario, i sindaci del Vallo di Lauro, insistono nel denunciare il perdurare dello stato di completo abbandono e degrado in cui versa l'ex casa di cura, un tempo centro di eccellenza regionale, per la cui riattivazione non mancano progetti e idee al fine di trasformarla in un punto di riferimento e di funzionalità per le attività sanitarie di un territorio dove è urgente l'esigenza di avvicinare i servizi alle Comunità delle periferie –:
   quali iniziative il Ministro interrogato, abbia intenzione di porre in essere, per le parti di sua competenza, anche alla luce dei fatti esposti in premessa, e anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario qualora l'inerzia di una parte delle istituzioni preposte al buon funzionamento delle strutture regionali determini gravi carenze territoriali nell'ambito di un riordino delle strutture sanitarie affinché vi sia una copertura capillare del territorio che, come nel caso della ex Casa di Cura Parco degli Ulivi, riuscirebbe, se riattivata, a sopperire alle carenze delle ASL presenti sul territorio regionale e a offrire un presidio e cure altamente specialistiche per patologie particolarmente gravi. (4-08265)


   LOREFICE, MANTERO, SILVIA GIORDANO, DI VITA, GRILLO e BARONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la scorsa settimana sulle prime pagine di tutti i quotidiani cartacei e on-line della regione siciliana è stato riportato un grave caso di malasanità verificatosi al pronto soccorso dell'ospedale Cannizzaro di Catania;
   la triste vicenda ha visto come protagonista una donna che avrebbe dovuto essere ricoverata in neurologia, ma che, per assenza di posti, è stata trasferita dopo giorni nel reparto di malattie infettive. Per tre giorni la donna è stata lasciata su una barella, senza una diagnosi e in condizioni igienico-sanitarie ai limiti della sopportazione;
   in un'intervista rilasciata ad un noto quotidiano regionale, sono riportate le parole della donna: «Sono arrivata al pronto soccorso venerdì e fino a lunedì sera non mi sono alzata dalla barella. Ho avuto ripetuti picchi di temperatura, uniti a forti fitte alla testa, ma per giorni i medici non hanno avuto modo di capire cosa avessi e, come se non bastasse, sono stata in un locale che un anno fa era un ufficio. Dieci minuti dopo la telefonata ai carabinieri improvvisamente è arrivata un'infermiera con la carta di ricovero»;
   lo stesso Ministro della salute ha recentemente affermato che oggi uno dei problemi in sanità sia «far applicare la legge nazionale alle regioni» e che «se le regioni non applicano le norme si mandano i commissari»;
   i tempi d'attesa in pronto soccorso, secondo le normative vigenti, non possono superare le 48 ore;
   il quadro del sistema sanitario della regione siciliana è efficacemente riassunto nelle parole della donna protagonista della vicenda in oggetto rilasciate ai microfoni della Rai: «Ci sono pochissimi medici e infermieri, Il pronto soccorso è al collasso. In questo modo diventa normale ricevere cure e attenzioni in ritardo, se la notte rimane in servizio una sola infermiera, Il corridoio dei locali, dove mi hanno sistemata, fra l'altro, è provvisto di un solo bagno e non mi sono potuta lavare per tre giorni»;
   esiste una situazione evidente, ormai riportata da tutte le testate giornalistiche e televisive, relativa alla grave situazione nella quale verte (da anni) il sistema di emergenza della, regione siciliana;
   il Codacons conferma l'esistenza di un possibile collegamento fra casi di malasanità ed i tagli alle strutture pubbliche avvenute negli ultimi anni, evidenziando un generale peggioramento del servizio sanitario regionale e quindi della qualità delle prestazioni rese agli utenti;
   è altresì nota la grave situazione di caos che si registra in tutti i pronto soccorso della nazione, per combattere la quale lo stesso Ministro ha manifestato l'orientamento a far pagare gli accessi impropri e ha evidenziato come «molto spesso il territorio non funziona. Ed è questo a cui stiamo lavorando»;
   tuttavia la crisi dei Pronto soccorso non può essere attribuita solo alla cattiva educazione dei cittadini, ai quali si fa carico della frequente inappropriatezza degli accessi, o al «territorio che non funziona», ma ha la sua prima causa nel fenomeno del boarding, vale a dire l'attesa di ore o di giorni, su barelle o panche, di un posto letto che non c’è, per un ricovero che pure è stato ritenuto necessario;
   il diritto alla salute dei siciliani non può essere pregiudicato da meri interessi economici, il diritto a ricevere cure mediche celeri ed efficaci non può essere lasciato in disparte in un pronto soccorso per 72 ore, la stessa vita umana non può essere messa in pericolo dalla cattiva organizzazione di un presidio ospedaliero;
   negli ultimi 10 anni sono stati tagliati 70 mila posti letto, e, con il recente Patto della salute 2014-2016 ne sono stati decisi ulteriori 3.000 in assenza di una contestuale riforma delle cure primarie;
   migliaia di medici precari, che mettono la loro faccia davanti alle attese dei cittadini, verranno stabilizzati solo in minima parte, dopo essere stati dimenticati dal jobs act;
   occorre porre rimedio convergenza ai guasti provocati dal blocco del turnover senza fine, spiegando, se del caso al Ministero dell'economia e delle finanze che i costi complessivi non sono diminuiti solo perché le aziende utilizzano il capitolo beni e servizi;
   l'articolo 32 della Costituzione «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti» –:
   se sia a conoscenza della reale situazione in atto esistente in tutti i Pronto soccorso sul territorio nazionale, ed in particolare della regione siciliana;
   quali iniziative per quanto di competenza intenda adottare per un'attenta valutazione della problematica, in particolare nella regione siciliana e mettere in atto soluzioni efficaci per fare in modo che in futuro problematiche del genere non avvengano più. (4-08269)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 febbraio 2015 il sottoscritto a presentato l'interrogazione n. 5-04768 in merito al rischio di chiusura dell'ufficio postale di Pisticci Scalo chiedendo al Ministro, per le sue competenze di intervenire, al fine di verificare la possibilità di scongiurare tale ipotesi da parte di Poste italiane in considerazione della peculiarità del comprensorio servito dal citato ufficio postale;
   l'interrogante è costretto a ripresentare un atto di sindacato ispettivo in considerazione di nuovi elementi che sono emersi in merito alla vicenda;
   l'Ufficio regolamentari e Legislativi di Poste italiane con lettera datata il 26 febbraio 2015 e ricevuta in data 3 marzo mi specifica che tale decisione rispetterebbe i requisiti del decreto ministeriale 7 ottobre 2008 cosiddetto decreto Scajola e della delibera AGCOM 342/14/CONS del 29 giugno 2014;
   viene altresì riferito testualmente «che il suddetto intervento non implicherà alcuna criticità gestionale, in quanto l'attività verrà assorbita da altri uffici limitrofi, quali Pisticci e Craco mantenendo gli attuali livelli di servizio senza generare alcuna problematica occupazionale»;
   quanto espresso nella citata lettera evidenzia una non conoscenza del caso specifico;
   l'ufficio in questione è all'intero di un'area industriale in cui operano società multinazionali, realtà produttive di fama internazionale che danno lustro la made in Italy, e numerose attività commerciali che verrebbero penalizzate eccessivamente con la chiusura dell'ufficio postale;
   in più vi sono esigenze sociali legate alla specificità di un ufficio che serve numerose famiglie che risiedono in contrade rurali con attività economiche legate all'agricoltura ed un quartiere residenziale al cui interno abitano 600 abitanti;
   la risposta di Poste italiane non considera che per le aziende, per le attività economiche e commerciali, per gli uffici, questa soppressione diventa una evidente diseconomia, così come per persone anziane, pensionati, diventa assolutamente problematico raggiungere gli altri uffici postali citati in assenza persino di un servizio di trasporto pubblico locale degno di questo nome;
   uffici come quello di Pisticci centro risulta essere perennemente congestionato, ubicato in locali assolutamente inadeguati a ricevere un sovraccarico di utenza, dove non mancano lamentele dei cittadini per i disagi, e per di più non di proprietà di Poste italiane, come invece quello della frazione di Pisticci Scalo;
   si tratta davvero di un evidente paradosso di una società che sembra avere smarrito la consapevolezza di svolgere un servizio pubblico –:
   se e quali iniziative, anche in considerazione di questi nuovi elementi, il Ministro interrogato intenda attivare al più presto per evitare che si proceda nella decisione di sopprimere l'ufficio postale di Pisticci Scalo e di consentire che si possa aprire un confronto con l'azienda, nel rispetto del contratto di servizio, anche per una rimodulazione degli orari e dei giorni di apertura ma scongiurando il fatto che i cittadini e le attività economiche presenti in questo comprensorio vengano penalizzati da una scelta che a quanto emerge, oggettivamente, non tiene in considerazione la peculiarità sociale e territoriale di questa comunità. (5-04897)


   RICCIATTI, LUCIANO AGOSTINI, MARCHETTI, LODOLINI, MANZI, VEZZALI, FERRARA, QUARANTA, MELILLA e PIRAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i dati dell'indagine trimestrale «Giuria della Congiuntura», realizzata dal Centro studi Unioncamere Marche, presentati il 27 febbraio 2015 certificano nella regione un calo della produzione pari all'1,7 per cento; meno 1,6 per cento per gli ordinativi e meno 0,5 per cento per il fatturato. Positivi, invece i dati del fatturato estero (+1,2) e gli ordinativi dall'estero (+1,9). Risultano essere in lieve calo anche le settimane di produzione assicurata che passano da 6,1 a 5,9, mentre è aumentato l'utilizzo degli impianti rispetto al trimestre precedente: dal 75,6 all'81,4 per cento;
   dallo studio citato emerge per le Marche «un quarto trimestre 2014 ancora particolarmente pesante soprattutto per l'artigianato, che ha perso il 2,6 per cento della produzione con il fatturato in calo dell'1 per cento e gli ordinativi del 2,8 per cento. Per quanto riguarda i settori manifatturieri, solo la meccanica fa registrare una crescita di produzione (+1,4), fatturato (+1,7) e ordinativi (+1,5). Il segno meno la fa invece da padrone per tutti gli altri settori, con risultati particolarmente pesanti per la produzione del mobile (3,9) e del calzaturiero (-3,7), mentre l'abbigliamento perde il 2,8 per cento e l'alimentare l'1,8 per cento. Sul calzaturiero hanno inciso pesantemente le crisi di Ucraina e Russia, con la conseguente riduzione anche di ordinativi esteri (-3,4) e di fatturato estero (-1,9), che invece sono aumentati per gli altri settori»;
   conformemente ad un trend ormai costante, anche negli ultimi mesi del 2014 la crisi ha colpito più duramente le piccole imprese: quelle con meno di 10 addetti hanno visto la produzione e gli ordinativi calare dei 3,1 per cento e il fatturato dell'1,6 per cento. Nelle imprese tra 10 e 49 addetti produzione e ordinativi hanno perso l'1,9 per cento con una contrazione del fatturato dello 0,5 per cento. Infine le aziende tra 50 e 499 addetti hanno visto il fatturato crescere dello 0,7 per cento e gli ordinativi dello 0,2 con la produzione in lieve discesa (-0,2);
   l'Ufficio studi di Confartigianato su dati della Banca d'Italia e di Artigiancassa ha rilevato che i prestiti al comparto dell'artigianato nelle Marche, nell'ultimo anno, ammontano a 2,4 miliardi di euro, segnando una diminuzione di oltre 117 milioni di euro rispetto all'anno precedente;
   la riduzione suddetta, pari al 4,6 per cento, è più alta della media italiana, che si attesta attorno al 4 per cento, ed in peggioramento rispetto alla precedente rilevazione (-3,6 per cento). Un calo che si registra in modo più o meno uniforme in tutte le province delle Marche: Macerata –6,1 per cento, Ascoli Piceno –5,1 per cento, Ancona –4,7 per cento e Fermo –4,3 per cento; Pesaro Urbino –3 per cento;
   il presidente di Confartigianato Imprese Marche, Salvatore Fortuna ha dichiarato agli organi di stampa, lo scorso 25 febbraio, che «la situazione creditizia delle imprese, soprattutto di quelle di piccola dimensione, rimane critica. Un credito sempre più scarso e costoso blocca le opportunità di sviluppo, scoraggia gli investimenti e rallenta i processi di innovazione tecnologica. Tutto ciò mentre le nostre aziende sono alle prese anche con i ritardi di pagamento degli Enti pubblici e dei privati che le costringe a chiedere prestiti per compensare i mancati incassi dei cattivi pagatori»;
   tra i problemi che colpiscono maggiormente le piccole imprese vi è anche la difficoltà ad investire in innovazione. Come ha ribadito il presidente della CNA Marche Gino Sabatini, in occasione di «Marche Eccellenti», l'iniziativa della CNA che ogni anno premia le imprese eccellenti delle Marche, tenutasi a Pesaro il 20 febbraio 2015: «la realtà conferma invece un atteggiamento difensivo e quasi rinunciatario delle piccole imprese marchigiane. Quelle che hanno realizzato investimenti nel 2014, infatti, sono state meno del 10 per cento del totale tra le attività manifatturiere delle Marche e solo il 5 per cento tra le attività di servizio»;
   secondo la CNA, che ha elaborato i dati Istat, le Marche si piazzano all'ultimo posto tra tutte le regioni in Italia per numero di addetti alla ricerca negli enti pubblici. Nella regione sono 171 gli addetti degli enti pubblici dediti alla ricerca e sviluppo, pari al 3,5 per cento dei 4.850 ricercatori attivi nelle Marche, di cui 2.817 nelle imprese, 1.851 nelle università e 10 nelle istituzioni no profit;
   anche per quanto riguarda le risorse destinate alla ricerca e sviluppo da parte degli enti pubblici marchigiani, i dati non sono incoraggianti: quasi 14 miliardi di euro, pari al 4,3 per cento della spesa totale di 319 milioni di euro di cui 164 investiti dalle imprese, 141 dalle università e 301 mila euro dalle istituzioni no profit;
   secondo CNA e CGIA Marche nel 2014 sono fallite 580 aziende. La maggior parte dei fallimenti ha coinvolto piccole: aziende artigiane e commerciali, con i titolari che, non potendo contare sugli ammortizzatori sociali, sono andati a ingrossare i numeri dei disoccupati, portandosi dietro i propri dipendenti. I settori maggiormente coinvolti dai fallimenti aziendali sono stati l'edilizia, il commercio, la ristorazione, l'autotrasporto, l'abbigliamento e le calzature –:
   quali soluzioni intenda adottare il Ministero per far fronte alla crisi delle piccole imprese e delle imprese artigiane nelle Marche, in riferimento alle criticità segnalate in premessa;
   quali misure intenda adottare per favorire l'internazionalizzazione delle imprese marchigiane, considerato che i pochi dati positivi dell'economia regionale provengono dal settore dell'esportazione.
(5-04900)


   SENALDI, SCUVERA, BAZOLI, BARGERO, PAOLO ROSSI e PRINA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA) è un ente pubblico che opera nei settori dell'energia, dell'ambiente e delle nuove tecnologie a supporto delle politiche di competitività e di sviluppo sostenibile;
   ENEA è controllato dal Ministero dello sviluppo economico, ha undici (11) centri distribuiti sul territorio nazionale e oltre 2.600 dipendenti;
   l'attuale ENEA nasce negli anni sessanta come CNEN (Comitato nazionale per l'energia nucleare) e con numerose e successive azioni di riforma, conseguenti anche ai mutati obiettivi di politica energetica nazionale e alle difficoltà subite dalla ricerca nucleare in Italia, raggiunge l'odierna configurazione basta sulla legge 23 luglio 2009, n. 99, articolo 37, che ha previsto l'istituzione dell'attuale Agenzia in sostituzione del precedente Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente;
   l'attuale fisionomia dell'agenzia, generata da un lungo processo «bottom-up» dopo la perdita della «mission» nucleare, ha indirizzato l'attività verso molteplici settori che variano dai nuovi materiali, alle tecnologie nucleari di nuova generazione, al risparmio ed alla efficienza energetica, alla qualità delle acque, alla robotica, alla difesa del patrimonio artistico e culturale, alla diffusione dell'innovazione ed alla prestazione di servizi avanzati alla pubblica amministrazione, alle imprese e ai cittadini;
   il Parlamento, in conseguenza di ciò, ha impegnato il Governo con la risoluzione n. 8-00027 ad una efficace e complessiva revisione della missione strategica dell'agenzia da attuarsi in tempi rapidi, impegno più volte riconfermato dal Governo;
   per quanto attiene alla «governance» dell'agenzia a seguito della legge n. 99 del 2009 nelle more della ricostituzione degli organi sociali è stata prevista una fase commissariale con lo scopo di garantire l'ordinaria amministrazione e lo svolgimento delle attività istituzionale fino all'avvio del nuovo corso dell'agenzia;
   dopo ben quattro anni di commissariamento, nell'agosto 2014 si è proceduto ad una ulteriore nomina commissariale, ancora in essere;
   ad oggi, non appare ancora delineato il processo di riforma strategica dell'Agenzia e comunque non si ha riscontro parlamentare sulle linee guida di tale riforma, mentre fonti sindacali indicano al contrario come imminente una riorganizzazione interna;
   la stampa nazionale riporta, inoltre, con grande evidenza l'avvio di processi di valutazione del personale di ricerca per gli avanzamenti di carriera che sarebbero prevalentemente basati su criteri di anzianità, mortificando quindi ancora una volta il merito;
   nella fase attuale, quindi, in assenza di ogni processo di riordino strategico e di definizione univoca dei compiti dell'agenzia, previsto dal Parlamento, l'ENEA appare invece interessato da processi riorganizzativi interni e processi di valutazione selettiva del personale –:
   quale sia la reale situazione dell'ENEA, ed in specifico, quale sia Io stato di attuazione dal parte del Ministro interrogato dell'impegno assunto in sede parlamentare per la necessaria ed inderogabile rifocalizzazione degli obiettivi e dei compiti dell'Agenzia ENEA e come si intenda muovere il Ministero per fornire all'ENEA una chiara missione strategica nel quadro degli enti pubblici di ricerca nazionali. (5-04906)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Almaviva è una società leader nel settore dei call center presente su tutto il territorio nazionale e da mesi al centro di una delicata vertenza per scongiurare migliaia di licenziamenti decisi dall'azienda a causa del calo di fatturato e della perdita di alcune importanti commesse sia pubbliche che private;
   in un contesto segnato dal costante ricorso alla delocalizzazione delle attività, viene privilegiato il parametro del minor costo nelle gare per la gestione dei servizi e di conseguenza si mette a rischio la tenuta occupazionale e la sostenibilità dei siti produttivi presenti nel territorio, in particolare a Palermo, dove Almaviva ha da tempo stabilito la propria sede legale;
   gli effetti del meccanismo dell'assegnazione delle gare al ribasso non possono essere scaricati sulla pelle dei lavoratori e non possono essere loro a pagare il prezzo di un sistema che non funziona, penalizza le professionalità e favorisce chi offre un costo del lavoro più basso e minori tutele e garanzie per le lavoratrici e il lavoratori;
   il mantenimento o meno dello stabilimento Almaviva di Palermo e della commessa Wind non può essere legato a ulteriori decurtazioni del salario dei lavoratori che hanno già rinunciato a parte del loro stipendio stipulando nel 2013 un accordo con l'azienda che prevede l'utilizzo dello strumento del contratto di solidarietà difensivo e che si troverebbero oggi di fronte all'inaccettabile alternativa che li porterebbe a scegliere tra un lavoro pagato meno e il licenziamento;
   Almaviva è una realtà aziendale radicata nel territorio siciliano tanto che i lavoratori in Sicilia sono circa seimila, distribuiti tra Palermo e Catania;
   solo nella sede di Palermo sono circa 1.700 i lavoratori che potrebbero perdere il proprio posto di lavoro a causa della possibilità che Almaviva non vinca la commessa Wind e non si proceda quindi al rinnovo contrattuale;
   la commessa Wind, infatti, è stata rimessa a gara pochi mesi fa e Almaviva oggi si trova in competizione con i call center che delocalizzano nell'Est Europa;
   a parere dell'interrogante si è davanti ad un'emergenza sociale rispetto alla quale è indispensabile un intervento deciso del Governo per evitare l'ennesimo danno occupazionale in una città dove il tasso di disoccupazione ha già raggiunto livelli allarmanti –:
   se il Ministro non intenda intervenire, per quanto di competenza, e con quali strumenti, per scongiurare il licenziamento di circa 1.700 lavoratori palermitani di Almaviva e per evitare che il mantenimento del sito produttivo nel capoluogo siciliano sia subordinato a ulteriori decurtazioni salariali e a minori garanzie per i lavoratori e le lavoratrici di quel sito. (4-08240)


   CAPELLI, VARGIU e PIRAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Sardegna attraversa una insopportabile crisi economica e sociale notevolmente aggravata dalla progressiva e apparentemente inarrestabile deindustrializzazione dell'apparato produttivo regionale;
   tale situazione di crisi è in parte riconducibile alla assenza di adeguati strumenti di pianificazione del settore energetico e alla mancata realizzazione di un sistema adeguato di impianti di produzione di energia a costi competitivi con riferimento all'andamento del mercato energetico nazionale ed internazionale;
   la Sardegna risulta esclusa dalle principali reti infrastrutturali dell'energia e del trasporto nazionali ed europee, determinandosi conseguentemente una forte discriminazione sul piano delle pari opportunità a conservare e sviluppare attività produttive industriali manifatturiere;
   in questo quadro hanno subito conseguenze particolarmente negative le attività produttive energivore del settore dell'alluminio e in particolare gli impianti siti nella provincia di Carbonia-Iglesias, e tra questi quelli di ALCOA;
   tali attività produttive sono ricomprese in un ambito industriale di valore strategico che merita di essere supportato dal sistema pubblico nazionale e da specifiche disposizioni di aiuto da parte europea – analogamente ad altri settori dell'industria siderurgica a tal fine regolati con specifici recenti provvedimenti legislativi;
   sono stati da tempo redatti accordi e affidamenti, con la partecipazione delle istituzioni regionali e locali, il Governo, i soggetti imprenditoriali interessati e le organizzazioni sindacali, anche funzionali alla cessione degli impianti industriali ai fini della ripresa della produzione;
   tali accordi e affidamenti hanno in essi contenuti realizzativi e un cronoprogramma attuativo di cui è necessario informare il Parlamento e in particolare il Senato, anche in relazione agli impegni assunti dal Ministero dello sviluppo economico e dal Governo nel suo insieme in occasione della discussione sulla mozione n. 251 svolta lo scorso 14 maggio 2014 presso il Senato della Repubblica;
   molte sono le manifestazioni di interesse alla acquisizione e ripresa produttiva degli impianti in argomento, con specifico riferimento a quelli di ALCOA;
   importanti sono, inoltre, gli impegni assunti dalle amministrazioni locali e dalla regione Sardegna a sostenere attivamente per quanto di competenza le iniziative previste nei predetti accordi e affidamenti –:
   quale sia lo stato di attuazione degli accordi e degli affidamenti citati e quali siano le iniziative poste in essere dallo Stato in ambito europeo per superare ogni impedimento all'applicazione di tariffe energetiche agevolate ai fini di una competitiva ripresa delle attività produttive industriali in Sardegna e del settore dell'alluminio e degli impianti ALCOA, e quali ulteriori provvedimenti intenda adottare il Ministro interrogato per favorire la ripresa e lo sviluppo delle attività produttive in Sardegna, in particolare della produzione dell'alluminio, anche sul piano degli interventi di riqualificazione e ripristino ambientale delle aree industriali sarda e dell'intero territorio dell'area industriale della provincia Carbonia-Iglesias. (4-08247)


   DANIELE FARINA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di aprile 2013, si poneva, tramite interrogazione parlamentare (4-00315), all'attenzione del Governo, nella figura del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il tema dello stato di crisi di Franco Tosi spa. In quella sede si sollecitava il Ministro ad intraprendere iniziative al fine di garantire il mantenimento dei livelli produttivi e occupazionali. A quella interrogazione rispondeva il Sottosegretario pro tempore De Vincenti, nel dicembre 2013;
   il tempo da allora trascorso è stato segnato da proroghe del bando per l'acquisto dell'azienda. Difficoltà confermate dallo stesso commissario Lolli nonché da articoli di stampa che prospettano soluzioni penalizzanti per l'occupazione e per la stessa localizzazione della produzione di Franco Tosi spa;
   il recente decreto-legge n. 3 del 24 gennaio 2015 prevede, all'articolo 7, la creazione di una società di servizio per imprese «che, nonostante temporanei squilibri patrimoniali o finanziari, siano caratterizzate da adeguate prospettive industriali e di mercato, ma necessitino di ridefinizione della struttura finanziaria o di adeguata patrimonializzazione o comunque ristrutturazione»;
   il 3 febbraio 2015, è stata votata all'unanimità dal consiglio regionale della Lombardia una mozione, nella quale si chiede con urgenza di ricomprendere la Franco Tosi in questo quadro di sostegno alle aziende in crisi operanti in settori di valore strategico;
   il 7 febbraio è stata approvata dal consiglio comunale aperto di Legnano, svoltosi presso la sede dell'azienda, un'altra mozione di contenuto analogo con esplicito invito a confermare che gli obiettivi fondamentali per la soluzione della crisi restano la salvaguardia dei posti di lavoro, la continuità aziendale e la permanenza nell'attuale sito produttivo con un adeguato e strategico piano industriale –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere il Governo e quali tempi valuti necessari per la completa attuazione di quanto previsto all'articolo 7 del decreto-legge n. 3 del 24 gennaio 2015, con ciò evitando la vendita della Tosi senza importanti strutture come la cabina elettrica e i bunker in contrasto con la stessa decisione del consiglio comunale che ne chiedeva la permanenza in loco assieme all'integrità dell'azienda.
(4-08258)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Ricciatti ed altri n. 4-08193, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Quaranta, Costantino, Pellegrino, Melilla.

  L'interrogazione a risposta scritta Costantino n. 4-08234, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Zaccagnini, Paglia, Nicchi, Fratoianni, Melilla, Ricciatti, Scotto.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Pinna n. 1-00727, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 375 dell'11 febbraio 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    l'analfabetismo funzionale consiste nell'incapacità a usare in modo efficace le competenze di base, quali lettura, scrittura e calcolo, per muoversi autonomamente nella società contemporanea. L'analfabeta funzionale è apparentemente autonomo e non è consapevole del problema ma in realtà non è in grado «di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità». Un analfabeta funzionale interpreta il mondo basandosi esclusivamente sulle sue esperienze dirette;
    nel 2013 sono stati diffusi i risultati dell'indagine internazionale PIAAC (Programme for the international assessment of adult competencies) sulle competenze degli adulti. La ricerca, promossa da Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), è stata svolta nel periodo 2011-2012 e analizza il livello di competenze fondamentali della popolazione tra i 16 e i 65 anni in 24 Paesi;
    le competenze prese in considerazione dal programma sono quelle fondamentali per la crescita individuale, la partecipazione economica e l'inclusione sociale (literacy) e quelle per affrontare e gestire problemi di natura matematica nelle diverse situazioni della vita adulta (numeracy). Specificatamente, come indicato nel research paper «Le competenze per vivere e lavorare oggi. Principali evidenze dall'Indagine PIAAC», la literacy è definita come «l'interesse, l'attitudine e l'abilità degli individui ad utilizzare in modo appropriato gli strumenti socio-culturali, tra cui la tecnologia digitale e gli strumenti di comunicazione per accedere a, gestire, integrare e valutare informazioni, costruire nuove conoscenze e comunicare con gli altri, al fine di partecipare più efficacemente alla vita sociale»; la numeracy è definita come «l'abilità di accedere a, utilizzare, interpretare e comunicare informazioni e idee matematiche, per affrontare e gestire problemi di natura matematica nelle diverse situazioni della vita adulta»;
    nell'ambito dell'indagine sono stati definiti sei livelli di proficiency, basati su intervalli di punteggi che variano su una scala da 0 a 500 punti. Il livello 1 indica una modestissima competenza, al limite dell'analfabetismo, mentre i livelli 4 e 5 indicano la piena padronanza dei dominio di competenza. Il raggiungimento del livello tre è considerato come elemento minimo indispensabile per un positivo inserimento nelle dinamiche sociali, economiche e occupazionali;
    in Italia l'indagine è stata condotta, su incarico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dall'ISFOL (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori). Dal confronto internazionale, rispetto alla media dei Paesi OCSE, l'Italia si colloca significativamente al di sotto della media e il deficit del Paese è più accentuato al sud e nelle isole. Gli adulti italiani (16-65 anni) si situano per la maggior parte al livello 2 sia nel dominio di literacy (42,3 per cento) che nel dominio di numeracy (39,0 per cento), il livello 3 o superiore è raggiunto dal 29,8 per cento della popolazione in literacy e dal 28,9 per cento in numeracy, mentre i più bassi livelli di performance vengono raggiunti dal 27,9 per cento della popolazione in literacy e dal 31,9 per cento in numeracy;
    Tullio De Mauro, professore emerito di linguistica generale nella facoltà di scienze umanistiche dell'università di Roma La Sapienza, ribadisce che più della metà degli italiani ha difficoltà a comprendere l'informazione scritta e molti anche quella parlata. I dati sopracitati apparentemente sterili indicano una situazione che potrebbe avere conseguenze pericolose poiché si tratta di una larga fetta di popolazione concretamente non in grado di ricevere e valutare in modo oggettivo nuovi fatti e suscettibile d'essere pilotata mediante populismo e mistificazione della realtà;
    fra i fattori che hanno contribuito a determinare questa situazione negativa, e che si sono rivelati al contempo cause e conseguenze dello stesso analfabetismo funzionale, si inseriscono: le falle del sistema scolastico italiano, l'ampliarsi di quella fascia di giovani che non sono né occupati né inseriti in un percorso formativo, il servizio pubblico radiotelevisivo che ha gradualmente perso la sua funzione educativa e culturale e infine l'uso inconsapevole di internet. Quest'ultimo fattore costituisce un'altra forma di analfabetismo, associabile a quella funzionale, ovvero l'analfabetismo digitale inteso come mancanza di competenze digitali e quindi incapacità di saper utilizzare le tecnologie di informazione e comunicazione per reperire, valutare, conservare, produrre, presentare e presentare  scambiare informazioni nonché per comunicare e partecipare a reti collaborative tramite internet;
    la situazione dell'istruzione in Italia rivela un livello molto basso in confronto agli standard internazionali. Con la crisi nel nostro Paese vi è stato un vertiginoso calo del tasso di scolarità nelle scuole superiori: dal 2007 al 2011 si è passati dal 94,9 per cento al 91,4 per cento di iscritti, come rivelano i dati del report annuale «Italia in cifre 2014» elaborato dall'Istat. Il 30 per cento dei giovani fra i 25 e 34 anni non ha un diploma di scuola secondaria, contro meno del 10 per cento nella media Ocse, e il numero degli immatricolati nelle università italiane è diminuito di 25.177 unità dall'anno accademico 2011/2012 al 2012/2013 (ultimi dati disponibili). Colmare questo divario nei livelli di scolarizzazione fra Italia e altri Paesi dovrebbe essere un imperativo. Tuttavia, dal 2008 con l'inizio della crisi economica la spesa per istruzione è stata ridotta (e ciò è ancora più grave se si tiene conto che si partiva da livelli di spesa che erano già inferiori a quelli di molti Paesi avanzati) e ad oggi fra gli Stati europei membri dell'Ocse l'Italia è il Paese che, in rapporto al proprio Pil, spende di meno nell'istruzione: 4,6 per cento;
    i dati sulla scuola e l'università non devono essere sottovalutati; come affermava Calamandrei, padre costituente, è con l'istruzione scolastica che si formano le coscienze dei cittadini e si elabora la consapevolezza dei valori morali, «dalla scuola dipende come sarà domani il Parlamento, come funzionerà domani la Magistratura: cioè quale sarà la coscienza e la competenza di quegli uomini che saranno domani i legislatori, i governanti e i giudici del nostro paese»;
    scarse abilità e insufficienti competenze chiave vanno di pari passo con l'inattività, è il caso dei NEET (not in education, employment or training): giovani non più inseriti in un percorso scolastico o formativo ma neppure impegnati in un'attività lavorativa, che disinvestono sulle proprie capacità senza accrescerle e utilizzarle. In questo gruppo di giovani un prolungato allontanamento dal mercato del lavoro e dal sistema formativo può comportare il rischio di una maggiore difficoltà di reinserimento e una sorta di scollegamento dalla realtà. I risultati delle ricerche Istat in proposito non sono confortanti, nell'arco degli ultimi dieci anni (2004-2014) il dato NEET, fra i 18 e 29 anni, in termini percentuali è passato dal 21,9 al 32,5;
    come anticipato, un ruolo determinante lo ricopre anche il sistema di servizio pubblico radiotelevisivo che, come si evince anche dai documenti europei – il Protocollo sul sistema di radiodiffusione pubblica allegato al Trattato di Amsterdam (1997) e le direttive sulla Televisione senza frontiere (1987, poi modificata nel 2007) e sui Servizi di media audiovisivi (2010) –, dovrebbe avere una funzione culturale rispondendo ai bisogni informativi, educativi e di intrattenimento dei cittadini. Tuttavia, questo sistema è sostanzialmente entrato in crisi. In special modo la televisione pubblica sta tendendo sempre più verso una programmazione tipica della televisione privata, per sua natura commerciale, ponendo al primo posto l'auditel a discapito della sua funzione educativa;
    infine, vi è l'uso non consapevole da parte degli analfabeti funzionali dei social network e della rete, laddove il connubio fra mancanza di strumenti cognitivi e la sterminata mole di informazioni non verificate genera un cortocircuito. False notizie, non notizie, preconcetti, decontestualizzazioni e stereotipi producono effetti esplosivi in un Paese in crisi sociale, economica e morale come l'Italia, divengono senso comune e realtà per milioni di persone. In taluni casi ciò determina l'insorgere e il fomentare sentimenti di odio e manifestazioni di violenza, ne sono un esempio i recenti fatti di cronaca che hanno visto l'accanimento mediatico ad avviso dei firmatari del presente atto disumano nei confronti delle due cooperanti italiane, Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, rilasciate dopo una prigionia di quasi sette mesi;
    l'attuale tendenza, riscontrabile specialmente nell'ambito politico, ma non solo, alla riduzione della complessità a slogan incrementa questi rischi, si delinea così un meccanismo pericoloso che si nutre di ignoranza, rabbia e disperazione e che orienta i malumori della popolazione senza valutare e tenere conto delle conseguenze nefaste,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per colmare il divario dei tassi di scolarità e di istruzione presente fra l'Italia e gli altri Paesi europei;
   a rivedere il piano dell'istruzione affiancando all'insegnamento dogmatico gli strumenti per decifrare e comprendere, valutare e usare informazioni, di origine scritta o orale, per intervenire attivamente nella società, in tale ambito valorizzando l'insegnamento dell'educazione civica affinché i giovani imparino fin da subito il convivere civile e facciano proprio il senso di responsabilità verso la cosa pubblica;
   ad implementare, promuovere e diffondere il programma nazionale per la cultura, la formazione e le competenze digitali, mettendo in atto interventi di alfabetizzazione digitale e potenziando culture e conoscenze già presenti;
   ad agire senza indugio per invertire il trend dei cosiddetti NEET con piani per l'occupazione giovanile e incentivazione allo studio, coinvolgendo scuola, aziende e parti sociali sull'onda della programmazione europea a favore dei giovani;
   ad operare, per quanto di competenza, affinché il sistema radiotelevisivo italiano sia reinvestito della sua originaria funzione culturale, formativa e educativa.
(1-00727)
«Pinna, Labriola, Catalano, Quintarelli, Locatelli, Ciprini, Capelli, Sottanelli, Vecchio, Corda, Marazziti, Fauttilli, La Marca, Galgano, Molea, Pastorelli, Furnari, Artini, Pisicchio, Grande».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Caparini n. 5-04676, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 373 del 6 febbraio 2015.

   CAPARINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il processo di razionalizzazione avviato negli ultimi anni dalla società Poste italiane spa ha portato alla chiusura di molti uffici e al ridimensionamento degli orari di apertura degli sportelli, causando notevoli difficoltà nella gestione operativa degli uffici e generando una diminuzione della qualità del servizio fornito alla clientela, argomenti oggetto di atti di sindacato ispettivo a firma dell'interrogante, anche nella passata legislatura;
   Poste italiane sta continuando su questa linea e nel piano di riorganizzazione nazionale si prevede per la Lombardia la riorganizzazione di circa 180 uffici postali dei quali circa 121 soggetti a ridimensionamento e altri 61 a rischio chiusura. Per la provincia di Brescia pare sia prevista la chiusura di circa 10 uffici e l'apertura a giorni alterni per altri 8 – si parla di tre giorni a settimana a fronte delle attuali aperture quotidiane – per un totale di 18 uffici;
   la lista degli uffici postali da chiudere o ridimensionare non è ancora stata ufficialmente diffusa da Poste italiane ma da indiscrezioni di stampa risulta che sedici sportelli postali in provincia di Brescia chiuderanno o saranno aperti solo tre giorni la settimana. In provincia di Brescia chiudono le sedi di Botticino Mattina, Castelletto di Leno, Mazzano, Provezze di Provaglio d'Iseo, Brozzo di Marcheno, Cogno di Piancogno, Cogozzo di Villa Carcina e Magno di Gardone Valtrompia e i cui cittadini dovranno rivolgersi ad altri sportelli di frazioni o comuni vicini. A giorni alterni, invece, saranno aperti quelli di San Martino della Battaglia a Desenzano, San Pancrazio a Palazzolo, Incudine in Valcamonica, ma anche Maderno, Ono San Pietro, Ponte Caffaro a Bagolino, Prestine e Valvestino descritte da Poste italiane come sedi «inefficienti, antieconomiche e che non svolgono un numero sufficiente di operazioni da giustificarne costi di personale e di sede»;
   i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale;
   con la soppressione di ufficio o del suo ridimensionamento i primi a pagarne le conseguenze saranno gli utenti soprattutto le categorie più deboli, già disagiati per le criticità che presentano i territori montani nei quali vivono;
   il 4 febbraio 2015 al sindaco del comune di Ono San Pietro (provincia di Brescia) è stata notificata da parte di Poste italiane una comunicazione ai sensi della delibera dell'AGCOM n. 342/14/CONS del 26 giugno 2014 per cui a partire dal 13 aprile 2015 sarà modificato l'orario di apertura al pubblico dell'ufficio postale con l'apertura a giorni alterni anziché giornaliera come previsto attualmente;
   la giustificazione di Poste italiane è nella necessità di adeguare l'offerta all'effettiva domanda dei servizi postali nel territorio di Ono San Pietro;
   è evidente che ci sia una reale quanto imprescindibile necessità di orientare la gestione dei servizi alla sostenibilità economica ma scapito del mantenimento di alcuni presidi, soprattutto in zone periferiche come quelle montane che anche a causa di questi processi di razionalizzazione saranno così sempre più soggette all'abbandono ancor più considerato che in base alla delibera dell'AGCOM menzionata nella lettera di Poste italiane, le zone rurali e montane sono meritevoli di specifica considerazione nell'ambito del servizio postale universale. Al fine di garantire un livello di servizio adeguato in tali aree, Poste italiane deve tener conto delle particolari esigenze da garantire ai comuni che si caratterizzano per la natura prevalentemente montana del territorio e per la scarsa densità abitativa;
   l'articolo 2 della delibera AGCOM n. 342/14/CONS intende per «Comune montano» i comuni contrassegnati come totalmente montani nel più recente elenco dei Comuni italiani pubblicato dall'ISTAT. Il comune di Ono San Pietro conta 988 abitanti ed è situato ad una altitudine di 516 metri sul livello del mare ed è qualificato dall'ultimo aggiornamento ISTAT proprio come comune totalmente montano –:
   se non si intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché tra i giorni determinati ci sia anche il sabato;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per garantire che il servizio postale universale in un comune denominato dall'Istat come totalmente montano come Ono San Pietro si conformi ai princìpi di appropriatezza e qualità;
   quali azioni, per quanto di competenza, intenda intraprendere al fine di scongiurare la possibile chiusura di uffici postali e/o il ridimensionamento di orario per garantire l'erogazione, in particolar modo in un momento così difficile per l'economia e soprattutto in zone che sono già disagiate a causa della loro posizione territoriale, di un servizio efficiente ai cittadini ed alle attività produttive che operano nella provincia di Brescia. (5-04676)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Segoni n. 4-07341 del 18 dicembre 2014.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Fantinati n. 4-08191 del 27 febbraio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04912.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Ricciatti e altri n. 4-08193 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 383 del 27 febbraio 2015. Alla pagina 22149, seconda colonna, dalla riga trentanovesima alla riga quarantesima deve leggersi: «RICCIATTI, VEZZALI, LUCIANO AGOSTINI, LODOLINI e MARCHETTI.–»; e non come stampato.

  Interrogazione a risposta scritta Vallascas n. 4-08226 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 384 del 3 marzo 2015. Alla pagina 22219, seconda colonna, dalla riga seconda alla riga quarta deve leggersi: «trasporto viaggiatori (Ntv) ha avuto accesso di recente al meccanismo dei certificati bianchi, per un valore pari a 20» e non come stampato.