Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 24 febbraio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    sul versante della lotta all'evasione fiscale, la dilagante diffusione del fenomeno da una parte e l'ammontare totale di gettito evaso dall'altra, impediscono di confidare, in futuro, nell'attività di accertamento quale unica ed efficace arma di contrasto. In questo senso il Governo, con la legge di stabilità 2015, accanto a misure che tendono a far emergere spontaneamente la base imponibile oggi occultata (tax compliance), ha scelto di intervenire su quei meccanismi impositivi dell'iva che più si prestano ad un uso distorto e fraudolento come, ad esempio, i versamenti pro-quota nell'intera filiera, estendendo il regime del cosiddetto reverse charge ed introducendo nei rapporti di appalto e fornitura con la pubblica amministrazione, lo Split Payment;
    in regime di split payment i pagamenti effettuati da tutte le pubbliche amministrazioni per beni e servizi ricevuti, subiscono una scissione: all'azienda fornitrice viene corrisposto il controvalore del solo imponibile della prestazione, cioè al netto dell'IVA, nonostante essa l'abbia fatturata alla pubblica amministrazione per intero, e cioè con l'imposta inclusa, mentre quest'ultima viene versata da parte delle pubbliche amministrazioni direttamente all'erario;
    tale meccanismo, in forza del quale solo in un secondo momento le imprese fornitrici possono chiederne all'erario il rimborso così da attuare una compensazione, di fatto genera in capo alle stesse, oltre ai maggiori oneri burocratici legati al recupero del credito, anche e soprattutto una crisi di liquidità, privandole di quella dote finanziaria sulla quale poter contare fino al momento, e cioè entro il mese o il trimestre successivo al pagamento della fattura, in cui effettuano il versamento dell'iva all'erario, circostanza che potrebbe costringerle a contrarre un prestito forzoso di pari valore. Il regime precedente infatti, nel prevedere un gap temporale tra incasso e pagamento, consentiva alle imprese di recuperare l'iva loro pagata sugli acquisti e di disporre con continuità di risorse per le esigenze di pagamento più immediate;
    la misura, pertanto, è capace di produrre uno squilibrio nella gestione finanziaria a breve delle imprese, incidendo sulla loro liquidità già fortemente compromessa dalla perdurante stretta creditizia e dal fenomeno, lungi ancora dall'essere risolto, dei ritardi strutturali dei pagamenti della pubblica amministrazione, e mettendo a rischio la sopravvivenza di tutte quelle, soprattutto piccole e medie, che operano in particolare nei settori delle costruzioni e delle installazione degli impianti, con effetti negativi a cascata su tutta la filiera, innescando, infine, un circolo vizioso dalle conseguenze drammatiche su occupazione, investimenti e funzionamento dell'economia;
    l'ufficio studi di Confartigianato ha calcolato che lo split payment peserà sulle imprese per costi pari a 230 milioni di euro all'anno dei quali 155 milioni imputabili ai maggiori oneri finanziari connessi al credito che si genera in capo alle imprese e che sarà rimborsato dall'Agenzia delle entrate solo sei mesi dopo la richiesta; 55 milioni sono quelli legati alla mancata liquidità nel periodo che intercorre tra il precedente incasso dell'Iva e il suo versamento, 21 milioni sono gli oneri burocratici connessi alla pratica dell'istanza di rimborso, per un totale di extra costo pari a 1.224 euro per ogni impresa che lavora con il settore pubblico. A tali importi occorre aggiungere che un rimborso iva oltre la soglia di valore di 15.000 euro dev'essere assistito da una garanzia fideiussoria o, alternativamente, dal visto di conformità da parte di un professionista e che i tempi di soddisfazione in media si aggirano attorno ai 470 giorni, pari a circa 16 mesi;
    inoltre il credito iva, fermo restando l'aggravio derivante alle imprese per l'ottenimento del visto di conformità per l'utilizzo del credito stesso, potrà essere usato in compensazione in presenza di capienza con debiti tributari (Irpef, Ires, e altro) o previdenziali (propri o dei dipendenti), ma qualora non fosse sufficiente tale capienza, l'unica soluzione rimarrebbe la richiesta del rimborso dell'iva, con i suddetti relativi e lunghi tempi di definizione;
    medesimi problemi comporta il regime di reverse charge, che la legge di stabilità 2015 ha esteso dal settore immobiliare a quelli delle prestazioni di servizi di pulizia, demolizione, installazione impianti e di completamento relative ad edifici, e la cui procedura, analogamente a quanto avviene con lo split payment, derogando alla disciplina generale sull'IVA, prevede l'assolvimento della stessa da parte del cessionario o committente in luogo del cedente o prestatore;
    tra le novità recentemente introdotte nel cosiddetto decreto milleproroghe 2015 c’è un primo tentativo del Governo, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo non del tutto sufficiente, di attenuare l'impatto negativo prodotto dallo split payment, grazie all'elevazione, fino al 31 dicembre 2015, dal 10 per cento al 20 per cento dell'importo contrattuale, dell'anticipo del prezzo in favore dell'appaltatore;
    alla luce della nuova disciplina introdotta dalla legge di stabilità 2015, l'Agenzia delle entrate, in qualità di gestore del sistema di interscambio ai sensi del decreto ministeriale 7 marzo 2008, ha provveduto ad aggiornare il software per la trasmissione delle fatture elettroniche, recependo, dal 2 febbraio 2015 le modalità di fatturazioni previste anche al fine di rendere operativa, a partire dal prossimo 31 marzo, l'introduzione della fatturazione elettronica verso tutte le pubbliche amministrazioni, compresi gli enti locali, che verrà affiancata da apposite funzionalità della «piattaforma per la certificazione dei crediti», al fine di garantire e realizzare la completa tracciabilità automatizzata di tutti i rapporti e delle operazioni effettuate con il meccanismo dello split payment nei confronti di enti pubblici;
    la lotta all'evasione fiscale non dovrebbe comunque trasformarsi in un risultato penalizzante per quelle imprese serie ed oneste che quotidianamente operano nel segno della legalità e che contribuiscono alla crescita economica del nostro Paese,

impegna il Governo:

   a semplificare le procedure di rimborso, accelerando sensibilmente, fino ad azzerarli, i tempi per quelle imprese che applicano il reverse charge e lo split payment, eliminando, contemporaneamente, tutti gli ostacoli burocratici che ancora intralciano il pieno utilizzo in compensazione dei crediti iva;
   ad adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere, per entrambi i meccanismi del reverse charge dello split payment, specifiche disposizioni che impongano, in capo alle pubbliche amministrazioni, l'obbligo di rimborso o compenso dell'IVA secondo le norme che disciplinano il rimborso infrannuale, o anche mediante modalità diverse che stabiliscano tempi certi e brevi, al fine di non sottrarre la disponibilità di risorse economiche alle imprese già in difficoltà per la grave crisi economica, e produrre ulteriori effetti negativi sui loro flussi di cassa;
   ad assumere iniziative per introdurre una disposizione normativa che disapplichi il meccanismo dello split payment nei confronti di tutti coloro che, a partire dal 31 marzo 2015 regoleranno con fatturazione elettronica tutti i rapporti e le prestazioni effettuate con le pubbliche amministrazioni.
(1-00742) «Paglia, Nicchi, Scotto».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della salute, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   nell'aprile 2014, un cartello di organizzazioni composto essenzialmente da genitori di persone con disabilità intellettiva, riunite nell'Utim (Unione per la tutela delle persone con disabilità intellettiva) e nell'associazione «Promozione Sociale», hanno presentato, nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri, due ricorsi al TAR del Lazio contro il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, concernente il «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)»;
   l'11 febbraio scorso, la prima sezione del tribunale amministrativo regionale ha accolto, sia pure parzialmente, i suddetti ricorsi con le sentenze nn. 2454/15-2458/15-2459/15, che di fatto modificano parzialmente l'impianto di calcolo dell'indicatore della situazione reddituale, cioè di una delle due componenti dell'ISEE, previsto dall'articolo 4 del suddetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
   sostanzialmente i dispositivi delle sentenze del TAR, escludono dal computo dell'indicatore della situazione reddituale i «trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche» (articolo 4, comma 2, lettera f), ossia in pratica le pensioni, assegni, indennità per minorazioni civili, assegni sociali, indennità per invalidità sul lavoro, assegni di cura, e altro;
   non si può che concordare sul principio generale che le provvidenze assistenziali non possono essere considerate alla stregua dei redditi. Fin dall'esame dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di revisione dell'ISEE, presentato per il parere alla Camera il 9 luglio 2013, gli interpellanti avevano evidenziato il forte rischio di iniquità e «ingiustizia» contenuto nelle previsioni che considerano, a tutti gli effetti, come reddito ai fini ISEE, provvidenze assistenziali riservate agli invalidi civili, ciechi, sordi compresa l'indennità di accompagnamento e l'indennità di comunicazione fino ad oggi erogate a prescindere da qualsiasi reddito, nonché indennità percepite a titolo di risarcimento, come nel caso di inabilità per infortunio sul lavoro o per malattia professionale;
   tra le motivazioni addotte dal TAR, si legge tra l'altro: «Non è dato comprendere per quale ragione, nella nozione di “reddito”, che dovrebbe riferirsi a incrementi di ricchezza idonei alla partecipazione alla componente fiscale di ogni ordinamento, sono stati compresi anche gli emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o risarcitorio a favore delle situazioni di “disabilità”, quali le indennità di accompagnamento, le pensioni INPS alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico»;
   inoltre una delle tre sentenze ha anche ritenuto che fosse illegittima la differenza tra le franchigie previste per i maggiorenni con disabilità/non autosufficienti e quelle, più alte, previste per i minori con disabilità/non autosufficienti (articolo 4, lettera d), nn. 1, 2, 3);
   la sentenza 2459/2015, peraltro, censura la disposizione che prevede che l'opportunità di ricorrere all'ISEE ridotto (personale o proprio e del coniuge) sia riservata ai soli disabili maggiorenni e non invece anche ai minorenni, creando così una disparità di trattamento –:
   se non si intenda provvedere alle opportune modifiche e integrazioni al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, al fine di adeguarlo e renderlo coerente con quanto stabilito dal TAR del Lazio.
(2-00861) «Nicchi, Paglia, Albini, Argentin, Matarrelli, Scotto».

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALATI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 17 dicembre 2009 è stato siglato il piano di rientro dal disavanzo della spesa sanitaria della regione Calabria, con previsione di una serie di interventi da attivare nell'arco del triennio 2010-2012 finalizzati a ristabilire l'equilibrio economico-finanziario della regione;
   in data 8 luglio 2010, a conclusione della riunione di verifica, il tavolo di verifica degli adempimenti ed il comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza è stata valutata la persistenza di criticità ed inadeguatezze tali da confermare la sussistenza dei presupposti identificati dalla legge ai fini dell'attivazione della procedura di commissariamento, di cui all'articolo 4 del decreto legge del 1o ottobre 2007, n. 159;
   con delibera del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 luglio 2010 è stato nominato il presidente pro-tempore della regione Calabria, Giuseppe Scopelliti quale commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro;
   in data 4 agosto 2010, il Presidente del Consiglio dei ministri ha affiancato al commissario ad acta, come sub-commissari, il generale della Guardia di Finanza, dottore Luciano Pezzi, ed il dottore Giuseppe Navarria, al fine di rafforzare l'impatto dell'attività commissariale;
   in data 14 febbraio 2011 il sub-commissario Giuseppe Navarria, ha rassegnato le dimissioni, con nota indirizzata al Ministro della salute, a far data dal 1o febbraio 2011; in sostituzione del dimissionari dottor Navarria, con delibera della Presidenza del Consiglio dei ministri del 31 maggio 2011, è stato nominato quale sub-commissario per l'attuazione del piano di rientro della regione ed affiancamento al commissario ad acta, il dottor Luigi D'Elia;
   in data 14 ottobre 2013, la regione ha presentato con nota una bozza del programma operativo 2013-2015;
   in data 30 aprile 2014, Giuseppe Scopelliti ha rassegnato le dimissioni dall'incarico di presidente della giunta della regione Calabria;
   in data 19 settembre 2014 il Consiglio dei ministri ha conferito al generale della Guardia di finanza Luciano Pezzi, già sub-commissario, l'incarico di commissario ad acta per l'attuazione del vigente piano di rientro. L'incarico è conferito a seguito delle dimissioni dell’ex presidente della regione, con validità espressamente indicata sino all'insediamento del nuovo presidente della regione, avvenuta in data 9 dicembre 2014;
   decorso il termine indicato per la durata del mandato del commissario, alla data del 9 dicembre 2014, l'interrogante deve rimarcare che ad oggi il Consiglio dei ministri non ha ancora assunto i provvedimenti relativi alla nomina del nuovo commissario, circostanza che determina l'insorgenza da un lato di oggettive condizioni di improcedibilità ed ostacola i processi di attuazione del piano di rientro, dall'altro, di forti rischi per la garanzia dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza da parte della regione;
   il persistere di questa situazione ed il protrarsi del ritardo nella nomina del commissario da parte del Governo rappresenta un elemento di forte turbamento sia per le organizzazioni sanitarie ed assistenziali della regione che, soprattutto, per la tutela della salute degli individui afferenti alle strutture sanitarie collocate sul territorio e rischia di limitare le prospettive di riequilibrio economico dei servizi sanitari e favorire dunque il rientro dal disavanzo, con gravi conseguenze sulla tenuta del sistema sanitario regionale –:
   quali siano i motivi che sino a questo momento hanno impedito al Governo di procedere alla nomina del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro della regione Calabria;
   entro quale termine urgente, si preveda di procedere alla necessaria nomina del commissario, al fine di consentire alla regione di completare l'attuazione del piano di rientro e perseguire l'obiettivo del riequilibrio del servizio sanitario regionale. (4-08078)


   NASTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito delle disposizioni relative al comparto difesa-sicurezza, sia la legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità per il 2015), che i successivi interventi normativi proposti dal Governo al Parlamento, hanno penalizzato fortemente il medesimo settore, aumentando i livelli di pericolosità e insicurezza nelle città a livello nazionale;
   a tal fine, occorre evidenziare come il grave deterioramento del quadro di sicurezza, determinato in Libia dall'incursione dei terroristi jihadisti dell'Isis, che intendono occupare il territorio del Paese nord-africano e le reali minacce al territorio italiano da parte degli stessi che esplicitamente dichiarano di essere a sud di Roma, richiedano un immediato ed urgente potenziamento delle Forze armate italiane, sia terrestri, che aeronautiche e navali;
   i modesti quanto irrilevanti interventi del Governo Renzi, da ultimo (come in precedenza esposto) nella legge di stabilità 2015, delineano un quadro sconfortante quanto pericoloso, in ordine alle attuali condizioni generali di efficienza in cui si trova il comparto della sicurezza nazionale, il cui costante definanziamento impone una inversione di rotta;
   a tal proposito l'interrogante evidenzia come la gravissima situazione che si sta sviluppando nell'area del Mediterraneo, anche in considerazione dell'ondata migratoria inarrestabile che genera il rischio che interi barconi pieni di terroristi dell'Isis arrivino sulle coste italiane, come ha dichiarato l'ambasciatore d'Egitto a Londra, impone misure di carattere eccezionale e straordinarie, anche e soprattutto finanziarie, volte ad accrescere il numero del personale ed i mezzi di trasporto e le strutture logistiche militari a disposizione delle Forze armate italiane –:
   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non ritenga urgente e opportuno assumere iniziative straordinarie in favore delle Forze armate italiane, in considerazione del gravissimo e pericoloso evolversi degli avvenimenti in corso del Mediterraneo, incrementando i fondi per la difesa e la sicurezza sul territorio italiano ed in particolare nelle aree di confine. (4-08087)


   SPADONI, DE LORENZIS, SIBILIA e PETRAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nella notte del 6 febbraio 2015 un'ondata di maltempo si è abbattuta in Emilia-Romagna riversando oltre un metro di neve in due giorni sui territori montani e collinari dell'Appennino con punte di 50 centimetri in pianura provocando la caduta di alberi ad alto fusto, generando la formazione di ghiaccio sulle linee e limitando la viabilità e l'accesso agli impianti specie nelle zone impervie;
   l'assessore alla protezione civile dell'Emilia-Romagna Paola Gazzolo dichiara che le utenze senza energia elettrica in Emilia-Romagna sono state 80.000, di cui 5.000 in Romagna;
   nella provincia di Reggio Emilia si è registrato un black out che ha portato 10 mila famiglie al buio e senza riscaldamento; alcuni paesi hanno registrato grossi problemi di isolamento telefonico e i cittadini, soprattutto i più anziani, si sono trovati in situazione di emergenza. Molteplici sono stati i disagi nella mobilità, con la cancellazione di numerosi treni sia locali che ad alta velocità e per la chiusura dei caselli di Reggio, Parma e «Terre di Canossa»;
   sono state numerose le polemiche nei confronti di un piano neve sottostimato e che designano Enel inadeguata a fronteggiare la situazione di emergenza; nella nota ufficiale dell'Enel si legge che i centri operativi Enel in Emilia Romagna gestiscono circa 90.000 chilometri di rete elettrica a media e bassa tensione, 168 cabine primarie di distribuzione e 46.000 cabine secondarie che alimentano le forniture di oltre 2,5 milioni di clienti;
   la prima stima dei danni risulta ingente: un primo calcolo su tutta la provincia di Reggio Emilia, tra le più colpite, parla di 10 milioni di euro di danni di cui 4 soltanto nel comune di Reggio;
   la regione ha chiesto lo stato di emergenza nazionale per ottenere gli indennizzi per le amministrazioni, le imprese e i cittadini;
   Enel è una società per azioni di cui il maggiore azionista è il Ministero dell'economia e delle finanze con il 31,2 per cento del capitale –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di adottare urgentemente iniziative nell'ambito delle proprie competenze al fine di evitare che territori come quelli dell'Emilia Romagna, già drammaticamente colpiti da eventi naturali di grande calamità debbano pagare di nuovo le conseguenze di una cattiva gestione;
   quale iniziative intendano adottare e la tempistica necessaria per far fronte a questa emergenza;
   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative dirette a coprire le spese e, in caso affermativo, come interverranno per trovare le relative coperture finanziarie. (4-08093)


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la gestione dei rifiuti solidi urbani in Italia ha un costo ragguardevole, di poco inferiore ai 10 miliardi di euro all'anno, con costi decisamente variabili nei vari settori della filiera e in base all'area geografica, alla presenza di società partecipate, al recupero energetico e al ruolo dei consorzi;
   la gestione del ciclo dei rifiuti per essere virtuosa e sostenibile, lo deve essere anche dal punto di vista economico per evitare speculazioni, interessamenti della criminalità organizzata, per evitare sovradimensionamenti degli impianti, inquinamento e danni ambientali evitabili;
   dai dati della relazione 2014 sui rifiuti solidi urbani dell'ISPRA si stima il costo della gestione dei rifiuti solidi urbani nel 2013 in circa 9 miliardi e 690 milioni di euro; il costo della filiera è calcolato in maniera approssimativa, visto che neppure il totale dei comuni presi a campione riporta i dati richiesti annualmente dall'Ispra e i dati desunti dai MUD non coprono totalmente la popolazione;
   in tale direzione, il comune di Rodigo, in provincia di Mantova, di 5.412 abitanti, rappresenta un caso emblematico di efficiente gestione del servizio di raccolta e avvio alla smaltimento dei rifiuti solidi urbani (RSU), stabilendo di assumere direttamente «in autonomia» la gestione del servizio di raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani con l'utilizzo di proprio personale e propri automezzi ma avvalendosi dell'opera di un terzo per la fase successiva alla raccolta dei rifiuti (trasporto e smaltimento);
   il comune, infatti, ha stabilito di non avvalersi dei servizi di Mantova Ambiente, attualmente soggetto unico provinciale nel settore dell'ambiente, avendo adottato da alcuni anni una strategia di gestione dei rifiuti solidi urbani in grado di abbattere i costi e di conseguenza le tariffe per i cittadini, ricorrendo ad una forma di gestione mista con raccolta direttamente effettuata con mezzi del comune e soggetto/i privati scelti con gara per le successive fasi di trasporto e smaltimento;
   risulta che la liceità della scelta della gestione diretta del comune sia stata posta in discussione dalla società citata Mantova Ambiente e provincia di Mantova rispettivamente per tale gestione «ibrida» pubblico/privata nei servizi pubblici locali di rilevanza economica ed in relazione alla asserita necessità per il comune di essere iscritto all'albo dei gestori ambientali;
   a fronte di tali contrasti che sono sfociati anche in controversie amministrative, risulta evidente che il legislatore debba intervenire, in ogni caso, per delineare con chiarezza un quadro normativo in grado di assicurare ai cittadini servizi migliori e minori costi per i cittadini;
   tale vexata quaestio è stata peraltro oggetto di una pronuncia in funzione consultiva della Corte dei conti proprio sulla gestione diretta del servizio di raccolta da parte del comune (457/2013);
   per di più, l'articolo 19 del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 135 del 2012, ha collocato «l'organizzazione e la gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la riscossione dei relativi tributi» tra le funzioni fondamentali dei comuni;
   in tutta Italia, peraltro, diversi comuni, soprattutto in Sicilia (Palermo, Agira, Giarre), nonostante il prevalente schema della gestione dei rifiuti sia rappresentato in Italia dalla gestione dei rifiuti su base degli ATO (ambito territoriale ottimale) attraverso contratto tra autorità d'ambito sotto forma di Consorzio tra gli enti locali ricompresi nell'ambito territoriale e società affidataria gestore d'ambito, stanno sperimentando con risultati positivi la gestione diretta dei servizi ambientali;
   risulta dunque, tema controverso e producente ampio contenzioso amministrativo se un comune possa procedere direttamente alla gestione dei rifiuti, attraverso forme di gestione in autonomia peraltro previste dalla legge, per una prima parte del servizio rifiuti corrispondente alla «raccolta» e affidare tramite gare le successive operazioni connesse al trasporto e allo smaltimento senza contravvenire alla legge –:
   se i Ministri interrogati, intendano considerare l'opportunità di interventi anche di carattere normativo per favorire la possibilità da parte dei comuni di autogestire i servizi pubblici locali connessi alla gestione dei rifiuti solidi urbani, o assimilati, stante il dimostrato risparmio derivato da tali modalità di gestione, chiarendo, altresì, se del caso attraverso interpretazione autentica delle norme con particolare riferimento agli articoli 133 del decreto legislativo n. 267 del 2000 e articolo 125 del decreto legislativo n. 163 del 2006 la circostanza che sia consentito all'ente locale di avvalersi di un terzo per la fase successiva alla raccolta dei rifiuti, mantenendo però in capo al comune la titolarità del servizio;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, intenda costituire un tavolo tecnico di lavoro che possa elaborare dei criteri e principi in base ai quali il Ministero possa prendere esatta contezza dei costi della gestione del ciclo dei rifiuti in base ai diversi sistemi di affidamento utilizzati dalle amministrazione locali, anche per provvedere all'emanazione di linee guida relative alla definizione degli ambiti territoriali più funzionali per la gestione integrata dei rifiuti ex articolo 195 del decreto legislativo n. 152 del 2006, assicurando la qualità del servizio, costi più bassi ed evitando così anche il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata. (4-08095)


   OLIVERIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da recenti notizie diffuse a mezzo stampa da diverse testate giornalistiche calabresi, si apprende che a Strongoli, in provincia di Crotone, sulla strada provinciale 53 che collega Strongoli Marina a Strongoli, una frana avvenuta nel mese di ottobre 2014, causa ancora un grave pericolo per la circolazione e la salvaguardia delle persone;
   la strada interessata dalla problematica è stata prontamente segnalata dalla popolazione, la quale si è riunita in comitato per chiedere aiuto alle autorità interessate per l'adozione di opportuni provvedimenti;
   gli abitanti di Strongoli che quotidianamente si spostano verso Crotone, chi per lavoro chi per studio, lamentano da mesi di essere stati costretti a vedersi privati del diritto ad avere delle infrastrutture che consentano lo spostamento senza rischi;
   con l'interruzione della strada provinciale 53 gli abitanti delle zone interessate dalla problematica sono costretti a vivere un forte isolamento sociale che condiziona la loro vita, vedendosi sempre più abbandonati;
   Strongoli è anche una delle località più rinomate del turismo estivo nella provincia di Crotone e con la stagione estiva alle porte la situazione di una delle strade maggiormente interessate dai flussi turistici del territorio crotonese risulta essere al centro di molta attenzione e preoccupazione tra i cittadini;
   l'obbiettivo primario di gran parte della cittadinanza che da mesi vive questo disagio è quello di avere risposte concrete per la soluzione di questa grave emergenza di viabilità che sta affliggendo la comunità rendendola di fatto isolata dall'intera provincia di Crotone;
   troppo spesso la Calabria soffre di grave carenza infrastrutturale e manutentiva e questo, purtroppo, aumenta sempre di più la distanza della regione con il resto del Paese –:
   se il Governo sia a conoscenza delle informazioni diffuse da diverse testate giornalistiche calabresi e quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per mettere in sicurezza la viabilità ed evitare rischi per l'incolumità pubblica alla luce delle criticità che hanno colpito da mesi la cittadina di Strongoli, promuovendo, se possibile, un tavolo di discussione con le amministrazioni comunali interessate, e l'amministrazione provinciale di Crotone. (4-08103)


   CRISTIAN IANNUZZI, PETRAROLI, MASSIMILIANO BERNINI e FRUSONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. – Per sapere – premesso che:
   l'energia eolica rappresenta una fonte di energia pulita e da incentivare in ogni modo, al fine di ridurre l'utilizzo di fonti energetiche basate sulla combustione, di idrocarburi, i cui effetti nocivi sull'ambiente e sulla salute dei cittadini sono ormai noti a tutti;
   ciò nonostante tale atteggiamento di favore nei confronti dell'energia eolica, e più in generale delle energie rinnovabili, non può condurre alla realizzazione indiscriminata di parchi eolici in violazione delle leggi che tutelano princìpi altrettanto importanti, quali la conservazione del territorio italiano e del suo patrimonio artistico-culturale;
   proprio quanto sta avvenendo nel Molise, la più piccola regione italiana con un territorio di soli 4.460 chilometri quadrati, che conta sul proprio territorio ben 408 aerogeneratori, che producono energia oltre il 35 per cento del necessario, un numero elevatissimo se si considera che una regione grande come la Lombardia produce, invece, appena l'11,3 per cento del fabbisogno;
   inoltre, solo con questi impianti eolici, il piccolo Molise conta un campo ogni 164 chilometri quadrati, per una distanza media di 14 chilometri quadrati rispetto alle distanze nazionali che prevedono, invece, parchi eolici ogni 286 chilometri quadrati;
   a dispetto di un territorio già sovraffollato di aerogeneratori, è già in programma la costruzione di un nuovo parco eolico nel circondario del comune di Montecilfone, in provincia di Campobasso;
   nello specifico, questo parco eolico ricadrebbe in una zona ricca di ritrovamenti archeologici, nonché di antichi tratturi; tale circostanza è alla base del provvedimento di diniego all'opera emesso dalla sovrintendenza del Molise a firma del responsabile, dottor Gino Famiglietti, che ha prodotto, in sede di conferenza di servizi tenutasi presso l'assessorato alle attività produttive della regione Molise, la bocciatura del progetto da parte del dirigente del servizio programmazione politiche energetiche del Molise, ingegner Tamburro;
   in seguito al cambio al vertice di tale organismo regionale, oggi retto dalla dottoressa Angela Aufiero, è stato riaperto l’iter autorizzativo e convocata una nuova conferenza di servizi, ad esito della quale il progetto del parco eolico sarà inviato prossimamente alla Presidenza del Consiglio dei ministri per il pronunciamento finale;
   è bene evidenziare che questo progetto che produrrà secondo gli interroganti uno scempio ambientale è stato sostenuto a spada tratta dall'amministrazione comunale di Montecilfone che ad avviso degli interroganti, ha posto in essere iniziative che possono compromettere il territorio in possibile contrasto con i princìpi di salvaguardia dell'ambiente e del territorio stabiliti dalla legge n. 239 del 2004 in materia energetica;
   leggendo attentamente la Convenzione stipulata tra il comune e la società eolica incaricata di realizzare l'opera, si rimane esterrefatti dal fatto che in cambio di denaro il comune di Montecilfone abbia addirittura assunto l'impegno a non assecondare eventuali manifestazioni in senso contrario dei propri concittadini, infatti testualmente si legge all'articolo 4 della Convenzione che la società eolica si impegna a elargire la somma di 150.000,00 euro a condizione che l'amministrazione comunale si impegni a non incoraggiare eventuali manifestazioni che possano pregiudicare la realizzazione del parco eolico e ad attivarsi per sensibilizzare la comunità locale a non ostacolare l'opera di pubblica utilità –:
   quali provvedimenti il Presidente del Consiglio intenda adottare in sede di approvazione in Consiglio dei ministri del parco eolico di Montecilfone, atteso quanto denunciato in premessa;
   se i Ministri interessati intendano prendere posizione, per quanto di propria competenza, in difesa del paesaggio e dei beni ambientali e culturali del Molise.
(4-08106)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIMBRO, GARAVINI, LA MARCA e PORTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   come noto, il nostro Paese è una delle mete più ambite dagli studenti stranieri, e la lingua italiana è fra le più studiate al mondo. Ogni anno, decine di migliaia di studenti, quarantamila circa, si recano in Italia per apprendere la nostra lingua;
   il fruitore di un corso di italiano è generalmente uno studente interessato ad un soggiorno non breve nel nostro Paese, dedicato alla scoperta della cultura italiana in senso lato. È un turista di «studio», che sarà, con ogni probabilità, un ambasciatore della cultura italiana, e tra i migliori promotori e clienti del nostro sistema Paese;
   esistono tuttavia criticità per gli studenti che vogliono recarsi nel nostro Paese se per lo studio dell'italiano: criticità causate dall'incertezza in cui gli uffici visti dei consolati italiani nel mondo si trovano ad operare, per la mancanza di una esplicita previsione legislativa relativa al visto per lo studio della lingua italiana, che non rientra tra le quattro tipologie previste dall'articolo 39-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286;
   la questione è stata parzialmente risolta dalla circolare del Ministero degli affari esteri del 9 novembre 2006, la quale, equiparando il visto per lo studio della lingua italiana alle altre tipologie di visto previste dal sistema giuridico, non risulta però essere applicata uniformemente e universalmente –:
   se non si ritenga possibile e necessario predisporre una nuova circolare o altro strumento regolamentare che possa chiarire alcuni degli aspetti relativi al rilascio dei visti per studio della lingua italiana, al momento, come illustrato, causa di incertezza e di non uniforme interpretazione, ovvero se si ritenga indispensabile, a tale fine, avere come presupposto una norma di rango normativo primario che preveda una nuova disciplina su questo punto. (5-04803)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BARBANTI. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   relativamente alle istanze di ricerca e di produzione di idrocarburi che la Croazia avrebbe concesso ad alcune società petrolifere, tra cui anche l'italiana ENI, lungo la costa croata per un tratto di mare che percorre gran parte dell'alto Adriatico nel rispetto della direttiva europea 42/2001/CE, articolo 7 – Consultazioni Transfrontaliere, che prevede:
    «1. Qualora uno Stato membro ritenga che l'attuazione di un piano o di un programma in fase di preparazione sul suo territorio possa avere effetti significativi sull'ambiente di un altro Stato membro, o qualora lo richieda uno Stato membro che potrebbe essere interessato in misura significativa, lo Stato membro sul cui territorio è in fase di elaborazione il piano o il programma trasmette, prima della sua adozione o dell'avvio della relativa procedura legislativa, una copia della proposta di piano o di programma e del relativo rapporto ambientale all'altro Stato membro.
    2. Uno Stato membro cui sia pervenuta copia della proposta di piano o di programma e del rapporto ambientale di cui al paragrafo 1 comunica all'altro Stato membro se intende procedere a consultazioni anteriormente all'adozione del piano o del programma o all'avvio della relativa procedura legislativa; in tal caso gli Stati membri interessati procedono alle consultazioni in merito ai possibili effetti ambientali transfrontalieri derivanti dall'attuazione del piano o del programma nonché alle misure previste per ridurre o eliminare tali effetti.
    Se tali consultazioni hanno luogo, gli Stati membri interessati convengono specifiche modalità affinché le autorità di cui all'articolo 6, paragrafo 3 e i settori del pubblico di cui all'articolo 6, paragrafo 4, nello Stato membro che potrebbe essere interessato significativamente, siano informati ed abbiano l'opportunità di esprimere il loro parere entro termini ragionevoli»;
   la Convenzione di ESPOO, ratificata dal Governo della Croazia l'8 luglio 1996, definisce i criteri per una valutazione di impatto ambientale in un contesto transfrontaliero. Nell'articolo 1 si dà la seguente definizione di impatto transfrontaliero e della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014 che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati: ...l'espressione «impatto transfrontaliero» significa ogni impatto, e non esclusivamente un impatto di natura mondiale, derivante, entro i limiti di una zona che dipende dalla giurisdizione di una Parte, da una attività prevista la cui origine fisica sia situata in tutto o in parte nella zona dipendente dalla giurisdizione di un'altra Parte;
   l'articolo 7 della direttiva 2014/52/UE stabilisce che gli Stati membri interessati avviano consultazioni riguardanti, tra l'altro, l'eventuale impatto transfrontaliero del progetto e le misure previste per ridurre o eliminare tale impatto e fissano un termine ragionevole per la durata del periodo di consultazione. Tali consultazioni possono essere svolte mediante un organismo comune appropriato –:
   se tale procedura sia stata rispettata e se al Governo italiano sia giunta opportuna notifica, e in qual caso si chiede se il Governo italiano abbia fatto richiesta di consultazione e di avvio di procedimento di valutazione ambientale transfrontaliera. (5-04811)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NARDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a causa della saturazione della discarica di Relluce in cui venivano conferiti i rifiuti solidi urbani di tutti i comuni della provincia di Ascoli Piceno non risulta più possibile, ad oggi, conferire in detto impianto i rifiuti solidi urbani;
   per affrontare tale situazione, con decreto del presidente della provincia di Ascoli Piceno n. 16 del 29 gennaio 2015, è stata autorizzata in deroga al vigente piano provinciale di conferire i rifiuti urbani dei comuni del territorio provinciale nella discarica privata della «Geta», in località Alto Bretta di Ascoli Piceno. Nella stessa ordinanza si era anche disposto l'abbancamento per un totale di 31.500 metri cubi e sino a un massimo di 31 mila tonnellate;
   l'impianto di proprietà della ditta Geta non è atto al conferimento dei rifiuti solidi urbani, ma al conferimento di rifiuti pericolosi; si teme che un eventuale commistione possa provocare danni alla salute dei cittadini e all'ambiente;
   da qualche giorno è iniziato il conferimento dei rifiuti solidi urbani prodotti da tutti i comuni della provincia nella discarica dell'alta valle del Bretta –:
   se sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per promuovere una verifica da parte del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente al fine di tutelare la salute dei cittadini e dell'ambiente.
(4-08100)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il rischio idrogeologico è una conclamata emergenza nazionale, come dimostrato dai dati statistici e da numerose analisi scientifiche;
   rilievi effettuati dimostrano come l'81,9 per cento dei comuni italiani presenti aree in dissesto idrogeologico;
   lo Stato ha speso, dal 1945 ad oggi, oltre 3,5 miliardi di euro per danni e risarcimenti da frane e alluvioni;
   dalla stipula degli accordi ad oggi, tuttavia, gli interventi conclusi sono davvero pochi;
   l'area che va da Monte Coppola ai Boschi di Quisisana ed al parco della Reggia Borbonica nel territorio di Castellammare di Stabia, comune in provincia di Napoli, è soggetta a continue frane ed alluvioni per ogni pioggia più o meno intensa;
   tali frane e alluvioni mettono a rischio i residenti ed i frequentatori del parco di Quisisana;
   ad ogni frana la strada crolla in più punti, ed il comune di Castellammare di Stabia non è in grado di fornire altra soluzione se non la chiusura della circolazione, creando enormi difficoltà alle oltre cinquanta famiglie ivi residenti;
   l'abusivismo imperante nella zona e l'insufficienza dei controlli da parte delle autorità preposte peggiorano ulteriormente la situazione –:
   se il Governo sia a conoscenza della grave situazione del territorio collinare di Castellammare di Stabia e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per garantire la sicurezza l'incolumità dei cittadini e degli utenti della strada in quella zona. (4-08102)


   TONINELLI. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
    la discarica di Sergnano in località Mirabello è stata autorizzata negli anni ’70 quale discarica di rifiuti solidi urbani (RSU), all'epoca di proprietà di Mario Piacentini (deceduto). Il sito della discarica sorgeva in zona golenale sul fiume Serio al confine sud del comune di Sergnano e confinante con comune di Pianengo. L'area totale attualmente insiste su uno spazio di circa 20.000 metri quadrati;
   la discarica Piacentini, fin dal 1982, come si evince dalla delibera del consiglio provinciale di Cremona del 4 marzo 1982, è stata inserita nella lista di siti di discariche non controllate che dovevano essere oggetto di modifica. Una serie di successivi atti delle autorità locali testimoniano come la mancata attuazione di controlli e modifiche hanno portato, nel 1990, al sequestro della discarica: in particolare, in data 10 luglio 1990 la provincia di Cremona con nota prot. n. 18918 rendeva nota al prefetto di Cremona la presenza di rifiuti speciali e tossici nocivi emersa dal sequestro da parte della Guardia forestale, riservandosi di effettuare una verifica amministrativa e di revocare il nulla osta concesso relativamente all'apporto di materiali inerti nella discarica è in capo al sindaco del comune di Sergnano la responsabilità relativa all'emissione di provvedimenti contingibili ed urgenti in materia di sanità ed igiene l'area fosse sottoposta a sequestro giudiziario;
   la stampa dell'epoca riporta notizie relative al sequestro dell'area da parte del corpo forestale dello Stato specificando come il provvedimento sia stato emesso a causa della la presenza di rifiuti speciali. Significativi, a tal proposito, i titoli delle testate giornalistiche: «Montagna di veleni», «Zombi cremaschi», «Un cimitero di rifiuti tossici nocivi», «Discarica di Sergnano con rifiuti tossici nocivi»;
   la direzione generale reti e sviluppo sostenibile della regione Lombardia in data 15 novembre 2006 segnalava al comune di Sergnano la presenza della discarica abusiva, in relazione alla procedura di infrazione (IJE) n. 2077/2003 e relativamente alla corretta applicazione delle direttive dei rifiuti. Il successivo 13 dicembre 2006 con nota prot. 8032 il Comune di Sergnano dichiarava in merito alla segnalazione della discarica in oggetto di infrazione europea e in seguito a sopralluogo, che l'area si presentava nelle medesime condizioni in cui era stata riscontrata l'infrazione di discarica abusiva. I rifiuti, dunque, per oltre un quarto di secolo non sono stati rimossi. Dal 1999, inoltre non era più stata emessa alcuna ordinanza sindacale in merito. In data 24 gennaio 2007 con nota prot. 511 il comune di Sergnano spediva lettera alla regione Lombardia in cui ribadiva i contenuti della lettera del 13 dicembre 2006. In seguito, in data 12 settembre 2007 con nota prot. 6368, l'ufficio tecnico del comune di Sergnano dichiarava alla regione Lombardia che l'area oggetto di infrazione era sotto sequestro da parte dell'autorità giudiziaria, così come risulta dal verbale della deliberazione della giunta provinciale di Cremona n. 1178 del 19 luglio 1990, e che pertanto, presumibilmente, nessuna operazione di bonifica era stata espletata, stante l'inaccessibilità dell'area a causa del provvedimento dell'autorità giudiziaria;
   va rilevata in questa sede l'anomalia rappresentata da un sequestro di 17 anni e che nessuna bonifica è stata espletata rispetto al sequestro del 1990 e alla presenza di rifiuti speciali e tossici;
   l'8 gennaio 2009 con nota prot. Q12008.0000110 la regione Lombardia chiedeva conto al comune di Sergnano, dello stato degli interventi in merito alla procedura di infrazione europea 2077/2003, chiedendo se fossero state ultimate le opere di rimozione di rifiuti abbandonati, se si fosse conclusa la fase di attivazione delle procedure di rimozione e quale fosse la data presunta di ultimazione della rimozione dei rifiuti o se, viceversa, permanessero problemi di tipo giudiziario o amministrativo che materialmente avrebbero impedito la rimozione di rifiuti. Il 24 febbraio 2009 con nota prot. 1334 il comune di Sergnano rispondeva dichiarando che nulla era cambiato rispetto all'ultima nota inviata, del 12 settembre 2007 ns prot. n. 6368 sopracitata. Il 16 luglio 2009 la regione Lombardia con nota prot. 99998, invitava le amministrazioni coinvolte, tra cui il comune di Sergnano, a rendere informazioni circa l'avvenuta bonifica o rimozione dei rifiuti. Si allegava il parere motivato della Commissione europea nella causa C 135/05, oltre alla lista dei siti oggetto di infrazione comunitaria in regione Lombardia. Nella lista di 31 siti vi era ancora la discarica di Sergnano. Il 25 luglio 2009 con nota prot. 5227 il comune di Sergnano rispondeva ribadendo come nulla fosse cambiato rispetto all'ultima nota inviata, del 12 settembre 2007 ns prot. n. 6368;
   le risultanze emergenti da tali documenti emessi dalle diverse amministrazioni testimoniano chiaramente che nessun intervento di verifica approfondita è stato effettuato nell'area in questione. Ciò nonostante il piano di governo del territorio del comune di Sergnano abbia classificato l'area interessata come «area degradata da bonificare e recuperare», «discarica incontrollata», prevedendo un'eventuale bonifica;
   nel giugno 2013 il comando carabinieri per la tutela dell'Ambiente, nucleo operativo ecologico di Brescia emetteva verbale di sequestro probatorio ai sensi dell'articolo 354 del codice di procedura penale per la discarica denominata «Piacentini Mario» a Sergnano località Mirabello. Nel verbale si rileva la presenza di ingenti quantità di amianto non riconducibili alla pregressa attività di discarica. Il 21 agosto 2013 l'area veniva dissequestrata con apposito verbale: secondo tale verbale sarebbe stato rimosso l'amianto, ma il sito non è stato sottoposto a indagine specifica, sulla possibile presenza di rifiuti sotto il manto vegetale nel frattempo formatosi, circostanza da cui scaturisce la presente interrogazione;
   in data 3 luglio 2013 i consiglieri regionali Fiasconaro, Alloni, Scandella presentavano interrogazione regionale rispetto alla discarica di Sergnano. In data 1o agosto 2013 l'assessore regionale Terzi rispondeva all'interrogazione dichiarando che in data il 9 luglio 2007 il personale tecnico della provincia aveva espletato accertamenti per la predisposizione delle risposte per la procedura di infrazione europea 2077/2003 e che l'area risultava chiusa e recintata, ricoperta da vegetazione spontanea, che non era stata rilevata la presenza di rifiuti urbani ma solo di contenitori (vuoti) per la raccolta di rifiuti e di alcune lastre di eternit depositate sul terreno. La risposta dell'assessore Terzi ribadiva inoltre le competenze in termini di bonifica e in particolare la competenza in capo al comune nel caso in cui si fosse verificata una contaminazione dei suoli;
   di fatto, come risulta anche da quanto documentato dalla trasmissione giornalistica «Servizio Pubblico» del 12 febbraio 2015, l'area non è recintata, ed è accessibile sia sul lato nord che sul lato sud;
   dalla delibera di giunta regionale n. X/864 del 25 ottobre 2014, che si riferisce alla procedura d'infrazione europea n. 2003/2077, risulta che l'area della discarica di Sergnano – località Mirabello non è più nella lista della infrazione europea, nonostante nel 2009 sia stato ribadito in documenti ufficiali che i rifiuti non sono mai stati rimossi dal momento che l'area si trovava sotto sequestro;
   successivamente, le forti piogge dell'ottobre – novembre 2014 hanno dilavato parte della copertura di materiale inerte, portando alla superficie ingenti quantità di rifiuti di ogni genere in svariati punti della discarica;
   è evidente la necessità di un immediato intervento di bonifica del sito per il potenziale rischio sanitario, di inquinamento delle acque superficiali e di falda e idrogeologico;
   a distanza di 32 anni la copertura di terra e la piantumazione non sono state sufficienti necessitano di immediato intervento, visto l'emergere in superficie dei rifiuti. Il rischio che la presenza degli stessi trasformi le aree interessate in una nuova «terra dei fuochi», simile a quella più nota collocata nelle aree del napoletano e del casertano, è quanto mai evidente e concreto;
   infine, in data 2 dicembre 2014, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato la Repubblica italiana sulla base delle informazioni trasmesse dalle autorità italiane, per cui esisterebbero nel territorio italiano ancora almeno 218 discariche illegali di rifiuti, dislocate in tutte le regioni italiane. Tra queste non figura la discarica di Sergnano. Secondo l'assessore regionale competente, non vi sarebbe alcuna pendenza relativamente alle discariche abusive, per quanto attiene alla regione Lombardia: infatti le discariche sotto accusa risulterebbero quella di Sorico Gera Lario (Como), quella Laveno Mombello (Varese), quella di Zanica (Bergamo), quella di Valdaro (Mantova), rispetto alle quali sarebbero state già individuate soluzioni o, comunque, l'adozione di interventi non spetterebbe alla competenza regionale, ma sarebbe di competenza statale;
   inspiegabilmente, quindi, la discarica di Sergnano, che in base alle evidenze risultanti dagli atti pubblici summenzionati continua ad essere un sito abusivo, non bonificato e potenzialmente estremamente pericoloso in ragione della sua prossimità alle falde acquifere e al fiume Serio, è esclusa tanto dall'elenco delle discariche potenzialmente pericolose e illegali, tanto da quello delle discariche oggetto di intervento;
   tutti i documenti richiamati testimoniano, ad avviso dell'interrogante, l'inerzia delle amministrazioni locali, tanto a livello comunale quanto a livello regionale. Dalla documentazione, infatti, l'area in questione risulta per il comune di Sergnano, esclusa da qualsiasi intervento fino al 25 luglio 2009 (nota prot. 5227 del comune alla Regione Lombardia), in quanto sottoposta e sequestro e dunque «stante l'inaccessibilità dell'area a causa del provvedimento dell'Autorità giudiziaria. Ciononostante, l'area viene esclusa dai siti oggetto di verifica nell'ambito della procedura di infrazione europea n. 2003/2077, sulla base di un'indagine che è del tutto inadeguata, cosa che è stata recentemente confermata quando le piogge hanno portato alla luce parte dei rifiuti tossici non identificati nascosti dalla vegetazione spontanea;
   è in ragione di tale inerzia, prolungata per oltre un trentennio, che si chiede in questa sede l'intervento del Governo in ragione del pericolo rappresentato dalla presenza della discarica abusiva per la salute dei cittadini di Sergnano e delle località circostanti, attraverso la verifica dei presupposti per l'inclusione dell'area in questione tra quelle di potenziale pericolo svolta dal Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente funzionalmente dipendente dal Ministro interrogato –:
   se sia stato noto per quali ragioni la discarica di Sergnano non sia classificata tra quelle illegali e potenzialmente pericolose, né inclusa tra quelle oggetto di necessario intervento e se si intenda promuovere una verifica da parte del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente in relazione al rischio di inquinamento delle falde acquifere e del fiume Serio legato alla presenza di rifiuti nell'area della succitata discarica. (4-08104)


   GIOVANNA SANNA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da organi di stampa regionali si apprende che l'Ente Parco La Maddalena ha recentemente indetto e svolto la prima selezione di due concorsi per titoli e colloquio, inerenti la formazione di graduatorie per l'assunzione a tempo pieno e determinato di collaboratori di varie qualifiche;
   dalle prime selezioni svoltesi a gennaio 2015 sono risultati idonei, primi in graduatoria, e ammessi ai colloqui successivi, che dovrebbero aver luogo ai primi di marzo, parenti, affini e conoscenti dell'attuale direttore dell'Ente Parco, nonché presidente della commissione di concorso, poi dimessosi, designato nel 2013 su indicazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   questa notizia ha comprensibilmente scatenato dure reazioni nell'opinione pubblica e in particolare di tanti giovani locali lavoratori precari dell'Ente Parco, che con queste graduatorie hanno visto sfumare il loro sogno di poter continuare a lavorare nel parco, e per giunta in favore di parenti, affini e conoscenti del direttore;
   il suddetto direttore risulta già coinvolto in una indagine, per truffa ai danni dello Stato, unitamente all'attuale presidente dello stesso Ente Parco La Maddalena –:
   se il Ministro intenda approfondire e verificare la correttezza sia delle procedure concorsuali sia del comportamento del direttore nell'esercizio delle sue funzioni;
   se si reputi opportuno, alla luce dei fatti citati, assumere iniziative per il commissariamento dell'Ente. (4-08107)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MANZI, MALISANI, MICCOLI, NARDUOLO, RAMPI e COCCIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata del 19 febbraio 2015, la città di Roma è stata teatro di una vera e propria guerriglia che ha visto coinvolti, in violenti scontri, polizia e tifosi olandesi, giunti nella capitale per assistere alla partita di calcio Roma-Feyenoord di Europa League, prevista in serata, allo Stadio Olimpico;
   gli scontri si sono concentrati soprattutto nella centrale piazza di Spagna, travolta da un'orda di tifosi scatenati e per lo più ubriachi che, in pochi e concitati momenti, hanno letteralmente assaltato lo spazio antistante la celebre scalinata di Trinità dei Monti, oltraggiata in più punti;
   bottiglie, bombe carta e fumogeni sono stati lanciati contro i monumenti ed il Pincio, così come le vie del centro, sono stati trasformati in orinatoi a cielo aperto;
   a seguito degli scontri tra tifosi e polizia è rimasta fortemente danneggiata la famosa Fontana della Barcaccia, capolavoro del Bernini del seicento ed uno dei simboli della città;
   secondo i primi rilievi, una volta svuotata dell'acqua per raccogliere e rimuovere i rifiuti, abbandonati nella fontana come fosse una discarica, sono apparse subito, visibili ad occhio nudo, diffuse lesioni sulla superficie in travertino;
   oltre ad uno scheggione di travertino originale seicentesco, di circa dieci centimetri, probabilmente staccato dall'orlo del candelabro centrale, da una prima mappatura si parla di danni ingenti alla struttura;
   la Sovrintendenza capitolina, in tempi record, ha ultimato i lavori di ripulitura e di restauro e riaperto l'acqua all'interno della fontana per permettere a tutti i cittadini e ai turisti di tornare ad ammirare uno dei suoi gioielli più importanti;
   già dalla serata di mercoledì i tifosi olandesi ubriachi hanno provocato danni nel centro della città, quando disordini si sono manifestati nelle zone piazza Campo de’ Fiori, dove oggetto di scempio è stata anche la famosa statua di Giordano Bruno, al centro della piazza;
   le immagini di piazza di Spagna coperta di vetri, sporcizia e rifiuti, hanno fatto in poche ore il giro del mondo, con danni di immagine, oltre che al patrimonio artistico, ingenti per una delle più famose mete turistiche del nostro Paese;
   solo lo scorso settembre la Barcaccia, che spicca da quattro secoli ai piedi di Trinità dei Monti, lì dove l'aveva voluta Papa Urbano VIII Barberini, era stata restituita al pubblico e liberata dai ponteggi, dopo un lungo restauro, costato oltre duecentomila euro –:
   a quanto ammontino i danni provocati dai tifosi olandesi al patrimonio artistico e culturale della capitale, in occasione dell'incontro di calcio Roma-Feyenoord di Europa League;
   se siano veritiere le notizie diffuse a mezzo stampa, che parlano di danni ingenti e permanenti ai monumenti, colpiti dalla ferocia dei tifosi olandesi;
   se infine il Ministro interrogato, per le parti di propria competenza, intenda promuovere azioni risarcitorie, che costringano i responsabili a pagare per il vergognoso scempio contro il patrimonio culturale del nostro Paese, nella consapevolezza che i monumenti oltraggiati, non appartengono solo alla città di Roma, ma sono patrimonio di tutti. (5-04819)


   MANNINO, DI BENEDETTO, MARZANA, BRESCIA, D'UVA, LUIGI GALLO, VACCA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la direzione generale per le belle arti del Ministero ha disposto un sopralluogo agli affreschi trecenteschi della basilica di San Francesco ad Assisi i cui esiti non sono stati affatto rassicuranti. L'attenzione si è concentrata sulla manutenzione degli affreschi di Lorenzetti, attualmente in corso nel transetto sinistro della Basilica inferiore, e sulla pulitura del paramento di pietra del Subasio;
   nella Basilica di Assisi è nato il moderno restauro italiano: qui iniziò ad operare, nel 1942, il neonato Istituto centrale del restauro, che vi ha poi lavorato fino al 2006. Negli ultimi anni, invece, il legame tra Basilica e istituto si è interrotto anche a causa della riduzione dei finanziamenti, da ciò il progressivo ridimensionamento di questa istituzione cruciale per la sopravvivenza del nostro patrimonio artistico;
   una delle conseguenze è che i frati hanno deciso di «fare da soli», passando da uno dei collegi di ricercatori e restauratori più affidabili al mondo, alla ditta privata di un singolo restauratore, il quale, in perfetta solitudine ha deciso se e quando intervenire;
   la direzione è stata assunta direttamente dal soprintendente dell'Umbria (che per un periodo sosteneva anche un interim in Calabria, senza creare un comitato scientifico «terzo» rispetto a chi conduceva il restauro: un passo doveroso, nel caso di opere di tale grandezza;
   il Ministero ha appena predisposto la sospensione dei lavori di restauro –:
   quali danni irreversibili siano stati causati al patrimonio e se il Ministro in indirizzo non ritenga di dover istituire rapidamente una commissione paritetica composta dall'Istituto centrale superiore del restauro e dall'Opificio delle pietre dure al fine di accertare i risultati dei restauri della Cappella di San Nicola e del transetto destro della basilica inferiore. (5-04822)

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI GALLO, MARZANA, SIMONE VALENTE, SIBILIA, SILVIA GIORDANO, BRESCIA e VACCA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'Associazione Teatro Stabile della città di Napoli, i cui soci fondatori sono il Comune di Napoli, la Regione Campania, la provincia di Napoli, il Comune di Pomigliano d'Arco, l'Istituzione per la promozione della cultura del Comune di San Giorgio a Cremano, è stata riconosciuta dal Ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, con proprio decreto (repertoriato al n. 1439 del 26/09/2014), «Teatro Stabile ad iniziativa pubblica» di cui all'articolo 9 del decreto ministeriale 12 novembre 2007 e, come si apprende dal comunicato dal Servizio ufficio stampa del Comune di Napoli del 21 gennaio 2015, ha di recente modificato il proprio statuto in modo da prevedere l'ingresso, nel proprio Consiglio di Amministrazione, del rappresentante del Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, di due componenti indicati dal Comune di Napoli, uno dalla Regione Campania ed uno della Città Metropolitana, oltre che due membri esterni;
   secondo quanto esposto nella relazione redatta e resa pubblica dallo stesso Teatro Stabile di Napoli in data 26/01/2015 indirizzata al Sindaco di Napoli conseguente alle polemiche scatenatesi sui mezzi d'informazione, di seguito definita «relazione del Teatro», accertato, in data 7 novembre 2014, lo stanziamento di circa sei milioni di euro di fondi di finanziamento del Piano azione e coesione per il biennio 2015/16 ottenuti in bozza di riprogrammazione «PAC III» e con l'obiettivo di ottenere il riconoscimento di «Teatro Nazionale», la cui candidatura, da presentare al Ministero dei Beni e delle Attività culturali del Turismo entro il 31 gennaio 2015, può essere inoltrata, in base all'articolo 10 del decreto ministeriale 1o luglio 2014, soltanto qualora «almeno il cinquanta percento del personale amministrativo e tecnico del teatro sia assunto con contratto a tempo indeterminato», il Consiglio di amministrazione del Teatro, in data 12 novembre 2014: ha preso atto del fabbisogno di personale fisso in adeguamento ai requisiti di cui al suddetto decreto ministeriale, ha fissato i primi criteri per il reclutamento e successivamente, nella seduta del 18 novembre 2014, ha approvato la dotazione organica 2015 secondo cui il personale fisso passa da 15 a 30 unità; nella stessa seduta, il Consiglio di Amministrazione ha, inoltre, stabilito: di affidare ad una agenzia specializzata una preselezione per raggiungere il risultato di minimo cinque profili di candidati selezionati per ogni figura; di istituire una Commissione, nominata dal Consiglio stesso, con l'incarico della selezione e della nomina dei partecipanti vincitori, composta di cinque membri di cui due interni, il direttore e il responsabile interno del servizio relativo alla figura da selezionare, e tre esterni, il dott. Vincenzo Galgano, il Prof. Mario Rusciano e la dott. Rosaria Marchese; tale commissione «procederà alla valutazione finale dei candidati selezionati mediante colloqui e nominerà il vincitore per ciascun profilo»;
   nella seduta del 24 novembre 2014 il Consiglio di amministrazione ha deciso di affidare la preselezione ad una società esterna dando mandato al direttore, Luca De Fusco, della scelta, ricaduta, infine, sulla Adecco Italia spa e di procedere con la pubblicazione dell'avviso per le posizioni richieste sul sito web dell'Associazione;
   il 16 dicembre 2014 avviene la pubblicazione del bando di selezione per l'assunzione a tempo indeterminato di complessive n. 15 unità per i seguenti profili professionali: un capo ufficio stampa; un addetto ufficio stampa; un responsabile gestione teatri; un addetto gestione teatri; due addetti produzione e programmazione; un addetto alla promozione; un assistente alla promozione; un addetto alla contabilità; un addetto all'amministrazione; un addetto ufficio gare; tre elettricisti teatrali; un macchinista teatrale. L'avviso recita: «I candidati sono ammessi alla selezione con riserva dell'accertamento dei requisiti prescritti»; «Ogni candidato può concorrere ad uno solo dei profili professionali richiesti»; «Gli interessati dovranno far pervenire la loro candidatura entro e non oltre le ore 12:00 del 27 dicembre 2014, esclusivamente per posta elettronica semplice all'indirizzo email: selezioneteatro.napoli@adecco.it»;
   in base al bando di selezione e alla sopracitata relazione del Teatro, l'agenzia del lavoro Adecco Italia spa ha il compito, quindi, di verificare la regolarità formale delle domande e del possesso da parte dei candidati dei requisiti professionali richiesti dal bando e di segnalare alla commissione costituita dal Teatro Stabile di Napoli un numero minimo di 5 nominativi fino ad un massimo di 11, quest'ultimo limite massimo non è però annunciato nel bando di selezione, per ciascun profilo oggetto della selezione; le domande risultate rispondenti ai requisiti di ammissione previsti dall'avviso di selezione saranno poi valutate dall'apposita Commissione che inviterà i candidati a sostenere un colloquio in base al quale formulerà la valutazione delle candidature pervenute;
   solo in data 9 gennaio, di venerdì, avviene, da parte del Teatro Stabile di Napoli, la pubblicazione dei calendari dei colloqui da sostenere dinanzi alla commissione del teatro senza nomi dei selezionati; l'avviso, recita: «I candidati che avranno superato la preselezione effettuata dall'agenzia del lavoro Adecco Italia spa, e pertanto ammessi ai colloqui, riceveranno apposita convocazione via mail da parte del Teatro»; tale calendario prevede che i colloqui si sarebbero svolti a partire dal lunedì seguente: il 12 gennaio 2015 alle ore 10:30 per i profili di Responsabile Ufficio Stampa e Addetto Ufficio stampa e alle ore 15:00 per i profili di Responsabile Gestione Teatri e Addetto Gestione Teatri; il 13 gennaio 2015 alle ore 10:00 per i profili di Addetto Produzione e Programmazione e alle ore 15:00 per i profili di Elettricisti e Macchinisti; il 14 gennaio 2015 alle ore 10:00 per i profili di Addetto alla promozione e Assistente alla promozione e alle ore 15:00 per Addetto Ufficio Gare e Addetto Amministrazione; il 15 gennaio 2015 alle ore 10:00 per i profili di Addetto contabilità;
   secondo quanto ricostruito nella relazione a cura del Teatro, l'Associazione Teatro stabile di Napoli, a fase di preselezione già avviata, avrebbe chiesto alla società Adecco Italia spa, ai fini della classificazione dei punteggi, che, in considerazione di un non meglio specificato «carattere d'urgenza», di limitarsi a verificare «le informazioni autocertificate nei curriculum vitae dai singoli candidati e la relativa documentazione allegata [...] (certificati di diploma e laurea; attestati per la conoscenza della lingua inglese e/o conoscenze informatiche; esperienze professionali nel settore teatrale)»;
   in data 12 gennaio, il giorno d'inizio dei colloqui, l'organizzazione SLC CGIL di Napoli, richiamando al principio di trasparenza, diffonde un comunicato per intimare «di rendere pubbliche, quanto prima, le liste di idonei alla preselezione del bando pubblicato dall'Associazione Teatro Stabile di Napoli»;
   sebbene la commissione di selezione avesse declinato, o, per citare la relazione del Teatro, avesse «espresso dubbi» circa tale richiesta per motivi di privacy, in seguito alle numerose polemiche rilevate anche dagli organi d'informazione, la direzione pubblica i nomi delle «cinquine» in data 13 gennaio, il giorno dopo dell'inizio dei colloqui;
   tra coloro i quali il colloquio di selezione del profilo scelto, in base al calendario senza i nomi dei convocati pubblicato in data 9 gennaio, era già stato svolto al momento della pubblicazione dei nominativi dei preselezionati ammessi vi è Flavia Varriale che, come dalla stessa dichiarato nell'edizione del quotidiano la Repubblica del 20 gennaio 2015, in diverse altre testate nei giorni successivi e nel servizio del programma televisivo Ballarò andato in onda il 10 febbraio 2015, solo in data 13 gennaio apprende che, sebbene afferma di non aver ricevuto alcuna comunicazione di convocazione, avrebbe dovuto svolgere il colloquio il giorno precedente, ovvero il 12 gennaio; malgrado le tempestive rimostranze, dalla relazione del Teatro si evince che: «Solo in un caso si contesta la mancata ricezione. Il sistema ci garantisce che la nostra mail pec è partita. Il problema è stato posto alla Commissione che ci ha indicato senza indugi di procedere, senza la possibilità di poter esaminare la candidata in altra data la candidata»; la Varriale, dunque, non viene riammessa perché la procedura per la selezione del profilo da lei scelto era già stata chiusa dalla commissione; come si apprende successivamente e come reso noto da numerose testate giornalistiche, vincitrice per tale profilo risulta essere Maria Rita Baio;
   in data 25 gennaio 2015 vengono pubblicati i nomi dei neo assunti; i candidati esclusi, gli organi d'informazione e anche talune cariche istituzionali, tra cui l'Assessore alla cultura del Comune di Napoli, Nino Daniele, sollevano un polverone mediatico e incalzano nel chiedere chiarimenti e che si rendano pubblici gli atti;
   confrontando l'elenco degli assunti pubblicato sul sito dello Stabile e gli elenchi degli staff delle ultime tre edizioni del «Napoli Teatro Festival», i cui «magazine» sono scaricabili dal sito del Festival (www.napoliteatrofestival.it), – la cui direzione artistica delle ultime quattro edizioni è affidata a Luca De Fusco, direttore dell'Associazione Teatro Stabile di Napoli, e la cui organizzazione è affidata alla fondazione «Campania dei festival», nel cui Consiglio di Amministrazione siede l'assessore regionale con delega alla promozione culturale, Caterina Miraglia – ben cinque nomi coincidono: Valeria Prestisimone (addetto all'ufficio Stampa), Francesca Matteoli (addetto produzione e programmazione), Serena Bruscolini (assistente alla promozione), Federica Chierchia (addetto alla contabilità) e Maria Rita Baio (responsabile gestione teatri) che al Festival si occupava del cerimoniale e sulla quale si accaniscono particolarmente le polemiche in quanto compagna di Raffaele Riccio (come riportato dall'edizione del 22 gennaio 2015 del quotidiano il Mattino e da numerose altre testate), portavoce dell'Assessore regionale della Campania con delega alla Promozione culturale, Caterina Miraglia, oltre che facente parte dell'ufficio di coordinamento dello stesso Napoli Teatro Festival delle ultime quattro edizioni;
   il 26 gennaio 2015, stesso giorno della pubblicazione della relazione a cura del Teatro contenente tentativi di chiarimento in risposta alle polemiche sollevate circa le modalità della selezione, il Presidente del Consiglio di Amministrazione dell'Associazione Teatro Stabile di Napoli, Adriano Giannola, in una nota al sindacato giornalisti, rinvia chi volesse contestare la regolarità della procedura, avendo un interesse diretto, alla Adecco Italia spa tramite posta elettronica e, per conoscere la propria posizione nella graduatoria generale di preselezione e il proprio punteggio individuale, al Teatro Stabile di Napoli; ad oggi non è ancora stata pubblicata una graduatoria generale con i relativi punteggi dei candidati e, secondo numerose testimonianze, non è stata fornita nessuna risposta a chi ha provato a scrivere agli indirizzi di posta elettronica indicati –:

se e in quali modalità il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo intenda tenere conto delle procedure di assunzione descritte in premessa, quantomeno torbide e superficiali tanto da incoraggiare nell'opinione pubblica sospetti circa i vincitori della selezione, in relazione alla richiesta attualmente in esame della stessa Associazione Teatro Stabile della Città di Napoli di ottenere il riconoscimento di «Teatro nazionale» di cui all'articolo 10 del decreto ministeriale 1o luglio 2014. (4-08098)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   CAUSI e TERROSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   gli adempimenti fiscali relativi all'imposta sul valore aggiunto in caso di contratto di soccida presentano alcune problematicità e disomogeneità territoriali;
   la soccida è un contratto diretto a costituire un'impresa agricola a natura associativa, per l'allevamento e lo sfruttamento di bestiame e per l'esercizio delle attività connesse, al fine di dividere tra le parti gli accrescimenti, i prodotti, gli utili e le spese che ne derivano;
   il contratto di soccida, disciplinato dal libro quinto, sezione IV, del codice civile, dagli articoli da 2170 a 2186, è distinto in tre tipologie: la soccida semplice, la soccida parziale e la soccida con conferimento di pascolo; nella soccida semplice il soccidante conferisce il bestiame e il soccidario presta l'attività necessaria all'allevamento, mentre gli accrescimenti, i prodotti, gli utili e le spese si dividono tra le parti secondo le proporzioni stabilite dal contratto o dagli usi;
   nel rapporto di soccida la vendita di bestiame pone in essere un'operazione soggetta ad imposta sul valore aggiunto, con la conseguente facoltà di detrarre l'IVA eventualmente pagata per l'acquisto di beni necessari allo svolgimento dell'attività; tuttavia, non sono univocamente fissati i criteri per l'esatta individuazione dei soggetti passivi dell'IVA che, conseguentemente, sono legittimamente abilitati ad effettuare le detrazioni per le spese relative all'allevamento;
   da quanto riferito dagli allevatori, risulta agli interroganti che, nelle varie aree di allevamento in Italia, vi siano in merito interpretazioni difformi da parte dei diversi uffici territoriali dell'Agenzia delle entrate;
   nella provincia di Viterbo, dove l'istituto del contratto di soccida è molto diffuso tra le aziende del settore dell'allevamento avicolo, fino al 2012, l'IVA relativa agli acquisti veniva regolarmente esposta nella relativa dichiarazione come IVA a credito e in alcuni casi compensata o richiesta a rimborso;
   i rimborsi richiesti sono stati regolarmente evasi dall'Agenzia delle entrate di Viterbo fino all'anno 2012, quando la stessa Agenzia, cambiando orientamento, avrebbe disconosciuto completamente l'IVA sugli acquisti del soccidario e inviato avvisi di accertamento a campione per il recupero dell'imposta, in tal modo applicando la normativa in maniera discriminatoria fra i vari contribuenti;
   a quanto consta agli interroganti gli accertamenti riguardano il recupero dell'IVA portata in compensazione, ovvero i rimborsi da poco liquidati recanti la firma dello stesso direttore che ha provveduto a firmare l'accertamento;
   l'Agenzia delle entrate sostiene che, essendo la commercializzazione del bestiame effettuata esclusivamente dal soccidante, il soccidario non può portare in detrazione l'IVA relativa agli acquisti in quanto, non emettendo nessuna fattura di vendita, non viene esposto alcun importo nel quadro «IVA riscossa»; tuttavia, a seguito di ricorsi presentati contro gli avvisi di accertamento inviati dall'Agenzia delle entrate e accolti dagli organi tributari competenti, è stato più volte rilevato che il soccidario è anch'esso soggetto passivo IVA e può quindi legittimamente effettuare la detrazione;
   le interpretazioni difformi da parte dei diversi uffici territoriali dell'Agenzia delle entrate rendono la disciplina di difficile conoscibilità da parte dei soggetti passivi d'imposta –:
   quali iniziative intenda intraprendere al fine di uniformare le modalità attuative della disciplina esposta in premessa, prevedendo, per i contratti di soccida, la possibilità di detrarre l'IVA assolta sugli acquisti indipendentemente dal regime IVA del soccidario, sconosciuto al soccidante, e come intenda sanare la posizione dei contribuenti che hanno ricevuto avvisi di accertamento riguardanti gli anni in cui, per errata interpretazione condivisa dalla Agenzia delle entrate, l'IVA è stata portata in detrazione. (5-04812)


   BARBANTI e GEBHARD. —Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel 2013 MPS ha ricevuto quattro miliardi di aiuti di Stato (cosiddetto Monti Bond) ed ha chiuso l'esercizio con una perdita di 1,4 miliardi di euro, che si sommava a 3,2 miliardi persi nel 2012, sempre sotto la leadership dell'amministratore delegato, dottor Fabrizio Viola, e del Presidente, dottor Alessandro Profumo;
   il contratto di assunzione del dottor Fabrizio Viola prevedeva una retribuzione totale di euro 3,5 milioni di euro complessivi (spettanti da contratto di assunzione che contemplava 1,4 milioni di retribuzione fissa e 2,1 milioni di variabile discrezionale o bonus);
   le «Disposizioni in materia di politiche e prassi di remunerazione e incentivazione nelle banche e nei gruppi bancari», emanate dalla Banca d'Italia il 30 marzo 2011, prevedono espressamente che «per le banche e i gruppi bancari che beneficiano di interventi pubblici eccezionali la remunerazione variabile è rigorosamente limitata in percentuale del risultato netto della gestione quando essa non sia compatibile con il mantenimento di un adeguato livello di patrimonializzazione e con un'uscita tempestiva dal sostegno pubblico; inoltre, nessuna remunerazione variabile è pagata agli esponenti aziendali, salvo che ciò non sia giustificato»; al dottor Viola, pertanto, non sarebbe spettato alcun compenso variabile per l'anno 2013 ma unicamente il compenso fisso;
   la delibera della Commissione europea con cui sono stati approvati gli aiuti di Stato a MPS assunta il 27 novembre 2013 ha indicato come «inappropriata» una remunerazione per i top manager che superi i 500.000 euro;
   MPS ha emesso un comunicato in data 7 ottobre 2013 (prima che gli aiuti fossero approvati dalla Commissione), in cui ha comunicato l'impegno a rispettare il limite massimo di remunerazione (concordato con la Commissione europea per un importo pari a 500.000 euro) fino al completamento dell'aumento di capitale o al rimborso integrale dei Nuovi Strumenti Finanziari» (comunicato stampa MPS del 7 ottobre 2013);
   l'aumento di capitale è stato eseguito nel 2014, pertanto – in base a quanto comunicato al mercato il 7 ottobre 2013 – il limite massimo di 500.000 era in vigore per l'esercizio 2013;
   dalla relazione sul remunerazione di MPS per l'anno 2013, ai sensi dell'articolo 123-ter del Testo unico della finanza pubblicata da MPS nell'aprile 2014 risulta che «considerata la necessità di ottemperare alla richiesta della Commissione.... il dottor Viola ha accettato la proposta di riduzione della Retribuzione Totale a 500.000 euro... a fronte di detta riduzione...è stato pattuito un importo transattivo di 1,2 milioni di euro...» (pagina 13 della relazione);
   contrariamente a quanto comunicato il 7 ottobre 2013, il dottor Viola, ben lungi da accettare una riduzione della remunerazione per rispettare il limite massimo di 500.000 euro ha, invece, percepito un aumento ovvero ha guadagnato 1,7 milioni, importo maggiore del compenso fisso (1,4 milioni) previsto dal contratto;
   all'assemblea di MPS del 29 aprile 2014, un socio di MPS ha posto la seguente domanda agli amministratori in forma scritta, ai sensi dell'articolo 127-ter del testo unico della finanza, di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998: «la remunerazione del dottor Viola è stata approvata dal Ministero dell'economia e delle Finanze dalla Banca d'Italia ?; in merito ha ottenuto da MPS la seguente risposta, in forma scritta: «i committments assunti dalla Banca sono nei confronti del Ministro dell'economia e delle finanze che, come precisato in premessa, insieme a Banca d'Italia ed alla DG Comp della Commissione europea, ha convenuto i termini descritti alla risposta precedente supportando la Banca costantemente nella stesura dell'atto transattivo; pertanto la decisione di corrispondere al dottor Viola un importo transattivo» di 1,2 milioni sarebbe stata concordata da MPS con MEF Banca d'Italia;
   il Governo in carica nel periodo di ottobre-novembre 2013 era quello guidato da Enrico Letta, il cui Ministro delle Finanze era il dottor Fabrizio Saccomanni, ex direttore generale della Banca d'Italia ed oggi direttore generale onorario della Banca d'Italia;
   le strutture tecniche del Ministero dell'economia e delle finanze che si sono occupate degli aiuti di Stato a MPS a giudizio degli interroganti sembrerebbero operare a tutt'oggi in perfetta continuità con il precedente Governo;
   il direttore generale del tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze, dottor Vincenzo La Via, è stato interlocutore del vice direttore generale della DG Comp della Commissione europea, Mr. Koopman –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa, se abbia avallato la decisione di corrispondere i compensi percepiti dall'amministratore delegato di MPS e quali ne siano i motivi e presupposti. (5-04813)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal 2009 la magistratura e l'Agenzia delle entrate sono in possesso della cosiddetta «Lista Falciani», dal nome dell'informatico che consegnò alle autorità francesi file provenienti dalla banca elvetica Hsbc contenenti informazioni su clienti coperti da segreto bancario;
   in questi anni si sono succedute sentenze contrastanti rispetto al diritto di utilizzo di informazioni ottenute in modo irrituale dalle autorità francesi, ma da queste consegnate a quelle italiane secondo la prassi corretta dello scambio di informazioni;
   non si è chiarito nemmeno se le autorità italiane fossero in possesso o avessero potuto decrittare l'intera lista relativa a contribuenti nazionali, stimati in circa 7.000 unità;
   lo scorso 9 febbraio 2014 il settimanale L'Espresso ha pubblicato i nomi di tutti gli italiani presenti all'interno della lista, grazie ad un'inchiesta del Consortium of investigative journalists: a tutt'oggi non è dato sapere se esista una corrispondenza fra i nomi pubblicati dal settimanale e quelli già in possesso dell'Agenzia delle entrate e, in caso affermativo, quale sia l'uso che ne ha fatto la stessa Agenzia anche alla luce della sentenza della Commissione tributaria della Lombardia che nell'agosto 2014 ne sanciva, da ultima, l'utilizzabilità –:
   se esista la suddetta corrispondenza dei nominativi, ed in caso contrario, come intenda l'Agenzia adoperarsi in tempi rapidi e certi per acquisire le informazioni mancanti, e come l'emersione degli stessi possa essere compatibile, in quanto potenzialmente notizia di reato, con le procedure in atto della voluntary disclosure, che invece è preclusa a chiunque abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di indagine amministrativa o penale relativi all'ambito oggettivo di applicazione della procedura stessa. (5-04814)


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 62-quater, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 504 del 1995, come riformulato dall'articolo 1 del decreto legislativo del 15 dicembre 2014, n. 188, stabilisce che «prodotti da inalazione senza combustione costituiti da sostanze liquide, contenenti o meno nicotina, esclusi quelli autorizzati all'immissione in commercio come medicinali ai sensi del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, e successive modificazioni, sono assoggettati ad imposta di consumo in misura pari al cinquanta per cento dell'accisa gravante sull'equivalente quantitativo di sigarette, con riferimento al prezzo medio ponderato di un chilogrammo convenzionale di sigarette rilevato ai sensi dell'articolo 39-quinquies e alla equivalenza di consumo convenzionale determinata sulla base di apposite procedure tecniche, definite con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, in ragione del tempo medio necessario, in condizioni di aspirazione conformi a quelle adottate per l'analisi dei contenuti delle sigarette, per il consumo di un campione composto da almeno dieci tipologie di prodotto tra quelle in commercio, di cui sette contenenti diverse gradazioni di nicotina e tre con contenuti diversi dalla nicotina, mediante tre dispositivi per inalazione di potenza non inferiore a 10 watt»;
   in ottemperanza a suddetta norma, l'AAMS ha provveduto a pubblicare sul proprio sito il provvedimento n. 394, in forza del quale è stato determinata un'imposta di consumo, a decorrere dal 21 gennaio 2015, nella misura di 0,37344 euro il millilitro;
   la stessa AAMS, aveva già pubblicato, il 24 dicembre 2014, il provvedimento n. 381, recante le procedure tecniche per la determinazione, in via provvisoria e temporanea fino al 20 gennaio scorso, del consumo equivalente di sigarette dei prodotti in oggetto;
   l'articolo 2, comma 1, di quest'ultimo provvedimento, in attuazione delle prescrizioni del prodromico decreto legislativo, nello specificare i criteri di determinazione della predetta equivalenza, utilizza come parametri per individuare le «condizioni di aspirazione conformi a quelle adottate per l'analisi dei contenuti delle sigarette» quelli definiti dalla norma EN ISO3308/2012. Con lo stesso, quindi, l'AAMS dispone quanto segue: «ai fini della determinazione del tempo medio di consumo dei prodotti di cui all'articolo 62-quater, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 504 del 1995, sono sottoposte ad aspirazione cinque sigarette per ciascuna delle cinque marche più vendute nell'anno solare precedente il mese in cui si effettuano le operazioni di aspirazione applicando i parametri definiti dalla norma EN ISO 3308/2012». Inoltre, l'articolo 3, comma 1, lettera a), del medesimo provvedimento, prevede che i prodotti sottoposti ad aspirazione si considerano consumati nel momento in cui per le sigarette, termina la fumata, secondo la norma EN ISO 3308/2012;
   seguendo la già contestata linea tracciata dal legislatore e dalla stessa AAMS in ordine al metodo, ne deriva che l'imposta da scontare sul consumo di e-cig con liquido da inalazione dovrebbe essere pari ad euro 0,03925 il millilitro e, quindi, di una misura quasi 10 volte inferiore, come correttamente misurato sulla e-cig con tabacco senza combustione, e non di euro 0,37344. AAMS in questo caso ha adottato varianti non ammesse dal decreto legislativo, nonché immotivate al calcolo di cui all'EN ISO 3308/2012;
   tale evidente differenza è data dal fatto che l'AAMS in sede di misurazione, ha equiparato il consumo di tabacco calcolato in mm dura le aspirazioni al consumo in mm nel corso dei periodi tra un'aspirazione e un'altra (quindi, in assenza di aspirazione), contravvenendo, in violazione del principio di legalità sancito dall'articolo 23, della Costituzione, ai criteri di calcolo imposti dal legislatore all'articolo 62-quater, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 504 del 1995, cioè proprio al disposto normativo che il provvedimento impugnato avrebbe dovuto solamente attuare, e non arbitrariamente modificare –:
   quali misure intenda adottare, in base alla proprie competenze, al fine di porre termine alla violazione perpetrata dall'AAMS che, come specificato in premessa, ha introdotto, con il citato provvedimento n. 394/2015, una tassazione sulle e-cig con liquido da inalazione di gran lunga più penalizzante di quella, fissata dal successivo provvedimento n. 396, pubblicato sempre sul proprio sito istituzionale il 23 gennaio 2015, per i tabacchi da inalazione senza combustione di cui all'articolo 39-terdecies, del decreto legislativo n. 504 del 1995, nonostante il legislatore, con l'articolo 1, del decreto legislativo n. 188 del 2014, avesse tassativamente imposto per entrambe le categorie di prodotto una equiparazione e prescritto le medesime modalità, indicando il ricorso ai parametri definiti dalla norma EN ISO 3308/2012, al fine di determinare l'equivalenza di consumo convenzionale rispetto alle sigarette tradizionali.
(5-04815)


   BERNARDO e PAGANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il comma 666 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, è stata soppressa l'agevolazione fiscale per le auto storiche di età tra i 20 e i 30 anni, prevista dall'articolo 63 della legge 21 novembre 2000, n. 342, che consentiva di non pagare il bollo auto, qualora il veicolo non circolasse o forfettariamente in caso di circolazione e fosse iscritto negli elenchi speciali costituiti dall'Auto moto club storico italiano o dalla Federazione motociclistica italiana;
   così come redatta la norma ha previsto che tali auto paghino integralmente il bollo, in relazione alla cilindrata e alla classe Euro; il maggior gettito previsto è di 78,5 milioni di euro a decorrere dal 2015, nonostante sia stata a suo tempo sollevata l'obiezione che il gettito del bollo è riscosso e attribuito alle regioni ai sensi dell'articolo 23, comma 1, del decreto legislativo n. 504 del 1992;
   in una prima versione del prospetto riepilogativo allegato al disegno di legge di stabilità (allegato 3) erano stati iscritti effetti per 78,5 milioni sui tre saldi di finanza pubblica; nella versione definitiva, relativa alla legge di stabilità n. 19 del 2014, sono scontati effetti di pari importo, soltanto sui saldi di fabbisogno e di indebitamento netto, mentre non sono attribuiti effetti di incremento del gettito sul saldo netto da finanziare; ne deriva che la mancata realizzazione del predetto gettito determina effetti di incremento dei saldi di indebitamento e di fabbisogno e, quindi, del debito pubblico, qualora non compensata in corso di esercizio da maggiori entrate;
   dalla stampa si apprende che l'applicazione del citato comma 666 è nel caos, avendo ciascuna regione stabilito una applicazione differenziata sul proprio territorio; Toscana, Basilicata, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Marche manterranno l'esenzione o prevederanno una agevolazione; nell'Umbria, nel Lazio in Puglia e pare anche in Abruzzo si vuoi riscuotere il bollo per intero; il Piemonte decide attorno al 20 gennaio e così pure la Campagna; addirittura in Trentino si deciderà diversamente che in Alto Adige;
   è evidente che i cittadini si trovano di fronte ad una applicazione differenziata di una norma fiscale, a seconda del luogo in cui sono residenti; la distorta applicazione del Federalismo fiscale ha prodotto una sorta di «Torre di Babele» fiscale, che viola il principio di parità dei cittadini di fronte al fisco (qualsiasi sia la tipologia di imposta o tassa) –:
   per quali motivi il presunto gettito del comma 666 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, sia stato iscritto nel bilancio dello Stato e quali iniziative per quanto di competenza, intenda adottare per garantire la parità di trattamento fiscale tra cittadini. (5-04816)


   RUOCCO e PESCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con comunicato stampa del 12 febbraio 2015, l'Agenzia delle entrate, al fine di semplificare ulteriormente l'adempimento della trasmissione della Certificazione unica, per il primo anno ha concesso agli operatori, facoltà di scegliere se inviare o meno le certificazioni contenenti esclusivamente redditi esenti;
   tale facoltà è stata altresì ribadita con circolare 6/E del 19 febbraio 2015, recante «Chiarimenti interpretativi relativi a quesiti posti in occasione degli eventi Videoforum Italia Oggi, Telefisco Sole 24ore e Forum lavoro»;
   sussistono, tra gli operatori, alcune perplessità interpretative circa la portata del possibile esonero facoltativo dall'invio delle certificazioni contenenti esclusivamente redditi esenti;
   in particolare non è chiaro se la suddetta dispensa riguardi le singole certificazioni relative ai soli percipienti che hanno conseguito esclusivamente redditi esenti – con la conseguenza che gli operatori sono obbligati ad inviare solo quelle degli altri percipienti cui sono stati erogati nel 2014 redditi imponibili o entrambe le tipologie – oppure se la presenza di percipienti aventi redditi imponibili, costringe comunque il sostituto d'imposta ad inviare anche le certificazioni relative agli altri percettori di redditi esclusivamente esenti;
   è necessario, dunque, un chiarimento ulteriore per comprendere se la presenza di percipienti con soli redditi imponibili – o imponibili ed esenti – imponga comunque al sostituto di imposta di inviare anche i dati relativi agli altri percipienti con soli redditi esenti oppure se è possibile inviare solo i primi avvalendosi della dispensa facoltativa per i secondi, come appare più consono allo spirito di semplificazione che l'amministrazione finanziaria ha inteso applicare alla fattispecie de quo –:
   se non ritenga opportuno ed urgente fornire gli ulteriori chiarimenti per una corretta applicazione dell'esonero facoltativo dall'adempimento di invio telematico della certificazione unica, concesso per l'anno 2014 alle sole certificazioni contenenti esclusivamente redditi esenti.
(5-04817)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i commi 634-637 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Legge di stabilità 2015), prevedono la possibilità per i contribuenti di avvalersi del nuovo istituto di «ravvedimento lunghissimo» che consente una rateizzazione per 48 mesi (anziché 24) per la regolarizzazione delle imposte non versate, con l'applicazione di sanzioni ridotte;
   tuttavia sussiste una causa ostativa della possibilità di avvalersi di tale nuovo ravvedimento che risiede nel vecchio automatismo di notifica da parte dell'Agenzia delle entrate, con comunicazioni di irregolarità (articoli 36, 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973);
   gioverebbe precisare, con opportuna circolare dell'Amministrazione finanziaria, che in presenza di ravvedimento del contribuente, l'Agenzia delle entrate non possa, se non in presenza di gravi inadempimenti o omesso pagamento delle rate, interrompere l’iter virtuoso e premiante intrapreso dal contribuente, impedendo l'applicazione delle condizioni meno favorevoli, previste dal precedente istituto definito dall’«avviso bonario»;
   è opportuno, attraverso un intervento chiarificatore, rendere fluido e certo il percorso di ravvedimento intrapreso dal contribuente, così come originariamente inteso dai commi 634-637, che si inquadrano nella «compliance fiscale» previsto dalla delega fiscale (legge n. 23 del 2014) –:
   quali iniziative urgenti, anche di carattere interpretativo, intenda assumere il Governo per evitare che un avviso o una notifica, di liquidazione o di accertamento sia causa ostativa rispetto al procedimento di ravvedimento operoso intrapreso.
(5-04818)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Per sapere – premesso che:
   dal prossimo mese di maggio si svolgerà a Milano l'evento EXPO 2015, un appuntamento straordinario sul quale il nostro Paese punta moltissimo e per il quale si sono spese, e si continuano a spendere, ingenti risorse economiche;
   EXPO 2015, a parere degli interroganti, così come pensato e realizzato non risponde affatto agli obiettivi che si è preposto, sia in relazione al tema affrontato – che dagli slogan e dalla pubblicità in corso sembra voler risolvere i problemi della fame nel mondo attraverso il ritorno alla vita rurale ma poi, nei fatti, non offre nessuna possibilità concreta di rilancio all'agricoltura vera e propria – sia nell'infrastruttura messa in piedi, che, non serve ricordare, è stata al centro di diverse inchieste con ipotesi di infiltrazioni mafiose sulla gestione dei diversi appalti;
   l'organizzazione per EXPO è, tuttavia, ormai in moto e le regioni italiane hanno investito cifre importanti per poter partecipare a quella che è comunque considerata una vetrina per diffondere le tradizioni e le produzioni agricole e agroalimentari dei diversi territori;
   l'Umbria parteciperà alla mostra sull'Italia organizzata dalle regioni, con un investimento da 300 mila a 450 mila euro per godere di uno spazio di rappresentanza tra i 30 e i 40 metri quadrati e di un'area espositiva dedicata di 200 metri quadrati per una settimana;
   nonostante tutte le criticità che la manifestazione di Milano presenta, non si può non considerare che i cittadini italiani, specie quelli provenienti dalle regioni che, come l'Umbria, hanno investito ingenti somme per parteciparvi, dovranno avere la possibilità di prendere parte all'evento;
   considerata la situazione umbra del trasporto su ferro, le cui criticità sono ampiamente note è evidente che i cittadini umbri non potranno arrivare con facilità a Milano essendo le due province mal collegate alle grandi città da cui si snoda tutta l'alta velocità nazionale;
   considerati gli investimenti che Trenitalia e lo stesso Governo hanno deciso di mettere in campo per agevolare gli spostamenti degli italiani durante i cinque mesi di Expo, è auspicabile che la regione Umbria non resti fuori da questo potenziamento;
   si manifesta l'auspicio che ciò funga da stimolo per un potenziamento permanente per una regione che rischia sempre di restare la cenerentola del Paese a causa della sua particolare posizione geografica;
   un potenziamento del collegamento tra Perugia e Roma, Firenze, Bologna e Milano sarebbe possibile attraverso l'inserimento di un treno Freccia-Argento o in sottordine di un treno Freccia-Bianca, la cui traccia oraria è stata valutata come compatibile con i treni del trasporto regionale umbro, ripercuotendosi con minimali scostamenti sui servizi regionali interferenti per altro già considerati accettabili dall'utenza interessata; una traccia che non influendo su altri servizi ferroviari consolidati, porterebbe un enorme vantaggio per le utenze dei bacini di Terni, Perugia, Spoleto, Assisi, Foligno, ma anche di Terontola ed Arezzo; utenze tutte che hanno manifestato l'auspicio di un servizio diretto e veloce, senza ulteriore interscambio, verso le grandi città italiane;
   il prospetto messo a punto dall'interrogante con il supporto del Coordinamento comitati pendolari umbri e di esperti del settore, prevede un treno con partenza da Roma alle ore 6.10 e rientro da Milano alle 17.00 –:
   se, in base a quanto esposto in premessa, non ritenga in quanto azionista di riferimento di trenitalia spa sottoporre al management questo progetto prima dell'inizio di EXPO 2015 in modo che si possa valutare l'autenticità, qualora il risultato di tale servizio in termini di «costi/benefici» fosse positivo, di mettere a regime, una volta conclusa l'esposizione universale di Milano, la suddetta offerta di trasporto.
(5-04824)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRAGA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 17 aprile 2008 fu indetta dall'allora direttore regionale per la Lombardia dell'Agenzia delle dogane una procedura di interpello a livello regionale per la copertura di complessivi nove posti presso l'ufficio delle dogane di Como, sezione operativa territoriale di Chiasso, con specifica assegnazione della durata di cinque anni, in seguito alla quale il 3 maggio 2010, dopo circa due anni di graduatorie provvisorie, presero servizio i nove funzionari selezionati (6 di III area e 3 di II area);
   essendo trascorsi i 5 anni previsti dall'assegnazione, il 2 maggio 2015 andrà in scadenza la permanenza dei nove funzionari assegnati alla sezione operativa territoriale di Chiasso addetti, nello specifico, a ricoprire il servizio viaggiatori sulle tratte ferroviarie internazionali, che verranno quindi destinati alle rispettive sedi di provenienza;
   a seguito della scadenza del termine di permanenza dei nove funzionari la sezione operativa territoriale di Chiasso, composta oggi da un totale di quindici lavoratori, subirà una riduzione del personale in organico passando così da quindici a sei dipendenti;
   una tale riduzione di personale, per la quale, al momento, non è prevista alcuna sostituzione, potrebbe causare difficoltà nel garantire i servizi assegnati alla sezione operativa territoriale di Chiasso e, in particolare, nello svolgimento dell'attività di controllo sui treni provenienti e destinati alle tratte internazionali soprattutto in concomitanza con l'avvio, il 1o maggio 2015, di Expo Milano 2015 per il quale è previsto un incremento notevole del flusso di viaggiatori internazionali alle frontiere che porterà la stazione ferroviaria di Chiasso a svolgere un ruolo fondamentale nel raggiungere da nord l'area di Expo2015 –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione descritta in premessa;
   quali misure il Ministro intenda adottare per evitare le possibili difficoltà nel gestire e garantire i servizi assegnati alla sezione operativa territoriale di Chiasso, dovute alla conclusione del termine di permanenza dei nove funzionari ivi impiegati, soprattutto in considerazione dell'apertura il primo di maggio di Expo Milano 2015 con conseguente aumento del numero dei viaggiatori e della centralità della stazione ferroviaria di Chiasso nel collegamento con i luoghi dedicati all'Expo di Milano 2015. (4-08083)


   ZARATTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Ente Eur (Ente autonomo per l'esposizione universale di Roma) è stato costituito nel 1936 al fine di realizzare e gestire il patrimonio pubblico e privato dell'esposizione universale, che avrebbe dovuto tenersi a Roma nel 1942;
   al progetto contribuirono i più prestigiosi architetti dell'epoca, tra cui si ricordano Marcello Piacentini, Luigi Piccinato, Ettore Rossi, Luigi Vietti, Luigi Moretti e Adalberto Libera; il quartiere Eur viene oggi considerato uno tra i più importanti modelli di pianificazione urbanistica e architettura razionalista esistenti, riconosciuto quale patrimonio di notevole interesse storico, architettonico e paesaggistico, tutelato ai sensi del codice dei beni culturali, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;
   la tutela e la valorizzazione di tale patrimonio, al fine di garantirne l'unitarietà, è affidata a partire dal decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 304, ad Eur spa, società per azioni controllata al 90 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze e al 10 per cento da Roma Capitale;
   i bilanci della società Eur spa sono risultati, sempre in attivo; un notevole decremento si è configurato tuttavia a partire dal 2007, in parallelo, ossia, all'avvio della realizzazione del nuovo Centro Congressi conosciuto con il nome «La Nuvola», il cui progetto venne affidato nel 2000 all'architetto Massimiliano Fuksas, a chiusura di un concorso internazionale indetto nel 1998;
   gli oneri di realizzazione del suddetto progetto, lievitati nel corso degli anni da una iniziale previsione di 270 milioni di euro agli attuali 467, sono a carico, infatti, della società Eur spa; l'attuale mancanza di disponibilità delle risorse necessarie alla realizzazione dell'opera ne rende altamente incerto l'effettivo completamento e la relativa tempistica;
   il patrimonio immobiliare e urbano di Eur spa è stato valutato in circa 645 milioni di euro con decreto ministeriale del 13 marzo 2000 del Ministero dell'economia e delle finanze;
   le attività gestite dalla società vengono svolte da una squadra tecnica composta da circa 120 unità di personale;
   Eur spa versa, da alcuni anni, in una condizione finanziaria particolarmente critica; nel luglio del 2010 la società ha sottoscritto con alcuni istituti di credito un contratto di finanziamento per un importo di 190 milioni di euro, principalmente per far fronte alla realizzazione del nuovo Centro Congressi;
   alcuni interventi normativi hanno prefigurato una possibile ricapitalizzazione della società da parte dell'azionista di maggioranza, il Ministero dell'economia e delle finanze; in tale direzione vanno letti i riferimenti contenuti nella legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 27 dicembre 2013) e nel decreto legislativo 66 del 2014 (convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014 n. 84), che disponevano un'anticipazione di liquidità per l'anno 2014 nel limite massimo di 100 milioni di euro ad Eur spa, finalizzata al pagamento di debiti commerciali certi, liquidi ed esigibili al 31 dicembre 2013; anche un emendamento, cassato in sede d'esame, era stato presentato dal Governo al decreto legislativo 133 del 2014 (cosiddetto Sblocca Italia), convertito dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, al fine di prevedere una ricapitalizzazione a favore di Eur spa di 133 milioni di euro per il completamento de «La Nuvola», che richiede oggi un fabbisogno finanziario residuo di circa 170 milioni di euro;
   il 12 dicembre 2014, a seguito di un'assemblea straordinaria del consiglio di amministrazione di Eur spa, è stata presentata al tribunale di Roma una richiesta di ammissione al concordato in bianco, una forma di concordato preventivo (ai sensi dell'articolo 161, comma 6, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267) volta ad evitare la dichiarazione di fallimento; entro la data del 24 aprile 2014, Eur spa dovrà presentare un piano di ristrutturazione in tal senso;
   una nuova assemblea degli azionisti di Eur spa, del 16 febbraio 2015, ha deliberato una modifica all'articolo 4 dello statuto, al fine di consentire la valorizzazione del complesso di beni di cui la società è titolare, anche attraverso l'attività di costruzione ed alienazione di singoli beni;
   in particolare, l'alienazione si era inizialmente concentrata su 4 edifici di particolare rilievo e interesse storico, quali l'Archivio di Stato, il Museo Pigorini, il Museo delle Arti e Tradizioni popolari e il Museo dell'Alto Medioevo;
   tali beni sono tuttavia vincolati, inalienabili ai sensi del combinato disposto degli articolo 10 e 54 (c. 1, lettera c) e d) del codice dei beni culturali di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; la possibile vendita comporterebbe, inoltre, un vulnus irreparabile all'omogeneità e all'unitarietà del patrimonio in questione;
   in tal senso, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini ha dichiarato la totale impraticabilità della vendita di edifici vincolati e di grande valore storico e architettonico, che sono, in primo luogo, beni di interesse pubblico;
   il 18 febbraio 2015, durante un incontro tra il sindaco di Roma Ignazio Marino e il Ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan, è stata configurata una possibile alternativa, consistente nella vendita di immobili di proprietà della società Eur spa che non costituiscano, tuttavia, un patrimonio storico e architettonico di particolare pregio;
   il Ministro dell'economia e delle finanze Padoan, durante una seduta della Camera dei deputati del 18 febbraio 2015, ha dichiarato attivata la procedura di accesso all'erogazione di un'anticipazione finanziaria del Ministero dell'economia e delle finanze, di 37 milioni di euro, a valere sui fondi per il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione;
   tra le misure previste dal piano di ristrutturazione emerso dall'assemblea degli azionisti di Eur spa del 16 febbraio 2015, come riportato da alcuni articoli di quotidiani nazionali (La Repubblica del 17 febbraio 2015 «Eur, in vendita i musei e l'Archivio di Stato»; Corriere della Sera «Eur spa vende quattro gioielli»), si prevede anche la rinuncia del 30 per cento dell'organico societario, ossia di circa 40 persone –:
   quali iniziative intenda promuovere il Ministro interrogato per consentire la definitiva ricapitalizzazione del debito della società Eur spa attraverso il finanziamento del progetto relativo al Centro Congressi «La Nuvola», garantendo la tutela degli attuali livelli occupazionali e scongiurando definitivamente l'ipotesi relativa all'alienazione di immobili di particolare interesse storico e architettonico. (4-08097)

GIUSTIZIA

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   come si apprende dal sito del Governo, il 10 febbraio 2015, è avvenuta la prima approvazione da parte del Consiglio dei ministri del disegno di legge delega sulla giustizia minorile;
   il comunicato che riporta questa notizia sembra non chiarisca i termini del provvedimento;
   l'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, Spadafora, ha espresso un profondo disappunto tramite un suo comunicato stampa, per non essere stata interpellata in merito, nonostante avesse richiesto ripetutamente di poter visionare il testo del disegno di legge in questione finché era ancora in preparazione;
   la legge n. 112 del 2011, istitutiva dell'Autorità, all'articolo 3, comma 3, stabilisce che essa possa «esprimere pareri al Governo sui disegni di legge del Governo medesimo nonché sui progetti di legge all'esame delle Camere e sugli atti normativi del Governo in materia di tutela dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza»;
   secondo il comunicato dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza «da mesi, l'Authority lavora con garanti regionali, associazioni, giuristi, esperti per formulare proposte di modifiche normative, anche sulla scorta delle molte segnalazioni ricevute. Spadafora ha anche incontrato il Ministro Orlando, presentando proposte e invitando al rispetto del principio di leale collaborazione tra le istituzioni» e richiede «di sapere quanto prima i contenuti del provvedimento in questione»  –:
   se il Governo non intenda chiarire i motivi per i quali non sarebbe stata ascoltata la legittima richiesta del Garante per l'infanzia e l'adolescenza di cui in premessa e se non intenda altresì rimediare a tale situazione dando modo al più presto al Garante stesso di poter visionare il testo di tale disegno di legge delega, di grande importanza per la vita di migliaia di famiglia, bambini e ragazzi.
(2-00855) «Sorial, Businarolo».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO, RIZZETTO, BECHIS, BALDASSARRE, SEGONI, BARBANTI, ARTINI, TURCO, MUCCI e PRODANI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 22 gennaio 2015 presso il carcere Due Palazzi è avvenuto un episodio come tanti ne succedono negli istituti di pena italiani che vivono condizioni di sovraffollamento e di abbandono;
   il fatto è avvenuto in una delle sezioni più disastrate dove i reclusi non lavorano e non fanno nessuna attività;
   la rissa in questione è partita da un detenuto che si era tagliato, non arrivavano i soccorsi e così la situazione è degenerata in fretta;
   il carcere è strutturato per 380 persone, ora ce ne sono quasi 750;
   una metà è impegnata in attività di diverso tipo, l'altra metà vive senza svolgere alcuna attività. È una condizione di enorme disagio a cui si aggiunge, negli ultimi tempi, un altro problema di cui si parla poco: la mancanza di agenti penitenziari;
   attualmente gli agenti sono 280 invece dei 340 previsti e calcolati però su 350 detenuti;
   gli agenti sono costretti a sopperire alla mancanza di psicologi e altro personale che purtroppo è sottodimensionato; non vi sono risorse economiche per la manutenzione delle carceri e quindi spesso ci si trova a non poter avere tutti i sistemi di sicurezza previsti e funzionanti;
   inoltre a seguito degli arresti e degli allontanamenti degli agenti coinvolti nell'operazione della squadra mobile di Padova, denominata «Apache», il personale penitenziario allontanato (parliamo di circa 20 agenti) non è stato sostituito e quindi la situazione di scarsità di personale si è fatta ancora più insostenibile;
   tutti gli agenti, in una situazione già difficile, sono costretti a sopperire alla mancanza di personale ad effettuare ogni mese parecchie ore di straordinari e questo, come è evidente, non può aiutarli a svolgere in maniera efficace il loro lavoro –:
   se non intenda agire con urgenza, per quanto di competenza, per la sostituzione degli agenti allontanati con altro personale della polizia penitenziaria, e se non intenda, anche attraverso le nuove assunzioni previste dall'ultimo decreto «carceri», aumentare il numero degli agenti del Due palazzi, in proporzione al numero attuale dei detenuti al fine di garantire la massima sicurezza sia degli agenti che degli stessi detenuti rinchiusi al carcere nello stesso. (5-04806)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CRISTIAN IANNUZZI, MASSIMILIANO BERNINI e FRUSONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 «Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148», il Governo ha provveduto a riorganizzare sul territorio nazionale gli uffici giudiziari sopprimendo 31 tribunali ordinari, 31 procure e tutte le 220 sezioni distaccate di tribunale al fine di realizzare risparmi di spesa e incrementare l'efficienza del sistema giustizia;
   tra le sedi distaccate soppresse, c’è anche la sezione di Gaeta del tribunale di Latina, sostituita, per le cause iscritte successivamente alla sua soppressione, dal tribunale di Cassino e, per quelle già iscritte a ruolo, inizialmente dalla sezione distaccata di Terracina del tribunale di Latina, anch'essa soppressa, e successivamente, a seguito del ricorso al TAR di Latina proposto dagli enti locali interessati e dall'ordine degli avvocati di Latina, dalla sede centrale del tribunale di Latina;
   tale situazione di incertezza ha determinato il blocco per diversi mesi della trattazione di tutte le cause civili e penali pendenti presso il tribunale di Gaeta, determinando in tale modo la prescrizione di numerosi reati;
   la ripresa della trattazione dei processi pendenti in precedenza presso il tribunale di Gaeta è avvenuta solo di recente e con notevole difficoltà, a causa della situazione prossima al collasso in cui versa tribunale di Latina per il grave vuoto nell'organico dei magistrati e per la cronica carenza di personale amministrativo;
   basti ricordare che i processi penali dell'ex sezione di Gaeta vengono trattati in un edificio all'uopo apprestato e distante dalle cancellerie; la maggior parte delle cause civili sono state fissate e rinviate sine die e trattate da magistrati non togati, disattendendo le richieste avanzate dagli avvocati di assegnare le stesse secondo criteri analoghi a quelli adottati per le cause di Latina;
   le cose non vanno meglio nel tribunale di Cassino, presso il quale sono state trasferite tutte le cause di nuova iscrizione: l'accorpamento delle sezioni di Gaeta e di Sora non è stato accompagnato da un adeguato aumento dell'organico di magistrati e di personale di cancelleria; a peggiorare le cose ha contribuito il crollo di un solaio dell'edificio che ospita il tribunale di Cassino, comportando la parziale inagibilità del palazzo stesso;
   in considerazione delle problematiche appena denunciate, stante la disponibilità dell'edificio giudiziario di Gaeta, a parere degli interroganti sarebbe opportuno, nell'ottica della tutela del territorio e al fine di agevolare la trattazione dei procedimenti pendenti, la riapertura immediata dell'ufficio giudiziario di Gaeta –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza per la riapertura dell'ufficio giudiziario del tribunale di Gaeta, in modo da garantire al territorio del sud-pontino il ripristino del corretto funzionamento della giustizia, al momento, a giudizio degli interroganti, non assicurato dall'attuale assetto organizzativo predisposto presso i tribunali di Latina e Cassino. (4-08089)


   CAPARINI. – Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 13 novembre 2014 «Regole tecniche in materia di formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici nonché di formazione e conservazione dei documenti informatici delle pubbliche amministrazioni ai sensi degli articoli 20, 22, 23-bis, 23-ter, 40, comma 1, 41, e 71, comma 1, del Codice dell'amministrazione digitale di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005», pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 12 gennaio 2015, è stata prevista un'estensione delle regole tecniche disciplinate dal Codice dell'Amministrazione digitale (CAD) al Processo Civile Telematico (PCT);
   il Consiglio nazionale forense (CNF), e precisamente il suo Presidente Guido Alpa, con lettera inviata a codesto Ministero, ha chiesto di mettere in atto i correttivi «per separare le strade delle due norme assicurando una corsia dedicata al processo civile telematico». Tale richiesta di «non applicazione» del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri al processo civile telematico viene motivata sul fatto che un'eventuale estensione potrebbe «frenare» il cammino del processo civile telematico e tra questi adempimenti il CNF sottolinea, ad esempio, l'obbligo di accompagnare il documento informatico con un file di «.xml» sul quale riportare alcuni metadati, o l'attestazione di conformità delle copie con un documento separato che richiede l'estrazione dell'impronta «hash» del documento, oneri che finirebbero per pesare sui soggetti del processo sia nella fase di produzione di atti e allegati probatori, sia in quella dedicata al controllo e alla verifica di questi documenti;
   di recente le associazioni di categoria (associazione nazionale per operatori e responsabili della conservazione digitale – ANORC) hanno, per converso, rilevato che è controproducente e pericoloso non applicare anche al Processo civile telematico le nuove regole tecniche (documenti informatici e fascicoli informatici opportunamente conservati) contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 13 novembre 2014, giacché detta disapplicazione rappresenterebbe una palese violazione non solo della normativa primaria dettata dal Codice dell'amministrazione digitale, ma anche di norme europee direttamente applicabili al nostro ordinamento e di standard internazionali; perciò ignorare le nuove disposizioni introdotte dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri citato «esporrebbe» a un grave rischio di nullità gli atti processuali e i fascicoli processuali informatici, ai quali potrebbe non essere riconosciuto il valore probatorio, mettendo evidentemente a «repentaglio» la certezza del diritto in ambito processuale –:
   quali interventi intenda adottare il Ministro interrogato, anche attraverso provvedimenti urgenti, al fine di dirimere le questioni tecniche evidenziate dalle lettere sopra richiamate, ed in particolare tenere in debita considerazione le problematiche sollevate dal Consiglio nazionale forense sui nuovi oneri introdotti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri citato che finirebbero per pesare sui soggetti del processo sia nella fase di produzione di atti e allegati probatori e sia in quella dedicata al controllo e alla verifica di questi documenti. (4-08094)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO, PETRAROLI e TOFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 7 febbraio 2015 il treno merci 43121 della società RCT (Rail Traction Company Spa) proveniente dal Brennero e diretto a Verona Quadrante Europa è deragliato nei pressi della stazione di Fortezza (BZ);
   per quanto di conoscenza risulta che il locomotore e alcuni vagoni merci del convoglio del treno siano usciti dai binari e la linea del Brennero sia rimasta interrotta per diverse ore al fine di consentire i primi accertamenti della polizia ferroviaria, la rimozione dei rotabili e il conseguente ripristino dell'infrastruttura;
   come si apprende dal comunicato diffuso il giorno stesso dell'incidente ferroviario dalla rivista «Ancora in marcia», il treno trasportava anche merci pericolose, di natura tossica. In particolare sembra che il contenuto dei vagoni deragliati fosse di ventitré tonnellate di resine infiammabili a basse temperature, altre ventitré tonnellate di diamminofenilmetano, un gas altamente tossico, e di quasi cinquanta tonnellate di una miscela di ossido di etilene con azoto, altamente infiammabile e che come frutto della combustione sprigiona gas tossici;
   fortunatamente, a seguito dell'incidente, non sono stati registrati né feriti tra l'equipaggio, né tra le persone presenti in stazione, né si è assistito a fuoriuscite di sostanze pericolose il cui eventuale sversamento avrebbe causato enormi danni per l'ambiente circostante e per i cittadini residenti nell'area interessata dall'incidente;
   dopo il deragliamento la motrice del treno è stata posta sotto sequestro insieme ai vagoni immediatamente interessati, e da fonti giornalistiche si apprende che sia la società Rfi, sia la procura avrebbero aperto un'inchiesta a seguito dell'incidente per accertare la dinamica dell'accaduto;
   pur non essendo state ancora rese note la dinamica e le cause dell'incidente, si sottolinea che un episodio del tutto analogo, oggetto dell'interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-03444 a prima firma dell'Onorevole Spessotto, era avvenuto il 6 giugno 2012 quando il treno merci n. 44213 della stessa società RTC deragliò nella stazione di Bressanone a causa dello sfilamento dal proprio asse di alcune ruote di uno dei carri, causando un disastro che solo per ragioni fortuite non ebbe tragiche conseguenze, disastro che ha avuto il primo punto di urto in prossimità del deviatoio 25 della stazione di Fortezza, che è il medesimo interessato nel deragliamento del treno oggetto di questa interrogazione –:
   se il Ministro interrogato intenda fornire per quanto di competenza, ulteriori informazioni in merito alle presunte cause dell'incidente verificatosi nei pressi di Fortezza il 9 febbraio 2015 e se non ritenga opportuno, alla luce delle considerazioni esposte in premessa, istituire presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti una commissione ministeriale di inchiesta per accertare la dinamica del deragliamento e le eventuali responsabilità del suddetto incidente ferroviario, con particolare riguardo al rispetto di tutti gli standard di sicurezza e manutenzione dei sistemi di controllo e vigilanza adottati nel trasporto delle merci pericolose su ferrovia, al fine di prevenire in futuro nuovi incidenti. (5-04810)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DURANTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   «Rete Ferroviaria Italiana» (RFI) del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane ha avuto accesso, nell'ultimo decennio, a cospicui finanziamenti dalla Unione europea al fine di potenziare la rete ferroviaria, con particolare riferimento a quella del sud Italia. Fra quelli più importanti concretizzati si ricordano: la bretella di collegamento «Bellavista-Cagioni»; il rifacimento completo del ferro del piazzale della stazione Bellavista con nuovo apparato ACEI; il rifacimento dei binari di collegamento con l'ILVA di Taranto; il rifacimento dei binari, dei deviatoi e dei sottopassi della stazione di Palagiano, con nuovo apparato ACEI, il rifacimento dei binari, dei deviatoi e dei sottopassi della stazione di Gioia del Colle, con nuovo apparato ACEI; il rifacimento dei binari, dei deviatoi e dei sottopassi della stazione di Metaponto, con nuovo apparato ACEI; i nuovi collegamenti di sicurezza nella stazione di Taranto;
   negli ultimi anni la RFI ha resettato i programmi di sviluppo, cancellando numerose tracce di treni, con particolare riferimento a quelli a lunga percorrenza. Ha inoltre limitato la circolazione nei tratti «Bari/Taranto», «Taranto/Metaponto/Potenza/Sibari» e «Taranto/Brindisi/Lecce» alle ore 22:00 con ripresa alle ore 5:00 del mattino;
   successivamente RFI ha avviato il cosiddetto programma «Rete Snella» di semplificazione delle linee cantierizzato sulla intera rete;
   a partire dal settembre del 2014 sono state chiuse le stazioni di «Bellavista», «Palagiano», «Gioia del Colle» e per la fine di marzo 2015 è prevista la chiusura della stazione di «Metaponto»;
   sulla linea «Bari/Taranto» rimarranno aperte, per il momento e solamente dalle 06:00 alle 22:00, solamente le stazioni di Modugno e Bitetto;
   sulla linea «Taranto/Metaponto/Potenza/Sibari» l'unica stazione aperta è quella di Metaponto, che a quanto si apprende verrà a breve chiusa;
   sulla linea «Taranto/Brindisi» l'unica stazione aperta è quella di Francavilla;
   nella stazione di Taranto è prevista la chiusura di 6 binari sugli 11 totali, mentre nel frattempo sono stati già demoliti i binari del fascio merci (parco Ausonia), i binari tronchi e tutti i deviatoi di collegamento;
   nella stazione di Metaponto sono rimasti attivi solo 3 dei 7 binari di circolazione;
   nella stazione di Bellavista è stato isolato l'intero fascio merci e sono rimasti attivi solo 3 dei 10 binari esistenti;
   provvedimenti di limitazione del trasporto simili a quelli sopra citati sono stati intrapresi da RFI in tutte le stazioni;
   il programma di semplificazione messo in campo da «RFI» comporterà un azzeramento dei costi di manutenzione, e di conseguenza il personale fino ad ora preposto ai vari servizi non sarà più necessario, andando ad acuire il fenomeno della disoccupazione in territori già precari –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non intenda intervenire, per quanto di competenza, al fine di evitare che il programma messo in atto da Rete ferroviaria italiana, così come si sta concretizzando, determini un'ulteriore riduzione dell'offerta di treni e di tratte ferroviarie che penalizzerebbero ancora una volta l'occupazione e il diritto alla mobilità in un territorio già colpito da diverse crisi economiche e sociali;
   se non intenda verificare, per quanto di competenza, la correttezza dell'utilizzo delle ingenti risorse rinvenienti dai fondi europei. (4-08079)


   FORMISANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 1o gennaio 2015 si è verificato il cedimento di un tratto di rilevato stradale della strada statale 121 Palermo-Agrigento, facente parte di un lotto appena consegnato ed inaugurato;
   il 9 gennaio 2015 è stata presentata un'interrogazione (n. 4-07463) allo stesso Ministro per conoscere le iniziative assunte, compresa l'acquisizione degli atti e l'accertamento delle responsabilità;
   con risposta scritta del 23 gennaio 2015 (prot. 0002818-23 gennaio 2015 — Uscita), il Ministro interrogato, riportava, in modo non soddisfacente e acritico, notizie minimizzanti, evidentemente fornite dall'ANAS, e affermava che erano in corso diverse inchieste e che le responsabilità amministrative sarebbero state accertate, non senza avere con una qualche disinvoltura sottolineato che non c'erano state vittime né rischio per le persone;
   il 4 febbraio 2015 il quotidiano on-line «Siciliaweb» in un servizio dal titolo «Scorciavacche, nuovo smottamento. Non c’è pace per il viadotto sulla Palermo-Agrigento, inaugurato a Natale e crollato a Capodanno» ha affermato che «Il tratto della statale 121 Palermo-Agrigento, a ridosso dell'ormai famoso viadotto Scorciavacche 2, ha subito un altro smottamento. Il precedente si era verificato alla vigilia di Capodanno, una settimana dopo la consegna dei lavori, avvenuta con tre mesi d'anticipo. Per fortuna la strada al momento del crollo era chiusa al traffico, e lo è rimasta anche dopo: la procura di Termini Imerese (Palermo) ha sequestrato l'area, che ricade nel Comune di San Giuseppe Jato, e aperto un'inchiesta... Ora danno si somma a danno, e l'Anas spiega che “negli ultimi giorni si è sviluppato un nuovo fenomeno progressivo di deformazione che ha provocato il cedimento del piano viabile”. Le cause ? “Le stesse – afferma sempre l'Anas – che hanno determinato il precedente dissesto, che ha a sua volta contribuito a ingenerare il nuovo evento”»;
   sul fatto si è anche registrato un lancio dell'agenzia ANSA di Palermo del 4 febbraio del seguente tenore «Un nuovo smottamento del terreno è avvenuto sulla statale 121 Palermo-Agrigento, nei pressi del viadotto Scorciavacche, dove un tratto della strada, inaugurato la vigilia dello scorso Natale, era crollato a Capodanno. Sulla vicenda era intervenuto il premier Renzi, il quale aveva assicurato che il responsabile avrebbe pagato. La procura di Termini Imerese, che un mese fa aveva aperto un'inchiesta, spiega che il nuovo smottamento è dovuto alle forti piogge dei giorni scorsi»;
   due fatti simili verificatisi nello stesso tratto di strada a così poca distanza di tempo possono obiettivamente essere indici di gravi inadempienze, oltre che dell'impresa che ha eseguito i lavori, anche della catena amministrativa di controllo, se non addirittura possibili spie di riferibilità a comportamenti non lineari della pubblica amministrazione;
   dinanzi a tali rischi la risposta del Ministro interrogato appare ancor più insufficiente perché omette di considerare, tra gli elementi da indagare primariamente, anche le responsabilità della catena gerarchico-amministrativa e degli organi di controllo, quale la commissione collaudatrice, e sembra trascurare del tutto la possibilità di fatti corruttivi persino alla luce della precoce ed anticipata consegna dei lavori;
   è primario diritto dell'interrogante nell'esercizio del suo potere ispettivo, quale rappresentante della nazione e quindi dell'interesse generale della collettività alla buona e corretta amministrazione ed alla oculata spesa del danaro pubblico, ottenere gli atti del procedimento al fine di poter esercitare il proprio compito ispettivo –:
   quale documentata, approfondita, imparziale valutazione il Ministro interrogato dia dei fatti, e quindi quale attività ispettiva, oltre quella svolta dall'autorità giudiziaria, egli intenda svolgere o stia svolgendo al fine di verificare la correttezza della condotta amministrativa della catena decisionale, territoriale e centrale, a cominciare dalla formulazione del bando e dall'aggiudicazione e dagli atti di controllo e di collaudo in corso d'opera fino alla consegna e alla relazione finale di collaudo. (4-08082)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il 13 giugno 2014 il Consiglio dei Ministri ha deliberato la nomina, su proposta dei Ministro dell'interno, del prefetto Umberto Postiglione a Direttore dell'Agenzia Nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC);
   ai sensi dell'articolo 111 del decreto legislativo n. 159 del 2011, comunemente conosciuto come Codice Antimafia, organi dell'ANBSC sono il Direttore, il Consiglio direttivo composto dallo stesso Direttore, da un magistrato designato dal Ministro della giustizia, un magistrato designato dal Procuratore nazionale antimafia, due qualificati esperti in materia di gestioni aziendali e patrimoniali designati, di concerto, dal Ministro dell'interno e dal Ministro dell'economia e delle finanze, e il Collegio dei revisori dei conti;
   a seguito di una interrogazione rivolta dalla sottoscritta interpellante per chiedere chiarimenti sulla mancata designazione del Consiglio direttivo dell'Agenzia, nel novembre 2014 il rappresentante del Ministero dell'interno rispondeva che per «l'esigenza del rispetto del principio della parità di genere» il Governo non aveva ancora individuato la composizione del Consiglio direttivo;
   a distanza di oltre otto mesi dalla nomina del prefetto Postiglione, si rileva che l'Agenzia nonostante la nomina dei componenti del Consiglio direttivo, avvenuta solo lo scorso gennaio, appare ulteriormente indebolita a seguito della notizia di indagine per mafia che ha interessato uno dei suoi membri conducendolo ad autosospendersi dall'incarico conferitogli appena un mese prima;
   lo scorso 18 febbraio, in occasione del seminario «La riforma del codice antimafia: la relazione della Commissione antimafia e i progetti di legge all'esame parlamentare» promosso dalla stessa Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre organizzazioni criminali, anche straniere, è stato denunciato il drastico gap esistente tra il numero di beni confiscati alla criminalità organizzata, che nel 2014 ammonterebbe a 12.994, e il numero di beni effettivamente riutilizzati. Nella medesima occasione il Direttore dell'ANBSC – secondo quanto riportato dal quotidiano Avvenire in data 19 febbraio 2015 a pagina 11 – avrebbe denunciato: «dispongo di una struttura sotto dotata, composta da 80 persone, alcune con le competenze che servono, altre no. Certo, se avessi altre due sedi oltre alla cinque attuali e altri 50 lavoratori competenti, mi sentirei più tranquillo» –:
   se il Governo non ritenga di assumere le dovute iniziative volte a verificare quanto denunciato dal Direttore Postiglione in merito alla inadeguatezza e alla non competenza di buona parte della struttura dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, al fine di rendere maggiormente efficace l'attività della stessa Agenzia e soprattutto quella delle forze dell'ordine impegnate nella lotta e nello sradicamento della criminalità organizzata;
   se il Governo condivida quanto dichiarato dal Prefetto Postiglione o, contrariamente, se quest'ultimo goda ancora della fiducia da parte del Ministro e del Governo in merito alla carica di direzione dell'Agenzia.
(2-00860) «Dadone, D'Uva, Nuti, Sarti, Villarosa».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO, RIZZETTO, BARBANTI, TURCO, MUCCI, BALDASSARRE, BECHIS, SEGONI, ARTINI e PRODANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Emra Gasi per un ordinario controllo di polizia era stato fermato a San Dona di Piave, in provincia di Venezia, in possesso della sua carta di identità italiana ma le autorità di polizia hanno contestato al ragazzo la mancanza del permesso di soggiorno;
   fino a che è stato minorenne Emra Gasi era regolarmente registrato sul passaporti della madre; al compimento della maggiore età avrebbe dovuto presentare richiesta di cittadinanza italiana ma, a causa di un contesto sociale altamente disagiato e di un ritardo mentale certificato dall'ULSS 10, il ragazzo non è stato in grado di sbrigare tale pratica burocratica;
   Emra Gasi è un ragazzo di 22 anni nato a Napoli, da genitori, serbi, da sempre vissuto in Italia;
   Emra è dunque nato a Napoli da genitori, serbi e vissuto da sempre a San Donà, in via Noventa, ma nonostante tutto il giovane è stato oggetto di un provvedimento di espulsione;
   il 22 dicembre, si è tenuta l'udienza davanti al giudice di pace di Venezia contro la richiesta di espulsione, durante la quale il giudice di pace veneziano pur dichiarando legittimo il provvedimento di espulsione ne ha decretato la proroga per tanto Emra resterà in Italia affinché il provvedimento di espulsione si potrà applicare;
   a parere dell'interrogante, il caso di Emra come quello di tanti altri cittadini italiani figli di stranieri, deve far riflettere. È inaccettabile che avvengano situazioni di questo tipo, con la possibilità di espulsione di un cittadino nato e cresciuto in Italia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quale sia la posizione del Ministro in merito ai fatti esposti in premessa e come intenda procedere lo stesso per risolvere il caso di Emra Gasi;
   se non ritenga infine opportuno, alla luce delle predette considerazioni, assumere iniziative per rivedere la legislazione vigente riguardante l'acquisto della cittadinanza italiana al compimento del 18o anno di età, prevedendo nello specifico, che sia prevista un'informazione o un'allerta specifica al soggetto, onde evitare che una dimenticanza, o come nel caso di Emra, un ritardo mentale certificato dall'ULSS, possa causare l'espulsione del cittadino comunque nato e cresciuto in Italia. (5-04807)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FAENZI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'ultimo rapporto del Censis, reso noto la scorsa settimana, evidenzia un quadro a livello nazionale, estremamente grave e preoccupante, in tema di sicurezza all'interno delle abitazioni private, con un aumento record dei furti più che raddoppiati negli ultimi dieci anni: dai 110.887 denunciati nel 2004, ai 251.422 del 2013, con una crescita pari al 126,7 per cento;
   secondo i risultati dell'11o numero del «Diario della transizione» del centro studi investimenti sociali, dal bilancio allarmante del numero dei furti in abitazione commessi nell'ultimo anno, emerge infatti che gli atti criminosi risultano essere 689 ogni giorno (uno ogni due minuti);
   l'orientamento dei malviventi, sostiene il medesimo documento, è rivolto sempre di più verso le abitazioni private, proprio in considerazione del fatto che i negozi commerciali, gli istituti di credito e gli uffici postali, risultano maggiormente dotati di sistemi di sicurezza, come le telecamere, in grado di scoraggiare chi vuole commettere il reato o di individuarne i responsabili;
   le aree geografiche maggiormente colpite da tale fenomeno criminale sono quelle del Nord-ovest, dove nell'ultimo anno i furti in abitazione sono stati 92.100, aumentati del 151 per cento nel decennio, mentre oltre il 20 per cento dei furti denunciati è avvenuto in tre province: Milano (19.214 reati), Torino (16.207) e Roma (15.779);
   l'interrogante evidenzia, inoltre, come il fenomeno dei furti nelle abitazioni interessi in maniera diretta e altrettanto grave oltre alle zone geografiche in precedenza riportate, anche la regione Toscana ed in particolare la maremma grossetana, il cui numero di rapine negli appartamenti, particolarmente avvertito dalla comunità locale, ha indotto gli abitanti ad organizzarsi attraverso l'istituzione di comitati dei promotori, per il «controllo del vicinato»;
   la decisione spontanea di tali iniziative, rileva l'interrogante, rappresenta una delle tante declinazioni di un fenomeno delittuoso che sta assumendo una forma sempre più diffusa nella medesima area toscana, a seguito dell’escalation di furti, anche a causa del numero scarso e inaccettabile delle forze di sicurezza che presidiano il territorio, a cui si uniscono gravi falle del sistema giudiziario, legate alle pene detentive per gli arrestati processati per direttissima, (moltissimi dei quali anche recidivi) indubbiamente limitate;
   la lettera inviata dai comitati dei cittadini toscani (istituiti con il nome «gruppi di controllo del vicinato») alle autorità locali di Grosseto e ai comandi provinciali dei carabinieri e della municipale, nella quale è stato chiesto di provvedere all'apposizione di cartelli con la scritta «Cdv» nelle strade cittadine, in cui i volontari si troveranno a operare, rappresenta a giudizio dell'interrogante, in maniera emblematica, la situazione di estrema difficoltà in cui si trovano attualmente i cittadini della maremma grossetana (e pressoché in ogni parte del Paese) e l'insufficienza degli organi di sicurezza pubblica preposti a vigilare il fenomeno dei furti all'interno delle abitazioni –:
   quali orientamenti intendano esprimere, per quanto di competenza, con riferimento al rapporto del Censis indicato in premessa, relativo all'aumento esponenziale dei furti nelle abitazioni;
   se, in considerazione delle criticità in precedenza richiamate, che evidenziano una tanto grave, quanto pericolosa insufficienza del personale delle forze di sicurezza della polizia di Stato, non ritengano opportuno potenziare la dotazione organica degli addetti alla vigilanza nelle strade e alla tutela dei cittadini, nonché le risorse finanziarie, al fine di fronteggiare il fenomeno dei furti nelle abitazioni, la cui recrudescenza determina spesso contraccolpi non solo a livello economico, ma anche psicologico;
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito all'aumento dei furti nelle abitazioni nella maremma grossetana, causato anche dal numero insufficiente dei presidi locali delle forze di polizia;
   quali iniziative urgenti intendano di conseguenza intraprendere a tal fine, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di contrastare nella maremma grossetana il suddetto fenomeno delittuoso, che genera livelli di pericolosità e insicurezza, all'interno della comunità locale, confermati dal numero di denunce e sta sconvolgendo le abitudini quotidiane dei cittadini toscani;
   quali iniziative normative intendano adottare, al fine di garantire per i condannati, spesso recidivi, l'effettività della pena, posto che gli episodi di violenza e di aggressione alla proprietà, per il loro elevato numero, danno luogo tra l'altro anche a un rilevante costo sociale, poiché, nell'attuale situazione di insufficienza del controllo statale del territorio, i cittadini e le aziende sono costretti a sopportare elevati costi per dotarsi di sistemi di vigilanza e di protezione o (come in precedenza esposto) a costituirsi in comitati di vigilanza cittadini. (4-08084)


   DIENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in occasione della partita AS Roma-Feyenoord Rotterdam, tenutasi il 19 febbraio 2015, la presenza di facinorosi giunti a Roma a seguito della tifoseria della squadra ospite ha provocato, nelle ore precedenti allo svolgimento della competizione, un grave turbamento dell'ordine pubblico che ha portato a danni consistenti, alla deturpazione di vaste aree della città e a danneggiamenti che, hanno coinvolto anche monumenti di particolare interesse storico e culturale, come la fontana della Barcaccia di Piazza di Spagna;
   per la suddetta fontana sono state prodotte delle conseguenze definiti come «irreparabili» dagli esperti;
   a seguito degli scontri e alle polemiche che sono seguite, tra cui le accuse del sindaco Ignazio Marino ai responsabili dell'ordine pubblico, il questore di Roma, convocava, il 20 febbraio 2015, una conferenza stampa con gli altri vertici delle forze dell'ordine;
   in essa dichiarava, secondo le agenzie stampa, «preferisco lattine, sporcizia qualche segno sul muro in più, sentir dire che la Polizia ha ritardato a intervenire, piuttosto che rischiare di innescare una débàcle nella piazza, perché io, signori, di morti non ne faccio»;
   aggiungeva poi «abbiamo portato i tifosi allo stadio e li abbiamo fatti uscire in condizione di totale sicurezza, tornando indietro rifarei le stesse scelte» –:
   se condivida quanto dichiarato dal questore di Roma Nicolò D'Angelo, ossia che le forze di polizia, nell'occasione sopra descritta, non potessero agire in altro modo;
   se conseguentemente, sia lecito attendersi, durante prossime manifestazioni sportive che coinvolgano numeri significativi di facinorosi, ulteriori casi in cui il Ministero dell'interno non possa offrire garanzie sulla salvaguardia del decoro urbano e dei monumenti. (4-08085)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 22 febbraio 2015 presso il Nazionale Spazio Eventi di via Palermo a Roma si teneva un'iniziativa organizzata dal Partito Democratico e partecipata dal Presidente del Consiglio dei ministri, finalizzata ad illustrare le proposte del partito e del Governo in merito di riforma della scuola;
   contestualmente in piazza della Repubblica il sindacato USB aveva dato vita a partire dalle 9,30, a un presidio di protesta;
   al termine del presidio, che si concludeva intorno alle 12,00, alcuni partecipanti decidevano di recarsi in via Palermo, per incontrarsi con altri che avevano partecipato all'appuntamento con regolare accredito;
   dopo pochi minuti di sosta nello spazio antistante il Nazionale Spazio Eventi, alle persone suddette sarebbe stato chiesto di allontanarsi dalle forze dell'ordine, pena denuncia in caso di obiezione, nonostante fossero privi di striscioni, megafoni o altri oggetti potenzialmente di disturbo al regolare svolgimento della manifestazione;
   due di loro, in particolare, dopo aver distribuito volantini e alla presenza della stampa sarebbero stati bloccati e portati in questura –:
   se quanto descritto trovi conferma e, nel caso, in base a quali procedure si sia provveduto a limitare la libertà di manifestazione del proprio pensiero, così come tutelata dalla Costituzione, con particolare riferimento alle due persone fermate;
   quali siano gli eventuali provvedimenti adottati a seguito del fermo e con quali motivazioni;
   come si intenda garantire in futuro che simili episodi, se verificatisi, non possano ripetersi, a tutela delle normali garanzie democratiche. (4-08091)


   DIENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la penetrazione di affiliati all'Isis, Stato islamico dell'Iraq e della Siria, in territorio italiano, sfruttando le strutture logistiche di organizzazioni criminali già presenti in loco è uno dei rischi che l'Italia è chiamata a fronteggiare per impedire l'emergere di una seria minaccia terroristica sul territorio nazionale;
   riguardo a questo è stato chiaro il procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho secondo il quale, come emerge da quanto riportato dall'Agenzia Ansa in data 22 febbraio 2015, «qualora l'Isis volesse infiltrarsi sul territorio italiano, in Calabria potrebbe trovare appoggi logistici dalla ’ndrangheta in cambio di armi e droga» aggiungendo poi come questa «sia una ipotesi da percorre, su cui vale la pena lavorare e su cui tenere un'attenzione molto alta»;
   secondo Raho «è chiaro che in un territorio così capillarmente controllato dalla ’ndrangheta il terrorismo può avere un appoggio logistico, coperture in aziende agricole, in terreni di montagna o coperture attraverso documenti falsificati in cambio di armi e droga»;
   sempre secondo le dichiarazioni del procuratore, «la ’ndrangheta è un'organizzazione criminale che si muove per finalità di profitto, quindi ovunque c’è un profitto, un interesse. D'altro canto per l'importazione delle armi con chi ha rapporti se non con determinati ambienti che sono vicini al terrorismo o che sono vicini alle guerre che si sono sviluppate negli ultimi anni in alcuni Paesi ? Quindi, comunque, le armi vengono da quei territori. Attraverso l'Isis riuscirebbe anche ad avere droga, soprattutto eroina. La ’ndrangheta è protagonista nell'importazione di cocaina dai Paesi sudamericani ed è protagonista anche per l'eroina ma non attraverso lo stesso canale ma da quelli che provengono da Turchia, Iraq, Nigeria, vari paesi che consentono queste importazioni»;
   ne emerge che combattere la ’ndrangheta diventa oggi, se possibile, ancor più urgente in quanto corrisponde a combattere anche il rischio di infiltrazioni di cellule terroristiche sul territorio italiano –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se, allo stato, le autorità di pubblica sicurezza siano in possesso di elementi atti ad ipotizzare come possibili o attualmente in corso contatti tra organizzazioni terroristiche di matrice islamica e la criminalità organizzata italiana.
(4-08096)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende dai mezzi di informazione e secondo quanto denunciato dalla Associazione nazionale di lotta contro le illegalità e le mafie «Antonino Caponnetto», lo scorso 18 febbraio 2015, il testimone di giustizia Luigi Leonardi, recatosi alla prefettura di Caserta per richiedere copia degli atti riguardanti il rigetto della sua richiesta di sostegno in quanto vittima di racket, al fine di presentare ricorso nei limitati tempi previsti dalla norma, ha ricevuto un netto rifiuto. L'addetto gli ha risposto che la fotocopiatrice era guasta, mancava perfino la carta e comunque ieri «non avevano tempo» per evadere la sua richiesta;
   subito dopo Luigi Leonardi si è presentato alla stazione dei Carabinieri di Marcianise (Caserta), dove ha denunciato il fatto. «Adesso, con una scadenza che pende come una spada — si legge nella denuncia — attendo che la Prefettura si decida a comprare una fotocopiatrice e una risma di carta, e a trovare tra i vari addetti che affollavano la sala del caffè e il corridoio, a parte qualcuno, un santo che faccia le fotocopie e mi dia la possibilità di far valere i miei diritti in un sistema incancrenito dalle mafie»;
   si tratta di una vicenda molto triste e preoccupante, che conferma una vergognosa disattenzione dello Stato nei confronti di uomini e donne che per il solo fatto di aver adempiuto al loro dovere, hanno sacrificato la loro esistenza;
   poche ore dopo il lancio dell'appello da parte dell'Associazione «Antonino Caponnetto», il prefetto di Caserta ha contattato il presidente dell'Associazione medesima, Elvio Di Cesare, comunicandogli che le copie richieste da Leonardi erano pronte;
   tuttavia, non è ben chiaro per quale motivo un cittadino per vedersi riconosciuto un diritto elementare come il rilascio della copia degli atti relativi ad una sua richiesta ha dovuto rivolgersi ad una Associazione attiva nella lotta alla mafia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda descritta in premessa e quale sia il suo intendimento in merito;
   se il Ministro interrogato non ritenga di doversi attivare, nell'ambito delle sue competenze, affinché simili situazioni non abbiano a ripetersi;
   se il Ministro interrogato non ritenga doveroso assumere provvedimenti a tutela della incolumità del signor Leonardi e se la richiesta di accesso al fondo di solidarietà per le vittime del racket e dell'usura non sia meritevole di accoglimento.
(4-08101)


   PILI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con atto di sindacato ispettivo n. 4-04807 presentato dall'interrogante il 29 ottobre 2009, si denunciava che la Sardegna era nel mirino di interessi e affari di rilevante entità legati alla malavita organizzata connessi con l'imponente business dell'eolico;
   la Is Arenas renewable energies che voleva realizzare un impianto eolico off shore secondo l'atto di sindacato ispettivo richiamato appariva «indirettamente inserita in un complesso intreccio societario di cui è parte fondamentale la società Krenergy, nata dalla fusione tra Kaitech e Eurinvest energia»; pare all'interrogante che tale società, pur non direttamente impegnata in attività nella regione Sardegna, abbia indirettamente «ereditato» i capitali e la storia imprenditoriale della vecchia Kaitech, che nel 2005 era stata coinvolta in accertamenti giudiziari con riferimento al cosiddetto «tesoro» dell'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino con il rischio che dietro iniziative definite di energia rinnovabile si potessero celare interessi poco chiari, e forse anche il possibile utilizzo di denari di provenienza sospetta;
   l'interrogante in data 9 ottobre 2012, presentava dettagliata interrogazione parlamentare con la quale denunciava che il Ministero della giustizia ha in animo di trasferire detenuti pericolosi di alta sicurezza 1 presso gli istituti penitenziari sardi;
   nella stessa interrogazione si denunciava che l'intenzione di trasferire i detenuti più pericolosi negli istituti penitenziari dell'isola comporta una serie di rilevanti problemi di varia natura da quelli sociali ed ambientali sino a quelli trattamentali e di natura economica; prima di tutto esistono gravi problematiche sociali ed ambientali, legate alle infiltrazioni mafiose camorristiche e altro; in Sardegna, il problema di contatto con la criminalità organizzata è ben minore rispetto ad altre regioni meridionali, dove c’è la mafia, la camorra, la ’ndrangheta; la Sardegna risulta estranea da infiltrazioni di questo tipo; il trasferimento di tali detenuti comporterebbe un altissimo rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata, basti considerare il disagio delle famiglie di questi costrette a doversi spostare per effettuare colloqui, consegnare pacchi di beni di consumo e di vestiario, cosa che indurrebbe le stesse a trasferirsi in Sardegna pur di stare a contatto diretto e costante con i propri congiunti detenuti;
   con l'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08145 del 17 ottobre 2012, l'interrogante denunciava un trasferimento di detenuti mafiosi e camorristi tutti reclusi in alta sicurezza 3 per la Sardegna con un pericolo rilevante per infiltrazioni mafiose e camorriste, che considerati i numeri e i detenuti trasferiti sono molto più di un pericolo;
   l'interrogante in data 15 marzo 2013 presentava un atto di sindacato ispettivo sul trasferimento di detenuti mafiosi e camorristi tutti reclusi in alta sicurezza 3 e denunciava «per la Sardegna un pericolo rilevante per infiltrazioni mafiose e camorriste, che considerati i numeri e i detenuti trasferiti sono molto più di un pericolo»;
   con un'altra interrogazione del 20 febbraio 2014 l'interrogante denunciava al Ministro della giustizia che le famiglie dei capimafia hanno iniziato lo sbarco in Sardegna;
   nello stesso atto di sindacato ispettivo si denunciava che da Porto Torres a Palau diversi nuclei familiari avrebbero preso dimora casa nell'isola per «assistere» i loro strettissimi familiari detenuti in regime di alta sicurezza nel carcere di Tempio Nuchis;
   la notizia, riscontrabile incrociando dati e presenze, è di una gravità inaudita proprio perché quello del trasferimento dei familiari dei detenuti mafiosi in Sardegna era il pericolo numero uno denunciato sin dal primo sbarco nell'isola dei vertici delle associazioni mafiose;
   a quanto consta all'interrogante i familiari più diretti degli ergastolani detenuti a Tempio per mafia hanno incominciato la trafila di collegamento e supporto ai detenuti;
   a Porto Torres, così come a Palau, si sarebbero trasferiti i familiari diretti di alcuni ergastolani giunti a Tempio nel mese di giugno 2014;
   già dal mese di novembre 2013 la residenza risulterebbe certificata nei loro nuovi comuni;
   uno dei capi mafia in carcere per il famoso 416-bis, fine pena mai, raggiunto dai congiunti più diretti in terra sarda, è accusato sia di traffico internazionale di stupefacenti che di omicidio;
   tutto questo sta avvenendo nel più totale silenzio delle istituzioni, da quelle nazionali che regionali;
   un silenzio inaccettabile e vergognoso dinanzi ad un argomento che non può essere tenuto in silenzio;
   le infiltrazioni mafiose sono a portata di mano e la Sardegna e con questo atteggiamento nefasto del Governo che insiste nel voler trasferire quasi 300 detenuti in regime di 41-bis nell'isola si sta rischiando di subire un contraccolpo senza precedenti;
   certe situazioni devono essere prevenute piuttosto che curate;
   oggi, invece, si sta assistendo ad una situazione che era stata drammaticamente prevista; tutti i report del Ministero segnalavano che il pericolo non fosse il detenuto in carcere, ma quello che sarebbe successo all'esterno. Tutto confermato;
   il rapporto del Ministero sui detenuti di alta sicurezza aveva messo nero su bianco che il fenomeno di infiltrazione mafiosa sarebbe stato avviato con il trasferimento di congiunti diretti;
   in questo caso sono direttamente i fratelli dei detenuti che hanno preso casa e stanno iniziando la spola tra il carcere e le nuove residenze;
   deve essere immediatamente bloccato questo fenomeno di infiltrazione mafiosa ed essere invertita una scelta tutta politica;
   in nessuna legge dello Stato c’è scritto che questi detenuti debbano venire tutti in Sardegna con una concentrazione gravissima e contro ogni regola di lotta alla mafia; le norme prevedono che i detenuti in regime di 41-bis potessero trovare «preferibilmente» alloggio nelle aree insulari, intese non come regioni insulari, ma piccole porzioni di aree insulari quali Pianosa o Gorgona;
   la legge prevede la dislocazione di questi detenuti di alta sicurezza in tutte le altre carceri italiane a condizione che siano isolati dagli altri;
   il trasferimento di detenuti e l'arrivo dei congiunti si configura come la realizzazione di una vera e propria testa di ponte tra le realtà maggiormente interessate al fenomeno mafioso e la regione Sardegna;
   a questo si aggiunge che a quanto risulta all'interrogante su diversi cantieri di opere viarie del nord Sardegna si registrerebbe, senza alcuna trasparenza, la presenza di imprese calabresi in quantità inaccettabili che escludono le imprese sarde e rendono impossibile l'accesso delle stesse alle opere più importanti;
   il 24 agosto 2014 l'interrogante aveva segnalato il pericolo di un rischio altissimo di infiltrazioni mafiose in Sardegna segnalando che la direzione distrettuale antimafia stava mettendo sotto torchio l'appalto stradale Sassari-Olbia con blitz ripetuti sui cantieri, controlli a persone, mezzi e imprese. Operazioni interforze con cantieri circondati e messi al setaccio in ogni singolo dettaglio;
   alti magistrati reiteratamente hanno denunciato e confermato il gravissimo rischio infiltrazioni mafiose occorre bloccare in tutti i modi l'inaccettabile piano di fare della Sardegna una «cajenna» mafiosa con l'arrivo dei più importanti capicosca;
   è elemento assai noto che l'attività della criminalità organizzata ha concentrato la propria attività su settori diversificati, dall'energia alla gestione dei rifiuti, dai servizi sanitari alle opere infrastrutturali;
   dagli atti di sindacato ispettivo reiteratamente presentati dall'interrogante sul rischio di infiltrazioni mafiose in Sardegna si evince che sono diversi i settori sui quali il potenziale rischio di infiltrazione mafiosa può avere anche nell'isola una rilevanza preoccupante;
   dalla prima denuncia del sottoscritto risalente al 2009 sino alle recenti di quest'anno si percepisce come tale rischio sia stato sempre di più valutato come vero e proprio pericolo dagli stessi organi della magistratura che hanno reiteratamente in quest'ultimo anno collegato il rischio di infiltrazioni all'arrivo in Sardegna di un quantitativo abnorme e fuori da qualsiasi criterio di esponenti di primo piano della malavita organizzata;
   in questo contesto si inserisce la gestione dei rifiuti urbani che in vari comuni della Sardegna è affidato a una società che più volte risulta coinvolta in inchieste giudiziarie rilevanti legate ad organizzazioni criminali e alle loro attività imprenditoriali e che ha avuto i diretti responsabili coinvolti in vicende giudiziarie con l'arresto di dirigenti e amministratori di primo piano;
   in questo caso è evidente che tale commissione tra criminalità organizzata e servizi pubblici ha implicazioni di varia natura che meritano di essere sottoposte a verifiche attente per valutare la reale consistenza di questo fenomeno e quali sia il grado di compromissione di tali gestioni con la criminalità organizzata;
   in questo contesto si inquadra la vicenda legata ad un appalto di dimensioni rilevanti affidato dalla asl di Nuoro ad una compagine imprenditoriale che ha visto una delle principali società aggiudicatarie dell'appalto associate ad una inchiesta giudiziaria che ha portato all'arresto del vertice della stessa;
   la vicenda amministrativa e giudiziaria che permette tale evoluzione si evince dalla decisione del Tar Sardegna che annulla la gara stessa;
   con bando di gara, inviato per la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea in data 16 agosto 2007 e pubblicato sulla G.U.R.I. per estratto in data 22 agosto 2007, l'azienda sanitaria locale n. 3 di Nuoro indiceva una procedura aperta per l'affidamento mediante project financing della concessione dei lavori relativi alla ristrutturazione e completamento dei presidi ospedalieri San Francesco e C. Zonchello di Nuoro, San Camillo di Sorgono e dei presidi sanitari distrettuali di Macomer e Siniscola, e la gestione di servizi vari;
   la durata della concessione era stabilita in ventisette anni, decorrenti dalla data di sottoscrizione;
   dalla comparazione e dalla consequenzialità degli atti e della vicenda, emerge che nonostante l'annullamento da parte del Tar Sardegna dell'appalto della Asl di Nuoro, in sede di Consiglio di Stato le ricorrenti abbiano rinunciato alla sentenza del Tar e conseguentemente alle opposizioni al Consiglio di Stato e vi è stato un accordo che ha dato vita ad una compagine societaria diversa da quella aggiudicataria che ha finito per accogliere anche le società ricorrenti;
   in questo contesto emerge un primo profilo che necessita di essere sottoposto all'attenzione dei Ministri interrogati per comprendere se tale fattispecie di accordo possa essere ritenuta corretta e se non invece rivesta profili discutibili sia sul piano amministrativo che eventualmente penale;
   appare rilevante secondo l'interrogante la partecipazione a tale compagine societaria della Società Derichebourg Multiservizi che attraverso i suoi vertici risulta coinvolta in alcune vicende giudiziarie dalle quali emergerebbe un contiguità con ambienti legati alla malavita organizzata;
   in tal senso, si rileva che dalle visure camerali che la Deicheborug multiservizi spa svolgerebbe servizi di portierato e vigilanza non armata presso strutture ospedaliere e servizi di ausiliariato sanitario e socio assistenziale in ambito ospedaliero e dal 1o luglio 2012 call center (servizio Cup delle strutture asl di Nuoro);
   il 7 novembre del 2013 11 persone sono state arrestate nell'ambito di un'inchiesta su appalti riguardanti la Asl di Caserta;
   le misure cautelari hanno avuto come destinatari politici, manager dell'asl e imprenditori in riferimento alle specifiche posizioni, i reati di concorso esterno in associazione per delinquere di stampo mafioso, abuso d'ufficio e turbata libertà degli incanti, «avvalendosi del metodo mafioso e, comunque, al fine di agevolare l'associazione camorristica (sodalizi “Belforte di Marcianise” e “dei Casalesi”, nonché quello di corruzione»;
   le ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip del tribunale di Napoli Isabella Iaselli riguardarono tra gli altri Lazzaro Luce in qualità di amministratore unico della società Derichebourg multiservizi spa e Antonio Pascarella nella qualità di rappresentante legale della procedura d'appalto della società Derichebourg;
   secondo quanto riporta il sole 24 ore del 2 dicembre 2013 «Dagli atti emerge il ruolo di “dominus” di una ditta di pulizie, la “Derichebourg”. Non una società qualunque, ma l'impresa che si sarebbe assicurata un maxiappalto (truccato, secondo i pm) da 27 milioni di euro per la copertura dei presidi ospedalieri dell'Asl Ce1. Ne parla Angelo Grillo, imprenditore a sua volta considerato vicino al clan Belforte di Marcianise, gruppo criminale in contrapposizione ai Casalesi, chiamandola la “lavatrice di Casale”. Lui (Nicola Ferraro, ndr) sta a Roma – si sfoga Grillo, ignorando ovviamente di essere ascoltato dagli inquirenti all'interno della sua automobile – sempre dei Casalesi sono... la lavatrice che lava i soldi, i soldi di quelli sono...»;
   i pubblici ufficiali coinvolti nell'inchiesta di Caserta operavano attraverso plurime violazioni di legge e false attestazioni, consistite, secondo il gip, nell'assegnare in maniera del tutto arbitraria all'Ati Derichebourg il punteggio di offerta tecnica di 58,9 punti su 60 disponibili, notevolmente superiore a quello delle altre società in gara, agendo anche in violazione dei doveri di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, con l'aggravante, continua il gip, di aver commesso il fatto al fine di agevolare l'organizzazione camorristica clan Belforte;
   dal fascicolo storico società di capitale risulta che il signor Lazzaro Luce il 13 novembre 2013 protocollo n. 188878/2013 del 12 novembre 2013 è cessato da tutti gli carichi;
   la cessazione dalla carica o qualifica riguarda i seguenti incarichi:
    procuratore, data nomina 15 novembre 2000;
    procuratore speciale, data nomina 31 ottobre 2003, data presentazione 26 gennaio 2005;
    presidente consiglio amministrazione, data nomina 25 gennaio 2013 durata: fino approvazione del bilancio al 30 settembre 2015;
    amministratore delegato, data nomina 25 gennaio 2013, durata: fino approvazione del bilancio al 30 settembre 2015;
   con i seguenti poteri principali:
    con verbale del consiglio di amministrazione del 25 gennaio 2013 sono stati attribuiti al presidente ed amministratore delegato tutti i poteri di ordinaria amministrazione per agire in ogni circostanza in nome della società, con la sola riserva di quelli che la legge attribuisce espressamente all'assemblea dei soci ed al consiglio di amministrazione, nei limiti dell'oggetto sociale e fatte salve le attribuzioni in capo al consiglio di amministrazione, di seguito indicate;
   il presidente ed amministratore delegato rappresenta la società nei rapporti con i terzi, la società è ugualmente impegnata per gli atti compiuti dal presidente e dall'amministratore delegato eccedenti l'oggetto sociale, a meno che non sia provato che il terzo era a conoscenza che l'atto eccedeva l'oggetto sociale o che esso non poteva ignorare tale circostanza, essendo escluso che la sola pubblicazione dello statuto possa costituire tale prova;
   risulta all'interrogante evidente che all'atto della sottoscrizione e della gestione dell'appalto di project financing il signor Lazzaro Luce era il responsabile per attribuzioni societarie dell'intera gestione dell'appalto;
   la società Derichebourg risulta essere titolare di decine di appalti di servizi in Sardegna, con particolare riferimento alla gestione dei rifiuti urbani e non solo;
   il coinvolgimento di dirigenti di tale società con ruolo apicale in inchiesta di tale rilevanza e gravità impongono un immediato e approfondito esame dei requisiti stessi di tale società, la cui competenza è del Ministero dell'Interno attraverso i propri uffici periferici, oltre ad una attenta valutazione di possibili eventuali infiltrazioni che organizzazioni criminali possano generare in Sardegna attraverso tali possibili diramazioni –:
   se non ritenga il Governo di promuovere, per quanto di propria competenza, una valutazione delle possibili infiltrazioni della malavita organizzata in Sardegna alla luce delle reiterate segnalazioni, interrogazioni e denunce dell'interrogante;
   se non ritenga il Governo di avviare un monitoraggio, per quanto di competenza, sulle potenziali attività che in Sardegna possano essere oggetto di attenzioni da parte di queste organizzazioni criminali, con particolare riferimento a quelle richiamate nel presente atto di sindacato ispettivo;
   se il Governo intenda valutare se, nel caso riguardante l'ASL di Nuoro, sussistano gli estremi per avviare iniziative ai sensi degli articoli 143 e 146 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. (4-08108)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   i dati ufficiali del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sull'anagrafe degli studenti per l'anno scolastico 2014/2015 hanno mostrato che, per il secondo anno consecutivo, gli studenti frequentanti i corsi di studi della scuola italiana sono aumentati in modo considerevole: rispetto all'anno precedente si tratta di 25.546 unità in più alle superiori e di 9.216 alla primaria, con un leggero calo (–785) nella scuola secondaria di primo grado. Anche nel 2013 vi fu un incremento di circa 30.000 iscritti;
   dai dati forniti dalla ragioneria generale dello Stato si scopre che tra il 2007 e il 2012 il personale della scuola ha perso oltre 124 mila posti (–10,9 per cento): da 1.137.619 unità si è passati a poco più di un milione;
   in base al punto 5, «Misure per l'evacuazione in caso di emergenza», e, nello specifico, al punto 5.0, «Affollamento», dell'allegato al decreto ministeriale 26 agosto 1992, «Norme di prevenzione incendi per l'edilizia scolastica», il massimo affollamento ipotizzabile per un'aula scolastica è fissato 26 persone;
   il decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 81, «Norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola», ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, dispone:
    all'articolo 5, comma 2, che «le classi iniziali delle scuole ed istituti di ogni ordine e grado, ivi comprese le sezioni di scuola dell'infanzia, che accolgono alunni con disabilità sono costituite, di norma, con non più di 20 alunni»;
    all'articolo 9, comma 2, che «le sezioni di scuola dell'infanzia sono costituite, di norma, salvo il disposto di cui all'articolo 5, commi 2 e 3, con un numero di bambini non inferiore a 18 e non superiore a 26»;
    all'articolo 10 che, «salvo il disposto dell'articolo 5, commi 2 e 3, le classi di scuola primaria sono di norma costituite con un numero di alunni non inferiore a 15 e non superiore a 26, elevabile fino a 27 qualora residuino resti»;
    all'articolo 11, comma 1, che «le classi prime delle scuole secondarie di I grado e delle relative sezioni staccate sono costituite, di norma, con non meno di 18 e non più di 27 alunni, elevabili fino a 28 qualora residuino eventuali resti. Si procede alla formazione di un'unica prima classe quando il numero degli alunni iscritti non supera le 30 unità»;
    all'articolo 11, comma 2, che «si costituisce un numero di classi seconde e terze pari a quello delle prime e seconde di provenienza, sempreché il numero medio di alunni per classe sia pari o superiore a 20 unità»;
    all'articolo, 16 comma 1, che «le classi del primo anno di corso degli istituti e scuole di istruzione secondaria di II grado sono costituite, di norma, con non meno di 27 allievi [...]»;
    all'articolo 16, comma 2, che «gli eventuali resti della costituzione di classi con 27 alunni sono distribuiti tra le classi dello stesso istituto, sede coordinata e sezione staccata o aggregata, qualora non sia possibile trasferire in istituti viciniori dello stesso ordine e tipo le domande eccedenti, e senza superare, comunque, il numero di 30 studenti per classe» e che «si costituisce una sola classe quando le iscrizioni non superano le 30 unità»;
    all'articolo 17, comma 1, che «le classi intermedie sono costituite in numero pari a quello delle classi di provenienza degli alunni, purché siano formate con un numero medio di alunni non inferiore a 22»;
   la precedente normativa vigente in materia, modificata dal decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 81, di cui sopra, era rappresentata dal decreto ministeriale 24 luglio 1998, n. 331, «disposizioni concernenti la riorganizzazione della rete scolastica, la formazione delle classi e la determinazione degli organici del personale della scuola», specificamente e rispettivamente: articolo 10, commi 1 e 2; articolo 14, commi 1 e 2; articolo 15, comma 1; articolo 16, commi 1 e 2; articolo 18, comma 1; articolo 19, comma 1; le disposizioni attualmente vigenti hanno modificato radicalmente i criteri di formazione e numerosità delle classi, comprese quelle in cui sono iscritti alunni con disabilità, innalzando sensibilmente il rapporto alunni/classe in base ad una logica finalizzata al risparmio che ha regolato la politica scolastica italiana negli ultimi 20 anni;
   il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia (sezione terza), con sentenza n. 02250/2014, in merito al ricorso registro n. 00401/2014 presentato da genitori e studenti, ha sdoppiato, nel corso dell'anno scolastico, una classe quarta di un liceo palermitano formata da 24 alunni, di cui 4 con disabilità, derivante dalla fusione di due classi più piccole entrambe con alunni con disabilità, perché composta da un eccessivo numero di studenti. Secondo il Tar l'eccessivo numero di alunni oltre a compromettere la sicurezza degli stessi, va ad incidere negativamente sulla qualità della didattica e non permette la piena inclusione dei disabili. La sentenza mette in discussione i criteri con cui vengono formate le classi imponendo, per la prima volta con una sentenza al riguardo, il rispetto del tetto massimo di 20 alunni nelle classi successive alla prima, come affermato dall'articolo 5 comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 81. La decisione del Tar Sicilia è stata motivata in questo modo: «[...] la circostanza che il regolamento di che trattasi contempli l'ipotesi della presenza di disabili unicamente per le prime classi e non anche per quelle intermedie impone un'interpretazione dello stesso dato normativo in linea con le esigenze di inclusione dell'alunno disabile così come tracciate dalla legislazione interna di riferimento e dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità [articolo 24, “Educazione”, commi 1, 2, 3, 4 e 5]. Orbene, una lettura improntata a parametri di logicità impone di ritenere che il limite dei venti alunni previsto per le “classi iniziali” debba considerarsi valido per tutte le classi. [...] È indubbio che [...] l'allocazione in una classe con un numero di alunni di gran lunga inferiore avrebbe certamente garantito per tutti un servizio quantomeno migliore oltre che in linea con le previsioni normative»;
   in riferimento ai dati e alla normativa descritti in premessa, quella delle cosiddette «classi pollaio» è un'emergenza quanto mai attuale, pronta a minare la qualità della formazione e dell'educazione offerte agli alunni del nostro paese, specie se affetti da disabilità –:
   se, alla luce delle riflessioni scaturite dalla sentenza del tribunale amministrativo regionale per la Sicilia (sezione terza), alcuni estratti della quale sono stati descritti in premessa, si ritenga necessaria un'iniziativa normativa atta a rimodulare oltre che a chiarire le disposizioni in materia di formazione e numerosità delle classi scolastiche relative, in particolare, agli articoli 5, 9, 10, 11, 16 e 17 del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 81, descritti in premessa, al fine di garantire a tutti gli alunni degli istituti scolastici italiani di ogni ordine e grado standard adeguati di sicurezza, qualità della didattica e del rapporto docente/studente, inclusione e integrazione, specie per gli alunni con difficoltà, anche mediante un ritorno alla precedente legislazione, rappresentata dal decreto ministeriale 24 luglio 1998, n. 331, in particolare per quanto disposto agli articoli: 10, commi 1 e 2; 14, commi 1 e 2; 15, comma 1; 16, commi 1 e 2; 18, comma 1; 19, comma 1.
(2-00856) «Luigi Gallo, Marzana, Vacca, Simone Valente, Alberti, Di Benedetto, Brescia, Baroni, Basilio, Paolo Bernini, Brugnerotto, Cancelleri, Cariello, Caso, Castelli, Cecconi, Colonnese, Corda, Del Grosso, Di Battista, Manlio Di Stefano, Di Vita, D'Incà, Frusone, Silvia Giordano, Grande, Grillo, Lorefice, Mantero, Pesco, Ruocco, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Villarosa».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   dell'Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa uno dei centri dove ricerca e pratica clinica si fondono sui crinali dell'eccellenza uscivano, sotto forma di anticipi di cassa, centinaia di migliaia di giuro che negli anni sono diventati milioni, aprendo una voragine nei bilanci;
   sull'intera vicenda indaga ora per truffa la procura di Pisa dopo l'esposto dell'attuale direttore dell'Istituto Giorgio Iervasi che, insediatosi lo scorso anno e a confermare il meccanismo è il personaggio chiave dell'inchiesta, responsabile dell'ufficio progetti che, si è appreso nei giorni successivi, è persona con problemi psichiatrici, in cura da armi e sottoposto di recente a Tso al dipartimento di salute mentale, dimesso ai primi di febbraio;
   dalle cronache di stampa si apprende che tale personaggio sia entrato al Cnr nel 2007 come custode, poi partecipando a un bando interno che prevedeva il possesso di una laurea presentando un titolo di studio falso iniziando da quel momento una brillante carriera che lo porta a diventare in due anni responsabile dell'ufficio progetti;
   lo stesso nello spiegare le proprie azioni dichiarava che: «Veniva da me un ricercatore, proponendomi un progetto per il quale era possibile individuare uno sponsor. Io istruivo la pratica chiedendo l'anticipo di cassa e, dopo il vaglio della segreteria amministrativa, arrivavano i soldi. Ma presto – spiega – mi sono reso conto che di fatto non c'era nessun tipo di controllo né in fase iniziale, né durante lo svolgimento del progetto, né a consuntivo. E dunque ho iniziato io stesso a proporre sponsor inesistenti e a dare corso direttamente alle richieste di finanziamento scrivendo «urgente» sulle pratiche. E i soldi arrivavano regolarmente anche se poi l'Istituto non riusciva mai a rientrare degli anticipi versati per garantire la copertura finanziaria alle ricerche proposte;
   per gli anni tra il 2011 ed il 2014 l'attuale direzione ha rilevato una differenza di cassa di circa 10 milioni –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione non intenda verificare le eventuali responsabilità a cominciare dalla necessità di chiarire come sia stato possibile che una persona con questo quadro clinico sia arrivata a ricoprire ruoli di vertice e a possedere una così ampia autonomia decisionale in un istituto che è punta di diamante della ricerca pubblica nazionale.
(2-00862) «Fedriga, Rondini».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GIANCARLO GIORDANO, SCOTTO e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata del 18 febbraio 2015 si è appreso dell'ennesimo incidente presso l'Istituto Alberghiero «De Cecco» di Pescara dove un pezzo di intonaco di circa un metro quadro si è staccato dal solaio e i detriti sono finiti su alcuni ragazzi, mentre le lezioni erano in corso, senza causare per fortuna danni eccessivi. Tre ragazzi sono rimasti, comunque, feriti e l'edificio è stato evacuato;
   per grandi linee la situazione attuale, anno scolastico 2014/2015, dello stato dell'edilizia scolastica risulta essere la seguente: gli edifici scolastici appaiono per lo più malandati e vetusti e soltanto un quarto, ha poco meno di 30 anni:
    il 5,4 per cento gli edifici è stato costruito prima del 1900;
    il 13,5 per cento degli edifici è stato costruito tra il 1900 e il 1940;
    il 40,5 per cento degli edifici è stato costruito tra il 1941 e il 1974;
    il 33,5 per cento degli edifici è stato costruito tra il 1975 e il 1990;
    il 7 per cento degli edifici è stato costruito tra il 1991 e il 2011;
   il dossier 2014 di Cittadinanzattiva ha preso in esame 213 edifici scolastici di tutti gli ordini e gradi, monitorati in 14 regioni e 22 province e ha vagliato 26 fattori e usato 350 indicatori legati allo stato degli edifici, a qualità delle scuole, alla sicurezza interna, alla prevenzione, alle certificazioni, all'igiene e pulizia e ai «numeri» che, rispetto quelli dello scorso anno, sono proporzionalmente peggiorati. La situazione, dunque è gravissima a livello nazionale e, nelle scuole monitorate, secondo un'indagine del Censis e in più recenti rapporti di Cittadinanzattiva e di Legambiente, risulta la seguente:
    il 65 per cento degli edifici si trova in zona a rischio sismico;
    il 24 per cento degli edifici è costruita in terreni a rischio idrogeologico: soltanto nelle regioni del sud, Calabria, Campania e Sicilia, si contano ben 12.964 istituti in contesti ambientali dove un terremoto potrebbe causare danni gravi per l'assenza di misure antisismiche (dati dell'Associazione nazionale costruttori Edili);
    il 73 per cento degli edifici presenta lesioni strutturali e sulla facciata esterna. Il Censis stima in oltre 3.600 le scuole a livello nazionale che necessitano di interventi sulle strutture portanti, 9.000 con gli intonaci da rifare e 7.220 ove occorre riparare tetti e coperture;
    il 41 per cento degli edifici presenta uno stato di manutenzione mediocre o pessimo, e di fronte alla richiesta, di piccoli lavori di manutenzione nel 15 per cento dei casi l'ente proprietario non è mai intervenuto e nel 23 per cento è arrivato con molto ritardo. Sempre secondo il Censis sono 24.000 gli impianti (elettrici, idraulici, termici) che non funzionano, sono insufficienti o non sono a norma;
    2.000 edifici al rischio amianto per 342.000 studenti;
   la drammatica situazione dell'edilizia scolastica, a partire dagli interventi straordinari programmati dopo il terremoto nel Molise del 2002 e il tragico crollo della scuola di San Giuliano, è stata oggetto di stima per un fabbisogno calcolato, allora, dalla Protezione civile per 13 miliardi di euro e senz'altro aumentato negli anni –:
   con quale urgenza, con quali soluzioni e quali risorse, concretamente adeguate alle effettive necessità per tutti gli interventi di edilizia scolastica, il Governo intenda provvedere, per quanto di competenza, affinché i 41.383 edifici scolastici delle 8.519 scuole statali non siano più luoghi in cui gli studenti, gli insegnanti e i lavoratori ATA rischino ogni mattina per presenza di lesioni strutturali, rischio sismico e/o idrogeologico, manutenzione carente e presenza di barriere architettoniche;
   quale sia la situazione relativa alla costituzione dell'anagrafe nazionale dell'edilizia scolastica «strumento conoscitivo fondamentale per la programmazione degli interventi», già prevista dalla legge 11 gennaio 1996, n. 23, l'impegno preso dal Governo in sede di discussione del disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, a rendere noti e disponibili tutti gli elementi conoscitivi aggiornati dell'anagrafe nazionale dell'edilizia scolastica entro il 31 dicembre 2014. (5-04809)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIBILIA e PETRAROLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la Corte di giustizia con sentenza depositata il 26 novembre 2014 (cause riunite C-22/13, da C-61/13 a 63/13 e C-418/13) ha precisato, al punto 69, che «l'accordo quadro (direttiva 1999/70/CE) non esclude nessun settore particolare dalla sua sfera di applicazione e che, pertanto, è applicabile al personale assunto nel settore dell'insegnamento»;
   ciò significa che, per il personale della scuola, in Italia è applicabile il decreto legislativo n. 368 del 2001, così come confermato anche dal tribunale di Napoli, con sentenza del 21 gennaio 2015 nella causa civile n. 57536/11;
   con questo decreto l'Italia ha recepito la direttiva europea 1999/70/CE;
   il punto 1 della clausola 3 della suddetta direttiva europea definisce «lavoratore a tempo determinato» una persona con un contratto «il cui termine è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico»;
   nel rispetto della clausola 3 della direttiva europea 1999/70/CE, l'articolo 1 del decreto legislativo n. 368 del 2001 specifica le condizioni per l'apposizione del termine ai contratti di lavoro: «1. È consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo; 2. L'apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1»;
   per i contratti a tempo determinato stipulati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nell'anno scolastico 2008/09 e in quelli successivi per la copertura dei 26.684 posti di sostegno, vacanti e disponibili, il termine apposto è, a parere degli interroganti, da ritenersi nullo per i seguenti motivi:
   a) non sono indicate le ragioni oggettive di cui al comma 1 dell'articolo del decreto legislativo n. 368 del 2001;
   b) per motivi di bilancio il legislatore con il comma 414 dell'articolo 2 della legge n. 244 del 2007, ha indicato il raggiungimento nel 2010/2011 di un organico di diritto per il sostegno pari al 70 per cento e non al 100 per cento dell'organico attivato nel 2006/07;
   così, i 26.684 posti per il sostegno, vacanti e disponibili già nel 2008, sono stati inseriti impropriamente, a parere degli interroganti, dal legislatore per ragioni di bilancio nell'organico di fatto, anziché nell'organico di diritto, permettendo con modalità di dubbia legittimità il conferimento di supplenze annuali o fino al termine delle attività didattiche;
   il comma 414 dell'articolo 2 della legge n. 244 del 2007 specifica che «la dotazione organica di diritto relativa ai docenti di sostegno è progressivamente rideterminata, nel triennio 2008-2010, fino al raggiungimento, nell'anno scolastico 2010/11, di una consistenza organica pari al 70 per cento del numero dei posti di sostegno attivati nell'anno scolastico 2006/2007»;
   si comprende che i 26.684 posti di sostegno, innanzi indicati, sono il restante 30 per cento dei posti dell'organico attivato nel 2006/07, assegnati per ragioni di bilancio con contratti a tempo determinato;
   la Corte di giustizia europea con la sentenza del 26 novembre 2014, al punto 110, ha stabilito che «sebbene considerazioni di bilancio possano costituire il fondamento delle scelte di politica sociale di uno Stato membro e possano influenzare la natura ovvero la portata delle misure che esso intende adottare, esse non costituiscono tuttavia, di per sé, un obiettivo perseguito da tale politica e, pertanto, non possono giustificare l'assenza di qualsiasi misura di prevenzione del ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato ai sensi della clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro»;
   inoltre, pur volendo ritenere i contratti a termine per i 26684 posti per il sostegno, stipulati in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale di ruolo nelle scuole statali, tanto da giustificare il ricorso alle supplenze annuali e quelle fino alla conclusione delle attività didattiche, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 1 e 2, della legge n. 124 del 1999; in essi non sono indicati tempi certi per l'espletamento di dette procedure concorsuali;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha permesso, a partire dal 2008 e fino ad oggi, che il 70 per cento dei posti per il sostegno (circa 64 mila) venissero assegnati con contratto a tempo indeterminato e il restante 30 per cento (26.684) con contratti a tempo determinato, attuando una vera discriminazione nei riguardi dei docenti con contratto a tempo determinato, in possesso degli stessi titoli dei docenti di ruolo, inseriti nelle stesse graduatorie ad esaurimento di questi ultimi e con gli stessi compiti dei docenti con contratto a tempo indeterminato, disattendendo, così, la clausola 1 della direttiva europea 1999/70/CE;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con la stipula dei 26.684 contratti a termine per posti per il sostegno vacanti e disponibili, ha agito in contrasto con quanto previsto dall'articolo 3, comma 78, della legge n. 244 del 2007, che impone alla pubblica amministrazione l'assunzione con contratti a termine solo per esigenze stagionali;
   il divieto generalizzato di assunzioni a termine è stato posto dal legislatore per impedire il verificarsi dell'evento sanzionato dall'articolo 5, comma 4-bis, del decreto legislativo n. 368 del 2001;
   la Corte di Cassazione, con sentenza n. 24479 del 21 settembre 2011, ha stabilito che dall'illegittimità del termine, per difetto di specificazione dei motivi, ne consegue l'invalidità parziale, relativa alla sola clausola e l'instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato;
   sempre la Corte di Cassazione, con sentenza n. 12985 del 21 maggio 2008, ha affermato che la mancanza di ragioni giustificatrici dell'apposizione del termine al contratto di lavoro non comporta la nullità dell'intero contratto ex articolo 1419, comma 1, del codice civile, ma la mera sostituzione della clausola nulla ex articolo 1419, comma 2, con conseguente trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Ciò, secondo la Suprema Corte, in mancanza di una norma che espressamente stabilisca le conseguenze di tale omissione, giacché la sanzione da applicarsi, chiarisce la Corte di Cassazione, ben può essere ricavata dai principi generali e, comunque, interpretando la norma nel quadro delineato dalla direttiva europea 1999/70/CE, della quale il decreto legislativo n. 368 del 2001 è attuazione;
   il riconoscimento giuridico dell'anzianità di servizio di ruolo per i 26.684 docenti di sostegno che hanno stipulato contratti a tempo determinato (annuali o fino alla conclusione delle attività didattiche) dal 2008 ad oggi e assegnati a posti per il sostegno vacanti e disponibili eviterebbe contenziosi legali, i cui costi ricadrebbero sul Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, e non comporterebbe nessun onere a carico dello Stato –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno, alla luce dei fatti esposti in premessa, porre in essere ogni iniziativa utile, per quanto di competenza, affinché sia riconosciuta dal punto di vista giuridico l'anzianità di servizio di ruolo, a partire dal primo contratto a termine su posti per il sostegno stipulato dopo l'entrata in vigore della legge n. 244 del 2007, a favore dei docenti immessi in ruolo sui 26.684 posti per il sostegno, riconosciuti essere dell'organico di diritto con la legge n. 128 del 2013. (4-08080)


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con l'entrata in vigore del decreto ministeriale del 13 giugno 2007, n. 27, l'accesso alle graduatorie ad esaurimento – per il conferimento delle supplenze al personale docente ed educativo – risulta riservato esclusivamente al personale in possesso di un titolo abilitante;
   il decreto n. 62 del 13 luglio 2011 non riconosce – diversamente da quanto precedentemente stabilito – il valore abilitante del diploma magistrale, escludendo di fatto l'accesso alla II fascia delle graduatorie di istituto e alle graduatorie ad esaurimento a tanti docenti ai quali era precedentemente concesso fare domanda di supplenza e ai quali era riconosciuto l'inserimento nelle graduatorie provinciali e di istituto;
   il suddetto decreto viene dichiarato illegittimo e con la successiva emanazione del decreto del Presidente della Repubblica del 25 marzo del 2014 il diploma magistrale è definitivamente riconosciuto come abilitante;
   pur ottenendo il riconoscimento del valore abilitante, tale personale risulta – per effetto del decreto n. 62 del 13 luglio 2011 — escluso dalle graduatorie ad esaurimento e rimane, pertanto, nella 2a fascia vedendosi escluso dall'immissione in ruolo che prevede la sistemazione solo per coloro i quali si trovano nella graduatoria permanente ad esaurimento (1a fascia);
   si tratta di docenti che avendo già conseguito il diploma entro l'anno 2001-2002 risultano numericamente pochi e con una età anagrafica avanzata, in media intorno ai 40 anni;
   nel merito sono attualmente in pendenza numerosissimi ricorsi al TAR Lazio per l'inserimento di detti diplomati nelle graduatorie ad esaurimento, sui quali recentemente si è espresso anche il Consiglio di Stato (ord. 428/2015), che ha sospeso l'efficacia delle sentenze del Tar Lazio che respingevano le istanze dei diplomati magistrali che avevano conseguito il diploma entro l'anno scolastico 2001/2002, riconoscendo fondate le ragioni dei ricorrenti, in considerazione soprattutto del grave pregiudizio nei loro confronti che li vedrebbe esclusi in maniera definitiva dalla sistemazione quali insegnanti di scuola materna ed elementare;
   è di imminente approvazione l'annunciato piano assunzionale nel comparto scuola all'interno del quale andrebbe estrapolata la posizione di questi insegnanti e presa in considerazione l'opportunità della definitiva sistemazione degli stessi anche se facenti parte della II fascia –:
   come il Ministro interrogato intenda intervenire al fine di risolvere la posizione di tali docenti penalizzati ingiustamente. (4-08081)


   NICCHI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti giornalistiche (Corriere Fiorentino, 19 febbraio 2015) che nell'Istituto tecnico Leonardo Da Vinci di Firenze, prima scuola tecnica fiorentina voluta dal comune, palazzina anni Sessanta che fa parte del grande complesso dell'Iti Da Vinci di via del Terzolle, gli studenti (ragazzi dai 14 ai 16 anni) devono evitare di correre, di chiudere con forza finestre e porte, di graffiare o forare le pareti, come da vademecum delle norme di comportamento affisso in tutte le sedici classi del biennio dell'Istituto, a causa del cemento-amianto, materiale con cui sono fatte le pareti dell'edificio;
   il comune di Firenze, tuttora proprietario della struttura, è intervenuto più volte, l'ultima l'estate scorsa per finire di bonificare il tetto. All'interno delle pareti restano però degli strati in amianto che potrebbe essere molto pericolosi se sollecitati a causa delle polveri che si alzerebbero;
   ogni anno viene stesa una patina di vernice sui muri dell'edificio del biennio e ogni sei mesi viene fatto un controllo con una speciale macchina che rileva le fibre disperse nell'aria;
   il preside afferma che la soluzione resta una sola: abbattere e ricostruire l'edificio, ma servono tra i sette e gli otto milioni di euro che il comune non ha;
   quello di Firenze non è un caso isolato. L'indagine condotta recentemente dal Censis sulle scuole rivela che in Italia ci sono 2.000 scuole che espongono i loro 342.000 alunni e studenti al rischio amianto –:
   se non intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, per mettere in sicurezza gli studenti che frequentano le scuole in Italia visto che per ora si è fatto molto poco e che, secondo il Censis, sulla base delle risorse stanziate e dei ritardi di spesa accumulati, alla fine del 2013 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti stimava in 110 anni il tempo necessario per mettere in sicurezza tutti gli edifici scolastici italiani e gli studenti, in Italia, non possono attendere a lungo per poter frequentare la scuola al sicuro.
(4-08090)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MAESTRI, ROMANINI, TERROSI, CARLO GALLI, MARCO DI MAIO, BERGONZI, GIACOBBE, D'INCECCO, MONTRONI, VERINI, MARIANI, MARANTELLI, MAGORNO, GRIBAUDO, COVA e CARLONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 29 gennaio 2015 il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti hanno sottoscritto un atto di indirizzo concernente l'individuazione dei criteri per l'elaborazione di un piano di ristrutturazione della rete delle aree di servizio presenti sui sedimi autostradali;
   pur senza citarla direttamente, pare evidente che tale documento prende le mosse da una richiesta delle concessionarie autostradali di elaborare un piano di ristrutturazione delle proprie aree di servizio per far fronte ai cali di fatturato registrati negli ultimi anni;
   i criteri indicati nell'atto di indirizzo per l'elaborazione dei piani di razionalizzazione delle strutture presenti sulla rete non paiono agli interroganti sufficienti a garantire la salvaguardia dei livelli occupazionali;
   attualmente sarebbero oltre 15 mila gli addetti nei punti di ristorazione sulla rete autostradale con un'alta incidenza del part time ed un inquadramento contrattuale e previdenziale che non consentirebbe la copertura tramite cassa integrazione guadagni straordinaria per far fronte alla paventata ristrutturazione –:
   quali siano le intenzioni dei concessionari della rete delle aree di servizio autostradale circa la possibile predisposizione di un piano di ristrutturazione e quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere al fine di evitare che tali piani abbiano ricadute negative sull'occupazione. (5-04804)


   RIZZETTO, BARBANTI, ROSTELLATO, PRODANI, SEGONI, MUCCI, BECHIS, TURCO, BALDASSARRE e ARTINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso che Poste italiane spa, per fronteggiare i picchi di attività produttiva, è ricorsa frequentemente alla stipula del contratto a termine facendo diventare lo stesso, il contratto predominante nel regolare i rapporti di lavoro;
   tuttavia, si è configurato un utilizzo di tali contratti, stipulati nel periodo compreso tra il 2006 e il 2012 in maniera non conforme a quanto stabilito ai sensi dell'articolo 2, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 368 del 2001 che prevede la possibilità di utilizzare i contratti a termine senza giustificarne il motivo per circa 10 mesi nello stesso anno e in percentuale non superiore al 15 per cento dell'organico aziendale riferito al 1o gennaio dell'anno a cui le assunzioni si riferiscono;
   a quanto è dato sapere, Poste italiane spa non avrebbe rispettato le condizioni previste dalla normativa precitata. In particolare, risulterebbe violato il limite percentuale previsto per utilizzare il tipo di contratto in questione. Ciò ha determinato la presentazione di ricorsi giudiziari contro la società, da parte di circa 15.000 dipendenti precari;
   in diversi accordi tra Poste italiane e i sindacati, è stata affrontata la situazione di precarietà dei lavoratori senza pervenire a concreti provvedimenti a tutela dei lavoratori;
   inoltre, si fa presente che il 16 dicembre 2014 il nuovo amministratore delegato, Francesco Caio, ha presentato il piano strategico del gruppo per il periodo 2015-2019, mettendo in evidenza tra le linee del piano quella che prevede «8.000 tra nuovi ingressi e conversioni dei part-time: il 50 per cento dei nuovi ingressi riguarderà giovani laureati e nuove professionalità. Inoltre prevediamo lo sviluppo di circa 7.000 risorse interne verso profili più qualificati» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali siano i propri orientamenti;
   se e quali iniziative intenda adottare, anche promuovendo un tavolo di concertazione con Poste italiane spa e le parti sociali, al fine di individuare idonei provvedimenti per salvaguardare i lavoratori ricorsisti precari e in generale creare le condizioni per regolare i rapporti di lavoro dei dipendenti attraverso l'utilizzo di contratti più stabili;
   se e quali iniziative intenda adottare anche per escludere che l'attuazione del nuovo piano di sviluppo strategico posso avvenire peggiorando la posizione degli attuali lavoratori precari da salvaguardare. (5-04823)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   il Corpo forestale dello Stato è una delle cinque forze di polizia italiane, ad ordinamento civile e con funzioni di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza, dipendente dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali della Repubblica italiana;
   nato nel 1822, è specializzato nella difesa del patrimonio agro-forestale italiano, nella tutela dell'ambiente, del paesaggio e del controllo sulla sicurezza della filiera agroalimentare e concorre all'espletamento di servizi di ordine e sicurezza pubblica, nonché al controllo del territorio, con particolare riferimento alle aree rurali e montane;
   il Corpo forestale dello Stato originariamente aveva un ruolo di salvaguardia delle aree boschive, tuttavia ha acquisito nel corso della sua storia molteplici funzioni, anche al di fuori di tale ambito, come il contesto di difesa dell'ambiente e del territorio, della salute umana, di tutela degli animali, della flora e del patrimonio paesaggistico, di controllo sulle produzioni agro-alimentari, di conservazione della biodiversità e delle aree protette terrestri e marine;
   tra le competenze del Corpo forestale dello stato si annoverano anche le operazioni di controllo sul traffico dei rifiuti (repressione dei traffici illeciti e degli smaltimenti illegali dei rifiuti) e sugli inquinamenti (tutela delle acque dall'inquinamento e del reati o danno ambientale);
   sia nelle regioni a statuto ordinario che in quelle a statuto speciale, il Corpo forestale dello Stato è presente nelle sezioni di PG presso le procure ed i tribunali nonché, con alcuni nuclei, nell'ambito delle Direzione investigativa antimafia;
   il personale del Corpo ammonta a circa 8.500 unità, ed è dislocato su tutto il territorio nazionale ad eccezione delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano, nelle quali operano corpi forestali autonomi e dove sono comunque presenti dei nuclei e sezioni di PG presso le procure ed i tribunali;
   da notizie stampa si apprende di una progressiva riduzione dei finanziamenti destinati al Corpo forestale, tali da metterne in seria discussione l'effettività di personale e l'efficacia operativa;
   eclatante è il mancato rifinanziamento del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, recante disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate convertito, con modificazioni dalla legge n. 4 del 2014 che prevede tra l'altro il monitoraggio dei terreni agricoli e la loro messa in sicurezza, operando di fatto un taglio di quasi 4 milioni di euro che va ad incidere direttamente sulla salute dei cittadini;
   ai tagli di cui al punto precedente occorre sottrarre ulteriori 5 milioni di euro dai capitoli di bilancio operativi dei «Forestali» operati dall'ultima legge di stabilità (2015);
   in questi anni il Corpo forestale ha operato attivamente in diversi scenari sempre mostrandosi all'altezza della situazione e nell'assoluto interesse della sicurezza dei cittadini, come dimostrato dallo sforzo messo in campo nella tristemente nota «Terra dei Fuochi», dove assieme all'Arpa Campania, il Corpo forestale ha avviato un puntuale monitoraggio dei terreni oltre che alla supervisione dei lavori di bonifica;
   la «Terra dei Fuochi» è soltanto la «punta di un iceberg» visto che i fenomeni delle discariche abusive sono presenti purtroppo in tutta Italia e proprio in quest'ambito, il Corpo forestale dello Stato, ha sviluppato una capacità di indagine altamente professionale e dimostrata nelle azioni investigative di Pitelli (SP), Porto Marghera (VE) e del Metaponto;
   la questione dello smaltimento illecito dei rifiuti in Italia coinvolge la malavita organizzata anche di stampo camorristico;
   è opinione degli interpellanti che le risorse non andrebbero tagliate ma almeno mantenute con l'unico obiettivo di rendere più efficiente il sistema di controllo e messa in sicurezza ambientale e forestale –:
   se il Ministro interpellato confermi questo andamento di una progressiva diminuzione dei finanziamenti al Corpo Forestale e se ciò sia o meno coerente con i princìpi di tutela e salvaguardia del patrimonio agro-silvo-pastorale italiano, nonché della salute e della sicurezza umana;
   quali iniziative intenda assumere, anche di carattere normativo, per sopperire all'eventuale vacanza dell'apporto investigativo e di controllo operato in questi decenni dal Corpo Forestale sul territorio nazionale, a seguito di quelli che gli interpellanti giudicano tagli irragionevoli ed indiscriminati.
(2-00858) «Massimiliano Bernini, Luigi Di Maio, Nesci, Ciprini, Gallinella, Frusone, Villarosa, Lombardi».

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   RUSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dallo studio «The theft of medicines from Italian hospital» pubblicato nel marzo 2014 dal centro Transcrime dell'Università Cattolica di Milano – Università di Trento risulta che tra il 2006 e il 2013 un ospedale italiano su dieci ha registrato un furto di farmaci, subendo una perdita media, per ogni furto, di circa 330 mila euro, portando alla luce, attraverso una rassegna dei casi di furto riportati negli ultimi 7 anni dai giornali italiani, un fenomeno criminale tanto emergente quanto sconosciuto e sottostimato. In tale report si evidenzia come i furti si distribuiscono su tutto il territorio nazionale ma soprattutto in regioni caratterizzate da alti livelli di criminalità organizzata e/o affacciate sull'Adriatico. In particolare, Campania e Puglia rappresentano il 45 per cento dei casi totali, seguite dal Molise. Mentre al Centro-nord sono Lazio, Lombardia e Friuli Venezia Giulia le regioni più colpite. Inoltre, sono preferiti dai criminali i farmaci più costosi, come gli antitumorali, gli immunosoppressori, gli antireumatici e i biologici. A volte è anche l'EPO a finire nel bottino dei furti;
   si tratta per la maggior parte di medicinali di classe H interamente rimborsati dallo Stato, quindi, è presumibile che finiscano o sul mercato illegale a livello nazionale oppure più facilmente all'estero, in Paesi caratterizzati da un sistema sanitario più carente (esempio Est Europa) o da difficoltà ad accedere ai canali legali (ad esempio, per colpa della crisi come in Grecia). Il rapporto TransCrime non esclude nemmeno che i farmaci rubati, «ripuliti» tramite società schermo registrate all'estero, possano rientrare nel mercato legale parallelo per essere esportati in paesi caratterizzati da più alti margini di profitto (esempio Nord Europa) o per essere rivenduti di nuovo a grossisti e broker farmaceutici italiani. Inoltre, la geografia dei furti, la tipologia di farmaco sottratto e le modalità di ricettazione confermano le ipotesi che ad essere coinvolti possano essere gruppi di criminalità organizzata, sia italiani di stampo mafioso (in particolare della camorra) che stranieri (in particolare dell'Est Europa), capaci di trasportare e piazzare i medicinali sul mercato illegale, anche all'estero, ed eventualmente di corrompere o intimidire il personale ospedaliero per accedere ai depositi farmaceutici;
   l'analisi TransCrime, la prima mai condotta sul fenomeno a livello europeo, fornisce pertanto l'immagine di un fenomeno criminale in rapida espansione ma spesso ignorato. Così come sottostimati rischiano di essere i danni per pazienti e per il sistema sanitario nazionale. L'alta profittabilità e i rischi relativamente bassi, infatti, potrebbero convincere alcuni gruppi criminali ad abbandonare attività illecite più rischiose per dedicarsi a questo più lucroso, mercato illegale;
   nel 2013, allo scopo di condividere ed analizzare dati e informazioni sul fenomeno, AIFA, Farmindustria, ASSO-RAM e carabinieri del NAS con il supporto del Ministero della salute, hanno creato una banca dati dei furti, un archivio costantemente aggiornato con le segnalazioni inviate dalle oltre trenta aziende che aderiscono al progetto. La banca dati, ospitata dalla piattaforma gestita da AIFA e consultabile online da utenti autorizzati (aziende aderenti e forze di polizia), ha l'obiettivo di organizzare in modo strutturato tutte le informazioni disponibili su casi riguardanti furti di medicinali, in modo tale che le forze di polizia come i carabinieri del NAS possano analizzarle acquisendo elementi utili a ricostruire le origini e la struttura dei traffici illegali e a definire interventi mirati per il contrasto del fenomeno. Come riportato sul sito dell'AIFA, un esempio pratico di utilizzo della banca dati è rappresentato da un recente lavoro d'indagine svolto sul caso «Herceptin», medicinale ad uso ospedaliero indicato nel trattamento del carcinoma mammario e gastrico, oggetto di furto in ospedali italiani, manipolato e/o falsificato, e successivamente reintrodotto attraverso falsa documentazione nella catena distributiva di altri Paesi europei. Tale particolare caso «Herceptin» ha evidenziato come quasi sempre i soggetti italiani coinvolti in questi traffici illegali sono pseudo-grossisti (in genere farmacie) concessionari dell'autorizzazione al commercio all'ingrosso ai sensi del decreto legislativo n. 219 del 2006, ma con il fine esclusivo dell'esportazione e con la totale esclusione della mission dei distributori-grossista full-line che quotidianamente riforniscono le farmacie territoriali;
   dal 2001, con decreto ministeriale 2 agosto 2001, in applicazione dell'articolo 5-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 540, recante «Attuazione della direttiva 92/27/CEE concernente l'etichettatura ed il foglietto illustrativo dei medicinali per uso umano» sono stati introdotti i bollini autoadesivi a lettura automatica dei medicinali caratterizzati dal fatto di racchiudere al loro interno informazioni riguardanti sia il numero identificativo della confezione (codice AIC) riportato in codice a barre tipo 39, sia il numero progressivo della singola confezione riportato in codice a barre tipo 2/5 (codice di targatura);
   il decreto ministeriale 15 luglio 2004 «Istituzione, presso l'Agenzia italiana del farmaco, di una banca dati centrale finalizzata a monitorare le confezioni dei medicinali all'interno del sistema distributivo», al comma 2 dell'articolo 1, prevede che nella suddetta banca dati centrale confluiranno via internet tutti i dati relativi alla fornitura dei bollini numerati di cui al decreto ministeriale 2 agosto 2001, i movimenti delle singole confezioni dei prodotti medicinali, attraverso il rilevamento del codice prodotto e del numero identificativo delle confezioni apposto sulle confezioni, nonché i dati relativi al valore, per categoria terapeutica omogenea, delle forniture dei medicinali alle strutture del servizio sanitario nazionale, e relativi ai consumi degli stessi espressi in defined daily doses. In particolare, il decreto ministeriale 15 luglio 2004 prevede che i produttori, i depositari, i grossisti, le farmacie aperte al pubblico ed i centri sanitari autorizzati all'impiego di farmaci sono tenuti ad archiviare e trasmettere a tale banca dati il codice prodotto ed il numero identificativo di ciascun pezzo uscito e la relativa destinazione, mentre i soli produttori devono altresì trasmettere alla banca dati centrale il lotto di produzione e la data di scadenza per ciascuna confezione di prodotto medicinale;
   benché l'articolo 6 del decreto ministeriale 15 luglio 2004 prevedeva che in fase di prima attuazione l'alimentazione della banca dati poteva essere limitata ai produttori, depositari e grossisti per i soli movimenti in uscita di confezioni di prodotti medicinali con l'omissione dell'invio del numero identificativo progressivo della singola confezione riportato sul bollino in codice a barre tipo 2/5, ad oggi, dopo oltre 10 anni, l'attuazione dell'invio alla banca dati del codice di targatura risulta ancora parzialmente attuata;
   infatti, mentre per i produttori l'invio delle informazioni in uscita relative a codice AIC, codice di targatura, lotto e scadenza risultano tecnicamente realizzabili per il loro ristretto numero di referenze trattate, e altresì mentre per le farmacie, in quelle regioni dove sta iniziando l'utilizzo della ricetta dematerializzata, è stata avviata anche l'acquisizione del codice di targatura, tale trasmissione del codice progressivo univoco delle confezioni risulta ancora di difficile realizzazione tecnica nell'ambito della distribuzione intermedia del farmaco. In quest'ultimo ambito, infatti, l'elevato numero di confezioni e di referenze movimentate giornalmente dai grossisti full-line, grazie anche a sistemi, di picking automatico, rende tecnicamente irrealizzabile sia l'acquisizione dei codici di targatura, sia la lettura dei lotti di tutte le confezioni movimentate;
   è da prendere in considerazione inoltre che, come si evince anche dal sito internet dell'AIFA (nella parte dedicata ai medicinali falsificati, contraffatti e rubati), nonché dal succitato Rapporto TransCrime, le principali «vie di fuga» dei medicinali oggetto di furto sono rappresentate proprio da soggetti operanti nell'ambito della filiera intermedia, quasi sempre pseudogrossisti che non operano in full-line per la fornitura delle farmacie territoriali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle criticità sopra esposte e come intenda efficacemente intervenire per l'adozione di soluzioni tecniche che consentano l'acquisizione del codice di targatura delle confezioni di medicinali lungo tutta la filiera del farmaco, e non solo parzialmente, anche mediante soluzioni tecniche che prevedano ad esempio l'utilizzo di bollini ottici con sistemi di identificazione RFID (radio frequency identification);
   se non reputi opportuno porre in essere le opportune iniziative, anche normative, per permettere che l'acquisizione dei dati delle singole confezioni di medicinali sia operata anche dai soggetti che operano in fase intermedia e/o a valle della filiera attraverso l'immissione dei codici AIC dei codici univoci, del lotto e della scadenza comunicati dai produttori in un sistema open data accessibile dai soggetti che ricevono i medicinali;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per un maggiore controllo del fenomeno anche durante il periodo di trasporto dei medicinali, prevedendo per i corrieri l'obbligatorietà dei sistemi di rilevazione satellitare. (4-08088)


   LENZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la gammopatia monoclonale è una patologia assimilata alle affezioni tumorali, che va tenuta costantemente sotto sorveglianza, perché suscettibile di evolvere in mieloma multiplo o plasmocitoma, in una altissima percentuale di casi nel giro di 10-20 anni;
   che tale affezione sia inquadrabile tra le malattie tumorali è dimostrato anche dal fatto che essa è ricompresa nel registro dei tumori;
   come è noto le patologie tumorali danno ai soggetti che ne soffrono il diritto all'esenzione dai ticket sanitari con il codice 048 (per cui l'esenzione è limitata solo alle prestazioni relative al controllo della malattia);
   i pazienti affetti da gammopatia monoclonale sono generalmente seguiti o presso i reparti di ematologia o presso quelli di oncologia, che richiedono periodicamente l'esecuzione di batterie di esami particolarmente onerosi per i pazienti;
   in generale molti specialisti dei suddetti centri non hanno indicazioni chiare in modo da poter rilasciare agli assistiti il certificato attestante la patologia ed il relativo diritto all'esenzione con codice «048»;
   la mancanza o il ritardo nell'esecuzione dei controlli dovuti può comportare per i Pazienti una diagnosi tardiva che potrebbe pregiudicare le possibilità di cura e di sopravvivenza degli stessi e per il servizio sanitario nazionale e l'I.N.P.S. un aggravio di spese per la cura e l'assistenza ai suddetti pazienti, mentre l'individuazione precoce dell'evoluzione negativa della patologia può consentire la cura e la guarigione (senza esiti invalidanti) della malattia –:
   se la patologia citata in premessa risulti essere presente all'interno del testo del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri relativo ai nuovi livelli essenziali di assistenza ovvero quali interventi siano previsti a favore di chi è affetto da questa patologia; (4-08099)


   SILVIA GIORDANO, MANTERO, TOFALO, MICILLO, SIBILIA, LUIGI GALLO, COLONNESE, GRILLO, LOREFICE e PISANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda ospedaliera universitaria OO.RR «San Giovanni di Dio e Ruggi D'Aragona» di Salerno con la deliberazione del direttore generale n. 1030 del 27 novembre 2014 ha approvato il «regolamento per la disciplina dell'orario di lavoro del personale dipendente»;
   l'articolo 7 di sopra citato regolamento disciplina l'istituto del lavoro straordinario stabilendo il limite massimo annuo individuale di lavoro straordinario in 180 ore annue per tutti i dipendenti. Tale limite può essere ulteriormente superate solo previa autorizzazione della direzione aziendale e nel rispetto di un contingente massimo del 5 per cento del personale in servizio e comunque non oltre il limite individuale di 250 ore annue. In sede di contrattazione decentrata possono essere individuate limitate aree/o servizi aziendali per le quali diviene indispensabile garantire i livelli essenziali di assistenza – che, a seguito del blocco del turn over, presentano evidenti carenze di organico – anche attraverso il superamento dei predetti limiti, fatto salvo la preventiva e totale applicazione di tutti gli altri strumenti contrattuali, se previsti nel CCNL di categoria. Le prestazioni devono essere preventivamente comandate dal dirigente responsabile; il comando contestuale o successivo è ammesso esclusivamente nei casi in cui le prestazioni siano imposte da situazioni di emergenza od urgenza (ad esempio nei servizi sanitari in cui occorra disporre la prosecuzione turno o la copertura di turni scoperti per l'assenza improvvisa del lavoratore, come la malattia). La disposizione deve contenere l'indicazione delle attività da svolgere, delle giornate e degli orari nonché l'opzione del dipendente per il recupero o il pagamento;
   le modalità di prestazione del lavoro straordinario, così come specificato nel decreto commissariale n. 23 del 2013, sono da eseguirsi nel rispetto delle disponibilità presenti nel relativo fondo contrattuale e del budget assegnato alla struttura di appartenenza con le connesse modalità di fruizione dei riposi compensativi o recupero orario;
   in data 11 febbraio 2015, al direzione amministrativa e sanitaria dell'azienda ospedaliera universitaria OO.RR. «San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona» di Salerno emanava una circolare (prot. N. 4183/2015) con cui è stato stabilito che nessun dipendente possa superare le 40 ore mensili di straordinario e che «qualsiasi ulteriore necessità di superare il predetto limite individuale di 40 ore per eventi eccezionali ed imprevedibili deve essere autorizzata preventivamente dalla Direzione Strategica previa motivata relazione del responsabile richiedente»;
   la predetta circolare è la conseguenza di una verifica trimestrale dell'azienda al IV trimestre 2014 e di un'analisi dei dati dello straordinario pagato a favore del personale dipendente nel periodo gennaio-novembre 2014, da cui è emerso che «diverse unità di personale, soprattutto del ruolo tecnico, hanno percepito emolumenti per prestazioni straordinarie aggiuntive in palese violazione delle norme contrattuali e di legge nonché di qualsiasi ragionevole esigenza e sfuggendo a qualsiasi controllo da parte degli uffici a ciò deputati»;
   nella circolare della direzione amministrativa e sanitaria dell'azienda ospedaliera e universitaria si evidenzia anche che in particolare, 257 dipendenti (pari all'11,5 per cento del totale del personale di comparto a tempo indeterminato) hanno superato il tetto delle 500 ore pro capite/anno;
   da fonti di stampa del 17 febbraio 2015 – riportando il contenuto della circolare, parla di una spesa sanitaria di circa 4 milioni di euro e di dipendenti «scoperti» ad aver svolto 18 ore di lavoro consecutivo;
   il direttore generale dell'azienda sanitaria, Vincenzo Viggiani, ancora sul Mattino del 17 febbraio 2015, afferma che fermo restando le carenze di personale determinate dal blocco del turn over occorre un intervento, in quanto alcuni sforamenti non sono giustificabili;
   le disposizioni dell'atto aziendale 4183/2015 sono state al centro di un incontro durato circa cinque ore tra il direttore amministrativo del Ruggi, Salvatore Guetta, e le organizzazioni sindacali interne, convocato d'urgenza il 16 febbraio 2015;
   l'incontro si è concluso con la sospensione di suddetto regolamento fino a marzo 2015;
   per i sindacati l'applicazione rigorosa dei contenuti nel documento avrebbe significato di fatto, bloccare le attività di interi reparti dei 5 plessi. A causa della carenza di personale medico, infermieristico e ausiliario, solo il ricorso allo straordinario consente la copertura dei turni;
   nonostante il ricorso al lavoro straordinario ci sono strutture che lavorano a ritmo ridotto, come ad esempio le sale operatorie del plesso di Mercato San Severino dell'ospedale Ruggi d'Aragona, attive solo sei ore al giorno invece di dodici proprio per l'impossibilità di disporre di personale a sufficienza;
   le associazioni sindacali di categoria denunciano che la mancata assunzione di nuovo personale rischia di degenerare in nuova crisi la prossima estate, quando occorrerà garantire i turni di ferie e l'unica soluzione possibile sarà la riduzione dei posti letto;
   vi è inoltre un problema di ricorrente affollamento al pronto soccorso ospedaliero. L'Ordine dei medici di Salerno ricorda che da gran tempo insiste sulla necessità di adeguare gli spazi del pronto soccorso e si interroga su quali sono i veri motivi per cui non si sono ancora completati i lavori già appaltati, oltre alla necessità di integrare il personale medico e infermieristico;
   l'azienda sanitaria ha attualmente una carenza d'organico di circa 300 unità;
   la procura di Salerno ha aperto una indagine sugli straordinari del personale sanitario dell'azienda ospedaliera San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona di Salerno. L'azienda salernitana ha sforato il tetto del fondo destinato agli straordinari con una spesa di 7 milioni e mezzo di euro nel 2014, attestandosi prima nella classifica stilata dalla regione Campania;
   ancora il direttore generale Vincenzo Viggiani, interpellato dal quotidiano La Città di Salerno in data 17 febbraio 2015, non ha escluso l'esistenza di una inchiesta della procura di Salerno sulla questione degli straordinari al Ruggi;
   a parere degli interroganti l'azienda, che si vanta di essere il fiore all'occhiello della sanità salernitana, ha tante ombre grigie da chiarire. Si sono spesi milioni e milioni di euro per appalti e ristrutturazioni che ancora non sono state ultimate. Così come si ricorre troppo facilmente all'utilizzo di consulenze con compensi raddoppiati rispetto a quanto avrebbero dovuto percepire. Le denunce dei sindacati sugli appalti degli ultimi anni non hanno portato ancora a nessun risultato. In compenso, l'azienda continua a registrare una carenza organica di oltre 300 unità, tra operatori socio-sanitari e assistenti sociosanitari;
   con queste conseguenze: il centro trasfusionale, dal prossimo marzo, non potrà garantire più le urgenze e le emergenze se non vengono autorizzati gli straordinari; la sala operatoria di ortopedia è chiusa per allagamento; la terapia iperbarica rischia di chiudere dal prossimo mese per carenza di tecnici. In medicina d'urgenza manca l'operatore ausiliario e c’è un solo Oss per ogni turno, mentre in pediatria si è costretti a ricorrere a rientri pomeridiani –:
   di quali elementi disponga il Ministro, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, in relazione a quanto esposto in premessa con particolare riguardo all'asserito sforamento del fondo contrattuale legato agli straordinari e all'eventuale nesso di causalità tra la carenza di organico e le carenze igienico-sanitarie dei reparti;
   quali iniziative di competenze si intendano adottare per ovviare al blocco del turn over di fronte ad uno spopolamento di risorse interne nei vari reparti;
   se, alla luce dei fatti esposti in premessa, non ritenga necessario assumere ogni ulteriore iniziativa per assicurare i livelli essenziali di assistenza e la stabilità finanziaria della sanità campana.
(4-08105)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   l'articolo 3 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, come modificato dalla legge di conversione 30 ottobre 2013, n. 125, recante «disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni» interviene in materia di trattamento economico dei dirigenti delle società partecipate;
   la norma prevede che nella regolamentazione del rapporto di lavoro di tali dirigenti, le società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, o dai loro enti strumentali – ad esclusione di quelle emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e delle società dalle stesse controllate – non possono inserire, in assenza di preventiva autorizzazione dei medesimi enti o amministrazioni, clausole contrattuali che al momento della cessazione del rapporto prevedano per i soggetti di cui sopra benefici economici superiori a quelli derivanti ordinariamente dal contratto collettivo di lavoro applicato;
   in particolare, dette clausole, inserite nei contratti in essere, sono nulle qualora siano state sottoscritte, per conto delle stesse società, in difetto dei prescritti poteri o deleghe in materia (comma 7-bis);
   come concepita la disposizione citata appare, anche a giudizio dell'ANCI, di complessa lettura in quanto non è chiaro il regime transitorio, ossia se ed in che termini la stessa trovi applicazione anche ai contratti in essere alla data di entrata in vigore della medesima –:
   se non ritenga di assumere iniziative per chiarire la portata del dettato normativo in questione che risulta dubbia nella sua interpretazione al fine di evitare inutili e costosi contenziosi per i cittadini per quanto riguarda i loro diritti già acquisiti;
   quante e quali siano le società interessate dalla norma citata.
(2-00859) «Fauttilli, Dellai».

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   Finmeccanica, sotto il profilo economico e occupazionale, costituisce, per il Paese, il gruppo di punta nel settore dell'alta tecnologia per l'industria meccanica e aerospaziale civile e militare;
   il gruppo versa da anni in una situazione di difficoltà determinata da una serie di fattori, che possono riassumersi nel forte indebitamento, nel generalizzato calo delle commesse militari, ma, soprattutto, in carenze gestionali e organizzative dei vertici manageriali, culminate, peraltro, finanche in inchieste giudiziarie, incapaci di assicurare il necessario rilancio industriale del gruppo;
   sino allo scorso anno è sembrato che il progetto di risanamento del gruppo si incentrasse, sostanzialmente, su un piano di dismissioni e di cessioni di interi comparti produttivi, quali Ansaldo Breda, Ansaldo STS e Ansaldo Energia, orientando gli interventi al rafforzamento del settore difesa, privilegiandolo rispetto a quello civile, senza una precisa individuazione delle azioni di rilancio del settore della meccanica spaziale per usi civili e del settore ferroviario;
   il progetto di risanamento del gruppo Finmeccanica, di indubbio rilievo su scala nazionale, ha un impatto di enorme portata per l'intero meridione e per la regione Campania in particolare, ove risultano allocati un settore aerospaziale, un settore della manutenzione aeronautica, un settore progettazione, realizzazione e manutenzione del trasporto ferroviario, un settore elettronico per la difesa;
   ciò nonostante, nelle strategie sin qui rese note dal precedente management del gruppo, non risultano, in realtà, perseguiti progetti di valorizzazione delle pur pregevoli realtà industriali esistenti in Campania, né tanto meno risulta previsto il rilancio di quelle attività che, pur in attuale crisi, potrebbero, non di meno, se correttamente riprogrammate, fattivamente concorrere al superamento della crisi dell'intero gruppo Finmeccanica;
   si è assistito, invece, alla metodica, quanto ingiustificata, sottrazione di tutte le Direzioni Centrali presenti in Campania, e più in generale al Sud, per essere assegnate ai siti allocati nel Centro-Nord, oltre che alla sostanziale delocalizzazione verso il Centro-Nord di specifiche attività e produzioni; non risulta né confermato, né aggiornato e implementato il percorso di risanamento/rilancio previsto per le aziende del gruppo presenti in Campania, e cioè la Selex ES, con gli stabilimenti di Giugliano e Bacoli-Fusaro, la Alenia Aermacchi con gli stabilimenti di Nola, Pomigliano e Napoli Capodichino, la Ansaldo Breda e Ansaldo STS, con lo stabilimento di Napoli;
   con riferimento alla Selex ES-Selex Electronic Systems, le attività della società hanno visto un progressiva crescita, fra il 2000 e il 2013, tanto che all'atto della fusione, nel 2013 appunto, tra le società Selex ES, Elsag e Galileo, lo stabilimento campano allocato a Giugliano contava di ben 480 unità lavorative, il settore Logistica risultava coinvolto in tutte le attività industriali di Selex-SI, con un ruolo di prime contractor con clienti istituzionali (Esercito, Aeronautica e Marina);
   lo storico impianto industriale del Fusaro (Bacoli) invece contava prima della fusione del 2013 circa 520 unità impiegate in attività che spaziavano dall'industrializzazione al collaudo di sistemi radar, di progettazione software e sistemistica per integrazione, ma il piano di riassetto ha fortemente ridimensionato l'organico, con una perdita di occupazione di oltre un quarto della forza lavoro, vicino ormai alla soglia critica per il corretto funzionamento dei processi, ridotto gli investimenti e ridimensionato il ruolo dello stabilimento nell'ambito delle attività di produzione e progettazione specializzandolo di fatto in attività di assemblaggio finale che da un punto di vista tecnologico hanno una minore importanza;
   data la funzione rilevante in termini di R&S nel settore dell’high tech e dei servizi ad alta conoscenza il contributo della Selex ES, e più in generale di tutte le aziende del gruppo Finmeccanica, all'economia territoriale assume valenza strategica quale strumento per le politiche di rilancio industriale dell'intera filiera presente nell'area. In ragione delle caratteristiche strutturali dell'economia dell'area il riassetto appare come l'avvio di un processo di dell'industrializzazione piuttosto che di razionalizzazione dell'apparato industriale;
   in entrambi i detti stabilimenti di Giugliano e Fusaro (Bacoli), inoltre, risultava presente una qualificata componente ingegneristica, impegnata, fra l'altro in attività di ricerca sulle nuove tecnologie applicate, in collaborazione con il mondo universitario, anche nel settore del controllo del traffico aereo;
   la regione Campania non ha dato seguito agli impegni assunti nelle sedi istituzionali e non risulta aver approvato il contratto di programma presentato da Selex ES, incentrato su innovazione di prodotto da utilizzare come pilota per i nuovi sistemi radar per le Marine di tutto il mondo;
   nonostante le positive prestazioni ora dette, con il Piano industriale del giugno 2013 varato a seguito della fusione, sebbene la produzione dei radar PAR sia stata trasferita al Fusaro da Nerviano (Milano) e Giugliano sia diventato Centro di eccellenza per la microelettronica, non si è dato alcun impulso a ulteriori sviluppi delle attività svolte nei siti di Giugliano e Fusaro (Bacoli), ma non è stata neppure realizzata, presso il sito di Giuliano, la prevista direzione centrale logistica;
   come dimostrano le riuscite esperienze di sinergie tra Governi e aziende di altri Paesi occidentali, l'obiettivo anzidetto rimarrebbe utopia senza un forte supporto istituzionale visto che il piano di dimensionamento degli organici previsto dal citato Piano industriale è condizionato al mantenimento e sviluppo dei Programmi in corso con il sostegno del Governo italiano; il mantenimento e/o l'ampliamento dei livelli occupazionali dei due stabilimenti campani dipendono dall'attuazione di alcuni programmi del Ministero della difesa, in particolare la legge navale (FREMM) e Forza NEC (incluso Soldato Futuro), con l'obiettivo che Selex ES diventi un importante strumento di politica industriale per l'Italia;
   con riferimento alla Alenia Aermacchi, dopo la chiusura degli stabilimenti di Casoria in Campania e della sede di Roma, è stata affidata allo stabilimento di Venezia la manutenzione del velivolo militare AWACS, mentre dal 2015, lo stesso sito veneziano si occuperà delle lavorazioni degli ATR versioni speciali, sinora effettuate presso il sito di Napoli-Capodichino;
   lo spostamento delle lavorazioni degli ATR speciali da Capodichino a Venezia potrebbe, in realtà, preludere alla stessa chiusura dello stabilimento Alenia Aermacchi di Napoli, dove attualmente si effettuano lavorazioni di assemblaggio di fusoliere del c27j (aereo da trasporto militare che occupa un notevole segmento del mercato mondiale dei velivoli da trasporto militare), considerato che il detto spostamento causerà, inevitabilmente, una diminuzione dell'attività a Capodichino, laddove non fosse concretizzato il progetto del nuovo velivolo turboelica che Alenia Aermacchi si proponeva di realizzare proprio in Campania, progetto del quale non è dato conoscere gli effettivi sviluppi;
   con riferimento al piano industriale 2011 e alle intenzioni manifestate successivamente dall'Alenia Aermacchi era previsto il lancio del nuovo velivolo regionale NGPT (New Generation Turbo Prop) di cui, tuttavia, non si sono più avute notizie;
   non si stanno, peraltro, realizzando i previsti ampliamenti di organici di ingegneria di progettazione nello stabilimento di Pomigliano, baricentro del progetto del nuovo velivolo;
   con riferimento ad MBDA, consorzio europeo costruttore di missili e tecnologie per la Difesa, joint venture costituita da Bae systems (37,5 per cento), Airbus Group (37,5 per cento) e Finmeccanica (25 per cento) con l'intento di valorizzare i propri centri di eccellenza e tentare di gestire un processo di concentrazione industriale in ambito transazionale, è presente in Campania attraverso Finmeccanica con lo stabilimento di produzione MBDA del Fusaro (Bacoli);
   risulta preoccupante l'incertezza del Governo italiano in ordine al finanziamento di alcuni importanti programmi legati alle evoluzioni tecniche dell'Aster (BLOCK INT’, BLOCK 2) in ragione sia del fatto che il finanziamento di tali programmi costituirebbe un elemento strategico per assicurare la presenza industriale italiana nel settore, sia di sostegno al ruolo che questa riveste all'interno del consorzio;
   la realizzazione di tali programmi vedono lo stabilimento di Fusaro (Bacoli) rappresentare un elemento centrale e di snodo di tutte le attività di progetto e produzione con un enorme impatto sul territorio;
   MBDA, da ultimo, ha sottoscritto, con INVITALIA, un contratto di sviluppo per il potenziamento e l'ampliamento degli stabilimenti dell'area industriale napoletana, al fine di realizzare sia progetti di sviluppo industriale, sia progetti di ricerca e sviluppo sperimentale industriale, con il coinvolgimento di Atenei campani; il che implica l'impiego di risorse pubbliche, in contraddizione, perciò, con le notizie apparse sulla stampa, mai smentite ufficialmente dalla proprietà, circa la volontà di dismissione italiana della quota di partecipazione al consorzio;
   con riferimento alla Ansaldo STS, che opera nel settore «Impianti e sistemi ferroviari», sembra trovare conferma il progetto di vendita della società, nel quadro della dismissione delle produzioni del settore civile di Finmeccanica;
   in Italia gli stabilimenti della società sono allocati a Napoli, Genova, Piossasco (TO), Tito (PZ) e impiegano circa 1.500 dipendenti, 600 dei quali sono impiegati nel sito di Napoli, cui vanno sommati, per valutare il peso della detta attività in Campania, le unità di personale delle numerose aziende operanti nell'indotto, la Ansaldo STS, dunque, rappresenta una realtà industriale assolutamente centrale nel contesto campano;
   per quel che riguarda l'Ansaldo Breda, che realizza veicoli per il trasporto ferroviario leggero, pesante, metropolitano, suburbano, regionale, alta velocità, stabilimenti sono allocati a Napoli, Pistoia, Reggio Calabria, Palermo, con circa 2200 dipendenti, 850 dei quali impiegati a Napoli, cui vanno sommati, per valutare il peso della detta attività in Campania, le circa 2.000 unità di personale delle aziende operanti nell'indotto;
   la Ansaldo Breda presenta una situazione decisamente critica, sotto il profilo finanziario e industriale, in aperto contrasto con l'andamento del mercato mondiale dei veicoli ferrotranviari che risulta, al contrario, in continua espansione (si stima ammonti a circa 20 miliardi di euro), tanto da rendere assolutamente incomprensibile il progetto di progressivo disimpegno del gruppo da questo specifico mercato, in luogo di definire un adeguato piano industriale che valorizzi e rilanci la filiera nazionale del trasporto su ferro;
   gli annunciati progetti di vendita o dismissione di asset come Ansaldo Breda e Ansaldo STS si traducono, in realtà, nella dichiarata rinuncia a un patrimonio tecnologico e industriale strategico di primaria importanza per l'intero Paese, con nefaste conseguenze in termini di prospettive occupazionali per i lavoratori tutti impiegati in dette società, e con ripercussioni particolarmente gravi per le regioni meridionali, dove sarebbe messa a rischio la stessa sopravvivenza dei pochi comparti industriali tutt'ora, esistenti;
   per la Campania, in particolare, la rinuncia e il mancato rilancio di aziende di sicura eccellenza, talune leader del mercato mondiale, come appunto Ansaldo Breda (unico progettista e costruttore a ciclo integrato di treni ad alta velocità, treni pendolari, tram, metropolitane leggere e pesanti), unita alla sostanziale sinecura del lavoro di produzione e ricerca della Selex ES-Selex Electronic Systems, realizzato anche in stretto rapporto con le Università campane, penalizzano irrimediabilmente territori già strutturalmente deficitari di realtà produttive diversificate e efficienti, esponendo, al tempo stesso, anche per questa via, l'intero Paese alle ingerenze della speculazione finanziaria internazionale;
   visto l'insediamento del nuovo management del gruppo, la recente adozione delle linee-guida intese, fra l'altro, al cospicuo rilancio industriale del gruppo stesso e la prevista presentazione, in autunno, del nuovo piano industriale Finmeccanica;
   considerato il ruolo centrale che il Governo ha espressamente assegnato alla soluzione degli squilibri economico-sociali tutt'ora esistenti tra il Sud e il resto del Paese, nel quadro della ripresa economica nazionale, del superamento del forte tasso di disoccupazione, della crescita delle produzioni e degli scambi nazionali e internazionali –:
   quali siano gli orientamenti in merito a quanto esposto in premessa, atteso che le questioni sollevate coinvolgono importanti imprese industriali del Paese;
   se e quali azioni concrete il Governo, in qualità di azionista di riferimento di Finmeccanica, nell'ambito delle proprie competenze, intenda porre in essere affinché il piano industriale in corso di elaborazione, che il nuovo management della società ha annunciato di voler presentare nel prossimo autunno, vada nella direzione dello sviluppo e del rilancio produttivo dei settori e degli stabilimenti esistenti, costituenti risorsa strategica irrinunciabile per il Mezzogiorno e per l'intero Paese, se del caso attraverso precisi orientamenti di politica industriale e finanziaria, anche in ordine alla inopportunità di cessione degli asset civili di Finmeccanica;
   quali iniziative intenda adottare al fine di tutelare e incentivare la competitività economico-industriale delle società del gruppo allocate in Campania.
(2-00857) «Valeria Valente, Cinzia Maria Fontana, Roberta Agostini, Amendola, Bonavitacola, Bossa, Carloni, Chaouki, Coccia, Di Lello, Epifani, Fassina, Famiglietti, Impegno, Tino Iannuzzi, Manfredi, Palma, Paris, Giorgio Piccolo, Salvatore Piccolo, Rostan, Sgambato, Tartaglione, Vaccaro, Valiante».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIVATI e PASTORINO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito delle politiche europee sul tema clima-energia, l'efficienza energetica è considerata la strategia più efficace per l'adempimento degli impegni presi a livello internazionale e per il raggiungimento degli obiettivi al 2020 e al 2030 posti in sede comunitaria;
   l'efficienza energetica deve essere vista alla stregua di un'attività infrastrutturale che, per l'impatto economico, sociale e ambientale che produrrà, è altamente strategica e, inoltre, «autoliquidante», in quanto il risparmio energetico ed economico che genera permette di ripagare l'investimento iniziale;
   il 19 luglio 2014 è entrato in vigore il decreto legislativo n. 102 del 4 luglio 2014 di recepimento della direttiva 2012/27/UE;
   il decreto-legge n. 91 del 2014, convertito dalla legge 116 del 2014, all'articolo 9, ha previsto l'utilizzo di 350 milioni di elio (precedentemente allocati al Fondo Kyoto) al fine di concedere finanziamenti a tasso agevolato ai soggetti pubblici competenti, al fine di realizzare interventi di incremento dell'efficienza energetica negli usi finali dell'energia degli edifici scolastici, degli asili nido e universitari;
   precedentemente, il decreto-legge n. 52 del 2012, convertito dalla legge n. 94 del 2012, all'articolo 14, riconosceva l'importanza del ricorso a misure di efficienza energetica come mezzo fondamentale per la riduzione della spesa pubblica, stabilendo che le amministrazioni pubbliche, entro il 9 maggio 2014, adottassero misure finalizzate al contenimento dei consumi di energia e all'efficientamento degli usi finali della stessa;
   i principali effetti, che l'attuazione concreta di tali normative comporterà, avranno sia valenza economica, poiché si ridurranno i costi del sistema energetico dello Stato, che occupazionale, in quanto deriveranno immediati incrementi del numero dei posti di lavoro, oltre che ambientali per la riduzione delle emissioni dei gas climalteranti in atmosfera;
   il 9 gennaio 2015, con decreto interministeriale, è stata istituita la cabina di regia tra Ministero dello sviluppo economico e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   il decreto legislativo n. 102 del 2014, per essere efficacemente attuato in molti degli aspetti che disciplina, demanda al Ministero dello sviluppo economico l'emanazione di specifici atti, che, però, sono fortemente in ritardo rispetto ai tempi previsti;
   quanto previsto dall'articolo 9 del decreto-legge n. 91 del 2014, convertito dalla legge n. 116 del 2014 risulta non attuato;
   quanto previsto dall'articolo 14 del decreto-legge n. 52 del 2012, convertito dalla legge n. 94 del 2012, risulta non completamente attuato –:
   con quali tempi il Governo, anche alla luce dell'istituita cabina di regia, intenda regolare i seguenti aspetti nell'ambito del decreto legislativo n. 102 del 2014:
    a) la predisposizione del programma di interventi per la pubblica amministrazione centrale (vista la scadenza del 30 novembre 2014, ai sensi dell'articolo 5, comma 2 del decreto legislativo 102 del 2014);
    b) l'emanazione del decreto che definisce le modalità per l'esecuzione del programma di interventi per la pubblica amministrazione centrale (vista la scadenza del 18 agosto 2014, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del decreto legislativo n. 102 del 2014);
    c) l'emanazione del decreto interministeriale per la definizione dell'importo da versare per l'integrazione dello stanziamento sul Fondo per il teleriscaldamento vista la scadenza del 18 agosto 2014, ai sensi dell'articolo 5, comma 12, lettera a), del decreto legislativo n. 102 del 2014;
    d) l'emanazione del decreto interministeriale di aggiornamento delle linee guida del sistema dei titoli di efficienza energetica (vista la scadenza del 16 novembre 2014, ai sensi dell'articolo 7, comma 5, del decreto legislativo n. 102 del 2014 e vista anche la precedente scadenza del 1o luglio 2013 ai sensi dell'articolo 6, comma 2, del decreto del Ministro dello sviluppo economico del 28 dicembre 2012);
    e) la pubblicazione del bando per il cofinanziamento di programmi presentati dalle regioni finalizzati a sostenere la realizzazione di diagnosi energetiche nelle piccole e medie imprese o l'adozione nelle piccole e medie imprese di sistemi di gestione conformi alle norme ISO 50001 (vista la scadenza del 31 dicembre 2014, ai sensi dell'articolo 8, comma 9 del decreto legislativo n. 102 del 2014);
    f) l'approvazione degli schemi di certificazione e accreditamento per la conformità alle norme tecniche in materia di ESCO, esperti in gestione dell'energia, sistemi di gestione dell'energia e diagnosi energetiche (prevista a partire dal 1o gennaio 2015, ai sensi dell'articolo 12, comma 1, del decreto legislativo n. 102 del 2014);
    g) l'emanazione del decreto interministeriale per approvare le linee guida per semplificare ed armonizzare le procedure autorizzative per l'installazione in ambito residenziale e terziario di impianti o dispositivi tecnologici per l'efficienza energetica e per lo sfruttamento delle fonti rinnovabili nonché per armonizzare le regole sulla attestazione della prestazione energetica degli edifici, i requisiti dei certificatori e il sistema dei controlli e delle sanzioni (vista la scadenza del 15 gennaio 2015, ai sensi dell'articolo 14, comma 5 del decreto legislativo n. 102 del 2014);
    h) l'emanazione del decreto interministeriale per individuare le priorità, i criteri, le condizioni e le modalità di funzionamento, di gestione e di intervento del fondo nazionale per l'efficienza energetica, nonché le modalità di articolazione per sezioni, e le relative prime dotazioni (vista la scadenza del 17 ottobre 2014, ai sensi dell'articolo 15, comma 5 del decreto legislativo n. 102 del 2014), strumento fondamentale per lo sviluppo del settore;
   con quali tempi si intenda emanare il decreto interministeriale di individuazione dei criteri, delle modalità di concessione, di erogazione e di rimborso dei finanziamenti a tasso agevolato, nonché delle caratteristiche di strutturazione dei fondi e dei progetti di investimento ai sensi di quanto previsto dall'articolo 9 del decreto-legge n. 91 del 2014 convertito dalla legge n. 116 del 2014 (vista la scadenza del 23 settembre 2014);
   in che modo, con quali tempi e con quali risorse, il Governo intenda procedere al fine di dare piena attuazione all'articolo 14 del decreto-legge n. 52 del 2012, convertito dalla legge n. 94 del 2012.
(5-04805)


   CRIPPA, DA VILLA e VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che il disegno di legge annuale di concorrenza recherebbe, tra le disposizioni, l'eliminazione del servizio di maggior tutela del settore elettrico entro il 30 giugno 2015 per le piccole e medie imprese ed entro il 30 giugno 2016 per i consumatori domestici, oltre all'eliminazione del servizio di tutela anche nel gas a partire dal 30 giugno 2015;
   il citato disegno di legge prevede inoltre il monitoraggio dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas e il sistema idrico sulla variazione dei prezzi offerti ai clienti nei sei mesi precedenti e nei dodici successivi al dispiegamento degli effetti della misura di eliminazione delle citate tutele;
   le associazioni dei consumatori hanno all'unisono sollevato un forte allarme rispetto agli effetti che potrebbe determinare l'eliminazione della maggior tutela nel settore dell'energia, considerato l'attuale assetto del settore;
   le associazioni dei consumatori hanno in particolare argomentato che nel settore elettrico «il superamento del Mercato Tutelato eliminerebbe sia il meccanismo dei prezzi di riferimento fissati dall'Autorità per i consumatori domestici, che impedisce comportamenti collusivi fra gli operatori, sia l'azione dell'Acquirente Unico. La fine del ruolo dell'Acquirente Unico che, per suo tramite, consente la partecipazione al mercato all'ingrosso anche dei clienti domestici del Mercato Tutelato, e che fino ad oggi ha comprato a prezzi concorrenziali, assicurando una efficace tutela di prezzo ai piccoli clienti elettrici determinerebbe un significativo passo indietro dal punto di vista della concorrenza, con la facile previsione che la prima conseguenza sarà un aumento dei prezzi dell'elettricità per i clienti domestici»;
   le associazioni dei consumatori osservano che, dovendo a quel punto per forza scegliere un fornitore sul mercato libero, «la stragrande maggioranza dei consumatori semplicemente rimarrà con il suo fornitore di sempre, ovvero quello collegato alla Società di Distribuzione»;
   le associazioni dei consumatori pertanto sostengono che saranno soprattutto i piccoli consumatori, più vulnerabili, i più esposti, in quanto meno capaci di valutare tutte le clausole di un contratto e privi di forza contrattuale, non compensabile dal semplice monitoraggio di tali prezzi da parte dell'Autorità per l'energia e/o da quella per la concorrenza, in assenza del benchmark ben visibile del prezzo di acquirente unico;
   il presidente dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas e il sistema idrico, in recenti interventi, ricordando che la liberalizzazione del mercato è già stata attuata nel 2007, ha ribadito che i piccoli consumatori non sono ancora pronti ad uscire dalla tutela di prezzo, tenuto conto della debolezza della domanda, a causa delle asimmetrie informative e dalla mancanza di forza contrattuale. Ancor più in particolare, Bortoni in un'intervista sul Correre della Sera dell'8 febbraio 2015 ha precisato «il valore aggiunto della maggior tutela» che «dà alle famiglie un segnale di prezzo concreto e praticabile. Se lo si eliminasse tra un anno potremmo ritrovarci a chiedere se i consumatori domestici paghino o meno un prezzo congruo per l'elettricità, e non avremmo più un riferimento di mercato a cui guardare»;
   il recente rapporto pubblicato dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas e il sistema idrico, recanti gli esiti dell'ultimo monitoraggio svolto sui mercati retail per l'energia, rileva che nel mercato libero i clienti domestici pagano prezzi notevolmente maggiori rispetto a quelli che la stessa tipologia di clienti paga in tutela: infatti, solo nel 2013 i prezzi medi nel libero risultano superiori del 15/20 per cento rispetto a quelli della tutela, confermando la tendenza già emersa nei precedenti monitoraggi;
   nel citato rapporto, peraltro, la stessa Autorità per l'energia elettrica e il gas e il sistema idrico evidenzia che circa il 60 per cento dei consumatori che passano al mercato libero sceglie il venditore dello stesso gruppo che aveva in tutela;
   sempre dall'ultimo monitoraggio dell'Autorità di settore emerge un'elevata reclamosità nel mercato libero rispetto al tutelato;
   dall'ultima relazione annuale della medesima autorità risulta che l'operatore dominante verticalmente integrato detiene una quota di mercato nella vendita al domestico del 7 per cento, seguito da altri due operatori che raggiungono nel complesso circa il 7 per cento dell'energia venduta;
   quanto sopra riportato porta a ritenere che nell'attuale assetto di mercato elettrico italiano non sono presenti tutte le condizioni di fondo necessarie per l'eliminazione delle tutele di prezzo a favore dei piccoli consumatori di energia –:
   se trovi conferma che con il disegno di legge annuale sulla concorrenza o con altri provvedimenti di prossima presentazione, il Governo intenda procedere alla eliminazione delle tutele di prezzo nel settore elettrico e del gas, previste dal decreto-legge 18 giugno 2007, n. 73, convertito dalla legge 3 agosto 2007, n. 125, e regolate dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas e il sistema idrico;
   se il Governo abbia tenuto in considerazione i preoccupanti dati dell'ultimo monitoraggio sul mercato retail di settore e la stessa posizione dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas e il sistema idrico, come manifestata anche in recenti interventi, a mezzo stampa, del suo presidente, Guido Bortoni, in merito alla funzione della tutela vigente nel mercati dell'energia elettrica e del gas e al segnale effettivo di prezzo reso al consumatore tramite gli acquisti acquirente unico;
   quali siano le iniziative che il Governo intende adottare al fine di impedire che interventi teoricamente volti alla liberalizzazione del mercato si traducano nei fatti in favori agli operatori, per rafforzare posizioni dominanti o comunque scaricare l'aggiustamento dei conti delle aziende sui consumatori;
   come il Governo intenda coniugare la sua intenzione più volte manifestata di voler ridurre la bolletta degli italiani con l'adozione di una misura, quale l'abolizione della maggior tutela, che invece produce, nelle attuali condizioni di mercato, l'esatto effetto contrario, facendo aumentare i prezzi per circa 21 milioni di famiglie;
   come il Governo intenda garantire la qualità del servizio degli esercenti, data la preoccupante elevata reclamosità che lo stesso regolatore continua a denunciare sul mercato libero, e non solo per le pratiche commerciali scorrette. (5-04808)


   CAPARINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane è una azienda pubblica controllata dal Governo italiano che presenta un consolidato bilancio in attivo. Negli ultimi tre anni l'utile di esercizio è pari a una media di un miliardo di euro l'anno. Poste italiane riceve significativi contributi da parte dello Stato per consentire l'erogazione dei servizi essenziali e in modo particolare per gli uffici postali periferici;
   l'azienda nel mese di dicembre 2014 ha presentato un piano strategico che prevede la chiusura di 455 uffici postali e la riduzione degli orari di apertura per 608 uffici. Questa scelta, se attuata, causerà gravi disagi soprattutto per i residenti anziani o con difficoltà motorie oltre che per le imprese nelle zone colpite dalla scelta;
   la normativa vigente attribuisce all'Autorità per la garanzia nelle comunicazioni (Agcom) il potere di determinare i criteri per l'individuazione degli uffici postali sul territorio nazionale necessari ad assicurare una regolare fornitura del servizio universale;
   il criterio guida per la distribuzione degli uffici postali è costituito, in base alla normativa vigente, dalla distanza massima di accessibilità al servizio espressa in chilometri percorsi dall'utente per recarsi al presidio più vicino e sono fissate diverse soglie di copertura tutte riferite alla popolazione residente sull'intero territorio nazionale. Si prescrive, inoltre, l'operatività di almeno un ufficio postale nel 96 per cento dei comuni italiani e nei comuni con un unico presidio postale in cui non è consentita la soppressione degli uffici si impone una apertura al pubblico degli uffici non inferiore a 3 giorni e a 18 ore settimanali;
   la delibera Agcom del giugno 2014 prevede criteri ulteriori di distribuzione degli uffici postali con divieto di chiusura di uffici situati in comuni rurali che rientrano anche nella categoria dei comuni montani e di uffici che sono presidio unico nelle isole minori;
   Poste italiane per pianificare annualmente eventuali interventi di chiusura o rimodulazione oraria degli uffici postali dovrebbe informare, cosa che non avviene mai, con congruo anticipo, gli enti territoriali interessati e naturalmente l'Agcom;
   il processo di razionalizzazione avviato negli ultimi anni dalla società Poste italiane spa ha portato alla chiusura di motti uffici e al ridimensionamento degli orari di apertura degli sportelli, causando notevoli difficoltà nella gestione operativa degli uffici e generando una diminuzione della qualità del servizio fornito alla clientela, argomenti oggetto di atti di sindacato ispettivo a firma dell'interrogante, anche nella passata legislatura;
   Poste Italiane sta continuando su questa linea e nel piano di riorganizzazione nazionale si prevede per la Lombardia la riorganizzazione di circa 180 uffici postali dei quali circa 121 soggetti a ridimensionamento e altri 61 a rischio chiusura. Per la provincia di Brescia pare sia prevista la chiusura di circa 10 uffici e l'apertura a giorni alterni per altri 8 – si parla di tre giorni a settimana a fronte delle attuali aperture quotidiane – per un totale di 18 uffici;
   la lista degli uffici postati da chiudere o ridimensionare non è ancora stata ufficialmente diffusa da Poste Italiane ma da indiscrezioni di stampa risulta che sedici sportelli postali in provincia di Brescia chiuderanno o saranno aperti solo tre giorni la settimana. In provincia di Brescia chiudono le sedi di Botticino Mattina, Castelletto di Leno, Mazzano, Provezze di Provaglio d'Iseo, Brozzo di Marcheno, Cogno di Piancogno, Cogozzo di Villa Carcina e Magno di Gardone Valtrompia e i cui cittadini dovranno rivolgersi ad altri sportelli di frazioni o comuni vicini. A giorni alterni, invece, saranno aperti quelli di San Martino della Battaglia a Desenzano, San Pancrazio a Palazzolo, Incudine in Valcamonica, ma anche Maderno, Ono San Pietro, Ponte Caffaro a Bagolino, Prestine e Valvestino descritte da Poste Italiane come sedi «inefficienti, antieconomiche e che non svolgono un numero sufficiente di operazioni da giustificarne costi di personale e di sede»;
   i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale;
   con la soppressione di ufficio o del suo ridimensionamento i primi a pagarne le conseguenze saranno gli utenti, soprattutto le categorie più deboli;
   nella frazione di Ponte Caffaro a Bagolino (provincia di Brescia) a partire dal 13 aprile 2015 sarà modificato l'orario di apertura al pubblico dell'ufficio postale con l'apertura a giorni alterni anziché giornaliera come previsto attualmente;
   la giustificazione di Poste Italiane è nella necessità di adeguare l'offerta all'effettiva domanda dei servizi postali nel territorio;
   è evidente che ci sia una reale quanto imprescindibile necessità di orientare la gestione dei servizi alla sostenibilità economica a scapito del mantenimento di alcuni presidi, soprattutto in zone periferiche come possono essere le frazioni dei comuni che anche a causa di questi processi di razionalizzazione saranno così sempre più soggette all'abbandono. Al fine di garantire un livello di servizio adeguato ai cittadini, Poste italiane deve tener conto delle particolari esigenze da garantire alle frazioni dei comuni;
   la frazione di Ponte Caffaro del comune di Bagolino (provincia di Brescia) conta 2.136 abitanti quindi una densità abitativa di particolare consistenza –:
   se non si intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché tra i giorni determinati ci sia anche il sabato;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per garantire che il servizio postale universale si conformi ai principi di appropriatezza e qualità anche nelle frazioni dei comuni come quella di Ponte Caffaro;
   quali iniziative, per quanto di sua competenza, intenda intraprendere al fine di scongiurare la possibile chiusura di uffici postali e/o il ridimensionamento di orario, come per la frazione di Ponte Caffaro, per garantire l'erogazione, in particolar modo in un momento così difficile per l'economia e soprattutto in zone che sono già disagiate a causa della loro posizione territoriale, di un servizio efficiente ai cittadini e alle attività produttive che operano nella provincia di Brescia.
(5-04820)


   CAPARINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane è una azienda pubblica controllata dal Governo italiano che presenta un consolidato bilancio in attivo. Negli ultimi tre anni l'utile di esercizio è pari a una media di un miliardo l'anno. Poste italiane riceve significativi contributi da parte dello Stato per consentire l'erogazione dei servizi essenziali e in modo particolare per gli uffici postali periferici;
   l'azienda  nel mese di dicembre 2014 ha presentato un piano strategico che prevede la chiusura di 455 uffici postali e la riduzione degli orari di apertura per 608 uffici. Questa scelta, se attuata, causerà gravi disagi soprattutto per i residenti anziani o con difficoltà motorie oltre che per le imprese nelle zone colpite dalla scelta;
   la normativa vigente attribuisce all'Autorità per la garanzia nelle comunicazioni (AGCOM) il potere di determinare i criteri per l'individuazione degli uffici postali sul territorio nazionale necessari ad assicurare una regolare fornitura del servizio universale;
   il criterio guida per la distribuzione degli uffici postali è costituito, in base alla normativa vigente, dalla distanza massima di accessibilità al servizio espressa in chilometri percorsi dall'utente per recarsi al presidio più vicino e sono fissate diverse soglie di copertura tutte riferite alla popolazione residente sull'intero territorio nazionale. Si prescrive, inoltre, l'operatività di almeno un ufficio postale nel 96 per cento dei comuni italiani e nei comuni con un unico presidio postale in cui non è consentita la soppressione degli uffici si impone una apertura al pubblico degli uffici non inferiore a 3 giorni e a 18 ore settimanali;
   la delibera Agcom del giugno 2014 prevede criteri ulteriori di distribuzione degli uffici postali con divieto di chiusura di uffici situati in comuni rurali che rientrano anche nella categoria dei comuni montani e di uffici che sono presidio unico nelle isole minori;
   Poste italiane per pianificare annualmente eventuali interventi di chiusura o rimodulazione oraria degli uffici postali dovrebbe informare, cosa che non avviene mai, con congruo anticipo, gli enti territoriali interessati e naturalmente l'Agcom;
   il processo di razionalizzazione avviato negli ultimi anni dalla società Poste italiane spa ha portato alla chiusura di molti uffici e al ridimensionamento degli orari di apertura degli sportelli, causando notevoli difficoltà nella gestione operativa degli uffici e generando una diminuzione della qualità del servizio fornito alla clientela, argomenti oggetto di atti di sindacato ispettivo a firma dell'interrogante, anche nella passata legislatura;
   Poste Italiane sta continuando su questa linea e nel piano di riorganizzazione nazionale si prevede per la Lombardia la riorganizzazione di circa 180 uffici postali dei quali circa 121 soggetti a ridimensionamento e altri 61 a rischio chiusura. Per la provincia di Brescia pare sia prevista la chiusura di circa 10 uffici e l'apertura a giorni alterni per altri 8 – si parla di tre giorni a settimana a fronte delle attuali aperture quotidiane – per un totale di 18 uffici;
   la lista degli uffici postali da chiudere o ridimensionare non è ancora stata ufficialmente diffusa da Poste Italiane, ma da indiscrezioni di stampa risulta che sedici sportelli postali in provincia di Brescia chiuderanno o saranno aperti solo tre giorni la settimana. In provincia di Brescia chiudono le sedi di Botticino Mattina, Castelletto di Leno, Mazzano, Provezze di Provaglio d'Iseo, Brozzo di Marcheno, Cogno di Piancogno, Cogozzo di Villa Carcina e Magno di Gardone Valtrompia e i cui cittadini dovranno rivolgersi ad altri sportelli di frazioni o comuni vicini. A giorni alterni, invece, saranno aperti quelli di San Martino della Battaglia a Desenzano, San Pancrazio a Palazzolo, Incudine in Valcamonica, ma anche Maderno, Ono San Pietro, Ponte Caffaro a Bagolino, Prestine e Valvestino descritte da Poste Italiane come sedi «inefficienti, antieconomiche e che non svolgono un numero sufficiente di operazioni da giustificarne costi di personale e di sede»;
   i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale;
   con la soppressione di ufficio o del suo ridimensionamento i primi a pagarne le conseguenze saranno gli utenti, soprattutto le categorie più deboli;
   nella frazione di Provezze nel comune di Provaglio d'Iseo (provincia di Brescia) l'ufficio postale verrà addirittura chiuso. La frazione conta una popolazione di 1.126 abitanti quindi una densità abitativa di particolare consistenza. Ma la giustificazione di Poste Italiane è quella della necessità di adeguare l'offerta all'effettiva domanda dei servizi postali nel territorio;
   è evidente che ci sia una reale quanto imprescindibile necessità di orientare la gestione dei servizi alla sostenibilità economica a scapito del mantenimento di alcuni presidi, soprattutto in zone periferiche come possono essere le frazioni dei comuni che anche a causa di questi processi di razionalizzazione saranno così sempre più soggette all'abbandono. Al fine di garantire un livello di servizio adeguato i cittadini, Poste italiane deve tener conto delle particolari esigenze da garantire alle frazioni dei comuni –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per garantire che il servizio postale universale si conformi ai principi di appropriatezza e qualità anche nelle frazioni dei comuni come quella di Provezze;
   quali iniziative, per quanto di sua competenza, intenda intraprendere al fine di scongiurare la possibile chiusura di uffici postali, come quello di Provezze, per garantire l'erogazione, in particolar modo in un momento così difficile per l'economia e soprattutto in zone che sono già disagiate a causa della loro posizione territoriale, di un servizio efficiente ai cittadini ed alle attività produttive che operano nella provincia di Brescia. (5-04821)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   mentre da un lato diversi Paesi dell'Unione europea, tra cui il nostro, versano in condizioni di pesante crisi economica, secondo fonti di stampa la Germania nel 2014 avrebbe registrato un attivo commerciale di 217 miliardi di euro, frutto di una crescita dell’export del 3,7 per cento, andando contro le stesse ben note regole dell'Unione europea, ovvero, se da un lato la Germania sta continuando a pretendere una politica di austerity che sta indebolendo la moneta unica, dall'altra parte si avvantaggia della crisi in atto nell'euro-zona attraverso le sue esportazioni, logicamente favorite dal calo stesso dell'euro;
   secondo quanto riportato dal sole24ore la Germania viola da ben 8 anni quanto previsto dalle regole europee per evitare forti squilibri esportando più del consentito: sarebbe da otto anni consecutivi che la Germania non rispetta la regola che la Commissione europea ha posto – nell'ambito del cosiddetto «six pack» che dovrebbe garantire l'equilibrio economico del vecchio continente – di limitare il surplus commerciale sotto il 6 per cento e che prevede per chi sfora il parametro per tre anni di fila, di incorrere in possibili sanzioni;
   l'istituto di statistica Destatis certifica che la Germania ha raggiunto addirittura un record storico con esportazioni per 1.134 miliardi di euro, mentre le importazioni si sono attestate a 916,5 miliardi di euro: rispetto al 2013, l’export tedesco è salito del 3,7 per cento mentre le importazioni hanno aggiunto solo due punti percentuali;
   l'impennata dell’export sarebbe avvenuta proprio di questi ultimi mesi: nel solo mese di dicembre le esportazioni sono salite del 3,4 per cento rispetto a novembre, per un valore di 98,7 miliardi di euro, mentre le importazioni sono scese dello 0,8 per cento a 76,9 miliardi di euro; a dicembre l'avanzo commerciale è salito a 21,8 miliardi di euro dai 17,9 miliardi del mese precedente;
   le regole dell'Unione europea prevedono un comportamento differente: e ciò è stato sottolineato anche dagli Stati Uniti, dove ad esempio il segretario al Tesoro, Jacob Lew, ha ricordato che «politiche per promuovere la domanda interna sarebbero un bene per l'economia tedesca e quella mondiale»: con tutta l'Europa ad arrancare, a trainare la ripresa dovrebbe essere l'economia che cresce, cioè quella tedesca e per farlo, dovrebbe comprare i prodotti degli altri Paesi che non hanno sbocchi sui mercati interni, ma ciò non avviene visto che Berlino, invece di acquistare (import), inonda il mondo dei suoi prodotti (export);
   il comportamento della Germania, che evidentemente tiene in considerazione solo il proprio tornaconto, rischia di ampliare lo squilibrio verso gli altri Paesi, e ha già posto Berlino sotto il faro degli economisti internazionali e della Commissione europea;
   nelle tabelle di Destatis si vede bene lo squilibrio: le esportazioni 2014 verso i Paesi dell'Unione europea hanno registrato 657 miliardi di euro, il 5,4 per cento in più del 2013 (+9,5 per cento nel solo mese di dicembre). Di contro, l’import si è attestato a 600 miliardi ed è cresciuto del 3,6 per cento (+3 per cento a dicembre). Per di più, secondo gli analisti di Intesa Sanpaolo, «il deprezzamento del cambio ed un recupero del commercio mondiale dovrebbero favorire una crescita più vivace dell’export tedesco nei prossimi mesi, mentre l'import è frenato dal calo dei prezzi degli idrocarburi»;
   questo grave problema era già stato segnalato in una interpellanza presentata dall'interrogante il 12 settembre 2014 e rimasta ancora senza risposta, quando il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea dava anche più opportunità al Governo italiano di incidere sulla politica dell'Unione europea;
   secondo i dati forniti il 9 luglio 2014 scorso dallo Statistisches Bundesamt, l'Ufficio federale di statistica, l’export tedesco aveva già destato preoccupazioni raggiungendo valori che andavano contro alle richieste del Fondo monetario internazionale, (Fmi), della Commissione europea e di economisti critici, di importare di più per sostenere i Paesi dell'Unione europea con un'economia più debole;
   secondo l'economista Emiliano Brancaccio, intervistato a fine luglio da L'Espresso, «vale tuttora la previsione contenuta nel «monito degli economisti» che abbiamo pubblicato nel settembre scorso sul Financial Times: con le attuali politiche di austerity, la divergenza tra paesi deboli e paesi forti dell'eurozona continuerà ad ampliarsi. La politica monetaria non può affrontare da sola questa divaricazione»;
   ha scritto l'Huffington post «L'euro-zona è sulla rotta del Titanic. La Germania va in controtendenza perché riceve capitali a buon mercato spinti dalle difficoltà dei PIIGS e fa l'opposto di quanto raccomanda agli altri: sostiene la domanda interna di consumi e investimenti e, così, compensa il calo delle esportazioni verso i Paesi europei in stagnazione. [...] La rotta mercantilista della politica economica dettata dai conservatori teutonici e nord-europei e «raccomandata» dalla Commissione di Bruxelles è insostenibile. I dati sono inequivocabili: austerità cieca e svalutazione del lavoro deprimono l'economia reale, distruggono Pil potenziale e gonfiano il debito pubblico. Nell'eurozona, la crisi è, per durata e profondità, peggiore di quella del ’29. Il debito pubblico medio della nostra area monetaria balza dal 65 per cento del 2008 al 95 per cento di oggi. La disoccupazione si impenna e continua a salire anche per l'anno in corso. La piaga della povertà si allarga e l'impoverimento assedia le classi medie. L'inflazione sparisce e i rischi di deflazione diventano sempre più concreti»;
   secondo il centro studi di Confindustria la Germania ha mantenuto sostanzialmente invariato a un livello (7,1 per cento) il saldo delle partite in percentuale del prodotto interno lordo che è eccessivo sia secondo i più elementari principi economici sia in base alle soglie di allarme europee, restando a «livelli insostenibili» che generano una «perdita di benessere per tutti» e questo atteggiamento che pone la Germania in una posizione opposta, all'appellativo che spesso riceve, ovvero quello di locomotiva d'Europa;
   il centro studi di Confindustria rileva che la Germania dovrebbe convertire al più presto la propria economia dall’export ai consumi e agli investimenti per aiutare l'Eurozona nel suo complesso a uscire dalla spirale contro cui combatte sennò si rischia «un'eutanasia per l'euro» –:
   se il Governo sia al corrente dei fatti esposti in premessa e se non consideri necessario ed urgente attivarsi e in che modo, per chiedere che, da un lato, la Germania renda conto del suo comportamento in sede europea e lo modifichi al più presto e, dall'altro, che le regole dell’austerity vengano rimesse in discussione verso una maggiore flessibilità che dia ossigeno ai Paesi dell'eurozona, gravati da una crisi economica acuita anche da quelle stesse regole che sembra stiano avvantaggiando soltanto la Germania.
(4-08086)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni la società Poste Italiane spa ha avviato un processo di razionalizzazione degli uffici postali, procedendo sia alla chiusura degli stessi, sia alla riduzione degli orari di apertura degli sportelli in diverse aree del territorio nazionale, nonostante i cospicui contributi statali erogati dallo Stato italiano in favore della società Poste Italiane per l'erogazione dei servizi essenziali;
   Poste Italiane spa è una società a capitale interamente pubblico, detenuto al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e che garantisce l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato, in cui la società si impegna a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
   il nuovo piano di riorganizzazione nazionale comunicato recentemente da Poste Italiane prevede in Lombardia la chiusura di 65 uffici postali e l'apertura a giorni alterni di altri 120 uffici, ritenendoli «improduttivi» o «diseconomici». Dei 65 uffici destinati a essere chiusi, 5 si trovano in provincia di Monza Brianza e si tratta piccoli comuni, che vivono spesso condizioni generali di servizio già di per sé disagiate e che in passato hanno già subito altri tagli dovuti a piani di razionalizzazione: in particolare, saranno interessate le sedi di Omate (frazione di Agrate Brianza), Ruginello (frazione di Vimercate), Capriano (frazione di Briosco), Vergo Zoccorino (frazione di Besana in Brianza) e Agliate (frazione di Carate Brianza);
   il provvedimento, che non è ancora ufficiale ma è già stato presentato alle organizzazioni sindacali, penalizzerebbe fortemente il territorio lombardo, con pesanti ricadute anche occupazionali e con un servizio ai cittadini qualitativamente desolante. In Lombardia l'azienda conta circa 21.000 dipendenti e 2.100 uffici postali, di cui 10.000 in Banco Posta;
   questa decisione unilaterale di Poste italiane, si inserisce in un contesto già critico e carente del servizio postale, con strumenti di lavoro inadeguati, organici insufficienti, sistemi informatici obsoleti, con lunghe attese degli utenti presso gli uffici e arrecherà ulteriori disagi soprattutto per i residenti anziani, ai quali sarà negata la possibilità di usufruire con la dovuta comodità di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette o la riscossione della pensione, con la conseguenza di essere costretti a frequenti e difficili spostamenti;
   i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale. Pertanto, la limitazione degli orari di apertura pone in serie difficoltà i privati, i turisti e tutto il bacino industriale del territorio –:
   come il Ministro intenda intervenire, anche favorendo una concertazione fra la direzione di Poste italiane spa e le amministrazioni locali, per evitare che decisioni unilaterali assunte da Poste italiane spa arrechino disagi agli abitanti dei comuni lombardi della provincia di Monza e Brianza, al fine di garantire l'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, puntuale e capillare nel rispetto dell'accordo di programma per l'espletamento del servizio postale universale.
(4-08092)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Amoddio e Antezza n. 5-04469, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Romanini.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Cominardi e altri n. 5-04795, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Alberti, Basilio.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Liuzzi n. 5-04375, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 357 del 5 gennaio 2015.

   LIUZZI, SIBILIA, DE LORENZIS, PETRAROLI e PAOLO NICOLÒ ROMANO. – Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
   l'aviosuperficie «Enrico Mattei», situata a Pisticci (MT) in Basilicata, è stata realizzata negli anni sessanta, durante l'industrializzazione della Valbasento ed è rimasta inutilizzata per molto tempo. Si tratta di una semplice pista di atterraggio voluta da Enrico Mattei nella strategia di una sua maggiore personale rapidità di spostamento tra i siti Eni, assolutamente chiusa al pubblico. Nell'ottobre del 2007 è stato consegnato alla regione Basilicata un progetto che prevedeva la costruzione di opere infrastrutturali e di potenziamento dei servizi per la realizzazione di un aeroporto civile regionale di terzo livello, per un investimento complessivo di circa 8 milioni di euro;
   il 22 maggio 2014, la pista, è stata affidata dal Consorzio industriale di Matera (CSI), la sua gestione alla società aerotaxi Winfly Srl (succeduta alla «Lucana fly») del gruppo Cestari. Winfly Srl che ha sede all'aeroporto di Pontecagnano (Salerno) ed è una società nata nel 2010 e specializzata in collegamenti interni in Africa-Congo a servizio principalmente di società petrolifere;
   il Consorzio per lo sviluppo industriale di Matera ha ricevuto un finanziamento di 600 mila euro dalla regione Basilicata per il triennio 2014-2016 nonché dalla data di acquisizione dell'autorizzazione dell'Enac all'attivazione dei voli. Tuttavia la Winfly non ha ancora ottenuto tutte le autorizzazioni dell'Enac indispensabili per trasformare l'aviosuperficie in aeroporto minore e che possano permettere il decollo e l'atterraggio di aerei da 130 passeggeri sul modello dell'AirBus A318;
   da molto tempo si sospetta la presenza di discariche abusive e di rifiuti industriali chimici nella Valbasento. Tali supposizioni si sono intensificate quando il dirigente chimico di turno in servizio di pronta disponibilità per il dipartimento provinciale ARPAB di Matera, è stato allertato telefonicamente il 13 novembre 2013 dalla prefettura di Matera per una possibile situazione di emergenza ambientale insistente presso l'area industriale della TECNOPARCO Valbasento in agro di Pisticci. Il sindaco di Pisticci ha lamentato nella zona indicata il manifestarsi di odori insopportabili. Tuttavia, nella data prima indicata, i tecnici non sono riusciti a rilevare dei campioni rilevanti nella zona (compresa la zona dell'aviostazione) a causa del percorso infangato dalle forti piogge che c'erano state nel mese di ottobre 2013 e che avevano portato alla luce alcune discariche abusive; da fonti giornalistiche, si è appreso altresì che tra gli indagati risultano esserci anche Gaetano Santarsia, ex-commissario del consorzio per lo sviluppo industriale di Matera, presente in Tecnoparco con la quota di maggioranza relativa e l'ex amministratore delegato di Sorgenia Massimo Orlandi, dimissionario soltanto a luglio del 2013;
   sempre a mezzo stampa e dalla conferenza dei servizi istruttoria del 13 febbraio 2014 si è appreso che accanto all'aeroporto di Pisticci (e ipoteticamente anche sotto la pista) ci potrebbero essere addirittura 13 chilometri di discariche complessive interrate non ancora completamente analizzate, così come si è a conoscenza dell'esistenza, nei dintorni, di camini industriali in funzione appartenenti a Tecnoparco e delle contaminazioni da mercurio rilevate ma non ancora mappate, provenienti dal versante Basento, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a riprova di quanto detto, ha enunciato richieste di interdizione di foraggio e coltivazione, oltre all'esame della catena alimentare ed ordinanze di divieto d'emungimento delle falde dell'area;
   il 20 febbraio 2014, il Quotidiano della Basilicata ha pubblicato un articolo nel quale ha denunciato la presenza di 11 indagati fra il Centro Oli Eni di Viggiano, Tecnoparco Valbasento e Consorzio Industriale Matera. Dall'articolo si è appreso che, nella zona che interessa la pista, «per almeno tre anni e mezzo, Eni avrebbe smaltito in maniera illegale i rifiuti prodotti dal Centro Oli di Viggiano, in combutta con alcuni imprenditori locali, tra cui il Presidente di Confindustria Basilicata, uno dei «signori della monnezza lucana», e il vertice di Sorgenia, la società energetica del gruppo De Benedetti»;
   anche alcuni ex lavoratori della Val Basento hanno descritto l'area della pista Mattei, come una vera e propria discarica industriale, e nella conferenza dei servizi del 7 marzo 2014, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, rappresentato dall'ingegner Laura D'Aprile, ha chiesto ufficialmente carotaggi a 30 metri di profondità nella Val Basento. Tuttavia nelle conferenze successive quest'ultima indicazione è venuta meno e si è chiesto solo un «carotaggio di suolo rappresentativo», che è una tecnica di campionamento adottata con perforazione di pozzi o sondaggi mediante prelievi di campioni di roccia cilindrici a scopo di analisi;
   nel mese di marzo 2014, si è appreso a mezzo stampa che l'aviosuperficie Mattei sarebbe rientrata in funzione nell'estate dello stesso anno, a dispetto delle concomitanti dichiarazioni dal sindaco di Pisticci il quale ha più volte chiesto una bonifica della Valbasento e nonostante l'assenza di accertamenti riguardo alla bonifica del sito;
   il 4 ottobre 2014, la testata giornalistica Basilicata24 ha pubblicato un articolo intitolato «La cupola dietro la Pista Mattei di Pisticci», nel quale ha denunciato che sotto l'area della Pista Mattei «fu sotterrato di tutto». Nell'articolo si legge che l'Arpa Basilicata avrebbe ricevuto un finanziamento di 5 milioni di euro, per uno studio volto ad individuare l'eventuale inquinamento dell'area. Nonostante il cospicuo finanziamento incassato dall'ente Arpab, è stato uno studio indipendente svolto dal professor Ruggiero Pacifico a rilevare nell'area della Vai Basento numerosi metalli inquinanti, con limiti eccedenti quelli previsti dalla norma. Tra questi il più pericoloso sarebbe il mercurio, eccedente anche 250 volte in più rispetto al limite previsto dalla normativa;
   il 10 dicembre 2013, la stessa testata lucana succitata, ha pubblicato un pezzo intitolato: «Discariche, bidoni e altre storie di veleni». Nell'articolo viene fatta una panoramica sullo smaltimento illecito di rifiuti, che ha interessato la zona della Valbasento durante gli anni Ottanta, favorito probabilmente da un intreccio di interessi tra aziende petrolchimiche dell'area lucana, politici e magistrati. Nell'articolo si legge che: «Lo Studio Omega evidenziò numerose anomalie nel sottosuolo, e in una zona in cui i materiali estranei avevano una diffusione pari alla massima profondità dello scavo (4 metri) “fusti corrosi”. Nedo Biancani dello Studio Omega, che aveva avuto diverse collaborazioni con la Provincia di Matera, mi raccontò che dopo aver evidenziato questi e altri fatti divenne “persona non gradita” in Basilicata. Cosa si stava nascondendo ? Per capirne di più dobbiamo esaminare un altro studio sulla Valbasento del 2004 in cui “l'articolata applicazione di tecniche geofisiche basate su diverse sorgenti magnetiche ed elettromagnetiche serve per ottenere informazioni dettagliate sulla presenza di oggetti interrati nel sottosuolo e fare stime circa la forma, le dimensioni, e la profondità”. Un metodo specifico per trovare fusti sotterrati illegalmente contenenti rifiuti pericolosi o liquidi tossici, capaci di contaminare pesantemente terreni a uso agricolo, falde idriche, alterando la catena alimentare e ponendo un serio rischio alla salute umana e all'ecosistema, che ha già prodotto risultati in indagini di polizia ambientale.»;
   nello stesso articolo si legge ancora: «I test prodotti dall'analisi di fusti interrati sono importanti per la letteratura scientifica al fine di descrivere le anomalie di un'aerea sospetta e individuare zone di interramento e metodi per tirarli fuori. Anomalie che possono essere distinte come campi magnetici generati da corpi eterogenei di ferro o appunto da fusti interrati. In un test eseguito per comprendere il comportamento del segnale nel caso di 12 fusti da 220 litri sepolti in un'area caratterizzata da depositi fiuvioglaciali consistenti di conglomerati in una matrice limo-sabbiosa, il segnale del gradiente verticale corrispondente ottenuto fu di 200nT/m (nano teslalmetro, ndr). Un secondo test effettuato in un deposito argilloso-sabbioso dove erano stati sepolti venti bidoni orientati verticalmente alla profondità di 4/5 metri mostrò un'anomalia magnetica caratterizzata da un'intensità di 290nT/m. Ci chiediamo, se a Pisticci nell'area definita sito3 è venuta fuori una chiara anomalia magnetica che un'investigazione più approfondita in una zona circoscritta di 4x12 m2 ha mostrato con un'intensità pari a 9.000nT/m, ossia 31 volte più alta del test con venti bidoni orientati verticalmente alla profondità di 4/5 metri come abbiamo visto (fig. 2), e se chi ha eseguito l'indagine a Pisticci Scalo ha scritto pure che è «probabilmente dovuta alla presenza di bidoni metallici interrati nel sottosuolo»;
   come si apprende anche da fonti stampa, il Ministero inizialmente ha chiesto: 156 carotaggi a profondità variabile, attenzione per il sito contaminato da mercurio, rifacimento della recinzione alla pista ed analisi ulteriori delle discariche. Successivamente ha esonerando poi dalla caratterizzazione il lotto D di proprietà della Syndial partecipata dall'Eni;
   nel campo della gestione dei rifiuti, l'Italia, al pari degli altri Stati membri, è tenuta a dare attuazione alle disposizioni contenute nelle direttive dell'Unione europea che regolano alcune parti della materia in merito alla gestione delle discariche: la n. 75/442/CEE, la n. 91/689/CE relativa alla gestione controllata dei rifiuti pericolosi, e la n. 1999/31/CE concernente la gestione delle discariche integrate dai regolamenti (CE) n. 1882/2003 e (CE) n. 1137/2008;
   il 26 aprile 2007, la Corte di giustizia delle Comunità europee (causa C-135/05) ha condannato la Repubblica italiana per non aver adottato tutti i provvedimenti necessari ad adempiere agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli articoli 4, 8 e 9 della direttiva 75/442, come modificata dalla direttiva 91/156/CEE, dell'articolo 2, n. 1, della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi, e dell'articolo 14, lettere a)-c), della direttiva del Consiglio 26 aprile 1999, 1999/31/CE, relativa alle discariche di rifiuti, imponendo all'Italia il pagamento delle spese processuali;
   l'Italia non ha rispettato la sentenza del 2007 della Corte di giustizia dell'Unione europea e constatato l'inadempimento, il nostro Paese è stato nuovamente condannato il 2 dicembre 2014, a pesanti sanzioni pecuniarie che prevengono una penalità a partire da un importo iniziale di 42.800.000 euro per il primo semestre (Corte di giustizia dell'Unione europea, sez. Grande, sentenza 2 dicembre 2014 n. C-196/13). Da tale importo saranno detratti 400 mila euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma e 200 mila euro per ogni altra discarica messa a norma. Inoltre nel corso della stessa sentenza, la Commissione europea ha affermato che, 198 discariche non sono ancora conformi alla direttiva «rifiuti» e che, di esse, 14 non sono conformi neppure alla direttiva «rifiuti pericolosi»;
   la Corte ha anche rilevato che le direttive impartite (ove attuate) sono state compiute con grande lentezza, tant’è che un numero importante di discariche abu- sive si registra ancora in quasi tutte le regioni italiane –:
   se intenda assumere ogni iniziativa di competenza con riferimento alla situazione che interessa l'area della Pista Mattei, la quale non risulta essere stata risanata, per non incorrere in un'ulteriore procedura d'infrazione;
   se il Ministro intenda commissionare, per quanto di competenza, uno studio ad hoc, oltre che per una valutazione dell'inquinamento del suolo, anche per l'inquinamento delle falde acquifere dell'intera zona interessata dall'inquinamento industriale della Val Basento. (5-04375)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza Valeria Valente n. 2-00659 del 7 agosto 2014;
   interrogazione a risposta orale Fauttilli n. 3-01202 del 4 dicembre 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Luigi Gallo n. 5-04527 del 21 gennaio 2015.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BERRETTA, GIULIETTI, GRECO, IACONO e LEVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 31 ottobre 2014 il primo firmatario del presente atto si è recato presso il «Palaspedini» di Catania per verificare le condizioni di accoglienza dei migranti minori non accompagnati;
   al Palaspedini sono ospitati 70 minori non accompagnati di diverse nazionalità in numero di 68 ragazzi e due ragazze;
   a seguito di tale visita il primo firmatario del presente atto ha riscontrato numerose carenze nella gestione dell'accoglienza: dall'impraticabilità dei servizi e delle docce alla assenza di ricambi nel vestiario e nelle scarpe, alla mancanza di figure essenziali come quelle dei mediatori culturali;
   la notte i giovani migranti sono costretti su giacigli di fortuna realizzati con cartoni e materassini da palestra;
   a ciò si aggiunga una inadeguata assistenza sanitaria: assenza di medicinali sopra ogni altra cosa –:
   quali iniziative intenda intraprendere per ripristinare, nel più breve tempo possibile, le condizioni basilari per l'accoglienza di questi migranti minori non accompagnati e per assicurare standard dignitosi di trattamento;
   quali verifiche intenda intraprendere per verificare il corretto utilizzo dei fondi destinati alla accoglienza dei minori.
(4-06767)

  Risposta. — In relazione ai fatti riferiti dall'interrogante, si comunica che, grazie all'impegno sinergico della prefettura di Catania, della regione Sicilia, del comune di Catania e di quello di Mascalucia, il 5 novembre 2014 tutti i minori stranieri non accompagnati (MSNA) che si trovavano presso il «Palaspedini» di Catania sono stati trasferiti nel centro di accoglienza di primo livello «La Madonnina» di Mascalucia, struttura riconosciuta dalla regione siciliana con decreto del 15 ottobre 2014.
  Per quanto riguarda, in via più in generale, la problematica dei MSNA e la gestione sul territorio delle strutture destinate alla loro accoglienza, si ricorda che nella conferenza unificata del 10 luglio scorso è stata sancita l'intesa tra Governo, regioni ed enti locali per l'attuazione di un piano operativo nazionale volto a fronteggiare il flusso straordinario di cittadini extracomunitari adulti, famiglie e minori stranieri non accompagnati.
  Una parte del piano è dedicata all'accoglienza dei MSNA.
  In proposito, è previsto che, in attesa della rivisitazione a regime del sistema di accoglienza del MSNA – rivisitazione richiedente un intervento legislativo
ad hoc –, al Ministero dell'interno siano affidati, da un lato, il coordinamento della costituzione di strutture temporanee di accoglienza per i MSNA, attivate dalle regioni sulla base di quanto convenuto nei tavoli di coordinamento regionali; dall'altro, l'inserimento dei MSNA anche non richiedenti asilo nelle strutture del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (per i minori richiedenti asilo l'accoglienza nella rete del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati era già stata disposta dall'articolo 26, comma 6, del decreto legislativo n. 25 del 2008), con il contestuale ampliamento dei posti.
  In attuazione di quanto sopra, con successive circolari del 23 e del 25 luglio 2014, questo Ministero ha fornito a tutti i soggetti coinvolti nelle attività di accoglienza dei minori (prefetture, Ministeri della giustizia e del lavoro, Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), Servizio centrale dello SPRAR, Conferenza delle regioni, Unione delle province d'Italia e Associazione nazionale dei comuni italiani) le indicazioni operative necessarie all'individuazione delle strutture temporanee di accoglienza e all'ampliamento immediato dei posti nello SPRAR.
  Allo scopo di procedere con maggiore rapidità, è stata costituita un'apposita struttura di missione, con il compito di fornire il necessario supporto tecnico e organizzativo al dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione di questo Ministero.
  Nel piano e stato altresì stabilito che gli interventi concordati fossero sostenuti con le risorse del fondo nazionale per l'accoglienza dei MSNA istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ai sensi dell'articolo 23 del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito dalla legge n. 135 del 2012.
  In recepimento dell'accordo sancito nella citata seduta della conferenza unificata del 10 luglio scorso, la legge di stabilità 2015 (articolo 1, commi 181, 182 e 183) ha disposto che i MSNA, siano o meno richiedenti asilo, accedano a regime ai servizi dello SPRAR. Ha previsto, altresì, che, per il finanziamento delle spese necessarie, nello stato di previsione di questo Ministero sia istituito, a decorrere dal 1o gennaio 2015, un apposito fondo per l'accoglienza dei MSNA nel quale sono trasferite le risorse del predetto fondo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che è conseguentemente soppresso. La dotazione del nuovo fondo è pari a 52,5 milioni di euro annui (12,5 milioni annui in più di quelli in dotazione al soppresso fondo del Ministero del lavoro e della politiche sociali).

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   DI LELLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito dell'operazione antimafia che ha portato a circa 37 arresti nell'ambito dell'inchiesta mafia capitale si è scoperto un intreccio politico – affaristico – mafioso che estende i propri tentacoli sino alla Sicilia coinvolgendo anche il consorzio Calatino Terra d'Accoglienza, l'ente attuatore del CARA di Mineo, cioè il più grande centro d'Europa per richiedenti asilo, in provincia di Catania;
   al centro della vicenda sembra esservi Luca Odevaine «esperto conoscitore delle problematiche legate all'immigrazione» – così viene definito – il quale viene nominato consulente del consorzio Calatino;
   lo stesso, che in passato ha avuto una serie di incarichi di prestigio nelle amministrazioni della Capitale, faceva parte della commissione che ha deciso l'ultima gara di appalto per la gestione dei servizi del CARA vinta, lo scorso luglio, dagli stessi gestori negli ultimi tre anni;
   l'appalto, per un importo di circa 97 milioni di euro, vede arrivare una sola offerta «valida» – così si riporta sui quotidiani – con un ribasso di appena l'uno per cento;
   comunque, il ruolo centrale del signor Odevaine è quello di sedere al tavolo di coordinamento nazionale insediato presso il Ministero dell'interno dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione che gestisce le politiche di accoglienza predisposte dal nostro Paese;
   a tal proposito si ricorda che il sistema di accoglienza è alquanto articolato per cui accanto ai centri di accoglienza ordinaria e quelli di accoglienza straordinaria vi sono altri centri, ordinari, per quanti chiedono asilo: i cosiddetti CARA cioè centri di protezione per richiedenti asilo e rifugiati;
   si tratta di un servizio articolato che, almeno in teoria, dovrebbe accompagnare il migrante in un percorso di inclusione nella società, di apprendimento della lingua e di formazione professionale. Nei CARA i migranti dovrebbero stare sino a 35 giorni in attesa che la loro pratica sia esaminata dalla commissione territoriale competente invece rimangono in media tra i 9 e i 12 mesi, con rilevanti costi per l'amministrazione;
   infatti, attualmente per ogni richiedente asilo lo Stato versa in media 35 euro al giorno agli enti gestori dei centri con cui questi assicurano vitto, alloggio, vestiti, qualche corso e una somma di 2,5 euro al giorno agli ospiti per piccole spese. Per una struttura di grande capienza come il CARA di Mineo si tratta di un business non indifferente: con una capienza sino a 4.000 persone porta a chi lo gestisce tra i 70.000 e i 140.000 euro al giorno;
   in realtà risulta all'interrogante, a seguito della visita fatta al CARA di Mineo il 21 novembre scorso alla guida di una delegazione del Migration Committee dell'Internazionale Socialista, che il costo della gestione per il contribuente ammonta a circa euro 200 per ospite;
   a tal proposito, con riferimento al giro di affari che gravita intorno a questi centri, si legge in una intercettazione telefonica del Sig. Odevaine che sembra essere la stessa «relazione continua con il Ministero» a favorire la distorsione del denaro in quanto afferma: «sono in grado un po’ di orientare i flussi che arrivano da giù, anche perché spesso passano per il Ministero e poi vengono smistati in giro per l'Italia: se loro hanno strutture che possano essere adibiti a centri per l'accoglienza da attivare subito in emergenza senza gara....» –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di porre in essere al fine di verificare la regolarità delle gare di appalto sopra citate visto il coinvolgimento di persone ai vertici della commissione nell'ambito dell'inchiesta Mafia Capitale, anche al fine di valutare l'opportunità di procedere ad un annullamento delle stesse;
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda assumere al fine di superare quello che il capo dipartimento libertà civili ed immigrazione del Ministro dell'interno ha definito come «logistica puramente emergenziale» in merito sia al sistema di accoglienza con riferimento alla molteplicità di centri sia con riferimento al sistema di distribuzione dei fondi agli enti gestori affinché non si senta più dire, come riportato in alcune intercettazioni, che: «si fanno più soldi con gli immigrati che con il traffico di droga». (4-07226)

  Risposta. — Gli eccezionali flussi migratori che, come noto, hanno caratterizzato l'anno appena decorso hanno indotto il Governo a ripensare l'intero sistema dell'accoglienza in modo da collocarlo al di fuori della logica emergenziale degli ultimi dieci anni. Dal marzo 2002 al dicembre 2012, infatti, l'Italia aveva gestito gli eccezionali flussi migratori con gli strumenti propri della protezione civile, cioè con ordinanze di necessità e urgenza, previa dichiarazione dello stato di emergenza.
  L'impegno profuso per la riorganizzazione del sistema di accoglienza ha condotto all'elaborazione, d'intesa tra Governo, regioni e autonomie locali, di un piano operativo nazionale sul quale la Conferenza unificata ha sancito l'intesa proprio nella seduta dello scorso 10 luglio. La portata innovativa del piano sta nel fatto che la gestione dei flussi acquisisce la connotazione di attività ordinaria strutturata e programmabile. La sua attuazione si fonda sul metodo della concertazione tra lo Stato e il mondo delle autonomie territoriali.
  Il piano distingue l'accoglienza in tre fasi strutturate in maniera tale da consentire il tempestivo passaggio dall'una all'altra:
   la fase del soccorso e della prima assistenza, attuata in appositi centri governativi ubicati nelle regioni di sbarco o limitrofe, nei quali il periodo di permanenza sarà estremamente contenuto al fine di garantire il massimo
turn over delle presenze;
   la fase della prima accoglienza e qualificazione, da attuare per periodi di tempo limitato in un'inedita tipologia di struttura governativa – l’
hub – concepita come base logistica ampia di livello regionale o interregionale, dove avverrà – tra l'altro – la selezione tra gli aventi diritto all'asilo e quelli che non ne hanno titolo;
   la fase della seconda accoglienza e integrazione, realizzata attraverso il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati che viene confermato come sistema unico di accoglienza delle persone richiedenti o titolari di protezione internazionale, esteso anche all'accoglienza di secondo livello di tutti i minori non accompagnati.

  Il motore della complessa macchina dell'accoglienza è il Ministero dell'interno che, per la ripartizione dei migranti sul territorio nazionale e l'organizzazione delle altre misure previste dal piano, si avvale del supporto e delle indicazioni del tavolo di coordinamento nazionale, a cui partecipano, oltreché le amministrazioni statali interessate, la conferenza delle regioni, l'Unione province d'Italia e l'Associazione nazionale comuni italiani, nonché dei tavoli regionali presso prefetture dei capoluoghi di regione.
  A proposito del tavolo nazionale – di cui il signor Luca Odevaine ha fatto parte fino allo scorso mese di ottobre come membro designato dall'unione delle province italiane –, si precisa che esso non ha avuto né può avere alcun ruolo in materia di aggiudicazione delle gare per l'affidamento del servizio di gestione dei centri di accoglienza.
  Tale adempimento, ai sensi della normativa vigente, spetta infatti alle prefetture territorialmente competenti.
  Nel caso del centro di Mineo, si informa che il 20 dicembre 2013 la prefettura di Catania, previo parere favorevole del Ministero dell'interno, ha sottoscritto un accordo ai sensi dell'articolo 15 della legge n. 241 del 1990 con il «Consorzio calatino terre di accoglienza», costituito dal comune di Mineo e da altri sei comuni del Calatino, per disciplinare le attività di accoglienza e assistenza in favore dei cittadini stranieri richiedenti asilo nel centro.
  In base all'accordo, che trova fondamento nei princìpi di sussidiarietà verticale leale collaborazione tra amministrazioni pubbliche, il consorzio calatino ha assunto il ruolo di stazione appaltante per la selezione del soggetto gestore del centro nonché la piena responsabilità delle attività contrattuali, con esclusione di qualsiasi coinvolgimento della prefettura.
  In esito alla procedura di gara, il consorzio calatino ha individuato quale ente gestore l'Associazione temporanea di imprese costituita dal consorzio di cooperative sociali di cui è capo gruppo la «Casa della solidarietà». Il 26 settembre 2014, con decorrenza dal 10 ottobre, il consorzio calatino ha stipulato con l'ente aggiudicatario il contratto per l'affidamento triennale dei servizi e delle forniture per la gestione del centro.
  Quanto ai costi di gestione delle attività di accoglienza e assistenza, si conferma che essi ammontano a 35 euro
pro-capite/pro-die, IVA inclusa.
  Relativamente ai controlli sulla regolarità degli affidamenti di beni e servizi riguardanti il centro in questione, la prefettura di Catania ha comunicato di aver richiesto al Presidente del consorzio l'avvio del monitoraggio sui relativi rapporti contrattuali, allo scopo di verificarne la perfetta coerenza con le specifiche norme di settore.
  Risulta, in proposito, che il rappresentante legale dell'ente consortile abbia interessato l'Autorità nazionale anticorruzione per accertare la correttezza di tutti gli atti compiuti dalla struttura amministrativa del consorzio stesso e che il consiglio di amministrazione dell'ente abbia deliberato la costituzione di parte civile nel processo contro gli imputati dell'operazione «Mafia capitale».
  Infine, per quanto concerne la posizione di Luca Odevaine, risulta che egli avesse svolto le funzioni di consulente del Presidente del consorzio calatino, prima di essere stato individuato, attraverso una procedura di selezione pubblica, come responsabile dell'ufficio dello stesso ente preposto alla progettazione e rendicontazione degli interventi finanziati con fondi comunitari, in base a un contratto di collaborazione temporanea.
  Tuttavia, in seguito all'arresto del signor Odevaine, tale rapporto contrattuale è stato interrotto.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   LUIGI DI MAIO, DI BENEDETTO, D'UVA, SIBILIA e TOFALO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   tra gli antichi edifici monumentali di proprietà del fondo edifici di culto (FEC) del Ministero dell'interno c’è la prestigiosa chiesa di Santa Chiara nuova di Nola in provincia di Napoli, capolavoro assoluto del barocco meridionale, danneggiata dagli eventi sismici del 1980/81 e interessata da interminabili lavori di restauro e consolidamento che si protraggono da oltre trent'anni;
   durante l'esecuzione degli ultimi lotti funzionali, operati prima dal comune di Nola e successivamente dalla Soprintendenza per i beni architettonici di Napoli e provincia, attualmente sospesi, dallo storico edificio sarebbero stati trafugati ben cinque pannelli maiolicati settecenteschi del rivestimento esterno della cupola raffiguranti Santi francescani di grande valore artistico e commerciale, nonché un considerevole numero di embrici maiolicati policromi di notevole fattura, rimossi dalla struttura architettonica e accatastati disordinatamente senza catalogazione e senza alcun tipo di protezione all'interno della chiesa e nell'ex convento;
   risultano scomparse, inoltre, anche decine di tavole dipinte nel 1720 da Ferdinando Sanfelice pertinenti al soffitto cassettonato della chiesa decorato con motivi vegetali, rosoni, fregi, stemmi araldici: le pregevoli tavole furono in parte recuperate dopo il crollo del tetto avvenuto con il sisma del 1980 e depositate senza adeguate forme di tutela in locali attigui all'ex convento –:
   quali iniziative di competenza siano state intraprese dal Governo in merito alla scomparsa e ai furti di queste straordinarie opere d'arte di proprietà statale;
   quali iniziative siano state finora condotte dal nucleo tutela patrimonio artistico della Campania per il recupero dei summenzionati beni artistici illecitamente sottratti. (4-01030)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la chiesa monumentale di Santa Chiara edificata su Corso Tommaso Vitale a Nola (Na) nei primi decenni del XVIII secolo su progetto di Ferdinando Sanfelice è chiusa dal terremoto del 1980 per le lesioni e i gravissimi dissesti statici riportati dalle fabbriche a seguito del sisma;
   l'edificio di grande interesse storico-artistico è di proprietà del Fondo Edifici di Culto (FEC) sotto il controllo del dipartimento libertà civili e immigrazione del Ministero dell'interno che dovrebbe provvedere con le cospicue risorse a disposizione del Fondo stesso a finanziare interventi di restauro, conservazione, manutenzione delle strutture architettoniche e promuovere, altresì, la conoscenza e il rispetto dei suoi eccezionali beni mobili attraverso adeguati atti tecnici, normativi e amministrativi nonché mediante progetti di studio e ricerca a supporto delle attività di tutela e valorizzazione;
   oltre alla chiesa di Santa Chiara che costituisce un immenso patrimonio culturale, sotto la responsabilità del FEC sono, infatti, le centinaia di opere d'arte di inestimabile valore, i manufatti di arte applicata e gli arredi ecclesiastici provenienti dall'edificio monumentale che costituiscono splendidi esempi di artigianato artistico orafo, ligneo e tessile;
   contravvenendo però alle esigenze di protezione, tutela, gestione e fruizione pubblica dei beni culturali di un organo personificato dello Stato, la direzione centrale per l'amministrazione del Fondo edifici di culto non ha mai provveduto a individuare, riconoscere e catalogare questi straordinari tesori d'arte del demanio culturale;
   a seguito del terremoto, pregevoli tele insieme a sculture policrome, intagli dorati, marmi intarsiati, strumenti musicali, mobili, suppellettile claustrale, ceramiche, libri antichi e preziosi materiali archivistici sono stati trasferiti dalla chiesa di Santa Chiara e abbandonati, senza alcun tipo di inventariazione o catalogazione, nei depositi della soprintendenza archeologica di Napoli e Pompei, dove soffocano – secondo fonti giornalistiche – in locali malsani e insicuri a Cimitile (Na) e nelle rimesse del Museo delle Canossiane in via Senatore Cocozza a Nola (Na);
   non censiti sono importanti dipinti e preziosi paramenti della chiesa di Santa Chiara, trasportati e ammassati nei magazzini della chiesa di «Santa Croce e San Francesco» a Nola, anch'essa di proprietà del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell'interno (cod. CH00407);
   senza adeguate forme di conoscenza e protezione sono decine di sculture lignee settecentesche con scarabattoli, cassettiere e manufatti liturgici, ammucchiati nella sagrestia della chiesa monumentale il cui unico accesso, peraltro, è stato inopportunamente murato, pregiudicando in modo irreversibile le condizioni di conservazione dei beni alloggiati;
   non inventariato o classificato è anche un importante nucleo sei-settecentesco di dipinti a carattere sacro, di medio formato, di proprietà demaniale secondo la documentazione del Ministero dell'interno, trasferito senza alcuna autorizzazione dalla chiesa all'attiguo istituto scolastico;
   peraltro dalla documentazione in possesso della prefettura di Napoli e della soprintendenza speciale per il PSAE e per il polo museale della città di Napoli risulta inoltre che antiche oreficerie e preziosi argenti di proprietà demaniale, provenienti dalla chiesa di Santa Chiara, siano stati assegnati in comodato d'uso a istituzioni locali ma, inspiegabilmente, non sono stati né recuperati né schedati né catalogati come manufatti del demanio culturale, arrecando colpevoli ammanchi al patrimonio dello Stato;
   i ritardi e le inadempienze amministrative oltre a creare un danno di immagine al Ministero, incapace di gestire il suo stesso patrimonio, stanno provocando gravissimi guasti conservativi oltre che economici alle opere d'arte di proprietà statale che, in una situazione di estrema confusione e incertezza, continuano ad essere oggetto di dispersioni e delle attenzioni dei predatori;
   da anni le associazioni culturali del territorio stanno sollecitando la direzione centrale per l'amministrazione del Fondo edifici di culto (in particolare le aree I, II, III Servizio I) affinché avvii un accertamento e una ricognizione completa dei beni custoditi o di pertinenza della chiesa allo scopo di determinarne l'esatta consistenza patrimoniale e il valore culturale, non ricevendo però alcun tipo di riscontro –:
   quali provvedimenti urgenti il Ministero dell'interno, come ente proprietario della chiesa di Santa Chiara di Nola (Na), intenda adottare per la conoscenza, la catalogazione, la conservazione e la valorizzazione dei beni mobili dell'edificio monumentale;
   quali interventi di verifica e controllo il Ministero dell'interno intenda intraprendere per accertare in base alla documentazione cartacea e fotografica la presenza e l'ubicazione di tutti i beni al fine di poter riscontrare e segnalare, quanto prima, i numerosi ammanchi al Nucleo di tutela del patrimonio artistico e alla competente autorità giudiziaria;
   quali obblighi o prescrizioni il comune di Nola (Na), come ente comodatario della chiesa di Santa Chiara, sia tenuto ad osservare per la consegna, la custodia e la conservazione dell'intero patrimonio culturale mobile dell'edificio sacro;
   quali siano i nomi dei consegnatari del patrimonio culturale mobile e immobile della chiesa di Santa Chiara, se siano sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, se debbano rendere il conto giudiziale della loro gestione alla Corte dei conti alla fine di ogni anno finanziario;
   quali siano state le modalità operative intraprese dal Ministero della difesa per avviare le attività di controllo sulla scomparsa e sui trafugamenti delle opere d'arte di proprietà statale dalla chiesa di Santa Chiara di Nola (Na). (4-01730)

  Risposta. — La Chiesa di Santa Chiara nuova di Nola, di proprietà del fondo edifici di culto (FEC), costituisce la parte più rappresentativa dell'omonimo complesso monastico.
  Come riferito dalla soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici e storici di Napoli, a seguito degli eventi sismici del 1980, che provocarono ingenti danni alle strutture della chiesa, tutti i beni mobili di interesse storico e artistico ivi ubicati, compresi quelli indicati nell'interrogazione come trafugatio scomparsi, sono stati sistemati temporaneamente in vari luoghi di deposito o esposti in musei.
  Alcune opere sono conservate sul territorio di Nola, in particolare nel museo storico-archeologico e nel convento dei padri cappuccini (anch'esso di proprietà del FEC); altre nel deposito del museo archeologico di Cimitile e al museo di Capodimonte in Napoli. Altre opere ancora sono esposte nel già citato museo storico-archeologico di Nola.
  Gli ingenti danni subiti dalla chiesa interessarono sia la copertura lignea della navata, completamente crollata, sia le strutture murarie della facciata principale, della cupola e del sovrastante lanternino.
  Il crollo del tetto comportò anche il cedimento del sottostante soffitto ligneo dipinto al quale erano fissate tre tele, recuperate dalla soprintendenza nonostante fossero mal ridotte.
  La tela centrale, di notevoli dimensioni, è stata anche oggetto di un intervento di consolidamento tra il 2005 e il 2006 ed ora è custodita presso il museo storico-archeologico di Nola, unitamente, come già detto, ad altre opere appartenenti alla chiesa di Santa Chiara nuova e ad altre chiese di Nola danneggiate dagli eventi sismici.
  Negli anni immediatamente successivi al terremoto furono eseguiti alcuni interventi urgenti alle strutture, quali la copertura con capriate in ferro e sovrastante lamiera metallica e il consolidamento della facciata.
  In seguito, anche la struttura muraria della cupola, notevolmente compromessa da un insieme di preoccupanti fessure, è stata consolidata con un intervento conclusosi nel 2006. Tale operazione ha comportato lo smontaggio preventivo delle particolari tegole smaltate che rivestivano interamente la cupola con una trama incrociata di tarsie gialle e verdi su una prima fascia di mattonelle smaltate di colore azzurro. Insieme alle decorazioni policrome, sono stati smontati anche i due pannelli di piastrelle maiolicate che rappresentano San Francesco e Santa Chiara nonché altre piastrelle raffiguranti motivi floreali. Questi ultimi elementi sono stati riportati all'interno della chiesa, in quanto con il lotto dei lavori attualmente in corso, è previsto il completamento dell'intervento all'esterno della cupola con il rimontaggio del rivestimento in maioliche, delle tarsie policrome salvate e dei nuovi elementi fatti realizzare da una ditta specializzata campana, su modello, dimensioni e colori analoghi a quelli preesistenti.
  Per quanto concerne i pannelli maiolicati di San Francesco e Santa Chiara, la cui collocazione originaria sulla cupola è anche documentata in una immagine pubblicata nella «Fototeca Nolana – archivio d'immagini dei monumenti e delle opere d'arte della città dell'Agro» di Leonardo Avella del 1997, si informa che nello scorso mese di dicembre, presso il citato museo storico- archeologico, è stata organizzata la loro presentazione al pubblico, a conclusione del lavori di restauro eseguiti.
  Altri interventi hanno riguardato il completamento della copertura a tetto, la posa in opera delle tegole in coppi, il risanamento e il restauro del prospetto principale sulla via Tommaso Vitale, con la preventiva eliminazione degli elementi in ferro, collocati subito dopo il terremoto e oggi non ritenuti più idonei dal punto di vista statico, oltre che dannosi ai fini di una corretta conservazione degli intonaci e degli stucchi da ripristinare.
  Da notizie acquisite dalla soprintendenza, la riapertura della chiesa e la ricollocazione di tutte le opere salvate dopo il terremoto sono subordinate al completamento dei lavori di restauro, per il quale è stata valutata la necessità di un finanziamento complessivo di almeno un milione e mezzo di euro.
  Tale somma, oltre che per il restauro delle opere d'arte salvate, dovrà essere utilizzata anche per il risanamento delle superfici esterne del tamburo della cupola, per le finiture interne della stessa cupola e della navata, per il restauro degli altari in marmo policromo e per la realizzazione degli impianti elettrico e antifurto.
  Si precisa, inoltre, che i beni mobili di proprietà del FEC sono soggetti, come gli edifici sacri, al codice dei beni culturali e pertanto la relativa catalogazione rientra nei compiti istituzionali dei Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
  In tale ambito il predetto Ministero ha già effettuato una catalogazione informatica (ARTPAST) delle opere d'arte presenti sul territorio nazionale, tra cui anche quelle relative alla Chiesa di Santa Chiara di Noia.
  Si fa presente, inoltre, che la chiesa in questione nel 2010, su concorde avviso della curia e della soprintendenza, è stata concessa in uso gratuito al comune di Nola, anche in considerazione del permanente stato di degrado dell'immobile e considerate le disponibilità del FEC davvero limitate in rapporto alle esigenze di conservazione e restauro di oltre 750 chiese di rilevante interesse storico-culturale e dell'immenso patrimonio artistico in esse custodito.
  La concessione era (e rimane) finalizzata a consentire all'ente civico di presentare un progetto di ristrutturazione dell'edificio da finanziarsi con fondi europei allorché saranno conclusi gli interventi di restauro particolarmente urgenti in corso di realizzazione da parte della Soprintendenza.
  Gli obblighi e le prescrizioni a carico del comune di Nola relativamente all'edificio sacro e alle opere d'arte ivi custodite sono quelli gravanti sul comodatario a norma del codice civile, fermo restando che le opere di pertinenza della chiesa sono vincolate al sensi del codice del beni culturali.
  Per quanto concerne gli interventi di verifica e controllo da parte del Ministero dell'interno sui beni del FEC, si informa che – ferme restando le competenze dei prefetti ai sensi dell'articolo 57 della legge n. 222 del 1985 che attribuisce agli stessi la gestione in sede locale dei beni del FEC – la competente Direzione Centrale per l'amministrazione del Fondo edifici di culto ha fornito periodicamente apposite indicazioni alle prefetture e alle Soprintendenze (queste ultime in quanto organi tecnici del fondo citati nella suindicata legge) attraverso apposite circolari, da ultimo quella.
  Con l'ultima di tali circolari, la n. 2 del 17 dicembre 2013, in ottemperanza al parere espresso dal consiglio di amministrazione del FEC, è stata anche segnalata l'opportunità, ove possibile, di ricollocare nelle chiese di provenienza i relativi beni mobili, custoditi in altre sedi, ovvero, in caso contrario, di trasferirli in altri edifici sacri del Fondo della medesima città o provincia, dotati di impianti per garantirne la custodia e conservazione.
  Alla luce di quanto sopra è stata interessata la prefettura di Napoli perché richiedesse alla competente soprintendenza di individuare gli edifici sacri di proprietà del fondo nel comune di Nola o nella provincia di Napoli, ritenuti idonei ad accogliere i suddetti beni mobili.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   FORMISANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 1° gennaio 2015 è crollato un tratto di strada di accesso al Viadotto Scorciavacche sulla strada statale 121 Palermo – Agrigento, ad appena otto giorni dalla sua inaugurazione, avvenuta in data 23 dicembre 2014;
   per assoluto caso non transitava in quel momento alcuna autovettura, per cui non vi sono state vittime;
   l'ANAS ha deciso di chiudere al traffico la predetta strada statale, tra il chilometro 226 e 227 –:
   quali procedure abbia attivato il Ministro interrogato per accertare le responsabilità correlate a tale accadimento ed, in special modo, se sia stata chiesta all'Anas, e da quest'ultima fornita, una relazione dettagliata sull'appalto, sui lavori e anche sulla commissione di collaudo. (4-07463)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  In via preliminare, si evidenzia che il cedimento del rilevato stradale sulla strada statale 121 «Catanese» non attiene ad alcun cedimento strutturale del viadotto Scorciavacche 2 né deve essere posto in relazione ai problemi strutturali che hanno riguardato negli ultimi anni altri viadotti appartenenti alla rete stradale siciliana di competenza Anas.
  Il cedimento è avvenuto su un tratto di rilevato stradale posto immediatamente a tergo della spalla del viadotto in questione, di recente costruzione da parte del contraente generale Bolognetta s.c.p.a, costituito dalle imprese CMC, Tecnis e CCC, realizzato nell'ambito dei lavori di ammodernamento del tratto Palermo-Lercara Friddi, lotto funzionale dal chilometro 14.4 al chilometro 48.0, dell'itinerario Palermo-Agrigento.
  Sebbene il tratto stradale fosse stato aperto al traffico, in via provvisoria, il giorno 23 dicembre 2014, il cedimento del rilevato è avvenuto nei primi giorni di gennaio 2015, in un momento in cui la circolazione stradale era già stata interdetta da ANAS; infatti, come la stessa società ha riferito, il 30 dicembre 2014 il proprio personale tecnico intervenuto sul posto nell'ambito delle ordinarie attività di sorveglianza e monitoraggio della rete in esercizio, accertava un avvallamento anomalo nella zona di rilevato di accesso al viadotto, lato Palermo, situato a circa 20 metri dal giunto dello stesso.
  La circolazione stradale, a valle della chiusura al traffico del tratto della SS 121 interessata dal cedimento, è stata comunque garantita dalla deviazione sull'adiacente SP55bis.
  Pertanto, non si sono verificate situazioni di reale pericolo per gli utenti della strada ma, naturalmente, questo non esime dal rilevare l'anomalia di quanto accaduto.
  E infatti, i competenti uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti hanno provveduto a istituire, il successivo 5 gennaio, una apposita commissione ispettiva ministeriale finalizzata alla ricostruzione dell'accaduto, alle verifica delle cause e alla individuazione delle responsabilità.
  La commissione ispettiva sta operando parallelamente alla commissione d'inchiesta nominata dall'ANAS e dal consulente tecnico d'ufficio nominato dalla procura di Termini Imerese.
  Lo scorso 12 gennaio, la commissione ministeriale ha effettuato un sopralluogo sull'area in questione, sottoposta a sequestro dal 4 gennaio, alla presenza dei carabinieri, del personale ANAS e del contraente generale; ha quindi iniziato l'esame della documentazione consegnata da ANAS, dalla quale emerge – per ora – che le indagini geognostiche preventive sono state eseguite. Rimane ancora da accertare se tali indagini siano state svolte correttamente e se siano state sufficienti.
  Le responsabilità amministrative saranno prontamente registrate e perseguite, nella piena consapevolezza della serietà delle problematiche sollevate dall'episodio oggetto dell'interrogazione.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   MELILLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto appreso dal referente dei detenuti della Associazione radicali Abruzzo, nella persona del dottor Francesco Lo Piccolo, incaricato di contribuire – in assenza dell'istituzione di un garante regionale – a tutelare i diritti delle persone ristrette in carcere, sussiste in Chieti una situazione meritevole d'essere evidenziata e portata all'attenzione del Governo;
   Tarek Sgaieri, cittadino tunisino nato nel 1985, è stato arrestato il 22 ottobre 2008 per aver commesso una rapina e per essere stato trovato in possesso di un modesto quantitativo stupefacenti. Per questi motivi, gli è stata inflitta una pena la cui scadenza è prevista per il prossimo 24 febbraio;
   all'inizio dell'anno scorso, in considerazione del comportamento esemplare tenuto dal detenuto nel periodo di permanenza presso il carcere di Chieti, lo stesso è stato ammesso – insieme ad altri
6 compagni (detenuti ed ex detenuti) – ad un programma di lavoro all'esterno previsto dall'articolo 21 dell'O.P. che prevedeva l'assunzione in work experience (tirocinio formativo) con borsa lavoro presso una cooperativa edile. In virtù di detta opportunità emersa nell'ambito di un progetto europeo elaborato dalla Regione Abruzzo (nel quadro delle azioni del Fondo sociale europeo) per l'inserimento sociale di detenuti ed ex detenuti italiani e stranieri, il detenuto è riuscito a crearsi una vera e propria prospettiva di reinserimento, accompagnata a livello sociale anche dall'esercizio dell'attività sportiva praticata nel tempo libero con la squadra «Integra Sport» della Caritas teatina:
   l'inserimento nel mondo del lavoro per il detenuto è stato un vero e proprio toccasana: lo stesso ha iniziato immediatamente a distinguersi, sia presso i propri colleghi che nei confronti del datore di lavoro, per l'assiduità, l'impegno, l'abilità e la assoluta abnegazione nello svolgimento dell'attività di manovale;
   anche nell'ambito dell'attività sportiva ha mostrato attinenza agli scopi non solo agonistici, ma socio-culturali dell'attività «Integra Sport», diretta a favorire l'integrazione e fortemente appoggiata con spirito ecumenico anche dalla Diocesi. Nel frattempo Tarek, già da anni convertito dall'islamismo alla fede evangelica, ha potuto frequentare ministri di culto protestanti, normalmente autorizzati all'ingresso nella casa circondariale di Chieti, approfondendo la sua formazione religiosa ed usufruendo di permessi premio sempre volti ad approfondire il percorso spirituale o ad espletare attività di volontariato (ad esempio per due anni consecutivi ha partecipato come volontario alla Giornata nazionale della colletta alimentare). Non ha mai richiesto permessi per fini personali o familiari, essendo sostanzialmente solo sul territorio nazionale;
   certamente consistente è stato l'investimento, non solo in termini di risorse finanziarie (anche di provenienza europea), che lo Stato, la regione Abruzzo, la comunità locale (profit e non-profit, enti religiosi) e gli operatori penitenziari hanno rivolto nei confronti del signor Sgaieri, anche al fine di garantire una parità di trattamento rieducativo e di opportunità indipendentemente dai requisiti di cittadinanza e secondo il più autentico spirito della normativa penitenziaria;
   non è frequente verificare che – come invece è accaduto in questa circostanza – a fronte di una simile apertura di credito, il detenuto dia dimostrazione dell'effettivo raggiungimento di una vera e propria integrazione sociale, lavorativa ed affettiva;
   come detto, da quando ha iniziato a lavorare Tarek Sgaieri ha acquisito fiducia in se stesso, senso di responsabilità, si è guadagnato la stima e l'amicizia dapprima dei colleghi di lavoro e poi via via di tutti quanti sono entrati in relazione con lo stesso. L'attività svolta ha consentito al giovane anche di ottenere una seppur modesta indipendenza economica ed una concreta aspettativa di stabilità. Si pensi ad esempio che il datore di lavoro ha sin d'ora preannunciato la propria disponibilità a trasformare, alla scadenza e previo rinnovo del permesso di soggiorno (onde non incorrere lui stesso in sanzioni), l'attuale contratto di tirocinio formativo in assunzione a tempo indeterminato;
   in una situazione del genere, è accaduto che lo Sgaieri – in vista dell'imminente provvedimento di scarcerazione definitiva per intervenuta fine pena – abbia demandato al proprio legale il compito di inoltrare alla Questura di Chieti, competente per territorio, la richiesta di rilascio del permesso di soggiorno: documento senza il quale, stante la legislazione vigente, il lavoratore non potrebbe continuare a soggiornare in Italia, così da proseguire il proprio cammino di crescita sociale, familiare ed economica e di conseguenza non potrebbe essere assunto;
   senonché, inopinatamente è stato disposto il rigetto dell'istanza benché, per le ragioni che si diranno, è opinione dell'interrogante che difettino chiaramente i requisiti per negare il provvedimento autorizzativo;
   se è vero come è vero, difatti, che Sgaieri, ormai 7 anni fa, si è macchiato di un reato (articolo 628/III CP) che secondo la normativa sui permessi di soggiorno deve essere «valutato» ai fini del rilascio, è altresì innegabile che – a fronte di tale elemento, di per sé non ostativo – risiedono innumerevoli altre circostanze tali da far ritenere non solo opportuno ma addirittura doveroso il rinnovo del permesso di soggiorno;
   basti pensare che, la prospettiva di un eventuale rimpatrio del giovane, ha suscitato l'immediata presa di posizione del datore di lavoro e degli stessi colleghi i quali non hanno esitato a dirsi pronti a manifestazioni di protesta ed astensione dal lavoro nel caso in cui Sgaieri venisse allontanato;
   anche relativamente alla sistemazione abitativa, v’è stata l'offerta, da parte di una famiglia residente in provincia di Chieti che ha conosciuto il giovane e la sua storia tramite i suoi colleghi di lavoro, di mettere a disposizione gratuitamente un alloggio per consentire allo Sgaieri di continuare a soggiornare nel circondario che – finalmente – gli ha offerto quell'opportunità di riscatto tanto attesa che, lo stesso, non si è lasciato sfuggire;
   si pensi infine – considerando la valenza simbolica della circostanza – che lo stesso Arcivescovo di Chieti, Bruno Forte, ha apprezzato la partecipazione dello Sgaieri al progetto della Caritas Integra Sport, tanto che il detenuto ha potuto partecipare ad una conferenza stampa tenuta in proposito dal medesimo arcivescovo;
   siamo dunque in presenza di una situazione che potremmo definire «piacevolmente eccezionale»: quella, cioè, di un giovane che in pochi anni è riuscito a passare dalla condizione di rappresentare l'archetipo dell'extracomunicatio «cattivo» a quella di dimostrazione concreta che un'opportunità c’è, solo che la si voglia cogliere;
   abbandonare Sgaieri a se stesso sarebbe un errore imperdonabile;
   vorrebbe dire obbligarlo a fare immediato ritorno in Tunisia: Paese dal quale manca ormai da molti anni (circa 10-12) e presso il quale non potrebbe fare affidamento nemmeno sui legami affettivi, vista l'ostilità che familiari ed (ex) amici nutrono nei confronti del giovane, reo di essersi convertito ormai da molti anni alla religione cristiano-evangelica;
   rispedire Tarek Sgaieri in Tunisia vorrebbe dire non solo frustrare il progetto di reinserimento che lo ha reintrodotto alla legalità e che lo ha visto partecipare con spirito di abnegazione ma la stessa concezione della giustizia; vorrebbe dire gettare nello sconforto i tanti operatori che hanno creduto e credono non solo in quel giovane ma in tutti coloro a cui quell'opportunità viene concessa. Significherebbe gettare alle ortiche tutte le risorse finanziarie che lo Stato e la regione Abruzzo hanno destinato ad uno scopo tanto nobile e ambizioso;
   è ovvio che vedere sfumare le possibilità doverosamente offerte al detenuto dalle istituzioni statali per diniego dello Stato stesso indurrebbe il detenuto ed i compagni in condizioni similari, a perdere ogni ragionevole fiducia nella giustizia italiana; peraltro, data la situazione personale dello Sgaieri, che rende quantomeno difficoltoso il suo rientro in Tunisia, lo stesso potrebbe facilmente optare per un reiterarsi della situazione di clandestinità, in Italia o in un altro Paese dell'Unione europea, e inevitabilmente per il ricorso a mezzi di sussistenza illegali (lavoro nero quando non ulteriori crimini). L'eventuale provvedimento di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno, avrebbe dunque una sola probabile conseguenza: quella di generare ulteriore illegalità in una situazione in cui tutti i presupposti sussistono per il regolare inserimento della persona sul territorio italiano ed ogni presidio economico, trattamentale e umano è stato speso dallo Stato affinché ciò fosse possibile;
   risulta, peraltro, che sussistano numerosi casi consimili e precedenti risolti in senso sfavorevole ai detenuti stranieri –:
   se rispondano al vero le circostanze indicate e quali iniziative intenda il Governo adottare al riguardo;
   se sia vero o meno che personale addetto alla questura di Chieti, sin dal momento della presentazione dell'istanza tesa ad ottenere il rilascio del permesso di soggiorno e quindi a prescindere da qualsiasi istruttoria e dall'esame della documentazione, abbia preannunciato l'imminente e certo rigetto della domanda;
   se e quali iniziative i Ministri dell'interno e della giustizia intendano adottare affinché gli investimenti trattamentali compiuti in sede penitenziaria ed il loro buon esito siano tenuti in prioritaria considerazione nella procedura di rinnovo dei permessi di soggiorno (non già rinnovati per intervenuta detenzione);
   se non sia indispensabile e urgente assumere iniziative per contemperare l'impiego di investimenti rieducativi su soggetti extracomunitari in detenzione e la normativa sull'immigrazione. (4-03610)

  Risposta. — Il cittadino tunisino Tarek Sgaieri ha presentato un'istanza tesa a ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato il 30 dicembre 2013, oltre sette anni dopo la data di scadenza (8 novembre 2006) del titolo di soggiorno di cui era titolare. Pertanto, l'istanza è stata considerata come una nuova richiesta e non come un semplice rinnovo.
  Con nota del 1o febbraio 2014, la questura di Chieti ha notificato all'interessato, presso la casa circondariale di Chieti, la sussistenza di motivi ostativi al rilascio del permesso di soggiorno, in quanto il cittadino tunisino è stato ritenuto socialmente pericoloso. Tale giudizio è stato formulato, in primo luogo, attraverso la valutazione delle risultanze del casellario giudiziale a carico dello straniero, che annovera diversi precedenti penali (rapine, lesioni personali, sequestro di persona, vendita e detenzione di sostanze stupefacenti, riciclaggio e ricettazione).
  Inoltre, hanno formato oggetto del giudizio di pericolosità sociale ulteriori elementi, quali l'aver fornito più volte false generalità allo scopo di sottrarsi ai controlli di polizia, oltre che i diversi precedenti penali (inosservanza dei provvedimenti dell'autorità e delle norme del testo unico per l'immigrazione, violenza privata e violazione di domicilio, insolvenza fraudolenta, interruzione di pubblico servizio).
  Le argomentazioni contenute nella memoria inviata dall'interessato, acquisita dalla questura il 14 febbraio 2014, non sono state ritenute influenti ai fini del rilascio del permesso di soggiorno, attesa la gravità e l'indole dei reati commessi, che hanno condotto a ritenere lo straniero quale persona socialmente pericolosa per la sicurezza pubblica.
  Alla luce di quanto sopra, in applicazione della normativa vigente in materia di ingresso e soggiorno dei cittadini non comunitari sul territorio nazionale, il 24 febbraio 2014 il questore ha rifiutato il rilascio del permesso di soggiorno.
  Con decreto in pari data, il prefetto di Chieti, su conforme proposta del questore, ha adottato nei confronti del signor Sgaieri il decreto di espulsione.
  L'interessato ha impugnato entrambi i provvedimenti.
  Quanto al ricorso avverso il provvedimento del questore, il tribunale amministrativo regionale Abruzzo – sezione staccata di Pescara, in attesa di discutere il merito del gravame, ha respinto l'istanza di sospensiva con ordinanza del 5 giugno 2014.
  Il ricorso avverso il provvedimento del prefetto, invece, è stato accolto dal giudice di pace di Chieti con ordinanza del 14 aprile 2014, ragion per cui l'esecuzione della misura di rigore è stata sospesa. Comunque, la prefettura ha chiesto all'avvocatura distrettuale di L'Aquila di valutare la possibilità di impugnare l'ordinanza ed è in attesa di notizie al riguardo.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dal mese di luglio ad oggi, sono transitati sul territorio comunale di Prelà, in provincia di Imperia, numerosi cittadini extracomunitari provenienti da diversi stati africani e asiatici, tra cui Siria, Nigeria, Ghana, Eritrea, Gambia, Sudan, Somalia, ospitati nella locale casa famiglia gestita dalla cooperativa La Goccia in convenzione con la prefettura;
   in detti paesi, sia di origine sia di transito, in assenza di adeguate misure di profilassi sono ancora presenti numerose malattie contagiose ed infettive, quali ad esempio TBC, scabbia, HIV, ed è attuale;
   negli uffici comunali di Prelà non sono mai pervenuti documenti sanitari atti a certificare la totale assenza di patologie infettive e contagiose da parte degli ospiti della locale casa famiglia e il sindaco, ai sensi dell'articolo 50 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, (TUEL) ha emesso specifica ordinanza al fine di tutelare la salute pubblica dei propri cittadini;
   a causa delle continue fughe da tale centro di accoglienza, gli esami sanitari, atti a escludere la presenza delle malattie di cui sopra, non vengono completati e ciò comporta una situazione di grave rischio per la popolazione locale;
   la situazione del comune di Prelà non è dissimile a quella che stanno vivendo tantissimi altri comuni per effetto dei diversi centri di accoglienza in convenzione con le prefetture e delle baraccopoli che stanno sorgendo un po’ ovunque;
   la gravissima epidemia di Ebola è arrivata in questi giorni anche in Europa e tra i diversi ceppi virali, quello attuale è lo «Zaire ebolavirus» (ZEBOV) che ha il tasso di mortalità più alto tra le diverse varianti del virus –:
   quali esami vengano effettuati a chi viene condotto sulle nostre coste dalle navi della Marina militare nell'ambito dell'operazione Mare Nostrum in tutte le fasi, dal primo soccorso al trasferimento nei centri di accoglienza, se vengano redatti dei certificati medici attestanti la negatività da malattie infettive e trasmissibili e a quali autorità vengono consegnati tali certificati prima dell'ammissione nelle strutture di accoglienza, quali iniziative intendano assumere al fine di garantire l'effettiva permanenza nei centri ed evitare qualsiasi fuga dai centri di accoglienza prima che siano stati effettuati tutti gli accertamenti sull'identità e lo stato di salute sulle persone ivi ospitate. (4-06479)

  Risposta. — Le problematiche sanitarie connesse ai flussi migratori sono da tempo all'attenzione delle Amministrazioni interessate.
  Il Ministero della salute ha fornito precise indicazioni agli uffici di sanità marittima aerea e di frontiera (Usmaf) che intervengono nelle primissime fasi dell'arrivo, nonché agli assessorati regionali alla sanità, che intervengono nelle fasi successive di permanenza degli stessi naufraghi nel territorio nazionale, per l'applicazione delle misure previste dal regolamento sanitario internazionale del 2005 e delle misure di sorveglianza e prevenzione appropriate.
  Lo stesso dicastero ha emanato, altresì, apposite linee guida sulla prevenzione del rischio biologico, sulla gestione delle misure di prevenzione per la tubercolosi e sul rischio biologico da virus ebola.
  Al fine di garantire un tempestivo ed efficace intervento in favore dei migranti, è stato realizzato anche il progetto SAR, finanziato e approvato dalla Commissione europea, che assicura la prestazione di assistenza sanitaria da parte di personale medico e paramedico a bordo delle imbarcazioni della guardia costiera e della guardia di finanza impiegate nelle operazioni di soccorso nel canale di Sicilia e sulla terraferma. Le attività svolte mirano ad assicurare interventi tempestivi ed efficaci già nella fase del soccorso in mare, consentendo di individuare possibili casi di particolare gravità, che richiedono il trasferimento immediato dei migranti presso gli ospedali collocati sulla terraferma.
  Con riferimento, invece, al rischio di contagio di malattie infettive cui sarebbe esposto il personale delle forze di polizia impegnato nelle operazioni di soccorso, la direzione centrale di sanità del dipartimento della pubblica sicurezza ha emanato più di una circolare sull'argomento, con l'indicazione delle misure operative di tutela e di profilassi da adottare.
  La stessa direzione centrale è in costante contatto con i medici della polizia di Stato delle sedi ove avvengono gli sbarchi e di quelle dove sono trasferiti i migranti, attivando puntuali e reciproci scambi sulle eventuali criticità di carattere sanitario.
  Inoltre, di fronte a potenziali rischi di natura biologica, i questori delle sedi nelle quali vengono trasferiti i migranti possono impiegare i medici della polizia di Stato per monitorare tempestivamente la situazione consentendo di attuare, laddove necessario, ogni misura di tutela nei confronti del personale, con particolare riguardo agli aspetti di informazione sanitaria, alla fornitura e al corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale.
  Tale procedura consente un adeguato contenimento del potenziale rischio biologico del personale impegnato in tali attività, al di là delle misure cautelative già adottate in termini di profilassi.
  È stata anche prevista la distribuzione, a scopo prudenziale, di un kit di protezione individuale al personale della polizia di Stato in servizio negli scali aeroportuali interessati da voli internazionali extra-Schengen. Tale strumentazione potrà anche essere distribuita in caso di effettiva esigenza a personale di altri uffici o reparti.
  Per la protezione della salute dei militari impegnati nelle operazioni di soccorso, anche la marina militare ha avviato una serie di azioni volte alla prevenzione del rischio biologico, a tutela del personale sanitario e di assistenza. Le misure preventive sono di tipo organizzativo, collettivo e individuale, e si basano sulla predisposizione di corrette procedure di assistenza ai naufraghi, individuazione delle aree di bordo destinate all'accoglienza e all'eventuale isolamento, formazione del personale, copertura vaccinale e adozione di dispositivi di protezione individuale commisurati al livello di rischio.
  Oltre a tutelare la salute dei militari e di quanti operano nel contesto delle operazioni di soccorso in mare, il personale sanitario di bordo ha tra i propri compiti anche quello di prestare soccorso e le prime cure ai migranti recuperati. Tale qualificata assistenza si somma a quella di tipo volontario operante a bordo, al fine di garantire il massimo sforzo sanitario in condizioni di reale emergenza derivanti dal recupero in mare.
  La tutela della salute e della sicurezza a bordo prevede anche misure di carattere collettivo, non indirizzate quindi al solo personale militare, quali la disinfezione delle aree di accoglienza e la gestione delle misure di isolamento.
  Inoltre, nell'ambito del progetto
Praesidium – coordinato dal Ministero dell'interno e finanziato dalla Commissione europea – i migranti, fin dal momento dello sbarco sul territorio italiano, sono sottoposti a un triage medico da parte delle aziende sanitarie locali, in collaborazione con la Croce Rossa Italiana.
  All'ingresso nei centri di accoglienza, è effettuato uno
screening diretto a verificare se sussistono patologie, o sospetti di patologie, che non consentono la permanenza nelle strutture e che richiedono invece il ricovero in ospedale. Durante la permanenza nei centri, agli immigrati è comunque assicurata l'assistenza sanitaria, con le modalità previste dall'accordo Stato-Regioni del dicembre 2012, in collegamento con le strutture del sistema sanitario della regione competente per territorio.
  Il vigente schema di capitolato d'appalto (decreto ministeriale 21 novembre 2008) dispone che l'assistenza sanitaria offerta nei centri governativi per l'immigrazione comprenda le seguenti prestazioni: visita d'ingresso e primo soccorso sanitario, espletato in apposito ambulatorio allestito all'interno della struttura, con presidio medico e personale sanitario e infermieristico; eventuali trasferimenti degli ospiti, qualora ne sussistano le esigenze, presso strutture ospedaliere esterne al centro; somministrazione di medicinali e di presidi sanitari necessari per il primo soccorso e per l'assistenza sanitaria ordinaria; tenuta di apposita scheda sanitaria per ciascun ospite. Nel caso in cui i medici dei centri prescrivano accertamenti diagnostici o esami clinici specifici, i migranti sono accompagnati presso i competenti presidi sanitari territoriali.
  Rimane ovvio che le misure di profilassi e assistenza sanitaria sopra illustrate coprono anche i rischi derivanti da malattie infettive.
  In relazione a ciò, si assicura che il Ministero dell'interno – al pari delle altre amministrazioni pubbliche interessate – svolge ogni opportuna azione per assicurare una adeguata tutela della salute delle persone migranti che arrivano nel nostro Paese, così come degli operatori che prestano il loro servizio durante le operazioni di sbarco e nei centri per l'immigrazione.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   PALAZZOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il centro di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) di Mineo è stato inaugurato il 18 marzo 2011 a seguito della proclamazione dello stato di emergenza nel territorio nazionale in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini stranieri provenienti dalle regioni del Nord Africa con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 aprile 2011;
   il CARA è ospitato presso il «Villaggio della Solidarietà» di Mineo, composto da 403 villette di proprietà della Pizzarotti spa di Parma;
   il residence è diventato il «Villaggio della Solidarietà» attraverso un decreto di requisizione, il n. 16455 del 2 marzo 2011;
   il costo stimato di indennizzo che è stato pagato dallo Stato alla Pizzarotti spa è pari a circa 6 milioni di euro all'anno;
   la struttura è affidata al Consorzio siciliano di cooperative sociali Sisifo (LegaCoop), capofila di un raggruppamento composto da Sol.Calatino Caltagirone (aderente al Consorzio Sol.Co. Catania, rete di imprese sociali siciliane operante a Mineo dal 28 dicembre 2009), la coop-azienda di ristorazione Cascina di Roma, la Senis Hospes e la Domus Caritatis;
   l'accordo raggiunto con l'ente gestore prevedeva un costo di 46 euro per ogni rifugiato ospitato dal centro;
   la struttura di Mineo attualmente ospita oltre 4.000 migranti, a fronte di una capienza stimata di 2000 unità. A tal proposito, si rileva come l'incremento degli ospiti nella struttura sia riferibile al periodo in cui terminava lo stato d'emergenza e contestualmente il pagamento diretto, da parte dello Stato, dell'indennizzo alla Pizzarotti spa;
   nell'ambito dell'inchiesta «Mafia Capitale» emergerebbero inquietanti elementi riguardo a numerose attività criminali connesse alla gestione dei flussi migratori e dei centri di accoglienza per i richiedenti asilo che dimostrerebbero come alcuni personaggi, oggi arrestati o indagati, avrebbero, con grave danno alla collettività, tratto vantaggi personali grazie a rapporti privilegiati anche con gli uffici del Ministero dell'interno;
   in particolare, desta particolare allarme la notizia secondo la quale uno degli arrestati, Luca Odevaine, fosse contestualmente membro del tavolo di coordinamento nazionale sull'immigrazione, a cui spettava il compito di valutare gli appalti per l'affidamento della gestione del CARA, ed esperto di problematiche legate all'immigrazione e consulente del Consorzio «Calatino Terra d'Accoglienza», ente attuatore del CARA di Mineo;
   per questa consulenza sarebbe stato indicato dal Sottosegretario alle politiche agricole, alimentari e forestali, Giuseppe Castiglione, all'epoca presidente della provincia di Catania, citato tra l'altro in un'intercettazione telefonica pubblicata il 9 dicembre su Repubblica, dalla quale emergerebbe che Odevaine, parlando con una terza persona, avrebbe riferito di un incontro con lo stesso Castiglione, a Catania, per discutere dell'appalto per la gestione del Cara di Mineo e del soggetto, già individuato, che avrebbe dovuto vincere la gara d'appalto;
   tale duplice ruolo avrebbe infatti consentito ad Odevaine di orientare e gestire il flusso di appalti nel sistema dell'emergenza immigrati, un affare da cento milioni di euro, in modo da favorire sempre gli stessi gestori, il consorzio di cooperative sociali che negli ultimi tre anni gestisce il CARA di Mineo, il più grande centro d'Europa;
   in sostanza, per gli inquirenti, Odevaine, sarebbe l'uomo su cui poteva contare l'organizzazione criminale per indirizzare i milioni di euro dell'immigrazione;
   inoltre, Odevaine, nel giugno di quest'anno, oltre ai ruoli ricoperti e richiamati in premessa, avrebbe fatto parte anche della commissione giudicatrice le proposte relative al bando per la gestione dei servizi del Cara di Mineo, così come era già successo nel 2012;
   da fonti di stampa si apprende come la gara di giugno 2014 sia stata vinta dall'Ati (associazione temporanea di imprese) che ha come capogruppo mandatario il Consorzio Casa della Solidarietà, a cui le altre aziende facenti parte dell'Ati hanno dato l'incarico di trattare con il committente. Sono le stesse cooperative e aziende che hanno gestito il Cara sinora: Sisifo, Sol.Calatino, Senis Hospes, Cascina Global Service, Pizzarotti e c. s.p.a, comitato provinciale della Croce Rossa Italiana; rispetto al passato, dunque, sarebbe cambiato solo l'ente capofila: prima dell'ultimo appalto era sempre stato il Consorzio Sisifo, coinvolto nel 2013 nella scandalosa gestione del Cpsa di Lampedusa;
   in definitiva, a parere degli interroganti, ciò che emerge dalle pagine dell'inchiesta Mondo di Mezzo, è un complesso sistema di rapporti tra la politica ed il business dell'immigrazione con il Cara di Mineo che diventa, anche grazie alla figura di Odevaine, un vero e proprio centro di smistamento dei flussi di migranti verso le altre strutture facenti capo alla «Mafia Capitale»;
   solo così si può comprendere con chiarezza il motivo del sovraffollamento della struttura finalizzato alla creazione di un'emergenza continua attraverso cui bypassare di fatto tutte le procedure ordinarie per le gare d'appalto ed affidarle direttamente alla rete di cooperative appartenenti al sistema d'affari di «Mafia Capitale»;
   già in passato l'interrogante aveva denunciato sia mezzo stampa che attraverso atti parlamentari, come il Cara di Mineo sia stato pensato per diventare centro di smistamento dei flussi di migranti da e per i centri di accoglienza straordinari e di come un centro di tali dimensioni sia inadeguato all'accoglienza ed all'integrazione, paventando il rischio che diventasse solo un grande centro speculativo;
   infine, dai dati sulla distribuzione dei rifugiati in Italia per regione nei CARA, nelle strutture temporanee e nei SPRAR, pubblicati sul sito del Ministero dell'interno emerge la seguente situazione al 30 settembre 2014: in Sicilia sono presenti il 24 per cento dei migranti, nel Lazio il 13 per cento; in Puglia il 10 per cento, in Lombardia il 9 per cento, in Calabria e Campania il 7 per cento, in Emilia Romagna il 5 per cento, in Piemonte e Toscana il 4 per cento, in Veneto e nelle Marche il 3 per cento, in Liguria, Friuli Venezia Giulia, Molise e Sardegna il 2 per cento, in Umbria, Basilicata e Abruzzo l'1 per cento;
   dalla lettura di questi dati appare evidente che, a parte la Sicilia che ha una ragione geografica tale da giustificare una percentuale di accoglienza così elevata, essendo punto di sbarco, non si comprende invece come la seconda regione sia il Lazio, con il 13 per cento e soprattutto Roma, se non alla luce delle intercettazioni di Odevaine che dichiara di aver fatto aumentare i posti Sprar su Roma da 250 a 2500 e soprattutto non si capisce come il tutto sia avvenuto senza destare alcun sospetto –:
   quante siano le deroghe, e quale ne sia la ragione, concesse al rapporto tra popolazione dei comuni/migranti previsto dal progetto SPRAR; in particolar modo, riguardo al comune di Roma, quali siano le ragioni, nonché le procedure autorizzative, che hanno portato ad una così grande crescita del numero di ospiti delle strutture per richiedenti asilo;
   se e quali controlli sui requisiti soggettivi ed oggettivi degli enti gestori dei centri per migranti siano stati posti in essere, in via ordinaria, per accertare l'assenza di conflitti di interessi nonché l'eventuale presenza di ulteriori ragioni ostative all'affidamento;
   se siano stati portati avanti dei controlli sul CARA di Mineo in ordine alla regolarità degli affidamenti e quale sia, ad oggi, il costo della struttura differenziando fra costo di gestione e costo per l'affitto;
   quali siano le ragioni per cui il numero di ospiti del CARA di Mineo sia stato mantenuto costantemente al doppio della capienza consentita, e quali siano le procedure e i responsabili di tali deroghe alla capienza;
   se il Ministro non ritenga che la figura di Odevaine fosse in conflitto di interessi, occupando simultaneamente il posto di membro del tavolo di coordinamento nazionale sull'immigrazione e di dipendente del consorzio di gestione del CARA di Mineo;
   se fosse noto al Ministero questo doppio incarico e, nel caso, perché sia stato consentito;
   se in via cautelativa, in attesa delle risultanze dell'indagine in corso ma alla luce delle evidenze già diffuse dalla stampa, il Ministro non ritenga di dover intervenire sospendendo l'appalto di affidamento di servizi per il Cara di Mineo ed avviando la procedura di chiusura della struttura, ad esempio affidandola alla protezione civile per il periodo necessario alla sua dismissione. (4-07247)

  Risposta. — Il sovraffollamento del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo è una diretta conseguenza degli eccezionali flussi migratori, che, come noto, hanno caratterizzato l'anno appena decorso e proseguono in questo primo scorcio del 2015. Comunque il funzionamento del centro, tanto più dopo che lo scorso anno ne è stata aumentata la capienza a 3 mila unità, continua ad apparire necessario, sotto vari profili, a un'efficace accoglienza dei migranti che giungono in Italia attraverso le rotte del Mediterraneo.
  Proprio l'imponenza del fenomeno migratorio ha indotto il Governo a ripensare l'intero sistema dell'accoglienza in modo da collocarlo al di fuori della logica emergenziale degli ultimi dieci anni. Dal marzo 2002 al dicembre 2012, infatti, l'Italia aveva gestito gli eccezionali flussi migratori con gli strumenti propri della protezione civile, cioè con ordinanze di necessità e urgenza, previa dichiarazione dello stato di emergenza.
  L'impegno profuso per la riorganizzazione del sistema di accoglienza ha condotto all'elaborazione, d'intesa tra Governo, regioni e autonomie locali, di un piano operativo nazionale sul quale la Conferenza unificata ha sancito l'intesa proprio nella seduta dello scorso 10 luglio. La portata innovativa del piano sta nel fatto che la gestione dei flussi acquisisce la connotazione di attività ordinaria strutturata e programmabile. La sua attuazione si fonda sul metodo della concertazione tra lo Stato e il mondo delle autonomie territoriali.
  Il motore della complessa macchina dell'accoglienza è il Ministero dell'interno che, per la ripartizione dei migranti sul territorio nazionale e l'organizzazione delle altre misure previste dal piano, si avvale del supporto e delle indicazioni del tavolo di coordinamento nazionale, a cui partecipano, oltreché le amministrazioni statali interessate, la Conferenza delle Regioni, l'Unione province d'Italia e l'Associazione nazionale dei comuni italiani, nonché dei tavoli regionali presso le prefetture dei capoluoghi di regione.
  A proposito del tavolo nazionale – di cui il signor Luca Odevaine ha fatto parte fino allo scorso mese di ottobre come membro designato dall'Unione delle province italiane –, si precisa che esso non ha avuto né può avere alcun ruolo in materia di aggiudicazione delle gare per l'affidamento del servizio di gestione dei centri di accoglienza.
  Tale adempimento, ai sensi della normativa vigente, spetta infatti alle Prefetture territorialmente competenti.
  Nel caso del centro di Mineo, si informa che il 20 dicembre 2013 la prefettura di Catania, previo parere favorevole del Ministero dell'interno, ha sottoscritto un accordo ai sensi dell'articolo 15 della legge n. 241 del 1990 con il «consorzio calatino terre di accoglienza», costituito dal comune di Mineo e da altri sei comuni del Calatino, per disciplinare le attività di accoglienza e assistenza in favore dei cittadini stranieri richiedenti asilo nel centro.
  In base all'accordo, che trova fondamento nei principi di sussidiarietà verticale leale collaborazione tra amministrazioni pubbliche, il consorzio calatino ha assunto il ruolo di stazione appaltante per la selezione del soggetto gestore del centro nonché la piena responsabilità delle attività contrattuali, con esclusione di qualsiasi coinvolgimento della prefettura.
  In esito alla procedura di gara, il consorzio calatino ha individuato quale ente gestore l'Associazione temporanea di imprese costituita dal consorzio di cooperative sociali di cui è capo gruppo la «Casa della solidarietà». Il 26 settembre 2014, con decorrenza dal 10 ottobre, il consorzio calatino ha stipulato con l'ente aggiudicatario il contratto per l'affidamento triennale dei servizi e delle forniture per la gestione del centro.
  Quanto alla richiesta dell'interrogante di conoscere i costi di gestione e locazione della struttura, si rappresenta quanto segue.
  In ordine alla gestione delle attività di accoglienza e assistenza, il citato accordo del 23 dicembre 2013 prevede un costo di 35 euro
pro-capite/pro-die, IVA inclusa, per la durata di tre anni.
  In ordine alla locazione, il relativo contratto stabilisce una durata di tre anni ad un canone annuo di importo variabile tra i 4 milioni 490 mila euro circa e 5 milioni 440 mila euro circa, IVA esclusa, a seconda del numero dei migranti ospitati.
  Relativamente ai controlli sulla regolarità degli affidamenti di beni e servizi riguardanti il centro in questione, la prefettura di Catania ha comunicato di aver richiesto al Presidente del consorzio l'avvio del monitoraggio sui relativi rapporti contrattuali, allo scopo di verificarne la perfetta coerenza con le specifiche norme di settore.
  Risulta, in proposito, che il rappresentante legale dell'ente consortile abbia interessato l'Autorità nazionale anticorruzione per accertare la correttezza di tutti gli atti compiuti dalla struttura amministrativa del consorzio stesso e che il consiglio di amministrazione dell'ente abbia deliberato la costituzione di parte civile nel processo contro gli imputati dell'operazione «Mafia capitale».
  Infine, per quanto concerne la posizione di Luca Odevaine, risulta che egli avesse svolto le funzioni di consulente del presidente del consorzio calatino, prima di essere stato individuato, attraverso una procedura di selezione pubblica, come responsabile dell'ufficio dello stesso ente preposto alla progettazione e rendicontazione degli interventi finanziati con fondi comunitari, in base a un contratto di collaborazione temporanea.
  Tuttavia, in seguito all'arresto del signor Odevaine, tale rapporto contrattuale è stato interrotto.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   PANNARALE, DURANTI, FRATOIANNI, MATARRELLI e SANNICANDRO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in considerazione del fatto che nell'anno 2013 il numero degli sbarchi di cittadini stranieri si è più che triplicato rispetto al precedente anno, nel corso del Tavolo nazionale di coordinamento, tenutosi il 12 dicembre 2013, è stata condivisa la necessità di reperire ulteriori strutture di accoglienza nelle more dell'approvazione della graduatoria per l'attivazione dei nuovi posti SPRAR per il triennio 2014/2016 che consentiranno l'ampliamento della capacità ricettiva con una disponibilità di oltre 21 mila posti;
   a seguito di tale condivisa considerazione, in data 8 gennaio 2014 il Ministero dell'interno – DLCI-Servizi Civili-0121/0077 – indirizzava a tutte le Prefetture la circolare protocollo 0000104 dell'8 gennaio 2014, impegnando con urgenza le stesse ad individuare per l'accoglienza degli stranieri, in stretto raccordo con gli enti locali e in particolare i comuni, strutture – preferibilmente non alberghiere – messe a disposizione da enti pubblici o selezionate tramite indagine di mercato nell'ambito privato/sociale, dando preferenza a soggetti già accreditati e con una comprovata esperienza in materia, con cui attivare convenzioni. Il Ministero, inoltre, richiama l'opportunità di attivare tavoli di coordinamento regionale segnalando, a chiusura della circolare, l'urgenza nell'attuazione della stessa;
   le diffuse e gravi condizioni di sovraffollamento dei CARA, cui sono soggetti quotidianamente i migranti ivi ospitati, non possono che rappresentare un'ulteriore violazione di diritti e delle norme previste, in quanto costituiscono un chiaro ostacolo alla necessità di spazi di accoglienza dedicati e determinano condizioni igienico-sanitarie precarie, oltre che un disagio sociale e un rischio elevato in termini di potenziale coinvolgimento in situazioni di conflittualità;
   il centro di accoglienza per richiedenti asilo di Bari, il più capiente tra quelli pugliesi, ospita attualmente 1.457 cittadini stranieri a fronte di una capienza massima di 744 unità. Le condizioni di estremo disagio conseguenti al sovraffollamento, in particolare in alcuni periodi, risultano essere del tutto insostenibili, al punto da essere sfociate nel recente passato in gravi, deprecabili disordini che hanno messo a repentaglio l'incolumità sia degli ospiti che degli operatori, come anche riferito dalle cronache. Accanto a tali, estreme, esplosioni di conflittualità nei mesi scorsi, si registrano nelle ultime settimane, ormai quasi quotidianamente, numerose manifestazioni del tutto pacifiche inscenate nel centro cittadino da cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale, i quali, pur avendo titolo ad essere ospitati nel CARA di Bari, non possono accedervi a causa della indisponibilità di posti letto;
   alla data attuale, nonostante quanto descritto, la prefettura di Bari non ha ancora avviato alcuna consultazione con gli enti locali per individuare, in raccordo con gli stessi, ulteriori strutture d'accoglienza, così come richiesto dalla circolare del Ministero dell'interno citata;
   è noto agli interroganti che altre sedi prefettizie abbiano già provveduto a diffondere la circolare presso gli enti locali, avviando processi di concertazione con gli stessi e con soggetti del privato sociale, volti ad individuare le strutture d'accoglienza come rappresentato nella circolare citata. In taluni casi, si è già provveduto a sottoscrivere protocolli e stipulare convenzioni d'affidamento del servizio di accoglienza;
   a fronte dell'urgente necessità di fornire soluzioni alle problematiche esposte, sarebbe auspicabile che la prefettura, di concerto con gli enti locali, segnalasse al Ministero iniziative che contemplino anche la possibilità di riuso di immobili di proprietà pubblica, ormai dismessi dalle loro originarie destinazioni d'uso, che oggi e da tempo giacciono abbandonati al degrado, così come sembrano mostrare analoghe buone prassi in crescente diffusione in Europa e, in misura minore, in Italia. Nella città di Bari, vi sono ad esempio diverse caserme vuote, un ospedale militare di grandi dimensioni chiuso e inutilizzato, ed altri edifici neppure oggetto di apposito inventario finalizzato a tal scopo –:
   quali siano le intenzioni del Ministro interrogato circa l'attuazione della circolare Ministero dell'interno – DLCI-Servizi Civili-0121/0077 – Protocollo 0000104 dell'8 gennaio 2014 – A2 – presso tutte le prefetture con la massima urgenza;
   se non ritenga di intervenire con tempestività presso tutte le prefetture che ad oggi non hanno dato seguito agli impegni previsti dalle disposizioni contenute nella suddetta circolare. (4-03620)

  Risposta. — Gli eccezionali flussi migratori dell'anno appena decorso hanno indotto il Governo a ripensare l'intero sistema dell'accoglienza in modo da collocarlo al di fuori della logica emergenziale degli ultimi dieci anni. Dal marzo 2002 al dicembre 2012, infatti, l'Italia aveva gestito il fenomeno con gli strumenti propri della protezione civile, cioè con ordinanze di necessità e urgenza, previa dichiarazione dello stato di emergenza.
  L'impegno profuso per la riorganizzazione del sistema di accoglienza ha condotto all'elaborazione, d'intesa tra Governo, regioni e autonomie locali, di un piano operativo nazionale sul quale la Conferenza unificata ha sancito l'intesa proprio nella seduta del 10 luglio 2014. La portata innovativa del piano sta nel fatto che la gestione dei flussi acquisisce la connotazione di attività ordinaria strutturata e programmabile. La sua attuazione si fonda sul metodo della concertazione tra lo Stato e il mondo delle autonomie territoriali.
  Il motore della complessa macchina dell'accoglienza è il Ministero dell'interno che, per la ripartizione dei migranti sul territorio nazionale e l'organizzazione delle altre misure previste dal piano, si avvale del supporto e delle indicazioni del Tavolo di coordinamento nazionale, a cui partecipano, oltreché le amministrazioni statali interessate, la conferenza delle regioni, l'Unione province d'Italia e l'Associazione nazionale comuni italiani, nonché dei tavoli regionali presso le prefetture dei capoluoghi di regione.
  Tra le numerose novità del piano vi è l'istituzione di un'inedita tipologia di struttura governativa – l’
hub – concepita come base logistica ampia dove avverranno, tra le altre attività, l'identificazione, il fotosegnalamento, il triage sanitario e l'informazione legale del migrante. Tali strutture potranno sostituire progressivamente i centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara), favorendo, sin dalla prima accoglienza, l'individuazione del profilo migratorio del cittadino straniero, al fine della sua successiva collocazione nelle strutture del sistema di protezione per i richiedenti asilo e i rifugiati.
  Gli
hub saranno allestiti su base regionale o interregionale e quindi anche in Puglia ne opererà uno.
  In attesa della compiuta realizzazione del piano operativo nazionale, la distribuzione dei migranti giunti sulle coste italiane avviene comunque secondo criteri di ripartizione regionale e utilizzando i centri di accoglienza temporanei attivati su tutto il territorio nazionale, in attuazione della circolare dell'8 gennaio 2014 citata nell'interrogazione. Tali strutture ospitano attualmente circa 36 mila 500 migranti.
  Per quanto riguarda specificamente la situazione nella provincia di Bari, si informa che sono attivi un centro di accoglienza per richiedenti asilo a Bari, che ospita circa 1.600 stranieri, e due centri temporanei a Gioia del Colle e Gravina in Puglia, in cui sono presenti circa 180 stranieri.
  L'eccezionale flusso di migranti che sta interessando anche questa provincia ha reso necessaria l'individuazione in tempi brevi di ulteriori soluzioni temporanee.
  In tale ottica, per consentire ai cittadini stranieri senza fissa dimora, ma in possesso di regolare permesso di soggiorno, di integrarsi nel territorio, il comune di Bari ha progettato un centro di accoglienza da realizzare con il finanziamento del Ministero dell'interno, che ha già dato la propria disponibilità all'operazione.
  Il progetto prevede la collocazione in un'area di proprietà comunale di moduli prefabbricati, idoneamente attrezzati, all'interno di uno spazio destinato a servizi collettivi e portierato per un totale di 200 posti letto.
  In tal senso, lo scorso 15 gennaio la prefettura e il comune hanno sottoscritto un accordo per la realizzazione e la gestione del centro.
  In precedenza, per l'allestimento di un centro temporaneo, il Comune capoluogo aveva considerato la possibilità di utilizzare alcune caserme o spazi cittadini dismessi, come le aree ricomprese nel complesso unitario delle ex caserme «Milano» e «Capozzi». Tale ultima soluzione, suggerita anche nel testo dell'interrogazione, è risultata impraticabile anche a causa della molteplicità di interventi necessari per rendere agibile la struttura. In ogni caso, le aree in questione sembrano ormai destinate alla realizzazione della cosiddetta «cittadella della giustizia», dove saranno allocati tutti gli uffici giudiziari del capoluogo.
  La situazione dei richiedenti asilo che arrivano di continuo nella città di Bari è stata affrontata dalla locale prefettura anche in sinergia con la commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.
  L'accelerazione delle procedure gestite da tale organismo ha consentito un più rapido
turn over nei centri di accoglienza, incrementando la possibilità di ospitare giornalmente i richiedenti.
  Per quanto riguarda la gestione del centro di accoglienza per richiedenti asilo – aspetto anch'esso toccato nell'interrogazione – si assicura che il centro è quotidianamente monitorato ed è oggetto di continua manutenzione ordinaria e straordinaria.
  Gli sporadici disordini che si sono verificati nella struttura non sono stati determinati dal sovraffollamento, ma dal protrarsi dei tempi di attesa per l'esame delle istanze di protezione internazionale e dalla difficile convivenza tra diversi gruppi etnici.
  La prefettura e la questura sono intervenute su queste problematiche, riuscendo a conseguire la riduzione dei tempi di attesa (come già detto) e a contenere le insofferenze di natura etnica.
  Più in generale, si informa che, proprio per accelerare l’
iter delle istanze – a Bari come nel resto del territorio nazionale –, il 10 novembre 2014 il Ministro dell'interno ha adottato, in base al decreto-legge n. 119 del 2014, convertito nella legge n. 146 del 2014, un decreto che dispone il raddoppio sia delle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale che delle relative sezioni, portandone il numero complessivo da 20 a 40 e rideterminandone gli ambiti della competenza territoriale.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   PRATAVIERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel pomeriggio dell'8 aprile 2014 è stata notificato ai sindaci di Venezia e Mira l'arrivo ad horas di un gruppo di 40 migranti irregolari provenienti dalla Sicilia, probabilmente raccolti in mare dalle navi della Marina militare impegnate nell'operazione Mare Nostrum;
   i 40 migranti irregolari avrebbero dovuto essere ospitati in due appartamenti a Mestre e presso l'ostello mirese di Giare;
   invece, ben 27 di loro sono riusciti a forzare le portiere del pullman sul quale viaggiavano e con il quale erano giunti negli uffici della questura di Marghera per espletare le procedure di riconoscimento, facendo perdere rapidamente le proprie tracce;
   malgrado un vasto dispiegamento di mezzi delle forze dell'ordine, solo due dei fuggiaschi sono stati rintracciati e ricondotti in questura;
   il pullman era scortato da due soli agenti delle forze dell'ordine, che non sono stati in grado di far fronte all'imprevista emergenza; 
   l'esiguità della scorta assegnata al pullman con i 40 migranti, a giudizio dell'interrogante, chiama in causa quanto meno una sottovalutazione del rischio da parte delle competenti autorità del Ministero dell'interno –:
   quali misure il Governo intenda adottare affinché episodi come quello generalizzato nella premessa non si ripetano e soprattutto per rimpatriare sollecitamente i migranti clandestini giunti nel nostro Paese, prima che questi si dileguino, eludendo i controlli di sicurezza, entrando in clandestinità e venendo infine a gravare sulla società. (4-04462)

  Risposta. — In riferimento ai fatti riferiti dall'interrogante, si informa che fin dal 14 gennaio 2014 la prefettura di Venezia aveva sensibilizzato i sindaci e il presidente della provincia all'esigenza di individuare, ognuno nel territorio di propria competenza, strutture idonee all'accoglienza temporanea dei migranti, alla luce del nuovo afflusso previsto.
  Non avendo ricevuto risposte positive da parte degli enti locali, il successivo 21 febbraio la prefettura ha contattato alcuni enti gestori operanti nel privato sociale, aventi comprovata esperienza in ambito del sistema di protezione per i richiedenti asilo ed i rifugiati o in progetti simili.
  Le cooperative sociali «Il Villaggio globale» e la «Città solare» hanno offerto la propria disponibilità all'accoglienza. In quest'ultimo caso, poiché l'ostello gestito dalla cooperativa era di proprietà comunale, la disponibilità all'accoglienza è stata comunicata – per il necessario raccordo istituzionale – all'amministrazione locale, la quale ha dato il proprio assenso.
  In tale contesto, è stato organizzato, per il giorno 8 aprile, l'arrivo nelle predette strutture di un gruppo di 40 migranti di origine eritrea da poco sbarcati in Sicilia. Al riguardo, preciso che la questura di Ragusa aveva provveduto a trasmettere a quella di Venezia l'elenco nominativo, con data di nascita e relativa nazionalità, corredato delle schede di prima identificazione e delle relative foto.
  La prefettura di Venezia, dopo averne informato gli amministratori comunali di Venezia e Mira, ha predisposto il trasferimento degli stranieri e la questura ha fornito un servizio di scorta tecnica al pullman dal momento dell'arrivo all'aeroporto di Bologna a quello dello smistamento, collocato nella sede distaccata della questura di Venezia, a Marghera.
  Arrivati in prossimità della predetta struttura della polizia di Stato, circondata da un'alta recinzione sovrastata da filo spinato, i migranti – che erano partiti dalla Libia dove, come successivamente appurato, avevano trascorso un periodo in stato di costrizione fisica – notata la presenza di auto in colori d'istituto e di personale in servizio, hanno paventato evidentemente di essere nuovamente sottoposti ad un regime di privazione della libertà personale. Pertanto, quando il pullman si è fermato, gli stranieri hanno azionato la porta di emergenza posteriore e alcuni di essi si sono dati alla fuga travolgendo gli operatori preposti alle operazioni di assistenza.
  Complessivamente, si sono dileguate 25 persone su 40, che – è bene chiarire –, non erano sottoposte a vincoli restrittivi, trattandosi di soggetti in regime di protezione internazionale.
  Successivamente, accertato che l'equivoco era stato generato dalla mancanza di una chiara comunicazione ai migranti sulle varie fasi del trasferimento e della destinazione finale presso le strutture di accoglienza, per scongiurare situazioni analoghe, in sede di riunione dei prefetti e dei questori del Veneto, è stata rappresentata la necessità di un'interazione più serena con gli immigrati mediante l'assistenza di mediatori culturali di lingua araba. Ciò anche al fine di fornire informazioni esatte circa la condizione di libertà di cui godono sul territorio nazionale, in attesa della definizione della procedura per il riconoscimento della protezione internazionale.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   RIZZO, BASILIO, PAOLO BERNINI e CANCELLERI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 22 maggio 2013 è stato sottoscritto tra il consorzio Calatino Terra d'accoglienza di Mineo e la SISIFO consorzio di cooperative società cooperativa a responsabilità limitata, il contratto di appalto per l'affidamento dei servizi di forniture per la gestione del centro di accoglienza richiedenti asilo di Mineo;
   tale contratto aveva durata dal 1° gennaio 2013 al 30 giugno 2013 e che ad oggi sono stati prorogati i termini sino al 30 aprile 2014 con determina dirigenziale n. 9 del 31 gennaio 2014 del Consorzio Calatino Terra d'accoglienza di Mineo alla SISIFO consorzio di cooperative sociali;
   il contratto citato prevede all'articolo 4 «Obblighi a carico del soggetto gestore» testualmente:
    «è riconosciuto ai migranti richiedenti asilo un piccolo “pocket money” per ciascun soggetto ospitato pari a Euro 2,5 al giorno fino ad un massimo di Euro 7,5 per nucleo familiare, fino a quando l'ospite si troverà all'interno dei centro. Detto importo potrà essere erogato anche attraverso “buoni”, emessi direttamente dalla struttura di accoglienza, spendibili presso esercizi commerciali appositamente convenzionati per acquistare bolli postali, schede telefoniche, snack alimentari, sigarette, libri e giornali»;
   come riportato da diversi organi di informazione (l’Huffington post del 18 febbraio 2014, www.ilsettemezzomagazine.it del 25 gennaio 2014, www.dinamopress.it del 20 febbraio 2014, www.meltingpot.org del 6 febbraio 2014 e non ultimo, dalla visita ispettiva avvenuta il 17 novembre 2013 da parte degli interroganti presso il residence degli Aranci, struttura ospitante i richiedenti asilo a cui detto contratto si riferisce, gli ospiti ricevano, a dire da loro stessi, un pacchetto di sigarette o una scheda telefonica al giorno in sostituzione del «pocket money» indicato dall'articolo 4 del contratto di appalto sopra citato –:
   se sia a conoscenza di tali fatti e di conseguenza, qualora tali informazioni corrispondano a verità:
    a) per quali motivi non venga riconosciuto il «pocket money» previsto dal contratto di appalto per l'affidamento di servizi e di forniture per la gestione del centro di accoglienza richiedenti asilo di Mineo;
    b) se ciò possa essere in contrasto con la convenzione-quadro dell'OMS per la lotta al tabagismo ratificata dall'Italia con la legge n. 75 del 18 marzo 2008;
    c) quali precauzioni o interventi intenda adottare per ripristinare il rispetto del contratto d'appalto erogato dal consorzio calatino Terra d'Accoglienza a difesa della salute degli ospiti del Cara di Mineo;
    d) secondo quale contratto di subfornitura vengano venduti i pacchetti di sigarette trattandosi di monopoli di Stato e se vi sia il rischio di incentivare il contrabbando delle stesse tra i concessionari dei monopoli di Stato limitrofi alla struttura e gli stessi migranti. (4-04219)

  Risposta. — L'ente gestore del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo, in conformità al contratto d'appalto vigente, fornisce a ogni ospite una scheda telefonica del valore di 15 euro all'ingresso nel centro e, ogni due giorni, un pocket money del valore di 5 euro, spendibile all'interno del centro stesso o negli esercizi convenzionati nei comuni.
  La fornitura di tale buono avviene mediante ricarica del
badge in possesso di ciascun richiedente asilo e viene utilizzato per l'acquisto di beni di consumo secondo le esigenze di ognuno.
  All'interno del centro non viene effettuata alcuna distribuzione di pacchetti di sigarette. Essi vengono acquistati dagli ospiti mediante il
badge presso l'emporio situato all'interno del centro, che si rifornisce nelle locali rivendite di tabacchi del territorio.
  Ai sensi della legge n. 3 del 2003, l'ente gestore ha vietato, sia agli ospiti che ai dipendenti in servizio nel centro, di fumare nelle aree aperte al pubblico.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   TIDEI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la Convenzione di Parigi del 1997, istitutiva dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPAC), prevede, tra l'altro, che la suddetta Organizzazione assicuri l'attuazione della Convenzione, fornisca assistenza e protezione a tutti gli Stati Parte vittime di minacce o aggressioni con armi chimiche e promuova la cooperazione internazionale per lo sviluppo della chimica a fini pacifici, nonché attribuisce all'Organizzazione la facoltà di effettuare accertamenti di vario tipo per verificare che gli Stati Parte rispettino i prescritti obblighi ed, in particolare, che distruggano tutte le armi chimiche in loro possesso e non ne producano di nuove;
   l'Italia risulta essere in possesso di armi chimiche prodotte prima del 1946. Tali armi avrebbero dovuto essere distrutte nel rispetto di una particolare procedura entro il 31 dicembre 2012. Tuttavia, all'Italia è stata concessa una deroga temporale, per il prosieguo dell'attività di distruzione delle suddette armi, senza la prescrizione di una data stabilita, né a breve né a medio termine. Pertanto, l'Italia deve distruggere gli ordigni chimici in suo possesso «nel più breve tempo possibile» fornendo su base volontaria un rapporto riguardante le attività di distruzione;
   l'Organizzazione ha riconosciuto all'Italia per la distruzione delle residue armi chimiche presenti nel territorio nazionale un contributo pari a 3.347.667 euro;
   ai sensi dell'articolo 9 della legge n. 496 del 1995 «Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla proibizione dello sviluppo, produzione, immagazzinaggio ed uso di armi chimiche e sulla loro distruzione, con annessi, fatta a Parigi il 13 gennaio 1993», come modificata dalla legge 93 del 1997, il Ministero degli affari esteri è designato come Autorità nazionale. Secondo quanto disposto dal sopra richiamato articolo 9 presso l'Autorità nazionale è istituito un ufficio di livello dirigenziale che tra le varie competenze è deputato a:
    a) curare i rapporti con l'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, nonché a mantenere i collegamenti con le Autorità nazionali degli altri Stati Parte e a stipulare gli accordi di impianto;
    b) promuovere e coordinare le attività delle Amministrazioni competenti;
    c) presentare annualmente al Ministro degli affari esteri una relazione sullo stato di esecuzione della convenzione e sugli adempimenti effettuati ai fini della sua ulteriore trasmissione al Parlamento entro il 31 marzo di ogni anno;
    d) ricevere i dati delle Amministrazioni interessate circa la produzione, il possesso, l'utilizzo, il trasferimento, l'importazione, l'esportazione dei composti chimici di cui alla convenzione, nonché quelli relativi al rinvenimento e alla distruzione di armi chimiche;
    e) informare le Amministrazioni interessate sulla situazione nazionale;
   in data 20 marzo 2014 il Sottosegretario di Stato alla Difesa, onorevole Gioacchino Alfano, ha risposto all'interrogazione n. 5-01015 dell'onorevole Grande. Nel testo della risposta emerge che l'acquisizione e l'installazione di un ossidatore termico, nel territorio di Civitavecchia, sono finalizzate a bruciare le armi chimiche residuate della seconda guerra mondiale. Il Sottosegretario Alfano ha altresì spiegato le ragioni che hanno determinato la scelta di un ossidatore termico, da realizzarsi ex novo, anziché avvalersi di altri sistemi, per la demilitarizzazione di munizionamento a caricamento speciale. In particolare il Sottosegretario ha rilevato che l'utilizzo di un ossidatore termico consente di:
    a) ridurre l'impatto ambientale connesso con l'accumulo dei prodotti di reazione derivanti dall'attuale processo di demilitarizzazione di munizionamento contenente iprite e miscele derivate. Le emissioni in atmosfera saranno ampiamente contenute entro i limiti imposti dalla vigente normativa e i relativi valori saranno costantemente monitorati in tempo reale;
    b) avviare lo smaltimento di altri aggressivi chimici non eliminabili con la tecnologia in uso presso l'attuale impianto di demilitarizzazione del centro tecnico logistico interforze (Ce.T.L.I.) nucleare batteriologico chimico (NBC) di Civitavecchia;
    c) finalizzare lo smaltimento degli ordigni a caricamento speciale presenti presso il Ce.T.L.I. NBC;
    d) limitare le operazioni di movimentazione e manipolazione dei proietti al fine d'incrementare la sicurezza dell'infrastruttura e del personale addetto alle lavorazioni;
   relativamente alle motivazioni che «hanno originato l'eventuale acquisizione» dell'impianto esse derivano, secondo quanto si rileva dalla risposta del Sottosegretario, dal deficit tecnologico che caratterizza gli altri impianti attualmente in funzione, i quali ancorché affidabili in tema di sicurezza delle operazioni, non sono tecnologicamente all'avanguardia, poiché non consentono la distruzione di tutte le tipologie e di adeguati quantitativi di munizionamento chimico stoccato, impedendo di ottemperare pienamente agli impegni assunti con la Convenzione di Parigi;
   per quanto riguarda le problematiche relative alla tutela ambientale il Sottosegretario ha rilevato come, grazie ad emissioni in atmosfera ampiamente entro i limiti imposti dalla vigente normativa, i valori delle emissioni saranno costantemente monitorati in tempo reale da una centrale remotizzata (a distanza);
   non sembrerebbe coerente la scelta di acquisire e installare un ossidatore termico, poiché l'Italia è tenuta a distruggere il residuo delle armi chimiche in tempi, se non certi, verosimilmente non lunghi –:
   quale sia la percentuale, nei limiti dei dati che possono essere resi noti, di ordigni già distrutti dal 1997 ad oggi;
   quanti ne rimangano e quale sia la loro tipologia così da valutare le percentuali, nonché i quantitativi effettivi ancora da distruggere per raggiungere l'obiettivo di eliminazione totale delle vecchie armi chimiche ancora presenti in Italia, ciò al fine di capire, anche e soprattutto, in termini ambientali la variazione di incremento che il territorio di Civitavecchia si deve aspettare da questa operazione;
   se siano state esplorate altre soluzioni alternative con minor impatto ambientale ed economico nonché con minori rischi per il territorio e le comunità interessate, alla luce dell'assenza di una scadenza temporale prefissata per la distruzione delle armi chimiche residuali presenti ancora sul territorio nazionale. (4-06183)

  Risposta. — Come già chiarito in sede di risposta all'interrogazione in Commissione n. 5-01015 presentato dall'interrogante Grande, la scelta operata dal Centro tecnico logistico interforze (Cetli) Nucleare batteriologico chimico (Nbc) di Civitavecchia – unico impianto nazionale abilitato a tale scopo ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica del 16 luglio 1997, n. 289, confluito nell'articolo 22 del codice dell'ordinamento militare – di dotarsi di un ossidatore termico è stata effettuata a seguito di approfondimenti tecnico-scientifici condotti anche in ambito internazionale.
  Da essi è emerso che la tecnica migliore da utilizzare per la distruzione del materiale chimico attualmente stoccato in Italia è costituita dalla termo-degradazione tramite pirolisi dell'aggressivo chimico. Infatti, tale tecnica consente di smaltire aggressivi chimici non eliminabili con la tecnologia già in uso presso il Cetli e di ridurre, al contempo, l'impatto ambientale, in quanto il pirolizzatore consente una sensibile riduzione dei rifiuti prodotti e delle emissioni in atmosfera che risulteranno ampiamente contenute entro i limiti imposti dalla vigente normativa, con valori monitorati in tempo reale.
  Tutto ciò nel rispetto della salubrità dei luoghi di lavoro e della salute del personale adibito alla gestione dell'impianto.
  Tale scelta è assolutamente coerente con la volontà di distruggere in sicurezza tutto l'arsenale chimico ancora presente sul territorio nazionale «nel più breve tempo possibile», come indicato dall'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac).
  È presumibile, infatti, che l'attività di demilitarizzazione possa concludersi nell'arco di 3 o 4 anni dal momento dell'entrata in funzione del citato impianto, la cui acquisizione è prevista per il 2015.
  Con riferimento alla percentuale di ordigni distrutti «dal 1997 ad oggi», si fa presente che in tale periodo è stato distrutto il 100 per cento dei materiali considerati chimici conservati da reparti delle Forze armate e circa il 65 per cento degli ordigni a caricamento speciale rinvenuti sul territorio nazionale.
  Il restante materiale, rinvenuto successivamente alla installazione dell'attuale impianto, è costituito per circa il 90 per cento da proietti di fabbricazione americana dei due conflitti mondiali, avente calibro compreso tra 75 e 155 millimetri e presenza di carica di rottura all'interno degli ordigni, mentre il rimanente 10 per cento presenta caricamenti eterogenei, diversi dall'aggressivo chimico iprite-fenildicloroarsina finora neutralizzato.
  Tutto questo materiale potrà essere demilitarizzato grazie alle tecnologie che verranno rese disponibili con l'acquisizione del nuovo ossidatore termico.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.