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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 10 febbraio 2015

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   in data 31 gennaio 2015, a causa del maltempo il fiume Sele ha esondato per l'ennesima volta, allagando la piana del territorio salernitano da cui prende il nome, determinando l'allagamento di centinaia di abitazioni e la conseguente evacuazione degli abitanti, danni ingenti alle infrastrutture, al patrimonio storico-artistico nonché alle attività agricole e zootecniche presenti che prefigurano risarcimenti per un importo pari a svariati milioni di euro;
   l'esondazione rappresenta l'ennesimo disastro annunciato per il quale i costi di risarcimento e per riparare i danni saranno sicuramente maggiori rispetto a quelli che dovevano essere impegnati per le necessarie attività di prevenzione, mitigazione e manutenzione da predisporre con urgenza dopo le esondazioni già avvenute nel 2010 e successivamente nel 2013;
   le cause principali dell'esondazione sono sicuramente da ricercare nella mancata manutenzione dell'alveo del fiume, nella presenza di detriti, tronchi di albero e materiali vari, che impediscono il regolare deflusso delle acque fluviali, nonché nell'innalzamento dell'alveo del fiume che in alcuni punti ha raggiunto il livello degli argini i quali si presentano privi di manutenzione e con diverse rotture dovute a eventi franosi e all'insediamento di tane di volpe e di nutria;
   è sempre più urgente intervenire con opere di ripristino della officiosità del corso d'acqua principale e di quelli secondari, prendendo atto che a nulla sono serviti gli appelli più volte rivolti alle autorità territoriali competenti affinché si provvedesse, con urgenza, a risolvere gli annosi problemi, degli argini e dell'alveo del fiume, non ultima, la missiva indirizzata al prefetto di Salerno e alla protezione civile della provincia di Salerno nell'ottobre 2014;
   a marzo 2014 da notizie di stampa si era appreso dello stanziamento di 1.200.000 euro di fondi, ottenuti per l'alluvione del Sele volti al rafforzamento degli argini del rio Ciorlitto, importante affluente che contribuisce ad alimentare le cause degli eventi alluvionali alla confluenza con il Sele, dell'inizio del piano di monitoraggio e dell’iter amministrativo della gara per l'affidamento dei lavori;
   dal sito istituzionale del Consorzio bonifica Paestum si apprende la pubblicazione di una aggiudicazione definitiva del «Primo stralcio urgente dei lavori per il ripristino arginale del Rio Ciorlitto – Rio La Lama e sistemazione affluente collettore acque Salse per prevenire l'allagamento della frazione Gromola del Comune di Capaccio (SA)», ma non risultano disponibili i documenti originali nonché la data di scadenza;
   nella legge di stabilità 2015 il Fondo per le emergenze nazionali (cap. 7441) che disponeva di 140 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2015-2017 è stato ulteriormente finanziato con una quota di 60 milioni di euro, rimanendo tali risorse acquisite al bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri nell'anno 2015 –:
   se si ritenga urgente procedere ad acquisire ogni utile informazione per conoscere con certezza lo stato di attuazione del piano di monitoraggio del fiume Sele, al fine di procedere con la massima urgenza, all'attuazione del progetto relativo agli interventi di asportazione di materiali dall'alveo del fiume e alle attività di manutenzione straordinaria delle sponde ripariali e degli argini;
   se l'amministrazione regionale abbia proceduto alla richiesta del riconoscimento dello stato di emergenza, dato il continuo verificarsi di esondazioni e allagamenti che continuano a creare gravi difficoltà e disagi alle popolazioni e alle attività economiche del territorio del bacino del fiume Sele;
   se si ritenga necessario, affinché si eviti una nuova catastrofe annunciata, procedere a finanziare con le risorse afferenti al Fondo per le emergenze nazionali, fermo restando quanto previsto dalle finalità e dalle norme tecniche dei piani di bacino, le opere di ripristino della officiosità del corso d'acqua del fiume Sele e dei suoi affluenti, comprendenti la rimozione di materiali litoidi dagli alvei, ma anche la manutenzione e il consolidamento degli argini, la pulizia e la rinaturalizzazione delle sponde fluviali;
   se si ritenga necessario, al fine di interrompere l'ingiustificata inerzia amministrativa e recuperare le risorse finanziarie non impiegate, provvedere per il tramite della struttura tecnica di missione costituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri al recupero dei fondi non spesi e avviare con urgenza gli interventi necessari nonché quelli previsti dagli strumenti di pianificazione e programmazione vigenti.
(2-00837) «Capozzolo, Tino Iannuzzi, D'Incecco, Borghi, Sgambato, Capone, Ragosta, Valiante, Donati, Morani, Dallai, Benamati, Migliore, Famiglietti, Cardinale, Rostan, Fregolent, Pastorino, Tartaglione, Zardini, Sani, Paris, Impegno, Capodicasa, Braga, Barbanti, Pisano, Carra, Covello, Grassi, Fiorio, Oliverio, Salvatore Piccolo».

Interrogazioni a risposta orale:


   LUIGI GALLO, SILVIA GIORDANO, SIBILIA, CECCONI, DALL'OSSO, BARONI, TOFALO e COLONNESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i lavori di costruzione per l'Ospedale del mare sono iniziati nel dicembre 2004 e si prevede termineranno non prima del gennaio del 2015, dopo oltre dieci anni dall'aggiudicazione, con un investimento che inizialmente doveva essere, per la parte pubblica di euro 119 milioni di euro circa e che prevedeva un parallelo investimento del privato aggiudicatario per 91 milioni e che oggi si prevede che supererà i 400 milioni, interamente a carico della parte pubblica e senza alcun investimento privato;
   oltre alla tempistica ed al fiume di danaro davvero esorbitante investito sinora e che si prevede di investire, sconcerto per questa immane opera deriva anche dalla sua localizzazione, atteso che l'Ospedale del mare è in costruzione nel quartiere Ponticelli del comune di Napoli immediatamente al confine con il comune di Cercola, a 100 metri dalla zona rossa vesuviana, in un'area distante fra 7 e 8 chilometri dal vulcano, comunque classificata come zona gialla, ovvero zona a pericolosità differita;
   ulteriori aspetti che suscitano perplessità nella vicenda connessa alla realizzazione di questa mega struttura ospedaliera, destinata secondo le previsioni a divenire un'azienda di rilievo nazionale da circa 500 posti letto in cui far confluire ben quattro nosocomi napoletani, quali il Loreto Mare, l'Ascalesi, il San Gennaro e gli Incurabili, sono rappresentati dalla procedura con la quale avvenne l'individuazione dell'ATI aggiudicataria della costruzione tanto che, inizialmente, la stazione appaltante ASL Napoli 1 faceva ricorso allo strumento del project financing (ovvero al sistema della licitazione privata, con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa e il sistema del project financing) per poi successivamente «riformulare» l'aggiudicazione secondo una procedura che non prevede più la partecipazione del privato alla costruzione prima ed alla gestione poi dell'opera, a giudizio degli interroganti con evidente pregiudizio per gli altri soggetti inizialmente concorrenti per l'aggiudicazione dell'appalto in parola;
   inoltre, la riformulazione della procedura di realizzazione dell'opera è avvenuta a seguito di una transazione sottoscritta dalla Astaldi spa, capofila dell'Ati aggiudicataria (e composta anche da Giustino Costruzioni s.p.a., Ing. C. Coppola Costruzioni s.p.a., Ingg. F&R Girardi Costruzioni Civili Industriali s.p.a. e Siemens s.p.a, a cui subentrava, poi, la «Partenopea Finanza di Progetto S.p.A.» che poi, a sua volta, appaltava i lavori all'ATI formata da Astaldi spa, mandataria, Giustino Costruzioni s.p.a., Ing. C. Coppola Costruzioni s.p.a. ed Ingg. F&R Girardi Costruzioni Civili Industriali s.p.a.), e l'ing. Ciro Verdoliva, nominato nel maggio 2009 commissario ad acta per accelerare i lavori con competenza esclusiva di provvedere alla liquidazione di tutte le relative spese, che ha previsto che il privato provveda al completamento dei lavori con soli fondi pubblici, rinunciando alla gestione dei servizi non sanitari, ma incassando per detta rinuncia un risarcimento di 45,5 milioni di euro;
   con detta transazione, in buona sostanza si riconosce all'ATI guidata dalla Astaldi s.p.a un risarcimento addirittura superiore a quello di 40 milioni di euro inizialmente richiesto dalla stessa con la domanda di arbitrato inoltrata in data 20 marzo 2009 (peraltro fondata su una clausola compromissoria di fatto nulla, in quanto contenuta nell'atto ricognitivo mai approvato e pertanto, per sua stessa previsione, inefficace e oggetto di un procedimento penale attualmente in corso) volta alla risoluzione del contratto per presunti inadempimenti da parte della stazione appaltante; con detto atto transattivo, come detto, si azzera del tutto l'investimento privato per il quale la stessa ATI aveva inizialmente richiesto una mera riduzione a 20 milioni di euro, cosa del tutto incompatibile con la tipologia contrattuale inizialmente sottoscritta dalle parti e con la procedura con quale era avvenuta l'aggiudicazione in favore della concessionaria stessa;
   corollario di questa transazione è anche, tra l'altro, un accordo del valore di quasi 3 milioni di euro tra l'Astaldi spa e il suo direttore dei lavori, ingegner Matteo Gregorini (in passato consulente per la stessa Asl Napoli 1 dei finanziamenti per l'edilizia sanitaria dai quali sono state attinte le risorse per erigere il nosocomio) a cui verrà corrisposto il predetto compenso, nonostante sia stato rimosso dall'incarico 3 anni fa a seguito del suo rinvio a giudizio per truffa e falso nell'ambito dell'inchiesta della procura della Repubblica di Napoli sul nosocomio;
   è bene altresì ricordare che il conseguente procedimento penale, partito nel 2008 ed attualmente in corso, vede dodici persone rinviate a giudizio tra dirigenti asl e amministratori delle ditte concessionarie per reati che vanno dalla falsità materiale ed ideologica della progettazione preliminare e delle delibere connesse alla truffa relativa alle modifiche delle condizioni originarie in senso favorevole alla concessionaria, dal tentativo di truffa per il riconoscimento alla concessionaria dei maggiori costi all'abuso d'ufficio;
   in definitiva, i provvedimenti che sono stati adottati per sbloccare l’impasse dei lavori cagionati dalla procedura di arbitrato avviata dalla concessionaria ad avviso degli interroganti rappresentano senza dubbio un profondo stravolgimento dell'oggetto originario del contratto di affidamento in forza del quale, oltre all'esorbitante incremento dei costi per l'amministrazione, si verificherà l'ulteriore aggravio derivante dalla necessità di riaffidare i servizi dai quali l'ATI è stata esonerata;
   alla luce di quanto sopra appare davvero incomprensibile la logica giuridico-amministrativa con la quale sono stati adottati provvedimenti che hanno stravolto la procedura originariamente attivata, confermando l'affidamento alla ATI guidata dall'Astaldi s.p.a. anche a fronte di inadempienze della stessa, quali l'ingiustificato rallentamento prima e la sospensione poi dei lavori, circostanza che avrebbero dovuto comportare, secondo gli interroganti, la risoluzione del contratto ex articolo 119 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica n. 354 del 1999; soluzioni certamente più lineari potevano essere l'affidamento dei lavori necessari a completare l'opera mediante lo scorrimento nella graduatoria della gara originaria (facendo ricorso alle prescrizioni normative generali disciplinati la materia in quanto, in maniera clamorosamente anomala, nel bando di gara non venne inserita la clausola di «scorrimento») o mediante l'indizione di una nuova gara per le opere non ancora ultimate dall'originaria concessionaria;
   tale contesto di assoluta indeterminatezza in ordine alla effettiva ultimazione di questa infinita opera riverbera i suoi effetti, oltre che sulle pubbliche finanze, anche sulla generale situazione ospedaliera in Campania che versa in uno stato caotico in ragione proprio dell'attuazione solo parziale del decreto n. 49 del 27 settembre 2010 emesso dal presidente della giunta regionale Campana, quale commissario ad acta per la prosecuzione del piano di rientro del settore sanitario regionale, che nel prefigurato obiettivo di procedere ad un riassetto della rete ospedaliera e territoriale, ha già dato corso agli interventi di dismissione/riconversione/riorganizzazione dei presidi che non sarebbero in grado di assicurare profili di efficienza e di efficacia, pur in mancanza della ultimazione dell'Ospedale del mare che avrebbe dovuto coprire le predette dismissioni ospedaliere, il tutto ad esclusivo discapito della qualità dell'offerta sanitaria per i cittadini campani, aspetto destinato ad incrementare il penoso fenomeno delle migrazioni sanitarie alla ricerca di un'assistenza sanitaria adeguata –:
   se e quali iniziative abbia intrapreso, ovvero intenda intraprendere, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro, al fine di verificare in che misura i costi dell'opera, enormemente lievitati dai 119 milioni di euro di investimenti pubblici inizialmente previsti a 400 milioni secondo quanto da ultimo preventivato, siano dipesi da un legittimo stravolgimento della procedura di progettazione preliminare e di successiva aggiudicazione, considerata anche la transazione che ha visto il riconoscimento di ingenti somme a titolo risarcitorio in favore delle imprese aggiudicatarie a cui veniva riconfermato l'appalto;
   quali iniziative abbia intrapreso, ovvero intenda intraprendere, alla luce delle cospicue risorse statali stanziate per la realizzazione dell'Ospedale del mare, al fine di valutare se sussistano i presupposti per costituirsi nei giudizi attualmente pendenti innanzi alla magistratura penale che si occupa della vicenda, per la doverosa tutela del pubblico erario;
   se e quali iniziative intendano intraprendere, per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro, affinché, nelle more dell'effettiva entrata in esercizio di tutti i reparti del realizzando ospedale, si ponga argine alla situazione caotica in cui versa il settore ospedaliero in Campania, riattivando i reparti già dismessi nei presidi ospedalieri oggetto degli interventi di riorganizzazione di cui al citato decreto n. 49 del 2010 e sospendendo tutti i provvedimenti volti alla dismissione/riconversione/riorganizzazione dei presidi stessi quanto meno sino all'effettiva entrata in piena efficienza dell'Ospedale del mare. (3-01284)


   LUIGI GALLO, FICO, SIMONE VALENTE e D'UVA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 9 luglio 2014, il giornale il Fatto quotidiano titola quanto segue: Precari contro sindacati «svenduti agli editori», «assalto» dei freelance nella sede della Fnsi;
   dopo mesi di riunioni, silenzi e tentennamenti una delibera governativa lo scorso 19 giugno 2014 ha chiuso l'accordo tra la Federazione Italiana Editori di Giornali e Federazione nazionale stampa italiana sull'equo compenso per i giornalisti. In sostanza, questo il tariffario minimo per un collaboratore: 20,80 per un articolo su un quotidiano; 6,25 euro per una segnalazione ad agenzie e web (eventualmente integrata di un paio di euro se con foto e video); 67 euro ad articolo per i periodici; 14 euro per un articolo su periodici locali; 40 euro per le tv locali, ma solo con un minimo di 6 pezzi al mese; 250 euro per un pezzo sui mensili. Questo è ciò che editori e sindacato dei giornalisti hanno stabilito come «equo compenso» per cronisti a collaborazione coordinata e continuativa;
   il coordinamento precari e dei giornalisti freelance che, attraverso numerose e diverse iniziative, in queste ore protestano contro questo accordo sindacale che tradisce lo spirito con cui, mesi fa, si era arrivati ad avviare la battaglia sul «giusto» compenso e ad istituire una commissione ad hoc, per il tariffario. In queste ore, la mobilitazione dei freelance si diffonde attraverso il web. Si diffonde l'appello diretto al sottosegretario Luca Lotti, con delega all'editoria perché «ritiri la delibera attuativa della legge sull'equo compenso per i giornalisti freelance e atipici»;
   i freelance e gli atipici rappresentano la maggioranza assoluta dei giornalisti attivi. Sono loro – sottopagati – a «consumare le suole delle scarpe», portando le notizie, mantenendo i contatti quotidiani con le fonti, rischiando, quando va bene, qualche querela di troppo. Oppure sono usati come jolly nelle redazioni, rimanendo eternamente in attesa di un contratto, sempre più lontani;
   l'accordo siglato da questa commissione in cui presiedevano fnsi (sindacato) fieg (federazione editori) e due rappresentanti del Governo avrebbe dovuto basarsi sulle prescrizioni della legge 31 dicembre 2012 n. 233 al comma uno stabilisce quanto segue: «In attuazione dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione, la presente legge è finalizzata a promuovere l'equità retributiva dei giornalisti iscritti all'albo di cui all'articolo 27 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, e successive modificazioni, titolari di un rapporto di lavoro non subordinato in quotidiani e periodici, anche telematici, nelle agenzie di stampa e nelle emittenti radiotelevisive, e al comma due; ai fini della presente legge, per equo compenso si intende una remunerazione proporzionata alla quantità è alla qualità del lavoro svolto, tenendo conto della natura, del contenuto e delle caratteristiche della prestazione nonché della coerenza con i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria in favore dei giornalisti titolari di un rapporto di lavoro subordinato»;
   alla luce di quanto osservato la tabella che stabilisce i valori dell'equo ha creato un mercato duale del lavoro caratterizzato dalla divisione tra gli «insider» iper-protetti e gli «outsider» senza garanzie;
   a pagarne il prezzo c’è il diritto costituzionale della libera informazione e la pluralità dell'informazione, che il Dipartimento dell'informazione e dell'editoria deve garantire perché è evidente che un giornalista sottopagato è ricattabile, prima di tutto dal suo editore. A queste condizioni non è possibile informare con la dovuta cura, rispettando la deontologia professionale, andando oltre il semplice copia e incolla di un comunicato stampa, verificando rigorosamente le notizie e trattando i temi che si ritengono importanti;
   i proprietari delle testate giornalistiche continuano a ricevere fondi, lo prevede il decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63 convertito, con modificazioni, dalla legge 16 luglio 2012, n. 103 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale 20 luglio 2012, n. 168, e sul sito del Governo si legge: «Ai fini dell'ammissione al contributo per l'anno 2013, le imprese editrici che hanno presentato domanda nei termini di legge devono far pervenire, a pena di decadenza, la relativa documentazione entro la data del 30 settembre 2014»;
   l'obbligo di pubblicazione dei bandi di gara delle pubbliche amministrazioni sui quotidiani nazionali e locali comporta una spesa non meglio stimata che potrebbe anche essere vicino al miliardo di euro all'anno ed è sicuramente una modalità di pubblicazione obsoleta ed onerosa per le casse degli enti locali e delle imprese vincitrici di bandi;
   secondo la classifica internazionale Freedom, organizzazione non governativa statunitense, con lo scopo di misurare il livello di libertà di stampa ed indipendenza editoriale raggiunto in ogni nazione del mondo, a causa dei crescenti tentativi del Governo di interferire con la politica editoriale dei mezzi di comunicazione pubblici e ciò fa di noi una nazione al 68o nella classifica dell'informazione essendo un paese giudicato semi-libero –:
   in che modo si intenda garantire una informazione libera e non ricattabile dai poteri politici, governativi, economici e finanziari che sostengono economicamente l'editoria nel rispetto dell'articolo 36 della Costituzione. (3-01286)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DANIELE FARINA, SCOTTO e SANNICANDRO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la legge 28 aprile 2014, n. 67, recante «Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili», pubblicata nelle Gazzetta Ufficiale del 2 maggio 2014, prevede – all'articolo 1 – che il Governo adotti uno o più decreti legislativi per la riforma del sistema delle pene, in particolare introducendo, quali pene principali, l'arresto e la detenzione domiciliare applicabile ai reati punti con la reclusione fino a cinque anni;
   tale delega avrebbe dovuto essere esercitata entro otto mesi dall'entrata in vigore del provvedimento, ovvero entro il 17 gennaio 2015;
   detto periodo è inutilmente trascorso, la delega non è stata infatti esercitata, se non in relazione a quanto previsto alla lettera m) del comma 1 dell'articolo 1, ovvero salvo per quanto attiene l'esclusione della punibilità di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni, quando risulti la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento;
   il mancato esercizio della delega, se non per meri aspetti marginali rispetto all'impianto della stessa, appare particolarmente grave, in quanto una riforma strutturale di tale natura era tra gli impegni che il nostro Paese aveva assunto per affrontare il problema del sovraffollamento carcerario a seguito della condanna da parte della Corte europea per i diritti dell'uomo;
   l'assunzione di tale impegno, oltre a rispondere all'esigenza di introdurre misure strutturali risolutive del sovraffollamento che caratterizza gli istituti di pena italiani, ha fatto sì che il nostro Paese non fosse soggetto a sanzioni;
   a giugno 2015 scadrà in ogni caso il termine che il Consiglio d'Europa ha dato all'Italia per verificare che le misure risolutive promesse siano davvero poste in essere;
   è evidente, a parere degli interroganti, la necessità dunque di individuare con sollecitudine una soluzione alternativa per portare avanti quell'impegno teso a deflazionare le presenze in carcere, ancora intollerabili –:
   quali siano i motivi per i quali non sia stata esercitata la delega nei termini previsti dall'articolo 1, comma 1, lettere a), b), c), d), e), f), g), h), i), l), n), della legge n. 67 del 2014 in tema di riforma delle pene;
    quali iniziative urgenti, e non più procrastinabili, il Governo intenda intraprendere al fine di rispettare l'impegno internazionale cui il nostro Paese avrebbe dovuto dar seguito con la delega citata, e cui in ogni caso è tenuto a ottemperare irrimediabilmente entro giugno 2015.
(5-04684)


   ARLOTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   le persone con disabilità motorie che a causa di patologie gravemente invalidanti non possono contare, in particolare, sull'uso delle mani, sono impossibilitate nella vita quotidiana ad accedere autonomamente a pratiche pubblico-amministrative che necessitano della firma di proprio pugno, come le compravendite di immobili, i contratti d'affitto o di locazione, le scritture private;
   al momento le soluzioni alternative alla normale firma, come la firma digitale, non sono in grado di superare la barriera burocratica che rende i cittadini con tali disabilità motorie completamente dipendenti da terzi che possano esercitare il ruolo di tutore, come previsto in questi casi dalla legge;
   anche il Cnipa (Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione) ha riconosciuto pienamente questo problema burocratico e legislativo;
   la stessa risoluzione ONU sulla disabilità approvata da 187 Paesi su 187 il 31 dicembre del 2006, ha sancito l'handicap non più solo come condizione sanitaria, ma anche come fenomeno di esclusione sociale, indicando sistemi e metodiche per fronteggiarla;
   come è evidente tale handicap di tipo pubblico-amministrativo, pone di fatto le persone disabili in una condizione di esclusione sociale che va ad aumentare le situazioni di disagio psicologico che non di rado questi cittadini sono costretti a subire;
   il problema potrebbe essere invece superato agevolmente con il riconoscimento legale dell'impronta digitale quale firma che, non potendo essere falsificata, avrebbe la garanzia di assoluta sicurezza e autenticità –:
   quali iniziative intenda avviare il Governo, anche attraverso il dipartimento per le pari opportunità, per affrontare questa problematica e riconoscere legalmente l'impronta digitale quale firma.
(5-04694)


   TULLO, GIACOBBE, BASSO, CAROCCI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Costa Crociere è la maggiore compagnia di navigazione Europea, nel 1997 il pacchetto di maggioranza della società è controllato dalla Carnival Corporation, gruppo statunitense che riunisce le maggiori compagnie nel campo delle crociere del mondo;
   nel corso di questi anni grazie all'estensione dei benefici fiscali del registro internazionale (decreto-legge n. 30 del 1998) anche alle navi da crociera il gruppo statunitense decise di mantenere a Genova la sede di Costa Crociere, sede che attualmente occupa circa 1000 persone e rappresenta il punto di direzione centrale e qualificante per il polo mediterraneo del gruppo Carnival, sempre in Liguria il porto di Savona è l’hub principale della compagnia con due terminal passeggeri dedicati;
   dopo mesi di ventilate ipotesi di ristrutturazione e razionalizzazione da parte della Compagnia, le organizzazioni sindacali hanno ricevuto in data 29 gennaio 2015, una lettera di intenti contenenti la comunicazione che 161 dipendenti di cui 10 dirigenti, 44 quadri, e 107 impiegati presso i dipartimenti: Marine Operations, procurement tecnico, hotel maintenance e dal medical department sono interessati ad una procedura legata al trasferimento di ramo d'azienda. È infatti intenzione di Carnival corporation di trasferire ad Amburgo, nella neonata Carnival marittime oltre che le funzioni oggi esercitate a Genova anche una parte delle attività della succursale tedesca di Rostock;
   la nuova Carnival marittime dovrebbe occupare complessivamente circa 150 dipendenti, e sarebbero interessati al trasferimento da Rostock circa 100 unità che insieme ai 160 dipendenti della sede di Genova determinerebbero sicuramente un immediato esubero;
   la decisione di Carnival, nel merito e nel metodo ha creato legittime preoccupazioni per i lavoratori dei dipartimenti direttamente interessati e non solo, oltre che le difficoltà per un eventuale trasferimento o per gli eventuali esuberi che si potrebbero verificare, preoccupa il depauperamento complessivo dell'azienda in conseguenza delle funzioni che si vogliono trasferire;
   Costa Crociere rappresenta un punto di eccellenza, un pezzo della storia industriale e armatoriale del nostro Paese. Un ridimensionamento delle funzioni e della presenza di Costa Crociere rappresenterebbe un problema grande per la città di Genova ma significherebbe anche una perdita di know how per l'Italia in un settore, l'economia del mare, che dovrebbe essere strategico per il rilancio della nostra competitività –:
   se sia a conoscenza della situazione che si è determinata;
   quali immediate iniziative potranno essere assunte per interloquire con i rappresentati di Carnival Corporation per scongiurare un ridimensionamento quantitativo e qualitativo di Costa Crociere bloccando così le procedure attuate nei confronti dei lavoratori interessati evitando di disperdere capacità professionali, competenze che hanno permesso in questi anni alla Compagnia di raggiungere ottimi risultati e di affrontare anche il periodo recente più difficile dopo la tragedia di Costa Concordia. (5-04702)


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, MANNINO, MICILLO, SEGONI, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in Italia, in circa 1800 comuni, le reti di illuminazione pubblica risultano di proprietà della società Enel sole;
   tali impianti sono stati costruiti con il contributo/sussidio delle amministrazioni comunali il cui importo era formalmente pari all'80 per cento del prezzo imposto dal monopolista, in realtà i contributi erano di entità superiore al 100 per cento dei valori di mercato degli impianti;
   nonostante la grande preponderanza del contributo pubblico, gli impianti diventavano di proprietà di Enel, quindi, con la cessione del ramo d'azienda avvenuto nel 1999, di Enel sole;
   conseguentemente tali impianti passavano in manutenzione ad Enel sole, con convenzioni che dal 1994 (legge n. 724 del 1994 – articolo 44) sono diventate nulle in quanto contenenti il tacito rinnovo;
   circa il 95 per cento di tali convenzioni sono ancora in essere ed i costi applicati oggi, da Enel sole, per le manutenzioni rispecchiano degli importi molto maggiori rispetto ai costi di mercato;
   la circolare ministeriale, 2357/96, annovera espressamente, tra le pertinenze, gli impianti di illuminazione pubblica;
   a seguito del trattato sul funzionamento della Unione europea del 2000 e del testo unico sugli enti locali (267 del 2000) vengono introdotti i seguenti principi: metodo competitivo ad evidenza pubblica per appalti pubblici, proprietà dell'ente pubblico delle reti e servizi di pubblica utilità (articolo 113, comma 2, della legge 267 del 2000 e sentenza della Corte Costituzionale n. 29 del 2005);
   con l'introduzione della legge 163 del 2006, il cosiddetto «Testo unico sugli appalti», viene ribadita la metodologia della pubblica evidenza degli appalti pubblici con metodo competitivo;
   con il decreto legislativo 133 del 2008 viene introdotto il principio secondo il quale chi è titolare di affidamenti diretti di lavori, non può partecipare ad ulteriori bandi di gara (articolo 23-bis);
   nonostante tali espressi riferimenti giuridici, Enel sole partecipa al bando «Consip luce 2» (anno 2010), pur essendo affidataria di un rilevante numero di contratti ottenuti con affidamento diretto;
   Consip accetta la candidatura e la proclama assegnataria di tre contratti su otto per un importo consistente;
   l'AVCP, Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, con delibera n. 110 del 19 dicembre 2012 definisce tale procedura: «aperta violazione» della legge;
   Enel sole ha considerato non vincolante e soggettiva la deliberazione della AVCP. Conseguentemente, ha continuato a sottoscrivere contratti con i comuni;
   a seguito di un ricorso presentato al TAR, confermato in Consiglio di Stato, è stata dichiarato illegittimo il raddoppio dell'importo dei contratti Consip (sentenza n. 361 del 2013);
   Consip comunica alle società ed ai comuni la «disapplicazione di tali contratti», ma, a tutt'oggi risulta agli interroganti che tale disposto abbia ricevuto applicazione;
   AVCP e Autorità garante della concorrenza e del mercato hanno ricevuto varie segnalazioni che documentavano assegnazioni in forma diretta, ad Enel sole, di lavori di riqualifica di impianti di illuminazione pubblica;
   le convenzioni ed i contratti debbono essere conformi alle direttive europee (legge 221 del 2012) e quindi assegnati con metodo competitivo ad evidenza pubblica; le riqualifiche degli impianti proposte da Enel sole ed accettate dai comuni presuppongono invece un rinnovo tacito, un contratto disposto, dunque, senza l'evidenza pubblica ed il metodo competitivo previsti da legge –:
   se il Governo non ritenga necessario prevedere iniziative utili a risolvere quello che appare agli interroganti un conflitto di interessi tra Consip ed Enel;
   se il Governo non ritenga necessario mettere in atto iniziative atte ad annullare l'assegnazione ad Enel sole del bando Consip 2, considerata l'aperta violazione della legge indicata da AVCP con la deliberazione 110/2012. (5-04703)


   TRIPIEDI, COMINARDI, ALBERTI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, CIPRINI, PESCO, LOMBARDI e DE ROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'anno 2005, la società egiziana Orascom, di proprietà del magnate egiziano Naguib Sawiris, acquisiva la quota di maggioranza della Wind Telecomunicazioni dalla società ENEL, operazione che portò all'apertura di indagini giudiziarie;
   nell'anno 2010, il settore di Wind che si occupava di traffico telefonico internazionale, veniva diviso nelle società Wind International Services spa e WIS e pur se acquisito dal gruppo russo VimpelCom, rimaneva ancora sotto il controllo dell'egiziano Sawiris, realizzando una commessa corrispondente ad oltre il 50 per cento del suo fatturato, recentemente rescissa dalla Wind con conseguente forte diminuzione degli occupati dell'azienda WIS, oggi arrivata a circa 100 addetti totali;
   in data 10 ottobre 2012, presso il Ministero dello sviluppo economico, veniva sottoscritto un accordo fra la società Wind Telecomunicazioni spa e parti sociali rappresentate dalle segreterie nazionali di SLC-CGIL, FISTel-CISL e UILCOM-UIL. Il protocollo, stipulato per evitare l'annunciata esternalizzazione da parte della dirigenza delle attività di gestione e manutenzione della rete, prevedeva il rinnovo di alcuni istituti contrattuali e dei trattamenti normativi ed economici dei dipendenti;
   la riduzione del costo del lavoro all'interno dell'azienda, per parte dei lavoratori dell'azienda ha comportato l'accettare i numerosi tagli imposti, come, ad esempio, la quasi completa eliminazione del premio di risultato;
   nell'anno 2014, l'azienda ha annunciato la volontà di licenziare 500 dipendenti;
   in data 29 luglio 2014, un nuovo protocollo tra società e parti sociali, attivava la procedura dei contratti di solidarietà con conseguente riduzione salariale dei 6.061 dipendenti dell'azienda;
   negli ultimi mesi dell'anno 2014, l'azienda ha deciso di mettere in vendita le proprie strutture di comunicazione, ossia le cosiddette «torri»;
   ad inizio 2015, l'azienda ha iniziato colloqui con i propri dipendenti volti a reperire personale per una nuova società, la Galata, alla quale verranno conferiti parte dei circa 6.000 delle attuali 13.000 torri, oggi di proprietà della società Wind Telecomunicazioni spa. Tale operazione riguarderà circa 100 dipendenti e la scelta di entrare nella nuova società si baserà sull'adesione volontaria degli stessi lavoratori. I settori dove l'azienda andrà ad individuare tale personale saranno i due settori maggiormente impattati per professionalità e competenze richieste, ovvero quelli di «Real Estate» e «Network Operation». I dipendenti selezionati che dovessero accettare il trasferimento, saranno oggetto di una cessione individuale di contratto che verrà siglata, oltre che dal lavoratore interessato, da Wind in qualità di società cedente e dalla neo costituita Galata come società accipiente. Inoltre, in virtù del recente Jobs Act, i lavoratori interessati all'operazione perderebbero ogni diritto acquisito, divenendo di fatto neo assunti;
   nel gennaio 2015, è stata costituita la nuova società, Galata, alla quale verranno conferiti gli asset ed i lavoratori. La neo azienda sarà, in principio, controllata interamente da Wind;
   entro marzo 2015, dovrebbe concludersi l'operazione di vendita ad un soggetto terzo del 90 per cento delle quote di Galata, con Wind che rimarrebbe nel pacchetto azionario con il 10 per cento;
   i soggetti partecipanti alla gara d'acquisto sono El Towers, American Towers, Abertis Telecom ed una joint-venture fra il Fondo italiano specializzato in investimenti infrastrutturali F2l e quello americano Providence;
   a giudizio dei responsabili di Wind, i quattro soggetti «industriali», già presenti a vario titolo nel mercato delle infrastrutture di rete, porteranno migliorie all'aspetto industriale dell'operazione;
   operativamente, nella fase di start up, Galata sarà legata a Wind da un rapporto di «service» nella gestione dei siti;
   alle operazioni sopra elencate che, a giudizio dell'interrogante rappresentano un chiaro tentativo di aggirare gli accordi stipulati nel 2012 e 2014, vi saranno ristrutturazioni dei call center di Ivrea e Palermo che, previa riqualificazione dei dipendenti, verranno presumibilmente ceduti;
   la controllante russa, VimpelCom, a causa delle recenti perdite di circa il 75 per cento dei valori delle azioni in borsa e del valore del rublo, a tutt'oggi capitalizza la metà di quello che è il debito verso le banche della stessa Wind, rendendo evidente il rischio di bancarotta del gruppo;
   nei recenti incontri delle prime settimane di gennaio 2015 con i sindacati, l'azienda ha continuamente fornito rassicurazioni per il futuro dei dipendenti, ma rimane forte il timore che sia in corso una fase di dismissione e di ricerca di denaro per rispettare il pagamento dei circa 9 miliardi di debito accumulati dall'azienda e che annullano il notevole cash flow che Wind Telecomunicazioni spa genera grazie ad aumenti continui dei clienti e alla sostanziale tenuta del fatturato;
   le concorrenti Telecom, Vodafone e soprattutto Fastweb, stanno investendo cifre ingenti nelle nuove tecnologie LTE e fibra ottica, a differenza di Wind, la quale non pare abbia la volontà o capacità di fare investimenti di sviluppo tecnologico e di rete –:
   se gli interrogati intendano verificare, per quanto di loro competenza e con l'aiuto degli organi preposti, che non vi siano elusioni finanziarie dell'azienda in conseguenza del dislocamento della sede olandese della società di controllo;
   se l'operazione riguardante la cessione delle torri alla società Galata e la scelta di entrare nella stessa da parte dei lavoratori che lo volessero, sia o meno coerente con l'accordo del 2012, del quale il Ministero dello sviluppo economico si era reso garante;
   se non intendano convocare un tavolo di incontro con i vertici di Wind Telecomunicazioni spa e parti sociali, allo scopo di chiarire le intenzioni dell'azienda riguardanti l'imminente futuro della stessa, di comprendere le ragioni del blocco degli investimenti nelle nuove tecnologie LTE e fibra ottica e di tutelare il mantenimento dei posti di lavoro di tutti i dipendenti, ponendo particolare attenzione ai lavoratori genitori di minori che, in particolar modo nella sede di Ivrea, verranno destinati a compiti di gestione rete h24;
   se non sia nelle intenzioni del Governo creare una società a controllo pubblico che gestisca reti di telefonia mobile e fissa, compresa la fibra ottica, ove aggregare i diversi soggetti di TLC, affinché si eviti la vendita separata di rami d'azienda così da evitare la sua disgregazione e la dispersione del suo know how. (5-04704)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   con atto di sindacato ispettivo n. 4-06813 pubblicato nei resoconti parlamentari dell'11 novembre del 2014, l'interrogante descriveva quanto accaduto ad Acireale il 5 e il 6 novembre 2014 e chiedeva al Governo di dichiarare lo stato di calamità per le zone interessate dalla tromba d'aria che ha danneggiato la città di Acireale e il suo territorio causando alle proprietà pubbliche, al patrimonio verde e ai privati, danni ingenti e difficilmente rimediabili con le sole forze della cittadinanza;
   l'11 dicembre 2014, il consiglio comunale di Acireale ha approvato un documento con il quale si chiede al Governo, tramite la deputazione siciliana, di deliberare lo stato di calamità per i territori interessati;
   i danni causati dalla tromba d'aria sono stati registrati dalla protezione civile comunale e regionale e sono stati portati all'attenzione del Governo nazionale, così come da loro stesso sostenuto, dal presidente della Regione siciliana e dal sindaco di Acireale;
   l'ufficio della protezione civile di Acireale, in sinergia con quello regionale, a seguito dei sopralluoghi effettuati, ha redatto una perizia di stima dei danni conseguenti all'evento calamitoso, sia per gli edifici pubblici che per quelli privati;
   il documento approvato l'11 dicembre 2014 dal consiglio comunale di Acireale ha inteso fare proprie le motivazioni a fondamento dell'istanza di calamità naturale presentata dalla Regione siciliana e, soprattutto, ha inteso dare voce alle legittime aspettative degli acesi colpiti dall'evento calamitoso, oltre che della cittadinanza tutta;
   contemporaneamente, il consiglio comunale di Acireale ha espresso la propria preoccupazione che l'istanza di calamità naturale venga respinta dal Governo –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Governo per risolvere la problematica esposta in premessa.
(4-07848)


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale 143/2013 «Regolamento recante determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi all'architettura ed all'ingegneria» fissa i parametri per la determinazione del corrispettivo da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi all'architettura e all'ingegneria;
   dal 21 dicembre 2013, giorno in cui è entrato in vigore il decreto citato, tutti i bandi di gara per servizi di ingegneria devono fare riferimento al decreto citato per fissare l'importo a base d'asta;
   in base alla rilevazione del centro studi del Consiglio nazionale degli ingegneri, nel mese dicembre 2014, in quasi il 58 per cento dei bandi, i corrispettivi sono stati calcolati correttamente applicando i parametri contenuti nel DM 143/2013, laddove nel mese di novembre era «in regola» solo il 43,2 per cento dei bandi;
   nonostante la situazione sia nell'ultimo mese decisamente migliorata, si è ancora lontani dalla piena attuazione, infatti, tra i 204 bandi pubblicati nel mese dicembre 2014 per servizi di ingegneria senza esecuzione, sono solo 115 (pari al 56,4 per cento dei bandi) quelli che fanno riferimento chiaramente al DM 143/2013;
   la situazione migliora ulteriormente limitando l'osservazione ai soli bandi in cui è prevista almeno una fase di progettazione o di direzione lavori o di coordinamento della sicurezza (in fase di progettazione e di esecuzione): in tal caso, infatti, in circa due bandi su tre (66,3 per cento dei bandi) il corrispettivo è stato correttamente calcolato in base al DM 143/2013, contro il 52,6 per cento rilevato nel mese di novembre 2014;
   sempre secondo il Centro studi GNI, la quota di bandi che utilizza erroneamente altri riferimenti normativi (DM 4/4/2001, legge 43/49) per la determinazione degli importi a base d'asta, risultando dunque illegittimi, scende nel mese di dicembre al 6,9 per cento valore inferiore rispetto all'8,8 per cento del mese di novembre, ma pur sempre superiore al 3,3 per cento rilevato a ottobre;
   nei restanti 74 bandi, in base alla documentazione disponibile, non è invece specificato in che modo sia stato determinato l'importo a base d'asta, ragione per cui non è possibile stabilire se il corrispettivo è stato determinato correttamente secondo i dettami del DM 143/2013, o meno –:
   quali urgenti iniziative, anche di natura normativa, intendano i Ministri interrogati porre in essere, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di garantire che tutti i bandi per servizi di ingegneria facciano riferimento a un unico testo normativo in merito alla determinazione dei corrispettivi posti a base di gara. (4-07860)


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, DI VITA, DALL'OSSO, BARONI, D'UVA, NUTI e CANCELLERI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la trasmissione televisiva Presadiretta su Rai 3 ha mandato in onda il 1o febbraio 2015 un servizio riguardante una vicenda di presunti falsi invalidi sulla quale è stata aperta un'inchiesta a Ragusa che ha portato alla firma, all'inizio del 2014, di più di cento avvisi di garanzia;
   l'operazione denominata «Guido Tersilli», condotta dalla Guardia di Finanza per far luce sulla presunta truffa da un milione di euro all'Inps sulle graduatorie «ritoccate» a beneficio dei falsi invalidi, prende il nome dal medico «maneggione» di un noto film di Alberto Sordi sugli aspetti della sanità di cui non andare fieri. Sono complessivamente 121 i nomi iscritti nel registro degli indagati che dovranno presumibilmente rispondere di truffa aggravata e continuata in concorso allo Stato e falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atti pubblici aggravato e continuato;
   secondo fonti giornalistiche l'allora Ministro della giustizia Angelino Alfano, tramite l'allora capo della sua segreteria Baldassarre Di Giovanni, avrebbe inviato una nota «riservata» (mandata in onda dalla trasmissione televisiva Presadiretta) all’ex deputato regionale Innocenzo Leontini (già condannato per assunzioni illegittime al 118 quando faceva parte della Giunta Cuffaro all'Ars, e recentemente rinviato a giudizio dalla Corte dei Conti di Palermo per spese non giustificate, pari a 110 mila euro, effettuate quando era capogruppo del Pdl alla Regione Sicilia), comunicandogli il conferimento dell'incarico di medico legale dell'Inps a un professionista di Ragusa. Il medico legale in questione sarebbe figlio di un influente componente delle commissioni d'invalidità di Ragusa e Modica, Rosario Spadaro, che, stando alle intercettazioni degli inquirenti, avrebbe chiesto esplicitamente soccorso a Leontini per far avere l'incarico al figlio. In cambio si sarebbe prestato a correggere le percentuali d'invalidità;
   stando a quanto riportato dal giornalista Antonio Fraschilla, di La Repubblica, nelle carte dell'indagine si fa riferimento a un colloquio del 25 maggio 2010 tra il medico e il segretario di Leontini per ottenere «informazioni e rassicurazioni sul proprio figlio cercando di capire le motivazioni del perché tutti mi stanno passando avanti per i contratti di medico legale all'Inps»». Qualche tempo dopo sarebbe stato Leontini in persona a chiamarlo e rassicurarlo in merito all'incarico assegnato al figlio. Dalle intercettazioni emerge che Leontini sarebbe stato chiamato direttamente dalla segreteria del ministro che gli comunicava che era tutto a posto;
   sembrerebbe trovarsi di fronte al conferimento di uno specifico incarico professionale, ottenuto grazie ad un aiuto politico e non per caratteristiche tecniche e curriculari;
   secondo quanto riportato dai giornali, oltre all’ex deputato regionale Innocenzo Leontini, nella presunta truffa da un milione di euro all'Inps sulle graduatorie «ritoccate» a beneficio dei falsi invalidi sarebbe altresì coinvolto l'ex collega Riccardo Minardo;
   tra gli indagati figurano pure dipendenti dell'Asp, una mezza dozzina di componenti dello staff delle allora due segreterie politiche di Minardo e Leontini (nelle quali la guardia di finanza ha rinvenuto manoscritti con decine di nominativi di presunti invalidi, contenenti persino le percentuali di invalidità che la commissione medica avrebbe dovuto approvare) e un agente della Guardia di Finanza, mentre sono stati nel frattempo prosciolti alcuni consiglieri comunali pro tempore di Ragusa, Modica e Ispica;
   la presunta truffa all'Inps si sarebbe concretizzata nella concessione indebita di pensioni di invalidità che non sarebbero spettate a coloro che ne avevano fatto richiesta sulla base di presunte dichiarazioni mendaci tramite il presunto «aiutino» di politici e medici conniventi, i quali avrebbero fornito una «spintarella» per scavalcare in graduatoria gli altri aventi diritto non facenti parte del presunto «giro» in cui tutti quanti avrebbero tratto guadagno;
   i presunti falsi invalidi si sarebbero così assicurati agevolazioni fiscali per l'acquisto di farmaci o impianto di protesi, pensioni di accompagnamento, esenzioni ticket, iscrizioni nelle liste di collocamento di persone con disabilità, mentre i medici presunti conniventi avrebbero tratto vantaggi in denaro o altro nell'espletamento delle loro funzioni in seno alla pubblica amministrazione per il presunto tramite dei politici che si sarebbero a loro volta assicurati migliaia di potenziali elettori i cui appunti, in riferimento all'avanzamento dell’iter procedurale delle varie «operazioni», o ancora incontri da fissare o persone da richiamare, sarebbero stati tra l'altro annotati in foglietti con il logo del Senato della Repubblica –:
   di quali elementi disponga il Governo su quanto esposto in premessa e se, anche sulla base degli atti depositati, risulti a che titolo il personale del Ministero della giustizia, nella specie il capo segreteria Di Giovanni, comunicava l'avvenuta contrattualizzazione all'Inps di un medico legale e, nello specifico, proprio al deputato Ragusa Leontini, appartenente allo stesso partito del Ministro della giustizia pro tempore Alfano;
   se siano state effettuate verifiche straordinarie da parte dell'Inps, e in tal caso quali siano i risultati di tali verifiche;
   nel caso in cui venissero confermati i fatti, considerata la gravità dell'anomala situazione generata dal presunto «aiutino», se non ritengano doveroso far intervenire gli ispettori del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per verificare lo stato delle cose;
   se non intendano assumere iniziative, anche normative, per tutelare il cosiddetto whistleblowing, anche in considerazione del fatto che l'attuale piano anticorruzione del Ministero della salute lo prevede;
   se intendano fornire dettagliati elementi con riferimento a quanto accaduto dando conto dei possibili danni prodotti all'erario nonché se intendano avanzare delle proposte risolutive del fenomeno, illustrando per quanto di competenza quale sarà, al di là del percorso giudiziario, il successivo iter nell'accertamento delle responsabilità degli indagati;
   se non ritengano doveroso e urgente promuovere una campagna di etica professionale presso le sedi dell'Inps e presso le ASP, con incentivi per il personale virtuoso e con la previsione di sanzioni per quelli scorretti. (4-07878)


   RICCARDO GALLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano economico «Il Sole 24 Ore», in un articolo pubblicato il 9 febbraio 2015, riporta un'informazione pubblicitaria dell'Ance Sicilia, che segnala come attualmente, nella regione isolana, vi siano 27 opere pubbliche bloccate, senza che si conoscano le reali motivazioni delle interruzioni, nonostante i fondi ed i progetti siano da tempo disponibili per l'avvio delle gare;
   la medesima Associazione regionale, a tal fine, ha inviato un documento con l'elenco delle opere, i finanziamenti e i progetti esecutivi o definitivi all'Ance nazionale, affinché lo trasmetta al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Delrio, con l'auspicio che le istituzioni nazionali possano dare risposte certe alla grave emergenza di lavoro ed economica, che da troppi anni ed in particolare nell'attuale fase di gravissima crisi economica iniziata nel 2008, interessa l'isola siciliana;
   l'Associazione nazionale costruttori edili della Sicilia, inoltre, evidenzia un ulteriore aspetto, a giudizio dell'interrogante, di rilevante importanza e connesso alla finalità di accertare eventuali danni erariali procurati dal ritardo nell'avvio delle opere infrastrutturali pubbliche e se le somme vincolate per tali interventi siano state nel frattempo distratte per scopi diversi e non produttivi;
   il suesposto articolo – manifesto, a giudizio dell'interrogante, conferma anche in questa occasione, una scarsa attenzione del Governo, nell'azione di politica economica per lo sviluppo del Mezzogiorno ed in particolare della Regione siciliana;
   le misure recentemente introdotte da provvedimenti d'urgenza, come ad esempio il decreto cosiddetto «sblocca-Italia», finalizzate a velocizzare i sistemi autorizzativi e procedurali connessi all'avvio dei cantieri e delle opere pubbliche, a parere dell'interrogante, non sembrano essersi dimostrate efficaci, se come nel caso denunciato dall'Ance Sicilia, da tempo sono ferme 27 opere pubbliche, senza che si conoscano motivazioni ufficiali da parte delle autorità locali e nazionali –:
   quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se trovi conferma quanto riportato nell'articolo – manifesto in precedenza indicato e pubblicato dal quotidiano «Il Sole 24 Ore», secondo il quale, decine di interventi pubblici infrastrutturali sia legati alla viabilità che alla realizzazione di opere idrauliche, risultano fermi in Sicilia;
   in caso affermativo, quali siano le motivazioni per le quali non siano state a tutt'oggi avviate, per quanto di competenza, le procedure di gara, nonostante i fondi e i progetti siano da tempo disponibili, come rileva l'Ance Sicilia;
   quali iniziative urgenti e necessarie intendano intraprendere, per le parti di propria competenza, al fine di sbloccare gli ostacoli e le difficoltà derivanti dai ritardi che stanno determinando il mancato avvio delle opere pubbliche statali in Sicilia, le cui realizzazioni possono determinare importanti effetti positivi in termini di nuova occupazione e rilancio dell'indotto. (4-07880)


   COCCIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse sugli organi di stampa si apprende che la FGCI ha speso oltre 100 mila euro per acquistare il libro «Ti racconto il calcio» il cui autore Carlo Tavecchio è anche il presidente della suddetta Federazione;
   l'acquisto, dunque, appare non solo inopportuno ma anche frutto di un evidente conflitto di interesse che, tuttavia, non è stato segnalato: infatti, nella delibera del 19 novembre 2014 nella quale il comitato di presidenza della Figc ha approvato l'acquisto di venti mila copie dell'opera è stato citato solo il titolo del libro, senza dichiarare chi fosse l'autore;
   in questo modo stati spesi 107 mila euro più iva che provengono dal bilancio in parte alimentato da fondi pubblici e in un momento in cui il CONI stava procedendo ad una spending review e una serie di tagli ai bilanci delle Federazioni;
   appare evidente il profilarsi di una grave anomalia che richiede un intervento immediato –:
   se non ritenga opportuno, tramite il CONI, chiedere spiegazioni alla Federazione Italiana Giuoco Calcio. (4-07881)


   MIGLIORE e CHAOUKI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 febbraio 2015, da un articolo di giornale «il fatto quotidiano», si apprende che la Figc nel 2014 ha acquistato 20 mila copie di un libro, scritto dal suo presidente Carlo Tavecchio, dal titolo «ti racconto...il calcio», per un importo pari a 107 mila più Iva;
   si legge, inoltre, che tale investimento è stato approvato con delibera del 19 novembre 2014 dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio e per l'acquisto si cita il titolo, ma non l'autore;
   la delibera, approvata all'unanimità del comitato di Presidenza della Figc, cita: «Il Presidente (ossia Tavecchio stesso) riporta le richieste promosse da alcuni Comitati Regionali e Provinciali interessati a disporre di copie del volume Ti racconto il calcio per farne dono ai giovani atleti tesserati quale strenna natalizia. Evidenziando come l'editore si sia dichiarato disponibile a garantire la fornitura delle 20 mila copie ancora disponibili a soli 5,38 euro più Iva in luogo degli 11,00 indicati dal prezzo di copertina, prospetta la possibilità di dare corso alla fornitura»;
   tale delibera è stata emessa dalla Figc dopo che ad ottobre 2014 il Comitato olimpico nazionale aveva imposto alle federazioni la spending rewiew, tagliando circa 20 milioni di euro di finanziamenti in un anno –:
   se sia a conoscenza di quanto descritto in premessa, e se non intenda intervenire, per quanto di competenza, al fine di fare chiarezza su tale vicenda.
(4-07882)


   CARRESCIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la straordinaria ondata di maltempo che si è abbattuta nei primi giorni di febbraio sull'Italia ha coinvolto di nuovo regioni già particolarmente colpite da eventi alluvionali e di dissesto idrogeologico nel corso del 2014 e fra esse, a partire dal pomeriggio del 4 febbraio 2015, anche le Marche;
   le intense precipitazioni hanno provocato danni ingenti alle infrastrutture, agli stabilimenti balneari, ad opifici industriali ed artigianali di tutti i comuni costieri delle Marche ed anche alle opere di difesa del porto di Ancona;
   il 4 febbraio e nei giorni successivi le Marche hanno subito gravi conseguenze per eventi meteorici che hanno determinato eventi franosi, smottamenti, allagamenti, la chiusura delle scuole, disagi alla fornitura di energia elettrica ed i collegamenti telefonici; le piogge hanno provocato il congestionamento del reticolo idraulico minore, ha provocato gravi disagi alla circolazione stradale con l'interruzione della viabilità in molti comuni e la chiusura delle vie di accesso, ingenti danni per l'agricoltura;
   è stata già avanzata la richiesta da parte del presidente della regione Marche per la dichiarazione dello stato di emergenza;
   questi ripetuti eventi calamitosi hanno evidenziato, ancora una volta, la fragilità del territorio ed il suo dissesto idrogeologico;
   è necessario da un lato semplificare i procedimenti ed accelerare gli interventi di ripristino della officiosità dei corsi d'acqua e garantire adeguati stanziamenti soprattutto laddove è conclamato il rischio del ripetersi di gravi eventi alluvionali;
   sono sempre più frequenti, infatti, i danni provocati da frane, inondazioni, alluvioni, eventi sismici che colpiscono territori sempre più ampi incapaci di sostenere eventi di rilevante portata di avversità meteorologica;
   secondo l'Istat, il trend del consumo di suolo nel nostro Paese è cresciuto al ritmo di 244.000 ettari all'anno di suolo cementificato sottraendo alla loro naturale destinazione aree allagabili e aree libere, agricole e boschive, che rappresentano invece presidi essenziali per la tenuta del territorio italiano;
   il suolo è una risorsa limitata e non rinnovabile che svolge fondamentali funzioni ecosistemiche come la produzione di cibo e di biomassa, il filtraggio degli inquinanti, la formazione di habitat per la biodiversità, la fornitura di materie prime;
   il suolo è un bene comune da tutelare per le generazioni future e ne vanno mantenute intatte le funzioni sociali, economiche e ambientali garantendo perciò ad esso, come alle altre matrici come l'aria o le acque il medesimo livello di protezione;
   è cresciuto in modo esponenziale sia il fenomeno dell'impermeabilizzazione dei suoli e quello del suo consumo (il censimento ISTAT indica che dal 2000 al 2010 si sono persi oltre 300.000 ettari di superfici agricole);
   secondo il Centro ricerche economiche e sociali di mercato per l'edilizia e il territorio (Cresme), il 5,75 per cento della superficie del Paese, pari a 17.255 chilometri quadrati, risulta essere ad elevato rischio frane e il 4,1 per cento della superficie, pari a 12.263 chilometri quadrati, ad elevato rischio inondazione;
   la popolazione residente in zone ad elevato rischio idrogeologico è pari al 9,6 per cento del totale nazionale, equivalente a 5.798.799 abitanti;
   una ricerca dell'Istituto per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) sul consumo del suolo evidenzia che nel 1960 il suolo consumato risultava pari al 2,8 per cento mentre nel 2010 il suolo consumato era pari al 6,9 per cento del territorio; il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha quantificato in 40 miliardi di euro le spese necessarie per la sistemazione delle situazioni di dissesto su tutto il territorio nazionale, di cui circa 11 miliardi sono necessari per mettere in sicurezza le aree a più elevato rischio;
   risulta pari a 61 miliardi di euro il costo complessivo dei danni per frane e inondazioni dal 1944 al 2012;
   il dissesto idrogeologico è uno dei principali problemi che affliggono il nostro Paese perché è diffuso in modo capillare e si articola indifferentemente in relazione all'assetto geomorfologico del territorio: esondazioni, dissesti morfologici di carattere torrentizio, frane, trasporto di massa lungo le conoidi nelle zone montane e collinari, esondazioni e sprofondamenti nelle zone collinari e di pianura;
   i danni derivanti da eventi naturali calamitosi hanno conseguenze anche sul patrimonio storico, artistico, monumentale;
   sono sempre più necessari interventi di riqualificazione edilizia del patrimonio abitativo italiano, misure che prevedano un corretto utilizzo del territorio, incentivi per il recupero e la riqualificazione del patrimonio edilizio, la delocalizzazione dalle aree esposte a forte rischio;
   se sono state rilevanti le risorse destinate negli ultimi anni per far fronte alle emergenze legate agli eventi calamitosi è parimenti incontrovertibile che l'assenza di piani di prevenzione ben strutturati e organizzati e un'attenzione costante e prioritaria agli interventi di prevenzione di mitigazione del rischio, stanno vanificando quanto in questi anni si è cercato di fare per garantire un maggior equilibrio idrogeologico ai territori; è stata costituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri l'unità tecnica di missione per il dissesto idrogeologico con il compito di coordinare le iniziative, le risorse e gli obiettivi definiti a livello statale e regionale;
   il Governo, in sede di replica ad interrogazioni parlamentari (Senato, 2 ottobre 2014) ha evidenziato la sussistenza di «risorse non spese per problemi in parte di patto di stabilità» e la volontà di predisporre ulteriori risorse da destinare agli interventi di messa in sicurezza e tutela del suolo;
   la Camera dei deputati ha approvato il 16 aprile 2013 le mozioni nn. 1-00017 Speranza, Brunetta, Matarrese ed altri, 1-00112 Zan ed altri, 1-00114 Segoni ed altri, 1-00117 Grimoldi ed altri e 1-00124 Giorgia Meloni e Rampelli e che presso l'VIII Commissione ambiente, lavori pubblici e trasporti venne presentata l'11 novembre 2013 la risoluzione n. 7-00163, il 16 aprile 2014 la mozione n. 1-00416 (Braga ed altri), il 3 ottobre 2014 la risoluzione n. 8-00016 (Realacci ed altri) tutte relative alla problematica del dissesto idrogeologico ed agli interventi necessari per fronteggiare eventi calamitosi da avversità meteoclimatiche;
   sono state depositate proposte di legge per semplificare i procedimenti che consentano l'esecuzione di interventi di manutenzione e di ripristino della funzionalità idraulica dei corsi d'acqua, conseguenti a calamità naturali o diretti a prevenire situazioni di pericolo di ripristino dell'officiosità dei corsi d'acqua (proposta di legge n. 2809, Carrescia, Morani, Manzi ed altri);
   la legge di stabilità 2015 ha previsto uno stanziamento di 50 milioni, per l'attuazione di interventi urgenti in materia di dissesto idrogeologico, di difesa e messa in sicurezza di beni pubblici, di completamento di opere in corso di esecuzione nonché di miglioramento infrastrutturale e di 76 milioni di euro in più per il fondo emergenze di cui 56 milioni per quelle del 2014 e 20 per il 2015;
   le risorse non sono sufficienti e che le procedure per il loro trasferimento ai livelli locali sono troppo lunghe e macchinose come pure quelle per interventi di ripristino dell'officiosità dei corsi d'acqua –:
   se il Governo intenda:
    a) ottemperare agli atti di indirizzo approvati in Parlamento e a destinare adeguate risorse per l'attuazione del Piano straordinario di interventi per la messa in sicurezza e riqualificazione del territorio nazionale e del patrimonio abitativo pubblico e privato, esposto a rischio idrogeologico;
    b) dichiarare con urgenza lo stato di emergenza per i comuni della regione Marche colpiti dagli eccezionali avversi eventi meteorologici nei primi giorni di febbraio 2015;
    c) assumere iniziative per disporre, in tempi rapidi, d'intesa con le amministrazioni locali competenti e con le associazioni imprenditoriali, la concessione di contributi in misura sufficiente a coprire le spese occorrenti per la riparazione, il ripristino e la ricostruzione delle strutture e degli immobili danneggiati, sia abitativi sia destinati ad uso turistico, ricettivo, commerciale, agricolo, di servizi e produttivo nei comuni delle Marche colpiti dagli eventi meteorologici;
   d) se intenda assumere urgenti iniziative anche normative per:
    a) sospendere i pagamenti dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria per i soggetti colpiti dagli eventi calamitosi;
    b) stabilire che il pagamento degli adempimenti tributari e non tributari dopo la sospensione dei termini sia effettuato in forma rateale, senza applicazione di sanzioni e interessi;
    c) prevedere, anche mediante protocollo d'intesa con l'Associazione bancaria italiana, la possibilità di accedere a finanziamenti agevolati assistiti dalla garanzia dello Stato per il pagamento dei tributi, dei contributi e premi da effettuare dopo la sospensione dei termini;
    d) attribuire agli enti locali colpiti dagli eccezionali eventi meteorologici adeguati contributi per far fronte alle emergenze sociali;
    e) assegnare contributi straordinari ai comuni colpiti dagli eventi atmosferici finalizzati ad interventi di riduzione del rischio idrogeologico e per la messa in sicurezza del territorio, escludendo tali spese dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno;
    f) stanziare risorse per la difesa della costa, il riassetto idraulico, per le casse di espansione, per il rafforzamento degli argini, per la manutenzione della rete idraulica, per il drenaggio efficiente di fiumi, fossi e canali a favore dei comuni della regione Marche, colpiti dagli avversi eventi atmosferici del febbraio 2015;
   se intenda farsi parte attiva presso le istituzioni europee per attingere al fondo di solidarietà dell'Unione europea utilizzato per le gravi calamità e da destinare con priorità agli interventi per la regione Marche. (4-07883)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge 23 dicembre 2014, n. 190, legge di stabilità per il 2015, all'allegato 8 richiamato dal comma 318 dell'articolo 1 reca la soppressione del contributo annuale versato dall'Italia all'Istituto internazionale del freddo (Institute International du Froid/International Institute of Refrigeration, IIF/IIR) per il 2015 e per gli anni successivi;
   l'IIF/IIR è un'organizzazione intergovernativa cui partecipano i sessanta Paesi più industrializzati, ed è unanimemente riconosciuta come la più alta e autorevole voce in campo scientifico e tecnico in un settore, quello della refrigerazione e delle pompe di calore, ad alto valore economico, sociale e tecnologico;
   la contribuzione italiana all'Istituto internazionale del freddo risale al 1920, anno della sua costituzione a Parigi, e non si è mai arrestata, salvo negli anni di guerra;
   l'Italia, oltre ad essere stato uno dei Paesi fondatori dell'IIF/IIR, è sempre stato uno dei Paesi che hanno maggiormente contributo all'attività dell'Istituto, sia in termini economici che, soprattutto, in termini scientifici e tecnologici;
   l'interesse italiano nei confronti dell'IIF/IIR deriva soprattutto dalla presenza sul territorio nazionale di una grande quantità di imprese leader in Europa nei campi del condizionamento dell'aria e della refrigerazione commerciale, che hanno una concentrazione straordinaria nel distretto veneto del freddo (uno dei motori dello sviluppo di quel territorio) ma anche una distribuzione omogenea e diffusa in tutte le altre regioni;
   il sistema produttivo del settore, che crea una fetta importante del prodotto interno lordo (si pensi solo che l'Italia produce più del 60 per cento degli impianti di refrigerazione e condizionamento dell'aria e delle pompe di calore realizzati in tutta Europa) sente come prioritaria la presenza italiana nell'IIF/IIR, in quanto è cosciente che la spinta culturale che l'Istituto costituisce una leva indispensabile per il trasferimento tecnologico e l'innovazione di cui l'industria si nutre per crescere e mantenersi competitiva a livello globale;
   le ricadute della partecipazione italiana alle attività dell'IIF/IIR sul tessuto produttivo nazionale del settore sono così ampie da essere unanimemente riconosciute da aziende, associazioni imprenditoriali, associazioni professionali e università, che si sono mobilitate per il ripristino del contributo;
   l'IIF/IIR esercita da tempo una autorevole azione propositiva nei consessi internazionali gestiti dalle Nazioni Unite attraverso l'UNEP (United Nations Environment Programme) che si occupano di problematiche ambientali come l'assottigliamento della fascia di ozono stratosferica e il riscaldamento climatico;
   tale tema è particolarmente sentito dall'industria nazionale, che necessita di un canale affidabile di informazione e formazione sulle misure di tipo ambientale e di sicurezza da adottare per non correre il rischio di essere espulsa dal mercato globale;
   proprio a causa delle problematiche ambientali, nei prossimi anni si discuterà della eliminazione di alcuni gas refrigeranti dai settori della refrigerazione, del condizionamento e delle schiume isolanti, settori produttivi nei quali le nostre aziende, e specialmente le piccole e medie imprese, eccellono in innovazione tecnologica;
   l'impatto industriale di questa eliminazione è stimato a livello internazionale per un importo compreso tra i 4,5 e gli 8 miliardi di dollari nel periodo 2015-2030, una partita di rinnovamento tecnologico nella quale le aziende nazionali ambiscono ad avere un ruolo di primo piano;
   la piena partecipazione dell'Italia nei consessi internazionali favorisce la diffusione del know-how tecnologico italiano e la possibilità per le imprese italiane di competere con gli altri Paesi nel trasferimento di tecnologie e competenze;
   l'Italia, insieme a Germania e Regno Unito, è il Paese europeo che vanta il maggior numero di imprese che hanno tecnologie che non deteriorano lo strato di ozono e hanno basso impatto sul cambiamento climatico;
   la cancellazione del contributo italiano all'Istituto internazionale del freddo costituisce un grave errore strategico in quanto mette a repentaglio un canale di formazione e informazione di vitale importanza per mantenere il tessuto produttivo italiano del settore ai livelli più avanzati in ambito globale, e determina l'impossibilità di partecipare e influenzare lo spazio culturale nel quale transitano l'innovazione e lo sviluppo del settore, sia quelli portati dall'industria e dalla ricerca italiane nel mondo sia quelli elaborati all'esterno e che potrebbero essere utilmente sfruttati in Italia, e il rischio di vedere le aziende ed enti italiani del settore tagliate fuori dalla partecipazione a progetti di ricerca coordinati dall'Istituto ai quali partecipano come partner;
   infine, in cambio di una riduzione oggettivamente irrisoria per la spesa pubblica italiana (l'importo del contributo ammonta a sessantamila euro annui) si sta perdendo un fattore estremamente importante per il mantenimento della competitività dell'industria nazionale mentre i Paesi competitori continuano a sfruttarne i vantaggi –:
   se non ritengano di assumere iniziative al fine di ripristinare il contributo italiano all'Istituto internazionale del freddo, anche in misura ridotta, per l'anno in corso ed i seguenti, al fine di mantenere il nostro Paese all'avanguardia nel settore e salvaguardando le aziende. (4-07855)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta immediata:


   BORGHI, BRAGA, STELLA BIANCHI, BRATTI, CARRESCIA, COMINELLI, COVELLO, DALLAI, DE MENECH, GADDA, GINOBLE, TINO IANNUZZI, MANFREDI, MARIANI, MARRONI, MAZZOLI, MORASSUT, NARDI, GIOVANNA SANNA, VALIANTE, ZARDINI, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 31 gennaio 2015 – a seguito di una perturbazione con forti venti e piogge e ad una tromba d'aria che hanno colpito il territorio salernitano – il fiume Sele è esondato in più punti nelle località Brecciale, Trentalone e Capaccio-Paestum, provocando ingenti danni alle colture, agli allevamenti e alle aziende bufaline. L'esondazione ha causato l'allagamento di 200 abitazioni e ha costretto 10 famiglie ad abbandonare le proprie case;
   se, da un lato, il ripetersi ciclico di eventi calamitosi richiede l'adozione di politiche di prevenzione attraverso un programma pluriennale di manutenzione ordinaria del territorio, dall'altro evidenzia la necessità di affrontare la questione del riequilibrio ambientale del suolo – del mantenimento o del recupero delle sue funzioni ambientali – quale ineludibile strumento di tutela e difesa dai fenomeni di dissesto idrogeologico;
   con la finalità di delineare un approccio trasversale e versatile ai problemi connessi alla tutela del suolo ed ai fenomeni di dissesto idrogeologico, l'Unione europea nel 2006 ha proposto la strategia tematica per la protezione del suolo (comunicazione della Commissione del 22 settembre 2006: «Strategia tematica per la protezione del suolo», COM(2006) 231 def) con misure destinate a proteggere il suolo e a preservare la sua capacità di svolgere le funzioni ecologiche, economiche, sociali e culturali; tale strategia non ha, per ora, avuto seguito;
   sulla base delle considerazioni contenute nella comunicazione, occorre integrare l'attuale visione prevalentemente «urbanistica» della gestione del suolo, basata quasi esclusivamente sui parametri della destinazione d'uso e dei piani regolatori, colmando le lacune nella conoscenza del suolo e potenziando la ricerca scientifico-ambientale, in particolare in materia di diversità biologica dei suoli. Il suolo è un sistema estremamente dinamico, che svolge numerose funzioni e un ruolo fondamentale per l'attività umana e la sopravvivenza degli ecosistemi. Il processo di formazione e rigenerazione del suolo è molto lento e per questo motivo esso è una risorsa essenzialmente non rinnovabile;
   non va tralasciato l'aspetto economico: la Commissione europea nella citata comunicazione afferma che l'analisi di impatto, sulla base dei dati disponibili, indica che il degrado dei suoli potrebbe costare fino a 38 miliardi di euro l'anno;
   i principali processi di degradazione cui sono esposti i suoli – l'erosione, la diminuzione della materia organica, la contaminazione, la salinizzazione, la compattazione, la diminuzione della biodiversità, l'impermeabilizzazione, le inondazioni e gli smottamenti – determinano un deterioramento che ha ripercussioni dirette sulla qualità delle acque e dell'aria, sulla biodiversità e sui cambiamenti climatici, ma possono anche incidere sulla salute dei cittadini e mettere in pericolo la sicurezza dei prodotti destinati all'alimentazione umana e animale;
   nell'anno dell'Expo, la riflessione sulla realtà complessa dell'uso e del consumo dei suoli dovrà dunque necessariamente intersecarsi con il tema del cibo, dei diversi modelli di produzione agricola, di allevamento del bestiame e di distribuzione alimentare nel pianeta;
   l'affermarsi di una gestione dei suoli al di fuori dell'emergenza connessa ad eventi calamitosi e in una prospettiva di riequilibrio ambientale promuoverebbe, inoltre, una filiera con interessanti prospettive occupazionali nell'ambito delle attività di riforestazione, di rigenerazione urbana e di riequilibrio ambientale;
   la scelta degli interventi da finanziare per la salvaguardia dei territori dal dissesto idrogeologico deve quindi necessariamente tenere conto anche di criteri ambientali, definendo obiettivi specifici, che orientino le risorse messe a disposizione dall'Unione europea attraverso i fondi strutturali, per gli interventi di prevenzione del dissesto e di riequilibrio ambientale; interventi in tale direzione oggi sono limitati al solo reinsediamento, incentivato dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, degli agricoltori nei territori abbandonati –:
   se, parallelamente alle misure per il reinsediamento dei giovani agricoltori, il Ministro interrogato intenda definire specifici obiettivi e priorità di finanziamenti, a valere sui fondi comunitari strutturali, per i progetti che rispondono a finalità di riequilibrio ambientale dei suoli e di riassetto idrogeologico. (3-01292)

Interrogazione a risposta orale:


   LUIGI GALLO, ALBERTI, D'INCÀ, SIBILIA, SILVIA GIORDANO, DE LORENZIS, TOFALO, TERZONI, SPESSOTTO, PARENTELA, BECHIS, NICOLA BIANCHI, BRUGNEROTTO e AGOSTINELLI. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Terzigno (NA) è ricompreso all'interno del territorio del Parco nazionale del Vesuvio-Riserva MAB-UNESCO dal 1997 (dunque area destinata a presentare la conservazione delle specie animali e vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di singolarità geologiche di formazioni paleontologiche di comunità biologiche, di biotopi, di valori scenici e panoramici di processi naturali, di equilibri idraulici ed idrogeologici, di equilibri ecologici, nonché allo scopo di promuovere tutta una serie di attività di educazione, formazione, ricerca, restauro, e altro);
   nel 2008, proprio quest'area a mezzo della legge n. 123, veniva individuata come sede «ideale» di una discarica, sita in località Pozzelle, successivamente tristemente nota quale «Cava Sari», inaugurata nel maggio 2009 e chiusa perché stracolma, soltanto tre anni dopo, nel maggio 2012;
   nel corso degli anni, nonostante comitati cittadini e consiglieri comunali abbiano più volte richiesto informazioni circa la natura dei rifiuti interrati nella «Cava Sari», nessuna chiara e ufficiale risposta e giunta né dal commissariato gestione rifiuti, né dalla società affidataria della discarica, la ASIA Napoli spa, né tantomeno dal comune di Terzigno;
   la Asia Napoli spa in una nota del 12 luglio 2010, relativa ai monitoraggi effettuati ex decreto legislativo 36 del 2003 dei pedometri presso l'impianto di discarica Cava Sari, rendeva noto agli enti preposti il superamento delle concentrazioni superiori ai limiti consentiti dalla legge nella falda acquifera di elementi quali nichel, zinco, PCB, cadmio, aldrin, benzo(a)pirene ed altri, che avrebbero comportato un gravissimo e palese inquinamento della falda acquifera;
   con nota prot. N. 2415/SP del 25 ottobre 2010, la regione Campania convocava un tavolo tecnico presso la prefettura di Napoli per l'avvio di un piano di monitoraggio ambientale della discarica;
   sulla scorta di tale convocazione il comune di Terzigno incaricava un proprio tecnico di fiducia di assistere al prelievo di campioni di acqua tratte dai pozzi «spia» posti a monte e a valle della discarica Sari e, altresì, di relazionare sui risultati delle analisi effettuate dai tecnici dell'ARPAC;
   da tali analisi emergevano, nella falda acquifera, il superamento delle concentrazioni superiori ai limiti massimi consentiti di sostanze quali ferro, manganese, fluoruri, nichel, zinco, PCB e cadmio, diossine, prodotti derivanti da idrocarburi, pesticidi, cadmio, nichel ed altri;
   poche di queste sostanze possono essere riconducibili ed attribuibili alla natura geomorfologica vulcanica, tutte le altre sono di certo frutto di contaminazione causata dallo smaltimento scellerato dei rifiuti, scellerato sia nella scelta del luogo (Parco nazionale del Vesuvio) sia nelle modalità di trattamento dei rifiuti;
   con nota del 1o febbraio 2011, la Direzione Generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare richiedeva ai gestori della discarica di adottare entro 20 giorni idonei interventi di messa in sicurezza d'emergenza delle acque di falda contaminate a valle della discarica Cava SARI, sita nel comune di Terzigno, in località Pozzelle;
   da ciò si evince che le falde acquifere di Terzigno sono contaminate e che ciò è già noto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   vale la pena ricordare i disastrosi effetti che dette sostanze, accumulandosi nei terreni coltivati e nelle falde acquifere destinate all'irrigazione ed al consumo, possono avere sulla salute delle persone: patologie dei reni, ossa e sangue, disturbi della crescita, danni allo scheletro, carenze riproduttive, tumori al fegato, alla prostata ed ai polmoni, disturbi permanenti se si è fortunati, altrimenti mortali;
   a ciò si aggiunga che la discarica, allo stato, viene gestita dalla società Ecodeco srl, gruppo A2A, che ne cura la captazione dei biogas, ma la popolazione locale lamenta la cattiva gestione di tale impianto dal quale provengono continui miasmi, che costringono i residenti a rifugiarsi in casa, ben serrando porte e finestre, in ragione della presenza di una coltre di vapori sulla discarica;
   i danni causati dalla «Cava Sari» sono molteplici: la presenza di oltre 500 mila tonnellate di rifiuti indifferenziati all'interno del Parco nazionale del Vesuvio, l'inquinamento di acqua, terreno e aria, l'aumento concreto di patologie tumorali tra la popolazione residente nella zona;
   ad oggi, l'unico «provvedimento» che è stato preso per tutelare la salute della popolazione residente nella zona consta all'interrogante che sia stato l'invito da parte del comune di Terzigno a non utilizzare l'acqua proveniente da detta falda né per il consumo quotidiano né per l'irrigazione delle colture;
   è evidente come si renda necessario, stante la gravità e l'emergenza della questione, un intervento diretto da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare affinché si faccia chiarezza sulla corretta gestione della discarica Cava Sari sita in Località Pozzelle, sul rispetto delle norme vigenti in materia di smaltimento dei rifiuti da parte dei gestori, anche a mezzo dell'ausilio del Nucleo Operativo Ecologico (NOE) per la vigilanza e repressione delle violazioni compiute in danno dell'ambiente;
   è, altresì, evidente come si renda necessario, stante la gravità e l'emergenza della questione, un intervento diretto da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare affinché si prenda contezza dello stato dei luoghi e del reale inquinamento dei terreni, delle acque e dell'aria e, soprattutto, affinché nei luoghi suddetti vengano adottati tutti gli idonei e necessari interventi di messa in sicurezza delle aree inquinate per la tutela del salute delle popolazioni residenti –:
   se e quali urgenti e improrogabili controlli del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenderà disporre per accertare i suesposti fatti e le eventuali condotte tenute in violazione delle leggi e in danno della salute della popolazione locale ed anche se e quali misure d'emergenza finalizzate alla messa in sicurezza e/o bonifica delle aree contaminate il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenderà prendere per salvaguardare la salute dei cittadini e degli abitanti delle zone limitrofe a Cava Sari a tutela della salubrità dell'acqua, del terreno e dell'aria. (3-01279)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAOLO NICOLÒ ROMANO e DE LORENZIS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   ATIVA spa (Autostrada Torino Ivrea Valle d'Aosta) è la società per azioni, controllata dal gruppo Gavio, concessionaria del tratto autostradale A5 Torino-Quincinetto. Nello specifico appartengono alla sua rete: l'autostrada A5 Torino-Ivrea-Quincinetto compreso il raccordo A5/SS 11; la bretella di collegamento A4/A5 Ivrea — Santhià e il sistema autostradale tangenziale torinese (SATT), compresi la diramazione autostradale Torino-Pinerolo e l'asse autostradale di Moncalieri;
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 12 gennaio 2015, a conclusione dell’iter amministrativo di valutazione di impatto ambientale (VIA), ha firmato il decreto di compatibilità ambientale con prescrizioni del progetto denominato «Autostrada A5 Torino – Quincinetto Nodo Idraulico Ivrea — II fase di completamento» per la ristrutturazione e messa in sicurezza idraulica, appunto, della tratta autostradale A5, in corrispondenza del nodo idraulico di Ivrea, presentato dalla sopracitata società concessionaria per rispondere ad eventuali calamità naturali come quella verificatasi in occasione dell'evento alluvionale dell'ottobre 2000;
   tale progetto prevede il rifacimento di 9,65 chilometri di autostrada A5, con l'inserimento di tre viadotti e il rifacimento dello svincolo di interconnessione tra la A5 ed il raccordo autostradale A4/A5 Santhià-Ivrea, e la modificazione, per buona parte del tratto indicato, della livelletta autostradale, che verrà innalzata per renderla coerente, a quanto viene riferito, con i livelli idrici previsti in caso di piena;
   contro tale progetto di sopraelevazione, dal costo stimato di 260 milioni di euro, si sono mobilitati le amministrazioni dei comuni interessati, le associazioni ambientaliste e i comitati di cittadini che hanno presentato osservazioni e controdeduzioni, ai sensi dell'articolo 24, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 e successive modificazioni e integrazioni, alla commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale;
   osservazioni e controdeduzioni che non sono state, a detta dell'interrogante, adeguatamente valutate ai fini dell'espressione de parere;
   stupisce, infatti, che la commissione tecnica di verifica del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non abbia considerato l'impatto devastante per l'intero territorio del Canavese di tale assurda opera, poiché a giudizio dell'interrogante non solo non inciderà sulle cause delle esondazioni – dovuta all'aumento della velocità e quantità di acqua che si riversa dalla Valle d'Aosta sulla piana di Ivrea per effetto dell'irrigidimento e dell'accorciamento degli affluenti a seguito di politiche di regimazione idraulica messe in atto in questi anni da tutte le amministrazioni locali interessate — ma al contrario comporterà un aggravio del rischio idrogeologico del territorio per l'ennesima dissennata politica di consumo del suolo di cui il progetto presentato neppure in larga massima quantifica;
   la concessione dell'autostrada A5 da parte di ATIVA spa scadrà nel 2016 e tale discusso progetto sembra essere destinato alla mera fruizione da parte della concessionaria dei benefici previsti dall'articolo 5, comma 1, del decreto-legge, 12 settembre 2014, n. 133, «Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive», convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, cosiddetto «Sblocca Italia», che dispone la proroga della concessione in cambio di «interventi di potenziamento, adeguamento strutturale, tecnologico ed ambientale delle infrastrutture autostradali nazionali»;
   altri sono i problemi che attanagliano il sistema della mobilità del Canavese, come i noti disagi alla circolazione per gli intasamenti causati dal traffico di attraversamento nord sud – est ovest tra Quincinetto, Ivrea, Scarmagno e Albiano d'Ivrea e i comuni limitrofi. Congestione del traffico, incidentalità ed emissioni inquinati (acustico ed atmosferico), che attanagliano da molti anni questi territori, che potrebbero risolversi con la liberalizzazione dei caselli autostradali di queste tratte in modo da consentire di utilizzare l'autostrada come una tangenziale naturale senza pedaggio, come avviene già per il tratto A4 Rondissone – Chivasso – Torino, riducendo così gli attraversamenti nei centri urbani e rendendo anche superflue le costose ed impattanti opere pubbliche programmate da ATIVA spa;
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, ha decretato il 12 gennaio 2015 la compatibilità ambientale con prescrizioni del progetto relativo all'autostrada A5 Torino-Quincinetto Nodo Idraulico di Ivrea II fase di completamento;
   l'autorità di bacino del fiume PO non ha mai emesso un parere prescrittivo relativo alla sopraelevata come sostenuto dalla società concessionaria in quanto si è limitata ad indicare, tra gli interventi di sistemazione del nodo idraulico di Ivrea, esclusivamente quello relativo alla «autostrada Torino-Aosta (in corrispondenza dell'incile) al fine di rendere il rilevato trasparente e non tracimabile»;
   anche la pretesa «messa in sicurezza» dell'A5 è alquanto discutibile poiché eventi di frequenza bicentenaria non giustificano a parere dell'interrogante una spesa di quasi 300 milioni di euro per impedire che l'autostrada rimanga chiusa per 24/48 ore;
   il piano territoriale di coordinamento 2 (PTC2) della provincia di Torino detta stringenti norme per la salvaguardia e la tutela delle aree ad elevata vocazione e potenzialità agricola come quelle investite in questa inaccettabile operazione nella quale non viene neppure quantificata la superficie di suolo che verrà persa;
   come detto, la concessione dell'autostrada A5 da parte di ATIVA spa scadrà nel 2016, di conseguenza, autorizzando la realizzazione della sopraelevata, si rischia di accollare al nuovo gestore oneri per progetti non pianificati i cui costi ricadrebbero sull'intera collettività per gli aumenti dei pedaggi autostradali che a cascata causerebbero un ulteriore aumento del traffico di attraversamento nord sud – est ovest tra Quincinetto, Ivrea, Scarmagno e Albiano d'Ivrea;
   la Commissione europea ha avviato una procedura Eu-Pilot, ossia una richiesta di approfondimenti informativi sulle misure previste all'articolo 15 del decreto «Sblocca Italia», che proroga le concessioni autostradali senza procedure di gara, per verificare la violazione delle regole comunitarie. In base alla risposta che giungerà dal Governo la Commissione europea potrebbe avviare una procedura d'infrazione esponendo il Paese a sanzioni che ricadrebbero a carico dell'intera collettività. Risposta del Governo che, tra l'altro, ad avviso degli interroganti si annuncia insoddisfacente se in merito hanno già espresso delle criticità l’Authority dei trasporti, l'Autorità nazionale anticorruzione e l’Antitrust in quanto tale norma si palesa per essere eccessivamente favorevole agli attuali concessionari autostradali e in particolare, come emerso dalla stampa, allo stesso gruppo Gavio;
   deve essere prioritaria la promozione di politiche pubbliche volte a favorire la mobilità sostenibile nel nostro Paese, appare pertanto indispensabile evitare inutili ed impattanti opere infrastrutturali come la sopraelevata del tratto autostradale A5 Torino — Quincinetto «Nodo Idraulico Ivrea» ripensando il sistema della viabilità dell'intero Canavese. Per ridurre le code e gli attraversamenti nei centri urbani, con effetti positivi sulla qualità dell'ambiente e sulla fluidità del traffico, è ormai assodata la necessità di liberalizzare i caselli autostradali di Quincinetto, Ivrea, Scarmagno e Albiano d'Ivrea in modo da ovviare alla radice i problemi sopra esposti –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritengano opportuno riesaminare, nell'ambito delle rispettive competenze, il decreto approvato il 12 gennaio 2015 di compatibilità ambientale con prescrizioni del progetto relativo all'autostrada A5 Torino-Quincinetto «Nodo Idraulico di Ivrea II fase di completamento», o in subordine di sospenderne l'efficacia fino a quando non sarà rinnovata la concessione in scadenza nel 2016;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno sollecitare la convocazione di un tavolo tecnico con la società concessionaria, le amministrazioni e le autorità pubbliche interessate al fine di agevolare la liberalizzazione, in tempi rapidi, del pedaggio autostradale tra i caselli di Quincinetto, Ivrea, Scarmagno e Albiano, o in subordine di promuovere, come opzione per il rinnovo o assegnazione della concessione ad altra società, la liberalizzazione dei suddetti caselli al fine di consentire una decongestione del traffico nei centri delle suddette località con effetti significativi nella circolazione e nella riduzione della emissione di inquinanti.
(4-07872)


   CAPARINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Berzo Demo (Brescia), in Val Camonica, in località Forno Allione dove sorgono gli stabilimenti ex Selca come segnalato negli atti ispettivi n. 4-03477 giovedì 6 febbraio 2014, seduta n. 168 e 5-02183 lunedì 17 febbraio 2014, seduta n. 175 si è in presenza di una emergenza ambientale a causa dell'inquinamento del terreno che minaccia la salute pubblica;
   il comune di Berzo Demo conta poco più 1.700 abitanti e non dispone delle risorse economiche necessarie per la bonifica dell'area ex Selca, né di una struttura tecnico-amministrativa adeguata per affrontare nel migliore dei modi una questione di tale rilevanza; pertanto il sindaco ha chiesto l'intervento di regione e Stato;
   dell'attività della Selca nel comune di Berzo Demo si è interessata anche la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, nella scorsa legislatura; nell'ambito delle indagini svolte da parte della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti relativamente al ciclo dei rifiuti della Lombardia (Doc. XXIII, n. 13), ed in particolare della provincia di Brescia, emerge quanto riferito da Marco Turchi, comandante provinciale dei Carabinieri di Brescia, nell'audizione del 4 maggio 2011: «Vi era, inoltre, la società “Selca” di Berzo Demo, comune della Vallecamonica, che aveva difficoltà economico-finanziarie e che era stata acquistata dal gruppo Catapano di Napoli, il cui leader è Guido Catapano, arrestato il 29 marzo 2011, insieme ad altri tredici indagati, dai Carabinieri di Padova per associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta»;
   la relazione continua evidenziando che «sulla bonifica del sito in cui operava la "Selca"» è intervenuto il comandante provinciale del Corpo forestale dello Stato di Brescia, Gualtiero Stolfini, il quale nell'audizione del 4 maggio 2011, ha riferito che nel comune di Berzo Demo in Val Camonica svolgeva l'attività industriale l'Union Carbide, alla quale erano subentrate la Graphtec e la Selca. All'interno dell'azienda vi era un sito, già adibito a discarica abusiva, pieno di rifiuti speciali pericolosi, di profondità ignota, dove 30/40 anni fa e, cioè, negli anni ’70 vi erano state depositate «peci di lavorazione». La Graphtec, da ultimo, si era impegnata a bonificare il sito anzidetto mediante la costruzione tutt'intorno allo stesso di un sarcofago con la profondità necessaria al suo completo isolamento;
   lunedì 10 febbraio 2015 come documentato dalle telecamere di «Presa Diretta» di Raitre e ripreso dal Corriere della Sera di Brescia 12 febbraio 2014 i residui della demolizione di celle elettrolitiche per l'alluminio primario estratto dalle miniere di bauxite australiane, con elevate concentrazioni di cianuri e fluoruri arrivati alla Selca nel 2009 sono stoccati in un capannone abbandonato dopo il fallimento della ditta ed una parte delle scorie sono esposte alle intemperie e alimentano rivoli neri di acqua mista a polveri tossiche ad ogni pioggia ruscellano a valle, forse confluendo nel fiume Oglio. «Un disastro» secondo William Stival, l'investigatore del nucleo forestale di Brescia che ha dato avvio all'indagine sulla Selca. L'inchiesta era nata da un dettaglio curioso: un camion fermo per la notte il cui carico si incendia sotto un temporale. Veniva dalla Selca e ufficialmente trasportava carbone. Ma a contatto con l'acqua il carbone non prende fuoco, una reazione propria invece di alcune polveri d'alluminio;
   «Sono 23 mila tonnellate di rifiuti tossici contaminati da fluoruri e cianuri: una ditta italiana li doveva rendere inoffensivi ma è fallita. Ora le sostanze stanno fuoriuscendo dal sito» riporta Claudio Del Frate sul Corriere della sera il 9 febbraio 2015;
   «Io me li ricordo gli autotreni che tra settembre e febbraio del 2011 invasero il paese, mi ricordo anche i camionisti che dopo le operazioni di scarico entravano qui con gli occhi arrossati» racconta Mauro Bernardi, titolare del ristorante «Vivione» che sorge proprio dirimpetto alla Selca al Corriere della sera del 9 febbraio 2015. Secondo i calcoli dell'amministrazione comunale che attraverso l'avvocato Francesco Menini si è costituita parte civile nel processo, sono almeno 700 i Tir che da Porto Marghera sono risaliti fin qui nell'arco di quattro mesi. Ma la miracolosa operazione di «pulitura» da fluoruri e cianuri non si compie: l'azienda di Berzo va incontro a difficoltà finanziarie e viene dichiarata fallita e le 23 mila tonnellate di rifiuti «made in Australia» restano abbandonate a se stesse. C’è anche un risvolto inquietante. In extremis arriva l'offerta d'acquisto per la Selca da parte del gruppo Catapano, ma proprio nei giorni della trattativa alcuni dirigenti di quest'ultimo vengono arrestati dalla procura antimafia di Padova e l'affare va a monte; gli inquirenti hanno rinviato giudizio cinque persone per reati fallimentari e ambientali dopo una complessa indagine sul flusso delle 23 mila tonnellate di rifiuti da trattare che porta fino alla dogana di Porto Marghera a Venezia dove gli investigatori scoprono la spedizione di due navi dall'Australia con un contratto tra la Selca a e una multinazionale australiana, la Tomago, colosso della lavorazione dell'alluminio, mittente della spedizione che non ha invece indagati nell'inchiesta. Nondimeno, è la Tomago che tra il 2010 e il 2011 decide di affidare alla Selca lo smaltimento di una gran massa di rottami ferrosi contaminati da fluoruri e cianuri, come recita il capo di imputazione formulato dal pm Claudio Pinto. Non sono note le ragioni per le quali una multinazionale australiana decida di spostare i suoi rifiuti in uno sconosciuto paesino del Nord Italia – secondo quanto ricostruito dal Corpo forestale di Brescia – la Selca di Berzo Demo avrebbe garantito che avrebbe «inertizzato» quei rottami, separandoli dai veleni. Le cifre dell'operazione sono da capogiro: solo il carico di rifiuti ha un valore di tre milioni di euro. Altri due milioni di spese logistiche per la spedizione via nave e i viaggi da Porto Marghera a Berzo Demo. Sul contratto un'ammissione incredibile: «Nel continente australiano non esistono impianti in grado di gestire i rifiuti in oggetto del presente accordo secondo le soluzioni tecnologiche adottate da Selca». Ma alla Selca, secondo gli investigatori, i rifiuti non venivano trattati. Sono ancora quasi tutti a Forno Allione, la zona industriale di Berzo Demo, tranne una piccola frazione venduta ad alcuni cementifici. Dopo il sequestro giudiziario i lavoratori sono stati lasciati a casa. Si era parlato di una trattativa tra la proprietà della Selca e il gruppo Catapano di Napoli, ma alla fine l'azienda non ha concluso il passaggio societario e ha dichiarato il fallimento;
   la regione Lombardia ha stanziato 240 mila euro per la messa in sicurezza dei rifiuti che al massimo si potranno installare dei teloni di copertura; l'intera rimozione costerà milioni di euro;
   in data 31 gennaio 2014, nella seduta n. 164 della Camera dei deputati, il Governo pro tempore ha accolto l'ordine del giorno 9/1885-A/17, presentato dal sottoscritto, che impegna il Governo «a valutare un intervento, in collaborazione con le strutture regionali, per la messa in sicurezza del sito ex SELCA SpA di Berzo Demo e la necessaria bonifica» –:
   se il Ministro, attraverso il nucleo operativo ecologico, intenda approfondire, per quanto di propria competenza, i danni ambientali provocati dalle attività industriali svolte in passato sul territorio del comune di Berzo Demo, oltre a dare puntuale seguito all'ordine del giorno 9/1885-A/17 accolto;
   se il Ministro non intenda prendere contatti con il curatore fallimentare di Selca che risulta abbia già incassato 9 milioni di euro dalla vendita di beni della Selca, affinché contribuisca economicamente alla messa in sicurezza del sito.
(4-07873)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta immediata:


   VARGIU, MATARRESE, VITELLI e DAMBRUOSO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la spiaggia del Poetto di Cagliari è stata più volte definita «la più bella spiaggia urbana d'Italia» e, per questo motivo, è stata recentemente scelta dal gruppo Uvet come «spiaggia italiana ufficiale» della manifestazione Milano Expo 2015;
   la spiaggia del Poetto di Cagliari, nello spazio prospiciente l'idrovora delle Saline, è occupata da uno stabile, iniziato a costruire alla fine degli anni ’30, su progetto dell'architetto Ubaldo Badas e dapprima pensato come colonia elioterapica (colonia estiva Marina Dux) e, successivamente, completato nel 1947 come struttura ospedaliera, nota come «Ospedale marino»;
   tale cubatura nel contesto della spiaggia del Poetto è stata successivamente affiancata da un altro manufatto, di assai minori dimensioni, funzionale alla complessiva attività del polo ospedaliero e adibito ad astanteria e pronto soccorso;
   alla fine degli anni ’70, l'amministrazione sanitaria decideva di rilevare la struttura dell'albergo di proprietà Esit, che si trovava anch'esso nel contesto della sede del Poetto, tra la spiaggia e lo stagno di Molentargius, in posizione più arretrata rispetto allo stabile dell'Ospedale marino;
   tale complesso alberghiero ex Esit veniva ristrutturato ad uso ospedaliero, al fine di trasferire nella nuova sede tutte le attività sanitarie di pertinenza del vecchio Ospedale marino;
   tale trasferimento veniva definitivamente completato nel 1982 e veniva seguito dal rilascio della pertinenza di fabbricato accessoria;
   dal momento dell'abbandono del complesso dell'ex Ospedale marino, si è posta con forza la necessità di ridisegnare e ridefinire il ruolo di tale importantissima cubatura, che impegna il sito turistico più sensibile della città, strategico per qualsiasi progetto di sviluppo economico futuro di Cagliari e, conseguentemente, dell'isola;
   ai fini del riutilizzo del bene, la Regione autonoma della Sardegna, con delibera 12/10 del 28 marzo 2006, ha individuato le direttive per la valorizzazione del bene, che resta di pertinenza demaniale per effetto del disposto dell'articolo 29 del codice della navigazione ed è destinato a «finalità turistico-ricreative», come si evince dal comunicato ufficiale sul sito www.regione.sardegna.it del 28 marzo 2006;
   in ottemperanza a tale delibera, in data 21 luglio 2006, il servizio centrale demanio e patrimonio della Regione autonoma della Sardegna bandiva una gara (n. 1206/D) per l'affidamento in concessione d'uso, per 50 anni, del compendio del cosiddetto «ex Ospedale marino»;
   in esito a tale gara, che scadeva il 6 novembre 2006 e veniva poi prorogata al 20 marzo 2007, venivano presentate due offerte che, con determinazione n. 1364 del 30 maggio 2007, venivano giudicate entrambe coerenti rispetto al bando e pertanto classificate in ordine di graduatoria secondo il punteggio loro attribuito dalla commissione giudicante;
   conseguentemente, in data 30 maggio 2007, con determinazione n. 1364 dell'assessorato regionale degli enti locali, veniva dichiarata vincitrice e aggiudicataria provvisoria del bando l'associazione temporanea di imprese San Maurizio, costituita dal Policlinico città di Quartu e dalla Sa&Go srl;
   all'atto dell'affidamento, l'assessore regionale all'urbanistica, Gianvalerio Sanna, con dichiarazione virgolettata riportata nel sito ufficiale della regione in data 22 maggio 2007 ribadiva che «le scelte di valorizzazione dell'ex Ospedale marino devono essere orientate verso destinazioni turistiche non residenziali, finalizzate alla creazione di centri servizi per le persone, capaci di incrementare l'offerta e l'attività turistica e la qualità dei servizi ai cittadini dell'area cagliaritana, durante l'intero corso dell'anno»;
   in data 19 settembre 2007, con decreto n. 85 del Ministero per i beni e le attività culturali-direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Sardegna, l'immobile veniva dichiarato di interesse culturale, storico ed artistico, ai sensi dell'articolo 10, comma 1, del decreto-legge 22 gennaio 2004, n. 142;
   con sentenza n. 4711 del 2008, il tribunale amministrativo regionale della Sardegna aveva successivamente giudicato non coerente al bando l'offerta arrivata seconda (l'associazione temporanea di imprese del gruppo Prosperius);
   a seguito detta rinuncia del primo classificato in graduatoria (l'associazione temporanea di imprese San Maurizio), in data 21 gennaio 2009, il direttore del servizio centrale demanio e patrimonio dichiarava, pertanto, conclusa infruttuosamente la procedura di gara avviata il 21 luglio 2006;
   in data 19 febbraio 2010, con sentenza n. 2188 del 2010, il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale accoglieva invece parzialmente il ricorso dell'associazione temporanea di imprese Prosperius, che veniva pertanto riammessa nell'originaria posizione di graduatoria e dichiarata aggiudicataria provvisoria della gara;
   iniziava così una lunghissima attività di concertazione tra R.a.s., l'associazione temporanea di imprese Prosperius e tutti gli altri soggetti aventi titolo di legge per la partecipazione alla conferenza dei servizi destinata definire la piena operatività del progetto, in modo coerente alla normativa vigente fino a quando, il 20 dicembre 2011 il comune di Cagliari, con delibera n. 73, approvava una variante del piano urbanistico comunale finalizzata a consentire la realizzazione del progetto Prosperius (ovvero un centro di riabilitazione con sezione di eccellenza per ricovero riabilitativo);
   l'intera evoluzione dell'ex Ospedale marino in effetti nasce proprio dalla circostanza che il primo aggiudicatario della gara (l'associazione temporanea di imprese San Maurizio) avrebbe voluto creare una struttura turistico-ricreativa, anche in considerazione del fatto che, fintanto che la stessa gara era in corso, l'aggiudicazione non prevedeva il vincolo della soprintendenza per i beni archeologici per la provincia di Cagliari. Il vincolo arrivava, infatti, in un momento successivo all'aggiudicazione della gara ed il nuovo soggetto che interveniva, l'associazione temporanea di imprese Prosperius, si conformava a quanto stabilito dalla predetta soprintendenza e, proprio a seguito delle restrizioni introdotte da quest'ultima che rendevano impossibile la realizzazione dell'opera, valutava la ristrutturazione dell'ex Ospedale marino e la sua trasformazione in albergo economicamente poco convenienti, oltre che di fatto impossibili;
   quest'ultimo passaggio fa comprendere che l'evoluzione dell'ex Ospedale marino da struttura turistica a struttura sanitaria sia sostanzialmente dovuta alle prescrizioni troppo restrittive della soprintendenza che hanno reso impossibile qualsiasi potere di azione;
   inoltre, la realizzazione di tale destinazione sanitaria residenziale, nei progetti redatti dall'associazione temporanea di imprese Prosperius, sarebbe stata addirittura subordinata alla complessiva sostenibilità economica del progetto, vincolata all'accreditamento dei posti letto della nuova casa di cura da parte del sistema sanitario regionale;
   tale accreditamento di nuovi posti letto apparirebbe assolutamente surreale nell'attuale contesto della sanità sarda, che ha appena ottenuto una deroga di legge per poter assorbire il surplus di posti letto accreditati discendente dall'accordo per l'attivazione del nuovo ospedale ex San Raffaele di Olbia;
   al di là dell'assenza di opportunità di accreditamento dei nuovi posti letto, la soluzione progettuale proposta dalla Prosperius Sardegna è sempre apparsa assolutamente confliggente con gli interessi generali dello sviluppo turistico ed economico cagliaritano, proponendo un complesso sanitario residenziale in riva al mare, assolutamente schizofrenico rispetto alle esigenze della città e dell'isola;
   nella conferenza stampa di fine anno 2014, il sindaco di Cagliari Massimo Zedda ha ribadito la volontà di concordare con la R.a.s. la nuova destinazione dello stabile dell'ex Ospedale marino, privilegiando destinazioni di tipo recettivo alberghiero;
   nonostante quanto dichiarato dall'assessore regionale agli enti locali e dal sindaco di Cagliari, dal 18 dicembre 2014, data dell'annuncio dell'annullamento del bando di gara dell'ex Ospedale marino, sino ad oggi non vi è alcuna traccia di atti ufficiali di revoca da parte della Regione autonoma della Sardegna. Pertanto ad oggi, nonostante impazzi la polemica sulla «nuova» futura destinazione dell'ex Ospedale marino, l'atto ufficiale che ancora resta in piedi è l'aggiudicazione definitiva della gara alla Prosperius Sardegna, deliberata in data 2 aprile 2014;
   appare davvero offensivo nei confronti della città di Cagliari e dell'intera Sardegna che le vicende inerenti il futuro della spiaggia del Poetto e del manufatto dell'ex Ospedale marino si svolgano nell'attuale clima di grossolana improvvisazione, con l'amministrazione regionale che annuncia ai giornali l'annullamento di una procedura di gara durata otto anni, senza assumere, né adeguatamente motivare alcun atto ufficiale. Altrettanto incredibile appare che il sindaco di Cagliari, nel corso di una conferenza stampa pubblica, confermi l'esistenza di un confronto in essere con l'amministrazione regionale, mentre ancora persiste l'efficacia dell'atto normativo che assegna al progetto Prosperius il compendio dell'ex Ospedale marino;
   il rudere dell'ex Ospedale marino non è l'unico sfregio persistente alla spiaggia del Poetto: il relitto dello stabilimento della «Bussola», anch'esso sotto la giurisdizione del demanio regionale, deturpa da tantissimi anni il tratto quartese del litorale, costituisce un rischio costante per la stessa incolumità fisica dei bagnanti e rischia di sporcare irrimediabilmente il biglietto da visita della «spiaggia ufficiale di EXPO 2015»;
   l'attuale situazione di confusione assoluta e di assenza di scelte appare insostenibile per tutti i cagliaritani e per tutti i sardi, che dopo 8 anni di un'interminabile procedura burocratica, sono costretti a prendere atto che è nuovamente al palo di partenza qualsiasi attività di riqualificazione dello stabile dell'ex Ospedale marino, che rappresenta ancora una lacerante e dolorosa ferita aperta nella spiaggia, totalmente inutilizzato come risorsa per lo sviluppo economico di Cagliari e della Sardegna;
   qualunque sia il motivo sostanziale, appare davvero surreale che la R.a.s. si appresti a revocare l'aggiudicazione dopo otto anni di procedura burocratica, senza provvedere contestualmente ad indicare la soluzione alternativa ed i tempi della sua attuazione, garantendo ai sardi il pieno utilizzo del bene, in tempi rapidi e per obiettivi coerenti ai fini di sviluppo turistico ed economico –:
   quali iniziative intenda intraprendere con la soprintendenza di Cagliari per dirimere l'attuale difficile situazione derivante anche dalle iniziative assunte in sede regionale e per liberare la struttura dai vincoli descritti, vincoli che rendono di fatto impossibile qualsiasi tipo di destinazione d'uso della stessa e che impediscono di superare la situazione di totale incertezza sul destino dell'ex Ospedale marino di Cagliari, funzionale allo sviluppo turistico ed economico della città di Cagliari e dell'intera Sardegna. (3-01293)


   CALABRÒ. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a seguito delle piogge della scorsa settimana, il personale di vigilanza del sito archeologico di Pompei ha constatato lo smottamento di una parte del terreno del giardino della Casa di Severus (regio VIII, insula 2, civico 30) lungo il costone roccioso meridionale;
   il cedimento di terreno ha fatto franare anche una piccola porzione del muro di contenimento del giardino, sovrapposto al banco lavico del costone. L'area interessata dallo smottamento, causato dalle forti piogge che hanno impregnato il terreno, è compresa nel programma di messa in sicurezza della regio VIII previsto dal «Grande progetto Pompei»;
   tutti i fronti di scavo dell'area archeologica sono oggetto di particolare attenzione da parte della soprintendenza, che nello specifico sta avviando una convenzione con i vigili del fuoco proprio per intervenire su aree impervie e a rischio come questa;
   sono più di 30 i crolli verificatisi a Pompei negli ultimi cinque anni, nessuno per fortuna dell'entità di quello della Schola Armatorum, verificatosi nel dicembre del 2010;
   tra gli ultimi episodi, i cedimenti al Tempio di Venere, alla Tomba di Lucius Publicius Syneros e a una bottega di via di Nola, accertati a marzo del 2014 –:
   a che punto siano i programmi ed i lavori di restauro e messa in sicurezza del sito archeologico di Pompei, che, al verificarsi di piogge di una certa intensità, continua a far registrare smottamenti che minacciano la stessa esistenza di quello che è un patrimonio culturale dell'umanità. (3-01294)


   ABRIGNANI e PALESE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 16 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2014, recante «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», ha disposto la trasformazione di Enit in ente pubblico economico e la liquidazione di Promuovi Italia spa;
   il comma 4 dello stesso articolo 16 ha previsto, in particolare, il proseguimento dell'attività di Enit sotto la guida di un commissario straordinario fino all'insediamento degli organi dell'ente trasformato. Il commissario straordinario è stato individuato dal Presidente del Consiglio dei ministri con proprio decreto del 16 giugno 2014, su proposta del Ministro interrogato, nella persona dell'ingegnere Cristiano Radaelli;
   secondo i dettami di legge, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 83 del 2014 il commissario straordinario avrebbe dovuto provvedere all'adozione del nuovo statuto dell'Enit, da approvare con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. Avrebbe dovuto adottare, altresì, un piano di riorganizzazione del personale per individuare, compatibilmente con le disponibilità di bilancio, la dotazione organica dell'ente, le unità di personale in servizio presso Enit e Promuovi Italia spa da assegnare all'Enit come trasformata e la riorganizzazione, anche tramite soppressione di sedi, della rete estera di Enit;
   i termini per la trasformazione di Enit in ente pubblico economico sono ormai scaduti, ma il commissario non ha ancora sottoposto all'approvazione dell'autorità vigilante la nuova organizzazione, la nuova dotazione organica e le procedure per il passaggio del personale Enit e di Promuovi Italia spa nell'ente trasformato;
   a quanto noto, non è stato altresì sottoposto al Presidente del Consiglio dei ministri il nuovo statuto dell'ente, senza il quale non si potrà procedere alla nomina dei nuovi organi ed alla decadenza dello stesso commissario straordinario, e non si potrà porre fine all'attuale regime giuridico di Enit –:
   quali urgenti azioni intenda esercitare il Ministro interrogato, nell'ambito dei propri poteri di vigilanza, rispetto ai fatti esposti in premessa, al fine di porre rimedio alla situazione di stallo che non permette di avviare la riforma radicale dell'ente Enit e di realizzare, quindi, una struttura specializzata che riesca a interpretare i grandi cambiamenti del settore turistico con politiche di promo-commercializzazione dell'Italia nel mondo. (3-01295)


   SANTERINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in occasione della Giornata della memoria, celebrata pochi giorni fa, è stata volta attenzione anche alla presenza italiana al Museo di Auschwitz, purtroppo trascurata negli ultimi anni; positivamente, nella legge di stabilità per il 2015 è stato approvato un contributo doveroso alla Fondazione del Museo;
   oltre al mancato finanziamento negli anni scorsi, l'assenza del nostro Paese si rileva dalla chiusura del padiglione italiano nel memoriale, che non permette visite ai numerosi visitatori dell'ex lager nazista;
   il padiglione italiano, inaugurato nell'aprile del 1980 e rimasto attivo sino al 2011, è stato chiuso d'autorità dalla direzione museale «perché non corrispondeva più agli standard» introdotti nel 2007 che richiedevano allestimenti di taglio pedagogico-illustrativo (storie, documenti, foto ed altro);
   il padiglione, voluto dall'Aned, ospitava un'opera collettiva concepita dal gruppo Bbpr (Belgiojoso, Banfi, Peressutti e Rogers) con Mario «Pupino» Samonà: una spirale ad elica nella quale il visitatore poteva entrare come in un tunnel. L'interno era rivestito da una tela composta da 23 strisce dipinte da Samonà, seguendo la traccia di un testo originale di Primo Levi, scritto appositamente. In sottofondo risuonavano le note di una composizione di Luigi Nono. L'allestimento aveva la regia di Nelo Risi, fratello del più celebre Dino –:
   se non ritenga di adottare ogni utile iniziativa, nell'ambito delle sue competenze, volta a consentire, da un lato, il trasferimento protetto dell'opera e la sua valorizzazione in Italia, dall'altro la riapertura del padiglione italiano di Auschwitz, prevedendo installazioni che riportino la storia della deportazione dall'Italia delle vittime, attraverso una narrazione che possa trasmettere in modo fedele, documentato e coinvolgente la memoria della Shoah in Italia alle nuove generazioni. (3-01296)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   si apprende che il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo vorrebbe istituire in Abruzzo una nuova soprintendenza unica e di durata temporanea di cinque anni con competenza solo sulla città dell'Aquila e sui comuni del cratere sismico, in aggiunta alle attuali soprintendenze distinte e separate, nel mentre, contemporaneamente si progetta la soppressione della soprintendenza ai beni archeologici di Chieti;
   in un documento dei funzionari della soprintendenza per i beni archeologici viene rilevato che, «in un momento storico che impone un nuovo modo di pensare i territori, allargando gli orizzonti e superando i confini, la riforma indica per l'Abruzzo una suddivisione che moltiplica i confini e racchiude i territori con ulteriori delimitazioni amministrative», trasformando, di fatto, un'area della regione (con comuni compresi nelle province dell'Aquila, Teramo e Pescara) in una zona soggetta a normativa emergenziale, producendo altresì una cesura operativa e programmatica, «esulante ormai da ogni motivazione di urgenza, e nella realtà da qualsiasi prospettiva di effettivo rafforzamento del settore colpito dal terremoto del 2009»;
   in una nota l'Archeoclub d'Italia ha sempre sostenuto la necessità di unificare le varie soprintendenze («ai beni archeologici», «ai beni monumentali», «ai beni artistici») in un'unica struttura poiché la tutela del patrimonio storico-artistico richiede molto spesso la collaborazione di competenze diverse in équipe e decisioni importanti, non possono essere affidate a un'unica persona;
   quest'operazione non potrà che creare un indebolimento dell'intero sistema di tutela già sottoposto in Abruzzo a un grave stress;
   da anni, infatti, la soprintendenza per i beni archeologici di Chieti è priva del dirigente e avvengono gravi casi di malfunzionamento del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo in Abruzzo. Un caso eclatante è costituito dal fatto che in alcuni giorni festivi i musei nazionali di Chieti restano chiusi per recupero ore del personale. Sempre a Chieti, la più antica chiesa, S. Francesco al Corso, da anni è a rischio. Poiché ora la facciata corre pericolo di crollo, le associazioni cittadine si sono recate dal prefetto ed hanno minacciato una denuncia alla magistratura. Solo a seguito di questa posizione il funzionario responsabile del procedimento avrebbe deciso finalmente di intervenire, ovviamente con incarico diretto per motivi d'urgenza, e questa non appare una scelta condivisibile. Altri casi gravi di mancati vincoli ed interventi si verificano in provincia di Pescara ove è mancata l'apposizione di vincoli di tutela a siti archeologici già noti e si sono verificati mancati interventi d'urgenza in occasione di nuovi rinvenimenti;
   la costituzione delle direzioni regionali è stata un'occasione perduta poiché sono state strutture a sé stanti che non hanno unificato nulla, che non hanno semplificato le procedure e che stanno ora per essere abolite o mutate in non meglio identificate «segreterie» –:
   se non intenda chiarire perché si stia adottando un provvedimento di emergenza a sei anni dall'evento sismico con la istituzione di una nuova soprintendenza ad hoc a l'Aquila e contemporaneamente si sopprima la soprintendenza ai beni archeologici di Chieti. (4-07869)


   SCOTTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Coni ha imposto una severa spending review alla Fgci dalle cui maglie però sono usciti nel 2014 107 mila euro (più iva) per comprare 20 mila copie di un libro da regalare come strenna natalizia ai giovani tesserati;
   questo regalo è finalizzato alla promozione della cultura soprattutto tra i più giovani, ma è il nome dell'autore del libro a destare perplessità: Carlo Tavecchio, il presidente della Fgci;
   la Federazione Gioco Calcio il 19 novembre 2014, ha approvato all'unanimità la delibera per il pesante acquisto, ma forse rendendosi conto del polverone che sarebbe stato sollevato è ricorso ad un escamotage: nell'atto del consiglio di amministrazione viene messo il titolo del libro «Ti racconto il calcio» senza citare l'autore;
   l’escamotage – «Il presidente», si legge nella delibera pubblicata dal Fatto Quotidiano, (ossia Tavecchio stesso, ndr) riporta le richieste promosse da alcuni Comitati regionali e provinciali interessati a disporre di copie del volume «Ti racconto il calcio» per farne dono ai giovani atleti tesserati quale strenna natalizia;
   l'editore che si è dichiarato disponibile a garantire la fornitura delle 20 mila copie ancora disponibili a soli 5,38 euro più iva in luogo degli 11,00 indicati dal prezzo di copertina, prospetta la possibilità di dare corso alla fornitura. E poco dopo: «Il comitato di Presidenza approva all'unanimità». Quindi il libro, edito dalla Moruzzi Communication Group, viene acquistato con lo sconto, con tanto di beneficenza da parte dell'autore;
   Tavecchio, già finito nell'occhio del ciclone per lo «scivolone», a giudizio dell'interrogante, razzista a proposito dei calciatori extracomunitari («Opti Poba prima mangiava banane»), sicuramente «lo ha fatto gratuitamente», come puntualizza Claudio Lotito con Valeria Pacelli;
   nonostante l'articolo 4, comma 1, e l'articolo 2, comma 3, dello statuto del Coni sanciscano rispettivamente il compito di «... promuovere la massima diffusione della pratica sportiva in ogni fascia di età e di popolazione, con particolare riferimento allo sport giovanile...» e che esso «.... svolge le proprie funzioni e i propri compiti con autonomia e indipendenza di giudizio e di valutazione, in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del Comitato Olimpico Internazionale «CIO... », non deve essere disatteso il principio dell'appropriatezza della gestione economica delle risorse allo stesso assegnate –:
   se non si ritenga necessario convocare i vertici del Coni per chiarire l'operazione esposta in premessa e se non si ravvisi un conflitto d'interesse;
   quali iniziative di carattere normativo, il Governo abbia intenzione di  intraprendere per rendere più stringente l'utilizzo delle risorse assegnate al Coni, evitando così il ripetersi di eventi come quello esposto in premessa;
   se risulti per quali ragioni la Fgci decida di comprare ventimila copie di un libro scritto dal proprio presidente. (4-07875)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata:


   RAMPELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la Marina militare ha recentemente avviato la campagna per il concorso per l'ammissione alla prima classe del corso normale, dedicato ai ragazzi dai 17 ai 22 anni;
   la campagna in oggetto ha come slogan la frase in lingua inglese «Be cool join the navy»;
   la Marina militare italiana vanta un'antica tradizione e una grande esperienza, svolge, come noto, molteplici rilevanti compiti istituzionali legati indissolubilmente al mare, alla tradizione marinara, allo spirito patriottico, di cui è stata ed è autentico esempio nella storia nazionale, alla promozione dell'identità italiana attraverso la solidarietà, il coraggio, la professionalità, l'efficienza, l'umanità e non appare chiaro perché debba pubblicizzarsi attraverso il ricorso a una lingua straniera –:
   quali siano le motivazioni alla base della scelta di pubblicizzare l'ingresso nella carriera della Marina militare in una lingua straniera, a dispetto del ruolo istituzionale ricoperto dalla stessa, e quali provvedimenti si intendano assumere per garantire che un'istituzione militare italiana sia legata in tutto e per tutto alla nazione che la mantiene economicamente e da cui storicamente dipende. (3-01288)


   GIANLUCA PINI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, PRATAVIERA, RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 gennaio 2015, il Ministero della difesa ha annunciato per il 1o febbraio 2015 la partenza della fregata Grecale verso le acque antistanti la Somalia, precisando che la nave sostituirà il cacciatorpediniere Andrea Doria, alla conclusione del semestre in cui la Marina militare italiana ha esercitato il comando della missione antipirateria dell'Unione europea denominata «Atalanta»;
   la decisione del Governo è intervenuta senza il supporto di un decreto-legge ed in assenza di un confronto parlamentare, a dispetto di quanto convenuto in occasione del dibattito svoltosi nell'autunno 2014, in occasione della conversione in legge del più recente decreto-legge di proroga missioni, il n. 109 del 2014, quando venne approvato un emendamento al comma 4 dell'articolo 3 del provvedimento, allo scopo di subordinare ad una valutazione concernente l'evoluzione del contenzioso che oppone l'Italia all'India per il procedimento intentato contro i due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, da farsi non oltre il 31 dicembre 2014, la decisione sulla proroga o meno della partecipazione italiana alle attività alleate di contrasto alla pirateria nell'Oceano indiano;
   continuano comunque impregiudicati tutti i maggiori impegni militari nazionali in corso al 31 dicembre 2014, incluso quello contro le milizie dell'Isis, malgrado manchi un decreto-legge di ulteriore proroga –:
   quali ragioni abbiano indotto il Governo a disattendere di fatto le previsioni del comma 4 dell'articolo 3 del decreto-legge n. 109 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge 1o ottobre 2014, n. 141. (3-01289)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro della difesa, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo militare volontario della Croce rossa italiana è un corpo militare speciale volontario ausiliario delle forze armate italiane;
   la definizione di una pianta organica del Corpo militare della Croce rossa italiana può avvenire solamente in via legislativa;
   in assenza di tale previsione legislativa, nel corso del tempo nell'ambito del Corpo militare della Croce rossa italiana si è optato per sopperire attraverso l'impiego continuo di personale militare richiamato e di personale in servizio continuativo;
   si è venuta a creare così una distinzione tra personale in servizio continuativo e personale richiamato temporaneamente;
   tale situazione rappresenta una chiara anomalia sotto diversi profili, non ultimo quello relativo alla circostanza che entrambe le tipologie di personale dovrebbero concorrere con le stesse tempistiche e opportunità per le procedure di avanzamento;
   l'anomalia dovuta alla distinzione tra le due tipologie di personale era stata segnalata già il 16 giugno 2008 in una relazione di verifica amministrativo-contabile dal dipartimento ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze;
   nel corso degli anni il numero di dipendenti richiamati è lievitato enormemente;
   nel 2012 il personale richiamato superava le 300 unità, tutte riunite in un unico contingente;
   sempre nel 2012 il personale richiamato è stato suddiviso tra personale a carico del comitato centrale e personale a carico delle unità territoriali;
   i criteri con cui i singoli dipendenti sono stati attribuiti al comitato centrale o alle diverse unità territoriali non vennero, allora, chiariti;
   con il decreto legislativo n. 178 del 28 settembre 2012, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 245 del 19 ottobre 2012, trattante la «Riorganizzazione dell'Associazione italiana della Croce Rossa (C.R.I.), a norma dell'articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183», all'articolo 5 veniva affrontato il tema dei corpi militari ausiliari della Croce rossa italiana (corpo militare volontario e corpo delle infermiere volontarie);
   con tale decreto legislativo la Croce rossa italiana ha subito una parziale privatizzazione;
   l'ente è diventato infatti un'associazione privata di volontariato sostenuta in gran parte da finanziamenti privati;
   tale processo ha toccato le unità territoriali, più che il comitato centrale;
   si tratta di una privatizzazione graduale da attuare in tre fasi, la cui prima fase era da completare entro il 31 dicembre 2013;
   in tale fase, per il personale in servizio continuativo non è cambiato assolutamente nulla;
   per quanto concerne, invece, il personale richiamato, veniva prevista la possibilità, da parte del commissario e del presidente poi, di ulteriori richiami in servizio fino al 31 dicembre 2013;
   tale termine è stato successivamente prorogato sino al 31 dicembre 2014;
   tutto il personale richiamato a carico delle unità territoriali è stato congedato il 31 marzo 2014;
   per quanto riguarda, invece, il personale richiamato che era a carico del comitato centrale, bisogna rilevare che esso è a tutt'oggi ancora in servizio;
   va ulteriormente sottolineata l'assoluta discrezionalità adoperata nel suddividere il contingente tra comitato centrale e unità territoriali: difatti non vi fu, all'epoca, né valutazione di merito esplicitata, né calcolo dell'anzianità di servizio, né valutazione del contesto economico o familiare relativo ai singoli membri del personale;
   ciò, oltre alla già rilevata incomprensibile discriminazione tra personale in servizio continuativo e personale richiamato, ha creato un'ulteriore grave discriminazione tra chi nel 2012 era stato assegnato al comitato centrale e chi invece era a carico delle unità territoriali;
   nel comma 6 dell'articolo 5 del decreto legislativo citato si prevedeva, allo scopo di assicurare la funzionalità e il pronto impiego dei servizi ausiliari alle Forze armate rese dai Corpi ausiliari, la costituzione di un contingente di personale del Corpo militare in servizio attivo di non oltre le 300 unità;
   la selezione per la formazione di tale contingente era riservata al personale in congedo richiamato almeno una volta (quindi anche per periodi estremamente brevi) tra il settembre 2003 ed ora;
   questa selezione è tuttora in corso;
   un testo inviato dal dipartimento della ragioneria generale dello Stato all'ufficio legislativo economia ed all'Ufficio legislativo finanze il 31 maggio 2012 (prot. n. 48090), analizzando il testo del decreto legislativo, suggeriva la possibilità di equiparare le posizioni di tutto il personale richiamato (almeno a far data dal 1o gennaio 2007), così da evitare discriminazioni che avrebbero, tra l'altro, potuto provocare l'insorgere di contenziosi che, a modo di vedere del dipartimento in questione, avrebbero visto l'amministrazione soccombente;
   il suggerimento del dipartimento della ragioneria generale dello Stato non è stato seguito, ed in effetti i contenziosi sono attualmente in corso, e l'amministrazione rischia di vedersi soccombente –:
   se non ritengano i Ministri, per quanto di competenza, doveroso ed urgente intervenire al fine di sanare le incomprensibili discriminazioni che si sono venute a creare a partire dal 2012 tra il personale richiamato messo a carico del comitato centrale ed il personale richiamato distribuito tra le diverse unità territoriali;
   se non ritengano maggiormente opportuno riprendere il suggerimento del dipartimento della ragioneria generale dello Stato e salvaguardare le posizioni di tutto il personale richiamato che nel 2012 fu coinvolto nella mai chiarita suddivisione. (4-07877)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta immediata:


   SORIAL, L'ABBATE, PESCO, VILLAROSA, CASTELLI, D'INCÀ, ALBERTI, CASO, PISANO, BRUGNEROTTO, RUOCCO, CARIELLO, CANCELLERI e COLONNESE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le agenzie di rating Standard & Poor's e Fitch sono accusate dalla procura di Trani di aver manipolato, con i loro analisti e manager, il mercato internazionale tra il 2011 e il 2012. Precisamente, per l'agenzia internazionale Standard & Poor's sono imputati l'ex presidente mondiale Deven Sharma, il responsabile per l'Europa Londra Yann, gli analisti Le Pallec, Eileen Zhang, Franklin Crawford Gill, Moritz Krae e il legale rappresentante dell'agenzia Davide Pearce. Per l'agenzia internazionale Fitch, invece, sono imputati David Michael Willmoth-Riley e Trevor Pitman, quest'ultimo in qualità di rappresentante legale dell'agenzia;
   nel processo saranno chiamati a deporre, tra gli altri, il Governatore della Banca centrale europea Mario Draghi, l'ex Presidente del Consiglio dei ministri Mario Monti, il Ministro interrogato, l'ex Ministro Giulio Tremonti, l'ex Presidente della Commissione europea Romano Prodi, il dirigente generale del dipartimento del Ministero dell'economia e delle finanze Maria Cannata ed il presidente della Consob Giuseppe Vegas;
   in data 4 febbraio 2015, dinanzi al tribunale collegiale di Trani, si è tenuta la prima udienza dove hanno formalizzato la costituzione di parte civile una ventina di risparmiatori e associazioni rappresentanti dei consumatori (tra cui Adusbef, Acu e Federconsumatori);
   Banca d'Italia (già durante l'udienza preliminare) e Consob (scelta praticamente obbligata dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) ad oggi sono individuate come «parte offesa» dal reato, limitando così la loro partecipazione al procedimento a un ruolo di mere spettatrici;
   il Ministero dell'economia e delle finanze ha ritenuto di non costituirsi parte civile, nonostante la procura della Corte dei conti abbia già quantificato nell'ordine di 120 miliardi di euro i danni complessivi quantificabili dalla presunta condotta oggetto di procedimento penale delle agenzie di rating; scelta, questa, che ha lasciato perplesso lo stesso pubblico ministero, dottor Michele Ruggiero, che sostiene l'accusa contro le due agenzie;
   l'associazione Adusbef in data 5 febbraio 2015 ha reso noto di aver presentato una diffida nei confronti di Banca d'Italia, Consob e ovviamente il Ministero dell'economia e delle finanze, per non essersi costituite parte civile nel procedimento;
   sempre Adusbef, contemporaneamente alla diffida al Ministero dell'economia e delle finanze, ha anche presentato denuncia alla Corte dei conti per danno erariale;
   il processo alle due agenzie riprenderà il 5 marzo 2015 con due udienze distinte per ciascun procedimento. Il presidente del collegio, Giulia Pavese, ha infatti respinto la richiesta del pubblico ministero di riunificare i procedimenti in quanto attengono a fatti diversi, commessi in periodi differenti e da persone distinte;
   va evidenziato che nei giorni scorsi, la società di rating Standard & Poor's ha già patteggiato con il Governo degli Stati Uniti d'America una cifra pari a 1,5 miliardi di dollari nel procedimento sulle valutazioni gonfiate assegnate a obbligazioni legate a mutui, relative al periodo antecedente alla crisi finanziaria del 2008. Con il patteggiamento, la società pagherà 678,5 milioni di dollari al dipartimento di giustizia americano e altri 687,5 milioni di dollari a 19 Stati dell'Unione e al distretto di Columbia per un totale di 1.375 milioni di dollari. Altri 125 milioni di dollari serviranno a chiudere la causa con uno dei maggiori fondi pensione degli Stati Uniti d'America per le valutazioni gonfiate su tre strumenti di investimento strutturati. Secondo il Governo statunitense, infatti, Standard & Poor's avrebbe fuorviato gli investitori, assegnando rating massimi a bond garantiti da mutui immobiliari, mentre il mercato collassava a causa della crisi;
   inoltre, già in data 31 ottobre 2014, con interrogazione a risposta scritta n. 4-06710, ad oggi inevasa, il Movimento 5 Stelle ha chiesto alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministero dell'economia e delle finanze di far luce sulle condotte delle due agenzie di rating, nonché sulla scelta processuale di non costituirsi come parte civile nel procedimento penale pendente a loro carico –:
   considerata la gravità dell'accusa, per quali motivi il Governo non si sia costituito parte civile, nell'interesse di tutti i consumatori italiani e dei bilanci dello Stato, nei processi in corso presso il tribunale di Trani e se intenda farlo in vista della prossima udienza fissata per il 5 marzo 2015, anche alla luce della diffida e della denuncia presentata da Adusbef alla Corte dei conti, che, ad avviso degli interroganti, renderebbe rischioso non costituirsi parte civile in quanto sussisterebbe la possibilità, in caso di condanna delle agenzie di rating, di una rivalsa dei risparmiatori sulle casse dello Stato, che, tramite vigilanza di Banca d'Italia e Consob, avrebbe dovuto impedire tali ipotetici atti fraudolenti. (3-01297)

Interrogazione a risposta orale:


   LUIGI GALLO, SPESSOTTO e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il sistema di esternalizzazione dei servizi di pulizia nelle istituzioni scolastiche ha portato ad un sistema complesso che non ha raggiunto gli obiettivi previsti di maggior efficienza e di economia di gestione;
   tale sistema ha portato come conseguenza l'affidamento degli appalti per le pulizie introducendo tecniche di ribasso dell'offerta che ricade sulle condizioni lavorative degli impiegati nelle ditte vincitrici dell'appalto e sull'incapacità di garantire il servizio nelle istituzioni scolastiche;
   le esternalizzazioni, non hanno mai prodotto nessun risparmio e continuano ad essere e sono sempre risultate più costose dell'assunzione a tempo indeterminato del personale e dei collaboratori scolastici necessari per far funzionare il servizio secondo la relazione tecnica del governo allegata al decreto-legge n. 69 del 2013;
   il problema delle esternalizzazioni nella scuola, in questa legislatura, è stato affrontato inizialmente con l'esame del decreto cosiddetto «del fare» (decreto-legge n. 69 del 2013);
   in particolare, il comma 5 dell'articolo 58 del predetto decreto-legge fissa, per le istituzioni scolastiche ed educative statali, a decorrere dall'anno scolastico 2013/2014, un tetto alla spesa per l'acquisto di servizi esternalizzati;
   l'acquisto dei servizi deve avvenire nel rispetto dell'obbligo di avvalersi delle convenzioni quadro CONSIP: la spesa, infatti, non può essere superiore a quella che si sosterrebbe per coprire i posti di collaboratore scolastico accantonati ai sensi dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 119 del 2009;
   il cosiddetto decreto del fare, in relazione a questi ultimi, dispone anche che, a decorrere dal medesimo anno scolastico 2013/2014, il numero di posti accantonati non deve essere inferiore a quello dell'anno scolastico 2012/2013;
   l'articolo 1, comma 449, della legge n. 296 del 2006, dispone inoltre che tutte le amministrazioni statali centrali e periferiche, compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le istituzioni universitarie, sono tenute ad approvvigionarsi di beni e servizi utilizzando le convenzioni quadro CONSIP;
   in particolare, la relazione illustrativa e la relazione tecnica del decreto-legge n. 69 del 2013 chiariscono che l'importo a base di gara previsto per «la stipulanda convenzione Consip» per i servizi esternalizzati deve essere pari alla spesa che si sarebbe sostenuta per assumere un numero di collaboratori scolastici pari a quanti sono i posti accantonati in organico;
   il limite di spesa annuale è stimato in circa 280 milioni di euro – derivanti dal prodotto fra il numero dei posti di collaboratore scolastico accantonati nell'anno scolastico 2012-2013, pari a 11.851 posti, e lo stipendio annuale lordo di un collaboratore scolastico supplente, pari a 23.581,37 euro – a fronte di una spesa attuale di 390 milioni di euro;
   il risparmio complessivo derivante dalle disposizioni recate dal comma 5 ammonta, in base alla relazione tecnica, a 110 milioni di euro annui a decorrere dal 2014 e di 36,6 milioni di euro già nel 2013;
   la legge di stabilità 2014, al comma 748, dispone, in materia di esternalizzazione dei servizi di pulizia nelle istituzioni scolastiche derogando alla disposizione succitata del decreto del fare e stanziano ulteriori 34 milioni con un provvedimento tampone per i mesi di gennaio e febbraio;
   il decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16 contenente «Disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scolastiche» meglio conosciuto come decreto Renzi salva Roma ter, prevede all'articolo 19 che: «Il termine del 28 febbraio 2014, di cui all'articolo 1, comma 748, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, sia nei territori nei quali non è attiva la convenzione Consip per l'acquisto dei servizi di pulizia e ausiliari nelle scuole, sia nei territori in cui la suddetta convenzione è attiva, è prorogato al 31 marzo 2014, in deroga al limite di spesa di cui all'articolo 58, comma 5, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98. A tal fine il limite di spesa di cui al medesimo articolo 1 comma 748, terzo periodo, è incrementato di euro 20 milioni per l'esercizio finanziario 2014. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 4 della legge 18 dicembre 1997, n. 440;
   Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Poletti di comune accordo con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca Giannini hanno siglato un accordo con i sindacati confederali per un futuro intervento delle stesse aziende coinvolte nel servizio di pulizia per un nuovo servizio di manutenzione ordinaria e «decoro»;
   l'accordo suddetto è implicitamente richiamato dagli articoli aggiuntivi al comma 2 dell'articolo 2 decreto-legge 7 aprile 2014 n. 58 «recante misure urgenti per garantire il regolare svolgimento del servizio scolastico» secondo le modifiche apportate al Senato;
   da fonti giornalistiche risulta che l'investimento sul nuovo appalto di manutenzione ordinaria e «decoro» ci sia un investimento di 450 milioni di euro per le stesse ditte di pulizia e cooperative che stanno già operando;
   al fine di garantire la continuità occupazionale il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha concesso ulteriori risorse economiche e si è inoltre impegnato a garantire da oggi e fino al 30 giugno 2014 ammortizzatori sociali e attività di formazione professionale per la piccola manutenzione delle scuole, ma risulta che attualmente la cassa integrazione viene anticipata dalle imprese;
   da quanto sin qui esposto risulta secondo gli interroganti evidente che dalla esternalizzazione dei servizi non deriva alcun vantaggio economico per le casse dello Stato (o degli enti), pertanto vengono meno gli stessi presupposti che giustificherebbero le esternalizzazioni stesse –:
   se non ritenga che le esternalizzazioni dei servizi di pulizia in tutti questi anni abbiano prodotto un danno per le casse dello Stato, che non siano un percorso economicamente sostenibile e quali iniziative intenda assumere. (3-01285)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità per l'anno 2015 ha introdotto l'estensione dell'ambito di applicazione del meccanismo di inversione contabile (cosiddetto reverse charge), anche alle prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative ad edifici; tale legge ha altresì introdotto lo strumento dello split payment, di cui il decreto ministeriale 23 gennaio 2015 prevede le regole applicative;
   sebbene tali strumenti siano stati previsti al fine di ridurre l'evasione fiscale relativa all'iva, l'Esecutivo non ha tenuto in debito conto le rilevanti e gravi conseguenze che vi saranno nella gestione dei flussi di cassa delle imprese fornitrici;
   al riguardo, si apprende dell'appello rivolto al Governo di Rete Imprese Italia che denuncia le criticità che derivano dall'ampliamento del reverse charge e dall'introduzione dello split payment, che generano seri problemi di liquidità per le imprese interessate;
   in particolare, l'impossibilità di incassare l'iva sulle vendite determina, sul breve periodo, uno squilibrio nella gestione finanziaria delle imprese che operano nel settore dell'impiantistica, dell'edilizia, dei servizi di pulizia, nonché della grande distribuzione alimentare. Le imprese, infatti, dovranno sempre anticipare l'iva ai propri fornitori, ma non avranno più le entrate finanziarie derivanti dall'iva sui corrispettivi di vendita di beni o servizi. Peraltro, tale meccanismo genererà crediti iva che potranno essere recuperati, qualora il credito superi i 15.000 euro, solamente a fronte di maggiori costi e oneri amministrativi connessi all'obbligo di apposizione del visto di conformità sulle dichiarazioni iva. Sicché, per evitare di accumulare crediti con l'erario, il cui recupero è lungo e oneroso, diventa vantaggioso effettuare gli acquisti all'estero in regime di esenzione e tale scelta da parte delle imprese determinerebbe un danno all'economia nazionale;
   ancora più irragionevoli, risultano gli effetti dello split payment per i soggetti che operano stabilmente con le amministrazioni pubbliche, considerando che sono già colpiti dalla mancanza di liquidità dovuta ai ritardati pagamenti della pubblica amministrazione. Inoltre, non può essere tralasciato che tale strumento danneggia anche soggetti, quali i Caf, che prestano un importante servizio ai cittadini e alla amministrazione finanziaria;
   pertanto, si ritiene che il contrasto all'evasione con l'applicazione degli istituti in questione vada a determinare delle conseguenze troppo gravose per le imprese. Risulta quindi necessario e urgente intervenire per riparare alle problematiche conseguenti all'attuazione di questi strumenti;
   sul punto, come proposto da Rete Imprese Italia, si potrebbe fronteggiare il problema attraverso la diffusione della fatturazione elettronica che, dal mese di marzo 2015, sarà obbligatoria per tutte le amministrazioni pubbliche e il cui utilizzo tra i privati può essere incentivato;
   difatti, si ricorda che l'introduzione della fatturazione elettronica trova la sua ratio proprio nel contrasto all'evasione dell'iva. Pertanto, si ritiene necessario abrogare lo split payment con l'introduzione della fatturazione elettronica obbligatoria per tutte le operazioni con la pubblica amministrazione. Del pari, alla scelta di adottare la fatturazione elettronica tra imprese deve seguire l'esclusione dell'applicazione del reverse charge –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato sui fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative intenda adottare il Ministro per riparare alle criticità emerse dall'applicazione dello split payment e del reverse charge, in particolare, ai conseguenti e gravi problemi di liquidità delle imprese interessate;
   se il Ministro intenda, in particolare, adottare iniziative per procedere all'abrogazione dello split payment ed all'esclusione del reverse charge, attraverso l'adozione della fatturazione elettronica come descritto in premessa. (5-04698)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 11, comma 4, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, ha riformulato l'articolo 303 del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 (Testo unico delle leggi doganali) concernente il regime sanzionatorio doganale;
   le sanzioni doganali, applicate precedentemente alla modifica dell'articolo 303 in misura proporzionale in base alla gravità della violazione (la sanzione minima era pari all'ammontare dei maggiori diritti accertati), sono state rideterminate in misura fissa per scaglioni di maggiori diritti doganali accertati;
   in particolare, il novellato articolo 303 del TULD, al crescere fino a 4.000 euro dei maggiori diritti doganali accertati, prevede un inasprimento fino a 30.000 euro della sanzione minima (con incidenza del 750 per cento), dopodiché la sanzione rimane fissa anche a fronte di accertamenti di milioni di euro, con incidenza della sanzione vicina allo zero;
   è stata soppressa la disposizione che riduceva l'importo delle sanzioni nel caso in cui i maggiori diritti accertati derivassero da errori commessi in buona fede (ad esempio errori di calcolo, di conversione di valuta), riscontrabili dalla stessa documentazione allegata alla dichiarazione doganale;
   in tema di sanzioni amministrative vige il principio comunitario della proporzionalità della sanzione; in particolare il codice doganale comunitario stabilisce che le sanzioni doganali, fissate dai singoli Stati membri, devono essere «effettive, proporzionate e dissuasive» (articolo 42 regolamento (UE) n. 952/2013);
   il suddetto principio della proporzionalità è stato anche recentemente ribadito dalla sentenza Equoland del 17 luglio 2014, causa C-272/13;
   l'articolo 10 dello statuto del contribuente (legge n. 212 del 2000) prevede la tutela del contribuente per errori in buona fede;
   la soppressione dell'esimente per gli errori in buona fede comporta che non ci sia più una diversificazione di trattamento sanzionatorio tra chi compie errori di compilazione nella dichiarazione doganale senza intenzione (ed, infatti, contestualmente allega tutta la documentazione con l'indicazione dei dati) e chi volutamente commette errori in frode allo Stato;
   addirittura in alcuni casi, nonostante dalla revisione dell'accertamento doganale scaturisca che l'operatore abbia versato diritti in misura maggiore di quelli effettivamente dovuti, l'applicazione puntigliosa dell'articolo 303 comporta comunque l'applicazione di una sanzione (ad esempio, in un caso reale, a fronte di 70 euro di diritti doganali versati in più è stata applicata una sanzione di 5.000 euro);
   il nuovo regime sanzionatorio del citato articolo 303 risulta violare tanto il principio della proporzionalità, quanto, per violazioni più gravi, anche quello della dissuasione;
   tale regime, punendo in maniera spropositata le violazioni minori, fisiologiche ed ineliminabili, anche se commesse in buona fede, può contribuire ad indurre gli operatori a dirottare il proprio traffico verso dogane meno punitive –:
   se non ritenga opportuno, anche al fine di scongiurare un possibile ricorso degli operatori agli organismi comunitari, di assumere iniziative per modificare l'articolo 303 del TULD al fine di ricondurre il regime sanzionatorio doganale a principi di proporzionalità ed equità. (4-07852)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal 2009 la magistratura e l'Agenzia delle entrate sono in possesso della cosiddetta «Lista Falciani», dal nome dell'informatico che consegnò alle autorità francesi file provenienti dalla banca elvetica Hsbc contenenti informazioni su clienti coperti da segreto bancario;
   in questi anni si sono succedute sentenze contrastanti rispetto al diritto di utilizzo di informazioni ottenute in modo irrituale dalle autorità francesi, ma da queste consegnate a quelle italiane secondo la prassi corretta dello scambio di informazioni;
   non si è chiarito nemmeno se le autorità italiane fossero in possesso o avessero potuto decrittare l'intera lista relativa a contribuenti nazionali, stimati in circa 7.000 unità;
   il 9 febbraio 2014 il settimanale L'Espresso ha pubblicato i nomi di tutti gli italiani presenti all'interno della lista, grazie ad un'inchiesta del Consortium of investigative journalists. A tutt'oggi non è dato sapere se esista una corrispondenza fra i nomi pubblicati dal settimanale e quelli già in possesso dell'Agenzia delle entrate ed, in caso affermativo, l'uso che ne abbia fatto la stessa Agenzia anche alla luce della sentenza della commissione tributaria della Lombardia che nell'agosto 2014 ne sanciva da ultima l'utilizzabilità –:
   se esista la suddetta corrispondenza dei nominativi ed, in caso contrario, come intenda l'Agenzia delle entrate adoperarsi in tempi rapidi e certi per acquisire le informazioni mancanti, e come l'emersione degli stessi possa essere compatibile, in quanto potenzialmente notizia di reato, con le procedure in atto della voluntary disclosure, che invece è preclusa a chiunque abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di indagine amministrativa o penale relativi all'ambito oggettivo di applicazione della procedura stessa.
(4-07853)


   LATRONICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 4 del 24 gennaio 2015 ha esentato dal pagamento dell'imposta tutti proprietari di terreni agricoli situati nei comuni montani e nei comuni parzialmente montani, se posseduti da coltivatori diretti e IAP nei comuni;
   nel decreto citato a decorrere dall'anno 2015 (ma anche per il 2014 in deroga a quanto recentemente stabilito), l'esenzione dall'imposta municipale propria (IMU) prevista dalla lettera h) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si applicherà: «a) ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, ubicati nei comuni classificati totalmente montani di cui all'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT); b) ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, iscritti nella previdenza agricola, ubicati nei comuni classificati parzialmente montani di cui allo stesso elenco ISTAT»;
   i proprietari dei terreni agricoli sembrerebbe, dunque, che debbano verificare quale sigla sia stata associata all'elenco dei comuni italiani predisposta dall'ISTAT: la sigla T significa totalmente montano (quindi esenzione per tutti, indipendentemente dall'altitudine); la sigla P significa parzialmente montano, quindi paga solo chi non è coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale; la sigla NM significa non montano e quindi pagano tutti;
   la classificazione dell'Istat assume il dato dell'altitudine dalla posizione della sede del palazzo comunale, spesso costruito a fondovalle e, pertanto, non realistica rispetto al resto dell'estensione comunale e non viene considerato in alcun modo il parametro del dislivello;
   fino a oggi erano esclusi dal pagamento dell'imposta tutti i proprietari di terreni che si trovavano nelle zone montane. Ora sono completamente esenti solo i proprietari dei terreni nei comuni a oltre 600 metri di altitudine, esenzione parziale per quelli tra 281 e 600 metri e pagamento completo dell'IMU sui terreni agricoli per tutti i proprietari nei comuni sotto i 281 metri;
   in Basilicata pagheranno l'IMU agricola i seguenti comuni: Barile, Bernalda, Ferrandina, Ginestra, Grassano, Grottole, Irsina, Lavello, Maschito, Matera, Miglionico, Montalbano Jonico, Montemilone, Montescaglioso, Palazzo San Gervasio, Paterno, Pisticci, Pomarico, Rapolla, Ripacandida, Salandra e Venosa;
   il territorio della regione Basilicata è considerato area marginale e svantaggiata tanto da essere rientrato nell'obiettivo UNO;
   l'intero comparto agricolo sta attraversando uno stato di crisi profonda per l'insostenibilità degli elevati costi di produzione e per l'impossibilità di coprire il tributo dell'IMU agricola, i cui effetti altamente negativi, contribuiranno a deprimere un settore fondamentale per l'economia e trainante per la crescita del Paese –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, in considerazione di quanto esposto in premessa e se intendano assumere iniziative affinché vengano modificati i criteri previsti dal decreto;
   se non intendano, alla luce delle criticità evidenziate e facilmente rilevabili dalla tabella ISTAT, attivarsi al fine di ripristinare la precedente qualificazione dei terreni prevista dalla circolare ministeriale n. 9/1993 che prevedeva la totale esenzione dell'ICI per i terreni agricoli.
(4-07859)


   CANCELLERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   chi acquista un'abitazione interamente ristrutturata, beneficiando della detrazione Irpef del 50 per cento) sembrerebbe non poter più arredarla usufruendo del bonus mobili e grandi elettrodomestici;
   da una faq apparsa nel sito delle Entrate si evince che nell'elencare i lavori edili propedeutici al bonus mobili, l'agenzia si è dimenticata di elencare l'acquisto di case ristrutturate dell'articolo 16-bis, comma 3, del Tuir;
   in contrasto con la prassi delle dell'agenzia delle entrate, c’è anche la risposta in cui si consente la detrazione Irpef al familiare che sostiene le spese di ristrutturazione anche se la convivenza nella casa da ristrutturare si concretizza solo alla fine dei lavori;
   l'ultima posizione dell'Agenzia delle entrate sugli interventi di recupero del patrimonio edilizio che costituiscono il presupposto per la detrazione Irpef del 50 per cento delle spese per l'acquisto di mobili e grandi elettrodomestici era la circolare 21 maggio 2014, n. 11/E, risposta 5.1, che aveva ammesso, con un'interpretazione peraltro già restrittiva rispetto alla norma, solo gli interventi elencati nella circolare n. 29/E/2013, paragrafo 3.2, cioè quelli previsti all'articolo 16-bis, comma 1, lettere a), b) e c), e 3 del Tuir: la manutenzione straordinaria (ordinaria, solo su parti comuni condominiali), il restauro e risanamento conservativo, la ristrutturazione edilizia, la ricostruzione o ripristino di immobili danneggiati da eventi calamitosi e l'acquisto di abitazioni facenti parte dei fabbricati completamente ristrutturati da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare;
   l'Agenzia delle entrate in una faq, dopo aver detto che «l'installazione dell'allarme, pur dando diritto alla detrazione del 50 per cento per interventi volti alla prevenzione di atti illeciti, non consente di beneficiare anche del bonus mobili», hanno precisato che per la circolare n. 29/E/2013 «il bonus mobili non è collegato a tutti gli interventi, di cui all'articolo 16-bis, Tuir, che consentono di ottenere la detrazione 50 per cento, ma unicamente a quelli di: manutenzione ordinaria e straordinaria; restauro e risanamento conservativo; ristrutturazione edilizia; ripristino dell'immobile a seguito di eventi calamitosi» –:
   se il Ministro intenda chiarire se il bonus mobili è valido anche per l'acquisto di abitazioni in fabbricati interamente ristrutturati da imprese di costruzione o ristrutturazione e da cooperative edilizie (articolo 16-bis, comma 3, del Tuir).
(4-07862)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MATTIELLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 3 aprile 2014 è stato approvato definitivamente il provvedimento che ha introdotto, a distanza di circa 20 anni da quando ha fatto ingresso nel nostro ordinamento l'articolo 416-ter del codice penale che sanziona la fattispecie di reato denominata «Scambio elettorale politico-mafioso», ovvero lo scambio con cui un'organizzazione criminale si infiltra nelle istituzioni elettive, tanto locali quanto nazionali, per condizionare le decisioni governative e di distribuzione delle risorse e trarne vantaggio per l'intera organizzazione mafiosa; si tratta della tanto attesa riforma dell'articolo 416-ter che estende le tipologie delle condotte penalmente sanzionabili riconducibili al voto di scambio politico mafioso;
   si è trattato di un passo fondamentale, si può dire storico, necessario a fornire allo Stato uno strumento importantissimo e sempre più efficace per la lotta nei confronti della criminalità organizzata e alle sue infiltrazioni nel «cuore» delle istituzioni per mezzo dell'inquinamento delle liste elettorali e della rappresentanza dei cittadini –:
   se il Ministro possa fornire dati in merito allo stato di applicazione della riforma, in termini di numeri dei procedimenti aperti per il reato di cui al nuovo articolo 416-ter del codice penale.
(5-04689)

Interrogazione a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la legge 13 agosto 2010 n. 136 (Gazzetta Ufficiale n. 196 del 23 agosto 2010) «Piano straordinario contro le mafie nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia» prevedeva all'articolo 1: «il Governo è delegato ad adottare [omissis] un decreto legislativo recante il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione»;
   con decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 veniva emanato il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in tema di documentazione antimafia»;
   la legge 15 luglio 2009, n. 94, recante Disposizioni in materia di sicurezza pubblica prevedeva l'istituzione dell'Albo nazionale degli amministratori giudiziari da adottarsi con successivo decreto legislativo (articolo 2 comma 13);
   il decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14 provvedeva alla Istituzione dell'Albo degli amministratori giudiziari presso il Ministero della giustizia;
   solo con il decreto ministeriale 19 settembre 2013 n. 160 serie generale n. 19 del 24 gennaio 2014) si emanava il regolamento recante disposizioni in materia di iscrizione nell'Albo degli amministratori giudiziari di cui al decreto legislativo 4 febbraio 2010;
   a questo momento, dopo oltre un anno dal varo del citato decreto ministeriale, non risultano essere stati emanati dal Ministero gli ulteriori decreti dirigenziali, ai quali il regolamento rinvia –:
   se il Governo possa chiarire quali elementi ostino all'emanazione dei decreti dirigenziali generalizzati nella premessa e quando si pensi di adottarli. (4-07863)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, MANNINO, MICILLO, SEGONI, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Vigevano, abitato da circa 65.000 cittadini, è collocato su una delle linee a maggior traffico aereo relativo allo scalo di Malpensa, con notevoli ripercussioni sull'inquinamento sia dell'aria sia acustico;
   sia il comune di Vigevano, sia l’HUB di Malpensa si trovano all'interno del Parco del Ticino, sito di interesse regionale, nazionale e comunitario ai fini della conservazione della biosfera, della biodiversità e più in generale dell'ambiente. Il Parco del Ticino è inoltre il più grande e fondamentale corridoio naturalistico europeo nell'aerea più industrializzata del sud Europa;
   la problematica collocazione territoriale di Malpensa, all'interno del Parco del Ticino, è già stata interessata da procedimenti giudiziari, nonché dall'intervento delle autorità comunitarie;
   anche le associazioni per la tutela del territorio e dell'ambiente sono intervenute per chiedere una più puntuale applicazione della normativa vigente riguardo l'impatto ambientale dello scalo di Malpensa all'interno del Parco del Ticino: si considerino ad esempio gli ormai numerosi dossier di Italia Nostra a riguardo;
   una piccola deviazione del tracciato di volo, di pochi chilometri, consentirebbe di far passare i voli, anziché sopra il centro densamente abitato di Vigevano, sopra terreni agricoli a scarsa densità abitativa;
   gli enti competenti riguardo i tracciati di volo sono ENAV, e per quanto riguarda la competenza sugli impatti relativi all'inquinamento acustico e dell'aria, ENAC;
   anche il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha competenza in materia, derivante sia dal suo coinvolgimento nel rapporto con ENAV ed ENAC, sia per quanto riguarda la competenza diretta sul governo del sistema di infrastrutture e trasporti e, di conseguenza, ha la responsabilità istituzionale di tutelare la salubrità del territorio e dei cittadini di Vigevano; l'inquinamento acustico e ambientale nel parco del Ticino e nel comune di Vigevano conseguente ai voli secondo gli attuali tracciati riguarda una competenza diretta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   con lettera protocollata in data 27 ottobre 2014, la consigliera regionale della Lombardia, Iolanda Nanni, ha sottoposto al presidente di ENAV ed al direttore dell'aeroporto Malpensa 2000 lo stato di grave preoccupazione dei cittadini di Vigevano relativamente all'impatto acustico ed ambientale causato dal diretto sorvolo del territorio comunale di voli diretti provenienti da, o diretti a Malpensa, richiedendo di valutare la possibilità di deviare anche solo di pochi chilometri le linee sorvolanti il comune di Vigevano e i territori strettamente limitrofi;
   a tale lettera, né ENAV né il direttore dell'aeroporto Malpensa 2000 hanno, a tutt'oggi, dato alcun tipo di riscontro;
   fra gli obiettivi istituzionali e di rilevanza pubblica di ENAC troviamo, sul sito istituzionale, la riduzione dell'inquinamento acustico ed atmosferico prodotto dagli aeromobili: «Altrettanta importanza l'Enac dedica al rispetto ed alla tutela dell'ambiente e del territorio con attente valutazioni volte alla limitazione dell'impatto ambientale dei sedimi aeroportuali ed alla riduzione dell'inquinamento acustico ed atmosferico prodotto dagli aeromobili» –:
   se il Governo non reputi opportuno mettere in atto tutte le misure necessarie ad avviare urgentemente rilevazioni fonometriche relative all'impatto acustico del sorvolo a bassa quota del comune di Vigevano;
   se il Governo non reputi opportuno avviare un tavolo tecnico dedicato con gli Enti competenti ENAV ed ENAC ed alla presenza di un rappresentante del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per valutare la possibilità di deviare anche solo di pochi chilometri, e quindi senza un sostanziale impatto sul traffico aereo, le linee sorvolanti il comune di Vigevano e i territori strettamente limitrofi, affinché possano essere spostate sorvolando di conseguenza terreni agricoli a bassa densità abitativa, e non un comune di ben 65.000 abitanti. (5-04691)


   GULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   RFI ha annunciato, attraverso la presentazione alle segreterie nazionali delle Federazioni dei trasporti, un piano di rimodulazione del sistema di trasporti nello stretto di Messina che si sostanzierà nella dismissione di treni e navi in una delle aree con maggior transito di persone in Italia;
   tale scelta penalizzerà pesantemente le comunicazioni da e verso l'isola, limitando il transito di persone e cose, danneggiando fortemente il commercio ed il turismo;
   soprattutto, si determinerà un vulnus alla continuità territoriale ed al diritto di servizi di attraversamento efficienti;
   tali decisioni annunciate produrranno anche una riduzione di posti di lavoro. Pare che potrebbero esservi 102 esuberi solo nel settore navigazione, oltre alla perdita dei posti di lavoro di circa 70 precari che svolgono la loro attività per la flotta di Stato con contratti a tempo determinato;
   inoltre, potrebbe determinarsi la perdita di altri 700 posti di lavoro tra il personale impegnato nelle attività di manovra, quello che si occupa della manutenzione e quello dell'indotto;
   gli utenti siciliani sono da decenni penalizzati da un'offerta che è ben lontana dal raggiungere livelli accettabili di efficienza;
   pare stia per essere sviluppato un progetto che dovrebbe prevedere, negli orari diurni, il trasbordo dei passeggeri con mezzi veloci;
   purtroppo, per rendere funzionale e attuare tale sistema sono necessari investimenti per rendere funzionale il servizio, ad esempio tapis roulant, scale mobili e opere strutturali ed infrastrutturali;
   le Ferrovie dello Stato hanno comunicato la totale assenza di sovvenzioni statali per la continuità territoriale siciliana;
   il rappresentante di Ferrovie dello Stato ha dichiarato che, al momento, non sono disponibili neanche i 30 milioni di euro di Metromare, perché bloccati nell’iter burocratico –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda intraprendere per:
    a) risolvere l'annoso problema dei collegamenti ferroviari tra la Sicilia ed il nord Italia;
    b) evitare gravi disagi al trasporto merci e di persone nell'area dello Stretto;
    c) sviluppare un piano efficace di investimenti che permetta l'effettiva continuità territoriale tra la Sicilia e l'Italia.
(5-04692)


   DE LORENZIS, SCAGLIUSI, PETRAROLI e DI VITA. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi del decreto ministeriale 167 del 29 aprile 2011, come peraltro si può evincere dal sito web del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Sergio Dondolini è direttore generale della sicurezza stradale del detto dicastero;
   in data 8 agosto 2013, lo stesso Dondolini accetta espressamente la candidatura ed eventuale nomina a consigliere della società Anas S.p.A.;
   Anas S.p.A. è una società per azioni italiana, di proprietà statale, avente per unico socio il Ministero dell'economia e delle finanze: essa gestisce la rete stradale ed autostradale italiana di interesse nazionale;
   ai sensi dell'articolo 6, comma 4, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 72 del 2014, la direzione generale è responsabile della sicurezza stradale, della prevenzione degli incidenti, della strumentazione di ritenuta stradale, dell'omologazione dei dispositivi di regolazione della circolazione e altro;
   come consigliere di amministrazione di Anas spa, Dondolini contribuisce alla gestione di strade e autostrade italiane, curandone peraltro la manutenzione, nonché alla costruzione di nuove arterie motoristiche;
   come peraltro rilevato nell'atto di sindacato ispettivo della presente legislatura n. 4-07400 a prima firma Luigi Di Maio, si pone quindi un problema politico di rilievo, dal momento che Dondolini si è trovato, in quanto direttore generale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ad esempio, a firmare il decreto sulla riduzione delle dimensioni dei guard-rail, di cui alla lettera f) del citato articolo 6, comma 4, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 72 del 2014 che potrà comportare risparmi ingenti nelle casse dei gestori delle arterie italiane;
   al contempo, si trova nella posizione di sedere sulla poltrona del consiglio di amministrazione del massimo gestore della rete stradale ed autostradale italiana d'interesse nazionale;
   per quanto forse giuridicamente ineccepibile, si palesa, a giudizio degli interroganti, un inopportuno conflitto di responsabilità politiche e gestionali, in capo ad una sola persona –:
   se intendano i Ministri interrogati rilevare tale criticità, sulla base del contrasto tra funzioni di monitoraggio e controllo della sicurezza stradale e titolarità della carica nel consiglio d'amministrazione del maggiore gestore stradale italiano, concentrate nella sola persona di Sergio Dondolini;
   quali iniziative, anche di natura normativa, intendano i Ministri porre in essere al fine di evitare, in futuro, che simili sovrapposizioni possano emergere in questo ed altri simili casi. (5-04697)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DELLA VALLE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'emissione di polveri sottili dall'utilizzo di impianti frenanti costituisce una componente non trascurabile dell'inquinamento aereo urbano, tanto da essere confrontabile con l'inquinamento prodotto dai motori diesel;
   secondo uno studio dell'INSE – Istituto nazionale di scienze applicate di Lione – la frizione e abrasione degli impianti frenanti produrrebbero ogni anno 20 mila tonnellate di polveri – il 35 per cento del totale in massa – di cui circa 9 mila resterebbero sospese nell'aria, e quindi potenzialmente respirabili dall'uomo;
   si calcola che un veicolo medio rilasci nell'aria in media 30 milligrammi di particolato al chilometro e si valuta che la quantità di emissione cresce al crescere delle dimensioni del veicolo;
   i decreti ministeriali n. 147 e n. 148 del 24 settembre 2010, previsti dall'articolo 75 del nuovo codice della strada, contengono disposizioni e indicazioni sull'utilizzo di un nuovo «sistema dischi freno» per le vetture e, in particolare, consentono di aggiornare senza il nulla osta della casa madre tutti quei componenti (pinze freni e adattatori, pastiglie, tubi di collegamento e sensori) che compongono l'impianto frenante; è possibile, per il proprietario di un veicolo, sostituire gli accessori con nuove parti omologate e compatibili con la vettura su cui vengono installati;
   secondo i decreti ministeriali n. 147 e n. 148 del 24 settembre 2010, i produttori di componentistica sono obbligati a fornire la documentazione necessaria al servizio tecnico del dipartimento dei trasporti, che è tenuto a sottoporre l'accessorio a test di varia natura. Una volta conclusi i collaudi il servizio tecnico è tenuto a informare la direzione generale della motorizzazione, che emetterà il certificato di omologazione. È compito dell'acquirente affidare successivamente il prodotto ad un installatore, tenuto a rilasciare un documento che certifichi la qualità del lavoro;
   la norma Euro 6 che entrerà in vigore a settembre 2015, limiterà a 5 mg/km la massa di polveri emesse dai motori diesel, e a 4,5 mg/km quella dei motori a benzina, cioè dieci volte meno;
   queste polveri sono pericolose per la salute, come le emissioni dei tubi di scappamento;
   gli Stati Uniti d'America hanno adottato una legge che a partire dal 2020 limiterà al 5 per cento la presenza di rame nelle pasticche dei freni;
   l'Unione europea ha lanciato un programma di ricerca 2014-2015, Horizon 2020 per il futuro dei trasporti che dovranno essere ecologici e integrati che dovrà ridurre le emissioni del 50 per cento –:
   quali siano state le iniziative di competenza per il controllo al fine di verificare che gli impianti frenanti delle auto non siano pericolosi per la salute umana;
   se non ritenga opportuno un monitoraggio delle emissioni di polveri sottili derivante dagli impianti frenanti dei veicoli;
   di quali elementi disponga in relazione a quanto descritto in premessa, in particolare se siano stati condotti studi in Italia sulle emissioni delle polveri sottili;
   quali iniziative, anche normative, intenda intraprendere per ridurre le emissioni da impianti frenanti dei veicoli secondo i nuovi standard europei. (4-07849)


   PELLEGRINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica 28 maggio 2009, n. 107, concernente la revisione della disciplina delle tasse e dei diritti marittimi, ha disposto, all'articolo 4, un adeguamento di dette imposte al tasso di inflazione calcolato in un periodo, che è stato poi individuato con decreto ministeriale adottato il 24 dicembre 2012 dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze in quello 1o gennaio 1993 – 31 dicembre 2011;
   l'adeguamento stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica e ripreso dal decreto ministeriale citato, è stato stabilito nella misura del 75 per cento del tasso di inflazione per tutti i porti nazionali, mentre per il solo porto di Trieste è stato stabilito nella misura del 100 per cento del tasso di inflazione;
   tali provvedimenti hanno, quindi, introdotto una rilevante differenziazione fra il trattamento riservato alla generalità dei porti nazionali ed il porto di Trieste, facendo gravare su quest'ultimo un carico fiscale più oneroso;
   sotto tale profilo si deve, peraltro, rammentare che lo scalo giuliano è sottoposto ad un particolare status giuridico dovuto agli impegni che lo Stato italiano ha assunto in sede internazionale a seguito del Trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947 (Allegato VII), e vi è, quindi, nello scalo un regime giuridico di punto franco il quale impone una disciplina speciale che preveda norme di favore per gli scambi commerciali posti in essere nel porto di Trieste;
   i provvedimenti prima citati, e quindi sia il decreto del Presidente della Repubblica n. 107 del 2009 sia il decreto ministeriale 24 dicembre 2012, oltre ad aver ignorato a giudizio dell'interrogante le prescrizioni di diritto internazionale ancora in vigore che prevedono norme di maggior favore per lo scalo giuliano, hanno comunque operato un indiscriminato aumento delle tasse e dei diritti portuali applicabili al porto di Trieste, nel quale, come si è detto, l'aumento delle tasse e dei diritti marittimi è pari al 100 per cento del tasso d'inflazione, anziché del 75 per cento come negli altri scali;
   tale difforme e discriminante trattamento riservato al porto franco di Trieste parte quindi dal presupposto che esso operi in concorrenza con altri scali italiani sui medesimi mercati, ma si tratta, invero, di un assunto errato, come è facilmente dimostrabile per le seguenti ragioni: 1) innanzitutto il traffico di prodotti petroliferi che transita attraverso il terminal petrolifero del porto franco di Trieste (41,3 milioni di tonnellate di prodotti petroliferi su un totale di 56,5 milioni di tonnellate movimentate nel 2013) è destinato all'estero (Austria, Germania e Repubblica Ceca); 2) delle rimanenti 15,2 milioni di tonnellate di merci, in colli e rinfuse secche, il 75 per cento circa è in transito da/per Paesi del centro-est Europa, e solo il 25 per cento circa è in transito da/per l'Italia; 3) a comprova di tanto, si noti che dal porto franco di Trieste partono e arrivano 112 a settimana (56 in arrivo e 56 in partenza) di cui 92 da/per i mercati del centro-est Europa (l'82,1 per cento) e 20 da/per l'Italia (il 17,9 per cento): 4) gli altri porti italiani che operano su questi stessi mercati arrivano al massimo al 5 per cento di merci da/per i Paesi del centro-est Europa;
   è pertanto evidente che il porto franco di Trieste non opera in concorrenza con i porti italiani, ma con altri porti esteri (in particolare, Capodistria/Koper ed i porti del nord Europa), nei quali le merci non sono soggette a tale tassazione. Quindi l'applicazione dell'aumento delle tasse e dei diritti marittimi previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 107 del 2009 e dal decreto ministeriale 24 dicembre 2012 arreca solo un danno allo sviluppo dei traffici del porto di Trieste, senza alcun beneficio per gli altri porti italiani e a vantaggio solo dei porti esteri concorrenti –:
   quali iniziative urgenti intenda adottare il Governo al fine di garantire il rispetto delle norme di diritto internazionale che impegnano lo Stato italiano a garantire un particolare status giuridico al porto di Trieste;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per rimuovere le penalizzazioni fiscali introdotte con il comma 3 dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 28 maggio 2009, n. 107, e rese attuative con il comma 2 dell'articolo unico del decreto ministeriale adottato il 24 dicembre 2012 dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, relativamente al porto di Trieste. (4-07864)


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Enav sta attuando un «piano di razionalizzazione dei servizi alla navigazione aerea» attraverso una propria classificazione degli aeroporti in due distinte categorie: 18 aeroporti «strategici» e 21 aeroporti «minori» l'appartenenza di Pescara al gruppo di aeroporti minori (nella maggior parte dei quali non operano voli commerciali) è stata sancita il 5 maggio 2014 con un accordo tra Enav e Sindacati Confederali Nazionali, in ragione di risultati di traffico e di passeggeri non meglio specificati e impostato in parte sul piano aeroporti del Ministro Passera, ora abbondantemente superato da quello del Ministro Lupi;
   in una nota i controllori di volo aderenti al sindacato «Unica» sottolineano come quest'impostazione di Enav, non fotografi correttamente la situazione dell'aeroporto d'Abruzzo e non preveda nessun meccanismo di promozione al rango di aeroporto «strategico», rendendo possibile un declassamento operativo dell'aeroporto anche a fronte di consistenti potenzialità di crescita;
   il declassamento prevede la dismissione di apparati di riserva con conseguente riduzione tecnologica dell'impianto, una possibile riduzione dell'orario di servizio tramite la sempre paventata chiusura notturna, e la sostituzione del personale operativo con altre figure professionali a «basso costo», con relativa formazione –:
   quali siano le effettive intenzioni del Governo rispetto allo scalo aereo di Pescara tenendo conto del suo attuale traffico e delle sue positive potenzialità di crescita. (4-07866)


   RAMPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la direzione nazionale di Trenitalia ha annunciato il taglio dei treni a lunga percorrenza dalla Sicilia verso il resto d'Italia con l'entrata in vigore, a partire dal prossimo 13 giugno, del nuovo orario ferroviario che prevede la soppressione di tutti gli Intercity diurni tra Palermo/Siracusa e Roma, e l'InterCity Notte tra Palermo/Siracusa e Milano;
   ai siciliani per raggiungere il continente rimarranno solo i due treni InterCity Notte che collegano Palermo e Siracusa alla Capitale, mentre per tutte le altre destinazioni dovranno prima raggiungere Messina con un treno regionale e da lì salire a piedi sul traghetto che li porterà in Calabria;
   già in precedenza i collegamenti di Trenitalia oltre lo Stretto erano stati fortemente ridotti al numero di appena a dieci corse — tra andata e ritorno — al giorno, con un taglio delle risorse pari a circa dieci milioni di euro;
   a quanto si apprende dalla stampa, la decisione di Trenitalia farebbe seguito alla mancata erogazione dei fondi statali, pari a 47 milioni di euro annui, confermata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti già il 23 dicembre 2014;
   a dispetto del fatto che Ferrovie dello Stato dovrebbe garantire un servizio omogeneo su tutto il territorio nazionale, il divario tra Nord e Sud per quanto attiene sia alla quantità sia alla qualità del servizio della mobilità continua ad aggravarsi;
   la recente decisione della società ferroviaria determinerà un danno all'economia della regione, anche attraverso le ricadute negative sul piano turistico;
   le Ferrovie dello Stato italiane hanno sottolineato che «non abbandonano lo Stretto di Messina» e che non ci sarebbe alcun posto a rischio fra il personale impegnato nelle attività di navigazione, perché i dipendenti saranno ricollocati in Rfi nelle attività di terra e di bordo, e hanno ribadito che le attività di traghettamento di carrozze e carri merci proseguiranno regolarmente, con un'organizzazione «più funzionale, moderna e aderente, alle esigenze», con un progetto che prevede già da gennaio 2015, a carico del Gruppo Ferrovie dello Stato e senza alcun onere aggiuntivo per lo Stato, un servizio di traghettamento veloce fra Messina e Villa San Giovanni;
   sul territorio, invece, c’è grande preoccupazione per la sorte di circa settecento lavoratori, impegnati direttamente e nell'indotto –:
   se non intenda riconsiderare la mancata erogazione dei fondi di cui in premessa, al fine di scongiurare l'ulteriore riduzione dei collegamenti da e per la Sicilia, garantendo non solo il diritto alla mobilità ma anche la salvaguardia dei livelli occupazionali;
   quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere al fine di implementare le infrastrutture ferroviarie della Sicilia.
(4-07870)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   OTTOBRE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto emerge dal rapporto del CNEL (Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro) sulla mafia cinese nel nostro Paese le tre maggiori attività della criminalità asiatica si concentrano sulla contraffazione commerciale, prostituzione e immigrazione clandestina;
   di fatto la tratta di donne indirizzate al mercato dei servizi sessuali in Italia si inserisce all'interno del più ampio fenomeno dell'immigrazione illegale;
   la struttura interna della criminalità cinese è costituita da una rete di rapporti gerarchizzati che permettono di definirla un vero e proprio fenomeno criminale organizzato in grado di controllare capillarmente il territorio e condizionare il tessuto sociale in cui operano;
   nello specifico la prostituzione che coinvolge le donne di origine cinese è proposta alla clientela italiana mediante l'utilizzo di escamotage per cui l'offerta sessuale avviene all'interno di finte sale massaggio mediante l'inserzione di annunci su periodici locali;
   secondo le fonti pubblicate dall'Osservatorio socio-economico sulla criminalità inerente agli illeciti della comunità cinese, tali centri estetici hanno tariffe che vanno dai 30 ai 70 euro a seconda del tipo di prestazione sessuale;
   l'assetto di tali gruppi assume forme organizzative più o meno complesse, costituite da appartamenti e centri estetici presenti in diverse città e collegati fra loro, come emerso da alcune recenti operazioni di polizia che hanno portato alla scoperta di casi collegati all'industria del sesso sparsi su tutto il territorio nazionale: in provincia di Varese, Genova, Piacenza, Milano, Rimini e anche nelle province autonome di Trento e Bolzano;
   la prostituzione al chiuso rappresenta la forma prevalente, un fenomeno che dilaga rapidamente in tutto il Paese tanto che – secondo le stime delle associazioni anti-tratta di Milano e provincia – un centro massaggi cinese su tre offre prestazioni sessuali a pagamento. Il settore dà lavoro a 1.700 ragazze, circa una su dieci tra quelle che arriva in Italia, ma si tratta di un dato facilmente occultabile che pertanto non desta particolare allarme sociale;
   infatti, trattandosi per lo più di attività indoor, la possibilità di scoprire le forme di sfruttamento sessuale dipendono da operazioni mirate delle forze dell'ordine e/o dalla collaborazione delle vittime;
   inoltre, la tendenza (in atto dai primi anni del Duemila) a prestare maggiore attenzione agli apparati di law enforcement verso la prostituzione di strada induce a trascurare quella al chiuso per cui i dati statistici sul coinvolgimento di cittadini cinesi nello sfruttamento della prostituzione sono sensibilmente sottostimati rispetto alla effettività entità del fenomeno criminale –:
   se il Ministro intenda promuovere iniziative urgenti per il monitoraggio e la risoluzione del problema sottoposto alla sua attenzione, con tutte le conseguenze che il caso comporta, vista l'ampiezza che tali avvenimenti stanno assumendo in maniera capillare e diffusa su tutto il territorio nazionale;
   se intenda assumere iniziative per il rafforzamento degli apparati di law enforcement finalizzati allo smantellamento dei fenomeni di sfruttamento della prostituzione e attività illecite svolte nelle suddette locazioni, mascherate da centri estetici e centri massaggi, per perseguire con maggior intensità la lotta alla criminalità che sta minando la fiducia nello Stato da parte dei cittadini e degli onesti lavoratori.
(4-07847)


   RICCIATTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 2 febbraio 2015 la versione online della testata Il Corriere Adriatico riportava la notizia di una operazione antiracket nelle Marche, su impulso della direzione distrettuale antimafia di Bari, che ha portato all'arresto di un imprenditore a Jesi (Ancona);
   dalle indagini – a quanto si apprende dalla stampa – sono emerse «intimidazioni ai danni di imprese locali da parte della criminalità organizzata, che non si è limitata a imporre il pizzo ma è entrata nella gestione degli affari per garantire il rispetto di accordi e pagamenti»;
   l'inchiesta svela come alcuni imprenditori si sarebbero rivolti ai clan per recuperare crediti o per agevolare l'avvio di nuove attività, diventando essi stessi, in un secondo momento, vittime del racket;
   tra questi l'imprenditore destinatario di ordinanza d'arresto a seguito dell'indagine svolta dalla direzione distrettuale antimafia di Bari;
   nel caso segnalato si ripetono modalità, più volte portate all'attenzione del Ministro interrogato dall'interrogante, che rivelano come diverse organizzazioni criminali stiano progressivamente penetrando nel territorio marchigiano, inquinandone le attività economiche ed imprenditoriali;
   la circostanza è stata autorevolmente confermata dal procuratore generale della Repubblica presso la corte d'appello di Ancona Vincenzo Macrì, il quale in data 24 gennaio 2015, nel corso dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2015, ha ribadito come ci siano segnali di un prossimo e più corposo coinvolgimento delle Marche in fenomeni mafiosi che si sono già infiltrati in regioni confinanti, sottolineando come «la situazione della criminalità nel distretto presenta segnali di deterioramento che destano preoccupazione», in particolare modo per le situazioni che «evidenziano pressioni estorsive», dirette non tanto al «pagamento del pizzo» bensì alla cessione delle attività con violenza e intimidazione;
   dalla relazione del presidente della corte d'appello di Ancona Carmelo Marino, presentata sempre in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2015, è emerso, inoltre, come nel corso del 2014 i reati di usura hanno subito un aumento pari al 115 per cento –:
   quali misure di competenza intenda promuovere il Ministro interrogato per contrastare il crescente fenomeno delle infiltrazioni di organizzazioni criminali nel tessuto economico marchigiano.
(4-07851)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 7 febbraio 2015, un gruppo di sette-otto persone incappucciate ha condotto, nel pomeriggio, un raid contro un gazebo della Lega Nord in piazza Wagner a Milano;
   nel corso dell'incursione, gli aggressori hanno lanciato un sasso e un uovo, portato via una bandiera e rovesciato una foto del segretario federale della Lega Nord, Matteo Salvini;
   anche se non ci sono stati feriti, l'operazione sostanzia un'inaccettabile intimidazione e manifesta l'intenzione di condizionare con la violenza la dialettica politica interna al nostro Paese in un momento particolarmente delicato della sua storia;
   è di straordinaria importanza fermare il prima possibile eventuali derive verso il ricorso alla forza sulle piazze del nostro Paese –:
   in che modo il Governo conti di assicurare il diritto dei cittadini di esprimere liberamente la propria opinione e quello dei partiti a svolgere attività di propaganda politica al riparo da ogni genere di violenza ed intimidazione.
(4-07861)


   MATTIELLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la relazione del luglio 2014 con la quale la commissione prefettizia ha proposto la proroga del commissariamento del comune di Polizzi Generosa, fa esplicito e chiaro riferimento al valore simbolico del recupero del compendio immobiliare confiscato alla mafia nel 1987;
   per meglio dare un quadro d'insieme, può essere opportuno descrivere seppur sinteticamente la storia del bene in questione: il feudo di Verbumcaudo insiste su un'area geografica dell'entroterra agrario siciliano, ricade nel territorio comunale di Polizzi Generosa (PA) e si erge su un promontorio che domina parzialmente il vallone nisseno, tra i comuni di Vallelunga Pratameno (CL), Villalba (CL), Valledolmo (PA) alle spalle Mussomeli e Marianopoli, entrambi in provincia di Caltanissetta, luoghi ad alta densità di malavita organizzata, di dominio della famosa famiglia nissena che fa capo al fu Piddù Madonia e loro discendenze;
   il fondo, originariamente, si estendeva su una superficie complessiva di 1200 ettari, 400 di proprietà del barone Emanuele Paternostro e i restanti 800 ettari dal Conte Salvatore Tagliavia, di cui 650 di quest'ultimo furono oggetto di riforma agraria;
   è stato ed è un insediamento altamente produttivo, che, oltre ad avere estese coltivazioni di grano, ulivi, ha anche un vigneto sperimentale con tutte le specie autoctone dei vitigni siciliani, al suo interno presenta rilevanti caseggiati rurali e laghetti artificiali;
   in seguito alle indagini del giudice Giovanni Falcone, nel fondo vennero scoperte anche due piazzole asfaltate a poca distanza l'una dall'altra e collegate da una serie di stradine in terra battuta, utilizzate per l'atterraggio di elicotteri, utili nell'organizzazione occulta dei summit della mafia siciliana (nelle dichiarazioni del pentito Ciro Vara, si dice che il piccolo Giuseppe Di Matteo, a seguito del rapimento, una delle tappe della prigionia fu proprio nel feudo, prima di essere trasferito in un altro luogo segreto del territorio Madonita);
   alla fine del 1979 il feudo fu venduto ai fratelli Greco per mediare, visto che i due boss avevano chiesto di acquisire i due feudi di Ciaculli, (oggi giardini della memoria) fondo Favarella e Fondo Costa-Reitano, gestiti dagli stessi per conto del nobile Tagliavia;
   diversi anni dopo, il giudice Giovanni Falcone, seguendo una ipotesi di riciclaggio, scoprì che alcuni assegni di provenienza malavitosa, uno di questi ammontante a 350 milioni di lire portava la firma di Antonio Bardellino, potente camorrista del clan Nuvoletta. Tale assegno era stato girato dai Greco per l'acquisto del feudo di Verbumcaudo: anche dalle stranezze e dalle complicità di quella compravendita fu avviato il famoso maxiprocesso alla mafia che portò all'arresto e alla condanna di Michele Greco e altri potenti mafiosi siciliani;
   in questa vicenda il ruolo di Vincenzo Liarda è stato significativo, essendo stato il Liarda a riaccendere i riflettori sulla paventata ipotesi di vendita all'asta del bene confiscato, avanzata dal tribunale di Termini Imerese a seguito di sentenze che davano ragione alle banche, creditrici di un prestito concesso a Michele Greco;
   tanto è stato sensibile il risentimento delle consorterie criminali, che dal 26 aprile 2010 ad oggi Vincenzo Liarda, vive nell'incubo di essere minacciato dalla mafia solo per aver «osato» agire ed esporsi in prima persona, per il riscatto e il riutilizzo sociale del feudo Verbumcaudo, sequestrato e poi confiscato nel lontano 1987 dal Giudice Giovanni Falcone al capo mafia della cupola siciliana Michele Greco (detto il papa);
   con il suo impegno, con la CGIL, con tanti cittadini onesti e con l'aiuto delle istituzioni, è riuscito a superare le lungaggini burocratiche, scoprendo alcune drammatiche complicità, che non consentivano, l'assegnazione del feudo con il relativo riutilizzo sociale al comune di Polizzi Generosa, per poter creare le condizioni di sviluppo nella legalità. Tutto ciò gli è costato ventiquattro intimidazioni e minacce di diversa natura, con una escalation brutale, la sua vita e soprattutto quella della sua famiglia è cambiata ed è stata sconvolta nella sua normalità e avvolta in un vortice di altissima tensione e di grande esposizione mediatica, a volte coinvolti anche strumentalmente. Per evitare ulteriori tensioni e pericoli, più volte Vincenzo Liarda è stato impegnato in diversi progetti sulla legalità fuori Sicilia, Roma, in Provincia di Salerno e in ultimo a Latina, (a volte seguito dalla sua famiglia). Ed è stato sotto scorta per due periodi da settembre 2010 a marzo 2011 gennaio 2013 a giugno 2013;
   la relazione prima di scioglimento e poi di proroga del commissariamento del comune di Polizzi Generosa, mette in evidenza le aggressività passate e attuali delle medesime consorterie mafiose. Va, inoltre, opportunamente ricordato che a Polizzi Generosa, negli ultimi anni si sono susseguiti diversi attentati, (non solo nei confronti di Liarda) ma anche verso attività commerciali ed imprenditoriali che operano a Polizzi Generosa, con pesanti azioni criminali atti ad intimidire e negare la libertà degli individui e delle imprese. Purtroppo, oramai da tempo a Polizzi si vive in un clima di tensione, soprattutto chi come Liarda non ne ha fatto un mistero e ci ha messo la faccia contro la criminalità, non condividendo e combattendo a muso duro queste ignobili azioni;
   nel frattempo il Liarda ha fatto rientro con la sua famiglia a Polizzi e che si sono nuovamente verificati episodi preoccupanti e di forte ingerenza delle famiglie mafiose del territorio nei confronti di Liarda e della sua famiglia; per opportuna brevità si citano alcuni fatti: il taglio della rete di recinzione nella campagna di proprietà di Liarda a pochi chilometri da Polizzi, alle provocazioni dei boss mafiosi della zona, e non ultimo dopo un convegno organizzato nell'aula consiliare del Comune di Polizzi Generosa in data 26 gennaio 2014, anche alla presenza della, prefettura di Palermo, con oggetto il riutilizzo produttivo e occupazionale del bene nel territorio delle Madonie, nell'ambito del convegno è stato sottoscritto un protocollo d'intenti interistituzionale tra il consorzio Madonita legalità e sviluppo (dove il presidente è Vincenzo Liarda), e l'assessorato regionale all'agricoltura, in risposta all'azione delle istituzioni è stato perpetrato l'ennesimo e grave atto intimidatorio con uno sparo nel totem dove viene indicato il vigneto sperimentale, collocato nel «feudo Verbumcaudo», colpendo con precisione lo stemma della Repubblica italiana –:
   se il Ministro dell'interno non ritenga opportuno, nonché urgente, prevedere adeguate forme di tutela nei confronti di Vincenzo Liarda in virtù dei gravi fatti suesposti. (4-07865)


   NESCI e NUTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella serata di sabato 31 gennaio 2015 il signor Cosimo Demasi, imprenditore di Fabrizia (Vibo Valentia) attivo nella produzione di calcestruzzi, è stato vittima di un pesante attentato intimidatorio;
   come riportato su «Il Quotidiano del Sud» nell'edizione del 2 febbraio 2015 «erano passate da poco le 21 quando alcuni passanti si sarebbero accorti del fumo che fuoriusciva dal locale adibito a deposito nell'impianto di calcestruzzi. Immediatamente hanno dato l'allarme chiamando il proprietario che a sua volta avrebbe avvisato le autorità»;
   stando ad una prima ricostruzione dei fatti, ignoti, dopo aver forzato il portone antipanico da cui si accede al capannone, vi avrebbero fatto irruzione e, dopo aver versato del liquido infiammabile sugli automezzi, vi avrebbero appiccato il fuoco dandoli alle fiamme. L'incendio si è propagato contemporaneamente ai mezzi parcheggiati e peraltro poco distanti tra loro;
   «ad andare distrutte – si legge ancora nel summenzionato articolo – sono state due betoniere, mentre sono rimasti gravemente danneggiati mezzi per il trasporto di sabbia e materiali inerti e una pompa calcestruzzi. Secondo una prima stima, del tutto approssimativa, i danni ammonterebbero a diverse centinaia di migliaia di euro»;
   secondo quanto si legge anche su «La Gazzetta del Sud» del 2 febbraio 2015, «l'azienda colpita opera nel territorio da diversi anni e prima d'ora non era mai stata vittima di attentati intimidatori di tal genere». Ma «che l'attacco sferrato non sia un'aggressione ad un'azienda ma un'inquietante sfida a chi non vuoi piegarsi alla logica dell'imposizione continuando a rimanere a lavorare e produrre sul proprio territorio, ne è convinto l'imprenditore finito nel mirino degli incendiari: “vogliamo andare avanti ma adesso abbiamo bisogno di aiuto da parte delle istituzioni”»;
   nonostante non sembrerebbe che l'imprenditore abbia mai ricevuto richieste di pizzo o sia stato vittima di atti estorsivi, gli stessi carabinieri della locale stazione, coordinati dal capitano Stefano Esposito Vangone della Compagnia di Serra San Bruno, non escludono che dietro l'intimidazione si possa nascondere il racket delle estorsioni;
   lo stesso imprenditore Demasi, d'altronde, avrebbe anche chiesto un immediato intervento al prefetto di Vibo Valentia, dottor Giovanni Bruno –:
   quali elementi abbia il Ministro interrogato sull'atto orribile di cui è stato vittima il Demasi. (4-07868)


   NACCARATO, CAMANI, MIOTTO e NARDUOLO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 30 gennaio la direzione distrettuale antimafia di Venezia ha disposto il sequestro di beni per 130 milioni gestiti, secondo l'accusa, direttamente e indirettamente da Francesco Manzo;
   la direzione distrettuale antimafia inoltre ha disposto 42 perquisizioni domiciliari a carico di presunti intestatari fittizi dei beni nelle province di Padova, Vicenza, Treviso, Belluno, Varese, Ferrara, Bologna, Siena, Roma, Napoli, Salerno, Taranto, Matera e Cosenza;
   l'operazione è il risultato di anni di indagini approfondite dei carabinieri di Padova e delle autorità giudiziarie competenti e costituisce il più importante sequestro di beni mai effettuato in Veneto;
   Francesco Manzo, residente a Padova, ha diversi precedenti penali per gravi reati contro la persona e contro il patrimonio: bancarotta fraudolenta, truffa in concorso, emissione di assegni a vuoto, furto, sequestro di persona, porto illegale di armi, associazione per delinquere;
   Manzo è accusato per attribuzione e trasferimento fittizi di beni ed utilità;
   Francesco Manzo, secondo gli inquirenti, ha relazioni con la ex Mala del Brenta e con la camorra;
   tra i beni sequestrati, oltre a 52 società, ci sono 350 unità immobiliari, tra cui 40 appartamenti nel grattacielo Belvedere davanti alla stazione di Padova, il palazzo in costruzione del centro direzionale dell'Interporto di Padova, un castello a Ponte nelle Alpi;
   l'entità dei beni sequestrati appare smisurata rispetto al reddito di 14 mila euro annui dichiarato dal Manzo, in quanto lavoratore dipendente di una società;
   l'entità dei beni, i precedenti penali e i legami del Manzo con appartenenti alla criminalità organizzata hanno determinato negli organi inquirenti il sospetto che la ricchezza sequestrata sia il prodotto del riciclaggio di ricchezze occulte;
   il sequestro ha suscitato grande clamore nell'opinione pubblica e ha destato particolare attenzione e allarme nella popolazione per i pericoli derivanti dalla presenza di persone e capitali riconducibili alla criminalità organizzata;
   in particolare ha prodotto paura e stupore il fatto che una persona con significativi precedenti penali e un normale reddito da lavoro dipendente sia riuscito per anni a farsi erogare prestiti da istituti bancari per il valore di decine di milioni –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti descritti;
   in che modo, per gli aspetti di rispettiva competenza, i Ministri intendano intervenire per prevenire e contrastare il ripetersi di fenomeni di riciclaggio;
   se gli uffici territoriali di Governo, competenti per territorio, abbiano mai adottato provvedimenti interdettivi antimafia nei confronti delle società riconducibili a Francesco Manzo, e, in caso affermativo, per quali società;
   se gli uffici territoriali di Governo, competenti per territorio, intendano adottare provvedimenti interdettivi antimafia nei confronti delle società riconducibili a Francesco Manzo;
   se il Ministro dell'interno intenda potenziare la presenza delle forze dell'ordine per prevenire e contrastare la presenza della criminalità organizzata soprattutto nel settore economico e finanziario.
(4-07874)


   GANDOLFI, INCERTI, IORI e MARCHI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di una pesante nevicata nella notte tra il 5 e 6 di febbraio 2015, già dalle prime ore di venerdì 6 si sono verificati black out elettrici nella città e nella provincia di Reggio Emilia. La situazione è parsa subito grave oltre che diffusa e dopo dodici ore dall'inizio, nella sera dello stesso venerdì 6, sulla base di stime degli enti locali, erano circa 65.000 le utenze prive di energia elettrica e tali sono rimaste fino alla mattina seguente. L'assenza di energia elettrica ha causato nella maggioranza dei casi il mancato funzionamento degli impianti di riscaldamento, lasciando al freddo per 24 ore decine di migliaia di persone;
   nella mattina di lunedì 9 febbraio 2015, tre giorni dopo, in base a dati Enel, ancora 1.530 utenze in città e provincia non risultavano collegate alla rete. Il lento e progressivo recupero della situazione non è ancora concluso ed ha costretto comunque interi paesi e quartieri della città senza luce e riscaldamento per tre giorni;
   i dati forniti da Enel nelle tre giornate di emergenza sono stati intempestivi, ma anche parziali e incompleti, impedendo di avere un quadro preciso delle zone scollegate dalla rete, se non attraverso le segnalazioni, che comunque sono state raccolte pare prevalentemente dai comuni e non da Enel stessa. Il problema è risultato dipendere da problemi alle reti Enel e Terna;
   situazioni simili si sono verificate in altre province della Regione Emilia-Romagna aggravando le condizioni di gestione dell'emergenza dovuta al maltempo, che già impegnavano le amministrazioni locali, la Protezione civile regionale, le diverse strutture pubbliche e non meno imprese e singoli cittadini;
   oltre questo, è inquietante constatare la fragilità della rete di distribuzione elettrica e in generale di un servizio pubblico fondamentale, a maggior ragione data l'interdipendenza con altri servizi pubblici. Si pensa quindi che la risposta alle seguenti domande non sia solo dovuta con urgenza ai cittadini emiliani, ma debba servire più in generale ad orientare la gestione delle reti elettriche di Terna, Enel verso l'efficienza e la sicurezza;
   una così lunga ed estesa assenza di energia elettrica è al contempo una limitazione nell'organizzazione dei servizi di contrasto agli effetti del maltempo ed essa stessa una gravissima condizione di emergenza, che si è rivelata di maggiore complessità di gestione. Per quanto il territorio emiliano si sia abituato negli ultimi anni ad altre e gravi emergenze previste dai piani di protezione civile, il black out si è dimostrato difficile da gestire, non tanto e solo per la complessità intrinseca quanto per il comportamento del gestore della rete;
   il fatto più grave in questo quadro preoccupante è quanto avvenuto nelle prime 12 ore dopo l'interruzione del servizio;
   venerdì 6 febbraio, dopo l'interruzione della corrente elettrica nelle proporzioni sopra descritte, non è stato possibile avere alcun contatto con Enel, né da parte dei cittadini privati di energia elettrica, né da parte dei comuni e dei sindaci interessati. Dalle notizie di stampa risulta che neppure il prefetto di Reggio Emilia sia riuscito a mettersi in contatto con Enel durante tutta la giornata;
   il primo contatto è avvenuto alle ore 18,00, dopo dodici ore di black out, al comitato di emergenza convocato dal prefetto di Reggio Emilia, tramite un funzionario che, a quanto consta agli interroganti, sarebbe apparso non in grado di rispondere alle domande dei sindaci e dei responsabili provinciali della sicurezza, preoccupati di conoscere gli elementi necessari ad organizzare servizi di assistenza per i problemi che l'imminente notte avrebbe provocato ai cittadini privi di luce e riscaldamento. Questo mentre già gli stessi enti erano impegnati a gestire, come di loro competenza, le operazioni di sgombero neve e problemi alla circolazione. Solo verso le 19,30 di venerdì 6 Enel ha fornito le prime informazioni e l'ammissione dell'impossibilità di ripristinare l'energia elettrica. Questa prolungata assenza di comunicazione e di contatto da parte di Enel nei confronti di cittadini ed istituzioni pubbliche appare agli interroganti inspiegabile e ingiustificabile ben più di quanto non siano i fattori che hanno generato il black out e la conseguente emergenza –:
   se sia noto come mai Enel non sia stata contattabile dai cittadini e dalle istituzioni per dodici ore dopo l'inizio dei problemi e come mai non sia stato attivata dalla stessa e da Terna una struttura di gestione di emergenza rivolta ad analizzare il fenomeno e dare informazioni tempestive e utili ad istituzioni e cittadini;
   come mai Enel e Terna non siano provviste di un efficiente sistema di rilevazione dei guasti e delle interruzione di rete, tanto per l'alta che per la bassa tensione;
   come mai si siano verificate queste estese interruzioni e se si ritenga che queste possano ripetersi, in Emilia o altrove, in ragione soprattutto della evidente fragilità della rete;
   quali iniziative il Governo intenda adottare per evitare che si ripeta la totale assenza di informazioni da parte di Enel e Terna nelle fasi di una emergenza che riguarda la rete di competenza e che si verifichino interruzioni così estese e prolungate di un servizio pubblico fondamentale. (4-07884)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta orale:


   LUIGI GALLO, SILVIA GIORDANO, COLONNESE, FICO, TOFALO e MICILLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   è ormai prassi in tante scuole pubbliche italiane che si tenti un prelievo, paragonabile ad una ulteriore, illegale gabella, alle famiglie, oltre alla tassa prevista dalla legge per le classi IV e V degli istituti superiori di II grado, attraverso la richiesta di un contributo, all'atto dell'iscrizione, che oscilla tra i 20 e i 150 euro;
   nel modello di iscrizione che le famiglie devono compilare, all'interno del quale si trova la voce «contributo» con la relativa somma da versare senza che venga aggiunta la parola «volontario» e senza che venga specificata la destinazione della somma richiesta e con l'aggravante che si cerca di far credere che l'iscrizione dei propri figli sia condizionata al versamento del contributo richiesto;
   con la nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 312 del 20 marzo 2012 si invitavano i dirigenti scolastici a non fare alcuna pretesa all'atto dell'iscrizione, ma solo successivamente la possibilità di chiedere a titolo volontario versamenti di contributi per progetti formativi di cui dare trasparenza nella rendicontazione;
   nonostante l'invito espresso nella nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, n. 312 del 20 marzo 2012, le scuole hanno continuato a reiterare questo abuso, tanto che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha emesso, l'anno successivo, una nuova circolare (protocollo, n. 593 del 7 marzo 2013), segnalando ancora irregolarità ed abusi nella richiesta di contributi scolastici;
   lo stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ritiene che simili comportamenti, oltre a danneggiare l'immagine dell'amministrazione scolastica, si configurano come vere e proprie lesioni al diritto allo studio costituzionalmente garantito;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha sancito e reiterato nella circolare il principio di obbligatorietà e gratuità dell'istruzione che, previsto dall'articolo 34 della Costituzione, è stato esteso dall'attuale normativa fino a ricomprendere i primi tre anni dell'istruzione secondaria superiore. In tutte le istituzioni scolastiche statali, pertanto, la frequenza della scuola dell'obbligo non può che essere gratuita, mentre, per le sole classi 4° e 5° della scuola secondaria di secondo grado, fatto salvi i casi di esonero, essa è subordinata esclusivamente al pagamento delle tasse scolastiche erariali;
   nessun'altra imposizione economica viene riconosciuta dall'ordinamento in favore delle istituzioni scolastiche, facendo riferimento all'articolo 23 della Costituzione secondo cui: «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alle leggi» –:
   se non ritenga necessario e improcrastinabile adottare ulteriori azioni, strumenti e iniziative efficaci affinché siano evitati, in futuro, comportamenti, atti o iniziative da parte di scuole pubbliche, che, in contrasto con il dettato costituzionale, altro non fanno che alimentare il fenomeno della dispersione scolastica e che danneggiano l'immagine dell'intera amministrazione scolastica;
   se non intenda necessario introdurre elementi di maggior trasparenza, obbligando gli istituti scolastici alla pubblicazione dei bilanci scolastici con evidenza delle spese effettuate attraverso i fondi raccolti in modalità volontaria presso le famiglie degli alunni effettuati esclusivamente per il miglioramento dell'offerta formativa e al suo ampliamento al di là dei livelli essenziali. (3-01280)


   LUIGI GALLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le quote utili all'assunzione di personale scolastico con diritto di riserva sono stabilite dal comma 1 dell'articolo 3 della legge 22 marzo 1999, n. 68;
   l'iscrizione alle liste di collocamento obbligato, per i portatori di handicap con diritto di riserva «N», è consentita solo nel caso sussista la condizione di disoccupazione del richiedente;
   lo status di disoccupato deve essere dichiarato, al proprio centro per l'impiego provinciale, entro trenta giorni dall'ultima prestazione di lavoro effettuata;
   i portatori di handicap, con diritto di riserva «N», dovranno allegare alla domanda di aggiornamento della posizione in graduatoria, l'iscrizione al «collocamento obbligatorio» del proprio centro per l'impiego provinciale;
   il diritto alla riserva dei posti prescinde dalla sussistenza dello stato di disoccupazione all'atto dell'assunzione, come evidenziano l'articolo 16, comma 2, legge 22 marzo 1999, n. 68, e l'articolo 1, comma 2, del regolamento esecutivo di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 ottobre 2000, n. 333;
   capita frequentemente che, nel periodo in cui vige la presentazione della domanda di iscrizione in graduatoria, l'interessato sia occupato su una supplenza e, pertanto, non possa essere considerato in stato di disoccupazione, se non a seguito di auto licenziamento con rinuncia dell'ultimo mese di retribuzione;
   il docente che riterrà opportuno presentare l'auto licenziamento, al fine di preservare il diritto di riserva, provocherà una interruzione della continuità didattica –:
   come intenda affrontare tali problematiche;
   se sia possibile prevedere, in via straordinaria, per l'aggiornamento delle graduatorie previste nel 2014, che il titolare di riserva possa indicare di possedere il diritto alla riserva entro i tempi stabiliti e perfezionare la propria posizione al termine delle attività didattiche. (3-01281)


   LUIGI GALLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le quote utili all'assunzione di personale scolastico con diritto di riserva sono stabilite dal comma 1 dell'articolo 3 della legge 22 marzo 1999, n. 68;
   l'iscrizione alle liste di collocamento obbligato, per i portatori di handicap con diritto di riserva «N», è consentita solo nel caso sussista la condizione di disoccupazione del richiedente;
   lo status di disoccupato deve essere dichiarato, al proprio centro per l'impiego provinciale, entro trenta giorni dall'ultima prestazione di lavoro effettuata;
   i portatori di handicap, con diritto di riserva «N», dovranno allegare alla domanda di aggiornamento della posizione in graduatoria, l'iscrizione al «collocamento obbligatorio» del proprio centro per l'impiego provinciale;
   il diritto alla riserva dei posti prescinde dalla sussistenza dello stato di disoccupazione all'atto dell'assunzione, come evidenziano l'articolo 16, comma 2, legge 22 marzo 1999, n. 68, e l'articolo 1, comma 2, del regolamento esecutivo di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 ottobre 2000, n. 333;
   capita frequentemente che, nel periodo in cui vige la presentazione della domanda di iscrizione in graduatoria, l'interessato sia occupato su una supplenza e, per tanto, non possa essere considerato in stato di disoccupazione, se non a seguito di autolicenziamento con rinuncia dell'ultimo mese di retribuzione;
   il docente che riterrà opportuno presentare l'autolicenziamento, al fine di preservare il diritto di riserva, provocherà una interruzione della continuità didattica –:
   come intenda affrontare tali problematiche;
   se sia possibile prevedere, in via straordinaria per l'aggiornamento delle graduatorie previste nel 2014, che il titolare di riserva possa indicare di possedere il diritto alla riserva entro i tempi stabiliti e perfezionare la propria posizione al termine delle attività didattiche. (3-01282)


   LUIGI GALLO, TOFALO e MANNINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'entrata in vigore del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112 convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e del piano programmatico di attuazione dei tagli della scuola, ha apportato le seguenti modifiche al sistema scuola: riduzione del numero di sedi scolastiche, aumento dei numeri massimi di alunni per costituire una classe, chiusura di classi nei piccoli centri, aumento delle classi che raggruppano alunni di corsi diversi, riduzione oraria del funzionamento delle scuole, eliminazione del modello didattico «tempo pieno», saturazione delle cattedre a 18 ore settimanali;
   tali provvedimenti hanno oggettivamente provocato: lo spezzettamento delle unità scolastiche, l'impossibilità di servirsi di docenti le cui cattedre erano composte dai residui dei colleghi, la creazione dell'organico soprannumerario;
   da una elaborazione eseguita da FLC CGIL, risulta che, al 23 luglio 2013, i posti in esubero sono 7901, per quanto riguarda i posti comuni, e 98 per ciò che concerne i docenti di sostegno;
   con decreto direttoriale del MIUR n. 7 del 16 aprile 2012 viene concessa ad una quota di docenti soprannumerari la riconversione in insegnanti di sostegno;
   le modalità di riconversione sono previste dagli articoli 4, 5, 6, 8 e 9 del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 30 settembre 2011;
   il decreto citato prevede che la preselezione avvenga tramite la formazione di una graduatoria di merito e che, in caso di parità di punteggio, l'ammissione al corso di specializzazione sia concessa al candidato con maggiore anzianità di servizio di insegnamento sul sostegno nelle scuole, e, nel caso di ulteriore parità o nel caso in cui i docenti non abbiano svolto il servizio di sostegno, l'ammissione al corso sia concessa al candidato anagraficamente più giovane;
   la nota del MIUR protocollo n. 7591 del 10 ottobre 2012 ribadisce quanto espresso dal decreto ministeriale 30 settembre 2011 circa la necessità di utilizzare il criterio di merito per selezionare i candidati specializzandi, ma vi è contraddizione con il decreto direttoriale in merito alla parità di punteggio in graduatoria, per la quale la nota prevede la precedenza per i docenti con almeno un anno con servizio sul sostegno, fattispecie non prevista nel decreto direttoriale, il quale prevede meramente la maggiore anzianità di servizio di insegnamento sul sostegno, senza specificarne la durata;
   se le segnalazioni di cui sopra parlano di graduatorie stilate secondo il criterio anagrafico, assumendo come prioritaria, in caso di parità, l'età anagrafica più giovane –:
   se si intenda prendere in considerazione l'ipotesi di ripristinare quei posti necessari curriculari e di disciplina utili a riassorbire il personale suddetto;
   se le procedure di preselezione dei docenti candidati alla iscrizione ai corsi di specializzazione per le attività di sostegno siano state effettivamente svolte secondo quanto prescritto dalla nota direttoriale del MIUR n. 7 del 16 aprile 2012;
   nel caso di procedure svolte in contrasto con la normativa vigente, quali siano le misure risolutive individuate.
(3-01283)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DI BENEDETTO, MANNINO, MARZANA, BRESCIA, D'UVA, LUIGI GALLO, VACCA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   «Secondo me, quando si parla di mafia a Roma, si fa un errore. C’è un'improprietà di linguaggio. La mafia è tutt'altro». Queste parole suonano inquietanti, soprattutto se ad ascoltarle sono i più giovani, in una giornata che vuole insegnare loro il valore della legalità. Nel caso specifico si parla delle dichiarazioni rilasciate dal procuratore generale della Corte dei Conti, Salvatore Nottola, in occasione della giornata dedicata alla cultura della legalità e alla lotta alla corruzione, presso l'istituto tecnico Giovanni XXIII di Roma il primo febbraio 2015;
   il procuratore si lascia andare a quello che egli stesso definisce «un chiarimento tecnico», sostenendo che «sarebbe pericoloso definire qualunque cosa mafia: si toglie il significato, la potenzialità pericolosa al fenomeno mafioso vero e proprio, che poggia su altre basi». In sostanza «si deve poter distinguere tra la mafia siciliana che si basa sul collegamento tra persone, sulla gerarchia e sulla consuetudine antica, o l'ndrangheta, che si basa sull'alleanza tra famiglie e così via e la mafia romana che è un'altra cosa, una combriccola di delinquenti, a volte di matrice politica, altre volte delinquenziale»;
   a voler dare credito a tali dichiarazioni, la mafia, quindi, a Roma non esiste. Eppure i giudici del tribunale di Roma, sezione penale, proprio qualche giorno prima della giornata della legalità, hanno emesso una condanna per associazione a delinquere di stampo mafioso, ex articolo 416-bis del codice penale, nei confronti di 14 persone, tra le quali il boss Carmine Fasciani, insieme al fratello e le figlie. Inoltre tale sentenza arriva dopo l'operazione «Nuova alba», che nel luglio del 2013 portò all'arresto di 51 persone, colpendo la criminalità organizzata che operava sul litorale romano. Quindi a Roma la mafia esiste, opera sul territorio e lo controlla, gestisce l'economia, fa affari e corrompe funzionari pubblici;
   la conclusione dei processi su citati può far luce anche sull'operazione attualmente in corso denominata «Mondo di mezzo», che ha portato alla scoperta del sistema di Mafia Capitale. Anche stavolta l'accusa comprende l'aggravante di associazione mafiosa. Eppure Nottola dichiara che: «la mafia romana è un'altra cosa. Che poi ci siano dei collegamenti e delle alleanze episodiche tra questi fenomeni e personaggi mafiosi, è un altro discorso. Sono fatti accidentali, sono complicità. Ma la natura di questo fenomeno romano è ben altra quindi si può distruggere molto più facilmente»;
   ad avviso degli interroganti non è pericoloso definire qualunque cosa mafia, come Nottola sostiene, bensì sminuire, e negare il carattere mafioso ad un sistema criminale quale quello di Roma Capitale che già la magistratura ha provveduto ad accertare e connotare come mafioso –:
   se il Ministero interrogato fosse a conoscenza dell'invito rivolto al procuratore Nottola in occasione della giornata della legalità;
   chi abbia deciso d'inoltrare tale invito. (5-04685)


   INCERTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel maggio 2011 è partito espressamente il progetto «scuole in WIFI» con l'obiettivo – tramite dotazione di un «kit wifi» – di consentire ad un numero crescente di istituzioni scolastiche di realizzare reti di connettività senza fili interne agli edifici per offrire servizi innovativi;
   il successivo 27 maggio 2011 una risoluzione del Consiglio d'Europa (1815) invita i Paesi membri a limitare l'esposizione ai campi elettromagnetici in particolare per «i bambini e i giovani che sembrano essere i più suscettibili ai tumori alla testa»;
   con il decreto-legge n. 179 del 18 ottobre 2012 in particolare all'articolo 14, «interventi per la diffusione delle tecnologie», vengono fissati i valori e i limiti intesi a minimizzare il grado di esposizione, tenuto conto dell'utilità di reti di connessione per lo sviluppo tecnologico degli istituti scolastici ma nello stesso tempo della necessità di applicare il principio di precauzione;
   l'articolo 11 della legge 12 settembre 2013, n. 128, ha inoltre autorizzato la spesa per gli anni 2013 e 2014, rispettivamente di 5 milioni di euro e di 10 milioni di euro, per assicurare alle istituzioni scolastiche la realizzazione e la fruizione della connettività wireless, in modo da consentire agli studenti l'accesso ai materiali didattici ed ai contenuti digitali –:
   se i Ministri interrogati non intendano avviare un monitoraggio sulle condizioni e sul rispetto dei suddetti limiti;
   se si intendano assumere iniziative per rivedere la normativa vigente e in particolare l'articolo 14 del decreto-legge n. 179 del 18 ottobre 2012 che, prevedendo il calcolo dei valori della media di esposizione sulle 24 ore, di fatto, non tiene conto dell'utilizzo effettivo limitato ad un massimo di 12 ore;
   se, altresì, non ritengano opportuno avviare l'utilizzo di diverse modalità, oltre al wifi. (5-04686)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   LUIGI GALLO, BATTELLI, MARZANA, FICO, LUIGI DI MAIO, SIBILIA, COLONNESE e DI BENEDETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 13 luglio 2014, il quotidiano Il Mattino titola quanto segue: «La villa di Poppea concessa per feste private, scoppia la rivolta. (...) Una festa privata in giardino sponsorizzata da una nota azienda con tanto di catering di un famoso ristorante di Pompei, e oltre duemila invitati in rigoroso abito da sera. In attesa di un serio piano di rilancio e di promozione del sito, mortificato da degrado e da abbandono, la villa di Poppea, esclusa dalle visite serali, si trasforma con la benedizione del direttore Lorenzo Fergola e della Soprintendenza di Pompei, per una sera, in una location elegante e suggestiva e per l'affitto del “locale”, nelle casse della Soprintendenza vanno cinquemila euro»;
   in conformità con l'articolo 9 della Costituzione («La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione»), il codice dei beni culturali e del paesaggio ha fissato i concetti guida relativi al pensiero e alle attività sul patrimonio culturale italiano. I principi ispiratori di tale codice sono: la tutela, la conservazione e la valorizzazione. La tutela è ogni attività svolta con lo scopo di mantenere l'integrità, l'identità e l'efficienza funzionale di un bene culturale, in maniera coerente, programmata e coordinata. Si esplica pertanto in studio, inteso come conoscenza approfondita del bene culturale di prevenzione, intesa come limitazione delle situazioni di rischio connesse al bene culturale nel suo contesto di manutenzione, intesa come intervento finalizzato al controllo delle condizioni del bene culturale per mantenerlo nel tempo di restauro, inteso come intervento diretto su un bene culturale per recuperarne l'integrità materiale. La conservazione è ogni attività svolta con lo scopo di mantenere l'integrità, l'identità e l'efficienza funzionale di un bene, in maniera coerente, programmata e coordinata. La valorizzazione è ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e di conservazione del patrimonio culturale e ad incrementarne la fruizione pubblica, così da trasmettere i valori di cui tale patrimonio è portatore;
   la tutela è di competenza esclusiva dello Stato, che detta le norme ed emana provvedimenti amministrativi necessari per garantirla; la valorizzazione è svolta in maniera concorrente tra Stato e regione, e prevede anche la partecipazione di soggetti privati; inoltre, la conservazione del patrimonio culturale è assicurata mediante una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro;
   quanto accaduto nella Villa di Poppea non sembra coerente con l'articolo 106 del Codice dei beni culturali, in quanto è sancito quanto segue: lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono concedere l'uso dei beni culturali che abbiano in consegna, per finalità compatibili con la loro destinazione culturale, a singoli richiedenti. L'utilizzo di questi beni, dunque, pone diversi interrogativi rispetto ai criteri adottati per stabilire le royalties la cui finalità non è chiaro se sia per riparare eventuali danni e assicurare specifica tutela del bene;
   il vero problema di questo sito archeologico è lo stato di abbandono in cui versa; in questi scavi, ormai, si procede solo con interventi straordinari di manutenzione, che dovrebbero essere sostituiti da quelli ordinari fatti da uno staff qualificato. Ciò nonostante tale sito sia stato inserito dall'Unesco nella lista del patrimonio mondiale che comprende ad oggi 981 siti;
   l'Italia è il Paese che conta più siti in assoluto: 49 in totale. Per essere inserito all'interno della lista, un sito deve dimostrare di possedere un eccezionale valore universale. Sono selezionati, infatti, per le loro specifiche caratteristiche che li rendono il miglior esempio possibile del patrimonio culturale e naturale di tutto il mondo. Entrare a far parte della lista costituisce un riconoscimento a livello globale dello straordinario valore culturale del luogo candidato, che deve essere conservato e trasmesso alle generazioni future;
   il rilancio del sito archeologico di Torre Annunziata passa anche dalla creazione di infrastrutture in grado di accogliere in modo valido i turisti, anche mediante operazioni di «archeologia industriale» alcune strutture industriali, infatti, del passato appaiono come decisamente artistiche, interessanti, ardite e particolari, come La Reale fabbrica d'armi di Torre Annunziata che è stata la più grande fabbrica d'armi del Regno delle Due Sicilie, declassata a spolettificio ed ora gestita dall'Agenzia industrie difesa come struttura di demolizione degli automezzi dell'Esercito italiano e delle forze armate in genere, essa potrebbe essere destinata a creare aree di parcheggio ed un museo con i reperti conservati in un deposito presso gli scavi, quindi a realizzare un'integrazione tra l'area dismessa e la città che la circonda creando «un indotto turistico, culturale, economico e sociale –:
   in che modo si intenda valorizzare gli scavi di Oplonti che vivono in uno stato di degrado e di abbandono e che risultano esclusi dalle visite serali estive;
   in che modo si intendano disciplinare i lavori di manutenzione del sito;
   in che modo si intendano tutelare gli scavi da un eventuale utilizzo da parte di privati e come si intendano stabilire il pagamento e le finalità di eventuali royalty.
(3-01287)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DI SALVO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Gruppo Maggiore opera nel settore dell'autonoleggio da oltre 65 anni, ma in questi giorni, i proprietari, i fratelli Carmelo e Vittorio Maggiore hanno annunciato ai sindacati la volontà di vendere la società, nonostante i conti del 2013 siano stati più che dignitosi;
   il bilancio 2013 della Maggiore Rent spa mostra come il valore totale della produzione sia salito da 154,3 a 156,2 milioni di euro. Il margine operativo lordo (Ebitda) è quasi triplicato rispetto al 2012, da 3,6 a 9,6 milioni di euro, pari al 6,4 per cento del fatturato. Anche il risultato netto è risalito, da 2,8 a 4 milioni di euro, dei quali 3,9 messi a disposizione dei soci per la distribuzione;
   sul miglioramento del margine operativo lordo ha sicuramente avuto effetto il calo del costo del lavoro, da 16 milioni a 14,4 milioni, con l'adozione del contratto di solidarietà a partire dal mese di febbraio 2013, al fine di preservare l'occupazione contro la crisi ed evitare quindi la riduzione del personale;
   la decisione di vendere sta creando non poche preoccupazioni per i circa 400 dipendenti che in data 2 febbraio hanno scioperato, in quanto ancora non sanno a quali condizioni i proprietari vorrebbero vendere l'azienda;
   il segretario nazionale della Filt Cgil, in una nota ha commentato: «I lavoratori a rischio potrebbero essere tutti, perché i soci vorrebbero vendere l'azienda e non sappiamo a quali condizioni. Le voci parlano di una vendita ad Avis (uno dei quattro principali concorrenti nel settore in Italia, ndr), che viene da una mobilità che ha riguardato 150 persone: in una ridistribuzione da multinazionale hanno spostato alcune attività direzionali verso l'Europa dell'Est»;
   i fratelli Maggiore, come imprenditori, sono liberi di vendere, ma occorre considerare che ci si è serviti di un ammortizzatore sociale quale il regime della solidarietà che ha determinato di fatto incrementi del bilancio ed un aumento di conseguenza del valore dell'azienda;
   lo scopo dei contratti di solidarietà è salvare i posti di lavoro, e aiutare l'azienda in un momento di crisi, non di condurre alla vendita della azienda una volta che i conti sono stati risanati –:
   se sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e, se non ritenga opportuno intervenire, per quanto di competenza, promuovendo l'apertura di un tavolo di confronto urgente con le organizzazioni sindacali e l'azienda al fine di salvaguardare i livelli occupazionali. (5-04701)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la casa di cura polispecialistica Trusso è una struttura sanitaria con sede nel comune di Ottaviano, in provincia di Napoli;
   si tratta di una clinica accreditata con 137 posti letto;
   in tale struttura lavorano circa 160 dipendenti;
   la proprietà della casa di cura polispecialistica Trusso afferma che l'azienda sarebbe, attualmente, strangolata da debiti gravissimi, tali da non consentire nemmeno l'erogazione degli stipendi ai lavoratori;
   proprio tali lavoratori vantano ormai svariati mesi di stipendio arretrati e versano in una condizione talmente grave da non riuscir più a far fronte nemmeno alle spese per il raggiungimento della struttura;
   è attualmente in corso una trattativa per la cessione della proprietà, ma i potenziali acquirenti avrebbero posto come precondizione l'impossibilità di mantenere in organico tutti i lavoratori attualmente sotto contratto per la struttura;
   a quanto consta all'interrogante è già conclusa una procedura di licenziamento per cinquantacinque dipendenti della casa di cura polispecialistica Trusso, ed è stata avviata una procedura per altri dodici addetti;
   nella sola mattinata del 6 febbraio 2015 sono stati comunicati ventiquattro licenziamenti tra medici, impiegati amministrativi ed infermieri della clinica;
   la clinica in questione è il più grande presidio sanitario convenzionato dell'intera area vesuviana interna;
   essa rappresenta un punto di riferimento per una vasta fetta della popolazione campana;
   il grave indebitamento della struttura è, in massima parte, causato da un vecchio contenzioso con Equitalia, che ha pignorato i conti correnti dell'azienda per oltre venti milioni di euro;
   il numero di dipendenti sotto contratto per la casa di cura polispecialistica Trusso è perfettamente in linea con le norme vigenti per l'ottenimento dell'accreditamento regionale;
   i fatti sono riportati, tra l'altro, anche nell'articolo pubblicato dal quotidiano Il Giornale di Napoli in data 5 febbraio 2015 con il titolo «Trusso, rischio caos: ultimatum dei lavoratori» e nell'articolo pubblicato dal quotidiano d'informazione online Il Fatto Vesuviano del 6 febbraio 2015 dal titolo «Clinica Trusso: scattano i primi 24 licenziamenti, altri 50 a rischio» –:
   se non ritengano urgente e doveroso, per quanto di competenza, assumere ogni iniziativa utile al fine di trovare una soluzione che permetta la sopravvivenza di un presidio sanitario così importante per il territorio campano;
   se non ritengano di dover intervenire immediatamente al fine di garantire il mantenimento dei livelli occupazionali dell'azienda, evitando che in una fase di crisi drammatica come questa, i cui effetti nel Mezzogiorno sono ancora più devastanti, decine di famiglie si ritrovino senza alcuna fonte di reddito. (4-07857)


   LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Mercedes Benz Italia spa (MBI), a partire da giugno 2009 e poi nel marzo 2010, ha avviato una serie di procedure di riduzione del personale, ai sensi della legge n. 223 del 1991 e della legge n. 236 del 1993;
   sono state attivate procedure di mobilità e in specie di licenziamento collettivo nell'ultimo trimestre del 2013 e individuale a fine settembre del 2014;
   tra le varie motivazioni, la società ha addotto la situazione di crisi economico finanziaria e del contesto del mercato in cui opera, sostenendo la necessità di dare al complesso aziendale un assetto più competitivo e ritenendo a tal fine improrogabili interventi di riorganizzazione aziendale e di revisione di alcuni assetti istituzionali (come si legge nel verbale di accordo tra la società e le organizzazioni sindacali);
   la Mercedes Benz Italia ha affermato dunque l'opportunità di ridurre i costi a fronte delle reali esigenze produttive e organizzative della società medesima;
   dalla valutazione svolta dall'azienda sarebbe emersa l'impossibilità oggettiva di riqualificare o ricollocare al suo interno il personale in esubero;
   tuttavia, a confutare quanto sostenuto da MBI vi sono ulteriori dati di cui bisogna tener conto, in quanto in contraddizione con le criticità economiche e organizzative formalizzate dall'azienda e che tracciano un profilo politico gestionale di Mercedes Benz Italia che mortifica e annulla l'impegno professionale profuso per anni dai propri dipendenti:
   in primo luogo, già a partire dal 2009 anno della prima mobilità e per gli anni successivi l'azienda a quanto consta all'interrogante avrebbe stipulato contratti di assunzione di nuove risorse, anche coincidenti con i profili professionali interessati dalla risoluzione del rapporto di lavoro;
   nel 2013, subito dopo la conclusione dell'accordo di mobilità firmato dall'azienda e dalle organizzazione sindacali, sono stati assunti un nuovo direttore e nel primo trimestre del 2014 un nuovo responsabile di settore, oltre a lavoratori con contratto di somministrazione determinando un cospicuo esborso da parte di MBI; si è anche consolidato l'utilizzo di stages;
   inoltre, la società MBI è finanziata per l'80 per cento, circa dal gruppo Daimler; dai comunicati ufficiali di tale gruppo risulta che i dati del 2014 sono in positivo e in aumento in termini di fatturato e unità vendute rispetto al 2013;
   da istituti di ricerca del settore, risulta che anche in Italia il mercato degli autoveicoli in lieve ma costante crescita per tutto il 2014, ha chiuso in positivo dopo 7 anni con aumento dell'immatricolazioni auto del 4,2 per cento e del 17,4 per cento dei veicoli commerciali rispetto al 2013;
   a confermare il bilancio positivo del gruppo Daimler si evidenzia che i dirigenti e i quadri responsabili hanno ottenuto in MBI un premio di produttività, per il quale sarebbero stati erogati circa 500.000 euro nel mese di aprile 2014; inoltre, sia nell'anno 2014 e sia negli anni precedenti, sono stati concessi aumenti di livello contrattuale e salariale ed è stata corrisposta nel mese di luglio 2014 una somma di circa 300.000 euro per riposi compensativi non usufruiti (ROL);
   se si analizza il fatturato di MBI, dal 2012 non si evincono cali tali da giustificare una ulteriore riduzione del personale avviata prima con la procedura di mobilità del 2013 e poi con ulteriori tre licenziamenti individuali effettuati a fine settembre 2014;
   alla luce di quanto sin qui esposto, le ragioni poste a fondamento dei licenziamenti appaiono all'interrogante manifestamente infondate;
   sembrerebbe infatti mancare un giustificato motivo oggettivo, così come richiesto dall'articolo 3 della legge n. 604 del 1996; questa ipotesi si verifica quando per oggettive ragioni di riorganizzazione aziendale, il datore di lavoro è costretto a privarsi di alcuni tra i suoi dipendenti che non può utilmente reimpiegare in altri comparti della sua attività; quindi, perché sia possibile procedere al licenziamento, non è sufficiente che il datore di lavoro decida di riorganizzare la produzione, poiché occorre anche che la figura professionale licenziata non sia più utile all'interno dell'azienda; diversamente l'imprenditore ha l'obbligo di ricollocare il lavoratore in un'altra posizione: vige cioè il cosiddetto obbligo di ripescaggio;
   il comportamento tenuto dalla società appare fortemente discutibile;
   sarebbe opportuno che le politiche adottate da MBI, con particolare riguardo a quei lavoratori ancora lontani dall'età pensionabile, rispettassero il diritto al lavoro garantito dalla Costituzione, specie in un momento storico come quello attuale, dove perdere il lavoro significa rimanere disoccupati a lungo –:
   se la Mercedes Benz Italia abbia correttamente applicato le norme nazionali vigenti in materia di mobilità e ammortizzatori sociali;
   se risulti per quale motivo, dopo le procedure di mobilità avviate nel 2009 e nel 2010, l'azienda abbia assunto nuovo personale per attivare poi, nel settembre 2013, ulteriore procedura di mobilità e 3 licenziamenti individuali. (4-07879)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la razza anglo-araba è tra le razze equine internazionali, come il purosangue inglese e il purosangue arabo, diffuse in molti Paesi del mondo che vengono utilizzate come miglioratrici di altre razze di cavalli;
   nel 2014 ricorrevano i 140 anni dall'istituzione, nella città di Ozieri in provincia di Sassari, del regio deposito di stalloni della Sardegna, destinato a garantire il servizio della riproduzione equina per i reparti di cavalleria dell'esercito, dando vita e continuità alla storia ultracentenaria del cavallo anglo-arabo sardo;
   la Sardegna, grazie a un perfetto equilibrio tra passione e vocazione allevatoriale ha sviluppato nel corso dei decenni un proprio coerente progetto selettivo che ha condotto, mediante sapienti incroci, selezione e meticciamento delle razze parentali con la popolazione indigena di fattrici sardo-arabe, alla creazione di una varietà locale della razza anglo-araba denominata anglo-arabo sarda;
   la razza anglo-arabo sarda ha acquisito notorietà internazionale per le sue caratteristiche di adattabilità ambientale e versatilità nelle discipline sportive equestri, nella corsa e nell'equitazione di campagna, arrivando a ricoprire una posizione centrale nella produzione zootecnica, come risorsa culturale, identitaria e con un significativo indotto sociale ed economico;
   la razza anglo-arabo sarda è inserita a pieno titolo tra le produzioni anglo-arabe di maggior rilievo internazionale, essendo la Sardegna insieme alla Francia il maggior produttore di cavalli anglo-arabi a livello mondiale. La regione Sardegna produce, infatti, quasi la totalità dei cavalli anglo-arabi allevati in Italia e, in ogni caso, la piccola quota di cavalli anglo-arabi prodotti in altre regioni originano quasi tutti geneticamente dalle linee parentali della Sardegna;
   l'anglo-arabo sardo è la razza che per l'isola ha rappresentato anche il punto di partenza per la creazione di soggetti da sella derivati e sempre in Sardegna è nata e ha sede l'Associazione nazionale allevatori del cavallo anglo-arabo e derivati (A.N.A.C.A.A.D.), dotata di personalità giuridica che conta di propri rappresentanti negli organi direttivi della Confederazione internazionale dell'anglo-arabo;
   la regione, per il tramite del suo ente strumentale Istituto incremento ippico della Sardegna, ha tenuto sino al 1990 il libro di selezione, gli archivi anagrafici e la banca dati relativa alla razza anglo-araba. Tuttavia, nel 1988 veniva approvato il regolamento del libro genealogico del cavallo da sella italiano e, alla seconda sezione dello stesso, veniva ricondotta la razza anglo-arabo sarda;
   il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, con decreto del 30 agosto 1988, approva il regolamento del libro genealogico del cavallo da sella italiano e a seguito dell'entrata in vigore della legge 15 gennaio 1991, n. 30, «Disciplina della riproduzione animale», vengono ridefinite le competenze istituzionali relative anche alla selezione, gestione e tenuta dei libri delle razze equine. Conseguentemente a ciò, l'Istituto incremento ippico della Sardegna cedeva la propria banca dati all'Ente nazionale del cavallo italiano (ENCI) con sede in Roma, incaricato della tenuta del libro genealogico del cavallo da sella italiano;
   in particolare, l'articolo 3, comma 1, della predetta legge n. 30 del 1991 affida all'Ente nazionale del cavallo italiano (ENCI) la tenuta del libro genealogico del cavallo sella italiano e, successivamente, l'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 529, recante «Attuazione della direttiva 94/174/CEE» prevede che il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali stabilisca con proprio decreto i requisiti che devono possedere le associazioni nazionali di specie o di razza per poter tenere i libri genealogici e i registri anagrafici;
   il decreto ministeriale 26 luglio 1994, n. 186 (attuativo dell'articolo 3 della legge 15 gennaio 1991, n. 30), stabilisce i requisiti tecnico organizzativi che devono possedere le associazioni nazionali di specie o di razza per poter tenere i libri genealogici e i registri anagrafici;
   la decisione n. 92/353/CEE della Commissione dell'11 giugno 1992 determina i criteri di approvazione o di riconoscimento delle organizzazioni e associazioni che tengono o istituiscono libri per gli equidi registrati;
   il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 449, sopprime l'ENCI e le sue funzioni vengono attribuite all'Unione italiana incremento razze equine (UNIRE);
   la procedura d'infrazione 2004/2069 ex articolo 226 del Trattato CE (decisione del 17 ottobre 2007) a carico del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, e quindi dell'UNIRE, contiene anche precise disposizioni per la separazione delle tre sezioni del libro genealogico del cavallo da sella italiano in altrettanti libri genealogici e, quindi, dispone la specifica creazione del libro genealogico del cavallo anglo-arabo;
   il MIPEF con proprio decreto ministeriale 12 giugno 2008, n. 3580 denominava libro genealogico del cavallo da sella italiano «Libro genealogico dei cavalli di razza: orientale, anglo-arabo e da sella Italiano»;
   la legge 15 luglio 2011, n. 111, sopprimeva l'UNIRE e al suo posto istituiva l'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (ASSI) che assumeva tutte le funzioni e obbligazioni del disciolto ente;
   il MIPEF, con decreto ministeriale 31 gennaio 2013, disponeva il trasferimento delle funzioni dell'ASSI (soppressa ex legge 7 agosto 2012, n. 135) al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e all'Agenzia delle dogane e dei monopoli;
   l'ANACAAD è l'unica associazione di allevatori di cavalli anglo-arabi e derivati che ha sede in Sardegna, dove è presente la quasi totalità dell'allevamento dell'anglo-arabo e che è in possesso di tutti i requisiti previsti dalle norme nazionali e comunitarie vigenti per la tenuta del libro genealogico;
   particolarmente, negli ultimi dieci anni, la gestione dell'anglo-arabo da parte dell'ente affidatario del libro si è rivelata insufficiente e inadeguata rispetto alle reali esigenze dell'allevamento, essendo totalmente mancata qualunque politica e indirizzo selettivo specificamente riservata alla razza;
   in conseguenza della mancanza di obiettivi finalizzati al miglioramento genetico e all'incremento qualitativo e quantitativo delle produzioni, la razza ha subito una contrazione drammatica, che l'ha posta a serio rischio di estinzione, essendo oramai il numero di fattrici in produzione al disotto della soglia dei mille capi indicata dalla classificazione FAO;
   l'utilizzo indiscriminato delle migliori linee della razza anglo-araba per la produzione di soggetti di razza da sella italiana, finalizzati quasi esclusivamente al salto degli ostacoli, ha impoverito geneticamente la stessa razza anglo-araba, compromettendo irrimediabilmente, per alcune famiglie, il valore genetico e la qualità raggiunta in un lunghissimo processo selettivo;
   a seguito delle disposizioni derivanti dalla procedura d'infrazione della Commissione europea, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali si è limitato a suddividere solo nominalmente i libri genealogici delle varie razze, mantenendo l'organizzazione delle vecchie tre sezioni, soggiacenti a obiettivi unici ma incompatibili con obiettivi di crescita e sviluppo di razze totalmente differenti per genetica, morfologia e attitudine sportiva;
   è inoltre grave il rischio di estinzione del cavallo anglo-arabo sardo venutosi a determinare per i motivi enunciati in premessa; esso è ulteriormente accelerato dalla pesante crisi del settore ippico ed equestre che ha colpito l'Italia e la Sardegna, creando devastanti conseguenze oltre che sui processi selettivi anche su quelli commerciali ed economici diretti e indiretti dell'allevamento del cavallo nell'Isola;
   allo stato attuale, il libro genealogico dell'anglo-arabo è tenuto direttamente dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, in conseguenza della soppressione dell'agenzia ASSI;
   è necessario, nell'interesse dell'allevamento e dell'economia che ne deriva, riprendere con urgenza politiche selettive adeguate alla crescita, sviluppo e consolidamento della razza e delle sue molteplici attitudini, anche incontrando le spinte del mercato per le discipline del galoppo, endurance e concorso completo di equitazione sinora purtroppo trascurate;
   l'eventuale gestione nel territorio regionale del libro genealogico del cavallo anglo-arabo, dove ha sede l'allevamento, consentirebbe evidenti economie collettive e soggettive e un miglioramento dell'efficienza nell'attività di consulenza, nella registrazione anagrafica e nell'emissione delle certificazioni, tutte competenze di cui oggi l'allevamento lamenta l'inefficienza –:
   quali iniziative intenda porre in essere per ricondurre ad una «governance» sarda la gestione del libro genealogico del cavallo anglo-arabo mediante l'affidamento della tenuta del libro genealogico alla competente associazione nazionale della razza e la relativa concessione della banca dati. (4-07846)


   MARTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   le proteste degli olivicoltori pugliesi, ed in particolare gli agricoltori dell'area salentina in corso da giorni e rivolte ai ritardi con cui sia la regione Puglia che il Governo stanno intervenendo per contrastare il batterio mortale della Xylella fastidiosa, patogeno da quarantena che sta causando la distruzione di migliaia di ettari di ulivi nel Salento, confermano, a giudizio dell'interrogante, anche per questa vicenda, la scarsa attenzione del Governo in merito alla mancata rapidità di misure finalizzate a sostenere l'economia del Mezzogiorno;
   nonostante il piano d'emergenza predisposto a livello europeo, nel mese di maggio 2014, riguardante una serie di limitazioni per l'importazione di particolari piante che ospitano il batterio, ulivo, mandorlo e oleandro, i cui interventi non sembrano aver sortito effetti positivi, l'interrogante evidenzia la manifesta assenza di misure di sostegno, da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, per sostenere gli agricoltori pugliesi ed in particolare gli operatori del settore salentini, gravemente colpiti dalla proliferazione del batterio Xyella fastidiosa, che sta provocando enormi danni all'economia territoriale;
   le dimostrazioni dei numerosi frantoiani, produttori e vivaisti, che hanno creato un comitato spontaneo la scorsa settimana a Racale in provincia di Lecce, che al momento avvengono a livello regionale, ma stanti le difficoltà che si stanno riscontrando nel contrastare il fenomeno, con ogni probabilità giungeranno anche a Roma, dimostrano la necessità di rapidi interventi sia di carattere finanziario che attraverso agevolazioni fiscali, finalizzate a sostenere il tessuto agricolo salentino, già penalizzato dagli effetti della crisi economica in corso da oltre sette anni;
   l'interrogante evidenzia come anche, l'Autorità europea per la sicurezza alimentare – EFSA avesse raccomandato all'Italia la prosecuzione e l'intensificazione delle ricerche epidemiologiche, biologiche e di controllo su un patogeno che cela ancora tanti misteri e che, purtroppo, sembra trovarsi perfettamente a proprio agio nella umida ventosa e tiepida Terra d'Otranto; tali esortazioni, tuttavia, non sembrano aver conseguito risultati positivi in termini di analisi –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento alle criticità esposte in premessa;
   se siano stati raggiunti risultati dal punto di vista della ricerca scientifica sul fenomeno della Xyella fastidiosa, che come in precedenza indicato, sta determinando effetti gravissimi per l'economia agricola pugliese e soprattutto per quella salentina, con la distruzione di migliaia di ulivi e, in caso affermativo in quale misura;
   in caso negativo, quali iniziative urgenti e necessarie intenda intraprendere, per le parti di propria competenza, al fine di incrementare il livello di studio e di ricerca epidemiologica, biologica e di controllo;
   se non convenga, infine, sulla opportunità di assumere iniziative per prevedere, in considerazione dell'elevata criticità in cui si trovano gli agricoltori pugliesi e salentini, misure di carattere finanziario e di agevolazione fiscale, anche in via temporanea, al fine di sostenere un importanti e fondamentale segmento dell'economia del Mezzogiorno quale quella pugliese legata all'attività agricola, alla quale la Xyella fastidiosa sta arrecando gravissimi danni, demoralizzando tanti giovani imprenditori salentini i quali si pongono, in maniera inevitabile, dubbi sul proseguimento della propria attività professionale. (4-07854)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ZANIN, TERROSI, PRINA, TARICCO, ROMANINI e COVA. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la coltivazione della canapa ad uso industriale, come noto, sta tornando nuovamente ad interessare il mondo economico e produttivo del nostro paese ed in particolare il mondo agricolo;
   in tutto il Paese si stanno muovendo investitori italiani e stranieri per valutare le capacità produttive delle campagne e si sta cercando di comprendere come reimpiantare una filiera fortemente penalizzata dallo storico abbandono della coltura, con conseguente deindustrializzazione del processo di trasformazione della canapa, a motivo dell'errato convincimento di molti che la pianta di canapa industriale sia uguale alla pianta di canapa utilizzata per fini illeciti;
   le cultivar di canapa ammesse ed utilizzate nell'ambito dell'Unione europea devono avere un livello di principio attivo (THC), pari o inferiore allo 0,2 per cento. Considerando che il livello di thc per ottenere un effetto psicotropo deve essere almeno del 4 per cento, siamo ben al di sotto di un livello di prudenziale sicurezza. I capisaldi della normativa vigente in materia sia a livello internazionale, comunitario e nazionale sono:
    la legge 5 giugno 1974, n. 412 di ratifica ed esecuzione della convenzione unica sugli stupefacenti, adottata a New York il 30 marzo 1961 e del protocollo di emendamento, adottato a Ginevra il 25 marzo 1972 (Gazzetta Ufficiale n. 236 del 10 settembre 1974) che all'articolo 28 comma 2 stabilisce che: «La presente convenzione non verrà applicata alla coltivazione della pianta di cannabis fatta a scopi esclusivamente industriali (fibre e semi) o di orticoltura, si stabilisce una chiara e netta distinzione tra piante da droga e non da droga»;
   il TFUE (Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) che nell'allegato I elenca alla lettera a) i prodotti agricoli cui si applicano le disposizioni del medesimo Trattato, tra cui la canapa greggia, macerata, stigliata, pettinata o altrimenti preparata, ma non filata;
   il medesimo allegato I del Trattato, alla lettera b), elenca i prodotti alimentari definendo i medesimi come «i prodotti di cui all'articolo 2 del regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002»;
    più specificamente, l'articolo 2 del regolamento (CE) n. 178/2002 definisce alimento (o prodotto alimentare, o derrata alimentare) qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito, da esseri umani. Dunque non solo la pianta da industria non può essere considerata nel novero delle sostanze stupefacenti, ma è considerata a buon titolo un prodotto agricolo, essendo per altro iscritte le varietà di canapa ammesse alla coltivazione negli appositi registri della comunità europea, ma anche un prodotto di cui si possa prevedere ragionevolmente che possa essere ingerito da esseri umani, quindi un prodotto alimentare;
    sul piano nazionale anche l'articolo 26 decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (testo unico Stupefacenti) così come recentemente modificato dalla legge di conversione n. 79/2014, all'ultimo comma stabilisce l'illiceità della coltivazione di cannabis «ad eccezione della canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali, diversi da quelli di cui all'articolo 27, consentiti dalla normativa dell'Unione europea»;
   dal combinato disposto della normativa internazionale e comunitaria sin qui citata, si evince chiaramente che la canapa ad uso industriale da un lato non è una sostanza stupefacente, dall'altro è destinata alla produzione non solo di fibre ma anche di prodotti agricoli ed alimentari;
   è dunque fondamentale definire che cosa si possa intendere per prodotti che ragionevolmente possono essere ingeriti. Al riguardo, per ottenere una chiave interpretativa valida a livello giuridico, non si può che rinviare ai numerosi studi medico-scientifici che nel corso degli anni sono stati condotti sugli effetti dei prodotti a base di canapa destinati all'alimentazione umana;
   in particolare, per restare sul piano nazionale, l'Istituto superiore di sanità ha emanato in data 16 luglio 2008 il parere prot. 66527/CNQARA/All. 22 in risposta al foglio n. 18652-P del 12 dicembre 2007 in cui veniva affrontato proprio il tema della presenza del thc negli alimenti a base di canapa. Tale parere contiene riferimenti a vari studi condotti in materia da altri Paesi per ritenere che «da un punto di vista strettamente farmacologico i valori trovati non sono ritenuti idonei a provocare effetti stupefacenti e/o psicotropi»;
   sulla scorta dei consumi giornalieri forniti dall'EFSA rielaborati con i dati dell'INRAN (Concise european food consumption database in exposure assessment) del marzo 2008, l'Istituto aveva anche elaborato delle indicazioni circa i limiti massimi di thc per i singoli alimenti a base di canapa;
   stando inoltre alla definizione contenuta nel decreto legislativo 24 marzo 2011, n. 50 che modifica l'articolo n. 70 della legge 309 del 1990 è difficile anche poter considerare la pianta di canapa un precursore di droghe:

  «Art. 70 – (Precursori di droghe). – 1. Ai fini del presente articolo si intende per:
    a) sostanze suscettibili di impiego per la produzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, di seguito denominate «sostanze classificate o precursori di droghe»: tutte le sostanze individuate e classificate nelle categorie 1, 2 e 3 dell'allegato I al regolamento (CE) n. 273 del 2004 e dell'allegato al regolamento (CE) n. 111 del 2005, compresi miscele e prodotti naturali contenenti tali sostanze. Sono esclusi medicinali, preparati farmaceutici, miscele, prodotti naturali e altri preparati contenenti sostanze classificate, composti in modo tale da non poter essere facilmente utilizzati o estratti con mezzi di facile applicazione o economici»;
   pertanto, stante i limiti quantitativi di THC contenuto nelle piante di canapa industriale, perché dall'estrazione del principio attivo si possa produrre un effetto intossicante per l'uomo sarebbe necessario procurarsi un'elevatissima quantità di materiale vegetale, difficilmente reperibile sul mercato, sottoporre la stessa ad un trattamento industriale che renderebbe antieconomico e assolutamente non percorribile il fine illecito per tramite della canapa industriale;
   la problematica principale che gli operatori del settore si trovano ad affrontare è rappresentata dall'assenza di una legislazione nazionale specifica in materia di canapa industriale che determini con certezza i limiti entro cui è possibile operare, evitando così le differenze applicative che si verificano nella prassi abituale quantomeno a livello di controlli;
   questa situazione di vuoto normativo determina un'ingiustificata ed ingiustificabile disparità di trattamento non solo di fatto tra gli agricoltori di zone diverse dell'Italia ma anche, e soprattutto, tra gli operatori italiani rispetto alle realtà presenti in altri Paesi dell'Unione europea che, al contrario, godendo da tempo di una disciplina certa ed incentivante, hanno già realizzato ed affermato modelli produttivi industriali. Le conseguenze sono evidenti: non potendo far affidamento sulla presenza di precisi limiti legislativi, le imprese italiane operanti nel settore non sono poste in condizione di essere competitive sul mercato non solo nazionale ma anche internazionale al pari di quelle presenti all'interno dell'Unione europea;
   questo è il periodo in cui si decidono i piani di coltivazione e rotazione colturale per l'anno a venire, ovvero si stabilisce la produzione agricola e, di conseguenza, la possibilità o meno di far partire una filiera ed un indotto agroindustriale; che, in sostanza, è questo il momento in cui vengono effettuate le prenotazioni dei semi da coltivare, allocando importanti risorse aziendali e pianificando l'impegno economico e produttivo per l'anno a venire;
   vengono inoltre venduti in Italia da operatori italiani (principalmente attraverso il mercato elettronico) prodotti a base di canapa contenenti innocue tracce di THC, come ad esempio the e tisane ed altri preparati alimentari, la cui produzione avviene in paesi (Germania e Repubblica Ceca tra tutti) che hanno stabilito per legge dei limiti di THC negli alimenti. Questo non può che urtare detrimento alla capacità produttiva e competitiva sul mercato europeo di aziende agricole e commerciali italiane, che hanno i mezzi produttivi per primeggiare in termini qualitativi e quantitativi su un mercato in forte espansione ma che sono di fatto bloccate da una totale mancanza di chiarezza e di raccordo tra le varie norme;
   dallo sviluppo della filiera produttiva della canapa si potrebbero generare positive conseguenze dal punto di vista occupazionale, dal momento che numerose preparazioni alimentari prevedono l'utilizzo di manodopera, determinando un ingresso nel mercato del lavoro per periodi anche più lunghi rispetto alla stagionalità dei raccolti. Inoltre si potrebbe rendere necessario utilizzare, o attrezzare laboratori di trasformazione alimentare ad hoc, determinando un impulso al commercio dei prodotti ma anche rivitalizzando l'indotto del comparto delle forniture per laboratorio alimentare, o determinando l'occupazione di nuove figure professionali dedicate;
   in realtà i limiti di THC negli alimenti risultano già determinati dall'Istituto superiore di sanità sin dal 2008 (allegato 1), ma che poi sono inspiegabilmente rimasti «lettera morta» in quanto non riportati neppure nella circolare del Ministero della salute del 22 maggio 2009 avente ad oggetto soltanto i prodotti a base di semi di canapa, senza alcune menzione a quelli a base di infiorescenza;
   sono in corso di esame in XIII Commissione agricoltura della Camera dei deputati alcune proposte di legge che affrontano i temi fin qui esposti, ma che, a causa del protrarsi degli iter procedimentali, rischieranno di vedere la luce quando le decisioni aziendali saranno già prese, causando quindi un ritardo nell'ingresso sul mercato di prodotti agroalimentari a base di canapa industriale di produzione e qualità italiane, causando un ulteriore danno all'economia agricola italiana per la mancata possibilità di competere sui mercati europei –:
   se non si ritenga assolutamente urgente – entro fine anno 2014 – stabilire con chiarezza il limite massimo di THC presente negli alimenti prodotti con derivati della canapa industriale, prendendo come spunto i suggerimenti dell'Istituto superiore di sanità;
   se non si ravveda l'opportunità di adottare un'apposita, chiara e precisa iniziativa normativa, che riconosca che tutti i prodotti derivati dalla canapa industriale, senza distinzione tra prodotti a base di semi o a base di infiorescenze, non sono da considerarsi stupefacenti, in quanto benché contenenti tracce di THC il quantitativo di principio attivo negli stessi presente non è di misura tale da provocare effetti stupefacenti e/o psicotropi, come peraltro già affermato da anni dagli stessi ISS e Ministero della salute, consentendo, di conseguenza, l'immissione sul mercato di prodotti derivanti da canapa industriale certificata e tracciata diversi dalla fibra o dal seme. (5-04696)


   CARLONI, FAMIGLIETTI, SALVATORE PICCOLO, GIORGIO PICCOLO, MIGLIORE, SGAMBATO, VALERIA VALENTE, IMPEGNO, MANFREDI, BONAVITACOLA, VALIANTE, BOSSA e PARIS. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto n. 108 del 2014 pubblicato sul Burc n. 74 del 27 ottobre 2014, riguardante l’«adeguamento dei programmi operativi 2013-2015 agli indirizzi ministeriali», e il decreto n. 121 del 2014, pubblicato sul Burc n. 80 del 27 novembre 2014, colpiscono il welfare regionale campano a danno dei disabili, in particolare di quelli affetti da disturbi psichici e sensoriali riducendo, a partire dal 1o febbraio, il numero di posti letto residenziali e semiresidenziali a favore delle persone con patologie invalidanti e/o disabilità e non autosufficienza;
   nello specifico, a partire dal primo febbraio 2015 i provvedimenti in questione, da un lato tagliano 1600 posti letto presso strutture semiresidenziali, dall'altro impongono a queste stesse strutture una riconversione in centri residenziali, pena la perdita dell'accreditamento;
   l'adeguamento delle strutture per la riconversione, però, richiede almeno due anni: nel frattempo, i pazienti saranno dislocati dove c’è disponibilità, ovvero in residenze sanitarie di riabilitazione, RSA per anziani o RSA per disabili non autosufficienti, secondo una disposizione matematica, che non tiene conto delle cure e dei programmi specifici per queste persone;
   i comuni più colpiti dagli effetti dei decreti sono quelli dell'area costiero-vesuviana, che ricadono nelle competenze dell'asl Napoli 3 Sud;
   le prestazioni residenziali e semiresidenziali alle persone colpite da handicap validante e quindi con limitata o nulla autonomia devono essere garantite sulla base del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001, riguardante i LEA, livelli essenziali di assistenza sanitaria e socio sanitaria, le cui norme sono cogenti in base all'articolo 54 della legge 289 del 2002;
   le asl, ed i comuni per la parte integrativa, sono obbligati a fornire le succitate prestazioni. Si tratta di un diritto costituzionalmente garantito dal 2o comma dell'articolo 117 della Costituzione in forza del quale le ASL ed i comuni non possono ritardare o negare le prestazioni asserendo di non avere le necessarie risorse economiche;
   quanto sopra citato è peraltro confermato da numerose sentenze, ad esempio:
    a) nella sentenza n. 36 del 2013 la Corte costituzionale ha precisato che «l'attività sanitaria e sociosanitaria a favore di anziani non autosufficienti [identiche sono le norme concernenti le persone disabili non autosufficienti, ndr] è elencata tra i livelli essenziali di assistenza sanitaria dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001»;
    b) il TAR della Lombardia, sentenza n. 785/20, ha condannato il comune di Dresano a risarcire nella misura di euro 2.200,00 il danno esistenziale subito dalla minore R.S. «in quanto l'illegittimo comportamento del Comune ha determinato uno slittamento della data di inizio del servizio (frequenza di un centro diurno per soggetti con grave handicap intellettivo) da settembre a novembre 2009». Nella sentenza viene altresì precisato che «ove i genitori avessero dimostrato che, nel periodo di colpevole ritardo dell'amministrazione comunale, essi abbiano provveduto direttamente e a proprie spese ad assicurare un servizio equivalente alla propria figlia minore, i relativi costi avrebbero rappresentato l'ammontare del danno patrimoniale risarcibile in loro favore»;
    c) in base ai principi presi a riferimento dalla succitata sentenza n. 785/2011 le ASL non possono negare o ritardare l'accoglienza residenziale delle persone con handicap in situazione di gravità nei casi in cui non sia più praticabile per qualsiasi motivo la permanenza a domicilio del soggetto non autosufficiente;
    d) l'ordinanza del TAR del Piemonte n. 381/2012 del 20 giugno 2012 ha affermato che le prestazioni relative ai centri diurni «rientrano pacificamente nei Livelli Essenziali di Assistenza» e che «gli Enti Locali coinvolti sono (...) immediatamente tenuti a far fronte ai suddetti oneri (...) essendo stati vincolati ad applicare una disposizione immediatamente precettiva introdotta a tutela di una fascia di popolazione particolarmente debole» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopraesposti e se, per quanto di competenza e anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, non ritenga opportuno assumere iniziative urgenti al fine di garantire i livelli essenziali di assistenza sanitaria, tutelando così il diritto alla salute come sancito dall'articolo 32 della Costituzione. (5-04700)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con la delibera n. 1734 del 31 dicembre 2014 dell'Asl di Caserta è stato ufficialmente proposto lo smantellamento dell'unità operativa di salute mentale dell'ospedale Sant'Anna e San Sebastiano di Caserta;
   si tratta di un'unità operativa che si occupa di servizi psichiatrici di diagnosi e cura, soprattutto in regime di trattamento sanitario obbligatorio, acuzie e ricoveri psichiatrici urgenti;
   tale unità si occupa, peraltro, di assistere pazienti provenienti da tutta l'area nord della provincia casertana: da Marcianise a Maddaloni, da Santa Maria a Vico a San Felice a Cancello, da Piedimonte Matese a Santa Maria Capua Vetere e Capua, il bacino di utenza di tale Unità copre larga parte della provincia;
   è da considerare, inoltre, che trattandosi dell'unico ospedale ad alta specializzazione del casertano, l'ospedale Sant'Anna e San Sebastiano è l'unica struttura in grado di trattare determinati casi e riceve, dunque, anche pazienti provenienti da altre province;
   la qualità assistenziale offerta dal personale infermieristico e medico è rinomatamente molto alta, aspetto da non sottovalutare in una regione, come la Campania, che negli ultimi anni ha sistematicamente detenuto i principali record negativi nazionali;
   la motivazione ufficiale addotta alla base della scelta dell'Asl di Caserta è la necessità di operare una spending review in grado di abbattere i costi;
   perciò la scelta dell'Asl è quella di chiudere il reparto e recuperare i dieci posti letto lì presenti smistandone cinque presso il reparto competente dell'ospedale San Giuseppe Moscati di Aversa (che passerebbe da dieci posti letto disponibili a quindici) e gli altri cinque presso l'ospedale San Rocco di Sessa Aurunca (con un passaggio, anche lì, dai dieci ai quindici posti letto per ricoveri);
   è del tutto evidente come tale motivazione sia insufficiente a giustificare una scelta così grave: per quanto concerne le spese, infatti, va considerato come il costo maggiore in sanità non sia quello relativo ai posti letto, bensì quello destinato al pagamento del personale, che nel caso in esame è già presente adesso presso i tre servizi psichiatrici di diagnosi e cura della ASL Caserta e dunque non si può tagliare;
   inoltre, se il problema è il costo dell'utilizzo in convenzione degli spazi presso l'ospedale di Caserta vi sono altre modalità possibili per dirimere la questione senza farne pagare lo scotto all'utenza;
   va, poi, preso in considerazione anche il dato secondo cui l'attuale rete dei posti letto previsti dalla regione Campania per l'assistenza psichiatrica conti in tutta la provincia di Caserta solo 30 ricoveri, distribuiti pariteticamente tra Caserta, Aversa e Sessa Aurunca;
   tale cifra è enormemente sottodimensionata rispetto agli standard nazionali, che prevedono un posto letto per ogni 10.000 abitanti: la provincia di Caserta conta circa 900.000 abitanti, dunque vi è, attualmente, una mancanza di ben sessanta posti letto, e una copertura totale solo dello 0,33 per cento dell'utenza potenziale;
   nella delibera si afferma, inoltre, che al taglio si sopperirà con futuri miglioramenti della rete dell'assistenza psichiatrica, senza che però vi siano indicazioni precise e specifiche su tali miglioramenti e sulle modalità che verranno utilizzate per ottenerli;
   la comprovata qualità assistenziale dell'ospedale Sant'Anna e San Sebastiano viene già costantemente messa alla prova e compromessa dalle condizioni disastrose in cui versa la struttura: vi è mancanza finanche di suppellettili ordinarie come le sedie necessarie ai pazienti;
   a tale situazione disastrosa non si può reagire limitandosi a chiudere il reparto ed a spostare pazienti come merci in altri ambulatori, poiché li solo vi sono le competenze adeguate per gestire determinate patologie;
   sarebbe allora un investimento serio ed un rilancio del reparto, ampliandolo e rendendolo adeguato agli standard nazionali, la risposta corretta da dare alla problematica in essere;
   i fatti sono narrati, tra l'altro, in articoli di stampa quali quello pubblicato con il titolo «Chiude reparto psichiatria Ospedale San Sebastiano» dal quotidiano online d'informazione «Caserta News» l'11 gennaio 2015 ed in quello pubblicato con il titolo «Caserta, l'Asl chiude la Psichiatria – Il Pd: scelta miope, città danneggiata» dall'edizione online del quotidiano «Corriere del Mezzogiorno» il 9 gennaio 2015 –:
   se non ritenga di dover intervenire affinché nella provincia di Caserta venga rispettato lo standard di un posto letto disponibile ogni 10.000 abitanti;
   se non ritenga di dover verificare che non vi siano sottodimensionamenti di questo tipo anche in altre province campane;
   se tale ridimensionamento dipende dall'attuazione del piano di rientro del disavanzo sanitario in essere in Campania e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere, per il tramite del commissario ad acta, in merito a quanto descritto in premessa. (4-07876)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazioni a risposta immediata:


   PANNARALE, GIANCARLO GIORDANO, FRATOIANNI, MARCON, AIRAUDO e PLACIDO. —Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   sulla pagina Facebook «quota 96» compare un post pubblicato il 21 agosto 2014 dal Ministro interrogato e dalla stessa mai disconosciuto, con il quale risponde ad un docente di scuola profondamente amareggiato per il dietrofront compiuto dal Governo nell'estate 2014, in occasione dell'esame del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, («decreto Madia» sulla pubblica amministrazione), sulla norma che sanava la vicenda dei cosiddetti «quota 96» e con il quale dichiara che: «L'aver escluso dal decreto sulla pubblica amministrazione tali pensionamenti non deve tuttavia essere visto come una rinuncia del Governo a dare adeguata soluzione al problema: infatti, il Presidente Renzi si riserva di valutare la questione nel quadro del pacchetto scuola che sarà varato a breve. È appena il caso di sottolineare che all'effettiva entrata in quiescenza del personale interessato corrisponde l'avvio del processo di ricambio generazionale con giovani insegnanti, tema, quello della «staffetta», che mi sta particolarmente a cuore e al quale continuo ad assicurare tutto il mio impegno. Cordiali saluti, Marianna Madia»;
   ed invero, quella dei cosiddetti «quota 96» sembra una vexata quaestio ancora lontana dalla definizione, che ha radici lontane che affondano negli effetti a parere degli interroganti nefasti e paradossali della «riforma Fornero», che, pur contemplando una norma di salvaguardia a tutela dei diritti pensionistici maturati prima della sua entrata in vigore, non tiene però conto della specificità del comparto scuola che ha da sempre usufruito di una sola finestra di uscita in coincidenza con la fine dell'anno scolastico;
   l'articolo 24, comma 3, del decreto-legge n. 201 del 2001, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011 (cosiddetto salva Italia), nell'indicare quale limite tra i vecchi ed i nuovi criteri per l'accesso al trattamento pensionistico il 31 dicembre 2011, data di conclusione dell'anno solare, senza specificare che per il comparto scuola tale limite dovesse coincidere con il 31 agosto 2012, data di conclusione dell'anno scolastico, ha penalizzato tutti quei docenti, all'epoca 4.000, nati nel biennio 1951-1952, che, nonostante a fine anno avessero maturato i requisiti (61 anni di età e 35 di contributi oppure 60 anni e 36 di contributi) e presentato relativa domanda di accesso al pensionamento, sono rimasti bloccati in servizio;
   la suddetta sfasatura discende dal combinato disposto dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 351 del 1998 («Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti in materia di cessazione dal servizio e di trattamento di quiescenza del personale della scuola»), che, al fine di evitare un disservizio e garantire la continuità didattica, impone al docente di continuare a lavorare fino alla conclusione dell'anno scolastico, e cioè fino al 31 agosto di ogni anno, vincolando così la cessazione del suo servizio «all'inizio dell'anno scolastico o accademico successivo alla data in cui la domanda è stata presentata», e dell'articolo 59 della legge n. 449 del 1997 (legge finanziaria per l'anno 1998), secondo il quale «per il personale del comparto scuola resta fermo, ai fini dell'accesso al trattamento pensionistico, che la cessazione del servizio ha effetto dall'inizio dell'anno scolastico e accademico con decorrenza dalla stessa data del relativo trattamento economico nel caso di prevista maturazione del requisito entro il 31 dicembre dell'anno»;
   nonostante l'esistenza di questa normativa speciale per i lavoratori della scuola, la «riforma Fornero», emanata nel mese di dicembre del 2011, cioè nel bel mezzo dell'anno scolastico, ha prodotto sugli stessi un effetto retroattivo in forza del quale non hanno potuto far valere, ai fini pensionistici, i requisiti maturati nell'anno scolastico 2011-2012, escludendo, in tal modo, tutti coloro che, pur avendo maturato i requisiti per il pensionamento al 31 dicembre 2011, avrebbero però potuto accedere al trattamento pensionistico al 31 agosto 2012, spostando, così, di fatto ed improvvisamente di ben 4 anni il loro esodo dalla scuola;
   il dipartimento della funzione pubblica, intervenendo successivamente all'entrata in vigore della «riforma Fornero» con la circolare n. 2 dell'8 marzo 2012, nell'affermare espressamente che rimane ferma, per le esigenze di servizio, la vigenza degli specifici termini di cessazione dal servizio stabiliti in relazione all'inizio dell'anno scolastico, non sembra che abbia voluto, invece, preoccuparsi dei problemi relativi ad eventuali sfasature temporali tra il momento in cui si verificano i fatti costitutivi del diritto (età-anzianità contributiva) ed il termine dal quale si può far valere tale diritto (cessando di fatto la prestazione lavorativa);
   da quel giorno, nonostante in questi ultimi tre anni siano intervenute a sostegno delle ragioni dei cosiddetti «quota 96» varie iniziative parlamentari da una parte, peraltro approvate, e numerose sentenze che riconoscono il diritto dei ricorrenti dall'altra, il Governo, avanzando sempre e solo l'assurdo pretesto della mancanza di risorse economiche adeguate per sanare la situazione, temporeggia oltremodo, assoggettando la scuola alle esigenze del mercato, mostrando così una sorta di accanimento contro chi ha dedicato la propria esistenza professionale alle nuove generazioni a fronte di alcun riconoscimento;
   tra le iniziative parlamentari merita una menzione l'emendamento, firmato da tutti i capigruppo delle Commissioni bilancio e lavoro ed approvato dalla Camera dei deputati, nell'estate del 2014, in occasione dell'esame del cosiddetto decreto Madia sulla pubblica amministrazione (decreto-legge n. 90 del 2014), ma successivamente stralciato al Senato della Repubblica dallo stesso Governo per l'intervenuto diniego della Ragioneria dello Stato, che ha espresso forti perplessità sul costo dell'operazione che risultava «scoperta in termini di fabbisogno e indebitamento netto ai sensi delle norme sulla contabilità», nonostante lo stesso rimandasse la liquidazione del trattamento di fine rapporto. Già precedentemente, il 27 marzo 2014, le Commissioni bilancio e lavoro si erano misurate sulla vicenda approvando all'unanimità una risoluzione conclusiva, la n. 8-00042, che impegnava il Governo a riferire alle commissioni, prima della presentazione del documento di economia e finanze 2014, in merito al reperimento delle risorse necessarie per l'adozione di urgenti iniziative normative volte a risolvere la questione degli insegnanti «quota 96». Altra iniziativa, peraltro ultima in ordine di tempo, è l'ordine del giorno n. 9/2679-bis-A/28 Pannarale ed altri, la cui approvazione all'unanimità è avvenuta in occasione dell'esame della legge di stabilità per l'anno 2015, che impegnava il Governo a trasmettere al Parlamento una relazione contenente la verifica del numero complessivo effettivo dei lavoratori coinvolti nella vicenda e a risolvere definitivamente la questione emanando una norma ad hoc che colmi la lacuna normativa e metta fine all'enorme disparità di trattamento tra lavoratori che vantano gli stessi diritti al pensionamento, impegni, peraltro, ai quali il Governo non ha ancora ottemperato;
   che la vicenda sia ancora lungi dall'essere risolta lo dimostra la recentissima decisione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di opporsi, ricorrendo in appello, alla sentenza del tribunale di Salerno che nel mese di novembre 2014 aveva riconosciuto, ridando speranza, ai 42 docenti ricorrenti di accedere al trattamento pensionistico, in deroga alla «riforma Fornero», con il vecchio regime alla data del 1o settembre 2012. D'altra parte lo stesso Governo prende tempo, nella consapevolezza che la platea dei cosiddetti «quota 96» è destinata a ridursi ulteriormente: alcuni, infatti, nel frattempo raggiungeranno i requisiti ex «riforma Fornero», altri sfrutteranno le norme di salvaguardia previste dalla legge n. 104 del 1992, altri ricorreranno ai regimi opzionali che prevedono l'esodo a fronte di una decurtazione della pensione;
   sul fronte dei numeri, ove esiste da sempre una discrepanza tra i dati riferiti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e quelli riferiti dall'Inps, stando alle recenti valutazioni fornite dai rappresentati del «comitato quota 96», frutto di un incontro tra gli stessi ed i vertici dell'Inps, l'iniziale platea che comprendeva 4.000 lavoratori, con i suddetti esodi, si sarebbe significativamente ridotta di oltre 1.300 unità. Se questi numeri fossero confermati diminuirebbe drasticamente l'importo delle risorse economiche necessarie a sanare la posizione delle 2.700 posizioni rimanenti, operazione che, tra l'altro, consentirebbe l'immediata stabilizzazione di altrettanti giovani precari in attesa di poter ricoprire le cattedre con supplenze annuali –:
   quale risulti a tutt'oggi l'esatta platea dei cosiddetti «quota 96» e come il Governo intenda dare adeguata e definitiva soluzione alle aspettative di tutti quei lavoratori della scuola che, in procinto di accedere al trattamento previdenziale, sono stati sostanzialmente beffati da una norma che ha negato loro il meritato diritto alla pensione, anche superando e risolvendo tutte le problematiche interpretative ed applicative sorte a causa dell'intervenuta «riforma Fornero», al fine di consentire a tutti coloro che lo desidereranno di esercitarlo a partire già dal 1o settembre 2015. (3-01290)


   RIZZETTO, MUCCI, BARBANTI, BALDASSARRE, ARTINI, ROSTELLATO, PRODANI, SEGONI e TURCO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   è ormai nota la vicenda degli oltre 80.000 idonei di concorsi pubblici che da anni sono senza lavoro nonostante abbiano superato le prove concorsuali a cui hanno partecipato;
   l'11 febbraio 2015 per protesta queste persone scenderanno in piazza per manifestare pubblicamente, con lo slogan «Bisogna difendere il merito». Tra loro ci saranno moltissime persone che hanno partecipato ai concorsi pubblici banditi sia per la selezione nelle forze di polizia e nelle forze armate, sia per ruoli amministrativi;
   tutti reclamano sia il diritto al lavoro, che finora è stato loro negato, sia l'applicazione della cosiddetta legge D'Alia – decreto-legge n. 101 del 2013 – sullo scorrimento delle graduatorie, che prevede per tutte le amministrazioni dello Stato l'attingimento dalle graduatorie prima di bandire nuovi concorsi pubblici;
   l'applicazione di tale legge, oltre a dare il giusto merito agli idonei, in un periodo di spending review farebbe risparmiare risorse pubbliche per l'espletamento di nuovi bandi di concorsi pubblici;
   queste persone, pur meritevoli, vivono da tempo in uno stato di incertezza che pregiudica le loro vite, si traduce in una completa sfiducia nella politica e nello Stato e che sta sacrificando una intera generazione di ragazzi. Quello stesso Stato in cui hanno creduto partecipando ad una selezione pubblica e che non premia in alcun modo il merito e i sacrifici fatti –:
   se e quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per il collocamento degli idonei di concorso attraverso lo scorrimento delle graduatorie, prima di bandire nuovi concorsi, così come disposto dal decreto-legge n. 101 del 2013. (3-01291)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   lo stabilimento Perugina Nestlè con sede in Perugia rappresenta una delle più grandi industrie del capoluogo umbro oltre che una azienda «storica» della città di Perugia (la «città del Bacio e del cioccolato») così come le Acciaierie speciali Terni lo sono per la città di Terni (la «città dell'acciaio»); lo stabilimento della Perugina occupa circa 1.000 dipendenti;
   come si apprende dalla stampa online (www.umbria24.it del 2 febbraio 2015), «Quello che prima era un timore si trasforma in vero allarme rosso. La situazione allo stabilimento di San Sisto della Nestlè-Perugina viene definita «drammaticamente pesante» dopo che la rappresentanza sindacale unitaria è stata informata che le previsioni per l'anno 2015 dei volumi produttivi saranno ulteriormente in calo rispetto all'anno precedente e, per la prima volta nella storia della fabbrica, si assesteranno ben al di sotto delle 25 mila tonnellate. La fabbrica, dunque, «subirà un forte calo di lavoro». «Malgrado i tanti impegni presi dall'azienda – spiega la Rsu – con la sottoscrizione del Contratto di solidarietà in termini di mantenimento dei volumi e delle produzioni, la realtà dei fatti ci dice invece che i volumi continueranno a diminuire e che questo comporterà ancora meno ore di lavoro per i lavoratori. Come se non bastasse da voci di corridoio si sussurra che nelle prossime settimane assisteremo allo smantellamento di qualche impianto “storico” della fabbrica, con il rischio certificato di eliminare qualsiasi tentativo di rilancio per i prodotti ad esso legati»;
   il presidente della regione Umbria, Catiuscia Marini, ha già convocato il responsabile delle relazioni industriali di Nestlè Italia, Gianluigi Toja, per avere un chiarimento;
   invero già da alcuni anni i dipendenti della Perugina di San Sisto di Perugia, visto l'andamento della produzione e l'inerzia della dirigenza dell'azienda, hanno denunciato il rischio di un progressivo smantellamento e perdita di volumi della produzione dello stabilimento;
   a parere dell'interrogante, se è pur vero che anche la Perugina soffre della negativa congiuntura economica, è altrettanto vero che il decremento della produzione in termini di quantità prodotte, i mancati investimenti in nuovi prodotti, in tecnologie e linee di produzioni unitamente alla riduzione della loro varietà, la dismissione di produzioni perché considerate troppo costose o fuori mercato, il disinvestimento di marchi «storici» con la produzione dei noti cioccolatini «Baci» destinati al mercato francese senza lo storico marchio «Perugina» e senza qualsiasi riferimento allo stabilimento di Perugia (come già denunciato già nell'interrogazione n. 4-01801 rimasta priva di risposta), una politica aziendale «timida» e il ricorso «fisiologico» alla cassa integrazione e ai contratti di solidarietà come strumento per sopperire al calo della produzione, rappresentano le cause della crisi dello stabilimento perugino;
   a tutt'oggi la dirigenza non ha fornito alcuna risposta concreta in termini di investimenti o rilancio dell'attività e rimane forte la preoccupazione tra i lavoratori per il proprio futuro occupazionale;
   vi è il concreto pericolo che la multinazionale Nestlè, proprietaria dello stabilimento di San Sisto, possa «ridimensionare» o «delocalizzare» l'attività produttiva con immaginabili ricadute economiche e sociali in termini occupazionali in un territorio quale quello umbro già marcatamente colpito dalle crisi in atto;
   è necessario un intervento del Governo nazionale che si ponga come interlocutore forte nei confronti della multinazionale svizzera affinché faccia chiarezza sulle intenzioni della dirigenza e scongiuri il temuto ridimensionamento dello stabilimento di San Sisto con l'effetto di pesanti ricadute in termini di costi sulla collettività –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione descritta e se conosca quali siano le effettive intenzioni della dirigenza della Nestlè in merito al futuro dello stabilimento della Perugina con sede in Perugia;
   se non ritenga opportuno convocare le rappresentanze tutte dei lavoratori, l'azienda e le istituzioni locali e regionali ed aprire un tavolo di confronto a livello nazionale finalizzato alla individuazione e condivisione delle linee guida di un piano industriale che abbia come obiettivi prioritari la salvaguardia dei livelli occupazionali e il potenziamento produttivo dello stabilimento perugino con idonei investimenti così da scongiurare l'ipotesi del temuto ridimensionamento o peggio ancora della «delocalizzazione» della produzione.
(2-00836) «Ciprini, Gallinella, Tripiedi, Cominardi, Chimienti, Lombardi, Dall'Osso, Da Villa, Crippa, Della Valle, Fantinati, Lupo, Vallascas, L'Abbate, Massimiliano Bernini, Benedetti, Gagnarli, Parentela, Vignaroli, Battelli, Luigi Di Maio, Fico, Fraccaro, Nesci, Petraroli, Dell'Orco, De Lorenzis, Nicola Bianchi, Carinelli, Liuzzi».

Interrogazione a risposta orale:


   LUIGI GALLO, BATTELLI, SIBILIA, TOFALO, FICO, COLONNESE, DAGA, ZOLEZZI, MANNINO, SEGONI, BUSTO e MICILLO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la centrale termoelettrica di Napoli Levante, sita in via Stradone Vigliena n. 9, Napoli, di proprietà della Tirreno Power, è entrata in funzione, secondo quando dichiarato dal promotore, in data 9 settembre 2008. Nel punto dove ora sorge la centrale il piano regolatore generale in discussione in quella fase prevedeva di «realizzare una struttura dedicata ai giovani e alla musica». La variante fu poi stravolta nella fase «di adozione delle controdeduzioni alle osservazioni». Venne accolta dal consiglio comunale di Napoli l'osservazione n. 76 alla variante, presentata da Interpower (oggi Tirreno Power S.p.a.), che reclamava di continuare a mantenere, l'uso del sito. Di conseguenza si deliberò che a Vigliena doveva essere costruita una nuova centrale termoelettrica a ciclo combinato (delibera del consiglio comunale n. 137 del 22 luglio 2003). L’iter del piano regolatore generale vigente si è concluso con l'approvazione del DPGRC n. 323 dell'11 giugno 2004;
   la procedura nella fase di adozione del piano regolatore generale non consentì ai residenti nessuna opportunità di intervento rispetto alla novità rappresentata dall'osservazione n. 76 che di fatto cambiava le carte in tavola;
   la «Tirreno Power s.p.a.», nel giugno del 2004, ha attivato le procedure per costruire la nuova centrale turbogas di Vigliena, chiedendo – ed ottenendo – la non assoggettabilità alla procedura di VIA, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 377 del 10 agosto 1988, che testualmente recita: «Il comma 2 non si applica ad eventuali interventi di risanamento ambientale di centrali termoelettriche esistenti, anche accompagnati da interventi di ripotenziamento, da cui derivi un miglioramento dello stato di qualità dell'ambiente connesso alla riduzione delle emissioni». Il richiamato comma 2, che si è chiesto di non utilizzare, stabilisce, in ogni caso, che la VIA «... si applica altresì agli interventi su opere già esistenti... qualora da tali interventi derivi un'opera con caratteristiche sostanzialmente diverse dalla precedente ...». Essendo l'impianto effettivamente realizzato sostanzialmente diverso da quello a giudizio degli interroganti, si doveva, e si deve, procedere all'adempimento della VIA. Che quella costruita sia una centrale ex novo, lo si evince dal fatto che la vecchia centrale è stata completamente demolita e quella nuova è stata realizzata su uno spazio adiacente;
   gli stessi elaborati resi noti dalla «Tirreno Power spa» evidenziano che l'impianto è radicalmente diverso da quello precedente. Un'ulteriore conferma emerge anche dalla comparazione dei dati tecnici contenuti nel decreto di autorizzazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 12 aprile 2005 dal quale si evidenzia che nel nuovo impianto sono state montate nuove e diverse apparecchiature;
   altra dimostrazione di quanto qui si sostiene può essere rinvenuta dalla lettura del verbale della seduta del 25 maggio 2002 tenutasi nella ex circoscrizione di San Giovanni a Teduccio;
   in tale riunione un dirigente dell'allora «Interpower S.p.A.» – poi divenuta «Tirreno Power S.p.A.» – in riferimento alla nuova opera dichiarò: «... si tratta di costruire una centrale ex novo perché l'intendimento di Interpower è quello di abbandonare i gruppi esistenti (tranne le opere minori) e costruire radicalmente un impianto a ciclo combinato»; ed ancora: «... la valutazione di impatto ambientale è prevista dalla legge. Lei può realizzare la centrale più pulita di questo mondo però, se fa un impianto di generazione, deve assoggettarsi ad una VIA regionale o nazionale. Dunque, noi lo dobbiamo fare perché lo prevede la norma»;
   una ulteriore conferma che quello costruito a Vigliena è a tutti gli effetti un impianto ex novo, soggetto quindi alla procedura di VIA, venne confermata dal direttore generale della Tirreno Power ingegnere Giovanni Gosio, che in data 18 luglio 2007 nel corso di una audizione della 13a Commissione Ambiente del Senato tenuta «a seguito dell'indagine conoscitiva sui cambiamenti climatici» (resoconto sommario della seduta n. 100 del 18 luglio 2007), dichiarò: «In data 18 maggio 2005 l'allora Ministero delle Attività produttive ha autorizzato la trasformazione in ciclo combinato della centrale, originariamente costituita da tre gruppi termoelettrici tradizionali alimentati ad olio combustibile ed a gas naturale, tramite la realizzazione di una nuova unità, da 400 MW, alimentata esclusivamente a gas naturale»;
   considerate quindi le caratteristiche dell'installazione di Vigliena – il cui progetto già prevedeva che l'impianto fosse ricostruito di sana pianta –, si ritiene che non poteva essere accolta la richiesta di esclusione della procedura di VIA che, al contrario, doveva e deve essere obbligatoriamente fatta;
   il punto in questione non è marginale poiché la VIA potrebbe mettere in luce una sicura incompatibilità della struttura con il territorio. Si aggiunga poi che, trattandosi di un nuovo impianto, la Tirreno Power dovrebbe versare i contributi previsti dalla legge 23 agosto 2004, n. 239, articolo 1, comma 36; invece la proprietà, spacciando la nuova opera per pseudo riconversione della vecchia centrale, a giudizio degli interroganti riesce ad eludere tale consistente onere economico. Infatti, nella delibera della giunta comunale di Napoli n. 2328 del 20 aprile 2006, avente per oggetto: «Presa d'atto della convenzione del 6 aprile 2006 tra la Regione, la Provincia, il Comune e la Tirreno Power S.p.a., ai sensi di quanto previsto dalla legge del 23 agosto 2004 n. 239 – misure di compensazione e riequilibrio ambientale» si prevede che la Tirreno Power verserà (solo) un milione di euro al Comune «per la realizzazione di iniziative e progetti tesi a migliorare la qualità dell'aria, promuovere il risparmio energetico e l'utilizzo di fonti rinnovabili nella Città di Napoli ed in particolare nell'area interessata dalla centrale»;
   tutto ciò è avvenuto ed avviene senza dare seguito alle procedure previste dalle leggi e dalle direttive dell'Unione europea per quanto concerne l'informazione e la partecipazione del pubblico al procedimento (cfr. direttiva 96/61/CE del Consiglio del 24 settembre 1996 – prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento – IPPC – accesso all'informazione e partecipazione del pubblico alla procedura di autorizzazione; direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001; decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152; legge 7 agosto 1990, n. 241; convenzione di Aarhus, Danimarca, del 25 giugno 1998 ratificata dall'Unione europea il 17 febbraio 2005 – 2005/370/CE – relativa alla conclusione, a nome della Unione europea, della convenzione sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale);
   da una relazione del Ministero dello sviluppo economico del 30 aprile 2008, protocollo 1676 (dipartimento per la competitività – direzione generale per l'energia e le risorse minerarie), avente per oggetto le autorizzazioni di quattro centrali termoelettriche per il «riesame ai sensi degli articoli 9, comma 4, e 17, comma 4, del decreto legislativo n. 59 del 2005», figura l'autorizzazione n. 55/01/2005 del 18 maggio 2005 rilasciata alla Tirreno Power s.p.a per l'impianto di Vigliena. Nel paragrafo «Iter del procedimento Amministrativo» si legge che: «In data 27 giugno 2007, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, onorevole Pecoraro Scanio, ha sottoposto all'attenzione del Ministro dello sviluppo economico, onorevole Bersani, la richiesta di verificare la necessità di procedere all'esame delle autorizzazioni alla realizzazione di centrali termoelettriche, adottate ai sensi sia del previgente decreto del Presidente della Repubblica n. 53 del 1998 sia della legge n.55 del 2002 rilasciate da questa amministrazione precedentemente all'entrata in vigore del citato decreto legislativo n.59 del 2005, ivi comprese le centrali di cui all'oggetto». Tale richiesta veniva avanzata ai sensi del combinato disposto degli articoli 9, comma 4, e 17, comma 4, del medesimo decreto legislativo;
   secondo quanto prospettato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, le autorizzazioni rilasciate dall'allora Ministro delle attività produttive «non contenevano tutti gli elementi essenziali richiesti dalla normativa comunitaria di IPPC, con riferimento, ad esempio, ai profili riguardanti l'individuazione delle migliori tecnologie disponibili, la gestione dalle situazioni diverse dal normale esercizio, la programmazione di monitoraggi e controlli, la partecipazione del pubblico al procedimento di AIA»;
   in data 8 giugno 2004, la regione Campania, il comune e la provincia di Napoli, sottoscrissero un protocollo d'intesa con la Tirreno Power. Gli enti pubblici, nel dare il loro consenso alla realizzazione della centrale, disposero un'indagine epidemiologica (per il particolare degrado dell'area che è compresa nei siti di interesse nazionale). Durante la convocazione in seduta straordinaria del Consiglio della VI municipalità (SAN GIOVANNI, BARRA E PONTICELLI) fu ufficialmente consegnato dal presidente della commissione, nel mese di giugno del 2008, un'indagine redatta direttamente dalla Tirreno Power;
   nella variante al piano regolatore generale (centro storico, zona orientale, zona nord-occidentale) approvata con decreto del presidente della giunta regionale della Campania n. 323 dell'11 giugno 2004 – norme d'attuazione – testo coordinato –, parte I, disciplina generale –, all'articolo 29 (sottozona Ac – porto storico), al punto 5, lettera a), si era stabilita «la dismissione di tutte le attrezzature e gli impianti riguardanti il traffico petrolifero per le quali si prevede una nuova localizzazione al di fuori del golfo di Napoli, previo accordo con la regione Campania e le altre amministrazioni competenti. Nelle more della nuova localizzazione e per il tempo, a tal fine strettamente necessario, sono consentite trasformazioni orientate esclusivamente al miglioramento della sicurezza e dell'impatto ambientale». Tale determinazione è stata modificata l'11 dicembre del 2006 con la sottoscrizione di un protocollo d'intesa tra regione Campania, comune di Napoli, Napoli Orientale S.c.p.a., Kuwait Raffinazione e Chimica. S.p.A.. L'accordo in questione prevede la permanenza di dette attività per almeno altri venti anni. Ciò significa che la darsena petroli, ubicata a Vigliena, resterà in funzione per analogo periodo e nel sito si continueranno a scaricare tonnellate di carburanti;
   il nuovo terminal di Levante, attualmente in costruzione, costituirà, di fatto, un unicum con l'area della centrale termoelettrica. Si tratta di una infrastruttura invasiva che presenta molteplici fattori di criticità come pure si evince dalla lettura del relativo decreto di VIA, rilasciato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, protocollo n. 5 del 9 gennaio 2008, parere numero 966 del 24 luglio 2007, avente per oggetto: «Adeguamento darsena di levante a terminal contenitori mediante colmata e conseguenti opere di collegamento nel Comune di Napoli per la costruzione del nuovo Terminale Contenitori di Napoli Levante»; «adeguamento della Darsena di Levante a terminal contenitori, mediante colmata e conseguenti opere di collegamento»;
   dai progetti resi noti dall'autorità portuale di Napoli si dà notizia che sono già in costruzione mega portacontainer, che dovranno scaricare sui moli di Vigliena le loro merci. Per effetto di questo progetto la centrale si ritroverà ad essere incastonata tra le banchine del porto. Le stesse condotte atte a prelevare e ad immettere acqua del mare, indispensabili per il raffreddamento della centrale, saranno collocate nel punto in cui dovranno essere ormeggiate le navi;
   dal sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare risulta che in data 15 gennaio 2009 (protocollo DSA-2009-0000073), la Tirreno Power ha inoltrato la domanda per ottenere il rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA). La domanda sta seguendo l’iter previsto. Sempre dal sito del Ministero risulta che dal 13 dicembre 2012 la richiesta è in fase istruttoria presso la Conferenza dei servizi;
   in pratica si rileva, purtroppo, che anche in questo caso la procedura sinora attuata, nelle diverse fasi espletate, si basa ancora sugli stessi presupposti che consentirono nel 2005 alla Tirreno Power l'autorizzazione per realizzare l'impianto di Vigliena. Cioè, senza assumere le molteplici criticità dell'area, che inducono, invece, a desistere dal riconfermare la permanenza in loco di un simile impianto;
   la Conferenza dei servizi che sta vagliando la richiesta dovrebbe recepire che sul sito della protezione civile è stata pubblicata l'11 gennaio 2013 la mappa della nuova delimitazione del Piano nazionale di emergenza per il Vesuvio. La zona di San Giovanni a Teduccio viene ricompresa, dal nuovo piano, nella zona rossa ponendo ulteriori vincoli al tema indifferibile della sicurezza;
   i recenti drammatici fatti di Genova dovrebbero indurre ad elevare la soglia della sicurezza che in condizioni come quella descritta deve essere molto elevata;
   altresì non possono essere rimossi i rischi di esplosione insiti in una centrale termoelettrica. Si ricorderà, infatti, che nella città di Middletown (Connecticut, USA), il 7 febbraio 2010 esplose la locale centrale turbogas;
   l'esplosione fu udita a 50 chilometri di distanza, causò la morte di 5 operai e decine di feriti, radendo al suolo edifici ed alberi nel raggio di 1 chilometro;
   la Tirreno Power, sempre nella documentazione acclusa alla domanda per ottenere il rinnovo dell'Autorizzazione integrata ambientale (Allegato A24, relazione sui vincoli territoriali, urbanistici ed ambientali, al punto 2.3 pianificazione di livello comunale), insiste sullo scarso valore dei luoghi in cui è ubicata la centrale. Scrive, infatti, nel suo elaborato: «Infine è stata consultata la cartografia di piano al fine di verificare la presenza di eventuali vincoli (tavole n. 12, 13 e 14 del piano regolatore generale), da cui si evince che l'Area di studio non è classificata come area di interesse archeologico né è assoggettata a vincoli geomorfologici o paesaggistici...»;
   con queste sue affermazioni la Tirreno Power continua ad ignorare le prescrizioni contenute nel decreto Map n. 55-01-2005 con il quale si autorizzava a realizzare la centrale. Le prescrizioni definite dal Ministero per i beni e le attività culturali restano inapplicate. Se mai le autorità preposte dovessero decidere la loro piena attuazione, l'intero progetto dell'area dovrà essere riscritto;
   lo stesso decreto di Via, rilasciato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, protocollo n. 5 del 9 gennaio 2008, parere numero 966 del 24 luglio 2007, avente per oggetto «Adeguamento darsena di levante a terminal contenitori mediante colmata e conseguenti opere di collegamento nel Comune di Napoli per la costruzione del nuovo Terminale Contenitori di Napoli Levante», precisa che: «Si richiama, inoltre, l'attenzione di codesto Ministero sulla presenza, a breve distanza, di talune emergenze, quali lo storico Fortino di Vigliena e l'edificio della Cirio, anch'esso sottoposto a tutela ai sensi del decreto legislativo 42 del 2004 parte II Titolo I per il suo particolare interesse culturale ...» (...) questo Ufficio, esaminati gli elaborati presentati, fa rilevare che l'area oggetto dell'intervento è posta tra quello che era l'antico territorio di Neapolis e quello delle città distrutte dall'eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo, con attestazione di insediamenti relativi a ville di epoca romana –:
   se e come sia disposta, ai sensi dell'articolo 9, comma 4, del decreto legislativo n. 59 del 2005, la verifica dell’iter seguito per il riesame del rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA), richiesta dalla Tirreno Power il 15 gennaio 2009 per la centrale turbogas di Vigliena, in considerazione dell'impatto ambientale costituito dall'insieme dei progetti previsti, considerato anche che l’iter per il rilascio del rinnovo dell'AIA non è ancora concluso, e che è intervenuta una significativa novità costituita dal nuovo Piano nazionale di emergenza per il Vesuvio;
   se e come il tema delle partecipazioni del pubblico al procedimento per il rilascio della nuova autorizzazione dell'Aia, si ritenga assolto dalla pubblicazione di un trafiletto nelle pagine di un giornale così come chiesto dalla Tirreno Power con una raccomandata del 2009, protocollata presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (E. prot. DSA – 2009 – 0004111 del 20 febbraio 2009), il quale replicava che: «... Tirreno Power (provvederà), entro 15 giorni... alla pubblicazione su un quotidiano a diffusione nazionale dell'allegato avviso al pubblico relativo all'avvio della procedura di riesame in oggetto»;
   se e come il Ministero dell'ambiente del territorio e del mare intenda far partecipare il comitato civico di San Giovanni a Teduccio al procedimento riguardante le determinazioni sulla centrale di Vigliena, considerato che «Nella Commissione Ambiente tenutasi il giorno 6 agosto 2008 presso la sede del Consiglio Comunale di Napoli in via Verdi, il Comitato Civico San Giovanni ha chiesto di essere inserito nelle conferenze di servizio relative alla Centrale Turbogas di Vigliena, al fine di garantire la maggior trasparenza delle procedure e la partecipazione dei cittadini nell'ambito del rispetto delle normative vigenti (legge 241 del 1990);
   se e come, alla luce dell'insieme dei progetti presenti nell'area, siano disposte l'effettuazione della Via e della Vas;
   se e come si sia verificata l'applicazione delle prescrizioni del Ministero per i beni e le attività culturali contenute nel decreto Map n. 55-01-2005, e se sia stata sanzionata la loro eventuale inosservanza;
   se ci si appresti realmente a raddoppiare l'impianto di Vigliena, stante quanto riportato nell'articolo «Repovvering di Napoli levante» apparso sulla rivista Power Generation News – Ansaldo energia, anno XII, trimestrale 2010, posto che nell'articolo si afferma che: «La nuova configurazione della centrale e i serbatoi dell'acqua sono stati progettati in previsione della possibilità di collocare un'altra unità a ciclo combinato in futuro», anche perché, considerato che l'Ansaldo ha costruito l'impianto, la notizia appare più che fondata;
   se il rumore emesso dall'impianto rispetti i limiti definiti dalla normativa, tenuto conto che, nelle abitazioni circostanti la centrale, il rumore prodotto costringe i residenti a vivere barricati in casa;
   se e quali sostanze siano state scaricate in mare nel mese di agosto 2012, considerato che nella relazione allegata alla richiesta della Tirreno Power di rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale del 15 gennaio 2009, si evince – allegato B.18 –, che il trattamento previsto per le acque oleose, al punto 1.2.6.1, prevederebbe che: «Tali reflui provengono essenzialmente dai drenaggi dell'area trasformatori, dalle apparecchiature lubrificate con olio, dal lavaggio dei pavimenti, dagli scrubbers del gas naturale e dalle acque meteoriche potenzialmente oleose» e la documentazione Arpac in merito afferma: «I risultati del campionamento di acqua di mare del 23 agosto hanno evidenziato odore di idrocarburi presenti in notevole quantità, un colore giallo chiaro con assenza di schiuma nel campione»;
   perché nel caso di specie non sembra sia osservato l'articolo 142, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004, «aree tutelate per legge», che include «i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare» –, come territori da salvaguardare e tutelare;
   se e come si intendano raccogliere informazioni per conoscere la natura degli allarmi emessi dalle sirene della centrale in diverse occasioni, affinché sia garantita la sicurezza per la popolazione che vive nell'area. (3-01278)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SANGA e CARNEVALI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le notizie di stampa riportano il piano di riorganizzazione nazionale 2013/2014 di Poste Italiane spa che prevede la chiusura di 65 uffici postali in Lombardia e la limitazione dei giorni di apertura di altri 120 uffici;
   la possibilità concreta che il piano d'impresa 2015/2019 possa prevedere ulteriori tagli e limitazioni al servizio;
   sono pervenute numerose segnalazioni di disservizio dell'attività di Poste italiane spa nel territorio della provincia di Bergamo;
   il territorio bergamasco subirà gravi penalizzazioni e ricadute negative anche dal punto di vista occupazionale –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda attivare per garantire la qualità ed efficienza del servizio sull'intero territorio bergamasco e lombardo, con particolare attenzione alle aree montane. (5-04683)


   CAPARINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il processo di razionalizzazione avviato negli ultimi anni dalla società Poste italiane spa ha portato alla chiusura di molti uffici e al ridimensionamento degli orari di apertura degli sportelli, causando notevoli difficoltà nella gestione operativa degli uffici e generando una diminuzione della qualità del servizio fornito alla clientela, argomenti oggetto di atti di sindacato ispettivo a firma dell'interrogante, anche nella passata legislatura;
   Poste italiane sta continuando su questa linea e nel piano di riorganizzazione nazionale si prevede per la Lombardia la riorganizzazione di circa 180 uffici postali dei quali circa 121 soggetti a ridimensionamento e altri 61 a rischio chiusura. Per la provincia di Brescia pare sia prevista la chiusura di circa 10 uffici e l'apertura a giorni alterni per altri 8 – si parla di tre giorni a settimana a fronte delle attuali aperture quotidiane – per un totale di 18 uffici;
   la lista degli uffici postali da chiudere o ridimensionare non è ancora stata ufficialmente diffusa da Poste italiane ma da indiscrezioni di stampa risulta che sedici sportelli postali in provincia di Brescia chiuderanno o saranno aperti solo tre giorni la settimana. In provincia di Brescia chiudono le sedi di Botticino Mattina, Castelletto di Leno, Mazzano, Provezze di Provaglio d'Iseo, Brozzo di Marcheno, Cogno di Piancogno, Cogozzo di Villa Carcina e Magno di Gardone Valtrompia e i cui cittadini dovranno rivolgersi ad altri sportelli di frazioni o comuni vicini. A giorni alterni, invece, saranno aperti quelli di San Martino della Battaglia a Desenzano, San Pancrazio a Palazzolo, Incudine in Valcamonica, ma anche Maderno, Ono San Pietro, Ponte Caffaro a Bagolino, Prestine e Valvestino descritte da Poste italiane come sedi «inefficienti, antieconomiche e che non svolgono un numero sufficiente di operazioni da giustificarne costi di personale e di sede»;
   i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale;
   con la soppressione di ufficio o del suo ridimensionamento i primi a pagarne le conseguenze saranno gli utenti, soprattutto le categorie più deboli, già disagiati per le criticità che presentano i territori montani nei quali vivono;
   il 4 febbraio 2015 al sindaco del comune di Incudine (provincia di Brescia) è stata notificata da parte di Poste italiane una comunicazione ai sensi della delibera dell'AGCOM n. 342/14/CONS del 26 giugno 2014 per cui a partire dal 13 aprile 2015 sarà modificato l'orario di apertura al pubblico dell'ufficio postale con l'apertura a giorni alterni anziché giornaliera come previsto attualmente, ovvero si procederà alla modifica dell'orario di apertura e si adotterà tale variazione: lunedì, mercoledì e venerdì dalle ore 8,20 alle ore 13,45; la giustificazione di Poste italiane è nella necessità di adeguare l'offerta all'effettiva domanda dei servizi postali nel territorio di Incudine;
   è evidente che ci sia una reale quanto imprescindibile necessità di orientare la gestione dei servizi alla sostenibilità economica ma a scapito del mantenimento di alcuni presidi, soprattutto in zone periferiche come quelle montane che, anche a causa di questi processi di razionalizzazione, saranno così sempre più soggette all'abbandono ancor più considerato che in base alla delibera dell'AGCOM menzionata nella lettera di Poste italiane, le zone rurali e montane sono meritevoli di specifica considerazione nell'ambito del servizio postale universale. Al fine di garantire un livello di servizio adeguato in tali aree, Poste italiane deve tener conto delle particolari esigenze da garantire ai comuni che si caratterizzano per la natura prevalentemente montana del territorio e per la scarsa densità abitativa;
   l'articolo 2 della delibera AGCOM n. 342/14/CONS intende per «comune montano» i comuni contrassegnati come totalmente montani nel più recente elenco dei comuni italiani pubblicato dall'ISTAT. Il comune di Incudine conta 407 abitanti ed è situato ad una altitudine di 910 metri sul livello del mare ed è qualificato dall'ultimo aggiornamento ISTAT proprio come comune totalmente montano –:
   se non si intendano assumere iniziative affinché tra i 3 giorni determinati ci sia anche il sabato;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per garantire che il servizio postale universale in un comune denominato dall'ISTAT come totalmente montano come Incudine si conformi ai principi di appropriatezza e qualità;
   quali iniziative, per quanto di sua competenza, intenda intraprendere al fine di scongiurare la possibile chiusura di uffici postali e/o il ridimensionamento di orario per garantire l'erogazione, in particolar modo in un momento così difficile per l'economia e soprattutto in zone che sono già disagiate a causa della loro posizione territoriale, di un servizio efficiente ai cittadini ed alle attività produttive che operano nella provincia di Brescia.
(5-04687)


   MAGORNO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il piano di ristrutturazione aziendale di Poste Italiane spa prevede per il 2015 pesanti tagli al personale e la chiusura di numerosi uffici sul tutto il territorio nazionale;
   questa riorganizzazione, in Calabria, comporterebbe la chiusura di 25 uffici postali e la razionalizzazione di altri 35, con consequenziale riduzione sia dell'organico che degli orari e delle giornate d'apertura;
   siffatta scelta potrebbe causare notevoli disagi ai cittadini oltre a provocare un'ulteriore marginalizzazione dei piccoli comuni e ad incrementare la già grave crisi occupazionale ed economica in una regione ormai compromessa dalla carenza di strutture e servizi essenziali e importanti;
   a parere dell'interrogante, la politica dei tagli, che indiscriminatamente si stanno facendo, segue una logica esclusivamente ragionieristica, tralasciando l'essenziale funzione sociale propria di un servizio pubblico, non tenendo affatto conto né delle peculiarità dei singoli territori né delle esigenze e delle criticità delle diverse realtà locali;
   alla luce di tali considerazioni, sempre ad avviso dell'interrogante, risulta evidente che bisogna tutelare lavoratori e utenti, in quanto simili decisioni non sono esclusivamente aziendali ma interessano la collettività, proprio perché rischiano di avere un impatto devastante per il tessuto economico, sociale e culturale dell'intero territorio, determinando, inevitabilmente, effetti negativi sulla qualità della vita –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto e quali iniziative urgenti, nell'ambito delle proprie competenze, intenda assumere, al fine di scongiurare in Calabria la prevista chiusura di 25 uffici postali e la razionalizzazione di altri 35 nonché di accertare che il piano di ristrutturazione aziendale, per come pensato, rispetti gli standard minimi di qualità per il «servizio universale» che Poste Italiane spa deve garantire, in ottemperanza del vigente contratto di programma stipulato con il Ministero dello sviluppo economico. (5-04688)


   ANZALDI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 dicembre 2014 entra in vigore in Italia il regolamento comunitario 1169/11 il quale non prevede più l'obbligatorietà dell'indicazione in etichetta della sede dello stabilimento di produzione del prodotto;
   con un ordine del giorno a firma dell'interrogante approvato dalla Camera il 2 dicembre il Governo ha accolto l'impegno ad attivare presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, entro 30 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della legge di stabilità per il 2015, un tavolo istituzionale di confronto con le parti interessate al fine di verificare la possibilità di modificare il regolamento europeo 1169/2011, con l'obiettivo, in riferimento alle etichettature dei prodotti, di tutelare la trasparenza e la qualità nell'interesse dei consumatori e del made in Italy;
   in data 9 gennaio 2015 il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali ha inviato una lettera al Ministro dello sviluppo economico per chiedere il ripristino della indicazione dello stabilimento in considerazione della richiesta da parte dei cittadini e organizzazioni di categoria di maggiore trasparenza;
   per il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali un intervento normativo in questo senso può ulteriormente rafforzare la tutela e la credibilità dei prodotti made in Italy, oltre che rassicurare i consumatori sulla trasparenza delle informazioni;
   molte aziende italiane, infatti, hanno già dichiarato che continueranno a dare questa informazione al consumatore, utilizzando questo strumento come un segno di distintività contenute in particolare nell'etichetta dei beni alimentari;
   lo stesso Ministero sul proprio sito del 7 novembre 2014 ha coinvolto i cittadini su questo tema con oltre 21 mila risposte giunte che saranno portate a Bruxelles per evidenziare quanto sia importante conoscere l'origine degli alimenti –:
   in considerazione di quanto illustrato in premessa, se e quali iniziative si intendano assumere per supportare l'azione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e consentire l'attivazione del tavolo istituzionale così come previsto dall'ordine del giorno citato finalizzato al reinserimento della obbligatorietà dell'indicazione dello stabilimento di produzione per una maggiore trasparenza e per valorizzare la qualità del made in Italy o, in caso contrario, se intenda chiarire motivazioni di quella che appare all'interrogante una mancanza di volontà nel procedere a tale revisione. (5-04690)


   CANI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Ministero dello sviluppo economico del 7 ottobre 2008 impone specifici vincoli di presenza di Poste italiane al fine di garantire la fruibilità e la continuità del servizio, anche nelle realtà territoriali più remote e disagiate;
   il citato decreto, oltre a stabilire le distanze massime dagli uffici postali per percentuali di popolazione residente, nonché l'obbligo di operatività di almeno un ufficio postale nel 96 per cento dei comuni italiani, sancisce, altresì, l'espresso divieto di soppressione di uffici postali presidio unico sul territorio comunale (articolo 2, comma 4);
   la citata disciplina prescinde da valutazioni di tipo economico quando impone a Poste italiane la fruibilità e continuità del servizio e la garanzia della permanenza di presidi unici sul territorio comunale;
   in base all'articolo 2, comma 6, del contratto di programma 2009-2011 tra il Ministero dello sviluppo economico e Poste italiane spa, quest'ultima è tenuta a trasmettere all'AGCOM, all'inizio di ogni anno, l'elenco delle strutture che non garantiscono condizioni di equilibrio economico, unitamente al piano degli interventi per la loro progressiva razionalizzazione corredato della quantificazione dei minori costi;
   l'amministratore delegato di Poste italiane s.p.a., Francesco Caio, in data 5 novembre 2014 è stato ascoltato in audizione alla Commissione industria del Senato sulla situazione del settore postale e sulle prospettive di Poste italiane s.p.a.: in tale sede ha dichiarato che dei 13 mila sportelli in questo momento dislocati sul territorio nazionale, Poste italiane s.p.a. ha avviato una richiesta di autorizzazione per la chiusura di circa 5-6000 sportelli;
   nel 2013 l'Autorità ha avviato, con propria delibera n. 236/13/CONS, un'apposita istruttoria finalizzata a valutare la congruità dei criteri di distribuzione dei punti di accesso. Tale istruttoria si è conclusa con l'adozione di una ulteriore delibera n. 342/14/CONS, da parte dell'Autorità medesima, con la quale la stessa ha integrato i criteri di distribuzione degli uffici postali di cui all'articolo 2 del decreto del 7 ottobre 2008, attraverso l'introduzione di specifiche previsioni di garanzia a tutela degli utenti residenti nelle zone remote del Paese;
   con riguardo specifico all'esigenza di assicurare un'adeguata copertura del territorio nazionale «incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane», l'Autorità ha ribadito che occorre richiamarsi ad alcuni dei principi programmatici espressi nelle premesse della direttiva 2008/6/CE che, in particolare, nel considerando n. 19 sottolinea: «le reti postali rurali, in particolare nelle regioni montuose e insulari, svolgono un ruolo importante al fine di integrare gli operatori economici nell'economia nazionale/globale, e al fine di mantenere la coesione sociale e salvaguardare l'occupazione»; inoltre si riconosce che «i punti di accesso ai servizi postali nelle regioni rurali e remote possono inoltre costituire un'importante rete infrastrutturale ai fini dell'accesso universale ai nuovi servizi di comunicazione elettronica»;
   in data 3 febbraio 2015 il sindaco di Carbonia ha ricevuto dal responsabile della filiale di Cagliari di Poste italiane la comunicazione della chiusura dell'ufficio postale di Cortoghiana a decorrere dal 13 aprile 2015. Tale decisione pare all'interrogante infondata e in palese contrasto con i documenti sopracitati;
   in tutta l'isola sono previsti ulteriori riduzioni di sedi nelle località di Turri, Genuri, Tuili, Pauli Arbarei, Nurallao, Ballao, Modolo, Borutta, Esporlatu, Ozieri, Nughedu S. Nicolò, Cheremule Ardara e Romana –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di assicurare che Poste italiane s.p.a. rispetti il vigente contratto di programma, con particolare riguardo all'adempimento degli obblighi derivanti dall'attività e modalità di erogazione del servizio universale postale prescritti dalla vigente normativa. (5-04693)


   DE MENECH. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel piano di riorganizzazione di Poste italiane è prevista la chiusura di diversi sportelli nell'intera provincia di Belluno;
   negli ultimi tre anni i tagli hanno portato alla chiusura di venti sportelli in tutto il bellunese oltre ad una riduzione degli orari di apertura degli uffici postali provinciali;
   il servizio postale, nelle zone montane incide direttamente sulla vita di migliaia di persone, in particolare anziani; La riduzione dello stesso comporta un'ulteriore depotenziamento della montagna, che corre seriamente il rischio di essere abbandonata;
   l'Unione europea, con una direttiva del 2008 riconosce come «le reti postali rurali, in particolare nelle regioni montuose e insulari, svolgono un ruolo importante al fine di integrare gli operatori economici nell'economia nazionale/globale, e al fine di mantenere la coesione sociale e salvaguardare l'occupazione». La medesima direttiva riconosce che: «i punti di accesso ai servizi postali nelle regioni rurali e remote possono inoltre costituire un'importante rete infrastrutturale ai fini dell'accesso universale ai nuovi servizi di comunicazione elettronica; gli Stati membri dovrebbero adottare le misure regolamentari appropriate, per garantire che l'accessibilità ai servizi postali continui a soddisfare le esigenze degli utenti, garantendo, se del caso, un numero minimo di servizi allo stesso punto di accesso e, in particolare, una densità appropriata dei punti di accesso ai servizi postali nelle regioni rurali e remote»;
   la delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni del 26 giugno 2014 ha regolato il servizio nelle zone rurali, montane e nelle isole minori, individuando criteri precisi per la parità di accesso al servizio postale da parte di tutti i cittadini –:
   se il Governo intenda mettere in atto azioni che garantiscano il rispetto di quanto definito dall'Unione europea e dalla delibera dell'AgCom al fine di evitare la probabile chiusura degli sportelli postali delle aree più svantaggiate. (5-04695)


   BURTONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il piano di ristrutturazione aziendale di Poste Italiane s.p.a. prevede per il 2015 pesanti tagli al personale e la chiusura di numerosi uffici su tutto il territorio nazionale;
   la suddetta riorganizzazione, in Basilicata, inciderebbe sul futuro dell'ufficio postale di Pisticci Scalo in provincia di Matera;
   secondo l'interrogante tale eventuale decisione non tiene assolutamente conto delle specificità dei territori né delle peculiarità dei comprensori trascurando colpevolmente la funzione sociale propria di un servizio pubblico, ed in particolare di questo servizio pubblico;
   già in passato sono stati presentati dall'interrogante una serie di atti di sindacato ispettivo in merito all'ufficio postale in questione in considerazione della sua rilevanza sociale poiché ubicato nel cuore di un'area industriale importante, prossimo ad un centro per l'impiego, ad un presidio scolastico, ad esercizi ed attività commerciali, in più serve non solo un quartiere residenziale ma un vasto comprensorio rurale;
   è per queste ragioni che si ritiene assolutamente ingiustificato un ridimensionamento del servizio erogato in questa realtà, comportando esso una ulteriore penalizzazione per la comunità interessata –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto e quali iniziative urgenti, nell'ambito delle proprie competenze, intenda assumere, al fine di scongiurare che il processo di razionalizzazione interessi l'ufficio postale di Pisticci Scalo facendo sì che l'azienda Poste Italiane rispetti il «servizio universale» che è tenuta a garantire, in ottemperanza del vigente contratto di programma stipulato proprio con il Ministero dello sviluppo economico. (5-04699)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRANCO BORDO e PELLEGRINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa è una società per azioni il cui capitale è posseduto al 100 per cento al Ministero dell'economia e delle finanze;
   Poste italiane spa ha reso noto nel dicembre 2014 il proprio piano industriale che prevede la chiusura di 450 uffici postali e riduzioni di orari e giorni di apertura per altri 600 uffici postali sull'intero territorio nazionale;
   in provincia di Pavia da quanto riportato dalla stampa locale si prevedono la chiusura di 3 uffici (Fossarmato, Zinasco Nuovo, Lambrinia) e la contrazione delle aperture di altri 19 uffici (Arena Po, Brallo, Alagna Lomellina, Corana, Cornale, Ferrera Erbognone, Inverno e Monteleone, Mezzana Bigli, Olevano, Ottobiano, Pometo, Rovescala, San Damiano al Colle, Silvano Pietra, Sommo, Torricella Verzate, Val di Nizza, Valle Salimbene, Zeme);
   in provincia di Cremona da quanto riportato dalla stampa locale si prevedono la chiusura di 3 uffici (Gallignano, Ombriano, Vicomoscano) e la contrazione delle aperture di altri 26 uffici (Acquanegra Cremonese, Bonemerse, Camisano, Capergnanica, Capralba, Casale Cremasco, Casaletto Ceredano, Casalmorano, Castelvisconti, Cicognolo, Credera Rubbiano, Cremosano, Cumignano sul Naviglio, Fiesco, Genivolta, Izano, Malagnino, Martignana di Po, Motta Baluffi, Paderno Ponchielli, Pescarolo, Pieve S. Giacomo, Ricengo, Ripalta Arpina, San Daniele Po, Stagno Lombardo);
   in provincia di Brescia da quanto riportato dalla stampa locale si prevedono la chiusura di 8 uffici (Botticino Mattina, Castelletto di Leno, Mazzano, Provezze di Provaglio d'Iseo, Brozzo di Marcheno, Cogno di Piancogno, Cogozzo di Villa Carcina, Magno di Gardone Valtrompia) e la contrazione delle aperture di altri 8 uffici (San Martino della Battaglia di Desenzano, San Pancrazio di Palazzolo, Incudine, Maderno di Toscolano Maderno, Ono San Pietro, Ponte Caffaro di Bagolino, Prestine, Valvestino);
   in provincia di Lodi da quanto riportato dalla stampa locale si prevedono la chiusura di 1 ufficio (Zorlesco) e la contrazione delle aperture di altri 9 uffici (Boffalora d'Adda, Cervignano, Crespiatica, Corte Palasio, Santo Stefano, Terranova dei Passerini e Valera Fratta, Caselle Landi, Marudo);
   Poste italiane spa è una azienda pubblica con un bilancio che nel 2013 faceva registrare utili poco superiori ad 1 miliardo di euro;
   Poste italiane spa ha reso noto nel piano industriale l'intenzione di quotarsi in borsa e di procedere alla vendita del 40 per cento del proprio capitale nel corso dell'anno 2015;
   la chiusura e la diminuzione degli orari di tutti questi uffici comporteranno un notevole disagio per i cittadini residenti, in modo particolare per la popolazione anziana, disabile, con problemi motori e priva di automezzi;
   verrà a mancare uno dei pochi servizi pubblici presenti sul territorio, mancanza che non sarà risolta con l'implementazione di servizi digitali via internet, tenuto conto delle note carenze del nostro Paese nello sviluppo delle infrastrutture internet e della banda larga in tutto il territorio nazionale, condizione fondamentale per l'accesso ai servizi digitali;
   non risulta che Poste italiane spa abbia effettuato alcun confronto con gli enti locali delle località interessate dalle chiusure di uffici postali –:
   se tale piano industriale sia stato condiviso dal Governo e se abbia una correlazione diretta con quanto disposto nella legge di stabilità;
   se il Ministro intenda aprire un confronto con Poste italiane spa per indurre l'azienda erogatrice del «servizio universale» a cessare quella che all'interrogante appare una politica di gestione unilaterale degli uffici postali, erogatori di servizi pubblici, senza il coinvolgimento degli enti locali;
   quali interventi il Ministro ritenga di adottare al fine di limitare i disagi ai cittadini ed evitare l'ulteriore impoverimento di servizi in territori che già risentono la carenza;
   se il Ministro intenda chiarire se queste scelte siano fatte in funzione della prevista quotazione azionaria di Poste italiane. (4-07850)


   MOLTENI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane ha presentato un piano di riorganizzazione orientato ad una riduzione dei costi e degli sprechi che si traduce in una chiusura indiscriminata di uffici postali e di riduzione degli orari di apertura degli sportelli, contraddicendo, nei fatti, gli impegni che la società a capitale interamente pubblico ha assunto nei confronti dello Stato per l'erogazione del servizio pubblico;
   Poste Italiane riceve, infatti, cospicui contributi statali per erogare uno dei servizi ritenuti essenziali: quello postale, regolato sulla base di un contratto di servizio per garantire il diritto ad un servizio di qualità anche in quelle aree ritenute poco allettanti economicamente da una società privata;
   in netto contrasto con questo principio basilare, in Lombardia si procederà, nei comuni con meno di 5.000 abitanti, alla soppressione di 61 uffici postali e la rimodulazione oraria su due, tre e quattro giorni per altri 121, rinnegando la qualità del servizio che pare evidente può essere garantita partendo da una capillare presenza degli uffici sul territorio e dall'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
   secondo il piano di Poste Italiane, ad aprile 2015 dovrebbero essere chiusi gli uffici di San Lorenzo a Parabiago e di Sant'Ilario Milanese a Nerviano e poi sarà coinvolta anche la frazione di Casone a Marcallo, mentre a Nosate il servizio sarà garantito solo alcuni giorni la settimana;
   la decisione unilaterale della società in primo luogo arrecherà enormi disagi ai cittadini, soprattutto gli anziani, ai quali verrà negata la possibilità di usufruire con la dovuta comodità di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette, con la conseguenza di essere costretti a frequenti e difficili spostamenti, e in secondo luogo estirperà anche il ruolo che l'ufficio postale occupa, soprattutto nei piccoli comuni, di presidio in un territorio;
   gli uffici postali nei comuni piccoli o nelle realtà montane, che vivono condizioni generali di servizio già di per sé disagiate, rappresentano un punto di riferimento e la loro chiusura è un problema per tutta la comunità di riferimento. Questo fenomeno sociale non sembra però essere stato considerato dalla società detenuta al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e in un'ottica orientata esclusivamente al guadagno;
   i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale. Pertanto, la chiusura degli uffici e la limitazione degli orari di apertura pongono in serie difficoltà i privati, i turisti e tutto il bacino industriale della provincia –:
   quali azioni il Ministro intenda mettere in atto per far sì che il piano di riorganizzazione di Poste Italiane non si traduca in una violazione dei diritti dei cittadini della provincia di Milano, in particolar modo dei piccoli comuni, che si vedrebbero privati dell'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, così come previsto dall'accordo siglato fra le Poste Italiane spa e lo Stato;
   quali iniziative il Ministro intenda intraprendere per favorire una concertazione tra la direzione di Poste Italiane spa e le amministrazioni locali, al fine di scongiurare la chiusura degli uffici postali nei comuni di Parabiago e Nerviano tenendo conto dell'importanza che, dal punto di vista sociale, occupano questi uffici sul territorio. (4-07856)


   LA RUSSA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la società di ingegneri «Me Studio srl» ha ottenuto da un privato una commessa per la progettazione di un immobile, con relative consulenze e servizi, ma a metà lavori il committente ha deciso di sospendere i pagamenti, spingendo il titolare della società a rivolgersi al tribunale di Torino per ottenere il dovuto dalla società committente, «Edilrivoli 2006», pari ad un importo di circa un milione di euro;
   nel 2013 la sentenza del tribunale, tuttavia, ha stabilito che «il contratto è nullo perché le società di capitali non possono svolgere attività di ingegneria per i privati», determinando la decadenza della società «Me Studio Srl» dal diritto ad ottenere quanto dovuto e, anzi, imponendo alla stessa di restituire l'importo di 366.000 euro già incassato, maggiorato degli interessi, col rischio di determinarne il fallimento;
   la sentenza si basa sull'assunto che sarebbe ancora vigente, con riferimento alle società di capitali, il divieto di «costituire, esercire o dirigere, sotto qualsiasi forma diversa da quella di cui al precedente articolo, società, istituti, uffici, agenzie od enti, i quali abbiano lo scopo di dare, anche gratuitamente, ai propri consociati od ai terzi, prestazioni di assistenza o consulenza in materia tecnica, legale, commerciale, amministrativa, contabile o tributaria», introdotto dalla legge 23 novembre 1939, n. 1815;
   la legge del 1939 è stata oggetto di diversi interventi di modifica già a partire dagli anni settanta: dapprima i legislatori sono intervenuti su una parte di questa legge, ma lasciando intatto il divieto per l'attività «rientrante nelle prestazioni professionali tipiche dell'ingegnere o dell'architetto» come «la progettazione vera e propria», poi nel 1994 sono state legittimate le società di capitale, ma solo se operano nel settore pubblico;
   nel 1997 la citata disposizione di cui all'articolo 2 della legge 1815 del 1939 è stata abrogata, ma in mancanza dell'emanazione dei decreti attuativi la norma continua ad essere applicata;
   nel 2006, con un nuovo intervento legislativo, si è permesso agli ingegneri la possibilità di lavorare anche nel privato, ma secondo l'interpretazione del giudice torinese restano sempre escluse le società di capitale;
   con il comma 11 dell'articolo 10, della legge 12 novembre 2011, n. 183, è stata disposta l'abrogazione della intera legge 1815 del 1939 a decorrere dal 1o gennaio 2012;
   nonostante la «doppia» abrogazione i giudici di Torino hanno ritenuto che il divieto continui ad operare per le società di capitali;
   tale interpretazione mette a rischio il lavoro di circa seimila società di ingegneria che operano su commesse di privati, e che occupano circa 250.000 persone –:
   quali iniziative, anche normative, si intendano assumere affinché vi sia un definitivo chiarimento circa la possibilità delle società di ingegneria costituite in forma di società di capitali di operare su incarico di committenti privati. (4-07858)


   MELILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le Poste spa hanno deciso un grave ridimensionamento della sua presenza in Abruzzo con la chiusura di ben 18 sedi postali di cui 5 nella provincia di Chieti, 7 nella provincia di Teramo, 5 nella provincia di Chieti e 2 nella provincia di Pescara;
   a ciò si aggiunge la decisione di razionalizzare altre 35 sedi postali con il loro ridimensionamento; pagheranno i cittadini più deboli, a partire dagli anziani che dovranno rinunciare all'ufficio postale del loro comune per ritirare la pensione o pagare i bollettini –:
   se non ritenga necessario intervenire per quanto di competenza per evitare un ulteriore ridimensionamento del servizio postale. (4-07867)


   BORGHI, TINO IANNUZZI, BRAGA, REALACCI, MARCO DI MAIO, FANUCCI, SALVATORE PICCOLO, ALBINI, ERMINI, LENZI, SBROLLINI, FRAGOMELI, MAZZOLI, TERROSI, GRIBAUDO, MAESTRI, LACQUANITI, BERGONZI, DELL'ARINGA, PREZIOSI, FAMIGLIETTI, LODOLINI, MARIANI, CARRESCIA, BRUNO BOSSIO, MALISANI, GADDA, D'INCECCO, SGAMBATO, GALPERTI, GIACOBBE, IORI, MANFREDI, AMATO, CENNI, FABBRI, MARANTELLI, VAZIO, IACONO, ALBANELLA, TULLO, MONTRONI, SENALDI, RIGONI, GUERRA, VERINI, AMODDIO, ZANIN, MORETTO, NARDI, TENTORI, ANTEZZA, VALERIA VALENTE, BINI, SANI, INCERTI, BONOMO, TARICCO, STELLA BIANCHI, COMINELLI, CASTRICONE, GIORGIO PICCOLO, GINATO, GULLO, BRATTI, DE MENECH, CINZIA MARIA FONTANA, DALLAI, ARLOTTI, ROMANINI, CANI e CAPONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa è una società a capitale interamente pubblico che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e che garantisce l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato, in cui la società si impegna a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
   Poste italiane spa riceve significativi contributi da parte dello Stato nell'ambito della legge di stabilità per consentire agli uffici postali periferici di garantire l'erogazione dei servizi postali essenziali, eppure il piano di riorganizzazione previsto dall'azienda, che secondo fonti sindacali dovrebbe diventare effettivo dal 13 aprile nell'ambito dell'avviato processo di privatizzazione, prevederebbe, a livello nazionale la chiusura di 455 uffici postali e la riduzione degli orari di apertura in 608 uffici;
   in data 22 gennaio 2014 il presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni rispondendo a specifica missiva del presidente dell'Intergruppo parlamentare per lo sviluppo della montagna ha ricordato che con apposita delibera l'Autorità ha «ritenuto opportuno inserire (...) specifici divieti di chiusura di quegli uffici che servono gli utenti che abitano nelle zone remote del Paese (...) ritenendo prevalente l'esigenza di garantire la fruizione del servizio nelle zone disagiate anche a fronte di volumi di traffico molto bassi e di alti costi di esercizio»;
   in tale missiva il Garante esplicita chiaramente come «i divieti di chiusura, è bene sottolinearlo, tutelano situazioni individuate in base a parametri oggettivi: la natura prevalentemente montana e la scarsità abitativa sono desunte da classificazioni ISTAT e da dati demografici»;
   la delibera AGCOM obbliga Poste italiane ad avviare con congruo anticipo con le istituzioni locali delle misure di razionalizzazione per avviare un confronto sulle possibilità di limitare i disagi per le popolazioni interessate individuando soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale;
   nonostante tale pronunciamento, si stanno diffondendo notizie di imminenti decisioni di chiusure di sportelli e uffici in tutta Italia, causando quindi notevoli difficoltà e generando una diminuzione della qualità e della fruibilità del servizio fornito alla clientela;
   questa decisione unilaterale di Poste italiane conferma l'orientamento portato avanti dalla società negli ultimi anni che insegue una logica del guadagno puntando su assicurazioni, carte di credito, telefonia mobile e servizi finanziari in genere, a scapito delle esigenze della collettività, sacrificando uffici che ritiene «improduttivi» o «diseconomici», senza considerare che rappresentano un punto di riferimento per i cittadini dei piccoli comuni;
   i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale;
   questa razionalizzazione rischia di tradursi in gravi disservizi soprattutto per i residenti anziani, che si troveranno a non poter usufruire di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette o la riscossione della pensione, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file nei giorni di apertura, ritardare le operazioni o affrontare frequenti e difficili spostamenti, su territori particolarmente disagiati –:
   quali azioni il Ministro intenda intraprendere per garantire il rispetto dei disposti stabiliti dall'Autorità garante delle comunicazioni in ordine al divieto di chiusura degli uffici postali nelle aree svantaggiate, e conseguentemente favorire una concertazione tra la direzione di Poste italiane spa e le amministrazioni locali, al fine di scongiurare la possibile chiusura degli uffici postali nei comuni più piccoli del territorio nazionale, nonché come si intenda intervenire per evitare che decisioni unilaterali assunte da Poste italiane spa arrechino disagi ai cittadini – utenti che non vedono garantita l'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, nel rispetto dell'accordo siglato fra le Poste italiane spa e lo Stato. (4-07871)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Taricco e altri n. 1-00724, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Nicoletti, Preziosi.

  La mozione Taricco Mino e altri n. 1-00724, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Nicoletti.

Apposizione di firma e ritiro di firma ad una mozione.

  La mozione Rizzetto e altri n. 1-00628, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Barbanti e, contestualmente è stata ritirata la firma del deputato Tripiedi.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in commissione Oliverio e altri n. 7-00588, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Amato.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Crippa e altri n. 5-03993, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Vallascas, Da Villa.

  L'interrogazione a risposta scritta Ferro n. 4-07469, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Gregori.

  L'interrogazione a risposta scritta Ricciatti e altri n. 4-07790, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Quaranta, Sannicandro, Piras, Marchetti, Luciano Agostini, Lodolini, Zan, Chaouki.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Albini n. 5-04681, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Beni, Becattini.

  L'interrogazione a risposta in commissione Albini n. 5-04681, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Beni.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Vacca n. 7-00592, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 372 del 5 febbraio 2015.

   La VII Commissione,
   premesso che:
    sono definite scuole paritarie le istituzioni scolastiche non statali che, a partire dalla scuola dell'infanzia, sono coerenti con gli ordinamenti generali dell'istruzione e posseggono i requisiti fissati dalla legge 10 marzo 2000, n. 62;
    tra i requisiti necessari per ottenere il riconoscimento della parità scolastica da parte dello Stato vi sono anche:
   a) l'impiego di personale docente fornito del titolo di abilitazione;
   b) la stipula di contratti individuali di lavoro per personale dirigente e insegnante che rispettino i contratti collettivi nazionali di settore;
   c) un progetto educativo in armonia con i principi della Costituzione; un piano dell'offerta formativa conforme agli ordinamenti e alle disposizioni vigenti; attestazione della titolarità della gestione e la pubblicità dei bilanci;
   d) la disponibilità di locali, arredi e attrezzature didattiche propri del tipo di scuola e conformi alle norme vigenti;
   e) l'istituzione e il funzionamento degli organi collegiali improntati alla partecipazione democratica;
   f) l'organica costituzione di corsi completi: non può essere riconosciuta la parità a singole classi, tranne che in fase di istituzione di nuovi corsi completi, ad iniziare dalla prima classe;
    la parità è riconosciuta con provvedimento adottato dal direttore dell'ufficio scolastico regionale competente per territorio, previo accertamento della sussistenza dei requisiti normativi vigenti, adottando motivato provvedimento entro il 30 giugno;
    il decreto del 29 novembre 2007, n. 267 pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 23 del 28 gennaio 2008, regolamenta la disciplina delle modalità procedimentali per il riconoscimento della parità scolastica e per il suo mantenimento secondo le seguenti modalità:
   1) l'articolo 3, comma 1, prescrive che il gestore o il rappresentante legale della scuola paritaria, entro il 30 settembre di ogni anno scolastico, deve dichiarare al competente ufficio scolastico regionale, la permanenza del possesso dei requisiti richiesti dalle norme vigenti;
   2) l'articolo 3, comma 3, prescrive che in caso di mancata osservanza delle prescrizioni previste dalle norme vigenti (l'articolo 1, comma 4, della legge 10 marzo 2000, n. 62, le disposizioni del decreto del 29 novembre 2007, n. 267, le disposizioni vigenti in materia di esami di Stato) ovvero di irregolarità di funzionamento, l'ufficio scolastico invita la scuola interessata, mediante comunicazione formale, a provvedere alle dovute regolarizzazioni entro il termine perentorio di 30 giorni. Aggiunge che, scaduto il termine di 30 giorni, senza che la scuola abbia provveduto a regolarizzare quanto prescritto, l'ufficio scolastico regionale dispone gli opportuni accertamenti;
   3) l'articolo 3, comma 6 prescrive che l'ufficio scolastico regionale accerta comunque la permanenza dei requisiti prescritti dalle norme vigenti mediante apposite verifiche ispettive che potranno essere disposte in qualsiasi momento;
   4) l'articolo 3, comma 7, prescrive che nel caso in cui sia accertata la sopravvenuta carenza di uno o più dei requisiti richiesti, l'ufficio scolastico regionale invita la scuola a ripristinare il requisito o i requisiti mancanti, assegnando il relativo termine, di norma non superiore a trenta giorni;
   5) sempre l'articolo 3, comma 7 prescrive che, scaduto il termine assegnato senza che la scuola abbia provveduto a ripristinare il requisito o i requisiti prescritti, l'ufficio scolastico regionale provvede alla revoca del provvedimento con cui è stata disposta la parità;
    il decreto n. 83 del 10 ottobre 2008, concernente le linee guida per l'attuazione del decreto ministeriale n. 267 emanato il 29 novembre 2007, aggiunge alle norme precedenti:
   1) al punto 5.10 la revoca del riconoscimento della parità scolastica ha effetto dall'inizio dell'anno scolastico successivo ed è disposta dal direttore dell'ufficio scolastico regionale competente per territorio nei seguenti casi:
    a) libera determinazione del gestore;
    b) perdita anche di uno solo dei requisiti di cui alla legge 10 marzo 2000, n. 62 e all'articolo 353 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297;
    c) gravi irregolarità di funzionamento accertate;
    d) accertata violazione dell'articolo 1-bis, comma 3, della legge 3 febbraio 2006, n. 27;
    e) mancato completamento del corso, nel caso di riconoscimento della parità ad iniziare dalla prima classe (le classi attivate possono mantenere la parità fino alla conclusione del corso);
    f) mancata attivazione di una stessa classe per più di 2 anni scolastici consecutivi;

   2) al punto 5.11 che in caso di cessazione dell'attività della scuola, il gestore deve dare comunicazione all'ufficio scolastico regionale competente per territorio entro il 31 marzo con effetto dal successivo 1o settembre;
   3) al punto 5.12 che nel caso di passaggi di gestione, il gestore o il rappresentante legale è tenuto a comunicare tempestivamente all'ufficio scolastico regionale le modificazioni riguardanti il mutamento del soggetto gestore, il mutamento del legale rappresentante dell'ente gestore, il trasferimento della sede legale dell'ente gestore, la modifica della natura giuridica dell'ente gestore assicurando il permanere dei requisiti prescritti per il riconoscimento della parità. L'ufficio scolastico regionale deve adottare i provvedimenti conseguenti, curando che gli atti di modifica di cui trattasi non interrompano la continuità del servizio, a salvaguardia della posizione scolastica degli alunni e della valutazione del servizio del personale ivi operante;
   4) al punto 7.7 che ai candidati che abbiano effettuato la preparazione in scuole o corsi di preparazione è fatto divieto di sostenere gli esami conclusivi presso scuole paritarie che dipendono dallo stesso gestore o da altro avente comunanza di interessi. A tal proposito il gestore (o il rappresentante legale) e il coordinatore rilasceranno apposita dichiarazione (da inserire nel fascicolo personale del candidato);
    la nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca prot. 1878 del 30 agosto 2013 avente come oggetto le istruzioni e indicazioni operative in materia di supplenze al personale docente, educativo ed ATA per l'anno scolastico 2013/2014 chiarisce che qualora, dopo lo scorrimento di tutte le graduatorie occorra ancora procedere alla copertura di personale docente, i dirigenti scolastici potranno far ricorso a personale, sempre fornito di titolo idoneo, che abbia presentato istanza di messa a disposizione;
    la nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca prot. 9594 del 2013 prevede che, qualora in un istituto siano presentate più domande di messa a disposizione, i dirigenti scolastici daranno precedenza ai docenti abilitati, secondo il punteggio previsto nelle tabelle di valutazione della seconda fascia di istituto, rispetto ai docenti non abilitati;
    l'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo in data 23 gennaio 2014 dirama una circolare avente come oggetto il piano di vigilanza per l'accertamento del possesso dei requisiti prescritti per il mantenimento della parità scolastica presso le istituzioni scolastiche paritarie;
    sia le scuole statali che le scuole paritarie sono tenute a rispettare le note del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in tema di supplenze;
    il numero di studenti della scuola italiana previsti per l'anno scolastico 2014/2015 sono 7.881.632 di cui circa 1.000.000 hanno frequentato la scuola paritaria; di questi studenti il 12 per cento frequenta la scuola secondaria di II grado;
    le scuole paritarie in Italia sono circa il 25 per cento, un quarto del totale, in prevalenza private;
    sono noti numerosissimi casi di violazione delle norme sulle scuole paritarie in quanto a giudizio dei firmatari del presente atto facilmente aggirabili e colpevolmente incomplete;
    nel novembre 2013 il professor Paolo Latella redigeva un articolato dossier in cui pubblicava una serie di testimonianze anonime di docenti di scuole paritarie, pubbliche e private, dislocate in diversi territori della penisola che, al fine di vedersi attribuito il punteggio in graduatoria per il servizio prestato, accettavano stipendi troppo bassi o addirittura non ricevevano alcun compenso;
    all'interno del dossier in questione sono presenti oltre 500 testimonianze anonime di docenti che ammettono di aver svolto la loro professione in scuole paritarie senza essere stipendiati o ricevendo paghe nettamente inferiori;
    già con l'interrogazione a risposta immediata in assemblea n. 3-00858 a prima firma della deputata Chimienti si denunciava quanto emerso dal dossier redatto dal professor Paolo Latella; nonostante il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca sia a conoscenza della problematica, non risulta ai firmatari del presente atto, ad oggi, alcun provvedimento che miri ad attenuare tale abuso sui lavoratori attraverso l'ausilio di ispezioni mirate;
    la scuola paritaria può avvalersi in misura non superiore ad un quarto delle prestazioni complessive, di prestazioni volontarie di personale docente;
    nonostante tale agevolazione rispetto alla scuola statale riguardo alla possibilità di avvalersi di prestazioni volontarie di docenza a titolo gratuito, sono numerosissime le segnalazioni agli uffici scolastici regionali che denunciano situazioni contrattuali formalmente corrette ma che nascondono lo sfruttamento del lavoratore a tal punto che molti docenti, al fine di vedersi attribuito il punteggio in graduatoria per il servizio prestato, accettano stipendi al di sotto del minimo tabellare o addirittura pari a zero;
    il meccanismo con cui si attua questo abuso sul lavoratore è semplice: il docente riceve il versamento dei contributi previdenziali previsti per legge, ma accetta di non percepire alcuna retribuzione da parte della scuola paritaria. In questo modo l'istituto in questione risparmia ingenti somme;
    è evidente che i controlli effettuati sulla regolarità dei contributi previdenziali ed assistenziali non sono sufficienti, in quanto non garantiscono il reale rispetto dei contratti di docenza. È, quindi, necessaria una verifica sui bilanci delle scuole riguardo alla coerenza dell'ammontare delle risorse uscite per le retribuzioni dei docenti rispetto ai contratti di docenza effettivamente in essere;
    a quanto premesso si aggiunge l'ormai conosciuto fenomeno dei «diplomifici», vere e proprie aziende senza scrupoli che fanno profitti sfruttando giovani neolaureati per coprire il ruolo di docenza e vendendo, di fatto, titoli di studio;
    come ogni anno si apprende dai media nazionali questo fenomeno è sempre più diffuso: le cronache riportano pagamenti che si aggirano attorno ai sei-otto mila euro per ottenere un diploma e conseguire l'attestazione di frequenza a scuola;
    ciò causa vere e proprie migrazioni di studenti privatisti che, partendo da ogni parte di Italia, si recano verso questi istituti che hanno creato un mercato dei diplomi e del profitto a scapito della qualità della formazione;
    da anni i Governi stanziano finanziamenti alla scuola definita paritaria, ovvero le scuole private che svolgono funzioni pubbliche;
    il 26 agosto 2013 presso la scuola media paritaria «Sacro Cuore» di Avezzano un docente abilitato nella classe A033 ha presentato la disponibilità all'insegnamento nei modi previsti dalla normativa vigente;
    tale docente abilitato non è stato mai chiamato ad insegnare la disciplina A033, nonostante fosse più che probabile che nella scuola media paritaria «Sacro Cuore» l'insegnamento della disciplina A033 fosse stato assegnato ad un docente privo di abilitazione della classe di concorso A033 e non avente il titolo di laurea necessario per l'insegnamento della disciplina;
    in seguito a ciò, il docente che aveva presentato l'istanza di messa a disposizione, ha sollevato la questione presso l'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo con il fine di segnalare che un incarico di insegnamento era stato assegnato ad un docente non avente titolo;
    il 13 novembre 2013 l'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo invitava il legale rappresentante della scuola paritaria «Sacro Cuore» di Avezzano a sanare le irregolarità;
    l'11 dicembre 2013 la legale rappresentante dell'ente «Apostole del S. Cuore di Gesù», gestore della scuola paritaria «Sacro Cuore», risponde alla missiva dell'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo affermando che il docente con l'incarico di insegnamento di educazione tecnica era stato chiamato a completare la propria cattedra di disegno e storia dell'arte per la quale era abilitato specificando che all'istituzione scolastica non risultavano docenti abilitati disponibili;
    l'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo in data 23 gennaio 2014 dirama una circolare con cui si invitava tutte le scuole paritarie a rispettare le norme in possesso dell'abilitazione all'insegnamento da parte dei docenti assunti in servizio;
    nonostante la circolare, il docente privo di abilitazione e del titolo di studio necessario per insegnare la disciplina della classe A033, continua a svolgere il proprio servizio presso la scuola paritaria del Sacro Cuore di Avezzano;
    solo in data 27 giugno 2014 avviene la revoca dell'incarico al docente in servizio per la classe di concorso A033 e la sostituzione dello stesso con personale fornito sia di titolo di studio che della specifica abilitazione all'insegnamento;
    è evidente, quindi, che il docente, seppur sprovvisto di titolo e abilitazione, ha comunque svolto l'attività didattica a discapito, prima di tutto, degli studenti ledendo il legittimo diritto ad avere una buona didattica, ma anche a danno dei docenti abilitati che non hanno potuto assumere l'incarico di docenza;
    nel mese di dicembre 2014, da notizie apparse sulla stampa, si apprende che la Guardia di finanza ha sequestrato i prospetti e le istanze di finanziamento delle scuole paritarie Iri School College a Chieti e a Francavilla e del Nazareno a Pescara amministrate da Carmine De Nicola. Secondo le notizie di stampa da uno stralcio della relazione tecnica riportato nel decreto di sequestro «Negli anni dal 2009 al 2012 le società che gestivano il polo scolastico Iri School College omettevano di dichiarare ricavi attraverso la mancata fatturazione e sottofatturazione dei servizi didattici erogati almeno pari a 3 milioni e 999 mila euro». «Le società che gestivano il polo scolastico II Nazareno», si legge ancora nel decreto, «omettevano di dichiarare ricavi attraverso mancata fatturazione e sottofatturazione dei servizi didattici erogati almeno per 2 milioni e 215 mila euro. Può affermarsi che le omesse fatturazioni e sottofatturazioni venivano effettuate attraverso la manipolazione delle scritture contabili»;
    la «UCIS srl unione cristiana istituti scolastici IL NAZARENO» con sede legale a Pescara è sottoposta alla procedura di fallimento;
    l'istanze di fallimento della «UCIS srl unione cristiana istituti scolastici IL NAZARENO» è stata avviata da una docente che vantava un credito in seguito a sentenze definitiva di cause di lavoro;
    il docente-lavoratore che ha depositato l'istanza di fallimento vanta un credito pari a euro 45.426,70;
    la «UCIS srl unione cristiana istituti scolastici IL NAZARENO» in udienza davanti al tribunale competente non ha contestato il debito;
    la «UCIS srl unione cristiana istituti scolastici IL NAZARENO» che in un primo momento chiedeva un termine di tempo per il raggiungimento di un accordo stragiudiziale con il ricorrente rendendosi disponibile al pagamento, in realtà non è comparsa all'udienza, dimostrando di fatto una situazione di evidente impotenza economica della società la quale neppure è in grado di far fronte a debiti non particolarmente elevati;
    da alcuni atti si evince che la «UCIS srl unione cristiana istituti scolastici IL NAZARENO» non ha beni immobili intestati, tantomeno ha la disponibilità finanziaria per averne in gestione, tant’è che la stessa è stata oggetto di disposizione di apposizione dei sigilli su tutti i beni mobili dell'impresa. Alla luce di ciò, nonostante per il mantenimento della parità scolastica sia necessario avere a disposizione i locali, gli arredi e le attrezzature didattiche, dal portale internet dell'Ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo si può verificare che IL NAZARENO figura nell'elenco delle scuole paritarie della provincia di Pescara a.s. 2014-2015;
    nel mese di agosto 2009 la «UCIS srl unione cristiana istituti scolastici IL NAZARENO» ha ceduto rami di azienda alla «S. Maria Assunta Srl»;
    l'ufficio scolastico regionale che non revoca la parità, qualora si ravvisi la mancanza dei requisiti previsti dalle norme vigenti, o che ne ritarda la revoca, provoca, di fatto, un danno al sistema scolastico nazionale. Da un lato si contribuisce a prolungare la permanenza nel sistema di istruzione pubblica di istituti scolastici non all'altezza degli standard medi nazionali; dall'altro si provoca una concorrenza scorretta nei confronti di quelle scuole paritarie che rispettano le norme. Ma il danno maggiore ovviamente è per gli studenti frequentanti scuole non idonee a rilasciare i titoli di studio e ad assolvere gli obblighi scolastici;
    secondo tutte le rilevazioni, anche internazionali, la qualità dell'offerta formativa delle scuole private in Italia è di gran lunga inferiore rispetto a quella statale. La stessa OCSE nei vari report annuali rileva come la forbice tra le competenze degli studenti della scuola privata e quella della scuola statale sia più ampia in Italia che in quella degli altri paesi;
    quanto affermato è anche rilevabile dal sito di orientamento scolastico eduscopio.it della Fondazione Agnelli che, attraverso un indice che contempla il successo universitario degli studenti, ha redatto delle classifiche dalle quali si evince che in tutte le province italiane le scuole private sono sempre in fondo alle classifiche in tutte le tipologie di scuole;
    sono certi i tempi e le regole per il riconoscimento della parità, ma non sono altrettanto definite ed efficaci le regole per la revoca della parità scolastica, tant’è che anche nei casi in cui si riscontrano evidenti violazioni delle norme, la parità, spesso, permane;
    è evidente che esiste un vuoto normativo nel sistema, ad avviso dei firmatari del presente atto anche a causa delle inerzie degli uffici scolastici regionali, che permette alle scuole paritarie che non rispettano le regole di escogitare sistemi che, di fatto, sono tesi a mantenere il requisito della parità aggirando le norme vigenti;
    tale situazione potrebbe essere facilmente tamponata con interventi normativi e regolamentari, nonché con una seria e puntuale attività ispettiva da parte degli uffici scolastici regionali soprattutto nei casi in cui esistono segnalazioni;
    purtroppo tale servizio ispettivo dello Stato, in realtà, è ridotto al lumicino, e quindi i controlli riguardano esclusivamente la regolarità formale degli atti amministrativi presentate dalle scuole stesse per ottenere il riconoscimento e il mantenimento della parità, senza una reale verifica con riscontri ispettivi di quanto autodichiarato dalle scuole stesse,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per introdurre come requisito necessario per il riconoscimento della parità scolastica, l'obbligo di presentare la documentazione che attesti i pagamenti degli stipendi dei docenti;
   ad adottare iniziative normative che prevedano l'obbligo dell'accertamento periodico della permanenza dei requisiti per il riconoscimento della parità delle scuole non statali;
   a eliminare la possibilità di impiegare personale scolastico gratuitamente nelle scuole;
   a predisporre iniziative volte a garantire, per tutto il personale docente impiegato nelle scuole paritarie, la stipula di regolari contratti di docenza rendendo obbligatoria la tracciabilità delle retribuzioni e di tutti gli oneri connessi;
   ad assumere iniziative per limitare il fenomeno della concentrazione delle iscrizioni per sostenere gli esami di maturità presso alcuni istituti paritari;
   ad assumere iniziative per limitare la possibilità di sostenere l'esame di maturità fuori dalla provincia di residenza del candidato, fatta eccezione per pochi casi, particolari ed eccezionali, legati a specifici indirizzi di studio non presenti nella provincia stessa, e per introdurre il divieto di «sdoppiamento orizzontale» delle classi terminali per ostacolare di fatto il fenomeno della proliferazione di iscrizioni alle classi terminali delle scuole paritarie, con il solo scopo di raggiungere il diploma con percorsi facilitati;
   ad assumere iniziative volte a rivedere le regole per la revoca della parità delle scuole soccombenti in caso di condanna da parte del giudice del lavoro, con sentenza definitiva, per violazione delle norme contrattuali, in modo tale da rendere certa e rapida la revoca della parità;
   ad assumere iniziative per revocare la parità delle scuole condannate dal giudice del lavoro a pagare gli stipendi dei docenti non erogati regolarmente, anche nel caso in cui sia avvenuta la cessione della scuola paritaria ad altro soggetto;
   ad assumere iniziative per rendere efficiente, efficace e tempestivo lo strumento di verifica dei requisiti di parità delle istituzioni scolastiche, così che possa essere revocata la parità alle scuole che non rispettano i requisiti stabiliti dalle norme, ed in particolar modo nei casi in cui è accertata l'inadempienza degli obblighi contrattuali nei confronti dei docenti, in presenza di condanne del giudice del lavoro o in presenza di assunzione di personale sprovvisto di abilitazione nonostante la contemporanea disponibilità di docenti abilitati;
   a istituire un registro pubblico consultabile anche on-line che contenga l'elenco degli enti pubblici e privati a cui è stata revocata la parità negli ultimi 5 anni, comprese le scuole che hanno rinunciato volontariamente alla parità e quelle che hanno cessato l'attività;
   ad assumere iniziative per rendere possibile la revoca della parità ad una scuola sottoposta a procedura di fallimento;
   ad assumere iniziative per verificare periodicamente l'operato degli uffici scolastici regionali in tema di assegnazione e revoca della parità, anche prevedendo un sistema di sanzioni per gli uffici scolastici regionali inadempienti;
   ad assumere iniziative per rendere automatica, in presenza di una o più segnalazioni di cittadini, e con tempi contenuti, la verifica dei requisiti per la parità previsti dalle norme;
   ad adottare le opportune iniziative normative per rendere effettivo, praticabile e trasparente il sistema di attribuzione, controllo, verifica e revoca della parità scolastica.
(7-00592)
«Vacca, Simone Valente, Luigi Gallo, Marzana, D'Uva, Brescia, Chimienti, Di Benedetto».

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Marzana n. 5-02664, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 214 del 17 aprile 2014.

   MARZANA, SIMONE VALENTE, VACCA e DI BENEDETTO. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale n. 81 del 25 marzo 2013, ha modificato il decreto ministeriale n. 249 del 10 settembre 2010, istituendo il percorso formativo abilitante speciale (PAS) che prevede l'accesso al corso a docenti non di ruolo, compresi gli insegnanti tecnico pratici, in possesso dei titoli di studio previsti dai decreti ministeriali 39/1998 e 22/2005, che abbiano maturato a decorrere dall'anno scolastico 1999/2000 fino all'anno scolastico 2012/2013, almeno tre anni di servizio in scuole statali, paritarie, ovvero nei centri di formazione professionale, limitatamente ai corsi accreditati per l'assolvimento dell'obbligo scolastico;
   i requisiti di ammissione ai corsi di cui agli articoli 2 e seguenti del decreto ministeriale n. 58 del 2013 prevedono che per avere diritto ad accedere ai corsi bisogna vantare un periodo di servizio di almeno tre anni e almeno un anno di servizio dovrà essere prestato nella classe di concorso per la quale si chiede l'accesso al percorso formativo abilitante speciale;
   per essere considerato valido, ciascun anno scolastico dovrà comprendere un periodo di almeno 180 giorni di servizio: sono richiesti quindi per la partecipazione ai PAS 540 giorni equamente distribuiti in tre anni;
   viene pertanto modificato il precedente requisito d'accesso (ex decreto ministeriale n. 85 del 18 novembre 2005) che disponeva solo 360 giorni di servizio;
   con questo nuovo requisito vengono a configurarsi situazioni paradossali perché molti docenti, pur vantando giorni di servizio in eccesso rispetto a quelli richiesti dal risultato del prodotto di 180 giorni per 3 anni, poiché non distribuiti entro l'arco temporale dei 3 anni, si sono visti negare il diritto di accedere ai PAS;
   con decreto direttoriale n. 58 del 25 luglio 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, IV serie speciale concorsi n. 60 del 30 luglio 2013, sono stati attivati i corsi speciali per il conseguimento dell'abilitazione all'insegnamento e aperti i termini per la presentazione della domanda;
   la domanda di partecipazione ai percorsi abilitanti speciali doveva essere inoltrata per una sola regione, per una sola tipologia di classe di concorso di cui alle tabelle A, C e D del decreto ministeriale n. 39 del 1998 e trasmessa all'ufficio scolastico regionale della regione prescelta attraverso la piattaforma istanze on-line del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dal 2 al 29 agosto 2013;
   nonostante il chiaro dettato normativo, la situazione riguardo all'attivazione da parte delle università dei percorsi abilitanti speciali appare non solo confusa ma soprattutto disomogenea a livello territoriale;
   in alcune regioni le università hanno provveduta ad attivare i PAS per determinate classi di concorso, mentre in altre regioni ciò non è avvenuto generando disfunzioni e sperequazioni tra docenti precari, in particolare in occasione dell'aggiornamento delle graduatorie previsto per maggio 2014;
   come si legge in numerose fonti di stampa nazionale di settore, molti atenei hanno mostrato una vera e propria ostilità all'attivazione dei Pas per alcune classi di concorso, ledendo così un diritto oggettivo dei docenti interessati e alimentando l'incertezza e la disuguaglianza nell'accesso ai percorsi abilitanti e alle graduatorie e generando dunque possibili contenziosi, poiché molti dei percorsi PAS termineranno dopo la chiusura delle operazioni di aggiornamento delle graduatorie;
   la Tabella A «Tabella di valutazione dei titoli della seconda fascia delle graduatorie di istituto del personale docente ed educativo delle scuole ed istituti di ogni grado» in allegato al decreto ministeriale n. 353 del 2014 prevede per l'abilitazione conseguita attraverso la frequenza dei percorsi, a numero programmato, di Tirocinio Formativo Attivo ai sensi dell'articolo 15, comma 1, del decreto ministeriale 249/2010, l'attribuzione di ulteriori punti 42 (punti 12 per la durata annuale del percorso abilitativo e punti 30 per la selettività dello stesso percorso), mentre per tutte le altre abilitazioni sono previsti solamente 6 punti aggiuntivi;
   in alcune classi di concorso l'elevato numero dei candidati porterà ad uno scaglionamento in tre anni, per cui solo alcuni aspiranti potranno accedere quest'anno al corso e aggiornare la propria posizione in graduatoria, mentre i candidati che non avranno avuto accesso ai Pas patiranno una disomogeneità di trattamento;
   si evidenzia la disomogeneità in tutta la penisola anche in relazione alla spesa per sostenere la corsa, difatti gli interessati ai Pas, a copertura delle spese per l'erogazione dell'offerta formativa delle singole classi di abilitazione, sosterranno un costo che va dai 2.000 euro fino a raggiungere, come nel caso delle università siciliane, picchi di 3000 euro, aggravando ulteriormente la precarietà economica di questi docenti, sia perché chiamati saltuariamente a coprire cattedre intere o spezzoni orari, sia perché costretti a sostenere le spese anche per gli spostamenti e per l'alloggio al fine della partecipazione;
   è utile evidenziare che il MIUR, contattato dall'interrogante di recente per reperire le informazioni relative alle classi di concorso avviate e in quali ragioni, ha comunicato che non è in grado di fornire tali dati in quanto gli stessi sono in possesso unicamente dei singoli uffici scolastici regionali;
   eppure, il Governo, nella persona del segretario di Stato pro tempore Marco Rossi Doria, nella seduta del 17 gennaio 2014, in risposta alla interpellanza urgente n. 2-00366 aveva assicurato, nei limiti consentiti dall'autonomia delle singole sedi universitarie, la riapertura della banca dati per l'aggiornamento delle indicazioni relative all'offerta formativa annuale e pluriennale da parte delle università al fine di assicurare la razionale ed omogenea distribuzione sul territorio dei corsi PAS;
   il decreto 81 del 2013, infatti, aveva espresso chiaramente l'esigenza di definire tempi e modalità di attuazione dei corsi speciali sopracitati, ai sensi dell'articolo 15, commi 1-bis e seguenti del decreto ministeriale 249 del 2010 e di avviarne l'attivazione dal prossimo anno accademico 2013/2014;
   tra l'altro, il succitato decreto che istituisce i PAS include tra i partecipanti anche i titolari di diploma magistrale ai fini dell'abilitazione;
   tuttavia, con il riconoscimento del valore abilitante del diploma magistrale conseguito entro il 2001/2002 tramite il parere n. 3813 dell'11 settembre 2013 del Consiglio di Stato emesso in merito ad un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, è stato disposto l'inserimento nella II fascia delle graduatorie di istituto di tali docenti;
   nonostante i numerosi solleciti del Parlamento al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per procedere a tale riconoscimento sulla base della normativa vigente, per molti anni questi docenti sono stati relegati, ad avviso degli interroganti illegittimamente, in terza fascia delle graduatorie d'istituto e scavalcati nell'attribuzione degli incarichi e del conseguente punteggio dai colleghi che hanno conseguito il titolo abilitante dopo di loro;
   ai diplomati magistrali è stato dunque negato, con modalità di dubbia legittimità, l'inserimento nelle graduatorie permanenti, trasformate successivamente ad esaurimento, di cui all'articolo 1, commi 605, lettera c), e 607, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni;
    i nuovi docenti abilitati (tramite PAS, TFA, laurea in SFP), in mancanza di regolari concorsi, risultano privi di canali di reclutamento e di quel riconoscimento del valore concorsuale del titolo che ha permesso agli abilitati entro il 2006 di essere ammessi alle graduatorie ad esaurimento valide per l'immissione in ruolo; nonostante la decretata chiusura ex legge n. 296 del 27 dicembre 2006, comma 605, esistono precedenti che hanno permesso l'inclusione nelle graduatorie ad esaurimento per alcune categorie di docenti senza l'obbligo di alcun concorso, si pensi al ricorso al TAR degli abilitati SISS dopo il 2006 (TAR Lazio, Sez. III bis, ordinanza 4 ottobre 2013 n. 3862) oppure alla IV fascia aggiuntiva alla GAE istituita con decreto ministeriale n. 53 del 2012 alla quale hanno avuto accesso i precari che avevano conseguito determinati titoli abilitanti negli anni accademici 2008/09, 2009/10, 2010/11;
   si aggiunga che la motivazione della sentenza Corte di giustizia dell'Unione europea emessa il 26 novembre 2014 recita: «La clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, (...) deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che autorizzi in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l'espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo. (...);
   pertanto il rinnovo di contratti a tempo determinato per coprire posti vacanti e disponibili in attesa di procedure concorsuali, ma senza aver mai indetto tempi certi per cadenzare tali concorsi, è da ritenersi illegittimo –:
   in relazione al fatto che il Ministro, ad oggi, non possiede i dati relativi alle classi di concorso e alle regioni in ordine ai quali sono stati avviati i Pas, quali contatti ed intese intenda avviare con gli uffici scolastici regionali e gli atenei al fine di reperire tali dati e rendere omogenea ed operativa la presenza e la distribuzione dei corsi nelle singole regioni;
   con quali tempistiche il Ministro intenda avviare definitivamente i percorsi abilitanti speciali, sciogliendo le criticità che ancora persistono, per garantire l'attivazione omogenea dei percorsi afferenti alle varie classi di concorso nelle diverse regioni;
   quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di ridurre i costi che i candidati sono tenuti ad affrontare per l'iscrizione ai PAS e come intenda garantirne l'omogeneità di spesa su tutto il territorio nazionale;
   con quali modalità e termini il Ministro intenda consentire l'inserimento con riserva in seconda fascia agli aspiranti che conseguiranno il titolo di abilitazione oltre il termine di aggiornamento previsto dal decreto ministeriale 353/12014;
   in considerazione del fatto che la prova selettiva costituisce l'unico elemento di differenza tra i percorsi abilitanti TFA e PAS, perché il Ministro ha deciso di operare una distinzione così marcata del punteggio di cui in premessa;
   quali iniziative il Ministro intenda assumere al fine di ammettere alla frequenza dei corsi PAS quei docenti sprovvisti del nuovo requisito di servizio stabilito dal decreto ministeriale 249 del 2010 come successivamente modificato, alla luce del fatto che il requisito del servizio è nel complesso posseduto dagli aspiranti docenti; se non intenda inserire nelle graduatorie ad esaurimento i docenti che hanno conseguito il diploma magistrale entro il 2001/2002, anno antecedente all'anno di chiusura delle graduatorie permanenti ex legge n. 296 del 2006; considerati i precedenti citati in premessa circa la riapertura della graduatoria ad esaurimento, se non intenda considerare la possibilità di utilizzare tale principio pure per i docenti di II fascia d'istituto;
   se, per non incorrere ad una ulteriore infrazione, recependo la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea di cui in premessa non ritenga opportuno considerare, ai fini della stabilizzazione e contrariamente a quanto disposto nel documento «La Buona Scuola», anche i docenti della seconda fascia delle graduatorie d'istituto, provvisti di abilitazione, utilizzando la seconda fascia d'istituto a scorrimento, come bacino ulteriore per l'immissione in ruolo dei docenti che vi sono inseriti e riconsiderare il sistema del doppio canale ai sensi della legge 124 del 1999. (5-02664)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Vargiu n. 4-07702 del 27 gennaio 2015;
   interrogazione a risposta scritta Rampelli n. 4-07805 del 5 febbraio 2015;
   interrogazione a risposta scritta Franco Bordo n. 4-07811 del 5 febbraio 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Ciprini n. 5-04662 del 5 febbraio 2015;
   interrogazione a risposta scritta L'Abbate n. 4-07844 del 6 febbraio 2015;

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Luigi Gallo e altri n. 4-01411 del 24 luglio 2013 in interrogazione a risposta orale n. 3-01278;
   interrogazione a risposta scritta Luigi Gallo e altri n. 4-01522 del 31 luglio 2013 in interrogazione a risposta orale n. 3-01279;
   interrogazione a risposta scritta Luigi Gallo e altri n. 4-03223 del 21 gennaio 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-01280;
   interrogazione a risposta scritta Luigi Gallo e altri n. 4-03786 del 4 marzo 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-01281;
   interrogazione a risposta scritta Luigi Gallo e altri n. 4-04069 del 18 marzo 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-01282;
   interrogazione a risposta scritta Luigi Gallo e altri n. 4-04070 del 18 marzo 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-01283;
   interrogazione a risposta scritta Luigi Gallo e altri n. 4-04885 del 19 maggio 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-01284;
   interrogazione a risposta scritta Luigi Gallo e altri n. 4-05146 del 16 giugno 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-01285;
   interrogazione a risposta scritta Luigi Gallo e altri n. 4-05567 del 17 luglio 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-01286;
   interrogazione a risposta scritta Luigi Gallo e altri n. 4-05752 del 31 luglio 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-01287;
   interrogazione a risposta scritta Zanin e altri n. 4-06981 del 21 novembre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04696.

ERRATA CORRIGE

  L'interrogazione a risposta scritta Di Vita e altri n. 4-06356 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 306 del 9 ottobre 2014. Alla pagina 17323, prima colonna, dalla riga ventesima alla riga ventiseiesima deve leggersi: «se non ritenga il Ministro di dover assumere le iniziative di competenza, anche di carattere ispettivo, per verificare lo stato delle cose, al fine anche di evitare ulteriori scandali dello stesso genere, e limitare ulteriori eventuali danni per l'erario anche segnalando possibili anomalie alla competente magistratura contabile»; e non come stampato.