Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 21 gennaio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la Sardegna versa ormai da troppo tempo in una condizione oggettiva di grave crisi economica e finanziaria, causata soprattutto da una grave carenza infrastrutturale, che impedisce un proficuo scambio tra i cittadini sardi e le popolazioni continentali, ma anche di merci e prodotti di ogni genere;
    per sopperire a questa grave carenza strutturale, aggravata dalla sua insularità, la regione Sardegna negli anni ha approvato alcune leggi, chiedendo ai vari Governi di istituire su tutto il territorio la cosiddetta «zona franca integrale» o, in alternativa, alcune zone franche per i porti e capoluoghi di provincia più importanti e bisognosi di questo trattamento;
    l'attuazione della della zona franca integrale per la Sardegna non può considerarsi un privilegio o una concessione, ma una misura economica e fiscale idonea alla sopravvivenza del territorio e della popolazione sarda, un atto dovuto per compensare gli svantaggi competitivi con il resto del continente;
    difatti, le zone interne e periferiche della Sardegna sono storicamente caratterizzate da un'arretratezza infrastrutturale che, unitamente alle difficoltà nei collegamenti viari, agli alti costi dei trasporti, a un cronico ritardo nello sviluppo economico e occupazionale e al progressivo disimpegno dei servizi pubblici di natura essenziale, ha determinato, con il passare dei decenni, un sempre maggiore spopolamento e abbandono di tali zone, fenomeno che si va aggravando in conseguenza della crisi economica generale;
    a questo va aggiunto che, con l'adozione del decreto ministeriale 7 marzo 2014, del Ministro della giustizia, è stata disposta la chiusura di 38 sedi distaccate del giudice di pace nel territorio regionale e il relativo accorpamento con le sedi centrali da cui dipendevano, privando così diverse aree ritenute marginali di un servizio estremamente utile per i cittadini e costringendo questi ultimi ad affrontare lunghi ed estenuanti spostamenti per poterne usufruire; congiuntamente è stato stabilito anche il ridimensionamento dei presidi di polizia e vigili del fuoco in diverse aree interne e periferiche dell'isola;
    nonostante la riluttanza dei vari Governi, fu la legge costituzionale n. 3 del 1948, che diede vita allo statuto autonomo della regione Sardegna, a prevedere all'articolo 12 l'attuazione della zona franca per la Sardegna;
    questo ritardo ha, purtroppo, provocato una profonda distorsione dell'economie territoriali con una grave crisi economica-occupazionale che, negli anni, ha creato una crisi demografica senza precedenti;
    secondo i dati dell'Istat, la disoccupazione in Sardegna ha raggiunto numeri allarmanti, infatti, sono 552 mila i sardi che nel 2013 hanno un lavoro, 43 mila in meno rispetto al 2012, mentre i disoccupati sono aumentati di 8 mila, diventando 117 mila in totale, tutto questo a causa di condizioni economiche stantie che, senza un cambiamento di rotta, non possono modificarsi da sole;
    per tali ragioni, la «zona franca» non può essere considerata un privilegio, ma il rimedio per compensare la difficoltà di un'isola dove i costi di produzione sono il 30 per cento in più che nel resto d'Italia per l'assenza d'infrastrutture ed elevati costi di trasporto, basti pensare che l'Europa è distante 240 miglia marine;
    l'attuazione della zona franca al consumo, infatti, favorirebbe un risparmio delle famiglie senza contare i potenziali benefici derivanti dalla fiscalità di vantaggio per le imprese, mentre i comuni potrebbero disporre delle entrate derivanti dal fatturato territoriale,

impegna il Governo:

   a realizzare nel minor tempo possibile tutte le procedure necessarie al fine di istituire in Sardegna una zona franca integrale, come previsto dalla legge costituzionale n. 3 del 1948 e dallo statuto speciale della Sardegna;

   ad assumere tutte le iniziative idonee a favorire il rilancio economico ed industriale del territorio sardo, introducendo misure di sostegno soprattutto per i territori interni con maggiori problematicità infrastrutturali, in particolare al fine di prevedere una riduzione degli oneri burocratici, fiscali e sociali tale da incentivare le imprese alla permanenza nei luoghi d'origine e all'assunzione di forza lavoro locale.
(1-00718) «Nizzi, Faenzi, Pizzolante, Caon, Garofalo, Polverini, Bergamini, Milanato, Petrenga, Antonio Martino, Busin, Mottola, Russo, Sandra Savino, Palmieri, Calabrò, Minardo, Scopelliti, Parisi, Marcolin, Occhiuto, Vella».


   La Camera,
   premesso che:
    la stampa, in data 20 gennaio 2015, ha dato notizia che la procura della Repubblica di Milano ha aperto un fascicolo contro ignoti a seguito della presentazione di un esposto sulla vicenda delle trascrizioni nella città di Milano dei matrimoni contratti all'estero da persone dello stesso sesso;
    nel mese di ottobre 2014, il Ministro interrogato adottava la circolare n. 40o/ba-030/011/DAIT con la quale chiedeva ai prefetti di invitare i sindaci a cancellare le trascrizioni effettuate e, in caso di non ottemperanza all'invito, di procedere essi stessi a cancellarle d'ufficio «ai sensi del combinato disposto dell'articolo 21-nonies della legge n. 241 del 1990 e dell'articolo 54, commi 3 e 11, del decreto legislativo n. 267 del 2001»;
    la vicenda dell'intervento del prefetto in via sostitutiva è stata esaminata dalla procura della Repubblica di Udine, a seguito di un esposto che chiedeva di valutare se la cancellazione della trascrizione da parte del prefetto della provincia integrasse ipotesi di reato;
    la procura della Repubblica di Udine, pur non rilevando ipotesi di reato, precisava che la cancellazione di un matrimonio trascritto non può essere disposta da un'autorità amministrativa – che sia il Ministro, il prefetto o lo stesso sindaco –, ma solo dall'autorità giudiziaria, alla quale la legge affida la relativa competenza, in base all'articolo 95 del regolamento di stato civile (decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000);
    rispondendo all'interpellanza urgente 2-00794, il Governo ha affermato di non voler tenere in considerazione le motivazioni espresse dalla procura della Repubblica di Udine e ha ribadito che i prefetti avrebbero il potere di cancellare le trascrizioni, in virtù del fatto che le funzioni di stato civile sono attribuite dallo Stato e sono esercitate solo in via indiretta e subordinata dal sindaco nell'ambito del comune;
    il Governo ritiene, dunque, che il potere di annullamento da parte del prefetto sia una tipica manifestazione di una sovraordinazione gerarchica e concreta un rimedio di ordine amministrativo; a tal proposito, ha fatto riferimento alla sentenza del Consiglio di Stato n. 3076 del 2008, relativa a provvedimenti sindacali in materia di sicurezza urbana, che il Governo definisce «analoghe fattispecie»;
    tuttavia, non può non esser rilevato che tale conclusione non appare ai firmatari del presente atto di indirizzo corretta, dal momento che non si tratta affatto di «analoghe fattispecie»: il caso citato dal Governo, infatti, riguarda ordinanze aventi natura provvedimentale, mentre le trascrizioni sono evidentemente atti dichiarativi per i quali la legge prevede esclusivamente il ricorso giurisdizionale di cui all'articolo 95 del regolamento di stato civile;
    a rafforzare tale certezza vi è l'articolo 12, comma 6, del regolamento di stato civile, il quale recita: «Gli atti dello stato civile sono chiusi con la firma dell'ufficiale dello stato civile competente. Successivamente alla chiusura gli atti non possono subire variazioni». Non avrebbe rilievo, quindi, il profilo della subordinazione o meno del sindaco quale ufficiale di stato civile, essendo chiaro il dettato legislativo;
    inoltre l'articolo 100 del regolamento dispone: «I tribunali della Repubblica sono competenti a disporre le rettificazioni e le correzioni di cui ai precedenti articoli anche per gli atti dello stato civile ricevuti da autorità straniere, trascritti in Italia ed a provvedere per la cancellazione di quelli indebitamente trascritti [...]»;
    è paradossale peraltro che venga ignorato il corretto dato normativo, in quanto nel massimario per l'ufficiale di stato civile del Ministero dell'interno, adottato con decreto ministeriale nel 2012, compare al paragrafo 15.1.1 (pagina 166): «cancellazione di un atto. Quando si voglia procedere alla “cancellazione di un atto indebitamente registrato” negli archivi dello stato civile, considerato che non può esserne effettuata la materiale cancellazione, la legge prescrive che si faccia ricorso a iniziativa del pubblico ministero (eventualmente su segnalazione dello stesso ufficiale di stato civile) alla procedura di rettificazione di cui agli articoli 95 e 96 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000 rimettendo la competenza a decidere esclusivamente all'autorità giudiziaria. Il relativo decreto deve essere opportunamente annotato sui registri dello stato civile»;
    l'articolo 69, comma 1, lettere (e) ed (i), del regolamento, inoltre, indica tra gli atti di cui è possibile fare annotazione nel registro degli atti di matrimonio solo le «sentenze con le quali si pronuncia l'annullamento della trascrizione dell'atto di matrimonio» ed i «provvedimenti di rettificazione» ma non altri atti (come le circolari ministeriali o i decreti prefettizi) con il medesimo effetto;
    a fugare ulteriormente ogni dubbio soccorre il decreto ministeriale 5 aprile 2002 (recante Approvazione delle formule per la redazione degli atti dello stato civile), il quale nel prescrivere le formule tassative di annotazione (tali secondo gli articoli 11, comma 3, e 12, comma 1, del Regolamento di stato civile) così recita all'Allegato A con la formula n. 190, unica dedicata alla rettificazione: «Annotazione di provvedimento di rettificazione (articoli 49, 69 e 81 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396). Con provvedimento del Tribunale di ... n. ... in data ... l'atto di cui sopra è stato così rettificato: (inserire specificamente le rettificazioni così come sono state disposte)...». Non compare cioè in alcun modo un potere costituito in capo al Ministro, al Prefetto o a qualsiasi altro ufficiale di stato civile di intervenire sopra i registri, manomettendone così l'autenticità;
    è evidente, dunque, che la circolare del Ministro dell'interno, prima, e l'intervento dei prefetti poi, a Milano come in altri comuni, non appaiono corretti sotto il profilo giuridico, perché violano la legge e vanno a ledere prerogative e compiti propri della procura della Repubblica ex articolo 75 dell'ordinamento giudiziario;
    rispondendo all'interpellanza urgente sopra citata, il Governo ha anche concluso di non rinvenire i presupposti per il ritiro della circolare n. 40o/ba030/011/DAIT del 7 ottobre 2004. Tuttavia, alla luce degli inconfutabili elementi di diritto evidenziati, la circolare appare ai firmatari del presente atto di indirizzo del tutto illegittima e, dunque, lo è anche continuare a mantenerla in vigore;
    con tale circolare, infatti, viene integrata una grave violazione della Costituzione (competenze dell'ordinamento giudiziario), nonché della legge (ordinamento di stato civile) in sede di applicazione di norme con riferimento alle sole persone omosessuali;
    i sindaci hanno applicato in maniera corretta, dunque, il regolamento di stato civile, che prevede la trascrizione come atto di pubblicità e certificazione e non come atto costitutivo;
    appare, altresì, assolutamente lecita la condotta dei sindaci che, nel rispetto della legge, non si sono attenuti alla circolare ministeriale n. 40o/ba-030/011/DAIT del 7 ottobre 2014, in quanto, come insegna la costante giurisprudenza, l'interpretazione delle disposizioni contenute nelle circolari non vincola, né i sindaci né i giudici e, cosa più importante, non costituisce fonte del diritto (per tutte: Corte di Cassazione, sentenza 5137/2014; Consiglio di Stato, sentenza 5506/2000),

impegna il Governo

a ritirare con urgenza la circolare ministeriale n. 40o/ba-030/011/DAIT del 7 ottobre 2014, emanata dal Ministro dell'interno.
(1-00719) «Scotto, Quaranta, Costantino, Fratoianni, Airaudo, Franco Bordo, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CAPONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   recentemente, in relazione al cosiddetto decreto sblocca Italia e alle attività di coltivazioni degli idrocarburi, la stampa territoriale ha dato notevole risalto al rischio che gli ordigni inesplosi nel mare Adriatico possano divenire un rischio concreto nelle attività di trivellazione finalizzate alla ricerca del petrolio;
   tale rischio coinvolge comprensibilmente sia il fronte italiano che quello croato e, più in generale, delle altre sponde adriatiche, come si evince dalla comunicazione del Ministero dell'economia della Croazia del 2 gennaio 2015 circa la concessione da parte del Governo di Zagabria di dieci licenze per esplorazione e sfruttamento di idrocarburi in Adriatico in seguito alla prima gara pubblica conclusasi il 2 novembre 2014;
   a quel che si apprende dalla stampa, «le concessioni numero 25 e 26 della INA — Industrija Nafte — ricadono in un'area segnalata da carte nautiche e natanti come deposito di ordigni inesplosi». E ancora: «le prospezioni geofisiche che si vorrebbero condurre con tecniche Air-Gun (e simili), così come le future trivellazioni di pozzi provvisori e definitivi, probabilmente non sono mai state messe in correlazione con le migliaia di ordigni bellici affondati nelle sottozone di cui si chiede l'indagine e nelle altre zone confinanti»;
   tale allarme non sembra essere ingiustificato come confermano anche numerosi atti parlamentari prodotti in questi anni;
   in particolare, si ricorda in questa sede l'ordinanza della capitaneria di porto di Manfredonia che, nel 1972, vietò per motivi di sicurezza la navigazione, l'ancoraggio, la pesca subacquea e la balneazione per un profondità di 500 metri dalla costa nelle acque di Pianosa, arcipelago delle Tremiti, i cui fondali ospitano una distesa di ordigni della Seconda Guerra Mondiale;
   nel 2006, infatti, da parte dei Ministeri della difesa e dell'ambiente era stata impegnata la cifra di 5 milioni di euro finalizzata al «Piano di Risanamento del Basso Adriatico». Cifra che, come si legge in un'inchiesta giornalistica, «avrebbe dovuto bastare per tutta la Puglia, ma è stata concentrata per la bonifica dei fondali di una unica zona, nelle acque di Molfetta. Un altro emblema del “mare di bombe” che giace nelle acque italiane». Nella stessa inchiesta giornalistica si legge: «Nelle acque di Molfetta è in atto una bonifica da parte della Marina Militare, iniziata solo grazie all'avvio del progetto per la costruzione del nuovo porto commerciale. La ditta incaricata di svolgere in via preliminare la “pulizia” dei fondali da materiali ferrosi, la ATI Lucatelli di Trieste, nel 2006 ha rinunciato all'appalto per i troppi ordigni che intasavano l'imboccatura del porto chiedendo l'intervento del nucleo Sdai (Sminamento e difesa Antimezzi Insidiosi). Dal luglio 2008 la palla è così passata nelle mani della Forze Armate impegnate in una bonifica che dovrebbe concludersi entro metà 2014»;
   a questo proposito va sottolineato come, secondo il dossier redatto dal Coordinamento nazionale bonifica armi chimiche, «il mare di Molfetta custodisce migliaia di ordigni caricati all'iprite, una sostanza chimica dagli effetti devastanti; contenuta nelle stive delle 17 navi alleate affondate nel Porto di Bari durante il bombardamento tedesco del 2 dicembre 1943». E ancora: «Nei mari della Puglia dopo il secondo conflitto mondiale sarebbero finiti circa 20 mila ordigni a caricamento chimico oltre a quelli convenzionali: anche bombe e munizioni stoccate nei depositi di Bitonto, Foggia, Manfredonia, e poi inabissate degli eserciti alleati»;
   l'allarme armi nell'Adriatico non si limita però solo al Basso Adriatico ma coinvolge anche altri mari italiani quali ad esempio i fondali pesaresi, come peraltro dimostrerebbe un documento prodotto dalla provincia di Pesaro nel dicembre 2012, una cartografia dell'Arpa regionale frutto di indagini svolte negli anni ‘50, che mostra con chiarezza la presenza di ordigni lungo la fascia costiera tra Pesaro e Fano;
   sul quotidiano la Stampa, il 4 marzo 2013, si può leggere: «Tra Adriatico, Ionio e Tirreno il Portolano della navigazione edito dall'Istituto idrografico della Marina parla di decine di mine magnetiche, siluri, proiettili o altri ordigni esplosivi. Per questo proibisce in varie aree, come ad esempio nel golfo di Oristano e a Capo d'Otranto, la navigazione, la sosta di natanti e la pesca. Restrizioni analoghe sono in vigore quasi in ogni angolo dei nostri mari. Solo per il basso Adriatico sono più di 200 i casi documentati di pescatori intossicati e ustionati dalle esalazioni sprigionatesi da armi chimiche portate a galla con le reti». E ancora: «La situazione più critica è in Adriatico. L'Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica applicata al mare tra il 1997 e il 1999 ha redatto le mappe di quattro aree del basso Adriatico dove si ritiene siano presenti almeno 20 mila residui bellici a carica chimica. Nel dicembre del 1943 a Bari affondò sotto i bombardamenti tedeschi la nave Usa John Harvey, con nelle stive 15.000 bombe d'aereo all'iprite mai recuperate»;
   inoltre, tale allarme si spinge anche fin quasi ai giorni nostri con la Guerra del Kossovo e nella ex Jugoslavia, come dimostra una mappa diffusa dalla capitaneria di porto di Manfredonia, non confermata però a quanto si apprende dal Ministero della difesa e dal comando generale della capitaneria di porto, dove si segnalavano 11 zone di sgancio di ordigni inesplosi da parte dei caccia Nato nel Basso Adriatico –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere in relazione ai rischi più volte paventati relativamente agli ordigni inesplosi nel Mare Adriatico; quali iniziative si intendano intraprendere relativamente alle attività di trivellazione in essere già autorizzate dal Governo croato e a quelle già autorizzate e in fase di autorizzazione da parte del Governo italiano circa i paventati rischi in relazione alla presenza di ordigni inesplosi nel Mare Adriatico; se, anche in relazione a tale rischio, non si renda opportuno l'avvio di una moratoria in sede europea, tale da definire protocolli comuni e condivisi relativamente alle richieste di prospezioni e autorizzazioni alla ricerca e coltivazione di idrocarburi e, contemporaneamente, non si ritenga necessario e opportuno, la definizione di un protocollo condiviso tra i Paesi che si affacciano sul corridoio adriatico specificamente in merito al rischio ordigni inesplosi. (5-04537)


   PAOLO BERNINI, MANLIO DI STEFANO, SPADONI, GRANDE, SCAGLIUSI, CARINELLI, COZZOLINO, LOMBARDI, DIENI, AGOSTINELLI e BONAFEDE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la crisi diplomatica tra India e Italia in corso dal 2012 è una controversia internazionale sorta in merito all'arresto, da parte della polizia indiana, di due fucilieri di marina italiani – Massimiliano Latorre e Salvatore Girone – accusati di aver ucciso due pescatori imbarcati su un peschereccio indiano scambiato per un battello dedito alla pirateria il 15 febbraio 2012 al largo della costa del Kerala, stato dell'India sud occidentale;
   allo stato attuale delle trattative e negoziazioni tra Italia e India, non si è ancora arrivati ad una soluzione diplomatica del caso e attualmente non sembra esserci la probabilità di una rapida soluzione del caso;
   Vinod Sahai, rappresentante della comunità indiana in Italia, di cui fanno parte circa 250 mila indiani che vivono nel nostro Paese, ha pubblicamente rilasciato un'intervista a Il Giornale (online) del 12 febbraio 2014, dove affermava che avrebbe potuto fare una petizione a nome della comunità indiana in Italia nella quale si chiedeva che la Corte suprema autorizzasse il Governo indiano a trovare una soluzione extragiudiziale oppure che rinviasse il caso a un tribunale internazionale. Inoltre, il signor Sahai, affermava – nella stessa intervista – che: «Nel settembre 2012 l'istanza era pronta, ma sono stato convocato a Roma. Il ministro della Difesa Di Paola mi ha chiesto di non presentare la petizione. Gli indiani avevano arrestato i marò e così non sarebbe stata l'Italia ma un rappresentante della comunità indiana a sbloccare la situazione. Gli ho detto: Ma a voi dovrebbe solo interessare che tornino a casa. Non mi ha risposto»;
   con il Governo Renzi, Vinod Sahai, come ha dichiarato in un'intervista a Il Giornale (online) del 20 dicembre 2014, si è riproposto come mediatore per risolvere la crisi diplomatica tra India e Italia inviando – nel maggio del 2014 – una mail all'ex Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Mogherini, di cui vengono riportati gli stralci nell'articolo sopracitato, dove Sahai dice: «Credo si possa ancora fare molto per accelerare la liberazione dei Marò e trovare la soluzione migliore per tutti. Sono sempre disponibile a collaborare (...) e, se mi autorizza, potrei andare in India per verificare (...) quale possibilità ci siano per poter liberare i Marò». Il Ministro pro tempore Mogherini non rispose mai a questa mail –:
   se risulti agli atti per quali motivi il Governo Monti, nella persona del Ministro della difesa pro tempore Giampaolo Di Paola, fermò all'ultimo momento l'istanza che Vinod Sahai aveva intenzione di presentare alla Corte Suprema indiana;
   se risulti per quali motivi, con il nuovo Governo Letta ed in seguito il Governo Renzi, Vinod Sahai non sia mai stato coinvolto nella soluzione del caso diplomatico dei due Marò detenuti in India;
   per quale motivo il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale pro tempore Mogherini non abbia risposto all'offerta di aiuto di Vinod Sahai come descritto in premessa;
   se l'attuale Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale – Paolo Gentiloni – intenda avvalersi del supporto del rappresentante della comunità indiana in Italia, Vinod Sahai, per risolvere celermente il caso diplomatico dei due Marò, procedendo nella direzione suggerita dallo stesso Vinod Sahai. (5-04538)


   FERRARI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 15 dicembre 2014 a Firenze si riuniscono i club facenti parte dell'organico 2013-14 per approvare il bilancio relativo alla stagione sportiva di riferimento. Il bilancio è bocciato: 40 voti contrari, 2 astenuti e 25 a favore;
   il presidente della LegaPro Macalli incarica il professor Antonio Baldassarre affinché il voto venga invalidato motivando che a tale votazione avrebbero dovuto votate le società in organico nella stagione 2014-15 e non quelle della stagione di riferimento del bilancio (la tesi cade poiché il bilancio è riferito alla stagione sportiva e non all'anno solare);
   il presidente federale fissa come termine il 28 dicembre 2014 affinché il presidente della Lega gli trasmetta gli atti della assemblea per i provvedimenti conseguenti dell'autorità istituzionale superiore. Il termine trascorre senza che sostanzialmente la FIGC riceva i documenti che aveva richiesto;
   il 19 dicembre 2014 viene convocato il consiglio direttivo della Lega Pro con all'ordine del giorno il budget per la stagione sportiva 2014-15, nonostante il bilancio 2013-14 fosse stato bocciato. In tale occasione non viene presa in considerazione l'istanza depositata in assemblea di lega, tenutasi il 15 dicembre 2014, contenente la richiesta dei club (in virtù dell'articolo 9, comma 3, dello statuto di Lega) di procedere alla nuova convocazione dell'assemblea inserendo nell'ordine del giorno la revoca dell'attuale governance e la conseguente elezione della nuova;
   il 24 dicembre 2014, 16 club (in base all'articolo 9 comma 3) ridepositano la richiesta di convocazione dell'Assemblea con all'ordine del giorno la revoca dell'attuale governance e la conseguente elezione della nuova. La richiesta è stata depositata in Lega Pro, ma anche presso le autorità sportive superiori, e cioè FIGC e CONI;
   il 3 gennaio 2015 il presidente della FIGC intima al presidente della Lega di convocare l'assemblea e sollecita il deposito dei documenti, non ancora inviati, relativi all'assemblea svoltasi il 15 dicembre 2014;
   il 5 gennaio 2015 viene convocato il consiglio direttivo della Lega Pro, il presidente non si presenta e due consiglieri si dimettono. Nel contempo, alla stessa data, viene depositato un documento da 33 club di Lega Pro e consegnato alle autorità sportive superiori FIGC e CONI. Nel documento politico si evidenzia una inequivocabile sfiducia politica nei confronti dell'attuale governance da parte della maggioranza dei club facenti parte dell'organico 2014-15. Il consiglio direttivo persiste nel tentativo di invalidare l'assemblea tenutasi il 15 dicembre 2014 per i motivi riportati al punto 1 della presente e aggiorna al 9 gennaio 2015 la riunione del consiglio direttivo;
   il 9 gennaio 2015 si riunisce il consiglio direttivo della Lega Pro. Si dimette un altro consigliere. Dichiara legittima l'assemblea del 15 dicembre 2014 e abbandona la tesi della illegittimità sostenuta da Antonio Baldassarre. Il consiglio direttivo:
    delibera di chiedere alla FIGC di valutare l'ipotesi di nominare un commissario ad acta per il bilancio bocciato dall'assemblea dei club il 15 dicembre 2014;
    decide di inviare il documento pervenuto il 5 gennaio 2015, firmato dai legali rappresentanti dei club e presentato in base all'articolo 9, comma 3, dello statuto, alla procura federale per operare una verifica;
    ignora l'obbligo, intimato con lettera del 3 gennaio 2015 dal Presidente della FIGC, di procedere senza indugio alla convocazione dell'assemblea inserendo nell'ordine del giorno quanto richiesto dai club dapprima nell'assemblea del 15 dicembre 2014 e successivamente il 24 dicembre 2014;
    convoca l'assemblea della Lega Pro per febbraio 2015, con all'ordine del giorno il proseguimento dei punti non trattati il 15 dicembre 2014 –:
   come e se il Governo intenda intervenire, per quanto di competenza presso le competenti autorità istituzionali affinché vengano accertate le presunte violazioni dello Statuto della Lega Pro, e di conseguenza dello Statuto della FIGC, si verifichi se vi siano i termini di un commissariamento, da parte del CONI, per sbloccare suddetta situazione di stallo e se non ritenga urgente intraprendere qualsiasi iniziativa volta a promuovere un ampio dibattito tra tutti i soggetti in campo.
(5-04545)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BOCCADUTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 maggio 2014 la Camera dei deputati ha approvato la mozione n. 1-00216, con la quale ha impegnato il Governo ad assumere iniziative a livello nazionale ed europeo perché vengano attuate politiche di contenimento della spesa, esaminando l'opportunità di introdurre misure finalizzate a ridurre in maniera significativa la domanda di monete da 1 e 2 centesimi, analogamente a quanto avvenuto in altri Stati membri dell'Unione europea, previa valutazione dell'impatto delle misure medesime sull'inflazione –:
   quali iniziative il Governo abbia assunto, in ottemperanza a quanto stabilito dalla suddetta mozione. (4-07590)


   DI GIOIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende da fonti giornalistiche il Governo italiano sta elaborando l'elenco dei danni provocati da inondazioni, frane e alluvioni per accedere agli aiuti previsti nel Fondo di solidarietà dell'Unione europea (FSUE) per rispondere alle grandi calamità naturali;
   sempre dalle stesse fonti si apprende che il commissario europeo per le politiche regionali, Corina Cretu, nei rispondere ad una interrogazione presentata al Parlamento europeo da un deputato italiano, avrebbe dichiarato testualmente «la Commissione europea è in contatto con il Governo italiano, il quale è attualmente impegnato a raccogliere i dati necessari per una domanda di intervento del Fondo di solidarietà a seguito dei danni in Liguria, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto»;
   da ciò si deduce che il Governo non avrebbe intenzione di inserire, tra le aree danneggiate, la regione Puglia che ha riportato gravi danni a seguito dell'alluvione che ha colpito la regione nel mese di settembre 2014, in particolare nell'area del Gargano, dove si registrarono gravissimi danni e purtroppo la morte di due persone;
   a conferma di ciò il Governo riconobbe lo stato di emergenza per le zone del Gargano colpite dall'alluvione e stanziò una cifra di poco superiore ai 10 milioni di euro;
   lo stesso assessore regionale con delega alla protezione civile ebbe modo, in quella circostanza, di dichiarare che i danni si aggiravano intorno ai 318 milioni di euro e proprio per questo la regione Puglia è intervenuta con fondi aggiuntivi in diverse aree particolarmente colpite dall'alluvione –:
   se trovi conferma quanto sopra esposto e se non si ritenga, nel caso, una grave omissione avere escluso la regione Puglia dall'elenco delle aree per le quali richiedere un intervento del fondo di solidarietà europeo che sarebbe risultato indispensabile per ripristinare nell'area condizioni di «normalità» indispensabili per consentire la ripartenza di un territorio la cui economia si incentra, in modo particolare, sul turismo;
   se e quali iniziative si intendano adottare per modificare, nel caso, l'indicazione delle regioni per le quali richiedere l'intervento del fondo di solidarietà dell'Unione europea al fine di inserire nell'elenco anche la regione Puglia duramente colpita dall'alluvione del settembre 2014. (4-07596)


   NESCI e PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sul portale Internet della testata giornalistica Il Quotidiano del Sud, è apparso, in data 20 gennaio 2015, un articolo a firma di Piero Cirino in cui si legge che «dopo le apparecchiature per accertare i tumori ordinate e mai messe in funzione, con quella del Cosentino in attesa di autorizzazione da cinque anni, il nuovo colpo arriva sull'ospedale civile «Beato Angelo» di Acri, in provincia di Cosenza»;
   di seguito, nello stesso articolo viene precisata la notizia, relativa alla temporanea sospensione degli interventi chirurgici – presso il summenzionato ospedale di Acri – «la cui durata superi all'incirca i sessanta minuti», «in ragione della mancanza in organico di un elettricista», poiché «l'ultimo è andato in pensione poche settimane fa e qualora vi fossero problemi legati al funzionamento dell'impianto elettrico non vi sarebbero figure specializzate in grado di intervenire tempestivamente»;
   secondo l'articolista Cirino, «il problema al momento riguarda la sala operatoria, ma è l'intera struttura ovviamente a essere in pericolo, dato che il rischio riguarda praticamente tutte le unità operative interessate»;
   per ultimo, nell'articolo in questione è riportato che «la mancanza di un elettricista è stata segnalata ai vertici dell'Azienda sanitaria provinciale di Cosenza, ma, al momento, il problema non è stato ancora risolto»;
   innumerevoli, gravi e persistenti disservizi e inadempimenti si sono cumulati in ordine alla sanità calabrese, a motivo del fatto che il Governo centrale sostituì con evidente, colpevole ritardo il commissario deputato al piano di rientro dal debito sanitario, da quell'incarico decaduto per legge Giuseppe Scopelliti, poiché intervenuta nei suoi confronti una sentenza penale di condanna in primo grado;
   alla data odierna il Governo non ha nominato il nuovo, suddetto commissario ad acta, scaduto – con la proclamazione del governatore della Calabria, eletto il 23 novembre ultimo scorso – l'incarico in parola conferito dal Consiglio dei ministri, nel settembre 2014, al generale Luciano Pezzi;
   la riferita situazione complessiva – come peraltro già significato nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-07518, firmata dagli stessi interroganti – ha di fatto interrotto l'attuazione del piano di rientro dal debito sanitario calabrese, determinando una paralisi generale rispetto alla riorganizzazione dei servizi, con diffuse ripercussioni sulla tutela del diritto alla salute previsto all'articolo 32 della Costituzione;
   a tale ultimo riguardo si riporta, a titolo di esempio, la mancata applicazione, dimenticata addirittura dal 2010, del D.p.g.r. n. 18 del 2010, che assegna un punto di prima emergenza al comprensorio della Valle del Savuto (Cosenza), ancora atteso dai cittadini, che ne sollecitano l'apertura con iniziative pubbliche promosse da un apposito comitato, secondo quanto si legge in un articolo del 22 dicembre 2014 presente sul sito della testata giornalistica Il Fatto Quotidiano;
   ancora, 41 lavoratori, già in servizio presso strutture dell'Azienda sanitaria provinciale di Cosenza tramite il progetto di lavoro interinale «Obiettivo Lavoro», benché destinatari di nuova assunzione per via dell'aggiudicazione di una procedura pubblica in capo alla società romana Servizi Integrati srl, sono da mesi in attesa di specifica comunicazione dalla summenzionata azienda pubblica utilizzatrice;
   da quanto appreso dagli interroganti e già rappresentato formalmente al prefetto di Cosenza, dottor Gianfranco Tomao, il dg facente funzioni dell'Asp di Cosenza, dottor Luigi Palumbo, starebbe rimandando gli atti per le assunzioni in attesa della nomina della nuova dirigenza, che dovrà essere validata dal prossimo – commissario ad acta per il piano di rientro dal debito sanitario della Calabria;
   inoltre, la rete dell'assistenza ospedaliera della Calabria non è stata completata e l'organico degli ospedali pubblici ha risentito pesantemente, consta agli interroganti, della confusione generata dall'avvio e poi dalle ricordate interruzioni del suddetto piano di rientro, provocate dalla lunga mancanza del commissario preposto, al punto che si registra carenza di paramedici e medici in taluni reparti, in cui potrebbero essere impiegati sanitari rimasti di fatto — per le predette ragioni — senza quotidiana occupazione –:
   come ritengano di intervenire, nell'ambito delle proprie competenze, per sanare immediatamente il gravissimo vuoto in corso nella gestione della sanità calabrese. (4-07613)


   SCOTTO, PAGLIA e RICCIATTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 gennaio 2015 il FattoQuotidiano.it ha pubblicato un articolo a firma di Giuseppe Alberto Falci e Antonio Pitoni dal titolo «Palazzo Chigi, nuovo codice etico: bavaglio ai dipendenti. Contestazioni» ove si legge che con un decreto del il Presidente del Consiglio dei ministri del 16 settembre 2014 è stato introdotto il nuovo «Codice di comportamento e di tutela della dignità e dell'etica dei dirigenti e dei dipendenti» che si sostanzia in un vero e proprio giro di vite, rispetto alla normativa entrata in vigore con il precedente Esecutivo, la cui approvazione avrebbe generato particolari tensioni e malumori nella sede della Presidenza del Consiglio dei ministri. In particolare, nel citato articolo viene evidenziato come un alto dirigente di palazzo Chigi sia costretto al silenzio dalla nuova normativa restrittiva imposta e che il confronto tra il nuovo testo e il precedente spiegherebbe da solo «il radicale cambio di rotta»;
   nonostante l'obbligo di astenersi «da dichiarazioni pubbliche offensive nei confronti dell'amministrazione», il vecchio codice di comportamento faceva salvo «il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali». In sostanza, con il precedente Esecutivo guidato dall'onorevole Enrico Letta, a tutti i dirigenti e dipendenti veniva riconosciuto il diritto di critica purché il suo esercizio non scadesse nell'offesa. Nella nuova formulazione della norma, invece, lo stesso diritto viene fatto salvo solo «nell'esercizio dell'attività sindacale», ovvero garantito solo ai rappresentanti dei lavoratori, con la conseguenza che il semplice dipendente è obbligato ad astenersi «dal fornire ai mezzi di comunicazione qualunque informazione attinente il contesto organizzativo» o alle attività d'ufficio senza «previa autorizzazione». «Insomma, una norma» si legge ancora nell'articolo «che sembra scritta con lo scopo di tenere i giornalisti lontani da Palazzo Chigi, obbligandoli a passare esclusivamente dall'ufficio stampa»;
   il citato provvedimento, inoltre, per quanto risulta all'interrogante, sembrerebbe essere stato accompagnato da roventi polemiche nei giorni della sua approvazione da parte dei rappresentanti sindacali perché le restrizioni del diritto di critica e della libertà di parola rappresentano imposizioni assurde e inaccettabili in uno Stato democratico come il nostro;
   il diritto di critica è infatti, espressione della democrazia di un Paese ed è un diritto tutelato costituzionalmente (Articolo 21 Cost.) e il diritto di critica dei lavoratori come pure il diritto di critica sindacale rivestono una particolare importanza nell'ambito del nostro ordinamento giuridico perché incentrati sulla salvaguardia del valore della persone che la manifestano nell'ambito dei rapporti di forza;
   da quando si è insediato l'attuale Governo diversi articoli diffusi dalla stampa nazionale e locale hanno stigmatizzato l'operato e le scelte compiute dall'Esecutivo sotto vari profili;
   inoltre, va segnalato che in vari atti di sindacato ispettivo è stata posta la questione della nomina, fortemente voluta, a quanto pare, dal Presidente del Consiglio, della dottoressa Manzione a capo del DAGL (dipartimento per gli affari giuridici legislativi), nonostante l'avviso contrario già manifestato dalla Corte dei Conti, e sebbene la stessa dottoressa Manzione non risultasse in possesso dei requisiti formali previsti dall'articolo 23, comma 7, della legge n. 400 del 1988, né avesse, come si evince dal suo curriculum vitae, la necessaria esperienza e professionalità richieste per l'espletamento dell'incarico in questione, non avendo mai svolto funzioni riconducibili all'attività normativa del Governo; si è chiesto se corrispondesse al vero che dal 1o aprile 2014, giorno delle dimissioni del precedente capo del dipartimento per gli affari giuridici e amministrativi, lo stesso dipartimento fosse rimasto privo di un titolare, e chi avesse svolto in quel periodo le fondamentali funzioni di coordinamento dell'attività normativa del governo e di interlocuzione con la Presidenza della Repubblica spettanti al DAGL e richiamate in premessa, in mancanza del titolare del dipartimento;
   il Gruppo Parlamentare Sinistra Ecologia e Libertà – ritenendo che a capo del DAGL fosse stata nominata una persona di qualificazione sicuramente inferiore rispetto ad altre personalità che in precedenza avevano rivestito lo stesso ruolo come il Professor Ugo Patroni Griffi o il consigliere Claudio Zucchelli – si è sempre astenuto dall'esprimere una posizione al riguardo;
   pur tuttavia, si deve riconoscere che da quando si è insediato l'attuale Governo, quasi tutti i provvedimenti legislativi da questo emanati hanno seguito un iter di esame e di approvazione del tutto insolito, come non era mai accaduto con i precedenti Governi guidati da Prodi, Monti, Letta e addirittura Berlusconi;
   quasi tutti i provvedimenti legislativi di natura governativa presentati dall'attuale sono stati per lo più ridiscussi e riscritti interamente: tra questi il cosiddetto decreto-legge «Competitività», il cosiddetto decreto-legge «Sblocca Italia», il Documento di economia e finanza, la nota di aggiornamento al DEF, la legge di stabilità 2015 il cui maxiemendamento ha avuto un iter travagliato per il ritardo nella presentazione della relazione tecnica bollinata dalla ragioneria, decreti attuativi del cosiddetto «Job Act» su cui si sta ancora dibattendo circa la sussistenza di profili di incostituzionalità ed infine, l'esempio più eclatante, rappresentato dal decreto attuativo della legge di delega fiscale dove chiaramente il Consiglio dei ministri ha approvato un testo che non sembrava neanche conoscere;
   si rileva, inoltre, che differenza dei precedenti Esecutivi che si sono susseguiti in questi ultimi anni sembrerebbe venuta sostanzialmente meno in seno alla Presidenza del Consiglio dei ministri la fase del cosiddetto Pre-Consiglio, propedeutica alla preparazione del Consiglio dei ministri vero è proprio;
   in questi ultimi giorni, peraltro, numerosi articoli di stampa nazionale hanno messo in luce:
    come sia stato presentato un emendamento dell'Esecutivo al cosiddetto «disegno di legge Anticorruzione» attualmente in discussione al Senato riproponendo letteralmente lo stesso testo voluto dalla maggioranza berlusconiana nel 2003 con cui si propone la non punibilità sotto il 5 per cento dell'utile e dell'1 per cento del patrimonio netto che salvò l'allora Premier nel processo Sme;
    come sia il caso che addirittura la procura della Repubblica indaghi sulla cosiddetta norma «Salva Silvio» contenuta delega fiscale approvata alla vigilia di Natale, testo a cui successivamente una «manina» – si è scoperto, per stessa ammissione dell'interessato, che era quella del Premier – ha poi aggiunto successivamente (il 19-bis, che stabiliva la depenalizzazione di evasione e frode fiscale al di sotto della soglia del 3 per cento dell'imponibile) e solo qualche giorno prima, il 21 dicembre, in occasione del voto sulla legge di stabilità, i senatori si erano ritrovati ad approvare un testo sbagliato, incompleto e che non avevano letto. Due situazioni molto diverse, ma che hanno in comune quella che agli interroganti appare una faciloneria inaccettabile;
   come già evidenziato da emeriti costituzionalisti come il professor Pace ed il professor Federico Sorrentino questo modo di fare è molto preoccupante. Esiste un'allarmante disinvoltura, che non è solo degli ultimi mesi, per la quale il Consiglio dei ministri delibera un provvedimento e solo dopo qualche giorno il testo viene confezionato. Molte volte non viene nemmeno riportato in Consiglio dei ministri. Ci sono stati decreti legge pubblicati anche dieci giorni dopo la delibera, perché il testo non era stato definito. Molte volte sono passati intervalli imbarazzanti tra la data in cui il Consiglio dei ministri risultava aver approvato in linea di massima un certo provvedimento e la data in cui il provvedimento (magari un decreto urgente) veniva pubblicato. Nel caso dell'articolo 19-bis, secondo i costituzionalisti citati, si andrebbe ben oltre l'irregolarità e ci si troverebbe di fronte ad un reato vero e proprio, ovvero un falso in atto pubblico perché l'articolo 19-bis è stato inserito dopo la delibera del Consiglio dei ministri e la sostanza di quel nuovo articolo non è cosa banale, ma una scelta che ha un rilievo politico significativo. Doveva essere perlomeno riportato in Consiglio dei ministri, affinché il Governo nella sua collegialità ne assumesse la responsabilità;
   ad avviso dei citati costituzionalisti, si tratterebbe di un reato commesso nell'esercizio delle funzioni del Ministro o del Presidente del Consiglio. Occorre che di esso si occupi il tribunale dei ministri. È un fatto di una gravità straordinaria, passato sotto silenzio. O meglio: è stato coperto da risolini, da battute, da «manine». Invece sembrerebbe trattarsi di una cosa estremamente seria. Il falso in atto pubblico è procedibile d'ufficio e a questo punto la procura di Roma – di fronte al Presidente del Consiglio che ammette di aver messo lui la «manina» – dovrebbe trasmettere la cosiddetta notitia criminis al competente tribunale dei ministri. L'obbligatorietà dell'azione penale impone del resto, a seguito delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio, che ha ammesso il fatto, si proceda alle necessarie indagini che per un Premier, un Ministro o comunque un funzionario pubblico è particolarmente grave;
   occorre fare immediata chiarezza su quanto sta accadendo nell'ambito della Presidenza del Consiglio e su come funzioni attualmente il DAGL (dipartimento per gli affari giuridici e legislativi) che dovrebbe rappresentare la massima espressione tecnica dell'attività legislativa di promanazione del Governo esercitata da funzionari pubblici;
   molto spesso si è portati a dire che un errore tecnico è sempre sintomatico di un errore politico. Ma quando gli errori sono troppi e pedissequamente ripetuti nel tempo, molto spesso dietro gli errori tecnici si può anche nascondere qualche cosa che supera la volontà politica, di cui l'assenza di una cabina di regia rappresenta il primo elemento indicativo –:
   se il Presidente del Consiglio non intenda immediatamente abrogare il decreto, emanato il 16 settembre 2014 con cui è stato introdotto il nuovo «codice di comportamento e di tutela della dignità e dell'etica dei dirigenti e dei dipendenti» perché le restrizioni del diritto di critica e della libertà di parola rappresentano imposizioni gravissime in uno Stato democratico come il nostro, oltre che incompatibili con i principi fondanti della Carta Costituzionale che disciplinano la libertà di manifestazione del pensiero;
   se il Presidente del Consiglio non intenda chiarire pubblicamente come funzioni concretamente il DAGL (dipartimento per gli affari giuridici e legislativi), quali siano i motivi per cui, come sembrerebbe, non vengano più svolte sedute di Pre-Consiglio dei ministri propedeutiche al Consiglio dei ministri, quali siano i funzionari pubblici operanti presso il dipartimento per gli affari giuridici e legislativi e che mansioni concretamente svolgano, se vi siano collaborazioni esterne da parte di privati e, in caso affermativo, chi siano e come vengano pagati;
   se il Presidente del Consiglio non intenda chiarire in modo puntuale e preciso come e perché siano state inserite nuove norme nel decreto attuativo della delega fiscale approvato dal Consiglio dei ministri alla vigilia di Natale e se vi sia stata una bollinatura da parte della ragioneria generale dello Stato o anche un semplice via libera. (4-07616)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   TAGLIALATELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'area di Bagnoli, già sede di alcuni impianti industriali nella seconda metà del XIX secolo, ha costituito per diversi decenni uno dei poli siderurgici più importanti del Paese, stante che sul suo territorio erano insediate sia l'ILVA, poi Italsider, sia l'Eternit;
   dopo primi interventi di bonifica parziale seguiti alla chiusura degli impianti Eternit, effettuati tra il 1988 ed il 1989, nel 2001 il comune ha proceduto all'acquisizione delle aree, e nel 2002 è stata costituita la società, di, trasformazione urbana controllata dal comune di Napoli «Bagnolifutura spa» con la missione di bonificare le aree di Bagnoli e predisporne la riconversione;
   nell'aprile 2013 le aree dell'ex Italsider e dell'ex Eternit di Bagnoli sono state sottoposte a sequestro preventivo da parte dei Carabinieri, nell'ambito di un'indagine della procura di Napoli che ipotizza una situazione di disastro ambientale, per la quale risultano indagati 21 ex dirigenti della società «Bagnoli Futura» e di vari enti locali;
   alla fine di maggio 2014, il tribunale di Napoli ha dichiarato il fallimento di Bagnolifutura spa;
   poco o nulla è stato realizzato delle opere per la riconversione dell'area, mentre la bonifica è ferma a soli due terzi dell'area, senza contare le inchieste della magistratura che mettono in dubbio alla radice l'efficacia degli interventi effettuati;
   in questo quadro, il Governo con il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, ha disposto la nomina di un commissario straordinario e di un soggetto attuatore, preposti «alla formazione, approvazione e attuazione del programma di risanamento ambientale e del documento di indirizzo strategico per la rigenerazione urbana» delle aree classificate come aree di rilevante interesse nazionale ai sensi del medesimo decreto, tra le quali figura anche il comprensorio Bagnoli-Coroglio;
   è di tutta evidenza come gli interventi nell'area abbiano carattere di assoluta urgenza ma ad oltre quattro mesi dall'approvazione della citata norma ancora non si è proceduto alla nomina del commissario –:
   quali siano le motivazioni per le quali non è ancora stata effettuata la nomina e per quando la stessa sia prevista.
(4-07607)


   MANNINO, CANCELLERI, DI BENEDETTO, DI VITA, D'UVA, GRILLO, LOREFICE, LUPO, MARZANA, NUTI, RIZZO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da recenti notizie di stampa (La Repubblica – Palermo del 18 gennaio 2015) si apprende che diecimila ettari di bosco, nel cuore della Sicilia, saranno rasi al suolo in dieci anni (l'abbattimento degli alberi è appena iniziato) per essere venduti ad una società italo-tedesca. Questo è il frutto dell'accordo siglato tra la regione siciliana e la «SPER S.P.A.», azienda proprietaria di una centrale elettrica a biomasse con sede a Dittaino (Enna);
   i boschi, la cui definizione è fissata dal decreto legislativo n. 227 del 2001, articolo 2, commi 2 e 6 , sono sottoposti a tutela in base al decreto-legge 42 del 2004, articolo 142, lettera G (codice dei beni culturali);
   il comune di San Cataldo ha predisposto la verifica di tutti gli iter autorizzativi e il rispetto delle tecniche di buona coltivazione dei boschi cedui e conseguentemente, ha ordinato il fermo al taglio degli alberi nel Bosco di Gabbara –:
   se il Governo sia a conoscenza di detto accordo e se, data l'importanza di tale risorsa naturale tutelata a livello nazionale e comunitario, abbia adottato iniziative in base al principio di precauzione e di leale collaborazione con la regione;
   se non intenda predisporre misure urgenti volte a verificare l'eventuale danno prodotto dai recenti tagli ai sensi degli articoli n. 299 e n. 300 del decreto legislativo n. 152 del 2006. (4-07614)


   AGOSTINELLI e FERRARESI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti stampa che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare starebbe lavorando ad un decreto per regolamentare il limite di emissione in atmosfera della frazione di carbonio organico totale (Cot) da parte degli impianti per la produzione energetica, tra cui quelle a biogas;
   per effetto di tale decreto interministeriale sembrerebbe che i livelli massimi di emissione vadano intesi solo per la frazione non metanica del Cot e non per il metano incombusto;
   il superamento dei livelli di Cot rilasciati in atmosfera, lo si vuole ricordare, aveva portato nei mesi scorsi la procura della Repubblica di Macerata, dopo una segnalazione da parte dell'Arpam, ad intervenire sulle centrali di Corridonia e Loro Piceno con una prima richiesta di spegnimento a cui, poi, il sequestro dei due impianti. I successivi controlli sollecitati dai magistrati su altre centrali del maceratese hanno comportato anche allo spegnimento e al sequestro dell'impianto di Matelica;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 5 novembre 2014 ha ricevuto, anche, un parere favorevole (prot. n. 29443-P) fornito dall'Istituto superiore di sanità su richiesta del Ministero della salute per il decreto in oggetto;
   risulta altresì che la questione della difficoltà di rispettare i limiti e quindi di valutare se la voce COT possa riferirsi alla sola componente non metanigena è stata avanzata da soggetti pubblici e privati –:
   quale sia il contenuto del parere dell'Istituto superiore di sanità e dei relativi atti istruttori;
   quali siano i nominativi dei responsabili dei procedimenti incardinati nei Ministeri interrogati ciascuno per quanto di propria spettanza;
   quale sia l'identità dei soggetti privati richiedenti la modifica dei valori delle emissioni. (4-07615)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   BRUNO BOSSIO, STUMPO, BRUNO, CENSORE, D'ATTORRE e BRAY. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il sito archeologico di Capo Colonna a Crotone è riconosciuto come bene di inestimabile valore storico e culturale;
   in particolare, il sito richiama la vicenda storica, risalente al VII secolo a.C., del santuario di Hera Lacinia e la partenza di Annibale che, da quel luogo, nel III secolo a.c., in ritirata, fece ritorno a Cartagine;
   i preziosi resti archeologici oggi appaiono delimitati da una cinta muraria risalente alla prima età augustea;
   al fine di valorizzare il sito si è reso necessario un piano di recupero e di protezione che, in sede di Accordo di programma quadro tra il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e la regione Calabria, ha previsto il finanziamento di uno specifico progetto denominato «Ampliamento delle conoscenze della realtà archeologica di Capo Colonna e messa in sicurezza delle strutture archeologiche portate in luce»;
   il soggetto attuatore del progetto risulta essere la soprintendenza archeologica della Calabria;
   il progetto prevede i lavori per la «ristrutturazione del sagrato della chiesa: pavimentazione dell'area antistante in cotto riquadrato di lastre di materiale lapideo, previa indagine archeologica dell'area»;
   altresì, è prevista la realizzazione «di opere di fruibilità e copertura a protezione dei mosaici rinvenuti nell'area dell'intervento»;
   l'appalto dei lavori è stato aggiudicato con un ribasso del 30,21 per cento sull'elenco prezzi posto a base di gara;
   numerose associazioni culturali ed ambientaliste, esponenti istituzionali, forze intellettuali sono impegnate in una vigorosa protesta che denuncia il deturpamento di una delle aree più suggestive e storicamente significative del Paese dal momento che, pare, si sarebbe fatto ricorso a colate di cemento e posizionamento di reti elettrosaldate a danno dei numerosi e preziosi reperti presenti nel sito;
   pare, inoltre, che lo scempio di quei luoghi sarebbe riconducibile anche alla costruzione di un megavillaggio turistico che, in località Scifo, si estende su un'area di 74 mila metri quadri proprio a ridosso del parco archeologico, in piena area marina protetta. È notorio che sulla circostanza la procura della Repubblica presso il tribunale di Crotone ha aperto un fascicolo di indagine –:
   se la realizzazione dell'intervento previsto nell'accordo di programma quadro stia avvenendo senza arrecare danno ai reperti archeologici;
   quali efficaci e tempestive iniziative, il Ministro intenda assumere affinché l'intera area di interesse del sito archeologico sia tutelata, protetta ed effettivamente valorizzata e non sottoposta ad interventi che ne compromettano il valore storico, architettonico e culturale. (4-07604)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IV Commissione:


   BASILIO e FRUSONE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nella notte del 17 gennaio, la nave Houston, ormeggiata all'interno della darsena Duca degli Abruzzi per le operazioni di scarico delle bombe a grappolo destinate allo smaltimento, è stata trascinata dalle onde in seguito alla rottura della boa di ormeggio, e ha urtato la scogliera che racchiude lo specchio acqueo dell'Arsenale;
   dopo diverse ore, i rimorchiatori sono riusciti a trascinare la nave al Molo Varicella, per trasferirla in seguito alla banchina Scali, dove riprenderanno le operazioni di scarico;
   sebbene l'incidente non abbia avuto conseguenze, è necessario sottolineare come le operazioni di scarico siano state predisposte in maniera discutibile;
   infatti, il porto di La Spezia dispone di diverse strutture e gru a Derrick specializzate nello scarico dei container;
   tuttavia, la nave è stata ormeggiata in un luogo non adatto a questo tipo di operazioni;
   inoltre, con inaccettabile negligenza, la stessa pare sia stata ancorata ad una boa usurata;
   infine, non era presente una postazione di guardia fissa che monitorasse la nave;
   non è chiaro quali siano le ragioni per le quali sia stata adottata, per operazioni così delicate, una procedura laboriosa che avrebbe potuto esporre l'ambiente circostante a danni considerevoli –:
   se tutte le procedure di sicurezza siano state seguite pedissequamente e che siano poste in essere tutte le misure necessarie ad evitare che si verifichino nuovamente incidenti simili. (5-04534)


   ARTINI e OTTOBRE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   ormai da oltre un anno e mezzo i velivoli SF-260EA in servizio presso il 70o stormo di Latina non sono più utilizzati per l'addestramento basico degli allievi piloti dell'Aeronautica Militare dopo che erano stati riscontrati gravi problemi all'impianto propulsivo;
   in parziale sostituzione dei trenta velivoli SF-260EA sarebbero attualmente utilizzati velivoli SF-208 provenienti da altri reparti dell'Aeronautica;
   rispondendo nel dicembre 2014 a una interrogazione del senatore Vacciano (4-02184), il Ministro della difesa ha affermato che la causa delle anomalie sarebbe stata finalmente accertata e sarebbero in corso le relative azioni correttive, senza peraltro indicare la natura di queste azioni, il loro costo e i tempi necessari alla loro implementazione;
   vari siti internet specializzati, che per primi nei mesi scorsi avevano segnalato l'esistenza del problema, riferiscono che la sospensione delle attività di volo del velivolo in questione potrebbe prolungarsi per altri due anni e che l'Aeronautica starebbe ipotizzando l'acquisizione, come soluzione di emergenza, di non meglio specificati velivoli ultraleggeri;
   nella nota aggiuntiva 2015 tra i «programmi connotati da pronta fattibilità, in riserva di programmazione, laddove si dovessero palesare spazi programmatici che ne consentissero un avvio selettivo e compatibile con le disponibilità a legislazione vigente» viene citato un programma per l'acquisizione, con carattere di urgenza («Mission Need Requirement»), di un velivolo low cost per la selezione iniziale dei piloti militari e dei corpi armati dello Stato («Eagle Screener»);
   poiché è proprio questo il ruolo svolto dal SF-260EA è da ritenere che il programma citato nella nota si riferisca proprio alla sostituzione, almeno della linea SF-260EA e che pertanto l'indisponibilità del velivolo stesso sia destinata a durare ancora a lungo, e che gli interventi correttivi siano tali da non permetterne un ritorno in linea in tempi compatibili con la continuazione delle normali attività addestrative, con gravi ripercussioni sulla funzionalità dell'Aeronautica militare e dei corpi dello Stato che hanno necessità di formare propri piloti –:
   se siano state valutate, nella previsione del ripristino della funzionalità della flotta di velivoli SF-260EA, le responsabilità per l'anomalia che ha reso necessaria la messa a terra dei velivoli, a chi saranno imputati i costi di rimessa in efficienza degli stessi ed, infine, quali siano i costi e i tempi necessari al ripristino stesso, ovvero se il citato programma inserito nella nota aggiuntiva al bilancio 2015 per un velivolo a basso costo sia una soluzione interinale alla non disponibilità degli SF-260EA e nel caso il programma sia già stato avviato, quali siano le soluzioni individuate e quali i costi. (5-04535)

Interrogazione a risposta scritta:


   MARCOLIN. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di giugno 2014, è stato nominato il nuovo Consiglio di amministrazione della Società Difesa Servizi;
   lo statuto della Società (articolo 15 e articolo 16) prevede che gli amministratori nominati possiedano precisi requisiti;
   tra i nominati risulta anche, in qualità di amministratore delegato, l'onorevole Fausto Recchia, già deputato al Parlamento per il Partito democratico nella legislatura XVI;
   l'onorevole Recchia ricopre anche l'incarico di capo segreteria del Ministro della difesa –:
   se l'onorevole Recchia possieda effettivamente tutti i requisiti di cui agli articoli 15 e 16 dello statuto di Difesa Servizi;
   quali siano le competenze e le esperienze manageriali dell'onorevole Recchia che ne abbiano giustificato la nomina come amministratore delegato di Difesa Servizi;
   come possa l'onorevole Recchia svolgere simultaneamente entrambe le gravose funzioni (amministratore delegato di Difesa Servizi e Capo segreteria del Ministro della difesa);
   quale sia la retribuzione complessiva derivante all'onorevole Recchia dai suddetti incarichi;
   quali iniziative abbia posto in essere l'onorevole Recchia per il rilancio di Difesa Servizi nel periodo intercorso dalla sua nomina alla data odierna;
   quali siano le nuove attività che l'onorevole Recchia intende avviare per la crescita e lo sviluppo di Difesa Servizi;
   quali siano i piani industriali e la sostenibilità economica delle suddette attività. (4-07601)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BOCCADUTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la disciplina Iva nel caso di cessioni di beni verso consumatori finali residenti in altri Stati membri è disciplinata da l'articolo 41, comma 1, lettera b), del decreto-legge n. 331 del 1993; la suddetta norma attua la direttiva 2006/112/Ce; entrambe le norme escludono, tra i beni non imponibili ai fini Iva, quelli soggetti ad accise;
   per tale motivo, le cessioni di beni soggetti ad accisa nei confronti di privati con trasporto in altro Stato membro da parte dell'acquirente sono sottoposti alla disciplina dell'articolo 32 della direttiva 2006/112/Ce, ai sensi del quale il luogo di tassazione è quello in cui si trova il bene al momento di partenza della spedizione o del trasporto;
   l'Agenzia delle entrate italiana, tuttavia, con consulenza giuridica n. 954- 72/2012 (del 15 febbraio 2012, prot. n. 20462/2012) ha interpretato la norma nel senso che «norma, infatti, prevede l'imponibilità delle cessioni di beni nel Paese di destinazione a condizione che il trasporto venga effettuato dal fornitore o per suo conto, in perfetta aderenza alla normativa comunitaria. La locuzione presente nel primo periodo della norma di beni diversi da quelli soggetti ad accisa va peraltro interpretata nel senso che solo per questi ultimi si applica la soglia di 100.000 euro che costituisce la discriminante per stabilire la tassazione nel Paese di origine ovvero in quello di destinazione. In conclusione, alla luce di una corretta lettura dell'articolo 41, comma 1, lettera b), per i beni soggetti ad accisa, il luogo di tassazione va sempre individuato nel Paese di destinazione, quando il trasporto è effettuato dal fornitore o per suo conto. Al contrario, se il trasporto viene effettuato dall'acquirente, torna di applicazione il criterio generale di cui all'articolo 7-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, con conseguente tassazione nel Paese di origine»;
   la suddetta interpretazione, applicata al mercato dei vini e delle bevande alcoliche, non presenta particolari complicazioni nel caso in cui il cittadino comunitario non italiano provveda direttamente al trasporto; essa invece diventa particolarmente complicata (applicazione dell'IVA nel paese di destinazione) se al trasporto provvede il produttore italiano;
   nelle vendite online, è fenomeno comune che il produttore venda il prodotto al consumatore finale indicando il prezzo al lordo dell'Iva e includendo già le spese di trasporto;
   tale interpretazione aggrava l'attività di vendita diretta ai privati intracomunitari da parte dei piccoli produttori di vini bevande alcoliche italiane, comprimendo in modo irreparabile la capacità di collocare sul mercato i propri prodotti –:
   se il Ministero interrogato, nell'ambito dell'attuazione della delega fiscale, intenda chiarire l'interpretazione della suddetta norma affinché si semplifichi la vendita diretta ai privati intracomunitari per i produttori di vini, e di bevande alcoliche italiane, anche quando il trasporto è effettuato dai medesimi. (5-04525)


   RIBAUDO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con ricorso promosso dinanzi al TAR del Lazio-Roma nel mese di luglio del 2013, 118 dipendenti della polizia di Stato, comandanti di sottosezioni e distaccamenti della polizia stradale, hanno chiesto l'accertamento dell'illegittimità del silenzio serbato dal Ministero dell'interno e dal Ministero dell'economia e delle finanze sull'istanza depositata il 4 giugno 2013, volta ad ottenere l'adozione, di concerto, della determinazione di cui all'articolo 13, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 2002 (al quale prevede che «Ai fini della prevista corresponsione dell'indennità di comando navale per il personale che riveste funzioni e responsabilità corrispondenti al comando di singole unità o gruppi di unità navali, di cui all'articolo 10 della legge sulle indennità operative, si provvede all'individuazione dei titolari di comando con determinazione delle singole Amministrazioni interessate, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze»), indennità già da svariati anni percepita dai comandanti delle unità operative individuate da carabinieri, Guardia di finanza e Corpo forestale dello Stato;
   con sentenza della sezione prima ter n. 10661 del 10 dicembre 2013, il TAR del Lazio-Roma ha accolto il ricorso e, per l'effetto, ha ordinato al Ministero dell'interno, in persona del Ministro pro tempore, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, di dare attuazione al disposto dell'articolo 13, comma 3, del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 2002, «entro il termine di giorni novanta dalla comunicazione in via amministrativa di detta sentenza, o dalla sua notificazione a cura di parte»;
   la sentenza n. 10661/2013, depositata in data 10 dicembre 2013, è stata notificata in data 9 gennaio 2014 sia al Ministero dell'interno sia al Ministero dell'economia e delle finanze ed è divenuta definitiva, per mancata impugnazione entro il termine di legge, in data 10 marzo 2014;
   il termine di novanta giorni fissato dal TAR del Lazio-Roma è decorso senza che i Ministeri competenti abbiano adottato la prevista determinazione;
   nel mese di aprile del 2014 i ricorrenti originari sono stati costretti ad adire nuovamente il giudice amministrativo al fine di ottenere l'esecuzione della sentenza n. 10661/2013;
   nel giudizio di ottemperanza sono intervenuti altri 40 dipendenti della polizia di Stato appartenenti ad altre specialità (polizia ferroviaria; polizia postale e delle comunicazioni, ed altri);
   all'udienza del 19 dicembre 2014, dopo ben due rinvii concessi dal TAR del Lazio su richiesta del Ministero dell'interno, quest'ultimo ha dichiarato – per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato – che il decreto interministeriale predisposto in attuazione della sentenza n. 10661/2013 recava «la sottoscrizione del solo Ministro dell'interno in quanto ancora giacente presso il Ministero dell'economia e delle finanze in attesa di essere firmato anche dal Ministro di detto dicastero»;
   il legale dei ricorrenti ha dunque chiesto la nomina di un commissario ad acta affinché provveda, in luogo delle amministrazioni competenti, ad adottare la determinazione di cui all'articolo 13, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 2002, ovvero a porre in essere tutti gli adempimenti occorrenti per l'ottemperanza al giudicato;
   il TAR del Lazio-Roma ha trattenuto il ricorso in decisione –:
   per quali ragioni il Ministro abbia assunto un contegno che all'interrogante appare omissivo in ordine alle statuizioni di cui alla richiamata sentenza definitiva n. 10661/2013;
   se allo stato attuale vi siano impedimenti di natura finanziaria all'adozione del provvedimento;
   se il Ministro ritenga di poter ottemperare alla pronuncia del giudice amministrativo prima di una eventuale nomina di un commissario ad acta che comporterebbe comunque un successivo aggravio di spesa. (5-04544)

Interrogazioni a risposta scritta:


   L'ABBATE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si richiama l'interrogazione a risposta scritta 4-05290 di mercoledì 25 giugno 2014, trasformata ex articolo 134 il 12 novembre 2014 in interrogazione in commissione 5-04015;
   si richiama la relativa risposta del Viceministro allo sviluppo economico Claudio De Vincenti nella seduta mattutina della Commissione attività produttive del 14 gennaio 2015 nella quale ad avviso dell'interrogante non si fa altro che ricapitolare norme e leggi di settore già note agli interroganti;
   nei primi mesi del 2014, la società Enterra spa, ha firmato con Invitalia spa (Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, società partecipata al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze un contratto di sviluppo in base al quale il progetto «Borgo Eridania» sarà finanziato dalla società privata per un importo pari a 22,52 milioni di euro e da «Invitalia» per 26,34 milioni di euro con fondi pubblici –:
   se nel corso dell'istruttoria da parte di «Invitalia» e del competente Ministero sia stata prodotta un'analisi costi-benefici, visti gli ingenti finanziamenti pubblici, in modo tale da garantire alla cittadinanza locale, già allarmata dalla presenza di altri impianti simili, che le ricadute occupazionali ed economiche, anche indirette, giustifichino gli impatti ambientali e sanitari che questo progetto porta inevitabilmente con sé. (4-07593)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   le province sono oggetto di un chiaro disegno della maggioranza di Governo, che, benché non condivisibile, è irreversibilmente finalizzato alla progressiva marginalizzazione in termini funzionali delle stesse, fino alla loro soppressione;
   tale strategia istituzionale è stata accompagnata, negli ultimi anni, da una massiccia riduzione dei trasferimenti erariali alle province, i cui bilanci risultano insufficienti finanche a garantire l'assolvimento delle sempre più ridotte funzioni fondamentali delle quali sono ancora titolari;
   proprio nell'ottica del contenimento della spesa pubblica, la provincia di Salerno, a partire dal 5 dicembre 2014, ha attribuito le funzioni di direttore generale ad uno dei dirigenti già incardinati, senza alcun incremento di spesa;
   il nuovo presidente della provincia di Salerno, Giuseppe Canfora, però, ha provveduto a nominare direttore generale un soggetto esterno ai ruoli dell'amministrazione, costituendo con lo stesso un apposito contratto di lavoro a tempo determinato, con una spesa particolarmente significativa e con modalità di dubbia legittimità;
   tali decreti presidenziali sono stati adottati nonostante la stringente necessità di politiche di spending review e, in particolare, nonostante i pareri negativi espressi sia dal dirigente del settore gestione risorse umane (prot. 2014/305725 del 28 novembre 2014), sia dal dirigente del settore finanziario (prot. 2014/45849 del 3 dicembre 2014), in ragione dell'assorbente circostanza che la provincia di Salerno, alla data dei predetti provvedimenti di nomina del direttore generale, già versava in una situazione finanziaria tale da rendere evidente e palese che, alla fine dell'esercizio 2014, non sarebbe stato rispettato il patto di stabilità;
   in particolare, il responsabile del settore gestione risorse umane si era espresso nel senso che «alla nomina del direttore generale non può farsi luogo ove sia stata o venga accertata, anche in corso di esercizio, la violazione del Patto di Stabilità 2014, operando in tale circostanza l'effetto sanzionatorio interdittivo del divieto generale di assunzione di personale e ciò anche in via di autoapplicazione», evidenziando che «il rispetto del Patto di Stabilità è dunque condizione legittimante della nomina del direttore generale»;
   anche la responsabile del settore finanziario si era espressa nel senso della necessità di «attenersi alle prescrizioni fornite dalla circolare MEF – RGS n. 6 del 18 febbraio 2014 e del parere n. 427 del 2009, reso dalla sezione regionale di controllo della Corte dei Conti per la Lombardia, ponendo l'Ente in autoapplicazione delle sanzioni in corso di esercizio», evidenziando «la situazione di attuale inadempienza rispetto agli obiettivi del patto di stabilità» e «il disequilibrio della situazione corrente di bilancio», «tale da rendere inverosimile il pareggio di bilancio per il 2015»;
   la richiamata circolare n. 6/2014 del Ministero dell'economia e delle finanze, inoltre, impone espressamente l'obbligo per gli enti soggetti al patto di stabilità di procedere, ove «nel corso dell'esercizio vi sia chiara evidenza che, alla fine dell'esercizio stesso, il patto non sarà rispettato», come nel caso di specie, alla autoapplicazione delle sanzioni previste ex articolo 31, comma 26, della legge n. 183 del 2011, fra cui principalmente il divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia di contratto;
   a giudizio dell'interrogante in aperto contrasto con i princìpi applicativi della legislazione in materia e con ogni regola di sana gestione finanziaria, il presidente della provincia di Salerno, pur in presenza della chiara evidenza che, alla fine dell'esercizio stesso, il patto non sarà rispettato, piuttosto che adottare tutti i provvedimenti correttivi e contenitivi finalizzati a non aggravare la propria situazione finanziaria, ha, invece, proceduto con modalità che appaiono all'interrogante di dubbia legittimità all'assunzione di un atto che non solo aggrava ulteriormente l'equilibrio di bilancio, ma costituisce esso stesso uno dei provvedimenti espressamente vietati in ipotesi di sforamento del patto di stabilità;
   come se ciò non bastasse, con decreto presidenziale n. 11 del 9 dicembre 2014 è stato, inoltre, istituito, un nuovo capitolo rubricato «direttore generale – compenso», al fine di garantire la copertura della relativa spesa per il mese di dicembre 2014, mediante il prelevamento dal fondo di riserva ordinario, ex articolo 166, comma 2, del Tuel, a cui è consentito ricorrere solo «nei casi in cui si verifichino esigenze straordinarie di bilancio o le dotazioni degli interventi di spesa corrente si rilevino insufficienti»;
   appare evidente, a giudizio dell'interrogante, come la nomina del direttore generale non possa essere certamente annoverata fra le «esigenze straordinarie di bilancio» ovvero fra le «spese non prevedibili, la cui mancata effettuazione comporta danni certi all'amministrazione», non integrando assolutamente gli estremi di un evento straordinario e/o imprevedibile al momento della programmazione finanziaria di bilancio;
   non si comprende altresì per quale motivo il neo eletto presidente della provincia di Salerno, piuttosto che far decorrere la nomina del direttore generale dall'inizio dell'esercizio 2015, abbia scelto di nominarlo con decorrenza dicembre 2014, rischiando di incorrere in quella che all'interrogante appare una violazione delle norme che presidiano il corretto utilizzo del fondo di riserva;
   la nomina dell'avvocato Bruno Di Nesta quale direttore generale della provincia di Salerno risulterebbe, inoltre, disentibile anche dal punto di vista soggettivo, alla luce dell'articolo 268 del regolamento di organizzazione degli uffici e dei servizi della provincia di Salerno ai sensi del quale il direttore generale «esterno» «è scelto su base fiduciaria tra gli esperti di organizzazione aziendale e/o di pubblica amministrazione con adeguate capacità organizzative e gestionali»;
   il curriculum dell'avvocato Di Nesta, invece, a giudizio dell'interrogante non evidenzierebbe una qualificazione formativa o esperienza professionale che possa farlo ritenere un «esperto di organizzazione aziendale e/o di pubblica amministrazione», tantomeno emergerebbero profili che possano far presumere la titolarità di «adeguate capacità organizzative e gestionali»;
   in particolare, si evidenzia secondo l'interrogante una distorta applicazione della norma regolamentare, in quanto «base fiduciaria» non significa scelta «ad personam» ma individuazione tra più soggetti titolari dei prescritti requisiti curriculari, individuati in modo trasparente sulla base di un avviso pubblico, di quello che presenta un curriculum maggiormente coerente con gli obiettivi programmatici che la figura direttore generale è chiamato a curare e realizzare;
   l'avvocato Di Nesta sembrerebbe essere stato individuato in modo totalmente discrezionale e, per di più, in assenza dei minimi requisiti curriculari richiesti dal citato articolo 268;
   il sospetto che la nomina sia il frutto di «scambi» di natura politica, più che di scelte improntate all'imparzialità e nell'interesse della efficiente gestione dell'amministrazione provinciale di Salerno appare ancora più evidente alla luce di quanto riportato dagli organi di informazione già nei giorni immediatamente successivi all'elezione del dottore Canfora quale presidente della provincia di Salerno, che indicavano l'avvocato Di Nesta quale «amico» del figlio del sindaco di Salerno –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità e urgenza degli stessi, se si intenda disporre un'ispezione amministrativo contabile per fare chiarezza sulla situazione, alla luce delle criticità e anomalie evidenziate dall'interrogante. (4-07608)


   CANCELLERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i gestori del servizio idrico ACEA ATO5, Viver ACQUA SCARL, ACEA ATO2 e ACQUE SPA, hanno pubblicato, per la riscossione coattiva delle tariffe del servizio idrico integrato, ovvero delle relative morosità, bandi in violazione di norme di legge e della giurisprudenza consolidata;
   i bandi per l'assegnazione del servizio di riscossione, infatti, sono normalmente rivolti ai soggetti iscritti all'albo di cui all'articolo 53 del decreto legislativo n. 446 del 1997 (ossia l'albo dei soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni); nella pratica, gli agenti della riscossione mediante ruolo ovvero mediante ingiunzione fiscale. Tanto che la procedura di selezione non ha previsto la pubblicazione del bando di gara, ma esclusivamente procedure negoziate su invito. Solo in Veneto si è proceduto ad effettuare una pubblicazione sulla gazzetta ufficiale europea;
   la particolarità di tale metodo di riscossione è che il gestore, senza passare per un tribunale, o un giudizio, ottiene direttamente un titolo esecutivo per procedere alla riscossione delle voci tariffari ovvero delle morosità;
   la Corte costituzionale, nella nota sentenza 335 del 2008 sulla cosiddetta quota depurazione, nelle motivazioni della sentenza, ha avuto modo di fornire criteri interpretativi sulla normativa del servizio idrico integrato e, in particolare, sulla tariffa;
   in particolare, la Consulta ha ritenuto inapplicabile alla tariffa del servizio idrico integrato – disposta dalla stessa legge n. 36 del 1994 contenente la disposizione censurata (in combinato disposto con l'articolo 17, ottavo comma, della legge 10 maggio 1976, n. 319, recante «Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento») – quelle modalità di riscossione mediante ruolo, che sono tipiche (anche se non esclusive) dei prelievi tributari. L'articolo 15 della citata legge n. 36 del 1994 si limita, infatti, a disporre che «la tariffa è riscossa dal soggetto che gestisce il servizio idrico integrato», eliminando ogni riferimento a quei meccanismi coattivi di riscossione dei tributi che erano, invece, espressamente richiamati dal previgente articolo 17, ottavo comma, primo periodo, della legge n. 319 del 1976 – il quale ne prevedeva l'applicabilità solo «fino all'entrata in vigore della tariffa fissata dagli articoli 13, 14, 15 della legge 5 gennaio 1994, n. 36» – e disciplinati dagli articoli 273 e seguenti del regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175 e dagli articoli 68 e 69 del decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1988, n. 43;
   l'emissione dell'ingiunzione fiscale deve, pertanto, considerarsi riservata ai soli enti pubblici in senso soggettivo, e non può estendersi, per il rilevato divieto di analogia, alle società private, quantunque integralmente possedute da enti pubblici;
   a seguito dell'indizione dei bandi, solo nell'ATO 2 di Roma l'affidamento è avvenuto in realtà alla società Equitalia; per le rimanenti altre gestioni, si chiarisce che nell'ATO gestito da ViverAcqua SCARL (Veneto), il bando è stato ritirato a seguito di un vizio di forma, mentre per le gare indette negli ambiti dell'ATO5 Lazio meridionale da ACEA ATO5 e ACQUE spa ATO 2 Basso Valdarno, le gare sono andate deserte;
   è bene ricordare che la holding Acea SPA detiene: il 93,8 per cento della società a Acea Ato5, il 45 per cento della società Acque Spa e il 97 per cento della società ACEA Ato2; pertanto alla luce dei fatti potrebbe profilarsi a giudizio dell'interrogante un abuso di posizione dominante e un cartello ad opera dello stesso socio presente in 3 delle 4 società che hanno bandito con la stessa formula il bando oggetto della segnalazione;
   Equitalia, che si occupava della riscossione Acea Ato 2, ha fatto un passo indietro dopo i numerosi ricorsi avanzati dall'associazione «CODICI»;
   sarebbe necessario accertare la nullità dei bandi di gara per illiceità dell'oggetto, ovvero annullarli verificando la sussistenza di pratiche commerciali scorrette o di abuso di posizione dominante ai sensi delle leggi vigenti;
   sarebbe opportuno che vengano rimossi i responsabili di Acea, nelle persone del presidente e dell'amministratore delegato fautori di tale iniziativa;
   nel caso di specie le responsabilità politiche ad avviso dell'interrogante ricadono in capo al sindaco di Roma, Ignazio Marino, che non ne blocca il bando di aggiudicazione del servizio a un ente di riscossione terzo come Equitalia –:
   se non intenda assumere un'immediata iniziativa normativa che chiarisca definitivamente l'impossibilità per soggetti privati, di far uso delle procedure di riscossione descritte in premessa a tutela dei consumatori e degli utenti. (4-07611)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ROMANINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 20 gennaio 2015, da parte del dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi – direzione generale del personale e della formazione – Ufficio III – concorsi e assunzioni, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 5 – IV serie speciale – Concorsi ed esami, un avviso di mobilità ai sensi dell'articolo 30 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, per la copertura di complessivi n. 1031 posti a tempo pieno e indeterminato, vari profili professionali, presso il Ministero della giustizia;
   in particolare l'avviso si propone di coprire, attraverso la procedura di mobilità volontaria esterna, posti vacanti degli uffici giudiziari così suddivisi:
    COD. 1 – n. 88 posti di direttore amministrativo – area III;
    COD. 2 – n. 739 posti di funzionario giudiziario – area III;
    COD. 3 – n. 8 posti di funzionario contabile – area III;
    COD. 4 – n. 29 posti di cancelliere – area II;
    COD. 5 – n. 7 posti di assistente informatico – area II;
    COD. 6 – n. 160 posti di assistente giudiziario – area II;
   tale avviso ha generato, come era giusto ed auspicabile, l'attenzione e l'interesse dei personale delle province dal momento che queste sono oggetto di un processo di riforma che comporterà una massiccia riduzione di organico delle stesse. Il comma n. 421 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2015 prevede infatti che «la dotazione organica delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario è stabilita, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, in misura pari alla spesa del personale di ruolo alla data di entrata in vigore della legge 7 aprile 2014, n. 56, ridotta rispettivamente, tenuto conto delle funzioni attribuite ai predetti enti dalla medesima legge 7 aprile 2014, n. 56, in misura pari al 30 e al 50 per cento, e in misura pari al 30 per cento per le province, con territorio interamente montano e confinanti con Paesi stranieri, di cui all'articolo 1, comma 3, secondo periodo, della legge 7 aprile 2014, n. 56. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i predetti enti possono deliberare una riduzione superiore. Restano fermi i divieti di cui al comma 420 del presente articolo. Per le unità soprannumerarie si applica la disciplina dei commi da 422 a 428 del presente articolo»;
   l'interesse del personale delle province in esubero ha trovato un limite invalicabile nell'articolo 4 dello stesso avviso che, nel definire le modalità e i termini di presentazione delle domande, prevede, al punto 4) che: «Il personale appartenente ad amministrazione diversa dai ministeri dovrà allegare, altresì, una dichiarazione della propria amministrazione, con la quale la stessa si impegna “a procedere al versamento delle risorse corrispondenti al 50 per cento del trattamento economico spettante al personale interessato al trasferimento”, secondo le modalità che saranno stabilite con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dall'articolo 30, comma 2.3 del decreto legislativo n. 165 del 2001, in corso di perfezionamento»;
   i tagli già operati ai bilanci degli enti province e quelli introdotti con la legge di stabilità 2015 fanno facilmente prevedere che difficilmente si potrà trovare una amministrazione provinciale in grado di garantire l'impegno a corrispondere il 50 per cento del trattamento economico del dipendente che si trasferisce –:
   se non si ritenga quanto meno opportuno, che l'avviso di mobilità di specie non debba contribuire ad alla realizzazione del processo di ridimensionamento dell'organico delle province indicato al comma 412 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2015;
   se non si ritenga utile, a tal fine, di sospendere i termini dell'avviso di mobilità del dipartimento dell'organizzazione giudiziaria pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 5 del 20 gennaio 2015, IV serie speciale – concorsi ed esami, al fine di rivedere i termini di ammissione delle domande con particolare riguardo al requisito di cui all'articolo 4, punto 4) in quanto confliggente con l'obiettivo della riduzione, per mobilità, del personale delle province chiaramente indicato dalla legge di stabilità 2015 all'articolo 1 comma 412. (5-04522)


   TURCO, TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, BECHIS, AGOSTINELLI e BUSINAROLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa a 5 anni e che secondo la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, avrebbe rivestito un ruolo fondamentale di un complesso sistema criminale, imprenditoriale ed economico riferibile alla ’ndrangheta, è ancora oggi latitante a Dubai;
   Chiara Rizzo, moglie di Matacena, Martino Politi, indicato come il factotum di Matacena e Roberta Sacco, l'ex segretaria dell'ex ministro Claudio Scajola, oltre allo stesso ex-ministro risultano indagati in merito alla latitanza di Matacena;
   Matacena era stato condannato dalla corte d'assise di Reggio Calabria, il 13 marzo 2001, sentenza poi annullata il 12 febbraio 2003 dalla Corte d'assise d'appello, poiché la Corte Costituzionale aveva risolto un conflitto d'attribuzione tra i poteri dello Stato in favore di Matacena;
   Matacena era stato quindi assolto, di nuovo, in primo grado, il 16 marzo 2006, sentenza confermata in appello l'11 maggio 2010;
   successivamente la Corte di cassazione ha cassato la sentenza con rinvio per il rinnovo del giudizio d'appello, La Corte d'assise d'appello di Reggio Calabria in seguito, il 18 luglio 2012, ha emesso la sentenza di primo grado condannando Matacena a 5 anni di reclusione, con conferma in Cassazione nel giugno 2013, la quale però ha riconosciuto che sia stata inflitta una pena più grave in base ad una legge intervenuta successivamente, pertanto, la pena è stata ridefinita in 3 anni di reclusione;
   Matacena, di conseguenza e su richiesta delle autorità italiane, veniva arrestato a Dubai nell'agosto del 2013, pendente la richiesta di estradizione, ma poi scarcerato nell'ottobre dello stesso anno, poiché la giurisdizione degli Emirati Arabi Uniti (federazione composta da 7 Stati: Abu Dhabi, Ajman, Dubai, Fujaira, Ras al-Khaima, Sharja e Umm al-Qaywayn), consente la privazione della libertà, per i cittadini stranieri in attesa di estradizione, solo per un breve periodo;
   le autorità italiane chiedono la sua estradizione dal settembre del 2013, invano;
   la richiesta della magistratura italiana, infatti, è stata ritenuta totalmente illegittima dall'autorità giudiziaria degli Emirati Arabi, che ha scarcerato Matacena, perché in quel Paese non esiste il reato di concorso esterno in associazione mafiosa;
   ad oggi appare del tutto improbabile che lo Stato italiano possa ottenere l'estradizione di Matacena, anche perché l'Italia ha accordi bilaterali con gli Emirati Arabi relativamente alla promozione e protezione degli investimenti e contro le doppie imposizioni fiscali, ma non in tema di estradizione di cittadini condannati;
   ciò accade nonostante i rapporti diplomatici siano ottimi ed in varie, ed anche recenti, occasioni siano state effettuate visite istituzionali ufficiali: appena un anno fa Enrico Letta andò ad Abu Dhabi per discutere della possibilità di ristrutturazione dell'Alitalia, poi sfociata nell'affare Etihad, da ultimo giovedì 8 gennaio 2015 l'attuale presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, si è recato in visita ad Abu Dhabi (principale e più esteso paese degli Emirati Arabi Uniti);
   le visite ufficiali hanno tra i loro obbiettivi lo sviluppo dei rapporti commerciali, ecco che in quest'ottica, vengono giustamente coltivati interessi che spaziano dal campo delle infrastrutture, ad esempio il progetto della costruzione di una ferrovia tra Abu Dhabi e Dubai, cui sarebbe interessata Finmeccanica, sino ad investimenti nel settore della difesa ed alle concessioni per lo sfruttamento della produzione petrolifera negli Emirati Arabi;
   dichiaratamente, un altro obbiettivo perseguito, è stata l'opportunità di approfondire alcuni aspetti di politica estera che consenta di affrontare assieme agli Stati arabi lo stato d'emergenza in cui versa la Libia e le minacce di terrorismo di matrice islamica;
   ci si augura che nell'ottica dello sviluppo delle relazioni internazionali con gli Emirati Arabi si possa addivenire, in tempi brevi, alla negoziazione e stipula anche di un accordo bilaterale relativo alla cooperazione ed all'assistenza giudiziaria in materia penale ed inerente l'estradizione ed il transito dei cittadini condannati tra i due Paesi, di modo da ottenere la rapida estradizione del cittadino italiano Matacena, condannato con sentenza definitiva, ed evitare che gli Emirati Arabi diventino per gli italiani fuggiaschi un paese ove poter condurre indisturbati una latitanza dorata –:
   se sia a conoscenza della situazione descritta;
   se, per quanto a sua conoscenza, costituisca una priorità per il Ministero della giustizia ed il Governo italiano ottenere una rapida estradizione del cittadino italiano Amedeo Matacena dagli Emirati Arabi Uniti;
   se e come intenda proporre la negoziazione e la sottoscrizione di un trattato bilaterale relativo alla cooperazione ed all'assistenza giudiziaria in materia penale ed inerente l'estradizione ed il transito dei cittadini tra i due Paesi, di modo da ottenere la rapida estradizione in Italia, almeno, dei cittadini italiani;
   se ritenga opportuno valutare la possibilità di stimolare il Governo italiano perché si adoperi per le vie diplomatiche al fine di ottenere dagli Emirati Arabi Uniti l'estradizione del cittadino italiano Amedeo Matacena, richiesta dalla magistratura italiana;
   se e quali provvedimenti intenda e/o possa attuare, anche in via straordinaria, al fine di ottenere comunque l'estradizione del cittadino italiano Amedeo Matacena dagli Emirati Arabi Uniti. (5-04540)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   D'UVA, VILLAROSA, LIUZZI, DIENI, GRILLO, LOREFICE e BARONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la legge 11 novembre 2014, n. 164, converte, con modificazioni, il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, recante «misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive»;
   l'articolo 29 della citata fonte normativa, dispone la pianificazione strategica della portualità e della logistica, al fine di migliorare la competitività del sistema portuale e logistico, agevolando la crescita dei traffici delle merci e delle persone, nonché della promozione dell'intermodalità nel traffico merci, anche in relazione alla razionalizzazione, al riassetto e all'accorpamento delle Autorità portuali, da effettuarsi ai sensi della legge n. 84 del 1994;
   per tali fini, è adottato, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, il «Piano strategico nazionale della portualità e della logistica»;
   attraverso tale Piano avverrà, tra le altre cose, la rilevante riduzione numerica delle autorità portuali a oggi istituite, per inserirle in un più ampio contesto di distretto logistico, con contestuale ridefinizione delle competenze delle stesse;
   in considerazione della necessità di adempiere tempestivamente alle disposizioni contenute, al comma 1 del menzionato articolo 29 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, così come convertito dalla legge 11 novembre 2014, n.164, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha decretato la costituzione presso gli uffici di diretta collaborazione del Ministro, un apposito comitato di esperti, finalizzato all'elaborazione «del Piano strategico nazionale della portualità e della logistica»;
   il 21 novembre 2014, con proprio atto, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha ufficialmente costituito il comitato di esperti preposto all'elaborazione dei piano, nominandone i 15 componenti, a norma dell'articolo 2, comma 1;
   secondo quanto disposto dall'articolo 1, comma 2, del suddetto atto ministeriale, «il Comitato provvederà a relazionare al ministro delle infrastrutture e dei trasporti circa gli esiti dei propri lavori entro sessanta giorni dall'insediamento dello stesso»;
   l'attuale condizione del sistema portuale meridionale richiede una necessaria riforma delle autorità portuali italiane, non limitandola, tuttavia, alla mera dislocazione di poteri da una città ad un'altra, senza aver stabilito criteri oggettivi e funzionali, che tengano conto della diversa natura delle attività esercitate nelle varie aree considerate;
   per tali motivi, in assenza di parametri chiari e di una visione complessiva dell'attuale condizione delle aree portuali delle regioni meridionali, è elevato il rischio di un mero passaggio di funzioni organizzative e gestionali, che potrebbero comprometterne definitivamente il già delicato sistema –:
   quali siano gli intendimenti ministeriali, nonché del comitato di esperti costituitosi in data 21 novembre 2014, circa l'attuazione del Piano strategico nazionale della portualità e della logistica, con particolare riferimento alle aree portuali delle regioni del Sud Italia;
   se non ritenga opportuna, con particolare riferimento all'area metropolitana dello stretto di Messina, l'istituzione di un unico distretto di competenza, affidando a tale autorità la gestione dei traffici marittimi tra le sponde dello stretto, assicurandone la continuità territoriale e commerciale necessaria;
   se il Ministro intenda fornire al Comitato linee guida che aiutino il Mezzogiorno ad attrarre maggiori flussi mercantili, i quali, pur in virtù di una posizione geografica privilegiata, prediligono a oggi altre piattaforme per la movimentazione e lo stoccaggio delle merci. (5-04521)


   NICOLA BIANCHI, CARINELLI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 31 dicembre 2014 è scaduto il mandato di Vincenzo Di Marco come commissario straordinario dell'autorità portuale di Cagliari. Il mandato di Vincenzo Di Marco, nominato commissario straordinario dell'autorità portuale di Cagliari per sei mesi con decreto ministeriale del 29 gennaio 2014 e successivamente per tre mesi con decreto ministeriale del 7 agosto 2014, era stato prorogato, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 10 novembre 2014, fino alla nomina del presidente e comunque non oltre il 31 dicembre 2014; in data 20 gennaio 2015 è scaduto il mandato di Marina Monassi, nominata con decreto ministeriale del 20 gennaio 2011, come presidente dell'autorità portuale di Trieste; il presidente dell'autorità portuale è nominato, ai sensi dell'articolo 8 della legge n. 84 del 1994, dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa con la regione interessata, nell'ambito di una terna di esperti di massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell'economia dei trasporti e portuale designati rispettivamente da provincia, comuni e camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura territorialmente competenti; secondo fonti di stampa, locali e nazionali, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sarebbe in procinto di commissariare anche l'autorità di Trieste e di nominare un nuovo commissario all'autorità cagliaritana in sostituzione di Vincenzo Di Marco, non provvedendo a breve termine alla nomina di nuovi presidenti –:
   se quanto riportato dalla stampa corrisponda al vero e se il Ministro interrogato non ritenga di dover procedere tempestivamente alla nomina dei presidenti delle autorità portuali di Cagliari e di Trieste, una volta esperite le procedure previste per legge per il conferimento di tali incarichi. (5-04526)


   BURTONE e PREZIOSI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la stazione ferroviaria di Ferrandina scalo in provincia di Matera, lungo la tratta Salerno-Potenza-Taranto è di fatto la stazione ferroviaria più vicina alla città di Matera, città nominata nel mese di ottobre 2014, capitale europea della cultura per l'anno 2019;
   la stazione ferroviaria di Ferrandina è ubicata in una posizione strategica nella Valbasento e attualmente fermano quei pochi vettori che collegano la Basilicata a Napoli e Roma nonché gli autobus che coprono corse extraregionali, poiché la stazione, va ricordato, è ubicata lungo la strada statale n. 407 Basentana, che di fatto e l'unica arteria a doppia carreggiata e quattro corsie che collega Jonio e Tirreno;
   tuttavia, la tratta in questione ha visto nel corso degli anni un progressivo ridimensionamento del numero di corse e una evidente penalizzazione dell'utenza che viaggia con il treno;
   sono state ridotte anche le corse delle Ferrovie Appulo Lucane (FAL) che fermano presso la stazione di Ferrandina come, ad esempio, quelle dopo le ore 21 e quindi dopo il passaggio dell'ultimo Intercity proveniente da Roma, così come quella delle 23,50, dopo l'ultimo servizio delle ferrovie, su autobus sostitutivo, proveniente da Salerno, che spesso consente di raggiungere la regione anche ai passeggeri del Frecciarossa che giungono nel capoluogo campano;
   è una stazione, quindi, logisticamente molto importante che però è priva di personale delle ferrovie, da anni, e in cui il vero, e di fatto unico, presidio è assicurato dal bar ubicato nei locali della stazione;
   sul piazzale si affaccia anche un immobile in condizioni fatiscenti con finestre murate che non offre al viaggiatore un bel biglietto da visita;
   nel corso dei prossimi mesi e dei prossimi anni aumenterà il numero dei turisti e di viaggiatori interessati a Matera;
   trenitalia una decina di anni fa (fine 2005) fu protagonista di uno spot pubblicitario a giudizio degli interroganti beffardo in cui per promuovere la mobilità sulle ferrovie faceva manifestare ad una ragazza la volontà di andare a trovare la nonna a Matera, omettendo che Matera non è raggiunta da rete delle ferrovie;
   in vista dell'appuntamento di capitale della Cultura 2019 anche Trenitalia e RFI dovrebbero essere chiamate, proprio per questo evento, a dare il loro contributo in termini di servizi che interessano un comprensorio, che diventa strategico per l'intero Mezzogiorno;
   già in vista del prossimo orario estivo bisognerebbe modificare gli orari in maniera da consentire un maggiore collegamento tra i terminali di Napoli e Salerno per l'alta velocità e la tratta su cui insiste la stazione di Ferrandina e da qui promuovere la raggiungibilità della città di Matera anche con servizi diretti da parte di Trenitalia così come sarebbe opportuno strutturare in maniera maggiormente funzionale tutta la mobilità che di fatto interessa non solo Ferrandina e la Valbasento ma anche l'accesso alla città dei sassi –:
   in considerazione di quanto esposto in premessa, se e quali iniziative il Ministro intenda assumere per farsi promotore di un tavolo tecnico nel quale coinvolgere Trenitalia, le istituzioni e gli enti locali interessati, e gli operatori del settore dei trasporti che gestiscono tratte che fermano presso la stazione di Ferrandina, nonché organizzazioni sindacali e di rappresentanza degli operatori economici per rilanciare la stazione ferroviaria e l'area circostante, anche in vista dell'appuntamento di Matera 2019. (5-04532)


   D'OTTAVIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la cooperativa edilizia a proprietà indivisa Pietro Nenni di Torino è proprietaria di 88 alloggi 64 dei quali a Collegno e 24 a Bruino;
   dall'anno 2000 con decreto ministeriale n. 122 del 1o febbraio è in liquidazione coatta amministrativa;
   con lo stesso decreto è stato nominato commissario liquidatore l'avvocato Massimiliano Parisi;
   il liquidatore non ha provveduto ad alcun atto di liquidazione in questi 15 anni di amministrazione –:
   se non ritenga urgente ed opportuna la sostituzione dell'avvocato Parisi con un liquidatore che svolga il ruolo per il quale viene nominato in maniera adeguata ed efficiente. (5-04541)

Interrogazione a risposta scritta:


   MARIANI, BRAGA, BORGHI, BRATTI, MORASSUT, TINO IANNUZZI, MAZZOLI, MANFREDI, DALLAI, REALACCI, NARDI e PIAZZONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime settimane si è riacceso un dibattito molto teso sui temi inerenti al disagio abitativo ed in particolare sulla mancata proroga degli sfratti per finita locazione e per determinate categorie;
   la mancata reiterazione dell'ultima proroga degli sfratti, disposta al 31 dicembre 2014 con il decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2014, n. 15, ha generato un ampio malcontento, portando gli assessori delle principali città e le associazioni di categoria degli inquilini a delineare un quadro molto preoccupante per i soggetti interessati dalla scelta operata dal Governo;
   a questo proposito a seguito di un appello molto forte degli assessori alle politiche abitative delle tre grandi città di Roma, Milano e Napoli, rivolto al Governo, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Lupi incontrando il presidente dell'Anci Fassino ha garantito attenzione massima alle tematiche e l'erogazione della seconda tranche di 100 milioni di euro del fondo affitti attraverso un decreto di riparto che tenga conto dei criteri che la Conferenza unificata dovrà definire, anche tenendo conto delle emergenze delle città direttamente interessate;
   si è anche concordata la costituzione di una sede permanente tecnica di monitoraggio, a cui far partecipare i rappresentanti di Anci, delle regioni e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sulla problematica più ampia del disagio abitativo al fine di verificare l'efficacia delle misure già adottate, di definire ulteriori soluzioni e di monitorare l'attuazione del complesso di misure approntate, incluse quelle sulla riqualificazione degli immobili di edilizia popolare al momento sfitti e per i quali sono stati stanziati 400 milioni di euro;
   allo stato attuale mancano ancora alcuni dei decreti attuativi previsti dalle ultime norme approvate dal Parlamento senza i quali risulta rallentata l'applicazione di provvedimenti innovativi a vantaggio della risoluzione dei problemi di emergenza abitativa;
   per la rapida attuazione delle misure previste è fondamentale il coordinamento con regioni e comuni e la corrispondente restituzione concreta dei provvedimenti nei territori –:
   quali siano gli effetti prodotti dalle misure introdotte dal 2013 ad oggi attraverso i numerosi provvedimenti attivati nel tentativo di dare una risposta alla crisi abitativa anche con il coordinamento e con le azioni di regioni, comuni ed Erp ed in particolare:
    a) in riferimento al monitoraggio delle procedure mancanti complessivamente considerate;
    b) in riferimento alle ripartizioni del fondo affitti (legge n. 431 del 1998) dopo l'importante immissione di risorse da parte dello Stato centrale, fatte dai decreti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti regione per regione;
    c) in riferimento alla ripartizione del fondo per inquilini morosi incolpevoli (decreto-legge n. 102 del 2013);
    d) sui provvedimenti esecutivi di sfratto e delle richieste di esecuzione di sfratti eseguiti per provincia;
    e) sull'efficacia della misura della cedolare secca in particolare per i contratti locazione a canone concordato;
    f) sulle procedure di alienazione degli immobili Erp;
    g) sul programma nazionale di recupero degli immobili Erp con risorse derivanti dall'alienazione di immobili.
(4-07610)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ZAMPA, SBROLLINI, DI SALVO, CAROCCI, TERROSI, IORI, ROMANINI, FREGOLENT, CARRA, GHIZZONI, PRINA, GRIBAUDO, ROBERTA AGOSTINI, FABBRI, BRAGA, GIUSEPPE GUERINI, MARCHI, MARIANO, ANTEZZA, CAPONE, AMODDIO, ROSSOMANDO, BENI, D'INCECCO, FIANO, PORTA, GASPARINI, GARAVINI, MAGORNO, BASSO, GNECCHI, GADDA, BRANDOLIN, RUBINATO, CHAOUKI, MARCHETTI, COVA, LA MARCA, ZANIN, PIAZZONI, MAESTRI, BERLINGHIERI, MIOTTO, IACONO e SCUVERA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 13 gennaio 2014 il Ministro dell'interno, riferendo a una seduta della commissione antimafia della Sicilia a Palermo, ha lanciato l'allarme relativo a 3.707 migranti minori scomparsi dai centri di accoglienza per minori in Italia su 14.243 registrati a seguito degli sbarchi sulle nostre coste nel 2014;
   secondo la portavoce UNCHR per il Sud Europa si tratta di un dato particolarmente allarmante che si aggiunge a quello del numero clamoroso di minori stranieri non accompagnati arrivati in Italia l'anno scorso: quasi il 10 per cento del totale degli sbarchi. Quello che preoccupa è la sorte di chi scompare dai centri, minori che spesso finiscono nella rete delle associazioni criminali;
   il presidente del Consiglio italiano rifugiati (Cir) sulla vicenda ha affermato che «questi minori hanno diritto a una protezione rafforzata sia in base alla legge nazionale che a quella internazionale e lo Stato italiano nei loro confronti ha una grande responsabilità: è grave che ne scompaiano più di 10 al giorno»;
   sebbene i funzionari del Viminale puntualizzino che la maggior parte dei minori abbia tra i 16 e i 18 anni e sia in possesso di un numero o un indirizzo di un parente o di un amico da raggiungere, cionondimeno il rischio che tali minori diventino invisibili e dunque facile preda della criminalità resta altissimo;
   con il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero», si disciplinano, tra l'altro, le modalità di soggiorno dei minori stranieri sul territorio dello Stato. Tra le norme vigenti nell'ordinamento italiano si prevede che i minori non accompagnati che arrivano nel territorio nazionale vengano accolti nei centri di primo soccorso e accoglienza, identificati e lì ospitati non oltre 48 ore e destinati poi a strutture di accoglienza per minori;
   il quadro normativo di riferimento per la tutela dei diritti dei minori è costituito dalla Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176; nell'ambito delle migrazioni, i minori stranieri non accompagnati rappresentano un gruppo particolarmente vulnerabile;
   la Convenzione Onu indica gli obblighi agli Stati e alla comunità internazionale nei confronti dell'infanzia e all'articolo 22 prevede, tra l'altro: «1. Gli Stati parti adottano misure adeguate affinché un fanciullo il quale cerca di ottenere lo statuto di rifugiato, oppure è considerato come rifugiato ai sensi delle regole e delle procedure del diritto internazionale o nazionale applicabile, solo o accompagnato dal padre o dalla madre o da ogni altra persona, possa beneficiare della protezione e della assistenza umanitaria necessarie per consentirgli di usufruire dei diritti che gli sono riconosciuti dalla presente Convenzione e dagli altri strumenti internazionali relativi ai diritti dell'uomo o di natura umanitaria di cui detti Stati sono parti. 2. A tal fine, gli Stati parti collaborano, nelle forme giudicate necessarie, a tutti gli sforzi compiuti dall'Organizzazione delle Nazioni Unite e dalle altre organizzazioni intergovernative o non governative competenti che collaborano con l'Organizzazione delle Nazioni Unite, per proteggere e aiutare i fanciulli che si trovano in tale situazione e per ricercare i genitori o altri familiari di ogni fanciullo rifugiato al fine di ottenere le informazioni necessarie per ricongiungerlo alla sua famiglia. Se il padre, la madre o ogni altro familiare sono irreperibili, al fanciullo sarà concessa, secondo i principi enunciati nella presente Convenzione, la stessa protezione di quella di ogni altro fanciullo definitivamente oppure temporaneamente privato del suo ambiente familiare per qualunque motivo»;
   la scomparsa di minori stranieri non accompagnati avviene per lo più prima della loro collocazione nelle comunità di accoglienza o case famiglie e, dunque, in uno spazio temporale che di fatto rappresenta una sorta di sospensione delle tutele e delle garanzie previste dalla Convenzione ONU e dalla legislazione vigente. Anche per questo è stata presentata alla Camera la proposta di legge Atto Camera 1658 concernente «Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e altre disposizioni concernenti misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati» a prima firma dell'interrogante ed è ormai improrogabile che il Parlamento giunga ad una celere approvazione della proposta già esaminata dalle Commissioni competenti e in attesa del via libera della commissione bilancio della Camera –:
   quali azioni immediate intendano avviare i Ministri interrogati al fine di rintracciare i minori scomparsi dai centri di accoglienza;
   quali misure intendano adottare i Ministri interrogati – nell'ambito delle rispettive competenze – affinché si prevenga il ripetersi di analoghe drammatiche situazioni che coinvolgono pericolosamente minori stranieri non accompagnati giunti sul nostro territorio. (5-04529)


   SCUVERA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   i comuni con più di 100.000 abitanti sono, allo stato attuale, in Italia, solamente 46, mentre ne esisterebbero ben circa 5.700 sotto i 5.000 abitanti;
   in questo quadro i comuni che lavorano in maniera associata rappresentano ancora oggi, purtroppo, una realtà incompiuta, costituendone solo il 10-11 per cento del totale;
   la legge 56 del 2014, cosiddetta legge Del Rio, ha largamente semplificato le normative in materia e ha agevolato, in particolare, i processi di unione e fusione dei comuni, al fine di consentire ai medesimi di esercitare, anche al di là delle loro dimensioni e dei vincoli che queste comportano, le loro funzioni in un modo più efficiente e più corrispondente alle esigenze dei cittadini, con l'obiettivo di assicurare un miglioramento della qualità, della democrazia a invarianza di spesa;
   l'articolo 14, del decreto-legge 31 maggio 2010, numero 78, convertito con modificazioni n. 122 del 30 luglio 2010, e successive modifiche, al comma 27 individua le funzioni fondamentali dei comuni e al comma 28 stabilisce che i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero fino a 3.000 abitanti se appartengono a comunità montane, esercitano obbligatoriamente in forma associata, mediante Unione di comuni o Convenzione, le funzioni fondamentali di cui al comma 27, fatta eccezione per la tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e i compiti in materia di servizi anagrafici nonché in materia di servizi elettorali, nell'esercizio delle funzioni di competenza statale;
   la legge 56 del 2014 ha mantenuto due sole tipologie di unione di comuni, quella per l'esercizio associato facoltativo di specifiche funzioni e quello per l'esercizio obbligatorio delle funzioni fondamentali; le funzioni fondamentali, obbligatoriamente svolte in forma associata, non possono infatti essere svolte singolarmente dai comuni, mentre il termine ultimo legislativamente previsto, per consentire ai comuni interessati l'attuazione delle disposizioni sulle funzioni fondamentali, è scaduto il 31 dicembre 2014;
   tuttavia, la complessità di una normativa che ha richiesto più di quattro anni di gestazione nonché l'estrema eterogeneità e peculiarità degli oltre cinquemila piccoli comuni presenti sul territorio italiano, hanno messo in evidenza l'insorgere di numerose criticità nell'attuazione di questo significativo processo, soprattutto sotto il profilo del non sufficiente supporto tecnico che avrebbe dovuto necessariamente accompagnare la riorganizzazione delle istituzioni comunali –:
   quale sia lo stato di attuazione della normativa inerente all'esercizio associato obbligatorio delle funzioni fondamentali dei comuni, se e quali le criticità fin qui registrate e quali iniziative intendano adottare per farvi fronte. (5-04536)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CANCELLERI e LOREFICE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è nota dopo l'emergenza a Caltanissetta dove presso l'impianto sportivo comunale polivalente «Michelangelo Cannavò» di contrada Pian del lago, si trovavano «accampati» più di un centinaio di immigrati, tutti uomini, per lo più afghani, pakistani e bengalesi, che vivevano in una situazione allarmante soprattutto dal punto di vista igienico-sanitario;
   come sottolinea la circolare inviata dal dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ai prefetti di Bari, Brindisi, Caltanissetta, Crotone, Gorizia, Milano, Roma, Torino e Trapani, nei centri di identificazione ed espulsione è «necessario garantire allo straniero il pieno rispetto dei principi fondamentali di libertà e dignità della persona»;
   molte sono state le denunce dei sindacati di polizia sulla «ingestibilità» delle manifestazioni all'interno e all'esterno dei centri, denunce che partono già dal 2011 e che ancora non si sono esaurite;
   le manifestazioni degli immigrati ospiti dei centri di accoglienza si registrano già dal 2012 come si evince dall'articolo di BlogSicilia del 25 settembre 2012 «Fuga dal CIE di Caltanissetta, migranti: “situazione insostenibile”»;
   in data 16 dicembre 2014 gli ospiti del centro di accoglienza primaria di via Niscemi a Caltanissetta hanno manifestato sdraiandosi sull'asfalto e creando blocchi con i cassonetti della spazzatura per protestare contro i presunti ritardi della commissione chiamata a decidere la proroga della protezione internazionale. Due di loro si sono anche denudati;
   in data 13 gennaio 2015 circa 50 cittadini di nazionalità gambiana, richiedenti protezione internazionale e ospiti presso il Cara di Pian del Lago di Caltanissetta hanno protestato lungo la strada provinciale 5 dinnanzi l'ingresso del centro, alla base della protesta i presunti ritardi delle audizioni nella commissione che deve pronunciarsi sul riconoscimento della protezione internazionale e su altri status;
   i tempi di attesa per l'audizione sono troppo lunghi, in alcune commissioni superano anche i 14 mesi e rappresentano uno dei principali problemi del sistema asilo in Italia;
   nella città di Caltanissetta è stato indetto per il prossimo lunedì 26 gennaio 2014 un consiglio comunale straordinario avente come oggetto i problemi di ordine pubblico nati a seguito delle numerose manifestazioni degli immigrati ospiti nei centri di accoglienza;
   nel bivio di Caltanissetta Sud e attraversando poi il lungo rettilineo dove è sito il Centro di identificazione ed espulsione di Pian del Lago, si fa notare quanto sia pericoloso per gli immigrati ospiti di tale struttura transitare a piedi e a frotte in questo lungo tratto di strada per recarsi in città a causa della mancanza di illuminazione e di un marciapiede sicuro che evitino loro la continua esposizione al rischio di venire travolti da qualche veicolo;
   la nostra Costituzione prevede all'articolo 2 che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale;
   all'articolo 3 stabilisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno istituire un'apposita commissione territoriale permanente per la città di Caltanissetta così da poter accelerare le tempistiche del rilascio del permesso di soggiorno così da soddisfare le richieste degli immigrati ospiti dei centri di accoglienza;
   se intendano incrementare l'organico delle forze dell'ordine per gestire i problemi di ordine pubblico derivanti dalle numerose manifestazioni;
   quali provvedimenti inoltre abbia assunto o intenda assumere nell'ambito delle proprie competenze per verificare l'esistenza di violazioni di normative contrattuali e di legge in tali strutture governative provvedendo — ad esempio – a modificare il discutibile impianto del bando di gara ministeriale, utilizzato anche dalla prefettura di Caltanissetta per l'affidamento dei servizi. (4-07594)


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottobre 2012 risulta aver partecipato ad un convegno a Ravenna il signor Robert Cerantonio Musa, cittadino australiano di origini italiane, invitato in quanto islamologo per sviluppare un intervento sul tema «Uomini e donne insieme per la fraternità umana e la pace, universale»;
   all'incontro prendeva parte anche l'assessore alla sicurezza del comune di Ravenna, Martina Monti, cui Cerantonio Musa rifiutò di stringere la mano, verosimilmente in quanto donna;
   Cerantonio Musa è attualmente recluso nelle Filippine, con l'accusa pesante di terrorismo internazionale, ed è considerato uno dei dodici islamisti più pericolosi da parte del Governo del nostro Paese;
   diversi media di vari Stati hanno riportato dichiarazioni di Cerantonio Musa, secondo le quali si sarebbe recato in Siria «per proteggere al Baghdadi»;
   Cerantonio Musa è altresì apparso da poco in internet in una foto che lo ritraeva a piazza San Pietro con una bandiera jihadista;
   avrebbe soggiornato a Ravenna anche un giovane maghrebino, generalizzato come E.H. dalla stampa locale, praticamente passato inosservato alle forze dell'ordine è tuttavia ucciso in Siria recentemente, mentre combatteva nelle fila delle milizie dell'Isis;
   risulta da quanto precede l'estrema pericolosità degli individui che abbracciano la causa del jihadismo, determinata in particolar modo dalla loro tendenza alla dissimulazione, che del resto riflette precisi precetti religiosi, in vista di una testimonianza finale da rendere eventualmente attraverso la violenza –:
   se il Governo non ritenga opportuno stabilire forme di monitoraggio e controllo più pervasive dei luoghi di culto islamico del nostro Paese maggiormente frequentati. (4-07600)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da una agenzia di stampa in data 16 gennaio 2015, «Il pattugliatore della marina militare Libra inserito nel dispositivo di Frontex “Triton” ha soccorso questa notte a 60 miglia nautiche dalle coste di Tripoli due imbarcazioni con numerosi migranti a bordo»;
   sempre secondo la stessa agenzia si precisa che «I due eventi SAR, condotti ed ultimati durante la notte, hanno portato al recupero da imbarcazioni in difficoltà di 111 e 175 migranti. La Nave Libra ha successivamente imbarcato 204 migranti soccorsi precedentemente dalla motovedetta CP905 delle, Capitanerie di Porto» e che «La nave Libra, con i 490 migranti, dirige verso le coste italiane»;
   secondo quanto dichiarato dall'ammiraglio Giuseppe De Giorgi, capo di Stato maggiore della Marina militare, sulle operazioni «Mare Nostrum» e «Triton» in audizione alla Commissione straordinaria per la tutela e promozione dei diritti umani in data 9 dicembre 2014 «Il 1° novembre 2014 è partita “Triton”, operazione di polizia dell'Unione europea mirata al controllo delle frontiere Schengen per la prevenzione ed il contrasto dell'immigrazione clandestina via mare, la cui durata è prevista fino al 31 gennaio 2015, con possibilità di proroga. Il coordinamento delle attività è condotto da Frontex tramite l'International Coordination ... ... L'area di pattugliamento di “Triton” si ferma alle trenta miglia dalla costa ed è inferiore rispetto all'area controllata da “Mare Nostrum” ... Tra i compiti di “Triton”, l'unico dichiarato è il controllo delle frontiere, mentre non vengono contemplati, come invece previsto da “Mare Nostrum”, .... gli interventi SAR (Search And Rescue)»;
   pare che la nave Libra della Marina militare italiana, sebbene operi nell'ambito dell'operazione Triton, abbia condotto due interventi SAR (Search and Rescue) a ridosso delle coste libiche e dunque ben oltre le competenze e i confini di Triton, a cui ha aderito lo Stato italiano –:
   se quanto riportato dall'agenzia di stampa in premessa corrisponda al vero, quanti interventi i dispositivi aeronavali della Marina italiana abbiano effettuato dal 1° novembre 2014 oltre i confini delle trenta miglia dalle coste italiane e oltre gli impegni dichiarati dell'operazione Triton, nell'ambito di quale operazione la nave della Marina militare italiana Libra abbia condotto gli interventi riportati sopra dall'agenzia di stampa, di che nazionalità siano gli immigrati condotti sulle coste italiane e se siano stati arrestati i trafficanti responsabili dell'ingresso illegale di tali immigrati nel territorio italiano. (4-07603)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto segnalato agli interroganti, nel 2009 l'allora capo del reparto mobile di Napoli, dottor Maurizio Gelich, avrebbe affidato in gestione alla cooperativa COPS la palestra sita all'interno della caserma Nino Bixio che ospita il VI reparto mobile della polizia di Stato di Napoli;
   in virtù di tale affidamento, i poliziotti potevano frequentare solo tramite contributo economico all'associazione, la quale, in qualità di gestore del centro, ne consentiva l'accesso anche a clienti estranei all'amministrazione autorizzando così l'ingresso nella caserma, dove agevolmente si potevano carpire delicate informazioni di sicurezza su modalità e tempi dei servizi di polizia se non addirittura bivaccare ed abbronzarsi sul solarium del terrazzo della caserma dell'amministrazione; una recente denuncia del sindacato di polizia CONSAP, ripreso anche da fonti di stampa, avrebbe sollevato pesanti sospetti circa la gestione di tale palestra al punto da indurre il capo della polizia a chiudere la struttura;
   nella denuncia sindacale, in particolare, si chiedeva di fare chiarezza «su chi e che cosa ha consentito che quella prestigiosa struttura della Polizia di Stato venisse poi gestita come un “bancomat” per un'associazione che pur dichiarandosi onlus risulterebbe vantare entrate annuali di circa 100 mila euro, 70 mila dei quali sottratti allo stipendio dei 250 poliziotti frequentatori che pagano un'iscrizione di 10 euro più un contributo annuo di 270 euro all'associazione Cops»;
   occorre segnalare che per gli agenti l'attività psico-fisica in palestra rappresenta una necessità che potrebbe essere definita «di servizio». Nelle palestre degli altri reparti mobili d'Italia si versa piuttosto un piccolo contributo associativo annuale;
   peraltro, come detto a seguito delle suddette segnalazioni sindacali, il capo della  polizia ha disposto la temporanea chiusura della struttura, ravvisando dunque delle irregolarità gestionali –:
   se la concessione di questa palestra disposta dall'allora dirigente del reparto mobile della Campania abbia rispettato tutte le procedure per una assegnazione di questo tipo;
   se siano state fatte le debite verifiche sulla cooperativa Cops, che gestiva tale palestra, data la particolare delicatezza dell'incarico affidatole e che è stato segnalato dalla stessa Consap e da fonti di stampa che pare che come personal trainer all'interno della struttura prestasse servizio la moglie di un camorrista del clan di Forcella;
   se il capo della polizia abbia mai disposto accertamenti interni, a seguito della chiusura, ed a quali conclusioni sia arrivato;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e quale sia il suo orientamento in merito;
   se il Ministro interrogato non ritenga doveroso fare piena luce sui fatti riportati in premessa. (4-07609)


   RONDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dalle recenti segnalazioni di organi di intelligence, che fanno seguito ai fatti che hanno insanguinato la Francia e dalle stesse informative del Ministro Alfano emerge un quadro generale che non può non destare forte preoccupazione e impone di tener alta l'attenzione per la sicurezza del Paese;
   nell'ambito del controllo della sicurezza si dovrebbe disporre anche la «bonifica» del territorio da situazioni di illegalità, quali possono essere le sedi di diversi sedicenti centri culturali islamici che in realtà sono luoghi di culto e di aggregazione che spesso insistono su aree che hanno un'altra destinazione di uso in base agli strumenti urbanistici di pianificazione del territorio adottati dai comuni;
   situazioni di palese illegalità che inducono a credere che presso questi luoghi transitino personaggi legati al terrorismo internazionale (cosa per altro confermata dall'esito di diverse inchieste) con il beneplacito di chi dovrebbe gestire questi centri;
   la situazione generale brevemente tratteggiata trova esempi anche nella zona del sud Milano dove sono attivi 2 centri culturali: uno sito a Melegnano gestito dall'associazione Al Baraka, attivo da oltre un anno; l'altro sito a San Giuliano Milanese è gestito dall'associazione Sabil, attivo sul territorio da diversi anni e punto di aggregazione di buona parte della comunità islamica residente nel sud Milano. In particolare, la sede attiva a Melegnano insiste su un'area che ospitava l'ex chimica Saronio che non è stata bonificata e quindi non è in grado di ospitare luoghi di aggregazione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione e intenda assumere iniziative per incrementare i controlli ad associazioni come quella di cui in premessa al fine di garantire la sicurezza nei territori. (4-07612)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   ANTIMO CESARO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in sede di V commissione permanente del Senato, in sede di esame del disegno di legge n. 1698 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015» è stato accolto dal Governo un ordine del giorno con il quale si impegna il Governo a valutare l'opportunità di inserire i docenti delle graduatorie di istituto nelle graduatorie ad esaurimento;
   si tratta di un'apertura rilevante, che non a caso giunge poco tempo dopo la storica sentenza emessa il 26 novembre 2014 dalla Corte di Giustizia europea che ha condannato l'operato dello Stato italiano e della sua amministrazione scolastica per abuso del precariato;
   l'approvazione dell'ordine del giorno giunge anche dopo le tante sentenze di merito, emesse dal Tar del Lazio, a favore di tutti i docenti abilitati che rivendicavano a ragione una nuova apertura delle graduatorie provinciali: tenerli fuori delle graduatorie aggiuntive, come avviene oggi, è infatti un'operazione che preclude la loro assunzione nei ruoli dello Stato;
   il via libera all'ordine del giorno, a prima firma il senatore Di Biagio, rappresenta un importante segnale da parte del Governo e allo stesso tempo si prende coscienza di questa ingiustizia perpetrata nei confronti di oltre 100 mila abilitati attraverso vari percorsi, come i Tfa, i Pas, i diplomati nella scuola magistrale prima del 2001, gli Sfp e i corsi tenuti all'estero –:
   quali iniziative il Governo ritenga opportuno prendere al fine di tradurre al più presto l'ordine del giorno sopracitato in un'iniziativa normativa che permetta la riapertura delle graduatorie ad esaurimento. (3-01255)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LUIGI GALLO, MARZANA, VACCA, SIMONE VALENTE, ALBERTI, DI BENEDETTO e BRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i dati ufficiali del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sull'anagrafe degli studenti per l'anno scolastico 2014/2015 hanno mostrato che, per il secondo anno consecutivo, gli studenti frequentanti i corsi di studi della scuola italiana sono aumentati in modo considerevole: rispetto all'anno precedente si tratta di 25.546 unità in più alle superiori e di 9.216 alla primaria, con un leggero calo (–785) nella scuola secondaria di primo grado. Anche nel 2013 vi fu un incremento di circa 30.000 iscritti;
   dai dati forniti dalla ragioneria generale dello Stato si scopre che tra il 2007 e il 2012 il personale della scuola ha perso oltre 124 mila posti (–10,9 per cento): da 1.137.619 unità si è passati a poco più di un milione;
   in base al punto 5, «Misure per l'evacuazione in caso di emergenza», e, nello specifico, al punto 5.0, «Affollamento», dell'allegato al decreto ministeriale 26 agosto 1992, «Norme di prevenzione incendi per l'edilizia scolastica», il massimo affollamento ipotizzabile per un'aula scolastica è fissato 26 persone;
   il decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 81, «Norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola», ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, dispone:
    all'articolo 5, comma 2, che «le classi iniziali delle scuole ed istituti di ogni ordine e grado, ivi comprese le sezioni di scuola dell'infanzia, che accolgono alunni con disabilità sono costituite, di norma, con non più di 20 alunni»;
    all'articolo 9, comma 2, che «le sezioni di scuola dell'infanzia sono costituite, di norma, salvo il disposto di cui all'articolo 5, commi 2 e 3, con un numero di bambini non inferiore a 18 e non superiore a 26»;
    all'articolo 10 che, «salvo il disposto dell'articolo 5, commi 2 e 3, le classi di scuola primaria sono di norma costituite con un numero di alunni non inferiore a 15 e non superiore a 26, elevabile fino a 27 qualora residuino resti»;
    all'articolo 11, comma 1, che «le classi prime delle scuole secondarie di I grado e delle relative sezioni staccate sono costituite, di norma, con non meno di 18 e non più di 27 alunni, elevabili fino a 28 qualora residuino eventuali resti. Si procede alla formazione di un'unica prima classe quando il numero degli alunni iscritti non supera le 30 unità»;
    all'articolo 11, comma 2, che «si costituisce un numero di classi seconde e terze pari a quello delle prime e seconde di provenienza, sempreché il numero medio di alunni per classe sia pari o superiore a 20 unità»;
    all'articolo, 16 comma 1, che «le classi del primo anno di corso degli istituti e scuole di istruzione secondaria di II grado sono costituite, di norma, con non meno di 27 allievi [...]»;
    all'articolo 16, comma 2, che «gli eventuali resti della costituzione di classi con 27 alunni sono distribuiti tra le classi dello stesso istituto, sede coordinata e sezione staccata o aggregata, qualora non sia possibile trasferire in istituti viciniori dello stesso ordine e tipo le domande eccedenti, e senza superare, comunque, il numero di 30 studenti per classe» e che «si costituisce una sola classe quando le iscrizioni non superano le 30 unità»;
    all'articolo 17, comma 1, che «le classi intermedie sono costituite in numero pari a quello delle classi di provenienza degli alunni, purché siano formate con un numero medio di alunni non inferiore a 22»;
   la precedente normativa vigente in materia, modificata dal decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 81, di cui sopra, era rappresentata dal decreto ministeriale 24 luglio 1998, n. 331, «disposizioni concernenti la riorganizzazione della rete scolastica, la formazione delle classi e la determinazione degli organici del personale della scuola», specificamente e rispettivamente: articolo 10, commi 1 e 2; articolo 14, commi 1 e 2; articolo 15, comma 1; articolo 16, commi 1 e 2; articolo 18, comma 1; articolo 19, comma 1; le attuali disposizioni vigenti hanno modificato radicalmente i criteri di formazione e numerosità delle classi, comprese quelle in cui sono iscritti alunni con disabilità, innalzando sensibilmente il rapporto alunni/classe in base ad una logica finalizzata al risparmio che ha regolato la politica scolastica italiana negli ultimi 20 anni;
   il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia (sezione terza), con sentenza n. 02250/2014, in merito al ricorso registro n. 00401/2014 presentato da genitori e studenti, ha sdoppiato, nel corso dell'anno scolastico, una classe quarta di un liceo palermitano formata da 24 alunni, di cui 4 con disabilità, derivante dalla fusione di due classi più piccole entrambe con alunni con disabilità, perché composta da un eccessivo numero di studenti. Secondo il Tar l'eccessivo numero di alunni oltre a compromettere la sicurezza degli stessi, va ad incidere negativamente sulla qualità della didattica e non permette la piena inclusione dei disabili. La sentenza mette in discussione i criteri con cui vengono formate le classi imponendo, per la prima volta con una sentenza al riguardo, il rispetto del tetto massimo di 20 alunni nelle classi successive alla prima, come affermato dall'articolo 5 comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 81. La decisione del Tar Sicilia è stata motivata in questo modo: «[...] la circostanza che il regolamento di che trattasi contempli l'ipotesi della presenza di disabili unicamente per le prime classi e non anche per quelle intermedie impone un'interpretazione dello stesso dato normativo in linea con le esigenze di inclusione dell'alunno disabile così come tracciate dalla legislazione interna di riferimento e dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità [articolo 24, “Educazione”, commi 1, 2, 3, 4 e 5]. Orbene, una lettura improntata a parametri di logicità impone di ritenere che il limite dei venti alunni previsto per le “classi iniziali” debba considerarsi valido per tutte le classi. [...] È indubbio che [...] l'allocazione in una classe con un numero di alunni di gran lunga inferiore avrebbe certamente garantito per tutti un servizio quantomeno migliore oltre che in linea con le previsioni normative»;
   in riferimento ai dati e alla normativa descritti in premessa, quella delle cosiddette «classi pollaio» è un'emergenza quanto mai attuale, pronta a minare la qualità della formazione e dell'educazione offerte agli alunni del nostro paese, specie se affetti da disabilità –:
   se, alla luce delle riflessioni scaturite dalla sentenza del tribunale amministrativo regionale per la Sicilia (sezione terza), alcuni estratti della quale sono stati descritti in premessa, si ritenga necessario un'iniziativa normativa atta a rimodulare oltre che chiarificare le disposizioni in materia di formazione e numerosità delle classi scolastiche relative, in particolare, agli articoli 5, 9, 10, 11, 16 e 17 del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 81, descritti in premessa, al fine di garantire a tutti gli alunni degli istituti scolastici italiani di ogni ordine e grado standard adeguati di sicurezza, qualità della didattica e del rapporto docente/studente, inclusione e integrazione, specie per gli alunni con difficoltà, anche mediante un ritorno alla precedente legislazione, rappresentata dal decreto ministeriale 24 luglio 1998, n. 331, in particolare per quanto disposto agli articoli: 10, commi 1 e 2; 14, commi 1 e 2; 15, comma 1; 16, commi 1 e 2; 18, comma 1; 19, comma 1. (5-04527)


   COCCIA, RACITI, ARGENTIN, MOSCATT e CULOTTA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi mesi in alcuni comuni italiani, tra cui il caso più evidente è rappresentato dal comune di Bagheria (Pa), sono stati sospesi i servizi scolastici per i bimbi disabili;
   appare evidente che si sta ledendo il diritto allo studio di molti bambini;
   nonostante il dissesto finanziario in cui versano alcuni comuni è evidente che i servizi di assistenza rappresentino diritti inderogabili e sostanziali e che, per questa loro natura, vanno tutelati e garantiti;
   per mesi i genitori sono stati lasciati soli a fronteggiare la situazione: alcuni addirittura sono stati chiamati a fornire personalmente l'assistenza ma, nonostante l'impegno dei nuclei familiari, diversi bambini non hanno potuto frequentare la scuola;
   in merito all'assistenza ai bambini disabili è necessario garantire almeno i servizi igienico sanitari e una pianta organica adeguata alla gestione di tutte le problematiche;
   i servizi di assistenza poiché ad avviso dell'amministrazione la circolare regionale precisa che il servizio di assistenza igienico personale è rivolto esclusivamente ad alunni non autosufficienti sul piano motorio od insufficienti mentali che non hanno il controllo degli sfinteri;
   la norma nazionale prevede che i servizi di assistenza igienico personale siano a carico delle scuole, tuttavia è stato previsto che in via sussidiaria, ove sia accertata l'indisponibilità delle scuole a rendere tale servizio, l'ente locale fornisca assistenza al servizio che dovrebbe svolgere il personale ATA;
   in tal senso, si pone in capo ai comuni il servizio di assistenza igienico personale e gli altri servizi specialistici volti a favorire l'integrazione nella scuola dei soggetti con handicap grave di cui all'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104;
   fornire assistenza alla comunicazione ad un alunno disabile è considerato un servizio essenziale e obbligatorio per legge;
   l'integrazione scolastica degli alunni con disabilità costituisce un punto di forza della scuola italiana, che vuole essere una comunità accogliente nella quale tutti gli alunni, a prescindere dalle loro diversità funzionali, possano realizzare esperienze di crescita individuale e sociale. La piena inclusione degli alunni con disabilità è un obiettivo che la scuola dell'autonomia persegue attraverso una intensa e articolata progettualità, valorizzando le professionalità interne e le risorse offerte dal territorio;
   in tal senso, vanno messe in atto varie misure di accompagnamento per favorire l'integrazione inoltre, la Costituzione italiana riserva una grande attenzione alla promozione di una effettiva generalizzazione del diritto allo studio e alla garanzia, per tutti i cittadini, di accedere alla istruzione –:
   se sia a conoscenza delle difficoltà in cui versano in comuni nell'assistenza scolastica ai bambini disabili;
   quali iniziative intenda intraprendere per garantire agli alunni disabili a cui è negato il pieno diritto all'assistenza igienico-sanitaria;
   se intenda assumere iniziative per istituire un Fondo di solidarietà per garantire a tutti gli alunni disabili il diritto allo studio al fine di rendere efficiente e corretto il servizio di assistenza, secondo quanto stabilito dalle norme. (5-04530)

Interrogazione a risposta scritta:


   MARZANA, SIMONE VALENTE, BRESCIA, LUIGI GALLO, VACCA, DI BENEDETTO, D'UVA, DI VITA e LOREFICE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti di stampa che il 20 dicembre 2014 i militanti di Forza Nuova Coordinamento Ibleo, sezioni di Modica e Scicli, in collaborazione con il raggruppamento di enti No Profit Il Faro, siano stati accolti dai presidi e dirigenti scolastici di alcune scuole dei due comuni della provincia di Ragusa per l'iniziativa di distribuzione agli alunni di 2500 statuine raffiguranti il Bambin Gesù;
   le statuette sono state consegnate agli alunni in concomitanza con le festività natalizie, «affinché facciano tesoro delle proprie radici cristiane e tradizionali e contro il relativismo moderno e le minacce alla pax delle società cattoliche»;
   l'episodio testimonia una palese invadenza di campo da parte di una forza politica in ambito educativo e solleva forti perplessità in ordine al rispetto del principio della libertà delle confessioni religiose sancito dall'articolo 8 della Costituzione nonché al rispetto della laicità dello Stato italiano, che la sentenza della Corte costituzionale 203 del 1989 definisce «principio supremo dell'ordinamento costituzionale» e per cui «non» si debba «condizionare dall'esterno della coscienza individuale l'esercizio di una libertà costituzionale, come quella religiosa, coinvolgente l'interiorità di una persona»;
   sempre secondo quanto riportato dal succitato giornale online la dirigente dell'istituto comprensivo Poidomani di Modica avrebbe dichiarato: «Oggi alla festa di Natale non avevamo nulla da regalare ai nostri bambini, quando ci ha telefonato per donarci i bambinelli ho pensato fosse un segno dal cielo»;
   tali dichiarazioni mettono in discussione i principi di imparzialità, di equilibrio e di credibilità proprie dell'istituzione scolastica;
   si aggiunga che come si apprende da altre fonti di stampa Forza Nuova si è resa promotrice nelle scuole di Palermo di un'altra iniziativa, una campagna in difesa della famiglia naturale e contro la «teoria gender», fondata sul superamento degli stereotipi di genere;
   il partito politico ha affisso vicino ai muri delle scuole elementari e medie del capoluogo siciliano un volantino con i contatti a cui rivolgersi i genitori per denunciare l'eventuale «propaganda omosessualista»;
   l'iniziativa è deprecabile oltre che per l'invadenza di una forza politica in ambito scolastico per i messaggi veicolati, in palese contrasto con l'educazione alla tolleranza e al rispetto della diversità, finalizzata a combattere le discriminazioni e promuovere la pari dignità di tutti gli esseri umani;
   la scuola è il luogo dedicato all'educazione e non può diventare spazio di propaganda religiosa o politica tanto più se compiuta sulla pelle dei bambini;
   eppure echeggiano ancora le parole intonate dagli alunni dell'istituto comprensivo «Raiti» di Siracusa in occasione della visita del Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi del 5 marzo 2014, «Facciamo un salto, battiam le mani, ti salutiamo tutti insieme Presidente Renzi...», durante l'incontro gli alunni hanno inoltre inneggiato in coro «Matteo, Matteo...» e affidato alla persona sogni e speranze;
   la funzione educativa e il principio di imparzialità sono stati disattesi e l'accoglimento è stato riservato all'uomo Renzi, e non alla figura istituzionale;
   altra vicenda che getta discredito all'istituzione scolastica si è registrata presso il liceo Corbino-Gargallo di Siracusa, di cui è dirigente la dottoressa Carmela Fronte, in occasione del convegno «scuola e Cittadinanza attiva» che si è tenuto sabato 8 novembre 2014 in cui si è discusso del progetto di riforma del governo noto come «Buona scuola» alla presenza, per la parte politica, solo della maggioranza parlamentare;
   tra i relatori del convegno figuravano due esponenti del medesimo partito, quello del Partito Democratico, mentre erano escluse le altre forze politiche, in particolare dell'opposizione, che avrebbero conferito al dibattito il carattere democratico e plurale che si conviene a qualsiasi momento di confronto pubblico, a maggior ragione, all'interno di un'istituzione scolastica, luogo per eccellenza di formazione della coscienza civile e sociale;
   da menzionare anche il tentativo, poi sventato, che avrebbe visto il 21 dicembre 2014 all'interno dell'Istituto Padre Pio da Pietralcina (ex Luigi Einaudi) di Ispica, in provincia di Ragusa, lo svolgimento delle primarie del Partito Democratico per la scelta del candidato a sindaco;
   le primarie sono ben altra cosa rispetto alle elezioni amministrative o politiche, che riguardano tutti i cittadini, pertanto la scelta di fare votare in una sede scolastica, in violazione dell'articolo 96, comma 4, del Testo Unico in materia di istruzione, nonché della nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 12623 del 9 ottobre 2007 «Sedi delle istituzioni scolastiche. Loro utilizzo a fini non rientranti nella funzione educativa», sarebbe apparsa inopportuna e avrebbe offeso l'autorevolezza delle istituzioni;
   la scuola svolge una funzione istituzionale ed appartiene all'intera comunità e non può essere sottoposta ad indebite appropriazioni di partito che rimandano ad una concezione totalitaria dell'educazione e della formazione –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario provvedere ad un richiamo formale nei confronti dei dirigenti scolastici degli istituti dei comuni di Modica e Scicli che hanno permesso la consegna delle statuine agli alunni secondo gli interroganti «abusando» del loro ruolo;
   quali iniziative intenda assumere affinché sia scongiurato dai dirigenti qualsiasi utilizzo improprio delle istituzioni scolastiche e degli spazi limitrofi, come accaduto nel palermitano;
   se non ritenga di sollecitare i dirigenti scolastici ad organizzare spazi di confronto tra docenti e famiglie sul tema dell'identità di genere e sulla presunta diffusione di teorie gender nelle scuole, al fine di superare eventuali preoccupazioni dei genitori degli alunni;
   si intendano assumere iniziative disciplinari nei confronti degli insegnanti e del dirigente dell'istituto Raiti per azioni che esulano dalla funzione educativa affidatagli e che minano la credibilità dell'istituzione scolastica;
   che cosa intenda fare per impedire che si ripetano convegni all'interno dei luoghi scolastici, come quello tenutosi all'istituto Corbino-Gargallo, che non garantiscono la pluralità e il confronto;
   se non ritenga inoltre opportuno invitare le istituzioni scolastiche a negare, per ragioni di opportunità istituzionale e per evitare che simili episodi accadano in futuro, l'uso di spazi scolastici per elezioni cosiddette «primarie», indette da qualsiasi parte politica. (4-07606)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   DIENI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   lo stato di diritto è uno degli elementi fondanti dei Paesi democratici, e l'efficacia esecutiva delle sentenze e degli altri provvedimenti giudiziali rappresenta un presupposto imprescindibile per garantirne la sopravvivenza;
   è dunque di particolare gravità che alcune aziende, specie se nell'azionariato annoverano soggetti pubblici, si arroghino il diritto di disattendere le sentenze della magistratura e di violare le norme in materia di diritto del lavoro;
   ciò sarebbe accaduto nei confronti di ben 23 dipendenti di Rete ferroviaria italiana spa;
   gli stessi infatti, come risulta dalla sentenza Cassazione civile sezione lavoro, sentenza 28 maggio 2013, n. 13248, hanno visto riconosciuta in via definitiva la sentenza del 12 febbraio 2010 della Corte d'appello di Reggio Calabria, che aveva riconosciuto l'intervenuta violazione del divieto di interposizione di manodopera, e dichiarato che tra la società Rete ferroviaria italiana spa e i resistenti, tutti formalmente dipendenti di Ferroser srl, si era costituito un rapporto di lavoro subordinato;
   confermava pertanto il diritto dei prestatori ad essere inquadrati in Rete ferroviaria spa nei profili professionali equivalenti a quelli per i quali erano stati assunti da Ferroser srl;
   tale sentenza, tuttavia, avrebbe scatenato un provvedimento punitivo da parte del datore di lavoro, emanato tra l'altro da parte di un'azienda che non era stata neppure coinvolta nella causa;
   è dunque avvenuto che i suddetti dipendenti di Rete ferroviaria italiana spa ricevessero via missiva, peraltro a pochi giorni da Natale, la comunicazione da parte della società Trenitalia spa che sarebbero stati trasferiti da Reggio Calabria chi a Savona, chi a Milano, chi a Torino, chi a Treviso, chi a Napoli, chi a Roma e chi, infine, a Verona;
   la designazione della nuova sede lavorativa e il trasferimento dei lavoratori a Trenitalia spa sarebbe avvenuta a quanto risulta all'interrogante senza che alcuna procedura stabilisse criteri, forme, metodi e motivazioni a giustificazione di questa azione e soprattutto senza che si prendessero in considerazione eventuali compiti o attribuzioni in sede regionale;
   va ricordato inoltre che il provvedimento colpisce dipendenti con un'età compresa tra i 50 e 60 anni;
   come se non bastasse il trasferimento toccherebbe anche lavoratori, e quindi familiari, protetti dalla legge n. 104 del 1992, che dovrebbe tutelare i soggetti con persone diversamente abili a proprio carico da azioni come questa;
   sembra poi che i ricorrenti, vincitori nei vari gradi di giudizio, già dipendenti dal 1991 con la qualifica di «ausiliario», siano stati estromessi dalle graduatorie e, dunque, dalla formazione per farli pervenire così alla qualifica di «operatore» categoria «D» e tale circostanza è stata presa a pretesto dallo stesso datore di lavoro per sostenere che la loro attuale qualifica, quella di «ausiliario», non presenta alcuna possibilità di collocamento nella sede naturale cioè Reggio Calabria o comunque o presso la Regione Calabria;
   la verità è che il mancato ricollocamento con efficacia retroattiva secondo il dettato statuito dai vari giudizi comporta la mancata attribuzione della qualifica di «D» «operatore», peraltro con diritto di preferenza derivante dall'anzianità rispetto ad altri lavoratori che, assunti in via postuma rispetto al 1991, non sono stati oggetto di alcun provvedimento «punitivo»;
   tale inopinato comportamento comporta un grave strappo al diritto e merita una indagine conoscitiva di tutti gli elementi che giocano esclusivamente a detrimento di coloro che si sono rivolti alla magistratura e che ancora ripongono le loro speranze in una terra, quella calabrese, in cui purtroppo la vicinanza dello Stato è affidata a corpi separati che insolentiscono e insudiciano il normale vivere;
   le su riportate circostanze, sia pure rese qui in assoluta sintesi, hanno indotto il tribunale di Reggio Calabria – giudice del lavoro – provvedimento del 5 gennaio 2014 – a sospendere la procedura di trasferimento per due di loro sino alla data del 21 gennaio, giorno fissato per la partenza, così dimostrando che tutti gli elementi addotti dagli stessi ricorrenti in via cautelare hanno trovato apprezzamento in sede di diritto con evidente risvolto in fatto di intervenire con assoluta urgenza per evitare che la cosa pubblica diventi strumento di egoistici interessi non del tutto chiariti stante la notorietà del fatto, diffuso in azienda, secondo cui sono imminenti altre assunzioni con qualifiche equiparabili a quelle dei soggetti trasferendi –:
   se intenda intervenire con iniziative di propria competenza per verificare se la società Rete ferroviaria italiana spa e Trenitalia spa abbiano agito, riguardo ai fatti esposti in premessa, in violazione delle norme in materia di diritto del lavoro e in contrasto di quanto stabilito nella sentenza Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 28 maggio 2013, n. 13248. (4-07602)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RAGOSTA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la quota nazionale di pesca del tonno rosso assegnata all'Italia molti anni fa fu stabilita sostanzialmente sulla base delle catture effettuate sin dagli anni 70 dal segmento della flotta italiana dedito alla pesca a circuizione del tonno rosso;
   dopo anni di riduzioni anche drastiche della quota pescabile di tonno rosso, l'organismo di gestione internazionale della pesca dei tonnidi (I.C.C.A.T. - International Commission for the Conservation of Tunas) – nell'ultima assemblea plenaria tenutasi a Genova lo scorso novembre – prendendo atto del netto miglioramento dello stato complessivo della risorsa, ha stabilito un aumento della quota pescabile di tonno rosso nel triennio 2015-2017 per tutti i Paesi aderenti alla Convenzione, tra cui l'Unione europea;
   l'aumento di quota attribuito dall'ICCAT all'UE sarà, come ogni anno, distribuito tra i Paesi membri dell'Unione che praticano la pesca del tonno rosso (nell'ordine Spagna, Francia, Italia, Grecia e Malta) secondo uno schema di ripartizione storica noto come principio di «stabilità relativa» e attraverso un apposito Regolamento (esattamente come negli anni passati furono distribuite le riduzioni delle quote di pesca). In Italia il tonno rosso viene pescato con diversi sistemi di pesca (circuizione, palangaro, tonnara fissa) e la quota italiana viene divisa tra tali sistemi in base a criteri consolidati nel tempo;
   stando agli indirizzi illustrati in una riunione con gli operatori della pesca a circuizione del tonno rosso, l'Amministrazione Italiana (Mipaaf – D.G. Pesca e Acquacoltura) avrebbe intenzione di stabilizzare l'aumento di quota conseguito in sede ICCAT nell'arco del triennio 2015-2017, in base al citato principio della «stabilità relativa»;
   l'Amministrazione italiana avrebbe però intenzione di privilegiare nel primo anno del triennio i segmenti quali il palangaro e la tonnara fissa, ai quali sarebbe sostanzialmente destinata la maggior parte dell'aumento del contingente di cattura destinato all'Italia – valutato in 351 tonnellate per il solo 2015 – salvo perequazione/compensazione dei successivi aumenti nel 2016 e 2017 tra tutti i sistemi, per garantire appunto a fine triennio lo stesso aumento percentuale per tutti;
   non può sfuggire il grave danno che le imprese di pesca del segmento a circuizione subirebbero se tale ipotesi trovasse conferma: per la legge della domanda e dell'offerta, ad un aumento di quota pescabile di tonno rosso corrisponde un automatico calo del prezzo a livello internazionale, di cui già si hanno le prime avvisaglie;
   mentre le imprese di pesca europee ed extraeuropee godranno sin dalla prossima stagione di un aumento della quota pescabile che compenserà tale calo del prezzo (negli altri Paesi membri dell'UE l'aumento di quota è già stato ripartito proporzionalmente tra i sistemi di pesca, sin dal primo anno del triennio), le imprese italiane del segmento a circuizione subiranno subito il calo del prezzo senza poter compensare adeguatamente il mancato introito con un aumento corrispettivo dell'offerta, registrando così un inevitabile calo del fatturato, frutto di un intervento distorsivo della concorrenza paradossalmente causato dalle stesse autorità nazionali; inoltre, in uno scenario di prezzi calanti, recuperare l'aumento di quote a fine triennio non equivale a recuperare l'aumento di quota anno per anno;
   infine, dato che nella raccomandazione 14-04 approvata a Genova è chiaramente scritto (paragrafo 4) che l'aumento progressivo del totale ammissibile di cattura (TAC) potrebbe essere sottoposto a revisione già dal 2016, a seguito della valutazione annuale dello stock di tonno rosso da parte del Comitato scientifico dell'ICCAT, non è certo che l'aumento sia garantito durante tutto il triennio –:
   se il Ministro interrogato non ritenga, nella ripartizione dell'aumento del totale ammissibile di cattura assegnato all'Italia, di garantire a ciascun sistema di pesca lo stesso aumento percentuale per ogni annualità fino al 2017, realizzando così una vera «stabilità relativa» in ogni anno del triennio, secondo il criterio già adottato dagli altri Paesi membri dell'UE, concorrenti dell'Italia in questo settore. (5-04523)


   TARICCO, COVA e ZANIN. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la drosophila Suzukii è un parassita polifago, originario del Sud-est dell'Asia e importato in Nord America. Noto come moscerino dei piccoli frutti, è comparso in Europa ormai dal 2009. Attacca tutte le specie frutticole e viticole, infesta frutti con buccia sottile, in particolare le drupacee (ciliegio dolce, pesco, susino, albicocco), e frutti a bacca (mirtillo, lampone, mora, fragola), ma anche kiwi, cachi, fichi e uva. Inoltre la cerchia di piante ospiti potrebbe ancora estendersi a causa della rapida capacità di adattamento del parassita (come già successo per la vite);
   rispetto al parassita indigeno che attacca la frutta matura, questa specie esotica deposita le uova nei frutti ancora acerbi determinando di fatto l'impossibilità di commercializzazione;
   la stagione 2014 è stata per moltissimi territori la peggiore dal 2011, quando si rese evidente la presenza della drosophila in Piemonte: l'insetto si è diffuso inizialmente lungo la fascia pedemontana dove si coltivano i piccoli frutti tardivi (mirtilli, lamponi, more e fragole rifiorenti) e ha causato gravi danni alle coltivazioni più rappresentative della frutticoltura montana;
   in molti areali la coltivazione dei piccoli frutti è punto di forza dell'economia locale, ed è pertanto evidente la preoccupazione, sia per la repentina diffusione e le conseguenti elevate perdite di prodotto in questa annata, sia per la difficoltà oggettiva ad attuare strategie di difesa efficaci;
   in questi anni si è creata una rete di ricerca che vede in Piemonte il coordinamento di CReSO Centro ricerca per l'ortofrutticoltura e dell'Università di Torino e coinvolge tutte le regioni maggiormente colpite dal problema;
   il Ministero della salute ha emanato nel corso del 2014 decreti per la lotta alla drosophila Suzukii concedendo l'uso eccezionale di vari principi attivi: Fosmet per il controllo del parassita sulla coltura del mirtillo; deltametrina per la lotta sul lampone e mora da rovo; Spinetoram ed altre molecole;
   l'efficacia del controllo del parassita è legata alla tempestività dell'intervento, appare opportuno quindi offrire agli agricoltori la possibilità di disporre di più molecole per poter controllare adeguatamente il parassita;
   gli interventi con insetticidi, sia naturali che di sintesi, hanno però efficacia limitata perché in una situazione siffatta rischiano di avere efficacia quando il danno si è già innescato ed è quindi necessario sviluppare la possibilità di agire sulla prevenzione;
   la crescita e l'allargamento dell'areale colpito dalla drosophila Suzukii sta diventando una vera e propria emergenza fitosanitaria ed economica, con una perdita media stimata del raccolto nei territori interessati nel 2014 tra il 25 e il 35 per cento, cui si aggiunge una ulteriore perdita economica per lo scarto di prodotto nella fase di cernita in magazzino;
   l'emergenza fitosanitaria drosophila Suzukii rischia di penalizzare gravemente la produzione ortofrutticola italiana per la maggior parte destinata all’export e che ha necessità di essere tutelata rispetto alla concorrenza degli altri paesi, soprattutto in considerazione del fatto che le aziende che producono piccoli frutti operano generalmente su territori fragili, dove la permanenza di dette aziende ha una funzione di presidio territoriale e sociale, oltre che ovviamente economica –:
   se e quali iniziative abbia intrapreso o intenda intraprendere per fornire al comparto ed ai territori colpiti dal parassita, strumenti atti ad evitare ulteriori danni alle colture e alle aziende agricole. (5-04524)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PARENTELA, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, GAGNARLI e L'ABBATE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da notizie a mezzo stampa si apprende che la stragrande maggioranza dei prodotti agricoli – quali vite, olio, agrumi, kiwi, castagne, miele – è minata da fitopatie aggressive, alcune anche nuove, che hanno falcidiato coltivazioni simbolo del «made in Italy»;
   le stime per difetto già parlano di circa 500 milioni di euro persi per la mancata produzione che si estende in tutta la penisola, da sud a nord;
   l'effetto dei mutamenti climatici e le importazioni di prodotti agricoli potrebbero essere verosimilmente all'origine di un preoccupante prolificare di fitopatie quali virus, funghi e insetti che stanno attaccando pesantemente le nostre eccellenze della terra;
   nel caso dell'olivo, quindi per l'olio, i problemi sono causati dalla famigerata mosca olearia che ha imperversato ovunque oltre alla Xylella fastidiosa che non ha risparmiato circa il 50 per cento delle piante in produzione, con milioni di euro andati in fumo;
   per le castagne il cinipide ha quasi azzerato le produzioni generando un danno di oltre 200 milioni;
   gli agrumi della Sicilia sono stati gravemente attaccati dalla Tristeza, che ha già «indebolito» oltre il 30 per cento delle piante per un danno stimato in circa 80 milioni di euro;
   molte api hanno perso la loro battaglia contro il terribile coleottero Aetina tumida e la flessione dei volumi del miele prodotto è stata una diretta conseguenza;
   i filari di vite italiani non sono passati indenni da questo stillicidio e diversi viticoltori hanno battagliato con la peronospora;
   la batteriosi che si è accanita sull'actinidia (meglio conosciuta come kiwi) ha sterminato centinaia di migliaia di piante nel Lazio e nel Piemonte;
   le difficoltà di movimentazione delle produzioni stanno creando gravi danni anche alle produzioni florovivaistiche (la malattia colpisce anche alcune essenze da vivaio);
   anche gli allevatori italiani di ovini stanno subendo dei danni gravissimi, con perdite di migliaia di capi (sia per morte naturale che per necessario abbattimento) per colpa della febbre catarrale, meglio nota come «blue tongue» o «lingua blu», malattia infettiva che colpisce i ruminanti, in particolare gli opini, compromettendone gravemente, e spesso in meniate irreparabile, la salute, a causa di gravi lesioni a carico della mucosa oronasale con la comparsa di febbre elevata;
   c’è bisogno di maggiore tempestività e di misure più importanti sul nostro territorio – è quanto sostiene la dia – perché parassiti e fitopatologie nuove, non trovando fattori naturali di contrasto, si sviluppano rapidamente con enormi danni economici agli agricoltori e pesanti ripercussioni su habitat e paesaggio agrario di vaste aree; sono deboli le misure previste, sia a livello nazionale che europeo, per indennizzare i produttori colpiti come anche inadeguate, allo stato attuale, sono le contromisure agronomiche e agrotecniche da mettere in campo –:
   se non si ritenga urgente l'adozione di un piano, coordinato con le regioni, in modo tale che, una volta identificata l'emergenza fitosanitaria e veterinaria, vi sia una struttura informatica o rete che permetta agli agricoltori e allevatori il recepimento dell’allert in tempo etile;
   se non si ritenga urgente affrontare in maniera organica, sia a livello comunitario sia a livello nazionale, un'azione atta a prevenire l'intrusione nell'ambito dell'Unione europea di parassiti e fitopatie che rischiano seriamente di danneggiare ulteriormente il comparto agricolo e zootecnico;
   se non si ritenga urgente agire su diversi piani, dal potenziamento della ricerca alla diffusione di tecniche di difesa adeguate, dal maggior controllo internazionale sugli scambi al miglioramento, della capacità di intervento nelle fasi di emergenza, ivi compresa la promozione degli strumenti della gestione del rischio. (4-07591)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI, CANCELLERI, DI BENEDETTO, DI VITA, D'UVA, GRILLO, LOREFICE, LUPO, MARZANA, NUTI, RIZZO e VILLAROSA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 10 del 2013 ha introdotto norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani;
   l'articolo 7 della legge n. 10 del 2013 – con lo scopo di assicurare la tutela e la salvaguardia degli alberi monumentali – ne dà la prima definizione normativa, valida rispetto all'intero territorio nazionale, e prevede l'istituzione dell'elenco nazionale degli alberi monumentali;
   come disposto dallo stesso articolo 7, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, il 23 ottobre 2014, ha adottato il decreto avente ad oggetto «Istituzione dell'elenco degli alberi monumentali d'Italia e principi e criteri direttivi per il loro censimento»;
   per effetto dell'entrata in vigore del decreto ministeriale pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 268 del 18 novembre 2014 — con un ritardo di più di un anno rispetto al termine fissato dalla legge n. 10 del 2013 — i comuni, entro il 31 luglio 2015, dovranno compilare un elenco degli alberi monumentali presenti nel territorio comunale da trasmettere alle regioni che, a loro volta, dovranno provvedere a redigere ed inoltrare al Corpo forestale dello Stato i singoli elenchi regionali;
   l'articolo 7 della legge n. 10 del 2013 introduce anche uno specifico regime sanzionatorio per l'abbattimento o il danneggiamento di alberi monumentali — con una sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 5.000 a euro 100.000 — che non trova applicazione soltanto rispetto agli abbattimenti di alberi monumentali, autorizzati dal comune, per casi motivati e improcrastinabili, e in ogni caso previa acquisizione del parere obbligatorio e vincolante del Corpo forestale dello Stato;
   in relazione a questa disposizione, il decreto ministeriale del 23 ottobre precisa, all'articolo 9 comma 3, che le sanzioni descritte nel punto precedente troveranno applicazione — laddove non siano già operanti altri meccanismi di tutela — «a partire dalla proposta di attribuzione di monumentalità da parte del comune con proprio atto amministrativo notificato al proprietario»;
   per l'attuazione delle disposizioni in materia di tutela di alberi monumentali sopra descritte, lo stesso articolo 7 della legge n. 10 del 2013 ha autorizzato la spesa di 2 milioni di euro per l'anno 2013 e di 1 milione per l'anno 2014;
   il decreto ministeriale del 23 ottobre 2014, all'articolo 12, ha stabilito che per l'attuazione di quanto previsto sono impiegate le risorse sopra menzionate, e che a questo scopo si sarebbe provveduto a una ripartizione delle medesime risorse tra il corpo forestale dello Stato e le regioni, tenendo conto, da una parte, delle esigenze del corpo forestale e, dall'altra, dei fabbisogni regionali «legati al sostegno del lavoro di censimento da parte dei comuni e alla redazione degli elenchi regionali»;
   con l'adozione e la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto ministeriale è, finalmente, possibile dare piena attuazione alle disposizioni della legge n. 10 del 2013 in ordine al censimento, all'attribuzione di monumentalità, da parte dei comuni, e dunque alla piena conoscenza e tutela degli alberi monumentali –:
   se, e in che modo, siano state ripartite le risorse tra il Corpo forestale dello Stato e le regioni e siano stati stabiliti i criteri per la ripartizione dei fondi destinati alle regioni;
   se, sulla base della ricognizione effettuata per procedere alla ripartizione delle risorse stanziate dalla legge n. 10 del 2013, sia stata rilevata la necessità di reperire – per il 2015 e il 2016 — risorse finanziarie ulteriori per assicurare la tempestiva e ordinata attuazione dell'articolo 7 della medesima legge n. 10;
   se, e in che modo, stiano vigilando sul fatto che i comuni abbiano avviato e stiano eseguendo le operazioni censuarie, assicurando la massima pubblicità degli atti e la piena partecipazione dei cittadini che, come disposto dall'articolo 3 del decreto ministeriale del 23 ottobre 2014, possono trasmettere segnalazioni utilizzando la scheda apposita allegata al medesimo decreto;
   se intendano promuovere una campagna di comunicazione istituzionale, anche attraverso spot televisivi sui canali RAI, con la quale fornire informazioni circa i contenuti della legge n. 10 del 2013, con specifico riferimento all'avvio delle operazioni censuarie previste, e alla possibilità, per i cittadini, di segnalare ai comuni gli alberi meritevoli dell'attribuzione di monumentalità. (4-07595)

SALUTE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   10 luglio 2014, è stato approvato e siglato il patto per la salute, dopo mesi di incontri e trattative, frutto dell'intesa tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;
   si tratta di un'intesa che non rappresenta un approdo, bensì doveva rappresentare un punto di partenza per definire alcuni dei nodi strategici del servizio sanitario nazionale, ed il cui documento doveva fornire un quadro d'indirizzo che doveva essere completato nei mesi scorsi;
   c'era stato un avvio promettente, in quanto immediatamente erano stati definiti due passaggi: l'8 luglio 2014 il Ministro Lorenzin ha presentato il patto sull’e-health, e il 5 agosto le regioni hanno approvato all'unanimità il riparto del fsn 2014, per un totale di 107,2 miliardi di euro;
   purtroppo, ad oggi molte delle altre scadenze previste, sembra, non siano state rispettate, mancano all'appello molte scadenze importanti che riguardano assi fondamentali della sanità italiana: continuità assistenziale, revisione del sistema dei ticket, ammodernamento dell'edilizia sanitaria, assistenza all'estero, interventi per la cronicità;
   tutte materie che dovevano essere affrontate da specifici tavoli di lavoro ed ancorati appunto a precise scadenze;
   in particolare:
    il 1o ottobre 2014, doveva essere raggiunto l'accordo per elaborare un documento contenente le linee guida per il corretto utilizzo dei dati e della documentazione presente nel repertorio dei dispositivi medici da parte del Ministero previo accordo in Conferenza Stato — regioni, articolo 24 comma 3;
    il 31 ottobre 2014, doveva essere raggiunta un'intesa per definire i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi dei presidi territoriali/ospedali di comunità, articolo 5, comma 17;
    il 31 ottobre 2014, dovevano essere adottate le linee guida sulla Mobilità transfrontaliera per garantire un'applicazione omogenea in tutte le regioni della normativa, articolo 2, comma 1;
    il 31 ottobre 2014 Stato e regioni dovevano stipulare un'intesa che fornisca gli indirizzi utili a realizzare la piena continuità assistenziale dall'ospedale al domicilio del paziente, articolo 3, comma 2;
    lavori ancora in corso per la Gestione delle risorse umane;
    è stata presentata il 10 novembre, solo una prima bozza del disegno di legge delega ex articolo 22 del Patto per la salute, secondo il quale il Governo e le regioni istituivano un Tavolo politico che doveva concludere i suoi lavori entro il 31 ottobre 2014 per la definizione di una legge delega volta a dettare principi e criteri direttivi in ordine a: a) valorizzazione delle risorse umane del servizio sanitario nazionale per favorire un'integrazione multidisciplinare delle professioni sanitarie e i processi di riorganizzazione dei servizi; b) accesso delle professioni sanitarie al servizio sanitario nazionale nel rispetto dei vincoli di spesa di personale e, per le Regioni in Piano di rientro, dei vincoli fissati dai Piani stessi; c) disciplina della formazione di base e specialistica per il personale dipendente e convenzionato della formazione di base specialistica; d) disciplina dello sviluppo professionale di carriera con l'introduzione di misure volte ad assicurare una maggiore flessibilità nei processi di gestione delle attività professionali e nell'utilizzo del personale nell'ambito dell'organizzazione aziendale; e) introduzione di standard di personale per livello di a fini di determinare il fabbisogno di professionisti sanitari a livello nazionale; f) applicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sul precariato per assicurare l'erogazione dei Lea e la sicurezza nelle cure;
    solo il 16 gennaio il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin e quello dell'istruzione, Stefania Giannini, hanno incontrato presso il Ministero della salute i rappresentati delle Regioni per discutere dell'ipotesi di attuazione dell'articolo 22 del Patto della salute, presentando una ulteriore nuova bozza che ha come principale novità quella delle reti locali per la formazione, ferma restando la selezione degli specializzandi ed il coinvolgimento degli ospedali e università con apposite convenzioni, viene meno il «doppio canale» per l'accesso al servizio sanitario nazionale e si prevede un nuovo contratto di formazione e lavoro;
    il 30 novembre 2014, scadeva il termine per la revisione della disciplina di partecipazione alla spesa sanitaria (ticket), ed esenzioni da parte dei Ministeri della salute e dell'economia/Agenas, per prevedere un sistema che dovrà essere strutturato in modo da evitare «che la partecipazione rappresenti una barriera per l'accesso ai servizi e alle prestazioni così da caratterizzarsi per equità e universalismo». Nonostante il solo insediamento del tavolo di lavoro, la definizione del nuovo sistema ticket è stato rimandato al 2015, articolo 8;
    in riferimento al patto per la sanità digitale – articolo 15 comma 1, entro il 31 dicembre 2014 doveva essere prodotto un rapporto conclusivo presentato ufficialmente al Ministro della salute e a tutte le istituzioni coinvolte, che doveva contenere il master plan per le iniziative di sanità digitale, ivi comprese le indicazioni prioritarie, i cronoprogrammi attuativi e i modelli di copertura finanziaria previsti, anche tenuto conto dei risultati delle iniziative sperimentali avviate;
    il 31 dicembre 2014, doveva essere emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per l'aggiornamento Lea, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di intesa con la Conferenza Stato - regioni, che dovrà provvedere all'adeguamento dei Lea, articolo 1, comma 3;
    il 31 dicembre 2014, come previsto all'articolo 1, comma 8, doveva essere presentato un documento di proposte elaborato dal Ministero della salute, su cui dovrà essere siglata un'intesa Stato - Regioni, contenente proposte per implementare «un sistema adeguato di valutazione della qualità delle cure e dell'uniformità dell'assistenza sul territorio nazionale»;
   il 31 dicembre 2014 doveva essere approvato con accordo Stato - regioni, il Piano nazionale della cronicità proposto dal Ministero della salute che conterrà le principali linee di intervento nei confronti delle malattie croniche, articolo 5, comma 21;
    sempre per il 31 dicembre 2014, era prevista l'istituzione di un Osservatorio ad hoc per monitorare l'erogazione dei Livelli essenziali di assistenza sanitaria nelle isole minori, articolo 5, comma 23;
    il 31 dicembre 2014 il Ministero doveva siglare un decreto, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e in accordo con la conferenza Stato - regioni, per elaborare un nuovo sistema e nuovi indicatori finalizzati al monitoraggio dei Lea, articolo 10, comma 7;
    il 31 dicembre 2014 doveva essere adottato un programma triennale per rivedere l'attuale normativa tecnica in materia di sicurezza, igiene e utilizzazioni degli ambienti, superando logiche di «straordinarietà» e passare alla «vita tecnica normale», articolo 14, comma 3 –:
   se non ritenga necessario comunicare quali siano i motivi del mancato rispetto delle scadenze elencate in premessa, giustificando dunque le cause dei ritardi, considerato che parte delle scadenze previste dal patto per la salute non sono state rispettate, ovvero, se non sia dunque il caso di procedere a un aggiornamento delle nuove scadenze da rispettare per tutte le attività promesse e a chi saranno addebitate le eventuali responsabilità di tale mancanza;
   se non sia opportuno fornire un resoconto generale delle attività previste per il suddetto Patto per la Sanità Digitale, indicando quali siano quelle concretamente realizzate;
   se sia reperibile su internet l'aggiornamento del «Cruscotto del Patto», sempre in riferimento al Patto per la Sanità Digitale, che dovrebbe essere disponibile in rete, come indicato nel documento programmato.
(2-00823) «Grillo, Silvia Giordano, Di Vita, Cecconi, Lorefice, Dall'Osso, Baroni, Mantero».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la fibrosi polmonare idiopatica è una rara malattia polmonare interstiziale, irreversibile e progressiva, che ogni anno colpisce dai 5000 ai 9000 italiani e che la malattia è caratterizzata da progressiva formazione di tessuto cicatriziale a livello polmonare, con conseguente perdita di funzionalità polmonare nel tempo;
   la legge di stabilità 2015, recentemente approvata dal Parlamento prevede misure di sostegno a favore dei pazienti affetti da fibrosi cistica, e lo fa mantenendo fermi gli impegni della legge 548 del 1993, perché proprio grazie a questa legge è stato possibile attivare misure di prevenzione, di diagnosi precoce e di cura che hanno consentito ai pazienti un allungamento della loro vita;
   un ordine del giorno presentato e accolto dal Governo, nel corso dell'esame della legge di stabilità, impegnava l'esecutivo ad adottare iniziative normative volte a garantire che i finanziamenti in materia di fibrosi cistica non confluissero nella quota indistinta del fabbisogno sanitario standard nazionale, ma fossero ripartiti in base alla consistenza numerica dei pazienti assistiti nelle singole regioni, alla popolazione residente e alle attività dei centri in cui vengono assistiti i pazienti;
   la Commissione europea ha recentemente approvato una nuova terapia di provata efficacia, come Nintedanib, messa a punto dalla Boehringer Ingelheim. Il farmaco ha dimostrato di rallentare la malattia in una vasta tipologia di pazienti con FPI, riducendo del 50 per cento il declino della funzionalità polmonare ed abbassando del 68 per cento il rischio di riacutizzazioni giudicate acute;
   Nintedanib è un inibitore di tirosin–chinasi (TKI) che ha come bersaglio i recettori del fattore di crescita coinvolti nella patogenesi della fibrosi polmonare, soprattutto il recettore del fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGFR), il recettore del fattore di crescita fibroblastico (FGFR) e il recettore del fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGFR). Bloccando queste vie di passaggio dei segnali, coinvolte nei processi fibrotici, si ritiene che Nintedanib possa rallentare il declino della funzionalità polmonare e la progressione della malattia. Il farmaco è attualmente in corso di valutazione da parte delle autorità regolatorie di diversi Paesi del mondo;
   i pazienti colpiti da questa patologia cronica invalidante hanno ora a disposizione una nuova opzione terapeutica, che ha dimostrato di avere un effetto clinicamente significativo sulla loro malattia e offre loro una terapia di provata efficacia;
   i due studi di fase III, su cui si è basato il parere favorevole della Commissione europea, hanno previsto la somministrazione di Nintedanib 150 mg due volte/die, per os, per 52 settimane. L'obiettivo degli studi effettuati, con identico disegno, con gli stessi criteri di inclusione, endpoint e dosaggio, era quello di studiare l'effetto di Nintedanib sul tasso annuo di declino della capacità vitale forzata (FVC) in pazienti con FPI. Altri effetti importanti del nuovo trattamento sono stati: la variazione positiva della qualità di vita correlata allo stato di salute, valutata con il questionario Saint-George's Respiratory Questionnaire (SGRQ), e l'intervallo di tempo intercorso fino alla comparsa della prima riacutizzazione acuta;
   gli effetti negativi più comuni sono stati tutti di natura gastrointestinale, di grado lieve o moderato, facilmente gestibili e raramente hanno comportato l'interruzione del trattamento; infatti meno del 5 per cento dei pazienti nei gruppi in terapia con Nintedanib ha interrotto il trattamento per questa ragione –:
   quando presumibilmente sarà disponibile in Italia questo farmaco, per quali tipi di pazienti e in quali centri potrà essere prescritto. (5-04531)


   COVELLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dagli organi di informazione che presso l'ospedale civile «Beato Angelo» di Acri, in provincia di Cosenza sono stati sospesi temporaneamente gli interventi chirurgici la cui durata superi all'incirca i sessanta minuti, termine temporale che indica l'impossibilità di procedere ad interventi di una certa rilevanza e delicatezza;
   la disposizione sarebbe stata assunta in via precauzionale a causa della mancanza in organico di un elettricista, poiché l'ultimo in servizio è andato in pensione a fine anno 2014;
   si tratta di un episodio grave che evidenzia lo stato di profonda emergenza in cui versa il sistema sanitario calabrese dopo anni di malgoverno –:
   se non intenda procedere da subito, ad affrontare con la massima urgenza e senza ulteriori ritardi la delicatissima emergenza sanitaria che rischia di pregiudicare l'intero sistema di cura al servizio dei cittadini calabresi anche alla luce dell'ulteriore grave episodio descritto in premessa. (5-04539)


   FRUSONE. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 16 gennaio dalle ore 7 si apprende dai giornali un incendio nell'ex Cemamit di Ferentino, azienda tristemente nota nel basso Lazio che ha prodotto amianto fino a una decina di anni fa e oramai in disuso, che però non è stata mai bonificata;
   la guardia di finanza di Frosinone nel 2009 ha denunciato e successivamente il tribunale ha condannato, sette ex dirigenti della fabbrica. L'accusa per tutti è stata quella di omicidio colposo plurimo. Ventisette sono stati gli operai deceduti per asbestosi, la malattia polmonare provocata dal continuo contatto con le molecole di amianto. Gli scarti liquidi del pericoloso metallo sono stati invece, secondo le indagini della finanza, smaltiti sottoterra attraverso canali abusivi che poi scaricavano nel fiume Sacco. Il comune di Ferentino, proprio per fronteggiare questa catastrofe ambientale, ha istituito anche lo sportello di tutela per le vittime dell'amianto;
   da quanto si apprende dai giornali l'incendio non avrebbe di fatto coinvolto i 4000 capannoni di amianto, anche se da subito si è sprigionata una nube che ha investito tutto il territorio scalo di Ferentino;
   dalle dichiarazioni del prefetto di Frosinone, Emilia Zarrilli, la nube di fumo che si è sprigionata stamani per un incendio di rifiuti nel piazzale dell'ex fabbrica di amianto Cemamit di Ferentino, nel Frusinate, non sembrerebbe tossica;
   a causa del denso fumo che ha invaso il territorio circostante per un raggio di almeno 3 chilometri e il timore che si possa trattare di un fumo nocivo, proprio per via della massiccia presenza di asbesto nel perimetro dell'azienda, si è proceduto a chiudere un tratto di superstrada Ferentino-Sora e tutte le strade del circondario;
   la zona davanti all'ex sito è stata vietata per consentire gli interventi dei vigili del fuoco e le verifiche del personale di Arpa Lazio, che procederà comunque a ulteriori accertamenti;
   dalle nove di questa mattina è chiuso in uscita il casello autostradale di Ferentino. Chiuso anche il tratto di superstrada dall'ingresso di Frosinone in direzione Ferentino. L'incendio alla ex Cemamit continua a preoccupare e, soprattutto i fumi che si stanno liberando nell'aria. La polizia municipale, i carabinieri, la polizia stradale stanno evitando al traffico di avvicinarsi allo stabilimento. I vigili urbani consigliano ai residenti di chiudere finestre e rimanere in casa –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se i Ministri interrogati in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, incluso all'amianto al rilievo dell'impatto sull'ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, non ritengano necessario ed urgente verificare le condizioni attuali della ex Cemamit, anche per il tramite del Comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente;
   se non sia necessario maggior controllo dell'area in questione, visto che sembrerebbe che quel sito ormai in disuso e abbandonato, sia stato più volte violato, con il rischio che le persone possano entrare in contatto pericolosamente con l'amianto. (5-04542)


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Aifa ha reintrodotto l'Avastin, farmaco utilizzato per la degenerazione maculare senile tra quelli a carico dal servizio sanitario nazionale, ma nello stesso tempo ha introdotto, in modo del tutto ingiustificato, una discriminazione tra pubblico e privato;
   il caso che ha coinvolto la Roche e la Novartis è stato al centro di uno scandalo che ha colpito non solo i pazienti affetti da maculopatia senile, ma anche la pubblica opinione, incredula davanti al fatto che si potesse speculare sulla salute e sulla malattia dei pazienti. Entrambe le aziende infatti sono state sanzionate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato per un presunto cartello, con cui avrebbero favorito l'utilizzo del medicinale Lucentis per la cura della maculopatia, che è un farmaco molto più caro dell'Avastin;
   il presidente della Autorità garante della concorrenza e del mercato, Giovanni Pitruzzella, è intervenuto, sulla decisione dell'Aifa perché la somministrazione dell'Avastin per uso intravitreale dovrà essere riservata a centri oculistici ad alta specializzazione presso ospedali pubblici individuali dalle regioni;
   la limitazione dell'uso del farmaco, che in questo modo potrebbe essere somministrato solo negli ospedali pubblici, obbligherebbe le strutture ospedaliere private a ricorrere all'uso del farmaco Lucentis che ha un prezzo estremamente più elevato; e la discriminazione tra le strutture private, comprese quelle convenzionate, e quelle pubbliche non potrebbe che scaricarsi sul paziente, il quale non potrebbe esercitare il suo diritto di libera scelta né nei confronti della struttura a cui rivolgersi, né nei confronti della cura per la sua patologia;
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha messo in evidenza inoltre che la decisione presa dall'AIFA non risulta motivata da giustificazioni tecniche o sanitarie, anche alla luce del parere espresso, dal Consiglio superiore di sanità che ha raccomandato l'uso del farmaco Avastin in centri di alta specializzazione, senza dare altre indicazioni sulla loro natura pubblica o privata;
   in assenza di motivazioni adeguate l'Autorità garante della concorrenza auspica che venga modificata la decisione dell'AIFA, eliminando il profilo discriminatorio tra soggetti pubblici e privati, per garantire la neutralità concorrenziale nei confronti delle strutture autorizzate all'utilizzo e alla somministrazione dell'Avastin per uso intravitreale –:
   come intenda, alla luce dei fatti esposti in premessa, garantire non solo i principi di corretta concorrenza tra strutture pubbliche e private, ma anche e soprattutto il diritto del malato a scegliere dove e come farsi curare. (5-04543)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOREFICE, GRILLO, DALL'OSSO, SILVIA GIORDANO, MANTERO e DI VITA. — Al Ministro della salute, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 222 del 29 novembre 2007 proponeva una transazione tra Ministero della salute e cittadini emodanneggiati;
   ad oggi risulta che tale procedura non sia stata ancora portata a termine, essendo ancora molte le posizioni da vagliare, con molti malati in attesa di notizie certe riguardanti la loro posizione di ammissione o meno a questa transazione;
   nel frattempo il decreto legge n. 90 del 2014 ora convertito dalla legge n. 114 del 2014 ha introdotto l'articolo 27-bis che prevede il pagamento euro 100.000 a titolo di equa riparazione per gli emodanneggiati, senza alcun richiamo all'istituto della prescrizione;
   allo stato, nel nostro ordinamento sussistono, dunque, due norme giuridiche: una norma generale, data dal corpus della legge n. 222 del 2007, e l'articolo 27-bis suindicato, norma speciale; le due norme ovviamente non sono in antitesi tra loro né in deroga;
   la specialità giuridica è, infatti, una questione logico-concettuale che richiede la previa individuazione di un genere e di una o più differenze specifiche rilevanti. Nella fattispecie esaminata si ricade nella specialità cosiddetta relativa alla fattispecie, poiché le modalità deontiche sono identiche e, dunque sono un elemento comune alle due norme;
   costituzionalmente parlando, la norma speciale è necessariamente compatibile con la norma generale in tutti i casi in cui la norma speciale è una specificazione della norma generale, cosicché non si pone in essere alcuna antinomia implicante l'abrogazione della legge generale;
   l'unica problematica, non di poco conto e di palmare evidenza, è il mancato coordinamento nell'applicazione delle suddette norme;
   accade infatti che, non essendosi ancora conclusa la procedura della transazione, il Ministero della salute abbia inviato lettere di adesione all'equa riparazione a firma dottoressa Tiziana Filippini. Siffatto comportamento genera una posizione di assoluta incertezza nei malati riguardo alla scelta di aderire o meno all'equa riparazione che li priverebbe della possibilità di ricevere cifre più alte aderendo invece alla transazione –:
   se il Ministro interrogato intenda avvisare immediatamente e senza indugio gli emodanneggiati che accedono positivamente alla transazione di cui alla legge n. 244 del 2007 in ottemperanza ai principi di correttezza e buona fede e, comunque permettere loro di scegliere avendo a disposizione entrambe le opzioni, di cui oggi una è ignorata e non per colpa loro. (4-07597)


   PETRAROLI, TOFALO e DE LORENZIS. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 193 del 2006 si occupa dell'attuazione della direttiva 2004/28/CE recante il codice comunitario dei medicinali veterinari, cioè quei medicinali destinati ad essere immessi in commercio e preparati industrialmente o nella cui fabbricazione interviene un processo industriale. In particolare, gli articoli 10 e 11 del predetto decreto si riferiscono all'uso in deroga dei medicinali per animali destinati e non alla produzione di alimenti. Nel dettaglio prevede che il veterinario responsabile può, in via eccezionale, sotto la sua diretta responsabilità ed al fine di evitare all'animale evidenti stati di sofferenza, trattare l'animale interessato:
    a) con un medicinale veterinario autorizzato in Italia per l'uso su un'altra specie animale o per un'altra affezione della stessa specie animale;
    b) in mancanza di un medicinale di cui alla lettera a):
     1. con un medicinale autorizzato per l'uso umano. In tal caso il medicinale può essere autorizzato solo dietro prescrizione medico veterinaria non ripetibile;
     2. con un medicinale veterinario autorizzato in un altro Stato membro dell'Unione europea conformemente a misure nazionali specifiche, per l'uso nella stessa specie o in altra specie per l'affezione in questione, o per un'altra affezione;
    c) in mancanza dei medicinali di cui alla lettera b), con un medicinale veterinario preparato estemporaneamente da un farmacista in farmacia a tale fine, conformemente alle indicazioni contenute in una prescrizione veterinaria;
   da un articolo comparso sul ilfattoquotidiano.it in data 10 gennaio 2015 dal titolo «Farmaci per animali, “prezzo medio 3-4 volte superiore a quelli per l'uomo”» si apprende che il prezzo dei farmaci per gli animali domestici può arrivare a moltiplicarsi anche per dieci o venti volte, sebbene il principio attivo sia identico. Un piccolo impero che ogni anno in Italia muove un fatturato di circa 600 milioni di euro contro i 26,1 miliardi spesi nel 2013 per la salute umana. Il 50 per cento del giro d'affari si concentra in quattro aziende: Merial, Zoetis Italia, Bayer (divisione veterinaria) e MSD Animal Health;
   i farmaci generici per gli animali sono ancora un tabù, infatti il veterinario sulla ricetta deve indicare il nome commerciale del medicinale e non il principio attivo come è d'obbligo per i medici. Tutto questo spinge ad un uso illegale dei medicinali: i titolari di animali somministrano i farmaci per uso umano al proprio cane o gatto (spesso sbagliando i dosaggi), i veterinari li prescrivono sottobanco al cliente in difficoltà economica, oppure nelle piccole realtà di provincia, dove l'offerta veterinaria è ridotta, il farmacista consegna la versione umana del medicinale in mancanza di quello specifico, in quanto ordinarlo significherebbe aspettare più di una settimana mettendo in pericolo la salute dell'animale –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non intendano assumere iniziative normative in modo da poter disporre dei farmaci generici già registrati per gli umani, a parità di composizione, anche ad uso veterinario per cercare di abbattere il prezzo dei medicinali per gli animali;
   quale sia l'ammontare della spesa pubblica impiegata per l'acquisto di farmaci veterinari per la cura di animali ricoverati in strutture pubbliche. (4-07599)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   la Gallazzi spa è un'azienda di Minerbio (Bologna) fondata nel 1973, specializzata nella produzione e commercializzazione di film di pvc, con sedi anche a Gallarate e Tradate, che conta oltre 210 dipendenti, personale altamente specializzato con età anagrafica compresa tra quaranta e cinquant'anni;
   la Gallazzi è entrata appena dopo il 2008 per la concomitanza della crisi finanziaria e dell'aumento dei costi di materie prime ed energia, in un contesto di eccessivo indebitamento accumulato negli ultimi dodici anni, dovuto a investimenti per linee interne ed esterne, tra cui l'acquisizione dello stabilimento Lucchesi di Minerbio (Bologna) nel 2003 e lo stanziamento per ammodernare, negli anni 2000 – 2002, lo stabilimento di Tradate, adeguandolo ai requisiti qualitativi richiesti dal mercato farmaceutico;
   le perdite di esercizio sono state pari a 2,7 milioni di euro nel 2009, salite a 8,7 milioni nel 2012, fino a toccare 71,7 milioni di euro nel 2012 (valori di bilancio legati alle dismissioni ed alla situazione di insolvenza) anche a causa di un blocco tecnico agli approvvigionamenti di resine;
   la situazione complessiva ha portato, nel dicembre 2012, alla richiesta di ammissione alla procedura di concordato preventivo con continuità aziendale. Il piano di ristrutturazione previsto ha portato alla chiusura dello stabilimento di Minerbio e alla messa in cassa integrazione dei 164 dipendenti, misure che non sono bastate ad arginare la crisi dell'azienda;
   nel mese di giugno del 2013 banche e creditori «bocciano» il piano finanziario presentato dalla proprietà, il 3 luglio dello stesso anno viene depositato al tribunale di Milano il ricorso per l'accertamento dello stato di insolvenza;
   il tribunale di Milano — sezione fallimentare, in data 2 ottobre 2013, deposita ai sensi e per gli effetti dell'articolo 30 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, il decreto che ha dichiarato l'apertura della procedura di amministrazione straordinaria della Gallazzi spa in liquidazione, nominando come commissario straordinario il dottore Aldo Mainini;
   da allora, secondo quanto si apprende dall'articolo comparso sul quotidiano online Varese news l'8 gennaio 2015 dal titolo «La Gallazzi è una risorsa del territorio. Chiediamo chiarimenti al Ministero», l'azienda ha ripreso a crescere, con notevole liquidità e numero d'ordini. Il commissario straordinario, dottore Mainini, ha disposto la vendita dell'attività, richiamando l'attenzione di due potenziali compratori incomprensibilmente, al posto della vendita si registra la nomina di altri due commissari che si aggiungono al precedente –:
   quali siano le motivazioni che hanno spinto il Ministro interrogato alla scelta di nominare due ulteriori commissari in aggiunta a quello già nominato con decreto 24 ottobre 2013 e quali misure intendano intraprendere per salvaguardare la totalità dei posti di lavoro occupati nel settore.
(2-00822) «Petraroli».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BENAMATI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la multinazionale tedesca E.ON, specializzata nel settore dell'energia elettrica e del gas è tra i principali player del settore energetico europeo e mondiale, con una capacità produttiva complessiva pari a 68 gigaWatt e un portafoglio di generazione estremamente diversificato sia in termini geografici che di tecnologia, con impianti produttivi in Germania, Regno Unito, Svezia, Russia, Stati Uniti, Italia, Spagna, Francia e Belgio e Olanda;
   con una capacità installata di circa 6,2 gigaWatt da fonti tradizionali e da rinnovabili, e circa 860.000 clienti complessivi tra energia elettrica e gas, E.ON era, prima della fase di dismissione, uno dei principali operatori energetici in Italia nella generazione e nella vendita di energia elettrica e nella vendita di gas;
   E.ON è infatti presente in Italia dal 2000, inizialmente con la vendita di energia a grandi clienti industriali e successivamente con la distribuzione e vendita di gas, e l'estensione della vendita di energia elettrica anche ai clienti residenziali. Nel 2008 E.ON fa il suo ingresso nella generazione con l'acquisizione dell'80 per cento di Endesa Italia, diventando uno dei principali player del mercato dell'energia;
   oggi le attività di E.ON si concentrano nella produzione di energia elettrica, nella vendita e nel trading di energia elettrica e gas. E.ON è inoltre impegnata in importanti infrastrutture per l'approvvigionamento di gas naturale quali l'impianto di rigassificazione OLT Offshore LNG e il gasdotto TAP;
   da novembre 2013 è stato avviato un processo di dismissione e vendita degli asset italiani e spagnoli per fare fronte ai gravi problemi del Gruppo relativi agli esiti negativi delle iniziative di business in Russia ed in Brasile ed anche al notevole onere degli accantonamenti per lo smantellamento degli impianti nucleari conseguenti al phase-out nucleare disposto dal Governo tedesco post Fukushima;
   il processo di vendita degli impianti spagnoli si è concluso con la vendita in blocco ad un fondo di investimento;
   come riportato dalla stampa per gli impianti presenti in Italia, all'inizio si è proceduto verso l'ipotesi di una vendita in blocco di E.On Italia a Edison, visto che per gli asset più pregiati del gruppo tedesco in Italia, l'idroelettrico di Terni e i 900mila clienti, erano presenti sul tavolo offerte vincolanti di Erg ed Nera, ipotesi che però non ha trovato finalizzazione;
   E.On ha invece dato il via ufficiale alla vendita con il «break-up» delle attività ossia alla vendita distinta degli impianti raggruppati per tecnologia e, più in particolare:
    a) impianti di generazione gas e a ciclo combinato;
    b) impianti di generazione a carbone;
    c) impianti rinnovabili (eolico e solare);
    d) impianti idroelettrici;
    e) infrastrutture gas;
    f) pacchetto clienti;
   intorno alla metà di gennaio 2015 infatti, il gruppo tedesco ha comunicato al mercato la cessione degli asset di generazione elettrica a carbone (600 megaWatt) e a gas in Italia (6 centrali per 3,9 gigaWatt) al gruppo energetico ceco EPH;
   ad oggi, in particolare, sono stati venduti alla società EPH (si precisa che l'acquisizione si concluderà a primavera):
    a) tutti gli impianti a gas;
    b) l'impianto carbone di Fiume Santo in Sardegna costituito da due unità a carbone da 320 megaWatt ciascuna e già autorizzato per la costruzione e l'esercizio di una nuova unità a carbone da 410 megaWatt;
   sempre da notizie stampa sembra che con riferimento alle rimanenti attività di E.ON in Italia ed alla dismissione in corso:
    a) prosegua la negoziazione per la vendita del nucleo idroelettrico di E.ON in Umbria con Erg come possibile acquirente;
    b) prosegua la negoziazione per la vendita delle attività retail di E.ON (vendita energia e gas) in crisi per la notevole perdita mensile di clienti che sembrano nel mirino di Hera;
    c) non abbia trovato finora possibili acquirenti invece la quota di E.ON nel rigassificatore OLT che di recente è uscito dal mercato e rientrato nel regime regolato vista l'assenza di contratti per le forniture di LNG –:
   se quanto in premessa corrisponda al vero, quale sia l'orientamento del Ministro interrogato in merito, quali siano le prospettive industriali ed occupazionali, degli impianti venduti e di quelli ancora in trattativa, conseguenti alla scelta di dismissione nelle modalità esposte da E.ON e se non ritenga opportuno istituire un tavolo interministeriale di confronto con i vertici di E.ON, le organizzazioni sindacali e gli enti locali per salvaguardare lo sviluppo e l'occupazione dei territori interessati. (5-04528)


   MUCCI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è accaduto pochi giorni fa presso il Cova (centro olio Val d'Agri) sito nel comune di Viggiano provincia di Potenza;
   l'ennesima «sfiammata», come viene definita in gergo tecnico, che scatta quando c’è un'anomalia nell'impianto;
   una lingua di fuoco seguita da fumo scuro, ha subito messo in allerta i cittadini delle comunità limitrofe. È il simbolo del primo trattamento di petrolio che avviene in Val d'Agri, prima che lo stesso greggio venga convogliato, tramite oleodotto, alla raffineria di Taranto. E questo fumo scuro lascia già presagire quanto peggiorerà la situazione, di qui a poco, in Basilicata, con il raddoppio estrattivo sancito dal Memorandum del 2011 e reso legge dal decreto attuativo del settembre 2013. Dagli attuali 90mila barili al giorno si arriverà a 180mila. Come se non bastasse a novembre dello scorso anno è arrivato il via libera del Governo nazionale a nuovi pozzi petroliferi grazie al decreto-legge «Sblocca Italia»;
   a quanto si apprende da fonti giornalistiche a differenza dell'ultima fiammata di settembre scorso, si è trattato di un fenomeno durato «pochi minuti». L'Eni finora ha spiegato questi «sfiati» sono anomalie nell'impianto elettrico come «causa principale»;
   l'Eni ha invitato i cittadini di non preoccuparsi perché «le oltre 200 centraline» presenti in Val d'Agri monitorano senza sosta le attività di estrazione. Si fa presente che i dati delle centraline vengono diffusi e «controllati» dalla stessa Eni. Nel frattempo, però, qualcosa inizia a muoversi. Proprio le fuoriuscite di gas, acido solfidrico e altre sostanze chimiche dal Centro Oli di Viggiano, costituiscono un filone di un'inchiesta più ampia. È l'inchiesta dell'Antimafia di Potenza su un presunto «smaltimento illecito di rifiuti» petroliferi in partenza proprio dal Centro Oli –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative si intendano intraprendere, anche sul piano normativo, per obbligare le società operanti in aree come quelle descritte in premessa ai dovuti investimenti in sicurezza ambientale e per la salvaguardia dei lavoratori e della salubrità delle popolazioni;
   se non si ritenga di dover, con urgenza, assumere iniziative e porre in essere ogni atto di competenza, anche di carattere normativo, finalizzato ad adeguare i livelli di rilascio di idrogeno solforato in linea con quanto raccomandato dall'Organizzazione mondiale della sanità. (5-04533)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BARGERO e BENAMATI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Tacchella Macchine è un'azienda della provincia di Alessandria, che dal 1921 progetta, costruisce e commercializza macchine utensili rettificatrici ad alta precisione, fornendo assistenza tecnica post-vendita specializzata;
   nel gennaio 2010, il Gruppo Paritel (Finanziaria Industriale) è diventato proprietaria della Tacchella Macchine, attuando un progetto che prevede, attraverso altre acquisizioni, la nascita di un gruppo italiano di costruttori di macchine utensili. Nel 2011 nasce la IMT spa – Italian Machine Tool con sede a Casalecchio di Reno (Bologna) che, oltre alla Tacchella di Cassine, comprende la Favretto Meccanodora a Riva Presso Chieri (Torino) e la De.ci.ma Morara a Casalecchio di Reno (Bologna). A dicembre 2011 entra nella IMT Spa il «Fondo Italiano d'Investimento SGR Spa», che a dicembre 2012 incrementa la sua quota arrivando al 30,30 per cento di azioni (il 56,36 per cento delle azioni è detenuto dal Gruppo Paritel, le famiglie Frari e Tacchella detengono entrambe il 6,67 per cento);
   dal 2010 ad oggi, la Paritel ha attuato una ristrutturazione, centralizzando gli uffici amministrativi e l'ufficio del personale, e portando a compimento un generale ridimensionamento del sito di Cassine che è passato dai 180 addetti iniziali agli attuali 117. Nel contempo, la proprietà ha messo in discussione i contratti aziendali in essere ridefinendone di nuovi che i dipendenti di Cassine hanno accettato nonostante comportassero pesanti sacrifici, dimostrando sempre la più totale disponibilità a salvaguardia dell'occupazione;
   con sentenza del 31 dicembre 2014 la IV sezione civile del tribunale di Bologna ha dichiarato lo stato di insolvenza di IMT, nominando un commissario –:
   quale sia il ruolo del Fondo di investimento italiano, di cui è azionista anche il Ministero dell'economia e delle finanze che detiene il 30 per cento del pacchetto di azioni IMT;
   quali misure il Governo voglia mettere in atto per evitare il progressivo smantellamento di tale realtà, con ricadute sia occupazionali, sia nel tempo sulla produzione industriale, e quali ammortizzatori sociali si intendano attivare. (4-07592)


   NICCHI, DURANTI, SCOTTO, PIRAS, MELILLA, RICCIATTI, QUARANTA, PAGLIA, PELLEGRINO e ZARATTI. – Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si evince da alcuni articoli di stampa, il Governo starebbe in procinto di presentare un disegno di legge sulla concorrenza con il quale, tra e altre cose, si interviene pesantemente in materia di portualità attraverso la liberalizzazione degli ormeggi, dei rimorchiatori e dei piloti, ma anche abrogando un intero articolo, e segnatamente l'articolo 17 della legge 84 del 1994, su cui si fonda come noto la disciplina del lavoro sulle banchine, con la conseguenza della immediata cancellazione dei Camalli di Genova e di altri lavoratori portuali degli scali italiani (Livorno, Ravenna, Savona Civitavecchia solo per citare i principali) che agiscono sotto il regime dell'articolo 17 della legge n. 84 del 1994. Risulterebbe così cancellata la Culmv con i suoi 1000 soci, ma anche l'Alp di Livorno che, appena un mese fa, dopo mesi di incertezza economica, aveva potuto sperare nella nascita di una nuova compagine societaria più forte, sotto la guida temporanea della Port Authority;
   per quanto risulta agli interroganti, le nuove disposizioni normative risulterebbero contenute in una bozza del disegno di legge sulla concorrenza a cui sta lavorando il Ministero dello sviluppo economico da alcuni mesi;
   se i contenuti della bozza dovessero risultare confermati, il Governo eliminerebbe il fondamento giuridico di rilevanti ambiti lavorativi nel settore portuale, entrando peraltro a gamba tesa su un tema delicato che è al centro di un acceso dibattito, soprattutto a Genova che da sola rappresenta la metà dei 2000 lavoratori portuali in Italia operanti in base al regime di cui all'articolo 17 della legge n. 84 del 1994;
   la bozza in questione, per quanto si apprende, interviene perentoriamente anche sulle società partecipate dalle Autorità portuali e intima entro l'anno di disfarsi delle quote ancora in possesso. Un altro articolo della bozza modifica la parte delle concessioni: «in modo proporzionale agli investimenti effettuati», incidendo su un punto che veniva ritenuto fondante: l'impossibilità per un terminalista di ottenere due concessioni per la stessa attività nel medesimo porto. La bozza «sopprime» questo paletto e dà il via libera a scenari che per assurdo, pur partendo con l'intento di liberalizzare in modo sano e finiscono con creare i presupposti dell'avvento di un monopolio che sarà gestito ad uso esclusivo dell'operatore più forte;
   detta bozza, per quanto risulta agli interroganti, avrebbe subito, almeno nelle intenzioni di Palazzo Chigi, una pausa di riflessione di circa sei mesi, ma in questi ultimi giorni sembrerebbe aver avuto un'improvvisa accelerazione, tanto che nei giorni scorsi il disegno di legge ha cominciato ad essere commentato da alcuni organi di stampa, destando particolare scalpore non solo per la parte tecnica, ma anche per quella politica;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, infatti, a quanto risulta al Secolo XIX in particolare, non sembrerebbe essere stato informato della questione e quando gli uffici del Responsabile del Dicastero hanno appreso delle notizie relative alla liberalizzazione sui porti, «sono saltati letteralmente tutti sulla sedia per il contenuto e per la modalità» con cui stava procedendo il Ministero dello sviluppo economico;
   si segnala, infatti, che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, l'onorevole Maurizio Lupi, sta lavorando ormai da diversi mesi ad una delicata e complessa riforma della legislazione in materia portuale attualmente in esame presso il Senato della Repubblica e la succitata ingerenza da parte del Ministero dello sviluppo economico sembrerebbe essere stata vissuta come una vera e propria un'ingiustificabile sovrapposizione di competenze –:
   se corrisponda al vero quando descritto dalla presente interrogazione e se il Governo non convenga sull'opportunità di astenersi dall'adozione di iniziative di natura normativa e non che invece di contrastare l'abbattimento dei diritti e la precarizzazione del lavoro nel nostro Paese si rivelino negli effetti particolarmente pericolosi anche per la tenuta sociale del nostro sistema economico e, in ogni caso, del tutto inutili per la ripresa occupazionale delle vecchie e nuove generazioni che operano nel comparto portuale. (4-07598)


   SORIAL. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nella legge di stabilità 2015 approvata dalla maggioranza e in vigore dal 1o gennaio 2015, il comma 7 dell'articolo 1, modificando l'articolo 39, decreto-legge n. 201 del 2011, ha esteso l'operatività del Fondo garanzia piccole e medie imprese alle imprese con un numero di dipendenti non superiore a 499;
   far rientrare nella definizione di piccole e medie imprese che abbiano fino a 499 dipendenti è in netto contrasto con la realtà delle piccole e medie imprese e rischia di stravolgere la missione stessa del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese che in questi anni ha mostrato una preziosa funzione anticiclica a sostegno dell'economia reale e la sua funzione primaria di sostegno alle imprese di minore dimensione;
   le piccole e medie imprese rappresentano oltre il 90 per cento del tessuto economico nazionale e sono considerate il motore dell'economia dell'Unione europea, una fonte di lavoro, oltre che un modello vincente di imprenditorialità e sviluppo, competitività e innovazione, ma oggi vivono un momento di grave difficoltà a causa della crisi economica in atto e del credit crunch che ne è derivato e che si è abbattuto soprattutto su di loro;
   secondo i recenti studi dell'istituto Cerved un quinto del totale delle piccole e medie imprese italiane è fuori mercato: dal 2007, infatti, 13 mila aziende sono fallite, cinquemila hanno avuto una procedura concorsuale non fallimentare e 23 mila sono state liquidate volontariamente, mentre quelle sopravvissute all'urto della crisi hanno perso comunque 31 punti di Margine operativo lordo (Mol) e più che dimezzato la loro redditività, passata dal 13,9 per cento al 5,6 per cento;
   secondo i dati di Unioncamere fallirebbero circa 40 imprese italiane al giorno, quasi due all'ora; nel primo trimestre 2014 ci sarebbero stati più di 3.600 fallimenti, dato in crescita del 22 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente;
   il Presidente di RETE, imprese Italia Giorgio Merletti ha dichiarato in merito che tale norma «non solo è in contrasto con la definizione europea di piccole e medie imprese, ma mischia nello stesso strumento realtà imprenditoriali profondamente diverse che devono essere invece sostenute da interventi altamente specializzati» e ha lanciato il seguente allarme: «in tal modo il Fondo di garanzia rischia di trasformarsi in uno strumento che consente alle banche di scaricare gran parte del rischio derivante dalle operazioni a favore di grandi imprese che non hanno certo bisogno della garanzia pubblica per ottenere credito, sprecando così risorse pubbliche. E tutto ciò a danno delle imprese di minori dimensioni» –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente di quanto accaduto ai danni delle piccole e medie imprese come espresso in premessa, e se non ritenga opportuno ed improcrastinabile attivarsi nei modi che gli sono propri, eventualmente con un'iniziativa normativa diretta, per far sì che questa evidente distorsione sia corretta per il bene delle piccole e medie imprese già fin troppo provate dalla crisi economica in atto. (4-07605)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Locatelli e altri n. 1-00627, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fontanelli.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Baruffi n. 5-04487, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Gnecchi, Maestri, Zappulla, Montroni, Casellato, Pagani, Albanella, Gribaudo, Cenni, Di Salvo, Dell'Aringa, Incerti, Giacobbe, Cinzia Maria Fontana, Rotta, Giorgio Piccolo, Marroni, Martelli, Miccoli, Marzano, Lattuca, Gregori, Venittelli, Basso, Bargero, Boccuzzi, Paris.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Cimbro e altri n. 5-04498, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Chaouki.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Oliverio e altri n. 5-04518, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Prina.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: risoluzione in Commissione Lorefice n. 7-00114 del 3 ottobre 2013.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Opera del Duomo di Orvieto è un ente dotato di autonomia giuridica che si configura come organizzazione non a fini di lucro con la qualifica di ONLUS, stato giuridico che l'opera ha acquisito dal 1998;
   essa ha il compito di provvedere alla manutenzione e conservazione del Duomo e all'amministrazione dei suoi beni, compresa un'azienda agraria di oltre 450 ettari;
   la gestione dell'Opera è affidata ad un Consiglio di amministrazione, di durata triennale, composto da sette membri, residenti nel comune di Orvieto e professanti la religione cattolica: due nominati dal Vescovo e cinque nominati dal Ministro dell'interno, sentito l'Ordinario diocesano. L'elezione del presidente avviene nel seno dello stesso consiglio tramite votazione segreta, cui segue il provvedimento di nomina del Ministro dell'interno;
   da fonti giornalistiche (Giornale dell'Umbria del 9 febbraio 2014) risulta che sarebbe stato firmato dal Ministro il decreto di nomina dei membri del nuovo consiglio di amministrazione con il quale è stata confermata – tra gli altri – la nomina per la quarta volta dell'avvocato Francesco Venturi, già presidente del consiglio di amministrazione per ben nove anni;
   gli altri consiglieri di nomina ministeriale sono: la scrittrice Susanna Tamaro, «residente da anni nelle campagne di Porano» (da Giornale dell'Umbria), Caterina Leonardi, l'ex presidente del consorzio vini, Carlo Bottai e Alessandro Attioli;
   con interrogazione a risposta scritta (n. 4/02411 del 6 novembre 2013) diretta al Ministro per i beni e le attività culturali rimasta priva di riscontro, l'interrogante chiedeva spiegazioni in ordine alla gestione degli interventi di manutenzione e/o restauro del gruppo scultoreo della Maestà collocata sulla facciata del Duomo –:
   se l’iter che ha portato al decreto di nomina dei membri del consiglio di amministrazione dell'Opera del Duomo di Orvieto abbia seguito un percorso rispettoso delle disposizioni legali e statutarie e se la scelta sia stata ispirata a criteri di competenza, professionalità e prestigio necessari a ricoprire tale incarico, tenendo conto anche dei risultati conseguiti nella passata gestione dai consiglieri ora rinominati;
   se le procedure per la individuazione e nomina dei membri del consiglio di amministrazione siano avvenute nel pieno rispetto delle disposizioni legali e statutarie dell'Opera del Duomo di Orvieto anche in ordine alla residenza dei nominati. (4-03679)

  Risposta. — La fabbriceria Opera di S. Maria della Stella, ossia Opera del Duomo di Orvieto, è dotata di personalità giuridica per antico possesso di stato, attestato dal Ministero dell'interno il 22 aprile 1987. L'ente è iscritto nel registro delle persone giuridiche e adempie i propri compiti ai sensi dello statuto – approvato con decreto del Ministro dell'interno del 18 febbraio 2008 – e in osservanza delle norme concordatarie tra lo Stato italiano e la Santa Sede (legge n. 222 del 1985 recante disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia; decreto del Presidente della Repubblica n. 33 del 1987 recante il regolamento di esecuzione della predetta legge).
  L'Opera persegue esclusivamente finalità di utilità sociale. Si occupa infatti di tutelare, promuovere e valorizzare la cattedrale, gli stabili annessi e gli altri beni patrimoniali e avventizi a essa destinati, soggetti al vincolo di cui alla legge n. 1089 del 1939, provvedendo in particolare all'amministrazione, alle spese di manutenzione e di restauro di tali beni e dei relativi arredi, suppellettili e impianti, nonché a ogni altra spesa connessa o strumentale allo svolgimento delle predette attività. Inoltre, promuove la conoscenza della storia dell'arte in ogni sua forma e manifestazione culturale che abbia riferimento al complesso monumentale della cattedrale e del museo dell'Opera.
  La fabbriceria, ai sensi dell'articolo 4 dello statuto, è amministrata da un consiglio composto da sette membri, nominati in conformità di quanto previsto dalla normativa sugli enti ecclesiastici in Italia. In particolare, l'articolo 35 del predetto decreto del Presidente della Repubblica prevede che «Le fabbricerie delle chiese cattedrali e di quelle dichiarate di rilevante interesse storico o artistico sono composte da sette membri, nominati per un triennio, due dal vescovo diocesano e cinque dal Ministro dell'interno sentito il Vescovo stesso».
  All'approssimarsi del termine di scadenza del precedente consiglio di amministrazione della fabbriceria – fissato per il 27 gennaio 2014 – il prefetto di Terni ha reso noti i due nominativi indicati dal vescovo di Orvieto, proponendo anche, ai fini della nomina in quota ministeriale, cinque candidati di indiscusso prestigio culturale che, peraltro, riscuotevano la stima delle autorità locali. Insieme a tale proposta, sono stati trasmessi i
curricula degli interessati, dai quali risultavano le esperienze e i requisiti professionali e accademici di ciascuno, a dimostrazione della loro idoneità a ricoprire l'incarico di amministratori della fabbriceria. Quindi, con decreto del Ministro dell'interno del 28 gennaio 2014, si è provveduto al rinnovo del consiglio.
  Tanto premesso, la procedura seguita per l'individuazione e la nomina dei membri del consiglio di amministrazione della fabbriceria Opera del Duomo di Orvieto appare rispettosa sia delle disposizioni di legge che di quelle statutarie e risulta, altresì, congruente sotto il profilo delle qualità e delle competenze dei nominati.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   COSCIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 28 novembre circa 500 persone aderenti al Blocco Studentesco hanno manifestato in via Lombroso nei pressi del campo rom al grido di «stop alle violenze dei rom, alcuni italiani non si arrendono»;
   alcuni operatori della Cooperativa Eureka e di Arci Solidarietà, che lavorano da anni sul territorio anche con progetti di scolarizzazione dei bambini nomadi, riferiscono che è stato impedito a tutte le persone nel campo di uscire, creando anche una situazione di panico e paura;
   si tratta di un campo dove vivono circa 200 persone che esiste da oltre 30 anni e nel quale si realizzano diversi progetti di inclusione;
   con questo gesto di inaudita gravità è stato impedito a circa 90 bambini di scuole elementari e medie di andare a scuola; si tratta di una violazione grave di un diritto sancito dalla Costituzione che come tale va rispettato e garantito;
   si tratta, inoltre, di un gesto vile nei confronti di minori fragili che dovrebbero essere protetti e tutelati e non intimiditi con comportamenti aggressivi e violenti;
   il lavoro quotidiano sul territorio delle associazioni per la scolarizzazione dei rom e per l'inclusione scolastica non dovrebbe essere messo a repentaglio da chi attua comportamenti di matrice razzista e xenofoba –:
   quali iniziative intenda intraprendere per far luce su quanto accaduto e quali misure urgenti mettere in atto per fare in modo che non si ripetano più gesti di tale violenza e che appaiono in chiara violazione dei princìpi sanciti dalla carta costituzionale. (4-07098)

  Risposta. — Il 28 novembre 2014, verso le otto del mattino, in via Cesare Lombroso – all'altezza dell'incrocio stradale che conduce ad alcuni istituti scolastici di scuola primaria – ha avuto luogo una manifestazione non preavvisata del movimento denominato «Blocco studentesco», alla quale hanno partecipato circa 200 studenti delle scuole superiori e un esiguo gruppo di attivisti di estrema destra, in segno di protesta contro i nomadi ospitati nel campo attrezzato di via Sebastiano Vinci.
  I dimostranti, dopo l'effettuazione di alcuni interventi oratori e l'esposizione di uno striscione, si sono allontanati definitivamente circa un'ora dopo, anche grazie all'opera di persuasione messa in atto dalle forze dell'ordine prontamente intervenute sul posto.
  È opportuno evidenziare come la manifestazione, pur essendosi svolta nelle vicinanze del citato campo nomadi, non abbia in alcun modo impedito il regolare svolgimento delle attività al suo interno, né il normale transito di veicoli o persone, né il regolare accesso degli studenti ai loro istituti scolastici.
  Per completezza d'informazione, si rappresenta che, all'interno del campo nomadi, durante lo svolgimento della manifestazione erano presenti il presidente e l'assessore alle politiche sociali del XIV municipio, Valerio Barletta e Barbara Funari.
  Si comunica infine che, in assenza di regolare preavviso a svolgere la manifestazione in argomento, quattro aderenti al suddetto movimento sono stati deferiti alla competente autorità giudiziaria.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   COSTANTINO e PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 28 novembre 500 militanti di Blocco Studentesco e alcuni studenti delle scuole superiori Tacito e Domizia Lucilla hanno fatto un sit in davanti al campo nomadi di via Cesare Lombroso a Roma, impedendo agli abitanti del campo di uscire ed entrare dal suddetto;
   presso questo campo nomadi vivono più di 200 persone, con le quali la cooperativa Eureka ha avviato negli ultimi anni numerosi progetti di cittadinanza, inclusione e scolarizzazione dei minori;
   il responsabile nazionale di Blocco Studentesco, Fabio Di Marino riferisce che «la manifestazione – spiega Di Martino – si è svolta davanti agli istituti, non davanti al campo rom che sfortunatamente, per miope scelta non nostra né degli studenti, dista qualche centinaio di metri. Non abbiamo bloccato l'uscita del campo né tanto meno messo a repentaglio la sicurezza di chicchessia»;
   gli operatori della cooperativa Eureka riferiscono che, bloccando accesso e uscita agli abitanti del campo i manifestanti hanno così impedito a 90 bambini di recarsi presso le scuole di appartenenza e seguire regolarmente le lezioni;
   se Blocco Studentesco ha bloccato l'accesso alle scuole, piuttosto che l'uscita dei bambini del campo, il fatto risulta ancora più grave, perché si è violato un diritto costituzionale –:
   come intendano i Ministri interrogati far luce su quanto è accaduto e per quanto di competenza quali iniziative intendano mettere in campo perché siano sanzionati atti che gli interroganti giudicano intimidatori e violenti e che violano e minano le basi dell'integrazione e dell'inclusione sociale. (4-07212)

  Risposta. — Il 28 novembre 2014, verso le otto del mattino, in via Cesare Lombroso – all'altezza dell'incrocio stradale che conduce ad alcuni istituti scolastici di scuola primaria – ha avuto luogo una manifestazione non preavvisata del movimento denominato «Blocco studentesco», alla quale hanno partecipato circa 200 studenti delle scuole superiori e un esiguo gruppo di attivisti di estrema destra, in segno di protesta contro i nomadi ospitati nel campo attrezzato di via Sebastiano Vinci.
  I dimostranti, dopo l'effettuazione di alcuni interventi oratori e l'esposizione di uno striscione, si sono allontanati definitivamente circa un'ora dopo, anche grazie all'opera di persuasione messa in atto dalle forze dell'ordine prontamente intervenute sul posto.
  È opportuno evidenziare come la manifestazione, pur essendosi svolta nelle vicinanze del citato campo nomadi, non abbia in alcun modo impedito il regolare svolgimento delle attività al suo interno, né il normale transito di veicoli o persone, né il regolare accesso degli studenti ai loro istituti scolastici.
  Per completezza d'informazione, si rappresenta che, all'interno del campo nomadi, durante lo svolgimento della manifestazione erano presenti il presidente e l'assessore alle politiche sociali del XIV municipio, Valerio Barletta e Barbara Funari.
  Si comunica infine che, in assenza di regolare preavviso a svolgere la manifestazione in argomento, quattro aderenti al suddetto movimento sono stati deferiti alla competente autorità giudiziaria.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


  FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il fenomeno dei minori stranieri affidati ai servizi sociali ha assunto, negli ultimi anni, proporzioni vastissime e incontrollabili, a causa delle massicce ondate migratorie che hanno investito il nostro Paese;
   nel mondo industrializzato i problemi dell'infanzia sono spesso connessi all'ondata dei flussi migratori. I minori, sradicati dal proprio ambiente naturale, in condizioni di povertà, diventano facilmente preda di situazioni di violazione dei diritti fondamentali, dallo sfruttamento del lavoro minorile all'accattonaggio, dallo sfruttamento sessuale all'utilizzo a fini di microcriminalità;
   per la sua posizione geopolitica, l'Italia è stata da sempre esposta al fenomeno migratorio. In primo luogo, poiché geograficamente protesa verso il mare e, di conseguenza, completamente predisposta ai flussi commerciali o migratori, sempre difficilmente controllabili nella loro interezza. In secondo luogo, poiché, trovandosi al centro del Mar Mediterraneo, costituisce il confine meridionale del continente europeo, facilmente raggiungibile non solo dalla vicinissima Africa, ma anche dal più lontano Medio Oriente. Al di là delle sterili cifre il fenomeno migratorio è progressivamente divenuto più drammatico. L'immigrazione negli ultimi anni ha fatto registrare un aumento esponenziale anche a seguito della cosiddetta «primavera araba», ma soprattutto a causa della rivoluzione economico-sociale che ha sconvolto il mondo negli ultimi venti anni;
   prima, quindi, di affrontare il problema dei minori non accompagnati presenti nel nostro Paese con il solito approccio buonista, si dovrebbe essere capaci di assumere le proprie responsabilità storiche, ma soprattutto si dovrebbe essere in grado di capire che è necessario un intervento in controtendenza, fondato, da un lato, su un'azione forte di contrasto al l'immigrazione di massa e, dall'altro lato, finalizzato a sviluppare interventi mirati di aiuto sul posto per le popolazioni sofferenti;
   se nel 2013 gli sbarchi sono stati 42.925, solo dall'inizio del 2014 gli arrivi hanno già superato quota 20.000 e il Ministero dell'interno ha fatto sapere che il dato è di oltre 10 volte maggiore a quello registrato nello stesso periodo del 2013, un vero e proprio record;
   secondo i dati del Ministero dell'interno dal gennaio 2014 i minori arrivati in Italia sono stati 6722, di cui 4.598 non accompagnati per la maggior parte di nazionalità eritrea, somala ed egiziana;
   il quinto rapporto Anci 2011-2012 sui minori non accompagnati rileva che il problema sta assumendo dimensioni emergenziali;
   la tutela dei minori e del loro equilibrato sviluppo è prioritaria, in quanto i bambini rappresentano il futuro della nostra società; è necessario affermare il diritto delle nuove generazioni a vivere pienamente il loro presente e a sviluppare le proprie potenzialità nel loro contesto familiare, affinché possano affrontare positivamente la loro vita;
   il principio VI della Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1989 afferma: «Il fanciullo, per lo sviluppo armonioso della sua personalità, ha bisogno di amore e di comprensione; egli deve, per quanto è possibile, crescere sotto le cure e la responsabilità dei genitori e, in ogni caso, in atmosfera d'affetto e di sicurezza materiale e morale. Salvo circostanze eccezionali, il bambino in tenera età non deve essere separato dalla madre»;
   non è più accettabile l'atteggiamento ad avviso dei firmatari del presente atto ipocrita del Governo, il quale continua a non volere attuare una corretta gestione dei flussi migratori verso il nostro Paese e si limita a scaricare le proprie responsabilità sugli enti locali, che, già fortemente penalizzati dai tagli di risorse provocate dalla perdurante crisi e dalla mancata attuazione del federalismo fiscale, devono, in aggiunta, accollarsi spese enormi per l'erogazione di tali servizi socio-assistenziali, a scapito dei cittadini residenti;
   in questa situazione emergenziale tante sono le situazioni particolari che sono chiamati a gestire gli enti locali. Il comune di Forni Avoltri sito nella regione Friuli Venezia Giulia è, ad esempio tra quelli individuati con ordinanza prefettizia per l'accoglienza dei profughi che sbarcano sulle coste del nostro Paese. L'amministrazione comunale ha quindi in accordo con la Confalbergatori gestito al meglio l'accoglienza sul proprio territorio dei migranti affidati secondo le disposizioni prefettizie. In un secondo momento però è emerso che tra i migranti trasferiti coattivamente nel comune di Forni Avoltri fossero presenti minori non accompagnati;
   stando alle informazioni pervenute direttamente da comunicazione dell'amministrazione comunale, i minori così rinvenuti sono stati affidati dalla cooperativa che gestisce il servizio di accoglienza (CIVIFORM) alle forze di pubblica sicurezza ed in seguito dal tribunale dei minorenni di Trieste affidati al comune di Forni Avoltri, secondo le normali procedure, (una vera e propria anomalia considerato il caso specifico), che vengono adottate in caso di ritrovamento sul territorio comunale di minori non accompagnati;
   i costi per la gestione dei minori non accompagnati non possono in questo caso, vista la fattispecie particolare, in nessun modo ricadere sulle competenze dell'amministrazione comunale, considerato che il progetto di accoglienza è stato gestito dal Ministero dell'interno con ordinanza prefettizia;
   la Cooperativa CIVIFORM ha peraltro già inoltrato all'amministrazione comunale una richiesta di pagamento per i costi relativi alla gestione dei minori non accompagnati per il periodo già trascorso;
   è ovvio che in questo caso non vi siano dubbi in merito al fatto che i costi relativi alla gestione dei minori non accompagnati non possano in alcun modo essere a carico dell'amministrazione comunale –:
   quali provvedimenti il ministro interrogato intenda adottare per chiarire in modo esplicito come i costi relativi alla presa in carico dei minori non accompagnati nel caso specifico e in casi simili a quello illustrato in premessa non possano in alcun modo ricadere sulle casse comunali;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per prevedere la continuità del finanziamento di un fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati che non gravi sui bilanci dei comuni. (4-05904)

  Risposta. — I minori stranieri non accompagnati citati nell'interrogazione in esame sono giunti nel territorio della provincia di Udine dopo essere stati soccorsi in mare dalle navi dell'operazione Mare Nostrum e sono stati ospitati in un albergo situato nel comune di Forni Avoltri, che si era dichiarato disponibile all'accoglienza dei migranti.
  Sebbene inizialmente essi avessero dichiarato di essere maggiorenni, le operazioni di fotosegnalamento hanno consentito di accertare la loro minore età. Pertanto, il tribunale per i minorenni di Trieste li ha affidati al comune di Forni Avoltri, inviandoli per l'accoglienza presso il centro di formazione professionale Civiform di Cividale.
  Gli oneri per la loro accoglienza saranno integralmente a carico della regione Friuli Venezia Giulia, almeno sino al 31 dicembre 2014. Di ciò la regione ha inviato formale comunicazione al sindaco di Forni Avoltri, fornendogli anche informazioni sulle precise modalità per richiedere le somme necessarie.
  Più in generale, si segnala che il disegno di legge di stabilità 2015, attualmente all'esame della Camera dei deputati, delinea un'incisiva riforma del sistema di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, prevedendo che le competenze attualmente suddivise tra due articolazioni statali, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero dell'interno, vengano accorpate in capo a quest'ultimo.
  In virtù di ciò, tutti i predetti minori, siano essi richiedenti asilo o meno, saranno accolti nello SPRAR, sistema gestito – come noto – dagli enti locali sotto l'egida del Ministero dell'interno. Ai fini dell'efficacia dell'operazione, presso quest'ultimo dicastero sarà istituito, a decorrere dal 2015, un fondo
ad hoc con una dotazione finanziaria di 52,5 milioni di euro/anno, con contestuale soppressione dell'analogo fondo esistente presso il Ministero del lavoro con una dotazione finanziaria di 40 milioni di euro/anno.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 27, ai commi 7-9, della legge 4 novembre 2010, n. 183, prevedeva l'adozione di alcune misure che avrebbero posto rimedio alla pesante discriminazione che colpisce il personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, tuttora intitolato a percepire provvidenze nettamente inferiori a quelle spettanti in caso di infortunio grave ai loro colleghi vigili permanenti, anche quando addetto alle medesime mansioni ed esposto agli stessi rischi, demandando tuttavia al Governo il compito di emanare entro il termine di 18 mesi dalla sua entrata in vigore i decreti delegati attuativi;
   il termine di cui sopra è spirato nel maggio 2012 senza che la delega di cui al citato articolo 27, commi 7-9, della legge 4 novembre 2010, n. 183, venisse esercitata dal Governo, vanificando quindi le previsioni concernenti il riallineamento dei benefici economici spettanti al personale volontario dei vigili del fuoco vittima di infortuni gravi;
   rispondendo ad un'interrogazione parlamentare presentata a questo proposito dal deputato Davide Caparini, la 5-00586 del 20 novembre 2013, il Sottosegretario pro-tempore competente per materia, Giampiero Bocci, aveva auspicato il differimento del termine di delega scaduto nel più breve tempo possibile, senza tuttavia che a tale apertura seguissero iniziative concrete, malgrado fossero successivamente varati dal Consiglio dei ministri diversi provvedimenti che avrebbero permesso di inserire disposizioni adatte a conseguire lo scopo –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per dare attuazione ai principi previsti all'articolo 27, commi 7-9, della legge 4 novembre 2010 n. 183, estendendo il trattamento economico previsto per il personale permanente del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, in caso di infortunio grave durante l'esercizio del servizio di soccorso, anche al personale della componente volontaria. (4-03797)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   già con atto di sindacato ispettivo n. 4-03797 l'interrogante evidenziava la previsione di cui all'articolo 27, ai commi 7-9, della legge 4 novembre 2010, n. 183, relativamente all'adozione di alcune misure che avrebbero posto rimedio alla pesante discriminazione che colpisce il personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, tuttora destinatario, in caso di infortunio grave, di provvidenze nettamente inferiori a quelle spettanti ai loro colleghi vigili permanenti, sebbene addetto alle medesime mansioni ed esposto agli stessi rischi;
   in particolare lo scrivente, nel porre l'attenzione sulla delega al Governo, prevista dal citato articolo 27, di emanare entro il termine di 18 mesi dalla sua entrata in vigore i decreti delegati attuativi, lamentava il fatto che il termine scaduto nel maggio 2012 senza che la delega medesima fosse esercitata, avesse di fatto vanificato le previsioni concernenti il riallineamento dei benefici economici spettanti al personale volontario dei vigili del fuoco vittima di infortuni gravi;
   il grave episodio occorso ad un vigile del fuoco volontario del distaccamento di Gravelloma Toce (VB) nella notte del 26 febbraio 2014 rende necessario ed urgente sollecitare un impegno governativo sulla problematica in oggetto –:
   se e quali iniziative normative il Governo intenda assumere per dare seguito alla omogeneizzazione dei trattamenti economici previsti tra le due componenti dei vigili del fuoco, secondo i principi originariamente previsti all'articolo 27, commi 7-9, della legge 4 novembre 2010 n. 183. (4-04255)

  Risposta. — Con le interrogazioni in esame l'interrogante richiama l'attenzione sulla pesante discriminazione a cui sarebbe assoggettato il personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, rispetto a quello permanente, sotto il profilo delle provvidenze economiche spettanti nel caso di infortuni gravi. Pertanto, chiede di conoscere le iniziative che il Governo intende assumere per realizzare la sostanziale equiparazione delle due componenti in parte de qua.
  Si premette che per i vigili volontari sono previste misure di tutela assistenziale e di natura risarcitoria sostanzialmente analoghe a quelle riconosciute al personale permanente.
  Invero, per i periodi di richiamo in servizio, compreso il periodo di addestramento iniziale, al personale volontario, nei casi di infortunio, malattia o decesso dipendenti da causa di servizio, compete, a titolo di copertura assicurativa (ma non previdenziale e pensionistica), un'indennità giornaliera dal momento dell'infortunio sino alla data di riacquistata idoneità al servizio, a cui si aggiunge, eventualmente, un indennizzo «
una tantum» in funzione della gravità delle lesioni permanenti riportate che, per importo, condizioni e per la natura stessa, è assimilabile all'equo indennizzo del personale permanente.
  Sul piano strettamente indennitario, i benefici economici (speciale elargizione e assegni vitalizi) riconosciuti alle vittime del dovere e del servizio delle due componenti del Corpo nazionale sono pressoché identici.
  Lo stesso dicasi per i benefici di tipo assunzionale in favore dei familiari dei vigili del fuoco feriti o caduti durante il servizio.
  Resta, invece, aperta la delicata questione della lacuna in ordine ai trattamenti pensionistici di privilegio che specie in alcuni casi (gravi invalidità riportate in addestramento) riveste una particolare rilevanza a causa dell'assenza di altre misure compensative per il personale volontario infortunatosi in circostanze diverse dal soccorso e della tutela della pubblica incolumità.
  Come noto, l'esigenza di eliminare le differenze tra le due componenti del Corpo nazionale sul versante previdenziale-privilegiato, a fronte di una sostanziale parità di condizioni in termini di esposizione ai rischi nello svolgimento delle attività istituzionali, aveva indotto il legislatore (articolo 27, commi 7-9, della legge 4 novembre n. 83 del 2010) a delegare il Governo ad adottare, entro il termine di 18 mesi, uno o più decreti legislativi atti ad armonizzare il sistema previdenziale e pensionistico del personale volontario dei Vigili del fuoco a quello di livello superiore di cui gode il personale permanente.
  Il termine per l'esercizio della delega è però decorso senza che siano stati definiti gli schemi dei provvedimenti in parola. Ciò in ragione della particolare complessità della materia che investe competenze di diverse Amministrazioni: oltreché, ovviamente, il Ministero dell'interno, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dicastero vigilante sugli enti previdenziali a cui i vigili volontari e quelli permanenti sono rispettivamente iscritti, e il Ministero dell'economia e delle finanze, per gli aspetti relativi alla copertura finanziaria.
  Tuttavia, si assicura che la soluzione della problematica costituisce per l'Amministrazione dell'interno un'importante priorità. Pertanto è stato predisposta una proposta normativa, da inserire in uno dei prossimi provvedimenti utili.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa. — Per sapere quali siano le ragioni del trasferimento da incarico operativo a incarico amministrativo a Livorno del capitano Gregorio De Falco, noto per l'azione meritoria svolta durante le operazioni di salvataggio della nave Concordia all'Isola del Giglio e per questo encomiato dalla Marina militare della Repubblica italiana. (4-06165)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame sono state assunte precise informazioni presso il Comando generale del corpo delle capitanerie di porto e si riferisce quanto segue.
  Per offrire un quadro completo del contesto nel quale si è sviluppata la determinazione assunta nei confronti del Capitano di Fregata Gregorio De Falco, il Comando generale evidenzia che, a conclusione dell'anno in corso, avrà originato tra i 250 e i 300 ordini di trasferimento o di avvicendamento negli incarichi; ciò su un totale di 1.200 ufficiali in organico.
  Peraltro, tale entità di provvedimenti è attualmente limitata dai vincoli di bilancio propri del processo di riduzione della spesa, a discapito di un più adeguato avvicendamento, funzionale anche all'arricchimento professionale del personale.
  Per tre importanti direzioni marittime – Napoli, Pescara e Livorno – nel 2014 sono stati disposti, rispettivamente, 23 (NA), 27 (PE) e 19 (LI) cambi di incarico e trasferimenti.
  Su base nazionale, per gli ufficiali, nell'ultimo quinquennio si sono registrati poco meno di 900 avvicendamenti, con una media, per anno, di circa 180 trasferimenti e cambi di incarico. I fattori che inducono a tali determinazioni sono legati a più esigenze, che interagiscono per il migliore impiego delle risorse umane ai fini di un ottimale assetto organizzativo:
   equilibrata distribuzione nelle dotazioni organiche degli uffici, vincolate ad apposite tabelle approvate dal Ministero della difesa;
   funzionalità delle articolazioni del Corpo, per i servizi che è chiamato a garantire per il bene comune;
   distribuzione dei trasferimenti e degli incarichi, in relazione alle dinamiche proprie dello sviluppo di carriera del personale che, per lo
status militare rivestito, è di per sé soggetto ad una mobilità più marcata di altri comparti dell'Amministrazione pubblica.

  Con mirato riferimento alla vicenda in esame, è opportuno precisare che, nelle proprie schede annuali di aspirazione, l'ufficiale ha manifestato dal 2005 in poi, con la sola eccezione di quella del 2007, il desiderio di permanere nella sede cui è assegnato (Livorno).
  Inoltre, nel 2011, tra gli incarichi ai quali indica di aspirare, il Comandante De Falco colloca anche quello di Capo ufficio studi di direzione marittima: proprio l'incarico di carattere amministrativo oggi assegnatogli, benché riferito, allora, alla sede di Genova.
  Il mantenimento dell'ufficiale nella sede di Livorno è stato determinato anche dall'esigenza di assicurare all'amministrazione della giustizia la possibilità di continuare ad avvalersi del contributo del Comandante De Falco nelle attività di inchiesta a seguito del sinistro Concordia. Il successivo cambio di incarico nasce, dunque, dall'esigenza di una rimodulazione degli incarichi della Direzione marittima di Livorno, al pari di ciò che avviene presso tutti gli uffici marittimi e tutte le realtà militari.
  In conclusione, il disposto avvicendamento dell'incarico rientra nelle ordinarie e fisiologiche dinamiche di impiego del personale del Corpo; al momento, non si prevede, pertanto, di riportare il Capitano di Fregata Gregorio De Falco al suo precedente ruolo. Ciò anche nella considerazione che la politica gestionale del Corpo non può che riconoscere pari dignità e rilevanza tanto agli incarichi operativi, quanto ai compiti di carattere amministrativo, che peraltro, al pari di quelli di ogni altro dipendente pubblico, non possono essere ordinariamente assegnati e mantenuti
sine die.
  Infine, per quanto attiene alla ipotizzata possibilità di una promozione al grado superiore di Capitano di Vascello, i meriti e i riconoscimenti acquisiti dal Comandante De Falco costituiranno oggetto di futura valutazione da parte della Commissione di avanzamento, quando, al ricorrerne presupposti, sottoporrà l'ufficiale in discorso alla pianificata procedura ordinaria di avanzamento secondo il vincolante percorso stabilito dalla legge.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di un'analisi effettuata dall'Agenzia europea che coordina il pattugliamento delle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione Europea, emerge un quadro allarmante relativamente agli arrivi sulle coste italiane di cittadini extracomunitari;
   i dati forniti indicano un aumento dell'823 per cento, stante lo sbarco di oltre 26 mila migranti nei primi 4 mesi dell'anno, a fronte di 2.780 dello stesso periodo dello scorso anno;
   il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, nell'ambito del Programma SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), ha pubblicato un bando destinato agli enti locali per accedere al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo;
   per il triennio 2014/2016, nel quadro dell'accordo tra Ministero dell'interno e Anci, si prevede una capacità ricettiva di 16 mila posti su tutto il territorio nazionale, garantendo interventi di «accoglienza integrata» ai richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale;
   in particolare la città di Roma, comune capofila, ha partecipato al bando fornendo la disponibilità di un lungo elenco di strutture da destinare a centri di prima accoglienza, aggiudicandosi, in tal modo, l'assegnazione di 2581 posti, cui se ne aggiungono 516 da mettere eventualmente a disposizione;
   attraverso una lettura della graduatoria recentemente pubblicata si stimano i costi di tale operazione: 35 milioni 732 mila euro all'anno, dal 2014 al 2016 stanziati a livello governativo, di cui 7 milioni 234 mila ogni anno, in quota di Roma Capitale, con un dispendio economico rilevante, nonostante il deficit strutturale record abbia già provocato il taglio di servizi fondamentali per i cittadini romani;
   tra i servizi minimi garantiti dal Programma sono annoverabili voci che dovrebbero facilitare l'integrazione dei migranti, come l'erogazione del vitto, la fornitura di vestiario e biancheria per la casa, prodotti per l'igiene personale, l'erogazione di un pocket money, l'accesso ai servizi della città e all'assistenza sanitaria, l'inserimento scolastico dei minori e misure in favore dell'istruzione degli adulti, interventi di orientamento ai servizi per l'impiego presenti sul territorio e tutta un'altra serie di interventi, il cui costo pro capite si aggirerebbe attorno ai 30 euro al giorno;
   le strutture in cui destinare suddetti centri di accoglienza sono state individuate in zone periferiche della città, in particolare nel quadrante Est, già afflitte da annose problematiche e fortemente disagiate nei servizi e nelle strutture, quindi a forte rischio di tensione sociale;
   sono da definirsi alquanto dubbie le modalità attraverso le quali si è pervenuti alla individuazione, da parte dell'amministrazione, di associazioni o cooperative per l'allestimento e la gestione delle strutture, determinate in base ai tipi di servizi territoriali offerti rispetto alle competenze fornite –:
   se sia informato di quanto esposto in premessa, e quali misure intenda adottare al fine di sostenere la città di Roma nello sforzo finanziario necessario alla gestione dell'emergenza immigrazione. (4-04935)

  Risposta. — Il comune di Roma Capitale ha presentato domanda per accedere alla ripartizione del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo, relativo al triennio 2014-16, ai sensi del decreto del Ministro dell'interno del 30 luglio 2013.
  Il progetto di accoglienza formulato dall'ente locale è finalizzato all'attivazione di 2.581 posti, per una spesa totale prevista di 35.732.207,17 euro, a cui si aggiungeranno – ai sensi dell'articolo 6 del citato decreto – altri 516 posti, al costo di euro 35
pro die, pro capite, integralmente finanziati dal Ministero dell'interno – dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione.
  Poiché il predetto comune è risultato aggiudicatario, il Ministero dell'interno ha erogato un contribuito di 28.497.513,17 euro (pari al 79,75 per cento dell'intero importo), mentre la parte restante, come espressamente stabilito nel bando, è rimasta a carico dell'ente locale.
  Giova rilevare che la partecipazione al bando è avvenuta su base esclusivamente volontaria ed è stata sicuramente il frutto di scelte ponderate delle amministrazioni interessate. Analoga considerazione vale per la scelta delle strutture da utilizzare per l'accoglienza, delle quali l'aggiudicatario è tenuto a garantire l'adeguatezza, l'idoneità e la conformità alle normative vigenti.
  L'ente locale può anche avvalersi, a norma del predetto decreto, della collaborazione di enti attuatori, i quali debbono avere specifiche competenze in materia, costituite dalla pluriennale e consecutiva esperienza nella presa in carico di richiedenti o titolari di protezione internazionale, comprovata da attività e servizi in essere al momento della presentazione della proposta progettuale.
  Al fine di garantire la massima trasparenza delle erogazioni del fondo citato in premessa, una apposita commissione di valutazione delle domande di contributo – costituita da rappresentanti del Ministero dell'interno, ANCI, UPI, regioni e ACNUR – ha esaminato attentamente tutta la documentazione prodotta dagli enti locali, ha elaborato le graduatorie finali e ha definito il piano di ripartizione del fondo medesimo, che è stato adottato formalmente dal Ministro dell'interno.
  Invece, alla direzione centrale dei servizi civili per l'immigrazione e l'asilo del Ministero dell'interno compete acquisire il rendiconto delle spese sostenute e disporre, avvalendosi del supporto del servizio centrale dello SPRAR, l'effettuazione di puntuali verifiche e ispezioni sui servizi forniti dagli enti locali assegnatari del contributo.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   PAGLIA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 novembre 2013, in occasione delle Festa della Forze Armate, in numerose località italiane sono state organizzate visite guidate alle caserme cui hanno partecipato alunni delle classi elementari;
   sono state ricevute segnalazioni che in almeno un'occasione, presso la caserma De Gennaro di Forlì, ai bambini in visita sarebbe stata proposta fra le attività l'utilizzo di armi, presumibilmente giocattolo, per il tiro al bersaglio e il contatto con altri armamenti;
   tale segnalazione trova riscontro tra l'altro sul sito istituzionale dell'Esercito Italiano, dove a proposito delle celebrazioni per il 4 novembre 2013 si parla di visite presso caserme in Sardegna, nel corso delle quali «i più innovativi sistemi di simulazione sul l'impiego degli armamenti di ultima generazione sono stati messi a disposizione dei numerosi giovani che hanno potuto cimentarsi nell'addestramento dei dimonios»;
   la Costituzione italiana, a partire dall'articolo 11, disegna l'impianto di uno Stato che ripudia la guerra, ed è tale impianto che dovrebbe essere trasmesso alle giovani generazioni, soprattutto in contesti fondamentali per la loro crescita civile come la scuola –:
   se risultino i fatti succitati e se si sia a conoscenza di altri analoghi;
   se, in caso di risposta affermativa, e in che modo si ritenga di intervenire per evitare che possano ripetersi, a tutela del diritto dei minori ad una educazione che sviluppi modalità di risoluzione dei conflitti che non prevedano l'utilizzo della coercizione, come già previsto da numerosi protocolli già in uso che, per esempio, vietano nelle scuole materne l'introduzione di armi giocattolo. (4-05923)

  Risposta. — Si evidenzia, preliminarmente, che l'iniziativa «Caserme aperte», effettuata in occasione delle celebrazioni del 4 novembre, rappresenta la tradizionale possibilità per la cittadinanza di entrare in contatto con le Forze armate e con le attività da esse svolte nelle strutture militari.
  Ineludibilmente la principale attività svolta nelle caserme è quella addestrativa che prevede, fra l'altro, l'uso delle armi da parte del personale militare.
  Ciò premesso, la circostanza che il personale militare fornisca delle dimostrazioni teorico-pratiche delle attività addestrative di base, fra le quali i mini percorsi ad ostacoli, l'arrampicata e il tiro al bersaglio con armi ad aria compressa, costituisce anche una forma di trasparenza e un piccolo spaccato di quotidianità, ben lontano dalla rappresentazione dell'uso delle armi quale modalità di risoluzione dei conflitti, peraltro rifiutata dal nostro ordinamento costituzionale e ben dimostrata dal contributo di
peace keeping e peace enforcement dei nostri contingenti nei teatri operativi all'estero.
  Peraltro, ogni attività svolta in occasione dell'iniziativa in titolo è stata accompagnata dalla presenza di educatori (genitori o insegnanti) che hanno consentito in alcuni casi, solo a coloro che hanno manifestato l'intenzione di farlo, di praticare alcune attività a carattere esclusivamente ludico-ricreativo.
  Ciò chiarito, con riferimento alla visita presso la caserma «De Gennaro» di Forlì, lo Stato Maggiore dell'Esercito ha comunicato che fra le varie attività promozionali poste in essere per rendere più interessante tale iniziativa, era stata realizzata una linea tiro presso la quale poter far provare ai visitatori pistola e fucile ad aria compressa.
  Detta attività, a margine di altre organizzate a carattere ludico-sportivo-militare e della mostra statica di mezzi e materiali dell'Esercito, era disponibile a titolo volontario e, per i minori di età, solo previa autorizzazione dei genitori.
  Nell'ambito, invece, della visita al 152o Reggimento Fanteria «Sassari», di stanza nell'omonima città, l'Esercito ha riferito che era prevista una dimostrazione di tiro simulato con l'utilizzo dell'ausilio didattico denominato TTS (
Target training system) ad opera di alcuni istruttori del Reggimento.
  Tale dimostrazione ha destato viva curiosità e un forte interesse, al punto che insegnanti e genitori hanno favorito l'interazione dei ragazzi con il personale militare, peraltro senza alcun contatto con materiale d'armamento (che era esposto in una mostra statica dedicata).
  Le visite effettuate dalla popolazione e dalle scolaresche nell'ambito della manifestazione «Caserme aperte», tradizionalmente organizzata il 4 novembre per tutte le Forze armate dallo Stato Maggiore della Difesa, riscuotono un sentito apprezzamento da parte dei visitatori e consentono di far meglio conoscere ai cittadini, anche mediante la distribuzione di materiale divulgativo e fotografico, l'impegno dei militari nelle quotidiane attività addestrative in preparazione degli impegni istituzionali in Patria e all'estero.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il «pocket money» è quella modesta somma di denaro (2,5 euro pro die) che gli enti gestori dei centri di accoglienza per migranti, da capitolato di appalto, devono corrispondere agli ospiti per tutto il periodo di soggiorno;
   nelle ultime settimane sono numerose le inchieste giornalistiche che danno notizia di presunte irregolarità sistematiche, portate avanti in diversi centri, nell'erogazione di tale contributo;
   la mancata, o irregolare, erogazione del contributo è alla base di molti dei disordini e delle rivolte nei centri per migranti;
   le irregolarità riscontrate da inchieste giornalistiche e da visite ispettive riguardano il ritardo nell'erogazione del contributo, la pretesa ad avviso dell'interrogante illegittima, presso alcuni centri, che esso non venga accumulato ma speso entro pochi giorni o, presso altri centri, la fornitura del contributo in beni (sigarette, carte telefoniche, buoni pasto) anziché cash come previsto dai capitolati di appalto;
   i centri per migranti oggetto di tali contestazioni sono: il Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Castelnuovo Di Porto (Roma), Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Capo Rizzuto (Crotone), Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo (Catania), CDA/CARA di Restinico (Brindisi), Centro di identificazione ed espulsione di Caltanissetta (Caltanissetta), Centro di identificazione di Milo (Trapani) –:
   se, come riportato da alcuni organi di stampa, il Ministro sia già in possesso di un dossier sulle irregolarità nella corresponsione del pocket money nei centri per migranti;
   quali iniziative intenda assumere il Governo nei confronti degli enti di gestione che si siano resi responsabili di prolungate inadempienze contrattuali.
(4-05129)

  Risposta. — Il vigente capitolato d'appalto per la gestione dei centri governativi per immigrati, approvato con decreto ministeriale del 21 novembre 2008, prevede l'erogazione agli ospiti di un buono economico (il cosiddetto pocket money) del valore di cinque euro ogni due giorni, spendibile all'interno del centro per «le spese quali bolli postali, schede telefoniche, snack alimentari, bibite analcoliche, libri, giornali, riviste ecc.».
  Con riferimento alle presunte irregolarità – segnalate dalla stampa e richiamate nell'interrogazione – relative all'erogazione del contributo economico, si assicura che il Ministero dell'interno effettua da tempo il monitoraggio e il controllo sulla congruenza dei servizi erogati dagli enti gestori, tramite le prefetture territorialmente competenti che, in caso di accertato disservizio, applicano penali, esigono il risarcimento del maggior danno e, nell'ipotesi di gravi inadempienze, hanno la facoltà di risolvere il contratto.
  Peraltro, il 25 agosto 2014, il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ha emanato una circolare con cui ha richiamato l'attenzione di tutti i prefetti sulla necessità di esercitare la consueta vigilanza sulla corretta corresponsione del buono economico (da erogarsi «nella misura di euro 2,50
pro die/pro capite»), sia nei centri governativi, sia nelle strutture di accoglienza temporanea, esigendo la dovuta rendicontazione da parte dei gestori.
  Pur richiamando al rispetto di quanto previsto nel capitolato in merito all'utilizzo del
pocket money, la circolare ha autorizzato i prefetti, in presenza di oggettive difficoltà da parte dei migranti a utilizzare i buoni all'interno dei centri, a concordare con gli enti gestori la corresponsione del buono economico in equivalente denaro contante, previa sottoscrizione di apposita ricevuta.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   GIANLUCA PINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 giugno 2014 l'agenzia di stampa russa RIA NOVOSTI ha reso noto il prossimo dispiegamento nel Mar Nero della nave SIGINT della Marina Militare italiana denominata ELETTRA;
   l'ELETTRA che è dotata di sofisticati dispositivi di ascolto ed intercettazione, sostituirebbe a partire dal 15 giugno 2014 la nave francese DUPUY DE LOME, che ha lasciato il Mar Nero il 29 maggio 2014;
   non vi sono al momento conferme o smentite ufficiali da parte del Governo;
   ancorché certamente riconducibile all'accentuarsi della pressione dell'Alleanza Atlantica nei confronti della Russia per la crisi in atto in Ucraina, l'eventuale ingresso della nave ELETTRA nel Mar Nero appare comunque un atto politicamente sensibile, tanto più che implica lo svolgimento di attività di spionaggio elettronico in prossimità del territorio e delle acque territoriali della Federazione russa;
   la linea del Governo in relazione agli sviluppi della crisi in atto in Ucraina era stata finora improntata ad un grande equilibrio, come prova la centralità assegnata dal Ministro degli affari esteri agli sforzi di mediazione nell'ambito dell'OSCE –:
   se il rischieramento di nave ELETTRA in Mar Nero sia confermato e quali siano gli eventuali obiettivi della sua missione. (4-05036)

  Risposta. — La missione svolta da nave Elettra, conclusasi il 6 ottobre 2014, è stata condotta secondo una linea di comando esclusivamente nazionale e non è stata avviata per sostituire alcuna unità di altri Paesi alleati che avevano operato ovvero opereranno nelle medesime aree marittime.
  Si è trattato di una missione di addestramento e di presenza navale in aree considerate d'interesse strategico nazionale; si è svolta in alto mare, nel rispetto delle convenzioni internazionali vigenti, allo scopo di meglio definire la cornice di sicurezza complessiva dell'area. Attività similari sono condotte da unità della Federazione Russa in Mediterraneo con unità navali della stessa tipologia di Nave Elettra.
  In particolare, la Convenzione di Montreux del 20 luglio 1936, che regola il transito e la permanenza di unità navali militari nel mar Nero, prevede che la comunicazione dell'ingresso in tale area avvenga sempre in forma palese con richiesta sia alla Turchia che gestisce il controllo del transito negli stretti dei Dardanelli e del Bosforo, sia a tutti i Paesi firmatari della Convenzione (Turchia, Francia, Grecia, Romania, Regno Unito, Unione Sovietica e, dal 1938, Italia).

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito delle attività di accoglienza e assistenza agli immigrati che sbarcano sulle coste italiane opera anche la Croce rossa italiana;
   in occasione di una recente situazione di emergenza venutasi a creare nel territorio brindisino per l'arrivo di ben 718 migranti, l'Associazione ha chiesto ai cittadini desiderosi di fornire un aiuto di fornire indumenti, specificando, tuttavia, che avrebbero dovuto trattarsi di scarpe ed abiti «nuovi»;
   nell'attuale congiuntura economica che costringe molti cittadini italiani a fare dei sacrifici anche per quanto attiene alle proprie necessità, una simile richiesta appare all'interrogante del tutto fuori luogo, oltre al fatto che la naturale conseguenza che ne discende è, ovviamente, la decisa riduzione della quantità di aiuti ricevibili –:
   se non ritenga di assumere iniziative, se del caso attraverso l'emanazione di linee guida per le associazioni, anche private, coinvolte dallo Stato nella gestione dell'accoglienza agli immigrati, affinché le richieste alla cittadinanza si basino su criteri di necessità effettiva, nel rispetto di tutti coloro che si mostrano disponibili a fornire un aiuto. (4-06185)

  Risposta. — Il capitolato di appalto per la gestione dei centri governativi per immigrati, approvato con decreto ministeriale del 21 novembre 2008, disciplina i servizi che il gestore del centro deve assicurare agli ospiti. Tra questi figura, oltre ad altri servizi essenziali, anche la fornitura di vestiario.
  Ciò premesso, per quanto concerne la vicenda segnalata nell'interrogazione – verificatasi presso la sede della Croce rossa di Brindisi – si precisa che l'attività di raccolta di vestiario è stata un'iniziativa promossa autonomamente dall'ente, svolta su base volontaria e fondata sullo spirito di liberalità dei cittadini.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   RIZZETTO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa che le conseguenze della spending review che ha colpito anche l'Arma dei carabinieri, sono tali da avere ridotto i militari in servizio addirittura «a pane ed acqua», potendo spendere per la cambusa solo 2.60 euro a pasto per ciascuno, mettendo di tasca propria quanto eccede. Inoltre, vengono costretti a provvedere da soli alla preparazione dei pasti;
   tale situazione si aggrava se si pensa che un operatore del 112, numero unico di emergenza, per ogni caserma – sebbene a turno – deve occuparsi delle compere al supermercato e dei rifornimenti della dispensa e poi adoperarsi per assicurare colazione, pranzo e cena ai compagni d'armi. Ciò in un momento in cui, tra l'altro, il crimine sta aumentando mentre gli uomini e le donne del comparto sicurezza diminuiscono, tanto che diversi presidi risultano sguarniti o gravemente sotto organico;
   i generali dello Stato maggiore dell'Arma, pur di diminuire i costi per risparmiare, sono addirittura intervenuti effettuando dei tagli sulle vettovaglie;
   tale situazione ha anche determinato il rischio di intossicazioni alimentari;
   ebbene, è inaccettabile il predetto trattamento riservato a chi rischia la vita e già effettua straordinari quotidiani non retribuiti per combattere la criminalità. Con tali disposizioni, si va a, colpire un comparto, nel tempo, già troppo indebolito pur di effettuare manovre di risparmio –:
   quali siano le valutazioni del Ministro rispetto ai fatti esposti in premessa;
   se e quali provvedimenti intenda adottare per rimediare alla situazione descritta in premessa in cui sono costretti ad operare i militari in servizio dell'Arma dei carabinieri;
   se e quali iniziative intenda adottare affinché, in generale, siano garantite maggiori risorse e mezzi all'Arma dei carabinieri, che dai fatti denunciati, appare gravemente penalizzata da ingiuste manovre di spending review. (4-05439)

  Risposta. — L'Arma dei Carabinieri, come le altre Forze armate, è coinvolta in un vasto piano di razionalizzazione delle risorse disponibili, che le consentano di far fronte all'attuale congiuntura economica senza alcun decremento delle capacità istituzionali.
  Ciò premesso, l'articolo di stampa richiamato nell'atto di sindacato ispettivo è stato pubblicato il 29 giugno 2014 sul quotidiano
Il Giorno di Lecco e si riferisce alle stazioni Carabinieri di Casatenovo e Costa Masnaga.
  Nel merito, il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri ha reso noto che:
   il 1o luglio 2014, il Comando legione Carabinieri Lombardia, nell'ambito degli interventi previsti per il contenimento della spesa pubblica, ha disposto, per i reparti dipendenti, il ripristino dei punti di cottura a gestione diretta, in sostituzione delle convenzioni con esercizi di ristorazione;
   l'importo di circa 2,60 euro corrisponde alla quota pasto prevista per le mense condotte a gestione diretta presso i «piccoli nuclei» dove viene fruito, giornalmente, un numero di pasti pari o inferiore a 50, determinata con decreto del Ministro della difesa
pro tempore, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, del 23 maggio 2012.

  Il menzionato decreto interministeriale, relativamente alle mense a gestione diretta, stabilisce, che:
   gli organismi destinatari dei pasti provvedano al loro confezionamento e alla loro distribuzione mediante personale dipendente della difesa, utilizzando derrate approvvigionate secondo le modalità e le procedure previste dalla normativa vigente in materia di acquisti di beni e servizi;
   il controvalore in denaro della razione viveri ordinaria possa essere incrementato, sino al limite massimo del 100 per cento, a seguito di specifica autorizzazione da parte della competente Autorità.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   RIZZO, BASILIO, ARTINI, FRUSONE e CORDA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione difesa della Camera, nella seduta del 3 dicembre 2008, ha espresso, all'unanimità, un parere favorevole in merito al Programma pluriennale A/R n. SMD 07/2008, relativo all'acquisto di quattro velivoli della famiglia ATR e al relativo supporto logistico con una opzione per un eventuale quinto velivolo da esercitare in tempi successivi;
   come precisato nel citato Programma e nella relativa scheda illustrativa trasmessa dal Governo ed allegata alla richiesta di parere parlamentare, l'operazione in esame, definita «soluzione interinale», si rendeva necessaria in considerazione del fatto che a partire dal 2012 la funzione di pattugliamento marittimo di lungo raggio, svolta dalla flotta Breguet BR Atlantic, non poteva più essere assicurata a causa della «conclusione della vita tecnica dell'aeromobile», operativo nel nostro Paese da alcuni decenni. Pertanto, in attesa del consolidarsi di una alternativa di lungo termine, si rendeva necessario individuare una soluzione transitoria (fino al 2020) che garantisse, nel medio periodo, lo svolgimento delle attività di pattugliamento marittimo di lungo raggio, con particolare riferimento all'area del Mediterraneo;
   nello specifico, la relazione illustrativa trasmessa dal Governo faceva presente che i nuovi velivoli sarebbero stati impiegati per operazioni di ricerca e soccorso, pattugliamento marittimo, lotta al traffico illegale di beni e persone, ricerca e soccorso, protezione dell'ambiente marino e rilevazione di inquinamento, controllo delle zone economiche e, più in generale, sorveglianza di tutte le attività che si svolgono in mare e lungo le coste;
   per quanto riguarda le caratteristiche generali del velivolo la citata relazione illustrativa, faceva, altresì, presente che il sistema d'arma in corso di acquisizione sarebbe stato in grado, tra l'altro, di operare per lungo tempo anche a bassa quota sul mare e di possedere, comunque, nello svolgimento dei compiti di missione una autonomia di cinque ore. Il Velivolo sarebbe stato, altresì, in grado di acquisire informazioni di carattere generale (situazione geografica e meteorologica) e specifico (singoli obiettivi) attraverso l'osservazione diretta (visual) e l'impiego di sistemi idonei alla ricerca di tali dati e alla loro trasmissione in tempo reale ai centri operativi e alle unità di superficie. Infine, il velivolo avrebbe assicurato un periodo di impiego superiore a dieci anni con un rateo di ore di volo non inferiore a 800 ore anno per velivolo e sarebbe stato in grado di coordinare le attività di altri «assetti aeromarittimi» coinvolti nello svolgimento della missione ed operare con altri analoghi sistemi in servizio presso le Nazioni alleate e di coalizione;
   veniva, altresì, specificato che il velivolo in esame sarebbe stato dotato di un sistema di navigazione Gps, di un radar di sorveglianza marittima e meteo e veniva, altresì specificato che i velivoli sarebbero stati rischierati presso l'aeroporto di Sigonella dove il nuovo gruppo da pattugliamento avrebbe utilizzato le strutture operative e tecniche già esistenti presso la base;
   la durata del programma veniva stimata in sette anni, con previsione d'inizio nel 2008, mentre il costo del Programma veniva considerato complessivamente pari a 360 milioni di euro, suddiviso in sette esercizi finanziari a partire dal 2008;
   successivamente all'espressione del richiamato parere espresso dalla Commissione difesa della Camera, l'Aeronautica Militare italiana ha siglato un contratto per la fornitura di 4 velivoli ATR-72/600; Alenia Aermacchi è, attualmente socio paritario del programma ATR, in collaborazione con EADS. Alenia ha progettato e costruisce l'intera fusoliera e gli impennaggi;
   attualmente il programma pluriennale relativo all'acquisizione di velivoli ATR 72 MP per il pattugliamento marittimo risulta in corso di esecuzione tra i Programmi della componente interforze e per la ricerca scientifica e tecnologica previsti sia dal documento programmatico pluriennale per la difesa, per il triennio 2013-2015, presentato al Parlamento lo scorso aprile 2013, sia dalla nota aggiuntiva allo stato di previsione del Ministero della difesa per l'anno 2014 anch'essa presentata al Parlamento dal Ministro della difesa lo scorso mese di novembre –:
   quale sia lo stato di attuazione del programma in esame e le cause che hanno determinato lo slittamento, rispetto all'originaria tempistica, dei tempi di consegna dei primi velivoli all'aeronautica militare;
   quali siano le clausole contrattuali, eventualmente pattuite, che regolano i ritardi nella consegna dei velivoli;
   quale sia il costo complessivo del programma relativo all'acquisto degli aerei ATR72 e dei singoli velivoli;
   quale sia l'equipaggiamento previsto per gli ATR72;
   quali siano, rispetto al programma originariamente sottoposto al parere parlamentare, le eventuali variazioni intervenute nel corso dell'esecuzione del contratto. (4-03155)

  Risposta. — La funzione di pattugliamento marittimo di lungo raggio svolta dalla flotta composta dai Breguet BR1150 Atlantic, in dotazione all'Aeronautica militare e armati con equipaggi misti Aeronautica e Marina, non potrà più essere assicurata, a medio termine, a causa della prossima conclusione della loro vita operativa. Per tale ragione lo Stato Maggiore della Difesa ha avviato, sin dal 2008, il programma pluriennale n. A/R SMD 07/2008 relativo alla «Acquisizione di velivoli per il pattugliamento marittimo e relativo supporto tecnico logistico», prevedendo l'acquisizione di 4 velivoli ATR 72 riconfigurati in versione da pattugliamento marittimo («Maritime Patrol», MP).
  Si tratta di velivoli che potranno operare di giorno e di notte sul mare e in vicinanza della costa, in operazioni di:
   sorveglianza, ricognizione e pattugliamento marittimo, indipendentemente o in supporto alle forze aeronavali, nell'ambito del contrasto alle eventuali minacce provenienti dal mare;
   concorso nella ricerca e soccorso per la salvaguardia della vita umana in mare;
   concorso con altre Istituzioni dello Stato per il controllo dei flussi migratori e il contrasto delle attività illecite in mare (traffico di esseri umani, contrabbando, anti-inquinamento).

  Il programma, coerentemente alla politica di contenimento della spesa pubblica e ai volumi finanziari disponibili, ha subito, rispetto alle previsioni inizialmente elaborate, un'importante ridimensionamento capacitivo, con la perdita della capacità antisommergibile inizialmente prevista.
  Con riferimento ai quesiti posti, il reparto logistico dell'Aeronautica riferisce che:
   il velivolo ATR 72 MP viene realizzato attraverso l'integrazione delle peculiari modifiche «MP» sul velivolo civile ATR 72-600;
   la consegna dei 4 velivoli ATR 72 MP è prevista per marzo 2016 e comprende il relativo «segmento di terra» (supporto logistico e
Ground support system);
   il ritardo rispetto alla data di consegna inizialmente prevista (2012) è dovuto alla difficoltà da parte della Alenia Aermacchi (e della subfornitrice
Thales Avionique) nella realizzazione del software necessario per l'integrazione delle specifiche modifiche «Maritime Patrol» alla versione civile del velivolo ATR-72;
   le clausole contrattuali che regolano eventuali ritardi nella consegna dei velivoli sono disciplinate dall'atto aggiuntivo n. 607 del 2 novembre 2011, in armonia con le disposizioni di legge sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato e con le norme del «Capitolato Generale d'Oneri per i contratti stipulati dall'Amministrazione Difesa», nel quale è previsto «per ogni giorno calendariale di ritardo nella presentazione a collaudo e consegna dei lotti da 2 a 7 compreso, la Ditta sarà soggetta ad una penale pari allo 0,1 per cento del valore del lotto, fino al raggiungimento del 10 per cento del valore del lotto presentato in ritardo».

  Il velivolo ATR 72 MP sarà così equipaggiato con apparati utili alla ricerca e soccorso, con sistemi di autoprotezione e sistemi di comando e controllo, al fine di assicurare appieno la missione per cui è stato approvvigionato.
  Il procedimento di acquisizione dei velivoli in argomento è avvenuto attraverso i seguenti atti amministrativi:
   Contratto n. 489 del 16 dicembre 2008, «Contratto per atto pubblico a procedura negoziata con la Ditta Alenia Aeronautica S.p.a. con sede in Pomigliano d'Arco (NA) per l'acquisizione di n. 4 velivoli ATR 72 in configurazione «
Maritime Patrol» e per l'esecuzione di uno studio di fattibilità per dotare i suddetti velivoli di un sistema di autoprotezione tramite sistema DIRCM»;
   Contratto n. 607 del 2 novembre 2011 «Atto aggiuntivo al contratto n. 489 del 16 dicembre 2008 con la Ditta Alenia Aeronautica S.p.a. con sede in Pomigliano d'Arco (NA) per la fornitura del Supporto Logistico iniziale ai velivoli ATR 72 “MP” per un periodo di cinque anni a partire dalla consegna all'A.D. del primo ATR 72 “MP” e per introdurre alcune migliorie configurative».

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   RIZZO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 2 luglio 2014 sul sito internet www.grnet.it è stato pubblicato un articolo dal titolo «Aeronautica: deficit di democrazia interna nelle FF.AA è pericolo per la società» all'interno del quale veniva pubblicata una delibera del CoCeR Marina Militare;
   con la suddetta delibera della sezione marina si spiega che al comandante della motovedetta CP 2068 Capo di 1° classe Maurizio Comunale dislocata presso la capitaneria di porto di La Maddalena e per fini didattici dipendente dalle scuole sottufficiali, è stata notificata una «contestazione degli addebiti» ai fini dell'avvio di procedimento disciplinare di corpo, a firma del Comandante di Mariscuola La Maddalena C.V. Gabrini;
   tale constatazione è riferita ad una mail inviata, sulla posta elettronica privata di un delegato del Consiglio centrale rappresentanza militare, nella quale si spiegava che a causa di una doppia dipendenza, non era ancora chiaro quale Comando era responsabile delle comunicazioni per il pagamento del FESI dell'equipaggio della motovedetta CP 2068, chiedendo un interessamento informale del CoCeR;
   conseguentemente a tale segnalazione, per le vie brevi i delegati CoCeR rappresentavano la problematica agli uffici competenti, contribuendo fattivamente alla soluzione di una importante questione, agevolando la stessa amministrazione –:
   se il Ministro ritenga il procedimento disciplinare compatibile con lo spirito e la lettera della legge sulla rappresentanza militare in particolare con le disposizioni che tutelano le prerogative di esercizio del mandato e il rapporto dei delegati con la loro base;
   se intenda accogliere a carattere generale le richieste del CoCeR Marina affinché si ricordi ai comandanti di Corpo il ruolo e le prerogative della rappresentanza militare e il diritto dei delegati di esercitare pienamente il mandato conferito tramite elezione, dai militari stessi. (4-05500)

  Risposta. — L'interrogazione in esame si riferisce ad un Sottufficiale in forza presso la Capitaneria di Porto di La Maddalena in qualità di Comandante della motovedetta CP 2068, distaccata presso la locale scuola sottufficiali della Marina per fini di addestramento degli allievi sottufficiali.
  In merito alla «contestazione degli addebiti» notificata dal Comandante della scuola al citato sottufficiale, di cui è cenno nell'interrogazione, la Marina militare rende noto che, una volta acquisiti i necessari elementi istruttori, ha valutato di non dar luogo ad alcun procedimento di tipo disciplinare, in piena coerenza con le disposizioni normative in materia, nel rispetto delle prerogative della rappresentanza militare e del diritto dei delegati ad esercitare pienamente il mandato loro conferito.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   GIOVANNA SANNA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in relazione agli interventi previsti nell'ambito della revisione della spesa pubblica (spending review), è stata avanzata l'ipotesi della chiusura, nella provincia di Sassari, della compagnia dei carabinieri di Ozieri, del posto di polizia ferroviaria di Chilivani (che seguirebbe alla già avvenuta soppressione della stazione dei carabinieri di Chilivani), nonché di alcune stazioni dei carabinieri tra cui quelle di Ittireddu e di Ardara;
   è da condividere la volontà del Governo e della sua maggioranza di adottare un insieme di provvedimenti concreti per una riduzione della spesa pubblica in modo mirato e secondo rigorosi criteri di razionalizzazione delle risorse e di lotta agli sprechi; tale impegno dovrà in ogni caso garantire il doveroso bilanciamento con altri interessi fondamentali, tra cui quello alla sicurezza ed alla tutela efficace della legalità, e dovrebbe inoltre verificare ex ante che i singoli interventi si traducano in effettive riduzioni di spesa e non in tagli destinati ad alimentare altre spese;
   in particolare, Ozieri costituisce il centro di riferimento di tutto il territorio interno della provincia di Sassari, sede di servizi pubblici, strutture e uffici di area vasta tra cui: l'ospedale e il distretto sanitario, la rete delle scuole primarie e secondarie pubbliche e private, una delle otto diocesi della regione, l'Agenzia delle entrate, l'INPS, numerose banche e istituti finanziari, il consorzio di bonifica del nord Sardegna, il consorzio industriale, il dipartimento per il cavallo, gli uffici delle agenzie regionali che operano in agricoltura Laore, Agris e Argea, la stazione forestale, la più importante struttura ippica della Sardegna in termini di presenze e manifestazioni di livello anche internazionale con l'ippodromo di Chilivani, e altro;
   la compagnia dei carabinieri, in questo contesto, è stata un insostituibile presidio della sicurezza pubblica e privata e della lotta alla criminalità in questo vasto territorio interno della Sardegna, anche a fronte di eventi criminosi efferati che hanno causato la morte e il ferimento di numerosi militi e agenti delle forze dell'ordine;
   al fine di sostenere il mantenimento della compagnia dei carabinieri, l'amministrazione comunale di Ozieri con deliberazione della giunta n. 42 del 9 aprile 2014, comunicata al comando della legione Sardegna dei carabinieri, ha deciso di destinare un bene immobile di sua proprietà a nuova sede della compagnia, con l'adeguamento di tale struttura mediante la contrazione di apposito mutuo a carico dello stesso comune; il Ministero competente potrà pertanto avvalersi in tempi brevi della nuova sede, col pagamento di un canone concordato e dopo 20 anni, alla scadenza del mutuo, l'immobile potrà essere ceduto dal comune al demanio dello Stato;
   la suddetta proposta deliberata dal comune di Ozieri appare idonea a consentire una riduzione di spesa sotto molteplici profili: superamento del contratto di locazione in essere per l'attuale sede della compagnia in immobili privati, minore importo del canone per la nuova sede posta a disposizione dal comune, passaggio del bene al demanio dello Stato alla scadenza del mutuo; 
   da parte sua, il comune di Ittireddu chiede la permanenza della locale stazione dei carabinieri, che ha sede in un immobile a suo tempo realizzato dallo stesso comune espressamente per tale finalità, per il quale viene pagato un contenuto canone di locazione, che il medesimo comune utilizza per assicurare alla comunità alcuni servizi scolastici essenziali; la chiusura della locale stazione dell'Arma determinerebbe il venire meno di un presidio della sicurezza e della legalità nel territorio interessato, nonché un grave danno economico per il comune e la sua popolazione, che si sono da tempo fatti carico di un importante investimento a sostegno di questa presenza dello Stato;
   anche il comune di Ardara si è attivamente impegnato per salvaguardare la presenza della locale stazione dei carabinieri, a questo fine giungendo a proporre ai Ministeri competenti ed all'Arma, con apposita deliberazione consiliare, che sia la stessa amministrazione locale a farsi carico delle spese di locazione della caserma e dei relativi alloggi di servizio, con ciò dimostrando nei fatti quale sia l'attaccamento di queste comunità alla propria stazione dei carabinieri e il loro spirito di sacrificio pur di mantenere questo essenziale presidio di sicurezza e di difesa della legalità in queste zone interne della Sardegna –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle richieste e proposte formulate dai comuni di Ozieri, di Ittireddu e di Ardara, concernenti il mantenimento di importanti presidi dell'Arma dei carabinieri, e in generale delle forze dell'ordine, nel territorio interno della provincia di Sassari, e se convengano che esse siano meritevoli di attenzione e di specifico approfondimento, per il quale l'interrogante e gli enti locali interessati sono disponibili a fornire tutti i necessari elementi di informazione e documentazione nonché a partecipare ad appositi incontri operativi di lavoro. (4-04518)

  Risposta. — L'Arma dei Carabinieri, come le altre Forze Armate, è coinvolta in un vasto piano di razionalizzazione delle risorse disponibili, che le consentano di far fronte all'attuale congiuntura economica senza alcun decremento delle capacità istituzionali.
  In tale quadro, lo scorso anno, è stato istituito un tavolo di lavoro presso il dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno per la razionalizzazione del dispositivo delle Forze di polizia nelle località sedi di duplicazione dell'Arma dei Carabinieri e della polizia di Stato.
  A seguito di quei lavori, per la provincia di Sassari, secondo quanto riferito dal Comando generale dell'Arma dei carabinieri, in sintonia tra i partecipanti è stata ipotizzata:
   la soppressione della Compagnia di Ozieri, con contestuale accorpamento della Stazione di Ittireddu a quella di Ozieri;
   l'accorpamento della Stazione di Ardara con quella di Ploaghe;
   in alternativa, il trasferimento della Compagnia di Ozieri nel comune di Pattada.

  Tali ipotesi, attualmente all'esame del Comando Legione Carabinieri Sardegna, non pregiudicherebbero in alcun modo la sicurezza dei cittadini e l'efficienza della componente territoriale delle Forze di polizia, essendo il risultato di una approfondita analisi che tiene conto di parametri riferiti alla popolazione, alla delittuosità, agli aspetti di carattere infrastrutturale e logistico e alle vie di comunicazione, garantendo contestualmente un risparmio per oneri locativi stimato in circa 250.000 euro.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   SCAGLIUSI, MANLIO DI STEFANO, SPADONI, GRANDE, SIBILIA, DI BATTISTA e DEL GROSSO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo apparso sul quotidiano Il Tempo del 26 giugno 2014 si apprende che dieci poliziotti, su 580 Controllati nell'ambito dell'operazione Mare Nostrum, sono risultati positivi alla tubercolosi, uno avrebbe contratto l'infezione (si tratta di un agente in servizio all'U.P.G.S.P. di Terni);
   risulta che indossassero semplici mascherine, diverse da quelle in uso per i militari coinvolti nella citata operazione, senza filtri di carbonio, inadatte a fare da scudo a eventuali portatori del virus della tubercolosi;
   sulla questione, il 25 giugno 2014 si è tenuto presso il Ministero dell'interno un incontro con i sindacati di categoria per affrontare l'avvio di un nuovo protocollo di sicurezza nella gestione dell'emergenza;
   la direzione centrale di sanità pare abbia diramato un nuovo protocollo operativo con il quale sarebbero stati innalzati i livelli di informazione preventiva, di profilassi e di rilevamento;
   il segretario generale di uno dei sindacati di polizia, il Consap, ha affermato che è soprattutto tra il pedonale incaricato del trasporto dei profughi e del controllo presso i Centri di identificazione ed espulsione che si registrano casi di positività e che appare insufficiente il controllo medico a bordo della navi  –:
   se siano a conoscenza di quanto denunciato e paventato dai sindacati di polizia in ordine alla insufficiente garanzia di sicurezza e tutela della salute di quanti sono impegnati nell'operazione Mare Nostrum;
   quali urgenti disposizioni intendano adottare, nell'ambito delle rispettive competenze, in ordine a quanto esposto in premessa e riportato nell'articolo sopra citato, per garantire la piena tutela della salute del personale, anche in relazione alle stesse precauzioni sanitarie già prese per i marinai, per evitare la trasmissione o il contagio di eventuali malattie infettive. (4-05318)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede quali urgenti disposizioni abbia adottato il Ministero dell'interno per garantire la tutela della salute del personale di polizia impegnato nell'operazione Mare Nostrum.
  La direzione centrale di sanità del dipartimento della pubblica sicurezza è impegnata da tempo – ben prima dell'operazione Mare Nostrum – nell'analisi degli eventuali rischi per la salute degli operatori di polizia direttamente impiegati con la popolazione migrante. Le valutazioni effettuate hanno consentito di definire adeguati protocolli di comportamento, finalizzati alla riduzione dei rischi di infezione, e di attivare programmi di sorveglianza sanitaria sugli operatori esposti.
  Con gli specifici interventi finora realizzati sono state definite le linee guida per il personale di polizia sulle misure igienico-comportamentali a cui attenersi nello svolgimento dei servizi, inclusa l'indicazione dell'eventuale utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, quali guanti in lattice e, all'occorrenza, mascherine facciali, da impiegare nei casi di contatti diretti e ravvicinati, oltre, ovviamente, allo stato di vaccinazione, che per alcune patologie è la misura di gran lunga più importante.
  L'attività di prevenzione si è concretizzata anche in un programma per la sorveglianza sanitaria della malattia tubercolare negli operatori di polizia impiegati nelle attività con i migranti, con l'esecuzione di specifici accertamenti diagnostici nelle condizioni di rischio, anche potenziale, di infezione.
  A tale programmazione si è affiancato, inoltre, un piano di monitoraggio dei suddetti accertamenti per la definizione del reale rischio di infezione tubercolare negli operatori di polizia nei servizi con i migranti.
  I risultati dei controlli effettuati non hanno destato preoccupazione, in considerazione dell'assoluta sovrapponibilità della percentuale degli operatori risultati positivi con quella usualmente riscontrabile nella popolazione non esposta, nonché della negatività degli esami radiografici effettuati.
  La stessa direzione centrale di sanità è tuttora in costante contatto con i medici di polizia di Stato delle sedi ove avvengono gli sbarchi e di quella dove sono trasferiti i migranti, attivando puntuali e reciproci scambi sulle eventuali criticità di carattere sanitario.
  Inoltre, di fronte a potenziali rischi di natura biologica i questori delle sedi nelle quali vengono trasferiti i migranti possono impiegare i medici della polizia di Stato per monitorare tempestivamente la situazione, consentendo di attuare, laddove necessario, ogni misura di tutela nei confronti del personale, con particolare riguardo agli esperti di informazione sanitaria, alla fornitura e al corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale. Tale procedura consente un adeguato contenimento del potenziale rischio biologico per il personale impegnato in tale attività, al di là delle misure cautelative già adottate in termini di profilassi.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   SCAGLIUSI, L'ABBATE, TOFALO e SIBILIA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo del 5 settembre 2014 sul quotidiano on-line di Fasano, Osservatoriooggi.it, si è appreso che il Capo di Stato Maggiore della Difesa, senza riferirne la motivazione, avrebbe negato al consiglio centrale di rappresentanza (Co.Ce.R.) interforze di riunirsi dopo una richiesta di convocazione del presidente dello stesso organo, presso la delegazione di spiaggia di Savelletri Fasano (Brindisi), sede della guardia costiera, allo scopo di discutere di iniziative di solidarietà ed eventuali soluzioni atte a voler riportare in Italia, in via definitiva, i due Marò, Salvatore Latorre e Massimiliano Girone;
   nella stessa data e nella stessa località si è celebrato il matrimonio di Ritika Agarwal, figlia di uno dei più importanti magnati indiani, Pramod Agarwal;
   a giudizio del Co.Ce.R. Interforze, la negazione dello svolgimento della riunione ha rappresentato un'espressione di mancata democraticità all'interno del mondo militare, oltre che una pericolosa limitazione del mandato –:
   se il Ministro interrogato non ritenga che con l'annullamento della riunione sopra citata si siano sovvertite le norme dei regolamenti vigenti e se non intenda intraprendere iniziative atte ad evitare in futuro ulteriori simili episodi di limitazioni del mandato;
   quali siano in dettaglio le ragioni della decisione di annullamento della riunione sopra citata. (4-06540)

  Risposta. — La questione che pone l'interrogante in esame riguarda le motivazioni per le quali non sia stata rilasciata l'autorizzazione alla riunione del Consiglio nazionale di rappresentanza presso la delegazione di Spiaggia della Guardia costiera in località Torre Canne Savelletri, in provincia di Brindisi.
  Al riguardo, lo Stato Maggiore della difesa (competente a rilasciare in via esclusiva l'autorizzazione in parola) ha reso noto che la richiesta di autorizzazione per la riunione del 5 settembre 2014, inoltrata dal Presidente del Cocer, è pervenuta in data 3 settembre 2014 e, quindi, al di fuori dei termini previsti dall'articolo 910, comma 2, del Testo unico dell'ordinamento militare (Tuom), che prescrive un limite temporale minimo di cinque giorni per consentire di:
   verificare la disponibilità e l'idoneità della struttura presso la quale deve svolgersi la riunione;
   accertare la sussistenza della copertura finanziaria sui pertinenti capitoli di spesa da parte delle competenti Forze armate/Corpi armati per l'invio in missione dei delegati, tenuto conto che l'attività non era stata programmata dal Cocer ad inizio anno (così come previsto dall'articolo 914, comma 2, del Tuom);
   consentire ai Comandi di appartenenza dei delegati di comunicare eventuali assenze dei delegati medesimi, in quanto tali assenze potrebbero inficiare il raggiungimento del numero legale previsto per la validità della riunione, rendendola nulla.

  Per tali motivazioni lo Stato Maggiore della Difesa ha ritenuto opportuno, alla luce del disposto normativo, non concedere l'autorizzazione richiesta.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   TOFALO, NICOLA BIANCHI, DE ROSA, MANNINO e LOREFICE. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   le servitù militari secondo la legge n. 898 del 1976 e successive modifiche hanno una durata quinquennale e pagano un indennizzo al comune, in seguito, vengono prorogate dal comando militare Campania nel nostro caso con il parere del comitato paritetico costituito da sette elementi istituiti dal presidente del consiglio della regione decreto del Presidente della Giunta n. 157 del 29 maggio 2012;
   la direttiva CEE del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, specifica precisi indirizzi di tutela e salvaguardia delle zone interessate;
   nello specifico, la zona in questione, foce Sele, rientra in un sito di interesse comunitario (SIC) e le leggi quadro, anche se permettono la delega, regolamentano con precisi indirizzi la tutela e il rispetto del territorio posto a vincolo proibendone l'alterazione o la distruzione dello stato dei fatti naturali, ma aiutando invece il ritorno allo stato dei fatti naturale;
   in altre zone d'Italia, intorno ai poligoni di tiro, si sono sviluppate malattie terminali gravi, quali leucemie, tumori o «la sindrome di Quirra», attualmente oggetto di una inchiesta accuse gravi quali «omissioni, abuso d'ufficio, falso ideologico e ostacolo all'accertamento del disastro ambientale»;
   il territorio è a forte richiamo turistico soprattutto per le bellezze ambientali e naturali e il costante utilizzo di determinati sistemi armamentari potrebbe alterarne inevitabilmente e irreversibilmente lo stato dei fatti –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sovraesposti e si intendano assumere iniziative per la delocalizzazione dell'area attualmente preposta ad esercitazioni militari. (4-03251)

  Risposta. — L'area del poligono di Campolongo-Foce Sele riveste elevata importanza ed è considerata dall'Esercito indispensabile per le attività addestrative e di approntamento, a premessa dell'immissione nei vari teatri operativi, dei reparti dislocati in ambito regione Campania ed in particolare della Brigata Garibaldi di stanza a Caserta. È inoltre utilizzata, all'occorrenza, dalle altre Forze armate e dai reparti e corpi armati dello Stato.
  Il poligono consente di svolgere attività statiche e da bordo di mezzi ruotati, cingolati e corazzati, con l'impiego di munizionamento ordinario, a corta gittata e non del tipo esplodente.
  Al fine di tenere costantemente monitorata la situazione ambientale, ormai da anni sono stati posti in essere tutti i possibili accorgimenti idonei ad attenuare sia l'impatto ambientale sia i disagi che le operazioni di tiro potrebbero arrecare nel periodo estivo all'attività turistica adiacente al poligono.
  In merito ad un'eventuale delocalizzazione del poligono, si rappresenta che l'area alternativa dovrebbe:
   consentire l'effettuazione delle medesime attività a fuoco che attualmente vengono condotte presso il menzionato poligono;
   essere situata in posizione baricentrica rispetto alle sedi stanziali dei reparti della Brigata Garibaldi, al fine di risultare facilmente raggiungibile attraverso la rete stradale;
   ricadere in zone non soggette a tutela ambientale SIC (Siti di importanza comunitaria, sottoposti a tutela quali patrimonio mondiale dell'Unesco).

  Quanto alla presenza nell'area del sito di importanza comunitaria IT-8050010, istituito dalla regione Campania senza alcuna concertazione in ambito comitato misto paritetico, non risulta che esso sia incompatibile con le attività addestrative del poligono. Ogni decisione, infatti, viene presa dall'Esercito di concerto con il citato comitato che, nella riunione del 27 maggio 2014, ha approvato all'unanimità un verbale per regolamentare l'utilizzo del poligono di Campolongo-Foce Sele nei mesi estivi, senza evidenziare particolari problematiche o criticità.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   TOFALO, MANNINO, SIBILIA, LOREFICE e TERZONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la città di Sarno è considerata zona ad alto rischio idro-geologico e ha già pagato un tributo in vite coi suoi oltre 100 morti nel 1998 a causa di una spaventosa alluvione (Sarno e Quindici);
   fino a gennaio 2013 nel comune era presente in zona Episcopio, un presidio dei vigili del fuoco, il cui canone di locazione per la struttura veniva corrisposto dall'amministrazione comunale, sostenuta in questo dal Ministero dell'interno;
   alla richiesta del comune, rivolta al Ministero dell'interno, di farsi carico dell'intero del canone di locazione, è seguita la chiusura del presidio, a fronte della dichiarazione di detto Ministero di non voler far più fronte a questa spesa;
   nel mese di agosto 2013 dopo varie manifestazioni dei cittadini di richiesta della riapertura del presidio dei vigili del fuoco, il corpo forestale locale ha messo a disposizione dei locali per ospitarli;
   da un sopralluogo risalente ad agosto 2013, risulta che i suddetti locali, seppur nuovi, sono in condizione di totale degrado e abbandono;
   in seguito all'apertura della caserma a Mercato San Severino (SA), è montata l'indignazione dei cittadini, preoccupati di vedersi sottratta la presenza del corpo dei vigili del fuoco –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se e come intenda garantire ai cittadini del comune di Sarno, già colpiti da alluvioni e in zona ad alto rischio idrogeologico, la presenza permanente e in una sede idonea del corpo nazionale dei vigili del fuoco per la sicurezza dei cittadini. (4-03442)

  Risposta. — Il distaccamento misto dei vigili del fuoco di Sarno, dipendente dal comando provinciale di Salerno, è stato dislocato fin dalla sua istituzione, avvenuta nel 2005, in una sede resa disponibile dall'amministrazione di quel comune.
  Lo scorso anno, a causa di difficoltà di bilancio del comune, il contratto di affitto della sede è stato risolto. Quindi, la squadra dei vigili del fuoco ivi operante è stata temporaneamente posizionata nel distaccamento di Nocera Inferiore, continuando ad operare nell'ambito del territorio di competenza della sede di Sarno.
  Quale nuova sede del distaccamento è stato individuato il centro polifunzionale della protezione civile realizzato dall'agenzia regionale «Arcadis» (agenzia regionale Campania difesa suolo), già destinato, tra l'altro, ad ospitare specialità dell'Arma dei carabinieri e la stazione del Corpo forestale dello Stato.
  In considerazione dell'ampia superficie del complesso, le diverse amministrazioni coinvolte hanno siglato un accordo per la ripartizione delle aree da utilizzare.
  Il 5 novembre 2014 l'Arcadis ha consegnato alla ditta appaltatrice i lavori necessari ad adeguare il complesso alle esigenze logistiche ed operative dei vari organismi che lo utilizzeranno.
  Il completamento dei lavori è previsto per la metà del mese corrente. Una volta che ne sarà stata verificata la corretta esecuzione e saranno state acquisite le certificazioni prescritte, si potrà procedere al trasferimento del distaccamento dei vigili del fuoco di Sarno nella nuova sede, che, salvo imprevisti, diventerà operativa nei primi mesi del 2015.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   VARGIU. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la diffusione della notizia circa la prossima chiusura della caserma dei carabinieri di Macchiareddu-Grogastu (CA) sta generando grande preoccupazione tra la popolazione residente e gli operatori commerciali e industriali della zona, consapevoli delle inevitabili ricadute negative che l'assenza di tale presidio produrrebbe sulla sicurezza dell'area e della collettività a cui garantisce protezione;
   il sito di Macchiareddu-Grogastu costituisce infatti uno dei più importanti e vasti agglomerati industriali della Sardegna meridionale, è ubicato nella piana alluvionale compresa fra lo stagno di Cagliari e il Rio Santa Lucia in agro di Capoterra e ricade nei territori comunali di Assemini, Capoterra, Uta e Elmas;
   tale agglomerato industriale si estende su una superficie di oltre 82 chilometri quadrati, di cui circa 37 sono occupati da attività produttive che fanno capo a più di 130 imprese;
   l'area è gestita dal CACIP – Consorzio industriale provinciale di Cagliari, ente istituito nel 1961 e che gestisce anche le aree industriali di Sarroch e Cagliari-Elmas;
   il sito di Macchiareddu-Grogastu è collegato ai più importanti centri urbani, industriali e ai nodi di comunicazione del sud della Sardegna, primo tra tutti il polo petrolchimico di Sarroch, ai centri abitati di Uta, Assemini ed Elmas, all'aeroporto di Elmas e alla rete ferroviaria;
   l'area è interessata inoltre da infrastrutture di servizio, fra i quali gli elettrodotti che collegano la raffineria di petrolio della Saras al nodo di Villasor, da impianti di potabilizzazione e depurazione reflui, da reti idriche industriali e potabili, da reti di smaltimento acque nere e bianche, dalla rete telefonica, da impianti di generazione eolica e altro;
   la delicatezza e la strategicità delle infrastrutture del sito, richiedono sicuramente un'attività di vigilanza territoriale che obbedisce ad esigenze assolutamente straordinarie;
   le generali e ragionevoli esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica impongono scelte di priorità che consentano di tagliare presenze ingiustificate o diventate superflue nel tempo, mantenendo e rafforzando invece tutti i presidi di pubblica sicurezza che rispondano a comprovate esigenze di tutela territoriale;
   se non ritenga necessario attivarsi con la massima urgenza per disporre l'immediata sospensione di ogni atto relativo alla soppressione della caserma dei Carabinieri di Macchiareddu-Grogastu, al fine di garantire un reale ed efficace controllo del territorio e dell'ordine pubblico ed uno stabile presidio militare in tale importante e strategica area industriale. (4-06003)

  Risposta. — La società proprietaria dell'immobile in cui è accasermata la stazione Carabinieri di Macchiareddu ha attivato, il 28 settembre 2014, la procedura di disdetta del rapporto locativo, dandone formale comunicazione alla prefettura di Cagliari.
  In considerazione di ciò e delle attuali favorevoli condizioni dell'ordine e della sicurezza pubblica locali, il comando generale dell'Arma dei Carabinieri ha ravvisato l'opportunità, condivisa dal prefetto di Cagliari, di accorpare il presidio alla confinante stazione Carabinieri di Assemini.
  Tale valutazione risponde all'esigenza di razionalizzazione del dispositivo territoriale dell'Arma la quale periodicamente rivaluta la distribuzione dei propri presìdi, attraverso un'analisi che tiene conto di parametri riferiti alla popolazione, alla delittuosità, agli aspetti di carattere infrastrutturale e alla mobilità, in piena sintonia con le altre Forze di polizia e d'intesa con gli orientamenti dei prefetti.
  Il provvedimento, in via di definizione, assicurerà un assetto più funzionale al dispositivo locale dell'Arma dei Carabinieri consentendo, tra l'altro, il recupero di risorse organiche da devolvere prioritariamente al potenziamento dei reparti impegnati in attività di ordine pubblico senza pregiudicare la sicurezza dei cittadini, garantita dalla vicinissima stazione Carabinieri di Assemini.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   VIGNAROLI, DI BENEDETTO, CANCELLERI, LUPO, D'UVA, TERZONI, ZOLEZZI, VILLAROSA e TOFALO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il poligono militare di Drasi, in provincia di Agrigento, insiste ed impatta in una delle zone più suggestive della fascia costiera siciliana. La zona di Punta Bianca e Scoglio Patella individuata dalla regione Sicilia ma come futura riserva naturale è ubicata a pochi chilometri dalla città di Agrigento, nonché dalla Valle dei Templi, patrimonio dell'umanità. Ciò nonostante, da decenni quest'area è oggetto di intense esercitazioni militari dell'esercito italiano e della Nato;
   con decreto n. 37 del 13 aprile 2001 dell'assessorato dei beni culturali ed ambientali della pubblica istruzione della regione siciliana, concernente: «dichiarazione di notevole interesse pubblico del territorio costiero dalla foce del Vallone di Sumera al Castello di Montechiaro, ricadente nei comuni di Agrigento e Palma di Montechiaro», Punta bianca fu individuata come area di interesse naturalistico;
   dalla denuncia dell'associazione ambientalista Mare Amico, pubblicata dal quotidiano online Il Fatto Quotidiano.it il 17 maggio 2014, si apprende che il Ministero della difesa ed il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sarebbero a conoscenza del fatto che le esercitazioni militari non avverrebbero solamente all'interno del poligono di Drasi, ma anche in mare. Infatti, da un video realizzato dalla stessa associazione e reso fruibile a chiunque grazie alla pubblicazione su YouTube, si vedono chiaramente i proiettili dei carri armati militari finire in mare. Risulta, inoltre, che da diversi anni cittadini e associazioni locali a tutela del territorio, abbiano già chiesto al Ministero della difesa di interrompere le esercitazioni e soprattutto, di monitorare eventuali episodi di radioattività pericolosa per la salute umana e per l'ambiente circostante;
   sembrerebbe che grazie ai diversi esposti presentati, nel marzo 2014 i funzionari dell'Arpa siciliana abbiano avviato un'azione di monitoraggio della zona, estendibile nel futuro forse anche al mare prospiciente, avvalendosi della collaborazione della capitaneria di porto di Porto Empedocle;
   i bombardamenti, secondo la denuncia dell'associazione Mare Amico, avrebbero causato crolli della assai fragile falesia ed un grave inquinamento dell'area circostante oltreché del mare antistante, vista la corposa presenza di metalli pesanti pericolosi quali cadmio, antimonio, piombo, nickel, rame, vanadio, uranio e zinco, contenuti nei proiettili e nelle ogive. Le associazioni hanno denunciato altresì di avere richiesto nel corso degli anni, alle autorità competenti adeguati controlli, senza tuttavia aver ricevuto risposte convincenti –:
   se i Ministri interrogati, in virtù delle rispettive competenze, siano a conoscenza della situazione denunciata dall'associazione Mare amico e relativa al poligono di Drasi;
   quali misure e quali controlli intendano promuovere onde preservare l'ambiente circostante ed evitare che detto poligono, non diventi tristemente noto alle cronache come quello di Quirra in Sardegna;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno, al fine della tutela ambientale e della salute umana, spostare il poligono di tiro in altro sito o fermare l'attività di quest'ultimo visto che già dal 1994 è stato soppresso il distretto militare di Agrigento.
(4-04986)

  Risposta. — Il poligono di Drasi riveste notevole importanza per l'Esercito italiano ed è fondamentale per lo svolgimento delle attività addestrative/operative dei reparti della Brigata «Aosta», non solo per quelle di approntamento prima dell'immissione nei vari teatri operativi, ma anche per il mantenimento delle normali capacità operative dei reparti dislocati nell'isola.
  La brigata «Aosta», di stanza a Messina, rappresenta una delle principali grandi unità dell'esercito italiano e deve necessariamente avvalersi di aree addestrative disponibili nelle vicinanze, senza le quali ne verrebbe compromessa l'efficienza.
  L'area addestrativa, che non ricade in zone soggette a tutela ambientale ed è ben asservita dalla rete viaria, rappresenta, al momento, l'unica risorsa della regione Sicilia dove sia possibile utilizzare munizionamento ordinario e svolgere esercitazioni a fuoco fino al livello plotone fucilieri.
  Nell'ottica di una fattiva collaborazione si sono svolti incontri tra rappresentanti del Comando regione militare sud e della Presidenza della regione Sicilia per discutere le problematiche connesse con l'area del poligono di Drasi e per individuare una nuova area da destinare a uso poligono, cercando di contemperare le imprescindibili esigenze addestrative della Forza armata con gli aspetti che attengono all'impatto ambientale e allo sviluppo turistico ed economico dell'area.
  Recentemente è stata individuata un'area denominata «Feudo Verbumcaudo», insistente nel comune di Polizzi Generosa (provincia di Palermo), quale possibile area alternativa al poligono di Drasi.
  Il reggimento «Lancieri di Aosta» è stato incaricato di svolgere un'attività ricognitiva, ancora in atto, per verificarne l'idoneità.
  Per completezza di informazione si rappresenta che i «crolli della falesia», non sembra siano affatto riconducibili alle esercitazioni militari. A conferma di ciò, si segnala che l'associazione ambientalista Wwf di Agrigento ne attribuisce le cause alla continua azione erosiva del moto ondoso che determina, nel tempo, un continuo e naturale scalzamento al piede del versante.
  Quanto, invece, ai controlli per «preservare l'ambiente», l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA) della Sicilia ha condotto un monitoraggio radiologico sul sedime del poligono per verificare la presenza o meno di possibili fonti radiogene, i cui esiti non hanno evidenziato la presenza di elementi radioattivi in concentrazioni diverse da quelle del fondo ambientale. Anche le risultanze delle indagini chimico-fisiche effettuate dalla stessa agenzia su campioni di terreno prelevati nei pressi della linea di tiro hanno rilevato che i parametri riscontrati sono ampiamente inferiori ai limiti di legge. L'Arpa Sicilia ha comunicato, altresì, al Comando regione militare sud che, alla luce degli esiti analitici relativi ai campioni prelevati, non ricorrono le condizioni per procedere alla bonifica del sito e non ha evidenziato elementi di pericolosità per la popolazione e per l'ambiente circostante.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.