Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 16 gennaio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il Governo nell'estate 2014 non ha fatto mistero dell'intenzione di voler mettere in cantiere una revisione degli attuali strumenti per l'accertamento tributario, i cosiddetti studi di settore, ben più approfondita rispetto a quelle periodiche che si sono avvicendate fino ad oggi, adottando nuovi indicatori di coerenza e di normalità economica. Infatti, l'imperante crisi economica che ancora morde fortemente tutti gli strati dell'economia italiana ha oramai reso poco rappresentativi i parametri e gli algoritmi su cui si basa la valutazione della capacità reale di produrre reddito da parte di un contribuente, come, del resto, testimoniato dalla stessa Corte dei conti che, nella Relazione sul rendiconto generale dello Stato per l'anno 2013, attribuisce agli studi di settore, soprattutto nell'ambito della lotta all'evasione fiscale, una perdita dell'efficacia;
    lo stesso piano antievasione del Governo contempla l'adozione di «nuovi indicatori di coerenza economica e di normalità economica» la cui introduzione servirà a contrastare i fenomeni di infedeltà dichiarativa nella fase di presentazione della dichiarazione dei redditi, «inducendo», si legge nel piano, «un prevedibile incremento dei comportamenti dichiarativi corretti e, indirettamente, quindi, della base imponibile e del relativo gettito fiscale». Inoltre, obiettivo di tale aggiornamento, che dovrebbe anche tenere conto di un'auspicata ripresa economica, è quello di arrivare, da una parte, ad una maggiore efficacia in termini di compliance fiscale, e dall'altra, a controlli più serrati sugli accessi a quei regimi premiali che garantiscono ai contribuenti virtuosi uno scudo dagli accertamenti tributari;
    altro obiettivo evidenziato dall'amministrazione finanziaria è quello della necessità che i dati presenti negli studi di settore vengano sempre maggiormente impiegati quale strumento di selezione per l'ulteriore attività di controllo, piuttosto che quale mero strumento accertativo diretto;
    gli studi di settore, introdotti dall'articolo 62-sexies del decreto-legge n. 331 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 427 del 1993, nell'ambito di una tutela dell'interesse pubblico all'individuazione di contribuenti infedeli, sono strumenti diretti a facilitare la ricostruzione induttiva dei redditi d'impresa e di lavoro autonomo, qualora l'amministrazione finanziaria ravvisi incongruenze tra redditi dichiarati e presunti, attraverso la determinazione di funzioni di ricavo e compenso per gruppi omogenei di contribuenti operanti nello stesso settore di attività, rappresentando anche uno strumento statistico attraverso il quale il fisco italiano rileva i parametri con i quali monitorare la movimentazione economica delle stesse. Si tratta, quindi, di una raccolta sistematica di dati attraverso i quali poter valutare la capacità reale di produrre reddito e che possono, quindi, essere impiegati per l'accertamento induttivo qualora risultassero anomalie fra questi e il reddito dichiarato. Essi vengono elaborati mediante analisi economiche e tecniche statistico-matematiche, che consentono di stimare i ricavi o i compensi che possono essere attribuiti al contribuente, individuando anche le relazioni esistenti tra le variabili strutturali e contabili delle imprese e dei lavoratori autonomi con riferimento al settore economico di appartenenza, ai processi produttivi utilizzati, all'organizzazione, ai prodotti e servizi oggetto dell'attività, alla localizzazione geografica e agli altri elementi significativi (ad esempio area di vendita, andamento della domanda, livello dei prezzi, concorrenza ed altro);
    il sopracitato articolo 62-sexies, comma 3, del decreto-legge n. 331 del 1993, per legittimare l'accertamento, richiede espressamente che si verifichi una grave incongruenza tra i ricavi o i compensi dichiarati dal contribuente e quelli desumibili «dagli» studi di settore. Se il legislatore avesse voluto attribuire a questi ultimi valore di presunzione legale relativa, avrebbe potuto semplicemente stabilire che gli accertamenti possono essere fondati «sugli» studi di settore. Il legislatore, pertanto, non ha ritenuto sufficiente il risultato degli studi di settore come fatto noto per determinare acriticamente i risultati conseguiti dal contribuente, ma ha richiesto ulteriormente la presenza di «gravi incongruenze» tra questi ultimi e gli studi di settore;
    infatti la Corte di cassazione nel 2009, ma anche successivamente ed a più riprese, ha chiarito che la mera difformità delle percentuali di ricarico applicate, rispetto a quelle emergenti dagli studi di settore, non legittima un accertamento analitico-induttivo, ma occorre che le risultanze degli studi di settore siano «confortate da altri indizi», mettendo in tal modo in discussione la valenza probatoria dello strumento induttivo di accertamento fiscale. D'altra parte già la stessa Agenzia delle entrate precedentemente, con la circolare n. 58/E del 27 giugno 2002, aveva affermato, e quindi riconosciuto, che l'importo determinato in base agli studi di settore ha valore di presunzione relativa;
    ciò dimostra che nel corso degli anni si è consolidato un orientamento giurisprudenziale piuttosto scettico verso una determinazione della ricchezza non facilmente conciliabile con i criteri «analitico aziendali»: secondo tale consolidata giurisprudenza gli studi di settore, pur rappresentando indici rilevatori di possibili antinomie nel comportamento fiscale del contribuente, costituiscono una presunzione semplice che da sola non può realizzare motivazione fondante di un avviso di accertamento;
    di contro e con la previsione dell'utilizzo degli studi di settore nel procedimento di accertamento induttivo, a partire dal periodo di imposta 2011, gli studi di settore sono tornati ad essere al centro delle misure antievasione per le piccole/medie attività di impresa e di lavoro autonomo e, contestualmente, si sono fortemente ampliate le possibilità di rettifica delle dichiarazioni da parte degli uffici tributari, che possono così, per legge, disattendere le risultanze delle scritture contabili non solo quando la loro veridicità è messa in dubbio da contraddizioni ed inesattezze inerenti alla contabilità, ma anche quando i dati della dichiarazione non risultino congrui con quelli ricavati dagli studi di settore;
    per la legislazione, gli studi di settore, secondo il ricorso ad un criterio dimensionale, si applicano a tutte le imprese fino al limite superiore di ricavi dichiarati di 5.164.569 euro annui, esclusi quelli di natura finanziaria, mentre non si applicano ai contribuenti in regime forfettario e sostitutivo (e cioè piccole imprese esercenti attività soggette agli studi di settore, ma che hanno ricavi inferiori ai limiti minimi per la loro applicazione);
    la legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015), nell'ambito di un rinnovato rapporto di collaborazione tra fisco e contribuenti, consente all'amministrazione finanziaria di poter incrociare i dati di 128 banche dati pubbliche al fine di verificare eventuali anomalie tra spese effettuate e reddito dichiarato. La stessa legge ha previsto un regime agevolato per alcuni esercenti attività d'impresa e arti e professioni in forma individuale, attraverso un regime forfetario di determinazione del reddito da assoggettare a un'unica imposta in sostituzione di quelle dovute, prevedendo, al contempo, un regime contributivo opzionale attraverso la soppressione del versamento dei contributi sul minimale di reddito;
    tale nuovo assetto, che di fatto ha determinato la soppressione di tutti i previgenti regimi di favore (regime fiscale di vantaggio, disciplina delle nuove iniziative produttive e regime contabile agevolato), opera automaticamente al ricorrere di precisi requisiti (l'aver sostenuto spese per lavoro dipendente, accessorio e per collaboratori non superiori a 5 mila euro lordi e l'essersi avvalsi di beni strumentali, anche a titolo di locazione, noleggio o leasing, il cui costo a fine anno non superi i 20 mila euro), prevedendo, inoltre, l'esclusione dell'applicazione degli studi di settore;
    infatti, sul fronte delle misure di esonero, ad esempio cosiddetto regime dei minimi, prima dell'entrata in vigore dei sopradetti nuovi regimi agevolativi introdotti dalla legge di stabilità 2015, prevedeva l'esonero dall'applicazione degli studi di settore in fase di avvio dell'impresa o di apertura della partita iva (start-up), così come, a partire dal periodo d'imposta per il 2012, l'amministrazione finanziaria, tenendo conto dei minori compensi percepiti dai lavoratori autonomi nei primi anni di attività professionale, applica agli studi di settore dei correttivi, prevedendo parametri di coerenza economica in grado di rappresentare meglio la situazione di inizio carriera ed uno sconto maggiore nei primi due anni di attività e che si riduce ogni due anni fino al limite dei sei anni;
    da tale breve disamina dei regimi emerge che molte piccole e medie imprese, che per requisiti reddituali o di spesa per beni strumentali si posizionano per poco al di sopra del limite minimo reddituale imposto dalla legislazione attuale ai fini dell'esonero dell'applicazione alle stesse degli studi di settore, nonostante gli attuali avversi fattori economici di contesto (crisi del mercato produttivo, credit crunch, calo delle commesse e altro) che rendono sempre più difficile la sopravvivenza sul mercato e nonostante rappresentino, con una diffusione territoriale che garantisce uno sviluppo geografico equilibrato, la spina dorsale del tessuto produttivo italiano, vengono penalizzate da una politica di accertamento fiscale che le sottomette a parametri di congruenza superati o poco rappresentativi della realtà imprenditoriale delle stesse;
    peraltro, gli studi di settore, escludendo di fatto dagli accertamenti i soggetti congrui, determinano uno stato di evasione legalizzata per molti contribuenti, la cui capacità reddituale eccede significativamente quella prevista, senza che esista alcuna necessità di renderla nota,

impegna il Governo:

   a ricorrere agli studi di settore impiegandoli esclusivamente quale strumento di selezione per l'ulteriore attività di controllo piuttosto che quale mero strumento accertativo;
   a recuperare risorse immediate dalla lotta all'evasione, anche al fine di dare risposte e segnali tangibili alla sempre più diffusa e pressante esigenza di legalità ed equità, colpendo i veri evasori, migliorando la qualità dell'attività di accertamento e la scelta adeguata del tipo di controllo, fattori che, sinergicamente combinati, devono portare ad una riduzione del tax gap, attraverso l'emersione di una maggiore base imponibile;
   a proseguire sul cammino già tracciato dalla cosiddetta delega fiscale al fine di aumentare la compliance fiscale e generare nei contribuenti la percezione della correttezza e proporzionalità dell'azione di controllo, con misure normative che, superando i metodi di accertamento induttivo e presuntivo, come gli studi di settore, incoraggino la regolarizzazione tributaria spontanea delle piccole e medie imprese, ma senza addossare alle stesse gli oneri connessi all'accertamento;
   ad assumere iniziative per ampliare la fascia di esclusione dagli studi di settore nei primi 3 anni di attività rispetto a quella attualmente prevista dal regime dei minimi, intervenendo in particolar modo sui parametri relativi ad investimenti e spese per il personale;
   ad assumere iniziative per introdurre per le piccole e medie imprese forme di tassazione diversificata delle loro attività e di componenti rappresentative delle varie fasi del ciclo produttivo.
(1-00714) «Paglia, Scotto, Melilla, Marcon, Ricciatti, Ferrara».

Risoluzioni in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    il decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, ha introdotto disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale, in attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42 «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione», e successive modificazioni;
    per il finanziamento dei comuni, l'articolo 7 del decreto legislativo n. 23 del 2011 disciplina due nuove forme di imposizione municipale, in sostituzione dei tributi indicati rispettivamente negli articoli 8, comma 1, e 11, comma 1, rappresentate dalla imposta municipale propria e dalla imposta municipale secondaria;
    in particolare, l'imposta municipale secondaria è volta a sostituire le seguenti forme di prelievo: la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), il canone di occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP), l'imposta comunale sulla pubblicità e i diritti sulle pubbliche affissioni (ICPDPA), il canone per l'autorizzazione all'installazione dei mezzi pubblicitari (CIMP);
    la disciplina generale dell'imposta municipale secondaria, secondo il comma 2 dell'articolo 11 del decreto legislativo n. 23 del 2011, è rimessa ad un regolamento governativo, da adottare d'intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, nel quale sarà dettata la regolamentazione del tributo in base ai seguenti criteri specificamente indicati nella norma:
     a) il presupposto del tributo è l'occupazione dei beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni, nonché degli spazi soprastanti o sottostanti il suolo pubblico, anche a fini pubblicitari;
     b) soggetto passivo è il soggetto che effettua l'occupazione; se l'occupazione è effettuata con impianti pubblicitari, è obbligato in solido il soggetto che utilizza l'impianto per diffondere il messaggio pubblicitario;
     c) l'imposta è determinata in base ai seguenti elementi:
      1) durata dell'occupazione;
      2) entità dell'occupazione, espressa in metri quadrati o lineari;
      3) fissazione di tariffe differenziate in base alla tipologia ed alle finalità dell'occupazione, alla zona del territorio comunale oggetto dell'occupazione ed alla classe demografica del comune;
     d) le modalità di pagamento, i modelli della dichiarazione, l'accertamento, la riscossione coattiva, i rimborsi, le sanzioni, gli interessi ed il contenzioso sono disciplinati in conformità con quanto previsto per l'imposta municipale propria;
     e) l'istituzione del servizio di pubbliche affissioni non è obbligatoria e sono individuate idonee modalità, anche alternative all'affissione di manifesti, per l'adeguata diffusione degli annunci obbligatori per legge, nonché per l'agevolazione della diffusione di annunci di rilevanza sociale e culturale;
     f) i comuni, con proprio regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 52 del citato decreto legislativo n. 446 del 1997, hanno la facoltà di disporre esenzioni ed agevolazioni, in modo da consentire anche una più piena valorizzazione della sussidiarietà orizzontale, nonché ulteriori modalità applicative del tributo;
    la legge di stabilità 2014 (articolo 1, comma 714, della legge 27 dicembre 2013, n. 147), ha modificato i termini di decorrenza dell'imposta municipale secondaria, originariamente previsto a decorrere dal 2014: per effetto della modifica all'articolo 11, comma 1 del decreto legislativo n. 23 del 2011, il nuovo tributo viene introdotto «a decorrere dall'anno 2015»;

con la risoluzione n. 1/Df del 12 gennaio 2015 il Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze ha chiarito che i comuni possono istituire l'IMU secondaria solo a seguito dell'emanazione del regolamento governativo previsto dall'articolo 11, comma 2, del decreto legislativo n. 23 del 2011; tuttavia i tributi e i canoni locali, destinati ad essere sostituiti dall'IMU secondaria, restano dovuti; continuano pertanto ad applicarsi: la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), il canone di occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP), l'imposta comunale sulla pubblicità e i diritti sulle pubbliche affissioni, il canone per l'autorizzazione all'installazione dei mezzi pubblicitari;
    ad oggi i comuni italiani non sono posti in condizione di procedere alla applicazione dell'imposta municipale secondaria, in quanto al momento della presentazione del presente atto di indirizzo non è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il decreto governativo che dovrebbe regolamentare il tributo, e ritenuto pertanto che tale incertezza applicativa possa gravare pesantemente sul meccanismo delle entrate fiscali e sui bilanci delle amministrazioni locali;
    il Governo, in occasione della discussione della legge di stabilità 2015, ha assunto l'impegno a rivedere, nel corso del 2015, l'impianto complessivo della tassazione comunale,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per ridisegnare, nell'ambito della prospettata revisione della tassazione comunale, anche la disciplina di tutti i tributi minori e, in particolare, dell'imposta municipale secondaria, secondo i principi – già contenuti nella delega fiscale – di semplificazione degli adempimenti e razionalizzazione delle aliquote, accorpamento o soppressione di fattispecie particolari, coordinamento con le disposizioni attuative della legge 5 maggio 2009, n. 42 sul federalismo fiscale, prevedendo, nel frattempo, un ulteriore differimento della decorrenza per la sua applicazione al 2016;
   in alternativa, a procedere alla pronta emanazione del decreto contenente la disciplina attuativa del nuovo tributo, ai sensi dell'articolo 11 del decreto legislativo n. 23 del 2011, affinché i comuni siano messi nelle condizioni di predisporre in tempo utile i propri bilanci.
(7-00571) «Fragomeli, Causi, Capozzolo, Carbone, Carella, De Maria, Marco Di Maio, Fregolent, Ginato, Gitti, Lodolini, Moretto, Pastorino, Pelillo, Petrini, Ribaudo, Sanga, Zoggia».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    la Garanzia giovani, quale strumento in materia di politiche attive per il rilancio della grave crisi occupazionale giovanile, è ormai giunta ad una fase temporalmente avanzata della sua esecuzione a livello nazionale;
    vi è la necessità di elaborare politiche bottom up che partano dall'applicazione concreta del principio di sussidiarietà per coinvolgere soprattutto le nuove generazioni alla elaborazione degli interventi a loro destinati;
    l'orizzontalità nell'applicazione dell'intervento pubblico in materia di ripresa occupazionale è elemento fondamentale sottolineato più volte dagli organismi internazionali ed europei. Questo significa che i driver della crescita possono essere efficaci solo se, da un lato tutte le autorità pubbliche coinvolte li applicano in maniera omogenea e, dall'altro, vi è la necessità di elaborare interventi legislativi multidisciplinari sulla ricerca, sull'innovazione, sull'impresa e sulla certezza e rapidità del diritto;
    secondo l'ultimo rapporto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali disponibile per il 2014, il numero degli utenti complessivamente registrati alla Garanzia giovani ha raggiunto 355 mila unità, un dato che rappresenta il 20,6 per cento del bacino potenziale costituito dal milione e 723 mila giovani Neet, stando ai dati dell'Istat. Lo stesso rapporto conferma, come sia cresciuta progressivamente la quota femminile, raggiungendo il 54,8 per cento tra gli utenti registrati in età superiore ai 25 anni. In termini di provenienza geografica, i dati mostrano come la maggior parte dei giovani aderenti al progetto provengono dal Sud, Campania con 50.705 unità, Sicilia 47.832 unità e nel Lazio;
    vi è dunque la necessità di migliorare lo strumento sotto una serie di aspetti, anche alla luce delle prossime scadenze europee, che vedono sia il varo del piano di investimenti anticiclico proposto dal presidente della commissione Juncker, sia la rinegoziazione dello stesso piano della Garanzia giovani, riducendo l'eterogeneità delle proposte a livello regionale che certamente non ha aiutato i giovani nel loro percorso di attivazione della Garanzia giovani;
    sembra altrettanto opportuno migliorare la piattaforma della Garanzia giovani rafforzando il dialogo tra pubblico e privato, in particolare armonizzando il ricorso al settore privato su tutto il territorio nazionale, incentivando la partecipazione diretta dei soggetti imprenditoriali mediante vacancies, incrementando l'interazione tra le varie banche dati a livello regionale e l'utilizzo delle tecnologie della comunicazione;
    la Garanzia giovani nasce anzitutto come strumento occupazionale occorre avviare una riflessione approfondita sulle diverse impostazioni del programma a livello regionale che rischiano di sbilanciare lo strumento a vantaggio di altri settori, come la formazione o il servizio civile, che sono oggetto di interventi pubblici relativi ad altri capitoli di spesa,

impegna il Governo:

   in ambito di job placement a rafforzare il coinvolgimento delle università, delle scuole primarie e secondarie, con particolare attenzione a quelle professionali, attivando specifici protocolli d'intesa che impegnino queste istituzioni ad un maggior ruolo all'interno della Garanzia giovani;
   ad assumere, mediante ogni iniziativa di competenza una maggiore omogeneizzazione del programma della Garanzia giovani migliorando altresì gli strumenti di coordinamento;
   a valutare l'opportunità di elaborare iniziative per mantenere l'equilibrio degli interventi a vantaggio dei settori prevalentemente occupazionali della Garanzia giovani rispetto a quelli per la formazione, su tutto il territorio nazionale;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza per rafforzare il monitoraggio dell'attività dei centri per l'impiego e metterli a disposizione in un'ottica di trasparenza ed efficienza;
   ad avviare iniziative di maggiore pubblicità e comunicazione sia nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, nelle università, sia attraverso la rete, i social network e i vari luoghi di aggregazione dell'universo giovanile;
   a rilanciare, all'interno della partecipazione italiana nelle istituzioni comunitarie, in particolare all'interno della Commissione, del Parlamento europeo e del Consiglio EPSCO, l'utilizzo di strumenti finanziari destinati esclusivamente al finanziamento della Garanzia giovani.
(7-00572) «Gregori, Gribaudo, Paris, Rotta, Gnecchi, Incerti, Di Salvo, Giacobbe, Maestri, Miccoli, Martelli, Casellato, Boccuzzi, Baruffi».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
   la direttiva 2001/18/CE del 12 marzo 2001 è la direttiva che norma l'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati. La sua revisione, presentata originariamente nel 2010, era rimasta sospesa per quattro anni viste le profonde divisioni tra gli Stati membri; il 13 gennaio 2015 è stata modificata in seconda lettura i dal Parlamento europeo e ora tornerà al Consiglio dell'Unione europea per ulteriore approvazione;
    la limitazione o il blocco delle coltivazioni Ogm, prima prevista per ragioni diverse da quelle espresse nella valutazione dei rischi legati alla salute e all'ambiente effettuata dall'Autorità europea per la sicurezza alimentare EFSA, ora può essere richiamata da uno Stato membro non solo per ragioni di politica ambientale, ma anche per obiettivi di pianificazione urbana e rurale, per motivi di impatto socio-economico, per evitare la presenza involontaria di Organismi geneticamente modificati in altri prodotti e per gli obiettivi della politica agricola. I divieti potrebbero inoltre includere anche i gruppi di Organismi geneticamente modificati designati in base alla varietà o alla caratteristica;
    attualmente il mais MON810 è l'unica coltura Ogm autorizzata e coltivata nell'Unione europea. In Italia, nell'attesa della revisione della suddetta direttiva, il 12 luglio 2013 era stato emanato il decreto interministeriale (Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Ministero della salute e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) di adozione delle misure d'urgenza, ai sensi dell'articolo 4 del Regolamento (CE)178/2002, concernenti la coltivazione di varietà di mais geneticamente modificato MON810, che vieta sul territorio italiano la coltivazione di varietà di mais MON810, provenienti da sementi geneticamente modificate;
    tale decreto, come anche ricordato in data 23 ottobre 2014 nella seduta 339 del Senato della Repubblica, è pertanto vigente e sospende l'efficacia dell'autorizzazione rilasciata a livello europeo fino al 10 febbraio 2015; a partire da tale data, in attesa dell'approvazione della revisione della direttiva 2001/18/CE da parte del Consiglio e del suo recepimento da parte del Parlamento italiano, si rischierebbe una vacatio legis che potrebbe lasciare spazio alla gestione incontrollata delle coltivazioni OGM,

impegna il Governo

a disporre la proroga del decreto interministeriale del 12 luglio 2013 al fine di evitare l'insorgenza di un vuoto normativo nelle more dell'adozione della direttiva di modifica della direttiva 2001/18/CE e del suo recepimento nell'ordinamento nazionale e ad assumere iniziative per individuare un adeguato apparato sanzionatorio in caso di semine operate approfittando della carenza normativa.
(7-00570) «Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Parentela, Rostellato».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   nel 2005, la società egiziana Orascom, di proprietà del magnate egiziano Naguib Sawiris, comprava la quota di maggioranza della Wind Telecomunicazioni da ENEL, operazione sulla quale, a seguito di un'interrogazione dell'Italia dei Valori e un'inchiesta di Report, si aprirono indagini giudiziarie;
   nel 2010, durante la successiva vendita al gruppo russo VimpelCom, il settore di Wind che si occupava di traffico telefonico internazionale veniva «spacchettato», diventando società a sé (WIS, Wind International Services Spa), e rimanendo ancora sotto controllo dell'egiziano Sawiris, con una commessa coprente oltre il 50 per cento del suo fatturato; commessa recentemente rescissa dalla Wind con immaginabili conseguenze sul perimetro occupazionale della stessa WIS, che conta oggi su circa 100 addetti;
   il 10 ottobre 2012, presso il Ministero dello sviluppo economico, veniva sottoscritto un protocollo fra la società Wind Telecomunicazione spa e le segreterie nazionali di SLC-CGIL, FISTel-CISL e UILCOM-UIL; tale accordo, volto a evitare l'annunciata esternalizzazione delle attività di gestione e manutenzione della rete da parte della dirigenza, prevedeva la novazione di alcuni istituti contrattuali e dei trattamenti economici e normativi dei dipendenti. La riduzione del costo del lavoro comportò l'accettazione da parte dei lavoratori dell'azienda di numerosi tagli, fra i quali la quasi completa eliminazione del premio di risultato;
   nemmeno due anni dopo, comunque, l'azienda annunciava la volontà di licenziare cinquecento lavoratori; veniva perciò stipulato, il 29 luglio 2014, un nuovo protocollo, il quale attivava l'istituto del contratto di solidarietà, con conseguente nuova riduzione salariale per i 6.061 dipendenti interessati dall'istituto;
   nonostante questo l'azienda ha deciso negli ultimi mesi di mettere sul mercato le proprie strutture di comunicazione, le cosiddette «torri»; parallelamente, l'azienda ha iniziato nelle ultime settimane colloqui fra i suoi dipendenti, finalizzati a reperire personale per una nuova società, «Galata», nella quale verranno conferiti parte dei tralicci oggi di proprietà Wind;
   tale operazione riguarderà circa cento persone e sarà su esclusiva base di adesione volontaria; i settori di reperimento del personale saranno, prevalentemente, quello di «real estate e «network operation», i due settori maggiormente impattati per professionalità e competenze richieste. Le persone che dovessero accettare il trasferimento saranno oggetto di una cessione individuale di contratto che verrà siglata, oltre che dal lavoratore, da Wind (in qualità di società cedente) e dalla neo costituita Galata (società accipiente); con il rischio che, con il Jobs Act governativo, i lavoratori interessati all'operazione diventino di fatto neoassunti, perdendo ogni diritto acquisito, soprattutto per ciò che concerne il licenziamento senza il massimo indennizzabile;
   nella nuova società verranno conferite circa 6.000 «torri» delle attuali 13.000; secondo i piani aziendali entro gennaio 2013 verrà costituita la nuova società, Galata, verso la quale verranno conferiti gli asset ed i lavoratori. L'azienda sarà inizialmente controllata interamente da Wind; entro il mese di marzo dovrebbe concludersi l'operazione di vendita ad un soggetto terzo del 90 per cento delle quote di Galata, con Wind che rimarrebbe nel pacchetto azionario con il 10 per cento. I soggetti che stanno partecipando alla gara per l'acquisto sono quattro: EI Towers, American Towers, Abertis Telecom (una società del gruppo Abertis focalizzata proprio nel mercato infrastrutturale del mondo Telco) ed una Join venture fra il fondo italiano specializzato in investimenti infrastrutturali F2I e quello americano Providence. Si tratta di quattro soggetti «industriali» che, a vario titolo, sono già presenti nel mercato delle infrastrutture di rete a testimonianza, secondo i responsabili Wind, del respiro «industriale» dell'operazione. Da un punto di vista operativo Galata sarà legata, nella fase di start up, a Wind da un rapporto di «service» nella gestione dei siti;
   tutto questo, che a giudizio degli interpellanti è un palese tentativo di aggirare gli accordi del 2012 e del 2014, garanti del perimetro occupazionale, si aggiungono una serie di ristrutturazioni che andranno a coinvolgere i call center di Ivrea e Palermo i quali previa riqualificazione dei dipendenti, verranno presumibilmente ceduti;
   la controllante russa, VimpelCom, a causa del tracollo del rublo, e della perdita di circa il 75 per cento dei valori di borsa, oggi capitalizza la metà di quello che è il debito verso le banche della stessa Wind, rendendo palese il rischio di bancarotta del gruppo;
   nonostante le rassicurazioni date nei recenti incontri di queste settimane con i sindacati, forte è il timore che sia in corso una fase di dismissione e di ricerca di denaro per ottemperare agli enormi debiti dell'azienda, che si aggirano intorno ai 9 miliardi di euro; debiti che vanno a vanificare completamente il notevole cash flow che Wind genera comunque grazie a un continuo aumento dei clienti e a una sostanziale tenuta del fatturato, anche in questi tempi di crisi;
   la concorrenza, Telecom, Vodafone e Fastweb in primis, sta investendo ingenti cifre nelle nuove tecnologie LTE e fibra ottica, a differenza di Wind, la quale non pare agli interpellanti abbia la volontà o capacità di fare investimenti di sviluppo tecnologico e di rete –:
   se il Governo intenda convocare un tavolo di incontro con i vertici Wind e tutte le rappresentanze sindacali dell'azienda al fine di chiarire le reali intenzioni della dirigenza sul futuro dell'azienda, e le ragioni del blocco degli investimenti in nuove tecnologie (LTE e fibra ottica);
   se il Governo non ritenga che con l'ultima operazione descritta non si sia di fatto venuti meno all'accordo del 2012, del quale il Ministero stesso, dopo una lunga vertenza, si era reso garante;
   come intenda il Governo tutelare i dipendenti genitori di minori i quali, in particolar modo nella sede di Ivrea, verranno destinati a compiti di gestione rete h24;
   se il Governo non intenda a breve creare una grande società a controllo pubblico che gestisca le reti di telefonia mobile e fissa (anche in fibra) nella quale aggregare i vari soggetti di telecomunicazioni a salvaguardia di continue dismissioni e «spezzatini» o appalti nel settore e al fine di evitare il proliferare di antenne e scavi per ogni singolo operatore;
   se il Governo intenda valutare la possibilità di nazionalizzare la società tramite Cassa depositi e prestiti, considerato che l'azienda nonostante l'ingente debito, è estremamente competitiva, essendo già molto snella di personale e con un fatturato annuale di 1,5 miliardi di euro;
   se non si intenda verificare attraverso gli organismi competenti che non vi siano elusioni finanziarie dell'azienda anche in relazione alla sede olandese della società di controllo.
(2-00814) «Cimbro, Arlotti, Carra, Ciracì, Iacono, Preziosi, Prina, Romanini, Valiante, Sottanelli, Schirò, Zappulla, Melilla, Daniele Farina, Piras, Ricciatti, Francesco Sanna, Rabino, Molea, Franco Cassano, Vaccaro, Laforgia, Patriarca, Rampi, Raciti, Porta, Giuditta Pini, Pastorino, Cardinale, Ascani, Pollastrini, Becattini, Giulietti, Miccoli, Carloni, Piazzoni, Giovanna Sanna».

Interrogazione a risposta orale:


   SANTELLI, OCCHIUTO e GALATI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il questore di Cosenza, dottor Liguori, ha richiesto la chiusura temporanea del posto fisso di polizia di Cetrarò (CS) in ottemperanza alla legge 626 in materia di «tutela dei lavoratori», in quanto lo stabile che ospita i locali della polizia di Stato si trova ubicato a Cetraro (CS) in via Marinella s.n.c., zona dichiarata franosa con livello di classificazione di rischio R4;
   il 3 marzo 2014, il dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno ha inviato a tutti i questori un progetto di razionalizzazione delle risorse e dei presidi della polizia di Stato sul territorio italiano, prevedendo la chiusura di 251 di essi;
   il dipartimento di pubblica sicurezza, in data 24 dicembre 2014, a seguito della richiesta, fatta dal questore Liguori, di «chiusura temporanea» degli uffici di Cetraro per la messa in sicurezza degli uomini che ivi lavorano, ha invece disposto un decreto di soppressione definitiva del posto fisso di polizia di Cetraro, aggiungendolo così alla lista degli altri 251 presidi della polizia di stato già in chiusura;
   va evidenziato l'impegno profuso sia dal questore che dai vertici dell'amministrazione comunale di Cetraro, i quali si sono impegnati e continuano ad impegnarsi per la ricerca di uno stabile idoneo, nonostante lo stesso non sia ancora stato individuato;
   la chiusura di questo posto di pubblica sicurezza lascerebbe sguarnito di uomini dello Stato un territorio che, invece, ne necessita tue, presenza ai fini di prevenzione e garanzia dei cittadini in quanto la suddetta zona del tirreno cosentino è ritenuta ad «alto tasso di densità mafiosa»;
   non va sottovalutata la presenza del «porto turistico di Cetraro», il più grande porto del tirreno cosentino, il quale, oltre ad essere emblema di una crescita anche economica dell'intera zona, fa prevedere l'ulteriore necessità di non sguarnire l'assetto di sicurezza del territorio;
   il comune di Cetraro ha avuto la presidenza del progetto operativo nazionale «Tirreno Sviluppo e Legalità», progetto da cui sono state poi tratte le linee guida per il successivo piano nazionale;
   risulta agli interroganti che il Ministro dell'interno avrebbe dovuto relazionare nel dicembre 2014 dinanzi alla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei deputati, ma ha rinviato la sua audizione a fine gennaio 2015 –:
   se il Governo non ritenga di dover intervenire per l'immediato ritiro del decreto di soppressione del posto di polizia di Cetraro e di provvedere alla immediata assegnazione di nuovi locali, idonei ad ospitare il posto di pubblica sicurezza;
   se il Governo non intenda, in alternativa, assumere iniziative affinché il decreto venga convertito in mera «chiusura temporanea», al fine di reperire idonea sistemazione logistica per il posto fisso di pubblica sicurezza e per il suo personale. (3-01253)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIMBRO, LA MARCA e PORTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   numerose sono le violazioni delle leggi e degli obblighi internazionali da parte della Federazione Russa in Ucraina. Sin dall'inizio della crisi, la Russia ha continuato ad ammassare truppe e materiale militare al confine con il paese; e nonostante il cessate il fuoco deciso durante gli accordi multilaterali di Minsk, gli ultimi mesi hanno portato a un'ulteriore recrudescenza del conflitto nell'Ucraina orientale con il provato coinvolgimento militare russo, e il suo sostegno logistico ai gruppi separatisti;
   il 17 giugno 2014, Nadia Savchenko, pilota ucraina, è stata catturata dai separatisti filorussi nell'est dell'Ucraina, dove si trovava in quanto membro volontario dell'operazione anti-terrorista ATO; è stata quindi nella notte del 23 giugno trasferita in Russia, e reclusa, sotto sorveglianza armata, in un albergo della città di Voronež. Il 30 giugno la sua detenzione è diventata ufficiale;
   la parte russa accusa la Savchenko di essere corresponsabile della morte di due giornalisti russi in Ucraina orientale. Nessuna prova convincente è stata fornita a supporto dell'accusa; l'unica testimonianza è di membri anonimi della autoproclamata Repubblica Popolare di Lugansk, non riconosciuta da ONU e EU e di una organizzazione terroristica dall'Ucraina. L'anonimato dei testimoni può in ogni caso significare la loro inesistenza, o la fabbricazione ad hoc della loro testimonianza;
   al contrario, i legali della pilota hanno saputo preparare una documentazione indicante chiaramente l'innocenza dell'imputata. Documentazione che comunque non è stata presa in considerazione dalla Commissione investigativa russa;
   come manifesta è l'infondatezza delle accuse, così l'illegalità della detenzione della cittadina ucraina in Russia; innaturale è poi il prolungarsi della reclusione: la Savchenko è attualmente detenuta nella SIZO – 6 – centro di detenzione a Mosca, in Russia. Precedentemente, la Savchenko è stata per il periodo di un mese detenuta coattamente in un ospedale psichiatrico, il Centro Serbsky. Ciò anche per assicurarle un, se possibile, ancor più grande isolamento: nessun osservatore internazionale è ancora stato ammesso, e le è permesso di incontrarsi con i suoi legali solo una volta a settimana; a volte, i periodi in cui i legali della Savchenko non hanno accesso alla cliente sono prolungati, per esempio, i legali dopo un incontro alla fine di dicembre, hanno avuto la possibilità di incontrare la propria cliente solo il 12 gennaio 2015; i suoi colloqui sono controllati, e avvengono da dietro un vetro, attraverso un telefono; è fatto inoltre loro obbligo di parlare solo in russo. Per quel che riguarda le condizioni della reclusione, la luce della sua cella è accesa 24 ore al giorno;
   il 15 dicembre 2014, la detenuta, Nadia Savchenko, ha indetto lo sciopero della fame contro i maltrattamenti subiti in detenzione, in forma delle mancate cure mediche, richieste per colpa di un'acuta infiammazione all'orecchio; la mancanza di cure mediche adeguate hanno provocato la perdita di udito all'orecchio; dopo una visita di un medico il 16 dicembre 2014, Nadia Savchenko si è rifiutata di cessare lo sciopero della fame, richiedendo di essere liberata;
   il suo trasporto coatto in Russia è considerato sequestro dalle principali leggi internazionali (Codice dei crimini contro la pace e la sicurezza dell'umanità, 1996; Statuto di Roma della Corte penale internazionale, 1998; Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalla sparizione forzata, 2006); può essere inoltre considerate come prigioniera di guerra; su di lei si applica il Diritto internazionale umanitario. Infine, le accuse verso di lei sono motivate politicamente, e le prove non sono imparziali: ciò in violazione della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;
   la comunità internazionale denuncia Nadia Savchenko essere una prigioniera politica, e ne richiede l'immediata liberazione. Il 16 settembre 2014 l'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha pubblicato un rapporto sulla situazione dei diritti umani in Ucraina, il quale contiene informazioni concernenti il caso della Savchenko;
   il 18 settembre il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sulla situazione ucraina, nella quale si chiede alle autorità russe il rilascio della Savchenko e di altri suoi concittadini sequestrati lo scorso maggio: il regista e attivista Oleg Stentsov, Alexander Kolchenko, Gennadiy Afanasyev, Alexey Chirnyi;
   il 14 ottobre il Centro russo per i diritti umani russo «Memorial» ha dichiarato Nadia Savchenko prigioniera politica;
   il Comitato per i diritti umani, nell'ambito delle attività della Commissione affari esteri della Camera, ha dedicato il 15 luglio 2014 un incontro alla situazione delle violazioni dei diritti umani nel conflitto ucraino –:
   quali iniziative sul piano diplomatico intenda mettere in atto il Governo e il Ministero degli affari esteri italiano, per assicurare i diritti di Nadia Savchenko non vengano violati durante la sua detenzione in Russia, e la sua immediata liberazione. (5-04498)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALLINELLA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, LUPO e PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo del 13 gennaio 2014 del sito web Agricolae.eu, l'associazione nazionale Coldiretti avrebbe aumentato nel 2014 la retribuzione del suo segretario generale portandola ad oltre un milione e 800 mila euro, rispetto ai 1.677.029 euro già corrisposti da gennaio 2014 a maggio 2014;
   a questi si andrebbero ad affiancare ulteriori 70.774 euro di reddito imponibile per attività di collaborazioni per Germina Campus Spa (società che ha sede a Palazzo Rospigliosi come Coldiretti), edizioni Tellus, Bluarancio Spa (società informatica di Coldiretti) e Green Assicurazioni Srl;
   sempre secondo l'articolo della testata web succitata, la retribuzione dell'omologo della Cia, Rossana Zambelli, è stata di 127.232,00 euro nel 2013 e ammonta a 102.398.00 euro nei primi dieci mesi del 2014;
   l'articolo confronta l'elevato stipendio del segretario di Coldiretti anche con quello del presidente Usa, di circa 380 mila euro, del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, di 114.796.68 euro e del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, di circa 239 mila euro, evidenziando che, sommando le tre cifre si raggiunge la soglia 733 mila euro, quasi un terzo della retribuzione di soli nove mesi del vertice Coldiretti;
   a margine dell'articolo si trova poi una corrispondenza tra il Presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo e il direttore di Agricolae, dalla quale emerge la volontà di Coldiretti di diffidare l'agenzia dalla diffusione delle suddette informazioni, secondo l'agenzia false –:
   se, sulla base di quanto esposto in premessa, non ritenga opportuno assumere iniziative normative affinché gli stipendi dei vertici delle più importanti associazioni di categoria del Paese siano resi comunque pubblici, affinché attraverso la trasparenza delle informazioni oltre che delle attività delle associazioni siano maggiormente tutelati gli interessi dei cittadini. (4-07551)


   RICCIATTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 56 del 2014 (cosiddetta «legge Delrio») ha avviato un processo di revisione istituzionale che ha interessato, nella prima fase, la riorganizzazione territoriale e strutturale delle province;
   per effetto della riforma Delrio, le province sono state private di alcune competenze, tra le quali quelle relative al settore sociale;
   il 9 gennaio 2015 il presidente della provincia di Pesaro Urbino, Daniele Tagliolini, ha diramato un comunicato stampa per segnalare come, a seguito della legge Delrio, la provincia in questione non potrà più fornire il servizio di educazione domiciliare pomeridiana a 79 minori non udenti e non vedenti;
   il presidente Tagliolini ha spiegato come dopo la riorganizzazione delle competenze su sociale, formazione professionale, servizi per l'impiego, cultura e turismo, la regione Marche non abbia ancora definito quali enti dovranno occuparsi di tali prerogative;
   considerato, inoltre, che la legge di stabilità 2015 ha operato un taglio significativo alle risorse destinate a regioni, province e comuni, è evidente la difficoltà nella quale versano diversi servizi di primaria importanza per i cittadini ed il relativo personale, che quei servizi deve sovrintendere ed organizzare –:
   quali misure intenda adottare la Presidenza del Consiglio dei ministri nell'ambito delle competenze relative alle politiche di coesione territoriale e agli affari regionali e delle autonomie, per agevolare e ripristinare una corretta redistribuzione delle funzioni relative al settore dei servizi sociali;
   più in generale, quali misure intenda adottare il Governo per tutelare i soggetti affetti da disabilità, nelle more del processo di riorganizzazione amministrativa avviato con la legge n. 56 del 2014; processo che si prospetta di non breve durata. (4-07557)


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   si è di recente concluso il semestre di presidenza italiana dell'Unione europea e sembra, anche secondo diverse testate giornalistiche, che le promesse siano rimaste slogan e che l'operato renziano sia destinato a non lasciare tracce di particolare rilevanza;
   secondo la stampa, la Presidenza italiana sarebbe stata giudicata da diplomatici ed esperti in modo negativo per ritardi, mancanza di comunicazione, cambi in corsa: «Vengono confermati tutti gli stereotipi negativi sul Paese» e Bruxelles ci avrebbe definiti «Italiani sempre disorganizzati e caotici»;
   sembrerebbe che tutto il semestre renziano si sia giocato sulle esigenze di politica interna strumentalizzando l'Europa come vincolo per far passare le riforme in Italia;
   Renzi non sarebbe stato nemmeno in grado di ottenere grandi risultati da altri punti di vista: «Gli altri Governi si sono tenuti le caselle più importanti e hanno concesso a Renzi il dicastero che tanto gli stava a cuore, la politica estera per la Mogherini», spiegano nella Commissione;
   alcuni dossier su cui si era impegnata la Presidenza italiana avrebbero avuto un esito deludente: ad esempio, l'agenda digitale, su cui Renzi si era mobilitato personalmente con il vertice di Venezia, sarebbe stata un flop con l'Italia che resta agli ultimi posti in classifica per uso di internet, e più di un terzo degli italiani che non l'ha mai usato;
   l'Italia appare indietro anche sul piano culturale: un anno fa, di questi tempi, un gruppo di lavoro messo in piedi a Palazzo Chigi era all'opera per organizzare un mega-convegno internazionale sull'identità europea, con i grandi nomi dell'intellettualità, alcuni dei quali scomparsi nei mesi successivi, da Jacques Le Goff Ulrich Beck, il tutto voluto dall'allora Premier Enrico Letta; Renzi fece cadere l'idea;
   durante il discorso tenuto il 13 gennaio 2014 a Strasburgo per la chiusura del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, il Presidente del Consiglio Renzi ha dichiarato che i rilievi del MoVimento 5 Stelle sull'impoverimento delle famiglie italiane «cozzano con la realtà dei fatti e dei numeri: in tempi di crisi le famiglie italiane hanno visto crescere i loro risparmi a 3,9 trilioni» perché «l'economia italiana vive una fase di terrore» e le «famiglie si arricchiscono perché hanno preoccupazione e paura»; .
   il Presidente dell'Adusbef, Elio Lannuti, politico, saggista e giornalista italiano, ha commentato le dichiarazioni del Presidente del Consiglio Renzi dicendo che sarebbero «Ennesima mistificazione della realtà dei fatti, per occultare l'impoverimento della famiglie italiane prodotto dalla crisi sistemica dei banchieri e dalle politiche economiche recessive e sbagliate imposte dall'Europa e dalla Troika ai governi che si sono succeduti dal 2008, compreso il suo»;
   l'analisi che propone il Presidente del Consiglio Renzi non tiene conto del fatto che, come dice la Banca d'Italia, la ricchezza è in realtà diminuita (e non di poco) negli ultimi anni, ma pure del fatto che essa non è equamente distribuita e che questo divario tra ricchi e poveri è in forte aumento causando pericolosi effetti negativi sulla giustizia sociale;
   secondo i dati ISTAT, le persone in condizione di povertà assoluta sono aumentate, passando dal 6,8 per cento della popolazione nel 2007, al 12,4 nel 2013, una percentuale allarmante e anomala per un Paese industriale: si tratterebbe di 6 milioni e 20 mila persone costrette a pesanti privazioni materiali, a cui si aggiungono altre 3 milioni e 230 mila persone in povertà relativa, per un totale di quasi 10 milioni di italiani che vivono in povertà;
   secondo un rapporto della fondazione tedesca Bertelsmann il regime dell’austerity voluto dall'Unione europea avrebbe fatto affondare in Italia le politiche di inclusione sociale, tanto che da questo punto di vista, il nostro Paese sarebbe al ventiquattresimo posto sui ventotto Paesi dell'Unione, tanto che dopo l'Italia ci sarebbero solo l'Ungheria, la Romania, la Bulgaria (cioè il più povero dei Paesi dell'Unione europea) e la Grecia stremata dall'iperindebitamento e dalle misure di rigore imposte dall'Unione –:
   se il Governo sia al corrente della situazione dell'Italia e del costante impoverimento delle famiglie di cui sopra e se non intenda chiarire il senso delle dichiarazioni fatte a Strasburgo di cui sopra sull'arricchimento delle famiglie italiane anche alla luce del pericoloso aumento del divario tra ricchi e poveri che sta purtroppo divenendo realtà nel nostro Paese e dei rischi per la giustizia sociale che comporta;
   se il Governo non intenda chiarire in maniera dettagliata quali misure abbia posto in atto durante il semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, e in che modo abbia utilizzato tale posizione privilegiata, per far uscire il Paese dalla crisi economica nella quale si trova.
(4-07558)


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo una recente ricerca del centro studi «ImpresaLavoro» realizzata elaborando i dati delle serie storiche dell'Istat sulla disoccupazione, il Governo Renzi nei suoi primi nove mesi di attività avrebbe ottenuto risultati peggiori in tema di occupazione, di quelli conseguiti nel medesimo lasso di tempo dai Governi guidati da Berlusconi e da Letta;
   durante il Governo Renzi, secondo l'Istat il tasso di disoccupazione giovanile avrebbe raggiunto il picco più alto di sempre: 43,9 per cento con ben 54 mila giovani senza occupazione in più, e uno dei dati peggiori in tema di occupazione risulterebbe quello del lavoro delle donne;
   sempre secondo i dati Istat più recenti, la disoccupazione in Italia avrebbe raggiunto il record storico negativo del 13,4 per cento;
   questo dato italiano, che non era mai stato così alto da 37 anni, si traduce tristemente in 3 milioni 457 mila italiani in cerca di lavoro, con una crescita di 264 mila unità su base annua (+ 8,3 per cento);
   il tasso di disoccupazione italiano è peggiore della media dell'Eurozona: la media nei Paesi della moneta unica è infatti dell'11,5 per cento;
   il fatto ancora più grave è che il tasso di disoccupazione italiano continua a muoversi in direzione opposta a quello dell'Eurozona: oggi il tasso di disoccupazione dell'Eurozona è di 0,4 punti percentuali più basso di un anno fa, mentre il tasso di disoccupazione italiana è di 0,9 punti percentuali più alto;
   gli occupati italiani, in un solo mese da ottobre a novembre 2014, sarebbero calati di 48 mila unità;
   il segretario confederale della Cgil, Serena Sorrentino, ha commenta i dati sulla disoccupazione diffusi dall'Istat dicendo che: «L'aumento è strutturale ormai da anni. La politica economica del Governo non è in grado di rilanciare la crescita, perché non punta sulla creazione di lavoro»;
   il segretario della Cgil ha inoltre affermato: «Sorprendono le dichiarazioni del Ministro del lavoro, il quale sostiene che bisogna aspettare l'effetto dei provvedimenti del governo: la politica economica del governo non è in grado di rilanciare la crescita perché non punta sulla creazione di lavoro, con il sostegno alla domanda e gli investimenti pubblici. Affidare alle imprese, come fa il Jobs Act, la speranza di far crescere l'occupazione, liberalizzando i licenziamenti, difficilmente produrrà maggiore stabilità e crescita. Per i giovani, inoltre, il governo dovrebbe fare una riflessione sul fallimento della garanzia giovani, dei dati non entusiasmanti su abbandoni e dispersione scolastica, sugli avviamenti al lavoro delle fasce più giovani che sono tra i più bassi in Europa e sulla ripresa dell'emigrazione di massa»;
   il Governo Renzi ha ripetutamente dichiarato, già da mesi, di essere impegnato nel dare un «calcio di riavvio» poderoso all'occupazione che in questo momento è in una situazione di stallo decennale, e di «puntare in alto» con le sue misure in grado, secondo quelle che all'interrogante appaiono le azzardate previsioni del Presidente del Consiglio e del Ministro Padoan, di creare a breve «ottocentomila nuovi posti di lavoro» –:
   se il Governo sia a conoscenza della grave situazione dell'occupazione in Italia che emerge dai dati dell'Istat e se non intenda spiegare perché con le soluzioni divulgate e dichiarate da mesi, non solo non vi sia stato ancora nessun miglioramento, ma nemmeno si sia frenato il calo dei posti di lavoro e come si intenda intervenire al più presto in merito.
(4-07559)


   RICCIATTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'impianto IPPC dello stabilimento di Castelraimondo, di proprietà della società Sacci spa con sede legale in Roma, identificato con il codice IPPC 3.1, come impianto destinato alla produzione di più di 500 t/g di clinker, con il codice NOSE-P 104.11, come impianto destinato alla fabbricazione del cemento (industria dei prodotti minerali che comporta processi di combustione), con il codice NACE 26, come impianto destinato alla produzione di prodotti minerali non metallici, e con il codice ISTAT 2651.0, come impianto destinato alla produzione di cemento, è situato nei comuni di Castelraimondo e Gaglio le in provincia di Macerata;
   gli impianti di cottura dello stabilimento sono, attualmente, costituiti da un forno Krupp-Gepol, con recuperatore termico a cicloni, strutturato in 4 stadi successivi, avente massima potenzialità di 700 t/giorno di clinker e da un forno Lepol avente massima potenzialità di 500 t/giorno di clinker. Gli impianti utilizzano combustibili tradizionali, quali il coke di petrolio ed il metano;
   la Sacci Spa in data 29 aprile 2010 ha presentato domanda di valutazione di impatto ambientale in merito al progetto di ampliamento dello stabilimento, che prevede la costruzione di un inceneritore con la sostituzione dei due forni attualmente esistenti;
   la regione Marche, in data 4 gennaio 2013 ha concesso l'AIA (autorizzazione integrata ambientale);
   secondo quanto riportato anche nell'autorizzazione integrata ambientale, il nuovo stabilimento Sacci di Castelraimondo sarà un impianto di smaltimento rifiuti con una capacità superiore a 100 tonnellate al giorno tramite incenerimento e con una torre alta circa 80 metri;
   si stima che il nuovo impianto produrrà «un milione di tonnellate l'anno di cemento – 600 mila in più della attuale produzione – con un relativo aumento pari al 118 per cento per il coke di petrolio, il 66 per cento di gasolio, il 44 per cento di Gpl, il 146 per cento di energia elettrica, una diminuzione nell'uso del metano pari al 74 per cento» (dati riportati dalla testata Cronache Maceratesi del 11 febbraio 2013);
   a destare particolari preoccupazioni – sopratutto tra i cittadini residenti nelle aree e nei Comuni limitrofi, che si sono prontamente costituiti in un Comitato denominato «Salva Salute» – è l'utilizzo di combustibili alternativi (il cosiddetto «Css») che si stima verrà impiegato nella misura di 93.600 tonnellate, aumentando di conseguenza anche il traffico veicolare che – sempre secondo quanto riporta la testata giornalistica citata – dovrebbe passare dagli attuali 86 viaggi giornalieri a 200;
   con sentenze nn. 00567 e 00568, del 3 giugno 2014, il TAR Marche ha accolto i ricorsi presentati da alcuni privati cittadini e dall'associazione VAS Onlus e per l'effetto ha annullato il decreto 1/VAA del 4 gennaio 2013 emesso dalla regione Marche;
   il provvedimento annullato – come già anticipato – aveva espresso un giudizio positivo di compatibilità ambientale relativamente all'impianto Sacci di Castelraimondo, sia in ordine al progetto di rinnovo ed ampliamento dell'impianto depositato dalla società, sia in merito all'esercizio temporaneo dell'attività, in attesa della realizzazione del nuovo impianto, prevista per il 2018;
   in particolare il TAR Marche ha censurato nel provvedimento l'assenza di distinzione tra due profili fondamentali: il riesame della precedente AIA (di cui al decreto n. 77 del 2010), che ha condotto al giudizio di compatibilità della proroga all'attività esistente fino al 31 dicembre 2018; e l'autorizzazione dal 2019 per l'esercizio dell'impianto ammodernato;
   secondo il Collegio infatti «tale distinzione sarebbe stata invece necessaria proprio per evitare il pericolo prospettato dai ricorrenti, ossia che nelle more di realizzazione del progetto di ammodernamento (e potenziamento) dell'impianto, si continui a tollerare l'esercizio di un'attività non del tutto a norma», aggiungendo che «riguardo al profilo delle emissioni in atmosfera, anche con particolare riferimento a diossine e furani ... la problematica, stante l'incidenza su fondamentali principi costituzionali, come quello della salute, avrebbe richiesto un approfondimento ed una articolata motivazione volta comunque a superare i rilievi provinciali ...», concludendo che «l'argomento, per quanto delicato e rilevante, sembra essere stato oggetto di una certa confusione»;
   ad aumentare i timori dei cittadini uno studio epidemiologico redatto dall'Istituto superiore di sanità (reso pubblico il 15 febbraio 2013) che ha evidenziato alcuni eccessi rilevati da diversi indicatori epidemiologici;
   la relazione di accompagnamento dei dati dell'Istituto superiore di sanità, recita infatti: «come si evince dalla Tabella 1, relativa alle suddette cause di decesso si evidenziano, tra i residenti nella area selezionata [l'area compresa tra i Comuni di Castelraimondo, Gagliole e San Severino Marche, n.d.r.], eccessi di mortalità per tutti i tumori negli uomini e di linfomi non Hodgkin nelle donne. La Tabella 2 relativa alle ospedalizzazioni mostra nelle persone ricoverate di genere maschile degli eccessi di ospedalizzazione per i tumori maligni nel loro complesso ed in particolare: tumori maligni del rene e di altri non specificati organi urinari, tumori maligni del tessuto linfatico ed emopoietico (in particolare linfomi non Hodgkin e malattia di Hodgkin). Tra le donne emergono degli eccessi per le ospedalizzazioni per il complesso delle cause indagate e per malattia di Hodgkin», aggiungendo nelle conclusioni che «il profilo di mortalità e di ospedalizzazione delle persone residenti nei tre comuni oggetto di richiesta mostra per alcune patologie specifiche, selezionate in base ad una evidenza a priori di associazione rispetto alla presenza di impianti di incenerimento, eccessi di rischio rispetto alla regione Marche presa come riferimento»;
   pur non essendo possibile rilevare, evidentemente, alcun nesso eziologico tra la presenza del cementificio e l'aumento del rischio di mortalità per tumori, lo studio ha sollevato molta apprensione tra i cittadini coinvolti;
   i cittadini riuniti in Comitato lamentano, in particolare, la scarsa trasparenza delle istituzioni e degli enti coinvolti nel fornire informazioni, lo scarso coinvolgimento dei cittadini e la scarsa collaborazione, circostanza che crea un clima di sfiducia nei confronti dei decisori pubblici;
   lo stesso sindaco di Castelraimondo aveva auspicato un maggiore coinvolgimento dei cittadini, dichiarando al consiglio comunale, riunitosi in data 11 marzo 2013: «Il Sindaco propone di continuare ad approfondire la questione dell'autorizzazione alla ditta Sacci chiedendo alla commissione dei lavori pubblici di porre in essere contatti con l'associazione neo costituita al fine di monitorare l'evolversi della situazione. Si potrebbe costituire anche una commissione di scopo o comunque una entità solida che duri nel tempo e che possa riferire al consiglio comunale su ciò che succede e l'evolversi della situazione anche a distanza di parecchi anni Propone che la commissione riferisca al consiglio Comunale su proposte o soluzioni ritenute idonee da intraprendere. Manifesta la preoccupazione che ad oggi sono tutti preoccupati dei possibili effetti nocivi derivanti dall'installazione dei nuovi forni al cementificio ma poi fra dieci/venti anni, quando questi forni saranno in funzione si rischia che non ci sia più nessuno che se ne occupi. Il consigliere Calafiore condivide ed accoglie la richiesta del sindaco impegnandosi a convocare al più presto la commissione consiliare»;
   nonostante le intenzioni, tuttavia, tale impegno risulta ad oggi disatteso –:
   se il Presidente del Consiglio ed i ministri interrogati siano a conoscenza della vicenda illustrata in premessa;
   quali iniziative, anche di carattere normativo, intendano adottare per tutelare la salute dei cittadini; se non ritengano opportuno intervenire, anche a livello normativo, per introdurre e o incentivare dei meccanismi di partecipazione che prevedano, nei casi come quello illustrato e quando sia in decisione la realizzazione di opere con un potenziale impatto negativo sulla salute dei cittadini residenti nelle aree interessate, la consultazione diretta e preventiva degli stessi. (4-07560)


   GIORGIA MELONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la deliberazione del consiglio regionale n. 66 del 10 luglio 2007 la regione Toscana ha approvato il piano regionale dello sviluppo economico (PRSE 2007-2010) che prevede, tra l'altro, nell'ambito della linea di intervento 3.1 – «Ingegneria finanziaria», interventi di garanzia con caratteristiche tali da rispettare i requisiti richiesti dall'accordo di Basilea;
   in data 16 ottobre 2008 il consiglio di amministrazione di Fidi Toscana spa ha deliberato lo stanziamento di 1.500.000 euro destinato a potenziare i fondi regionali di garanzia a favore delle piccole e medie imprese;
   il 15 dicembre 2008, con la deliberazione n. 1086 della giunta regionale della Toscana, sono state approvate le modalità di attuazione degli «Interventi di garanzia per la liquidità delle imprese», stabilendo che tali interventi siano attuati mediante apporto di risorse a Fidi Toscana spa a titolo di finanziamento, nel rispetto delle previsioni recate nelle «Istruzioni di Vigilanza per gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco speciale di cui alla Circolare n. 216 del 5 agosto 1996, settimo aggiornamento del 9 luglio 2007, ed al relativo allegato “A”»;
   con deliberazione n. 1027 del 9 dicembre 2008 la stessa, giunta regionale ha approvato il protocollo di intesa «emergenza economia» tra regioni e sistema bancario operante in Toscana;
   con il decreto n. 266 del 15 gennaio 2009 avente per oggetto «PRSE 2007-2010 linea di intervento 3.1 Ingegneria finanziaria «Interventi di garanzia per la liquidità delle imprese». Approvazione dell'accordo di finanziamento e del regolamento», è stato approvato «l'accordo per un finanziamento a Fidi Toscana per un importo massimo di euro 14.375.436,00 per l'attuazione degli «Interventi di garanzia per la liquidità delle imprese» di cui all'allegato A, parte integrante e sostanziale del presente atto, nonché è stato decretato di approvare il regolamento relativo agli «Interventi di garanzia per la liquidità delle imprese», di cui all'allegato B, e si è deciso di «rinviare l'assunzione degli impegni al momento in cui saranno rese disponibili le risorse a seguito delle necessarie variazioni di bilancio»;
   tra le domande presentate ne risulta una avanzata dalla società Chil s.r.l. il 16 marzo 2009 per un finanziamento di 437.000 euro a ottantaquattro mesi tramite la BCC Pontassieve, filiale di Pontassieve;
   la società Chil S.r.l. era ed è stata a tutti gli effetti una società della famiglia Renzi e in quella data l'unico dirigente, in aspettativa, della stessa risulta essere proprio l'ex socio Matteo Renzi;
   alla stessa data, inoltre, Fidi Toscana risulta essere partecipata anche dalla provincia di Firenze per 1.413.412,00 euro (il primo socio pubblico per partecipazione dopo la regione Toscana) e Matteo Renzi era presidente della provincia;
   la garanzia di Fidi Toscana è stata deliberata il 15 giugno 2009 tra il primo e il secondo turno delle elezioni comunali di Firenze in cui Matteo Renzi stava diventando sindaco di Firenze, e il finanziamento è stato erogato dalla banca il 13 agosto 2009, quando Matteo Renzi era sindaco;
   anche il comune di Firenze è socio di Fidi Toscana Spa;
   l'intervento è stato effettuato a prima richiesta nella misura dell'ottanta per cento, a valere sulle risorse della misura liquidità PRSE 2007-2010;
   in data 8 ottobre 2010, con protocollo n. FI-2010-63542, Chil Post s.r.l. ha ceduto un ramo aziendale a EVENTI 6 s.r.l., società riconducibile sempre alla famiglia Renzi;
   in data 14 ottobre 2010 le quote della società Chil Post s.r.l. sono state trasferite interamente da Renzi Tiziano a Gian Franco Massone;
   successivamente, la banca è entrata in sofferenza a causa dell'insoddisfacente andamento dei rapporto e al perdurare dell'insolvenza relativa all'estinzione di fatture Italia anticipate e scadute;
   in data 12 agosto 2011 si è verificato il primo mancato pagamento di una rata del finanziamento da parte di Chil POST s.r.l., e in data 20 ottobre 2011 è stata effettuata la messa in mora da parte della banca, nel rispetto dei termini della convenzione regolante i rapporti tra le banche e Fidi Toscana;
   a quanto consta all'interrogante, l'esposizione complessiva al momento della richiesta di attivazione della garanzia sarebbe stata di 322.316,34 euro;
   in data 15 febbraio 2012 la banca ha richiesto a Fidi Toscana l'attivazione della garanzia rilasciata a valere sulla misura in oggetto;
   il 7 febbraio 2013 il giudice del tribunale fallimentare di Genova ha dichiarato il fallimento di CHIL Post s.r.l., e che su questa vicenda la procura di Genova sta indagando per bancarotta fraudolenta e tra gli indagati secondo quanto riportato da organi di stampa risultano esserci anche Tiziano Renzi e Laura Bovoli, genitori di Matteo Renzi;
   Laura Bovoli risulta essere anche presidente del consiglio di amministrazione di «Eventi 6 s.r.l.»;
   in data 1o agosto 2013 è stata liquidata da Fidi Toscana alla BCC Pontassieve la somma di 263,114,70 euro, a copertura della perdita subita dalla banca (la somma è pari all'80 per cento dell'esposizione complessiva al momento della richiesta di attivazione della garanzia più interessi ed oneri);
   il 22 febbraio 2014 Matteo Renzi è diventato Presidente del Consiglio dei ministri;
   in data 30 ottobre 2014, Fidi Toscana ha ricevuto dal Fondo, centrale di garanzia la somma di 236.803,23 euro a seguito dell'attivazione della controgaranzia;
   il Fondo centrale di garanzia è afferente al Ministero dello sviluppo economico – direzione generale dello sviluppo alle imprese, e, quindi al Governo presieduto da Matteo Renzi;
   pertanto, la perdita sofferta sull'operazione da Fidi Toscana, a valere sulla misura liquidità, è stata di 26.311,47 euro e dal Fondo di garanzia di 236.803,23 euro;
   i debiti creati dall'azienda di famiglia di Matteo Renzi sono stati di fatto pagati con fondi pubblici sia tramite la finanziaria regionale sia tramite il fondo di garanzia dello Stato quando Matteo Renzi ricopriva ruoli apicali nelle istituzioni di riferimento;
   in Italia si suicida per crisi un imprenditore ogni cinque giorni;
   l'accesso al credito è una delle maggiori difficoltà, insieme alla pressione fiscale, che riscontrano le aziende toscane;
   a Fidi Toscana non risulterebbero comunicati né l'esposizione politica della società Chil srl al momento della richiesta dei finanziamento, né la successiva cessione di ramo aziendale –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e se ne fossero a conoscenza;
   se sia corretto che la gestione di questi finanziamenti sia stata affidata a Fidi senza gara, e se le operazioni descritte in premessa siano avvenute nel rispetto delle normative e della regolarità procedurale;
   se il Presidente del Consiglio non reputi opportuno chiarire i collegamenti tra le società della sua famiglia e i finanziamenti pubblici da esse ricevuti nel corso dell'espletamento dei diversi mandati istituzionali da lui ricoperti. (4-07562)


   PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   il 30 dicembre 2014 il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, si è recato in visita ufficiale in Albania nell'ambito di un incontro bilaterale. Per tale viaggio istituzionale è stato utilizzato l'Airbus A 319, IAM9002, che, di ritorno da Tirana, è atterrato all'aeroporto di Ciampino alle ore 17,25 Z. Alle 18,01 Z il Presidente del Consiglio è ripartito a bordo di un Falcon 900 (IAM9002), numero di matricola MM62210, con destinazione Aosta;
   a dare per prima la notizia dell'arrivo del Premier ad Aosta è l'agenzia Ansa che subito dopo la mezzanotte, alle ore 00,30 del 31 dicembre 2014, comunica: «Il presidente del Consiglio Matteo Renzi, secondo quanto si apprende, è giunto questa sera ad Aosta. Il premier dovrebbe trascorrere con la famiglia qualche giorno di vacanza in Val D'Aosta». In mattinata, alle 08:17, la stessa Agenzia sarà più precisa specificando che Renzi «... è atterrato poco dopo le 21 all'aeroporto Corrado Gex di Aosta assieme ai suoi più stretti familiari.» Due ore dopo, precisamente alle 10,18, sempre l'Ansa diffonde i primi dettagli della giornata di vacanza del Premier: «Giornata sugli sci oggi per il premier Matteo Renzi che, con i suoi familiari, sta trascorrendo da ieri sera un breve periodo di vacanza a Courmayeur. Il presidente Renzi è uscito alla guida di un'auto alle 10 circa dalla Caserma Perenni del Centro addestramento alpino, dove risiede e si è diretto alla funivia che lo porterà sulle piste da sci della località del Monte Bianco. Ad accompagnarlo, tra gli altri, anche alcuni maestri di sci valdostani.»;
   la notizia fa immediatamente sollevare numerosi rumors. In particolare: sul vettore aereo impiegato dal Premier per raggiungere Aosta; sulla scelta dello scalo aeroportuale di Aosta, inadatto per gli atterraggi notturni, e sull'ospitalità in una Caserma degli alpini a fronte di numerose strutture alberghiere presenti nella nota località turistica. Immediate sono le reazioni politiche e dell'opinione pubblica per quella che, con il passare delle ore, comincia a delinearsi come l'ennesima riproposizione dell'italico malcostume di utilizzare voli di Stato per finalità private. Noti sono i precedenti: dall'ex Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che non solo risulta impegnasse regolarmente voli di Stato per andare in vacanza, anche con ospiti personali, nella sua villa in Sardegna ma addirittura talvolta assegnava ai voli effettuati dai suoi aerei ed elicotteri privati la qualifica di voli di Stato, al più sobrio ex Presidente Mario Monti che, con volo di Stato del 31esimo stormo dell'Aeronautica Militare, si recò a Milano per presenziare al compleanno di un suo caro amico e collega della Bocconi. Per non parlare dell'ex Ministro della giustizia, Clemente Mastella, che utilizzò un volo di Stato per recarsi ad assistere, in compagnia del figlio, al Gran Premio di Monza di F1, oppure dell'ex Ministro della difesa, Ignazio La Russa, che per seguire la sua squadra del cuore, l'Inter, non esitava ad utilizzare nell'arco dello stessa giornata un P180 dell'Arma dei Carabinieri per recarsi a Milano e un aeromobile dell'Aeronautica Militare per ritornare a Roma. Insomma: i precedenti non mancano;
   le informazioni ed indiscrezioni ricevute dal 30 dicembre in poi, fanno ritenere, agli interroganti inoltre, che l'aereo in questione abbia fatto una sosta a Firenze e da li sia ripartito alla volta di Aosta;
   a fronte di questo possibile scenario, si è provveduto a richiedere attraverso gli enti preposti (Enac ed Enav) la documentazione necessaria a supportare tale tesi, e si è ancora in attesa di ricezione:,
   se queste informazioni verranno confermate si può evincere che il Presidente del Consiglio non solo abbia utilizzato un volo di Stato per dirigersi ad Aosta in vacanza ma ha anche deviato il percorso previsto per fare tappa a Firenze, presumibilmente per imbarcare la famiglia;
   al divampare delle polemiche l’entourage del Presidente del Consiglio dei ministri, nella stessa giornata del 3 gennaio 2015, ultimo dei quattro giorni di vacanza, diffonde una nota ufficiale dove viene comunicato che: «Il premier Matteo Renzi ha pagato tutte le spese della vacanza sulla neve per sé e la famiglia e si è recato a Courmayeur non con il volo di Stato con cui è stato a Tirana, ma con un Falcon 900, nel pieno rispetto dei protocolli di sicurezza che regolano i suoi spostamenti, in linea con quanto avviene per i capi di governo di tutto il mondo». Lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri con un tweet dichiara: «gli spostamenti aerei, dormire in caserma, avere la scorta, abitare a Chigi non sono scelte ma frutto di protocolli di sicurezza.»;
   la nota ufficiale invece di dissipare le polemiche le aumenta. In primis perché, con un gioco di parole, si afferma che il Premier non ha utilizzato il volo di Stato, con cui è stato a Tirana, ma un Falcon 900 che è pur sempre un aeromobile di Stato. Anche l'inciso: «nel pieno rispetto dei protocolli di sicurezza che regolano i suoi spostamenti» lascia interdetti in quanto i voli di Stato sono soggetti ad una disciplina stringente fondata su criteri di economicità, opportunità e ammissibilità mentre i suddetti protocolli di sicurezza si applicano a tutte le cariche istituzionali a prescindere dal mezzo di trasporto impiegato. Risibile la chiusa «in linea con quanto avviene per i capi di governo di tutto il mondo», ad avviso dell'interrogante tipica espressione di qualunquismo italico del «così fan tutti», poiché, tranne le repubbliche delle banane e i regimi dittatoriali, in nessuna parte del mondo i Capi di Governo utilizzano aerei di Stato per andare in vacanza e nessun protocollo di sicurezza può assolutamente giustificare un utilizzo privato di aerei di Stato;
   questo uso spregiudicato dei voli di Stato da parte di esponenti del Governo del nostro Paese ad avviso dell'interrogante è frutto, oltre che di scarso senso civico, anche di una interpretazione elastica di disposizioni normative e regolamentari che, viceversa, sono molto stringenti e che vanno inquadrate tenendo conto della giurisprudenza costituzionale. Si segnala che solo recentemente, con l'articolo 3 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, si è arrivati a disciplinare i voli di Stato con norme di rango primario, essendo la materia da sempre oggetto di normativa regolamentare indipendente;
   l'inserimento del suddetto articolo 3 – che limita i voli di Stato esclusivamente alle missioni istituzionali del Presidente della Repubblica, dei Presidenti di Camera e Senato, del Presidente del Consiglio dei ministri e del Presidente della Corte Costituzionale, tranne eccezioni che devono essere autorizzate – trova la sua ratio nell'impedire usi inappropriati e nella razionalizzazione dei costi per ovvie ragioni di spending review;
   la direttiva di Stato del 23 settembre 2011, Direttiva in materia di trasporto aereo di Stato, che sostituisce la precedente del 25 luglio 2008, «Disciplina del trasporto aereo di Stato», dispone, infatti, norme stringenti finalizzate a porre limiti all'utilizzo di tali voli di Stato visto anche i surricordati abusi. Tra i limiti previsti nella suddetta direttiva giova ricordare:
    l'articolo 2, comma 4: «Non è ammessa la concessione del trasporto aereo di Stato per le tratte sulle quali sia presente il trasporto ferroviario e tale servizio, tenuto conto delle modalità di erogazione, risulti idoneo ad assicurare il trasferimento in tempi ed orari compatibili con gli impegni istituzionali della Personalità interessata.» Nello specifico caso Aosta è facilmente raggiungibile tramite collegamento ferroviario e dista pochi chilometri dall'aeroporto «Sandro Pertini» di Torino Caselle, facilmente raggiungibile tramite normale volo di linea e andare a sciare tutto rappresenta tranne che un impegno istituzionale;
    l'articolo 6, comma 1: «Sono ammessi al trasporto aereo di Stato esclusivamente i soggetti destinatari del volo e i componenti della delegazione della missione istituzionale indicati nella richiesta di concessione del trasporto aereo; sono ammessi, altresì, estranei alla delegazione accreditati dall'Autorità titolare del volo in quanto funzionali allo svolgimento della missione.» Nel nostro specifico caso il Premier e la sua famiglia non avevano da compiere nessuna missione istituzionale ad Aosta se non quella di recarsi a sciare a Courmayeur;
    l'articolo 7, comma 1: «Il trasporto aereo di Stato è disposto secondo criteri di economicità e di impiego razionale delle risorse, previa rigorosa valutazione dell'impossibilità, dell'inopportunità o della non convenienza dell'impiego di differenti modalità di trasporto, ovvero previa verifica delle specifiche esigenze di alta rappresentanza connesse alla natura della missione istituzionale supportata.» Per il trasporto aereo della famiglia del Presidente Renzi non è stato rispettato nessuno dei suddetti «criteri di economicità e di impiego razionale delle risorse» e non vi è stata nessuna rigorosa «valutazione dell'impossibilità, dell'inopportunità o della non convenienza dell'impiego di differenti modalità di trasporto», fermo restando che andare a sciare non rappresenta nessuna missione istituzionale;
   per la nostra Costituzione il Presidente del Consiglio è un primus inter pares poiché egli non è il solo titolare della funzione di indirizzo del Governo, ma si limita a mantenerne l'unità, promuovendo e coordinando l'attività dei Ministri (articoli 92 e 95 della Costituzione), pertanto, essendo di pari rango con gli altri Ministri, allo stesso va applicata a medesima disciplina regolamentare in materia di trasporto aereo di Stato, ovvero i medesimi criteri di economicità, opportunità e ammissibilità previsti per i suoi pari grado, con la sola eccezione della esclusione dalla procedura autorizzativa, obbligatoria per tutti gli altri casi, prevista dal su ricordato articolo 3 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98. Non essendo configurabile una preminenza del Presidente del Consiglio dei ministri rispetto ai Ministri, la previsione di una disciplina di favore nell'utilizzo dei voli di Stato rappresenterebbe oggetto di censura di costituzionalità, in quanto discriminatoria nei confronti degli altri Ministri suoi pari grado. Delle due l'una: o si applica al Presidente del Consiglio la stessa stringente disciplina regolamentare in materia di voli di Stato oppure si deve acconsentire a tutti i Ministri di poter andare a sciare con voli di Stato. Non esistono secondo l'interrogante alternative possibili;
   l'aeroporto Corrado Gex di Aosta è autorizzato a rimanere aperto dall'alba al tramonto – come da certificato Enac n. 1-025/APT rilasciato, ai sensi del regolamento per la costruzione e l'esercizio degli aeroporti, il 31 gennaio 2006 — e risulta che mai in passato sia stato consentito, per ovvie ragioni di sicurezza, l'atterraggio e il decollo notturno come al contrario si è verificato con il volo di Stato del Presidente del Consiglio dei ministri. In merito è stata presentata il 5 gennaio 2015 un'interrogazione alla giunta regionale della Valle d'Aosta per chiarire come questo sia stato possibile e quali oneri, anche a livello di impiego supplementare di risorse umane e strumentali, l'amministrazione regionale e il gestore aeroportuale, partecipata dalla stessa regione, si sono dovuti fare carico;
   andare in vacanza non rappresenta una missione istituzionale del Premier e nemmeno ragioni di sicurezza possono giustificare un uso improprio di tale prerogativa. Etica pubblica e senso dello Stato avrebbero dovuto imporre scelte differenti e meno onerose per la collettività, specialmente in tempi di crisi economica, tagli alle forze dell'ordine e ai servizi e aumento incontrollato del debito pubblico. Al contrario tali scelte mostrano secondo l'interrogante una cesura netta tra fatti e parole, una trasgressione evidente di norme passibili di denuncia al tribunale dei ministri e un aggravio per l'erario che è necessario quantificare –:
   se il Governo non ritenga doveroso chiarire le ragioni che hanno portato all'utilizzo di un volo di Stato per esigenze private;
   se il Governo non ritenga doveroso trasmettere al Parlamento tutta la documentazione amministrativa, tecnica e finanziaria atta a verificare la correttezza e la congruità dell’iter concessorio di tale volo di Stato e ogni atto formale adottato dal Sottosegretario di Stato delegato, dal segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri e dall'Ufficio per i voli di stato, di Governo e umanitari atti a far luce sulla programmazione, pianificazione e organizzazione di tale volo di Stato, in particolare sulle persone effettivamente trasportate e i costi sostenuti dal bilancio dello Stato. (4-07565)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 5 gennaio 2015, sul blog di Beppe Grillo è stata pubblicata un'intervista con Gioele Magaldi, alto esponente della massoneria e autore del volume Massoni, società a responsabilità limitata, edito da Chiarelettere;
   nell'intervista in parola, Magaldi ha esposto argomenti affrontati nel suddetto volume, in cui asserisce che importanti decisioni d'indirizzo politico nazionale siano riconducibili ad accordi interni a potenti logge massoniche – dette Ur-Lodges –, per l'autore organizzate su scala globale in modo da condizionare le dinamiche della democrazia negli Stati;
   ancora, Magaldi ha affermato nell'intervista in questione che il già presidente del Consiglio dei ministri e della Commissione europea Romano Prodi è senz'altro parte del network massonico sovranazionale in termini perfino clamorosi e insospettabili»;
   nell'aprile 2012, l'avvocato cassazionista Gianfranco Orelli presentò un esposto alla procura della Repubblica di Varese, riassumendo i passaggi, compiuti tra il 9 e il 18 novembre 2011, che portarono Mario Monti, membro del Gruppo Bilderberg, a succedere a Silvio Berlusconi alla guida del Governo;
   nell'atto di cui si tratta, l'avvocato scrisse anche di una «perdita di sovranità nazionale», sottolineando che «la sovranità in Italia non sia esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione secondo il precetto posto dall'articolo 1»;
   in un articolo di Maria Teresa Meli apparso l'11 febbraio 2014 sul sito Internet della testata giornalistica Il Corriere della Sera, venne raccontato nei termini di una «staffetta» l'improvviso e imprevisto avvicendamento – poi avvenuto – alla Presidenza del Consiglio tra il deputato Enrico Letta e l'allora sindaco di Firenze Matteo Renzi;
   nel medesimo articolo, offrendo un racconto analogo a quello dato dai principali quotidiani italiani, la Meli scrisse che «l'ipotesi della staffetta, al momento, è l'unica al vaglio dei leader dei partiti, dei vertici delle istituzioni e degli ambienti economici e imprenditoriali che contano», aggiungendo che «nei palazzi della politica si parla solo di questo e si dà l'avvicendamento Letta-Renzi per prossimo, sebbene, non vi sia ancora niente di ufficiale»;
   tale ricostruzione giornalistica sembra rivelativa, dunque, di una situazione particolare, per certo non proprio qualificabile nei termini di una crisi parlamentare allora in atto, se anche alla stampa di settore essa appariva ignota, sorprendente, quasi a metà strada tra il fantasioso e l'inverosimile;
   di lì a poco, come noto, l'allora sindaco di Firenze, Matteo Renzi, andò alla guida del Governo al posto del deputato Enrico Letta;
   nel diritto penale italiano, l'attentato contro la Costituzione dello Stato è il reato previsto dall'articolo 283 del codice penale (come modificato dalla legge 11 novembre 1947, n. 1317), fino a prima dell'ultima modificazione tipizzato come il reato di chiunque avesse commesso «un fatto diretto a mutare la costituzione dello Stato, o la forma del Governo, con mezzi non consentiti dall'ordinamento costituzionale dello Stato»;
   la legge n. 85 del 2006, approvata sotto la presidenza del Consiglio di Silvio Berlusconi e recante «Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione», ha ridotto la pena edittale per l'attentato contro la Costituzione dello Stato;
   l'articolo 1 dell'anzidetta legge ha sostituito l'articolo 283 del codice penale sull'attentato contro la Costituzione dello Stato, subordinando codesto reato alla presenza di «atti violenti» in «un fatto diretto e idoneo a mutare la Costituzione dello Stato o la forma di governo», da punire «con la reclusione non inferiore a cinque anni»;
   è evidente che l'aggiunta, rispetto alla fattispecie giuridica temporalmente precedente, dell'espressione «atti violenti» nella riferita norma di tutela innanzi ai tentativi di «mutare la Costituzione dello Stato o la forma di governo» restringe il campo delle ipotesi di attentato contro la Costituzione dello Stato, salvando le fattispecie concrete riconducibili a piani, accordi e movimenti occulti di potere miranti – in astratto – alla modificazione della Costituzione repubblicana e della forma di governo con mezzi non consentiti dall'ordinamento costituzionale dello Stato;
   con decreto del Presidente della Repubblica – registrato alla Corte dei conti il 15 dicembre 2006 – su proposta del presidente del Consiglio Romano Prodi e del Ministro dell'economia e delle finanze Tommaso Padoa Schioppa, fu approvato il nuovo statuto della Banca d'Italia – allora governata da Mario Draghi, poi diventato governatore della Bce – contenente la modifica sostanziale del vecchio articolo 3, per cui in ogni caso, a fronte di un capitale di 156.000 euro, rimasto inalterato nel nuovo testo, doveva «essere assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della Banca da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto» fosse «posseduta da enti pubblici»;
   per quanto sopra riassunto, venne pertanto a cadere la norma giuridica che imponeva la partecipazione maggioritaria del potere pubblico al capitale della Banca d'Italia, per il 94,33 per cento in mano – al 2014 – a banche e assicurazioni private, fatto primo che oggettivamente leva ogni tutela statale rispetto alle attività affidate a al medesimo Istituto;
   il 28 gennaio 2014, dopo la fiducia alla Camera dei deputati del 24 gennaio, il Governo Letta ottenne l'approvazione definitiva del cosiddetto decreto-legge «Imu-Bankitalia», contenente una rivalutazione del capitale di Banca d'Italia, nonostante un'inedita e clamorosa opposizione dei rappresentanti parlamentari del Movimento 5 Stelle, che la Camera cercarono invano di impedire il voto;
   da codesto provvedimento di rivalutazione delle quote, gli azionisti (di Banca d'Italia) Intesa e Unicredit avrebbero per esempio avuto – secondo un articolo di Costanza lotti e Gaia Scacciavillani apparso il 24 gennaio 2014 sul sito Internet di Il Fatto Quotidiano – «un guadagno compreso fra i 2,7 e i 4 miliardi», con – figura nel commento degli articolisti – un particolare iter della normativa, «varata in fretta e furia dal Consiglio dei ministri il 27 novembre scorso, proprio mentre le forze politiche erano intente a votare la decadenza del senatore Silvio Berlusconi»;
   ciò che più rileva, però, nonostante rimasta quasi del tutto occultata, è l'avvenuta blindatura, mediante il succitato provvedimento, della proprietà di Banca d'Italia in capo alle banche commerciali che ne detengono le quote, con tutte le conseguenze nefaste derivanti nella sfera dei controlli in materia di attività bancaria e di tutela del risparmio privato, nonché, soprattutto, di perdita – da parte del popolo – della possibilità di riappropriarsi della sovranità monetaria contenuta nel dettato dell'articolo 1 della Costituzione e sottratta con una serie di specifiche norme nazionali e sovranazionali;
   con la legge del 7 febbraio 1992 n. 82, proposta dall'allora Ministro del tesoro Guido Carli, si stabilì che la decisione sul tasso di sconto fosse di competenza esclusiva del governatore della Banca d'Italia e non dovesse essere più concordata di concerto  il Ministro del tesoro;
   con il decreto legislativo del 10 marzo 1998, n. 43, la Banca d'Italia fu sottratta alla gestione da parte del Governo italiano e ne fu sancita l'appartenenza al sistema europeo delle banche centrali, con la conseguenza che da allora la quantità di moneta circolante è decisa in autonomia dalla Banca centrale;
   il 3 giugno 1999 fu presentato al Senato della Repubblica, nel corso della XIII legislatura, il disegno di legge n. 4083, nominato «Norme sulla proprietà della Banca d'Italia e sui criteri di nomina del Consiglio superiore della Banca d'Italia»;
   tale disegno di legge fu annunciato nella seduta pomeridiana n. 630 del 15 giugno 1999 e assegnato l'otto luglio 1999 alla 6a Commissione permanente (Finanze e tesoro) in sede referente;
   il medesimo disegno di legge prevedeva che il capitale della Banca d'Italia fosse «interamente sottoscritto dal Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica» e che fossero «incedibili» le quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia;
   ancora, il succitato disegno di legge delegava il Governo «ad emanare, entro un anno dalla data di entrata in vigore», «un decreto legislativo avente ad oggetto le modalità di rimborso delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia, prefissandone i princìpi e criteri direttivi»;
   il 2 marzo 2012 a Bruxelles fu redatto il cosiddetto fiscal compact, il patto di bilancio europeo che prevede enormi sacrifici;
   con l'approvazione del relativo trattato in Italia, avvenuta nell'estate del 2012, il riferito dispositivo è entrato nella Costituzione italiana;
   il derivante «pareggio di bilancio» è ormai un obbligo, tuttavia in contrasto con i doveri della Repubblica e con i diritti dei cittadini, sempre più sottoposti a tagli e tasse che producono perdita di servizi, di lavoro, di economie, di speranza nel futuro;
   l'Italia ha dunque ceduto prerogative di giurisdizione nazionale all'Unione europea, così risultando già ipotecate le politiche economiche dei prossimi decenni;
   l'approvazione del fiscal compact e degli atti collegati è opera dell'attuale maggioranza e dell'attuale opposizione, ad esclusione del Movimento cinque stelle e di Sinistra, ecologia e libertà, che non erano in parlamento nella XVI legislatura;
   il 9 maggio 2010 fu costituito il Fondo europeo di stabilità finanziaria, poi sostituito dal Meccanismo europeo di stabilità (Mes), detto anche Fondo salva-Stati, finalizzato alla stabilità finanziaria della zona euro e istituito dalle modifiche al Trattato di Lisbona (articolo 136);
   le suddette modifiche furono approvate il 23 marzo 2011 dal Parlamento europeo e ratificate dal Consiglio europeo a Bruxelles, il 25 marzo 2011;
   il Meccanismo europeo di stabilità ha assunto la veste di organizzazione intergovernativa, col potere di imporre scelte di politica macroeconomica ai Paesi aderenti;
   l'Italia ha sottoscritto una partecipazione al Meccanismo europeo di stabilità di 125.395.900.000 di euro, capitale che, per quanto deciso nella riunione del riunione del 30 marzo 2012 dell'Eurogruppo, è stato versato entro la metà del 2014;
   alle riferite misure europee non corrisponde un'informazione chiara e presto disponibile sui soggetti che le gestiscono, pur se rivolte all'intera popolazione degli Stati membri, in larga parte esclusa dalla conoscenza di trattati e dispositivi che nella pratica ne limitano in misura non più controllabile la capacità di spesa, con soppressioni continue dei servizi pubblici indispensabili, diminuzione dei trasferimenti statali agli enti del territorio, dissesti sempre più frequenti e il concreto rischio di sgretolamento della rappresentatività democratica;
   è recente, poi, la proposta di europeizzazione delle quote eccedenti il 60 per cento del rapporto fra debito del singolo Stato membro e Pil, da raggiungere entro 20 anni secondo le previsioni del «Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria»;
   nella formulazione corrente, la predetta europeizzazione delle quote eccedenti, denominata «Fondo di redenzione europeo», prevede, come garanzia dal singolo Stato membro, la possibilità di aggredire propri beni demaniali, opere d'arte e riserve auree;
   la riforma delle pensioni cosiddetta «Fornero», dal nome del Ministro responsabile, emanata ai sensi dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, la quale – arrivata in un contesto di crisi economica su cui, a parere degli interroganti, si registra una generale, gravissima menzogna in ordine alle sue cause – ha esteso a tutti i lavoratori il metodo di calcolo contributivo delle pensioni, di fatto condannando le nuove generazioni all'indigenza nella vecchiaia e dimenticando completamente la condizione del Mezzogiorno italiano, in cui persistono il lavoro nero e il lavoro mafioso, dei cui proventi, per l'Istat, si potrà inserire – a partire dal 2014, in coerenza con le linee Eurostat – una stima nei conti (e quindi nel Pil), con riferimento ad attività illegali come traffico di sostanze stupefacenti, servizi della prostituzione e contrabbando (di sigarette o alcol);
   nel succitato citato articolo di Gianni Barbacetto e Fabrizio D'Esposito riguardante il libro di Magaldi «Massoni, società a responsabilità limitata», edito da Chiarelettere, si fa riferimento a un elenco – mutuato dal volume in parola, nel quale, peraltro, si sostiene che il Presidente del Consiglio in carica, Matteo Renzi, sarebbe un «aspirante fratello» – di burocrati, politici e imprenditori italiani nelle UrLodges, cui secondo l'autore apparterrebbero Mario Draghi, Giorgio Napolitano, Mario Monti, Fabrizio Saccomanni, Pier Carlo Padoan, Massimo D'Alema, Gianfelice Rocca, Domenico Siniscalco, Giuseppe Recchi, Marta Dassù, Corrado Passera, Ignazio Visco, Enrico Tommaso Cucchiani, Alfredo Ambrosetti, Carlo Secchi, Emma Marcegaglia, Matteo Arpe, Vittorio Grilli, Giampaolo Di Paola, Federica Guidi –:
   se non ritengano indispensabile e urgente fornire precisi chiarimenti rispetto alle gravi questioni qui sollevate in ordine al Governo in carica;
   quali iniziative intendano assumere, nell'ambito delle rispettive competenze, per tutelare la Costituzione, specie a garanzia della sovranità monetaria contenuta nell'articolo 1 della medesima;
   se non ritengano improrogabile promuovere una modificazione normativa circa il valore e la proprietà delle quote della Banca d'Italia, di modo che esse siano soltanto dello Stato, e riguardo all'attuale fattispecie giuridica del reato di attentato alla Costituzione, perché esso si sostanzi in ogni fatto teso a modificare, indipendentemente da atti violenti, la Costituzione repubblicana o la forma di governo. (4-07566)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   PRATAVIERA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la Repubblica Dominicana è destinazione d'elezione di un certo numero di pensionati italiani, che vi si trasferiscono per trascorrervi più serenamente la loro vecchiaia;
   a dispetto della presenza di una comunità di italiani che vi risiedono, il Governo del nostro Paese ha chiuso l'ambasciata, affidando la cura degli interessi nazionali nella Repubblica Dominicana alla legazione diplomatica basata a Panama;
   la circostanza è motivo di irritazione e preoccupazione per i concittadini che risiedono nella Repubblica Dominicana;
   ha destato particolare sensazione quanto è accaduto al signor Giovanni Orti, giunto a Santo Domingo nel 2013 e stabilitosi nella provincia dominicana di El Seibo, che ha prima perso la casa ed è stato successivamente assalito e derubato, precipitando in una situazione di assoluta precarietà della quale si è occupata anche la stampa locale;
   fermato dalla polizia locale e controllato il suo passaporto italiano, Orti è stato condotto presso la sede dell'ambasciata, del nostro Paese a Santo Domingo, che tuttavia è risultata aver chiuso i battenti dal 31 dicembre 2014;
   nelle more di un soccorso da parte dello Stato che tarda tuttora a materializzarsi, Orti ha beneficiato dell'assistenza volontariamente prestatagli da altri italiani residenti nella Repubblica Dominicana;
   il caso di Orti non sarebbe isolato –:
   quali misure il Governo intenda adottare ed in quali tempi per soccorrere il signor Giovanni Orti, abbandonato a se stesso ed alla buona volontà del prossimo nella Repubblica Domenicana;
   quali criteri abbiano condotto il Governo alla decisione di chiudere l'ambasciata d'Italia a Santo Domingo a dispetto del fatto che nella Repubblica Dominicana risiedano numerosi pensionati italiani. (4-07554)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PES. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'area archeologica di Cornus (Cuglieri-Oristano), importantissima necropoli tardo antica, le cui prime campagne di scavo risalgono al 1950, è in uno stato di progressivo degrado e necessita di urgenti interventi di consolidamento delle strutture e di valorizzazione, al fine di renderla accessibile e fruibile da turisti e studiosi;
   le condizioni precarie di Cornus sono state denunciate anche sulla stampa in cui si riferisce di strutture fatiscenti di accesso al sito e di un abbandono diffuso che caratterizza l'intera area archeologica;
   questo sito è considerato di eccezionale interesse dagli studiosi di archeologia medievale. A questo proposito vogliamo citare l'intervento pubblicato in «trentacinque anni di Archeologia medievale alla Sapienza», della professoressa Letizia Pani Ermini, ordinaria di archeologia medievale presso l'università degli studi di Roma «La Sapienza» e direttore del dipartimento di scienze storiche archeologiche e antropologiche dell'antichità, nella rivista di «Scienze Umanistiche», n. 1 del 2005, che con testuali parole descrive l'importanza di Cornus nel panorama archeologico della Nazione: «...dal 1976, su affidamento della Soprintendenza ai beni archeologici di Cagliari, chi scrive ... ha condotto annualmente campagne di scavo che hanno portato alla rimessa in luce del complesso episcopale dell'antica città punica e romana di Cornus, unico esempio in Italia sul piano archeologico di un’insula episcopalis completa nelle sue strutture, con la chiesa vescovile, il battistero, la basilica funeraria, l'area cimiteriale sub divo, il palazzo episcopale, gli impianti artigianali, un complesso rimasto in vita dal IV almeno all'VIII secolo». Dunque un sito eccezionale per la sua completezza e unicità;
   inoltre gli studi sin qui condotti ci mostrano un'area archeologica fortemente stratificata, infatti affermano che Cornus venne fondata dai Cartaginesi alla fine del IV secolo avanti Cristo e che ebbe una continuità di vita sino al periodo tardo-antico. La fase punica è testimoniata dalla cinta muraria, dalle sepolture e dai tanti reperti recuperati dagli scavi;
   al periodo tardo antico, si fa risalire il complesso cristiano detto Columbaris, infatti, al III secolo e all'inizio del IV secolo dopo Cristo appartiene una vasta area cimiteriale nella quale sono presenti tombe a «cappuccina», sepolture dette a «enkytrismos» e il rinvenimento di «mensae» per il rito funebre del «refrigerium». A questo periodo appartiene anche la costruzione di una prima basilica con battistero dove trovarono sepoltura in sarcofagi di pietra i membri più importanti della comunità. I resti di alcune basiliche risalenti al V e VI secolo dopo Cristo conservano ancora visibili i tratti connotativi dell'architettura basilicale tardo-antica;
   all'inizio del Novecento, il noto archeologo e accademico dei Lincei Antonio Taramelli, nell'ambito delle sue ricerche approfondite sul territorio sardo, fece una prima concreta ricognizione delle evidenze archeologiche, seguita poi dagli studi condotti dall'università degli studi di Sassari, che sulla base dei dati storici ed epigrafici, oltre che dai rilievi archeologi, resero possibile una ricostruzione storica e topografica di Corpus;
   l'area archeologica di Cornus risulta per quanto esposto essere un sito di grande valore storico-artistico dove, le differenti civiltà cartaginese prima e romana poi hanno lasciato ingenti segni materiali della propria cultura, ai quali in seguito si sono aggiunte le importantissime strutture tardo antiche, rari esempi di architetture basilicali paleocristiane nell'isola sarda, che per la particolare composizione rendono questo sito unico;
   secondo quanto stimato dalla soprintendenza per i beni archeologici per le province di Cagliari e Oristano ammonterebbe a circa 150.000 euro il sostegno economico di cui il sito archeologico necessiterebbe per vedere garantita la sua tutela e valorizzazione –:
   quali iniziative il Ministero, per quanto esposto e in considerazione delle eccezionali caratteristiche di Cornus, della sua specificità e unicità, possa prevedere per arginare lo stato di degrado in cui versa il sito valorizzarlo e tutelarlo, anche a seguito dell'ordine del giorno sottoscritto dall'interrogante e accolto nell'ambito della conversione in legge del decreto-legge n. 83 del 2014. (5-04494)


   GAGNARLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a Roma, nella preziosa area del Pincio inclusa nel complesso di Villa Borghese, sono ripresi i lavori – avviati durante l'amministrazione romana di Alemanno – per la realizzazione delle scuderie per cavalli destinate a uso esclusivo dei trentotto conduttori delle cosiddette botticelle, carrozze turistiche a traino equestre;
   è nota l'annosa avversione dei cittadini romani per queste particolari carrozze, nonché l'eccezionale mobilitazione delle associazioni protezionistiche per chiedere la loro dismissione e la trasformazione del servizio, secondo l'interrogante anacronisticamente crudele e pericoloso per gli animali, testimoniate da migliaia di firme raccolte, decine di manifestazioni e un'eccezionale attenzione da parte dei media italiani e stranieri;
   la tradizione delle botticelle risale al tardo ottocento e oggi è inaccettabile, date le condizioni in cui sono costretti gli animali utilizzati per il trasporto dei turisti: traffico intenso e convulso, intollerabili caratteristiche del fondo stradale, rumori elevati e imprevedibili, condizioni climatiche avverse – specie durante la stagione estiva –, assenza di un pensionato per i cavalli che a lungo hanno concluso dichiaratamente la carriera al mattatoio mentre oggi sulla loro fine vige un silenzio omertoso;
   la violazione delle esigenze etologiche dei cavalli, frequenti vittime di cadute, malori quando non incidenti mortali per lungo le strade della Capitale, configura reato ai sensi dell'articolo 544-ter del codice penale;
   le scuderie in realizzazione interessano una superficie di circa due ettari e prevedono lo sbancamento di una parte della collina del Pincio (e non saranno realizzate nel pressi dell'ex galoppatoio, come da più parti indicato, che si trova invece dall'altra parte della strada), uno dei luoghi più celebri e rilevanti di Roma sotto il profilo storico, architettonico, paesaggistico;
   tali lavori hanno ricevuto nel 2010-2011 il nullaosta delle sovrintendenze, nonostante la loro onerosità di intervento: cementificazione del suolo, scavi per il sistema fognario, camere d'aria, realizzazione di strutture per la guardiania e quanto può riguardare l'edificazione di 120 box, mentre risulta assente la previsione di paddock per il necessario sgambamento degli animali;
   l'entità degli interventi è dunque tale da rendere paradossale la finalità di «alloggiamento temporaneo», così come l'opera in questione è stata definita al solo scopo, a parere degli interroganti, di ottenere il nullaosta necessario;
   come è noto, infatti, le ville storiche di Roma rappresentano un patrimonio prezioso del nostro Paese e sono sottoposte a vincoli per preservarne il valore e le caratteristiche di bene pubblico; Villa Borghese, in particolare, è tutelata dalla legge 1089 del 1939, è compresa nei beni riconosciuti dall'Unesco come patrimonio dell'umanità, è stata ricompresa dalle norme europee tra i SIC, Siti di Interesse Comunitario rientra perfettamente nelle peculiarità della Carta di Firenze che equipara i giardini storici a monumenti. Inoltre il punto 4.5. del PTPR (Piano territoriale paesistico della regione Lazio) stabilisce l'incompatibilità di installare manufatti leggeri anche prefabbricati e strutture di qualsiasi genere che non siano diretti a soddisfare esigenze temporanee all'interno di parchi, ville e giardini storici secondo il dettato dell'articolo 3 lettera e) 5 del decreto del Presidente della Repubblica 380 del 2001 che dà la seguente definizione di manufatti con destinazione d'uso non temporanea e quindi permanente: «installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali rulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee»; è, quindi, evidente il totale contrasto tra tali norme e la realizzazione delle scuderie in questione;
   di tali elementi non si è voluto tenere evidentemente conto, rendendo prevalenti gli interessi di pochi privati – 38 vetturini – volti ad una attività del tutto impopolare nella città, inaccettabile, a parere degli interroganti, sotto il profilo delle garanzie per gli animali e nonostante sia stata ripetutamente nel tempo offerta la possibilità ai conduttori di convertire il loro lavoro in quello di conducenti di taxi;
   la vicenda di Villa Borghese appare all'interrogante dunque come un'autentica privatizzazione di un patrimonio pubblico, per di più assai duratura nel tempo, in quanto le licenze per le botticelle hanno una durata indeterminata, con evidente, ulteriore, smentita della temporaneità dell'alloggiamento che si è voluta invocare in relazione ai vincoli;
   a tutt'oggi, le nuove scuderie comportano un onere finanziario equivalente a 1.350.000 euro, di cui 830.000 euro sono stati assegnati nella scorsa consiliatura e 470.000 concessi dalla giunta capitolina attuale; tutto questo a spese dei cittadini romani, nonostante le generali, rilevanti difficoltà economiche e le condizioni di dissesto del comune: inoltre, alcuni anni fa era stata spesa una somma superiore ai 500.000 euro al fine di dotare le botticelle di motori elettrici per agevolarne la trazione;
   le associazioni sono vicine al conseguimento delle 5000 firme necessarie per la proposta di legge di iniziativa popolare con cui si chiede l'abolizione del servizio –:
   quali misure intenda adottare il Ministro interrogato per assicurare la tutela del Pincio, di Villa Borghese nonché il rispetto della legge a tutela della stessa;
   sulla base di quali motivazioni le sovrintendenze abbiano potuto accordare la possibilità di opere all'interno dell'area tutelata con evidente danno grave e permanente ad una delle più preziose testimonianze del nostro patrimonio culturale;
   se i Ministri interrogati non ritengano di assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a evitare effetti crudeli sugli animali in relazione alla tradizione delle cosiddette botticelle, che per le sue caratteristiche, secondo l'interrogante ormai, si pone in pieno contrasto con le attuali normative a tutela degli animali. (5-04496)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   RABINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la recente legge di stabilità per l'anno 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190) ha disposto un ulteriore versamento da parte dei concessionari di giochi pubblici (delle sole slot machine, «Vlt e Awp») nella misura complessiva di euro 500.000.000, entro i mesi di aprile ed ottobre, da suddividersi tra i 13 concessionari in proporzione al numero di VLT ed AWP ad essi riferibili, alla data del 31 dicembre 2014;
   il conteggio delle apparecchiature riferite a ciascun concessionario ed il calcolo della relativa imposta (pro quota), è stato demandato ad un successivo decreto a cura dall'Amministrazione delle dogane e dei monopoli da pubblicarsi entro il 15 gennaio 2015;
   il decreto, che è stato puntualmente pubblicato entro la data prevista, conteggia, in riferimento al concessionario Sisal Entertainment, 3846 VLT a carico di quest'ultima, contro un totale di VLT possedute pari a 5600;
   risulta, altresì, che Sisal Entertainment abbia provveduto alla «dismissione» di ben 1800 VLT in data 29 dicembre 2014 (due giorni prima del conteggio di ADM), e che in questi giorni sia in corso una febbrile attività di ripristino delle 1800 VLT temporaneamente «dismesse»;
   Sisal Entertainment ha ridotto temporaneamente la propria quota di mercato (giusto i due o tre giorni prima e dopo il conteggio del 31 dicembre), traendo un vantaggio economico di almeno 2,5 milioni di euro;
   è possibile che Sisal, agendo secondo l'interrogante in contrasto con i principi di buona fede e correttezza, indispensabili per la qualifica di concessionario di rete di gioco pubblico, possa trarre un vantaggio economico nei confronti di tutti gli altri 12 concessionari che non hanno dismesso VLT e che pertanto hanno avuto un conteggio «sfavorevole» (non variando la cifra totale dell'imposta, pari a euro 500.000.000);
   inoltre, sembrerebbe conseguentemente che Sisal abbia danneggiato dolosamente l'erario, privandolo della raccolta delle imposte per tutti i giorni intercorrenti tra la disattivazione e la riattivazione delle VLT al solo fine di ridurre la propria quota di spettanza della tassa stabilita dalla legge di stabilità;
   l'Amministrazione dogane e monopoli avrebbe certamente notato gli strani movimenti delle VLT di Sisal (- 1800 prima del conteggio, + 1800 già in questi giorni), essendo essa stessa coinvolta in maniera attiva in ogni passaggio di movimentazione delle VLT;
   se l'operato di Sisal rientri in quelli previsti dalla fattispecie legislativa, ovvero se al contrario sia assolutamente proibito sospendere con le discutibili modalità descritte in premessa la raccolta;
   se la sospensione da parte di un concessionario di rete della accolta di gioco e della raccolta delle relative imposte nelle forme descritte in premessa possa essere motivo di revoca immediata della concessione;
   se non sia opportuno, altresì, verificare la correttezza dell'operato della Amministrazione dogane e monopoli, la quale deve necessariamente e tecnicamente collaborare con il concessionario per autorizzare le procedure di dismissione e di riattivazione;
   quali iniziative intenda adottare per evitare il verificarsi di altri situazioni simili, dal momento che il settore dei giochi pubblici è stato a lungo oggetto delle attenzioni della magistratura e che ai concessionari di tali giochi fu già comminata una delle più grandi sanzioni della storia repubblicana italiana, in concorso con esponenti dell'Amministrazione dogane e monopoli. (3-01252)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   CIVATI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 25, lettera c), della legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità per il 2013) ha previsto la presa in carico da parte del Ministero della giustizia di quelle lavoratrici e di quei lavoratori che, a partire dal 2010, hanno prestato attività attraverso lavori socialmente utili negli uffici giudiziari garantendo per il 2013 il completamento del tirocinio formativo e un contributo economico da parte del Ministero per tutti coloro che al momento della presentazione della domanda fossero in una lista di mobilità, cassaintegrati, inoccupati o, disoccupati;
   la legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per 2014), all'articolo comma 344, prevede che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e della giustizia, sia stabilita la ripartizione in quote delle risorse confluite nel capitolo del Ministero della giustizia in cui è versato il maggior gettito derivante dall'aumento del contributo unificato per essere destinate, oltre che all'assunzione di personale di magistratura ordinaria, anche, e per il solo 2014, per consentire lo svolgimento di un periodo di perfezionamento, da completare entro il 31 dicembre 2014, a coloro che hanno completato il tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari. Si tratterebbe, secondo quanto previsto dal citato articolo 1, comma 25, della legge n. 228 del 2012, di lavoratori cassintegrati, in mobilità, socialmente utili e disoccupati;
   l'onere di spesa per consentire lo svolgimento del periodo di perfezionamento, è stato fissato in 15 milioni di euro. La suddetta legge ha altresì stabilito che la titolarità del progetto formativo spetta al Ministro della giustizia;
   allo stesso articolo 1, comma 344, prevede che, a decorrere dall'anno 2015, una quota di 7,5 milioni di euro dell'importo destinato ai citati progetti formativi del 2014, ovvero 15 milioni di euro, deve essere destinata all'incentivazione del personale amministrativo;
   l'articolo 50, comma 1-bis, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, stabilisce che «Con decreto del Ministro della giustizia, da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono determinati, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, il numero nonché i criteri per l'individuazione dei soggetti che hanno completato il tirocinio formativo di cui all'articolo 37, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e successive modificazioni, che possono far parte dell'ufficio per il processo, tenuto conto delle valutazioni di merito e delle esigenze organizzative degli uffici giudiziari»;
   ad oggi gli ex tirocinanti presso gli uffici giudiziari sono poco meno di 3.000; questi lavoratori hanno svolto e stanno svolgendo nell'anno in corso un'attività assai utile di sostegno allo smaltimento di lavoro arretrato di cui gli uffici giudiziari sono oberati; costoro hanno ormai acquisito un ragguardevole bagaglio di competenza e di professionalità, che, se venisse disperso, inciderebbe negativamente sul livello di efficienza degli uffici giudiziari;
   è importante che le risorse investite dallo Stato nella formazione di queste lavoratrici e di questi lavoratori possano essere utilizzate al meglio consentendo un loro utilizzo all'interno dell'ufficio del processo, o considerando un inserimento lavorativo con la stipulazione di un contratto a tempo determinato –:
   se il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, abbia già individuato il numero e i criteri per l'individuazione dei soggetti che hanno completato il tirocinio formativo di cui all'articolo 37, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e successive modificazioni, che possono far parte dell'ufficio per il processo;
   se il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, intenda dar corso alla prospettiva di inserimento lavorativo dei soggetti che hanno completato il tirocinio formativo di cui all'articolo 37, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, attraverso la contrattualizzazione delle relative posizioni, bandendo a livello distrettuale un corrispettivo di posti, il cui rapporto di lavoro sarebbe regolato da un contratto a tempo determinato fino al 31 dicembre 2015, con risorse attinte dal Fondo unico giustizia ai sensi dell'articolo 2 comma 7 e 7-bis del decreto-legge 143 del 2008. (4-07561)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 30 luglio 2012, n. 151 Regolamento recante modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 495 del 1992 stabilisce nuove norme in materia di strutture, contrassegno e segnaletica per facilitare la mobilità delle persone invalide ed introduce il nuovo «contrassegno di parcheggio per disabili» conforme al modello previsto dalla raccomandazione n. 98/376/CE del Consiglio dell'Unione europea del 4 giugno 1998;
   il comma 5 dell'articolo 381 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, così modificato dall'articolo 25, comma 3, decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114 stabilisce che: «Nei casi in cui ricorrono particolari condizioni di invalidità della persona interessata, il comune può, con propria ordinanza, assegnare a titolo gratuito un adeguato spazio di sosta individuato da apposita segnaletica indicante gli estremi del “contrassegno di parcheggio per disabili” del soggetto autorizzato ad usufruirne. Tale agevolazione, se l'interessato non ha disponibilità di uno spazio di sosta privato accessibile, nonché fruibile, può essere concessa nelle zone ad alta densità di traffico, dietro specifica richiesta da parte del detentore del “contrassegno di parcheggio per disabili”. Il comune inoltre stabilisce, anche nell'ambito delle aree destinate a parcheggio a pagamento gestite in concessione, un numero di posti destinati alla sosta gratuita degli invalidi muniti di contrassegno superiore al limite minimo previsto dall'articolo 11, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1996, n. 503, e può prevedere, altresì, la gratuità della sosta per gli invalidi nei parcheggi a pagamento qualora risultino già occupati o indisponibili gli stalli a loro riservati»;
   si stima che in Europa più di una persona su cinque presenti una forma di disabilità, ovvero una mobilità ridotta. Anche per questo motivo, le istituzioni comunitarie hanno avviato da anni una strategia volta ad attuare un'azione complementare, a livello europeo e nazionale, per favorire la più ampia inclusione delle persone diversamente abili, anche attraverso il superamento degli ostacoli alla loro mobilità;
   il nuovo contrassegno unificato europeo andrà a sostituire il precedente bollino arancione e raffigura una carrozzina bianca su un fondo azzurro. Tale contrassegno rappresenta, all'interno di uno spazio comune, un riconoscimento e una garanzia uniforme alla piena mobilità di tutti gli automobilisti diversamente abili residenti negli Stati membri;
   in apparente, parziale contraddizione rispetto al suddetto orientamento, il comma 5 dell'articolo 381 (decreto del Presidente della Repubblica 495 del 1992 rischia di lasciare, tuttavia, un'eccessiva discrezionalità ai singoli comuni, sia per quanto riguarda il numero di posti destinati alla sosta gratuita degli invalidi nei parcheggi a pagamento gestiti in concessione, sia per quanto attiene alla previsione, negli stessi parcheggi a pagamento, della gratuità della sosta per gli invalidi, qualora risultino già occupati o indisponibili gli stalli a loro riservati;
   appare infatti del tutto evidente come l'orientamento europeo, ma anche il senso di civiltà e di evoluzione culturale delle nostre comunità, vadano nel senso della piena tutela della disabilità e dei suoi diritti, ma l'eccessiva apparente discrezionalità possa rischiare di tradursi, in casi sporadici ma dolorosi, in atteggiamenti di insensibilità da parte degli enti locali;
   neppure appare condivisibile l'eventuale obiezione per cui l'interpretazione inclusiva dello spirito del decreto del Presidente della Repubblica 495 del 1992 confliggerebbe con la impossibilità di attivare i controlli di legittimità dello status di invalido: l'eventuale esposizione di una copia fotostatica invece dell'originale del contrassegno per disabili è considerata irregolare o addirittura configura il reato di «falsità materiale» (Cassazione penale sezione V sentenza 21 novembre 2011 n. 42957);
   sarebbe invece gravissimo che l'incapacità di una verifica puntuale delle condizioni di legittimità da, parte dei comuni si traducesse in un'interpretazione restrittiva e punitiva del decreto del Presidente della Repubblica 495 del 1992, con mancato rispetto della riserva dei posti stabiliti dal combinato disposto del decreto del Presidente della Repubblica 503 del 1996 e della legge 114 del 2014 oppure con la rinuncia alla concessione della gratuità della sosta nei parcheggi a pagamento, qualora saturati gli stalli riservati;
   solo a titolo esemplificativo e come riportato dalla stampa locale (vedasi «L'Unione Sarda» del settembre e del gennaio 2013) nel comune di Quartu Sant'Elena (Ca) la polizia municipale ha reiteratamente comminato sanzioni pecuniarie ai proprietari degli autoveicoli a disposizione delle persone disabili (conducenti ovvero passeggeri) che hanno parcheggiato l'autovettura munita di regolare contrassegno nelle aree a pagamento, allorché gli stalli a loro riservati risultavano già occupati –:
   quali misure intenda adottare, per quanto di propria competenza, volte a evitare contraddittorie difformità da parte dei diversi comuni italiani nell'interpretazione e nell'applicazione delle normative nazionali ed europee, allorché la loro ratio palesemente ed inequivocabilmente è quella di garantire la più ampia ed uniforme tutela degli automobilisti diversamente abili e la loro piena mobilità su tutto il territorio nazionale e addirittura comunitario;
   se intende assumere iniziative normative per prevedere un sistema di controlli e verifiche più efficaci e stringenti in materia di riserva di un adeguato numero di posti destinati alla sosta gratuita degli invalidi nelle aree destinate a parcheggio a pagamento gestite in concessione e per la previsione della gratuità della sosta per gli invalidi negli stessi parcheggi a pagamento, qualora risultino già occupati o indisponibili gli stalli a loro riservati, in ottemperanza alle indicazioni delle normative europee e alla diffusa sensibilità nei confronti della tutela della disabilità che caratterizza la cultura della società italiana. (4-07556)

INTERNO

Interrogazioni a risposta orale:


   PALMIZIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'Interno ha recentemente riproposto, durante alcuni incontri con le organizzazioni sindacali di categoria, il piano di chiusura di 251 presidi della polizia di Stato, piano già formulato la scorsa primavera;
   i tagli in questione, fortemente contestati dai sindacati di polizia, che stanno conducendo una campagna di sensibilizzazione in tutto il Paese, sono fortemente penalizzanti soprattutto per gli uffici della polizia postale e delle comunicazioni, in quanto è prevista la chiusura di una settantina di presidi che porterà un serissimo nocumento nella lotta ai reati pedopornografici on line e alle truffe informatiche;
   i tagli e le chiusure interessano in maniera determinante anche la polizia ferroviaria e la polizia stradale, azzerando anche le squadre nautiche e alcuni uffici di frontiera marittima strategici, come quello di Gioia Tauro;
   la soppressione potrebbe interessare anche numerosi commissariati cittadini di pubblica sicurezza, nell'ottica di una spending review che non riduce sprechi e inefficienze ma colpisce invece l'apparato della sicurezza, tentando di colmare la carenza di organico, che ammonta a circa 18.000 unità, tagliando semplicemente i presidi e facendo ricadere sugli utenti le conseguenze altamente negative che una minor presenza di presidi di polizia sul territorio comportano;
   il Ministro interrogato, atteso nella giornata del 14 gennaio 2015, in Commissione affari costituzionali per rispondere ai numerosi quesiti riguardanti il piano di riordino della Polizia, ha preferito esprimersi in una trasmissione radiofonica «Radio anch'io» su Radiouno Rai – dichiarando che sul personale e gli uffici di polizia «non abbiamo chiuso niente: da quando ci sono io al Viminale fin qui il segno è stato più»;
   nella medesima trasmissione radiofonica, il Ministro ha dichiarato: «Attraverso la collaborazione con i colossi del web dobbiamo costruire insieme un “contromessaggio” di valori positivi rispetto alla retorica terroristica» –:
   se il Governo intenda sospendere il prospettato e ad avviso dell'interrogato «feroce» progetto di chiusura selvaggia degli Uffici di polizia e procedere, invece, ad una riforma seria che conduca ad una razionalizzazione ragionevole e concordata del sistema della sicurezza italiana;
   come intenda coniugare la campagna del Dipartimento della pubblica sicurezza «Vita da social», contro il cyberbullismo e i reati informatici, con la chiusura di 73 uffici della polizia postale e delle comunicazioni in tutta Italia;

se non ritenga invece utile incrementare i presidi di polizia postale, considerate le sue stesse dichiarazioni su come i terroristi utilizzino il web per pianificare attentati, finanziarsi e colpire gli obiettivi. (3-01250)


   CAUSIN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 7 gennaio 2015, l'assessore della regione Veneto Elena Donazzan, che tra altre deleghe esercita anche quella all'istruzione, ha ritenuto di trasmettere una propria circolare ai presidi di tutte le scuole di ogni ordine e grado, in cui traendo spunto dai tragici avvenimenti di Parigi, sollecita i dirigenti scolastici e gli insegnanti ad avviare un dibattito sul tema;
   il documento in questione, che è stato immediatamente resa pubblico, contiene alcuni passaggi e opinioni che hanno creato un disagio nella comunità islamica che da anni lavora con le istituzioni italiane, al fine di giungere ad un livello di convivenza e integrazione che ha reso possibile la presenza di centinaia di migliaia di persone, provenienti da svariati Paesi. Queste persone vivono pacificamente la propria dimensione religiosa nell'ambito delle libertà previste all'interno della Carta costituzionale italiana e in un Paese come l'Italia che, in quanto cattolico, è per sua natura tollerante;
   la circolare non si limita infatti a chiedere che nelle scuole venga discusso l'attentato di Parigi, ma, a giudizio dell'interrogante sconfinando dalle proprie competenze, è finalizzata «ad ottenere una condanna degli attentati islamici da parte di genitori e studenti mussulmani», senza considerare che tal genere di presa di posizione, che può essere legittimamente richiesta dagli Stati alle comunità musulmane in essi insediate, in ambito scolastico è impropria, non può essere adottata e rischia di ingenerare tensioni;
   inoltre, nella circolare si accosta al terrorismo e ai fatti di Parigi, un episodio di micro criminalità accaduto in località Musile di Piave (Verona) ad opera di un cittadino extracomunitario minorenne, ascrivibile al degrado e al disagio, non certo a ragioni di carattere ideologico o di fondamentalismo religioso;
   il 12 gennaio 2015 da Casallanca (Marocco) un esponente islamico, Anass Abu Jaffar, per anni residente a Belluno, una delle persone che Ros e Digos tengono sotto controllo nell'ambito delle indagini antiterrorismo, ha postato sulla sua pagina Facebook «La Scienza del Corano» il seguente commento sulla vicenda «Mah ! Avrei tanto da dire ma ringrazio Allah per la pazienza e dico solo che Iddio porti la sua giustizia ya rabb e ripeto: “Io non mi devo giustificare”», ottenendo in poche ore 36 «mi piace» e 16 condivisioni;
   si stigmatizza il comportamento delle forze politiche della sinistra italiana che hanno chiesto la rimozione dell'assessore Donazzan, senza proferire parola riguardo alle più o meno velate minacce di un soggetto in odore di terrorismo –:
   se non ritenga opportuno emanare indirizzi ai provveditori, nei quali si chiarisca che è compito delle scuole anche quello di discutere dei temi di attualità di grande rilevanza, ma non quello di chiedere, su tematiche che esulano la competenza scolastica, giudizi o prese di posizione collettive a studenti e genitori, in particolare se precostituiti;
   quali iniziative intenda promuovere al fine di evitare il ripetersi di fatti del genere e il rischio che si comprometta la paziente opera di relazione e di acquisizione di informazioni cui sono quotidianamente impegnate le forze dell'ordine al fine di consentire ai cittadini veneti ed italiani di vivere nella massima sicurezza possibile. (3-01251)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da un comunicato presentato il 14 gennaio 2615 dal Sap di Padova, Sindacato autonomo di polizia, si apprende che il Ministero per quanto riguarda la locale questura, ha disposto la riduzione di circa due terzi dei giubbetti antiproiettile, passando da circa 120 a 40;
   la questura di Padova amministra circa 900 poliziotti ad esclusione dei reparti prevenzione crimine e reparto mobile; è del tutto fuori luogo per non dire incredibile che Ministero a fronte di maggiori esigenze prima di tutto utili a fornire maggiore sicurezza passiva ai poliziotti, al contrario abbia ridotto di due terzi il numero di giubbotti antiproiettile;
   si legge ancora nel comunicato che a parte la riduzione descritta in premessa vi è anche un'altra situazione sconcertante: al reparto prevenzione crimine gli operatori attendono ancora le nuove dotazioni poiché quelle attualmente utilizzate sono scadute, ma nonostante ciò il Ministero, non si comprendono le ragioni, ha già disposto la restituzione di circa 50 giubbetti e quelli che rimangono, meno di 40 hanno una scadenza che arriverà al 31 dicembre 2015, circa 30 giubbetti già scaduti a fine 2014, non verranno perciò sostituiti;
   dal comunicato si evince che il SAP ha già inviato una nota al questore di Padova e ai responsabili del Ministero, dove si chiede con particolare urgenza, un intervento finalizzato ad aumentare le dotazioni di giubbetti antiproiettile per la questura di Padova rispetto al numero di operatori amministrati in provincia, mentre si rimane in attesa dei nuovi giubbetti che dovranno sostituire quelli in dotazione al reparto prevenzione crimine, scaduti il 31 dicembre 2014;
   in un momento così delicato nel quale vive il nostro Paese, anche alla luce dei gravissimi fatti accaduti a Parigi –:
   se il Ministro sia a conoscenza della gravità dei fatti esposti in premessa e se non intenda provvedere, in tempi rapidissimi, a ripristinare tale situazione di inefficienza a danno dei poliziotti che svolgono quotidianamente il servizio di controllo del territorio. (5-04493)

Interrogazione a risposta scritta:


   CAON. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è in atto un massiccio incremento dei reati contro il patrimonio in tutta la provincia di Padova, una vera e propria ondata che interessa in particolare i comuni di Cadoneghe, Rubano, Selvazzano e Vigonza;
   il fenomeno viene da lontano: lo stesso sito internet del Ministero dell'interno ammette, relativamente alla provincia di Padova, che «dalla metà degli anni ’90 vi è stato ... un progressivo incremento di reati di criminalità diffusa, specie contro il patrimonio, a causa anche della mutata realtà socio economica della provincia, che per la sua ricchezza ha attirato un numero crescente di delinquenti. Si è .... insediata una delinquenza estremamente mobile, composta per lo più da extracomunitari irregolari»;
   preoccupa soprattutto l'aumento dei furti in casa;
   stando a quanto riporta la stampa locale, in particolare gli abitanti di Vigonza chiedono apertamente ed insistentemente agli esponenti delle forze dell'ordine di conoscere i limiti della legittima autodifesa nei confronti di chi entra a rubare negli appartamenti;
   il livello crescente di allarme sociale attestato da quanto precede pare incompatibile con qualsiasi ipotesi di riduzione delle unità assegnate ai presidi territoriali delle forze dell'ordine, consigliandone invece il potenziamento –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per assicurare la legalità nel territorio provinciale di Padova e se in particolare non ritenga opportuno rinforzare i locali presidi delle forze dell'ordine. (4-07550)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIMÌ. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   ogni anno in Italia si laureano circa 8000 studenti in medicina e chirurgia e che l'unico modo per questi giovani medici per entrare nel mondo del lavoro è attraverso la specializzazione in medicina specialistica o quella in medicina generale;
   nel 2012 le borse di medicina specialistica messe a concorso furono circa 5000 nazionali più circa 500 dalle regioni, nel 2013 i contratti erano 4500 più i 500 stanziati dalle regioni e infine nel 2014 si è tornati a 5000 contratti nazionali con altri 500 finanziati dai bilanci regionali;
   l'ultimo concorso si è tenuto ad ottobre, in grande ritardo rispetto agli anni precedenti;
   per mettere fine a ritardi e incertezze il Ministro dell'istruzione, università e della ricerca ha disposto, con proprio decreto emesso il 30 giugno 2014, che i bandi di concorso annuali siano pubblicati nel mese di febbraio;
   i medici neo-laureati attendono quindi di conoscere la data del nuovo concorso e la disponibilità di contratti che verrà stanziata dal Ministero –:
   quando si terrà il prossimo concorso nazionale di specializzazione per l'anno accademico 2014-2015;
   quante borse di studio verranno messe a concorso nel bando. (5-04490)

Interrogazione a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   presso lo IAL, scuola alberghiera e di ristorazione di Riccione, uno studente di 16 anni ha ricevuto tre giorni di sospensione dalla dirigente scolastica in virtù dell'acconciatura dei suoi capelli, conosciuta come «dreadlocks», ovvero trecce ottenute attraverso l'aggrovigliamento spontaneo;
   tale decisione trova origine nell'articolo 26 del regolamento interno all'istituto, che recita «Nel rispetto del norme igieniche sanitarie e delle abitudini dei diversi settori, gli allievi sono tenuti a indossare un abbigliamento decoroso, curato e ordinato. Sono quindi da evitare abbigliamenti, acconciature, accessori e trucchi particolari che possano contravvenire a queste norme»;
   sulla base di tale disposizione, allo studente prima delle vacanze estive era stato intimato di cambiare acconciatura, ottenendo in risposta una riduzione del volume dei capelli, evidentemente ritenuta insufficiente;
   recentemente il ragazzo ha ultimato uno stage in un noto bar della zona, ottenendo il punteggio di 98/100, a dimostrazione dell'assoluta compatibilità del suo aspetto fisico con lo svolgimento del lavoro per cui studia;
   appare d'altronde stravagante che nel 2014 i dreadlocks siano considerati un particolare ostativo allo svolgimento di qualsiasi attività professionale, dopo essere divenuti da tempo un elemento ordinario del look, adottato da personaggi pubblici in molti ambiti della vita sociale;
   una sospensione rischia invece di produrre effetti negativi sul curriculum scolastico di un alunno di cui la stessa dirigente dice «è tranquillo e a scuola va bene»;
   l'interrogante ritiene che questo e solo questo debba e possa essere il criterio su cui basare la valutazione di uno studente e non interpretazioni regolamentari evidentemente soggettive e per nulla rispondenti all'unico elemento oggettivo possibile, ovvero il rispetto delle norme igieniche sanitarie, chiaramente non violate, se il ragazzo ha potuto effettuare esperienze reali di lavoro senza difficoltà e se è facile trovare lavoratori con i dreadlocks in ogni mansione legata all'attività turistico-alberghiera –:
   se non ritenga di intervenire a tutela del diritto ad una normale è corretta vita scolastica di uno studente colpito da un provvedimento che l'interrogante ritiene evidentemente discriminatorio, anche per evitare che possa stabilirsi un precedente pericoloso per la libertà di ogni persona di esprimere anche attraverso abbigliamento e acconciature la propria personalità.
(4-07555)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PRATAVIERA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è notizia pubblicata il 14 gennaio 2015 su La Nuova di Venezia e Mestre quella di un allarme sos lanciato dai sindacati per il rischio di vedere chiudere definitivamente a Porto Marghera la storica azienda Pilkington, produttrice di vetri speciali e controllata dalla multinazionale giapponese Ngs;
   in una lettera aperta inviata al prefetto, i sindacati lamentano il silenzio delle istituzioni locali, ricordando che mancano pochi mesi al termine del terzo anno di contratti di solidarietà per i 170 dipendenti, e l'apparente assenza del Ministero dello sviluppo economico, che avrebbe dovuto riconvocare le parti ogni sei mesi per un monitoraggio della situazione;
   la legge di stabilità 2015 non ha più previsto l'integrazione del 70 per cento della retribuzione persa a causa della riduzione dell'orario di lavoro legata ai contratti di solidarietà; per legge, infatti, tale integrazione è pari al 60 per cento ma fino al 31 dicembre 2014 si poteva contare su un 10 per cento aggiuntivo, che però non è stato prorogato, col risultato che a decorrere dal 1o gennaio 2015 i contratti di solidarietà di tipo A assistiti da cassa integrazione guadagni straordinaria non saranno più integrati al 70 per cento ma al 60 per cento (si ricorda che fino al 2013 i lavoratori in solidarietà avevano potuto contare su un sostegno pari all'80 per cento della retribuzione persa, grazie ad un'integrazione del 20 per cento;
   se e quali iniziative di competenza, anche in termini di moral suasion, il Governo intenda adottare con urgenza per tutelare i 170 dipendenti dal rischio di perdita del posto di lavoro e, al contempo, garantire la permanenza sul territorio di una storica azienda;
   se e quando il Ministro dello sviluppo economico intenda riconvocare tutte le parti interessate per chiarire gli intendimenti della proprietà circa il futuro operativo della Pilkington;
   se sia intenzione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali ripristinare l'integrazione dei contratti di solidarietà ante 31 dicembre 2014, attesa l'importanza che i contratti medesimi rivestono per garantire il legame azienda-lavoratore nei periodi di crisi produttiva nel particolare contesto di crisi socio-economica perdurante nel Paese. (5-04485)


   DI VITA, MANTERO, LOREFICE, GRILLO, SILVIA GIORDANO, DALL'OSSO, BARONI e CANCELLERI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 3 dicembre 2013 il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, recante il titolo «Regolamento e dichiarazione unica sostitutiva concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)», pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 gennaio 2014;
   dal 2 gennaio 2015, a circa un anno di distanza dalla sua entrata in vigore, è finalmente disponibile sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali il nuovo indicatore ISEE (Indicatore della situazione economica equivalente) che misura la situazione economica del nucleo familiare per l'accesso alle prestazioni sociali agevolate, introdotto dal decreto «Salva Italia» (n.201/2011);
   da ultimo, il 12 gennaio 2015, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha dato il via alla campagna di comunicazione sulla riforma dell'ISEE, con gli obiettivi di far conoscere il nuovo provvedimento e sostenere i cittadini nella fruizione delle nuove misure, con particolare attenzione ai soggetti più svantaggiati;
   nonostante tale iter avviato, come appreso anche da recenti articoli pubblicati su alcuni quotidiani online, permarrebbe tuttavia la spinosa questione della mancata convenzione tra l'INPS e i CAF (Centro assistenza fiscale) che risulta non esser stata ancora rinnovata poiché i CAF avrebbero avanzato una proposta d'aumento del 50 per cento su ogni pratica (da 10-11 euro a 15) – aumento giustificato dalla maggiore onerosità del nuovo ISEE – che fino ad oggi non ha trovato il consenso dell'INPS. A parità di pratiche (circa 6 milioni) si calcola che la spesa a carico dell'INPS salirebbe dai 70 milioni di euro del 2014 fino a circa 100 milioni di euro;

per via dell'affidamento da parte dell'INPS di alcuni servizi dedicati alla persona e alla famiglia, come quello per il calcolo ISEE, i CAF, presenti ormai in modo capillare su tutto il territorio nazionale, sono nati allo scopo di fornire assistenza e consulenza completa e personalizzata nel campo fiscale e delle agevolazioni sociali, consentire un adempimento fiscale burocraticamente meno oneroso, rendere semplice il linguaggio spesso incomprensibile della burocrazia fiscale;
   in base a dati statistici è stato stimato che il 90 per cento delle richieste ISEE passerebbe attraverso CAF. Ad oggi, senza la stipula di una convenzione il servizio non viene erogato dai CAF, costringendo pertanto i cittadini a produrlo autonomamente o con la consulenza, per molte famiglie eccessivamente onerosa, del privato commercialista –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali attività intenda urgentemente intraprendere, o abbia già intrapreso, al fine di ovviare al mancato rinnovo della convenzione tra CAF e INPS. (5-04486)


   BARUFFI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il contratto di solidarietà nasce come strumento atto a difendere l'occupazione, facendo in modo che il sacrificio imposto ai lavoratori, in seguito alla diminuzione dell'orario di lavoro, possa essere recuperato attraverso un rimborso di quote di retribuzione da parte dell'Inps. La disposizione legislativa generale prevede che ai lavoratori spetta, per le ore di riduzione di orario a seguito del contratto di solidarietà, un'integrazione pari al 60 per cento della retribuzione persa;
   nel corso degli ultimi anni – contrassegnati da una duratura crisi economica, che ha comportato gravi ricadute sui livelli occupazionali del Paese – i contratti di solidarietà hanno rappresentato un efficace, anche se limitato, strumento di preservazione di attività produttive a rischio di chiusura e di salvaguardia dei posti di lavoro;
   a decorrere dal 1o luglio 2009 fino al 31 dicembre 2010, il decreto-legge n. 78 del 2009, convertito dalla legge n. 102 del 2009 ha incrementato l'ammontare dell'integrazione spettante ai soli lavoratori coinvolti da contratti di solidarietà difensiva, stipulati in base all'articolo 1, comma 1, della legge n. 863 del 1984. La misura dell'integrazione è stata incrementata del 20 per cento del trattamento perso a seguito della riduzione di orario: il contributo erogato veniva conseguentemente aumentato dal 60 per cento all'80 per cento. Tale misura è stata prorogata successivamente fino al 31 dicembre 2013;
   la legge di stabilità 2014 (articolo 1, comma 186, della legge 27 dicembre 2013, n. 147), ha prorogato anche per l'anno 2014 l'aumento della misura di ricorso ai contratti di solidarietà ex articolo 1 della legge 863 del 1984. Tale proroga, però, è accompagnata anche da una diminuzione del trattamento poiché l'articolo 1, comma 186 della richiamata legge stabilisce che l'integrazione base pari al 60 per cento «è aumentato nella misura del 10 per cento della retribuzione persa a seguito della riduzione di orario, nel limite massimo di 50 milioni di euro per lo stesso anno 2014». Infatti, fino al 31 dicembre 2013 la percentuale di integrazione era stata pari all'80 per cento della retribuzione persa per via della riduzione di orario;
   analoghe misure non sono state riproposte nella legge di stabilità per il 2015 per l'anno 2015, pertanto per i lavoratori delle aziende che hanno in corso un contratto di solidarietà, oppure siano intenzionati a stipularne di nuovi, si registrerà una riduzione dell'integrazione salariale dal 70 al 60 per cento;
   stante il perdurare della grave crisi economica e finanziaria, accompagnata dagli altrettanto gravi dati della disoccupazione che, secondo gli ultimi rilevamenti Istat, si attestano al 13,4 per cento e una disoccupazione giovanile al 43,9 per cento, appare indispensabile poter disporre di tutti gli strumenti di sostegno del reddito previsti dall'ordinamento, come i ricordati contratti di solidarietà, anche in vista del loro riordino previsto dalla legge delega 10 dicembre 2014, n. 183;
   proprio la richiamata legge delega, al terzo comma del primo articolo, indica «la necessità di regolare l'accesso alla cassa integrazione guadagni solo a seguito di esaurimento delle possibilità contrattuali di riduzione dell'orario di lavoro, eventualmente destinando una parte delle risorse attribuite alla cassa integrazione a favore dei contratti di solidarietà» –:
   quali iniziative intenda adottare al fine di ripristinare il sistema di integrazione del reddito in caso di stipula dei contratti di solidarietà di cui all'articolo 1, comma 1, della legge n. 863 del 1984, quanto meno nella percentuale prevista per l'anno 2014, nonché assicurare le risorse necessarie per i contratti di solidarietà di cui all'articolo 5, comma 5, della legge n. 263 del 1993, in vista del riordino della loro disciplina prevista dalla citata legge n. 183 del 2014. (5-04487)


   BOCCUZZI, GNECCHI, BARUFFI, INCERTI, MOSCATT, MAESTRI, MICCOLI, GREGORI, SIMONI, ZAPPULLA, CARRA, ALBANELLA, DI SALVO, GIACOBBE, CINZIA MARIA FONTANA, GRIBAUDO, CASELLATO, PARIS, MARTELLI, GIORGIO PICCOLO, ROTTA e VENITTELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il lavoro occasionale accessorio, disciplinato dagli articoli 70, 72 e 73 del decreto legislativo n. 276 del 2003, nel corso degli anni ha visto un notevole incremento facilitato anche dall'estensione dell'utilizzo a tutte le categorie di lavoro;
   da recenti dati diffusi dalla CGIA di Mestre risulterebbe che a fronte dei 27 milioni del 2013, nel 2014 si raggiungerà la quota di 71 milioni di voucher venduti corrispondenti a 71 milioni di ore;
   nel 2013 la media di utilizzo per lavoratore è stata pari a 10 voucher/anno corrispondenti a 10 ore di lavoro e ad una retribuzione lorda di 100 euro corrispondente a 75 euro netti annui pro capite;
   nell'esperienza comune, l'utilizzo di lavoratori occasionali appare molto più estesa rispetto al dato ufficiale;
   soprattutto nei settori del commercio e dei pubblici esercizi, il numero dei lavoratori occasionali accessori è cresciuto a dismisura e che sono frequenti situazioni di aziende la cui forza lavoro consista esclusivamente in tale tipologia di lavoratori;
   l'attuale sistema di comunicazione di questi lavoratori, consiste nella comunicazione preventiva dei codici fiscali del committente e del lavoratore e nell'indicazione di un ampio periodo in cui questa prestazione potrà avvenire senza specificazione puntuale della data di effettivo utilizzo;
   tale sistema in molti casi consente di far lavorare il prestatore occasionale accessorio retribuendolo «in nero» senza correre alcun rischio di sanzione da parte dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali impossibilitati ad ogni verifica effettiva;
   di conseguenza questo strumento, nato per consentire l'emersione del «lavoro nero» occasionale si sta trasformando in una maniera per occupare personale in nero senza alcun rischio di sanzioni;
   se i dati diffusi dalla CGIA di Mestre corrispondessero al vero e la media di utilizzo ufficiale fosse la medesima dell'anno precedente, anche solo ipotizzando 400 ore di lavoro annue (meno di una giornata di lavoro a settimana per otto ore) a fronte delle 10 medie dichiarate, si avrebbe un imponibile fiscale e contributivo evaso pari a circa 28 miliardi di euro –:
   quanti siano i voucher effettivamente utilizzati (riscossi) nel 2014 e quale incremento ci sia stato rispetto all'anno precedente;
   quale sia l'effettiva media di utilizzo annuo per lavoratore e se vi sia stato incremento rispetto all'anno precedente;
   quale sia il rapporto tra occupati con contratto di lavoro dipendente (sia a tempo determinato che indeterminato) e con voucher nei settori del commercio e dei pubblici esercizi;
   quali strumenti di comunicazione preventiva analoghi a quelli previsti dalla legge Fornero per i lavoratori intermittenti intenda attivare il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   quali siano i tempi per avere finalmente operativa la banca dati delle comunicazioni dei lavoratori intermittenti ad oggi non ancora consultabile dagli organi ispettivi;
   quali siano gli obblighi di sicurezza imposti per le aziende che occupano lavoratori occasionali accessori (DPI, formazione, sorveglianza sanitaria, previsione del loro utilizzo nel POS) e quali siano le competenze in relazione alla verifica del loro rispetto, attribuite agli ispettori del lavoro, oggi appartenenti alle direzioni territoriali del lavoro e in futuro alla Agenzia unica ispettiva;
   se, nell'ambito dei decreti delegati di prossima emanazione, non si intenda porre un limite percentuale all'utilizzo dei lavoratori occasionali accessori in relazione al personale dipendente occupato come già avviene per i contratti a tempo determinato. (5-04488)


   BORGHESI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   uno stato di preoccupazione e tensione caratterizza la Stefana spa, storica azienda di acciaierie e ferriere con quattro stabilimenti nella provincia di Brescia, due a Nave, uno a Montirone e uno a Ospitaletto, ed una forza, lavoro di 700 di dipendenti;
   il 31 dicembre 2014 il consiglio d'amministrazione ha depositato in tribunale l'istanza di ammissione al concordato;
   l'azienda ha da tempo problemi di liquidità, come testimoniano una serie di episodi relativi alla sospensione del gas in tutti e quattro i centri produttivi a inizio novembre 2014 o, da ultimo, la sospensione dell'energia elettrica da parte dell'Enel nello stabilimento di via Brescia a Nave il 7 gennaio 2014;
   il 2014, infatti, non è stato un grande anno per l'azienda, in attesa, come tante altre del comparto, di una ripresa del settore che non c’è stata. Come evidenzia l'ultimo bilancio disponibile depositato la scorsa primavera, al 31 dicembre la Stefana vantava crediti per 76,2 milioni di euro, riportando però una situazione debitoria per 288,61 milioni, gran parte di essi sono pendenze verso fornitori (per 152,45 milioni) e banche (per 123,19 milioni), in ambedue casi «debiti esigibili entro l'esercizio successivo»; quel che più pesa sull'azienda è una spesa per interessi passivi pari al 54 per cento del margine operativo lordo;
   i dipendenti sono più che allarmati, sia perché il 31 dicembre è scaduto il contratto di solidarietà dei lavoratori dello stabilimento di via Brescia a Nave e di Montirone, e sia perché ad oggi i vertici aziendali non hanno ancora chiarito le strategie future al di là delle dichiarazioni di voler mantenere la continuità aziendale –:
   se e quali iniziative di competenza, anche in termini di moral suasion, il Governo intenda adottare a salvaguardia dei posti di lavoro e, al contempo, per garantire la permanenza sul territorio di una storica azienda;
   se non si ritenga opportuno istituire con celerità un tavolo istituzionale che chiarisca il progetto aziendale futuro;
   se, alla luce del perdurante stato di crisi economica e sociale del Paese, il Governo non convenga sull'opportunità di intervenire con urgenza per favorire il credito alle imprese. (5-04489)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAFORGIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 9,9 per cento delle persone residenti nel nostro Paese vive in povertà assoluta (dato 2013), dato in aumento esponenziale rispetto al 2007, quando la stessa percentuale risultava essere il 4,1 per cento. Secondo dati Istat, si tratta di persone che non raggiungono «uno standard di vita minimamente accettabile», privi di un'alimentazione adeguata, di una situazione abitativa decente e di altre risorse basilari come quelle per la salute, i vestiti e i trasporti;
   la povertà non si concentra più, esclusivamente nel Meridione e tra le famiglie numerose, negli ultimi anni, infatti, si è registrato un preoccupante incremento in segmenti della popolazione prima ritenuti immuni come al Nord, dove le persone in povertà assoluta sono aumentate dal 3,3 per cento nel 2007 al 7,3 per cento nel 2013 e le famiglie povere con due figli minori sono passate dal 3,8 per cento al 13,4 per cento;
   in Italia esiste «una terza società, la società degli esclusi», che negli anni della crisi è cresciuta di dimensioni, fino a superare quota dieci milioni di persone tra disoccupati, occupati in nero e inattivi ma disponibili a un impiego. Una schiera che più o meno coincide con l'ultima statistica Istat su quanti vivono in condizioni di povertà relativa (il 16,6 della popolazione sotto la soglia mensile di 972 euro di spese per nuclei con due componenti). E che non accenna a diminuire, visto che nel novembre 2014 il tasso di disoccupazione ha raggiunto il record del 13,4 per cento (+0,9 per cento rispetto a 12 mesi prima), sfiorando il 44 per cento tra i giovani;
   a fronte dei grandi numeri della povertà di oggi, l'Italia rimane l'unico Paese dell'Europa a 27, insieme alla Grecia, privo di una misura nazionale a sostegno di chi si trova in questa condizione. Pur con differenze, i tratti di fondo dei piani contro la povertà sono ovunque gli stessi: un contributo economico per affrontare le spese primarie accompagnato da servizi alla persona (sociali, educativi, per l'impiego) che servono ad organizzare diversamente la propria vita e a cercare di uscire dalla povertà. Alla base c’è il patto di cittadinanza tra lo Stato e il cittadino in difficoltà: chi è in povertà assoluta ha diritto al sostegno pubblico e il dovere d'impegnarsi a compiere ogni azione utile a superare tale situazione;
   una recente ricerca realizzata dalla Fondazione Moressa su dati Eurostat, che mette a confronto le differenze di reddito e i tassi di povertà in Italia e in Europa, conferma ulteriormente la posizione critica in cui si trova il nostro Paese e spiega in parte la perdita di appeal dell'Italia (basti pensare che nel 2013 sono aumentati i trasferimenti all'estero, + 21 per cento tra gli italiani e + 14 per cento tra gli stranieri, mentre sono calati del 13 per cento gli ingressi);
   l'articolo 3 della Costituzione della Repubblica italiana recita: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»;
   nell'autunno 2013, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali del Governo Letta, Enrico Giovannini, aveva proposto un piano contro la povertà attraverso un, sostegno all'inclusione attiva (SIA), il costo del piano era di 7,5 miliardi di euro;
   il reddito di inclusione sociale previsto dal SIA invece, sarebbe stato elargito attraverso carta di credito, quindi rivolto completamente al consumo. Le misure in favore dei poveri non sono, dunque, solo giuste, ma rappresentano anche un effetto moltiplicatore massimo sulla domanda interna –:
   se il Governo, alla luce di quanto sopra premesso, non ritenga urgente e necessario avviare, nel 2015, la realizzazione di un piano nazionale contro la povertà, di durata pluriennale, con indicazioni concrete affinché venga gradualmente introdotta una misura nazionale, rivolta a tutte le persone e le famiglie in povertà assoluta nel nostro Paese, che si basi su una logica non meramente assistenziale ma che sostenga un atteggiamento attivo dei soggetti beneficiari dell'intervento. (4-07549)


   BOCCUZZI, GINEFRA e VENTRICELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'ipermercato Auchan, leader nella grande distribuzione organizzata, chiude il punto vendita collocato sulla provinciale a Triggiano San Giorgio, nel centro commerciale BariBlù;
   dopo più di cinque anni di presenza nel centro commerciale, nei giorni scorsi la società ha annunciato ai sindacati la cessazione dell'attività entro il 28 febbraio 2015 adducendo tale motivazione alla crisi di fatturato e ai risultati economici in continua perdita registrati nel punto vendita;
   Auchan a Triggiano è operativa da fine 2009 con un fitto di ramo d'azienda la cui scadenza era fissata per novembre prossimo, ma considerato l'andamento delle vendite, il gruppo ha deciso di abbandonare in anticipo, avviando le procedure di licenziamento collettivo e il 15 gennaio 2015 i sindacati incontreranno il gruppo francese e i responsabili dell'immobiliare Tricenter di Brescia per discutere della situazione. Una nuova vertenza che si apre, dunque, nel settore della grande distribuzione;
   tale decisione sta creando non poca preoccupazione per i circa 120 dipendenti che figurano negli organici e che da fine febbraio potrebbero restare senza lavoro;
   da articoli di stampa si legge che la Tricenter srl, holding immobiliare proprietaria del centro commerciale, si sia già attivata, per trovare un'alternativa allo spazio che sarà lasciato libero da Auchan e che ci sia già un investitore che dovrebbe subentrare, si legge inoltre il nome dell'Ipersimply, del gruppo pugliese Sgaramella, resta solo però da vedere se l'azienda che eventualmente subentrerà, sarà in grado di riassorbire tutti i dipendenti;
   si legge inoltre che la Tricenter Srl si è dichiarata disponibile a favorire il pas- saggio dei dipendenti dell'ipermercato Au- chan al nuovo concessionario che dovesse prenderne il posto e ha offerto la propria disponibilità, pur non avendo alcun potere di occupazione diretta, a creare un sistema volto a facilitare la ricollocazione dei lavoratori nei punti vendita presenti all'interno del centro commerciale o nelle aziende di servizio impiegate nella gestione dello stesso –:
   se sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se non ritenga opportuno intervenire, per quanto di competenza, al fine di facilitare l'individuazione di soluzioni che consentano la prosecuzione lavorativa per tutti i dipendenti del gruppo Auchan, vigilando affinché le ipotizzate manifestazioni di interesse da parte di altri gruppi commerciali, si traducano in un impegno concreto per i lavoratori. (4-07552)


   FRATOIANNI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il nuovo modello di calcolo dell'ISEE, adottato con Decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 7 novembre 2014, e in vigore dal 1o gennaio del 2015, sta creando molte difficoltà ai cittadini aventi diritto o richiedenti servizi agevolati. A rischio ci sarebbero servizi essenziali e fondamentali per le famiglie e i cittadini italiani, soprattutto in un periodo di forte crisi, quali gli asili nido, le agevolazioni per gli affitti, gli sconti su bollette e utenze e la definizione delle rette universitarie;
   ad oggi non è ancora stata rinnovata la convenzione fra l'INPS e i Centri di assistenza fiscale, motivo per cui i cittadini che vogliano calcolare il proprio ISEE per fare richiesta e accedere a servizi agevolati, non hanno al momento possibilità alcuna di usufruire del servizio, a meno che non provvedano autonomamente. Questa situazione di stallo e difficoltà, che si riversa sui cittadini, è fotografata dallo scarso numero di persone che fino ad oggi si è rivolta ai Centri di assistenza fiscale e che ha avuto la possibilità di aggiornare la propria situazione economica;
   di fatto, i dati ci dicono che lo scorso anno circa 6 milioni di persone hanno avuto accesso ai servizi e alle prestazioni garantite dal vecchio ISEE e al momento sono solo poche migliaia quelle che hanno inviato la richiesta per il nuovo indicatore andato in vigore dal 1o gennaio. Appena un centinaio tramite i Caf, che invece generalmente veicolano oltre il 90 per cento delle richieste;
   senza la Dichiarazione sostitutiva unica, che i Centri di assistenza fiscale devono inviare all'Inps, è impossibile per l'Istituto di previdenza elaborare il valore ISEE e, di conseguenza, le famiglie non possono accedere ai servizi agevolati;
   proprio in questi giorni, è stato lanciato un allarme dai CAF: si prevede, infatti, che con i nuovi sistemi di calcolo, la platea di coloro che potranno avere accesso ad agevolazioni potrebbe ridursi del 20 per cento. Si tratterebbe di una riduzione pesante, su cui non è possibile avere contezza, visto che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al momento non ha reso pubbliche delle proiezioni in merito all'impatto del nuovo modello Isee sulla platea dei beneficiari di servizi agevolati, che sarebbero invece molto utili per comprendere quanto accadrà, soprattutto considerando le forti difficoltà economiche cui sono costretti milioni di cittadini in Italia;
   un altro allarme è stato dato dalle associazioni studentesche universitarie, rispetto all'accesso alle borse di studio: nel nuovo sistema di calcolo, infatti, vengono inclusi fra i redditi disponibili anche i trasferimenti monetari ottenuti dalla pubblica amministrazione. Questo significa che nel calcolo dei redditi complessivi del nucleo familiare del richiedente la borsa di studio, nello specifico, viene inserito l'importo della borsa di studio ottenuta. Rischia di verificarsi, quindi, l'assurda situazione di uno studente che risulta essere non idoneo alla borsa, o che ne trova l'importo diminuito, proprio perché l'anno precedente l'ha percepita e quindi nel calcolo del nuovo Isee ha dovuto conteggiarla. Non è difficile immaginare che lo stesso problema lo stiano vivendo altre persone, rispetto alla richiesta di servizi agevolati differenti –:
   se il Ministro non ritenga urgente intervenire presso l'Istituto nazionale di previdenza per giungere ad un accordo con i Centri di assistenza fiscale, rendendo più veloce il servizio ai cittadini;
   se il Ministero abbia delle previsioni sull'impatto sociale prodotto dal nuovo calcolo dell'ISEE, in particolare rispetto al numero di cittadini che non potrà più avere accesso ai servizi agevolati;
   se il Ministro non ritenga di dover assumere iniziative per scomputare dal calcolo dei redditi disponibili per la definizione dell'ISEE, i trasferimenti monetari ottenuti dalla pubblica amministrazione, che rischia di estromettere dai beneficiari delle agevolazioni, persone che hanno reali necessità. (4-07553)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   NICCHI, MATARRELLI, PAGLIA, COSTANTINO, DURANTI, PANNARALE, PELLEGRINO, RICCIATTI e SCOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 12 gennaio 2015, la Commissione europea ha autorizzato la possibilità di rendere disponibile il contraccettivo di emergenza, tra cui quello a base di ulipristal acetato (nome commerciale EllaOne); contraccettivo meglio noto come la «pillola dei 5 giorni dopo» senza bisogno della ricetta medica. Il farmaco sarebbe così disponibile direttamente in farmacia senza obbligo di prescrizione da parte del medico e la decisione dovrebbe essere applicata in tutti gli Stati membri europei nel 2015;
   questo «via libera» arriva a distanza di poco più di un mese dal parere positivo rilasciato dalla Commissione per i Prodotti medicinali umani (CHMP) dell'Agenzia europea dei medicinali (EMA), secondo la quale il farmaco è «un contraccettivo d'emergenza usato per prevenire gravidanze indesiderate se assunto entro 120 ore (5 giorni) da un rapporto sessuale a rischio, e agisce prevenendo o ritardando l'ovulazione. Il farmaco è più efficace se assunto entro le 24 ore». Dunque, sottolinea l'Ema, «rimuovere il bisogno di ottenere la prescrizione dal medico dovrebbe velocizzare l'accesso delle donne a tale medicinale e quindi aumentarne l'efficacia»;
   questa decisione permetterà a più di 120 milioni di donne in tutta Europa (più di 11 milioni in Italia in età fertile) di accedere direttamente alla contraccezione d'emergenza;
   come ha commentato Emilio Arisi, Presidente della SMIC (Società medica italiana per la contraccezione), consentire di poter acquistare in farmacia l'ulipristal acetato «attesta con chiarezza che il suo impiego non presenta alcun pericolo per la salute, sia della donna che dell'embrione»;
   come riporta un articolo de «La Repubblica» del 14 gennaio 2015, «quando l'EMA, l'Agenzia del farmaco europea, ha deciso di non richiedere più la ricetta, l'Italia è stato uno dei pochi Paesi a votare contro, il che fa capire quanto sarà difficile attuare la regola. All'AIFA prendono tempo e annunciano che la questione verrà sottoposta alla Commissione tecnica. È anche ipotizzabile la richiesta al Ministro della salute di un approfondimento in seno al Consiglio superiore della Sanità»;
   manca quindi in Italia ancora il via libera da parte dell'AIFA che ha fatto sapere di aver calendarizzato in agenda dei lavori la questione. Secondo l'Agenzia il tema è «delicato»;
   se non si ritenga urgente attivarsi, anche nei confronti dell'AIFA, affinché la «pillola dei 5 giorni dopo» sia messa in commercio anche nel nostro Paese senza l'obbligo di ricetta. (5-04491)


   LUPO, LIUZZI, LOREFICE, PARENTELA, DALL'OSSO, SILVIA GIORDANO e MANTERO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nella seduta del 16 dicembre 2010 la Conferenza unificata sancisce un accordo tra Stato e regioni in materia di: «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo», in cui si decreta la soppressione dei punti nascita che non raggiungono i 500 parti annui;
   a seguito del suddetto accordo, le giunte regionali hanno emanato le delibere per la soppressione dei punti nascita che non raggiungevano tale limite, tra questi il punto nascita nell'ospedale di Villa d'Agri (Potenza) che è stato soppresso con delibera n. 718/2014 del 20 giugno 2014;
   per quel che concerne Villa d'Agri, inoltre, non si è mai presa in considerazione l'ipotesi di «abbinare» le attività ostetrico-ginecologiche con quelle neonatologiche/pediatriche, operazione che avrebbe garantito la permanenza del punto nascite nell'ospedale. Sono già diversi i casi di partorienti che hanno dato alla luce i loro figli in macchina o in ambulanza diretti verso il più vicino ospedale di Potenza che dista all'incirca 80 chilometri dal comprensorio servito dall'ospedale di Villa d'Agri;
   secondo quanto riferisce il comitato per il percorso nascita, l'8,9 per cento delle nascite avviene in strutture con meno di 500 parti l'anno, che però rappresentano il 28,2 per cento dei punti nascita italiani. In Sicilia, su 75 punti nascita sono 38 quelli che non raggiungono il limite minimo dei 500 nascituri annui, così come confermato dalla società italiana di pediatria, di questi 28 risultano già soppressi e gli altri chiuderanno a breve, dimezzando di fatto l'accesso ai Servizi Pubblici e costringendo gli utenti che non hanno possibilità di spostamento a rivolgersi a strutture private;
   la diversità territoriale del nostro Paese e le scarse infrastrutture che collegano le zone rurali ai grandi centri abitati, non possono non esser tenute in considerazione nell'ambito di un accordo in materia di Sanità Pubblica;
   l'accordo sancito dalla Conferenza unificata non fa nessun riferimento alla copertura territoriale del servizio punti nascita, ma si limita a stabilire in 500 parti annui l'unico parametro per la permanenza degli stessi, questo fa sì che in tutte le zone rurali, di montagna o semplicemente in comprensori a bassa densità abitativa ma distanti dai grandi centri abitati, si creino disagi e disservizi che mettono a rischio non solo la salute delle partorienti ma la salute stessa del nascituro;
   gli interroganti sono altresì convinti che vada fatta un'opera di razionalizzazione e di contenimento delle spese, ma appare inopportuno inserire nell'accordo come unico parametro di valutazione il numero dei nascituri, gli stessi sono convinti che una valutazione a livello di copertura territoriale del servizio non possa non esser presa in considerazione al fine di garantire a tutti gli italiani gli stessi diritti di accesso ai servizi sanitari –:
   quali iniziative, nell'ambito della propria competenza, intendano adottare al fine di modificare raccordo n. 137/CU del 16 dicembre 2010, in particolare inserendo oltre al numero delle nascite anche il parametro della morfologia territoriale affinché vengano garantiti a tutti i cittadini italiani le stesse possibilità e gli stessi servizi. (5-04495)


   SILVIA GIORDANO, COLONNESE, LUIGI GALLO e TOFALO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la regione Campania ha stabilito con il decreto n. 108 del 10 ottobre 2014 la riduzione di 1614 posti letto semi residenziali destinati ai disabili in strutture di ricovero extraospedaliere destinate alla riabilitazione;
   il fabbisogno di posti letto per le prestazioni di riabilitazione extraospedaliera (RD1), individuato per il triennio 2013-2015 dal decreto regionale n. 108, è pari a 2.306 posti letto per i disabili determinato applicando l'indice 0,40 posti letto ogni 1.000 abitanti sulla popolazione residente al 2012 di cui:
    1.268 posti letto in regime residenziale, applicando l'indice 0,22 posti letto ogni 1.000 abitanti;
    1.038 posti letto in regime semiresidenziale, applicando l'indice 0,18 posti letto ogni 1.000 abitanti;
   in sintesi, dai 3800 posti letto attualmente disponibili, il suddetto decreto comporterà una riduzione a 2306 posti letto;
   le linee guida del Ministro della salute per le attività di riabilitazione (in Gazzetta Ufficiale 30 maggio 1998, n. 124) definiscono le Residenze sanitarie assistenziali dei presidi, che offrono a soggetti non autosufficienti, anziani e non, con esiti stabilizzati di patologie, fisiche, psichiche, sensoriali o miste, non assistibili a domicilio, un medio livello di assistenza medica, infermieristica e riabilitativa, accompagnata da un livello «alto» di tutela assistenziale ed alberghiera generica sulla base dei modelli assistenziali adottati dalle regioni e province autonome. Le attività di riabilitazione estensiva rivolte agli ospiti di tali strutture riguardano in particolare, soggetti disabili fisici, psichici, sensoriali, o a lento recupero, non assistibili a domicilio, richiedenti un progetto riabilitativo individuale caratterizzato da trattamenti sanitari riabilitativi estensivi;
   per prestazione residenziale e semiresidenziale si intende il complesso integrato di interventi, procedure e attività sanitarie e socio-sanitarie erogate a soggetti non autosufficienti, non assistibili a domicilio all'interno di idonei «nuclei» accreditati per la specifica funzione;
   il nuovo piano sanitario, approvato dalla giunta regionale campana, condurrà inevitabilmente all'impossibilità di accedere alle strutture di riabilitazione per diversi disabili;
   ma secondo quanto stabilito dal nostro ordinamento l'accesso alle prestazioni residenziali deve intendersi regolato dai principi generali di universalità, equità ed appropriatezza;
   l'utente per il quale sia individuata la condizione di non autosufficienza e non assistibilità a domicilio avrà quindi diritto di scegliere il luogo di cura nell'ambito delle diverse opzioni offerte dalle strutture accreditate con il servizio sanitario nazionale;
   poiché il sistema prevede prestazioni a diversi livelli di intensità di cura, l'accesso alle stesse e la prosecuzione del trattamento avverrà coerentemente con la verifica della effettiva appropriatezza della indicazione, sulla base di criteri oggettivi di valutazione multidimensionale (VMD) dei bisogni dell'utente;
   l'articolo 7 della legge 104 del 1992 stabilisce che le prestazioni sanitarie e sociali integrate tra loro sono alla base della cura e della riabilitazione della persona handicappata;
   a questo proposito, il Servizio sanitario nazionale, tramite le strutture proprie o convenzionate, assicura: gli interventi per la cura e la riabilitazione precoce della persona con handicap, oltre a quelli riabilitativi e ambulatoriali, a domicilio o nei centri socio-riabilitativi ed educativi diurni o residenziali;
   l'articolo 1 della legge 128 del 2000 stabilisce che la Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative intenda intraprendere, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi al fine di evitare che la perdita di circa 1600 posti letto provochi profondi disagi a persone già colpite duramente da difficoltà psico-fisiche;
   se non ritenga necessario intervenire al fine di evitare che la perdita di posti letto generi inaccessibilità alla riabilitazione, e conseguentemente in riferimento alla tutele dai livelli essenziali di assistenza. (5-04497)

Interrogazione a risposta scritta:


   ZACCAGNINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge attuale in materia della donazione del sangue da cordone ombelicale in vigore è il decreto ministeriale del 18 novembre 2009, modificato in data 22 aprile 2014. Il tema di cui si tratta in tale atto riguarda soprattutto la promozione della donazione del sangue da cordone ombelicale;
   in tema di donazione del cordone ombelicale è bene precisare alcuni dati: secondo la Croce rossa i bambini sotto i 18 anni (16 con il consenso dei genitori negli Stati Uniti) non possono donare il sangue. Le donazioni di sangue generalmente non superano 0,5 litri, l'equivalente di un decimo (1/10) della media del volume di sangue di un adulto. I donatori di sangue devono avere un peso minimo di 50 chilogrammi. Eppure, in tutto il mondo, in quasi ogni singola struttura sanitaria in cui nascono i bambini, ai neonati (che di solito pesano tra i 2 e i 5 chilogrammi) viene negato fino ad un terzo (1/3) del loro volume di sangue. È stato stimato che, nel momento della nascita, il volume del sangue dei neonati è di 78 ml/kg (x 3,5 kg = 275 ml circa) con il valore di ematocrito venoso di 48 per cento;
   quando il clampaggio del cordone ombelicale è ritardato di 5 minuti il volume del sangue cresce del 61 per cento raggiungendo 126 ml/kg (x 3,5 kg = 440 ml circa). Questa trasfusione placentare raggiunge il valore finale di circa 1-60 ml (440 ml – 275 ml) per un bambino di circa 3,500 grammi, appare «matematico» che i circa 160 ml sono patrimonio ematico del neonato e non della placenta;
   un quarto (1/4) di trasfusione avviene nei primi 15 secondi e metà entro i 60 secondi dalla nascita;
   un nutrito numero di indagini scientifiche (pubblicate da riviste scientifiche autorevoli quali BMJ, The Cochrane Library, Journal of Cellular and Mollecular Medicine, The Lancet ecc.) indica che con il solo fatto di ritardare il clampaggio e il taglio del cordone ombelicale ai neonati, i nostri bambini avrebbero una nascita meno traumatica, avrebbero un normale e fisiologico adattamento alla vita extrauterina, soffrirebbero di meno emorragie endocraniche, avrebbero maggiori riserve di ferro all'età di 4 mesi e fino a 6 e 8 mesi dalla nascita;
   le sostanze nutritive, l'ossigeno e le cellule staminali presenti nel sangue trasfuso dalla placenta nei neonati, quando vi è il ritardo del taglio del cordone, assicurano che i tessuti e gli organi del corpo siano adeguatamente vitalizzati, nutriti e che gli sia fornita abbastanza energia. Questo si traduce nella migliore salute, aumentata immunità, più intelligenza e, presumibilmente, un potenziale accresciuto di longevità Inoltre, non tagliando il cordone ombelicale alla nascita, il neonato può stare a stretto contatto pelle a pelle con la madre. Questo elimina o riduce enormemente un potenziale trauma dovuto alla nascita. Le ricerche hanno confermato che i bambini nati senza trauma godono di maggior capacità intatta di amore e di fiducia;
   l'autorevole Royal College of Obstetricians and Gynaecologists (RCOG) nel Regno Unito sottolinea che, al livello pratico, la raccolta del sangue cordonale può mettere a rischio la salute della madre e del bambino in situazioni di prematurità, giri di cordone ombelicale intorno al collo taglio cesareo, gravidanza multipla, compromettendo anche il contatto immediato madre-bambino. Questi rischi non sono menzionati nel disegno di legge in questione e nelle informazioni generalmente fornite ai genitori. Nessuna informazione sui tempi di clampaggio e taglio del cordone è fornita ai genitori, benché si tratti di un elemento fondamentale sia per la salute del neonato che per la raccolta del sangue per uso eterologo;
   uno studio italiano che ha monitorato la raccolta del sangue cordonale in Italia nel tempo di due anni indica nelle conclusioni: «Secondo la nostra esperienza una raccolta ottimale di SCO deve rispettare le seguenti caratteristiche: reclutare più primigravide, con epoca gestazionale al prelievo di SCO tra 37-40 settimane, con peso fetale superiore a 3.000 grammi, tempo di clampaggio del cordone ombelicale entro 30 secondi, raccolta di sangue cordonale con placenta inserita ancora in utero, e da preferire il parto spontaneo, di solito associato a lungo travaglio (aumento dello stress fetale).» In pratica, se il cordone non è clampato e tagliato entro 30 secondi, l'uso del sangue raccolto viene compromesso perché considerato non idoneo dalle banche del sangue da cordone ombelicale;
   numerose ricerche indicano che ritardando il clampaggio dell'ombelico i bambini: avrebbero una nascita meno traumatica avrebbero meno emorragie endocraniche guadagnerebbero maggiori riserve di ferro fino a 8 mesi godrebbero di una migliore salute avrebbero un'aumentata immunità svilupperebbero più intelligenza godrebbero di una potenziale maggior longevità. L'atto di tagliare e il cordone ombelicale è, di fatto, un atto invasivo ingiustificato dal momento che per motivi fisiologici e medico legali il parto non può definirsi concluso prima del secondamento e sebbene sembri una piccola operazione è nei fatti un atto enormemente invasivo e lesivo. La pratica del clampaggio, piuttosto recente, è una piccola operazione: ha ricevuto una spinta negli anni Sessanta quando si pensava che prevenisse l'ittero, ma in realtà si è scoperto che non vi è alcun legame. Un'ulteriore tesi a favore del clampaggio è quella per cui si pensa possa prevenire la policitemia o l'eccesso di emoglobina. Ma anche questo, secondo Ibu Robin Lim (ostetrica di fama internazionale), non giustifica la prevaricazione effettuata sugli inermi bambini alla nascita. In realtà se chiunque cercasse in internet su Pubmed nella stringa MeSH le parole «jaundice neonatal» e «brain injuries» su più di 11 milioni di articoli censiti troverebbe solo 3 articoli piuttosto generici, datati e non pertinenti sugli eventuali danni da iperbilirubinemia, al contrario la recente letteratura sembra concordare sul valore della bilirubina come potente antiossidante che ridurrebbe il rischio di infarto cardiaco, di mortalità per cancro, di danno da ossigeno nella retinopatia dei pretermine, di rigetto nei trapianti;
   un piccolo studio effettuato presso la casa del parto indonesiana di Bumi Sehat, in cui Ibu Robin Lim opera da oltre 20 anni, ha indicato che nei bimbi che hanno ritardato il clampaggio alla nascita non vi è stato incremento di valori riguardanti l'itterizia. Anzi, i piccoli che soffrono di anemia per il clampaggio immediato hanno meno energie per cercare nutrimento nella madre e sono più deboli. Inoltre, in tale casa del parto, dove non si taglia il cordone alla nascita, i neonati possono stare a stretto contatto pelle a pelle con la madre, e ciò elimina o riduce un potenziale trauma dovuto alla nascita. Secondo quanto riporta Ibu Robin, infatti, presso la casa di parto si aspettano come minimo 3 ore, e comunque non si interviene prima che ogni minima pulsazione sia terminata. Lo stesso Erasmus Darwin, padre di Charles Darwin, sosteneva nel 1801: «Per il bambino una cosa molto dannosa è quella di clampare e tagliare il cordone ombelicale troppo presto. Dovrebbe essere lasciato, non solo fino a che il neonato abbia ripetutamente respirato, ma fino a quando siano completamente cessate le pulsazioni. Altrimenti il bambino rimane molto più debole perché gli viene a mancare una parte di sangue che gli appartiene e che invece resta nella placenta». Ad affermazioni analoghe era giunto qualche secolo prima Aristotele. Nel 1995 l'Associazione americana di ginecologia ed ostetricia pubblicò una lettera in cui veniva molto raccomandato il taglio immediato del cordone ombelicale per studi che riguardano l'emogasanalisi (cioè analisi dei valori dei gas disciolti nel sangue). In seguito però il bollettino è stato ritirato, e l'autorevole associazione ha rivisto le raccomandazioni;
   inoltre vi è da sottolineare che le cellule staminali sono preziose, il sangue ha valore. Benché non vi siano dati pubblici sull'aspetto commerciale delle sacche di sangue cordonale, le stesse in pratica hanno un valore nominale e una transazione economica vi è implicita;
   a molti genitori viene chiesto di donare il sangue neonatale dei loro bambini per la scienza o per aiutare gli altri, ma non ci si sofferma su un dato fondamentale: le persone adulte possono donare solo il 10 per cento del loro sangue, mentre con la pratica del clampaggio e del taglio precoce del cordone i medici prelevano fino al 33 per cento del sangue del neonato senza consenso del diretto interessato;
   le cellule staminali del cordone del bambino sono prodotti nella sua placenta e dopo il parto, fino all'espulsione della placenta migrano dalla placenta (che è parte integrale del bambino fintanto che sta in utero) nel corpo del bambino, per dargli tutte le riserve di cui ha bisogno per crescere e svilupparsi. Si parla di autotrasfusione originaria o trapianto autologa. Il trapianto autologo di cellule staminali è tipico dei mammiferi;
   ecco cosa dice la ricerca: in un recente articolo di Verena Schmid, pubblicato in «Nascita e vita consapevole» si precisa come: il ritardo nel taglio del cordone permette una terapia innata di cellule staminali che può essere di grande aiuto nel caso di malattie neonatali, e anche di malattie successive nell'età più avanzata. Il dottor Sanberg e i suoi colleghi concludono che il taglio ritardato del cordone può ridurre i rischi per il bambino di incorrere in tante malattie quali il distress respiratorio, malattie croniche dei polmoni, emorragia cerebrale, anemia, malattie infiammatorie e sepsi, malattie degli occhi. (Sanberg 2010, Journal of Cellular and Molecular Medicine). Sembra che le cellule staminali abbiano anche un effetto sulla riparazione delle cellule nervose e possano riparare danni cerebrali subiti nella nascita. Lasciare il cordone intatto, senza amputarlo, senza clamparlo e senza tagliarlo prima di essere certi che il tuo/a bambino/a abbia ricevuto l'intera scorta del suo sangue è essenziale per raggiungere un benessere fisico e mentale ottimale. (Tolosa 2010) Tagliare subito il cordone al bambino appena nato non è un atto neutro. Lo depriva di molte riserve importanti per crescere, oltre alle cellule staminali anche di ferro e altre sostanze importanti. Per contro, lasciando il cordone integro, la placenta lo può rifornire di tutto quello che ha bisogno, anche in base alle risorse che ha consumato durante il parto. Rispetto alla conservazione o donazione delle cellule staminali in una banca la dottoressa e ricercatrice australiana Sarah Buckley dice nel suo libro «Gentle Birth, Gentle Mothering» (Partorire e accudire con dolcezza, Il Leone verde, 2012):
    la possibilità che un bambino a basso rischio abbia bisogno delle sue cellule staminali è stata stimata in 1 su 20.000;
    le cellule da donazione del cordone potrebbero essere inefficaci per un trattamento da adulto in quanto di quantità troppo ridotta;
    il sangue cordonale potrebbe contenere alterazioni pre-leucemiche e incrementare il rischio di malattia;
    il sangue cordonale autologo è adatto solo a bambini che sviluppano tumori solidi, linfomi o disordini autoimmuni;
    tutti gli altri utilizzi sono solo speculativi –:
   se non reputino, tutto ciò premesso, che sia urgente variare la formulazione del modulo del consenso informato apponendo le parole «sangue neonatale» piuttosto che «sangue da cordone ombelicale»;
   se non reputino utile che venga avviata in tempi brevi una verifica da parte delle unità specializzate allo scopo dei carabinieri (NAS), sulla gestione delle banche del sangue contenuto nel cordone ombelicale (sia pubbliche che private), sui costi di quelle pubbliche, sulle percentuali di unità effettivamente utilizzate ed utilizzabili, sulle effettive modalità di prelievo, dal momento che un documento/emesso dalla SIN (società italiana di neonatologia) a richiesta del Ministero della salute indicava di attendere comunque almeno 1 minuto prima di clampare il cordone ombelicale per effettuare il prelievo di sangue ma va precisato tuttavia che durante il cosiddetto «pelle a pelle» in sala parto per cause idrodinamiche l'assunzione da parte del neonato del sangue contenuto in placenta è più lenta ed addirittura parte del sangue presente alla nascita nel neonato stesso può refluire in placenta in seguito al parto, pertanto ci si potrebbe trovare nella paradossale ipotesi che il clampaggio tardivo con neonato «pelle a pelle» potrebbe privare il neonato di una ulteriore parte del suo sangue ed al contrario la quantità di sangue prelevato può essere ben maggiore dei circa 120-160 millilitri richiesti per essere crioconservati anche in caso di clampaggio oltre il minuto;
   se intendano assumere iniziative affinché sia da dichiarare in via di principio che il parto non debba essere interrotto prima del suo avvenuto ed effettivo termine cioè prima del secondamento salvo casi ben precisi e determinati posto che esiste ampia letteratura scientifica in merito al fatto che per parte materna non vi sono motivazioni ostetriche per il clampaggio precoce e per parte neonatale tutte le eventuali manovre rianimatorie si posso effettuare con il cordone ombelicale ancora integro semplicemente addestrando il personale a tali procedure senza alcuno stravolgimento degli attuali protocolli di emergenza in sala parto e con tutto il normale e consueto materiale ed apparecchiature presenti in ogni sala parto di ogni ospedale italiano;
   se non intendano valutare se la pratica del camplaggio del cordone ombelicale, in assenza di una precisa informazione circa i rischi ed i benefici possa porsi in contrasto con quanto sancito dall'articolo 32 della Costituzione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività» e con quanto disposto dall'articolo 1 della legge 833 del 1978: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale. La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana»;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della prassi dei rimborsi alle Asl in caso di operazione di donazione di cordone ombelicale, se i rimborsi in virtù della legge sulla trasparenza siano resi noti e se ci sia di essi tracciabilità, se siano noti i costi dell'allestimento dell'attrezzatura dei CR (centri raccolta) ed il trasporto, inclusi i costi del personale dedicato;
   se sia noto presso il Servizio sanitario nazionale quale sia il costo effettivo di una sacca di «sangue cordonale» in caso di trapianto, e se sia chiara la relazione fra le Asl locali e le banche del sangue, che solo in Italia sono ben 19, l'informazione divulgativa per promuovere la donazione, al fine di sventare l'ipotesi che si venga a creare business su un tema così delicato come la donazione di sangue neonatale. (4-07564)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'emanazione del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (in Gazzetta Ufficiale – serie generale – n. 212 del 12 settembre 2014), coordinato con la legge di conversione 11 novembre 2014, n. 164, recante «Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive» introduce al Capo V, articolo 17 comma 1, lettera c), punto 2 alcune modificazioni all'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380 sugli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria soggetto ad attività di edilizia libera in immobili che recitano testualmente: «Limitatamente agli interventi di cui al comma 2, lettere a) ed e-bis), l'interessato trasmette all'amministrazione comunale l'elaborato progettuale e la comunicazione di inizio dei lavori asseverata da un tecnico abilitato, il quale attesta, sotto la propria responsabilità, che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti, nonché che sono compatibili con la normativa in materia sismica e con quella sul rendimento energetico nell'edilizia e che non vi è interessamento delle parti strutturali dell'edificio; la comunicazione contiene, altresì, i dati identificativi dell'impresa alla quale si intende affidare la realizzazione dei lavori»;
   la modifica sopra riportata ribadisce come l'interessato (inteso come committente proprietario, affittuario o altro avente titolo) debba trasmettere all'amministrazione comunale l'elaborato progettuale (inteso come complesso di documenti quali ad esempio progetto grafico, relazione tecnica, e altro) così come accade per le richieste di permesso di costruire, le segnalazioni certificate di inizio attività o le ormai superate dichiarazione di inizio attività (DIA) e non compilare lo stesso;
   tale modifica ribadisce inoltre che l'elaborato progettuale debba essere asseverato da un tecnico abilitato ovvero che quest'ultimo certifichi l'aderenza alle norme vigenti e la relativa conformità;
   è chiaro e verosimile che un soggetto qualunque che non abbia una solida base tecnico-legislativa o più generalmente che non svolga un lavoro che impone un titolo abilitativo rilasciato dalla Repubblica italiana ed una iscrizione ad un collegio o un ordine (ad esempio collegio dei geometri, ordine degli architetti o degli ingegneri) non abbia le basi per redigere tale elaborato progettuale. Nel caso contrario verosimilmente l'interessato coinciderebbe con una figura professionale in grado di redigere ed asseverare il documento stesso;
   si ritiene quindi che quanto riportato sul portale istituzionale del Governo italiano – Presidenza del Consiglio dei ministri nella sezione notizie, in cui si tratta il «via all'attuazione dell'Agenda per la semplificazione 2015-2017 – I moduli CIL e CILA» (http://www.funzionepubblica.gov.it/comunicazione/notizie/2014/dicembre/i-moduli-cil-e-cila.aspx) consistente nell'affermazione: «...è sufficiente una semplice comunicazione che può essere compilata in pochi minuti dall'interessato e asseverata da un professionista.», risulti altamente fuorviante;
   in una situazione di continua svalutazione delle professioni tecniche ad avviso dell'interrogante anche a seguito delle iniziative del Governo attuale e di quelli che l'hanno preceduto, a partire dal Governo Prodi II con il cosiddetto «decreto Bersani-bis» (legge 2 aprile 2007 n. 40), una affermazione come quella riportata in un sito istituzionale del Governo italiano, può indurre la popolazione e ritenere che una Comunicazione di inizio lavori e una comunicazione di inizio lavori asseverata, sia compilabile da tutti in alcuni minuti e che l'intervento del tecnico abilitato serva solo a «mettere una firma», affermazione che è stata riportata in diversi portali web tecnici, generando non pochi fraintendimenti –:
   se corrisponda al vero che tali Comunicazioni di inizio lavori e Comunicazioni di inizio lavori asseverate siano compilabili da chiunque in alcuni minuti, e quindi non da tecnici specifici di professione;
   se al contrario l'affermazione sopra riportata non induca in errore il cittadino e non porti ad un ulteriore svilimento dei professionisti. (4-07563)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   CASTELLI e BONAFEDE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la deliberazione del consiglio regionale della Toscana n. 66 del 10 luglio 2007 approva il piano regionale dello sviluppo economico (PRSE 2007-2010) che prevede, tra l'altro, nell'ambito della linea di intervento 3.1 «Ingegneria finanziarie» interventi di garanzia con caratteristiche tali da rispettare i requisiti richiesti dall'accordo Basilea; d'altronde il consiglio di amministrazione di Fidi Toscana spa ha deliberato il 16 ottobre 2008 lo stanziamento Euro 1.500.000,00 destinato a potenziare i fondi regionali di garanzia a favore delle piccole e medie imprese; l'esecutività di tale impostazione trova riscontro nella deliberazione di G.R. n. 1086 del 15 dicembre 2008 che approva, tra l'altro, le modalità di attuazione degli «Interventi di garanzia per la liquidità delle imprese», stabilendo che tali interventi siano attuati mediante apporto di risorse a Fidi Toscana spa a titolo di finanziamento;
   tra le piccole e medie imprese richiedenti l'accesso di garanzie e risorse a Fidi Toscana spa risulta la domanda da Chil s.r.l presentata il 16 marzo 2009 per un finanziamento di Euro 437.000 a 84 mesi tramite la BCC Pontassieve; filiale di Pontassieve;
   in tale data l'unico dirigente, in aspettativa, della società CHIL srl risulta essere l’ex co.co.co ed ex socio della stessa Matteo Renzi; tale srl era ed è stata nei fatti una società della famiglia Renzi, come si è letto in molti quotidiani nazionali; tra l'altro la Fidi Toscana spa risultava essere partecipata anche dalla provincia di Firenze per 1.413.412,00, Euro (Il primo socio pubblico per partecipazione dopo la regione Toscana) di cui Matteo Renzi era presidente della giunta;
   la garanzia di Fidi Toscana è stata deliberata il 15 giugno 2009 tra il primo e il secondo turno delle elezioni comunali di Firenze con cui Matteo Renzi stava diventando sindaco di Firenze atteso che anche il comune di Firenze è socio di Fidi Toscana spa;
   l'intervento è stato effettuato a prima richiesta nella misura dell'80 per cento, a valere sulle risorse della misura liquidità PRSE 2007-2010; in data 08 ottobre 2010 protocollo n°FI-2010-63542 Chil Post s.r.l. cedeva un ramo aziendale a Chil Promozioni oggi EVENTI 6 s.r.l. (società con una forte presenza della famiglia Renzi);
   in data 14 ottobre 2010 le quote della società Chil Post s.r.l. sono state trasferite interamente da Renzi Tiziano a Massone Gian Franco;
   in data 12 agosto 2011 si è verificato il primo mancato pagamento di una rata del finanziamento da parte di Chil POST S.r.l. col passaggio a sofferenza della posizione da parte della banca;
   la messa in mora da parte della banca è stata effettuata il 20 ottobre 2011, nel rispetto dei termini della convenzione regolante i rapporti tra le banche e Fidi Toscana. A quanto consta all'interrogante l'esposizione complessiva al momento della richiesta di attivazione della garanzia sarebbe stata di Euro 322.316,34; successivamente in data 15 febbraio 2012 la banca richiedeva a Fidi Toscana l'attivazione della garanzia rilasciata;
   il 7 febbraio 2013 il giudice del tribunale fallimentare di Genova dichiarava il fallimento di CHIL Post s.r.l. e che su questa vicenda la procura di Genova ha aperto una indagine per bancarotta fraudolenta e tra gli indagati secondo quanto riportato da organi di stampa risultano esserci anche Tiziano Renzi e Laura Bovoli genitori di Renzi; Laura Bovoli risulta tra l'altro essere presidente del Consiglio di amministrazione di Eventi 6 s.r.l.;
   in data 1o agosto 2013 è stata liquidata da FIDI Toscana alla BCC Pontassieve la somma di Euro 263.114,70 a copertura della perdita subita dalla banca (la somma è pari all'80 per cento dell'esposizione complessiva al momento della richiesta di attivazione della garanzia, inclusi interessi ed oneri);
   in data 30 ottobre 2014 (con Presidente del Consiglio Matteo Renzi) Fidi Toscana ha ricevuto dal Fondo centrale di garanzia la somma di Euro 236.803,23 a seguito dell'attivazione della controgaranzia;
   il fondo centrale di garanzia è afferente all'egida e alle competenze del Ministero dello sviluppo economico nell'ambito della direzione generale dello sviluppo alle imprese;
   l'accesso al credito per le piccole e medie imprese risulta invece per la gran parte comuni cittadini imprenditori cosa ardua se non impossibile: sono stati in effetti numerosi in questi anni i gesti gravi di imprenditori in difficoltà finanziaria, addirittura con episodi di suicidio –:
   se l'intera procedura del conferimento dell'affidamento della garanzia debitoria di cui alla premessa risulti essere stata condotta nel rispetto delle procedure e della legge e con gli stessi criteri seguiti per le altre domande/istanze di garanzie richieste da comuni cittadini imprenditori con particolare cura del rispetto dell'imparzialità della pubblica amministrazione, anche nell'ambito delle garanzie delle strutturazioni bancarie dei FIDI, atteso che le guarentigie finali sono comunque incardinate presso il fondo centrale di garanzia. (3-01254)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE e ANZALDI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel corso della presentazione del polo di formazione dei tecnici per la sicurezza del gruppo Eni è emersa la notizia che giungerà in Sicilia dalla Russia la paglia pre-lavorata dalla quale il gruppo industriale «Mossi & Ghisolfi», leader internazionale dell'ingegneria e dei prodotti chimici rinnovabili derivati da biomasse non alimentari, ricaverà bio-etanolo, come carburante pulito;
   tale impianto sarà realizzato in un'area attualmente dismessa del petrolchimico di Gela;
   sorprende che si voglia far arrivare addirittura dalla Russia tale prodotto;
   bisognerebbe conoscere con quale tipo di trattamento arrivi in Italia e se tale prodotto e per quali ragioni sarebbe indisponibile nel nostro Paese;
   la paglia per quanto trattata è comunque un elemento disponibile anche in Sicilia e comunque non è impossibile realizzare, in presenza della materia prima, una filiera per l'adattamento a scopi industriali;
   sembrerebbe paradossale che mentre l'intero settore agricolo in particolare quello siciliano soffre le ripercussioni delle sanzioni, dell'Unione europea nei confronti della Russia, l'Italia importa paglia dalla stessa Russia –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non ritenga opportuno approfondire la vicenda a partire dalla natura della paglia che si intenderebbe utilizzare e verificare le ragioni della impossibilità di utilizzare paglia proveniente dalla stessa Sicilia o comunque dal Mezzogiorno e se eventualmente vi sia la possibilità di realizzare in sede locale una filiera per la paglia pre-lavorata allo scopo di ricavare biocarburanti.
(5-04492)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Prodani e altri n. 1-00047, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Grande, Gallinella, Rizzo.

  La mozione Locatelli e altri n. 1-00627, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Zampa.

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Grimoldi n. 4-07533, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Guidesi, Rondini.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Grande n. 1-00383, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 193 del 19 marzo 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    la città di Civitavecchia sin dagli anni Sessanta ha visto sul suo territorio la realizzazione di tre centrali termoelettriche. Nel 2003, con l'autorizzazione unica di cui al decreto del Ministro delle attività produttive n. 55 febbraio del 2003, che ha recepito integralmente i contenuti del decreto di valutazione d'impatto ambientale n. 680 del 2003, Enel spa è stata autorizzata alla riconversione dell'impianto di Torrevaldaliga nord da olio combustibile a carbone;
    la «valutazione epidemiologica dello stato di salute della popolazione residente nei comuni di Civitavecchia, Allumiere, Tarquinia, Tolfa e Santa Marinella» redatta dal dipartimento di epidemiologia del servizio sanitario regionale del Lazio, studio pubblicato nel febbraio del 2012, attesta che la popolazione residente nel comune di Civitavecchia nel periodo 2006-2010 presenta un quadro di mortalità per cause naturali (tutte le cause eccetto i traumatismi) e per tumori maligni in eccesso di circa il 10 per cento rispetto alla popolazione residente nel Lazio nello stesso periodo;
    a seguito di molteplici richieste da parte della popolazione, allarmata per la propria salute, nel maggio 2013 l'azienda sanitaria locale Roma F ha deliberato l'istituzione del registro dei tumori;
    con decreto n. 114 del 2013 di rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale è stato autorizzato l'aumento delle ore di funzionamento della centrale da 6000 a 7500 e della quantità di carbone utilizzabile, ben 900.000 tonnellate in più, per un totale di 4,5 milioni di tonnellate, rispetto al progetto autorizzato con il decreto di valutazione d'impatto ambientale n. 680 del 2003. Ciò implica un rilevante incremento del carico inquinante dell'impianto, demolendo, di fatto, le condizioni del giudizio di compatibilità ambientale espresso dalla regione Lazio che imposero la riduzione dei gruppi della centrale, da 4 a 3, nel progetto di riconversione del 2003;
    il parere istruttorio conclusivo dell'autorizzazione integrata ambientale del 2013 consente l'utilizzo di carbone con tenore di zolfo genericamente inferiore all'uno per cento, in contrasto con quanto prescritto dal piano di risanamento della qualità dell'aria della regione Lazio, che prevede per gli impianti di combustione ad uso industriale l'utilizzo di combustibili con tenore di zolfo inferiore allo 0,3 per cento. Peraltro, successivamente al rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale, con la mozione n. 60, approvata dal consiglio regionale del Lazio l'8 ottobre 2013, si è ulteriormente confermata la volontà e la necessità di far rispettare il limite sul tenore di zolfo allo 0,3 per cento per l'impianto a carbone di Torrevaldaliga Nord;
    Enel è una multinazionale controllata al 30 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze;
    l'Agenzia europea per l'ambiente, nel novembre 2011, ha pubblicato uno studio sugli impatti sanitari, ambientali ed economici dell'inquinamento atmosferico dei principali impianti industriali europei, tra cui figura anche Enel, adoperando un metodo di indagine utilizzato anche nel processo «Enel bis» sul caso di Porto Tolle e ripreso anche da Greenpeace nei propri studi;
    i risultati dello studio commissionato da Greenpeace nell'aprile 2012 per la centrale di Torrevaldaliga Nord di Civitavecchia, riprendendo la stessa metodologia utilizzata dall'Agenzia europea per l'ambiente, stimano tra gli impatti sanitari ed ambientali 13 morti premature e 156 migliaia di euro di danni all'agricoltura per l'anno 2009 (tabella 13 dello studio «Enel Today and Tomorrow. Hidden Costs of the path of Coal and Carbon versus Possibilities for a Cleaner and Brighter future» di Somo, autori Wilde-Ramsing, Racz, Scheele e Saaman);
    i periti dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) hanno recentemente quantificato per la centrale elettrica di Porto Tolle, riprendendo la stessa metodologia utilizzata da Greenpeace-Somo, 2,6 miliardi di euro di danni sanitari tra il 1998 e il 2009 e più di un miliardo di euro per omessa ambientalizzazione. Tale stima del danno è attualmente usata dall'Avvocatura dello Stato che rappresenta il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero della salute contro Enel, alla quale si chiede di risarcire i danni causati nel tempo;
    nel decreto ministeriale 5 aprile 2013, n. 114, di rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale, in evidente contrasto con l'articolo 6, comma 16, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e, più in generale, con la direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento), risulta «non applicata» (pagina 92 dell'allegato parere istruttorio conclusivo) la migliore tecnica disponibile in relazione alle emissioni di monossido di carbonio;
    in conseguenza di tale mancata applicazione, il valore limite di 120 mg/Nm3 previsto per le emissioni di monossido di carbonio nell'autorizzazione integrata ambientale di cui al citato decreto ministeriale n. 114 del 5 aprile 2013 (pagina 111 dell'allegato parere istruttorio conclusivo) è ampiamente superiore ai livelli di emissione associati all'utilizzo delle best available techniques (30-50 mg/Nm3) previsti dal Bref (Reference document on best available techniques) sui grandi impianti di combustione (large combustion plant);
    la quota di controllo pubblico dovrebbe tradursi in un indirizzo industriale per il Paese;
    il «Rapporto annuale e dichiarazione di conformità», stilato da Enel in ottemperanza al piano di monitoraggio e controllo trasmesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel 2013 per Torrevaldaliga Nord mostra che i limiti sulle quantità di carbone utilizzabili e sulle ore di funzionamento vennero già superati nel 2012, quindi prima del riesame dell'autorizzazione integrata ambientale;
    il consiglio regionale del Lazio, con l'approvazione della mozione n. 60 dell'8 ottobre 2013, ha impegnato la giunta a far rispettare il limite del tenore di zolfo inferiore allo 0,3 per cento nel combustibile anche per l'impianto di Torrevaldaliga Nord come previsto dal piano di risanamento della qualità dell'aria della regione Lazio,

impegna il Governo:

   a disporre il riesame, ai sensi dell'articolo 29-octies del decreto legislativo n. 152 del 2006, dell'autorizzazione integrata ambientale per l'impianto di Torrevaldaliga Nord, al fine di ripristinare i parametri di esercizio, ovvero un funzionamento di 6.000 ore all'anno equivalenti con l'utilizzo di 3.600.000 tonnellate all'anno di carbone, previsti dal decreto di valutazione di impatto ambientale n. 680 del 2003, salvo ulteriori riduzioni, di garantire l'applicazione delle migliori tecniche disponibili e il rispetto dei livelli di emissione ad esse associati in relazione al monossido di carbonio, di fissare, secondo quanto previsto dal piano di risanamento della qualità dell'aria della regione Lazio, il limite dello 0,3 per cento in relazione al tenore di zolfo contenuto nel carbone;
   a permettere a organizzazioni non governative o comitati legalmente costituiti di partecipare ai tavoli decisionali che, di fatto, hanno influenzato e influenzeranno la salute dei cittadini, i destini e lo sviluppo economico dei territori direttamente interessati.
(1-00383)
(Nuova formulazione) «Grande, Manlio Di Stefano, Spadoni, Vacca, Busto, Spessotto, Pinna, Vignaroli, Toninelli, Cozzolino, Lorefice, Scagliusi, Rostellato, Rizzetto, Ciprini, Tripiedi, Cominardi, Baldassarre, Colletti, Luigi Di Maio, Businarolo, Bonafede, Turco, Currò, D'Uva, Rizzo, Terzoni, Prodani, Nicola Bianchi, Tofalo, Battelli, Dall'Osso, Del Grosso, Massimiliano Bernini».

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in commissione Cancelleri n. 7-00567, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 362 del 14 gennaio 2015.

   La VI Commissione,
   premesso che:
    in attuazione di quanto disposto dal decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, il decreto ministeriale 28 novembre 2014 individua i comuni nei quali, a decorrere dall'anno di imposta 2014, si applica l'esenzione dall'imposta municipale propria – Imu dei terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina, sulla base dell'altitudine riportata nell'elenco dei comuni italiani predisposto dall'istituto nazionale di statica ISTAT, diversificando tra terreni posseduti da coltivatori diretti ed imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola e gli altri terreni;
    il suddetto decreto ministeriale, nel definire l'ambito applicativo dell'imposta, dispone l'esenzione per i terreni agricoli dei comuni ubicati ad una altitudine di 601 metri ed oltre, individuati sulla base dell’«Elenco dei comuni italiani» predisposto dall'ISTAT, per i terreni agricoli dei comuni ubicati ad una altitudine compresa tra 281 metri e 600 metri, come individuati dal citato elenco, che siano però posseduti da coltivatori diretti ed imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola o a questi concessi in affitto o in comodato e per i terreni ad imputabile destinazione agrosilvo pastorale a proprietà collettiva indivisibile ed inusucapibile;
    la norma ha previsto inoltre che i soggetti passivi tenuti al pagamento dell'imposta avrebbero dovuto effettuare il versamento entro lo scorso 16 dicembre, termine poi prorogato al 26 gennaio 2015 dalla legge di stabilità 2015 che ha recepito le disposizioni del decreto-legge 16 dicembre 2014, n. 185;
    a seguito del ricorso presentato dall'Unione nazionale comuni comunità enti montani, il TAR del Lazio ha disposto la sospensiva del decreto ministeriale in parola contestando il criterio del parametro altimetrico della sede municipale come riferimento per l'individuazione dei terreni in esenzione Imu, rimandando al prossimo 21 gennaio la decisione definitiva;
    la reintroduzione dell'Imu per i terreni agricoli ricadenti in aree montane si configura come una ulteriore vessazione della montagna la cui produzione agricola già sconta condizioni di disagio e difficoltà operative e di esercizio legate alle particolarità morfologiche dei territori, alle impervie condizioni climatiche nonché alle difficoltà di spostamento e contrasta con la necessità, più volte rimarcata dalle istituzioni locali, dal Governo e dalla stessa Unione europea, di risolvere i problemi della frammentazione fondiaria, della gestione dei terreni disagiati e dei boschi al fine di difendere e valorizzare la produttività delle aree montane, marginali e rurali;
    il criterio dell'altitudine, così come stabilito dal decreto ministeriale, appare inoltre del tutto inadeguato ad individuare i terreni soggetti al pagamento dell'imposta, posto che tra Alpi ed Appennino il territorio montano non è tutto uguale ma ha precise conformazioni che vanno considerate e rispettate, essendosi verificati numerosi casi in cui la sede del Municipio è posta a 590 metri di altitudine mentre molte sue frazioni, che ospitano terreni agricoli, si trovano ad oltre 1000 metri, ovvero ampi terreni che si estendono per una parte a 590 metri e per l'altra a 602 metri di altezza,

impegna il Governo:

   ad intervenire urgentemente, anche alla luce della sospensiva pronunciata dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, al fine di esentare per l'anno di imposta 2014 i terreni agricoli ricadenti in aree montane dal pagamento dell'Imu e di valutare ogni possibile iniziativa volta a stabilizzare tale agevolazione;
   a valutare l'opportunità di escludere dal pagamento dell'IMU i terreni posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola.

(7-00567)«Cancelleri, Gallinella, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela, Rostellato, Alberti, Barbanti, Pesco, Pisano, Ruocco, Villarosa».

Ritiro di una firma da una mozione.

  Mozione Prodani e altri n. 1-00047, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 maggio 2013: è stata ritirata la firma del deputato Sandra Savino.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Pes n. 4-06773 del 6 novembre 2014 in interrogazione a risposta in commissione n. 5-04494.

ERRATA CORRIGE

  Mozione Gallinella e altri n. 1-00711 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 363 del 15 gennaio 2015.

  Alla pagina 20509, seconda colonna, alla riga ventitreesima deve leggersi: «Lussemburgo la deroga pare risultare a due anni,» e non «Lussemburgo la deroga è pari a due anni,», come stampato.