Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 15 gennaio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    si esprime profonda preoccupazione per il continuo aggravarsi della crisi che avvolge tutta la regione mediorientale e nordafricana, nella quale cresce l'influenza dell'Islam politico radicale e delle sue emanazioni jihadiste, dedite alla lotta armata anche in Europa;
    va evidenziato come tale situazione costituisca un'obiettiva preoccupazione che accomuna l'Europa allo Stato d'Israele, unico presidio democratico nella regione sopramenzionata insieme alla Tunisia;
    si rileva la circostanza che lo Stato d'Israele continua ad esser bersaglio di attacchi terroristici che tendono a negarne il diritto di esistere e a condizionarne il comportamento, provocandone ad arte le reazioni militari, secondo la triste logica del «tanto peggio tanto meglio»;
    va ricordato altresì come i territori appartenenti all'Autorità nazionale palestinese siano soltanto in parte sotto l'effettivo controllo dell'esecutivo basato a Ramallah e presieduto da Abu Mazen, trovandosi la Striscia di Gaza sotto la predominante influenza di Hamas, articolazione locale della Fratellanza Musulmana, e di gruppi collaterali di ispirazione jihadista;
    non si può non sottolineare come proprio Hamas sia stato all'origine, nel corso dell'ultimo decennio, di aspri confronti militari con lo Stato ebraico, cosa che permette di concludere che l'esecutivo presieduto da Abu Mazen non possiede il monopolio della forza armata nei territori amministrati dall'Autorità nazionale palestinese;
    inoltre si osserva come Hamas sia internazionalmente appoggiato dalla Turchia, Paese che ha promosso un tentativo di violare il blocco marittimo imposto nei confronti della Striscia di Gaza con la cosiddetta Freedom Flottilla ed è sospettato di sostenere anche il sedicente Stato Islamico sorto a cavallo tra Siria ed Iraq;
    la situazione geopolitica mediorientale appare estremamente delicata e complessa ed ogni passo unilaterale conseguentemente si ritiene un azzardo inopportuno;
    va apprezzato, comunque, che almeno parte del sistema politico palestinese ha accettato il metodo diplomatico come principale strumento d'iniziativa, archiviando la pratica pluridecennale del terrorismo da parte dell'Olp;
    tuttavia si ritiene che la causa del processo di pace debba avanzare attraverso il dialogo tra le parti coinvolte – Stato d'Israele ed Autorità nazionale palestinese – anche con il sostegno esterno assicurato dagli Stati Uniti, dall'Unione Europea e dalla Russia,

impegna il Governo:

   a non assecondare né agevolare ulteriori tentativi unilaterali dell'Autorità nazionale palestinese tesi ad ottenere il riconoscimento internazionale dello status di Stato sovrano senza che sia intervenuto un accordo bilaterale preventivo con lo Stato d'Israele;
   a sostenere la causa del dialogo diretto tra le parti coinvolte, anche con l'apporto dell'Unione europea, degli Stati Uniti e della Federazione Russa;
   a favorire ogni genere di misura che possa contribuire all'indebolimento di Hamas, in particolare escludendo il movimento islamista dalla gestione degli aiuti alla ricostruzione della Striscia di Gaza.
(1-00699) «Gianluca Pini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Prataviera, Rondini, Simonetti».


  La Camera,
   premesso che:
    il Consorzio internazionale per il giornalismo investigativo ha condotto un'inchiesta il cui risultato dimostra che 340 aziende hanno spostato una parte delle loro sedi legali in Lussemburgo per quella pratica di «ottimizzazione fiscale» che sottintende l'utilizzo di metodi leciti o quasi per pagare meno tasse «senza contare fondi di investimento di quasi tremila miliardi di euro di attività nette, secondi solo agli Stati Uniti»;
    da questa inchiesta si evincono documenti ufficiali che dimostrano come il neopresidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, una delle più importanti cariche europee, nella sua passata vita politica cioè quando ricopriva l'incarico di Primo ministro del Lussemburgo, è stato responsabile di accordi segreti con grandi multinazionali che, grazie a queste intese, sono riuscite a sottrarre decine di miliardi di tasse ai Paesi dell'Unione europea in cui avrebbero dovuto pagarle;
    per Bloomberg, una delle più note multi-testate finanziarie del mondo, il popolo lussemburghese sarebbe divenuto uno dei più ricchi al mondo, secondo solo al Qatar, perché «regole di segreto bancario simili a quelle svizzere» e «meccanismi di elusione fiscale approvati dal governo» hanno contribuito a garantire un ingente afflusso di capitali. Gli accordi fiscali, descritti nei documenti trapelati, presumibilmente consentivano a multinazionali come Apple e Deutsche Bank, di ridurre i loro oneri fiscali sui profitti maturati in altri Paesi. Il risultato è che «le aliquote fiscali applicate erano minime». Di conseguenza, «si potrebbe dire che Juncker abbia reso ricco il proprio paese andando a borseggiare gli altri stati, inclusi, soprattutto, quelli dell'Unione europea che è ora chiamato a servire», ha rimarcato l'agenzia;
    l'Espresso in contemporanea con altre grandi testate europee come Bbc, The Guardian, Le Monde, Süddeutsche Zeitung, ha pubblicato i documenti riservati che dimostrano come il Lussemburgo di Juncker sia stato un invidiabile paradiso fiscale per tante imprese internazionali, comprese le italiane finora emerse. Vantaggi legittimi in quanto la legislazione europea consente la concorrenza fiscale tra un Paese e l'altro mentre vieta gli aiuti di Stato. E i «tax ruling» lussemburghesi potrebbero configurarsi come tali nei confronti di alcune aziende particolarmente beneficiate da una fiscalità generosa;
    tale passato comportamento di Jean-Claude Juncker è del tutto incompatibile con il ruolo assunto di Presidente della Commissione europea che necessita di una personalità autorevole e meritevole di fiducia da parte di tutti i cittadini dell'Unione europea danneggiati dalle politiche condotte durante il suo quasi ventennale incarico di Primo ministro lussemburghese;
    la permanenza nell'incarico di Presidente dell'Unione europea di Juncker non aiuta la causa europea, in quanto la sua posizione come capo dell'istituzione che sta indagando le pratiche fiscali da lui supervisionate quando era Primo ministro del Lussemburgo, è in evidente conflitto di interesse, e pertanto la credibilità delle istituzioni, se lasciasse l'incarico, se ne avvantaggerebbe,

impegna il Governo

a promuovere l'attivazione, in conformità alle disposizioni del Trattato dell'Unione europea, delle procedure volte alla cessazione dalla carica del Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker per le ragioni esposte in premessa, valutando altresì l'ipotesi di promuovere nelle sedi competenti il ricorso alla Corte di giustizia dell'Unione europea in base all'articolo 247 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea per chiedere che il Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker sia dichiarato dimissionario dalla carica ricoperta per incompatibilità con i requisiti richiesti per tale importante ruolo.
(1-00700) «Kronbichler, Pannarale, Scotto, Palazzotto, Paglia».


   La Camera,
   premesso che:
    dal novembre 2014 il neo Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker è al centro di uno scandalo definito LuxLeaks emerso a seguito di una inchiesta giornalistica internazionale condotta da un network americano, The International Consortium of Investigative Journalism (ICIJ), e pubblicata in esclusiva per l'Italia dal settimanale l'Espresso, dove emerge che il Granducato di Lussemburgo abbia stretto accordi fiscali, circa 550, a favore di oltre 340 società negli anni dal 2002 al 2010, garantendo aliquote fiscali più basse rispetto all'ordinario. Si parla di aliquote dell'1 per cento che porterebbero ad un risparmio fino a circa il 95 per cento delle imposte dovute nei paesi di origine;
    nel periodo in cui questi accordi sono stati approvati dall'autorità fiscale del Lussemburgo il Presidente Juncker ricopriva la carica di Primo ministro, carica che ha rivestito per ben 18 anni dal 1995 al 2013;
    l'accordo fiscale del quale si fa riferimento nell'inchiesta è il cosiddetto «tax ruling» ovvero quella pratica che permette di conoscere in anticipo il trattamento di questioni fiscali internazionali. In concreto sono delle lettere di intenti emesse da un Paese che forniscono ad una società chiarimenti sul modo in cui sarà calcolata l'imposta da pagare e ottenere garanzie giuridiche. Sulla base del tax ruling le multinazionali, con controllate in diversi Stati, scelgono la destinazione più vantaggiosa dell'imponibile;
    i tax ruling (trattamenti fiscali predefiniti), siglati in Lussemburgo da PriceWaterhouseCoopers (Pwc) – una delle «big four» mondiali della consulenza – sottolinea l'inchiesta, sono perfettamente legali quando questi sono utilizzati dagli Stati membri come strumento per attirare gli investimenti delle imprese, ma se vengono usati a danno della libera concorrenza possono essere considerati aiuti di Stato illegali;
    gli Stati membri, nell'ambito della libera concorrenza nel mercato interno, possono intervenire mediante risorse statali per promuovere alcune attività economiche o proteggere alcune industrie nazionali, questi sono chiamati aiuti di Stato che però, in alcuni casi, possono falsare la concorrenza. Gli aiuti di Stato, infatti, sono vietati dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (articolo 107 TFUE), ma sono previste alcune deroghe che li autorizzano a patto che siano giustificati da obiettivi di comune interesse, ad esempio aiuti destinati a servizi di interesse economico generale, sempre che non alterino la concorrenza in misura contraria al comune interesse. Il controllo sugli aiuti di Stato è effettuato dalla Commissione europea e consiste nel valutare l'equilibrio tra gli effetti positivi e negativi degli aiuti;
    l'ex commissario alla concorrenza Joaquín Almunia aveva già aperto nei confronti del Lussemburgo due indagini una relativa ad Amazon e l'altra a Fiat Finance and Trade accusate di aver ottenuto aiuti di Stato illegali. Il neo commissario alla concorrenza Margrethe Vestager ha dichiarato che sulle due indagini aperte dal suo predecessore e sul caso LuxLeaks sarà presa una decisione entro la prossima primavera, in quanto allo stato attuale non si può ancora dire se i tax ruling in questione siano legali o meno e se quindi li si possa considerare aiuti di Stato illegali;
    il Granducato di Lussemburgo ha più holding che abitanti, conta infatti appena 550 mila abitanti. È un paese altamente ricco, basti pensare che il reddito pro capite è di circa 105 mila dollari, il più alto al mondo, quasi il triplo di quello italiano, e che deve il suo benessere alla tasse in quanto da più di 50 anni è meta preferita delle aziende alla ricerca di un trattamento fiscale di favore;
    il sistema fiscale lussemburghese funziona secondo un reciproco accordo dove le aziende spostano i loro flussi finanziari in cambio della possibilità di un trattamento tributario di eccezione. A farne le spese, però, sono i Paesi di origine delle società costretti a rinunciare al gettito sugli affari dirottati nel paradiso fiscale. Il sistema lussemburghese è molto più sofisticato ed efficiente degli altri paradisi fiscali, quali le Cayman, Panama o le Isole vergini britanniche, in quanto più aderente alle normative internazionali;
    dall'inchiesta dell'ICIJ emerge che secondo i dati Ocse, nel 2013 il Lussemburgo avrebbe ricevuto investimenti diretti esteri per 2.280 miliardi di dollari e che soltanto 122 siano andati all'economia reale, il resto si pensa siano soldi portati nel Granducato per sottrarli semplicemente al fisco dei Paesi in cui erano stati prodotti e che quindi sarebbero dovuti essere tassati;
    nonostante l'attuale legislazione europea consenta la concorrenza fiscale tra i Paesi membri è del tutto evidente che un simile sistema di difformità di regimi fiscali, che utilizzano tra l'altro la stessa moneta, sia una delle contraddizioni evidenti di questo tipo di Europa. Un'Europa dove i cittadini italiani che sono costretti a subire aumenti di tasse, riduzione del potere di acquisto dei salari ed una disoccupazione in costante ed inesorabile crescita, vedono le grandi multinazionali avere benefici fiscali smisurati a fronte di guadagni miliardari;
    paradosso del caso LuxLeaks è che il Presidente Juncker si trova ora nella situazione di un «conflitto di interessi» ricoprendo l'incarico di Presidente della Commissione europea e, quindi, come tale dover vigilare sul rispetto delle regole europee, e al tempo stesso essere stato l'artefice di un sistema fiscale, in qualità di Primo ministro del Lussemburgo e quindi direttamente responsabile delle politiche fiscali del suo Paese, che ha permesso a ben 343 aziende di togliere miliardi di euro di risorse economiche ai paesi di origine;
    il Presidente della Commissione europea Juncker ha rilasciato dichiarazioni nelle quali ha promesso di impegnarsi per l'armonizzazione dei regimi fiscali europei e continuare nella lotta all'evasione ed elusione fiscale nell'Unione europea. Dichiarazioni che ora sembrano alquanto stridenti con i fatti accaduti, ovvero di aver causato gravi squilibri e danni al mercato interno europeo;
    si attendono con fiducia le conclusioni delle indagini, conclusioni che l'attuale commissario alla Concorrenza ha promesso arriveranno entro il secondo trimestre di quest'anno, al fine di fare piena luce sul caso LuxLeaks. Sarebbe opportuno che nel frattempo il Presidente Juncker faccia un passo indietro e si faccia, quindi, giudicare da privato cittadino e possa così lasciare la guida della Commissione europea ad una figura seria e trasparente;
    a fine novembre 2014 il Parlamento europeo, riunito in sessione plenaria a Strasburgo, ha respinto una mozione di censura al Presidente Juncker a seguito dello scandalo LuxLeaks, sostenuta anche dalla Lega Nord. Con questo atto di indirizzo si vuole dare una seconda opportunità al Governo italiano di ritornare sui propri passi,

impegna il Governo

ad attivarsi in sede europea affinché si arrivi alle dimissioni del Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, che appare responsabile di politiche di elusione fiscale aggressiva, rimediando in questo modo a quello che i firmatari del presente atto di indirizzo ritengono un clamoroso errore di valutazione, fatto in occasione della designazione del Presidente della Commissione europea, al fine di salvaguardare milioni di cittadini ed imprese europee che sono giornalmente danneggiati da questa Europa che risponde solo agli interessi delle banche e della finanza e non tiene in debita considerazione le loro istanze, permettendo così l'elezione di un nuovo Presidente garante e difensore dei diritti dei cittadini europei.
(1-00701) «Borghesi, Fedriga, Allasia, Attaguile, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    il Governo ha tra le proprie prerogative quella di compiere scelte di politica economica usando ove occorra la leva fiscale. La legge di stabilità 2015 appena approvata prevede una riduzione degli introiti per i concessionari di Stato che gestiscono per conto della Repubblica italiana gli apparecchi automatici da intrattenimento, avvalendosi di una rete capillare di aziende individuate come terzi incaricati della raccolta. La scelta compiuta dal Governo è quella di attingere al settore del gioco, ed in particolare dagli apparecchi da intrattenimento, prelevando un importo pari a 500 milioni di euro, annui, in aggiunta a quelli che, ad oggi già vengono prelevati, pari a circa 4 miliardi di euro annui. Il Governo ha indicato chiaramente che la somma è dovuta da tutti i soggetti della filiera: non solo dai 13 concessionari;
    la legge di stabilità 2015, in attesa del riordino della disciplina dei giochi pubblici prevista nell'ambito della delega fiscale, disciplina (comma 644) l'attività delle agenzie di scommesse ed estende l'applicazione del piano straordinario di contrasto del gioco illegale, istituendo una apposita banca dati (comma 645). Sono aumentate le imposte sul gioco illegale (commi 646-648) e il comma 649, introdotto al Senato, prevede una riduzione pari a 500 milioni di euro dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori di filiera nell'ambito delle reti di raccolta del gioco con newslot e videolottery, mentre il nuovo comma 650, demanda a decreti ministeriali l'adozione di misure di sostegno dell'offerta di gioco. Le maggiori entrate sono state così destinate: 387 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015, al fondo per interventi strutturali di politica economica, e 150 milioni di euro al fondo per la riduzione della pressione fiscale (nuovi commi 651 e 652);
    il comma 649 della legge appare a molti degli operatori del settore in contrasto con l'articolo 14, comma 2, lettera g), della legge 11 marzo 2014, n. 23 (delega fiscale) che parla di variazione di aggi e compensi in funzione di una progressività legata ai volumi di gioco, e non di generica una tantum annuale. Il comma 649 appare inoltre in contrasto con le norme europee sulla tassazione e potrebbe indurre un ricorso alla Corte di giustizia dell'Unione europea contro l'aumento retroattivo della tassazione. La richiesta dei 500 milioni di euro fatta ai concessionari, in base al numero di apparecchi o videoterminali installati e censiti al 31 dicembre 2014, è indipendente dal fatto che gli stessi apparecchi abbiano lavorato un giorno, un mese o l'intero anno;
    la norma oltre a stabilire il principio che tutti i soggetti della filiera devono contribuire al reperimento della somma indicata, non chiarisce quanti siano e chi siano questi soggetti e se ci sono dei soggetti che siano in qualche modo esclusi. Sarebbe stato sufficiente identificarli facendo riferimento al decreto istitutivo del cosiddetto Ries, il registro dei soggetti abilitati. L'importo di 500 milioni di euro appare come una prestazione patrimoniale obbligatoria, imposta a soggetti sufficientemente identificati, non bene, ma comunque identificati, a cui però non comunica l'esatta quantificazione dovuta per legge. La nuova imposta obbliga i concessionari a versare «in aggiunta a quanto versato allo Stato ordinariamente, a titolo di imposte ed altri oneri dovuti a legislazione vigente e sulla base delle convenzioni di concessione» ulteriori 500 milioni di euro;
    la ripartizione tra i concessionari dovrebbe essere proporzionale al volume di affari e quindi agli apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, lettere a) e b), del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS) gestiti nell'esercizio che si chiude con il 31 dicembre 2014. I 500 milioni di euro riguardano sia il comma 6, lettera a) (new slot o AWP), che il comma 6, lettera b (VLT). Dal comma 6, lettera a), ogni anno i concessionari percepiscono lo 0,5 per cento di ritorno come deposito cauzionale pari a circa 220 milioni di euro. (si veda il decreto direttoriale prot. n. 21213 del 12 marzo 2014 – Individuazione dei criteri e delle modalità di restituzione ai concessionari della rete telematica per la gestione degli apparecchi da divertimento ed intrattenimento del deposito cauzionale versato dai medesimi per l'anno 2014);
    secondo il legislatore con la delega fiscale «degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori di filiera» non esisterà categoria di apparecchi a vincita esclusa dall'obbligo di contribuire alla nuova imposta. Il rischio è che, dal momento che una apparecchiatura AWP che rende 1000 euro al giorno viene tassata come una che ne incassa 100, i concessionari scelgano di installare gli apparecchi a più alto reddito. Ma in questo modo cresce anche il rischio di indurre in forma ancora più grave una patologia come il gioco d'azzardo patologico, perché si dismetterebbero gli apparecchi che rendono meno, ma garantiscono un intrattenimento meno pericoloso. In questo modo, come naturale conseguenza, si innalzerà il livello di malessere sociale derivante dal gioco d'azzardo patologico e la leva fiscale, che avrebbe dovuto contenere il fenomeno «negativo delle slot-machine», potrebbe ottenere un risultato contrario a ciò che ci si prefiggeva di ottenere. Alla potenziale riduzione del gettito fiscale, si sommerebbe la riduzione del numero dei soggetti che lavorano nel comparto del gioco;
    le associazioni di categoria, scrivendo al Presidente del Consiglio dei ministri, hanno espresso il loro sconcerto di fronte alla relazione della ragioneria generale dello Stato del 13 dicembre 2014 nella quale il settore del gioco veniva dipinto come una realtà alla quale «non corrisponde una vera attività lavorativa». Mentre invece si tratta di un settore che conta 4.000 aziende sul territorio nazionale, con un indotto che occupa oltre 180.000 addetti e relative famiglie e oltre 110.000 esercizi pubblici, che a loro volta coinvolgono ulteriori 390.000 persone. È evidente che la legge delega dovrà senza indugio (cioè prima che si creino paralisi e danni a privati ed erariali, di interesse pubblico quali cali di gettito o dilagare dell'illegalità) porre rimedio alle lacune della norma;
    altro aspetto problematico della legge è il trattamento riservato al mercato parallelo della distribuzione del gioco al quale è stata offerta una sanatoria a condizioni agevolate. Uno dei problemi che la normativa sul gioco d'azzardo infatti deve ancora affrontare con chiarezza è quella che riguarda i Centri di trasmissione dati, una sorta di rete parallela al sistema concessorio dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli di Stato. Si tratta di un fenomeno che negli anni ha raggiunto proporzioni enormi, se si pensa che il volume delle scommesse raccolte da questi centri è dell'ordine di 2 miliardi e mezzo l'anno contro i 3,7 miliardi dei negozi regolari: astronomica appare l'evasione fiscale connessa a questo sistema parallelo;
    secondo l'amministratore delegato di Stanleybet, i Centri di trasmissione dati sono già legali, per cui non debbono aderire al condono. Secondo lui si tratta di Centri internazionali che negli ultimi anni sono stati spesso discriminati rispetto ai centri nazionali: l'adesione al condono spoglierebbe i Centri di trasmissione dati di tutti i diritti acquisiti dopo anni e anni di battaglie giudiziarie. La nuova normativa comprometterebbe la possibilità di riordinare il sistema nel 2016 e quindi non consentirebbe di adeguarlo ai principi di parità e di uguaglianza tra operatori nazionali e comunitari. Si crea anche il rischio che possano accedere al condono soggetti che gestiscono scommesse clandestine in proprio, senza nessun collegamento con un bookmaker estero. Queste persone, dal passato non sempre limpido, possono oggi pagare il condono proposto e aderire alla regolarizzazione. La legge di stabilità in definitiva è stata approvata, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, solo ed esclusivamente per finalità di raccolta fiscale,

impegna il Governo:

   a considerare come la leva fiscale, prevista dalla legge recante la delega fiscale e dalla stessa legge di stabilità 2015 recentemente approvata, non esaurisce la gravità dei problemi sollevati dalla dipendenza grave dal gioco d'azzardo che rende oggettivamente difficile la vita delle persone che ne sono affette e delle loro famiglie;
   a valutare come meglio integrare le norme legate al gioco d'azzardo in una visione d'insieme che tenga conto di tutte le modalità in cui si sviluppa il gioco, che crea dipendenza, non solo quindi VLT e new slot, ma anche i nuovi giochi che proliferano quotidianamente secondo le modalità del gratta e vinci, i giochi on-line e quelli che sfruttano i canali dei Centri di trasmissione dati;
   a non ridurre le problematiche legate al gioco d'azzardo alla sola dimensione economico-fiscale e a promuovere misure di ordine preventivo e terapeutico-riabilitativo più efficaci ed incisive, così come proposte da iniziative all'esame dei competenti organi parlamentari;
   ad attivare il nuovo osservatorio che dovrebbe svolgere funzioni di controllo sui modelli di gioco che continuamente sorgono e sostituiscono i precedenti, quando questi sembrano aver esaurito la loro funzione di stimolo sui giocatori, posto che il fenomeno delle dipendenze dal gioco è in crescita costante;
   ad assumere iniziative per rivedere in modo concreto le dinamiche pubblicitarie legate alla promozione dei nuovi giochi, prestando attenzione anche alla pubblicità che appare nei luoghi di prossimità alle sale da gioco o a quella diretta che si fa nei locali tipo bar, tabaccherie e altro, in cui spesso la capacità di attrazione è molto spiccata;
   a valutare la possibilità di assumere ogni iniziativa di competenza per rendere più omogenee le norme relative a distanze ed orari, a numero di apparecchi da gioco e altro, superando l'attuale difformità che ai firmatari del presente atto di indirizzo appare eccessiva
(1-00702) «Binetti, Buttiglione, D'Alia, Piccone, Tancredi, Garofalo, Saltamartini, Causin, Cera, Calabrò, Roccella, Alli, Pagano, Scopelliti, Sammarco».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo il Ministero della salute per ludopatia (o gioco d'azzardo patologico) si intende l'incapacità di resistere all'impulso di giocare d'azzardo o fare scommesse, nonostante l'individuo che ne è affetto sia consapevole che questo possa portare a gravi conseguenze. Per continuare a dedicarsi al gioco d'azzardo e alle scommesse, chi è affetto da ludopatia trascura lo studio o il lavoro e può arrivare a commettere furti o frodi. Questa patologia condivide alcuni tratti del disturbo ossessivo compulsivo, ma rappresenta un'entità a sé;
    il gioco d'azzardo patologico è una delle prime forme di «dipendenza senza droga» studiate che ha ben presto attratto l'interesse della psicologia e della psichiatria, ma anche dei mezzi di comunicazione di massa, degli scrittori e dei registi, al punto che si continua spesso a riparlarne in relazione alle sue conseguenze piuttosto serie sulla salute ed in particolare sull'equilibrio mentale che questo tipo di problema è in grado di produrre;
    per cominciare ad individuare gli indicatori della patologia da gioco, è estremamente importante chiarire innanzitutto la necessità di operare una distinzione tra giocatori d'azzardo e giocatori patologici. Per molte persone, infatti, numerosi giochi d'azzardo tra quelli elencati sono piacevoli passatempi, in taluni casi occasionali e in altri abituali, ma anche in quest'ultimo caso non significa che il gioco sia necessariamente patologico, dal momento che non è la quantità il fattore discriminante del problema. Il giocatore compulsivo, infatti, si pone lungo un continuum che conta diverse tappe dai confini spesso sfumati che vanno dal gioco occasionale, al gioco abituale, al gioco a rischio fino al gioco compulsivo. Di conseguenza, il gioco d'azzardo patologico si configura come un problema caratterizzato da una graduale perdita della capacità di autolimitare il proprio comportamento di gioco, che finisce per assorbire, direttamente o indirettamente, sempre più tempo quotidiano, creando problemi secondari gravi che coinvolgono diverse aree della vita;
    i testi scientifici dicono come un giocatore veramente dipendente sia una persona in cui l'impulso per il gioco diviene un bisogno irrefrenabile e incontrollabile, al quale si accompagna una forte tensione emotiva ed una incapacità, parziale o totale, di ricorrere ad un pensiero riflessivo e logico;
    si può parlare di una vera e propria «dipendenza dal gioco d'azzardo» se sono presenti sintomi di tolleranza, come il bisogno di aumentare la quantità di gioco, sintomi di astinenza, come malessere legato ad ansietà e irritabilità associati a problemi vegetativi o a comportamenti criminali impulsivi e sintomi di perdita di controllo manifestati attraverso incapacità di smettere di giocare. Se prevalgono altri sintomi maggiormente legati al deficit nel controllo degli impulsi, il comportamento di gioco patologico impulsivo va ricondotto soprattutto ad un problema in quest'area, senza che si possa necessariamente parlare di dipendenza;
    gli operatori del settore lanciano un ulteriore allarme su quello che diventerà una ulteriore emergenza: il disagio psicologico che investe i familiari delle persone affette da ludopatia. Dagli studi tra i più colpiti risultano essere i minori che vengono travolti da una situazione che non riescono a gestire e che provoca ansie, problemi scolastici ed altre patologie;
    di recente, l'articolo 5 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, ha inserito la ludopatia nei livelli essenziali di assistenza (Lea), con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da questa patologia;
    lo Stato prevede di incassare dal settore giochi circa 35,7 miliardi di euro nel triennio 2015-2017. È quanto chiariscono le tabelle del «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2015 e bilancio pluriennale per il triennio 2015-2017», approvato contestualmente alla legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015) e pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Secondo le tabelle di previsione, nel 2015 dai giochi dovrebbero arrivare oltre 11,85 miliardi: 6,6 miliardi dai proventi del lotto, oltre 4,7 miliardi dai «proventi dei giochi» e 480 milioni dalle lotterie. La cifra è destinata a salire nel 2016, fino a raggiungere quota 11,88 miliardi (sempre 6,6 miliardi dal lotto, con l'aggiunta dei 484 milioni dalle lotterie e degli oltre 4,81 miliardi di proventi giochi). La cifra è ulteriormente in rialzo fino agli 11,95 miliardi nel 2017, grazie al contributo dei 6,6 miliardi del lotto, dei 4,86 miliardi di proventi dei giochi, dei 489 milioni provenienti invece dalle lotterie;
    secondo i dati della guardia di finanza è di 23 miliardi di euro il valore del giro d'affari del gioco illegale in Italia nel 2013. Di questi 23 miliardi, ben 1,5 provengono direttamente dal gioco online. Il settore del gioco costituisce poco più del 13 per cento del giro d'affari complessivo dell'economia illegale, valutato a circa 175 miliardi di euro per l'anno appena concluso;
    nel 2013 la Guardia di finanza ha effettuato complessivamente 9.471 interventi, nel settore del monopolio del gioco e delle scommesse: di questi, 3.425 sono stati scoperti irregolari. 3.545 sono le violazioni riscontrate, 10.171 i soggetti verbalizzati. Sono stati sottoposti a controllo 2.035 punti di raccolta scommesse clandestini, collegati a bookmaker privi di concessione in Italia (in crescita del 30 per cento rispetto al 2012); sono stati rilevati 6,6 milioni di imposta unica inevasa e sono state sequestrate somme per un totale di 860 mila euro. Risultano essere 1.918 gli apparecchi di gioco non conformi sequestrati – il 25 per cento in meno rispetto all'anno precedente. La crescita più significativa si osserva però nel sequestro di locali per la raccolta di scommesse senza la concessione ministeriale: sono 557 i punti sequestrati, con un aumento del 240 per cento rispetto all'anno precedente;
    un problema di fondo continua ad essere eluso. Non si tratta di decidere se sia giusto o meno, ad esempio, stanziare 50 milioni di euro per la lotta alla ludopatia, ossia alla mania del gioco d'azzardo. Bisogna al contrario capire se le strutture pubbliche che ci sono davvero capaci di fare qualcosa per combattere questo brutto vizio, oppure no. Solo così si può evitare di sprecare denaro;
    tra le misure inserite nella legge di stabilità 2015 in materia di gioco non c’è solo l'innalzamento del prelievo erariale unico (PREU) la diminuzione del payout e il recupero di somme dai centri che operano in Italia senza autorizzazione, si prevedono anche misure di contrasto alla ludopatia e, in dettaglio che, «nell'ambito delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, quello relativo all'attuazione del Patto per la salute 2014-2016, a decorrere dal 2015 una quota pari a 50 milioni di euro è annualmente destinata alla cura delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo». Alla ripartizione dell'importo si provvede annualmente all'atto di assegnazione delle risorse spettanti alle regioni e province autonome a titolo di finanziamento del fabbisogno sanitario standard regionale,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per sancire il divieto della pubblicità del gioco d'azzardo che rappresenterebbe un reale contrasto alla ludopatia, destinando i fondi che lo Stato ora chiede ai concessionari del settore alla pubblicità, alla cura e alla prevenzione delle patologie derivati dal gioco;
   ad assumere iniziative per modificare la legislazione vigente in modo che venga dato ai sindaci e alle giunte comunali un reale potere di controllo sulla diffusione e sull'utilizzo degli strumenti di gioco sul proprio territorio;
   ad intensificare i controlli contro il gioco clandestino, al fine di contrastare l'attività della criminalità che si è inserita nel settore, recuperando parte delle risorse che sfuggono all'erario e a destinare le medesime alla lotta alle ludopatie, restituendo la quota di 50 milioni di euro al finanziamento del Servizio sanitario nazionale;
   a promuovere protocolli precisi e stringenti che disciplinino le procedure di intervento per chi si occuperà del sostegno e del recupero sia dei soggetti affetti da ludopatie sia dei loro familiari al fine di evitare abusi e illeciti.
(1-00703) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    l'istituzione delle zone franche urbane è stata disposta dall'articolo 1, comma 340, della legge 24 dicembre 2006, n. 296, legge finanziaria per il 2007, che ha a tal fine costituito nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico un apposito fondo di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 per il finanziamento di programmi di intervento da realizzarsi nelle sopradette zone;
    la legge 24 dicembre 2007, n. 244, articolo 2, commi 561, 562 e 563, della legge finanziaria per il 2008, ha confermato il sopradetto stanziamento e ha definito in maggior dettaglio le agevolazioni fiscali e previdenziali in favore delle aree ricadenti nelle zone franche urbane;
    l'articolo 37 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012, per dare concreta attuazione allo strumento delle zone franche urbane, ha previsto la possibilità che le risorse rivenienti dalla riprogrammazione dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013 nell'ambito del Piano di azione per la coesione, nonché ulteriori risorse regionali potessero essere destinate anche al finanziamento delle agevolazioni previste per le zone franche urbane. Le agevolazioni consistono nell'esenzione dal pagamento delle imposte sui redditi, dell'Irap, dell'imposta sugli immobili e dei contributi sulle retribuzioni da lavoro dipendente, in favore delle imprese di micro e piccole dimensioni localizzate o che si localizzano nelle zone franche urbane individuate dalla precedente delibera Cipe n. 14 del 2009;
    il sopradetto articolo, attuato con il decreto interministeriale 10 aprile 2013, ha previsto la possibilità di individuare ulteriori zone delle regioni ammissibili all'obiettivo convergenza, nonché di estendere tali agevolazioni nelle aree industriali delle medesime regioni dove è stata avviata una procedura di riconversione industriale;
    lo spirito della legge è quello di accordare un regime di esonero contributivo e fiscale alle piccole e micro imprese che si insediano nelle aree ricadenti nelle zone franche urbane e che sono caratterizzate da disagio sociale, economico ed occupazionale, favorendone lo sviluppo economico e sociale;
    attualmente le zone franche urbane sono localizzate in 22 città distribuite sul territorio nazionale, le quali, ad eccezione di Ventimiglia e Massa Carrara, sono prevalentemente concentrate al centro e al sud del Paese;
    lo strumento della zona franca urbana potrebbe essere efficacemente impiegato per contrastare la competizione di sistemi fiscali, previdenziali e burocratici più vantaggiosi dei Paesi confinanti con l'Italia, come l'Austria e la Slovenia che, da diversi anni, hanno messo in atto una forte concorrenza, di tipo prevalentemente fiscale, nei confronti della fascia confinaria della regione del Friuli Venezia Giulia e, in particolare, nell'area di Tarvisio per il valico austriaco e a tutto il confine con la Slovenia;
    le zone della fascia confinaria della regione autonoma Friuli Venezia Giulia subiscono, quindi, un grave danno dal punto di vista socio economico dall'attuazione di più efficaci politiche di semplificazione amministrativa, burocratica e fiscale dei Paesi confinanti, determinandosi per tali zone i presupposti per il riconoscimento dello status giuridico di zone franche urbane;
    i benefici riconosciuti oltreconfine, in riferimento alle imposte sulle accise, al costo del lavoro e ai differenziali più favorevoli del costo della vita e dei servizi e, più in generale, l'adozione di politiche che stimolano la nascita di figure imprenditoriali e l'ingessamento nel mondo del lavoro dei giovani, rappresentano delle vere e proprie opportunità di sviluppo per le aziende friulane che da tempo hanno attuato una progressiva delocalizzazione produttiva oltre confine;
    gli effetti sul territorio di origine delle imprese dislocanti sono devastanti, generando nel medio e lungo periodo un depauperamento di risorse economiche ed occupazionali, con ricadute sull'economia territoriale friulana e, più in generale, su quella dell'intero Paese;
    particolarmente colpite sono le zone distrettuali per le quali si rende necessaria l'adozione di politiche di rilancio favorendo anche lo sviluppo di produzioni e di occupazione locale;
    si rende, quindi, necessario interrompere il processo di delocalizzazione delle imprese dalla regione friulana attraverso l'attuazione di un'organica azione di difesa e di sostegno del tessuto produttivo posizionato lungo le fasce di confine al fine di promuovere lo sviluppo dell'economia locale e dell'occupazione nei territori interessati;
    unico punto di forza della regione è il porto franco di Trieste che, ad oggi, costituisce un unicum nell'ordinamento giuridico italiano e comunitario, in virtù di ragioni storiche e politiche che lo hanno sempre visto come luogo deputato a vantaggi fiscali e prerogative giuridiche di natura eccezionale in considerazione della sua posizione strategica;
    dopo la Seconda guerra mondiale, al porto di Trieste è stato, infatti, riconosciuto uno «status internazionale» sia dal Trattato di Pace di Parigi del 1947, sia dagli allegati a questo, in particolare dagli articoli 1-20 dell'allegato VIII, «Strumento relativo al porto franco di Trieste», e dagli articoli 34 e 35 dell'Allegato VI, «Statuto permanente del territorio libero di Trieste»;
    il porto franco di Trieste, come stabilito dall'articolo 1 dell'allegato VIII, svolge la funzione internazionale di «assicurare che il porto ed i mezzi di transito di Trieste possano essere utilizzati in condizioni di uguaglianza da tutto il commercio internazionale secondo le consuetudini vigenti negli altri porti franchi del mondo»;
    attualmente i vantaggi riconosciuti al porto consistono, sostanzialmente, in due regimi di specialità, ossia la massima libertà di accesso e transito e l'extradoganalità (o «extraterritorialità doganale»), che riconoscono, tra gli altri vantaggi: il diritto all'ingresso di navi e merci senza discriminazioni con possibilità di sosta, per un tempo indeterminato, in regime di esenzione fiscale e senza necessità di autorizzazioni di imbarco e sbarco; il divieto di ingerenza doganale e quindi anche di controllo doganale sulle merci in entrata e in uscita (che si svolge solo ai varchi), salvo specifiche eccezioni; nessun limite di tempo allo stoccaggio delle merci e nessuna formalità doganale da espletare o diritto doganale da pagare fin quando le merci restano nei punti franchi; tasse portuali ridotte e sistema dogale semplificato per il transito di merci su ferrovia, oltre che transito semplificato per i mezzi commerciali destinati all'estero in transito da e per il porto di Trieste;
    nello specifico, il porto franco triestino gode della possibilità di manipolazione e trasformazione, anche a carattere industriale, delle merci, in completa libertà da ogni vincolo dogale; del cosiddetto «credito doganale», o meglio del diritto, per le merci importate nel mercato comunitario attraverso i punti franchi, di pagamenti dei relativi dazi e delle imposte doganali con dilazione fino a 6 mesi dopo la data dello sdoganamento ad un tasso annuo particolarmente ridotto (50 per cento dell'Euribor a 6 mesi); della possibilità di estensione dei punti franchi;
    i confini dei punti franchi del porto di Trieste sono fissati dall'articolo 3 dell'allegato VIII, secondo cui «l'area del porto libero include il territorio e le installazioni delle zone franche del porto di Trieste entro i limiti dei confine del 1939», il quale, inoltre, stabilisce che «in caso sia necessario dover incrementare l'area del porto libero tale incremento può essere fatto su proposta del direttore del porto libero con decisione del Consiglio di Governo e con l'approvazione dell'Assemblea popolare»;
    in virtù della clausola di salvaguardia di cui all'articolo 307 del Trattato di Roma e in ragione del suo regime giuridico internazionale, il porto franco triestino è l'unica zona franca situata nell'Unione europea che gode di un regime speciale, più favorevole rispetto alla disciplina prevista dal Codice doganale comunitario per le zone e i depositi franchi, ma non adeguatamente valorizzata;
    al fine di implementare ed incentivare lo sviluppo industriale di questa zona, che comporterebbe, naturalmente, un conseguente sviluppo economico di tutta la regione friulana, ma anche non pochi vantaggi in termini di concorrenzialità e produttività dell'intero Paese a livello internazionale, sarebbe opportuno estendere i confini dei territori ricompresi nei suoi punti franchi, prevedere regimi fiscali agevolati e discipline normative più flessibili in materia di regolamentazione del lavoro e maggiori più convenienti condizioni di agevolazione fiscale e doganale;
    logisticamente, i territori ricompresi all'interno delle zone franche potrebbero essere ampliati al fine di permettere, il più possibile, l'insediamento di attività industriali che attualmente non possono svilupparsi in maniera adeguata, poiché le zone ricomprese nei porti franchi, trovandosi a ridosso della città, limitano spazialmente l'insediamento di industrie e di altre attività di tipo produttivo;
    nella stessa logica di valorizzazione di un così importante punto strategico, accanto al potenziamento della presenza di attività industriali, sarebbe opportuno prevedere una nuova disciplina in termini di regolamentazione del mercato del lavoro, predisponendo strumenti giuridici che permettano una maggiore flessibilità delle regole in materia di reclutamento del personale e la detassazione del costo del lavoro per le imprese che operano all'interno della stessa zona franca;
    infine, si rende opportuno potenziare ed estendere le agevolazioni fiscali, ma soprattutto doganali, afferenti all'eccezionale status giuridico extradoganale che, potendo usufruire di una serie di condizioni maggiormente favorevoli rispetto a quelle normalmente riconosciute alle zone franche nazionali e comunitarie, potrebbero non poco contribuire alla formazione di una zona economica speciale molto più competitiva, in grado di contrastare le zone franche vicine, come, ad esempio, quelle del Nord Africa, non sottoposte alle più stringenti normative comunitarie,

impegna il Governo:

   nel rispetto dell'autonomia speciale della regione, ad assumere iniziative per favorire il rilancio economico ed industriale dei territori friulani attraverso:
    a) l'istituzione di zone franche urbane a favore dei territori ricadenti nella fascia confinaria della regione Friuli Venezia Giulia ed in particolare nell'area di Tarvisio per il valico austriaco e in tutto il confine con la Slovenia;
    b) l'introduzione di misure di sostegno dei territori dei distretti industriali del Friuli Venezia Giulia interessati dai processi di delocalizzazione produttiva, attraverso il riconoscimento dello status di zona franca, finalizzato a prevedere una riduzione degli oneri burocratici, fiscali e sociali tale da incentivare le imprese alla permanenza nei luoghi d'origine e all'assunzione di forza lavoro locale;
    c) l'introduzione a regime nelle sopradette aree di misure di detassazione del salario di produttività con riferimento al settore privato, con particolare riferimento all'imprenditoria giovanile e ai titolari di reddito da lavoro dipendente;
    d) il potenziamento, in termini di concorrenza e produttività, della zona del porto franco di Trieste prevedendo, come già specificato in premessa, l'ampliamento dei confini dei territori attualmente ricompresi nei suoi punti franchi, la previsione di regimi fiscali agevolati in materia di regolamentazione e di costo del lavoro e l'attuazione delle condizioni di extraterritorialità.
(1-00704) «Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    il Trattato di Parigi del 1947, alla fine della Seconda guerra mondiale, assegnava al porto di Trieste cinque punti franchi per favorire gli investimenti nell'area di Trieste e l'apertura di nuovi sbocchi verso un'ampia area dell'Europa;
    con la caduta del muro di Berlino, la fine della Guerra fredda e l'allargamento dell'Unione europea, quella motivazione è divenuta più che mai attuale proprio in virtù della posizione geopolitica del Friuli Venezia Giulia, baricentrica rispetto al cuore della nuova Europa;
    al contrario, da diversi anni, l'area di confine compresa tra la regione autonoma Friuli Venezia Giulia, la Slovenia e l'Austria, rappresentata dalle città di Trieste, Gorizia, Cividale e Tarvisio, subisce un'agguerrita concorrenza, soprattutto dal punto di vista fiscale, messa in atto dai Paesi confinanti, che sta causando pesanti ricadute economiche negative;
    dall'analisi dei modelli di sviluppo di quelle aree industriali di confine emergono sostanziali differenze nei sistemi di tassazione;
    in Slovenia il livello di tassazione sul reddito riservato alle imprese che investono e offrono lavoro sul territorio è pari al 20 per cento. Particolari riduzioni e agevolazioni sono riconosciute alle imprese operanti in zone economiche depresse. Inoltre, nella determinazione del reddito d'impresa, i coefficienti di ammortamento delle immobilizzazioni sono in genere fra quelli più elevati presenti nell'Unione europea, quindi molto favorevoli per le imprese che così possono recuperare, in un lasso temporale più breve, i costi per gli investimenti realizzati. Per le imprese che realizzano esportazioni almeno pari al 51 per cento del fatturato è prevista una detassazione del reddito imponibile in relazione a investimenti per nuovi impianti o ampliamenti, ovvero per incrementi occupazionali. I dividendi sono tassati al 15 per cento, sia per i soggetti residenti sia per i non residenti, fatta salva l'applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni;
    per quanto riguarda l'Austria, le società che hanno una propria sede legale o amministrativa sul territorio subiscono una tassazione pari al 25 per cento sui redditi ovunque prodotti. Per le aziende straniere, la Carinzia offre alle imprese contributi sugli investimenti fino ad un massimo del 35 per cento e fino al 60 per cento sulle spese nel settore ricerca e sviluppo (nel resto dell'Austria ci si ferma al 35 per cento);
    in Italia, a fronte di un tax rate teorico del 31,4 per cento (27,5 per cento Ires e 3,9 per cento Irap) se ne registra uno effettivo complessivo che, per le piccole e medie imprese, può arrivare a superare il 68,5 per cento. Se questo dato lo si confronta con quello della media europea, pari al 42 per cento, è facile comprendere perché il nostro Paese sia confinato agli ultimi posti della classifica del «Fare business» stilata dalla Banca mondiale;
    a fronte di tale situazione nei Paesi confinanti e dell'elevata tassazione in Italia, le imprese del Friuli Venezia Giulia guardano con attenzione alle opportunità offerte da Austria e Slovenia. L'interesse degli imprenditori non è tuttavia dettato solo dal miglior tax rate gravante sulle imprese, ma anche dal sistema degli incentivi, dalla burocrazia snella, dall'efficienza del sistema giudiziario e dal più basso costo delle fonti energetiche;
    secondo l'Ice il numero delle aziende italiane che negli ultimi anni hanno deciso di delocalizzare o trasferire integralmente le proprie attività in Slovenia supera quota 600, mentre quelle che hanno scelto l'Austria superano le 900 unità;
    secondo la Confapi del Friuli Venezia Giulia, il dato che sorprende, e che preoccupa, è che negli ultimi tempi anche le piccole e le micro imprese stanno iniziando a valutare l'eventualità di trasferirsi, finendo per compromettere nei presupposti ogni prospettiva di ripresa dell'economia regionale, caratterizzata dalla presenza di un tessuto di piccole e medie imprese che nei decenni passati hanno rappresentato il cuore produttivo pulsante della regione e una parte significativa del Nord-Est produttivo;
    completano il quadro degli aspetti che rendono attraenti questi Paesi le convenzioni contro le doppie imposizioni, il veloce rimborso dell'iva a credito, la deducibilità quasi totale dei costi aziendali, una complessità burocratica ridotta ai minimi termini, il recepimento delle normative comunitarie in modo tale da non far gravare sulle imprese altra burocrazia e costi aggiuntivi, le autorizzazioni amministrative quasi automatiche, il contenzioso tributario limitato, l'amministrazione finanziaria efficiente e atteggiata in modo «friendly» nei confronti delle imprese virtuose;
    si sta registrando altresì in Friuli Venezia Giulia uno spostamento della residenza fiscale oltre confine, in considerazione del fatto che tale decisione, oltre a non richiedere un grande sforzo logistico, è in grado di evitare la doppia imposizione dei redditi d'impresa;
    questa tendenza a delocalizzare, alimentata significativamente dalla convenienza fiscale, può essere fermata contrapponendole un «sistema Italia» capace di rendere nuovamente attraente il nostro Paese per i nuovi insediamenti e per il potenziamento di quelli esistenti;
    con la legge finanziaria per il 2007 (articolo 1, comma 340, della legge 24 dicembre 2006, n. 296) sono state istituite le zone franche urbane al fine di sostenere lo sviluppo economico in alcune aree depresse del Paese attraverso una fiscalità di vantaggio, nell'ambito delle procedure derogatorie previste dalla legislazione comunitaria;
    i requisiti necessari ordinari per il riconoscimento dello status giuridico di zona sono quelli di essere territori ultraperiferici, a rischio di spopolamento e con una situazione socio economica di sottosviluppo, ma sarebbe opportuno altresì tenere in conto delle specifiche disposizioni legislative dello Stato, rafforzate dall'articolo 116 della Costituzione, che attribuiscono al Friuli Venezia Giulia, e alle altre regioni a statuto speciale, forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti adottati con legge costituzionale;
    è indubbio, infatti, che l'applicazione della zona franca urbana nelle fasce confinarie regionali che subiscono maggiormente la concorrenza di sistemi fiscali, previdenziali e forme contrattuali di lavoro particolarmente vantaggiose, possa rappresentare uno strumento strategico importante per promuovere il rilancio dell'economia territoriale;
    questa possibilità risulterebbe oltremodo importante per il rilancio dell'economia della regione Friuli Venezia Giulia alla luce del progressivo allargamento dell'Unione europea verso i Paesi dell'est e potrebbe fornire una significativa opportunità per scambi commerciali e di servizi, con evidenti ricadute positive sull'economia locale che è caratterizzata da un tessuto produttivo fatto di piccole e medie imprese industriali, commerciali, artigianali e turistiche,

impegna il Governo:

   ad agire con tempestività al fine di scongiurare il rischio di una deindustrializzazione dell'area, ed in particolare:
    a) a considerare l'opportunità, per quanto di competenza e in conformità alla disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato, di introdurre per la regione di confine sopradetta un regime di fiscalità di vantaggio, anche temporaneo, in materia di dazi doganali ed extra-doganali, di imposte sui consumi e sui redditi limitatamente a quelli prodotti nella zona franca, al fine di interrompere il processo di delocalizzazione già in atto per effetto di una concorrenza impari degli Stati confinanti;
    b) a sostenere le imprese operanti nell'area sopra individuata attraverso un'incisiva semplificazione fiscale e burocratica, per consentire alle nuove imprese e alle imprese dei giovani di poter competere, oltre che sul piano fiscale, anche su quello organizzativo con le imprese omologhe dei Paesi confinanti in quell'area;
    c) a prevedere iniziative volte a contrastare i fenomeni di disagio sociale ed economico causati dalla concorrenza degli Stati confinanti, a interrompere il processo di delocalizzazione degli impianti produttivi in corso, nelle aree oltre confine, e a favorire il rilancio economico e imprenditoriale friulano.
(1-00705) «Gigli, Dellai».


   La Camera,
   premesso che:
    il purtroppo costante aumento in questi ultimi anni delle offerte di gioco pubblico, sempre nuove e invasive, con il conseguente forte aumento della domanda indotta, è stato favorito anche da una situazione sociale, quale quella di una crisi economica in atto, che spinge sempre più persone a cercare nella fortuna la possibile uscita dalle difficoltà economiche;
    soprattutto in questi ultimi anni lo Stato ha incentivato l'offerta di nuovi giochi, che gli hanno garantito un evidente, e molto «facile» ritorno in termini di consistenti entrate tributarie, senza però tenere in debito conto le ricadute sociali ed economiche fortemente negative connesse a questa decisione. Il gioco d'azzardo compulsivo è una forma morbosa che si sta sempre più trasformando in un'autentica malattia sociale;
    la scelta di incrementare il settore del «gioco pubblico» nel nostro Paese, se ha avuto alcuni aspetti positivi legati a una riduzione delle offerte di gioco illegali, oltre all'aumento conseguente delle entrate erariali, sta mostrando però forti e sempre più preoccupanti ricadute negative in termini di «spesa sociale». Il dilagare dei giochi e l'influenza che essi esercitano soprattutto sui soggetti psicologicamente più fragili, stanno infatti determinando e determineranno sempre di più, conseguenze pesanti a livello sociale e sulla vita di molte persone e famiglie. A questo va aggiunta l'attrattiva che questo settore esercita per le organizzazioni malavitose che hanno capitali da riciclare;
    la ricerca pubblicata nel 2009 dall'Eurispes, ha evidenziato come il fatturato dell'industria del gioco, la pone come il terzo settore del Paese;
    il 2 agosto 2012, la Commissione affari sociali della Camera, ha approvato il Documento conclusivo relativo all'indagine conoscitiva relativa agli aspetti sociali e sanitari della dipendenza dal gioco d'azzardo;
    quanto emerso dalla suddetta indagine conoscitiva, gli italiani spendono 1200 euro pro-capite all'anno per i giochi e l'universo dei giocatori è di 30 milioni di persone, delle quali, come riferito in primo luogo dall'associazione Libera, ma ribadito anche da altri soggetti auditi, sono a rischio di dipendenza circa 2 milioni mentre sono 800 mila i giocatori patologici;
    se in Italia si stimano in 393 mila i tossicodipendenti, i giocatori patologici sono il doppio;
    giocano le persone che anche in passato cercavano di risolvere i problemi economici con il gioco, ma ora la platea si è enormemente allargata e questo ha determinato l'ampliamento della fascia della dipendenza. Sono interessati con una certa prevalenza i ceti meno abbienti e le persone più povere da un punto di vista relazionale che cercano, attraverso il gioco, di coltivare un sogno che talvolta però si traduce in un incubo. Il fenomeno è legato alla scarsa diffusione della cultura scientifica ed alla larga tendenza a convincersi di poter acquistare un sogno;
    a giocare di più sono gli uomini, con bassa scolarizzazione e tra questi prevalgono coloro hanno una situazione lavorativa precaria;
    secondo l'ANCI, che riferisce ricerche condotte sulla materia, il 10 per cento gioca ad almeno 6 o più giochi, il 10 per cento gioca più di tre volte alla settimana. Il 4,2 per cento spende parecchie centinaia di euro al mese. Il 7,2 per cento è rappresentato da giocatori a rischio e di questi il 2,1 per cento ha le caratteristiche del giocatore patologico;
    quando l'impulso a giocare si fa persistente, e diventa difficile porvi dei limiti, il gioco d'azzardo si definisce patologico, ossia diventa una vera e propria malattia. Il giocatore patologico è colui che gioca più denaro di altri, più a lungo e più spesso di quanto lui stesso ha previsto e soprattutto più di quanto si può permettere. E ciò accade perché ha perso la libertà di astenersi;
    sono migliaia i giocatori patologici in terapia nei SERD (servizio per le dipendenze), ossia i centri per le dipendenze delle nostre Asl, che ora si occupano – con zero risorse in più – oltre che di alcolisti, tossicodipendenti e altro, anche dei malati da gioco. Altri malati si appoggiano invece ad associazioni di volontariato e centri di ascolto. Tra queste persone in cura nei SERD, circa il 40 per cento sono precari, disoccupati, pensionati, casalinghe, fasce deboli della popolazione;
    molto spesso poi, il gioco d'azzardo patologico (g.a.p.) è accompagnato da altre dipendenze, quali alcool, sostanze stupefacenti, e pertanto si rende necessario instaurare percorsi di cura integrati fra SERD e i centri per la salute mentale;
    una più recente indagine sul gioco d'azzardo nei minori, condotta da Datanalysis e promossa da SIMPe e l'Osservatorio Nazionale sulla salute dell'infanzia e dell'adolescenza (Paidòss) e presentata all'International Pediatric Congress on Environment, Nutrition and Skin Diseases, organizzato a Marrakech dal 24 al 26 aprile 2014, ha evidenziato come sono circa 800 mila gli adolescenti italiani fra i 10 e i 17 anni che giocano d'azzardo e 400 mila i bimbi fra i 7 e i 9 anni che si sono già avvicinati al mondo di lotterie, scommesse sportive, bingo e altro. Inoltre in più della metà delle famiglie, i computer di casa non hanno filtri per impedire di accedere ai siti per il gioco on-line vietati ai minori. Si tratta di uno studio che tratteggia scenari preoccupanti, per questo parte dai pediatri dalla SIMPe, la società italiana medici pediatri, una campagna di sensibilizzazione «Ragazzi in gioco» rivolta ai professionisti e agli studenti delle scuole;
    la medesima indagine, ha segnalato come il 35 per cento degli adulti conosce ragazzini che frequentano sale giochi e in un caso su tre vi ha incontrato minori, dai quali peraltro ha ricevuto la richiesta di giocare al loro posto per eludere i divieti che impediscono alcune tipologie di scommesse a chi non è maggiorenne;
    come ricordato dalla campagna di sensibilizzazione di «Mettiamoci in gioco» contro i rischi del gioco d'azzardo, presentata il 14 novembre 2014, e promossa da Acli, Ada, Adusbef, Anci, Anteas, Arci, Associazione Orthos, Auser, Aupi, Avviso Pubblico, Azione Cattolica Italiana, Cgil, Cisl, Cnca, Conagga, Ctg, Federazione Scs-Cnos/Salesiani per il sociale, Federconsumatori, FeDerSerD, Fict, Fitel, Fp Cgil, Gruppo Abele, InterCear, Ital Uil, Lega Consumatori, Libera, Scuola delle Buone Pratiche/Legautonomie-Terre di mezzo, Shaker-pensieri senza dimora, Uil, Uil Pensionati, Uisp, il gioco d'azzardo ha conosciuto una fortissima crescita nel nostro Paese, che rimane tra i primi al mondo per consumo di giochi. Si è passati da un fatturato di 24,8 miliardi di euro nel 2004 agli 88,5 miliardi di euro del 2012. Solo nel 2013 vi è stato un leggero calo del fatturato (84,7 miliardi di euro);
    come sottolineato dal comunicato della suddetta campagna, il 56,3 per cento del fatturato viene dagli «apparecchi» (slot machine e VLT), ma è in significativa ascesa il gioco on-line;
    al crescere del fatturato non sono però seguiti maggiori introiti per le casse dello Stato. Come ricorda il comunicato della campagna «Mettiamoci in gioco», nel 2004, l'erario ha incassato dal gioco azzardo 7,3 miliardi di euro (il 29,4 per cento del fatturato complessivo), mentre nel 2013 ha registrato un'entrata di 8,1 miliardi (pari al 9,5 per cento del fatturato, nel 2013 era stato addirittura il 9 per cento). Dunque, una cifra non indifferente per le finanze pubbliche, ma molto più bassa del giro d'affari attivato dal settore, con le sue pesanti ricadute sociali e sanitarie che comportano un notevole dispendio di risorse economiche per farvi fronte;
    va ricordato che il 29 gennaio 2014, è stata depositata alla Camera una proposta di legge d'iniziativa popolare recante «Disposizioni per il divieto del gioco d'azzardo», che propone una soluzione radicale del problema, ossia il divieto assoluto e totale dei giochi con puntata di denaro, da considerare giochi d'azzardo (uniche eccezioni: il lotto, escluso il lotto istantaneo, le lotterie nelle loro varie forme e le scommesse sugli eventi sportivi);
    il CNR stima in 17 milioni (42 per cento delle persone residenti in Italia tra i 15 e i 64 anni) il numero di coloro che hanno giocato almeno una volta in un anno, in 2 milioni gli italiani a rischio minimo e in circa un milione i giocatori ad alto rischio (600-700 mila) o già patologici (250-300 mila);
    le patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo ancora oggi non sono state inserite all'interno dei livelli essenziali di assistenza (Lea), nonostante che già l'allora decreto-legge n. 158 del 2012 (cosiddetto decreto Balduzzi) avesse previsto che l'aggiornamento dei Lea, comprensivo di dette patologie, avrebbe dovuto essere aggiornato entro dicembre 2012;
    la legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015) ha disposto uno stanziamento a partire dal 2015, nell'ambito delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, di una quota pari a 50 milioni di euro da destinare alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo;
    inoltre, in attesa del riordino della disciplina in materia di giochi pubblici che discenderà dai decreti attuativi di cui all'articolo 14 della legge n. 23 del 2014, (cosiddetta delega fiscale) volti, tra l'altro, ad affrontare la spinosa questione della rimodulazione degli aggi e dei compensi ai concessionari dei giochi, la suddetta legge di stabilità 2015 interviene prevedendo, a fini condonistici, una maggiore imposizione fiscale per quegli operatori del settore presenti nel nostro Paese senza una regolare licenza;
    dette disposizioni, che vorrebbero operare nel solco di assicurare una maggiore tutela delle fasce sociali più deboli ed esposte, e dei minori d'età, nonché una maggiore prevenzione e contrasto alla «ludopatia», sono però affiancate, con una sorta di vera e propria schizofrenia normativa, da norme che testimoniano l'inconfessato obiettivo del Governo di proseguire con politiche espansive dell'azzardo;
    lo Stato conta infatti di incassare nel triennio 2015-2017, grazie a giochi, lotto e lotterie, circa 35,7 miliardi di euro dei minori; così ripartiti: oltre 11,85 miliardi nel 2015; 11,88 miliardi nel 2016; 11,95 miliardi nel 2017, con un aumento dell'entrate tributarie pari a +2,5 per cento;
    va inoltre segnalato come il Governo, interrogato lo scorso 21 ottobre 2014 presso la Commissione finanze con l'atto di sindacato ispettivo n. 5/03835 con il quale veniva sollevata la questione della mancata pianificazione nazionale di cui all'articolo 7, comma 10 del decreto legge n.158 del 2012, (cosiddetto decreto Balduzzi) da parte all'Amministrazione autonoma dei monopoli, alla quale lo stesso decreto attribuisce competenza decisoria esclusiva in tema di distribuzione delle sale giochi sul territorio, ed il mancato coinvolgimento fino ad oggi degli enti locali al procedimento di autorizzazione e di pianificazione, come del resto previsto dalla stessa legge di delega fiscale, ha dato una risposta, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, elusiva che non solleva quei comuni che nel frattempo hanno, invece, stabilito con proprio regolamento per ragioni di ordine pubblico distanze minime dai luoghi sensibili dal soccombere ai ricorsi presentati nei loro confronti,

impegna il Governo:

   a provvedere in tempi rapidi all'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (Lea), e all'inserimento all'interno dei medesimi, delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo;
   ad attivarsi fin da subito, con proprie iniziative normative, affinché la propaganda pubblicitaria del gioco d'azzardo, in tutte le sue forme, venga vietata nel territorio nazionale;
   ad assumere iniziative per stanziare ulteriori indispensabili risorse a integrazione di quelle, peraltro insufficienti, già previste dalla legge n. 190 del 2014, per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo, con particolare riferimento al rafforzamento dei SERD (servizi per le dipendenze) per la presa in carico dei giocatori patologici;
   a prevedere, laddove necessario, opportune forme di sostegno finanziario anche diretto, nei confronti dei soggetti coinvolti e dei loro nuclei familiari;
   a individuare, quale ulteriore fonte di finanziamento della cura e riabilitazione per le suddette patologie, una quota delle entrate derivanti dal gioco lecito – a carico quindi sia dello Stato che dei concessionari e gestori – nonché una quota delle sanzioni comminate a concessionarie o gestori degli apparecchi da gioco;
   a individuare forme e modalità premiali e un pubblico riconoscimento agli esercizi commerciali che si impegnano, per un determinato numero di anni, a rimuovere o a non installare apparecchiature per giochi con vincita in denaro;
   a introdurre idonei sistemi automatici per impedire l'accesso alle slot e ai giochi on-line, da parte dei minori;
   ad assumere iniziative per vietare l'esercizio di nuove sale da gioco e di nuovi punti vendita in cui si esercita come attività principale l'offerta di scommesse a una distanza inferiore a 500 metri da scuole di ogni ordine e grado, strutture sanitarie, luoghi di culto, centri di aggregazione e altri luoghi sensibili, prevedendo nelle more dell'applicazione della suddetta distanza minima nonché dell'emanazione dei decreti attuativi di cui al citato articolo 14 della legge n. 23 del 2014, che l'Amministrazione autonoma dei monopoli si uniformi, con proprie direttive, a quanto ad oggi già disposto dai singoli comuni in tema di regolamentazione di distanze dai luoghi sensibili, al fine di dare tempestiva regolamentazione ad un settore particolarmente delicato;
   ad assumere comunque, per quanto di competenza, iniziative normative che attribuiscano ai sindaci competenze in materia di apertura, ubicazione e orari delle sale da gioco;
   a introdurre un criterio per regolare e limitare le nuove autorizzazioni e sospendere la proliferazione dei giochi d'azzardo, individuando opportuni parametri a cui agganciarsi, quali, per esempio il tasso di crescita del Paese, o un determinato rapporto tra le autorizzazioni per nuove sale giochi e i cittadini residenti;
   ad agevolare, per quanto di propria competenza, l’iter delle proposte di legge in materia, già all'esame della Commissione affari sociali della Camera dal settembre 2013.
(1-00706) «Nicchi, Matarrelli, Paglia, Ricciatti, Ferrara, Franco Bordo, Scotto».


   La Camera,
   premesso che:
    come noto, per ludopatia (o gioco d'azzardo patologico) si intende l'incapacità di resistere all'impulso di giocare d'azzardo o fare scommesse, nonostante l'individuo che ne è affetto sia consapevole che questo possa portare a gravi conseguenze. Per continuare a dedicarsi al gioco d'azzardo e alle scommesse, chi è affetto da ludopatia trascura lo studio o il lavoro e può arrivare a commettere furti o frodi;
    questa patologia condivide alcuni tratti del disturbo ossessivo compulsivo, ma rappresenta un'entità a sé. È stata individuata come evidenza scientifica già dal 1980 da parte dell'Associazione degli psichiatri americani, ed il gioco d'azzardo patologico è presente già dal 1994 nel «Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali» classificato come «disturbo del controllo degli impulsi»;
    recentemente, poi, l'Organizzazione mondiale della sanità ha inserito il gioco d'azzardo patologico tra i disturbi delle abitudini e degli impulsi in forte comorbilità con altri quadri patologici quali depressione, ipomania, disturbo bipolare, impulsività, abuso di sostanze (alcol, tabacco, sostanze psicoattive illegali), disturbi di personalità (antisociale, narcisistico, borderline), deficit dell'attenzione con iperattività, disturbi da attacchi di panico con o senza agorafobia, disturbi fisici associati allo stress (ulcera peptica, ipertensione arteriosa);
     il tema del gioco d'azzardo patologico è ormai assurto all'attenzione delle aule parlamentari, dove con chiarezza sono emersi i contorni preoccupanti del problema e si è iniziato a lavorare per la realizzazione di iniziative finalizzate alla prevenzione e alla cura di questa dipendenza;
    nella scorsa legislatura, nel corso dell'audizione svolta presso la XII Commissione affari sociali della Camera dei deputati nel contesto dell'indagine conoscitiva sugli aspetti sociali e sanitari della dipendenza dal gioco d'azzardo, è stato evidenziato come la dipendenza da gioco d'azzardo presenti «quadri clinici, che hanno in comune con la dipendenza da sostanze (alcol e stupefacenti) il comportamento compulsivo che produce effetti seriamente invalidanti»;
    nell'ambito della stessa indagine conoscitiva, è inoltre emerso che particolare attenzione deve essere riservata al problema dell'accesso al gioco d'azzardo da parte dei minori. In Italia, infatti, il fenomeno interessa circa 450.000 studentesse e 720.000 studenti, ovvero il 47,1 per cento dei giovani che frequentano le scuole secondarie di secondo grado. Tra i maschi in genere il disturbo inizia negli anni dell'adolescenza, mentre nelle donne inizia all'età di 20-40 anni;
    inoltre, da quanto emerge dagli ultimi dati dello studio Ipsad (Italian population survey on alcohol and other drugs) dell'Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa, nei 3 anni dal 2008 al 2011, la percentuale di persone tra i 15 e i 64 anni che ha puntato soldi almeno una volta su uno dei tanti giochi presenti sul mercato (Lotto, Superenalotto, Gratta e vinci, scommesse sportive, poker on line) è passata dal 42 al 47 per cento. Si tratta di circa 19 milioni di scommettitori, di cui ben 3 milioni a rischio ludopatia, soprattutto uomini, disoccupati e persone con un basso livello di istruzione;
    dai dati registrati, emerge la crescita, anche tra gli adolescenti, della «febbre del gioco»: ammonta a più di un milione il numero di studenti che hanno riferito, nel 2012, di aver puntato denaro sui giochi e, nonostante una chiara legislazione restrittiva per i minori, risulta che ben 630.000 under 18 hanno speso almeno 1 euro giocando d'azzardo;
    secondo l'indagine condotta sempre dall'Ipsad, che ha coinvolto 45.000 studenti delle scuole superiori e 516 istituti scolastici di tutta la nazione, nell'ultimo anno il 45,3 per cento degli studenti ha puntato somme di denaro. Ad essere maggiormente coinvolti nel gioco risultano essere i ragazzi (55,1 per cento contro il 35,8 per cento delle ragazze) e si stima che siano 100.000 gli studenti che già presentano un profilo di rischio moderato e 70.000 quelli con una modalità di gioco problematica;
    dai recenti dati elaborati dall'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, emerge per il comparto giochi una raccolta di 62 miliardi e 355 milioni di euro nel periodo gennaio-ottobre 2012, l'esistenza di 400.000 apparecchi da intrattenimento e 6.181 locali o agenzie autorizzati, frequentati da 15 milioni di giocatori abituali;
    l'articolo pubblicato su Avvenire il 13 giugno 2013 riporta i dati preoccupanti elaborati dalla Consulta Nazionale delle fondazioni e associazioni antiusura, in base ai quali la dedizione ossessiva a slot machine, videopoker e gratta e vinci sottrae ogni anno 70 milioni di ore lavorative e dirotta almeno 20 miliardi di euro dall'economia reale, cancellando così 115.000 posti di lavoro;
    lo stesso articolo pubblica i dati emersi dallo studio del sociologo Maurizio Fiasco, consulente della Consulta, che quantifica l'emorragia economica provocata dall'azzardo e il tempo usato dai giocatori per le diverse tipologie di azzardo; si legge nell'articolo «le nuove slot machine hanno totalizzato 28 miliardi di giocate, pari a oltre 46 milioni di ore passate a schiacciare tasti; 5 miliardi le giocate alle videolottery (8,3 milioni di ore); 2,2 miliardi per le “grattate” sui Gratta e vinci (quasi 37 milioni di ore); 15 miliardi le giocate on line (circa 167 milioni di ore); 35 miliardi le giocate a lotto, superenalotto e altri giochi tradizionali (230 milioni di ore). Totale: 49 miliardi di operazioni di gioco, pari a 69 milioni 760.000 ore perse inseguendo un miraggio»;
    secondo il sociologo, inoltre, l'azzardo «drena risorse ai consumi, già in forte contrazione»: se nel 2012 sono stati giocati 90 miliardi, tenendo conto del pay out, cioè le vincite, sono almeno 20 i miliardi di euro sottratti al commercio e ai servizi destinati alla vendita. Lo studio ha anche calcolato il «potenziale di occupazione dissipato dalla spesa per giochi, valutabile in circa 90.000 addetti nel commercio e servizi e circa 25.000 addetti nell'industria»;
    l'articolo 5 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, recante «Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute» ha inserito la ludopatia nei livelli essenziali di assistenza (Lea), con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da questa patologia;
    tuttavia, se da un verso è indispensabile prevedere forme di riabilitazione per tale patologia, è ancora più importante attenzionare il fenomeno sul versante della prevenzione, poiché nulla è stato fatto fino ad ora su questo aspetto;
    l'articolo 7 del decreto citato, infatti, si limita a raccomandare ai «gestori di sale da gioco e di esercizi in cui vi sia offerta di giochi pubblici, ovvero di scommesse su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi» di «esporre, all'ingresso e all'interno dei locali, il materiale informativo predisposto dalle aziende sanitarie locali, diretto a evidenziare i rischi correlati al gioco e a segnalare la presenza sul territorio dei servizi di assistenza pubblici e del privato sociale dedicati alla cura e al reinserimento sociale delle persone con patologie correlate alla g.a.p. (gioco d'azzardo patologico)». Viene inoltre raccomandato di «inserire formule di avvertimento sul rischio di dipendenza dalla pratica di giochi con vincite in denaro (...) schedine, tagliandi di gioco (...) su apposite targhe esposte nelle aree ovvero nelle sale in cui sono installati i videoterminali (dedicati a gioco d'azzardo) e al momento dell'accesso dei siti Internet». Misure che comunque si sono rilevate assolutamente insufficienti per prevenire il fenomeno;
    è ormai innegabile che stiamo di fronte ad una «nuova malattia sociale» che, sovente, genera fenomeni di disgregazione familiare e di impoverimento totale, oltre ad un aumento esponenziale del rischio di cadere nel gravissimo fenomeno dell'usura ed in patologiche dipendenze. È per questo che occorre un'azione forte e decisa perché nel più breve tempo possibile possano essere poste in essere tutte le disposizioni volte ad arginare e a prevenire il fenomeno della ludopatia,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni iniziativa utile al fine di regolamentare l'apertura delle sale da gioco ovvero dei locali commerciali con slot, ad una distanza di sicurezza pari almeno a 500 metri rispetto a luoghi sensibili, quali scuole, ospedali, farmacie e altro e comunque proporzionando il numero dei locali adibiti al gioco al numero degli abitanti residenti;
   a prevedere adeguati meccanismi di controllo al fine di non permettere la partecipazione a slot o comunque l'ingresso in sale da gioco ai minori d'età, se del caso prevedendo anche sanzioni amministrative pecuniarie per i gestori delle sale o per i somministratori dei giochi;
   ad assumere ogni iniziativa utile al fine di evitare il riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite legate al gioco d'azzardo.
(1-00707) «Palese».


   La Camera,
   premesso che:
    la città di Civitavecchia, fin dai primi anni sessanta, ha subito la realizzazione di 3 diverse centrali termoelettriche con una concentrazione di emissioni che ha portato un impatto dirompente sulla salute della cittadinanza e sulle condizioni generali dell'ambiente, pregiudicando, peraltro, uno sviluppo e un'economia alternativi;
    il decreto VIA del 24 dicembre 2003 ha autorizzato Enel a riconvertire la centrale da olio combustibile a carbone impiegando tre gruppi da 660 megawatt ciascuno;
    i cittadini di Civitavecchia, Tarquinia, Allumiere, Tolfa, Santa Marinella, Cerveteri e Ladispoli già dal dicembre 2000, data in cui Enel cominciò a proporre l'idea della riconversione a carbone, si sono organizzati in molteplici comitati e associazioni volti ad impedire detta riconversione;
    i dati relativi alla salute pubblica nel comprensorio di Civitavecchia sono semplicemente allarmanti, tutti gli studi epidemiologici dai primi anni ’90 ad oggi dimostrano la gravità della situazione: nel provvedimento di valutazione dell'impatto ambientale per l'impianto Torrevaldaliga Nord (Tvn) si legge: «in un'area dove non è possibile escludere che le emissioni avvenute nel passato abbiano comportato un impatto sulla salute umana che non si sia ancora completamente manifestato»;
    nel biennio 1990-1991 l'Osservatorio epidemiologico regionale (OER) ha rilevato a Civitavecchia un'incidenza di mortalità per tumore ai polmoni, bronchi e trachea superiore al 35 per cento della media regionale. In dettaglio, nel 1996 l'OER, nell'analizzare i dati relativi al triennio 1990-92 ha accertato che Civitavecchia (comprensiva di Tolfa, Allumiere e Santa Marinella) è al secondo posto nel Lazio per mortalità per tumori e al primo per quella relativa ai tumori ai polmoni;
    nell'ottobre 1999 sempre l'OER ha riscontrato una mortalità delle donne nel territorio di Civitavecchia superiore del 12 per cento rispetto alla media del Lazio. Notevolissime le incidenze di mortalità per cancro alla trachea, ai bronchi e ai polmoni, nella misura del 23 per cento in più. Inoltre la rivista Occupational environmental medicine nel settembre 2004 ha pubblicato una ricerca che dimostra che nell'area di Civitavecchia il rischio di cancro al polmone sarebbe al 20-30 per cento rispetto alla media regionale;
    uno studio commissionato dal National institute of environmental hearth sciences (NIEHS) ha chiaramente messo in relazione l'aumento del rischio di avere il cancro al polmone con l'esposizione cronica alle polveri provenienti dalla combustione dei combustibili fossili;
    il centro pneumologico Conti Curzia di Civitavecchia, in una ricerca effettuata nel 2001 su ragazzi tra gli 11 e i 14 anni, ha riscontrato che il 56,3 per cento dei soggetti è affetto da asma, allergie e altre sindromi dell'apparato respiratorio, la percentuale più alta nella regione Lazio;
    uno studio dell'ottobre 2006 pubblicato in Epidemiologia e prevenzione, a cura di V. Fano, F. Forastiere, P. Papini, V. Tancioni, A. Di Napoli, C. A. Petrucci, ha evidenziato che: «l'analisi dei ricoveri ospedalieri aggiunge informazioni al quadro epidemiologico dell'area, con risultati coerenti con quelli di mortalità e che confermano i risultati di studi precedenti: tumore polmonare pleurico e asma bronchiale sono in eccesso. Una novità rispetto alle conoscenze già note è costituita dall'aumento di incidenza dell'insufficienza renale cronica, rilevato dal registro regionale dialisi»;
    il recente studio condotto dal Dipartimento di epidemiologia della Regione Lazio, relativo al periodo 2006-2010, fa emergere dei dati allarmanti. «A Civitavecchia il tasso di mortalità causato da tumori al polmone e alla pleura è il 30 per cento più alto rispetto al resto della regione Lazio». A dirlo è il dottor Francesco Forastiere, che ha condotto la ricerca. «Insieme a questo vi è anche un aumento delle morti per malattie respiratorie croniche - continua Forastiere - queste due malattie hanno un'origine non solo nel fumo di sigaretta, ma anche nell'esposizione nei posti di lavoro e nell'impatto ambientale». I fattori che hanno portato a questa condizione sono però molteplici. «C’è da considerare l'amianto presente sulle navi, le emissioni delle centrali, l'inquinamento del porto e tutta una serie di circostanze che hanno colpito il territorio negli ultimi venti/trent'anni», precisa Forastiere. Allora, i dati a disposizione non riguardano solamente gli ultimi anni, ma l'esposizione a cui è andata incontro la popolazione di Civitavecchia, Allumiere, Tarquinia, Tolfa e Santa Marinella a partire dagli anni ottanta;
    l'azienda sanitaria locale Asl RmF ha, nel mese di maggio 2013, deliberato l'istituzione del registro dei tumori, strumento epidemiologico ormai irrinunciabile per Civitavecchia ed il suo comprensorio a fronte dell'incidenza delle patologie tumorali riscontrate;
    in data 12 marzo 2013 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha rinnovato l'autorizzazione integrata ambientale (AIA) dell'impianto di Torrevaldaliga Nord aggravando ulteriormente la già precaria situazione ambientale e sanitaria. Ciò si evince dalla comparazione dei limiti emissivi, delle ore di funzionamento e della quantità di combustibile utilizzato nelle diverse autorizzazioni dal 2003 ad oggi (si vedano: decreto VIA n. 55 del 2003 del Ministero delle attività produttive, Limiti secondo le migliori tecnologie esistenti secondo le normative europee e nazionali, dati da report Enel 2011 e 2012, decreto AIA 2013);
    dalla comparazione si evince chiaramente che dal 2003 al 2013 si è prodotto un complessivo peggioramento delle condizioni di esercizio della centrale con particolare riferimento alle ore di funzionamento che passano da 6.000 a 7.500 all'anno in più per ogni gruppo della centrale Torrevaldaliga Nord;
    il consumo di carbone è passato da 3.600.000 a 4.500.000 tonnellate all'anno con un aumento di 900.000 tonnellate, pari al 25 per cento in più, rendendo nullo il parere della regione Lazio in fase di valutazione di impatto ambientale all'interno della quale veniva richiesta la limitazione di produzione di energia con 3 gruppi e non 4, proprio per limitare l'uso di combustibile fossile;
    va inoltre evidenziato come, ogni impianto, di qualsiasi tipo e a maggior ragione per una centrale dalla portata di 1950 megawatt, ha necessariamente bisogno di periodi di «fermo» per la manutenzione e la sicurezza;
    nell'anno 2013 Enel ha eseguito due fermate programmate di due delle tre caldaie presenti a Torrevaldaliga Nord. La prima è stata effettuata nel mese di maggio 2013 (per l'intero mese) mentre la seconda da ottobre a dicembre 2013 (per un totale di nove settimane);
    nell'anno in corso, anche in conseguenza delle maggiori ore di funzionamento degli impianti, pare che Enel abbia messo in programma due fermate per le caldaie sezione 4 e sezione 2 sempre nei mesi di maggio ed ottobre. A differenza del 2013 però i tempi di intervento saranno drasticamente ridotti; la fermata di Maggio sarà di sole due settimane e quella da Ottobre di sette settimane. Il solo spegnimento e raffreddamento della caldaia comporta due giorni. Il restringimento dei tempi di fermata produce inevitabilmente un peggioramento della qualità delle manutenzioni e, di conseguenza, dell'efficienza degli impianti (come nel caso dei filtri DESOX e GGH per l'abbattimento dei fumi);
    in aggiunta a questo, la riduzione dei tempi destinati alla manutenzione e alla qualità portano all'inevitabile diminuzione della sicurezza per i lavoratori, impegnati nel medesimo delicato lavoro ma con meno tempo a disposizione;
    anche sul piano occupazionale persistono molte criticità: dal 20 marzo Enel ha ridimensionato tutte le lavorazioni non indispensabili per il normale esercizio dell'impianto, ma di vitale importanza per l'imprenditoria locale. Le normali attività di manutenzione, se non supportate dalle cosiddette «attività polmone» non sono sufficienti per la sopravvivenza delle imprese che vi operano, anche perché la maggior parte delle attività possono essere effettuate solo ad impianto spento proprio per tutelare la sicurezza degli operatori;
    quanto suesposto rischia quindi di diminuire i livelli di sicurezza per i lavoratori e l'ambiente;
    un ulteriore aspetto critico (presente a pagina 109 del parere istruttorio conclusivo dell'AIA 2013) consiste nell'autorizzazione ad utilizzare carbone con tenore di zolfo inferiore all'1 per cento anziché inferiore allo 0,3 per cento come previsto dal piano di riqualificazione della qualità dell'aria della Regione Lazio;
    il 14 febbraio 2013 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha decretato la semplificazione della normativa che prevede la combustione del CDR (combustibile da rifiuti) o del CSS (combustibile solido secondario) e il declassamento del CSS da rifiuto a combustibile di qualità, all'interno di siti produttivi come cementifici o centrali termoelettriche;
    come detto, il comune di Civitavecchia ha deliberato di istituire attraverso la Asl RmF il registro dei tumori, quale studio dell'incidenza e della prevalenza dei tumori;
    il comune di Civitavecchia, attraverso un'ordinanza del sindaco del 26 aprile 2013, ha disposto il divieto totale ed assoluto di combustione presso le centrali elettriche e presso gli altri opifici industriali presenti sul territorio, con qualsiasi modalità e con l'utilizzo di qualsiasi procedimento tecnico, di rifiuti e di materiale di risulta, siano essi di natura organica o inorganica e ha ordinato che le forze dell'ordine, il Corpo della polizia locale, la Asl, l'Arpa Lazio, l'Ispra ed il competente Servizio comunale ambiente curino l'attuazione ed il rispetto della disposizione;
    i comuni del territorio hanno approvato un'identica mozione che impegna le amministrazioni di competenza a mettere in campo ogni azione necessaria a impedire che le centrali di Torrevaldaliga Nord e di Torrevaldaliga Sud siano utilizzate per l'incenerimento del combustibile da rifiuti e combustibile solido secondario;
    la Provincia di Roma, nel pieno delle sue funzioni, si era più volte espressa, attraverso mozioni approvate all'unanimità del Consiglio, contro ogni ipotesi di incenerimento di rifiuti negli impianti di Torrevaldaliga Nord e Torrevaldaliga Sud,

impegna il Governo:

   a riaprire immediatamente la conferenza di servizi sull'autorizzazione integrata ambientale della centrale di Torrevaldaliga Nord al fine di un generale ridimensionamento delle condizioni di esercizio con una relativa diminuzione delle ore di lavorazione dell'impianto, delle quantità annue di carbone bruciabile e, in modo particolare, riguardo alla chiusura dell'impianto entro e non oltre il 2020 e, nel frattempo, a mettere in campo tutte le azioni necessarie a riconvertire le maestranze attualmente impiegate negli impianti termoelettrici;
   a garantire il rispetto dei limiti imposti dal piano di riqualificazione dell'aria della regione Lazio (per quanto riguarda il contenuto di zolfo > dello 0,3 per cento) nei combustibili utilizzati da parte della centrale termoelettrica di Torrevaldaliga Nord, nonché delle navi mercantili e da crociera che transitano nel porto di Civitavecchia;
   ad attivarsi al fine di far osservare, nell'ambito delle proprie competenze, tutte le prescrizioni e compensazioni previste nella valutazione di impatto ambientale di Torrevaldaliga Nord ai sensi del decreto n. 55 del 2003 e successive modificazioni, mai rispettate da Enel;
   ad assicurare che nel territorio di Civitavecchia sia scartata ogni ipotesi di nuova realizzazione e/o utilizzo degli esistenti impianti per la produzione di energia elettrica di termovalorizzazione e ossidazione termica di qualsiasi sostanza, compresi il CDR (combustibile da rifiuti) e il CSS (combustibile solido secondario);
   a mettere in atto tutte le iniziative di competenza, al fine di garantire la tutela e la sicurezza dei lavoratori delle centrali, anche con riferimento alla prevista suddetta riduzione, dal parte dell'Enel, dei tempi di fermata per manutenzione degli impianti;
   a garantire la piena partecipazione delle associazioni e delle comunità locali alle scelte decisionali inerenti all'attività degli impianti di Civitavecchia, per quanto riguarda le ricadute ambientali e sanitarie conseguenti alle medesime scelte.
(1-00708) «Zaratti, Pellegrino, Zaccagnini, Ricciatti, Ferrara, Scotto».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 62 sexies, comma 3, del decreto legge 30 agosto 1993, n. 331 convertito dalla legge n. 427 del 1993, consente l'accertamento ex articolo 39, comma 1, lettera d), nei casi in cui risulti l'esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dall'applicazione degli studi di settore;
    attraverso gli studi di settore, dunque, l'Agenzia delle Entrate è legittimata a ricostruire la redditività di una determina attività d'impresa o professione e ricostruire la posizione reddituale del contribuente;
    in particolare, partendo dalle relazioni esistenti tra le variabili strutturali e contabili delle imprese e dei lavoratori autonomi con riferimento al settore economico di appartenenza, ai processi produttivi utilizzati, all'organizzazione, ai prodotti e servizi oggetto dell'attività, alla localizzazione geografica e agli altri elementi significativi (ad esempio area di vendita, andamento della domanda, livello dei prezzi, concorrenza, e altro), lo studio di settore consente di stimare i ricavi o i compensi che possono essere attribuiti al contribuente; in tal modo, lo studio di settore diventa uno strumento di controllo basato sulla comparazione tra i ricavi o compensi dichiarati e quelli direttamente desumibili dalla sua applicazione;
    lo stesso contribuente può utilizzare lo studio di settore per verificare, in fase dichiarativa, il posizionamento rispetto alla congruità (il contribuente è congruo se i ricavi o i compensi dichiarati sono uguali o superiori a quelli stimati dallo studio, tenuto conto delle risultanze derivanti dall'applicazione degli indicatori di normalità economica) e alla coerenza (la coerenza misura il comportamento del contribuente rispetto ai valori di indicatori economici predeterminati, per ciascuna attività, dallo studio di settore);
    lo studio di settore, dunque, da un lato assurge a strumento di controllo dell'Agenzia delle entrate circa l'attendibilità dei ricavi o compensi dichiarati dal contribuente; dall'altro, a strumento di indirizzo del contribuente in fase dichiarativa, potendo egli decidere, in caso di incongruità o incoerenza, di uniformarsi comunque al risultato dello studio di settore oppure di discostarsene, ritenendo sussistere comprovate ragioni che ne legittimano la disapplicazione;
    quest'ultimo profilo evidenzia come lo studio di settore assuma di fatto anche una funzione deterrente o, meglio ancora, «condizionante» nelle scelte del contribuente il quale, spesso, pur di non esporsi ad un potenziale controllo dell'amministrazione finanziaria, decide di «adeguarsi» alle risultanze dello studio di settore, sebbene siano superiori ai ricavi o compensi effettivamente conseguiti. In altre parole, la prassi applicativa degli studi di settore evidenzia non pochi casi in cui il contribuente decide di uniformarsi allo studio di settore, sopportando il pagamento di un'imposta maggiore rispetto a quella dovuta al fine di scongiurare il rischio di un accertamento;
    in un tal contesto, dunque, gli studi di settore dovrebbero garantire un elevato grado di attendibilità ovvero rappresentare il più possibile la realtà imprenditoriale del singolo contribuente. Ma al riguardo, è nota la posizione assunta dagli interpreti e, soprattutto, dalla giurisprudenza di legittimità, che ha clamorosamente «bocciato» la valenza degli studi di settore. In più occasioni, infatti, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che i dati comparativi forniti dagli studi altro non sono che parametri astratti e meramente statistici ovverosia il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei (Suprema Corte di Cassazione, Sezione Unite, sentenza 10 dicembre 2009 n. 26635, preceduta dalla relazione tematica n. 94 del 4 luglio 2009 redatta dall'Ufficio del massimario della Suprema Corte). Conseguentemente, gli studi di settore sono stati ritenuti idonei a ricostruire la situazione reddituale del contribuente solo se confortati da altri elementi desunti, in contraddittorio con il contribuente, dalla realtà economica dell'impresa;
    l'astratta applicazione degli studi di settore, dunque, non garantisce l'attendibilità delle risultanze in termini di ricavi e compensi da dichiarare, potendo in alcuni casi generare significativi effetti distorsivi. Tale aspetto, a dir poco preoccupante in termini di certezza del diritto ed equità del prelievo, è stato notevolmente accentuato dalla crisi economica degli ultimi anni. La particolare congiuntura economica ha determinato il crollo della redditività delle imprese e professionisti con ovvie ricadute i termini di attendibilità di ricavi. Uno scenario questo, che ha accentuato ulteriormente l'incapacità degli studi di settore a rappresentare adeguatamente la reale situazione reddituale dei contribuenti. Tanto è vero che lo stesso Ministero dell'economia e delle finanze ha ritenuto opportuno intervenire con i decreti ministeriali del 23 dicembre 2013 e del 2 maggio 2014, apportando correttivi «anticrisi» agli studi di settore. In parti colare, il decreto ministeriale del 2 maggio 2014 ha previsto quattro tipologie di correttivi:
     1. modifica del funzionamento dell'indicatore di normalità economica «durata delle scorte»;
     2. correttivi specifici per la crisi;
     3. correttivi congiunturali di settore;
     4. correttivi congiunturali individuali;
    i detti correttivi, analoghi a quelli introdotti per gli studi applicati al periodo di imposta 2011 e 2012, sono stati applicati ai soggetti che hanno dichiarato, nel periodo d'imposta 2013, ricavi o compensi inferiori al ricavo puntuale di riferimento determinato dallo studio di settore;
    non va sottaciuto, poi, come gli studi di settore rappresentino in molti casi uno «scudo» a danno dell'amministrazione finanziaria ovvero a favore di quei contribuenti che, pur conseguendo ricavi o compensi superiori a quelli desumibili dallo studio di settore, si adeguano alle sue risultanze scontando un'imposta minore a quella effettivamente dovuta. Se per un verso lo studio di settore rappresenta un disincentivo all'evasione per i contribuenti che si attestano al di sotto dei ricavi standardizzati (invogliandoli ad adeguarsi), è altrettanto vero che gli stessi studi di settore rappresentano un agevole incentivo alla sottofatturazione proprio per le attività d'impresa e professionali più redditizie (e che dovrebbero maggiormente contribuire al sostentamento delle spese pubbliche);
    l'adozione dei suddetti correttivi anticrisi andrebbe estesa anche al periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2014, considerato il perdurante stato di crisi economica;
    allo stesso modo sarebbe opportuno potenziare la compliance tra amministrazione finanziaria e contribuente in armonia con i principi fondamentali dell'ordinamento tributario sanciti dallo Statuto dei diritti del contribuente e degli orientamenti in ambito comunitario (tra cui il principio dell'obbligatorietà del contraddittorio anticipato per ogni forma di accertamento, espresso dalla sentenza 18 dicembre 2006 C. 349/077 - «Sopropè»), semmai incentivando le forme e gli strumenti di contraddittorio che rappresentano oggi un elemento indefettibile del procedimento di accertamento. A tal fine, sarebbe senz'altro proficua l'attivazione di forme di contraddittorio, anticipate rispetto alla fase dichiarativa, e dirette ad assicurare il costante monitoraggio dell'attività imprenditoriale o professionale ed il suo andamento economico: in tal modo, ancor prima del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi annuale, l'amministrazione finanziaria e il contribuente avrebbero la possibilità di vagliare ed esprimersi sulla reale situazione economica dell'impresa o professione esercitata rispetto alle risultanze degli studi di settore, uniformando la successiva dichiarazione dei redditi all'effettiva situazione reddituale dell'impresa (con conseguenti positive ricadute anche in termini di contenzioso tra amministrazione e contribuenti);
    in ogni caso, nell'ottica del potenziamento della collaborazione tra amministrazione e contribuenti, sarebbe auspicabile per il futuro l'abolizione degli studi di settore quale strumento di rilevazione statistica del reddito favorendo, viceversa, procedure di controllo più attinenti alle oggettive caratteristiche di esercizio dell'impresa o professione e, quindi, maggiormente idonee a rilevare la ricchezza effettivamente prodotta. Tutto ciò potrà ovviamente essere favorito anche attraverso interventi diretti ad una progressiva riduzione della pressione fiscale effettiva, da un maggiore investimento di risorse finanziarie per il potenziamento delle risorse umane in forza all'amministrazione finanziaria impiegate nell'esecuzione dei controlli e verifiche fiscali nonché, infine, dal complessivo miglioramento qualitativo dell'attività di accertamento,

impegna il Governo:

   ad aggiornare i parametri, le metodologie di calcolo e le funzioni di stima dei ricavi presunti relativi alle differenti attività soggette agli studi di settore affinché siano allineati, in maniera realistica e puntuale, alla perdurante situazione di crisi economica e finanziaria che attanaglia, da oltre cinque anni, gli esercenti attività di impresa, arte e professione, prevedendone l'applicazione già alle dichiarazioni dei redditi relative al periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2014;
   a prevedere, con decorrenza dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2015, la riforma degli studi di settore sostituendoli, o in ogni caso affiancandoli, con sistemi di controllo che incentivino una compliance preventiva tra contribuenti ed amministrazione finanziaria, anche attraverso la predisposizione di strumenti informatici gratuiti che consentano agli esercenti di confrontare in tempo reale l'andamento economico e finanziario delle proprie attività rispetto ai modelli statistici standard, comprendere le cause di eventuali scostamenti e porvi rimedio, ove necessario senza attendere i termini previsti per i dichiarativi fiscali;
   a prevedere specifiche procedure di verifica dell'attendibilità dello studio di settore per i contribuenti che presentino un risultato di congruità e coerenza, basate sulla valutazione delle concrete caratteristiche di esercizio dell'attività d'impresa o professionale, garantendo la partecipazione attiva del contribuente alla procedura di controllo;
   ad assumere iniziative, anche normative, volte a promuovere in ogni caso la piena collaborazione tra i contribuenti e l'amministrazione finanziaria nel procedimento di autoliquidazione delle imposte istituendo, a tal fine, appositi canali di assistenza che aiutino i contribuenti a verificare spontaneamente la correttezza formale e l'adeguatezza sostanziale delle proprie risultanze contabili, in un'ottica che stimoli l'adempimento volontario, la fiducia reciproca tra contribuenti ed amministrazione finanziaria, la certezza del diritto e l'emersione della ricchezza effettivamente prodotta e riduca, al contempo, il ricorso a strumenti statici di rilevazione del reddito ed il conseguente proliferare del contenzioso tributario, in armonia e attuazione dei principi di leale collaborazione e obbligatorietà del contraddittorio in via preventiva espressi dallo statuto del contribuente e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea;
   per il perseguimento dei precedenti impegni, a potenziare le risorse umane in forza all'amministrazione finanziaria e a ottimizzare l'attività di accertamento, stabilendo obiettivi che privilegino principalmente la qualità dei controlli, la tutela del contribuente, l'equità distributiva e gli aspetti di educazione fiscale e di leale collaborazione.
(1-00709) «Pesco, Alberti, Barbanti, Cancelleri, Ruocco, Pisano, Villarosa».


   La Camera,
   premesso che:
    in Italia il fenomeno del gioco d'azzardo è in continua crescita e in questi anni sta assumendo dimensioni sempre più rilevanti, come si può rilevare dall'andamento delle statistiche dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato relative alla quantità di denaro giocato. In parallelo si stanno anche rafforzando le evidenze scientifiche che dimostrano come la pratica del gioco d'azzardo possa dar luogo a forme di vera e propria dipendenza (gioco d'azzardo patologico) o a comportamenti a rischio (gioco d'azzardo problematico);
    i dati aggiornati ad ottobre 2012 confermano la grande espansione del gioco d'azzardo in tutta Italia, con il primato per il fatturato della Lombardia (1.284 milioni di euro), seguita nell'ordine dal Lazio (797), dalla Campania (688), dell'Emilia-Romagna (573), del Veneto (503), del Piemonte (484), della Sicilia (468), della Puglia (438), della Toscana (433), dell'Abruzzo (203). Per quanto riguarda la spesa pro capite al primo posto si colloca l'Abruzzo con 155,28 euro a testa, seguito da Lazio (144,83), Lombardia (132,31), Emilia-Romagna (131,96), Molise (127,52), Liguria (122,23), Marche (121,97), Campania (119,30), Umbria (118,74), Valle D'Aosta (118,29), Toscana (117,91);
    il gioco d'azzardo è la terza industria italiana, con il 3 per cento del prodotto interno lordo nazionale, 5.000 aziende, 120.000 addetti, 400.000 slot machine, 6.181 punti gioco autorizzati, oltre il 15 per cento del mercato europeo e oltre il 4,4 per cento del mercato mondiale, il 23 per cento del mercato mondiale del gioco on-line. Nel 2011 sono stati giocati 79.814 miliardi di euro, 70.262 miliardi di euro nei primi 10 mesi del 2012, il 12 per cento della spesa delle famiglie italiane. Sono 15 milioni i giocatori abituali, 2 milioni quelli a rischio patologico, circa 800.000 i giocatori già malati. Sono necessari 5-6 miliardi di euro l'anno per curare i dipendenti dal gioco, mentre le tasse incassate dallo Stato sono 8 miliardi di euro;
    le persone più interessate al gioco sono le fasce più deboli e fragili della società: giocano il 47 per cento degli indigenti, il 56 per cento delle persone appartenenti al ceto medio-basso; il 70,8 per cento di chi ha un lavoro a tempo indeterminato, l'80,2 per cento dei lavoratori saltuari, l'86,7 per cento dei cassintegrati. Giocano di più e con più soldi i ragazzi delle scuole professionali, e giocano il 61 per cento dei laureati, il 70,4 per cento di chi ha il diploma superiore, l'80,3 per cento di chi ha la licenza media. Giocano anche gli adolescenti: si stima che giochi il 47,1 per cento degli studenti tra i 15 e i 19 anni: il 58,1 per cento dei ragazzi e il 36,8 per cento delle ragazze. Gli adolescenti sono più a rischio dipendenza: circa il 4-8 per cento ha un problema di gioco e il 10-14 per cento è a rischio di diventare giocatore patologico. Giocano pure i bambini: l'8 per cento dei bambini tra i sette e gli undici anni gioca con denaro on-line;
    la dipendenza dal gioco è una vera e propria malattia che compromette lo stato di salute fisica e psichica del giocatore, il quale non riesce a uscirne da solo. Il malato di gioco (gioco d'azzardo patologico) è cronicamente e progressivamente incapace di resistere all'impulso di giocare e spesso si trova nella condizione di dover chiedere prestiti a usurai o a fonti illegali; a volte giunge alla perdita del lavoro per assenteismo. Tutto questo produce sofferenza e difficoltà di relazione anche all'interno della famiglia;
    le sale giochi proliferano sempre di più in tutti i centri urbani e, tuttavia, le amministrazioni locali non riescono ad intervenire efficacemente per fermare il dilagante fenomeno, anche per la mancanza di poteri effettivi da parte delle autorità comunali di imporre norme restrittive in grado di impedire almeno la vicinanza delle sale giochi con i luoghi cosiddetti «sensibili» o per far rispettare una distanza congrua fra una sala e l'altra;
    il gioco d'azzardo on-line, conosciuto anche da molti come gambling on-line, sta diventando sempre più pericoloso, proprio perché, a differenza di quello terrestre, abbatte tutte le inibizioni;
    sul portale dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato sezione gioco è possibile avere un'ampia informazione su tutti i giochi presenti suddivisi per: gioco del lotto; giochi numerici a totalizzatore; giochi a base sportiva; giochi a base ippica; apparecchi da intrattenimento; giochi di abilità, carte, sorte a quota fissa; lotterie; bingo; gioco a distanza; mentre non vi sono dati circa il fenomeno del gioco in Italia, né dati aggiornati sono presenti sul sito del Ministero della salute o sul sito della Presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento antidroga;
    diversamente dal modello legislativo e giurisprudenziale europeo, che è influenzato da principi di libera concorrenza, a livello nazionale si ritiene invece che il gioco d'azzardo debba essere sottoposto a concessione, distinguendolo dalle altre attività di gioco. Il tutto allo scopo di evitare e prevenire possibili infiltrazioni del crimine organizzato e/o fenomeni di illegalità e di garantire che si tratti di un'attività regolamentata e trasparente;
    nel corso della passata legislatura la Commissione parlamentare affari sociali ha promosso un'indagine conoscitiva sugli aspetti sociali e sanitari della dipendenza dal gioco d'azzardo dalla quale è emerso nel testo conclusivo l'esigenza di disporre di una conoscenza dei dati epidemiologici tecnicamente e scientificamente validati, la necessità di nuove regole per limitare l'offerta dei giochi, tutelare i minori, liberare l'industria del gioco dagli inquinamenti della malavita ed affrontare il tema della presa in carico dei giocatori patologici;
    in questi ultimi anni più volte il Parlamento e il Governo sono intervenuti a normare questa materia, basta ricordare:
     a) il decreto-legge n. 158 del 2012 (cosiddetto decreto Balduzzi), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, che all'articolo 5, comma 2, ha riconosciuto la ludopatia come una patologia che caratterizza i soggetti affetti da sindrome da gioco con vincita in denaro, così come definita dall'Organizzazione mondiale della sanità, prevedendo anche l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatia; all'articolo 7, comma 4, dispone dal 1o gennaio 2013, al fine di contenere la diffusione delle dipendenze dalla pratica di gioco con vincite in denaro, il divieto di messaggi pubblicitari di giochi con vincite in denaro nelle trasmissioni televisive, radiofoniche e nelle rappresentazioni teatrali o cinematografiche rivolte prevalentemente ai giovani; su giornali, riviste, pubblicazioni, durante trasmissioni televisive e radiofoniche, rappresentazioni cinematografiche e teatrali, nonché via internet, che incitano al gioco ovvero ne esaltano la sua pratica, ovvero che hanno al loro interno dei minori, ovvero che non avvertono del rischio di dipendenza dalla pratica del gioco; al comma 4-bis dispone che la pubblicità dei giochi che prevedono vincite in denaro deve riportare in modo chiaramente visibile la percentuale di probabilità di vincita che il soggetto ha nel singolo gioco pubblicizzato; infine il comma 5-bis prevede che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca segnali agli istituti di istruzione primaria e secondaria la valenza educativa del tema del gioco responsabile affinché gli istituti, nell'ambito della propria autonomia, possano predisporre iniziative didattiche volte a rappresentare agli studenti il senso autentico del gioco e i potenziali rischi connessi all'abuso o all'errata percezione del medesimo;
     b) la legge 11 marzo 2014, n. 23 (cosiddetta delega fiscale), all'articolo 14, ove si prevede che il Governo è delegato ad attuare il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, indicando, tra i principi e criteri direttivi cui deve uniformarsi, l'introduzione e la garanzia di applicazione di regole trasparenti e uniformi nell'intero territorio nazionale in materia di titoli abilitativi all'esercizio dell'offerta di gioco, di autorizzazioni e di controlli, garantendo forme vincolanti di partecipazione dei comuni competenti per territorio al procedimento di autorizzazione e di pianificazione, che tenga conto di parametri di distanza da luoghi sensibili validi per l'intero territorio nazionale, della dislocazione locale di sale da gioco e di punti di vendita in cui si esercita come attività principale l'offerta di scommesse su eventi sportivi e non sportivi, nonché in materia di installazione degli apparecchi idonei per il gioco lecito;
     c) la legge n. 190 del 23 dicembre 2014 (legge di stabilità 2015) all'articolo 1, comma 133, dove si prevede che nell'ambito delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale a decorrere dall'anno 2015 una quota pari a 50 milioni di euro è annualmente destinata alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo come definita dall'Organizzazione mondiale della sanità. Una quota delle risorse, nel limite di 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017, è destinata alla sperimentazione di modalità di controllo dei soggetti a rischio di patologia, mediante l'adozione di software che consentano al giocatore di monitorare il proprio comportamento generando conseguentemente appositi messaggi di allerta, nonché lo spostamento sotto il Ministero della salute dell'Osservatorio nazionale istituito ai sensi dell'articolo 7, comma 10, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189,

impegna il Governo:

   a dare rapida attuazione a quanto disposto dall'articolo 14 della legge 11 marzo 2014, n. 23, con l'emanazione dei previsti decreti sul riordino della normativa in materia di giochi pubblici e del regime autorizzativo all'esercizio dell'offerta di gioco;
   a predisporre canali ufficiali di informazione nonché una divulgazione periodica con cadenza annuale dei dati statistici relativi al gioco d'azzardo, con particolare attenzione ai dati relativi ai giocatori, alle somme giocate e ai territori più coinvolti;
   ad assumere iniziative per attribuire ai comuni le opportune competenze in materia di pianificazione dell'ubicazione di sale gioco e punti di vendita in cui si esercita l'offerta di scommesse, nonché in materia di installazione di apparecchi idonei per il gioco lecito, anche al fine di garantire il rispetto di parametri di distanza da luoghi sensibili validi per l'intero territorio nazionale;
   ad assumere iniziative per adottare le necessarie disposizioni tese ad impedire l'accesso dei minori ai locali adibiti al gioco d'azzardo e agli apparecchi di gioco, nonché a tutelare i soggetti maggiormente vulnerabili e a rischio di gioco d'azzardo patologico;
   ad assumere iniziative per l'introduzione di nuove disposizioni vincolanti in materia di pubblicità del gioco d'azzardo, con particolare attenzione alla tutela dei minori e dei soggetti vulnerabili, nonché all'esigenza di vietare messaggi pervasivi oppure ingannevoli o illusori circa le probabilità di vincita;
   a valutare possibili iniziative utili a prevenire l'eventualità che gli apparecchi per il gioco d'azzardo divengano strumenti di riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite;
   a garantire attraverso il Ministero della salute adeguate risorse destinate alla cura e alla riabilitazione delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo;
   a predisporre, anche attraverso l'Osservatorio nazionale sulla dipendenza da gioco d'azzardo patologico, campagne di informazione e sensibilizzazione sui rischi connessi al gioco d'azzardo patologico.
(1-00710) «Garavini, Miotto, Beni, Lenzi, Causi, Ginato, Gelli, Murer, Carnevali, Sbrollini, D'Incecco».


   La Camera,
   premesso che:
    la lotta alla frode e all'evasione fiscale è una delle maggiori sfide dell'Unione europea in considerazione dell'ingente perdita di denaro derivante da tali illeciti che, non soltanto vanificano gli sforzi di risanamento dei bilanci nazionali, ma mettono in discussione il principio di equità e di uguaglianza dei cittadini;
    alcuni Stati membri dell'Unione europea, come il Granducato del Lussemburgo, predispongono sistemi fiscali che parrebbero agevolare l'evasione e l'elusione fiscale, causando una potenziale perdita di gettito fiscale pari a diversi miliardi di euro;
    da un'inchiesta giornalistica recente denominata LuxLeaks si apprende che l'attuale Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, che per oltre 10 anni è stato primo Ministro del Granducato del Lussemburgo, abbia approvato numerosi accordi fiscali «speciali» con i quali il Granducato del Lussemburgo ha concesso ad oltre trecento aziende e multinazionali (tra cui Amazon, Ikea, Deutsche Bank, Procter&Gamble, Pepsi e Gazprom) un trattamento fiscale agevolato grazie alla cosiddetta tax ruling;
    altresì, dal giugno 2014, la Commissione europea indaga su presunti aiuti di Stato illegali sotto forma di accordi fiscali illeciti tra il Granducato del Lussemburgo e il gruppo Fiat e Amazon;
    le strutture fiscali sono predisposte da società legali e fiscali con sede in Lussemburgo e da grandi società di revisione e consulenza contabile come PricewaterhouseCoopers, Ernst & Young, Deloitte e KPMG. Si ricorda che le richiamate società sono state selezionate dalla Banca centrale europea per l’«Asset quality review» preposta a valutare la solidità delle maggiori banche europee;
    se per molto tempo tali accordi sono stati considerati pienamente legali, ancorché abbiano sottratto all'intera economia europea ingenti quantitativi di denaro, l'esecutivo comunitario ha recentemente chiesto l'apertura di un'inchiesta sulle intese tra il Paese del Benelux ed alcune società tra cui anche una italiana, ritenendo che tali accordi abbiano consentito a quest'ultime di pagare meno tasse di quanto avrebbero dovuto e precisando che, in tal caso, si sarebbero configurati aiuti di Stato incompatibili con le norme dell'Unione europea;
    è all'esame delle istituzioni europee la modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale, al fine, tra l'altro, di ampliare, in ambito europeo, l'ambito di applicazione dello scambio automatico d'informazioni sui dividendi, le plusvalenze e gli altri redditi a partire dal 2015, anno in cui tale obbligo sarà in vigore anche per redditi da lavoro, compensi per dirigenti, pensioni, assicurazioni sulla vita e proprietà e redditi immobiliari;
    è doveroso precisare che lo scambio automatico di informazioni è stato introdotto nella direttiva per la tassazione dei risparmi (2003/48/CE) ed è in vigore dal 2005, ma Austria e Lussemburgo hanno da sempre usufruito di un regime di deroga scegliendo di adottare una ritenuta d'acconto al 35 per cento invece dello scambio di informazioni e, altresì, hanno rallentato l'adozione di normative sulla tassazione delle rendite da risparmio dei cittadini non residenti;
    il 14 ottobre 2014 il Consiglio dei ministri delle finanze dell'Unione europea, nell'ambito dell'esame della sopradetta proposta, ha concesso, al Lussemburgo e all'Austria, una dilazione dei tempi entro i quali aderire allo scambio automatico di informazioni tra gli Stati membri. Per il Lussemburgo la deroga è pari a due anni, mentre per l'Austria è pari a tre anni. Allo scadere delle medesime dovrebbe venir meno l'attuale rigido segreto bancario che caratterizza i loro sistemi fiscali e finanziari;
    tale decisione contrasta con il rigido orientamento comunitario che impone misure di austerità sempre più gravose per i cittadini e pare invece evidenziare un'attitudine molto più conciliante nei confronti degli evasori fiscali e degli intermediari bancario-finanziari che spesso si adoperano per occultare al fisco consistenti patrimoni;
    le motivazioni di tale atteggiamento dilatorio nei confronti di due Stati membri dell'Unione europea suscitano più di un dubbio in merito alla possibilità che alcuni Governi, attraverso l'avallo di una posizione estremamente conciliante, finiscano di fatto per favorire il sussistere di paradisi fiscali e la costituzione di «fondi neri» da utilizzare per gli scopi più disparati;
    sembra del tutto inopportuno, sia sul piano politico che sul piano morale, che il responsabile dei sopraddetti accordi fiscali ricopra, oggi, il ruolo di Presidente della Commissione europea, anche in relazione alle stesse competenze che dovrà svolgere la Commissione europea;
    durante il mandato da Primo ministro Juncker ha reso il Granducato del Lussemburgo un’«oasi» finanziaria e fiscale per almeno 340 grandi società internazionali e di fondi d'investimento con almeno 3.000 miliardi di attivi netti, secondo solo agli Stati Uniti, e facendo della sua popolazione la più ricca dopo il Qatar;
    di recente gli accordi bilaterali tra Italia e Lussemburgo consentirà a quest'ultimo di confluire nella White list, «assicurando» un maggior scambio di informazioni fiscali tra i due Paesi. Tale accordo, al pari di altri già sottoscritti, non saranno da soli sufficienti ad escludere ogni possibile forma di evasione ed elusione fiscale internazionale, tanto è vero che Bloomberg ha dichiarato che attraverso complesse procedure è possibile ridurre la tassazione per le aziende fino allo 0,25 per cento;
    in Italia la soglia di povertà ha raggiunto quasi 9 milioni di italiani e nel 2014 sono fallite circa 111 mila aziende;
    le aziende italiane sono subordinate ad una pressione fiscale che arriva fino al 70 per cento e per tal motivo è comprensibile che gli accordi fiscali del Lussemburgo, le pratiche di elusione fiscale e l'assenza di una normativa europea che punisca seriamente ogni forma di abuso ed elusione fiscale renderanno il nostro Paese sempre meno competitivo nello scenario internazionale con ulteriori conseguenze negative in termini di prodotto interno lordo e disoccupazione,

impegna il Governo

ad attivarsi nelle competenti sedi europee per richiedere le immediate dimissioni del Presidente della Commissione europea in quanto ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo non compatibile con il ruolo di garante dell'applicazione di politiche di rigore e di lotta all'evasione fiscale che costituiscono le priorità dell'Esecutivo da lui presieduto.
(1-00711) «Gallinella, Villarosa, Pesco, Alberti, Pisano, Barbanti, Cancelleri, Ruocco».


   La Camera,
   premesso che:
    l'area di Civitavecchia è sottoposta da molti anni ad una notevole pressione ambientale riconducibile all'attività di:
     a) un rilevante polo energetico costituito da due centrali termoelettriche, una delle quali alimentata a carbone;
     b) uno dei principali porti del mediterraneo, con rilevante traffico crocieristico e di trasporto auto;
     c) un'importante struttura di depositi costieri con una capacità di movimentazione di prodotti petroliferi di oltre un milione di tonnellate all'anno;
     d) un cementificio;
     e) un centro chimico che custodisce tuttora i gas nervini;
    il dipartimento di epidemiologia del servizio sanitario della regione Lazio nel suo rapporto pubblicato nel febbraio 2012 recita testualmente: «La popolazione residente nel comune di Civitavecchia nel periodo 2006-2010 presenta un quadro di mortalità per cause naturali (tutte le cause eccetto i traumatismi) e per tumori maligni in eccesso di circa il 10 per cento rispetto alla popolazione residente nel Lazio nello stesso periodo. Tale eccesso si conferma tra gli uomini residenti nell'area allargata ai comuni di Civitavecchia, Allumiere, Tarquinia, Tolfa e Santa Marinella ma non tra le donne. In riferimento alla mortalità per cause tumorali, si osserva tra gli uomini residenti a Civitavecchia un forte eccesso di rischio per tumore polmonare e della pleura. L'analisi allargata ai comuni del comprensorio conferma l'eccesso di rischio per tumore polmonare»;
    nel 2013, l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) ha classificato l'inquinamento atmosferico outdoor ed il materiale particellare fine come cancerogeni per l'uomo stabilendo che nessuna dose può essere considerata priva di effetti per la salute umana;
    il consorzio tra i comuni di Allumiere, Civitavecchia, Monte Romano, Santa Marinella, Tarquinia e Tolfa per la gestione dell'osservatorio ambientale, che gestisce la locale rete di monitoraggio dell'inquinamento atmosferico, nel suo rapporto per l'anno 2013 recita che la qualità dell'aria dei comuni di Allumiere, Civitavecchia, Monte Romano, Santa Marinella, Tarquinia e Tolfa rispetta sostanzialmente i criteri di protezione della salute e dell'ambiente dettati dalla normativa (decreto legislativo n. 155 del 2010). Fa eccezione l'ozono che, in analogia con oltre il 90 per cento delle stazioni di rilevamento in tutto il territorio nazionale, nelle postazioni di Allumiere e Sant'Agostino fa registrare concentrazioni che superano i limiti di legge o sono ad essi molto vicine. La valutazione dell'osservatorio, centrata prioritariamente sulla protezione della salute, ha adottato i riferimenti dell'Organizzazione mondiale della sanità che per molti inquinanti sono più restrittivi di quelli imposti dalla normativa. Questo approccio conferma la criticità dell'ozono, ma suggerisce di prestare attenzione anche al materiale particellare (PM10 e PM2,5), le cui concentrazioni in tutti i siti di rilevamento oscillano intorno ai valori di riferimento dell'Organizzazione mondiale della sanità;
    il rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale alla centrale Torrevaldaliga Nord rilasciato dal Ministro dell'ambiente e del territorio e del mare con decreto del 5 aprile 2013, rispetto al 2003:
     a) introduce la concentrazione giornaliera in chiave più restrittiva per tutti i macroinquinanti, ad eccezione del monossido di carbonio che resta inalterato;
     b) lascia inalterati i limiti orari degli ossidi di azoto e del biossido di zolfo, ma impone a quello delle polveri una riduzione quantificabile tra il 30 per cento ed il 50 per cento circa;
     c) interviene sui limiti inerenti le emissioni massiche, riducendo quelli delle polveri e del biossido di zolfo del 60 per cento e del 50 cento rispettivamente;
     d) introduce un limite massimo all'emissione del monossido di carbonio che non consentirebbe alla centrale di operare al massimo livello delle emissioni di questo inquinante per più di 10 mesi all'anno circa;
     e) fissa alle emissioni di diossine e furani, che non sono trattate nelle migliori tecniche disponibili (Bat), limiti 10000 volte più bassi di quelli previsti per gli impianti di combustione dal decreto legislativo n. 152 del 2006 (Codice dell'ambiente);
    il citato decreto del 5 aprile 2013 del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prescrive alla centrale Torrevaldaliga Nord un limite alle emissioni del monossido di carbonio (130 mg/m3) significativamente maggiore delle concentrazioni indicate nel Documento di riferimento europeo sulle migliori tecniche disponibili nell'intervallo 30-50 mg/m3;
    non sono noti gli esiti dei due studi di fattibilità prescritti al gestore dal citato decreto 5 aprile 2013 del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare relativamente:
     a) alla trasformazione della centrale Torrevaldaliga Nord dalla sola produzione di energia elettrica ad impianto di cogenerazione o trigenerazione (produzione di calore e raffrescamento per uso civile);
     b) all'installazione o implementazione di un sistema di abbattimento del monossido di carbonio ai camini della centrale;
    l'European IPPC Bureau della Commissione Europea ha pubblicato nel giugno 2013 il draft del Documento di riferimento europeo che aggiorna le migliori tecniche disponibili e l'approvazione finale di detto documento è prevista entro l'anno 2015,

impegna il Governo:

   a riesaminare l'autorizzazione integrata ambientale concessa alla centrale Torrevaldaliga Nord, al fine di adeguare le emissioni ai riferimenti suggeriti dalle nuove migliori tecniche disponibili (Bat), alla luce dei contenuti del Documento di riferimento europeo (Bref) in corso di pubblicazione da parte della Commissione europea;
   nelle more del riesame, a garantire la puntuale verifica del rispetto delle prescrizioni imposte dal provvedimento di autorizzazione integrata ambientale vigente, dando la più ampia pubblicità dell'esito dei controlli effettuati.
(1-00712) «Tidei, Minnucci, Carella, Ferro, Gregori, Piazzoni, Giuseppe Guerini, Laforgia, Morassut, Iori, Miccoli».


   La Camera,
   premesso che:
    la presenza di combattenti stranieri (foreign terrorism fighters – FTF), spesso definiti come «volontari stranieri», si è palesata tragicamente soprattutto tra le file dei miliziani ribelli che si oppongono alle truppe governative siriane, ed è divenuta un elemento caratterizzante della guerra civile in Siria consentendo in tal modo che questo Paese diventasse la prima meta per i combattenti jihadisti e il più importante campo di battaglia del mondo per il jihad, nonché il più importante punto di aggregazione e addestramento per i fondamentalisti islamici di altre nazioni; la meta privilegiata dei volontari stranieri sono infatti le formazioni più estreme del fondamentalismo islamico; si stima che le due formazioni jihadiste più importanti, il Fronte al-Nusra e lo Stato Islamico (IS o DAESH), accolgano tra le loro fila almeno 9.000 combattenti non siriani, ovvero circa il 20 per cento del totale mentre altre stime vedono la percentuale salire notevolmente tra i miliziani dell'IS, con il 40 per cento di non siriani tra gli effettivi;
    si tratta senza dubbio di una galassia sempre più vasta di combattenti (si va dai mercenari, passando per i neonazisti, fino ad associazioni di motociclisti olandesi) che arrivano dall'estero e combattono sui diversi fronti di una guerra che da mesi sta insanguinando la Siria e l'Iraq. Analogo fenomeno si sta registrando per la guerra civile in corso in Ucraina, con persone che si uniscono o alle bande paramilitari legate all'estrema destra di Kiev o con quelle dei combattenti filorussi;
    in molti Paesi non viene considerato un reato andare a combattere e arruolarsi in formazioni militari e paramilitari e questo facilita il reclutamento e la partenza di questi «volontari». Diverso il discorso del reclutamento a fini terroristici che è punito in quasi tutti i Paesi con la detenzione;
    secondo il New York Times sarebbero oltre 12 mila gli FTF arruolati all'ombra della bandiera nera del Califfato. Di questi, buona parte vengono dall'Europa. Giovanissimi, più occidentali che medio orientali, molti nati nei Paesi dell'Unione europea in quanto figli di immigrati storici integrati in Europa da decenni. Nella maggior parte dei casi non parlano nemmeno l'arabo;
    le stime sul numero dei combattenti stranieri in Iraq e in Siria sono ovviamente approssimative. Anche quelle ufficiali fornite dai Governi, che tracciano i movimenti verso l'estero dei propri cittadini o residenti, risentono di questa approssimazione;
    secondo altre fonti, gli FTF sarebbero addirittura 20 mila, provenienti da 81 paesi diversi. Di questi, tremila verrebbero da Paesi occidentali, in testa Francia e Russia, mentre per l'Italia si parla invece di oltre 50 uomini;
    comunque il contingente di combattenti stranieri operanti in Siria – in una prima fase addirittura sollecitata anche dai Governi occidentali in funzione anti-Assad con la costituzione dell'Associazione Paesi Amici della Siria – in questi ultimi tre anni è sicuramente uno dei più ampi mai registrati nella storia dal dopoguerra ad oggi;
    a differenza di altri conflitti, in cui si sono registrati afflussi di militanti jihadisti stranieri, come Afghanistan, Bosnia e Somalia, il ritmo di crescita della presenza dei volontari stranieri in Siria risulta essere molto più alta poiché si stima che dalla Tunisia si siano recati in Siria circa tremila combattenti, dall'Arabia Saudita circa 2.500, dalla Giordania circa duemila, dal Marocco circa 1.500. Inoltre 800 dal Libano, circa 500/1000 dalla Libia, circa 400 dalla Turchia, circa 360 dall'Egitto. Complessivamente questi Paesi alimenterebbero almeno per l'80 per cento l'afflusso di FTF in Siria;
    la via del reclutamento (secondo alcune stime, anche di mille stranieri al mese) passa soprattutto attraverso il web e a un processo capillare gestito da rappresentanti dell'Islam radicale, di indottrinamento, selezione, fidelizzazione e invio nel Califfato, non più attraverso la frequentazione di moschee radicali (già sotto sorveglianza), ma anche nelle carceri, nelle palestre o alle manifestazioni; inoltre tali rappresentanti godono di una rete di supporto logistica e hanno accesso alle armi provenienti dal mercato nero soprattutto via Libia;
    è bene comunque ricordare, tra l'altro, che quando si parla di terrorismo, il nemico è sostanzialmente da cercare in casa e non necessariamente, in ambienti islamici o religiosi in generale. Secondo Europol, infatti, meno dell'1 per cento degli attentati terroristici nei Paesi dell'Unione europea è stato compiuto in nome di un Dio in quanto è stata principalmente l'ideologia politica o una rivendicazione secessionista ad armare la mano degli attentatori in circa 5300 attacchi – pianificati, tentati o riusciti – censiti in Europa d tra il 2006 e il 2013;
    inoltre, secondo l'annuale ricerca pubblicata dall’Institute for economics and peace sul terrorismo globale (Global Terrorism Index) le vittime del terrorismo sono quintuplicate dagli attacchi dell'11 settembre 2001 ad oggi, nonostante la «guerra al terrore» lanciata dagli Usa e i 4.400 miliardi di dollari spesi nelle guerre in Iraq, Afghanistan e in operazioni antiterrorismo in giro per il mondo. Nel 2000 le vittime del terrorismo sono state 3.361, mentre lo scorso anno il numero è salito a 17.958. Negli ultimi 45 anni l'80 per cento delle organizzazioni terroristiche è stato neutralizzato grazie al miglioramento della sicurezza e alla creazione di un processo politico finalizzato all'inclusione e alla risoluzione dei problemi che erano alla base del sostegno ai gruppi terroristi. Appena il 7 per cento è stato eliminato dall'uso diretto della forza militare;
    il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite riunito in sessione straordinaria il 24 settembre 2014 ha approvato all'unanimità la risoluzione 2178/2014 (Minacce alla pace e alla sicurezza internazionale provocata da atti terroristici) che prevede un'azione globale contro i terroristi stranieri in Iraq e Siria e di contrasto alla minaccia che rappresentano per i Paesi di origine e richiede ai firmatari di «prevenire e reprimere il reclutamento, l'organizzazione, il trasporto, e l'equipaggiamento» di combattenti stranieri;
    il 9 gennaio 2014, nel corso di un'informativa urgente sui possibili rischi connessi al terrorismo internazionale in relazione ai tragici fatti di Parigi, il Ministro dell'interno, Angelino Alfano, ha affermato: «L'Italia è pur essa toccata dal fenomeno dei “foreign fighters”, sebbene in misura sensibilmente minore rispetto ad altri Paesi occidentali. Mentre, infatti, sono circa 3 mila i combattenti stranieri censiti in Europa, il nostro Paese interessato da numeri molto più esigui: risultano, infatti, 53 le persone finora coinvolte nei trasferimenti verso i luoghi di conflitto, che hanno avuto a che fare con l'Italia nella fase della partenza o anche solo in quella di transito.»;
    appena dopo i tragici fatti parigini, i ministri dell'interno di 12 Paesi dell'Unione europea (Francia, Lettonia, Germania, Austria, Belgio, Danimarca, Spagna, Italia, Olanda, Polonia, Svezia e Gran Bretagna) si sono riuniti l'11 gennaio a Parigi con il procuratore generale degli Stati Uniti, Eric Holder, e hanno concordato di rafforzare la lotta contro il terrorismo jihadista attraverso un maggiore controllo delle frontiere esterne e del blocco e dei contenuti trasmessi dagli estremisti su internet; al termine, il Ministro dell'interno francese Bernard Cazeneuve ha insistito sulla necessità di migliorare il sistema di raccolta dati che i viaggiatori forniscono alle compagnie aeree (il cosiddetto Pnr) nel quadro della lotta contro il terrorismo dichiarando: «Questo permetterà di monitorare quegli individui che si recano negli scenari di operazioni terroristiche o che ritornano da essi»; per lottare contro i gruppi islamici radicali, hanno congiuntamente convenuto i Ministri, appare «indispensabile» collaborare con gli operatori di internet per individuare e rimuovere in fretta i contenuti che incitano all'odio e al terrore, anche se hanno dichiarato che internet deve rimanere «un luogo di libera espressione»;
    le linee di finanziamento dell'integralismo islamico riconducono troppo spesso alle «petrocrazie» del Golfo Persico (Arabia Saudita e Qatar in testa), mentre ambigua continua ad essere l'atteggiamento della Turchia che, pur essendo un Paese alleato della Nato, rappresenta il luogo di passaggio fino a oggi più sicuro verso Iraq e Siria da parte dei combattenti jihadisti, soprattutto dell'IS, e non si può certo negare che, su questo punto, si sia rivelata il Paese più inaffidabile nel contrastarne la presenza, per non parlare dei reiterati sospetti di finanziamenti a tali gruppi jihadisti, il flusso continuo di terroristi dalla Turchia e i molti interessi politici ed economici turchi nella regione, primi fra tutti la questione curda e il sogno di un sultanato turco del Terzo millennio,

impegna il Governo:

   a monitorare il movimento dei foreign terrorist fighters con controlli effettivi delle frontiere, attraverso la richiesta di attivazione, nelle sedi opportune, di un'inchiesta internazionale che indichi le criticità e i «buchi» nel sistema di norme di sicurezza e nell'emissione dei documenti di viaggio che ha consentito, in definitiva, un deciso proliferare di attentati di matrice terroristica dal 2001 a oggi, assumendo iniziative per la prevenzione dell'uso fraudolento di tali documenti di viaggio e l'avvio di una campagna informativa che coinvolga la società civile, i giovani e le comunità locali;
   a provvedere, in tale direzione, all'assegnazione di risorse economiche per il comparto sicurezza – atteso che i tagli perpetrati ammontano a 6 miliardi di euro, cumulati dal 2008 a oggi e avallati da tutti i Governi che si sono susseguiti – al fine di incrementare gli organici, le dotazioni e i presidi territoriali, altresì procedendo allo sblocco integrale del turn over e dei trattamenti economici e stipendiali;
   ad attivarsi in sede europea per sbloccare l'impasse relativo all'approvazione della direttiva sul Passenger name record (Pnr) per la registrazione dei passeggeri sui voli nell'area Schengen;
   a rafforzare l'ufficio centrale nazionale INTERPOL e implementare la collaborazione con i corpi locali di polizia e con il segretariato generale di Lione per la ricerca di chi ha commesso reati all'estero, o vi si è trasferito, e per la repressione della criminalità operante su scala internazionale;
   ad adottare norme per il congelamento immediato di fondi o altri asset finanziari o risorse economiche di individui, gruppi o enti che finanziano, direttamente o indirettamente gli FTF, anche attraverso fondi derivati da proprietà su suolo italiano;
   a procedere alla stipula di accordi bilaterali con quegli Stati a rischio di passaggio dei «foreign terrorist fighters» per contrastare il fenomeno, ad esempio con la Turchia che si è rivelata ben poco efficace nel contrastare i viaggi verso i campi di addestramento, atteso che fino ad oggi ha espulso 1.056 stranieri e posto un divieto di ingresso nel Paese per 7.833 persone nell'ambito dell'impegno mirato a fermare il reclutamento di jihadisti in Siria e in Iraq;
   a sospendere l'adesione dell'Italia all'Associazione dei Paesi «Amici della Siria».
(1-00713) «Spadoni, Di Battista, Sibilia, Manlio Di Stefano, Grande, Del Grosso, Scagliusi».

Risoluzioni in Commissione:


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    la direttiva 2003/4/CE sull'accesso alle informazioni ambientali all'articolo 2 paragrafo 1, impone agli stati membri della Unione europea di provvedere affinché le autorità pubbliche siano tenute a rendere disponibile l'informazione ambientale detenuta da essi o per loro conto a chiunque ne faccia richiesta, senza che il richiedente debba dichiarare il proprio interesse;
    in materia di accesso alle informazioni ambientali una disciplina speciale è prevista dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, e dall'articolo 3-sexies del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, in attuazione della convenzione di Aarhus. La legittimazione all'accesso all'informazione viene declinata in questi termini: chiunque, senza essere tenuto a dichiarare il proprio interesse, può accedere alle informazioni relative allo stato dell'ambiente e del paesaggio nel territorio nazionale. Le predette informazioni rientrano, inoltre, nell'obbligo di pubblicazione previsto dall'articolo 40 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33;
    le normative richiamate intendono perseguire la più ampia trasparenza dell'informazione ambientale, fatte salve specifiche limitazioni di stretta interpretazione;
    i principi codificati non trovano adeguato riscontro nell'esercizio effettivo del diritto da parte dei cittadini;
    per quanto attiene alle informazioni ambientali, la disponibilità e l'effettiva fruibilità dei dati e delle informazioni in rete è soltanto virtuale: si può facilmente verificare come la consultazione e il reperimento di specifici documenti sia estremamente complesso e spesso formalmente o tecnicamente impossibile;
    la qualità dell'informazione non risponde ai criteri indicati dal decreto legislativo n. 33 del 2013: i dati sono spesso obsoleti, incompleti, frammentati, non disponibili in forma sintetica, difficilmente comprensibili e utilizzabili se non per chi abbia competenze specifiche;
    il diritto all'accesso all'informazione ambientale, pur codificato secondo i principi della direttiva 2003/4/CE, viene ad essere, pertanto, sostanzialmente disatteso e negato in ragione della mancanza di idonei standard di qualità e adeguatezza dei dati e delle informazioni che di fatto pregiudica la finalità di trasparenza ed accessibilità che le disposizioni richiamate intendono perseguire,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per modificare la normativa nazionale vigente in materia di accesso del pubblico all'informazione ambientale, al fine di introdurre criteri inderogabili e oggettivi che rendano facilmente disponibile ed accessibile l'informazioni ambientale, soprattutto sul web, nel rispetto di specifici standard di qualità dell'informazione, al fine di garantire l'effettivo esercizio del diritto da parte dei cittadini, in linea con i principi fissati dalla normativa europea.
(7-00568) «Segoni, Daga, Terzoni, De Rosa, Busto, Micillo, Zolezzi, Mannino, Artini».


   La XII Commissione,
   premesso che:
    il TAR Lazio si è pronunciato su di un ricorso per l'annullamento del decreto ministeriale 4 maggio 2012 con la sentenza n. 7078 del 16 luglio 2013 emessa nel proc. n. 9717/12. In tale occasione, il giudice adito ha respinto in parte il ricorso, accogliendolo in merito all'articolo 5, comma 2, del decreto, annullando la norma nella parte in cui esclude dalle transazioni coloro che abbiano subito una trasfusione in epoca anteriore al luglio 1978;
    con successive sentenze n. 1501, 1502, 1503, 1504, 1505 e 1506 depositate il 28 marzo 2014 il Consiglio di Stato ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, annullando le sentenze con le quali il Tar Lazio aveva sancito la parziale illegittimità del decreto moduli, in quanto le contestazioni sollevate dai danneggiati ricorrenti avrebbero dovute essere proposte avanti il tribunale civile e non amministrativo;
    la seconda sezione consultiva del Consiglio di Stato con quattro pareri, rispettivamente n. 11/2015, 12/2015, 13/2015 e 14/2015, depositati il 5 gennaio, si è occupata del secondo fondamentale criterio di esclusione dalle transazioni, ovvero della presenza di un evento trasfusionale anteriore al 24 luglio 1978. La sezione evidenzia che tale criterio introdotto nel decreto moduli non solo «si pone in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, ma è illegittimo perché contravviene al rapporto gerarchico, che si instaura tra il regolamento del 2009 e l'atto attuativo non avente natura regolamentare, in quanto introduce un nuovo caso di inammissibilità della transazione, non previsto dall'articolo 3 decreto ministeriale n.132 del 2009»,

impegna il Governo

a recepire, in tempi brevi, attraverso un'apposita iniziativa normativa quanto disposto dalla Suprema Corte in più occasioni e dal Consiglio di Stato nei suoi ultimi pareri espressi annullando la prescrizione contenuta nel comma 2 dell'articolo 5 del decreto ministeriale del 4 maggio del 2012.
(7-00569) «Lorefice, Grillo, Mantero, Silvia Giordano, Di Vita, Dall'Osso, Cecconi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   i dati ufficiali relativi alla disoccupazione, e in particolare alla disoccupazione giovanile, su tutto il territorio pugliese evidenziano un trend negativo e valori decisamente superiori alle medie nazionali (ultimo dato ISTAT disoccupazione generale: 20,6 per cento contro il 13,4 per cento della media nazionale);
   in questo quadro regionale già particolarmente negativo la città di Taranto e la sua intera provincia presentano una condizione ancor più preoccupante con livelli di disoccupazione molto più elevati. Di tale condizione il Governo è ampiamente a conoscenza avendo più volte attenzionato le diverse problematiche del territorio, con particolare riferimento alla vicenda dello stabilimento siderurgico Ilva;
   la crisi dell'intero comparto industriale è accompagnata dalla assenza di alternative a breve e medio termine;
   nel territorio della provincia ionica, in area dei comuni di Monteiasi e Grottaglie, insiste un grande insediamento produttivo della Alenia-Aermacchi gruppo Finmeccanica;
   tale insediamento ha previsto nel tempo una serie di investimenti pubblici, nazionali e regionali, per l'adeguamento delle strutture (tra cui l'allungamento della pista dagli originari 1860 metri agli attuali 3.200 metri, la modifica della strada provinciale San Giorgio Jonico-Grottaglie, la realizzazione di un nuovo piazzale, nuove bretelle di collegamento e una nuova caserma dei Vigili del fuoco, nonché la realizzazione di specifici corsi di formazione professionale). Il tutto inserito in un accordo di programma con gli Enti locali sottoscritto nel febbraio del 2005;
   la regione Puglia, la Finmeccanica, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e le parti sociali, hanno sottoscritto accordi per la realizzazione di stage formativi a favore di giovani pugliesi, finalizzati a possibile inserimento negli organici di Alenia-Aermacchi nello stabilimento tarantino;
   l'azienda, che nel tempo ha aumentato gli organici in misura consistente, si avvale in parte di lavoratori con contratti atipici. Il reclutamento del personale avviene attraverso una società esterna, la Quanta-Italia, del gruppo Quanta, che ha sedi in Usa, Brasile, Svizzera e Romania;
   in fase di scadenza dei contratti di lavoro interinali, l'azienda ha recentemente confermato al lavoro 40 addetti di nazionalità rumena e non confermato invece il contratto per 38 unità italiane. Sulle motivazioni di tale scelta non vi sono al momento informazioni ufficiali da parte del management di Alenia-Aermacchi. Le uniche notizie al momento sono quelle attinte dalla stampa locale;
   dagli organi di informazione si apprende anche del trasferimento di lavoratori dallo stabilimento di Foggia a quello di Grottaglie –:
   se intenda fornire ampia informazione sui piani economici ed industriali di Finmeccanica in riferimento all'attività aerospaziale, e in particolare alle sorti degli stabilimenti Alenia-Aermacchi pugliesi;
   con quali modalità con si effettui la selezione del personale negli stabilimenti Alenia-Aermacchi, con particolare riferimento ai contratti e se si possa verificare la opportunità di stabilizzare tale manodopera;
   se intenda attivare tutte le procedure previste al fine di garantire, nel pieno rispetto delle norme europee sulla libera circolazione dei lavoratori, le pari opportunità, con la esclusione di possibili vantaggi per categorie di lavoratori a cui, in virtù della applicazione di normative extra nazionali, possano, in ipotesi, esser ridotti i diritti.
(2-00813) «Chiarelli».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GAGNARLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 marzo 2014, il Presidente del Consiglio annunciava a mezzo stampa (http://www.flcgil.it) un piano per le scuole da 3,5 miliardi di euro per la messa in sicurezza e per il rilancio del settore dell'edilizia; in data 27 marzo 2014 lo stesso Presidente del Consiglio sui media ribadiva che i cantieri sarebbero partiti a giugno ed i 3,5 miliardi erano già stati stanziati;
   in data 12 aprile 2014, sempre durante trasmissioni televisive, il Presidente del Consiglio dichiarava che i cantieri per questi interventi sarebbero partiti dal 15 giugno in tutti i comuni ed i 3,5 miliardi di euro stanziati sarebbero stati svincolati dal patto di stabilità;
   in data 4 luglio 2014 il Governo italiano assegnava i finanziamenti ai comuni (http://www.governo.it). Per Cortona ad esempio, comune di residenza della interrogante, risultano stanziati 7 mila euro;
   nel comune di Cortona tutti gli edifici scolastici posti sotto la responsabilità comunale necessitano di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria; in particolare, sull'edificio scolastico di Fratta Santa Caterina urgono seri interventi di tipo strutturale di messa in sicurezza. Su tale edificio, di proprietà di terzi, il comune di Cortona paga da anni il canone di affitto ad un privato;
   da anni le amministrazioni comunali cortonesi annunciano la volontà di costruire un nuovo edificio di proprietà comunale nella stessa località Fratta Santa Caterina che ospiti la scuola elementare, in sostituzione del vetusto edificio attualmente utilizzato, risolvendo sia i problemi di messa in sicurezza dello stesso che quelli legati all'esborso del canone di affitto al legittimo proprietario;
   l'amministrazione precedente a quella attuale dichiarava altresì di aver presentato presso la Presidenza del Consiglio un progetto per la realizzazione di tale polo scolastico in località Fratta Santa Caterina;
   è evidente che per la realizzazione del polo scolastico a Cortona, il comune necessita di ben altri fondi rispetto a quelli che risultano stanziati dall'attuale Governo per la copertura del piano governativo sull'edilizia scolastica;
   per la realizzazione di tale opera, come risulta da un estratto della mail inviata dal sindaco Francesca Basinieri al Presidente del Consiglio e pubblicata on line, il comune prevede una spesa complessiva di 3 milioni di euro, di cui 2,25 milioni per lavori a base d'asta ed oneri di sicurezza e 750 mila per somme a disposizione, quali iva, acquisto terreno, lavori in economia ed altro. Da quanto si apprende dalla stessa mail «tali importi deriveranno in gran parte dallo sblocco di fondi già presenti nelle casse comunali di Cortona (...)» –:
   se il Governo sia a conoscenza ed abbia effettivamente ricevuto la proposta progettuale del polo scolastico che si vorrebbe realizzare in località Fratta Santa Caterina a Cortona ed, in caso affermativo, se possa renderne noti i dettagli. (5-04468)


   GRILLO, LOREFICE, MANTERO, SILVIA GIORDANO, DALL'OSSO, CECCONI e DI VITA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in Italia le persone con la malattia diagnosticata di epatite C sono stimate tra le 400 e le 500 mila, di cui 70 – 80 mila in condizioni serie o gravi;
   lo scorso dicembre 2014, ben 11 mesi dopo l'approvazione europea, nel prontuario farmaceutico italiano è stata finalmente inserita, il sofosbuvir, il cui nome in commercio è Sovaldi, la pillola che promette di eradicare il virus dell'epatite C in sole 12 settimane;
   un medicinale le cui scatole, utili a completare l'intero ciclo terapeutico, costerebbero al singolo cittadino che abbia necessità di acquistarle, circa 70 mila euro;
   tale costo con la legge di stabilità per l'anno 2015 sarebbe a carico del servizio sanitario regionale il quale si servirebbe del fondo sanitario nazionale messo a disposizione con l'approvazione del Ministro della salute;
   solo alcune regioni Lombardia, Lazio e Veneto ad oggi hanno proceduto alla somministrazione del farmaco conto l'epatite C;
   altre regioni, invece, pare non abbiamo ancora provveduto ad inviare al Ministro della salute l'elenco dei centri autorizzati a somministrare il farmaco, quali Sicilia, Liguria, Calabria, Campania, Friuli e Molise;
   dal presidente dell'associazione dei malati Epac, arriva inoltre la denuncia al Governo, il quale «ad oggi non risulta aver emanato il decreto previsto dalla legge di stabilità per ripartire tra le regioni il miliardo stanziato dalla stessa manovra, per due anni di terapia»;
   nel contratto sottoscritto tra Aifa e Gilead, l'azienda produttrice, è previsto che i 50 mila pazienti che fanno parte di una delle sei categorie più gravi individuate dall'Aifa, possano usufruire del trattamento a un prezzo di 50 mila euro per terapia, con sconti crescenti con l'aumentare delle dosi acquistate dalle regioni;
   quando saranno state acquistate tutte le 50 mila dosi previste nell'accordo, la media del costo per un paziente si aggirerà tra i 20 e i 30 mila euro, così da poter versare alla Gilead un miliardo di euro in due anni, inserito nella legge di Stabilità e preso dal fondo sanitario nazionale;
   rimane dunque il problema di garantire effettivamente la cura a tali soggetti nei centri delle varie regioni, ecco perché tutte devono attivarsi e procedere sia alla somministrazione sia ad inviare i suddetti dati al Ministero –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della questione in premessa e non ritengano opportuno prendere immediatamente provvedimenti per agevolare la somministrazione del farmaco sofosbuvir in tutte le regioni così da aiutare le stesse soprattutto quelle che sono ancora indietro e sopperire ai ritardi sino ad oggi evidenziati, permettendo la cura ai pazienti. (5-04473)


   VALLASCAS, DELLA VALLE e DA VILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192, in attuazione della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, stabilisce, quale termine ultimo di pagamento, trenta giorni di tempo dalla data di ricevimento da parte del debitore della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente;
   la disposizione, che ha effetto dal 1o gennaio 2013, si applica, ad accezione di alcune tipologie di transazioni e di soggetti debitori, ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo di una transazione commerciale, compreso l'acquisto di beni, servizi e forniture da parte delle pubbliche amministrazioni;
   il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, sul riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, prevede, all'articolo 33, la pubblicazione, con cadenza annuale, di un indicatore dei tempi medi di pagamento, denominato «indicatore di tempestività»;
   sul sito internet della Presidenza del Consiglio dei ministri, nella sezione dedicata alla trasparenza, viene pubblicato, quale indicatore per l'anno 2013, relativo agli acquisti di beni, forniture e servizi effettuati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, 71,72 giorni;
   «l'indicatore, secondo quanto precisa la nota a piè di pagina, è stato calcolato come media aritmetica dei tempi in giorni effettivi (i giorni effettivi equivalgono ai giorni solari, compresi, pertanto, i giorni festivi) per ciascuna fattura, intercorrenti tra la data di ricezione della fattura e la data di effettivo pagamento del titolo»;
   il numero dei giorni che la Presidenza del Consiglio dei Ministri impiega mediamente per pagare i suoi fornitori è più che doppio rispetto al limite di 30 giorni stabilito dalla sopraccitata normativa, risultando, quindi, da organismo che dovrebbe promuovere il rispetto della normativa sui tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni, il primo a non rispettare il limite della legge;
   questo aspetto contraddittorio emerge maggiormente se confrontato con gli impegni assunti dal Governo a partire dal 2013 per smaltire il debito commerciale accumulato fino a tutto il 2012 dalle pubbliche amministrazioni; impegni ribaditi anche nel corso del 2014, come evidenziato nel comunicato stampa n. 251 del 7 novembre scorso, paragrafo «L'Impegno del Governo passo dopo passo: 2. Fare pagare in 30 giorni», dove si legge: «La vera sfida del Governo è la riduzione generalizzata dei tempi medi di pagamento a 30 giorni, conducendo i casi patologici a una dimensione marginale da risolvere caso per caso.»;
   la situazione della Presidenza del Consiglio dei ministri è emblematica di una situazione che riguarda la pubblica amministrazione in Italia, dove, nonostante i diversi provvedimenti in materia e le stesse sollecitazioni da parte dell'Unione europea, i tempi di pagamento sono eccessivamente lunghi con gravi ripercussioni sui fornitori di beni e servizi;
   la stessa normativa sulla trasparenza, con particolare riguardo al decreto legislativo, 14 marzo 2013, n. 33, che ha introdotto l'indicatore di tempestività, viene di fatto disattesa o con la mancata pubblicazione dell'indicatore da parte di numerose amministrazioni pubbliche oppure con la pubblicazione dei dati suddivisi per tipologie di spesa ovvero come dato percentuale, e non già come media dei giorni d'attesa, che resta il dato sintetico che maggiormente e immediatamente dà la misura della performance delle pubbliche amministrazioni;
   da rilevare, in particolare, l’escamotage attuato da molte amministrazioni di aggregare i dati per tipologia di acquisto, come il caso del Ministero dell'interno che, lungi dal fornire un unico dato immediatamente consultabile ed esaustivo, suddivide l'indicatore di tempestività per ciascun dipartimento e, all'interno di questi, per ciascuna tipologia di fornitura;
   il risultato di questa situazione è che, oltre a registrarsi diversi e gravi ritardi nei pagamenti, molto spesso non è possibile verificare neanche la performance di un'amministrazione o perché i dati non sono resi pubblici o perché risultano illeggibili e di difficile consultazione;
   il nostro Paese sta attraversando una fase di profonda crisi economica che ha radicalmente inciso sul tessuto produttivo con grave compromissione di diversi settori dell'economia nazionale, con una drastica riduzione dei livelli produttivi e occupazionali;
   alla fase congiunturale negativa, si aggiungono i gravi ritardi che le pubbliche amministrazioni stanno accumulato nei pagamenti, con ripercussioni sulla sopravvivenza stessa di numerose realtà produttive del nostro Paese –:
   quali iniziative intenda adottare per fare sí che le pubbliche amministrazioni, a partire dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e dai diversi Ministeri, risultino adempienti alle disposizioni previste dal decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192, relativo alla lotta ai ritardi dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni;
   se non ritenga opportuno verificare il recepimento da parte delle pubbliche amministrazioni di quanto disposto dall'articolo 33 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, sul riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, con particolare riguardo alla pubblicazione, con cadenza annuale, dell'indicatore di tempestività;
   quali iniziative intenda adottare per fare sì che, nella pubblicazione dell'indicatore di tempestività, le diverse amministrazioni pubbliche adottino come metodo il calcolo della media aritmetica dei tempi in giorni per ciascuna fattura, garantendo così massima trasparenza dei dati e l'immediata lettura da parte dei cittadini. (5-04479)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCAGLIUSI, SPADONI, COLONNESE e DI BATTISTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la procedura adottiva nella Repubblica di Belarus in base alla legge bielorussa del 31 gennaio 2007 n. 122 prevede la possibilità di adozione nominativa di minori orfani sociali accolti dalle famiglie italiane attraverso i progetti di risanamento;
   come si apprende da una lettera inviata il 17 ottobre 2014 dalla Commissione per le Adozioni Internazionali (CAI) agli enti autorizzati dalla CAI stessa ed accreditati in Bielorussia, le adozioni internazionali nella Repubblica di Belarus, oggetto anche dei protocolli di collaborazione esistenti dal 2002, di cui l'ultimo firmato a Minsk il 22 marzo 2007 dalla Presidente della CAI sono state sospese nel 2008 e soltanto la successiva approvazione di un elenco di minori in stato di adottabilità da parte delle autorità della Bielorussia ha consentito di riprendere proficui rapporti in materia di adozione nel superiore interesse dei minori;
   gli accordi raggiunti nel 2012 e l'intervento del Capo dello Stato hanno consentito di riprendere e, in parte, concludere procedure adottive in relazione ai minori indicati nell'elenco approvato dalla Bielorussia, trasmesso nel marzo 2014;
   la CAI sta rilasciando le autorizzazioni all'ingresso e alla residenza permanente, nonché le autorizzazioni al proseguimento nel rispetto di tale elenco;
   con la stessa lettera del 17 ottobre 2014 la CAI invitava gli enti autorizzati dalla CAI ed accreditati in Bielorussia a far pervenire, il prima possibile alla Commissione un elenco di minori bielorussi, che coppie italiane vorrebbero adottare, seguendo procedure di adozione internazionale;
   come descritto in una lettera inviata in data 13 gennaio 2015 dal Centro adozioni nazionale del Ministero dell'istruzione della Repubblica di Belarus agli enti italiani autorizzati per le adozioni, in base al punto 7 del Regolamento sulla collaborazione tra il Ministero dell'istruzione della Repubblica di Belarus e la Commissione per le Adozioni internazionali della Presidenza del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana, la CAI si impegna a presentare al Ministero dell'istruzione il documento di garanzia sulle informazioni obbligatorie delle condizioni di vita e dell'educazione dei bambini presso le famiglie dei cittadini italiani, indirizzato al Centro adozioni nazionale annualmente per cinque anni dopo l'adozione. Tale documento di garanzia deve essere confermato da parte della CAI, almeno una volta all'anno;
   come descritto nella lettera inviata in data 13 gennaio 2015 dal Centro adozioni nazionale del Ministero dell'istruzione della Repubblica di Belarus agli enti italiani autorizzati per le adozioni il 13 settembre del 2014 è scaduta la validità dell'ultimo documento di garanzia presentato da parte della CAI;
   come ben indicato nella lettera inviata in data 13 gennaio 2015 dal Centro adozioni nazionale del Ministero dell'istruzione della Repubblica di Belarus agli enti italiani autorizzati per le adozioni, la mancanza del documento di garanzia da parte della CAI è un ostacolo insuperabile per la futura collaborazione nell'esame delle pratiche di adozioni internazionali dei minori bielorussi da parte dei cittadini italiani –:
   quali siano i motivi dell'inaccettabile ritardo per i quali il Centro adozioni nazionale del Ministero dell'istruzione della Repubblica di Belarus sia ancora in attesa del documento di garanzia richiesto;
   quando il Ministro interrogato intenda fornire i documenti richiesti di cui sopra, e se sia consapevole che la mancanza del documento di garanzia da parte della Commissione per le adozioni internazionali è un ostacolo insuperabile per la futura collaborazione nell'esame delle pra- tiche di adozioni internazionali dei minori bielorussi da parte dei cittadini italiani. (4-07528)


   BONAFEDE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto n. 192 del 9 novembre 2012, in ossequio alla direttiva europea 2011/7/UE, ha definito una «nuova disciplina sui ritardi nelle transazioni commerciali», dove, all'articolo 1, fissa, a partire dal 1o gennaio 2013, il limite di pagamento a 30 giorni;
   per incentivare le amministrazioni ad adeguarsi, il disposto legislativo ha innalzato il tasso degli interessi legali di mora dal 7 all'8 per cento, senza però introdurre misure che oggettivassero specifiche responsabilità capaci di creare un adeguato effetto deterrente, fatta esclusione per la formula – prevista nella circolare del Mef n. 27 del 2014 – per la quale «resta in ogni caso la responsabilità per danno erariale del funzionario responsabile del ritardo nei pagamenti» scarsamente efficace in ragione della difficoltà di poter dimostrare l'effettiva responsabilità del funzionario;
   ad un anno dall'introduzione del citato obbligo, la maggior parte delle amministrazioni risulta in deroga non ottemperando peraltro, generalmente, al corrispondente obbligo di pubblicare trimestralmente e rendere riconoscibile sui propri siti istituzionali il cosiddetto «indice di tempestività» dei pagamenti, come stabilito dal decreto legislativo n. 33 del 2013 (obblighi di trasparenza delle Pa), laddove, in presenza di una mobilitazione complessiva di risorse da parte dei ministeri di 283 miliardi di euro annui, la gran parte di tali amministrazioni non comunica entro quali scadenze impieghino tali somme;
   in particolare, secondo un'inchiesta pubblicata su «Il Fatto Quotidiano.it» in data 12 gennaio 2014, «Pagamenti alle imprese, la beffa dei 30 giorni: Palazzo Chigi ci mette più del doppio» dedicata ai tempi ed alla trasparenza dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione, è rilevato che «da due anni a questa parte il Governo viola le disposizioni che, in ottemperanza alla direttiva europea, dal 1o gennaio 2013 obbligano le PA a saldare le fatture a trenta giorni», in quanto «nel 2013 e fino a oggi, infatti, la media dei pagamenti della Presidenza è stata di 71,72 giorni, un tempo più che doppio rispetto a quello prescritto dalla legge», dato, riferito al 2013 ed aggiornato sei mesi fa pubblicato sul sito istituzionale di Palazzo Chigi, così come confermato dai funzionari contattati dal giornalista;
   parimenti, per il complesso dell'amministrazione di Governo, la medesima inchiesta denuncia che «il ministero della Funzione Pubblica non ha diffuso alcun dato. Zero la Giustizia che pure ha una dotazione annuale da spendere di 7 miliardi di euro, nulla dalla Difesa che ne ha 19. È in costruzione la pagina dedicata dell'Istruzione che gestisce un bilancio di 44 miliardi. Il Ministero degli Esteri, che spende 2 miliardi di euro l'anno, informa che “sta procedendo alla raccolta dei dati effettuati nell'anno in corso, al fine di procedere comunque al più presto alla pubblicazione dei tempi medi di pagamento nei confronti dei fornitori”. Ma la pagina è ferma a giugno 2014 e siamo nel 2015».
   considerato che la ricordata disposizione vige per tutte le amministrazioni pubbliche, salvo rare eccezioni, come ad esempio per la sanità in cui i termini sono di 60 giorni, appare quantomeno contraddittorio e contrario alle logiche di buon governo che la legge sia disattesa dalla stessa autorità che l'ha emanata e dovrebbe applicarla, anche e soprattutto alla luce del fatto che l'Italia, dal 18 giugno 2014, e stata messa in mora dall'Unione europea per i ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione;
   la patologia nazionale del ritardo del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, ha effetti pesantissimi per l'economia e le imprese, quando, ad oggi, sono ancora 4.616 le pubbliche amministrazioni che non hanno ancora saldato i debiti con le imprese a livello nazionale, a fronte di 87.651 istanze presentate per crediti maturati al 31 dicembre 2013 –:
   se possano fornire dati aggiornati, raggruppati in maniera analitica, per ciascuna amministrazione centrale al fine di verificare l'effettivo stato di attuazione dell'obbligo di pagamento entro 30 giorni e se non ritengano di dover introdurre elementi di maggiore deterrenza in caso di inadempienza;
   se ritengano sufficiente – e nel caso contrario quali contromisure intendano adottare – il livello di implementazione del processo di certificazione dei crediti commerciali da parte delle pubbliche amministrazioni così da poter consentire alle imprese di accedere la procedura di cessione del credito vantato alle banche, secondo quanto previsto dal decreto-legge n. 66 del 2014. (4-07541)


   PALESE, ALTIERI, CHIARELLI, CIRACÌ, DISTASO, FUCCI, MARTI, ELVIRA SAVINO e SISTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   tra le funzioni fondamentali assegnate alle province dall'articolo 1, comma 85, della legge n. 56 del 2014 vi è quella, indicata alla lettera e), della «gestione dell'edilizia scolastica»;
   è di tutta evidenza che, al riguardo, non è stata riproposta la vecchia e più ampia funzione amministrativa attribuita dall'articolo 14, comma 1, lettera i), della legge n. 142 del 1990 e mantenuta dall'articolo 19, comma 1, lettera i), del decreto legislativo n. 267 del 2000, inerente ai «compiti connessi alla istruzione secondaria di secondo grado ed artistica ed alla formazione professionale, compresa l'edilizia scolastica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale»;
   la nuova funzione, infatti, è riferita esclusivamente alla «gestione dell'edilizia scolastica» e, quindi, alla sola attività di realizzazione, di fornitura e di manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili scolastici (superiori);
   di conseguenza, la nuova funzione non può certo ricomprendere tutti quegli ulteriori compiti precedentemente attribuiti alle province in materia di istruzione scolastica di secondo grado;
   in tale rinnovato assetto, dovrebbe, per esempio, ritenersi ad oggi superata la competenza, prevista dall'articolo 3, comma 2, della legge n. 23 del 1996, in ordine «alle spese varie di ufficio e per l'arredamento e a quelle per le utenze elettriche e telefoniche, per la provvista dell'acqua, per il riscaldamento»;
   tale conclusione risulta avvalorata anche dal consolidato orientamento della Suprema Corte, secondo il quale dette spese gravino sui comuni (per le scuole materne, elementari e medie inferiori) e sulle province (per gli istituti superiori) in deroga al principio di ripartizione, tra gli enti locali e lo Stato, «delle spese rispettivamente riguardanti la gestione degli edifici e la gestione delle attività d'istruzione» (Cass. Civ., Sez. V, 18.04.2000, n. 4944; Cass. Civ., Sez. V, 01.09.2004, nn. 17615, 17617, 17618, 17621, 17628, 17629 e 17633; Cass. Civ., Sez. V, 09.09.2004, nn. 18157 e 18162);
   dall'autorevole indirizzo giurisprudenziale sopra richiamato si ricava che le spese in questione sono state poste eccezionalmente a carico degli enti locali, ancorché non attengano alla gestione degli edifici scolastici, bensì alla concreta utilizzazione di tali immobili e, conseguentemente, alla gestione delle attività di istruzione, di competenza statale; un'impostazione, questa, che è stata condivisa pure dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 442/2008 del 29 dicembre 2008;
   l'aver oggi attribuito alle province, in materia scolastica, la sola gestione dell'edilizia, senza alcuna deroga al principio surrichiamato, porta, quindi, ad escludere che siano rimaste a carico delle stesse le spese di cui all'articolo 3, comma 2, della legge n. 23 del 1996;
   nel mentre tali spese dovrebbero gravare sullo Stato, in quanto attinenti alla concreta utilizzazione degli istituti scolastici superiori ed alla gestione delle attività di istruzione, le province, tutte o la maggior parte, non sono più nelle condizioni di continuare a sostenerle per effetto dei consistenti tagli finanziari rivenienti dalle norme previste dalla legge di stabilità 2015, dal decreto-legge n. 66 del 2014 e dal decreto legislativo n. 118 del 2011 –:
   quali orientamenti intenda esprimere il Governo, in riferimento a quanto esposto in premessa e, conseguentemente, quali iniziative intenda intraprendere, nell'ambito delle proprie attribuzioni, per evitare i disagi all'utenza scolastica per effetto dell'insostenibilità delle spese di cui all'articolo 3, comma 2, della legge n. 23 del 1996 da parte delle province, reputando, peraltro, gli interroganti, alla luce delle considerazioni esposte in premessa, che si tratti di una competenza statale. (4-07543)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta orale:


   OTTOBRE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   Roberto Berardi, cittadino italiano, è detenuto da quasi due anni nel carcere di Bata nella Guinea Equatoriale, dopo l'arresto avvenuto il 19 gennaio 2013 ed un processo che il 26 agosto 2013 ha portato alla sua condanna a 2 anni e 4 mesi;
   processo che si è svolto in violazione di ogni principio giuridico e in primo luogo dei diritti della difesa dell'imputato e in ragione del quale da parte della difesa di Berardi è stato presentato ricorso alla Corte suprema della Guinea Equatoriale per la revisione del processo e la riapertura del caso;
   la difesa di Roberto Berardi è sostenuta dall'avvocato Mbomio Nvò in Guinea Equatoriale ed ha un rappresentante legale in Italia nella persona del dottor Romano Perrino, che ha presentato alcuni ricorsi internazionali, sia in relazione al processo sia in riferimento alle condizioni disumane nelle quali Berardi è oggi detenuto in isolamento e sottoposto a vessazioni e torture;
   ogni assicurazione del regime della Guinea Equatoriale di riaprire il caso o di adottare un provvedimento di grazia sono state disattese, da ultimo nell'aprile 2014 la promessa del presidente Mbasogo, in un incontro con il vicepresidente della Commissione dell'Unione europea Antonio Tajani, di impegnarsi ad «una soluzione rapida per liberare» Berardi;
   il regime dittatoriale vigente in Guinea Equatoriale dal 1979, con il presidente Teodoro Obiang Nguema Mbasogo e oggi con il vicepresidente Teodorin Obiang Nguema Mangue, ha negli anni determinato fenomeni di illegalità, di corruzione, di violazione dei diritti umani che interessano anche i rapporti economici e gli investimenti da parte di società estere;
   vi sono pressioni da parte degli organismi internazionali affinché i rapporti economici con la Guinea Equatoriale da parte di altri Paesi siano vincolati ad un processo di apertura alle opposizioni, oggi in stato di sostanziale clandestinità, e di confronto ai fini dell'affermazione delle garanzie essenziali sotto il profilo giuridico e costituzionale;
   in questo contesto si deve inquadrare il caso della società Eloba Construccion di cui Berardi era amministratore unico e direttore generale, la cui proprietà era al 60 per cento del vice presidente Obiang Nguema Mangue, conosciuto come Teodorin, e al 40 per cento dell'imprenditore italiano;
   nella gestione della società Berardi ha scoperto casi di distrazione di fondi verso conti correnti negli Stati Uniti ad opera del vicepresidente Obiang, denunciati i quali è stato arrestato sulla base dell'accusa pretestuosa di essere egli responsabile della situazione finanziaria della società, analoga ad altri casi nei quali appalti statali sono stati subappaltati a società straniere da parte delle autorità del Paese, con scelte sostanzialmente riconducibii agli interessi della famiglia presidenziale;
   alla fine del 2012 Berardi, che già aveva riscontrato molte difficoltà nella gestione dell'attività con il suo socio, ha appreso come Teodoro Obiang Nguema Mangue fosse indagato negli Stati Uniti per riciclaggio di denaro, tramite l'apertura di conti correnti aperti a nome della società Eloba, società a cui avrebbe appunto sottratto forti somme di denaro;
   Berardi ha ricevuto una sola visita consolare in data 14 dicembre 2013 da parte del segretario di ambasciata d'Italia in Camerun, che ha competenza per la Guinea equatoriale, alla quale hanno assistito autorità guineane impedendo un colloquio riservato fra il diplomatico italiano e Berardi;
   dopo tale visita il 14 dicembre 2013 Berardi è stato posto in stato di isolamento, con l'unica possibilità comunicare grazie all'uso di un cellulare, in determinati momenti;
   a seguito di un colloquio telefonico con i familiari, in cui si ribadivano le condizioni drammatiche in cui Berardi è costretto in carcere, la moglie ha presentato una denuncia alla procura della Repubblica di Roma, preso atto che dopo un anno di detenzione non vi era stato alcun miglioramento delle condizioni carcerarie;
   il caso di Roberto Berardi, come di altri cittadini italiani detenuti all'estero, è seguito anche dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica presieduta dal senatore Luigi Manconi, il quale ha presentato il 5 febbraio 2014 un'interrogazione a risposta scritta cui il Governo ha risposto il 4 marzo 2014;
   nella risposta del Governo, il Vice ministro degli affari esteri Pistelli afferma che:
  «La Farnesina, anche tramite l'ambasciata in Camerun (in Guinea equatoriale, infatti, l'Italia non ha una sede diplomatica), sta compiendo ogni sforzo affinché siano garantite al signor Berardi condizioni detentive conformi agli standard di tutela dei diritti umani. Nel contempo, ogni possibile via diplomatica è al vaglio affinché possa essere trovata una conclusione positiva all’iter giudiziario in cui è coinvolto il connazionale. Al fine di salvaguardare la sua integrità fisica, si ricorda che l'ambasciata a Yaoundé ha svolto sin dall'inizio una costante azione di assistenza a suo favore anche attraverso persone di riferimento sul posto (fra queste il console generale spagnolo a Bata), che hanno mantenuto contatti con il signor Berardi ed effettuato diverse visite nel luogo di detenzione.
  La stessa ambasciata, dopo ripetute richieste avanzate verso le autorità di Malabo, ha potuto svolgere una visita consolare il 13 dicembre 2013. In quell'occasione, il funzionario dell'ambasciata ha espressamente richiesto che al signor Berardi venisse prestata adeguata assistenza medica e che fosse altresì facilitato il contatto con i suoi familiari. Sono seguite successive richieste formali volte ad assicurare al connazionale un trattamento dignitoso e a tenere costantemente aggiornata la nostra sede sulle sue condizioni di salute, soprattutto a seguito del suo trasferimento in cella di isolamento per detenzione illegale di cellulari nell'istituto di pena.
  Nel mese di gennaio 2014, il nostro corrispondente consolare in pectore si è recato per due volte presso il penitenziario. Le autorità, pur negando la possibilità di incontrare il signor Berardi poiché in regime di isolamento, hanno acconsentito, su nostra insistenza, a che il corrispondente facesse pervenire al connazionale cibo, medicine e altri generi di prima necessità, con spese a carico dell'ambasciata. Da ultimo, 18 febbraio, il console generale spagnolo ha potuto accertarsi, alla presenza delle autorità del penitenziario, delle condizioni fisiche del signor Berardi, senza notare infermità o particolari segni di violenza. Lo stesso console si è riservato di chiedere entro breve una nuova visita consolare, questa volta senza la presenza di testimoni.
  Il nostro ambasciatore in Camerun, competente per il Paese, ha da ultimo investito del caso, il 23 gennaio, il nuovo ambasciatore della Guinea equatoriale a Yaoundé, chiedendo nuovamente la massima attenzione al rispetto dei diritti umani. Ha anche auspicato che, una volta scontata una parte rilevante della pena, si possa prevedere una liberazione anticipata, o almeno forme alternative al carcere.
  Questo intervento si aggiunge ai molteplici passi compiuti negli scorsi mesi dalla nostra ambasciata. Si ricorda, in particolare, la nota verbale inviata nel mese di aprile 2013 al Ministero degli esteri di Malabo per sollecitare la scarcerazione e il rientro in Italia del signor Berardi e la richiesta ufficiale di liberazione fatta pervenire al figlio del presidente, Teodorin. Della vicenda è stato investito anche il nunzio apostolico a Yaoundé, accreditato anche in Guinea equatoriale, il quale è intervenuto presso il Presidente della Repubblica Teodoro Obiang. L'azione ad ampio raggio della nostra ambasciata non ha mancato di coinvolgere anche la delegazione dell'Unione europea in Gabon, competente anche per la Guinea equatoriale, che ha assicurato un intervento sulle autorità di Malabo.
  Lo stesso (vice ministro Pistelli) nel corso della visita ad Addis Abeba per partecipare al consiglio esecutivo dell'Unione africana (27-28 gennaio 2014), si è personalmente occupato del caso, sollevando la questione direttamente con il Ministro degli esteri della Guinea equatoriale. Questi, che ha affermato di conoscere bene il caso del connazionale e di essere in contatto con il Ministro della giustizia del proprio Paese, ha altresì aggiunto una nota di cautela, ricordando che il connazionale sarebbe anche oggetto di indagini per attività illecite in un altro Paese africano (il Camerun). Nel prendere atto di ciò, ha comunque chiesto un suo attivo interessamento sul caso, insistendo in particolare affinché, nell'immediato, le condizioni detentive del signor Berardi risultino adeguate agli standard internazionali.
  Anche la sede centrale della Farnesina, dal canto suo, si è mossa ai fini di tutelare il connazionale e tenendo sempre informati i parenti più stretti del signor Berardi. Oltre alla quotidiana azione di raccordo delle attività dell'ambasciata a Yaoundè, già nel mese di maggio 2013, il direttore generale per gli italiani all'estero, l'ambasciatore Cristina Ravaglia, riceveva l'ambasciatore della Guinea equatoriale a Roma per sensibilizzarla sul caso del connazionale, cui seguivano successivi da passi effettuati in occasione della giornata dell'Africa, tenutasi due settimane dopo, e presso il rappresentante permanente della Guinea equatoriale alla FAO»;
   Roberto Berardi recentemente ha scritto una lettera al Presidente del Consiglio dei ministri Renzi in cui chiede fermamente che il Governo operi in merito alla propria situazione ed affinché casi come il suo non debbano più verificarsi –:
   quali ulteriori iniziative urgenti il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale abbia intrapreso o abbia intenzione di intraprendere per giungere ad una documentata, obiettiva, ricostruzione dei fatti, delle responsabilità che hanno portato alla condanna ingiusta e arbitraria di Berardi;
   quali iniziative urgenti il governo italiano intenda porre in essere, nei rapporti con la Guinea Equatoriale e presso ogni organismo internazionale affinché sia sostenuta da parte del nostro Paese la richiesta di revisione del processo Berardi;
   quali atti il Governo italiano intenda assumere, affinché da parte della Commissione europea sia espressa una posizione comune sulla situazione di Berardi e in ordine ad altri casi analoghi di violazione dei princìpi del giusto processo e dei diritti umani, sulla base anche dei pronunciamenti della Corte europea per i diritti dell'uomo. (3-01249)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni la cementificazione e l'abbandono hanno sottratto all'agricoltura nazionale circa 5 milioni di ettari, pari al 28 per cento delle aree coltivate, e il fenomeno del «consumo di suolo» in agricoltura ha assunto dimensioni tali da divenire una vera e propria emergenza a livello nazionale per effetto dell'urbanizzazione, oltreché per i gravi fenomeni di dissesto idrogeologico;
   secondo le recenti stime contenute nel rapporto ISPRA 2014, pubblicato sulla base dei dati della rete di monitoraggio del consumo di suolo nel nostro Paese, non accenna a diminuire la superficie di territorio consumato a livello nazionale, che continua a mantenersi intorno ai 70 ettari al giorno, con oscillazioni marginali intorno a questo valore nel corso degli ultimi venti anni;
   si tratta di un consumo di suolo pari a circa 8 metri quadrati al secondo che si accompagna nel nostro Paese alla perdita di ampie aree vocate all'agricoltura, spesso di valenza ecologica fondamentale per la qualità dell'ambiente urbano, in particolare nelle zone circostanti le grandi città;
   in particolare, il Veneto è la seconda regione italiana con la maggior incidenza di territorio urbanizzato e cementificato e negli ultimi 40 anni la regione ha perso circa il 18 per cento della sua superficie coltivata, una perdita di 1800 chilometri quadrati dovuta all'urbanizzazione, alla realizzazione di infrastrutture e all'abbandono di pascoli e campi;
   anche in ragione della mancanza di un'efficace pianificazione urbanistica e della concessione di numerose deroghe, stando ai dati resi disponibili dal consiglio regionale del Veneto, le campagne coltivate sono scese dal 54 per cento al 44 per cento dell'intero territorio veneto, con conseguenze allarmanti per l'equilibrio idrogeologico dell'intera regione;
   in particolare, nel comune di Martellago, in provincia di Venezia, i dati sul consumo del suolo descrivono un'evoluzione assolutamente in linea con la tendenza nazionale: dal 1970 sono stati consumati circa 427 ettari di suolo ed è scomparsa circa il 35 per cento della superficie agricola coltivata con una media di 10,7 ettari all'anno;
   negli ultimi decenni i paesaggi peri-urbani sono andati inoltre incontro a fenomeni di trasformazione intensa e rapida, caratterizzati da un uso del suolo non sempre adeguatamente governato da strumenti di pianificazione del territorio, di programmazione delle attività economico-produttive e da politiche efficaci di gestione del patrimonio naturale e culturale;
   a titolo di esempio, si evidenziano diverse anomalie procedimentali che hanno interessato anche il piano di assetto del territorio (P.A.T.) del comune di Martellago, dalla cui documentazione, sembra emergere, come denunciato da alcuni consiglieri comunali, in relazione ai dati riferiti alla superficie agricola utilizzata (SAU) ed alla superficie agricola trasformabile (SAT) in esso riportati, numerose e gravi difformità tali da determinare nuove aree edificabili in quantità più che doppia rispetto a quanto possibile;
   il piano di assetto del territorio di Martellago, apparentemente gonfiato nella superficie agricola utilizzata per ottenere la massima edificabilità, avrebbe come effetto collaterale la cementificazione del suolo agricolo e l'alterazione dell'equilibrio idrogeologico del territorio veneto, già duramente colpito da un'intensa urbanizzazione –:
   di quali ulteriori elementi i Ministri interrogati dispongano in relazione alle considerazioni esposte in premessa e se non ritengano opportuno, nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto dell'autonomia regionale e delle amministrazioni locali, assumere iniziative per tutelare dal fenomeno del consumo di suolo il patrimonio agricolo nazionale, valorizzando il suolo non edificato, e promuovendo un rapporto equilibrato tra sviluppo delle aree urbanizzate e delle aree rurali, mediante il contenimento del consumo di suolo libero. (5-04484)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'allarme lanciato da Legambiente su 37 sacchetti per la spesa prelevati presso diversi punti vendita della «grande distribuzione organizzata» in sette regioni italiane (Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Lazio, Lombardia e Veneto), ben 20, pari al 54 per cento del totale, sono risultati non conformi alla legge n. 28 del 2012, che ha messo al bando gli shopper non compostabili. Questo risultato è emerso dalla campagna di monitoraggio organizzata da Legambiente, grazie al lavoro dei suoi circoli locali e comitati regionali, effettuata tra la fine di novembre 2014 e le vacanze natalizie per valutare il rispetto della sopraddetta legge che ha permesso all'Italia di mettere al bando i sacchetti di plastica e che purtroppo però continuano ad essere ancora molto diffusi;
   le difformità sono state riscontrate in 5 regioni dove sono stati prelevati i sacchetti non conformi alla legge in vigore: in Campania (7 sacchetti), Basilicata (6), Puglia (3), Calabria (3) e Lazio (1). Mentre i sacchetti prelevati in Lombardia e Veneto sono invece risultati regolari. A livello provinciale la situazione è la seguente: Potenza (6 sacchetti fuori legge), Avellino, Bari e Napoli (3), Vibo Valentia (2), Benevento, Catanzaro e Roma (1). Suddividendo i 20 casi di sacchetti «fuori legge» per punti vendita delle aziende della grande distribuzione, si ottiene, secondo Legambiente, questa classifica: Sigma (5 sacchetti non conformi), A&O (3), Crai, Eurospin e Sisa (2), Conad, Despar/Eurospar, Eurocisette, Imagross, M.A. Supermercati/Gros, Maxisidis/Intersidis (1);
   i sacchetti monouso biodegradabili e compostabili conformi alla legge, che possono essere tranquillamente utilizzati anche per la raccolta differenziata della frazione organico dei rifiuti, devono avere la scritta «biodegradabile e compostabile» e sul sacchetto la citazione dello standard europeo «UNI EN 13432:2002», da ultimo il marchio di un ente certificatore, che tutela il consumatore come soggetto terzo. I sacchetti che non riportano queste specifiche danno altresì un'informazione sbagliata e non sono conformi alla legge;
   secondo la normativa nazionale e comunitaria un materiale plastico per essere definito compostabile deve obbligatoriamente rispettare le caratteristiche di: biodegradabilità: capacità del materiale di essere convertito in anidride carbonica (CO2), grazie all'azione di microrganismi, pari al 90 per cento totale da raggiungere entro 6 mesi (180 giorni); disintegrabilità: frammentazione e perdita di visibilità nel compost finale; la frazione visibile deve essere inferiore al 10 per cento della massa iniziale; assenza di effetti negativi sul processo di compostaggio; assenza di metalli pesanti e assenza di effetti negativi sulla qualità del compost finale;
   la legge in vigore permette peraltro di ridurre l'inquinamento da plastica e di migliorare la raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti e la produzione di compost di qualità, promuovendo per la loro produzione una virtuosa riconversione industriale verso innovativi processi di chimica verde da fonti rinnovabili, come già avvenuto, ad esempio, nel polo industriale di Porto Torres;
   per chi commercializza sacchetti non conformi o false «buste-bio», dal 21 agosto del 2014, le sanzioni amministrative pecuniarie vanno dai 2.500 euro ai 25.000 euro. La multa può essere aumentata fino al quadruplo del massimo, ovvero 100.000 euro se la violazione del divieto riguarda quantità ingenti di sacchi per l'asporto oppure un valore della merce superiore al 20 per cento del fatturato del trasgressore (articolo 4, legge n. 28 del 2012) –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopraesposti e se essi intendano verificare se ciò corrisponda al vero; quali iniziative urgenti intendano mettere in campo affinché in tutte le regioni d'Italia sia data piena effettività alle norme del decreto-legge n. 2 del 2012 sui sacchetti biodegradabili e compostabili e se non si intendano assumere iniziative anche per tramite degli organismi governativi competenti per provvedere a sanzionare le citate irregolarità, già riscontrate. (4-07537)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   ultimamente è stata ulteriormente sviluppata la tecnica della conversione della biomassa in «biocarburante» attraverso la carbonizzazione idrotermale (HTC);
   l'HTC (carbonizzazione idrotermale o idrocarbonizzazione termale) riproduce con un procedimento tecnologico il processo naturale di formazione idrica del carbone; la biomassa immersa in una soluzione acquosa viene sottoposta a sovrapressione e «carbonizzata» a temperature che si aggirano sui 200°C; si tratta di un processo chimico a base acquosa per ottenere prodotti carboniosi da bioresidui sprigionando energia;
   secondo le dichiarazioni pubblicate dai costruttori degli impianti si tratta di un processo esotermico che, dopo una fase iniziale, può avvenire senza rifornimento di energia;
   il processo è adatto per la produzione di substrato per spargimento su terreni agricoli e di carbone combustibile (con un'elevata percentuale d'acqua;
   sembra che tante amministrazioni pubbliche e gestori di rifiuti stanno vagliando l'impiego del processo HTC per il trattamento dei rifiuti organici provenienti dalla raccolta differenziata;
   nel comune di Capannori, ad esempio, in provincia di Lucca, si sta portando avanti un procedimento amministrativo, su istanza di privati, per costruire un impianto di idrocarbonizzazione termale per smaltimento rifiuti, per una portata di 60.000 tonnellate annue di rifiuti;
   non esistono ancora impianti simili in Italia e i cittadini avanzano perplessità per i pericoli ambientali e sanitari che potrebbero emergere;
   infatti sembra che il ciclo di produzione dell'HTC prevede l'utilizzo di quantità elevatissime di acqua, quattro parti d'acqua su una di biomassa, e pertanto occorre tenere conto della disponibilità di acqua nell'area di intervento;
   sembra che in Italia non sono ancora stati stabiliti parametri e limiti per l'utilizzo di tale processo innovativo e i costruttori degli impianti si basano sulla normativa tedesca –:
   se il Ministro intenda valutare l'effettiva potenzialità di tale tecnologia innovativa HTC (carbonizzazione idrotermale) e gli impatti che potrebbe produrre sul territorio, disponibilità della risorsa idrica e emissioni, e se intenda valutare la possibilità di emanare linee guida specifiche, recanti i criteri per l'individuazione e l'utilizzazione da parte dei costruttori e delle amministrazioni di controllo delle migliori tecniche disponibili per la valutazione e realizzazione di tali impianti. (4-07539)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GIANCARLO GIORDANO e SCOTTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo ha definito le nomine alle direzioni generali;
   tali nomine (dodici in tutto) erano attese già precedentemente e il temporeggiare venutosi a creare era probabilmente dovuto alla necessità di risolvere due casi che avrebbero potuto provocare particolare imbarazzo;
   ad aver diritto a tali incarichi in quanto direttori generali di prima fascia, infatti, vi erano Anna Maria Buzzi, sorella del tristemente noto protagonista in negativo dell'inchiesta «Mafia Capitale», e Carla Di Francesco, attualmente indagata per abuso d'ufficio;
   è del tutto evidente come tali nomine avrebbero creato più problemi che soluzioni al Ministero, che dunque le ha escluse dalle possibili nomine;
   al loro posto, tuttavia, sono state promosse due dirigenti di seconda fascia;
   una di queste in particolare, e cioè Federica Galloni, è stata designata alla direzione generale dell'arte e dell'architettura contemporanee, nonostante la sua attività alla guida della soprintendenza architettonica e poi della direzione regionale del Lazio sia stata spesso oggetto di polemica;
   in particolare molto discusse sono state le sue scelte, dalla costruzione dell'ascensore al Vittoriano all'abbattimento del Velodromo, su cui è aperta un'inchiesta, fino all'inchiesta sul cosiddetto «sistema gelatinoso»;
   nonostante Federica Galloni fosse un dirigente dei Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e dunque avesse una esclusiva con il Ministero, venne in passato scelta e pagata da Diego Anemone per progettare e seguire la ristrutturazione di un appartamento di Propaganda Fide, poi affittato a prezzo molto basso a Luciano Marchetti (allora diretto superiore di Federica Galloni ed oggi indagato per gli appalti della ricostruzione della città de L'Aquila e agli arresti domiciliari);
   a norma di legge (legge 165 del 2001, articolo 19, comma 1) la scelta dei direttori generali sarebbe dovuta avvenire sulla base «delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente, dei risultati conseguiti in precedenza nell'amministrazione di appartenenza», caratteristiche che la Galloni non può vantare sul contemporaneo in base al suo curriculum reperibile sul sito del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   c’è inoltre da dire che, oltre a Buzzi e Di Francesco, vi fosse un altro direttore generale di prima fascia che, in quanto dirigente di ruolo, aveva pieno diritto, ad essere designato per quella carica, ovvero Francesco Prosperetti, il dirigente del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo più competente, sensibile e esperto in materia, come risulta dal suo curriculum sul sito del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   fu proprio lui a completare il Maxxi, a promuovere la rassegna Le Opere e i Giorni alla Certosa di Padula, a far rinascere il contemporaneo in Calabria (dove ha operato per un decennio promuovendo grandi eventi e aprendo nuovi musei) e a restaurare completamente il Museo nazionale archeologico di Reggio Calabria;
   la mancata nomina di Prosperetti ha, peraltro, creato grande scompiglio nel mondo dell'arte, come sta emergendo con ampia evidenza dalla stampa specializzata, anche on line;
   negli scorsi giorni è stato lanciato anche un appello aperto, per ora, agli addetti ai lavori che vede tra i firmatari alcuni tra i maggiori protagonisti del mondo dell'arte e dell'architettura come Achille Bonito Oliva (primo firmatario), Bruno Corà, Domenico De Masi, Alessandro Mendini, Paolo Desideri, Giorgio Muratore, Nicola Di Battista, Alfredo Pirri, Francesco Cellini, Hans Kollof, Mario Botta, Jannis Kounellis, Michelangelo Pistoletto;
   non si può giustificare questa mancata nomina con la necessità di tener fuori figure discusse, trattandosi di figura irreprensibile ed in alcun modo associabile a qualsivoglia scandalo;
   non è sufficiente nemmeno addurre come motivazione la necessità di inserire due figure femminili per soddisfare le quote rosa previste, perché si sarebbe potuto rivedere l'intero elenco delle nomine;
   se la scelta politica era quella di escludere persone discusse come Buzzi e Di Francesco e premiare la competenza, allora la promozione della Galloni al posto di Prosperetti appare agli interroganti del tutto incomprensibile –:
   quali siano le logiche della scelta dei direttori generali, stante che essendo aperto anche a persone esterne la pubblica amministrazione il bando aveva natura squisitamente concorsuale, come ribadito dal decreto del T.A.R. del 30 dicembre 2014 in proposito al ricorso 16557 2014;
   quali siano le reali ragioni alla base della mancata nomina di Prosperetti ed alla scelta, al suo posto, di un dirigente che non aveva né le stesse qualifiche né la stessa competenza;
   cosa intenda fare il Ministro al fine di riconsiderare la designazione in questione, restituendo a Francesco Prosperetti il suo diritto, sancito dalla medesima legge 165 del 2001, ad ottenere un incarico di prima fascia corrispondente alle sue attitudini e professionalità. (5-04482)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto sostenuto da un servizio diffuso dalla celebre trasmissione televisiva americana: «60 minuti», i cacciabombardieri F-35, prodotti dalla Lockhedd Martin, azienda attiva nei settori dell'ingegneria aerospaziale e della difesa, con la partecipazione dell'italiana Alenia Aermacchi del gruppo Finmeccanica, che prevede il suo apporto nella costruzione dei velivoli attraverso cassoni alari, sono attaccabili dai pirati informatici;
   la vulnerabilità del medesimo velivolo da guerra del Pentagono, secondo quanto sostiene il racconto giornalistico, è da ricondurre, all'interno dell'elmetto dal costo di 500 mila dollari, che il pilota deve indossare e che gli consente di vedere a 360 gradi, ogni realtà oggettiva a lui intorno;
   il casco, secondo quanto risulta dal medesimo servizio della trasmissione suindicata, rappresenta la parte di un sistema computerizzato complesso denominato «Alis», il cui server di riferimento occupa una stanza grande quanto un container;
   il predetto sistema «Alis», può ad esempio costringere un F-35 a rimanere a terra, se individua un problema al cacciabombardiere stesso e l'intervento umano non è addirittura in grado di prevedere decisioni diverse da quanto stabilito dallo stesso sistema «Alis»;
   il servizio giornalistico della trasmissione: «60 minuti» prosegue affermando che l'intenzione che gli hacker possano infiltrarsi nelle reti su cui dipende «Alis» e attaccare il software che di fatto determina la missione militare in corso, risulta reale e pertanto potrebbe determinare addirittura l'abbattimento degli aerei da guerra F-35, senza nemmeno un colpo d'arma da fuoco;
   l'interrogante ritiene sconcertante la notizia in precedenza riportata, ove fossero effettivamente riscontrate le gravissime criticità derivanti dalla corretta applicazione del sistema computerizzato «Alis», in considerazione degli importanti investimenti finanziari che il nostro Paese ha sostenuto, nell'ambito del programma internazionale Joint Strike Fighter, relativo all'acquisto dei cacciabombardieri F-35;
   a giudizio dell'interrogante, necessitano pertanto una serie di chiarimenti, volti ad accertare la veridicità di quanto in precedenza sostenuto, in considerazione, oltre che per la indubbia tutela e salvaguardia dell'incolumità dei piloti militari, anche con riferimento al prestigio e al ritorno in termini economici ed occupazionali di significativo valore che il programma Joint Strike Fighter offre all'industria italiana –:
   se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa, con riferimento ai gravi pericoli ai quali i nuovi aerei militari F-35 incorrono nell'ambito della predisposizione del sistema computerizzato «Alis», strettamente connesso con l'elmetto del pilota del medesimo velivolo da combattimento ritenuto, dalla trasmissione televisiva americana: «60 minutes» così vulnerabile da determinare addirittura l'abbattimento da parte di pirati informatici;
   in caso affermativo, se si intendano confermare le rilevanti criticità derivanti dal malfunzionamento del complesso sistema «Alis» e conseguentemente quali iniziative si intendano intraprendere, nell'ambito delle rispettive competenze, al fine di rimediare alle difficoltà tecniche relative alla costruzione del casco e consentire il proseguimento del programma Joint Strike Fighter in considerazione che gli F35 rappresentano un'arma strategica di modernizzazione della componente aerotattica e un'esigenza obiettiva ed irrinunciabile del sistema di difesa euro-atlantica. (4-07522)


   LA RUSSA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in seguito alla promulgazione della legge 24 luglio 2008, n. 125, di conversione del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, in data 4 agosto 2008 ha preso avvio l'operazione «Strade Sicure»;
   la citata legge ha, infatti, autorizzato, per specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità, l'impiego di un contingente di personale militare delle Forze armate con qualifica di agente di pubblica sicurezza, posto a disposizione dei prefetti, per condurre attività di vigilanza esterna a centri di accoglienza e a obiettivi sensibili, in concorso e congiuntamente alle forze di polizia;
   l'operazione prevede l'impiego di un contingente militare, articolato su diversi raggruppamenti a livello interprovinciale e interregionale, suddivisi a livello provinciale, e nell'ambito della stessa si colloca anche il servizio di vigilanza svolto da personale dell'Esercito nei Comuni che insistono nell'area delle province di Napoli e Caserta denominata «Terra dei fuochi»;
   successivamente l'operazione è stata prorogata fino al 31 marzo 2015;
   ciononostante nei primi giorni di gennaio il contingente delle forze armate impiegato è stato ridotto di più di milleduecento uomini (da 4.250 a 3.000), determinando la fine dell'operazione in otto città delle originarie trenta, vale a dire Padova, Venezia, Genova, Prato, Siracusa, Agrigento, Ragusa e L'Aquila;
   la rimodulazione dell'operazione «strade sicure» si va ad aggiungere alla cronica insufficienza di uomini e di mezzi da cui sono afflitte le forze di polizia su tutto il territorio nazionale, penalizzate dall'assenza di fondi per le manutenzioni minime, per le munizioni, addirittura per la benzina, al blocco degli adeguamenti stipendiali ed alla umiliazione professionale cui sono costantemente esposti gli uomini e le donne che ogni giorno lavorano per garantire la sicurezza nelle nostre città;
   il costante indebolimento delle forze e delle strutture preposte a garantire il controllo e la sicurezza del nostro territorio nazionale appaiono oggi in stridente contrasto con il potenziamento delle stesse forze negli altri Paesi europei in seguito ai recenti eventi di matrice terroristica che hanno colpito la Francia, dove si è appena deciso il dispiegamento di diecimila militari per sorvegliare i siti sensibili;
   come noto anche l'Italia è stata identificata quale uno dei Paesi a rischio di attentati di matrice terroristica internazionale –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in materia di sicurezza, e se non ritengano opportuno prorogare e potenziare l'impiego dei militari e delle forze dell'ordine tutte sul nostro territorio.
(4-07538)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SANI e ROMANINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 10, comma 4 del decreto legislativo n. 23 del 2011 ha soppresso, a partire dagli atti pubblici formati dal 1o gennaio 2014 e dalle scritture private autenticate da tale data, tutte le agevolazioni e le esenzioni tributarie sugli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili e degli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, quale è il diritto di superficie. Tale norma riguarda anche la tassazione degli atti di acquisto dai comuni del diritto di superficie su case costruite su aree Peep (Piano per l'edilizia economico popolare);
   l'articolo 10 del citato decreto legislativo n. 23 del 2011 ha, nello specifico, modificato l'aliquota fissandola al 9 per cento con un minimo, a carico dei contribuenti, di mille euro;
   successivamente, con il decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014, (convertito con modificazioni della legge n. 164), all'articolo 20, comma 4-ter, sono state ripristinate le agevolazioni fiscali in materia di edilizia economica e popolare e di trasferimento di immobili pubblici in vigore antecedentemente a quanto disposto dal decreto legislativo n. 23 del 2011;
   risulta evidente come dal 1o di gennaio al 12 di settembre 2014 a coloro che hanno sottoscritto, per necessità, i contratti per il riscatto dell'area Peep è stata applicata una tassazione maggiorata (e quindi una disparità di trattamento economico) rispetto ai cittadini che non hanno dovuto effettuare tale pratica entro questa ristretta finestra temporale (sia antecedentemente che successivamente);
   il Governo ha accolto come raccomandazione il 22 dicembre 2014 un ordine del giorno alla legge di stabilità 2015 (numero 9/2679-bis-B/122) che impegna il Governo «ad inserire, nel prossimo provvedimento utile, una norma che modifichi l'articolo 20 comma 4-ter della legge n. 164 del 2014, sancendo che nei riguardi delle domande di trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà, già definite mediante contratti sottoscritti in sede di rogito notarile tra il 1o gennaio 2014 e l'11 settembre 2014, venga ricalcolato l'importo dovuto utilizzando i criteri vigenti (previsti dall'articolo 10, comma 4, del decreto legislativo n. 23 del 2011) e contestualmente vengano rimborsate ai cittadini coinvolti le maggiori somme versate» –:
   con quale tempistica e con quali strumenti normativi verranno applicati gli indirizzi, previsti dall'ordine del giorno numero 9/2679-bis-B/122 citato in premessa. (5-04472)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRILLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Catania è in una grave situazione di disequilibrio economico finanziario e di pre-dissesto, come un articolo del giornale online livesicilia.it riportava il 22 dicembre 2014;
   il 12 dicembre 2014 il comune di Catania ha stipulato un contratto di locazione passiva in via Manzoni n. 91, 91/A, 91/B, 91/C, 91/D, 91/E angolo piazza San Nicolella n. 6/A, 7 e 7/A per l'acquisizione di un immobile di proprietà della Imeservice srl. L'immobile presenterebbe uno stato di fatiscenza e di carenze strutturali;
   il canone di locazione del menzionato immobile durerà sei anni e il capoluogo etneo dovrà pagare ottantamila euro all'anno;
   le quotazioni di mercato degli affitti per gli immobili della zona di via Manzoni e dintorni della città di Catania, secondo i valori dell'osservatorio immobiliare dell'Agenzia delle entrate, aggiornati al 7 gennaio 2015, risultano essere inferiori di circa la metà, rispetto a quanto il comune di Catania dovrà corrispondere per i fitti passivi dell'immobile di proprietà di Imeservice srl;
   la legge 196 del 2009 al comma 1 dell'articolo 8 stabilisce che le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali determinano gli obiettivi dei propri bilanci annuali e pluriennali in coerenza con gli obiettivi programmatici risultanti dal DEF;
   la scelta del comune di Catania di stipulare un contratto di locazione per il fitto passivo dell'immobile citato appare all'interrogante in contraddizione con le disposizioni di cui al comma 1, dell'articolo 8 della legge 196 del 2009 –:
   se non intenda intraprendere le iniziative di competenza per verificare eventuali violazioni delle norme in materia di spending review previste per gli enti locali. (4-07544)


   NESCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 21 ottobre 2014, il dipartimento lavoro della Regione Calabria ha inviato una nota (registrata al protocollo generale della Regione Calabria con il numero 0347572) tramite la quale «si comunica l'elenco dei soggetti che hanno presentato istanza di cui all'articolo 3 della legge regionale n. 12 del 7 luglio 2014 per come disposto dalla DGR 420 del 13 ottobre 2014» che possono essere utilizzati in lavori socialmente utili e/o di pubblica utilità presso l'azienda sanitaria di Cosenza;
   il summenzionato articolo 3 della legge regionale numero 12 del 7 luglio 2014 nasce per stabilire l’«interpretazione autentica» di un'altra legge regionale (legge regionale n. 1 del 13 gennaio 2014), che fissa gli «indirizzi volti a favorire il superamento del precariato». A tal fine la regione Calabria ha creato un elenco di precari (Lsu e Lpu) per favorirne «l'assunzione a tempo indeterminato, anche parziale». Di tale interpretazione si sono occupati, secondo quanto riferito dal quotidiano «La provincia di Cosenza», i consiglieri regionali della passata legislatura Carlo Guccione (Pd) e Fausto Orsomarso (che, all'epoca, sedeva tra i banchi del Nuovo centrodestra; poi si è candidato con Forza Italia), i quali peraltro sono stati riconfermati nelle elezioni regionali del 23 novembre. Scrive il giornalista Pablo Petrasso: «Dalla loro azione congiunta nasce la norma che l'Azienda sanitaria provinciale ha utilizzato per procedere alle assunzioni [...] Il bacino dal quale si può pescare per le assunzioni viene ridefinito. Pare che l'intervento legislativo vada a integrare il precedente, introducendo la stabilizzazione di altre categorie di destinatari, prima non previste e cioè i lavoratori degli enti interamente partecipati, inclusi quelli che, alla data del 31 dicembre 2007, aveva svolto almeno due anni di attività, «anche mediante contratti di collaborazione», tanto che a riguardo sono state avanzate pesanti critiche dai lavoratori precari più anziani;
   la nota del dipartimento lavoro è stata spedita dalla regione Calabria all'Azienda sanitaria provinciale cosentina il 5 novembre, firmata dal dirigente generale, dottore Vincenzo Caserta;
   pochi giorni dopo, l'11 novembre, la stessa Azienda sanitaria provinciale inviava una lettera ai precari individuati in cui si spiegava che «la Signoria Vostra, a far data dal 17 novembre 2014, è assegnato alle attività dell'Azienda sanitaria di Cosenza, per venti ore settimanali e per un massimo di ottanta mensili»;
   nella missiva veniva spiegato che si cominciava con «un periodo di formazione» per «individuare le postazioni più idonee ove essere utilizzati, tenendo conto delle specifiche competenze ed esperienza maturate». Solo dopo questo periodo, con una comunicazione successiva, «sulla base della ricognizione del fabbisogno su tutto il territorio dell'Azienda sanitaria provinciale di Cosenza», i lavoratori «verranno assegnati, da parte dei direttori di competenza, nelle varie postazioni di utilizzo»;
   a parere della scrivente, la tempistica non sarebbe affatto casuale, tenuto conto che il periodo di formazione è partito a soli sei giorni dal 23 novembre, data delle elezioni regionali;
   secondo quanto ricostruito dal quotidiano «La provincia di Cosenza», peraltro, sono diverse le stranezze a riguardo. Come riportato dal giornalista Pablo Petrasso nel numero di domenica 30 novembre 2014, con una comunicazione interna del 24 novembre, il direttore delle Risorse umane dell'Azienda sanitaria provinciale, Remigio Magnelli, scrive al dg Gianfranco Scarpelli (che proprio quel giorno è stato rimosso dal commissario per il piano di rientro, generale Luciano Pezzi) e al direttore amministrativo Aldo Senatore. L'oggetto era «chiarimenti assunzioni personale». Dalle sedi periferiche arrivavano infatti «richieste di istruzione sulla presa in carico di presunti dipendenti che riferiscono di essere stati assunti di recente». Scrive Petrasso: «Che si tratti proprio di quelli contattati con le lettere ? Può darsi, ma Magnelli spiega di non essere «al corrente di alcuna procedura» e di non aver «partecipato ad alcuna fase propedeutica diretta al reclutamento di personale di qualsiasi tipologia». Il capo del personale chiede informazioni. E chissà se, alla fine, almeno lui ci ha capito qualcosa»;
   in altre parole l'Azienda sanitaria locale assumeva personale senza sapere nulla delle assunzioni stesse. Non solo: i rapporti economici, secondo quanto ricostruito ancora da Petrasso, erano a carico della stessa regione;
   inizialmente, ancora, non è stato nemmeno reso noto dall'Azienda sanitaria locale chi fossero i destinatari delle lettere di assunzione, né quante ne fossero state inviate. Questo perché non è stato redatto nemmeno l'elenco dei lavoratori precari Lsu e Lpu, seppure previsto dal citato articolo 3 della legge regionale n. 12 del 7 luglio 2014;
   come infatti scrive ancora Petrasso nell'edizione del 3 dicembre de «La provincia di Cosenza», «la Regione non ha ancora stilato alcun elenco dei lavoratori socialmente utili e di pubblica utilità da utilizzare in progetti degli enti calabresi. Alcuni di essi, però, sono stati contattati dall'Azienda sanitaria provinciale di Cosenza nelle settimane precedenti al 23 novembre, data delle elezioni regionali. Fonti del dipartimento Lavoro riferiscono che l'elenco dei precari tra i quali le amministrazioni potranno scegliere non è ancora pronto: se ne riparlerà, se tutto andrà bene, nella prossima settimana. Lo sa la burocrazia catanzarese – quello che si occuperà di sistemare nella graduatoria i lavoratori socialmente utili e di pubblica utilità – e lo sa pure l'Azienda sanitaria»;
   i dubbi sul fatto che le assunzioni siano strettamente legate alle elezioni regionali e alla politica clientelare calabrese sono avvalorati da quanto emerso, ancora su «La provincia di Cosenza», il 4 e 5 dicembre 2014. In tali edizioni il giornalista Gabriele Carchidi ricostruisce tutti i rapporti parentali dei 133 calabresi che hanno ricevuto la suddetta lettera dall'Azienda sanitaria locale cosentina. Tra costoro spuntano i nomi di Francesco D'Agni e Fabrizia D'Agni, «parenti di Giancarlo, uomo di fiducia di Adamo (Nicola, vicepresidente della regione dal 2006 al 2009, nda), coinvolto nelle delicate inchieste sull'eolico» nelle quali, secondo quanto riportato dal settimanale «Panorama» nel numero in edicola il 6 agosto 2010, si parla di D'Agni come «testa di legno» di Adamo;
   tra gli altri nomi anche quello di Marica Zuccarelli, parente di Raffaele Zuccarelli, compagno di infanzia di Nicola Adamo e Carlo Guccione (lo stesso che, insieme a Orsomarso ha redatto la succitata legge regionale n. 12 del 2014) ed ex consigliere comunale e provinciale tra il 2006 e il 2009, nonché segretario della sezione Pd del centro storico di Cosenza. Ancora: Silvio Grandinetti, figlio di Giulio il quale, scrive Carchidi è «uomo ombra di Adamo e il consigliere più fidato di Guccione per decenni. Ha anche ricoperto il ruolo di amministratore delegato del Quotidiano della Calabria, che nei suoi primi anni di vita era legato a doppio filo ai Ds»;
   tra i 133 ci sono anche alcuni nomi legati ai fratelli Pino (ex assessore regionale e ora rieletto con Ncd) e Antonio (senatore Ncd) Gentile. «Antonio Gagliardi – si legge infatti nell'articolo – è il figlio di Eugenio, stimato medico dell'ospedale dell'Annunziata, da poco in pensione, consigliere comunale di Forza Italia dal 2002 al 2006. Da sempre fedelissimo dei Gentile e di Gianfranco Scarpelli. Il giovane Gaetano Fabiano invece fa parte della famiglia che produce olio e il cui personaggio più importante è Francesco, legato da grande amicizia ai Gentile ed ex socio del Cosenza Calcio». Ancora, c’è una famiglia, Pescatore, che conta ben 5 membri assunti all'Azienda sanitaria locale di Cosenza «e che è particolarmente legata al dg Scarpelli e quindi ai Gentile»;
   si ricorda che Carlo Guccione, alle elezioni regionali dei 23 novembre 2014, e stato il più votato raccogliendo 14.690 preferenze, mentre Fausto Orsomarso è stato votato da 7.987 elettori, riuscendo anche lui ad essere eletto nelle file di Forza Italia;
   il comma 209 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 27 dicembre 2013 riguarda le convenzioni con lavoratori socialmente utili e stabilisce che con d.p.c.m., da emanare entro sessanta giorni dalla entrata in vigore della legge, si provvede ad individuare le risorse finanziarie disponibili destinate a favorire le assunzioni a tempo indeterminato, ai sensi dell'articolo n. 4 comma 8 del decreto-legge n. 101 del 2013 (legge n. 125 del 2013 «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni»), dei lavoratori di cui all'articolo 2, comma 1 del decreto legislativo n.  81 del 2000 (cioè lavoratori impegnati in progetti di lavori socialmente utili e che abbiano effettivamente maturato dodici mesi di permanenza in tali attività nel periodo dal 1° gennaio 1998 al 31 dicembre 1999), di quelli di cui all'articolo 3, comma 1 del decreto legislativo n.  280 del 1997 (cioè coloro che hanno svolto lavori di pubblica utilità nei settori dei servizi alla persona, della salvaguardia e della cura dell'ambiente e del territorio, dello sviluppo rurale e dell'acquacoltura, del recupero e della riqualificazione degli spazi urbani e dei beni culturali), anche se con rapporto a tempo determinato –:
   se siano a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se, risulti loro che per le assunzioni indicate in premessa sia stato previsto l'utilizzo di parte dei fondi di cui all'articolo 209 della legge n. 147 del 27 dicembre 2013. (4-07548)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GELLI e PATRIARCA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 15 gennaio 2015 è in scadenza la convenzione e il finanziamento, da parte della Cassa ammende, per le dieci cooperative impegnate nella gestione delle mense interne ai penitenziari, servizio che tornerà in capo alla stessa amministrazione penitenziaria;
   le cooperative interessate, Ecosol a Torino, Giotto a Padova, La città solidale a Ragusa, Men at work e Syntax error a Rebibbia, divieto di sosta a Ivrea, Pid a Rieti, Campo dei miracoli a Trani, L'Arcolaio a Siracusa, occupano circa 170 detenuti;
   il costo per le casse del Ministero di questi progetti ammonta a circa 3,5 milioni di euro;
   sono state poste in essere una serie di proteste e presentato anche un documento ufficiale da parte dei direttori dei penitenziari interessati dall'esperienza affinché il servizio delle cooperative possa proseguire;
   è del tutto evidente l'importanza sociale del servizio erogato dalle cooperative, improntato al pieno rispetto dei principi costituzionali, con un indubbio miglioramento della qualità del vitto somministrato ai detenuti nonché anche in relazione alle economie che vengono realizzate –:
   se il Ministro intenda intervenire al fine di individuare una possibile soluzione affinché l'esperienza di gestione del servizio delle mense, da parte di queste cooperative di detenuti, possa proseguire proprio in considerazione di quanto esposto in premessa. (5-04477)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE ROSA, SEGONI, MICILLO, MANNINO, ZOLEZZI, DAGA, TERZONI, BUSTO, PESCO, CASO, CARINELLI, TRIPIEDI, MANLIO DI STEFANO e COMINARDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'asse viario Rho-Monza era stato presentato come una delle principali strade di accesso a Expo dalla Brianza e dalla Svizzera. Invece appare superflua e, ad Esposizione universale iniziata, risulterà un'opera sostanzialmente provvisoria, tra polemiche, ritardi e popolazione in rivolta;
   il progetto di riqualificazione con caratteristiche autostradali della strada provinciale 46 Rho-Monza si inserisce in un contesto di elevata urbanizzazione eliminando un importante corridoio ecologico, parte del parco urbano del Seveso e peggiorando sensibilmente la qualità dell'aria in una zona in cui il limite di concentrazione del PM10 è già attestato al doppio del consentito, superando quindi i valori limite previsti dalla direttiva 2008/50/CE;
   nel 2014, quando è apparso chiaro che l'opera, collegata a giudizio degli interroganti per sua mera legittimazione all'evento Expo2015, non sarebbe stata ultimata nei tempi previsti, è stato presentato il progetto sostitutivo «piano b», cioè un «progetto ponte», essenzialmente diverso per realizzazione ed impatto ambientale da quello iniziale;
   la Rho-Monza, era comunque prevista, nella migliore delle ipotesi realizzative, come strada ibrida (metà autostrada col nome di tangenziale nord tra Monza e Paderno Dugnano, metà superstrada da Paderno Dugnano alla fiera di Rho, nella parte di Bollate, avrà sì quattro corsie, ma con il limite di 60 all'ora). Inoltre, passato il grande evento, si prevede la demolizione di quanto appena fatto per renderla una «vera» autostrada, con ennesimo, inutile, spreco delle risorse pubbliche e con buona pace degli abitanti;
   il comune ed i cittadini di Bollate hanno protestato in maniera decisa contro la Serravalle (la società pubblica che si occupa della realizzazione della strada) la quale sembra non realizzerà, contrariamente a quanto precedentemente stabilito, le opere accessorie alla strada, prospettando così la paralisi del traffico;
   nel «piano B» inoltre si ampliano cavalcavia che invece sarebbero dovuti sparire non si prevedono sottopassi, il traffico scorrerà tutto in superficie; sono scomparsi infatti i previsti tratti in trincea e sono saltate perfino le barriere antirumore, si prospetta quindi un enorme danno per i cittadini considerando che, con molta probabilità, concluso l'Expo non ci saranno le risorse economiche per completare l'opera e renderla funzionalmente utile;
   il progetto provvisorio risulta dunque essere, secondo quanto precedentemente detto, un essenziale stravolgimento del progetto originario e, in quanto progetto sostanzialmente diverso, ad avviso degli interroganti richiede un'attenta valutazione dei fattori di rischio per l'ambiente e la salute dei cittadini, attraverso il rinnovo del procedimento di valutazione d'impatto ambientale –:
   se il Governo abbia messo in atto misure utili a sottoporre il nuovo «piano b» dell'asse viario Rho-Monza a verifica di assoggettabilità a valutazione d'impatto ambientale, secondo criteri di urgenza e trasparenza, al fine di escludere la presenza di fattori di rischio individuati dalla normativa di riferimento conseguenti all'approvazione del nuovo progetto provvisorio;
   se il Governo, in caso non abbia provveduto, non ritenga necessario ed urgente sottoporre il progetto «b» ad esame di valutazione d'impatto ambientale e, in attesa dell'esito di tale esame, sospendere i lavori per la realizzazione di tale progetto, affinché l'urgenza per la realizzazione dei lavori per Expo2015 non pregiudichi le garanzie poste dalla legge a tutela della salute e della sicurezza dei cittadini;
   se, considerate le notevoli ripercussioni sull'ambiente, siano stati attivati idonei controlli al fine di verificare che l'esecuzione dei lavori all'interno del cantiere avvenga nel rispetto di tutte le prescrizioni per la mitigazione degli impatti ambientali e il monitoraggio delle opere. (5-04474)


   BONAVITACOLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con decreto prot. 449 del 27 ottobre 2014, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha disposto la sospensione cautelare dell'ingegner Donato Carlea, dirigente di prima fascia, dal servizio e dall'incarico ai sensi dell'articolo 11, comma 2, del CCNL Area 1 della dirigenza comparto Ministeri, sottoscritto in data 12 febbraio 2010 per il quadriennio normativo 2006/2009;
   tale sospensione veniva motivata con riferimento:
    a) alla richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, nel procedimento penale nei confronti dell'ingegner Carlea, connesso a presunte irregolarità nell'esecuzione delle opere per il disboscamento in area del comune di Casamicciola – Terme Bosco della Maddalena, sottoposta a vincolo paesaggistico – dichiarata di notevole interesse pubblico – per i reati di cui agli articoli 41, 100 e 81 cpv, articolo 44 lettera c) decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 – 41, 100 c.p. e 181 comma 1-bis lettera a) decreto legislativo n. 42 del 2004 – 41, 110 e 734 c.p. e 479 c.p. (falsità ideologica commessa da p.u. in atti pubblici) di cui ai capi d'imputazione a), b), c) ed e) della richiesta di rinvio a giudizio;
    b) al successivo decreto n. 41164/09 del 16 luglio 2014 con il quale il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli ha disposto il rinvio a giudizio nei confronti dell'ingegner Carlea per i reati a lui ascritti;
   le contestazioni di cui innanzi riguardano presunte irregolarità nella localizzazione e realizzazione (previo disboscamento del sito) di una costruenda caserma del Corpo forestale dello Stato, alla cui realizzazione era stato preposto il Provveditorato interregionale per le OO.PP. Campania e Molise, retto dall'ingegner Carlea dal 20 settembre 2007 al 14 settembre 2010;
   l'appalto dei lavori è risalente all'anno 2005, con l'evidente conseguenza logica e fattuale che tutte le problematiche localizzative precedono di molto l'assunzione della carica di provveditore da parte dell'ingegner Carlea, mentre è altrettanto agevole considerare che tali problematiche sono pertinenti ad aspetti esecutivi di spettanza di altri organi e uffici operativi del provveditorato, non potendo occuparsene direttamente il provveditore in persona;
   la contraddittorietà del quadro accusatorio è confermata dalla formulazione del capo d) che vede, invece, il provveditore ingegner Carlea quale parte lesa di un inganno nei suoi confronti perpetrato da soggetti invece qualificati coimputati del Carlea negli altri capi a), b), c), e);
   a fronte di un quadro accusatorio palesemente contraddittorio e, comunque, privo di qualsiasi contestazione nei confronti dell'ingegner Carlea in ordine ad illeciti interessi personali nella vicenda, sarebbe stato logico da parte del Ministero sospendere l'azione disciplinare nei confronti dell'ingegner Carlea, in attesa delle risultanze del procedimento penale;
   ed invero, correttamente, con nota ministeriale n. 905/Ud del 15 aprile 2014 veniva attivato e, contestualmente sospeso ai sensi dell'articolo 55-ter del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, il procedimento disciplinare a carico dell'ingegner Carlea, connesso a quello penale di cui ai citati capi d'imputazione a), b), c), e);
   tale decisione si poneva in linea con la circolare Mit 446 UD del 18 maggio 2011, a firma del direttore generale, con cui sono state illustrate le novità in tema di responsabilità disciplinari dei dipendenti pubblici, ivi compresi i titolari di qualifica dirigenziale, a seguito delle modifiche al decreto legislativo n. 165 del 2001 introdotte dal decreto legislativo n. 150 del 2009;
   tra dette modifiche vanno richiamati ai fini della vicenda in esame:
    a) l'articolo 55, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 (sanzioni disciplinari e responsabilità), nel testo così sostituito dall'articolo 68 del decreto legislativo n. 150 del 2009:
     «1. Le disposizioni del presente articolo e di quelli seguenti, fino all'articolo 55-octies, costituiscono norme imperative, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile, e si applicano ai rapporti di lavoro di cui all'articolo 2, comma 2, alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2.
     2. Ferma la disciplina in materia di responsabilità civile, amministrativa, penale e contabile, ai rapporti di lavoro di cui al comma 1 si applica l'articolo 2106 del codice civile. Salvo quanto previsto dalle disposizioni del presente Capo, la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti collettivi. La pubblicazione sul sito istituzionale dell'amministrazione del codice disciplinare, recante l'indicazione delle predette infrazioni e relative sanzioni, equivale a tutti gli effetti alla sua affissione all'ingresso della sede di lavoro»;
    b) l'articolo 55-ter (Rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale) introdotto dall'articolo 69 del decreto legislativo n. 150 del 2009:
     «1. Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni di minore gravità, di cui all'articolo 55-bis, comma 1, primo periodo, non è ammessa la sospensione del procedimento. Per le infrazioni di maggiore gravità, di cui all'articolo 55-bis, comma 1, secondo periodo, l'ufficio competente, nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all'esito dell'istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l'irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale, salva la possibilità di adottare la sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti del dipendente.
     2. Se il procedimento disciplinare, non sospeso, si conclude con l'irrogazione di una sanzione e, successivamente, il procedimento penale viene definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso, l'autorità competente, ad istanza di parte da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall'irrevocabilità della pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l'atto conclusivo in relazione all'esito del giudizio penale.
     3. Se il procedimento disciplinare si conclude con l'archiviazione ed il processo penale con una sentenza irrevocabile di condanna, l'autorità competente riapre il procedimento disciplinare per adeguare le determinazioni conclusive all'esito del giudizio penale. Il procedimento disciplinare è riaperto, altresì, se dalla sentenza irrevocabile di condanna risulta che il fatto addebitabile al dipendente in sede disciplinare comporta la sanzione del licenziamento, mentre ne è stata applicata una diversa.
     4. Nei casi di cui ai commi 1, 2 e 3 il procedimento disciplinare è, rispettivamente, ripreso o riaperto entro sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza all'amministrazione di appartenenza del lavoratore ovvero dalla presentazione dell'istanza di riapertura ed è concluso entro centottanta giorni dalla ripresa o dalla riapertura. La ripresa o la riapertura avvengono mediante il rinnovo della contestazione dell'addebito da parte dell'autorità disciplinare competente ed il procedimento prosegue secondo quanto previsto nell'articolo 55-bis. Ai fini delle determinazioni conclusive, l'autorità procedente, nel procedimento disciplinare ripreso o riaperto, applica le disposizioni dell'articolo 653, commi 1 ed 1-bis, del codice di procedura penale»;
   dal citato contesto normativo è agevole ricavare che:
    a) le norme del decreto legislativo n. 159 del 2009 sono inderogabili quanto al procedimento disciplinare ed ai suoi rapporti con l'eventuale procedimento penale, con la conseguenza che alla disciplina dei CCNL è riservato solo la definizione della tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni, mentre le eventuali norme della contrattazione collettiva relative ad aspetti procedimentali in contrasto con la norma primaria sono ope legis sostituite dalle norme procedimentali previste dallo stesso decreto legislativo n. 159 del 2009;
    b) rientra nella facoltà dell'Amministrazione, per i casi riguardanti fatti complessi da accertare in sede penale, sospendere il procedimento disciplinare e riprenderlo solo in esito alla conoscenza di sentenza irrevocabile inerente i fatti a base dell'attivazione del procedimento disciplinare;
   tale procedimento non è stato seguito nella vicenda in esame, in quanto alla sospensione iniziale ha fatto seguito l'irrogazione di una gravissima sanzione a carico dell'ingegner Donato Carlea sospensione sine die dal servizio) non solo in assenza di una sentenza irrevocabile, ma addirittura in assenza di alcuna sentenza, visto che tale irrogazione ha fatto seguito ad un mero decreto di rinvio a giudizio, provvedimento giudiziale privo di alcun contenuto decisorio (articolo 429 codice di procedura penale) sui fatti di cui è procedimento penale, in apparente contrasto con quanto previsto dall'articolo 55-ter, comma 4 del decreto legislativo n. 165 del 2001;
   l'amministrazione, all'atto della sospensione del procedimento disciplinare, non ha ritenuto d'irrogare alcuna sanzione cautelare, con la conseguenza che la riapertura del procedimento (e l'irrogazione di eventuali sanzioni) restava obbligatoriamente ed inderogabilmente subordinata alla sopravvenienza di una sentenza irrevocabile di condanna, per effetto del modello procedimentale scolpito dal combinato disposto dell'articolo 55-ter, comma 1, secondo periodo e comma 4, cui il Ministero si è uniformato ed autovincolato con la decisione n. 905/Ud del 15 aprile 2014, laddove veniva attivato e, contestualmente sospeso ai sensi dell'articolo 55-ter del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, il procedimento disciplinare a carico dell'ingegner Carlea, connesso a quello penale di cui ai citati capi d'imputazione a), b), c), e);
   con totale mutamento di rotta, palesemente abnorme ed illegittimo a giudizio dell'odierno interrogante, il Ministro non ha affatto atteso, come avrebbe dovuto, l'esito del procedimento penale, ma ha sanzionato l'ingegner Carlea in modo davvero ingiusto al solo cospetto di un mero decreto di rinvio a giudizio, atto ininfluente e non compreso fra i presupposti di riattivazione del procedimento disciplinare precedentemente sospeso senza sanzioni cautelari;
   tale decisione appare ancor più abnorme ove si consideri:
    a) la evidente tenuità delle contestazioni al Carlea, accusato di falsa attestazione di circostanze amministrative nell'ambito di un procedimento volto esclusivamente alla realizzazione di un'opera di pubblico interesse, senza che in alcun modo l'autorità inquirente abbia avuto modo di adombrare un benché minimo interesse del Carlea a compiere attestazioni da cui poter ricavare un qualsiasi interesse o tornaconto personale;
    b) la problematicità e apparente contraddittorietà delle contestazioni di falso mosse all'ingegner Carlea, considerato che la stessa autorità inquirente formula due capi d'imputazione che contemporaneamente, per lo stesso fatto, vedono l'ingegner Carlea autore di falso e vittima di condotte altrui che lo avrebbero dolosamente tratto in inganno in ordine allo stesso fatto;
    c) la pluridecennale e specchiata carriera di servitore delle istituzioni dell'ingegner Carlea, fra i più esperti e stimati funzionari del Mit, proprio di recente colpito con provvedimento n. 677/ud del 17 dicembre 2013 da analoga e gravissima sanzione disciplinare in ordine a fatti (transazione con impresa Carchella) per i quali pende procedimento penale di accertamento delle effettive responsabilità e per i quali lo stesso ingegner Carlea ha prodotto specifica e dettagliata denuncia all'autorità giudiziaria, al fine d'individuare le vere responsabilità, restando esclusa anche in questo caso qualsiasi contestazione all'ingegner Carlea sul perseguimento d'interessi personali o di propri vantaggi di qualsiasi natura;
   tali circostanze palesano uno straordinario ed immotivato accanimento sanzionatorio del Mit nei confronti dell'ingegner Carlea, che si vede sommare due abnormi sospensioni, senza soluzione di continuità, che lo estromettono dal servizio e dalla retribuzione a tempo indeterminato fino alla definizione del procedimento penale che si trova al mero stadio del decreto di rinvio a giudizio, con la prevedibile conseguenza che tale estromissione durerà numerosi anni –:
   se il Ministro non ritenga di attivare un'opportuna istruttoria al fine di ritirare, in via di autotutela, l'abnorme sanzione della sospensione sine die dal servizio e dalla retribuzione irrogata all'ingegner Donato Carlea, riservando la riattivazione del procedimento disciplinare in esito alla sentenza irrevocabile di definizione del giudizio, in attuazione delle norme innanzi citate;
   in quali casi di procedimento penale pendente sia stata irrogata tale gravissima sanzione della sospensione sine die dal servizio e dalla retribuzione, a carico di dirigenti e/o funzionari del Mit coinvolti, con riferimento a quali procedimenti e capi d'imputazione, nonché in quali fasi del procedimento penale;
   in quali casi di procedimento penale pendente a carico di dirigenti e/o funzionari del Mit si sia ritenuto d'irrogare sanzioni cautelari in sede disciplinare, con precisazione dei procedimenti e relativi capi d'imputazione;
   in quali casi di procedimento penale pendente a carico di dirigenti e/o funzionari del Mit si sia ritenuto d'irrogare sanzioni cautelari in sede disciplinare diverse da quelle irrogate all'ingegner Carlea, con precisazione dei procedimenti e relativi capi d'imputazione;
   se della disposta sospensione si sia anche tenuto conto in sede di procedura d'interpello interno per l'attribuzione degli incarichi di titolarità delle strutture ministeriali di primo livello, considerata la legittima aspirazione dell'ingegner Carlea ad una collocazione di primario rilievo in forza di un curriculum professionale di primissimo piano (basti riferirsi al Manuale dei lavori pubblici di cui è autore ed ai numerosi ed autorevoli attestati di stima ricevuti nel corso di una lunga carriera al servizio dello Stato). (5-04476)


   SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è notizia di questi giorni che alcune ditte di soccorso stradale ACI hanno intrapreso una vertenza legale nei confronti della Società ACI Global s.p.a. fronte della mancata sottoscrizione dell'accordo-quadro proposto da ACI Global da parte degli stessi centri delegati, in ragione di numerose criticità lamentate dai suddetti centri, tra cui il ritardo nella sottoposizione dei nuovi accordi contrattuali;
   oltre 150 centri delegati ACI Global, costituenti la rete di soccorso agli automobilisti sull'intera rete autostradale italiana, si sono pertanto rifiutati di sottoscrivere la nuova proposta contrattuale per il soccorso stradale meccanico proposta da ACI Global, considerata dai summenzionati centri delegati fortemente peggiorativa in termini di garanzie e opportunità rispetto alle precedenti condizioni contrattuali, ed hanno richiesto una proroga di tre mesi della precedente convenzione stipulata con ACI, richiesta che non è stata però accolta;
   per quanto di conoscenza, il fallimento dei tentativi di mediazione avanzati dai rappresentanti dei centri delegati ACI ha quindi comportato l'interruzione a partire dal 1o gennaio 2015 di qualsiasi servizio di assistenza a favore di ACI Global su tutto il territorio nazionale, con inevitabili ripercussioni per quanto riguarda la sicurezza stradale degli utenti della circolazione stradale;
   a partire dal mese di ottobre 2014, per effetto, dell'intervenuta disdetta dei precedenti accordi per tutta la rete italiana di soccorso, il servizio sino ad oggi reso dai centri delegati di assistenza ha subito una brusca interruzione, con preoccupanti ricadute non solo per le imprese interessate ma per la sicurezza della circolazione stradale di tutti gli utenti, rimasti improvvisamente privi di assistenza a causa della vertenza attualmente in corso;
   solo per citare alcuni esempi, risulta all'interrogante che sarebbero attualmente privi del servizio di assistenza di soccorso stradale i tratti autostradali relativi alla A21 da Torino a Piacenza e l'A22 da Verona al confine di Stato, la tangenziale di Milano con un solo centro di assistenza operativo e il GRA di Roma, scoperto dal servizio di assistenza –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda mettere in atto al fine di arginare i rischi per la sicurezza della circolazione stradale derivanti dall'interruzione da parte dei centri delegati di qualsiasi servizio a favore di ACI Global e, allo stesso tempo, salvaguardare la natura di pubblica utilità del servizio di soccorso stradale. (5-04478)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la linea M3 San Donato Milanese – Paullo, sarebbe un'infrastruttura di trasporto nel settore sud — est della provincia di Milano in grado di diffondere nell'area metropolitana la rete di forza milanese, migliorando le connessioni interpolo e con aree di rilevante peso insediativo, e creando una indispensabile connessione con il sistema della grande viabilità tangenziale;
   nel dicembre 2007 è stato approvato il progetto preliminare del prolungamento della M3 San Donato Milanese – Paullo, successivamente modificato e trasmesso al Ministero per l'approvazione di Legge Obiettivo e quindi la conseguente riapprovazione del CIPE;
   il 13 maggio 2010 il CIPE ha approvato la versione modificata del progetto preliminare del «Prolungamento della linea M1 San Donato Milanese – Paullo», finanziando la sola progettazione definitiva (8,6 milioni di euro), rinviando il finanziamento complessivo dell'opera alla fase di approvazione del Progetto definitivo;
   in data 9 dicembre 2010 la Corte dei conti, nell'adunanza della Sezione centrale di controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle amministrazioni dello Stato, ha controdedotto le osservazioni del Ministero, pur riconoscendone in parte la fondatezza, ed ha ricusato il visto della citata delibera CIPE del 13 maggio (in particolare per la mancata previsione delle fonti di finanziamento);
   quindi ad oggi il progetto preliminare non può dirsi «approvato», in quanto la delibera CIPE del 13 maggio 2010 non ha ricevuto i necessari passaggi formali da parte della Corte dei conti;
   tuttavia Metropolitana Milanese ha successivamente completato la redazione del progetto definitivo (la sola finanziata, con gli 8,6 milioni di euro di cui sopra). Tale progetto non ha avuto nessun passaggio formale e allo stato non è pertanto approvabile;
   il costo complessivo dell'opera è di 750 milioni di euro, ripartiti nel seguente modo: 450 milioni di euro lo Stato (60 per cento), 225 milioni di euro (30 per cento) da ripartire tra regione, ex provincia MI e LO e comune di Milano e i restanti 75 milioni di euro (10 per cento) da suddividere tra i comuni interessati dal tracciato;
   per la realizzazione dell'opera erano stati previsti 5 anni a decorrere dall'affidamento dei lavori, ma ad oggi, in assenza di certezze sul finanziamento, la situazione rimane sospesa e indefinita;
   il prolungamento della M3 San Donato Milanese – Paullo potrebbe migliorare l'offerta e la qualità del servizio lungo la direttrice radiale interessata, recuperando competitività per il sistema pubblico nel suo complesso e riequilibrando il riparto modale, con l'opportunità di interscambio nelle aree più esterne, in corrispondenza di importanti collegamenti viabilistici –:
   data l'importanza che l'opera riveste per il miglioramento per la viabilità e delle connessioni interpolo e con aree di rilevante peso insediativo, se il Ministro non ritenga opportuno intraprendere tutte le azioni di competenza i necessarie finalizzate alla realizzazione del prolungamento della linea M3 San Donato Milanese – Paullo;
   quali siano le azioni intraprese o da intraprendere volte a superare il parere negativo della Corte dei conti e ripristinare il finanziamento CIPE. (4-07533)


   SEGONI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, GAGNARLI, DELL'ORCO, SPESSOTTO, NICOLA BIANCHI, ZOLEZZI, MICILLO, DAGA, MANNINO, DE LORENZIS, PAOLO NICOLÒ ROMANO e BALDASSARRE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal sito di ENAC si apprende che in data 30 dicembre 2014 il bando di gara per l'affidamento della gestione per l'attività di aviazione generale dell'aeroporto di Siena-Ampugnano è stato inviato per la conseguente pubblicazione presso la Gazzetta Ufficiale della Unione europea – GUCE, la Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – GURI, nonché sui principali mezzi di stampa a diffusione nazionale e locale;
   l'Aeroporto di Siena-Ampugnano non rientra fra gli scali di interesse nazionale, come indicato dal piano nazionale dei trasporti adottato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Tale aeroporto, come si legge nel piano nazionale aeroporti proposto da ENAC nel 2012 (pagina 24), rientra tra gli aeroporti di interesse regionale o locale appartenenti al, demanio, aeronautico e per cui è previsto il trasferimento agli enti locali ai sensi del decreto legislativo n. 85 del 2010 articolo 5, comma 1, lettera c); di conseguenza, appare agli interroganti del tutto ingiustificata la decisione dell'ENAC di procedere alla indizione della suddetta gara;
   l'aeroporto di Siena-Ampugnano è oggetto di provvedimento di decadenza, adottato in data 26 agosto 2013, n. 0098494/DG da parte della stessa ENAC. Lo scalo è attualmente inattivo e in fase di liquidazione. Nella relazione di sintesi dell'esercizio 2013 si legge che «l'Assemblea straordinaria del 23/02/2013 ha deliberato di rinunciare alla domanda di concessione ventennale e alla anticipata occupazione dell'area demaniale. A queste richieste sono seguite le revoche della certificazione prima e della concessione poi, venendo meno quindi la disponibilità del complesso dei beni aziendali per la prosecuzione delle attività» –:
   se, e a quale titolo, l'indizione della gara d'appalto in questione fosse di competenza di ENAC e se il Ministero ne fosse stato in qualche modo a conoscenza prima del 30 dicembre 2014;
   quali iniziative il Ministro intenda porre in atto e in che tempi per addivenire al passaggio del demanio aeroportuale in questione al demanio regionale. (4-07534)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   ATTAGUILE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il degrado delle condizioni dell'ordine pubblico e la crescita delle minacce alla sicurezza interna del nostro Paese sono già alla base del coinvolgimento delle Forze armate nell'espletamento di mansioni di supporto al controllo del territorio nazionale che non costituiscono la loro principale missione;
   è in aumento l'esigenza di disporre di un maggior numero di poliziotti, carabinieri e finanzieri sul terreno, per poter assicurare un minimo di deterrenza nei confronti della criminalità ordinaria e terroristica;
   in questo contesto, non sembra sempre giustificato impegnare uomini nel mantenimento di scorte a profitto di personalità politiche ed istituzionali non oggetto di specifiche minacce accertate –:
   quanti uomini delle forze dell'ordine siano attualmente impegnati nel servizio di scorta nel nostro Paese, quanti godano attualmente del servizio di scorta, chi siano gli assegnatari di tale servizio, quale sia il costo complessivo degli uomini e dei mezzi impiegati a tal fine, in base a quali motivi venga accordato questo beneficio e se il Governo non ritenga opportuno ridurre l'ampiezza dei programmi di protezione in essere, al fine di poter disporre di un maggior numero di effettivi delle forze dell'ordine sul territorio a servizio della sicurezza dei cittadini. (4-07525)


   PIRAS. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   è notizia oramai certa che il Governo è determinato a chiudere il presidio dell'Arma dei carabinieri di Burgos;
   la decisione del Governo di apportare tagli alla spesa pubblica appare essere assolutamente condivisibile e dovuta, ma desta perplessità la scelta rispetto ai settori di intervento;
   la Sardegna è interessata da un'ondata di criminalità crescente e la decisione del Governo appare in controtendenza rispetto a questa escalation;
   è cronaca giornaliera che le zone interne sono interessate da rilevanti atti criminosi;
   la presenza stabile di un presidio dell'Arma funge, inevitabilmente, nell'immaginario collettivo, da deterrente rispetto ai fatti di criminalità;
   la chiusura del presidio di Burgos rappresenterebbe un grande smacco per il territorio già messo in ginocchio dall'incombente crisi e dall'abbassamento vertiginoso dei livelli occupazionali, nonché dai limiti dettati dalla morfologia del territorio che, inevitabilmente, ne favorisce l'isolamento;
   invero, la situazione di crisi, nonché la posizione geografica, alimentano la proliferazione di atti criminali e vandalici e l'assenza di un presidio in loco costituirebbe terreno fertile per l'espandersi del fenomeno;
   la scelta di intervenire sulla spesa pubblica, prevedendo dei tagli alla stessa, è assolutamente condivisibile e auspicabile;
   le scelte però devono essere precedute da valutazione che determinino l'efficacia delle stesse;
   la scelta di chiudere il presidio di Burgos potrebbe, inevitabilmente, determinare come contropartita l'aumento della criminalità nel territorio con conseguente necessità di interventi ripristinatori di altra natura e con aumento di costi collaterali –:
   se sia intendimento del Governo nazionale interloquire con il Governo regionale al fine di scongiurare questo ennesimo arretramento dello Stato nella regione Sardegna, scongiurando la chiusura della caserma. (4-07526)


   DAMBRUOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel febbraio 2010 fu costituito presso il Ministero dell'interno il «Comitato per l'Islam italiano»;
   si trattava di un organismo di carattere collegiale, con funzioni consultive, composto inizialmente da 19 membri, e successivamente integrato fino a circa 30;
   come risulta dal decreto istitutivo, il Comitato aveva la funzione di fornire riflessioni concrete per i temi legati all'immigrazione, con particolare riguardo all'integrazione e all'esercizio dei diritti civili, e per assicurare una migliore convivenza nella società italiana. A tale scopo il comitato ha espresso pareri e proposte su specifiche questioni indicate dal Ministro dell'interno con l'obiettivo di migliorare l'inserimento sociale e l'integrazione delle comunità musulmane nella società nazionale, anche con l'intento di sviluppare la coesione e la condivisione di valori e diritti nel rispetto della Costituzione e delle leggi della Repubblica;
   il Comitato ha espresso una serie di pareri, tutti formalmente approvati dal Ministro dell'interno e inviati ai presidenti della Camera e del Senato, in ausilio dei lavori parlamentari riguardanti tali materie; in particolare:
    a) un parere riguardante la regolamentazione dell'esercizio pubblico del culto e ai luoghi di culto, con particolare riferimento alla libertà religiosa dei fedeli musulmani e alle forme della predicazione (inclusa la lingua da adoperare);
    b) un parere su proposte di legge relative al cosiddetto burqa, e cioè alle modifiche all'articolo 5 della legge n. 152/75 che vieta l'uso di qualunque mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo;
    c) un parere sulla questione degli «imam», in relazione alla istituzione di un «albo» o «registro» degli imam;
    d) un parere in merito alle vicende che investirono alcuni Paesi del Nord Africa, al fine di valutare eventuali aspetti collegati alla presenza musulmana in Italia;
    e) una riflessione sulle moschee, su loro nuove aperture, un tema che incide su svariate competenti istituzionali, non coinvolgendo solo la materia cultuale (di competenza dello Stato), ma anche le funzioni urbanistiche delle regioni e dei comuni. Si era ipotizzata pertanto l'emanazione di un parere che facesse da supporto a «linee guida» emanate dal Ministro per l'Interno (di concerto con la Presidenza del Consiglio), da offrire alle varie autorità competenti;
   le personalità che componevano il Comitato, di nazionalità differenti, erano o musulmani provenienti da varie comunità esistenti in Italia o esperti di religioni, profondi conoscitori del mondo islamico. Si trattava di esponenti di organizzazioni e comunità islamiche presenti in Italia, docenti di diritto musulmano e dei Paesi islamici, di diritto ecclesiastico, autorevoli giornalisti e scrittori esperti della materia; gli iniziali 19 componenti del «Comitato per l'Islam italiano» erano: Mario Scialoja, ex ambasciatore e direttore della sezione italiana della Lega musulmana mondiale; Ejaz Ahmed giornalista direttore di Azad e mediatore culturale; Gulshan Jivraj Antivalle, presidente della Comunità ismaelita italiana (e unica donna del Comitato); Guido Bolaffi, esperto in immigrazione; Yahia Pallavicini, vicepresidente della Comunità religiosa islamica (Co.Re.Is); Mustapha Mansuri, segretario Confederazione dei marocchini in Italia; Gamal Buchaib, presidente della consulta degli stranieri de L'Aquila e membro dell'associazione dei Musulmani moderati; Mohammad Ahmad, giornalista di La9; Carlo Panella, giornalista de «L'Occidentale»; Andrea Morigi, giornalista di Libero; Abdellah Redouane, direttore del centro islamico culturale d'Italia (Moschea di Roma); Abdellah Mechnoune, imam di Torino e ambasciatore della pace per le Nazioni Unite; Khaled Fouad Allam, docente di sociologia del mondo musulmano e di storia e istituzioni dei Paesi islamici all'università di Trieste; Mario Cicala, consigliere della Corte di Cassazione; Paolo Branca, docente Scienze religiose all'università Cattolica di Milano; Ahmad Habous, docente di antropologia all'università orientale di Napoli; Massimo Introvigne, fondatore del Centro studi sulle nuove religioni; Gianmaria Piccinelli, docente di diritto musulmano e dei Paesi islamici alla Seconda università di Napoli, Alessandro Ferrari, docente di diritto ecclesiastico e canonico all'università dell'Insubria –:
   se il Ministro non valuti opportuno riprendere e rilanciare al Viminale l'attività del Comitato, all'insegna dell'individuazione di buone prassi come quelle richiamate nei pareri già licenziati dallo stesso Comitato nella scorsa legislatura, non potendosi immaginare di contrastare il terrorismo senza canali di confronto e di comunicazione con le comunità islamiche presenti in Italia non connotate da tendenze ultrafondamentaliste. (4-07535)


   NICCHI, PALAZZOTTO e MATARRELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro dell'interno, Angelino Alfano, nel corso della recente seduta della commissione parlamentare Antimafia della Sicilia, sono 3.707 i minori stranieri scomparsi nel 2014 dai centri di accoglienza, su un totale di 14.243 sbarcati sulle nostre coste. Solo in Sicilia i minori stranieri non accompagnati scomparsi dai centri sono 1.882 su 4.628 registrati;
   come dichiarato da Carlotta Sami, portavoce Unhcr per il Sud Europa, le cifre comunicate dal Ministro rappresentano un dato allarmante, che si aggiunge a quello del numero clamoroso di minori stranieri non accompagnati arrivati in Italia l'anno scorso: quasi il 10 per cento del totale degli sbarchi;
   quello che preoccupa è la sorte di chi scompare dai centri. «Questi minori hanno diritto a una protezione rafforzata sia in base alla legge nazionale che a quella internazionale – spiega il presidente del Consiglio italiano rifugiati (Cir), Christopher Hein –, lo Stato italiano nei loro confronti ha una grande responsabilità: è grave che ne scompaiano più di 10 al giorno. Il rischio è che finiscano sfruttati o in mano alla criminalità»;
   il presidente del Consiglio italiano rifugiati (Cir), Christopher Hein, ha sottolineato come questi minori hanno diritto a una protezione rafforzata sia in base alla legge nazionale che a quella internazionale, «lo Stato italiano nei loro confronti ha una grande responsabilità: è grave che ne scompaiano più di 10 al giorno. Il rischio è che finiscano sfruttati o in mano alla criminalità»;
   il Presidente della Commissione regionale antimafia della regione Sicilia, Nello Musumeci, ha denunciato che negli ultimi anni dai centri di accoglienza della Sicilia sono scomparsi circa 1.300 bambini e che solo una minima parte di questi ragazzi – si calcola più o meno il venti per cento raggiunge i genitori nel Nord Italia o nel Nord Europa;
   il Ministro dell'interno ha annunciato di aver siglato un accordo con, regioni e comuni per dare maggiore efficienza alla unità di missione per la tutela dei minori non accompagnati –:
   quali iniziative urgenti si intendano adottare per contrastare l'elevatissima percentuale di minori stranieri scomparsi dai centri di accoglienza;
   se non si intenda intensificare e rendere efficaci le misure volte a rintracciare e ricondurre i minori nei centri di accoglienza, anche al fine di evitare che detti minori non finiscano sfruttati o in mano alla criminalità;
   quali siano le indicazioni contenute nell'accordo con le regioni ed i comuni dato che minori hanno diritto a una protezione rafforzata sia in base alla legge nazionale che a quella internazionale.
(4-07540)


   COSTANTINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 ottobre 2014, Francesco Caruso, ex deputato di Rifondazione Comunista ed esponente del movimento No Global, è stato nominato titolare della cattedra di Sociologia dell'ambiente e del territorio presso l'Università degli Studi «Magna Graecia» di Catanzaro;
   in seguito alla pubblicizzazione della nomina di Caruso, i due sindacati di polizia Sap e Coisp hanno avviato a parere dell'interrogante una campagna di delegittimazione a mezzo stampa nei confronti dello stesso;
   in particolare, Gianni Tonelli, segretario generale del sindacato di polizia «Sap», ha affermato che assegnare la cattedra a Caruso è come «permettere a Josef Mengele di insegnare deontologia medica. Siamo pronti, assieme alla Segreteria Provinciale guidata da Sergio Riga, ad organizzare un sit in di protesta davanti all'università e ad altre azioni di dissenso, se si renderà necessario»;
   anche Giuseppe Brugnano, Segretario regionale del «Coisp», il sindacato indipendente di polizia, partendo dalle stesse critiche, ha affermato in un comunicato stampa: «la nostra posizione è chiara, oltre a condannare a mezzo stampa la decisione assunta dall'università Magna Graecia, ci riserviamo di organizzare nei prossimi giorni manifestazioni di dissenso presso i locali della facoltà di Sociologia»;
   il coordinatore del corso di laurea in sociologia dell'università Magna Graecia, Cleto Corposanto, ha evidenziato la necessità di andare oltre le legittime divisioni politiche, affermando che esse non possono mai essere pregiudizievoli rispetto ad un incarico accademico;
   il corso di Francesco Caruso si terrà a partire dalla metà del mese di marzo 2015, dunque a breve;
   i sindacati Sap e Coisp non sono peraltro nuovi a tale genere di «iniziative»: negli anni passati hanno inscenato e minacciato proteste in casi molto delicati, quali quelli relativi ai processi sulla morte di Stefano Cucchi e di Federico Aldrovandi; il Coisp aveva addirittura manifestato sotto al luogo di lavoro nel quale era impiegata la madre di Federico Aldrovandi –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente dei fatti riferiti in premessa;
   quali siano le iniziative che intenda intraprendere, ivi compresa ove ne rilevi i presupposti l'adozione di misure disciplinari, rispetto alle dichiarazioni e alle iniziative dal Sap e dal Coisp paventate nei comunicati stampa, con particolare riguardo alla contestazione dell'insegnamento in una università pubblica.
(4-07542)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AMODDIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a seguito del decreto ministeriale 235 del 1o aprile 2014 gli uffici scolastici provinciali hanno pubblicato nell'anno 2014 le graduatorie ad esaurimento definitive per gli anni scolastici 2014/15, 2015/16, 2016/17;
   è noto che l'aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento sono state approvate in virtù di una disciplina appena antecedente il progetto della riforma cosiddetta della «buona scuole»;
   è noto che nell'ultimo aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento, migliaia di docenti, prevalentemente dell'Italia meridionale, stanchi e delusi dopo decenni di aspettativa per la stabilizzazione, hanno scelto di chiedere l'inserimento in province fuori sede specie nell'Italia settentrionale;
   la scelta è stata dettata nella inconsapevolezza del progetto di riforma cosiddetto della «buona scuola» che prevede un piano di assunzione straordinario per l'anno scolastico 2015/2016 attingendo dalle graduatorie ad esaurimento;
   è di tutta evidenza che la situazione venutasi a determinare crea una discriminazione per coloro che nell'ultimo aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento hanno chiesto ed ottenuto l'inserimento in province distanti dalla propria residenza;
   sarebbe giusto ed opportuno che il piano di assunzioni previsto nella legge di stabilità 2015 fosse preceduto dall'aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento per consentire di optare per l'inserimento nella provincia di residenza;
   occorre comunque precisare che l'aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento non provocherebbe nessuna lesione al criterio del merito che giustamente rimarrebbe non pregiudicato;
   deve essere rilevato che nell'ipotesi in cui il Ministero non intenda consentire l'aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento, il pregiudizio non sarebbe solo per coloro che verrebbero assunti a distanza di centinaia di chilometri dalla propria residenza familiare, bensì per la qualità del sistema scuola, che vedrebbe dei docenti svolgere il servizio in una situazione di grave disagio, con evidente nocumento per la qualità dell'insegnamento che non può e non deve prescindere dal creare condizioni di lavoro che mirino al benessere del docente e pertanto dell'alunno e così non sarebbe per chi sarebbe costretto ad accettare l'immissione in ruolo lontano dagli affetti;
   infine, nell'ipotesi in cui non fosse possibile l'aggiornamento «straordinario» delle graduatorie ad esaurimento, il Ministro potrebbe valutare la possibilità di introdurre nelle procedure di mobilità delle norme transitorie che consentano ai docenti il rientro nel luogo di residenza nel minor tempo possibile;
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto e quali iniziative intenda adottare per risolvere lei questioni sopra esposte. (5-04470)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RONDINI, GRIMOLDI e FEDRIGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il nuovo concorso nazionale per l'accesso alle scuole di specializzazione in medicina si è svolto dal 28 al 31 ottobre 2014, in più di 400 sedi differenti in tutta Italia;
   il concorso era strutturato in questo modo: il 28 ottobre era prevista la prova comune composta da 70 quesiti di medicina (argomenti clinici e pre-clinici);
   il 29, 30 e 31 i candidati dovevano svolgere una prova composta da 30 quesiti di macroarea (medica, chirurgica e dei servizi clinici) uguali per tutti i candidati, seguita da una prova composta da 10 quesiti di area specialistica, differenti per ogni scuola. Ciascun candidato poteva scegliere fino a due scuole per ogni area;
   già dal primo giorno, come evidenziato da numerosi articoli e testimonianze dirette di partecipanti al concorso, sono emerse varie criticità:
    a) mancato rispetto delle procedure concorsuali previste nel bando in merito all'assegnazione dei posti a sedere, messo in alcuni casi a verbale;
    b) allestimento non idoneo delle sedi in cui si è svolta la prova. Diversi candidati hanno segnalato pc non adeguatamente distanziati, tastiere a disposizione dei candidati, collegamento alla rete internet dei pc;
    c) controlli non uniformi, pertanto non adeguati, su tutto il territorio nazionale. In alcune sedi è stato possibile introdurre telefoni cellulari, come testimoniato da alcune foto circolanti su internet. Si segnala anche che in alcune aule è stato concesso ai candidati di abbandonare la postazione durante l'espletamento della prova per andare in bagno, ciò in violazione di quanto statuito dal bando;
    d) mancanza di linee guida in merito alla risoluzione di criticità intervenute durante lo svolgimento della prova. In una sede, in seguito ad un blackout, i candidati hanno ripetuto la prova a distanza di due ore, quindi non più contemporaneamente alle altre sedi nazionali, e dopo averne già visualizzato il contenuto;
    e) tutte le suddette segnalazioni dimostrano l'assenza di garanzia di condizioni paritarie fra tutti i candidati su tutto il territorio nazionale nello svolgimento delle prove, con conseguente possibilità, in alcune aule d'esame, di interazione fra gli stessi;
    f) tutte le irregolarità sopra esposte hanno immediatamente allarmato i concorrenti a livello nazionale, dando il via a segnalazioni indirizzate al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in seguito alle quali, il secondo giorno di prove, è stata inviata una circolare, letta a tutti i candidati, in cui si chiedeva un controllo più rigoroso da parte dei vigilanti e responsabili d'aula;
    g) l'irregolarità più eclatante tuttavia si è manifestata in data 1o novembre 2014, quando il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con un comunicato stampa ufficiale affermava che, a seguito dei controlli di ricognizione finali sullo svolgimento dei test, era stata rilevata una grave anomalia nella somministrazione delle prove scritte del 29 e 31 ottobre che riguardavano rispettivamente le scuole dell'area medica e quelle dell'area dei servizi clinici; il Cineca, il consorzio interuniversitario incaricato di somministrare i test, tramite lettera ufficiale inviata al Ministero la sera del 31 ottobre 2014, aveva ammesso «un errore nella fase di codifica delle domande durante la fase di importazione» di queste ultime nel data-base utilizzato per la generazione dei quiz;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, quindi, preso atto di quanto accaduto, stabiliva di annullare e ripetere le prove oggetto dell'errore determinato dal Cineca, ovvero i 30 quiz comuni all'area medica e i 30 quiz comuni all'area dei servizi clinici fissando allo scopo la data del 7 novembre. Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca comunicava inoltre che il 3 novembre il Ministro Giannini avrebbe firmato apposito decreto;
   in data 3 novembre 2014, tuttavia, il Ministro Giannini non firmava alcun decreto ed il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ribaltava la propria decisione annunciando, con un secondo comunicato stampa, che le prove per l'accesso alle scuole di specializzazione in medicina del 29 e 31 ottobre non si sarebbero più dovute ripetere, avendo trovato una soluzione in grado di salvare i test;
   a seguito di un consulto con la Commissione nazionale, incaricata prima del concorso per validare le domande del quiz, nonché con l'Avvocatura di Stato, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca decideva che 28 quesiti su 30 proposti ai candidati sia per l'area medica (29 ottobre) che per quella dei servizi clinici (31 ottobre) erano comunque da ritenersi validi ai fini della selezione, poiché i settori scientifico-disciplinari di ciascuna area erano in larga parte comuni. Pertanto procedeva con la neutralizzazione di solo due domande per area;
   contrariamente a quanto affermato nel comunicato, tale decisione non ha tuttavia salvato la bontà del test, alterando invece la graduatoria in maniera sostanziale;
   non si comprende come mai inizialmente la decisione fosse quella di far ripetere le due prove invertite, basata sulla considerazione che i quesiti appartenessero a due aree differenti, come da bando, mentre con un giudizio a posteriori, la commissione nazionale ha ritenuto i quesiti delle due aree sovrapponibili, ad esclusione di 2 domande per ciascuna area. Peraltro individuate su criteri ancora ignoti;
   la neutralizzazione delle due domande, avvenuta attribuendo 1 punto per ciascuna, ha stravolto interamente la graduatoria, uniformando il punteggio dei candidati. Giova ricordare che inizialmente era attribuito 1 punto per ogni risposta corretta, 0 punti per la risposta non data e 0,3 per ogni risposta errata. Uniformare il punteggio dei candidati ha determinato secondo gli interpellanti una illegittimità che va contro il merito degli stessi. In questo modo coloro che avevano fornito le risposte sbagliate hanno avuto un vantaggio superiore rispetto a chi aveva risposto correttamente;
   si aggiunga che non è dato sapere quali membri della commissione nazionale hanno partecipato a tale valutazione;
   non è noto se il provvedimento di neutralizzazione dei quesiti, adottato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, necessiti di atto ministeriale ufficiale, non essendo stata emanata al momento alcuna disposizione ufficiale, ad eccezione del comunicato stampa sopra menzionato;
   a seguito di segnalazioni inviate, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ha provveduto a neutralizzare ulteriori due quesiti, appartenenti alle prove specialistiche di malattie dell'apparato cardiovascolare e endocrinologia e malattie del ricambio, ad avviso degli interpellanti determinando anche qui un'illegittimità contro il merito;
   la prova che ciascun candidato ha svolto e che può scaricare in formato PDF dal sito www.universitaly.it, risulta essere sostanzialmente modificata, poiché riporta non più le risposte realmente fornite dal candidato durante lo svolgimento della stessa, ma quelle corrette ovvero neutralizzate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Appare chiaro che, ove non esistesse più un file originale non modificabile della prova svolta dal candidato, si perderebbe la certezza dell'inalterabilità della prova concorsuale, per eventuale manomissione o contraffazione operata da soggetti terzi;
   molti dei quesiti a cui sono stati sottoposti i candidati, risultano essere quantomeno dubbi e fuorvianti, lasciando ampio spazio ad interpretabilità in merito alle possibili risposte selezionabili. In alcuni casi è possibile che più di una risposta risulti corretta, ovvero quella ritenuta ufficialmente corretta non sia in realtà tale. Dilemma che sarebbe stato evitato mediante l'indicazione di una bibliografia di riferimento, come disposto dal decreto ministeriale 30 giugno 2014, n. 105, articolo 2, comma 1;
   il punteggio medio della prima giornata di prove, in alcune sedi risulta discostarsi enormemente dalla media dei punteggi nazionali, sollevando il legittimo sospetto di svolgimento non regolare della prova da parte dei candidati di tali sedi;
   i partecipanti, con ulteriori segnalazioni, hanno messo in luce un'organizzazione superficiale, lacunosa e poco trasparente del concorso:
    a) la comunicazione di sedi e orari del concorso è avvenuta oltre il termine previsto dal bando (almeno 20 giorni prima dell'inizio del concorso);
    b) la mancanza della comunicazione nei tempi adeguati del numero di concorrenti iscritti. Il numero totale dei candidati, infatti, è stato pubblicato solo il giorno di inizio del concorso. Il numero dei candidati per ciascuna scuola non è stato mai comunicato se non al momento della pubblicazione delle prime graduatorie;
    c) al momento non è noto se siano state poste in essere le dovute verifiche, capillari e non a campione, delle autocertificazioni riguardanti le tesi di laurea sperimentale e i voti che ciascun candidato ha dichiarato per ciascuna materia. Tali parametri sono stati considerati per l'attribuzione dei punteggi per il curriculum individuale, risultando determinanti per l'elaborazione della graduatoria;
    d) il software utilizzato per la prova concorsuale, presenta presumibilmente un'anomalia per cui era possibile modificare inavvertitamente e involontariamente la risposta fornita ai quesiti, cliccando in un punto differente dello schermo rispetto a quello ove doveva apporsi la spunta di selezione (in gergo «radio») modificando in questo modo la scelta del candidato;
    e) l'elevato numero delle sedi individuato non ha garantito omogeneità nei controlli dei candidati da parte del personale preposto. Nell'elenco fornito dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca compaiono 169 sedi per un totale di 442 aule. Inoltre, altre sedi sono state designate per lo svolgimento del test pur non comparendo in tale elenco –:
   se il Ministro alla luce dei fatti esposti non intenda:
    a) tutelare il totale dei candidati del concorso nazionale, poiché tutti indistintamente sono stati lesi dalle numerose irregolarità elencate e pertanto hanno diritto a ricevere delle borse di specializzazione in sovrannumero, come forma risarcitoria;
    b) distribuire le risorse aggiuntive di medici nei policlinici universitari e nei presidi ospedalieri territoriali, in linea con l'articolo 43 del decreto-legge n. 368 del 17 agosto 1999, nel rispetto degli standard formativi e garantendo un «tronco comune» tra gli atenei ed il territorio, secondo l'articolo 2 del decreto ministeriale sul riassetto delle scuole di specializzazione di area sanitaria, 1o agosto 2005;
    c) implementare il numero dei contratti di formazione specialistica, in linea con gli standard dei Paesi europei, secondo l'articolo 14 della carta dei diritti Fondamentali dell'Unione europea e l'articolo 4 della Costituzione italiana;
    d) rivisitare e rielaborare il bando per l'ammissione alle scuole di specializzazione in medicina del decreto ministeriale n. 612 del 8 agosto 2014, correggendo le irregolarità emerse e conservando la «nazionalità» del concorso, a tutela dei futuri medici abilitati ed in nome del concetto di meritocrazia. (4-07523)


   GAROFALO, CALABRÒ e CATANOSO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la commissione sul riordino delle scuole di specializzazione ha deliberato, in data 16 dicembre 2014, una proposta di riforma che prevede la soppressione delle scuole di specializzazione in chirurgia dell'apparato digerente;
   nella gran parte dei Paesi europei è da anni in vigore un sistema formativo, di specialisti delle diverse aree del tratto gastro-intestinale, in particolare nella chirurgia colo-rettale, al quale tutti gli altri Paesi dell'Unione europea si stanno allineando;
   nell'ottobre del 2014, dopo due anni di elaborazione con tutti i direttori delle scuole di specializzazione in chirurgia dell'apparato digerente, il referente nazionale ha inviato al vicepresidente del Consiglio universitario nazionale una proposta di riforma relativa ai processi formativi relativi alle diverse aree del tratto gastro-intestinale che adeguava la legislazione italiana alla normativa europea;
   nella citata riunione del 16 dicembre 2014, il progetto di riforma di cui al punto precedente non è stato esaminato e si è proceduto alla proposta di abolizione della scuola di specializzazione dell'apparato digerente. Tra l'altro, i contenuti del progetto non sono neanche stati trasferiti nell'ordinamento della chirurgia generale che sarebbe l'unica scuola di specializzazione non specialistica residuata;
   qualora l'abolizione diventasse operativa si perderebbe l'opportunità di fornire agli ospedali italiani specialisti nelle aree di specializzazione in chirurgia dell'apparato digerente e, quindi, conseguentemente di essere competitivi nel confronto con i colleghi degli altri Paesi europei;
   l'attuale formulazione dei contenuti della scuola di specializzazione in chirurgia generale approvata risulta, pertanto, superata e non in linea con le competenze del chirurgo (chirurgia laparoscopica, endoluminale, robotica, e altro) indispensabili in una moderna chirurgia;
   la formazione in chirurgia generale risulta, pertanto, essere poco specialistica rispetto alle competenze che poi il medico deve avere e che sono indispensabili nel servizio sanitario nazionale –:
   quali iniziative si intendano adottare per riconsiderare la proposta di abolire la scuola di specializzazione in chirurgia dell'apparato digerente. (4-07524)


   FUCCI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni 29 e 31 ottobre 2014 si è svolto il primo concorso nazionale per le scuole di specializzazione in medicina;
   dopo lo svolgimento delle prove il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha annunciato di avere rilevato una grave anomalia nella somministrazione delle prove scritte riguardanti rispettivamente le scuole dell'area medica e dell'area dei servizi clinici;
   a causa di un errore del CINECA erano stati invertiti i quesiti delle prove del 29 ottobre con quelli del 31 ottobre con riguardo alle 30 domande comuni a ciascuna delle due Aree;
   con comunicato del 1o novembre il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca aveva deciso di annullare le prove e di farle ripetere a tutti i candidati che si erano trovati a sostenere una prova invertita, annunciando un imminente decreto del Ministro interrogato e la data del 7 novembre per la ripetizione dei quiz;
   appena due giorni dopo il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha completamente cambiato la propria posizione annunciando che le prove non sarebbero state più annullate in favore di una soluzione alternativa: sia per l'una che per l'altra area, 28 domande su 30 sarebbero state comunque considerate valide;
   l'interrogante segnala le recenti dichiarazioni del Sottosegretario all'istruzione, Michele Faraone, che ha preso una posizione contrastante con il Ministro interrogato in merito all'annuncio di quest'ultima, in un'intervista al «Sole 24 Ore», su un'imminente riforma dei test di accesso a Medicina a partire dal 2015;
   inoltre Faraone ha annunciato una serie di misure che sarebbero in cantiere in merito alle prove e al numero chiuso;
   a parere dell'interrogante sia la gestione della vicenda dei test del 29-31 ottobre che le contrastanti indicazioni provenienti dai vertici politici del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sulla futura disciplina dell'accesso ai corsi di Medicina sembrano indicare una totale confusione del Governo, che inquieta considerando che in gioco è il futuro di migliaia e migliaia di giovani medici e quindi, con essi, del sistema sanitario italiano –:
   quale sia, in modo chiaro e senza ambiguità, la posizione del Governo in merito a quanto esposto in premessa alla luce della palese e grave discordanza di posizioni e annunci fatti negli ultimi due mesi dal Ministro interrogato e dal Sottosegretario Faraone. (4-07536)


   SPESSOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 gennaio 2015 l'assessore regionale veneto all'istruzione, alla formazione, al lavoro e ai trasporti Elena Donazzan, ha indirizzato una circolare (prot. N. 6175/C. 100. 06. 3. B. 2) a tutti i dirigenti scolastici del Veneto chiedendo alle famiglie degli alunni mussulmani frequentanti le scuole della regione, di condannare apertamente gli attentati in Francia a seguito dei tragici eventi terroristici consumatisi nella città di Parigi;
   dopo aver affermato nella circolare che «se non si può dire che non tutti gli islamici sono terroristi è evidente che tutti i terroristi sono islamici» e che «la libertà di stampa e di espressione è impedita in tutti i paesi a matrice islamica», l'assessore Donazzan conclude la circolare sostenendo, tra le altre cose, che «alla luce della presenza di stranieri a scuola dobbiamo chiedere loro una condanna di questi atti», perché gli stranieri «devono sapere che sono accolti in una civiltà con principi, valore, regole e consuetudini a cui devono adeguarsi»;
   a tali affermazioni contenute nella suddetta circolare è seguita, da parte della Rete degli studenti medi del Veneto e delle associazioni degli universitari di Padova, Venezia e Verona, oltre alla domanda di pubbliche scuse, la richiesta di immediato ritiro delle affermazioni da parte dell'assessore veneto Donazzan, denunciata dalle citate associazioni per aver assunto posizioni xenofobe e irrispettose nei confronti di tutti gli studenti delle scuole del Veneto;
   a giudizio degli interroganti, considerata l'estrema complessità del problema collegato all'estremismo islamico, l'espressione di un giudizio che sovrappone automaticamente terrorismo ad islamismo, non persegue l'obiettivo di alimentare un dibattito costruttivo nelle scuole italiane, anche finalizzato alla piena integrazione tra culture e religioni diverse;
   la divulgazione di giudizi personali, attraverso la richiesta esplicita di manifestare opinioni su determinati argomenti, per mezzo di circolari destinate agli istituti scolastici, esula, secondo l'interrogante, dalle competenze di un assessore regionale in materia di istruzione e si prefigura quale inaccettabile interferenza e strumentalizzazione politica nell'ambiente scolastico –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e se e quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda intraprendere per preservare l'autonomia dei dirigenti scolastici e il libero sviluppo del pensiero critico degli studenti. (4-07546)


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data odierna, all'ITC «Alfredo Oriani» di Faenza, uno studente che aveva regolarmente ottenuto il permesso della presidenza per attaccare nei corridoi alcune vignette satiriche del giornale «Charlie Hebdo» in segno di solidarietà della vittime dell'infame attentato di matrice islamica di Parigi, ha ritenuto opportuno aumentare la sensibilizzazione a difesa della libertà di parola e di espressione affiggendo le stesse vignette nella propria classe;
   come reazione al gesto di solidarietà delle vittime di Parigi, una sua compagna di fede islamica ha strappato le vignette scatenando una piccola lite;
   a seguito di tale episodio risulta all'interrogante che i professori presenti abbiano redarguito il ragazzo che proponeva la difesa della libertà di parola e non la ragazza che ha strappato con violenza le immagini simbolo della libertà di parola e di pensiero;
   in aggiunta a questa singolare, ad avviso dell'interrogante pavida e sconcertante presa di posizione da parte dei professori pare addirittura che lo studente sia stato consigliato dal dirigente scolastico di non riattaccare in classe le vignette per non «turbare il clima generale»;
   non ultimo, pare che anche le vignette affisse nei corridoi siano state rimosse;
   è anche con questi piccoli gesti di codardia che la si da vinta all'integralismo e a chi attacca l'Occidente –:
   se il Ministro sia a conoscenza di tale, gravissimo episodio limitativo della libertà di parola e di pensiero e quali iniziative sanzionatorie intenda adottare nei confronti dei docenti responsabili di non aver difeso una delle libertà individuali di un loro alunno. (4-07547)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FEDRIGA e PRATAVIERA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo gli ultimi dati diffusi dall'Inps nel report – aggiornato al 27 ottobre 2014 – delle procedure di monitoraggio dei lavoratori esodati cosiddetti salvaguardati in base ai sei provvedimenti finora emanati, si rileva che:
    con riferimento alla 1a salvaguardia sono state certificate 64.374 posizioni (a fronte di una platea di 65 mila beneficiari) e sono state liquidate 41.060 prestazioni;
    sono scarsi i numeri relative alla 2a salvaguardia: su 35 mila posizioni da tutelare (per effetto della riduzione disposta con la sesta salvaguardia di cui alla legge n.147 del 2014 di 20 mila soggetti), le pensioni certificate sono state solo 16.920 e quelle liquidate solo 7.514, pari ad un quinto del contingente;
    sono limitate anche le cifre relative alla 3a salvaguardia, relative ad un numero complessivo di 16.130 soggetti salvaguardabili, in relazione ai quali l'Inps ha certificato 7.344 pensioni e ne ha liquidate 5.102, meno della metà;
    difficoltà dichiarate dallo stesso ente previdenziale emergono con riguardo alla 4a salvaguardia; esse riguardano 5 mila posizioni da salvaguardare (per effetto della riduzione del contingente operata con la sesta salvaguardia pari a 4 mila unità); l'Inps, infatti, ha certificato 5.815 pensioni, un numero superiore al plafond disponibile per legge. Nell'ambito, infatti, dei lavoratori che hanno fruito dei permessi di cui alla legge 104 del 1992, per assistere disabili l'Inps ha certificato oltre 4.800 aventi diritto a fronte di soli 2500 posti disponibili;
    con riguardo alla 5a salvaguardia, su 17 mila posizioni salvaguardabili, l'Istituto ne ha certificate soltanto 2.814 ed ha liquidato 1.499 pensioni;
    nessun dato c’è ancora, in merito alla sesta salvaguardia;
   tale report denuncia che la questione dei lavoratori cosiddetti «esodati», nata a causa della riforma delle pensioni «Fornero», è tutt'altro che un capitolo chiuso, contrariamente a quanto affermato dal commissario dell'Inps, Tiziano Treu, in Commissione lavoro al Senato nel novembre 2014, secondo il quale tutti gli esodati sono stati salvaguardati; «sono finite, restano solo casi specifici»;
   permangono, invece, ancora esclusi dalle varie misure di salvaguardia, ad esempio, i lavoratori collocati in mobilità in caso di fallimento dell'impresa che maturino i requisiti entro trentasei mesi dalla fine del periodo di mobilità, il personale ferroviario e marittimo, i cosiddetti quindicenni già soggetti rientranti nelle deroghe di cui all'articolo 2, comma 3, lettera a), del decreto legislativo n. 503 del 1992 –:
   per ciascuna salvaguardia quanti siano i soggetti che hanno avanzato domanda e a quanti di loro sia stato negato il diritto alla salvaguardia stessa. (5-04475)


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso che il partito politico – Lega Nord – ha proceduto al licenziamento di settantuno lavoratori;
   gli stessi si sono recati presso la sede della Lega richiedendo l'applicazione dei contratti di solidarietà al posto dei disposti licenziamenti;
   tale questione rende necessario non solo predispone le dovute tutele per i lavoratori in questione, ma, altresì, adottare, anche con interventi normativi, ulteriori tutele per i dipendenti di partiti politici che sono assolutamente equiparabili ai dipendenti di imprese –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti in questione e quali siano i propri orientamenti;
   se e quali interventi intenda adottare a salvaguardia dei settantuno lavoratori della Lega;
   se e quali iniziative intenda adottare, anche normative, per riconoscere maggiori tutele ai dipendenti di partiti politici.
(5-04483)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PETRAROLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Alenia Aermacchi è la maggiore industria aeronautica italiana e uno dei principali player a livello mondiale nella progettazione, sviluppo, produzione, supporto e manutenzione di velivoli civili e militari, aerei da addestramento e sistemi a pilotaggio remoto;
   l'attuale Alenia Aermacchi è nata il 1o gennaio 2012 dalla fusione fra Alenia Aeronautica e Aermacchi, all'interno del gruppo Finmeccanica che ha come suo maggiore azionista il Ministero dell'economia e delle finanze;
   negli stabilimenti di Foggia e Monteiasi – Grottaglie (Taranto) si concentrano le attività dell'azienda nei materiali compositi, in particolare lo stabilimento di Monteiasi – Grottaglie (Taranto), inaugurato nel 2006, è specificamente ideato per produrre – grazie a un procedimento in gran parte automatizzato – le sezioni in composito della fusoliera del Boeing 787 Dreamliner;
   dal giornale online «Cosmopolismedia», con l'articolo del 13 gennaio 2015 dal titolo «Rumeni sì, italiani no. È polemica sull'Alenia», si apprende che 38 lavoratori internali originari del territorio jonico sono stati mandati a casa alla scadenza del contratto avvenuto in data 31 dicembre 2014 mentre 43 lavoratori interinali rumeni, con il contratto in scadenza alla stessa data dei colleghi italiani, sono stati riconfermati;
   il 9 gennaio 2015 l'azienda ha dichiarato la necessità di rinfoltire l'organico decidendo, quindi, di riconfermare il personale di nazionalità straniera e di richiedere nuovo personale interinale proveniente da altri siti produttivi, rinunciando ad assumere lavoratori provenienti dallo stesso territorio un territorio già penalizzato e in profonda crisi occupazionale –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione e se non intendano acquisire elementi sulle cause di tale situazione che comporta rilevanti problemi sul piano occupazionale, in un territorio già in profonda crisi;
   quali azioni intendano attivare i Ministri interrogati, per quanto di competenza, per tutelare il diritto al lavoro delle maestranze italiane anziché straniere operanti nello stabilimento Alenia – Aermacchi di Monteiasi – Grottaglie (Taranto). (4-07527)


   PETRAROLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la C.I.C. spa (Compagnia Italiana Costruzioni) di Cassinetta di Biandronno è un'azienda attiva dal 1929 nel campo delle costruzioni e dell'edilizia civile che attualmente si trova in concordato liquidatorio con vendita di beni;
   dall'articolo del quotidiano online Varese news del 4 gennaio 2015 dal titolo «Preoccupazione per il futuro dei lavoratori della C.I.C.» si apprende che lo scoglio nella concessione della cassa integrazione straordinaria ai 52 lavoratori dell'azienda per il terzo anno consecutivo, così come previsto dalla legge 223 del 1991 all'articolo 3 comma 1, nonostante la presenza delle condizioni necessarie per richiederla, risieda negli effetti prodotti dalla legge 10 dicembre 2014, n. 183, comunemente denominato «Jobs Act», che esclude gli ammortizzatori per quelle aziende che stanno per chiudere;
   secondo quanto dichiarato da Vincenzo Annese della Fillea – Cigl non c’è pericolo di una bocciatura della richiesta di cassa integrazione straordinaria in quanto non risultano ancora emanati i decreti attuativi della legge 10 dicembre 2014, n. 183;
   il 5 gennaio 2015 sono scaduti i termini per la presentazione della cassa integrazione straordinaria e dal sito web istituzionale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali non risulta emanato alcun decreto recente, il cui ultimo pubblicato si riferisce al periodo 16 – 23 dicembre 2014 –:
   quali provvedimenti intendano adottare i Ministri interrogati, ciascuno nell'ambito delle rispettive competenze, alla luce di quanto esposto in premessa, se non ritengano di farsi carico dei problemi occupazionali e sociali dei lavoratori di Cassinetta di Biandronno, garantendo, oltre alla certezza di risorse, l'avvio di politiche attive volte a promuovere l'occupazione e il reinserimento lavorativo.
(4-07529)


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso che i dipendenti di InfoContact, società di call center di Lamezia Terme, dal prossimo 31 gennaio, potrebbero perdere il posto di lavoro;
   la società in questione, dopo avere presentato lo stato d'insolvenza nel mese di luglio 2014, è stata commissariata come per legge, dunque, sono a rischio addirittura 1800 posti di lavoratori specializzati;
   il 31 gennaio 2015 è in scadenza il contratto di Wind Infostrada, azienda che rimettendo a bando le proprie attività in tutta Italia ha invitato diverse aziende out-sourcer alla partecipazione, escludendo Infocontact, pertanto, si presume che non si darà seguito al rinnovo della stessa commessa per la società che opera nel territorio di Lamezia Terme;
   considerando la drammaticità della situazione, è necessario un intervento dell'esecutivo, affinché venga salvaguardato il notevole numero di posti di lavoro a rischio –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente dei fatti in premessa e quali siano i loro orientamenti;
   se sia intenzione promuovere un tavolo di concertazione con le parti sociali, al fine di individuare gli interventi necessari per salvaguardare i lavoratori.
(4-07531)


   BURTONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il difficile contesto socio economico che caratterizza il nostro Paese, il Mezzogiorno e la Sicilia in particolare, negli ultimi anni, ha assunto dimensioni preoccupanti;
   proprio nella regione siciliana il prolungarsi della crisi economica ha fortemente indebolito il sistema non solo produttivo ma anche sociale;
   in Sicilia, si è affermata negli ultimi 10 anni, una realtà produttiva che eroga servizi mediante i call center e che costituisce un punto di riferimento per più di 800 lavoratori;
   in particolare, questa realtà lavorativa presente in provincia di Catania (con sedi a Paternò e Biancavilla) è rappresentata dal call center della società Lombardia informatica che gestisce il servizio per le prenotazioni sanitarie della Lombardia;
   il suddetto call center rappresenta al momento una delle più importanti risorse occupazionali in un comprensorio privo di altre alternative di lavoro;
   nel corso degli ultimi anni vari esponenti politici hanno sollecitato la chiusura del sito e il suo trasferimento a Milano;
   recentemente Lombardia Informatica ha costituito la società Lombardia Contact S.r.l. che potrebbe sostituire l'attività di call center localizzato nella provincia catanese –:
   quali iniziative urgenti di competenza il Ministro intenda attivare per evitare la chiusura del sito siciliano di Lombardia Contact e/o Lombardia Informatica, e il suo definitivo trasferimento in Lombardia e scongiurare possibili licenziamenti e, quindi, l'aggravamento della condizione economica e sociale di territori pesantemente colpiti dalla recente crisi. (4-07532)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AMODDIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nella notte del 31 dicembre 2014 e nelle prime ore del primo gennaio 2015 il territorio della provincia di Siracusa è stato investito da diversi eventi meteo atmosferici particolarmente significativi, quali fortissime raffiche di vento, caduta di neve, grandine, fulmini e temperature sotto i zero gradi, cui si aggiungeva un grave pericolo di rischio idrogeologico a causa di fortissime mareggiate lungo la fascia costiera;
   nel territorio del comune di Pachino, di Portopalo di Capo Passero e di Ispica si sono verificati ingenti danni alle colture, alle attrezzature agricole e alle infrastrutture delle centinaia di azienda agricole che rappresentano la principale ricorsa economica dell'area;

   la forte pioggia, la grandine, il peso della neve unito alle forti raffiche di vento hanno completamente distrutto centinaia di ettari di colture e serre nel comprensorio serricolo dei comuni di Pachino, Portopalo di Capo Passero ed Ispica;
   sono in fase di quantificazione i danni;
   quanto accaduto il 31 dicembre 2014 ha messo in ginocchio il sistema agricolo e conseguentemente quello economico dell'intera area sud della provincia di Siracusa;
   lo stato di emergenza che si è venuto a creare, necessita di interventi tempestivi mirati a scongiurare il collasso del comparto e consentire di riavviare al più presto le attività produttive ed evitare ripercussioni sui livelli occupazionali del territorio;
   il comprensorio agricolo di Pachino occupa un quarto di tutti gli addetti agricoli della regione e rappresenta da solo il 26 per cento della produzione lorda della Sicilia;
   l'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, ha istituito il «fondo» di solidarietà nazionale (FSN)» che ha l'obiettivo di promuovere principalmente interventi di prevenzione per far fronte ai danni alle produzioni agricole e zootecniche, alle strutture aziendali agricole, agli impianti produttivi ed alle infrastrutture agricole, nelle zone colpite da calamità naturali o eventi eccezionali;
   il Fondo di solidarietà nazionale prevede interventi compensativi, nel caso di danni a produzioni, strutture e impianti produttivi finalizzati alla ripresa economica e produttiva delle imprese agricole che hanno subito danni dagli eventi sopra descritti ed interventi di ripristino delle infrastrutture connesse all'attività agricola, tra cui quelle irrigue e di bonifica, compatibilmente con le esigenze primarie delle imprese agricole;
   l'articolo 5 del citato decreto legislativo prevede la possibilità di concedere contributi in conto capitale, prestiti ad ammortamento quinquennale per le esigenze di esercizio dell'anno in cui si è verificato l'evento dannoso e per l'anno successivo, e la proroga delle operazioni di credito agrario –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza degli avvenimenti descritti e se e quali iniziative intenda assumere affinché anche i coltivatori e le aziende agricole possano ricevere una forma di sostegno per far fronte ai danni subiti. (5-04469)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'ANAAO-ASSOMED ha denunciato lo stato di grande sofferenza strutturale e organizzativa in cui versano gran parte dei pronto soccorso in tutta Italia;
   notizie recenti e numerose testimonianze fotografiche apparse sul web evidenziano situazioni di sovraffollamento e di carenze che sono fonti di disagio per chi si reca nei pronto soccorso –:
   quali iniziative di competenza, in collaborazione con le regioni, intenda assumere in merito a quanto esposto in premessa. (4-07530)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   il comma 421 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190), prevede la riduzione delle dotazioni di personale delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario; allo stesso comma è previsto che entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, i predetti enti possano deliberare una riduzione ulteriore a quella del 30 per cento e del 50 per cento già prevista (rispettivamente per le città metropolitane e le province) dalla medesima legge;
   ai sensi del comma 422 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014, in considerazione del processo di riordino delle funzioni di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56, secondo modalità e criteri definiti nell'ambito delle procedure e degli osservatori di cui all'accordo previsto dall'articolo 1, comma 91, della legge 7 aprile 2014, n. 56, è individuato, entro il termine di novanta giorni dalla data di entrata in vigore della citata legge, il personale che rimane assegnato agli enti provinciali e alle città metropolitane e quello da destinare alle procedure di mobilità, nel rispetto delle forme di partecipazione sindacale previste dalla normativa vigente;
   il comma 423 (onde evitare che si consumino scelte arbitrarie e irragionevoli) prevede che le procedure di mobilità del personale interessato siano definite secondo criteri fissati con decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge. Il personale destinatario delle procedure di mobilità, che conserva la posizione giuridica ed economica maturata, è ricollocato, prioritariamente, verso regioni ed enti locali e, in via subordinata, verso altre pubbliche amministrazioni –:
   se, in attesa della emanazione da parte del Governo delle disposizioni contenenti i criteri per la individuazione delle persone da collocare in mobilità, gli enti territoriali siano legittimati a procedere a individuare i dipendenti da collocare in mobilità, in caso affermativo, con quali criteri: competenze assegnate al nuovo ente, anzianità, inquadramento e altro;
   se non ritenga urgente e doveroso assumere iniziative per procedere ad un definitivo chiarimento sulle procedure e sui tempi di attuazione delle disposizioni di legge sopra citate, onde rimuovere situazioni di incertezza ed evitare che si consumino scelte irragionevoli e arbitrarie nei confronti del personale delle province;
   se non sia comunque opportuno procedere alla individuazione dei dipendenti da collocare in mobilità solo dopo che le regioni abbiano definito se e quali funzioni delegare ai nuovi enti.
(2-00812) «Giorgis, D'Ottavio, Lattuca, Lauricella, Portas, Fregolent, Lodolini, Stumpo, Campana, Roberta Agostini, Malisani, Romanini, Montroni, Scuvera, Manzi, Beni, Miotto, Cuperlo, Pollastrini, Fabbri, Fontanelli, Bindi, Carlo Galli, Mauri, Maestri, D'Attorre, Bruno Bossio, Incerti, Giampaolo Galli, Misiani, Lavagno, Lenzi, Ghizzoni, Gregori, Gribaudo, Giuseppe Guerini, Paris».

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TIDEI, BENAMATI, BARGERO, GALPERTI, CANI, BASSO, SCUVERA, TARANTO, LACQUANITI, MONTRONI, GINEFRA, DONATI e CIVATI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la continua ascesa dei canoni commerciali di locazione rappresenta ormai da tempo uno dei fattori più allarmanti per gli esercizi commerciali e per i laboratori artigiani;
   se si considerano le aree urbane più importanti del territorio nazionale, città quali Milano, Torino, Roma, Napoli e Palermo, gli esercizi commerciali che hanno cessato la propria attività sono quasi diecimila generando, in alcuni casi, ciò che si potrebbe definire «deserto urbano». Il rischio di desertificazione dei centri urbani delle maggiori città italiane è legato a molti aspetti;
   l'aumento dei canoni, che tra l'altro sembra non trovare giustificazioni se si tiene conto che la formazione del prezzo di affitto dovrebbe realizzarsi dall'incontro tra domanda e offerta, non colpisce soltanto le realtà commerciali ed artigiane situate nei centri storici delle più grandi città ma anche quelle che operano in periferia;
   tra le varie cose, sui rincari dei canoni commerciali ha influito negativamente l'imposizione fiscale sugli immobili. L'introduzione dell'imposta municipale propria (IMU) ha generato effetti a volte eccessivamente sfavorevoli per i locatari di negozi e laboratori. In effetti, in molti casi i proprietari di immobili non hanno esitato ad aumentare i canoni di locazione, trasferendo sui locatari i costi complessivi;
   da dati resi disponibili da associazioni di commercio si vede che i costi medi di affitto in zone centrali di Roma e Milano oscillano ora in un intervallo fra gli 80 ed i 100 euro circa al metro quadro/mese;
   le realtà commerciali si trovano, da tempo, a dover fronteggiare questa ed altri tipi di problematiche che minacciano la loro sopravvivenza. A partire dalla crisi economica che ha eroso notevolmente i consumi delle famiglie, passando per la presenza sempre crescente dei centri commerciali fino all'abusivismo commerciale e alla contraffazione, il rischio di chiusura di realtà operanti settore del commercio è molto concreto e rappresenterebbe un grave danno per l'economia locale e per tutte quelle famiglie operano, pur tra numerose difficoltà, nel commercio e nell'artigianato –:
   se quanto riportato in premessa risponda al vero e, in caso positivo, se e quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di scongiurare la chiusura di esercizi commerciali e laboratori artigianali (che oltre a rappresentare realtà importanti per l'economia nazionale, in molti casi costituiscono veri e propri patrimoni storici, essendo presenti in città da diverse generazioni) a causa delle dinamiche del «caro affitti», valutando anche l'opportunità di istituire un tavolo tecnico per l'approfondimento del problema.
(5-04471)


   BUSIN. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano Corriere della sera di lunedì 29 dicembre 2014 riporta una notizia sconcertante circa l'assunzione da parte di Invitalia, l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, di una figura di «facilitatore dei processi di concertazione socio-istituzionale»;
   il quotidiano riporta che l'incarico è stato assegnato a seguito di una decisione presa dal Ministro per la coesione territoriale del Governo Monti, Fabrizio Barca, «di dare seguito a una decisione del Comitato del Contratto istituzionale di sviluppo Napoli-Bari-Lecce/Taranto di avvalersi di professionalità aggiuntive» che «favoriscano il rapporto tra il territorio e i soggetti istituzionali coinvolti e cooperino a dare impulso all'azione amministrativa degli stessi»;
   a seguito a tale decisione, Invitalia ha dato l'incarico alla persona che ha vinto la procedura selettiva indetta pochi mesi prima per l'incarico di esperto di relazioni istituzionali e facilitatore dei processi di concertazione socio-istituzionale»;
   l'esperto è in carica oramai da un anno e mezzo circa e l'incarico durerebbe fino al 31 dicembre 2015;
   peraltro, le modalità di espletamento della selezione e i criteri di base posti dalla commissione esaminatrice sono molto criticabili e discutibili, almeno secondo quanto riportato dal quotidiano;
   in un momento di spending review e di contrazione della spesa pubblica occorre riflettere, non solo sulla necessità e sulla opportunità del mantenimento di un'agenzia come Invitalia, ma anche e soprattutto sulla necessità di spesa per consulenti esterni a tale organismo con mansioni così poco definite e difficilmente valutabili in termini qualitativi e quantitativi –:
   se il Governo, in un momento, come quello attuale, di spending review e di necessità di ridurre la spesa pubblica nel Paese, ritenga opportuno mantenere ancora un'agenzia come Invitalia, con incarichi a consulenti esterni con mansioni a giudizio dell'interrogante discutibili come quelli descritti in premessa e soprattutto se ritenga congruo il livello retributivo ad essi riconosciuto. (5-04480)


   GIULIETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 dicembre 2013 è stato approvato il decreto ministeriale avente ad oggetto modalità di incentivazione del biometano immesso nella rete del gas naturale, n. 164 che definisce le modalità di incentivazione del biometano immesso nella rete del gas naturale e che è entrato in vigore quasi un anno fa e precisamente il 18 dicembre 2013;
   affinché il cosiddetto «decreto Biometano» sia davvero operativo e i soggetti economici possano capire se l'investimento sia sostenibile o meno occorrono ancora provvedimenti non emanati. Tutto ciò provoca un ritardo che sta peggiorando la crisi di aziende del settore con inevitabili ripercussioni negative sull'occupazione;
   ulteriori provvedimenti sul biometano avrebbero dovuto essere emanati da istituzioni ed enti. Un ruolo di primo piano è stato affidato all'Autorità per l'energia, il gas e il sistema idrico (AEEGSI) che non ha rispettato le scadenze temporali richieste (regolamento attuativo, delibera che deve fissare le caratteristiche del biometano, delibera che deve stabilire come ripartire alcuni costi di connessione tra i soggetti produttori del biometano e i soggetti gestori delle reti di trasporto e di distribuzione del gas naturale);
   un elemento chiave senza il quale è impossibile effettuare un'analisi seria e completa di fattibilità tecnico-economica, è rendere finalmente pubblico il valore dei cosiddetti certificati di immissione al consumo di biocarburanti. Al valore di tali certificati, infatti, è legato il livello di incertezza del biometano impiegato come carburante di autotrazione –:
   quali iniziative, per quanto di competenza il Governo intenda mettere in atto per giungere al più presto al completamento dell’iter normativo sul biometano. (5-04481)

Interrogazione a risposta scritta:


   CAPARINI, BUSIN, MOLTENI, ALLASIA e ATTAGUILE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a seguito del passaggio dalla trasmissione analogica al digitale terrestre sono innumerevoli le difficoltà di ricezione del segnale, in particolare dei canali RAI, riscontrate in ampie aree del Paese; nella provincia di Biella, non è ancora possibile godere della visione dei programmi televisivi RAI nonostante paghino regolarmente il canone. Il 1o agosto 2013 è stato siglato un accordo fra AGCOM, Ministero e RAI che, modificando alcune assegnazioni delle frequenze, avrebbe dovuto risolvere nei prossimi mesi le problematiche interferenziali ai danni del Multiplex 1, Piemonte incluso, e che le graduatorie stilate dallo stesso Ministero per l'assegnazione delle frequenze alle emittenti locali in Piemonte e Lombardia pubblicate avrebbero potuto, inoltre, modificare a breve il quadro pianificatorio risolvendo parte delle interferenze evidenziate;
   a Crespadoro (Vicenza) sono numerosi i problemi riferiti alla ricezione del segnale Rai, che in molti casi si limita ai 3 canali principali, anziché ai 15 pubblicizzati. La concessionaria, nel rispondere alle denunce dei cittadini ha semplicemente spiegato che la mancata visione dei vari canali è dovuta ad una mancanza di copertura del territorio per la quale non è responsabile la concessionaria pubblica;
   nei comuni facenti parte del la comunità montana della Valsassina, Val D'Esino e della Valvarrone in provincia di Lecco, comprendente 28 comuni per un totale di circa 20 mila abitanti che nel periodo turistico raggiungono le 100 mila presenze, perdurano le difficoltà di ricezione che rimangono gli stessi già fruibili con la vecchia tecnologia di trasmissione. Nel contempo gli operatori concorrenti il sistema radiotelevisivo nazionale (su tutti Mediaset e La 7) hanno provveduto ad ottimizzare l'emissione del segnale permettendo così la perfetta ricezione e visione dei relativi canali televisivi;
   in provincia di Rimini disfunzioni di diversa natura, spesso legate a specifiche condizioni meteorologiche. In alcune zone del territorio ulteriori segnali arrivano e interferiscono anche da altre regioni, come nel caso delle interferenze provocate dal ripetitore di Udine in Friuli Venezia Giulia, mentre recentemente sono stati segnalati un problema di abbassamento di potenza del ripetitore localizzato a San Marino e problemi al ripetitore di Monte Nerone;
   rispondendo a numerose interrogazioni in materia relative alla scarsa o assente copertura del segnale presentate presso la Commissione di vigilanza RAI, l'azienda concessionaria per l'area oggetto dell'interrogazione ha confermato l'esistenza delle problematiche interferenziali precisando di aver ripetutamente informato il Ministero dello sviluppo economico della questione;
   qualunque sia la causa alla base del problema della mancata ricezione del segnale RAI i cittadini convengono che non siano state attivate azioni mirate al fine di garantire una reale situazione di accesso al nuovo sistema che doveva offrire, nelle dichiarazioni iniziali, maggiori servizi, portando ad un miglioramento della situazione preesistente (tanto che a questo scopo sono state destinate alla RAI, negli ultimi anni, ingenti risorse ad esempio, nel decreto-legge n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011, circa 60 milioni di euro);
   la Rai, in qualità di concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, così come previsto dall'articolo 45 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, dovrebbe svolgere un servizio pubblico sul territorio italiano, sulla base di un contratto nazionale stipulato con il Ministero delle comunicazioni, assicurando a tutti i cittadini la possibilità di usufruirne;
   la discordanza fra quanto espresso nel contratto di servizio e la realtà dei fatti mina la credibilità e la trasparenza del sistema radiotelevisivo pubblico, e ne mette in dubbio l'affidabilità;
   in Commissione Trasporti della Camera dei deputati giace una risoluzione che impegna il Governo a consentire alle emittenti locali la trasmissione di marchi, programmi o palinsesti di emittenti nazionali, misura che consentirebbe di risolvere l'annosa questione della carenza frequenziale della concessionaria pubblica radiotelevisiva nelle aree marginali del Paese –:
   quali azioni di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere per far sì che il diritto di accesso alle reti del servizio pubblico radiotelevisivo sia garantito, attraverso la trasmissione in tecnica digitale terrestre, a tutti i cittadini italiani con copertura integrale sul territorio, così come previsto dall'articolo 45 del decreto legislativo n. 177 del 2005 e dal contratto di servizio stipulato tra l'azienda e il Ministero. (4-07545)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Palazzotto e altri n. 1-00675, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bossa.

Apposizione di firme ad una mozione e indicazione dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Locatelli ed altri n. 1-00627, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Albanella, Albini, Amoddio, Beni, Bergonzi, Bossa, Bruno Bossio, Carrozza, Cova, Damiano, Fassina, Fossati, Giorgis, Grassi, Iori, Laforgia, Lauricella, Martelli, Marzano, Mattiello, Mauri, Miotto, Nicchi, Pinna, Rossi, Tidei, Venittelli, Zoggia. Contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Locatelli, Di Lello, Albanella, Albini, Amoddio, Beni, Bergonzi, Bossa, Bruno Bossio, Capelli, Carrozza, Catalano, Cova, Damiano, Di Gioia, Di Salvo, Fassina, Fava, Fossati, Furnari, Giorgis, Grassi, Iori, Labriola, Lacquaniti, Laforgia, Lauricella, Lavagno, Lo Monte, Martelli, Marzano, Mattiello, Mauri, Migliore, Miotto, Nardi, Nicchi, Ottobre, Pastorelli, Piazzoni, Pilozzi, Pinna, Plangger, Rossi, Tidei, Venittelli, Zan, Zoggia».

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Taricco e altri n. 7-00564, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cenni.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Bossa e Sgambato n. 5-00344, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Piccoli Nardelli.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Vezzali n. 5-04053, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Molea.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Parentela e Nesci n. 5-04408, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Dieni.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Prodani n. 1-00047, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 20 del 21 maggio 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    il porto franco di Trieste ha una lunga tradizione storica, avendo ottenuto il suddetto status dall'imperatore austriaco Carlo VI nel 1719. Tale regime è rimasto prerogativa del porto di Trieste anche in seguito al passaggio al Regno d'Italia dopo la Prima guerra mondiale;
    al termine della Seconda guerra mondiale – con il Trattato di Pace di Parigi del 1947 (allegato VIII), la risoluzione n. 16/1947 dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e il Memorandum di Londra del 1954 – il porto triestino ha conservato le sue peculiarità e i vantaggi derivanti dal mantenimento della legislazione speciale sia doganale che fiscale, con cinque punti franchi che godono dell'extraterritorialità doganale;
    gli articoli dall'1 al 20 dell'allegato VIII prevedono impegni precisi per l'Italia riguardo alla natura di tale porto, come la sua accessibilità «per l'uso in condizioni di eguaglianza per tutto il commercio internazionale», la sua amministrazione e la garanzia del regime di completa libertà di transito delle merci;
    l'articolo 5 del successivo Memorandum di Londra ha riconosciuto la validità dei dettami contenuti negli articoli dall'1 al 20 del sopracitato allegato VIII al Trattato di Pace;
    il superamento del Memorandum di Londra, da parte del Trattato di Osimo (1975), in merito ai rapporti tra l'Italia e l'allora Jugoslavia, non ha modificato quanto stabilito in relazione agli obblighi dell'Italia sul porto franco di Trieste;
    le peculiarità che distinguono quest'ultimo ed i suoi punti franchi vengono fatte salve nella legge n. 84 del 1994, sul «Riordino della legislazione in materia portuale», in ottemperanza al preciso obbligo assunto dal Governo italiano con la sottoscrizione dei trattati internazionali sopracitati;
    ad oggi il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti non ha emanato il decreto sull'organizzazione amministrativa del porto di Trieste, previsto nell'articolo 6, comma 12, della legge sopracitata;
    l'introduzione delle norme speciali per il porto di Trieste all'interno della legislazione portuale – attraverso il decreto previsto dalla legge n. 84 del 1994 e mai emanato – oltre a mettere fine alle incertezze sull'applicazione della normativa di agevolazione riservata allo speciale regime del relativo porto franco, darebbe piena attuazione alla riforma, finora incompiuta, del sistema portuale italiano e la necessaria, quanto dovuta, chiarezza normativa necessaria per il pieno sviluppo della portualità triestina;
    la mancata valorizzazione del punto franco nord, noto come porto vecchio, ed il suo progressivo declino dimostrano quanto gli impegni del Governo a mantenere il porto in perfetta efficienza siano stati disattesi. Tale problema è stato messo in evidenza quando, nel maxi emendamento alla legge di stabilità per il 2015, sono state inserite delle disposizioni riguardo alla sdemanializzazione per legge di gran parte dei 60 ettari rientranti nel perimetro del porto vecchio di Trieste nonché il trasferimento in altra area ancora da individuare, senza l'esplicito e doveroso coinvolgimento dell'autorità portuale, del punto franco;
    le disposizioni contenute nel maxiemendamento approvato – oltre a sancire per legge la fine della pubblica utilità dell'area in assenza di qualche pronunciamento precedente delle autorità competenti e senza il consenso della popolazione attraverso pronunciamenti ufficiali degli organi elettivi – destano delle preoccupazioni anche in relazione a contenuti che abbiano come oggetto una questione delicata come la trattazione dei punti franchi triestini regolati da specifici vincoli internazionali. Oltretutto, al patrimonio disponibile del comune di Trieste, la cui valutazione economica è strettamente connessa alla progettualità strategica ancora da stabilire per l'area, andrà trasferito un comprensorio decisamente superiore alle sue capacità finanziarie. Risulta evidente come l'immissione improvvisa del milione di metri cubi del porto vecchio di Trieste sul mercato immobiliare creerà delle criticità sul valore immobiliare dell'intero patrimonio cittadino pubblico e privato già interessato da un eccesso di offerta in particolare di grandi immobili storici;
    a tale situazione di prospettive tradite per il capoluogo giuliano si aggiunge la mancata attuazione della legge n. 19 del 1991 per quanto riguarda il centro off-shore del porto vecchio, in seguito a un estenuante rimpallo di responsabilità tra istituzioni italiani ed europee;
    la mancata attuazione delle disposizioni a favore del porto di Trieste risulta tra l'altro incomprensibile in seguito alla segnalazione, da parte del Governo, del progetto per un terminal off-shore del porto di Venezia quale priorità nazionale eleggibile per i finanziamenti della Banca europea per gli investimenti sotto il cosiddetto «Piano Juncker», scelta che ha scatenato la guerra tra i due scali. Si auspica, invece, che i due porti dell'Alto Adriatico possano essere inseriti in una visione strategica complessiva che permetta di competere con i grandi porti del nord Europa;
    l'articolo 4, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 107 del 2009 ed il successivo decreto ministeriale 24 dicembre 2012, nell'indicare in via generale i parametri di riferimento per l'adeguamento delle tasse e dei diritti marittimi in tutti i porti nazionali, ha introdotto una rilevante differenziazione fra il trattamento riservato al complesso dei porti nazionali ed il porto franco di Trieste, nel quale l'aumento delle tasse e dei diritti marittimi è pari al 100 per cento del tasso d'inflazione, anziché del 75 per cento come negli altri scali;
    tale trattamento difforme e discriminante riservato allo scalo giuliano, oltre a disattendere quanto stabilito nella normativa speciale a cui è sottoposto il porto di Trieste, è foriero di rilevanti danni economici per tutti coloro che operino nell'ambito dei punti franchi ed è attualmente oggetto di un ricorso al Consiglio di Stato;
    gli avvisi esplorativi alla vendita di cui attualmente sono oggetto Adriafer srl e Porto Servizi spa – entrambe società concessionarie di servizi primari all'interno del porto, che pertanto sarebbe opportuno che restassero in capo all'Autorità portuale di Trieste – potrebbero rappresentare ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo delle violazioni degli obblighi in merito all'amministrazione del porto franco, derivanti dall'allegato VIII al Trattato di pace;
    il mandato dell'attuale presidente dell'autorità portuale di Trieste è in scadenza il 19 gennaio 2015, circostanza che rende quanto mai urgente l'immediata nomina di un nuovo presidente che goda della piena fiducia delle istituzioni locali, in modo da tutelare la continuità amministrava ed evitare un logorante periodo di commissariamento che potrebbe avere come principale obiettivo quello di far slittare la nomina fino alla più volte annunciata riforma del sistema portuale;
    vista la posizione geografica di Trieste quale importante crocevia per sistemi intermodali nave-rotaia e la specificità dei fondali di cui dispone, il ruolo del capoluogo giuliano e del suo porto potrebbe trarre un grandissimo vantaggio strategico dall'estensione fino a Trieste del progetto della joint venture OBB – Breitspur Planungsgesellschaft mbH per la costruzione di una rete ferroviaria a scartamento largo da Košice (Slovacchia) a Bratislava e Vienna che ha per obiettivo quello di potenziare i volumi di traffico, migliorare i collegamenti diretti e ridurre il tempo del trasporto merci tra Asia ed Europa;
    risulta evidente come l'Italia dovrebbe considerare l'eccezionalità di un porto quale quello di Trieste, sia dal punto fisico che giuridico che fiscale, quale un'importantissima risorsa da valorizzare, una risorsa che, se sostenuta in maniera dovuta e in rispetto agli obblighi internazionali assunti dall'Italia, rappresenterebbe con assoluta certezza un elemento cardine della ripartenza economica di tutto il territorio nazionale;
    si ritiene necessario attivare politiche attive nei confronti della regione autonoma Friuli Venezia Giulia per avviare una concreta ripresa economica di tale territorio, che possa altresì favorire il tessuto economico-sociale del resto del Paese;
    al riguardo, si evidenzia che, in data 11 luglio 2014, è stato approvato dalla giunta regionale il «piano di sviluppo industriale FVG Rilancimpresa» che prevede, in particolare, riforme dei distretti industriali e dei consorzi, nonché generiche linee di intervento rispetto al sistema produttivo, che non sono assolutamente idonee e sufficienti per favorire un'incisiva ripresa economica e occupazionale, in considerazione delle prioritarie e specifiche problematiche che affliggono il Friuli Venezia Giulia;
    pertanto, oltre alla concreta attuazione e potenziamento della zona franca del porto di Trieste, va adottato un più ampio progetto che preveda l'attuazione di zone franche urbane nella fascia di confine della regione autonoma in questione;
    è noto che le zone franche urbane istituite dalla legge finanziaria 2007 (legge 24 dicembre 2006, n. 296, articolo 1, comma 340) sono aree infra-comunali di dimensione minima prestabilita dove si attuano programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e micro imprese, il cui intento prioritario è favorire lo sviluppo economico e sociale di quartieri ed aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico e occupazionale, e con potenzialità di sviluppo di difficile realizzazione proprio a causa di determinate peculiarità del territorio di interesse;
    la zona franca è uno status giuridico riconosciuto, dunque, sulla base di parametri socio-economici quali: essere territori ultraperiferici, a rischio spopolamento e con situazione socioeconomica di sottosviluppo. Tali condizioni danno luogo al diritto di ottenere misure eccezionali per rivitalizzare l'economia delle aree interessate, attraverso il riconoscimento di un regime fiscale di favore che vuole attivare strumenti e forme di compensazione per consentire alle aree disagiate di mettersi alla pari con il resto del territorio nazionale;
    al riguardo, il Friuli Venezia Giulia nella fascia territoriale di confine accusa notevoli disagi a livello socio-economico. La situazione di tale area è divenuta ancora più critica con l'attuale crisi economica nazionale ed internazionale, che ha determinato ulteriori e gravi difficoltà alla popolazione residente, sia a livello occupazionale sia commerciale, con un sostanziale aumento della concorrenza tra Stati con un trattamento fiscale più favorevole per una moltitudine di beni e servizi attuato oltre il confine;
    sicché, le zone di frontiera situate lungo la fascia confinaria del Friuli con la Slovenia e con l'Austria – Trieste, Gorizia, Cividale e Tarvisio – sono gravemente penalizzate dal trattamento fiscale e contributivo più favorevole applicato oltre la linea di confine;
    sul punto, un'indagine condotta da Confartigianato nell'anno 2014 sostiene l'impossibilità di competere per le imprese regionali con le dirette concorrenti che operano oltre confine, proprio a causa della differente pressione fiscale, che può raggiungere addirittura il 65,8 per cento, indice che scende al 32,5 per cento in Slovenia e al 52,4 per cento in Austria. Inoltre, l'indagine mette in evidenza che la posizione di tali imprese viene aggravata da i maggiori costi del sistema imprenditoriale italiano sul costo del lavoro e sull'energia elettrica, nonché dalla lentezza delle procedure a causa dell'apparato burocratico italiano;
    orbene, rispetto alle aree in questione, Trieste, Gorizia, Cividale e Tarvisio, situate lungo la fascia confinaria del Friuli con la Slovenia e con l'Austria, bisogna intervenire con provvedimenti idonei, per risollevare un'economia gravemente provata e, dunque, favorire i settori dell'industria, artigianato, commercio e turismo, richiamando persone e imprese attraverso più favorevoli condizioni fiscali;
    tali interventi consentirebbero l'incentivazione dei consumi e la promozione occupazionale impedendo l'emigrazione dei residenti e la delocalizzazione delle imprese, fenomeni che ormai da tempo risultano sempre più preoccupanti in tali zone territoriali,

impegna il Governo:

   ad emanare immediatamente il decreto attuativo – previsto dall'articolo 6, comma 12, della legge n. 84 del 1994 – per l'organizzazione amministrativa dei punti franchi del porto di Trieste, che da oltre 20 anni attendono tale atto per dare piena attuazione a una riforma – finora incompiuta – del sistema portuale italiano e a garanzia della certezza del diritto necessario per il pieno sviluppo delle attività portuali triestine;
   ad assumere iniziative per apportare – prima di procedere con la realizzazione di quanto indicato dalla legge di stabilità 2015 in relazione al porto di Trieste – le necessarie e dovute modifiche, prevedendo il necessario accordo e la necessaria pianificazione strategica delle istituzioni sul futuro del porto vecchio, nel rispetto dei vincoli internazionali che regolano i punti franchi triestini;
   a rivedere – attraverso un'iniziativa normativa urgente – i contenuti dell'articolo 4, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 107 del 2009 e del successivo decreto ministeriale 24 dicembre 2012, facendo valere gli impegni assunti a livello internazionale riguardo al regime speciale dei punti franchi del porto di Trieste;
   ad assumere iniziative per sospendere immediatamente le procedure di vendita coinvolgenti le società Adriafer srl e Porto Servizi spa, ribadendo che la proprietà delle società che gestiscono servizi primari restino in capo all'autorità portuale;
   a nominare subito – alla scadenza del mandato dell'attuale presidente dell'autorità portuale di Trieste – il successore nel pieno possesso dei poteri, a garanzia di un impegno di lungo periodo, evitando l'incertezza di un periodo di commissariamento;
   a dare attuazione alla legge n. 19 del 1991 per quanto riguarda l’off-shore del porto vecchio di Trieste;
   a prendere in considerazione l'inserimento di Trieste nei progetti ferroviari internazionali – in particolare della joint venture OBB – Breitspur Planungsgesellschaft mbH per la costruzione di una rete ferroviaria a scartamento largo da Košice a Bratislava e Vienna – in modo da rilanciare il ruolo del porto quale nodo commerciale intermodale;
   a provvedere – ai sensi dell'articolo 1, comma 340, della legge 24 dicembre 2006, n. 296, alla costituzione di zone franche, in via sperimentale e temporanea, per un periodo non inferiore a tre anni, nei territori dei comuni di Trieste, Gorizia, Cividale e Tarvisio della regione autonoma Friuli Venezia Giulia, al fine di contrastare la situazione di svantaggio di tali realtà territoriali dovute alla concorrenza di regimi più vantaggiosi, in particolare quelli fiscali, che vigono in Austria e Slovenia.
(1-00047)
(Nuova formulazione) «Prodani, Pellegrino, Rizzetto, Fantinati, Da Villa, Crippa, Mucci, Malisani, Sandra Savino, Businarolo».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Mantero n. 1-00594, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 293 del 18 settembre 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    il gioco d'azzardo patologico è stato riconosciuto ufficialmente come patologia nel 1980 dall'Associazione degli psichiatri americani ed è stato classificato nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali IV come «disturbo del controllo degli impulsi non classificati altrove», tanto che nell'edizione di maggio 2013 del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali è stato inquadrato nella categoria delle cosiddette «dipendenze comportamentali»;
    il fenomeno del gioco d'azzardo patologico riguarda le fasce della popolazione più deboli quali i disoccupati, i giovani, i pensionati e gli indigenti, come dimostrano i dati forniti dall'Eurispes;
    con la liberalizzazione del mercato portata avanti dai Governi che si sono succeduti negli ultimi anni, non si è avuto alcun reale beneficio per le casse pubbliche: infatti, dalla documentazione consegnata dal direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli alla VI Commissione parlamentare (Finanze) della Camera dei deputati nel giugno del 2013, si rileva come negli ultimi anni, a fronte dell'aumento esponenziale del fatturato delle società attive nel settore, viene rilevato: la diminuzione delle entrate erariali, il mancato gettito d'iva conseguente alla diminuzione dei consumi, i costi indiretti necessari per la cura delle vittime da gioco d'azzardo patologico e non ultimi i costi sociali per il sostegno alle famiglie per lo più a carico dei comuni;
    le stime riguardanti il gioco d'azzardo in Italia indicano la sua progressiva diffusione sul territorio nazionale; per l'anno 2012, nel nostro Paese, nel business dell'azzardo sono stati spesi circa 88 miliardi di euro, oltre 6 volte rispetto ai 14 miliardi di euro spesi nel 2000, questo ne fa la terza industria nazionale con il 4 per cento del prodotto interno lordo prodotto. Tali cifre rendono l'Italia il terzo Paese al mondo per quote di denaro speso nel gioco d'azzardo e il primo nell'Unione europea;
    nel nostro Paese, sono circa un milione i giocatori patologici e altri tre milioni di persone si trovano in una situazione di rischio e necessitano cure, attività di prevenzione e sostegno sociale, da parte delle autorità locali civili e sanitarie, secondo quanto riportato dal Consiglio nazionale delle ricerche in un'analisi dei dati Opsad Italia 2010-2011;
    nonostante il notevole impatto sociale e sanitario, continuano ad essere autorizzati e pubblicizzati nuovi giochi che attentano allo stato di crisi che molte famiglie sono costrette a vivere, come da ultimo la nuova lotteria Sisal «Vinci casa», un gioco che fa leva sulle paure dei cittadini sempre più in balia della crisi economica, in un momento in cui l'emergenza abitativa ha raggiunto livelli senza precedenti in Italia;
    dal 7 febbraio 2011, è iniziata la sperimentazione dei biglietti «Gratta e Vinci» anche negli uffici postali, mediante un accordo tra Lottomatica group spa e Poste italiane, generando un problema di regolamentazione; invero, come riportato da alcune testate giornalistiche, secondo parte della giurisprudenza di diritto del lavoro, il problema è di discriminare le attività strettamente connesse al servizio universale postale rispetto a quelle di natura commerciale-finanziaria-ludica (gratta e vinci) peculiari dell'ufficio postale standard. Un servizio pubblico che incentiva una piaga sociale è intollerabile, dato che è stato provato che la riduzione dell'offerta sia l'arma più importante per combattere il gioco d'azzardo patologico;
    gli studi hanno evidenziato che tra i soggetti più a rischio ci sono gli anziani che sono anche tra i maggiori utenti degli uffici postali;
    vi sono, inoltre, sale bingo con servizio di babysitting, dove i genitori possono lasciare i figli in «parcheggio» mentre giocano, come il caso di Cesano Maderno (in provincia di Monza e della Brianza), dove i locali sono separati ma comunque in un'unica stessa struttura, e di Lovere (in provincia di Bergamo), in cui si trova un ristorante e discobar con annessa sala gioco dove famiglie, giocatori e bambini condividono gli stessi spazi;
    da un articolo apparso sul sito post.it si apprende che i giornalisti della Gazzetta dello Sport protestano per la nascita di un'agenzia di scommesse sportive addirittura interna al gruppo RCS, ipotizzando un conflitto d'interessi;
    stando a quanto riportato nel comunicato, GazzaBet sarà un'agenzia di scommesse sportive on-line interna al gruppo RCS ma gestita da un operatore esterno, così da sfruttare il marchio e il nome Gazzetta dello Sport;
    i giornalisti della Gazzetta dello Sport che contestano l'iniziativa hanno sollevato una serie di questioni «di carattere etico, giuridico e deontologico» e una – piuttosto consistente – legata a un possibile conflitto di interesse che si verrebbe a creare all'interno di RCS. Infatti tra gli azionisti del gruppo RCS ci sono anche diversi proprietari di importanti club della Serie A di calcio come l'Inter, la Juventus, la Fiorentina e il Torino; i giornalisti temono dunque che questa condizione possa compromettere l'indipendenza del giornale;
    le ricerche della Direzione nazionale antimafia segnalano cifre allarmanti anche per quanto riguarda il coinvolgimento delle mafie e il gioco illegale: infatti, secondo una ricerca, ammonterebbe a 15 miliardi di euro il fatturato, stimato, del gioco illegale nel 2012;
    un'infiltrazione, quella della mafia, confermata, oltre che dalle indagini giudiziarie e dalle notizie di cronaca, anche da studi e ricerche compiuti da associazioni e da esperti nel settore, dalle relazioni pubblicate dalle medesime forze dell'ordine, tra le quali anche la Direzione nazionale antimafia, e dal lavoro svolto dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, soprattutto nei settori più redditizi del sistema, quali gli apparecchi da intrattenimento (new slot e videolottery, di cui circa 200 mila sarebbero illegali), le scommesse sportive e il gioco on-line;
    la criminalità organizzata utilizza il gioco d'azzardo attraverso diversi canali: sia come business, gestendo direttamente sale gioco, sia utilizzando gli strumenti per loro tradizionali e, dunque, costringendo gli esercenti – con la forza dell'intimidazione – a noleggiare gli apparecchi dalle ditte vicine al clan; ma la criminalità ha anche fatto ricorso, per aumentare gli introiti, alla gestione di apparecchi irregolari. Uno dei modi utilizzati per il riciclo di denaro riguarda l'utilizzo delle videolottery, macchinette che accettando banconote, anche di grosso taglio, e, rilasciando ticket, non distinguono tra vincite e denaro immesso, consentendo al giocatore di ritirare il denaro anche senza aver giocato effettivamente, ottenendo, quindi, di fatto, denaro ripulito,

impegna il Governo:

   ad assumere un'iniziativa normativa che vieti l'apertura delle sale da gioco ovvero locali commerciali con slot, vicino ai luoghi definiti sensibili, stabilendo un minimo di 500 metri di distanza, per combattere il proliferare delle slot;
   ad assumere iniziative per obbligare i gestori di sale a chiedere un documento d'identità, per impedire il gioco ai minori, oltre a garantire il libero accesso nei luoghi aperti al gioco agli psicologi delle asl;
   ad evitare autorizzazioni di nuove tipologie di gioco, come ad esempio il «Vinci Casa», che inevitabilmente provocano illusioni in coloro che non hanno un tetto o altro dove vivere e per sopravvivere;
   ad intervenire, per quanto di competenza, affinché all'interno degli uffici di Poste Italiane venga rimossa la vendita di «gratta e vinci» mediante distributori e operatori;
   ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, al fine di evitare il riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite tramite il gioco d'azzardo e, nella fattispecie, le videolottery;
   ad aprire un tavolo, in sede di Conferenza unificata, per valutare la possibilità di ridurre i locali del gioco d'azzardo in città, in base al numero degli abitanti;
   ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, finalizzate ad impedire conflitti di interesse come quelli denunciati in premessa riguardanti l'agenzia di scommesse sportive interna al gruppo RCS, nonché ulteriori disagi economici e sociali che ne potrebbero derivare;
   ad avviare uno studio epidemiologico di concerto con l'Osservatorio nazionale sulla dipendenza da gioco d'azzardo patologico, trasferito con l'approvazione della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015) presso il Ministero della salute, per accertare tutti i costi diretti ed indiretti sostenuti dallo Stato per prevenire e curare la dipendenza da gioco d'azzardo patologico, con particolare riferimento ai costi sociali, economici e psicologici ad essa associati, nonché ai relativi fattori di rischio, in relazione alla salute dei giocatori e all'indebitamento delle famiglie, trasmettendo al Ministro della salute un rapporto annuale sull'attività svolta.
(1-00594)
(Nuova formulazione) «Mantero, Baroni, Grillo, Di Vita, Silvia Giordano, Cecconi, Lorefice, Dall'Osso, Liuzzi, Simone Valente, Battelli».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Fedriga n. 1-00607, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 304 del 7 ottobre 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    gli studi di settore consistono di elaborazioni statistiche, economiche e matematiche sulla base dei quali l'Agenzia delle entrate stima un ammontare di ricavi per ciascun settore economico;
    nel corso degli ultimi anni, in particolare dall'inizio della crisi economica e finanziaria, l'applicazione pedissequa da parte delle agenzie fiscali degli studi di settore come strumento per decidere automaticamente l'adeguatezza delle dichiarazioni dei redditi, anziché come mero parametro di statistico di analisi, ha portato a distorsioni evidenti;
    le difficoltà economiche peculiari di molte aziende non sono in alcun modo considerate né considerabili nello strumento dello studio di settore, che è diventato, dunque, da strumento di semplificazione fiscale, un elemento di rigidità ed una fonte di ulteriori aggravi negli adempimenti fiscali delle aziende;
    il crollo della redditività delle imprese durante l'attuale crisi economica rende, di fatto, oggi gli studi di settore inutilizzabili e non aderenti alla realtà, tanto che dal 2009 in avanti si è assistito ad una contrazione crescente delle dichiarazioni che decidono di adeguarsi ai parametri degli studi di settore;
    sui redditi 2006 e 2007 oltre 600 mila partite iva avevano integrato i ricavi dichiarati in modo da risultare conformi al software Gerico ed evitare contenziosi con il fisco;
    nel 2008 coloro che avevano scelto gli «adeguamenti» erano stati 520 mila;
    nel 2009 ancora meno, 420 mila, sino a scendere nel 2012 a 330 mila;
    non è noto il dato di quanti hanno negli stessi anni deciso di chiudere la partita iva proprio perché troppo onerosa, a causa della presunzione di reddito degli studi di settore;
    nel 2011 si è garantito uno «scudo» dagli accertamenti a coloro che si allineavano ai minimi di entrate previsti per il settore;
    già nel 2009 la Corte di cassazione ha stabilito che la forza probatoria degli studi di settore può considerarsi mera «presunzione semplice», per cui essi non potrebbero essere utilizzato a fini di accertamento;
    la stessa Corte dei conti, nella sua relazione sul rendiconto dello Stato per l'anno 2013, ha testimoniato la perdita di efficacia di questo strumento,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per sospendere entro tempi rapidissimi l'applicazione degli studi di settore.
(1-00607)
(Nuova formulazione) «Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Simonetti».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza urgente Rondini n. 2-00797 dell'8 gennaio 2015.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Caparini e altri n. 5-02028 del 30 gennaio 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-07545;
   interrogazione a risposta in Commissione Nastri n. 5-02199 del 20 febbraio 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-07522;
   interrogazione a risposta scritta Bonavitacola n. 4-07168 del 4 dicembre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04476.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2, del Regolamento).

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Gagnarli n. 4-05628 del 22 luglio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04468.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ALBANELLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal prossimo 1° ottobre 2014 la compagnia aerea Air One ha deciso di chiudere la sede di Catania nella regione Sicilia e di cancellare i voli diretti per Monaco, Mosca, Berlino, Amsterdam, Parigi, San Pietroburgo, Düsseldorf, Praga; il volo diretto per Londra, assorbito da Alitalia, sarà previsto nella sola giornata di sabato; soppressi anche i voli nazionali per Bologna, Torino, Venezia e Verona; restano i voli per Roma, Milano e Pisa, assorbiti da Alitalia; analoghi tagli potrebbero subire, a breve, i voli dell'aeroporto Falcone e Borsellino di Palermo; pesanti sono i disagi per gli utenti, che per raggiungere tali destinazioni dovranno fare scalo presso altri aeroporti con aumento dei costi e dei tempi di viaggio e gravissime le conseguenze per il turismo e per l'economia della regione;
   dal 24 settembre il collegamento tra Torino e Catania sarà servito solo dalla compagnia Ryanair, con un unico volo al giorno, nonostante la rotta fra Torino e Catania sia la seconda, per numero di passeggeri, da Caselle, dopo la Torino-Roma (l'anno scorso 284.238 passeggeri da e per Catania –146.427 in direzione nord-sud e 138.211 da sud a nord, con una media di 778 passeggeri al giorno); molti passeggeri dovranno recarsi a Milano per utilizzare i collegamenti da Linate o da Malpensa, oppure saranno costretti a fare scalo a Fiumicino o a Napoli o ad utilizzare il treno;
   la Sicilia, come gran parte del mezzogiorno, non ha treni veloci, né una rete efficiente di collegamenti stradali e autostradali che possa rendere agevole l'utilizzo di altri scali nazionali;
   appare essenziale e non più rinviabile un'immediata ed efficace azione di politica dei trasporti in generale e del trasporto aereo in particolare per ridurre la perifericità — geografica ed economica — dei territori meridionali e garantire la continuità territoriale delle isole –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere per garantire la continuità e il potenziamento dei collegamenti aerei nazionali e internazionali con la Sicilia e con l'intero mezzogiorno. (4-06310)

  Risposta. — In risposta al quesito posto dall'interrogante circa i collegamenti aerei nazionali e internazionali con la Sicilia e l'intero mezzogiorno, occorre premettere che il mercato del trasporto aereo trova, a livello comunitario, la propria disciplina nel regolamento n. 1008/2008 del 24 settembre 2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, recante norme comuni per le prestazioni di servizi aerei nella Comunità.
  In base a tale regolamento, che si pone come finalità quella di governare in modo uniforme il graduale e progressivo processo di liberalizzazione del trasporto aereo attraverso la definizione di regole certe e comuni a tutti gli operatori del settore, i vettori titolari di licenza di trasporto aereo rilasciata da uno Stato membro dell'Unione europea hanno la possibilità di scegliere le rotte sulle quali operare e di fissare le tariffe aeree per il trasporto passeggeri e merci.
  In altri termini, l'opportunità di istituire collegamenti aerei all'interno del territorio europeo è devoluta a logiche imprenditoriali e di mercato che si inquadrano in una dimensione concorrenziale e che, come tale, non consentono all'amministrazione di intervenire sulle scelte operate dalle singole imprese.
  Ciò posto, è bene evidenziare che, proprio su impulso determinante del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sono state emanate norme finalizzate a rendere più trasparenti gli accordi tra operatori al fine di evitare comportamenti potenzialmente distorsivi delle dinamiche concorrenziali.
  In particolare, si richiamano i commi 14 e 15 dell'articolo 13 del decreto legge n. 145 del 2013 (Interventi urgenti di avvio del piano Destinazione Italia, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015) e relativa legge di conversione, nei quali commi si prevede espressamente che i gestori di aeroporti che stringono rapporti commerciali con vettori aerei in funzione dell'avviamento e dello sviluppo di rotte destinate a soddisfare e promuovere la domanda nei rispettivi bacini di utenza, devono esperire procedure di scelta del beneficiario trasparenti e tali da garantire la più ampia partecipazione dei vettori potenzialmente interessati, secondo modalità da definirsi con apposite linee guida adottate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sentiti l'autorità di regolazione dei trasporti e l'Ente nazionale per l'aviazione civile.
  I gestori aeroportuali dovranno comunicare all'autorità di regolazione dei trasporti e all'ENAC l'esito delle procedure previste dal citato comma 14, ai fini della verifica del rispetto delle condizioni di trasparenza e competitività.
  Peraltro, ad ottobre 2014 sono state pubblicate le menzionate linee guida, consultabili anche sul sito web del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che consentiranno all'impianto normativo sopra descritto di esplicare pienamente i propri effetti, dotandolo di reale operatività, sotto la stretta vigilanza dell'ENAC e delle competenti strutture del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  La disciplina richiamata vale, naturalmente, per le future iniziative commerciali tra operatori del settore mentre, per quelle già esperite, resta fermo il generale potere di controllo e vigilanza svolto dall'ENAC su gestori aeroportuali e vettori in ordine al rispetto delle norme di settore in un contesto di elevata liberalizzazione del mercato.
  Certamente il quadro delineato conferma l'attenzione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti affinché, pur nell'ambito di una competizione economica di mercato, questa si sviluppi secondo logiche concorrenziali e non discriminatorie.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   ATTAGUILE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la situazione del trasporto pubblico locale ferroviario nella regione siciliana da molti anni soffre di una gestione inadeguata, risultato di un servizio scadente offerto dal gestore Trenitalia e, dall'altro lato di quella che all'interrogante appare una mancanza di volontà o di capacità da parte del soggetto titolare del servizio e di esso responsabile, la regione siciliana;
   in molte stazioni non principali, tra cui Patti (ME), anche la gestione della stazione ferroviaria è quantomeno discutibile e fonte di disagi per i viaggiatori che di fronte alla frequentissima chiusura della biglietteria sono costretti ad avvalersi quasi esclusivamente delle poche biglietterie automatiche disponibili e spesso fuori servizio;
   in alcune tratte, ad esempio la Messina-Palermo, come segnalato da molti passeggeri esasperati, il servizio non raggiunge lo standard minimo per un paese civile: numero di carrozze palesemente insufficiente, vetture sporche, fatiscenti, surriscaldate, sovraffollate, che costringono a viaggiare in piedi bambini, anziani, persone in difficoltà;
   la regione avrebbe tutto il titolo ma anche l'obbligo di agire contro il gestore per garantire un servizio pubblico accettabile;
   a fare le spese delle mancanze e delle inefficienze di regione e gestore sono i passeggeri che, anziché essere considerati al centro del servizio, vengono invece trattati come merce;
   questo offende la dignità dei passeggeri, in violazione di diritti sanciti da direttive comunitarie e leggi nazionali e regionali, manifestati nelle carte della mobilità del gestore e ribaditi nei contratti di servizio;
   si produce un danno economico ed ambientale, offrendo una squallida immagine ai numerosissimi turisti presenti sui treni in questo periodo estivo e favorendo la scelta dei pendolari di usare al posto del mezzo pubblico auto private  –:
   se il Ministro non ritenga di intervenire urgentemente per quanto di competenza, nei confronti di Trenitalia per ristabilire condizioni normali di fruizione del servizio e per la tutela dei diritti degli utenti di servizi universali in modo da far cessare una modalità di gestione del servizio in contrasto con gli interessi degli utenti. (4-05816)

  Risposta. — In risposta al quesito posto dall'interrogante circa la gestione dei servizi di trasporto ferroviario in Sicilia, occorre premettere che la programmazione dei servizi regionali, i quali assicurano principalmente la mobilità della clientela pendolare, è di competenza delle singole regioni, i cui rapporti con Trenitalia sono disciplinati da contratti di servizio, nell'ambito dei quali vengono definiti il volume e le caratteristiche dei servizi da effettuare, sulla base delle risorse economiche rese disponibili dalle regioni stesse.
  Ad oggi, i servizi ferroviari regionali della Sicilia sono ancora regolati dal contratto di servizio con lo Stato, che disciplina i servizi delle regioni a statuto speciale per le quali non è stato completato il processo di attribuzione delle competenze in materia di trasporto locale.
  In effetti, la Regione siciliana, il Ministero dell'economia e finanze e il Ministero delle infrastrutture e trasporti hanno definito l'accordo di programma per l'attuazione del trasferimento alla Regione dei compiti di programmazione e amministrazione relativamente ai servizi ferroviari di interesse regionale e locale di cui al decreto legislativo n. 422 del 1997; una volta concluso l’iter di attribuzione delle competenze, la Regione siciliana potrà procedere alla sottoscrizione del contratto di servizio.
  In merito alle singole questioni poste, sono state assunte dettagliate informazioni presso il gestore Trenitalia e si riferisce quanto segue.
  Circa la vendita dei titoli di viaggio ferroviari presso la stazione di Patti, si fa presente che:
   il servizio di biglietteria è assicurato da uno sportello aperto dalle ore 7.10 fino alle ore 9.45 e dalle ore 10.00 fino alle ore 14.16 dal lunedì al venerdì;
   in stazione sono anche presenti due biglietterie self-service per l'emissione di biglietti per i treni regionali e di media-lunga percorrenza, entrambe funzionanti con moneta elettronica e contante;
   nel territorio di Patti sono anche attivi 5 punti vendita autorizzati all'emissione dei biglietti del trasporto regionale e agenzie convenzionate;
   l'acquisto dei biglietti ferroviari è possibile anche attraverso canali alternativi di vendita: on-line sul sito di Trenitalia, con ProntoTreno e Samsung SmartTV; inoltre, per alcune tipologie di biglietti regionali (cosiddetti a «serie fissa»), che non hanno alcuna scadenza, l'acquisto può essere effettuato in qualsiasi momento e con largo anticipo;
   a seguito di recenti accordi tra Trenitalia e Lottomatica Italia Servizi (siglato lo scorso mese di luglio) e con la società Sisal (siglato lo scorso novembre) la rete commerciale di vendita si è ulteriormente ampliata: presso le ricevitorie Lottomatica e punti Sisal, su tutto il territorio nazionale – e quindi anche a Patti (7 nuovi punti vendita Lottomatica, 6 nuovi punti vendita Sisal) – è possibile acquistare biglietteria ferroviaria;
   presso alcune stazioni, tra cui quella di Patti, è attualmente possibile regolarizzare a bordo dei treni regionali il pagamento del biglietto senza l'applicazione del sovrapprezzo previsto, a condizione che il viaggiatore avvisi il personale di bordo quando accede sul treno.
  Quanto, poi, alla qualità del servizio offerto, Trenitalia evidenzia che tutto il materiale rotabile impiegato nei servizi di trasporto che interessano il territorio siciliano è conforme ai requisiti di qualità e sicurezza previsti dalla normativa vigente e viene regolarmente sottoposto ad operazioni di manutenzione programmata, secondo piani manutentivi che ciclicamente si ripetono, in base alla percorrenza chilometrica e/o alla scadenza temporale prevista, con varie fasi di controllo, verifiche e interventi effettuati a livelli differenti, che ne determinano il ciclo di utilizzo.
  Infine, sulla base delle più recenti rilevazioni di customer satisfaction (effettuate con cadenza trimestrale da società terza), Trenitalia ha riscontrato che il livello di soddisfazione dei viaggiatori sui servizi regionali della Sicilia mostra un trend in crescita relativamente ai principali indicatori della qualità percepita dalla clientela (pulizia, comfort di viaggio, informazione a bordo treno).
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   BASILIO, CORDA, PAOLO BERNINI e ALBERTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 11 luglio 1978, n. 382 — oggi confluita nel codice dell'ordinamento militare di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 — venivano istituiti per l'Esercito, la Marina, l'Aeronautica, i carabinieri e la guardia di finanza degli organi di rappresentanza di militari suddivisi, a seconda delle competenze, in organo centrale detto COCER, organo intermedio detto COIR e organo di base detto COBAR;
   nel medesimo corpo normativo venivano previste tutta una serie di garanzie e tutele per i delegati dei predetti organismi al fine di vietare tutti quegli atti diretti comunque a condizionare o limitare l'esercizio del mandato dei componenti degli organi della rappresentanza;
   risulta agli interroganti che lo Stato Maggiore della difesa, con lettera prot. n. 1/533 del 19 luglio 2013 a firma del Capo di Stato Maggiore della difesa, ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, abbia richiamato l'intero Consiglio centrale di rappresentanza interforze sia sull'uso dell'abito civile durante i lavori sia all'estesa «discrezionalità» nella partecipazione ad incontri istituzionali, ma anche nell'ordinario esercizio delle funzioni, definendo addirittura «disdicevoli» tali comportamenti;
   a parere degli interroganti, l'iniziativa del Capo di Stato Maggiore della difesa si configura come un chiaro richiamo disciplinare collettivo volto a creare nei delegati un evidente condizionamento gerarchico nell'esercizio del mandato. L'uso degli abiti civili, in particolare per i delegati COCER delle sezioni carabinieri e guardia di finanza, si rende necessario per evitare che gli stessi portino l'arma individuale al seguito, sia all'interno del Consiglio centrale di rappresentanza interforze sia nelle sedi istituzionali a cui i delegati intervengono. Inoltre, è noto che l'accesso di personale militare armato è vietato in Parlamento e in molti ambiti istituzionali;
   dalla lettura del documento in esame, oltre alla questione relativa all'uso dell'uniforme, gli interroganti ritengono che tale lettera può configurare una indebita ingerenza nell'esercizio del mandato della rappresentanza militare da parte del Capo di Stato Maggiore della difesa e sul funzionamento dei consigli stessi, in quanto il richiamo alla «discrezionalità» nella partecipazione ai lavori da parte dei delegati, contemplato dall'articolo n. 913 del decreto del Presidente 15 marzo 2010, n. 90, agirebbe sull'autonomia dei Consigli e degli stessi delegati –:
   se intenda il Ministro interrogato assumere iniziative per revocare quanto previsto nella lettera prot. n. 1/533 del 19 luglio 2013 a firma del Capo di Stato Maggiore della difesa ammiraglio Luigi Binelli Mantelli;
   se intenda procedere celermente ad una modifica delle eventuali disposizioni che regolano l'uso dell'uniforme e la libera partecipazione ad incontri/riunioni da parte dei delegati al fine di lasciare libera «discrezionalità» ai delegati nell'ambito delle proprie funzioni;
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro nei confronti del Capo di Stato Maggiore della difesa e di chiunque agisca in tal senso, al fine di evitare in futuro ogni possibile condizionamento e limitazione, diretta e indiretta, nell'esercizio delle proprie funzioni ai delegati della rappresentanza militare. (4-01584)

  Risposta. — L'articolo 907 del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010, recante il Testo unico dell'ordinamento militare (TUOM), attribuisce la responsabilità della gestione e del corretto funzionamento dell'organo di rappresentanza al presidente del Cocer.
  La lettera a firma del Capo di Stato maggiore della difesa, citata nell'interrogazione, è stata pertanto correttamente indirizzata al Presidente del Cocer, posto che la disposizione normativa dianzi richiamata indica nel presidente stesso l'autorità preposta ad assicurare il buon andamento dei lavori e ad esercitare la funzione di controllo.
  A sua volta, il Capo di Stato maggiore della difesa è l'autorità militare a cui vengono conferite dalla legge peculiari funzioni e competenze: in particolare, ai sensi dell'articolo 25, comma 2, del decreto legislativo n. 66 del 2010, recante il codice dell'ordinamento militare (COM), è attribuito il potere di sovraordinazione gerarchica mentre, ai sensi dell'articolo 89, comma 1, lettera s, del TUOM, il potere di emanare «direttive concernenti l'impiego del personale militare in ambito interforze».
  È in tale sua funzione che, evidentemente, l'ammiraglio Binelli Mantelli ha inteso intervenire per richiamare le norme concernenti l'uso dell'abito civile.
  Al riguardo, si osserva che l'articolo 1351 del COM prescrive che «durante l'espletamento dei compiti di servizio e nei luoghi militari o comunque destinati al servizio è obbligatorio l'uso dell'uniforme, salvo diverse disposizioni», e l'articolo 882, comma 2, del TUOM stabilisce che «tutte le operazioni inerenti le rappresentanze militari sono svolte dal personale per motivi di servizio».
  Da quanto sopra non sembrano emergere i segnalati profili di condizionamento e di limitazione nei confronti dei delegati della rappresentanza militare.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   BASILIO, RIZZO, FRUSONE, ARTINI, CORDA, PAOLO BERNINI e TOFALO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la normativa sulla Rappresentanza militare prevede (articolo 905 del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare) la possibilità di costituire gruppi di lavoro presso ciascun consiglio della rappresentanza per affrontare temi specifici le cui conclusioni sono successivamente sottoposte al Consiglio stesso che delibera in merito;
   è di tutta evidenza che l'attività istruttoria dei gruppi di lavoro è fondamentale per la funzionalità stessa dei Consigli in quanto consente di approfondire in gruppi ristretti tematiche complesse difficilmente affrontabili in sede di Consiglio;
   in tempi recenti si verificano sempre più spesso casi in cui i comandanti, quali autorità affiancate, ostacolino il lavoro di questi gruppi ad hoc rifiutando l'autorizzazione a riunirsi al di fuori del calendario già approvato per l'attività del Consiglio, di fatto rendendone impossibile il buon funzionamento;
   ciò avviene, ad esempio, in modo sistematico per il Consiglio del comando della Capitale la cui autorità affiancata da mesi a quanto consta agli interroganti, esprime parere contrario alle riunioni dei gruppi di lavoro al di fuori del già stringato calendario approvato per il Consiglio, rendendo così di fatto impossibile un proficuo lavoro di entrambi –:
   se il Ministro sia a conoscenza del fenomeno in parola e se esso eventualmente dipenda da direttive di ordine generale impartite ai comandi dagli Stati maggiori;
   se non ritenga opportuno dare disposizioni precise affinché sia la lettera che lo spirito delle norme sulla Rappresentanza militare siano rispettate in modo uniforme e la loro applicazione non dipenda dalla personale interpretazione del singolo comandante. (4-04729)

  Risposta. — L'articolo 905 del Testo unico dell'ordinamento militare stabilisce che «nell'ambito di ciascun consiglio di rappresentanza possono essere costituiti appositi gruppi di lavoro su specifiche materie o problemi, le cui conclusioni sono sottoposte all'approvazione dell'assemblea».
  Si specifica, al riguardo, che la responsabilità delle attività delle sezioni e degli eventuali gruppi risale alle singole forze armate, che provvedono alla gestione delle attività di competenza anche nel settore della rappresentanza militare, tenendo conto delle risorse rese loro disponibili.
  Non risulta che siano state emanate direttive di ordine generale o difformi disposizioni applicative della norma.
  Con riferimento al caso richiamato nell'atto, si evidenzia che il consiglio intermedio di rappresentanza affiancato al comandante militare della capitale è autorizzato a riunirsi con una frequenza di cinque giornate lavorative al mese. È una frequenza da lui ritenuta congrua allo svolgimento sia della normale attività istituzionale sia di eventuali studi da approfondire a cura di gruppi di lavoro, ove costituiti, e compatibile con le risorse finanziarie disponibili, considerato che i delegati del consiglio intermedio provengono anche da sedi lontane da Roma.
  Risulta, peraltro, che il comando della Capitale abbia autorizzato altre riunioni del consiglio intermedio, anche oltre il calendario programmato, in talune occasioni (segnatamente nei mesi di aprile e maggio scorsi).
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   BASILIO, ARTINI, CORDA, RIZZO, FRUSONE, PAOLO BERNINI e TOFALO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato da alcune agenzie di stampa, diverse donne appartenenti alle forze armate sono rimaste vittime di mobbing e di violenze sessuali da parte di superiori o di colleghi;
   alcune di queste violenze non sono state neppure ritenute tali dai tribunali militari, in quanto il delitto avvenuto in caserma non è stato considerato connesso all'attività di servizio, ovvero non rientrante nelle cause di servizio come disciplinato dall'articolo 199 del codice dell'ordinamento militare. Il suddetto articolo difatti consente di escludere il reato quando il fatto non è collegato all'attività di servizio e allo sfruttamento della gerarchia;
   la relazione sullo stato della disciplina militare e dell'organizzazione delle forze armate dell'anno 2012, afferma che dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2011 sono stati rilevati 12 casi riconducibili alla fattispecie delle molestie sessuali contro i 5 casi riscontrati nel 2010;
   il crescente numero di donne arruolate nelle forze armate rappresenta una risorsa importante ed essenziale per il conseguimento di specifici obiettivi –:
   se lo Stato Maggiore della difesa abbia diramato la nuova direttiva in materia di parità di trattamento, rapporti interpersonali, tutela della famiglia e della genitorialità come predisposto dalla Relazione sullo stato della disciplina militare e dell'organizzazione delle forze armate, anno 2012;
   quanti siano gli episodi in cui sono stati riscontrati reati o comportamenti discriminatori nei confronti delle donne in servizio nelle Forze armate. (4-05554)

  Risposta. — Le condotte di natura persecutoria, in qualsiasi ambito deprecabili, non possono essere tollerate in ambito militare anche in quanto minano lo spirito di corpo, il senso di appartenenza e costituiscono un elemento destabilizzante per tutto il personale.
  Ciò premesso, il mobbing e le molestie sessuali sin dall'inizio delle rilevazioni (anno 2008), hanno costituito in ambito difesa un fenomeno circoscritto, anche grazie ad una continua opera di sensibilizzazione e formazione del personale e di prevenzione, contrasto e repressione di tali comportamenti.
  In nessun caso tali fenomeni trovano accondiscendenza in ambito difesa; anzi, nei loro confronti sono state avviate con determinazione campagne volte alla cosiddetta «tolleranza zero».
  A tal fine si segnala che sono state poste in essere numerose iniziative per incrementare l'azione di tutela nei confronti del personale. Tra queste la redazione da parte dello Stato maggiore della difesa, nel mese di dicembre 2012, di una direttiva interforze denominata linee guida in tema di parità di trattamento, rapporti interpersonali, tutela della famiglia e della genitorialità». Tale documento è il risultato di un sinergico lavoro di gruppo effettuato da donne e uomini dello Stato maggiore della difesa, civili e militari, che si sono avvalsi delle indicazioni fornite dalle forze armate, compresi i Carabinieri, e dalla guardia di Finanza. Tra i vari argomenti, la direttiva tratta dell'integrazione e dei rapporti interpersonali e, in dettaglio, analizza gli atteggiamenti e le condotte devianti (molestie, molestie sessuali, mobbing e stalking).
  È stata, inoltre, individuata una nuova figura professionale denominata gender advisor, esperta sulle tematiche di genere e punto di riferimento in materia per tutto il personale dipendente. Tale figura ha tra gli altri anche il compito di facilitare l'integrazione del personale all'interno delle strutture militari e di segnalare ai comandanti eventuali difficoltà interrelazionali tra il personale, che potrebbero portare all'insorgenza di atteggiamenti devianti.
  Nel mese di giugno di quest'anno, ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 7 del 2014, che ha sostituito l'articolo 24 del decreto legislativo n. 66 del 2010, è stato istituito un organismo consultivo del Capo di Stato maggiore della difesa, denominato «consiglio interforze sulla prospettiva di genere» (composto in maniera paritetica da uomini e donne) che tra i propri compiti ha anche quello di collaborare alla stesura e al monitoraggio di direttive sui temi della prospettiva di genere, dell'integrazione del personale, delle pari opportunità, del divieto di discriminazioni e del benessere del personale.
  Per quanto concerne la situazione riferita ai casi di molestie e di atti prevaricatori in ambito difesa, si evidenzia che, dai dati attualmente noti, peraltro forniti ogni anno al Parlamento con la «Relazione sullo Stato della disciplina nelle forze armate», il fenomeno risulta essere circoscritto a un numero limitato di casi. Infatti, risultano al 31 dicembre 2013 un caso di nonnismo, nessun caso di mobbing, quattro casi di stalking e quattro casi di molestie sessuali. Nei confronti dei responsabili sono in corso le azioni di legge.
  Si rappresenta, infine, che il Dicastero partecipa ai lavori del «Tavolo interistituzionale per il contrasto al fenomeno della violenza contro le donne», promosso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   BATTAGLIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il Contratto istituzionale di sviluppo (CIS), siglato il 18 dicembre 2012 fra Ministero per la coesione territoriale, regioni Campania, Basilicata e Calabria ed amministratore delegato della società Rete ferroviaria italiana (RFI) sono stati definiti interventi da realizzare per la velocizzazione della direttrice ferroviaria Salerno – Reggio Calabria;
   successivamente, in data 8 marzo 2013, in sintonia con quanto previsto nel CIS, il CIPE ha preso atto e deliberato una serie di interventi, tra i quali, nell'ambito del «Programma delle infrastrutture strategiche (legge 443/2001)», la «realizzazione a Reggio Calabria del dirigente centrale operativo (DCO) intero compartimento con fabbricato DCO – dirigente operativo trazione elettrica “DOTE«», per un importo complessivo di 11 milioni di euro, da installare a Reggio Calabria in locali già predisposti, a suo tempo, per il montaggio delle apparecchiature e delle postazioni di lavoro;
   rete ferroviaria italiana (RFI) società del Gruppo FS, invece di dare seguito al contratto siglato ed alla delibera del CIPE e di avviare la realizzazione della citata struttura a Reggio Calabria, ha deciso invece di delocalizzare l'intervento trasferendo a Roma i posti centrali di Lamezia Terme e Sapri, previsti dal CIS e dal CIPE a Reggio Calabria, finanziando l'intervento con fondi propri lasciando decadere i fondi stanziati dal CIPE;
   la decisione sarebbe motivata sull'assunto che il comando e controllo della circolazione sulla direttrice Battipaglia – Reggio Calabria è opportuno che vengano governati dal posto centrale di Roma, poiché la stessa direttrice è parte del corridoio europeo Scandinavo – Mediterraneo;
   tale scelta è estremamente penalizzante per la regione Calabria e, ove trovasse realizzazione, determinerebbe la perdita, per trasferimento, di, circa, ottanta posti di lavoro, oltre l'indotto, senza alcun vantaggio in termini di efficienza ed efficacia per la circolazione ferroviaria sulla direttrice tirrenica o sulla direttrice Scandinavo – Mediterranea –:
   se il Governo sia informato di tale decisione assunta da RFI e se non intenda intervenire per evitare la delocalizzazione a Roma dei posti centrali di Lamezia e Sapri che rappresenterebbero secondo l'interrogante l'ennesimo atto di discriminazione di RFI nei confronti del Mezzogiorno con atti unilaterali decisi, addirittura, in difformità a contratti, e da accordi assunti con il Governo e in deroga ad atti deliberativi del CIPE. (4-07257)


   BATTAGLIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con delibera 8 marzo 2013, il CIPE, nell'ambito del «Programma delle infrastrutture strategiche (legge n. 443 del 2001)», ha preso atto e deliberato la «realizzazione a Reggio Calabria del dirigente centrale operativo (DCO) intero compartimento con fabbricato DCO-dirigente operativo trazione elettrica “DOTE”», per un importo pari a 11 milioni di euro, in locali che, già sono stati attrezzati per la installazione delle apparecchiature e delle postazioni di lavoro;
   Rete ferroviaria italiana (RFI) del gruppo FS sembrerebbe non intenzionata a dare seguito alla delibera CIPE e quindi a porre in essere gli interventi per la realizzazione del DCO e DOTE a Reggio Calabria;
   questo atteggiamento di RFI lascerebbe supporre che Ferrovie dello Stato abbia deciso di delocalizzare tali infrastrutture trasferendole in altra regione, facendo perdere a Reggio Calabria e alla Calabria un investimento già deliberato dal CIPE per un importo di 11 milioni di euro –:
   se il Governo sia a conoscenza di tali intendimenti di RFI/FS di non procedere alla attuazione della delibera CIPE e se intenda intervenire per consentire invece che venga realizzato l'investimento per la realizzazione a Reggio Calabria del DCO e DOTE assicurando un importante ammodernamento al servizio del territorio con ricadute positive anche dal punto di vista occupazionale. (4-07258)

  Risposta. — Si risponde congiuntamente alle interrogazioni in esame, in quanto trattano di analogo argomento.
  In merito ai quesiti posti, sono state assunte precise informazioni presso Rete ferroviaria italiana.
  Il sottoprogetto «SP07», indicato nel contratto istituzionale di sviluppo (CIS) come «Completamento realizzazione del D.C.O. intero compartimento», consiste nel completamento della sala di supervisione della circolazione di Reggio Calabria, con upgrade tecnologico e accentramento in unico ambiente di tutte le postazioni di comando e controllo esistenti per il traffico del bacino regionale, del sistema di informazione al pubblico e dei sistemi di controllo dello stato dell'infrastruttura.
  Tale intervento si pone in continuità con il complesso delle opere già attivate nel corso del 2012 per il potenziamento tecnologico della sala di supervisione della circolazione di Reggio Calabria, che hanno consentito l'estensione della giurisdizione del posto centrale preesistente fino a ricomprendere, oltre al bacino territoriale Rosarno – Melito Porto Salvo, l'intera dorsale Ionica Metaponto – Sibari – Catanzaro Lido – Melito Porto Salvo e i collegamenti trasversali Lamezia Terme Centrale – Catanzaro Lido e Sibari – Cosenza – Paola, in precedenza gestiti dai posti centrali di Cosenza e Catanzaro Lido.
  Nel contempo, sono state avviate azioni per il comando e controllo della circolazione dal posto centrale di Roma sulla direttrice Battipaglia – Paola – Rosarno, parte del corridoio europeo Scandinavo-Mediterraneo, in coerenza con i piani nazionali in atto sulla rete TEN-T.
  Il potenziamento del posto centrale di Reggio Calabria si inserisce, dunque, nel quadro complessivo delle azioni pianificate da Rete ferroviaria italiana, di valenza primaria, per l’upgrade tecnologico della rete ferroviaria finalizzate al miglioramento del governo della circolazione dei bacini a carattere regionale.
  Il suddetto intervento, finanziato per 11 milioni di euro dal programma operativo nazionale (PON) – reti e mobilità 2007-2013, è in regolare corso di svolgimento; sono in via di completamento le ultime fasi progettuali con l'obiettivo di mantenere gli impegni dichiarati di realizzazione delle opere entro al 2015, ovvero in tempi coerenti con quanto previsto nel CIS per la direttrice ferroviaria Salerno-Reggio Calabria.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   BENEDETTI, BASILIO, MASSIMILIANO BERNINI, PARENTELA, CRISTIAN IANNUZZI, BUSTO e RIZZETTO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'utilizzo di sonar particolarmente potenti, come quelli militari, può confondere e danneggiare il sistema di rilevamento di diverse specie marine, rendendo alle stesse impossibile cibarsi, accoppiarsi o addirittura facendole arenare sulle spiagge. La letteratura scientifica documenta che l'affondo sonoro dei sonar militari spaventa i cetacei e li spinge ad una risalita troppo rapida, in cui trovano frequentemente la morte;
   i sistemi sonar civili e militari interferiscono con i sonar naturali utilizzati dai mammiferi per comunicare tra loro, per orientarsi e per cacciare, tale inquinamento acustico assorderebbe i cetacei, disorientandoli e portandoli a spiaggiarsi. I sonar utilizzati dalle flotte militari potrebbero rappresentare un rischio molto più serio per i cetacei di quanto precedentemente immaginato, essi rappresentano un disturbo grave in quanto i mammiferi marini investiti dalla violenza di queste onde acustiche schizzano verso l'alto in preda al panico, tanto velocemente da sviluppare un embolo che spesso risulta mortale;
   negli scorsi anni la Nato è stata autorizzata a sperimentare attrezzature sonar subacquee addirittura nelle acque di Pianosa, nel parco dell'Arcipelago Toscano e dentro il Santuario dei Cetacei, violando le previste misure di protezione, tra le quali il divieto di catture deliberate e di turbative intenzionali per motivi di ricerca e la lotta contro l'inquinamento;
   l'operazione militare Proud Manta 11, svoltasi nel febbraio 2011 al largo delle coste orientali della Sicilia, considerata la principale esercitazione per la lotta antisommergibile organizzata dalla Nato ha impiegato sei sommergibili e sofisticate apparecchiature sonar. Scopo dell'esercitazione era addestrare gli equipaggi nelle tattiche anti-sommergibile e nelle operazioni per il contrasto alle attività illecite perpetrate via mare con particolare attenzione all'antiterrorismo. La Proud Manta 11 rappresenta la continuazione delle esercitazioni della precedente serie, denominata Noble Manta, grazie alla quale le marine dei Paesi membri hanno l'opportunità di sperimentare nuove tecnologie e tattiche nell'ambito della lotta sotto la superficie marina;
   Greenpeace, insieme al velista Giovanni Soldini, denunciò lo spiaggiamento di due cetacei, due rari esemplari di zifio, sulle coste vicino Siracusa, avvenuta proprio mentre era in corso questa esercitazione della Nato che usava apparecchiature sonar. Greenpeace ha dichiarato che i sonar militari possono provocare effetti sui cetacei fino a 100 chilometri di distanza, producendo non solo disorientamento, ma molto spesso danni fisici che possono causarne anche la morte;
   l'esperimento del team di ricerca anglo-americano facente parte del Cto-Cmre di La Spezia (Centre for Maritime Research and Experimentation Nato Science and technology organization), una sezione di ricerca della Nato, ha prodotto risultati chiari: l'impiego dei sonar per le esercitazioni militari produce un cambiamento nel comportamento dei cetacei; le frequenze dei dispositivi emettono suoni di elevata intensità sott'acqua che disturbano la comunicazione di questi animali, provocando un'estensione dei tempi di immersione e il successivo intervallo di non foraggiamento;
   lo strumento utilizzato nella caccia ai sottomarini si chiama Surtass (surveillance towed array sensor system) e viene usato per setacciare l'ottanta per cento delle acque mondiali. La marina sottolinea che il Surtass trasmette a basse frequenze, che tra l'altro sono le stesse usate dalle balene per comunicare, ma il suono verrebbe comunque trasmesso a più di 180 decibel, livello che molti studiosi ritengono sufficiente per arrecare danni fisiologici, e gruppi di ecologisti come il Natural resources defense council, chiedono alla marina statunitense di dimostrare la sicurezza ambientale del programma;
   l'inquinamento acustico marino è un fenomeno che in questi ultimi anni ha avuto un grande incremento, secondo la NOAA, l'Agenzia federale degli Stati Uniti che si occupa dello stato di salute degli oceani e dell'aria, e la nuova tecnologia sonar utilizzata sia per la mappatura del fondo dell'oceano che per l'individuazione di bersagli sottomarini, emette vibrazioni sonore percettibili fino a centinaia di chilometri di distanza. Quando una specie più sensibile come le balene o i delfini, si trova in prossimità dell'emissione del rumore subisce un vero e proprio trauma che la spinge ad una fuga precipitosa, fatale quando è diretta verso la superficie del mare. I cetacei infatti sono estremamente dipendenti dall'udito per la loro sopravvivenza –:
   se la marina militare italiana abbia intrapreso studi di sistemi di rilevamento che permettano di avvistare in tempo i cetacei evitando le grandi ripercussioni sopra esposte;
   se sia possibile porre restrizioni sull'utilizzo dei sistemi di prospezione con radar ad alta e bassa frequenza data l'estrema sensibilità dimostrata di questi animali ai disturbi sonori;
   per quali motivi vengano autorizzate esercitazioni militari pericolose per i cetacei in aree protette come il Santuario dei cetacei e quali misure si intendano attuare a salvaguardia delle aree marine di protezione espressamente istituite. (4-05668)

  Risposta. — Risulta che la Marina militare ponga particolare attenzione alle diverse questioni relative alla protezione dei sea mammals.
  Da molti anni, infatti, ogni volta che viene avvistato un cetaceo da parte dell'equipaggio di una unità della Marina, viene adottata una procedura per la sua segnalazione, con indicazione della posizione esatta, dell'orario dell'avvistamento e della direzione in cui il cetaceo sembra dirigersi.
  Tali dati vengono inviati ad enti di ricerca attivi a livello nazionale ed internazionale con i quali la Marina collabora anche al fine di individuare tutte le possibili soluzioni per la riduzione dei rischi legati all'impiego dei sonar (protection of marine mammals condotto dall’European defence agency e active sonar risk mitigation, con la collaborazione del Centre for maritime research and experimentation di La Spezia).
  Va detto che le navi ed i sommergibili della Marina non impiegano sistemi di prospezione subacquea ad alta e bassa frequenza, né hanno in dotazione sistemi sonar ad alta potenza quali i citati SURTASS.
  Inoltre, allo scopo di ridurre l'impatto ambientale, le norme di impiego dei sistemi di ricerca subacquea in dotazione sono molto rigorose e prevedono la loro attivazione in maniera graduale, con un aumento progressivo della potenza di emissione e la diversificazione della frequenza di trasmissione, proprio per evitare improvvisi rumori sotto la superficie. Anche la NATO adotta appositi «mitigation plans» volti anch'essi a ridurre gli impatti ambientali delle esercitazioni.
  Sempre nell'ambito delle misure atte a garantire la tutela dei cetacei, la Marina conduce le esercitazioni che prevedono l'impiego di apparecchiature sonar esclusivamente al di fuori delle aree protette, come è quella del Mar Tirreno settentrionale comunemente nota col nome di «Santuario dei cetacei».
  Ciò premesso, è stato assicurato che l'attività addestrativa subacquea cui si fa riferimento nell'atto di sindacato ispettivo, svolta nel 2011 al largo dell'isola di Pianosa, sia stata condotta nel pieno rispetto delle norme di tutela ambientale vigenti nella zona. Le sperimentazioni sono state condotte all'esterno delle zone interdette alla navigazione, con l'impiego di sensori elettroacustici prevalentemente passivi (ovvero senza la trasmissione di segnali potenzialmente dannosi alla fauna marina) e, quando sono stati attivati i sensori attivi, questo è avvenuto con misure idonee a mitigare il disturbo e ad evitare danni ai cetacei, conformemente alle procedure nazionali e NATO.
  La stessa cosa risulta sia avvenuta per l'esercitazione Proud Manta 2011, anch'essa condotta nel rispetto delle norme di tutela ambientale. Anche qui l'impiego dei sensori elettroacustici attivi è stato limitato e conforme ai citati «mitigation plans» della NATO, introdotti proprio allo scopo di limitare, se non del tutto annullare, l'impatto ambientale e quindi il disturbo alla fauna marina.
  In ogni caso, il Governo intende vigilare affinché aree di esercitazione e impiego dei sensori siano scelti e valutati tenendo ben di conto la necessità di preservare l'ambiente e la salute della fauna marina.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   BUSINAROLO, SPESSOTTO, TURCO, COMINARDI, MANLIO DI STEFANO, TRIPIEDI, D'INCÀ, BARBANTI, CASTELLI, COLONNESE, NESCI, COZZOLINO, DIENI, FRACCARO, DA VILLA, NUTI, BASILIO, FICO, BENEDETTI, SCAGLIUSI, BUSTO, BRUGNEROTTO, ROSTELLATO e FANTINATI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la società Autostrada Brescia Verona Vicenza Padova Spa, con sede in Via Flavio Gioia 71, 37135 – Verona, in qualità di soggetto proponente, ha provveduto, ai sensi del decreto legislativo n. 163 del 2006 e del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, ad attivare la procedura di Via relativa all'intervento di costruzione del tratto autostradale da Piovene Rocchette (VI) a Besenello (TN) in data 19 marzo 2012, nonché al deposito del progetto;
   il tracciato dell'autostrada è stato scelto dalla ditta proponente senza che lo stesso fosse concordato con la provincia autonoma di Trento (PAT) e questo ha dato luogo a un ricorso alla Corte Costituzionale da parte della provincia autonoma di Trento contro la costruzione dell'autostrada;
   il tentativo di conciliazione tra la provincia di Vicenza e la provincia di Trento esperito in data 7 marzo 2013 dal Consiglio superiore dei lavori pubblici (CSLP), a quanto consta agli interroganti, non ha dato esito positivo e pertanto il Consiglio superiore dei lavori pubblici ha preso atto, all'unanimità dei componenti, che «l'attività istruttoria, ai sensi dell'articolo 165 comma 6 lettera a) del decreto legislativo n. 163 del 2006 non ha portato al superamento del dissenso» e di conseguenza l'ipotesi di conciliazione presentata nell'adunanza del 28 febbraio 2013 «allo stato non può essere considerata quale proposta alternativa»;
   ai sensi dell'articolo 4.1 e 4.2 della Convenzione tra ANAS e Società autostrade Brescia Verona Vicenza Padova Spa l'approvazione del progetto definitivo entro il 30 giugno 2013 comporta che la concessione autostradale venga a scadere il 31 dicembre 2026 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza che il CIPE, nella seduta del 18 marzo 2013, ha «approvato in linea tecnica, con prescrizioni, il progetto preliminare dell'Autostrada A31 Valdastico nord – 1° lotto funzionale Piovene Rocchette-Valle dell'Astico, avente un costo di 891,6 milioni di euro», quindi uno stralcio dell'opera;
   se sia a conoscenza che l'approvazione di questo tratto autostradale senza sbocchi o connessioni con altre autostrade dovrebbe comportare un nuovo progetto e una completa revisione dei parametri viabilistici a base della scelta, dato che i volumi di traffico di un'autostrada a fondo cieco non danno vantaggi confrontabili con il progetto complessivo e quindi si va ad approvare l'esecuzione di un'infrastruttura priva di utilità, ma con lo stesso impatto (perlomeno nel tratto vicentino) dell'infrastruttura completa;
   se, anche ipotizzando la realizzazione completa della tratta autostradale nel tratto trentino, ritenga che sia opportuno e conveniente per lo Stato eseguire un investimento da 1,92 miliardi di euro per un prolungamento della concessione autostradale per soli 13 anni dal 2013 al 2026:
    a) sapendo che, secondo il piano economico finanziario predisposto dalla Società Autostrade, il tratto completo verrà aperto solo nel 2025, un anno prima della scadenza della concessione;
    b) sapendo che, secondo l'articolo 5 della convenzione ANAS-Autostrade Brescia Padova firmata il 30 luglio 2010, ANAS nel 2026 dovrà restituire al concessionario «il costo effettivamente sostenuto, al netto degli ammortamenti in un'unica soluzione»;
    c) sapendo che, secondo il piano economico finanziario predisposto dalla Società Autostrade, al 2046 si saranno incassati per pedaggi euro 638.286.862 quindi circa 1/3 del costo di costruzione dell'autostrada; dimostrando così che questa tratta autostradale non potrà mai restituire l'investimento effettuato;
   se, alla luce dei fatti sopra esposti, non ritenga opportuno sospendere ogni rinnovo della concessione alla società Autostrade Brescia Padova in base alle seguenti criticità:
    a) mancato accordo con la provincia di Trento e conseguente impossibilità di realizzare il tratto autostradale progettato e approvato dalle commissioni VIA della regione Veneto e dello Stato;
    b) insufficienza dei tempi per la realizzazione dell'opera, dato che qualunque imprevisto farebbe slittare il completamento dell'opera oltre i tempi di durata della concessione;
    c) danno nei confronti dello Stato per la realizzazione di un'opera che, secondo lo stesso piano economico finanziario presentato dalla società concessionaria, in 24 anni non incasserà che una porzione dell'investimento totale (al lordo delle ingenti spese di gestione relative a tunnel autostradali per una lunghezza complessiva di chilometri 57,8). (4-00615)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  La realizzazione dell'A31 nord, rappresenta un investimento strategico a livello europeo, è stata programmata a partire dagli anni ’60, è prevista quale opera da realizzare nel piano economico finanziario di autostrada Brescia-Padova dal 2007 ed è stata inserita nel programma delle infrastrutture strategiche nel 2010.
  L'opera è assegnata in concessione alla società Autostrada Brescia-Verona-Vicenza-Padova spa, avendo la stessa a suo tempo incorporato la prima società concessionaria società Autostrada Trento-Rovigo spa.
  La società Autostrada Brescia-Verona-Vicenza-Padova ha predisposto il progetto preliminare del completamento a nord della Valdastico, in adempimento all'impegno contrattuale contemplato dalla convenzione di concessione vigente.
  Il progetto preliminare dell'autostrada Valdastico A31 nord è caratterizzato da elevati sviluppi dell'infrastruttura in galleria, scelta dettata in parte dall'orografia del territorio e in parte dall'obiettivo di limitare l'impatto ambientale dell'opera: su uno sviluppo complessivo del tracciato di 39,1 chilometri, 27,8 sono infatti in galleria.
  Tale impostazione consente di ridurre l'impatto ambientale dell'opera ai soli brevi tratti residui a cielo aperto, evitando così di deturpare la valle.
  A comprova di quanto asserito, il progetto ha ottenuto la valutazione d'impatto ambientale favorevole da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, da parte del Ministero per i beni e le attività culturali e da parte della regione del Veneto.
  I flussi di traffico previsti, inoltre, sono congruenti con quelli contemplati dalla normativa vigente per le autostrade di nuova realizzazione.
  Il completamento a nord dell'A31 consentirà di collegare il Veneto con il Trentino Alto Adige, andando a chiudere un sistema viabilistico che senza il completamento a nord della Valdastico rimarrebbe incompleto e sotto utilizzato, con conseguenze economiche negative per il territorio di riferimento.
  La Valdastico, completata con il tratto a nord, svolgerà invece un ruolo fondamentale per il miglioramento delle relazioni tra la parte orientale della pianura padana e della fascia adriatica con il Brennero, facilitando le relazioni verso l'Europa.
  Il nuovo collegamento favorirà, infatti, la circolazione delle merci e delle persone, dando nuova linfa al tessuto economico locale e favorendo la ripresa dalla crisi.
  I vantaggi derivanti saranno importanti a livello locale e di rilievo a livello nazionale.
  Si percepiranno in modo diretto, con la riduzione delle distanze rispetto agli attuali itinerari autostradali e con le riduzioni dei tempi e dei costi di trasporto (carburanti e pedaggi) per merci e persone, andando a migliorare la competitività delle imprese che operano in un tessuto produttivo altamente industrializzato e che sono alla ricerca di infrastrutture che possano migliorare lo sbocco nei floridi mercati del nord Europa.
  Infatti, vantaggi indotti si avranno a favore della competitività delle realtà produttive locali e nazionali, che potranno fruire dell'innalzamento della velocità media degli spostamenti e di una migliore programmabilità dei trasporti.
  Su vasta scala si registrerà anche la riduzione dell'immissioni d'inquinanti in atmosfera, in ragione delle minori percorrenze complessive sulla rete autostradale.
  Anche su tali motivazioni si basa l'inserimento dell'opera nel «Programma delle infrastrutture strategiche» della legge obiettivo avvenuto a partire dal 2010; inoltre, la Valdastico nord, pur non facendo parte della rete di trasporto europea TEN-T «Comprehensive Network», costituisce il potenziamento del collegamento tra il corridoio mediterraneo e quello scandinavo-mediterraneo.
  Per l'opera non è prevista una linea di finanziamento specifica, in quanto il finanziamento è inserito nell'ambito di un piano economico finanziario (PEF) che comprende la gestione complessiva di tutta la rete stradale assegnata alla concessionaria (A4, A31 esistente, A31 sud, tangenziali di Verona, Vicenza e Padova, e altre), secondo l'impostazione delineata nell'ambito della convenzione di concessione vigente dal 2007.
  Va inoltre evidenziato che la mancata realizzazione della Valdastico nord renderebbe il prolungamento a sud della stessa Valdastico un investimento in perdita (costo dell'opera circa 1,2 miliardi di euro). Il prolungamento a sud della Valdastico è già, infatti, sostanzialmente completato e destinato ad essere aperto al traffico fino alla città di Rovigo a partire dal primo semestre del 2015.
  Infine, va ricordato che non è prevista la scadenza della concessione nel 2015 ma, come riportato dalla convenzione vigente, l'approvazione del progetto Valdastico nord rappresenta un momento intermedio di verifica.
  In conclusione, la mancata realizzazione dell'opera impedirebbe il completamento della rete autostradale del nord-est con grave pregiudizio economico per l'area di riferimento.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   CARDINALE e CULOTTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in Sicilia, la più grande isola del Mediterraneo, la tipologia di trasporto ferrato o su gomma risulta strutturalmente inadeguato e lento e, quindi, il trasporto aereo è di fatto l'unico mezzo per un agevole collegamento con le principali destinazioni nazionali e internazionali;
   la compagnia aerea Etihad ha annunciato la sospensione di diversi collegamenti diretti nazionali e internazionali (per Monaco, Mosca, Berlino, Amsterdam, Parigi, San Pietroburgo, Düsseldorf, Praga, Bologna, Torino, Venezia, Verona);
   la riduzione delle tratte aeree può determinare effetti negativi per la Sicilia, di carattere economico, soprattutto nel settore turistico con conseguenze sociali, per l'ulteriore perdita di posti di lavoro;
   la decisione di Alitalia appare agli interroganti illogica in quanto non ha tenuto conto degli ottimi risultati aziendali raggiunti dagli scali di Catania, Palermo e Trapani –:
   quali iniziative intenda adottare, in sinergia con il Governo della regione siciliana, affinché Alitalia riveda il piano industriale; se la scelta di sopprimere importanti tratte nazionali e internazionali che collegano la Sicilia con centri del settentrione e dell'Europa sia emersa nell'ambito della trattativa con Etihad e quali soluzioni siano state prospettate in quella sede per evitare la penalizzazione di cittadini e aziende. (4-06127)

  Risposta. — in risposta all'interrogazione in esame circa i collegamenti aerei nazionali e internazionali con la Sicilia, occorre premettere che il mercato del trasporto aereo trova a livello comunitario la propria disciplina nel regolamento n. 1008/2008 del 24 settembre 2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, recante norme comuni per le prestazioni di servizi aerei nella Comunità.
  In base a tale regolamento, che si pone come finalità quella di governare in modo uniforme il graduale e progressivo processo di liberalizzazione del trasporto aereo attraverso la definizione di regole certe e comuni a tutti gli operatori del settore, i vettori titolari di licenza di trasporto aereo rilasciata da uno Stato membro dell'Unione europea hanno la possibilità di scegliere le rotte sulle quali operare e di fissare le tariffe aeree per il trasporto passeggeri e merci.
  In altri termini, l'opportunità di istituire collegamenti aerei all'interno del territorio europeo è devoluta a logiche imprenditoriali e di mercato che si inquadrano in una dimensione concorrenziale e che, come tale, non consentono all'Amministrazione di intervenire sulle scelte operate dalle singole imprese.
  Ciò posto, è bene evidenziare che, proprio su impulso determinante del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sono state emanate norme finalizzate a rendere più trasparenti gli accordi tra operatori al fine di evitare comportamenti potenzialmente distorsivi delle dinamiche concorrenziali.
  In particolare, si richiamano i commi 14 e 15 dell'articolo 13 del decreto legge n. 145 del 2013 (interventi urgenti di avvio del piano Destinazione Italia, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015) e relativa legge di conversione, nei quali commi si prevede espressamente che i gestori di aeroporti che stringono rapporti commerciali con vettori aerei in funzione dell'avviamento e dello sviluppo di rotte destinate a soddisfare e promuovere la domanda nei rispettivi bacini di utenza, devono esperire procedure di scelta del beneficiario trasparenti e tali da garantire la più ampia partecipazione dei vettori potenzialmente interessati, secondo modalità da definirsi con apposite linee guida adottate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti l'Autorità di regolazione dei trasporti e l'Ente nazionale per l'aviazione civile.
  I gestori aeroportuali dovranno comunicare all'Autorità di regolazione dei trasporti e all'ENAC l'esito delle procedure previste dal citato comma 14, ai fini della verifica del rispetto delle condizioni di trasparenza e competitività.
  Peraltro, ad ottobre 2014 sono state pubblicate le menzionate linee guida, consultabili anche sul sito web del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che consentiranno all'impianto normativo sopra descritto di esplicare pienamente i propri effetti, dotandolo di reale operatività, sotto la stretta vigilanza dell'ENAC e delle competenti strutture del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  La disciplina richiamata vale, naturalmente, per le future iniziative commerciali tra operatori del settore mentre, per quelle già esperite, resta fermo il generale potere di controllo e vigilanza svolto dall'ENAC su gestori aeroportuali e vettori in ordine al rispetto delle norme di settore in un contesto di elevata liberalizzazione del mercato.
  Certamente il quadro delineato conferma l'attenzione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti affinché, pur nell'ambito di una competizione economica di mercato, questa si sviluppi secondo logiche concorrenziali e non discriminatorie.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   CHIARELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la città di Taranto da oltre cento anni è sede di diversi importanti insediamenti della Marina militare italiana, quali un arsenale militare, una base navale di recente realizzazione, una scuola sottufficiali, un centro addestramento, nonché sede del comando in capo del dipartimento marittimo dello Jonio e del Canale d'Otranto;
   il territorio, come è noto per essere stato assunto alla attenzione del Governo, vive un momento di particolare crisi economica che vede attive una serie di vertenze, dalla nota vicenda Ilva, all'abbandono del territorio da parte di importanti realtà produttive come la multinazionale Vestas, il gruppo Marcegaglia, il gruppo Natuzzi, Miroglio, e tante altre realtà produttive di piccole e medie dimensioni;
   in questo quadro di grave emergenza occupazionale si inserisce un'ulteriore nuova pesantissima novità che vede la Marina militare abbandonare di fatto il territorio. Da notizie ufficiose, ma insistenti, infatti, si apprende del possibile esubero di ben 500 unità tra il personale civile della Difesa, del declassamento del comando in capo, del trasferimento delle attività di addestramento, e, ultimo smacco, la chiusura di interi servizi con il trasferimento di maestranze civili a Trieste e in altre realtà molto distanti da Taranto;
   l'ufficio stampa locale della Marina Militare ha diffuso una nota con cui ridimensiona le voci di stampa;
   cionondimeno sul piano fattuale si assiste ad una serie di provvedimenti che stanno producendo esiti nefasti sul piano economico ed occupazionale;
   tra questi, di particolare rilievo la chiusura di alcuni servizi che determina l'esubero di un numero significativo di addetti per le pulizie e mense della Marina militare;
   in questi giorni sono state inviate lettere ai dipendenti delle aziende impegnate in tali servizi che annunciano il loro trasferimento, immediato, in località distanti centinaia di chilometri da Taranto, come ad esempio Trieste;
   sulla questione, in verità, l'interrogante ha già presentato una interrogazione, senza ottenere riscontro alcuno –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se come intenda intervenire al fine di bloccare il trasferimento dei lavoratori e avviare una urgente verifica per individuare soluzioni alternative che, pur rispondendo alla necessità di riorganizzazione, salvaguardino i livelli occupazionali in un territorio già gravemente interessato da una crisi senza precedenti. (4-04629)

  Risposta. — Va subito chiarito che il Ministero della difesa non prevede alcun ridimensionamento della presenza della Marina militare nel territorio tarantino.
  A Taranto, in attuazione della legge n. 244 del 2012 e del discendente decreto legislativo n. 7 del 2014, la Marina militare è stata interessata all'istituzione del comando stazione navale, che ha assorbito le funzioni e il personale della direzione supporto diretto del locale arsenale e parte delle competenze e del personale del comando servizi base (Maribase).
  L'alto comando periferico è stato riconfigurato nel comando marittimo sud, e ha assorbito le residue funzioni e il rimanente personale di Maribase.
  Da quanto esposto emerge con evidenza come sia in atto un programma di efficientamento e di rafforzamento della presenza della Marina militare nel territorio tarantino.
  Il raggiungimento di questi obiettivi non potrà prescindere dalla disponibilità di personale civile che, quindi, continuerà a svolgere un ruolo importante.
  Tenendo conto dei nuovi organici, dei dipendenti effettivamente impiegati nell'area tarantina e delle iniziative legislative, non emergono i paventati esuberi bensì situazioni di carenze soprattutto per le esigenze tecniche connesse ai provvedimenti di efficientamento della componente arsenalizia.
  A tal riguardo è utile segnalare che il dicastero è impegnato a procedere con ogni possibile tempestività alle nuove assunzioni in programma da alcuni anni, bloccate per effetto delle norme sul turn over introdotte da precedenti Governi, mentre ha sostenuto efficacemente l'introduzione della norma (articolo 4-bis) del decreto legge n. 90, convertito con modificazioni dalla legge n. 114 del 2014, che ha consentito l'anticipata assunzione di 24 tecnici per l'area industriale della Difesa.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   CRIVELLARI e CARRA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 2005/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005, contenente le norme per l'introduzione e l'uso, nella comunità, di servizi di informazione fluviale (RIS) armonizzati a sostegno del trasporto per vie navigabili interne, allo scopo di accrescerne la sicurezza, la protezione, l'efficacia e la compatibilità ambientale non è ancora stata introdotta nell'ordinamento italiano;
   la legge italiana n. 16 del 2000 ha recepito l'accordo ONU-Comunità europea con la catalogazione della rete e dei porti della navigazione interna di rilevanza internazionale ed europea prevedendo l'adeguamento degli standard comunitari e mettendo in evidenza come la rete della navigazione interna sia composta anche dalla fascia costiera collegata con gli altri Paesi europei adiacenti (Francia, Slovenia, Croazia, ecc.) senza dimenticare il caso dei laghi connessi con la Svizzera. Con ciò risulta evidente la connessione della rete della navigazione interna con altri porti stranieri;
   i recenti documenti di riprogrammazione delle reti transeuropee hanno riconosciuto l'importanza strategica della rete della navigazione interna del nord Italia connessa ai corridoi plurimodali oggetto dei futuri finanziamenti;
   nel medesimo ambito, vanno a comporre detto contesto normativo anche i seguenti articolati:
    a) Regolamento (CE) n. 414/2007 della Commissione del 13 marzo 2007, contenente gli orientamenti tecnici per la programmazione, l'introduzione e l'uso operativo dei servizi d'informazione fluviale (RIS);
    b) Regolamento (CE) n. 415/2007 della Commissione del 13 marzo 2007, contenente specifiche tecniche per i sistemi di localizzazione e monitoraggio dei natanti;
    c) Regolamento (CE) n. 416/2007 della Commissione del 22 marzo 2007, contenente le specifiche tecniche relative agli avvisi ai naviganti;
    d) Regolamento (UE) n. 164/2010 della Commissione 25 gennaio 2010, contenente le specifiche tecniche del sistema elettronico di segnalazione navale per la navigazione interna;
    e) Regolamento di esecuzione (UE) n. 689/2012 della Commissione del 27 luglio 2012, recante modifica del regolamento (CE) n. 415/2007, relativo alle specifiche tecniche per i sistemi di localizzazione e monitoraggio dei natanti;
   la normativa italiana risulta fortemente datata e segmentata tra diversefonti normative e tra diversi soggetti attuatori. Di seguito si richiamano alcune principali fonti:
    codice della navigazione, ed in particolare delle parti di esso volte a disciplinare l'esercizio e la disciplina della Navigazione interna; si tratta, più in dettaglio, delle norme riferite alla navigazione interna (articoli 21-26), alle zone portuali della navigazione interna (articoli 56-61), al pilotaggio della navigazione interna (articoli 97-100), al personale della navigazione interna (articoli 128-135), all'arrivo e partenza della navi della navigazione interna (articolo 184), all'esercizio della navigazione interna (articoli 225-231) molte delle quali trasferite alla competenza regionale come da decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, recante Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59 (cfr. in particolare l'articolo 105);
    legge 29 novembre 1990, n. 380, recante Interventi per la realizzazione del sistema idroviario padano-veneto;
    decreto ministeriale 25 giugno 1992 n. 729(50)380, recante l'individuazione della rete costituente sistema idroviario padano-veneto e l'approvazione del relativo piano pluriennale di attuazione;
    decreto della direzione marittima Venezia n. 1 del 24 gennaio 2013 recante l'accordo tra MITT direzione marittima Venezia e Direzione Generale Territoriale del Nord Est, Regione del Veneto-Direzione Mobilità (rif: Decreto D.G. Territoriale del Nord Est D.D.N. 475/ V – Fasc.3.019 DGT Nord Est del 24/01/2013; Decreto Direzione Mobilità n. 15/62.01.02 del 24/01/2013) per la «Delimitazione delle zone di navigazione promiscua nella Regione Veneto»;
   nel Workshop tenutosi a Roma, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il giorno 19 novembre 2013, sull'argomento «Il progetto R.I.S: risultati e prospettive» sono stati presentati i primi risultati del progetto cofinanziato dalla comunità europea che ha visto la partecipazione del Ministero, delle regioni interessate (Veneto, Emilia Romagna e Lombardia), oltre la sistemi territoriali spa, AIPO agenzia interregionale per il Po, Autorità portuale Venezia e provincia di Mantova; e che durante i lavori è emersa la proposta di recepimento della direttiva in oggetto oltre alla relativa progettazione del sistema;
   il recepimento della direttiva RIS consentirà di introdurre nel nostro Paese, per la prima volta, una disciplina tecnicamente evoluta ed aggiornata dei collegamenti nave-terra e terra-nave, con specifico riguardo alla navigazione interna. Detta disciplina si avvale delle migliori tecnologie in materia di comunicazione mobile, di posizionamento/localizzazione satellitare e di rilevazioni radar. Dal momento che analoghe risorse tecnologiche sono disponibili a livello europeo, risulta necessario disciplinarne l'uso in maniera coordinata, al fine di garantire l'adozione di un sistema integrato omogeneo, funzionale a garantire lo sviluppo di un sistema transfrontaliero di trasposto per vie navigabili interne;
   i servizi RIS consentiranno di allineare il settore del trasporto idroviario agli sviluppi recenti in materia di logistica e di gestione della catena di approvvigionamento, facilitando pertanto l'integrazione delle idrovie nella del trasporto intermodale, condizione necessaria per aumentare la quota modale di questo tipo di trasporto;
   i servizi RIS consentono di sviluppare il trasporto per vie navigabili interne in maniera più trasparente, affidabile, flessibile e accessibile. Se abbinato a operazioni logistiche efficaci rispetto ai costi e rispettose dell'ambiente, lo sviluppo dei servizi RIS renderà il trasporto idroviario attraente dal punto di vista di una gestione moderna della rete di approvvigionamento;
   i servizi RIS sono importanti per l'intero settore europeo della navigazione interna, ma il rilancio del trasporto per vie navigabili mediante l'attuazione dei servizi RIS presenta un interesse particolare alla luce dell'allargamento dell'Unione europea ai Paesi dell'Europa centrale e orientale;
   la creazione di un sistema di servizi di informazione fluviale è inoltre suscettibile di garantire una migliore programmazione e una più efficiente gestione del traffico fluviale. Inoltre, determinerà effetti positivi sul piano della sicurezza e della conseguente efficienza dei trasporti, soprattutto ove riferiti a merci pericolose;
   tanto le autorità pubbliche preposte alla disciplina del traffico, quanto i comandanti delle imbarcazioni godranno infatti di un ventaglio di informazioni assai più ampio e puntuale, con conseguente possibilità, per ambedue dette categorie di soggetti, di assumere le necessarie decisioni in maniera meditata e tempestiva;
   tenuto conto che i documenti finali del R.I.S. hanno individuato la necessità di sviluppare approfondimenti per implementare la sicurezza delle merci pericolose, offrire servizio diportistico e altre evoluzioni dei servizi di sicurezza alla navigazione, i partner del progetto hanno ipotizzato la progettazione di un secondo modello progettuale denominato «R.I.S. 2» da cofinanziare attraverso i bandi europei per le reti transnazionali –:
   quale sia lo stato del procedimento di recepimento della direttiva in questione e quali eventuali problemi ostino allo stesso;
   quali iniziative intenda intraprendere ed in quali tempi al fine del recepimento della direttiva sopracitata, dato che il mancato recepimento potrebbe implicare la negazione del finanziamento al progetto menzionato «R.I.S. 2»;
   se sia di interesse del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sulla base delle risultanze del lavoro svolto sino ad oggi, lo sviluppo del sistema RIS come strumento infrastrutturale per le reti idroviarie e le acque promiscue;
   quali eventuali iniziative normative o decreti applicativi si rendano necessari per accompagnare adeguatamente il recepimento della direttiva con particolare riferimento alla legge n. 16 del 2000 relativa alla rete della navigazione interna, costiera e promiscua, alla luce della ridefinizione delle zone di navigazione promiscua adottata tra la direzione marittima di Venezia, direzione generale MITT Nord Est e regione Veneto in data 24 gennaio 2013.
(4-07067)

  Risposta. — Con riferimento ai quesiti posti dagli interroganti, si ritiene necessario evidenziare, in via preliminare, che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha partecipato, in qualità di partner, alle attività del progetto «Studi per lo sviluppo dell'operabilità del RIS nel sistema idroviario dell'Italia del Nord 2010-IT-70230-S»; progetto cofinanziato con fondi europei nell'ambito delle reti TEN-T, approvato dalla Commissione europea con la decisione C(2011)3936 del 1o giugno 2011, e che si è concluso il 31 dicembre 2013.
  Obiettivo principale del progetto era quello di definire i requisiti tecnici, giuridici e organizzativi per la realizzazione di un sistema RIS nel sistema ferroviario dell'Italia del nord (SIIN), per aumentarne i livelli di efficienza, sicurezza e integrazione nella catena logistica.
  In merito, si ricorda che i competenti uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – nella duplice veste di
partner di progetto e di autorità competente per la disciplina normativa nel settore della sicurezza della navigazione per vie d'acqua interne – già nel febbraio 2013, avevano comunicato a tutti gli altri partner di progetto (Sistemi territoriali, AIPO, provincia di Mantova e autorità portuale di Venezia) che, per poter effettuare una piena valutazione delle eventuali modalità di realizzazione di un sistema RIS nazionale conforme ai requisiti della direttiva, doveva essere prestata particolare attenzione agli aspetti relativi all'analisi tecnico normativa (ATN) del quadro giuridico vigente, nonché all'analisi di impatto della regolamentazione (AIR); ciò anche ai fini di valutare al meglio il contesto amministrativo, organizzativo e finanziario in cui si sarebbe dovuta collocare la futura struttura di governance nazionale del sistema RIS.
  Quindi, sulla base di tali analisi circa l'attuale quadro giuridico nazionale ed europeo, detti uffici si sarebbero riservata l'opportunità di valutare l'eventuale recepimento della direttiva 2005/44/CE, a seguito della presentazione dei documenti di lavoro prodotti nell'ambito del progetto, valutando altresì le proposte di un nuovo assetto giuridico e organizzativo di competenze a livello sia nazionale che regionale.
  Ciò premesso, in riferimento ai singoli quesiti posti, si fa presente quanto segue.
  La direttiva comunitaria 2005/44 è da tempo stata oggetto di particolare attenzione da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Infatti, già in occasione della predisposizione della legge comunitaria 2006 e nel corso di una apposita riunione di coordinamento tenutasi in data 8 ottobre 2007 presso il dipartimento per le politiche comunitarie, si erano espressi il parere e l'opportunità di non procedere al recepimento della direttiva in questione, non avendo l'Italia vie navigabili interne di classe IV o superiore, collegate mediante una via navigabile di classe IV o superiore ad una via navigabile di classe IV o superiore di un altro Stato membro.
  A supporto di tale valutazione, si era fatto presente che la direttiva, tra l'altro, recita: «Sulle vie navigabili nazionali non collegate alla rete navigabile di un altro Stato membro non è obbligatorio stabilire i suddetti requisiti e specifiche tecniche».
  Più recentemente, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è stato contattato dai citati
partner di progetto per partecipare, come amministrazione di riferimento per la Commissione europea, allo svolgimento del progetto comunitario RIS (River Information Services), nella realizzazione del prototipo. Tra gli obiettivi di tale progetto era previsto che si sarebbe avviato il processo di adeguamento alla direttiva europea in Italia, e la proposta di un nuovo assetto, partendo dall'analisi dell'attuale quadro giuridico nazionale ed europeo.
  Sulla base delle risultanze emerse dalle attività progettuali, si potranno pertanto avviare le procedure per l'eventuale recepimento della direttiva.
  Per quanto riguarda, poi, il nuovo progetto RIS denominato RIS 2, si segnala che ad oggi non è stata presentata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti alcuna proposta concreta di progetto da portare all'attenzione dei competenti organi comunitari ai fini di un finanziamento con fondi Unione europea.
  Al riguardo si informa che, ai fini del supporto alla presentazione delle proposte progettuali da finanziare, il coinvolgimento dell'Amministrazione rappresenta la prima fase operativa della messa a punto delle proposte stesse.
  Sulla base degli elementi finora disponibili, è possibile confermare l'utilità teorica del sistema RIS – sotto il profilo della sicurezza della navigazione, della protezione dell'ambiente nonché della gestione della navigazione in vie navigabili «vincolate» in Italia – ferma restando la necessità di realizzare anche una valutazione costi-benefici in relazione alle dimensioni del traffico navale interessato.
  Il primo progetto comunitario RIS ha previsto un ambito territoriale costiero da Ravenna a Trieste, comprendente quindi la zona di navigazione promiscua di cui all'accordo del 24 gennaio 2013.
  Infine, si precisa che, per la gestione della navigazione dalle vie navigabili interne alla fascia costiera e lungo la costa interessata, dovranno essere assunte azioni di coordinamento con il comando generale del corpo delle Capitanerie di porto, autorità competente in materia di sicurezza della navigazione marittima.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   DI LELLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'Ammiraglio Luciano Dassatti dal 2008 al febbraio 2009 ha ricoperto l'incarico di Commissario dell'autorità portuale di Napoli, quindi fino al 2013 quello di presidente dell'autorità portuale e infine a tutt'oggi, su proposta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, svolge l'incarico di commissario straordinario con la proroga di sei mesi delle funzioni ricoperte in attesa della nomina del nuovo presidente;
   secondo le indicazioni del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il candidato alla successione dell'Ammiraglio Dassatti alla Presidenza dell'Autorità portuale di Napoli avrebbe dovuto essere Riccardo Villari, la cui proposta di nomina seppure in un primo tempo avesse ricevuto il via libera della commissione trasporti del Senato, al contrario ha poi dovuto registrare il parere negativo dell'analoga commissione della Camera. Parere tale da portare la situazione in una fase di stallo, consentendo così all'Ammiraglio Dassatti di proseguire nel suo mandato al vertice dell'Autorità portuale;
   a seguito all'intervista resa al quotidiano Il Mattino il 23 novembre 2013 dall'Ammiraglio Dassatti i lavoratori hanno intensificato le azioni di protesta ritenendo particolarmente gravi le sue affermazioni che a giudizio dell'interrogante hanno leso la dignità dell'intera autorità portuale accusando di incapacità e inefficienza 91 lavoratori su 96, dipendenti che hanno sempre dato dimostrazione di impegno e dedizione e soprattutto di lealtà nei confronti dell'Ente;
   con il comunicato del 25 novembre 2013, l'assemblea dei dipendenti dell'autorità portuale, all'unanimità, ha chiesto al commissario straordinario dell'Ente di smentire le affermazioni gravemente lesive dell'integrità dell'amministrazione e della dignità dei lavoratori sui quali si vogliono far ricadere inefficienze altrui;
   l'assemblea straordinaria delle lavoratrici e dei lavoratori dell'Autorità portuale di Napoli riunitasi il 27 novembre 2013, a quanto consta all'interrogante, avrebbe chiesto al rappresentante legale dell'Ente di promuovere un'azione civile risarcitoria nell'interesse dello stesso ed un'azione penale laddove vi siano i presupposti di legge necessari;
   i dipendenti ritengono ormai insanabile la frattura prodottasi tra il commissario straordinario dell'Autorità portuale e la Segreteria tecnico operativa e venuto meno il rapporto di fiducia e di rispetto tra i dipendenti ed il medesimo Commissario;
   per tali motivi i suddetti dipendenti chiedono al commissario Dassatti di prendere atto della gravissima situazione e di rassegnare le dimissioni dall'incarico di commissario straordinario dell'autorità portuale di Napoli, soprattutto al fine di favorire la serena ripresa dell'attività lavorativa ordinaria dell'amministrazione;
   dal quotidiano Il Mattino del 3 dicembre 2013 il Ministro interrogato, lascia trasparire quello che all'interrogante appare un timido orientamento a non procedere ad ulteriori proroghe del commissariamento dell'Ente e a ricercare una soluzione adeguata nei tempi e nei modi dovuti alla straordinarietà della situazione –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di procedere alla nomina del nuovo presidente dell'autorità portuale di Napoli nei tempi più rapidi possibili, così da porre fine alla paralisi operativa che comporta pesanti riflessi sul piano economico e sociale sull'intera comunità napoletana. (4-02851)

  Risposta. — In riferimento alla interrogazione in esame, occorre premettere che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in tutta la vicenda, si è sempre attenuto al rigoroso rispetto delle prerogative dei numerosi organi (politici, amministrativi e giudiziari) che sono intervenuti nella complessa sequenza dei fatti che hanno caratterizzato la stessa vicenda e che sinteticamente si riassumono.
  In vista della scadenza della precedente Presidenza, prevista per febbraio 2013, veniva già avviata, a novembre 2012, la procedura disciplinata dall'articolo 8, comma 1, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, chiedendo agli enti pubblici interessati (provincia, comuni e camera di commercio) le rispettive designazioni di competenza e individuando, tra queste ultime, nel senatore professore Riccardo Villari, il candidato da sottoporre alla prevista intesa della regione Campania. Acquisito l'assenso della regione, si procedeva alla richiesta del prescritto parere parlamentare sul nominativo individuato.
  Successivamente, il 22 ottobre 2013, l'8a Commissione permanente del Senato esprimeva parere positivo sul nominativo proposto, mentre il successivo 23 ottobre la IX Commissione permanente della Camera dei deputati non condivideva tale proposta. Nel dibattito parlamentare nella IX Commissione della Camera emergeva la circostanza che il Villari non risultava in possesso dei requisiti, alla luce della sentenza 4768 del 26 ottobre 2013 del Consiglio di Stato relativa alla nomina del presidente dell'autorità portuale di Cagliari.
  In tale sentenza, il Consiglio di Stato ha ritenuto necessario per la nomina a presidente dell'autorità portuale, pur in assenza di un'espressa previsione normativa in proposito, «il possesso di una laurea connessa, affine, collegata o collegabile con la materia portuale».
  A causa del citato orientamento e delle divergenti valutazioni delle Commissioni parlamentari, si è ritenuto necessario svolgere ulteriori doverosi approfondimenti, acquisendo anche il parere di competenti organi consultivi.
  A seguito di tali pareri e al fine di uscire dall'impasse amministrativa verificatasi e nell'ottica di giungere a detta nomina, si è ritenuto di attivare un nuovo percorso procedimentale, osservando la massima trasparenza, imparzialità e correttezza amministrativa, con la comunicazione motivata agli enti interessati della conclusione negativa del precedente procedimento e la conseguente richiesta agli stessi delle nuove designazioni di competenza, unitamente all'invio di un dettagliato
curriculum che comprovasse ed evidenziasse la prevista qualificazione professionale dei candidati nel settore dell'economia dei trasporti e portuale. A tale richiesta, gli enti interessati non hanno dato ancora seguito.
  La complessità della situazione determinatasi ha reso necessario, nella fase di transizione, affidare a un Commissario straordinario di indiscussa capacità professionale e autorevolezza, quale risulta il professore architetto Francesco Karrer, la gestione commissariale del porto di Napoli che, nelle more della definizione delle procedure, si renderà necessario ulteriormente prorogare, al fine di assicurare un'efficiente continuità gestionale, per il tempo necessario a concludere il nuovo procedimento di nomina del presidente dell'autorità portuale.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dopo un susseguirsi di indiscrezioni sugli organi di stampa nelle ultime settimane, il commissario dell'autorità portuale di Napoli, ammiraglio Felicio Angrisano, dopo aver svolto una meritoria opera, ha annunciato ai dipendenti dell'autorità stessa di aver fatto pervenire alcuni giorni fa una lettera di dimissioni dal proprio incarico al Ministro interrogato;
   sempre secondo quanto si apprende da fonti di stampa, il successore più accreditato sarebbe Giovanni Guglielmi, ex soprintendente alle opere pubbliche della Campania e sotto processo a L'Aquila per presunte irregolarità negli appalti nella ricostruzione successiva al terremoto del 2009. Secondo l'accusa, il costo dei certificati delle scuole dell'Aquila – effettuati pochi mesi dopo il sisma – furono gonfiati, quasi del 300 per cento, per avere alcune aziende «vicine» all'allora provveditore alle opere pubbliche dell'Abruzzo, del Lazio e del Molise, Giovanni Guglielmi; proprio a Guglielmi, nell'ottobre 2012 fu notificato l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria nel comune di Roma, essendogli contestati i reati di turbativa d'asta, falso, abuso d'ufficio e appalto non autorizzato;
   nelle ultime settimane, sempre secondo quanto si apprende da fonti di stampa, Guglielmi si sarebbe recato ripetutamente presso la sede dell'autorità portuale, anche in compagnia del capo di gabinetto del Ministro interrogato, Giacomo Aiello. In tali occasioni avrebbe svolto incontri con i responsabili dei procedimenti (RUP) incaricati di seguire l’iter del grande progetto per lo scalo marittimo napoletano;
   in assenza di una nomina esplicita, risulta del tutto irrituale e anomalo che Guglielmi si sia recato presso l'autorità a svolgere incontri, addirittura accompagnato in una occasione da un alto dirigente del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   secondo altre indiscrezioni di stampa, sarebbe in lizza per l'importante nomina anche il presidente in scadenza dell'autorità portuale di Gioia Tauro, Giovanni Grimaldi;
   per i prossimi giorni si attende l'imminente decisione del TAR Campania sul ricorso cautelare presentato dal senatore Riccardo Villari, il quale chiede che il tribunale amministrativo ordini al Ministro interrogato di nominarlo definitivamente quale presidente dell'autorità portuale –:
   quali siano i criteri con cui il Ministro interrogato stia procedendo in queste settimane per l'ineludibile e ormai improcrastinabile individuazione di un nuovo presidente dell'autorità portuale di Napoli;
   a quale titolo e con quale finalità Giovanni Guglielmi si sarebbe recato presso l'autorità per incontrare alcuni funzionari dell'autorità medesima;
   se corrispondano al vero le indiscrezioni secondo cui il Ministro sarebbe intenzionato ad avviare l’iter per la nomina di Guglielmi;
   qualora ciò dovesse corrispondere al vero, quale sia – nell'opinione del Ministro – l'opportunità di una simile nomina visti i procedimenti giudiziari che riguardano Guglielmi e anche quali siano i criteri curriculari che condurrebbero il Ministro a tale scelta, anche alla luce della importante e recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (sentenza dello scorso 26 settembre 2013 sul cosiddetto «caso Massidda») e qualora ciò non dovesse corrispondere al vero, quali siano le reali intenzioni del Ministro per porre fine ad una condizione commissariale che si protrae da troppo tempo. (4-04669)

  Risposta. — In riferimento alla interrogazione in esame, occorre premettere che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, in tutta la vicenda, si è sempre attenuto al rigoroso rispetto delle prerogative dei numerosi organi (politici, amministrativi e giudiziari) che sono intervenuti nella complessa sequenza dei fatti che hanno caratterizzato la stessa vicenda e che sinteticamente si riassumono.
  In vista della scadenza della precedente presidenza, prevista per febbraio 2013, veniva già avviata, a novembre 2012, la procedura disciplinata dall'articolo 8, comma 1, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, chiedendo agli enti pubblici interessati (provincia, comuni e camera di commercio) le rispettive designazioni di competenza e individuando, tra queste ultime, nel senatore professore Riccardo Villari, il candidato da sottoporre alla prevista intesa della Regione Campania. Acquisito l'assenso della Regione, si procedeva alla richiesta del prescritto parere parlamentare sul nominativo individuato.
  Successivamente, il 22 ottobre 2013, l'8a Commissione permanente del Senato esprimeva parere positivo sul nominativo proposto, mentre il successivo 23 ottobre la IX Commissione permanente della Camera dei deputati non condivideva tale proposta. Nel dibattito parlamentare nella IX Commissione della Camera emergeva la circostanza che il Villari non risultava in possesso dei requisiti, alla luce della sentenza 4768 del 26 ottobre 2013 del Consiglio di Stato relativa alla nomina del presidente dell'autorità portuale di Cagliari.
  In tale sentenza, il Consiglio di Stato ha ritenuto necessario per la nomina a presidente dell'autorità portuale, pur in assenza di un'espressa previsione normativa in proposito, «il possesso di una laurea connessa, affine, collegata o collegabile con la materia portuale».
  A causa del citato orientamento e delle divergenti valutazioni delle Commissioni parlamentari, si è ritenuto necessario svolgere ulteriori doverosi approfondimenti, acquisendo anche il parere di competenti organi consultivi.
  A seguito di tali pareri e al fine di uscire dall’
impasse amministrativa verificatasi e nell'ottica di giungere a detta nomina, si è ritenuto di attivare un nuovo percorso procedimentale, osservando la massima trasparenza, imparzialità e correttezza amministrativa, con la comunicazione motivata agli enti interessati della conclusione negativa del precedente procedimento e la conseguente richiesta agli stessi delle nuove designazioni di competenza, unitamente all'invio di un dettagliato curriculum che comprovasse ed evidenziasse la prevista qualificazione professionale dei candidati nel settore dell'economia dei trasporti e portuale. A tale richiesta, gli enti interessati non hanno dato ancora seguito.
  La complessità della situazione determinatasi ha reso necessario, nella fase di transizione, affidare a un Commissario straordinario di indiscussa capacità professionale e autorevolezza, quale risulta il professore architetto Francesco Karrer, la gestione commissariale del porto di Napoli che, nelle more della definizione delle procedure, si renderà necessario ulteriormente prorogare, al fine di assicurare un'efficiente continuità gestionale, per il tempo necessario a concludere il nuovo procedimento di nomina del Presidente dell'autorità portuale.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   DURANTI, SCOTTO, PIRAS, MARCON, MELILLA, PELLEGRINO, ZARATTI, PALAZZOTTO e PANNARALE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 giugno 2014 è stato pubblicato sul quotidiano La Repubblica.it un reportage dal titolo «L'hangar segreto di Sigonella con i droni spia americani» a firma Alberto Bonanno e Alessandro Puglia;
   dalle immagini girate all'interno della base militare si vedono i velivoli a pilotaggio remoto denominati «Global Hawk»;
   secondo quanto riferito dai giornalisti autori del reportage, all'interno della base di Sigonella ci sarebbero almeno 5 «Global Hawk» mentre in un'altra parte della base, off-limts alle telecamere di Repubblica.it, ci sarebbero i velivoli a pilotaggio remoto cosiddetti «Predator», in grado di trasportare armamenti e bombe;
   ulteriormente i giornalisti raccontano di una notevole presenza di marines americani all'interno della base, appartenenti allo «Special Purpose Air Ground Task Force Crises Response» che fa capo al comando Africom;
   la presenza dei militari sarebbe spiegata dall'evoluzione della crisi in Nord Africa, tant’è che il colonnello Brian T. Koch, comandante del gruppo appena menzionato dichiara a Repubblica.it che: «Non abbiamo scadenza. Siamo qui a Sigonella su ordine del Pentagono, secondo gli accordi con il Governo italiano, per fronteggiare qualsiasi cosa accada nel Nord Africa, e ovviamente in Libia, considerato che è il luogo a noi più vicino. Per il resto la nostra principale attività rimane l'addestramento dei militari africani»;
   secondo quanto riportato da numerose fonti di stampa e confermato anche dall'allora Ministro della difesa, Ignazio La Russa al Parlamento il 12 giugno 2009, i Paesi della NATO hanno acquistato e messo a disposizione di quest'ultima diversi aerei a pilotaggio remoto, tra cui i «Predator» e i «Reaper», operativi nell'ambito del sistema C4ISTAR dell'Alleanza;
   il 3 agosto del 2013, sempre il quotidiano La Repubblica, nell'edizione locale di Palermo, pubblicava l'articolo «Sigonella diventa base strategia ecco le slides riservate della Nato»;
   nell'articolo si riportavano integralmente le slide dei documenti riservati che provano che la base di Sigonella entro il 2017 diventerà la più strategica testa di ponte italiana per le operazioni statunitensi nel continente africano, anche per via di un rafforzamento del contingente americano di quasi mille marines;
   il rafforzamento strategico della base di Sigonella rientrerebbe quindi nell'ambito del più ampio progetto della Nato denominato AGS (Alliance Ground Survelliance), in cui i droni spia hanno un ruolo fondamentale per sorvegliare, fotografare e intercettare i movimenti del «nemico» nei Paesi africani e dove il MUOS, in fase di ultimazione a Niscemi, avrà un ruolo fondamentale;
   negli ultimi anni è cresciuto il ricorso da parte degli Stati Uniti all'utilizzo dei mezzi senza pilota a controllo remoto, in grado di compiere operazioni militari complesse e in scenari difficili e ostili come in Afghanistan, Pakistan, Yemen, Somalia, Mali e Niger;
   queste operazioni non sempre sono state apprezzate dall'opinione pubblica, talvolta portando ad azioni rivelatesi poi fallimentari, suscitando un grosso dibattito specie negli Stati Uniti rispetto all'utilizzo dei droni negli scenari di guerra e nel campo della sicurezza e della sorveglianza;
   le principali organizzazioni internazionali e non governative in difesa dei diritti umani e anche la stessa ONU, che ha aperto un'inchiesta sull'uso dei droni e la loro legittimità rispetto al diritto internazionale, hanno più volte posto l'attenzione sugli effetti collaterali determinati dal loro utilizzo che in più casi hanno portato ad omicidi mirati e vere e proprie stragi nei Paesi sopra menzionati;
   il Governo italiano ha autorizzato nel settembre del 2012 l'installazione dei droni sul territorio, compresi i famigerati «Predator», tuttavia il Governo non ha mai rilasciato alcuna informazione, né informato il Parlamento circa le operazioni e l'utilizzo dei droni installati nelle basi italiane e in particolare in quella di Sigonella;
   ad opinione degli interroganti non è più tollerabile la fornitura delle infrastrutture militari ad esclusivo uso delle forze armate statunitensi senza alcuna informazione circa le operazioni in cui sono coinvolti i cosiddetti droni come anche le altre installazioni militari straniere presenti sul territorio, spesso in contrasto con quanto previsto a livello costituzionale e quanto deciso a livello parlamentare –:
   se sia noto quali e quanti sono i mezzi a pilotaggio remoto presenti all'interno della base militare di Sigonella;
   se il Governo sia a conoscenza delle operazioni militari condotte dalla base di Sigonella e in particolare quelle in cui sono coinvolte i velivoli a pilotaggio remoto;
   se in mancanza di informazioni, il Governo non intenda chiedere chiarimenti al Governo degli Stati Uniti circa le operazioni in cui è coinvolta la base di Sigonella. (4-05388)

  Risposta. — L'Italia e gli Stati Uniti, legati dal «Trattato del Nord Atlantico» firmato a Washington il 4 aprile 1949 e ratificato con legge n. 465 del 1o agosto 1949, hanno sottoscritto sul piano bilaterale il 20 ottobre 1954 un accordo intergovernativo per disciplinare lo status giuridico delle basi alleate in territorio italiano («Accordo fra la Repubblica italiana e gli Stati uniti d'America relativo ad infrastrutture bilaterali in applicazione dell'articolo 2 del Trattato del Nord Atlantico») e uno «Shell agreement», firmato a Roma il 2 febbraio 1995, denominato «Memorandum d'intesa tra il Ministero della Difesa della Repubblica italiana ed il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d'America relativo all'uso di installazioni e infrastrutture da parte delle forze armate USA in Italia ».
  La base di Sigonella appartiene al demanio militare italiano e fa parte delle basi concesse in uso alle forze armate USA in applicazione dei suddetti accordi.
  Le attribuzioni, i compiti, le responsabilità di comando e le procedure di applicazione degli accordi quadro bilaterali sono disciplinate dai
Technical Arrangement (Accordi tecnici previsti dal citato Shell agreement) che il Ministero della difesa negozia con la controparte statunitense per ciascuna base.
  Ciò premesso, per quanto riguarda più specificatamente il numero e il tipo dei velivoli a pilotaggio remoto presso la
Naval Air Station all'interno dell'aeroporto di Sigonella, si comunica che sono attualmente presenti un distaccamento permanente con 4 Global Hawk USAF ed uno temporaneo con 4 Predator USAF.
  I citati Predator sono impiegati in attività di
intelligence, sorveglianza e ricognizione e, in base agli accordi in materia, possono utilizzare armamento solo previa specifica richiesta avanzata all'autorità governativa nazionale e quindi all'Italia.
  Il Global Hawk, che invece non è concepito per portare alcun tipo di armamento, è un sistema APR strategico, che viene impiegato per condurre attività di
intelligence, sorveglianza e ricognizione a lungo raggio e a lunga persistenza, operando a quote molto elevate.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   GAGNARLI, BALDASSARRE, SEGONI e ARTINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi 4 anni solo in Toscana si sono verificati 4 incidenti mortali legati ai lavori ferroviari, senza contare la strage di Viareggio del 29 giugno 2009 verificatasi in seguito al deragliamento del treno merci 50325 Trecate-Gricignano, che provocò in tutto 32 vittime;
   in una relazione di fine 2010 dei magistrati contabili della Corte dei conti, riassume un articolo del Fatto quotidiano del 14 dicembre 2013: si segnala che nel triennio 2006-2009 c’è stato un crollo degli investimenti per le tecnologie che dovrebbero migliorare la sicurezza sulla rete ferroviaria, circa 70 milioni in meno; tuttavia Ferrovie dello Stato rivendica, negli stessi anni, un maxi-piano di investimento per 5 miliardi di euro;
   nel bilancio 2012 di Rfi si legge: «Il volume di spesa consuntivato per investimenti in sviluppi tecnologici innovativi e stato pari a 7,89 milioni di euro». Nel 2009 era stato di 25,38 milioni di euro; al 31 dicembre 2012 la società ha invece investito in «Tecnologie per la sicurezza» 5,88 milioni di euro, circa dieci milioni in meno rispetto a quattro anni fa. Crollano anche i soldi stanziati per la «Diagnostica innovativa», 0,15 milioni e gli «Studi e sperimentazioni su nuovi componenti e sistemi», 1,86 milioni;
   a settembre 2013 il Governo Letta, per finanziare parte dell'Imu cancellata nel 2013, ha sottratto 300 milioni di euro al «finanziamento concesso al Gestore dell'infrastruttura ferroviaria nazionale a copertura degli investimenti relativi alla rete tradizionale, compresi quelli per manutenzione straordinaria» previsti nella Finanziaria 2006;
   nonostante nel 2012, riporta lo stesso articolo del Fatto quotidiano, siano avvenuti ben 108 incidenti ferroviari, il dato più alto dal 2008, il 39 per cento dei quali causato da «difetti nell'esecuzione della manutenzione e alle problematiche connesse ai contesti manutentivi» dei binari o dei convogli, gli investimenti previsti per la rete dal piano industriale 2011-2015 si fermano a 20 miliardi;
   nell'aprile 2013, l'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria ha lanciato l'allarme presentando la relazione su «L'andamento della sicurezza delle ferrovie per l'anno 2012», nella quale il direttore Alberto Chiovelli ha avvertito: «Il dato preoccupante è la carenza manutentiva». Non è un caso che l'80 per cento dei deragliamenti avvenuti nel 2012 sia dovuto a «problematiche nella manutenzione dell'infrastruttura»;
   la scorsa notte a Firenze (stazione di Santa Maria Novella) un altro lavoratore, il manovratore Fabrizio Fabbri, addetto alla composizione dei treni, è morto per il deragliamento di una motrice mentre stava preparando i convogli dei pendolari per la mattina seguente;
   a seguito dell'incidente mortale sono state aperte tre inchieste per chiarire le dinamiche e le responsabilità, una della procura, una delle Ferrovie e una del Ministero dei trasporti; gli investigatori della Polfer, coordinati dal pubblico ministero di Firenze Filippo Focardi, hanno sequestrato la locomotiva, hanno acquisito documentazione tecnica sugli scambi, sulla velocità a cui viaggiava il convoglio, sulle dotazioni di bordo e sui sistemi di sicurezza, per accertare le cause del deragliamento e la regolarità delle operazioni, in particolare se il manovratore del convoglio dovesse scendere o meno dal convoglio e se la manovra dovesse essere compiuta in solitario, come risulta sia accaduto dai primi accertamenti, o da più persone;
   in una nota di Trenitalia diramata a seguito dell'incidente, inoltre, risulta che il sistema di sicurezza che avrebbe dovuto arrestare il movimento del treno (Scmt) al superamento della velocità di 4 chilometri orari, anche in assenza di personale a bordo, risultava stranamente disinserito durante l'operazione di trasferimento del convoglio che ha provocato la morte dell'operaio;
   da esternazioni di operai di FS in toscana, supportate dai sindacati di settore, emerge una scottante problematica di sfruttamento degli stessi, che sarebbero sottoposti a turni massacranti notturni come fossero diurni, sole 6 ore di riposo e 30 minuti di pausa pranzo, compresi i tempi di spostamento, che inevitabilmente potrebbero provocare distrazioni anche fatali sul lavoro;
   le segreterie regionali di Cisl Fit, Cigl Filt, Uiltrasporti e Ugl hanno, invece, messo in evidenza lo stato di difficoltà, dovuto principalmente alla mancanza di personale in cui versano gli impianti ferroviari toscani e per la quale sono già in corso da tempo delle vertenze sindacali. Il segretario confederale della Cisl, Luigi Sbarra, ha puntato il dito sulla mancanza di prevenzione e la tendenza alla riduzione delle risorse umane impiegate nelle diverse attività lavorative, specie quelle più operative e pericolose con conseguente aumento dell'esposizione ai rischi sul lavoro;
   il sottosegretario alle infrastrutture e ai trasporti Erasmo D'Angelis, da parte sua, ha tuttavia affermato che i dati degli ultimi tre anni indicano una diminuzione degli incidenti ferroviari, ma occorre mantenere sempre alti i livelli di attenzione –:
   se il Ministro interrogato, alla luce dei fatti esposti in premessa ed in particolare dell'incidente mortale avvenuto alla stazione di Firenze Santa Maria Novella, nelle more di addivenire al termine dalle indagini che ne chiariranno cause ed eventuali responsabilità ritenga sufficientemente efficace ed efficiente l'attuale sistema di sicurezza dei convogli e della rete ferroviaria italiana, con particolare riferimento alla situazione della regione Toscana;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quali siano le intenzioni future di Rfi e di Trenitalia (entrambe appartenenti alla holding Ferrovie dello Stato), in materia di salute, sicurezza sul lavoro e prevenzione dei rischi, in termini di investimenti in tecnologie e protocolli che dovrebbero migliorare la sicurezza dei treni e della rete ferroviaria, risultata in calo negli ultimi anni, ed in termini di strategie e piani aziendali di gestione delle manutenzioni e del personale, in particolare quello esposto alle operazioni ad elevato ed agli orari notturni. (4-03178)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, circa quanto accaduto lo scorso 12 gennaio 2014 nella stazione ferroviaria di Firenze Santa Maria Novella, sono state informazioni presso Ferrovie dello Stato italiane (FS), l'agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (ANSF) e presso la competente direzione generale per le investigazioni ferroviarie e marittime del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  La società Ferrovie dello Stato ha riferito che l'incidente è avvenuto durante le operazioni di manovra di un convoglio dal parco carrozze verso il fascio binari viaggiatori: il materiale rotabile era destinato all'effettuazione del treno-regionale 11747 del successivo 13 gennaio. Nel corso di tale movimentazione, la carrozza di testa del convoglio stesso e le prime due ruote della carrozza successiva sono sviate nel percorrere un binario tronco e un agente della squadra di manovra in servizio è stato investito mortalmente.
  Sull'incidente sono tuttora in corso le indagini dell'autorità giudiziaria, alla quale Trenitalia ha trasmesso tutta la documentazione richiesta.
  Ai sensi del decreto legislativo n. 162 del 2007, la citata direzione generale di questo Ministero ha provveduto all'apertura di una indagine volta ad accertare le cause tecniche dell'accaduto. Allo scopo è stata nominata una commissione di indagine costituita da due tecnici esperti di circolazione ferroviaria, iscritti all'apposito albo degli investigatori ferroviari.
  Detta commissione ha concluso di recente il proprio incarico ed ha depositato presso la citata direzione generale le risultanze tecniche dell'attività svolta. I risultati sono stati illustrati nelle scorse settimane alle parti coinvolte, con le quali si sta concludendo il confronto tecnico, ai sensi dell'articolo 21 del citato decreto legislativo n. 162 del 2007, di recepimento della direttiva europea 2004/49/CE.
  Appena terminato il confronto verranno emesse le necessarie raccomandazioni e sarà pubblicata la relazione di indagine.
  Dal canto suo l'ANSF, a seguito dell'evento, ha richiamato il gestore dell'infrastruttura e le imprese ferroviarie circa il rispetto dei principi contenuti nel regolamento per la circolazione ferroviaria emanato dalla medesima agenzia con il decreto n. 4 del 2012, con particolare riferimento alla protezione della circolazione dei treni dalle possibili interferenze con i movimenti di manovra.
  Contestualmente, è stato chiesto all'impresa ferroviaria coinvolta di verificare lo stato di funzionamento del sistema di protezione della marcia del treno e le cause del suo mancato inserimento in quella circostanza. La medesima agenzia, in un contesto più generale, ha anche ribadito alle diverse imprese ferroviarie che i trasferimenti dalle stazioni agli impianti di ricovero o viceversa, ai sensi del citato regolamento, devono essere effettuati con il sistema di protezione della marcia dei treni e con il dispositivo di controllo della vigilanza dell'agente di condotta attivi.
  Successivamente, il 5 agosto 2014, il gestore dell'infrastruttura, proprio per conformarsi ai princìpi introdotti dal citato regolamento, ha inviato per commenti la bozza di una disposizione di esercizio, al momento oggetto di confronto fra il gestore dell'infrastruttura e le imprese ferroviarie, in particolare per gli aspetti relativi agli oneri economici e organizzativi che le modifiche proposte comporterebbero.
  Nelle more dell'emanazione ufficiale di tale provvedimento, alcune imprese ferroviarie, tra cui quella coinvolta nell'incidente in parola, hanno risposto direttamente ai richiami dell'agenzia, confermando l'adeguatezza della propria organizzazione alle norme, la corretta formazione del personale nonché la corretta applicazione di norme, disposizioni e prescrizioni; altre imprese, pur non avendo risposto direttamente ai suddetti richiami, hanno comunque introdotto apposite modifiche alle proprie disposizioni d'esercizio al fine di recepirli.
  Infine, l'ANSF ha comunicato che sta proseguendo nelle attività ispettive presso gli scali di manovra e che da tale attività sta emergendo la necessità, per i diversi soggetti che operano in tali scali, di definire in maniera più chiara, anche attraverso accordi e documenti di esercizio, ruoli e responsabilità di ciascuno all'interno degli scali stessi e di operare un monitoraggio continuo sulla propria parte di sistema.
  Per quanto riguarda, poi, la salute, la sicurezza sul lavoro e la prevenzione dei rischi, l'agenzia ha fatto presente di avere in corso specifici controlli finalizzati a verificare la conformità alle norme vigenti delle procedure di sicurezza adottate dagli operatori ferroviari nello svolgimento delle attività di manovra nonché il rispetto delle stesse procedure nell'esecuzione delle relative attività.
  Sempre in merito ai livelli di sicurezza del lavoro e alle iniziative intraprese, il gruppo Ferrovie dello Stato italiane evidenzia che la salute e la sicurezza del lavoro costituiscono valori fondamentali per il gruppo, impegnato al rigoroso rispetto delle normative in tema di prevenzione e nella costante riduzione degli infortuni e della loro frequenza; d'altra parte, nel triennio 2011-2013, i dati forniti dall'INAIL evidenziano la riduzione degli stessi in misura del 32 per cento. Anche gli infortuni mortali si sono ridotti considerevolmente: la media è passata da 5 nel triennio 2008-2010 a 2 nel triennio 2011-2013.
  Il nuovo piano industriale di gruppo 2014-2017, a conferma dell'impegno, pone la sicurezza tra i valori nodali per lo sviluppo del gruppo stesso e prevede nuovi obiettivi di riduzione degli infortuni e della loro frequenza. L'andamento delle
performance del gruppo sono pubblicate annualmente sul bilancio consolidato e sul rapporto di sostenibilità del gruppo stesso.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   GRECO e GULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'accordo siglato tra Alitalia e la compagnia araba Etihad danneggia la Sicilia che vedrebbe una riduzione dei voli da Palermo e Catania del 50 per cento;
   ciò condannerebbe all'isolamento la Sicilia che peraltro non dispone di reti stradali adeguate ed ha un servizio ferrovia lumaca;
   come ha detto il presidente Renzi, il rilancio dell'Italia dipende dal rilancio del sud;
   non si può tollerare che l'Italia venga divisa in due –:
   se il Ministro interrogato, in sede di trattativa, fosse stato informato degli intendimenti della società acquirente in relazione a quanto descritto in premessa e quali iniziative abbia intrapreso in quella sede per evitare questa ulteriore penalizzazione per il territorio siciliano. (4-06116)

  Risposta. — In risposta al quesito posto dagli interroganti circa la riduzione dei collegamenti aerei da Palermo e Catania, occorre premettere che il mercato del trasporto aereo trova a livello comunitario la propria disciplina nel regolamento n. 1008/2008 del 24 settembre 2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, recante norme comuni per le prestazioni di servizi aerei nella Comunità.
  In base a tale regolamento, che si pone come finalità quella di governare in modo uniforme il graduale e progressivo processo di liberalizzazione del trasporto aereo attraverso la definizione di regole certe e comuni a tutti gli operatori del settore, i vettori titolari di licenza di trasporto aereo rilasciata da uno Stato membro dell'Unione europea hanno la possibilità di scegliere le rotte sulle quali operare e di fissare le tariffe aeree per il trasporto passeggeri e merci.
  In altri termini, l'opportunità di istituire collegamenti aerei all'interno del territorio europeo è devoluta a logiche imprenditoriali e di mercato che si inquadrano in una dimensione concorrenziale e che, come tale, non consentono all'Amministrazione di intervenire sulle scelte operate dalle singole imprese.
  Ciò posto, è bene evidenziare che, proprio su impulso determinante del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sono state emanate norme finalizzate a rendere più trasparenti gli accordi tra operatori al fine di evitare comportamenti potenzialmente distorsivi delle dinamiche concorrenziali.
  In particolare, si richiamano i commi 14 e 15 dell'articolo 13 del decreto-legge n. 145 del 2013 interventi urgenti di avvio del piano Destinazione Italia, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015) e relativa legge di conversione, nei quali commi si prevede espressamente che i gestori di aeroporti che stringono rapporti commerciali con vettori aerei in funzione dell'avviamento e dello sviluppo di rotte destinate a soddisfare e promuovere la domanda nei rispettivi bacini di utenza, devono esperire procedure di scelta del beneficiario trasparenti e tali da garantire la più ampia partecipazione dei vettori potenzialmente interessati, secondo modalità da definirsi con apposite Linee guida adottate dal Ministero delle infrastrutture e trasporti, sentiti l'autorità di regolazione dei trasporti e l'Ente nazionale per l'aviazione civile.
  I gestori aeroportuali dovranno comunicare all'Autorità di regolazione dei trasporti e all'ENAC l'esito delle procedure previste dal citato comma 14, ai fini della verifica del rispetto delle condizioni di trasparenza e competitività.
  Peraltro, ad ottobre 2014 sono state pubblicate le menzionate linee guida, consultabili anche sul sito
web del Ministero delle infrastrutture e trasporti, che consentiranno all'impianto normativo sopra descritto di esplicare pienamente i propri effetti, dotandolo di reale operatività, sotto la stretta vigilanza dell'ENAC e delle competenti strutture del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  La disciplina richiamata vale, naturalmente, per le future iniziative commerciali tra operatori del settore mentre, per quelle già esperite, resta fermo il generale potere di controllo e vigilanza svolto dall'ENAC su gestori aeroportuali e vettori in ordine al rispetto delle norme di settore in un contesto di elevata liberalizzazione del mercato.
  Certamente il quadro delineato conferma l'attenzione del Ministero delle infrastrutture e trasporti, pur nell'ambito di una competizione economica di mercato, questa si sviluppi secondo logiche concorrenziali e non discriminatorie.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   LAVAGNO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   venerdì 13 gennaio 2012 alle 21:45, nelle acque dell'Isola del Giglio, la nave da crociera «Costa Concordia», di proprietà della compagnia di navigazione Costa Crociere, ha urtato uno scoglio riportando l'apertura di una falla lunga circa 70 metri sul lato sinistro dell'opera viva. L'impatto ha provocato la brusca interruzione della crociera, un forte sbandamento e il conseguente arenamento sullo scalino roccioso del basso fondale prospiciente Punta Gabbianara, a nord di Giglio Porto;
   l'incidente ha provocato 33 morti, tra cui la morte di un sommozzatore mentre era intento a collaborare nei lavori di rimozione del relitto, avvenuta il 1° febbraio 2014;
   salpata dal porto di Civitavecchia con 4229 persone a bordo (3216 passeggeri e 1013 membri dell'equipaggio), avrebbe dovuto successivamente fare scalo nei porti di Savona, Marsiglia, Barcellona, Palma di Maiorca, Cagliari, Palermo, per poi far ritorno a Civitavecchia;
   dopo 27 minuti dall'urto la capitaneria di porto di Livorno si metteva in comunicazione con la Costa Concordia (su avviso di un parente di un passeggero) per assicurarsi del loro stato, dopo che i Carabinieri di Prato avevano avvisato la capitaneria stessa di aver ricevuto una telefonata richiedente informazioni sullo stato delle cose;
   alle 22:17 il comandante Schettino comunicava a Ferrarini la presenza di due compartimenti allagati e che in tali condizioni permaneva la galleggiabilità della nave. Comunicava inoltre la decisione di non gettare subito le ancore in quanto la nave stava scarrocciando verso terra, quindi avrebbe atteso l'avvicinamento della nave verso acque meno profonde prima di dare fondo all'ancora. Alle 22:27 il comandante comunicava ancora con Ferrarini riferendo di un aggravamento delle condizioni. In particolare il comandante riferiva che la via d'acqua interessava 3 compartimenti della nave;
   il comandante ordinava di dare l'emergenza generale, gli annunci ai passeggeri i quali venivano invitati a recarsi ai punti di raccolta e alle 22:33 il comandante ne dava comunicazione telefonica a Roberto Ferrarini;
   alle 22:45 i membri dell'equipaggio hanno iniziato a preparare i passeggeri e le scialuppe per lasciare la Concordia e alle 22:58 il comandante ha dato l'ordine di abbandonare la nave;
   alle 23:11 il comandante comunicava al telefono con Ferrarini riferendo che lo scarroccio verso acque meno profonde era andato a buon fine e di aver già dato fondo alle due ancore. Comunicava che la poppa era appoggiata sul basso fondo e che la nave non poteva muoversi dal punto in cui si trovava. Riferiva che le operazioni di sbarco con le scialuppe erano già cominciate, inoltre segnalava la presenza di una motovedetta e di un traghetto in assistenza;
   durante le prime ore successive al naufragio gli inquirenti hanno sostenuto che il comandante alle 23:30 non si trovasse più a bordo, quando la maggior parte dei passeggeri doveva ancora essere sbarcata;
   qualche giorno dopo il naufragio sono state pubblicate le registrazioni di alcune telefonate (la prima alle 00:32, un'ora e mezza dopo l'inizio delle operazioni di sbarco) in cui il capitano di fregata Gregorio De Falco della capitaneria di porto di Livorno, quella notte intimava al comandante di risalire sul relitto ormai coricato sul fianco. Questi rispondeva che stava coordinando le operazioni da una lancia di salvataggio, essendo ormai il relitto impraticabile. Durante la terza telefonata, quella delle 01:46, De Falco ordinò al comandante di tornare a bordo della nave e di coordinare lo sbarco dei passeggeri, non ottenendo però il risultato desiderato;
   Gregorio De Falco, ai tempi del naufragio della Costa Concordia, era a capo della sezione operativa e dallo scorso anno aveva assunto l'incarico di caposervizio operazioni della direzione marittima di Livorno, gestendo, in prima persona, nella notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012, le fasi cruciali dei soccorsi dopo il naufragio della nave all'Isola del Giglio, ricevendo per questo anche l'encomio solenne della Marina Militare;
   nella tragica notte del 13 gennaio 2012, in cui la Concordia colò a picco, dagli uffici della capitaneria di porto di Livorno, prese le redini della situazione, intimando al comandante di tornare a bordo con la famosa telefonata che ha suscitato scalpore nell'opinione pubblica;
   da organi di stampa si apprende che il capitano di fregata, dopo dieci anni, è stato rimosso da incarichi operativi nella capitaneria di Livorno: a fine settembre infatti sarà trasferito in altri uffici, sempre della Direzione marittima di Livorno;
   inoltre, il capitano di fregata dichiara: «eseguirò gli ordini, ma sono convinto di essere vittima del mobbing. Dunque valuterò azioni legali. Il nuovo incarico che mi hanno assegnato cancella in un attimo dieci anni della mia vita e della mia professione. Ho lavorato in un'area operativa e, nell'ultimo anno, con funzioni di comando. E come se un insegnante, innamorato di didattica e pedagogia che ha dimostrato la propria competenza, venisse all'improvviso trasferito in un ufficio amministrativo»;
   in un'intervista a Repubblica De Falco rivela di non escludere, anzi di temere che dietro il suo trasferimento ci possano essere dei legami con il naufragio della Concordia e le successive vicende processuali –:
   se il Ministro intenda chiarire la vicenda della rimozione del comandante Gregorio De Falco dal settore operativo della capitaneria di Livorno e il suo trasferimento ad un ufficio amministrativo. (4-06179)

  Risposta. — Con riferimento al quesito posto dall'interrogante sono state assunte precise informazioni presso il comando generale del Corpo delle capitanerie di porto e si riferisce quanto segue.
  Per offrire un quadro completo del contesto nel quale si è sviluppata la determinazione assunta nei confronti del capitano di fregata Gregorio De Falco, il comando generale evidenzia che, a conclusione dell'anno in corso, avrà originato tra i 250 e i 300 ordini di trasferimento o di avvicendamento negli incarichi; ciò su un totale di 1.200 ufficiali in organico.
Peraltro, tale entità di provvedimenti è attualmente limitata dai vincoli di bilancio propri del processo di riduzione della spesa, a discapito di un più adeguato avvicendamento, funzionale anche all'arricchimento professionale del personale.
  Per tre importanti direzioni marittime – Napoli, Pescara e Livorno – nel 2014 sono stati disposti, rispettivamente, 23 (NA), 27 (PE) e 19 (LI) cambi di incarico e trasferimenti.
  Su base nazionale, per gli ufficiali, nell'ultimo quinquennio si sono registrati poco meno di 900 avvicendamenti, con una media, per anno, di circa 180 trasferimenti e cambi di incarico. I fattori che inducono a tali determinazioni sono legati a più esigenze, che interagiscono per il migliore impiego delle risorse umane ai fini di un ottimale assetto organizzativo:
   equilibrata distribuzione nelle dotazioni organiche degli uffici, vincolate ad apposite tabelle approvate dal Ministero della difesa;
   funzionalità delle articolazioni del corpo, per i servizi che è chiamato a garantire per il bene comune;
   distribuzione dei trasferimenti e degli incarichi, in relazione alle dinamiche proprie dello sviluppo di carriera del personale che, per lo
status militare rivestito, è di per sé soggetto ad una mobilità più marcata di altri comparti dell'amministrazione pubblica.
  Con mirato riferimento alla vicenda in esame, è opportuno precisare che, nelle proprie schede annuali di aspirazione, l'ufficiale ha manifestato dal 2005 in poi, con la sola eccezione di quella del 2007, il desiderio di permanere nella sede cui è assegnato (Livorno).
  Inoltre, nel 2011, tra gli incarichi ai quali indica di aspirare, il comandante De Falco colloca anche quello di capo ufficio studi di direzione marittima: proprio l'incarico di carattere amministrativo oggi assegnatogli, benché riferito, allora, alla sede di Genova.
  Il mantenimento dell'ufficiale nella sede di Livorno è stato determinato anche dall'esigenza di assicurare all'amministrazione della giustizia la possibilità di continuare ad avvalersi del contributo del comandante De Falco nelle attività di inchiesta a seguito del sinistro Concordia. Il successivo cambio di incarico nasce, dunque, dall'esigenza di una rimodulazione degli incarichi della direzione marittima di Livorno, al pari di ciò che avviene presso tutti gli uffici marittimi e tutte le realtà militari.
  In conclusione, il disposto avvicendamento dell'incarico rientra nelle ordinarie e fisiologiche dinamiche di impiego del personale del corpo; al momento, non si prevede, pertanto, di riportare il capitano di fregata Gregorio De Falco al suo precedente ruolo. Ciò anche nella considerazione che la politica gestionale del Corpo non può che riconoscere pari dignità e rilevanza tanto agli incarichi operativi, quanto ai compiti di carattere amministrativo, che peraltro, al pari di quelli di ogni altro dipendente pubblico, non possono essere ordinariamente assegnati e mantenuti
sine die.
  Infine, per quanto attiene alla ipotizzata possibilità di una promozione al grado superiore di capitano di vascello, i meriti e i riconoscimenti acquisiti dal comandante De Falco costituiranno oggetto di futura valutazione da parte della commissione di avanzamento, quando, al ricorrerne dei presupposti, sottoporrà l'ufficiale in discorso alla pianificata procedura ordinaria di avanzamento, secondo il vincolante percorso stabilito dalla legge.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la relazione ferroviaria Pescara-Roma è insostenibile sia per i tempi di percorrenza di 4 ore per una distanza di 200 chilometri, sia per la qualità dei treni utilizzati, vecchi, poco puliti, senza alcun servizio per i passeggeri;
   in particolare poi dall'inizio dell'anno, nella tratta Avezzano Roma, gravissimi e molteplici sono stati i disagi che hanno colpito i pendolari: sono numerosi i casi di mancata erogazione del servizio a causa di incidenti e di negligenze nella manutenzione della linea;
   inoltre, dal 9 luglio 2014 è nuovamente bloccata tutta la circolazione ferroviaria tra Avezzano e Roma, perché è nuovamente «caduta» la linea elettrica. È possibile che questi incidenti siano riconducibili all'occasionalità e possono perciò sembrare estranei alle decisioni della dirigenza ferroviaria;
   la disabilitazione agli incroci delle stazioni della linea Pescara-Roma che si sta realizzando da qualche tempo è una scelta tutta interna ai responsabili di RFI (Rete ferroviaria italiana), ed è gravissima in sé, in quanto riduce fortemente la capacità di far circolare i treni in quella linea;
   ed è ancora più grave perché questa disabilitazione si sta realizzando proprio quando il progetto CTC (controllo traffico centralizzato) non è più un miraggio, ma fa parte di un progetto in fase di definizione sulla Pescara-Roma;
   con il controllo del traffico centralizzato si potrebbe migliorare moltissimo la circolazione dei treni sulla linea –:
   quali iniziative per quanto di competenza intenda assumere nei confronti di Ferrovie dello Stato italiana che con il suo comportamento ad avviso dell'interrogante sta affossando la relazione ferroviaria tra Avezzano e Roma a tutto vantaggio del trasporto privato su gomma. (4-05469)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, sono state assunte precise informazioni presso Ferrovie dello Stato italiane e si riferisce quanto segue.
  La linea ferroviaria Roma-Pescara costituisce un importante collegamento tra le dorsali tirrenica e adriatica. La linea è a servizio di un trasporto interregionale locale, che si colloca tra il trasporto di media-lunga percorrenza e quello regionale, dovendo assolvere sia la funzione di collegamento veloce nei servizi e nelle relazioni di estremità, sia la funzione di collettore per l'area metropolitana di Roma, Chieti e Pescara.
  Tale linea è a doppio binario nella tratta Roma-Lunghezza e a binario unico tra Lunghezza e Pescara.
  Sulla tratta Prenestina-Avezzano comprese vi sono 25 località in cui si effettua il servizio viaggiatori, di queste 11 sono utilizzabili per incroci/precedenze.
  Sulla linea FL2, tra Roma Prenestina/Piazzale Est Roma Tiburtina e Avezzano, l'offerta nel giorno feriale medio è costituita da:
   11 coppie di treni sulla tratta Lunghezza-Piazzale Est Tiburtina;
   6 coppie di treni sulla tratta Guidonia/Bagni di Tivoli-Piazzale Est Tiburtina/Roma Termini;
   13 coppie di treni sulla tratta Tivoli-Piazzale Est Tiburtina;
   9 coppie di treni sulla tratta Avezzano-Piazzale Est Tiburtina/Roma Termini.

  Riguardo ai tempi di percorrenza, questi derivano dalla potenzialità tipica di una linea a binario unico sulla gran parte del tracciato, come illustrato in premessa.
  Circa i disservizi registrati nel corso del corrente anno, è opportuno specificare che tutte le attività di manutenzione vengono svolte regolarmente secondo gli standard di RFI, con una spesa annua pari a circa 6 milioni di euro.
  In particolare, in merito al disservizio alla linea elettrica del 9 luglio 2014, si informa che tale evento è stato causato dal danneggiamento dell'elettrodotto di RFI conseguente al tentativo di furto dei conduttori, il che ha determinato la disalimentazione della tratta Avezzano-Castelmadama. In tale occasione è stato assicurato un servizio ridotto con trazione diesel e ausilio di bus sostitutivi per attenuare il disagio dei viaggiatori.
  Per poter meglio gestire situazioni analoghe in futuro, è in fase di realizzazione una alimentazione aggiuntiva da ENEL per la sottostazione di Carsoli.
  Quanto alla «disabilitazione agli incroci di alcune stazioni», si evidenzia che si tratta di razionalizzazione dell'infrastruttura. In particolare, sono state effettuate due trasformazioni in fermata. Tali interventi sono finalizzati al miglioramento della manutenibilità e, quindi, a un incremento di affidabilità infrastrutturale e conseguente regolarità dell'esercizio ferroviario. Tali interventi sono assolutamente compatibili con i livelli quantitativi dell'offerta di trasporto attuale, permettendo, peraltro, di recepire eventuali ulteriori incrementi di traffico.
  Inoltre, sono in corso interventi infrastrutturali di potenziamento per un valore complessivo di 217,5 milioni di euro, così articolati:
   160 milioni di euro per il raddoppio della tratta Guidonia-Lunghezza, con ultimazione prevista per dicembre 2017;
   50 milioni di euro per la realizzazione di interventi sia tecnologici che infrastrutturali, con ultimazione prevista a dicembre 2017.

  E in particolare, per gli interventi tecnologici:
   realizzazione ACEI telecomandati in 13 stazioni;
   realizzazione BCA sull'intera tratta;
   realizzazione nuovo CTC con Posto centrale Roma Termini.

  Per le opere civili, armamento, TE e complementari:
   velocizzazione itinerari ingresso/uscita a 60 chilometri orari;
   realizzazione sottopassi pedonali in 5 stazioni;
   realizzazione marciapiedi e pensiline.

  E infine: analisi della vulnerabilità sismica dei ponti e conseguente adeguamento:
   2,5 milioni di euro per l'alimentazione aggiuntiva da ENEL per la sottostazione elettrica di Carsoli, con ultimazione prevista per dicembre 2015;
   5 milioni di euro per il prolungamento degli attuali binari 1est e 2est della stazione di Roma Tiburtina verso Monterotondo. Una fase di tale intervento, realizzata lo scorso 16 novembre e in esercizio in pari data, prevedeva il prolungamento dei suddetti binari all'interno dell'impianto e il contestuale adeguamento del marciapiedi allo
standard metropolitano, con eliminazione delle barriere architettoniche e miglioramento dell'accessibilità.

  Infine, per quanto di competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, circa la situazione del trasporto pubblico locale delle regioni Abruzzo e Lazio, si fa presente che le funzioni e i compiti di amministrazione e programmazione in materia di servizi ferroviari regionali e interregionali sono stati conferiti alle regioni in applicazione del decreto legislativo n. 422 del 1997.
  Tale programmazione deve essere diretta a individuare e ridurre i servizi scarsamente utili e sovrapposti o prodotti con modalità eccessivamente onerosa in relazione alla domanda esistente, per poter destinare le risorse liberate all'incremento qualitativo e quantitativo dei servizi a domanda forte.
  Infine, si rappresenta che la problematica in argomento potrà essere comunque esaminata nell'ambito dell'attività dell'osservatorio nazionale sul trasporto pubblico locale presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, istituito con l'articolo 1, comma 300, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.