Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 14 gennaio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    l'endometriosi è una malattia della quale sono affette circa 3 milioni di donne in Italia, 14 milioni in Europa e 150 milioni nel mondo. È una malattia cronica e invalidante, che consiste nella presenza di tessuto endometriale, che normalmente riveste la cavità uterina, in siti ectopici, cioè al di fuori dell'utero dove forma noduli, lesioni, impianti o escrescenze. Esse si localizzano più frequentemente nell'addome interessando ovaie, tube, peritoneo, intestino, ma anche altri organi. Viene classificata in quattro gradi diversi (I stadio minima, II stadio lieve, III stadio moderata e IV stadio severa o grave), dal più lieve al più serio, in base all'estensione e alla localizzazione della lesione;
    tale malattia è molto difficile da diagnosticare. Molte donne ricevono una corretta diagnosi mediamente dopo circa dieci anni di visite mediche, pubbliche e private, queste ultime molto costose. A causa dei pochissimi fondi stanziati per la ricerca esistono pochissime équipe specializzate nella diagnosi e cura della patologia e spesso operanti nel privato. Esiste infatti ancora molta disinformazione in materia, tanto che nella maggior parte dei casi i forti dolori avvertiti dalle donne, soprattutto nei primi giorni del ciclo mestruale, sono ricondotti ad una causa di tipo psicologico;
    l'endometriosi è sicuramente una malattia invalidante, in quanto costringe le donne che ne sono affette a modificare il proprio stile di vita, rimodulando le proprie abitudini sia nei rapporti sociali che nella vita lavorativa e privata;
    il 22 luglio 2009 il Ministro per le pari opportunità, il presidente dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, il presidente dell'Istituto nazionale per l'assicurazione infortuni sul lavoro, il presidente dell'Istituto affari sociali e il presidente della Fondazione italiana endometriosi hanno stipulato un protocollo d'intesa sul tema dell'endometriosi;
    con tale convenzione le parti si sono impegnate nella promozione di campagne di sensibilizzazione, informazione e comunicazione pubblica sulla tematica dell'endometriosi; si sono impegnate a costituire un tavolo tecnico presso il Ministero per le pari opportunità per la verifica e la valutazione di strumenti normativo-istituzionali tesi a «promuovere pratiche di sostegno alle donne affette da endometriosi o esposte a rischio di malattia» (articolo 1);
    con l'articolo 4 della suddetta convenzione le parti hanno concordato di dare priorità alle seguenti tematiche e aree di intervento:
     aumentare la consapevolezza che la corretta informazione e la prevenzione sull'endometriosi rappresentano lo strumento per combattere la patologia;
     favorire una sinergia con tutte le realtà locali interessate al fine di diffondere una presa di coscienza dei problemi che la patologia può avere nella vita delle donne;
     porre particolare attenzione ai luoghi di lavoro e ai fattori che possono avere un ruolo nella progressione della malattia;
     stimolare un maggiore interesse per la ricerca scientifica al fine di stimare il reale impatto della malattia sulla vita delle donne;
    tale protocollo d'intesa aveva validità 5 anni a decorrere dalla data di stipula, termine scaduto il 22 luglio 2014;
    sono già state approvate in Italia due leggi regionali, la n. 18 del 2012 del Friuli Venezia Giulia, e la n. 40 del 2014 della Puglia che, oltre a promuovere la prevenzione e la diagnosi precoce dell'endometriosi al fine di migliorare la qualità delle cure, istituiscono un osservatorio e un registro regionale e promuovono campagne di sensibilizzazione e formazione. E varie proposte di legge sono state depositate in altre regioni;
    da diversi ambiti della società si sente da tempo l'esigenza di dare una spinta alle istituzioni, a tutti i livelli, per ottenere il riconoscimento della patologia ai fini dell'invalidità civile e il relativo inserimento nelle tabelle di cui al decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329 «Regolamento recante norme di individuazione delle malattie croniche e invalidanti ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124», come modificato dal decreto ministeriale 21 maggio 2001, n. 296 «Regolamento di aggiornamento del decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329», che individua le condizioni di malattia croniche e invalidanti che danno diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria correlate,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative, anche normative, affinché siano aggiornate le tabelle di cui al decreto ministeriale n. 329 del 1999, ai fini dell'inserimento dell'endometriosi tra le malattie invalidanti, riconoscendo alle donne affette dalla patologia il diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria correlate;
   ad avviare iniziative di sostegno sociale ed economico per le donne affette da endometriosi, finalizzate alla riduzione, degli enormi costi che le pazienti si trovano ad affrontare prima e dopo la diagnosi certa della malattia, prevedendo l'esenzione dal ticket sanitario per esami specialistici, quali ecografie pelviche e transvaginali, risonanze magnetiche con contrasto e altro, e prevedendo altresì l'esenzione per l'acquisto di farmaci destinati a lenire il dolore e a bloccare i sintomi della patologia, intervenendo anche con azioni volte alla riduzione dei tempi d'attesa per le prestazioni offerte dal servizio sanitario nazionale;
   ad adottare iniziative a tutela delle donne affette da endometriosi, a partire dalla promozione della conoscenza della malattia per arrivare al sostegno della ricerca scientifica affinché si arrivi, per la maggior parte dei casi, ad una diagnosi precoce certa;
   ad assumersi iniziative per istituire il fondo nazionale per l'endometriosi e un registro nazionale dell'endometriosi per la raccolta e l'analisi dei dati clinici e sociali della malattia, ponendo l'onere a carico delle regioni di trasmettere al registro nazionale periodicamente i dati relativi alla diffusione della malattia nel rispettivo territorio, ad attuare campagne di sensibilizzazione e di informazione sulla malattia, e infine a sostenere iniziative di formazione e aggiornamento del personale medico, di assistenza e dei consultori familiari;
   ad attuare una politica di tutela della lavoratrice affetta da endometriosi, al fine della salvaguardia del posto di lavoro;
   ad istituire presso il Ministero della salute una commissione nazionale per l'endometriosi, composta da un rappresentante del Ministero della salute, da un rappresentante dell'Istituto superiore di sanità, da tre rappresentanti delle regioni e da sette rappresentanti degli enti di ricerca pubblici o privati esperti della materia, che abbia il compito di emanare le linee guida sulla malattia e di redigere le graduatorie per l'assegnazione di risorse del fondo nazionale.
(1-00698) «Lorefice, De Lorenzis, Nicola Bianchi, Gagnarli, Rizzo, Corda, Frusone, Spadoni, Di Battista, Manlio Di Stefano, Del Grosso, Lombardi, Cozzolino, Silvia Giordano, Mantero, Grillo, Colonnese, Di Vita, Baroni, Cecconi, Ruocco, Cancelleri, Tofalo, Basilio, Alberti, Cominardi, Tripiedi, Terzoni».

Risoluzioni in Commissione:


   La II Commissione,
   premesso che:
    Eurojust è un'agenzia dell'Unione europea con sede a L'Aja, in Olanda;
   l'idea di istituirla nasce a Tampere, in Finlandia, ove nell'ottobre 1999 si riunì il Consiglio europeo, composto dai capi di Stato e di Governo dei 15 Stati allora membri dell'Unione, per tenere una riunione straordinaria esclusivamente dedicata alle problematiche degli affari interni e della giustizia;
   in quella sede venne deciso di creare l'unità di cooperazione giudiziaria permanente, denominata appunto Eurojust, con l'obiettivo di rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità, in particolare di criminalità organizzata, che trascendono la dimensione nazionale e investono più di uno Stato membro;
   il Consiglio dell'Unione europea, con decisione 2002/187/GAI del 28 febbraio 2002, ha dato seguito a quella risoluzione, istituendo tale unità, quale organo dell'Unione, dotato di personalità giuridica e finanziato a carico del bilancio dell'Unione europea, composta all'inizio da 15 membri nazionali, e ora, dopo l'allargamento, da 27, ciascuno distaccato dal proprio Stato, in conformità del proprio ordinamento giuridico, aventi titolo di magistrato del pubblico ministero, giudice o funzionario di polizia con pari prerogative;
   l'Italia ha dato piena attuazione alla decisione del Consiglio dell'Unione europea del 28 febbraio 2002 con la legge 14 marzo 2005, n. 41;
   l'ambito di competenza generale dell’Eurojust comprende le forme di criminalità e i reati per i quali l’Europol è competente ad agire, in qualsiasi momento, e, in particolare: la prevenzione e la lotta contro il terrorismo; il traffico illecito di stupefacenti; la tratta di esseri umani; le reti d'immigrazione clandestina; il traffico illecito di materie radioattive e nucleari; il traffico illecito di autoveicoli; la lotta contro la falsificazione dell'euro; il riciclaggio dei proventi di attività criminali internazionali; la criminalità informatica; la frode, la corruzione e qualsiasi altro reato che colpisca gli interessi finanziari dell'Unione europea; il riciclaggio dei proventi di reato; la criminalità ambientale; la partecipazione ad un'organizzazione criminale;
   è stato pubblicato nel novembre 2014 il primo, allarmante rapporto (Strategic Project on Environmental Crime) di Eurojust sui crimini contro l'ambiente concentrato su tre argomenti: traffico di specie in via d'estinzione, traffico illegale di rifiuti esportati abusivamente dall'Italia e l'Irlanda verso Paesi terzi, tipi diversi d'inquinamento delle acque in Grecia, in Ungheria e in Svezia, l'esportazione illegale di lupi, scimmie e di uova di volatili; peraltro, alcuni rapporti di Europol segnalano che proventi del traffico delle corna di rinoceronte, in Africa, sono entrati a far parte del budget delle organizzazioni terroristiche internazionali;
   il citato rapporto, inoltre, prende anche in esame le strutture nazionali di controllo, l'accesso alle competenze, così come le possibili soluzioni per affrontare queste sfide;
   secondo il rapporto «certe organizzazioni criminali sono dietro le attività di criminalità ambientale transfrontaliera.... questo tipo di criminalità genera profitti sostanziali (la stima dell'Ocse è di 30 a 70 miliardi di dollari all'anno), ma la criminalità ambientale viene raramente condannata dalle autorità nazionali. Il numero di casi che sono trasmessi a Eurojust rimane basso, anche se c’è la necessità di operare in un modo transfrontaliero per arrivare a condannare»;
   la nuova commissaria europea alla giustizia, la socialista ceca Vera Jourova, ha affermato: «Una delle mie priorità è di rafforzare la fiducia dei cittadini nei sistemi giudiziari dell'Ue. E una delle cose necessarie per rafforzare questa fiducia è quella di attuare i procedimenti e assicurarsi che i criminali pericolosi siano effettivamente inviati in prigione. Allo stesso tempo, quando vengono emessi ordini di perquisizione e di sequestro/è necessario proteggere i diritti dei cittadini e lo Stato di diritto. Per questo è imperativo che i Procuratori vengano coinvolti fin dall'inizio nella lotta contro la criminalità transfrontaliera. La criminalità ambientale è una minaccia per la vita umana, la salute, e per le risorse naturali. Questi reati hanno un effetto su tutta la società. Bisogna combatterli duramente come gli altri reati»;
   secondo la presidente di Eurojust, Michele Coninsx, l'attività delle ecomafie in Europa è un fenomeno sottostimato «che crea grande profitto, con un basso rischio di arrivare a processo, e pene non sufficientemente dissuasive»;
   come si accennava sopra, l'Italia, dove il fenomeno è sotto i riflettori viene citata in particolare assieme all'Irlanda per i casi di export di rifiuti pericolosi verso Paesi terzi, soprattutto in Africa occidentale, e anche perché non si è ancora dotata di un'unità specializzata, a livello giudiziario. Tra i Paesi che, invece, meglio si sono attrezzati in questo senso ci sono Gran Bretagna e Olanda i quali, unitamente al Belgio, hanno sottolineato la necessità di un approccio più ampio per la lotta ai crimini ambientali e un maggior coordinamento a livello internazionale;
   dai principali porti italiani, gli organi a cui sono affidati compiti di vigilanza e repressione segnalano la partenza di tonnellate di rifiuti non trattati, anche pericolosi, verso destinazioni estere senza alcuna prova che tali residui siano avviati ad operazioni di recupero e riciclo nei paesi di destinazione; tali rifiuti non adeguatamente sottoposti a procedimenti di recupero tornano indietro dai Paesi esteri a cui sono stati destinati nei Paesi dell'Unione europea sotto forma di prodotti finiti dannosi per la salute (ad esempio biberon e giocattoli realizzati in materiale plastico tossico provenienti da rifiuti) con grave rischio di pregiudizio per la salute;
   inoltre, l'Italia non è ancora entrata a fare parte del network europeo dei procuratori per l'ambiente,

impegna il Governo:

   ad avviare, in ordine a quanto previsto da Eurojust, ogni iniziativa necessaria atta a rafforzare il coordinamento a livello internazionale per la lotta ai crimini ambientali e consentire un approccio transnazionale armonizzato a tale materia, coinvolgendo anche la direzione nazionale antimafia nel contrasto di attività illecite che riguardano non solo l'esportazione di rifiuti non soggetti ad alcun pretrattamento verso destinazioni comunitarie ed extracomunitarie ma anche l'importazione nel mercato nazionale di beni e prodotti che sono realizzati attraverso inadeguati, quando non anche frodatori, processi di riciclo di materie prime secondarie ottenute dai rifiuti;
   ad assumere iniziative per migliorare la cooperazione e lo scambio di informazioni, per affrontare organizzazioni criminali di natura sempre più transnazionale anche attraverso la creazione di un'unità specializzata, a livello giudiziario, o comunque a rafforzare la collaborazione e lo scambio di dati e informazioni sui crimini ambientali e sui loro responsabili a livello nazionale tra soggetti inquirenti, contestualmente prevedendo l'introduzione di condotte penalmente rilevanti in danno all'ambiente integranti «delitti» anziché mere «contravvenzioni» in considerazione della maggiore pervasività ed efficacia degli strumenti di indagine, nonché dei termini di prescrizione connessi ai reati previsti come delitti;
   ad avviare tutte le necessarie iniziative per consentire al nostro Paese l'entrata a fare parte del network europeo dei procuratori per l'ambiente.
(7-00566) «Ferraresi, Spadoni, Vignaroli».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    in attuazione di quanto disposto dal decreto legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, il decreto ministeriale 28 novembre 2014 individua i comuni nei quali, a decorrere dall'anno di imposta 2014 , si applica l'esenzione dall'imposta municipale propria – Imu dei terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina, sulla base dell'altitudine riportata nell'elenco dei comuni italiani predisposto dall'istituto nazionale di statica ISTAT, diversificando tra terreni posseduti da coltivatori diretti ed imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola e gli altri terreni;
    il suddetto decreto ministeriale, nei definire l'ambito applicativo dell'imposta, dispone l'esenzione per i terreni agricoli dei comuni ubicati ad una altitudine di 601 metri ed oltre, individuati sulla base dell’«Elenco dei comuni italiani» predisposto dall'ISTAT, per i terreni agricoli dei comuni ubicati ad una altitudine compresa tra 281 metri e 600 metri, come individuati dal citato elenco, che siano però posseduti da coltivatori diretti ed imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola o a questi concessi in affitto o in comodato e per i terreni ad imputabile destinazione agrosilvo pastorale a proprietà collettiva indivisibile ed inusucapibile;
    la norma ha previsto inoltre che i soggetti passivi tenuti al pagamento dell'imposta avrebbero dovuto effettuare il versamento entro lo scorso 16 dicembre, termine poi prorogato al 26 gennaio 2015 dalla legge di stabilità 2015 che ha recepito le disposizioni del decreto legge 16 dicembre 2014, n. 185;
    a seguito del ricorso presentato dall'Unione nazionale comuni comunità enti montani, il TAR del Lazio ha disposto la sospensiva del decreto ministeriale in parola contestando il criterio del parametro altimetrico della sede municipale come riferimento per l'individuazione dei terreni in esenzione Imu, rimandando al prossimo 21 gennaio la decisione definitiva;
    la reintroduzione dell'Imu per i terreni agricoli ricadenti in aree montane si configura come una ulteriore vessazione della montagna la cui produzione agricola già sconta condizioni di disagio e difficoltà operative e di esercizio legate alle particolarità morfologiche dei territori, alle impervie condizioni climatiche nonché alle difficoltà di spostamento e contrasta con la necessità, più volte rimarcata dalle istituzioni locali, dal Governo e dalla stessa Unione europea, di risolvere i problemi della frammentazione fondiaria, della gestione dei terreni disagiati e dei boschi al fine di difendere e valorizzare la produttività delle aree montane, marginali e rurali;
    il criterio dell'altitudine, così come stabilito dal decreto ministeriale, appare inoltre del tutto inadeguato ad individuare i terreni soggetti al pagamento dell'imposta, posto che tra Alpi ed Appennino il territorio montano non è tutto uguale ma ha precise conformazioni che vanno considerate e rispettate, essendosi verificati numerosi casi in cui la sede del Municipio è posta a 590 metri di altitudine mentre molte sue frazioni, che ospitano terreni agricoli, si trovano ad oltre 1000 metri, ovvero ampi terreni che si estendono per una parte a 590 metri e per l'altra a 602 metri di altezza,

impegna il Governo

ad intervenire urgentemente, anche alla luce della sospensiva pronunciata dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, al fine di esentare per l'anno di imposta 2014 i terreni agricoli ricadenti in aree montane dal pagamento dell'Imu e di valutare ogni possibile iniziativa volta a stabilizzare tale agevolazione.
(7-00567) «Cancelleri, Gallinella, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela, Rostellato, Alberti, Barbanti, Pesco, Pisano, Ruocco, Villarosa».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta scritta:


   NESCI e PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 14 aprile 2008 la commissione ministeriale cosiddetta «Serra-Riccio» presentò alle Camere una relazione «sulla qualità dell'assistenza prestata dal servizio sanitario della regione Calabria e sulla effettiva erogazione, secondo criteri di efficienza ed appropriatezza, dei livelli essenziali di assistenza»;
   in tale documento si riscontrava che «la “metodologia” del disservizio risulta essere l'aspetto prevalente del sistema sanitario in Calabria, mostrando sempre le stesse caratteristiche di un sistema caratterizzato da debolezza strutturale in una micidiale combinazione tra governo regionale che non riesce a imporre scelte di rinnovamento, governo aziendale troppo spesso senza capacità di gestione, degrado e inadeguatezza strutturale dei presidi sanitari, disorganizzazione amministrativa e gestionale, comportamenti professionali non adeguati, che a volte può risultare fatale, e che pregiudica le esigenze assistenziali, impedisce un efficace governo della spesa e conduce a rilevanti disavanzi finanziari di cui spesso non si conosce l'effettivo ammontare»;
   dalla succitata relazione emergeva che su 39 ospedali 36 erano risultati irregolari, nelle 63 strutture sanitarie (guardie mediche, laboratori di analisi, case di cura convenzionate, S.E.R.T., poliambulatori) erano irregolari 38, mentre le sei case di cura accreditate erano tutte irregolari;
   in seguito a tale relazione, il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore nominò con delibera propria del 30 luglio 2010, ai sensi dell'articolo 4, comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 222 del 2007 e successive modificazioni e integrazioni, il presidente pro-tempore della regione Calabria Giuseppe Scopelliti quale commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro del debito sanitario della regione Calabria, affiancato da due sub-commissari nominati dal Governo;
   come ricordato dall'interrogante nell'interrogazione a risposta scritta numero 4-03800 presentata nella seduta 182 di martedì 4 marzo 2014, il piano di rientro dal debito sanitario si è fin da subito dimostrato molto problematico ed ha portato nel corso degli anni numerosi insuccessi, così come mostrato dalle periodiche verifiche relative all'attuazione di tale piano, oltre a enormi difficoltà in ambito sanitario per gli utenti della regione Calabria;
   nel settembre 2013, si ricordava nell'atto summenzionato a cui il Governo non ha ancora risposto, il Ministero dell'economia e delle finanze rendeva noto tramite un comunicato stampa che il tavolo per la verifica degli adempimenti e il Comitato permanente per la verifica dell'erogazione dei livelli di assistenza, nelle riunioni dell'otto aprile e del 17 aprile 2013, avevano constatato che nel 2012 la Calabria, assieme al Molise, non aveva raggiunto gli obiettivi fissati nei rispettivi piani;
   per il predetto motivo, i cittadini calabresi hanno subìto per l'anno di imposta 2013 la maggiorazione automatica dell'addizionale Irpef e dell'aliquota Irap, rispettivamente dello 0,30 per cento e dello 0,15 per cento;
   dopo le dimissioni di Giuseppe Scopelliti da governatore regionale, la cui presa d'atto del consiglio regionale avvenne il 3 giugno 2014, si sono dovuti attendere oltre tre mesi prima della nomina, da parte del governo centrale, del nuovo commissario, nella persona del generale Luciano Pezzi, già sub-commissario per il rientro dal debito sanitario con lo stesso Scopelliti commissario;
   nel periodo di vacatio, come denunciato con diversi atti parlamentari dall'odierna interrogante, si è assistito a una indebita ingerenza della giunta regionale in prorogatio, presieduta dalla facente funzioni Antonella Stasi, la quale giunta ha nominato i vertici delle Aziende sanitarie provinciali, nonostante non potesse andare oltre la gestione ordinaria;
   in questa sede basti ricordare le interrogazioni a risposta scritta numero 4-06040 (seduta parlamentare 291 di martedì 16 settembre 2014) e numero 4-05709 (seduta parlamentare 273 di lunedì 28 luglio 2014) in cui si denunciava l'intenzione della giunta regionale calabrese di procedere in prorogatio alla nomina di commissari di aziende ospedaliere e/o sanitarie, sulla scorta di un parere pro veritate commissionato ad un accademico, pagato di fatto dai contribuenti, mentre nella giunta e nel consiglio regionale della Calabria in prorogatio vi erano obiettive posizioni di conflitto d'interessi, per esempio del consigliere regionale Ennio Morrone, di Forza Italia, e della presidente della regione Antonella Stasi;
   il 29 agosto 2014 l'Avvocatura generale dello Stato recapitò alla struttura commissariale per il rientro dal debito nella sanità calabrese un parere in cui escluse tassativamente che in prorogatio l'esecutivo regionale potesse legittimamente procedere a nomina di dirigenti apicali nella sanità, il principio valendo per tutte le nomine dirigenziali di competenza di giunta e consiglio regionale;
   in un successivo comunicato stampa congiunto, sempre con riferimento alle nomine in argomento, i Ministeri della salute e dell'economia e delle finanze puntualizzarono che «l'Avvocatura dello Stato, alla quale si sono rivolti i sub-commissari per l'attuazione del Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della regione Calabria, ha recisamente escluso che una giunta regionale in regime di prorogatio possa procedere a tali nomine, escludendo altresì che in luogo di direttori generali possano essere nominati commissari straordinari»;
   nel predetto comunicato dei due Ministeri venne, esplicitato che «tale posizione è pienamente condivisa dal Ministero della salute che, assieme al Ministero dell'economia e delle finanze e per il tramite dell'organo commissariale, vigilerà per garantirne il rispetto»;
   il 14 settembre 2014, il Ministero della salute pubblicò sul proprio sito istituzionale un nuovo comunicato stampa in cui esplicitamente ammonì — con dichiarata propensione, nel caso, a investire la magistratura — la giunta regionale della Calabria rispetto alle nomine nella sanità, difendendo il buon operato dei sub-commissari, di uno dei quali — il generale della Guardia di finanza Luciano Pezzi l'esecutivo della Calabria aveva con meri pretesti richiesto al Governo la revoca dell'incarico;
   il 19 settembre 2014 il Consiglio dei ministri infine conferì al generale della Guardia di finanza Luciano Pezzi, già sub-commissario, l'incarico di commissario ad acta per l'attuazione Piano di rientro dal debito sanitario, con validità fino all'insediamento del nuovo presidente della giunta regionale;
   il 10 dicembre 2014, dopo le elezioni regionali del 23 novembre, Mario Oliverio si è insediato quale presidente della regione Calabria e, dunque, Luciano Pezzi è decaduto da commissario ad acta, incarico ancora ad oggi vacante;
   conformemente alla previsione contenuta nel Patto per la salute 2013-2015 (articolo 12), la legge di stabilità 2015 (legge n.190 del 2014) prevede (articolo 1, comma 569) che «la nomina a commissario ad acta per la predisposizione, l'adozione o l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario, effettuata ai sensi dell'articolo 2, commi 79, 83 e 84, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e successive modificazioni, è incompatibile con l'affidamento o la prosecuzione di qualsiasi incarico istituzionale presso la regione soggetta a commissariamento. Il commissario deve possedere un curriculum che evidenzi qualificate e comprovate professionalità ed esperienza di gestione sanitaria anche in base ai risultati in precedenza conseguiti la nomina a commissario ad acta sia incompatibile con l'affidamento o la prosecuzione di qualsiasi incarico istituzionale presso la regione soggetta a commissariamento; che il Commissario ad acta ove nominato, debba possedere un curriculum che evidenzi qualificate e comprovate professionalità ed esperienze di gestione sanitaria; che i sub-commissari svolgano attività a supporto dell'azione del Commissario, essendo il loro mandato vincolato alla realizzazione di tutti o taluni degli obiettivi affidati al commissario con il mandato commissariale; che il Commissario, qualora in sede di verifica annuale riscontri il mancato raggiungimento degli obiettivi del Piano di rientro, come specificati nei singoli contratti dei direttori generali, proponga, con provvedimento motivato, la decadenza degli stessi, dei direttori amministrativi e sanitari degli enti del servizio sanitario regionale»;
   secondo quanto riportato sul sito de «L'Huffington Post» il 24 novembre 2014, «le larghe intese non arrivano in Calabria. Soprattutto dopo che Mario Oliverio, con le sue otto liste, ha superato il 60 per cento e governerà con 19 consiglieri. Il neo presidente, che alle primarie non era appoggiato dal premier ma che adesso si dice renzianissimo («ci siamo già dati appuntamento per il 28 novembre»), di riproporre l'alleanza con Ncd in salsa calabrese, qualcuno al Sud la chiama «in salsa ‘nduja», non ne vuole sapere. A domanda precisa, durante la lunga notte elettorale, forte del risultato ottenuto, Oliverio risponde: «Governeremo con le forze che mi hanno sostenuto, che hanno sostenuto il mio programma e il nostro progetto. Gli elettori, che si chiamano per esprimere un voto, non si possono ingannare»;
   contrariamente a quanto affermato dallo stesso Governatore, però, il 7 gennaio 2015 sono stati eletti alla carica di vicepresidenti del Consiglio regionale calabrese, i consiglieri Francesco D'Agostino (Oliverio Presidente) e Giuseppe Gentile (Ncd);
   all'indomani di tali nomine, seconda quanto affermato su «Il Quotidiano della Calabria» il 9 gennaio 2015 dal giornalista Adriano Mollo, «a Roma il percorso di dialogo con un profilo istituzionale avviato da Pd e Ncd è salutato con reciproca soddisfazione. Quando le agenzie di stampa battono la notizia con le prima dichiarazioni di Pino Gentile, i primi a gioire sono stati Angelino Alfano, Graziano Delrio, Gaetano Quagliariello, Elena Boschi che in quel momento erano insieme per calendarizzare l’Italicum. Tutti convinti che anche in Calabria si è avviato un percorso e superato le diffidenze iniziali». D'altronde, continua l'articolista, «è noto che da Roma è stato chiesto al Pd calabrese un gesto distensivo verso l'alleato e Oliverio si è detto disponibile senza accordi politici sottobanco e così è stato»;
   a riprova di quanto detto, parrebbe essere stata messa in piedi sull'asse Roma-Calabria una evidente strategia del do ut des, dato che, secondo quanto si legge ancora nell'articolo, «Renzi ha dato massima disponibilità del Governo che gli ha ricordato, è di coalizione. E il primo segnale che darà è quello di superare il vincolo normativo del commissariamento con un provvedimento ad hoc, infatti nel decreto mille proroghe ci sarà una norma per correggere la contraddizione giuridica che si è determinata con la scadenza dell'incarico al generale Pezzi nelle more dell'elezione del nuovo presidente e, contemporaneamente, con l'entrata in vigore dal primo gennaio del nuovo patto per la salute che esclude quell'incarico per il presidente»;
   a parere dell'interrogante, se quanto scritto dal giornalista Mollo dovesse rivelarsi vero, l'atteggiamento del Governo sarebbe irrispettoso nei confronti dei calabresi, dato che il Governo utilizzerebbe il potere legislativo a seconda dell'accordo politico da raggiungere per il mantenimento di posizioni di potere cui subordinare l'interesse pubblico;
   con più interventi, sia uscite stampa che discorsi alla Camera, l'odierna interrogante ha chiesto al governo nazionale di assegnare a Oliverio la responsabilità politica per la riorganizzazione della sanità calabrese, nominando un proprio tecnico per la gestione burocratica e contabile del piano di rientro dal debito sanitario della Calabria;
   sul finire del 2014, la signora Marisa Siciliano, trentatreenne e madre di una bimba di 9 anni, è deceduta a seguito delle conseguenze di un incidente stradale avvenuto ad Acquappesa (Cosenza) e dopo essere stata trasferita per accertamenti e cure negli ospedali di Cetraro (Cosenza), Paola (Cosenza) e Cosenza, dove da ultimo, dopo complessive molte ore di attesa, la paziente è stata operata, successivamente entrando in coma e spirando;
   con interrogazione n. 4-05801, l'interrogante ha chiesto, ancora senza risposta, lumi al Ministro della salute circa la segnalazione che il sub-commissario Andrea Urbani avrebbe fatto per la nomina di Alessandro Moretti, sprovvisto dei requisiti necessari e poi dimessosi, quale direttore generale dell'Azienda sanitaria provinciale di Cosenza;
   con proprio esposto, il collega deputato Paolo Parentela, del Movimento cinque stelle, ha segnalato alla procura della Repubblica di Catanzaro il fatto che il sub-commissario Urbani, politicamente vicino al Ministro della salute Beatrice Lorenzin, per quanto riferito da articoli stampa si recherebbe soltanto una volta a settimana presso il dipartimento della salute della regione Calabria, per svolgere il proprio incarico;
   il dottor Urbani, sub-commissario con il compito precipuo di riorganizzare la rete dell'assistenza ospedaliera, secondo gli interroganti non ha adeguate competenze nella materia indicata, per come risulta dal suo curriculum vitae, il che è, per analogia, contraddittorio con quanto prevede il Patto per la salute 2014-2016, che vuole che la figura del commissario per il rientro dal debito sanitario regionale sia di comprovata esperienza in materia di gestione sanitaria;
   il dottor Urbani è revisore dei conti di Agenas, uffici che lo pongono in una condizione di oggettiva incompatibilità con l'incarico di sub-commissario per il rientro dal debito sanitario della regione Calabria –:
   perché il nuovo governatore della Calabria, Mario Oliverio, non sia stato nominato commissario per il rientro dal debito sanitario della regione subito dopo il suo insediamento, e si è invece perduto tempo al punto da doversi procedere, secondo le notizie date dalla succitata stampa, con un'apposita modificazione normativa;
   come intendano, per le proprie competenze, provvedere per la rapida prosecuzione del piano di rientro dal debito sanitario della regione Calabria, posto che la riorganizzazione dei servizi nell'ambito delle risorse disponibili non può prescindere dalla legittimazione elettorale e che, nel dilatarsi dei tempi della politica, i gravi disservizi sanitari e le incertezze sulle possibilità di cura proseguono in Calabria;
   se il Ministro della salute non ritenga, nell'ambito delle proprie competenze, di assumere iniziative al fine di far luce sulla morte della signora Siciliano;
   se non ritengano, alla luce di quanto in premessa, di revocare immediatamente l'incarico di sub-commissario per l'attuazione del piano di rientro sanitario al dottor Andrea Urbani. (4-07518)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   CASTIELLO e LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 2 gennaio la Sogin ha consegnato all'ISPRA la Carta delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) per la prosecuzione della procedura di individuazione della lista dei siti candidati a ospitare il sito unico nazionale di stoccaggio delle scorie nucleari;
   l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) ha pubblicato nel giugno 2014 la Guida tecnica n. 29 «Criteri per la localizzazione di un impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività» dove sono enunciati un insieme di requisiti fondamentali, e di elementi di valutazione che devono essere tenuti in conto da parte della SOGIN spa, quale soggetto attuatore, nel processo di localizzazione del Deposito nazionale, dalla definizione della proposta di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee sino alla individuazione del sito idoneo;
   nella mappa realizzata dalla Sogin dalle aree considerate sono escluse le aree vulcaniche attive o quiescenti, le località a 700 metri sul livello del mare o ad una distanza inferiore a 5 chilometri dalla costa, le aree a sismicità elevata, a rischio frane o inondazioni e le «fasce fluviali», dove c’è una pendenza maggiore del 10 per cento, le aree naturali protette, che non siano ad adeguata distanza dai centri abitati, quelle a distanza inferiore di un chilometro da autostrade e strade extraurbane principali e ferrovie;
   si aggiungono altri 13 criteri, per uno screening più puntuale, in base alle rigide raccomandazioni emanate dagli organismi internazionali, ci saranno successive indagini a livello regionale e valutazioni socio economiche e dati tecnici che contribuiscono a definire la documentazione da allegare all'istanza per il rilascio dell'autorizzazione alla realizzazione del deposito (previsto dalla direttiva europea n. 2011/70/Euratom, recepita dall'Italia);
   per rifiuti radioattivi si comprendono diverse categorie di rifiuti, fra loro molto diverse, tra cui quelli provenienti dai reattori di ritrattamento del combustibile nucleare, quelli prodotti dallo smantellamenti di vecchi impianti, e gli elementi di combustibile esauriti;
   le scorie nucleari possono essere prodotte nelle centrali nucleari (per la maggior parte), in medicina, e nei siti industriali per le analisi produttive di parti metalliche;
   il deposito nazionale, infrastruttura di superficie dove mettere i rifiuti radioattivi, consentirà la sistemazione definitiva di circa 75 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media attività e lo stoccaggio temporaneo di circa 15 mila metri cubi di rifiuti ad alta attività;
   dei circa 90 mila metri cubi di rifiuti radioattivi, ricorda Sogin, il 60 per cento deriverà dalle operazioni di smantellamento degli impianti nucleari, mentre il restante 40 per cento dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca, che continueranno a generare rifiuti anche in futuro;
   la mappa consegnata dalla Sogin all'Ispra è inspiegabilmente secretata, a tutti i livelli istituzionali, negando così la possibilità ai governi regionali e ai livelli parlamentari di poter sapere quali territori sono stati individuati in via preliminare per la costruzione del deposito nazionale;
   indiscrezioni giornalistiche affermano che Basilicata è stata individuata nella Carta preliminare delle aree potenzialmente idonee per il deposito unico nazionale delle scorie, insieme alla Puglia, Lazio, Toscana, Veneto e Marche –:
   se il Governo non ritenga quanto prima rendere pubblici e consentire l'accesso agli atti consegnati da Sogin a Ispra il 2 gennaio 2015, e quali iniziative intenda assumere per evitare che si riproponga la Basilicata quale sito per il deposito unico nazionale delle scorie. (5-04460)


   REALACCI, BORGHI, BRAGA, ARLOTTI, MARIASTELLA BIANCHI, BRATTI, CARRESCIA, COMINELLI, COVELLO, DALLAI, DE MENECH, GADDA, GINOBLE, TINO IANNUZZI, MANFREDI, MARIANI, MARRONI, MAZZOLI, MORASSUT, NARDI, GIOVANNA SANNA e ZARDINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il mar Mediterraneo, il più esteso mare chiuso del pianeta, ha una superficie di circa 2,5 milioni di chilometri quadrati (0,7 per cento delle acque del globo);
   sul suo specchio si affacciano oltre 20 Stati, con circa 400 milioni di abitanti di cui più di 130 milioni vivono nelle zone costiere;
   questa intensa antropizzazione determina un forte impatto ambientale sulle acque e sull'ecosistema;
   in particolare, affluisce nel Mediterraneo una quantità ingentissima di liquami civili, idrocarburi e reflui industriali. Tra i fattori di pressione, uno dei più rilevanti attiene al trasporto marittimo di petrolio greggio e dei prodotti della raffinazione, sia per l'elevato numero di incidenti verificatisi, con conseguente versamento in mare di grandi carichi di prodotti petroliferi, sia per attività ordinarie connesse alla navigazione soprattutto industriale (scarico in mare delle acque di sentina, lavaggio delle cisterne delle petroliere);
   è del tutto evidente che il Mediterraneo rappresenta, quindi, un'area che necessita di particolare tutela per arginare i fenomeni di inquinamento e di danno ambientale;
   proprio per tutelare il nostro mare, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha attivato un servizio antinquinamento finalizzato alla prevenzione e al contrasto degli inquinamenti marini lungo tutti i circa 7.500 chilometri di costa italiana, mediante l'impiego di unità navali specializzate. Questo sistema di tutela e prevenzione nazionale è stato istituito in attuazione della normativa nazionale e in ottemperanza a quanto previsto dalle convenzioni internazionali, cui l'Italia ha aderito, in materia di lotta agli inquinamenti marini da idrocarburi e da sostanze tossico-nocive in genere;
   l'affidamento del suddetto servizio, previsto dalla legge n. 979 del 1982, è in scadenza nei prossimi mesi, ed è per questo quanto mai urgente l'emanazione del bando di gara comunitario atto a rinnovarlo;
   ad oggi, risulterebbe agli interroganti, che, per procedere all'indizione del bando comunitario, manca solo l'autorizzazione per l'impegno di spesa pluriennale, già richiesta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, da parte della ragioneria dello Stato;
   è importante sottolineare che i fondi, in attesa del nulla osta della ragioneria, sono già allocati sul capitolo 1644 «PG 01 U.d.V. 1.10 - interventi anni 2015/2016/2017» di pertinenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere con la massima urgenza per impedire che, alla scadenza dell'affidamento in corso del servizio antinquinamento in mare finalizzato alla prevenzione e al contrasto degli inquinamenti marini, detto servizio venga sospeso con rischi evidenti e pesanti per lo stato di salute del mare. (5-04461)


   PELLEGRINO, ZARATTI, FRANCO BORDO e ZACCAGNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Direttiva 2009/147/CE detta uccelli tutela l'avifauna sul territorio dell'Unione europea e prevede che gli Stati membri dell'Unione adottino tutte le misure necessarie per mantenere o adeguare le popolazioni delle specie di uccelli selvatici ad un livello di conservazione soddisfacente;
   in base alla direttiva comunitaria, la caccia in Europa può svolgersi solo se non arreca danno alla conservazione degli uccelli e se è effettuata entro determinati e specifici limiti;
   tra i principali di questi limiti vi è il divieto assoluto di cacciare durante il periodo della riproduzione e della migrazione prenuziale degli uccelli;
   il documento Key Concept elaborato dal comitato Ornis e recepito della Commissione europea stabilisce le date di inizio della migrazione prenuziale per le singole specie in relazione ai singoli Stati membri;
   con la legge comunitaria 2009, in recepimento della direttiva europea, l'Italia ha inserito nella legge n. 157 del 1992 il divieto di caccia nei periodi di migrazione prenuziale e riproduzione degli uccelli e l'obbligo per Stato e regioni di mantenere in buono stato di conservazione gli uccelli selvatici, rispondendo in parte alla procedura di infrazione;
   per favorire la piena e corretta applicazione delle norme recepite, l'ISPRA (Istituto per la protezione e la ricerca ambientale), che è l'autorità scientifica nazionale in materia, nel luglio 2010 ha trasmesso a tutte le regioni le indicazioni su come adeguare le normative regionali, tra l'altro riducendo il periodo di caccia e sospendendo la cacciabilità di alcune specie particolarmente sofferenti;
   moltissime regioni hanno disatteso le indicazioni dell'autorità scientifica nazionale e gli obblighi di legge e hanno continuato, anche nella stagione venatoria in corso, a consentire la caccia sia nei confronti di specie in cattivo stato di conservazione sia durante la migrazione prenuziale;
   a fronte della ripetuta violazione dei limiti imposti dalla direttiva, la Commissione europea recentemente ha intrapreso una procedura Pilot 6955/14/ENVI a carico dello Stato italiano;
   nonostante l'iniziativa della Commissione europea, i pareri dell'autorità scientifica e l'invito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a rivedere le date di chiusura della caccia in relazione alle date di inizio della migrazione prenuziale, la regione Friuli Venezia Giulia, come anche altre regioni, non hanno inteso apportare modifiche al proprio calendario venatorio per evitare che si eserciti la caccia nei confronti di quelle specie che si trovano in questo momento in migrazione prenuziale;
   è obbligo dello Stato e in particolare dei Ministeri competenti intervenire affinché le norme siano pienamente applicate e, nel caso di specie, siano applicati il divieto di cacciare durante la riproduzione e la migrazione degli uccelli e il divieto di cacciare a specie in cattivo stato di conservazione secondo le indicazioni dell'ISPRA;
   è doveroso per lo Stato italiano evitare che la procedura Pilot 6955/14/ENVI sfoci in una nuova procedura di infrazione contro la Repubblica italiana con tutte le conseguenze amministrative, economiche e di immagine che ciò comporterebbe –:
   quali iniziative urgenti il Ministero interrogato intenda porre in essere affinché l'inosservanza da parte delle regioni rispetto alle prescrizioni della Direttiva 2009/147/CE, non faccia sì che la procedura Pilot 6955/14/ENVI, si trasformi in una procedura di infrazione a carico dello Stato italiano, e in particolare quale atto intenda porre in essere per far sì che, a partire dai prossimi calendari venatori„ le regioni applichino pienamente le misure di tutela dettagliatamente indicate dall'ISPRA nella sua «Guida alla stesura dei calendari venatori», elaborata in conseguenza dell'approvazione della legge Comunitaria 2009, tra le quali il divieto di caccia durante le fasi di riproduzione e migrazione degli uccelli e la sospensione dai calendari venatori di specie in cattivo stato di conservazione. (5-04462)


   GRIMOLDI, BORGHESI e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha avviato, nell'ambito del sistema di comunicazione EU Pilot, il caso 6955/14/ENVI in merito a dubbi di violazione della direttiva 2009/147/CE concernente la conservazione degli uccelli selvatici;
   in ragione di ciò, la Commissione europea, chiede che le Autorità italiane chiariscano, in particolare che i calendari venatori di alcune regioni italiane siano coerenti con la direttiva 2009/147/CE;
   varie sentenze ai Tar regionali ed al Consiglio di Stato hanno ritenuto congrue le motivazioni regionali sostenute a supporto dei calendari venatori con chiusure al 31 gennaio, in merito alla caccia del Tordo Bottaccio, Cesena e Beccaccia, in discostamento dal parere ISPRA;
   tali pronunciamenti prendono in esame necessariamente anche il diritto comunitario, in quanto prevalente sul diritto nazionale;
   ciò nonostante il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con nota dei primi di dicembre 2014 ha formalmente diffidato le regioni a modificare tempestivamente il calendario venatorio per la stagione in corso (2014/2015) chiedendo di anticipare almeno al 20 gennaio 2015 il termine di chiusura per la caccia a Tordo Bottaccio, Cesena e Beccaccia;
   nella stessa nota, vengono ammonite le amministrazioni regionali scrivendo che, qualora non venisse urgentemente adeguata la data di chiusura dell'attività venatoria alle specie sopra citate, verrà avviata la procedura per l'esercizio sostitutivo di cui all'articolo 8, commi 1 e 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131;
   la Costituzione italiana riserva allo Stato la legislazione esclusiva in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema (articolo 117 comma 2 lettera s)) e la Corte costituzionale ritiene che le disposizioni della legge 157 del 1992 concernenti la tutela delle specie oggetto di disciplina siano pertanto riservate alla competenza dello Stato. Il rispetto della normativa statale da parte delle regioni in fase di predisposizione e approvazione dei calendari venatori fa presumere la coerenza con le normative comunitarie, di cui la legge 157 del 1992 che costituisce formale recepimento per lo Stato italiano;
   gli articoli 2.7.3 e 2.7.10 della Guida Europea alla Disciplina della Caccia nell'ambito della Direttiva 79/409/CE (oggi 147/2009/CE), esplicitamente prevedono che le Regioni degli Stati Membri possano discostarsi dal dato Key Concepts nazionale, quando in possesso di dati scientifici che dimostrino una differenza nei tempi di migrazione delle specie cacciabili;
   non si ritengono pertanto esistenti i presupposti previsti dalla legge 5 giugno 2003, n. 131 per procedere all'esercizio del potere sostitutivo nei confronti delle regioni –:
    quali siano state le ragioni impellenti per le quali il Ministro interrogato abbia inviato ben due diffide alle regioni italiane, chiedendo la chiusura anticipata almeno al 20 gennaio 2015 per la caccia al tordo bottaccio, cesena e beccaccia, quando la comunicazione UE PILOT 6955/2014 ENVI della Commissione europea è una semplice richiesta di informazioni sui calendari venatori italiani e su cui la Commissione dovrà esprimersi successivamente scegliendo così secondo gli interroganti di invadere le competenze delle regioni italiane, che sono per legge gli enti deputati alla gestione della caccia, arrivando addirittura a ventilare la possibilità di utilizzare il potere sostitutivo di cui all'articolo 8, commi 1 e 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131 che contrasta con lo spirito collaborativo fra enti pubblici. (5-04463)


   MICILLO, BUSTO, DE ROSA, DAGA, MANNINO, TERZONI, SEGONI, VIGNAROLI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 novembre 2014 si è tenuta la conferenza di servizi, ai sensi dell'articolo 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990 n. 241 e presso gli uffici della regione Campania, riguardante l'istanza di rinnovo di Aia dell'impianto di termovalorizzazione di Acerra (Napoli), presentata dalla società A2A Ambiente Spa in data 22 novembre 2012 prot. n. 862722 e successive integrazioni documentali, la quale conferenza ha approvato il progetto di riesame e rinnovo dell'impianto in questione;
   l'impianto in oggetto brucia circa 2 milioni di chilogrammi al giorno di immondizia indifferenziata tritovagliata proveniente dai sette STIR operanti in Campania da cui scaturisce una produzione di gas combusti contenenti micro e nano particelle altamente cancerogene – pari a circa 15 milioni di metri cubi al giorno e, per i cinque anni già trascorsi, 24 miliardi di metri cubi; inoltre, su indicazione della regione Campania, dal gennaio 2014, tale impianto brucia anche i rifiuti denominati ecoballe stoccati negli anni 2000-2008 e senza che alcuna indagine sul contenuto di tali ecoballe sia mai stata effettuata;
   nessun ente infatti, ad oggi, è in grado di garantire la composizione delle ecoballe in quanto gli impianti di CDR (combustibile derivato da rifiuto) campani, mai realizzati a norma di legge e secondo progetto, non sono mai stati in grado di lavorare e produrre materiale a norma;
   come risultante dallo studio commissionato dai comitati, fatto proprio dal comune di Acerra, e depositato sin dal 10 luglio 2014 nell'ambito della conferenza dei servizi per il rinnovo dell'Autorizzazione integrata ambientale dell'inceneritore, il camino dell'impianto viola l'articolo 6, comma 5, della direttiva 2000/76/CE, l'articolo 8, comma 10, del decreto legislativo n. 133 del 2005 di recepimento della direttiva, e inoltre l'intero inceneritore viola importanti norme comunitarie poste a tutela della qualità dell'aria quali la direttiva 2008/50/CE. In particolare l'articolo 8, comma 10, del decreto legislativo n. 133 del 2005 stabilisce che gli effluenti gassosi degli impianti di incenerimento devono essere emessi attraverso un camino di altezza tale da favorire una buona dispersione degli emissioni gassose al fine di salvaguardare la salute umana e l'ambiente, con particolare riferimento alla normativa relativa alla qualità dell'aria. L'impianto di Acerra presenta tre camini di altezza di 110 metri ma secondo il citato studio e sulla base della citata normativa, tale altezza non garantisce una buona dispersione delle emissioni gassose, ma sicuramente causa la ricaduta di circa il 30 per cento di ciò che fuoriesce. L'evoluzione tecnica relativa alla progettazione dei camini di impianti simili per massa di gas emissivi prodotti ha portato a realizzare nel mondo un'altezza dei camini utile per la buona dispersione degli effluenti pari a 360-420 metri, l'Italia si è fermata a 256 metri. In ogni caso la composizione delle emissioni gassose è tale da determinare un grave pericolo per la salute della popolazione residente, in quanto alla tossicità chimica delle particelle contenute si sovrappone l'effetto deleterio di natura fisica, dovuto alle loro dimensioni, tali da poter interferire con i tessuti a livello cellulare e subcellulare, costituendo il disastro sanitario attuale;
   è necessario rispettare un principio di precauzione in forza del quale occorre urgentemente la realizzazione del camino alto almeno 400 metri che comporta un tempo di esecuzione di circa sette mesi ed una spesa di circa 50 milioni di euro. Tale altezza infatti impedirebbe la ricaduta delle micro e nano particelle, nel raggio di 20 km, contenute nei 24 miliardi di metri cubi di gas combusti per i prossimi cinque anni;
   la stessa situazione, in merito alla criticità dell'altezza delle ciminiere, si verifica per il vicino impianto a biomasse della società Fri-el (zona Montefibre Acerra) con 336.000 mc/h di gas combusti uscenti dalla vecchia ciminiera ex Montedison di altezza di 80 metri che brucia olio grezzo di palma per produrre energia elettrica a poche centinaia di metri dai camini dell'inceneritore;
   nelle tre sedute della conferenza dei servizi di autorizzazione Aia dell'inceneritore le popolazioni non sono mai state consultate come invece riportato nell'Aia esistente, né sono stati forniti tutti i documenti tanto che dal rapporto tecnico istruttorio emerge che la documentazione consegnata dall'A2A Ambiente Spa alla Regione è «pressoché riservata», non consentendo così alla popolazione di produrre osservazioni complete;
   in sede di conferenza di servizi tenutasi il 20 ottobre 2014 presso la regione Campania il consulente tecnico della regione professor ingegner Pepe dell'università del Sannio ha dichiarato, come riportato nel verbale, che non e compito della conferenza Aia valutare l'altezza dei camini in quanto già valutata nella Via del 1999. In tale anno fu fatto solo un parere di compatibilità ambientale e non una vera Via. Solo nel 2005 fu fatta una pseudo-Via senza uno studio approfondito sull'adeguatezza della bassa altezza dei camini. Questi fatti, precedenti confermano che l'inceneritore di Acerra non è mai stato sottoposto ad una regolare procedura per il rilascio della Via;
   in data 26 novembre 2014 si è tenuta la terza seduta della Conferenza dei servizi convocata dalla regione Campania che ha approvato il progetto di riesame e di rinnovo di Aia dell'impianto di termovalorizzazione ad Acerra, presentata dalla società A2A Ambiente Spa, con la precisazione che il sistema di smaltimento delle polveri è quello dello smaltimento presso terzi e che il sistema di inertizzazione in loco rappresenta una opzione alternativa. Secondo le nuove prescrizioni assunte dalla Conferenza dei Servizi non verranno bruciati nell'impianto rifiuti con codice CER 20.03.99 (rifiuti urbani non specificati altrimenti), i controlli sugli scarichi idrici saranno effettuati non solo nella fase terminale ma anche in quella intermedia e semestralmente, anziché annualmente. Tale conferenza ha inoltre ampliato il piano di monitoraggio dell'impianto estendendo i controlli anche ai parametri relativi all'ammoniaca, al pcb simil diossina, le cui verifiche sono richieste per le autorizzazioni invocate successivamente al 16 aprile 2014, ma che saranno effettuate anche per l'inceneritore di Acerra. Previsto ancora l'impiego di una telecamera ad infrarossi per il monitoraggio ed il controllo della combustione come elemento di verifica in parallelo di elementi caratteristici della combustione. Tutti i dati relativi a quanto rilevato da questa telecamera saranno inviati alle autorità competenti. In merito ai rilievi fatti dal comune di Acerra sull'altezza dei camini, l'azienda A2A si impegna a sviluppare, entro 18 mesi dal rilascio dell'autorizzazione, uno studio modellistico sull'impatto ambientale nei territori attorno all'impianto. Lo studio sarà condotto da un ente terzo individuato in accordo tra la regione Campania ed il comune di Acerra; i risultati di queste analisi saranno resi pubblici;
   l'amministrazione di Acerra ha ribadito il proprio parere negativo ed ha affermato che impugnerà l'atto davanti agli organi giudiziari competenti;
   per alcuni giorni i cittadini di Acerra e in particolare le «mamme coraggio», che hanno vissuto sulla loro pelle e quella dei loro figli i danni provocati da questa situazione, hanno posto in essere un presidio permanente presso l'inceneritore per impedire ai camion di entrare per proseguire l'avvelenamento in corso –:
   «alla luce delle considerazioni riportate nelle premesse e ai rischi di nuove procedure di infrazione che potrebbero essere aperte nei confronti dell'Italia se e come il Governo intenda intervenire anche a tutela delle popolazioni residenti». (5-04464)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAVAGNO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con la legge n. 257 del 27 marzo 1992, l'Italia ha messo al bando l'amianto vietando l'estrazione, l'importazione, l'esportazione, la commercializzazione e la produzione di amianto, di prodotti di amianto o di prodotti contenenti amianto. Previa autorizzazione espressa d'intesa fra i Ministri dell'ambiente, del lavoro e della sanità, è ammessa la deroga ai divieti per una quantità massima di 800 chilogrammi per amianto sotto forma di treccia o di materiale per guarnizioni non sostituibile con prodotti equivalenti disponibili;
   l'amianto è una sostanza particolarmente cancerogena perché può provocare due diverse malattie: l'asbestosi, frutto dell'accumulo nell'organismo di fibre del materiale, altamente invalidante, ed il mesotelioma pleurico, tumore maligno per la cui insorgenza, anche a distanza di decenni dall'esposizione, è sufficiente l'azione addirittura di pochissime fibre;
   in Italia sono oltre quattromila le vittime dell'esposizione alla pericolosa fibra e nei prossimi decenni, stante il lungo periodo di latenza del mesotelioma, è previsto un forte incremento dei decessi provocati dall'amianto, che raggiungerà l'apice tra il 2015 e il 2025;
   secondo quanto si apprende da organi di stampa, l'Italia ha importato nel 2012 ingenti quantità di amianto dall'India, addirittura come maggiore importatore con 1.040 tonnellate. Il dato è stato anche confermato dall'Agenzia delle dogane;
   il materiale, 1.040 tonnellate nel biennio 2011-2012, sarebbe finito in una decina di imprese sparse in tutto il territorio nazionale, e trasformato o impiegato nella produzione di vari manufatti: lastre di fibracemento, pannelli, guarnizioni per freni e frizioni di autoveicoli. L'Agenzia delle dogane, interpellata dalla procura, non solo ha confermato l'ingresso dell'asbesto nel territorio nazionale ma ha anche aggiunto che le importazioni sono continuate anche nel 2014;
   il caso è stato segnalato alla procura di Torino grazie ad un bollettino ufficiale pubblicato dal Governo indiano, in particolare dall'ufficio centrale del Ministero delle risorse minerarie dal titolo: «Indian Minerals Yearbooks 2012 – Asbestos – Final Release». In questo report ufficiale sono elencati le quantità estratte di asbesto con le relative destinazioni finali, dove l'Italia è indicata come principale partner commerciale;
   delle 1.296 tonnellate di amianto esportate tra il 2011 e il 2012, la maggior parte è finita proprio nel nostro Paese. Al secondo posto c’è il Nepal, con 124 tonnellate e al terzo la Nigeria con 38 poi il Kenya, con 28 e il Ghana, con 15. L'India, stando alla relazione, è uno dei paradisi mondiali dell'asbesto, che fa largo uso del materiale. Solo fra il 2011 e il 2012 ne ha importato per un totale di 365 mila tonnellate in prevalenza dalla Russia (51 per cento) ma anche dal Kazakhstan (18 per cento) dal Brasile (13 per cento) e dal Canada (7 per cento) –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte e quali azioni intenda intraprendere al fine di fare chiarezza sulla vicenda e accertare eventuali autorizzazioni da parte del Governo in passato in quanto le ditte in questione devono disporre di qualche deroga.
(4-07516)


   PARENTELA, DIENI e NESCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Massiccio del Monte Reventino (m. 1416), cosiddetto dal toponimo della sua vetta maggiore, è una lunga dorsale montuosa che si estende dai comuni di Nocera Terniese e San Mango d'Aquino ad ovest sino ai comuni di Gimigliano e Carlopoli ad est. Comprende una serie di rilievi boscosi inframezzati da grandi conche prative cosparse di abitati e coltivi e da gole fluviali di diversa grandezza, che costituiscono la porzione meridionale della Sila Piccola e sovrastano l'Istmo di Marcellinara dal lato nord. Oltre ad avere importanti emergenze ambientali (boschi e alberi monumentali, gole fluviali, canyon, rupi, cascate, panorami, flora e fauna di pregio), il Massiccio conserva tradizioni, beni culturali ed artistici di primaria importanza;
   il massiccio contiene due siti di interesse comunitario (SIC: boschi di Decollatura codice IT93330113 e Monte Contrò codice IT9330124) e da una ventina d'anni, le associazioni ambientaliste propongono l'istituzione di un'area protetta di rango regionale;
   nell'area sono stati già autorizzati sette parchi eolici di cui ai n.ri 18, 20, 28, 29, 43, 45, 54 dell'elenco rinvenibile sul sito istituzionale della Regione Calabria e che riguardano i comuni Pianopoli, Mercellinara, Settingiano, Tiriolo, Amato, Serrastretta;
   la regione Calabria – dipartimento attività produttive – Settore 2 – «Politiche Energetiche, Attività Estrattive e Risorse Geotermiche», con Protocollo n. 355786/SIAR del 12 novembre 2014, ha disposto l'indizione della conferenza di servizi per l'esame dell'istanza per il rilascio dell'autorizzazione unica per la costruzione di un nuovo parco eolico sul Reventino della potenza di 20,7 MW, sito nei Comuni di Conflenti, Lamezia Terme, Motta Santa Lucia, Decollatura, Platania (CZ) denominato «Trifoglio»;
   la giunta comunale di Lamezia Terme, su proposta del sindaco, ha deliberato in data 9 dicembre 2014 la propria opposizione alla realizzazione di un impianto eolico sul monte Reventino. Le ragioni della opposizione sono di carattere paesaggistico e ambientale (sarebbe deturpato uno dei luoghi più belli e incontaminati della Calabria) e di tipo politico e sociale (il paesaggio è bene primario);
   i comuni di Lamezia Terme, Conflenti e Platania sono stati destinatari di analogo avviso di indizione di conferenza di servizi – datata 18 febbraio 2014 – per un altro parco eolico «Monte Faggio» di ben 37,5 MW che verrebbe allocato proprio su tale cima – da cui prende il nome – situato a ridosso del Monte Reventino e separato da quest'ultimo dal Monticello del Pubblico;
   allo stato attuale sono 56 i parchi eolici già autorizzati in Calabria ai quali devono aggiungersi le richieste di autorizzazioni pendenti – come nei casi riportati nel presente atto di sindacato ispettivo – su cui è difficilissimo raccogliere informazioni;
   dall'ultimo bilancio di Terna al 31 dicembre 2013 risulterebbero attivi per la regione Calabria 49 impianti termoelettrici, 50 idroelettrici e 82 eolici con una produzione netta 10407,8 GWh di gran lunga superiore a quella richiesta di 6259,8 Gwh;
   l'installazione di serie di pale eoliche sui crinali e sulle pendici del Massiccio è incompatibile con l'alto gradiente estetico del paesaggio della zona;
   la creazione di parchi eolici sul Massiccio del Reventino si presenta in stridente contrasto con le attuali politiche locali tendenti a propugnare un tipo di sviluppo che faccia perno sulle sue precipue vocazioni quali il paesaggio, l'ambiente, le tradizioni, la cultura, l'enogastronomia, il turismo di qualità;
   a parere degli interroganti il proliferare di parchi eolici in Calabria altro non fa se non deturpare luoghi incontaminati svendendo il territorio ed ipotecandone lo sviluppo futuro all'insegna della mera speculazione mascherata da progresso tecnologico ad emissioni zero;
   l'interrogante precisa che la sua posizione non vuole osteggiare le energie rinnovabili anzi vuole promuoverne la diffusione così da liberare il Paese dalla dipendenza dagli inquinanti combustibili fossili, tuttavia, occorre ripensarne le strategie in direzione di uno sviluppo sostenibile che metta al primo posto l'ambiente –:
   se il Ministro dell'ambiente e tutela del territorio e del mare abbia acquisito elementi in merito alla tutela delle aree Sic e Zps nonché sul pieno rispetto di quanto previsto nella cosiddetta «direttiva uccelli»;
   se e quali iniziative intenda assumere il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo al fine di salvaguardare le aree di elevato valore paesaggistico del Massiccio del Monte Reventino interessate dall'installazione delle pale eoliche.
(4-07519)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAPARINI e SIMONETTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 23 dicembre 2014 e stato inviato agli organi di controllo il decreto ministeriale recante «Organizzazione e funzionamento dei Musei statali» che all'articolo 1, comma 4 prevede che i musei nazionali non dotati di autonomia gestionale (come gli uffizi di Firenze, Brera a Milano e altro) afferiscano ai poli museali regionali, creati ex novo, mentre aree e parchi archeologici restano per ora in capo alle Soprintendenze di competenza;
   contrariamente a quanto previsto nella bozza iniziale del decreto il MUPRE-Museo nazionale della preistoria della Valle Camonica (inaugurato il 10 maggio 2014) e il Museo nazionale di Cividate Camuno (aperto al pubblico dal 1981) vengono tolti alla Soprintendenza per i beni archeologici della Lombardia e assegnati al Polo museale regionale (dipendente dal MiBACT-Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e diretto da un dirigente di nuova nomina) come disposto dall'allegato 3 al decreto ministeriale;
   il Governo non ha considerato che i due musei sono parte integrante di una articolata rete di aree, parchi e siti archeologici, nazionali e di enti locali, di un sito UNESCO, costruita con accordo di programma quadro sottoscritto nel 2003 da Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo-regione-enti locali e con un piano di gestione condiviso nel 2005 dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ed enti locali e territoriali, secondo il dettato del decreto legislativo del 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio, articoli 111-115 (sono articoli, a suo tempo innovativi, sulla valorizzazione);
   di fatto lo smembramento dei due musei viene a ledere e scardina un piano di rete laboriosamente messo a punto negli anni:
    1) quello del polo di età romana della Civitas Camunnorum con il Museo nazionale di Cividate Camuno (1981), il Parco del teatro e anfiteatro di Cividate C. (2003) e il Parco del santuario di Minerva (2007), polo definito tramite l'Accordo di programma quadro «Valorizzazione del patrimonio archeologico e dei siti archeologici di età romana della media Valle Camonica» sottoscritto nel 2003 da Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo-regione-comuni;
    2) quello della preistoria, realizzato con il piano di gestione del sito UNESCO n. 94 «Arte rupestre della Valle Camonica» coordinato dalla Soprintendenza e sottoscritto nel 2005 da Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, provincia di Brescia, comunità montana di Valle Camonica, comuni e consorzi di comuni e comprendente, oltre al sito UNESCO (formato da 180 siti d'arte rupestre estesi in 33 Comuni della Valle), il MUPRE-Museo nazionale della preistoria della Valle Camonica (realizzato come obiettivo prioritario del piano di gestione, come centro di raccordo e illustrazione del sito UNESCO) e 8 parchi d'arte rupestre (2 nazionali, 1 regionale e 5 comunali o consortili) e siti e percorsi archeologici;
   si tratta di una rete integrata (parco nazionale delle incisioni rupestri a Capo di Ponte, istituito nel 1955; parco archeologico nazionale dei Massi di Cemmo a Capo di Ponte, istituito nel 2005 con ampliamento di area archeologica esistente dal 1964; riserva naturale delle incisioni rupestri di Ceto Cimbergo e Paspardo, istituita nel 1983; parco comunale di Luine a Darfo Boario Terme, istituito nel 1973; parco archeologico comunale di Seradina-Bedolina a Capo di Ponte, istituito nel 2005; parco comunale di Sellero, istituito nel 2009; percorso pluritematico del «Còren de le Fate» a Sonico, istituito nel 1990 e riallestito nel 2007; parco archeologico di Ossimo-Anvòia (con calchi), istituito nel 2005; sito archeologico dei Corni Freschi-Darfo Boario Terme, istituito nel 2009; sito archeologico di Borno-Valzel de Undine, in corso di allestimento) che risponde alle indicazioni del codice dei beni culturali e del paesaggio, è frutto di un articolato lavoro di concertazione con gli enti locali tramite la condivisione del piano di gestione del sito UNESCO n. 94 e viene citata ad esempio di buona e agile gestione (grazie al GIC-Gruppo istituzionale di coordinamento del sito UNESCO con ente capofila la comunità montana) e buone pratiche sia a livello nazionale sia a livello europeo;
   smembrare e assegnare ad altro organismo i due musei nazionali già strutturati in una rete connessa sia per tipologia (il sito UNESCO «Arte rupestre della Valle Camonica» nelle sue articolazioni di museo della preistoria, parchi e siti archeologici; il polo della civiltà romana) sia per territorio (la medesima vallata prealpina e alpina) è un'operazione che va contro qualsiasi buona pratica di gestione integrata e unitaria del patrimonio, con il risultato che i due musei, estrapolati da un piano di rete attuato negli anni, verrebbero ora assegnati a un sistema museale regionale (articolo 7, comma 3) tipologicamente variegato, comprendente 10 realtà tra musei storico-artistici, musei archeologici, castelli, palazzi, chiese e certose, ubicati in ambiti geografici distanti e vari (vd. Decreto ministeriale 23 dicembre 2014 All. 3-polo regionale della Lombardia);
   il decreto va in direzione diametralmente opposta alla politica di concertazione culturale e gestionale attuata negli anni in Lombardia e, in particolare in territorio camuno, dallo Stato in accordo con la regione e con gli enti locali e territoriali (provincia, comunità montana, comuni, GIC-Gruppo istituzionale di coordinamento del sito UNESCO);
   in tal senso si sottolinea la forte preoccupazione degli enti locali camuni per la soluzione adottata che inficia il sistema di rete e rende difficile la realizzazione dei progetti avviati –:
   quali, iniziative il Ministro intenda intraprendere per evitare la duplicazione degli apparati di gestione (polo museale, soprintendenza, enti locali), a fronte di personale tecnico scientifico e di vigilanza ministeriale già fortemente carente e di personale degli enti locali inesistente;
   cosa intenda fare per scongiurare il rischio di un aumento dei costi di conduzione e gestione causato dalla dislocazione territoriale poco agevole delle realtà espositive. (5-04450)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PIRAS. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   con decreto dirigenziale n. 187 del 9 settembre 2014 emanato dalla direzione generale per il personale militare è stato indetto per il 2015 un bando di reclutamento per 7000 volontari in ferma prefissata di un anno (VFP1) nell'esercito;
   il bando, è stato successivamente modificato con decreto n. 231 del 18 novembre 2014 in alcuni suoi aspetti;
   all'interno del bando, ed in particolare nell'articolo 10 sono elencati i riconoscimenti e titoli di merito cumulabili al fine di ottenere un punteggio nelle graduatorie di ammissione all'esercito italiano in VFP1;
   oltre i doverosi punteggi assegnati per titoli di studio (laurea magistrale, triennale, diploma) sono presenti altri titoli più specifici a cui vengono assegnati numerosi punti;
   in particolare, nell'articolo 10 comma 1, alle lettere g), h), i), j), k), vengono assegnati punti per: g) maestro di sci: punti 4 – h) guida alpina, non cumulabile con il punteggio di cui alla precedente lettera g): punti 4 – i) aspirante guida alpina, non cumulabile con il punteggio di cui alle precedenti lettere g) e h): punti 2,5 – j) istruttore del Club alpino italiano (qualsiasi livello e specialità): punti 2 k) attestato di bilinguismo italiano – tedesco (riferito a livello non inferiore al diploma di istruzione secondaria di primo grado, di cui all'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976; n. 752 e successive modifiche): punti 2:
   appare evidente come le lettere sopra riportare, di cui all'articolo 10, comma 1, che assegnano numerosi punti a titoli molto specifici, tendano a favorire i concorrenti provenienti da territori alpini e confinanti con regioni in cui si parlano più lingue, vista l'attribuzione di 2 punti grazie all'attestato di bilinguismo tedesco;
   in Sardegna ed in altre regioni del Sud Italia appare molto più difficile rispetto al nord Italia poter acquisire con facilità i titoli di guida alpina, istruttore di sci o di club alpino, e l'attestato di bilinguismo italo-tedesco –:
   se non ritenga di dover dare avvio ad una modifica del bando in corso e dei bandi successivi per il reclutamento di volontari in ferma prefissata ed in particolare delle normative relative all'acquisizione di punteggio con i titoli di guida alpina e di istruttore di sci o di club alpino e con l'attestato di bilinguismo italo-tedesco, tali da discriminare i concorrenti provenienti da regioni del Sud ed in particolare dalle isole, che dovrebbero avere pari dignità di trattamento e possibilità di ingresso nell'Esercito italiano in ferma volontaria rispetto ai concorrenti di tutte le altre regioni. (5-04448)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   RIBAUDO e CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 586, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), prevede che l'Agenzia delle entrate effettui controlli preventivi, anche documentali, sulla spettanza delle detrazioni per carichi di famiglia in caso di rimborso complessivamente superiore a 4.000 euro, anche determinato da eccedenze d'imposta derivanti da precedenti dichiarazioni, al fine di contrastare l'erogazione di indebiti rimborsi dell'imposta sul reddito delle persone fisiche da parte dei sostituti d'imposta;
   i controlli sono effettuati entro il mese di dicembre, oppure entro sei mesi dalla data della trasmissione del modello, se questa è successiva alla scadenza del 30 giugno;
   i rimborsi che, a seguito del controllo preventivo, risultano comunque dovuti sono erogati direttamente dall'Agenzia delle entrate, senza che sia previsto un termine certo di erogazione del rimborso;
   al fine di contenere i ritardi nell'erogazione dei citati rimborsi, l'articolo 1, comma 726, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), ha previsto che il rimborso spettante al termine delle operazioni di controllo preventivo di cui al citato comma 586 sia erogato dall'Agenzia delle entrate non oltre il settimo mese successivo alla scadenza dei termini previsti per la trasmissione della dichiarazione, ovvero alla data della trasmissione della dichiarazione, ove questa sia successiva alla scadenza di detti termini –:
   quanti rimborsi siano stati richiesti fino ad oggi e quanti abbiano ricevuto l'assenso e l'effettiva erogazione, quali siano i tempi medi per l'erogazione dei rimborsi e quante richieste di rimborso siano al momento sottoposte a controllo preventivo. (5-04465)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende da organi di stampa, nel marzo 2009 la società Chil srl ottiene dal Credito cooperativo di Pontassieve un mutuo chirografario senza garanzie accessorie dell'importo di euro 496.717,65; tale finanziamento senza garanzie si deve supporre condizionato all'assistenza di Fidi Toscana, che arriva nel giugno 2009, con copertura dell'80 per cento del rischio; in assenza di tale condizione, non sarebbe, infatti, possibile comprendere per quale ragione un confidi dovrebbe intervenire su un mutuo già assegnato e perfezionato;
   si ricorda peraltro che Fidi Toscana è una società partecipata da provincia e comune di Firenze e che l'unico dirigente, seppur in aspettativa, della società Chil srl ricopriva nel periodo considerato la carica di presidente della provincia di Firenze e, senza soluzione di continuità, era in procinto di ricoprire quella di sindaco di Firenze;
   anche nel caso dei dirigenti, l'aspettativa non è ritenuta nella prassi condizione sufficiente a determinare l'interruzione di un rapporto di interesse, che nel caso in oggetto sarebbe rafforzato dalla presenza negli organi amministrativi apicali della società di parenti di primo grado dello stesso;
   la società pubblica Fidi Toscana ad avviso dell'interrogante è intervenuta, dunque, a supporto di un'operazione da chiari ed elevati profili di rischio, visti i bilanci di Chil srl, garantendo il massimo della copertura, cioè un inusuale 80 per cento, su un'operazione di importo elevato e priva di garanzie reali e accessorie, in condizione potenziale di conflitto di interessi, senza nemmeno verificare l'esistenza di clausole che prevedano il rimborso anticipato del mutuo in caso di mutamenti significativi degli assetti societari;
   questi ultimi si sono peraltro già verificati allorquando la società, preventivamente svuotata e gli attivi a favore della consociata «di fatto». Eventi 6, viene ceduta a fine 2010, per poi essere dichiarata fallita nel febbraio 2013, e le rate del suddetto finanziamento cessano di essere pagate a partire da giugno 2011; inoltre, a seguito di tale cessione a società Chil Srl ha cambiato residenza, perdendo in tal modo i requisiti necessari per avere rapporti con Fidi Toscana, che da statuto deve operare solo con aziende localizzate nella propria regione, senza che tale cambiamento sia fatto valere da Fidi Toscana in opposizione alla richiesta di rispondere dell'avvenuta perdita;
   sull'operazione in questione ed a favore di Fidi Toscana opera il Fondo centrale di garanzia, necessariamente in condizione di contro garanzia, data l'ubicazione di Chil Srl che rende impossibili altre forme di intervento, presumibilmente a prima richiesta, smista la tempistica del rimborso, per un importo pari all'80 per cento della garanzia erogata dal Confidi; già solo questo fatto richiederebbe un chiarimento circa le effettive cifre, visto che la stampa riporta in oggetto una garanzia escussa a Fidi Toscana per 263.114,70, coperta dal Fondo centrale di garanzia per 236.803,23, pari all'80 per cento;
   le suddette contro garanzie offerte dal Fondo centrale di garanzia hanno una clausola di inefficacia stabilita ai punti G1 delle disposizioni, laddove essa venga concessa sulla base di dati, notizie o dichiarazioni mendaci, inesatte o reticenti rilevanti ai fini dell'ammissibilità al Fondo, che il soggetto richiedente avrebbe potuto vanificare con la dovuta diligenza professionale, ovvero laddove il soggetto richiedente non avesse comunicato al gestore variazioni della titolarità dell'operazione nonché ogni altro fatto di cui sia venuto a conoscenza e che sia ritenuto rilevante ai fini della permanenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi per l'ammissione della garanzia;
   a parere dell'interrogante la suddetta carenza di diligenza è certamente venuta a verificarsi nel momento in cui non si è provveduto ad alcuna revoca in presenza di eventi potenzialmente compromissori sul piano della solidità patrimoniale, e di un trasferimento di residenza che in se stesso avrebbe dovuto essere causa automatica di revoca; occorrerebbe chiarire se Fidi Toscana abbia provveduto ad informare diffusamente e tempestivamente di tutto ciò il gestore –:
   alla luce di quanto esposto sulla base di quali procedure il Fondo centrale di garanzia, dato il delicato ruolo che esso ricopre a tutela dell'accesso al credito delle piccole e medie imprese, provveda a versare le controgaranzie richieste, in particolare, se non esista l'obbligo di istruttoria finalizzato a ricostruire la validità di tali richieste sul piano formale e sostanziale e se non ritenga, alla luce delle novità emerse e per quanto di competenza di riconsiderare le disposizioni attuate nel caso in oggetto, rivalendosi su Fidi Toscana, avviando a tale scopo una ricognizione sulle procedure, per evitare il ripetersi di situazioni similari, a tutela del buon utilizzo delle risorse pubbliche. (5-04466)


   BARBANTI, PESCO, VILLAROSA, CANCELLERI, RUOCCO, PISANO e ALBERTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la gestione della Consob da parte del Presidente Giuseppe Vegas è stata oggetto di indagine, per abuso d'ufficio, dalla procura di Roma: le indagini sono state avviate in seguito alle denunce esposte da Adusbef e Federconsumatori;
   da fonti di stampa si apprende che la procura di Roma stia indagando sulla nomina del Direttore generale Gaetano Caputi, nell'assunzione per chiamata diretta della responsabile della segreteria di presidenza della Commissione Francesca Amaturo, e nella scelta di Luca Cecchini per lo staff incaricato della comunicazione e dei rapporti con la stampa;
   il regolamento interno della Consob prevede che Segretario ed il Direttore generale siano nominati su proposta del Presidente, che gli stessi debbano avere una specifica e comprovata esperienza, nonché una indiscussa moralità e indipendenza con riguardo ai titoli professionali, culturali e scientifici e alle esperienze maturate: oggetto di denuncia ed indagine è anche la probabile violazione della procedura di nomina agli incarichi di segretario e di direttore generale, che presuppone una deliberazione del Collegio, deliberazione che tra l'altro deve fissare l'indennità di posizione funzionale e la relativa progressione economica;
   Federconsumatori contesta la nomina di Caputi all'incarico di Segretario generale, essendo egli un funzionario del Ministero dell'economia e delle finanze, non appartenente all'organico della medesima Consob, tra le cui dipendenze si riscontrano diverse figure con i requisiti morali e professionali adatti a ricoprire l'incarico, circostanza quest'ultima invece contestata dal Presidente Vegas; la Federconsumatori ha posto particolarmente attenzione al passaggio di Caputi alla direzione generale in seguito al pensionamento del precedente Direttore generale Antonio Rosati;
   di recente il Direttore generale Gaetano Caputi si è dimesso: da fonti di stampa si apprende che le dimissioni di Caputi siano arrivate dopo un forte scontro con i commissari Genovese e Troiano, i quali hanno contestato a Caputi alcune scelte strategiche tra cui l'esternalizzazione dei servizi informatici della Consob, affidati alla Hp; i commissari hanno sostenuto l'aggravio di costi per la Commissione derivanti dalla scelta, avallata anche dal Presidente Vegas, e il possibile pregiudizio arrecabile alla sicurezza dei dati; la Federconsumatori e l'Adusbef hanno richiesto un intervento alla Corte dei conti al fine di verificare la sussistenza di eventuali illeciti sulla gestione;
   il nuovo Direttore generale nominato dai vertici della Consob è Angelo Apponi, ex capo della divisione informazioni emittenti, persona al centro dell'attenzione nelle indagini sul «caso Fonsai e Milano assicurazioni», nel quale i presunti legami tra i vertici aziendali ed i vertici Vegas ed Apponi, avrebbero portato ad escludere l'Opa (Offerta pubblica di acquisto) sull'operazione della Milano assicurazioni, seguita inevitabilmente da una perdita di valore delle azioni pari al 10,72 per cento, il cui danno è stato evitato dai soggetti in possesso dell'informazione in netto anticipo;
   la nomina del nuovo commissario Genovese ha sicuramente reso più democratica la gestione della Consob, e sarebbe stato preferibile che la nomina del Direttore generale fosse avvenuta solo dopo l'individuazione degli altri due commissari, la cui nomina è stata più volte dichiarata ma mai realizzata concretamente; infatti la Consob è un organo preposto alla tutela dei risparmiatori e la corretta gestione ed amministrazione del medesimo è elemento necessario di tale tutela;
   la nomina del nuovo Direttore generale è avvenuta senza una preventiva individuazione delle caratteristiche più opportune a svolgere tale incarico, senza una previa ricognizione delle candidature e con poca trasparenza –:
   se reputi opportuno assumere iniziative volte a procedere celermente e con procedure trasparenti e meritocratiche alla nomina dei due commissari e, in ogni caso, se non ritenga di assumere ogni altra iniziativa di competenza a fronte della vicenda della nomina del nuovo direttore generale che appare agli interroganti estremamente inopportuna, particolarmente in quanto effettuata da un Presidente che risulta ancora indagato per abuso di ufficio e senza una previa ricognizione delle candidature e per gli interroganti con poca trasparenza. (5-04467)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dal 2003 il dipartimento amministrazione penitenziaria, ha avviato un progetto sperimentale in dieci istituti penitenziari italiani (Trani, Siracusa, Ragusa, Rebibbia circondariale, Rebibbia reclusione, Torino, Milano-Bollate, Padova, Ivrea e Rieti) al fine di promuovere l'attività lavorativa in carcere attraverso l'affidamento del servizio mensa alle cooperative sociali, con il compito di formare i detenuti, assumerli con paga regolare, attraverso la formazione e affrancamento con professionisti del settore;
   tale intervento, finanziato dal dipartimento amministrazione penitenziaria a partire dal 2004 e successivamente dalla Cassa ammende, aveva dato risultati molto positivi, sia per quanto riguarda la produzione di pasti di qualità, sia per la nascita di vere realtà imprenditoriali (servizi di catering a Torino e Bollate, produzione di panettoni a Padova, taralli a Trani e dolci di mandorla e catering a Siracusa e Ragusa) e sia in termini di legalità;
   infatti, l'impiego dei detenuti in attività lavorative, non solo aumenta le possibilità di reinserimento del detenuto nella società ma abbatte drasticamente l'eventualità di recidiva come dimostrato dalle statistiche: chi in carcere inizia a svolgere un'attività professionalizzante, più difficilmente torna a commettere nuovi reati tornato in libertà; solo due su 100, a fronte di un tasso di recidiva del 70 per cento tra quanti scontano tutta la pena senza far nulla;
   nonostante l'apprezzamento generale, anche secondo l'allora direttore del dipartimento amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, nei giorni scorsi, con una circolare ministeriale inviata ai dieci direttori carcerari interessati, è stata comunicata la proroga del progetto fino al 15 gennaio 2015 e la successiva chiusura della sperimentazione, con il ritorno della gestione delle cucine all'amministrazione penitenziaria;
   non è stata quindi nemmeno concessa la proroga di 16 giorni alla gestione delle cucine (dal 16 al 31 gennaio 2015), annunciata il 30 dicembre nell'incontro con il Ministro Andrea Orlando, il capo di gabinetto Giovanni Melillo e il capo del dipartimento amministrazione penitenziaria Santi Consolo;
   i 15 giorni dovevano servire a incontrare le cooperative e trovare delle soluzioni per evitare l'interruzione dei progetti di gestione delle cucine in dieci carceri, che hanno dato risultati estremamente positivi;
   la decisione di cessare la sperimentazione sembra essere dettata da motivi economici: la cassa delle ammende, infatti, non finanzierà più il progetto ritenendo conclusa la fase di start up;
   dal punto di vista economico, con questa scelta, l'amministrazione penitenziaria non realizzerà alcun risparmio reale per le Casse dello Stato e quindi per i cittadini. Anzi il rischio concreto è di una maggior spesa e di maggiori costi per la collettività sul lungo periodo, e non solo, dal punto di vista della legalità si verificherà un incremento dei rischi per sanzioni e di sicurezza per i cittadini –:
   se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative per rinnovare alle cooperative sociali tuttora operanti l'appalto delle cucine, per preservare così il lavoro e l'esperienza maturata dai detenuti negli istituti di pena già coinvolti nella sperimentazione;
   quali provvedimenti urgenti si intendano adottare per salvaguardare la gestione delle cucine negli istituti coinvolti nella sperimentazione, anche al fine di garantire la possibilità ai detenuti coinvolti di continuare a svolgere un lavoro vero e proprio;
   in linea generale, quali siano le scelte in materia di lavoro penitenziario che il Ministro intende adottare nel prossimo futuro. (5-04451)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CRIVELLARI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'idrovia Fissero-Tartaro Canal Bianco-Po di Levante collega il Mare Adriatico al Porto fluviale di Valdaro (Mantova) con un percorso di circa 135 chilometri, sostanzialmente parallelo al Po, attraversando il territorio delle province di Rovigo, Verona e Mantova;
   a Mantova il canale, tramite la conca di San Leone, si immette nel fiume Po consentendo la navigazione per altri 140 chilometri fino a Cremona. Da Cremona si può iniziare la navigazione in discesa passando dai Porti di Boretto (Reggio Emilia) e Ferrara per ritornare, attraversando la conca di Volta Grimana, a Porto Levante o utilizzando il Po di Brondolo per raggiungere il Porto di Chioggia, quindi il Mare Adriatico;
   pertanto si può parlare di un circuito fluviale Mare Adriatico-Cremona-Mare Adriatico di circa 540 chilometri, che interessa l'economia di tre regioni, la Lombardia, l'Emilia Romagna e il Veneto, garantendo tempi e costi certi, per operare con tranquillità ed in un contesto di sicurezza, così come dimostrato dalle esperienze di navigazione interna del Nord Europa. Infatti, mentre altri Paesi dell'Unione europea in epoca recente hanno ben compreso l'immensa risorsa e potenzialità della navigazione fluviale e ne hanno promosso lo sviluppo con infrastrutture adeguate, rendendo navigabili nuovi canali e promuovendo il proprio territorio in maniera adeguata, l'Italia non sta progredendo in tale direzione rischiando una progressiva perdita d'uso e d'importanza di tale patrimonio. Negli ultimi anni questa tendenza sembra essersi invertita; i convegni riguardanti lo sviluppo della navigazione fluviale sono all'ordine del giorno, molte direttive regionali, nazionali e comunitarie spingono in questa direzione, mentre una nuova imprenditoria dedicata all'acqua si sta affacciando sulla scena nazionale. Si sta assistendo ad una riscoperta generale delle vie navigabili interne prevalentemente volte al turismo sostenibile. Le società pubbliche, operanti nelle diverse infrastrutture esistenti nel circuito di navigazione interna sopradescritto, hanno in questi anni investito molti milioni di euro dello Stato, delle regioni e dell'Unione europea per promuovere ed infrastrutturare i porti interni, al fine di dare operatività a favore dell'economia e del turismo delle aree bagnate dall'idrovia e dal fiume Po;
   la consulta generale dell'autotrasporto e della logistica (organismo pubblico del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) ha approvato il 2 dicembre 2010 il «piano nazionale della logistica 2011-2020» adottando quindi le linee politiche di attuazione, finalizzate alla definizione di un nuovo assetto della logistica per lo sviluppo del Paese. A corredo e a supporto del PNL 2011-2020 si sono successivamente sviluppati (presentati a Roma nel settembre 2011) alcuni studi con i seguenti temi: piattaforme territoriali: aspetti demo-socio-economici e infrastrutturali; combinato ferroviario e aereo; combinato marittimo; processi di filiera e morfologia dei flussi internazionali;
   sia nel piano nazionale che negli studi di approfondimento del documento politico, quando viene trattato l'argomento della piattaforma logistica del Nord Est, il ruolo dell'idrovia padano-veneta viene a giudizio dell'interrogante sminuito come di seguito si legge. A pagina 51 del PNL 20112020 punto 9) «sistema Fluviale»: «Il sistema fluviale è stato sin qui notevolmente trascurato. Se è vero che non potrà assorbire quote di traffico rilevanti, in alcune aree soprattutto nel Nord del Paese può essere di supporto e di integrazione di sistema nella logistica della co-modalità. Un richiamo riguarda soprattutto la valutazione della convenienza economica dell'investimento che va realizzato soprattutto, per quanto riguarda il naviglio, in modo che può essere utilizzato per una operatività flessibile. Sarà utile sperimentare, già a partire dal 2011, una qualche misura di incentivazione». A pagina 52 del PNL 2011/2020 punto 10) quando si parla della «piattaforma logistica del Nord-Est» all'ultimo capoverso si scrive: «il Porto di Ravenna si configura anche quale testa di ponte per il sistema fluviale Padano, che trova il supporto logistico in Mantova e Cremona nell'area del Nord Est». Di fatto sono state cancellate nel PNL 2011/2020 le infrastrutture del Veneto che rappresentano già adesso con Chioggia e Porto Levante gli ingressi strutturati e operativi per la navigazione interna dell'intera idrovia e il sistema idroviario polesano «Fissero Tartaro Canal Bianco». Viene inoltre escluso un punto di riferimento importante per il territorio come l'interporto di Rovigo –:
   se e come nella prossima stesura del nuovo piano della logistica l'idrovia padana potrà ritrovare la giusta evidenza, per consentire il rilancio di una effettiva integrazione modale, sia per il trasporto merci che passeggeri;
   quali iniziative il Governo intenda attuare onde favorire la crescita del trasporto combinato attraverso la catena logistica finalizzata ad assicurare risparmi energetici, tutela ambientale, sicurezza e qualità del trasporto a tutto beneficio per lo sviluppo del sistema produttivo del Paese. (5-04449)


   OLIVERIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Alitalia sta procedendo da settimane ad un progressivo ridimensionamento di voli, creando disagi e determinando significative penalizzazioni di territori spesso già fortemente caratterizzati da difficoltà nell'ambito dei collegamenti, della più generale mobilità e delle infrastrutture;
   in particolare, la compagnia aerea Alitalia ha pressoché cancellato la quasi totalità dei voli tra il Piemonte e la Calabria, avendo salvato dal taglio solo un unico volo di andata e ritorno limitato ad alcuni giorni della settimana con costi davvero elevati e orari disagevoli;
   è paradossale che ciò avvenga in presenza di una elevata frequentazione dei voli e con un flusso di passeggeri significativo, anche in considerazione della presenza di tanti calabresi che per motivi di studio e lavoro vivono in Piemonte;
   in questo modo viene ad essere fortemente penalizzata l'utenza calabrese che già subisce un atavico isolamento e un sistema infrastrutturale e di collegamenti non degni di una regione europea;
   occorrerebbe evitare questa ulteriore penalizzazione della Calabria e conseguentemente verificare la possibilità che, in particolare, l'aeroporto di Lamezia Terme possa avere un maggior numero di rotte da e per il Piemonte –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere per superare la penalizzazione della Calabria sotto il profilo dei collegamenti e delle infrastrutture e quali iniziative intenda assumere in proposito. (5-04454)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPESSOTTO, PETRAROLI e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel corso del 2012 è stato predisposto, su incarico conferito da regione Veneto, provincia di Vicenza, comune di Vicenza e Camera di commercio di Vicenza, uno studio di prefattibilità avente per oggetto l'attraversamento del territorio della città di Vicenza da parte della linea ferroviaria AV/AC, in affiancamento a quella storica e con localizzazione della relativa stazione in zona Vicenza-Ovest-Fiera;
   a seguito della predisposizione del suddetto studio di prefattibilità, in data 2 agosto 2012, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha attivato un tavolo tecnico per approfondire le esigenze di localizzazione del tracciato AC/AV espresse per l'attraversamento del territorio vicentino, nonché i costi comparativi delle diverse alternative di localizzazione;
   nel corso del 2014, sempre su iniziativa della camera di commercio di Vicenza, della regione Veneto e del comune di Vicenza, è stato quindi aggiornato lo studio di prefattibilità del 2012, sostituendo l'attraversamento in galleria delle aree maggiormente urbanizzate della città di Vicenza con un passaggio in superficie e, ove necessario per motivi urbanistico-ambientali, in trincea coperta;
   come convenuto in una serie di incontri tenutisi a Roma presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, alla presenza, tra gli altri, del Ministro, del presidente della regione del Veneto e del sindaco di Vicenza, è stato predisposto un protocollo d'intesa tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la regione Veneto, RFI spa, il comune di Vicenza e la camera di commercio di Vicenza per la definizione della soluzione progettuale dell'attraversamento del territorio vicentino della linea AV/AC Verona Padova;
   tale protocollo, sottoscritto in data 29 luglio 2014, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, alla presenza del Ministro interrogato, prevede, in particolare, la realizzazione di una nuova grande stazione AV in zona Vicenza Fiera, la demolizione dell'attuale stazione di Vicenza centrale e il conseguente interramento della linea storica e della linea AV/AC in zona «Ferrovieri», la realizzazione della nuova stazione Vicenza per il solo traffico regionale;
   a norma dell'articolo 3 del suddetto protocollo d'intesa, la società RFI s.p.a si impegna a procedere, tramite Italferr s.p.a., alla redazione dello studio di fattibilità relativo agli interventi ferroviari per l'attraversamento del territorio vicentino, entro 4 mesi dalla data di sottoscrizione del protocollo stesso, dando così avvio alle procedure di approvazione del progetto complessivo;
   come osservato da alcune associazioni specializzate nella valorizzazione dei trasporti ferroviari, http://www.ferrovieanordest.it/portale/node/1052, le conseguenze sul tessuto urbano di tale progetto soppressivo dell'attuale stazione di Vicenza centrale sarebbero potenzialmente disastrose per la città: i treni AV fermerebbero lontani dal centro di Vicenza, così come i treni regionali per i quali si prospetta un nuovo terminal in zona tribunale e che a loro volta fermerebbero in una stazione diversa rispetto a quella dei treni AV;
   la sostenibilità economico-finanziaria del nuovo progetto sarebbe inoltre messa in forte discussione dagli ingenti costi correlati alla realizzazione di due stazioni completamente nuove, alla demolizione della struttura dell'attuale stazione, alla costruzione della nuova viabilità di accesso per entrambi gli impianti, alla costruzione di una linea tranviaria per collegare le due nuove stazioni, oltre ai costi indiretti derivanti dalle modifiche alla rete di trasporto pubblico –:
   alla luce delle considerazioni esposte in premessa, se il Ministro interrogato, a seguito delle modifiche apportate allo studio di prefattibilità del 2012, possa fornire ulteriori informazioni dettagliate in merito allo studio di fattibilità relativo agli interventi ferroviari per l'attraversamento del territorio vicentino, la cui redazione da parte di Italferr dovrebbe essersi conclusa;
   se il Ministro non ritenga opportuno, per quanto di competenza, procedere urgentemente con l'istituzione di un nuovo tavolo tecnico e di una consultazione pubblica per approfondire le esigenze di localizzazione del tracciato AC/AV espresse per l'attraversamento del territorio vicentino, nonché i costi comparativi delle diverse alternative di localizzazione, al fine di individuare la soluzione di tracciato più vantaggiosa per la città di Vicenza e i suoi cittadini. (4-07509)


   PILOZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale 106 in Calabria è lunga 415 chilometri ed è tristemente nota alle cronache come la «strada della morte» atteso che dal 1996, ovvero da quando è in vita il Sistema Statistico Nazionale di localizzazione degli incidenti stradali a cura della direzione studi e ricerche ACI, lungo tale arteria sono avvenuti incidenti che hanno provocato il decesso di centinaia di persone negli ultimi anni, alcune fonti parlano addirittura di circa 500 decessi;
   nel luglio del 2014, con l'intento preciso d'intraprendere ogni azione al fine di richiedere l'Ammodernamento e la messa in sicurezza subito della strada statale 106 in Calabria, è nata l'associazione «Basta Vittime Sulla Strada Statale 106»;
   tale associazione, in data 5 novembre 2014, inviava al prefetto di Cosenza, e per conoscenza alla direzione generale ed al compartimento di Catanzaro dell'Anas spa, al dipartimento delle infrastrutture, gli affari generali ed il personale del Ministero delle infrastrutture ed alla procura della Repubblica di Cosenza, una «Segnalazione e Richiesta per l'Intervento Immediato di Messa in Sicurezza del Ponte Molinello sulla Strada Statale 106 a Cariati (Cosenza)» atteso che – proprio in quel punto – il 30 di ottobre 2014 si verificava l'ennesimo grave incidente;
   risulta all'interrogante che in data 18 novembre 2014, l'Associazione riceveva una PEC da parte dell'Anas Spa – Compartimento della Viabilità per la Calabria – con cui si evidenziava che «allo stato attuale non si può procedere alla sistemazione del lato sinistro del Ponte» – così come richiesto dall'Associazione – «stante la presenza di infrastrutture civili interferenti, in gestione al Comune di Cariati»;
   risulta altresì all'interrogante che, in risposta alla nota dell'Anas, l'area tecnica del comune di Cariati, in data 25 novembre 2014, confermava la necessità di interventi tecnici di adeguamento della strada statale 106 – in particolare del ponte Molinello e che anche il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con nota dalla direzione generale per le infrastrutture stradali, «in considerazione dell'effettivo stato di vetustà» del ponte Molinello «riscontrabile dalla documentazione fotografica pervenuta in allegato alla predetta nota del 20 novembre 2014, confermava che «gli interventi di sistemazione (del Ponte) sono improcrastinabili»;
   il compartimento della viabilità della Calabria di Anas spa con una nota del 19 dicembre 2014, informava gli enti interessati che, in considerazione dei «diffusi e vistosi fenomeni di degrado delle superfici murarie...» del ponte Molinello, «è stata redatta la perizia dei lavori urgenti di mitigazione dei fenomeni di polverizzazione e disgregazione delle superfici murarie e di prima messa in sicurezza del Ponte Molinello» che veniva inviata alla direzione generale di Anas spa per la copertura della spesa e l'autorizzazione dei lavori;
   l'Anas ha dunque ufficialmente riconosciuto l'esistenza del problema e, in attesa della realizzazione dei lavori, ha disposto un senso unico alternato regolamentato da un impianto semaforico, con un limite massimo di velocità di 30 km/h e divieto di sorpasso, allo scopo di evitare l'aggravamento dei problemi strutturali;
   tale decisione tuttavia, sta comportando pesanti conseguenze per un territorio – quello della costa jonica calabrese – dotato di una sola via di comunicazione – appunto la strada statale 106, e che ha visto un incremento esponenziale dei livelli di traffico veicolare che stanno letteralmente soffocando i comuni dell'Area, come ad esempio il comune di Cariati –:
   se non ritenga necessario, alla luce dei fatti appena descritti, intervenire presso l'Anas spa al fine di sollecitare la realizzazione dei lavori necessari a mettere in sicurezza il Ponte Molinello, sito sulla strada statale 106, nel territorio del comune di Cariati (CS), e ciò al fine di evitare il ripetersi di tragici incidenti e l'insieme dei disagi che oggi vivono quotidianamente tutti gli automobilisti che percorrono la strada citata. (4-07512)


   REALACCI, BORGHI, BRAGA, CARRA, COMINELLI, ZARDINI e LACQUANITI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la ferrovia ad alta velocità Milano-Venezia è una linea ferroviaria italiana, costruita solo parzialmente. Al momento del suo completamento collegherà da Brescia le città venete di Verona, Vicenza, Padova e Venezia e sarà dotata per la maggior parte del suo percorso degli standard ferroviari dell'alta velocità (AV) e dell'alta capacità (AC). Il tracciato farà parte della futura dorsale ferroviaria del Nord Italia Torino-Milano-Trieste;
   del progetto, della sua importanza e della sua integrazione con la piattaforma di trasporto intermodale locale si dibatte in Veneto dal 1992. Da marzo 2007 sono entrati in esercizio soli 25 chilometri tra Padova e Mestre/Venezia accanto alla linea storica. Secondo quanto previsto a suo tempo dal progetto preliminare, approvato dal CIPE nel marzo 2006, la linea AV/AC Verona-Venezia si svilupperà complessivamente per circa 100 chilometri attualmente i treni più veloci che collegano Milano Centrale, sede di Expo 2015, a Padova (241 chilometri via Verona-Vicenza), impiegano 127 minuti, 110 minuti a Vicenza (211 chilometri) contro una media di circa 60 minuti, di tratte AV/AC già in servizio come la Roma-Napoli (226 chilometri) o la Torino-Milano (142 chilometri), aventi distanze paragonabili (sulle nuove tratte AV non si effettuano fermate intermedie a differenza delle linee tradizionali prese a riferimento); lungo i circa 75 chilometri della sezione da Verona a Padova il tracciato attraverserà le province di Verona, Vicenza e Padova;
   la delibera CIPE n. 94 del 2006 ha a suo tempo approvato il segmento iniziale della tratta Verona-Padova fino al territorio di Montebello, e quello finale da Grisignano a Padova. Per il tratto centrale si attende ormai da otto anni che Rete ferroviaria italiana elabori una proposta progettuale di concerto con le amministrazioni comunali interessate e che consideri nel complesso anche esigenze di mobilità regionali unitamente alla mitigazione dell'impatto dell'opera sul territorio attraversato, affinché l'infrastruttura possa così giovare alla riduzione degli inquinanti con il passaggio dal trasporto merci su gomma a quello su rotaia; il territorio a sud del Lago di Garda, interessato dai vari progetti in discussione per la nuova linea AV/AC tra Brescia e Verona, presenta poi aspetti naturalistici unici e molto particolari, dovuti in parte alla sua vicinanza con gli ambienti umidi del lago, in parte agli eventi geologici che l'hanno originato. Questo territorio sul confine tra Mantova, Brescia e Verona si è, nel corso del tempo adattato allo sviluppo economico e antropico, fino all'attuale caratterizzazione agricola di alta qualità, specializzata nella produzione vitivinicola delle «terre» della «Lugana». Il progetto di nuova linea sottrarrà, secondo uno studio elaborato dal professor Renato Pugno, docente al Politecnico di Milano, circa 245 ettari di terreni alla produzione vinicola, con un rapporto costi-benefici negativo verso la nuova tratta ferroviaria: l'area gardesana del Lugana infatti, con una produzione annua di 11,5 milioni di bottiglie di vino, ha un prodotto interno lordo di 50 milioni di euro l'anno. I 9 chilometri della tratta Tav Brescia-Verona che dovrebbero attraversarla avrebbero benefici in termini di prodotto interno lordo generato di 2,94 milioni di euro l'anno;
   a distanza di otto anni, e di 22 anni se ci si riferisce al progetto complessivo, appare poi forse utile, come richiesto anche dalla «Conferenza permanente dei sindaci interessati al progetto AV/AC Verona-Padova », una revisione dei parametri progettuali che rendono difficoltoso il finanziamento del progetto in toto e la sua celere realizzazione anche alla luce della necessità di una maggiore tutela ambientale e una attenzione maggiore al consumo di suolo, in tratti così densamente popolati, e di notevole valore paesaggistico, anche per le grandi opere come detta nuova tratta. Occorrerebbe valutare l'opportunità dell'affiancamento alla linea storica della nuova tratta come già avvenuto per i tratti Milano – Treviglio e Padova – Venezia Mestre che permetterebbe un percorso più breve di ben 32 chilometri recuperando poi il bacino d'utenza del territorio bresciano e l'importantissimo bacino d'utenza turistico del lago di Garda, che conta ogni anno più di venti milioni di presenze –:
   quali iniziative urgenti intendano mettere in campo i Ministri interrogati al fine di fornire notizie puntuali sull'implementazione dell'opera AV/AC Verona-Padova anche in relazione agli obiettivi comunitari sulla riduzione delle emissioni del trasporto su gomma da conseguire entro il 2030, trattandosi peraltro di un corridoio di trasporto paneuropeo, ex «Corridoio V», ora «Corridoio Mediterraneo TEN-T» inserito nella strategia di sviluppo dei trasporti dell'Unione Europea 2014-2020; se i Ministri interrogati intendano poi valutare l'opportunità di istituire con rapidità un tavolo tecnico con gli enti locali interessati dal tracciato, le regioni Lombardia e Veneto, i consorzi di tutela della produzioni agroalimentari di qualità dei predetti territori e RFI, per stabilire un cronoprogramma puntuale sull'avvio dei lavori della predetta tratta ferroviaria, contemplando anche la proposta di affiancamento alla linea storica Milano-Venezia ed una concertazione sulla soluzione di tracciato più utile al territorio, alla pianura padana centro-orientale e al Paese e che assicuri lo sviluppo del sistema ferroviario in tutti suoi segmenti e per tutti i tipi di utenza, «premium», turistica e pendolare, e per le merci in vista della prossima apertura del nuovo valico ferroviario del Brennero. (4-07513)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DELLA VALLE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con circolare 559 del 14 novembre 2014 il dipartimento della pubblica sicurezza ha avviato una sperimentazione di sei mesi dell'uso di spray al peperoncino (Oleoresin Capsicum) nei servizi di ordine pubblico, solo in ambito cittadino, da parte dei reparti mobili di Torino e Milano;
   tali dispositivi saranno utilizzati da 900 agenti in forza ai suddetti reparti, previo espletamento di un corso didattico, nell'ambito del quale dovrebbero essere trattati anche gli aspetti sanitari e di decontaminazione del prodotto;
   a parere dell'interrogante, l'uso di tali dispositivi in circostanze caotiche, ad esempio manifestazioni di piazza, come quelle dei servizi di ordine pubblico, potrebbero comportare danni sia ai cittadini manifestanti che agli operatori di polizia –:
   quali siano i motivi in base ai quali sono state scelte le città di Torino e Milano per avviare la sperimentazione del dispositivo;
   se lo spray sarà utilizzato anche dagli operatori delle altre forze di polizia, carabinieri e guardia di finanza, impiegate in attività di ordine pubblico, in quale numero e se previo addestramento specifico di tutti gli operatori;
   se non ritenga che l'uso di spray al peperoncino non sia più idoneo, efficace e sicuro nei servizi di controllo del territorio svolti da esigue pattuglie, piuttosto che da squadre numerose inserite in contesti caotici come le manifestazioni di piazza;
   se sia prevista una campagna informativa nei confronti dei cittadini per chiarire l'impatto sulla salute e le reazioni collaterali che lo spray può provocare. (5-04446)

Interrogazione a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto pubblicato sulla stampa, avrebbe fatto ritorno in Italia il signor Antar Chadad, residente in provincia di Como, dopo aver trascorso numerosi mesi combattendo nei quadri del Libero Esercito Siriano contro il Governo del Presidente Bashar al-Assad ed essersi recato in Svezia per procurare fondi all'insurrezione ostile al regime di Damasco;
   Antar Chadad sarebbe, in altre parole, un altro foreign fighter votatosi alla lotta armata sin dal 2012, apertamente considerato un jihadista dal Viminale e ritratto in Siria in posa con armi automatiche;
   la Digos possiederebbe un dossier dedicato ad Antar Chadad, che su Facebook continua a postare commenti favorevoli tanto alle attività del Fronte al Nusra, affiliato ad al Qaeda, quanto al Califfato sorto nel giugno dello scorso anno;
   i recenti eventi occorsi a Parigi tra l'8 ed il 9 gennaio 2015 hanno evidenziato l'estrema pericolosità dei foreign fighters reduci dalla Siria –:
   cosa si sappia attualmente della persona generalizzata come Antar Chadad e se in particolare si trovi in provincia di Como e sia adeguatamente monitorato dalle forze di polizia. (4-07521)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   VENTRICELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'approvazione della legge di stabilità 2013 (legge 24 dicembre 2012, n. 228), sono entrate in vigore le norme di cui all'articolo 1, commi da 102 a 107, dedicati al settore dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM),nei quali si affronta la questione relativa all'equipollenza, all'interno dei conservatori e di tutte le accademie, dei corsi accademici di I e II livello rispettivamente alle lauree triennali e magistrali;
   nello specifico il comma 107 stabilisce che: «I diplomi finali rilasciati dalle istituzioni di cui al comma 102, al termine dei percorsi formativi del previgente ordinamento, conseguiti prima dell'entrata in vigore della presente legge e congiuntamente al possesso di un diploma di scuola secondaria superiore, sono equipollenti ai diplomi accademici di secondo livello secondo una tabella di corrispondenza determinata con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca sulla base dei medesimi principi di cui ai commi 102 e 103, da emanarsi entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge»;
   tuttavia, i diplomi del vecchio ordinamento dei conservatori sono stati resi equipollenti al diploma accademico di secondo livello, ovvero a laurea magistrale, solo se conseguiti prima dell'entrata in vigore della legge, cioè entro il 23 dicembre 2012;
   tale decisione è penalizzante perché, non facendo salvo il corso di studi, ma solo il limite temporale del conseguimento, ha operato un'evidente disparità di trattamento tra quei soggetti che ad oggi non hanno ancora terminato gli studi del previgente ordinamento e quelli che hanno completato gli studi prima della entrata in vigore della suddetta legge;
   è d'uopo ricordare che questi studi hanno la medesima valenza data l'osservanza attuale degli stessi programmi ministeriali che non hanno subito modificazioni dal 2012, e gli stessi contributi versati allo Stato;
   quindi il paradosso della legge è il seguente: coloro che si siano diplomati o si diplomeranno in data successiva alla data di entrata in vigore della legge, si vedono equiparato il diploma conseguito alla laurea triennale e non alla magistrale. Paradosso che si verifica soprattutto nel momento in cui il neo diplomato essendo considerato come soltanto in possesso di una laurea triennale, a causa di questa legge, si vede escluso dall'accesso ai pubblici concorsi, che invece richiedono come base la laurea magistrale;
   il diploma di vecchio ordinamento rilasciato dai conservatori di musica di Stato, dopo l'entrata in vigore della legge 24 dicembre 2012, n. 228, non è riconosciuto giuridicamente allo stesso modo e anzi è equiparato a percorsi formativi differenti, con l'evidente disparità che un percorso di studi spesso decennale è considerato pari a una laurea solo triennale, a differenza di chi, invece, quel percorso di studi l'ha avuto riconosciuto valido alla laurea magistrale; l'evidente disparità introdotta dal comma 107 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 va risolta per ripristinare l'imparzialità e l'uguaglianza che devono sempre preesistere ed essere salvaguardate proprio nel rispetto degli stessi articoli 3 e 97 della Costituzione;
   è importante ricordare che il corso di studi del vecchio ordinamento è tutt'ora in funzione, e dovrà esserlo fino a completo esaurimento degli iscritti immatricolatisi fino al 2010 e quindi giuridicamente il titolo che si consegue al termine del percorso formativo, deve essere riconosciuto pari a tutti i diplomati come titolo conclusivo: durata e contenuti sono identici, sia prima sia dopo il 2012, dal lontano 1930, per cui giuridicamente una tale distinzione non appare tollerabile in uno stato democratico –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario, dopo aver fatto tutte le verifiche del caso, intervenire affinché venga evitata ogni possibilità di discriminazione riguardante l'equipollenza dei diplomi accademici dei conservatori e delle accademie alle lauree triennali e magistrali, facendo salvo il corso di studi e non la data del conseguimento del diploma. (4-07511)


   BUSIN, MATTEO BRAGANTINI, CAON, MARCOLIN, PRATAVIERA e GRIMOLDI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da molteplici segnalazione fatte dai genitori di alcuni alunni che frequentano la classe 3 B dell'Istituto Ceccato di Thiene, il primo firmatario del presente atto è venuto a conoscenza che, pochi giorni prima di Natale, l'insegnante di lettere ha proposto due tracce per lo svolgimento di un compito in classe, tra queste la traccia che segue: «Dopo aver preso in considerazione i dati sull'immigrazione in Italia e dopo aver letto l'articolo, scrivi un testo argomentativo in cui persuadi un tuo compagno leghista che il fenomeno migratorio non è un problema, bensì una risorsa»;
   l'inammissibile episodio avvenuto evidenzia, a giudizio degli interroganti, che in quella classe all'insegnamento delle materie umanistiche si preferisce l'apologia politica;
   tale traccia, secondo gli interroganti offensiva e gravemente discriminatoria, prova che quell'insegnante di lettere ha utilizzato il suo ruolo per fini politici, incompatibili con l'insegnamento;
   la propaganda politica non può trovare tutela nel principio della libertà dell'insegnamento enunciato dall'articolo 33 della Costituzione. Un conto infatti è tutelare la libertà di espressione del docente, un'altra è quella di consentire che nella scuola si continui a fare impunemente propaganda politica, esprimendo giudizi negativi su un partito politico indicato in modo esplicito –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato su questa vicenda che ha davvero dell'incredibile;
   quali iniziative si intendano adottare nei confronti dell'insegnante in questione, al fine di riportarlo nell'ambito di una corretta attività di insegnamento, come richiede la deontologia professionale e secondo i fini che l'insegnamento si prefigge, fra i quali, è opportuno ricordarlo, non può esserci la promozione del pregiudizio e della propria partigianeria politica –:
   se non si intenda valutare l'ipotesi di assumere iniziative per prevedere l'irrogazione da parte del dirigente dell'ufficio scolastico regionale, di una sanzione ai professori che fanno propaganda politica o ideologica nelle scuole, con la sospensione dall'insegnamento per un periodo non inferiore ad un mese;
   se non si intendano dare opportune indicazioni affinché, a vigilare che questo tipo di comportamenti non si verifichino, sia il responsabile della scuola, cioè il dirigente scolastico. (4-07515)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 31 gennaio 2015 per l'azienda Infocontact scade la commessa con la società di comunicazione Wind e ciò sta creando molta apprensione tra i lavoratori;
   i dipendenti della Infocontact con sedi a Rende e Lamezia Terme ed altre articolazioni aziendali sul territorio calabrese sono circa 1.800 e per il progetto Wind Infostrada sono impegnati circa 300 addetti;
   l'eventuale non rinnovo della commessa aprirebbe un effetto domino, a catena, che pregiudicherebbe il futuro dell'intero call center;
   nel corso dell'ultimo anno sono già state affrontate diverse problematiche e una serie di sacrifici sono stati persi oltre 700 posti di lavoro;
   la Infocontact detiene performance lavorative che ne fanno uno dei migliori call center d'Europa;
   il presidente della giunta regionale della Calabria, Mario Oliverio, ha ufficialmente chiesto l'attivazione di un tavolo di confronto in sede ministeriale –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare con urgenza per evitare la chiusura dell'azienda e la conseguente salvaguardia dei livelli occupazionali. (5-04445)


   CRIVELLARI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel nostro ordinamento per i marittimi esistono due diversi regimi previdenziali a seconda delle caratteristiche oggettive della nave a bordo della quale i marittimi stessi operano: quello dei pescatori della piccola pesca marittima, di cui alla legge n. 250 del 1958, e il regime previdenziale marittimo di cui alla legge n. 413 del 1984; il primo trova applicazione nell'ambito dell'attività lavorativa della pesca esclusiva o prevalente, sia in via autonoma che in forma associata (cooperativa o compagnia di pesca) ed esercitata quale attività professionale con «natanti non superiori alle 10 tonnellate di stazza lorda», mentre il secondo si applica ai lavoratori già iscritti alla gestione marittimi e a quelli già iscritti alla gestione speciale della soppressa CNPM, oggi tutti iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti (FPLD) dell'Inps;
   la predetta differenziazione porta da sempre a diverse controversie circa l'assoggettabilità di lavoratori del settore della piccola pesca al particolare regime previsto dalla citata legge n. 250 del 1958 ovvero al regime previdenziale marittimo della citata legge n. 413 del 1984, con riguardo a situazioni attinenti sia i riflessi previdenziali della titolarità dell'armamento dei natanti delle cooperative della piccola pesca e sia la natura del rapporto intercorrente tra la cooperativa ed i soci della medesima;
   nel concreto detto conflitto si traduce per il mondo della pesca in una attività di contestazione sulla legittimità dei rapporti lavorativi in essere con gli imbarcati nei pescherecci, con la conseguente applicazione di multe salatissime;
   in parecchi casi i funzionari DTL, ispettori Inps e Guardia di finanza concludono le verifiche qualificando i rapporti di lavoro in essere tra il comandante, anche eventuale armatore, e gli imbarcati quali rapporti di natura subordinata nella sostanza, ancorché nella pratica autonomi in quanto svolti da pescatori aventi singole partite iva, iscritti negli elenchi della piccola pesca, soci di cooperativa che svolgono con prevalenza l'attività della pesca e non legati con rapporto di «monomandatarietà» con il peschereccio su cui al momento dell'accertamento risultavano imbarcati;
   il disposto normativo di cui alla citata legge n. 250 del 1958 richiede un preciso requisito formale, che si basa sull'iscrizione dei pescatori nell'elenco della piccola e l'esercizio della pesca in forma autonoma o in cooperativa su natanti aventi determinate caratteristiche di stazza, laddove le verifiche ispettive non ne tengano conto, si finirebbe per considerare qualunque tipo di imbarco presupposto di lavoro subordinato, con conseguente inutilità della previsione legislativa delle leggi n. 250 del 1958 e n. 413 del 1984;
   la legge n. 413 del 1984, infatti, all'articolo 6, lettera d), dispone che «la presente legge non si applica ai marittimi iscritti negli elenchi dei pescatori addetti alla piccola pesca, esercenti la stessa in forma autonoma o cooperativistica su natanti non superiori alle 10 tonnellate di stazza lorda, qualunque sia la potenza del relativo apparato motore. Nei confronti dei marittimi predetti trovano applicazione le disposizioni della legge 13 marzo 1958, n. 250, e successive modificazioni ed integrazioni»;
   la problematica suesposta investe particolarmente la regione Veneto – in specie la fascia costiera della provincia di Rovigo – posto che l'eventuale passaggio dal regime assicurativo e contributivo della legge n. 250 del 1958 a quello della legge n. 413 del 1984, a seguito di verbali di accertamento, costituirebbe una difficoltà non di poco rilievo per i pescatori interessati, che rischierebbero di perdere la licenza di pesca di tipo A, come da espressa disposizione legislativa regionale (L.R. Veneto 28 aprile 1998, n. 19) –:
   se il Governo possa e intenda farsi parte attiva nel risolvere tale questione, anche attraverso l'emanazione urgente di circolari esplicative dell'ambito di applicazione delle leggi n. 250 del 1958 e n. 413 del 1984 citate in premessa, atte a fornire indicazioni chiare ed inequivocabili ai competenti uffici della direzione territoriale del lavoro, dell'Inps e della Guardia di finanza. (5-04452)

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIBAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la normativa concernente la disciplina del collocamento e del rapporto di lavoro dei centralinisti non vedenti è contenuta nella legge 29 marzo 1985, n. 113, fatta salva all'articolo 1, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68;
   la direzione generale del lavoro, divisione IV, con parere prot. 13/III/0001968/MA001.A005 del 21 febbraio 2011, in risposta all'Agenzia del lavoro, ufficio inserimento lavorativo soggetti svantaggiati, della provincia autonoma di Trento, sul caso di una richiesta di iscrizione all'albo professionale nazionale centralinisti non vedenti da parte di una signora non vedente residente in Veneto, ha precisato che ai sensi dell'articolo 1, comma 1, della legge n. 113 del 1985 l'iscrizione all'albo professionale riguarda i privi della vista del territorio della regione o della provincia autonoma di residenza. In proposito, si legge nel citato parere che «l'articolo 6, comma 5, consente l'iscrizione negli elenchi unici del collocamento mirato, anche in Province diverse da quella di residenza, purché rientranti nel territorio di competenza della D.R.L. o della D.P.L (Province Autonome) tenutarie dell'Albo»;
   permangono difficoltà per l'inserimento lavorativo dei centralinisti telefonici non vedenti, per il fatto che i servizi provinciali per l'impiego continuano a iscrivere indistintamente persone provenienti da tutta Italia, senza prevedere forme di maggior tutela per quelli residenti in regione che, in attesa dell'avviamento al lavoro, rischiano di vedersi superati nella graduatoria delle liste speciali da soggetti residenti fuori regione, già iscritti in altre province a cui viene permesso di recuperare anzianità di disoccupazione;
   in sede di avviamento al lavoro di un soggetto privo della vista, occorre necessariamente considerare diversi fattori ambientali, quali appunto la distanza della sede di lavoro dalla residenza del soggetto da avviare, messa in relazione alla autonoma capacità dell'interessato nel gestirsi da solo lontano dal nucleo familiare;
   numerosi sono, infatti, i rifiuti al lavoro da parte di soggetti privi della vista avviati in regioni distanti da quella di appartenenza, ovvero anche le richieste di trasferimento per ricongiungimento al nucleo familiare dopo la conclusione del periodo obbligatorio di permanenza in servizio (sorprende, in tale senso, l'avviamento al lavoro, poi rifiutato dall'interessato, di un centralinista telefonico privo della vista presso la capitaneria di porto di Ancona, sebbene l'interessato fosse residente a Palermo e risultasse regolarmente iscritto presso altri servizi per l'impiego della regione siciliana);
   la questione è stata sollevata più volte, ma invano, dall'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti – ONLUS, facendo richiesta al Ministero del lavoro e delle politiche sociali di emanare direttive più stringenti ai servizi per l'impiego, perché rendano univoci su tutto il territorio nazionale i criteri di composizione della graduatoria provinciale dei centralinisti privi della vista nel senso di una regionalizzazione del sistema di avviamento al lavoro, secondo la ratio della legge n. 113 del 1985 e in linea con il citato parere ministeriale (prot. UICI n. 9011 del 6 luglio 2012 alla direzione generale del mercato del lavoro, n. 9770 del 18 luglio 2012 alla direzione generale per l'inclusione e le politiche sociali, n. 9538 del 16 luglio 2012 e n. 10030 del 23 luglio 2012 al Vice Ministro del lavoro e delle politiche sociali n. 10291 del 25 luglio 2012 alla direzione generale per l'inclusione e le politiche sociali n. 3760 del 13 marzo 2014 e n. 5656 del 16 aprile 2014 alla direzione generale del mercato del lavoro);
   l'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti ha svolto una indagine conoscitiva, su base nazionale, sullo stato occupazionale dei centralisti telefonici privi della vista, per acquisire elementi utili a comprendere il fenomeno degli scavalcamenti nelle liste speciali del collocamento obbligatorio. Sono stati coinvolti ufficialmente i centri provinciali per l'impiego di tutta Italia e la lettura dei dati rilevati ha confermato un quadro allarmante. Se, da un lato, ci sono responsabili provinciali per l'impiego che hanno limitato l'iscrizione in graduatoria ai soli centralinisti non vedenti inoccupati residenti in regione, con l'adozione in delibera del parere ministeriale prot. 13/III/0001968/MA001.A005 secondo un meccanismo che funge da calmiere agli spostamenti soprattutto delle regioni del sud a quelle del nord (tra i più virtuosi, va menzionato il Centro per l'impiego di Isernia – delibera del 9 aprile 2014), dall'altro molti ancora autorizzano con valutazioni che appaiono «generose» l'iscrizione di soggetti residenti interregionali ed extraregionali, avendo sull'argomento idee a giudizio dell'interrogante molto confuse (dallo stralcio della graduatoria dell'ufficio legge 68 del 1999 del centro per l'impiego di Pistoia, si rileva che all'albo degli abilitati alle funzioni di centralinisti telefonici sono iscritti n. 8 persone, di cui n. 5 residenti in provincia di Pistoia N. 1 in provincia di Trapani, n. 1 in provincia di Prato n. 1 in provincia di Benevento. Così come anche presso il centro per l'impiego di Livorno si segnala una situazione che all'interrogante appare anomala, con n. 12 soggetti privi di vista abilitati iscritti, di cui n. 2 residenti in provincia di Livorno precisamente alla 5a e 8a posizione, n. 1 in provincia di Caserta, n. 4 in provincia di Napoli, n. 2 in provincia di Cosenza, n. 1 in provincia di Ragusa, n. 1 in provincia di Benevento, n. 1 in provincia di Palermo);
   è confermata, confrontando i dati estratti delle varie graduatoria provinciali per l'impiego, la circostanza secondo la quale i centralinisti telefonici privi della vista siano iscritti contemporaneamente in più centri per l'impiego oltre alla provincia di residenza, ingolfando il carico di lavoro del personale amministrativo tenuto a verificare la contestuale iscrizione in più regioni e rendendo tutto il sistema del collocamento mirato poco incisivo nei confronti di chi è residente in loco ed attende da anni un'occupazione;
   la provincia di Terni ha risposto all'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti con lettera datata PEC 11 marzo 2014, chiarendo come la commissione provinciale tripartita, nella seduta del 28 gennaio 2014, abbia ritenuta non accoglibile, l'istanza dell'iscrizione all'albo professionale, «ciò anche in base agli approfondimenti effettuati da questo Ufficio in fase di istruttoria. È stato valutato che all'articolo 6, comma 7 della Legge 29 marzo 1985 n. 113, attribuisce, ai centralinisti telefonici non vedenti residenti nella Provincia ed ai non residenti che ne facciano richiesta il diritto paritario di essere inseriti nella graduatoria provinciale al fine dell'avviamento al lavoro;
   sul problema dell'iscrizione al collocamento obbligatorio di persone disabili provenienti da fuori regioni, a svantaggio dei residenti in regioni, è stata presentata, per conto dell'onorevole Nadia Masini, anche l'interrogazione permanente a risposta scritta 4-04304 nel corso dell'XI legislatura –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario adottare opportune iniziative per ribadire con fermezza la validità del parere prot. 13/III/0001968/MA001.A005 emesso dalla direzione generale del mercato del lavoro, nel senso di circoscrivere la possibilità di iscrizione all'albo professionale di cui alla legge n. 113 del 1985, ai privi della vista del territorio della regione o della provincia autonoma di residenza. (4-07514)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XIII Commissione:


   GALLINELLA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, PARENTELA, L'ABBATE, GAGNARLI, LUPO e ROSTELLATO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 22 marzo 2014 il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha reso noto l'avviso di chiamata pubblica per la candidatura alla presidenza dell'Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare);
   nel medesimo avviso si specificava che entro il 31 marzo 2014 avrebbero dovuto essere inviate le manifestazioni di interesse da chi riteneva di essere in possesso dei requisiti di comprovata competenza ed esperienza in materia di economia agraria e di strumenti per il finanziamento e l'accesso al credito delle imprese, con particolare riferimento al settore agricolo;
   il 3 aprile 2014 con decreto ministeriale n. 3549 è stata nominata la Commissione per la selezione delle manifestazioni di interesse pervenute in relazione alla candidatura alla presidenza di Ismea;
   nel decreto si specifica che le candidature selezionate dalla Commissione sarebbero state sottoposte alla valutazione del Ministro, che avrebbe poi effettuato la propria scelta, ai fini dell'individuazione del nominativo cui conferire l'incarico di presidente dell'Ismea, da sottoporre poi alla deliberazione del Consiglio dei ministri per la relativa nomina, ai sensi dell'articolo 3 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (articolo 1, comma 4);
   sempre nel medesimo decreto viene specificato inoltre che la Commissione avrebbe provveduto ad inoltrare all'ufficio competente i curricula dei soggetti valutati positivamente ai fini della pubblicazione sul sito internet del Ministero, dove in effetti sono ancora presenti (articolo 1, comma 5);
   Ismea riveste un ruolo e svolge funzioni particolarmente importanti sia nei confronti del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali sia più in generale nei confronti dell'intero comparto agricolo e agroalimentare italiano, funzioni per le quali l'istituto e i suoi organi non possono che essere contraddistinti da un chiaro profilo di assoluta terzietà e neutralità nei confronti di tutti i soggetti che operano nel medesimo comparto;
   a parere degli interroganti il Ministro interrogato dovrebbe garantire la terzietà e la neutralità dell'istituto nei confronti del comparto agricolo ed agroalimentare e di tutti i suoi operatori;
   tra i curricula presentati per la candidatura alla presidenza dell'Ismea risulta esserci quello del dottor Ezio Castiglione, per il quale è stata poi effettivamente avanzata la proposta di nomina (n.30) dal Ministro per le riforme, costituzionali e i rapporti con il Parlamento l'11 giugno 2014, a cui è seguito il parere favorevole delle Commissioni agricoltura di Senato e Camera;
   sia alla Camera che al Senato, pur avendo le commissioni permanenti espresso parere favorevole, diversi gruppi parlamentari hanno deciso di astenersi sulla proposta di nomina sia per ragioni attinenti alla procedura, che non avrebbe a loro dire determinato una reale consultazione del Parlamento e un'efficace disamina delle candidature, sia per ragioni riferite al candidato proposto, in particolare alla luce dei ruoli politici e degli incarichi ministeriali ricoperti in passato;
   infatti, nel suo curriculum si legge che, oltre a diversi incarichi di natura politica, il dottor Ezio Castiglione è stato legato da un rapporto di lavoro con Coldiretti (la principale organizzazione degli imprenditori agricoli a livello nazionale), rapporto la cui durata non è ben definita –:
   se il rapporto di lavoro del dottor Ezio Castiglione con la principale organizzazione degli imprenditori agricoli a livello nazionale, Coldiretti, fosse ancora in essere al momento in cui le Commissioni parlamentari hanno espresso il loro parere e se, nel caso in cui tale rapporto di lavoro sia ancora in essere, non ritenga che questa situazione, al di là dei profili giuridici di compatibilità, ponga un serio problema di opportunità e possa minare la terzietà e la neutralità indispensabili per l'operato dell'Ismea. (5-04455)


   CAON. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la memoria storica, la localizzazione geografica e la qualità della materia prima utilizzata sono le caratteristiche fondanti dei prodotti tipici. Tutelare e valorizzare tali prodotti è un atto di responsabilità sociale;
   le denominazioni di origine rappresentano la punta di diamante della produzione agroalimentare nazionale capace di trascinare l’export dell'intero settore;
   la denominazione di origine controllata (DOC), utilizzata in enologia, certifica la zona di origine e delimitata della raccolta delle uve utilizzate per la produzione del prodotto sul quale è apposto il marchio. Viene utilizzato per designare un prodotto di qualità e rinomato, le cui caratteristiche sono connesse all'ambiente naturale ed ai fattori umani e rispettano uno specifico disciplinare di produzione;
   la denominazione di origine controllata e garantita (DOCG) è riservata a quei vini già riconosciuti DOC da almeno 5 anni che siano ritenuti di particolare pregio, in relazione alle caratteristiche qualitative intrinseche, rispetto alla media di quelle degli analoghi vini così classificati, per effetto dell'incidenza di tradizionali fattori naturali, umani e storici e che abbiano acquisito rinomanza e valorizzazione commerciale a livello nazionale e internazionale;
   le classificazioni DOC e DOCG sono state ricomprese nella categoria comunitaria DOP;
   il regolamento dell'Unione europea n. 1151 del 2012 del Parlamento e del Consiglio del 21 novembre 2012 relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli ed alimentari tutela su tutto il territorio dell'Unione i prodotti registrati come DOP – IGP da ogni tentativo di imitazione, usurpazione, evocazione della denominazione, dall'impiego commerciale diretto o indiretto del nome registrato per prodotti che non abbiano diritto al suo utilizzo, dalle indicazioni false ed ingannevoli relative all'origine di prodotti apparentemente simili ma non registrati, ed, infine, da qualsiasi prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine dei prodotti;
   il nostro Paese è uno dei leader mondiali delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche protette. L'Italia può vantare, considerando l'agroalimentare e i prodotti vitivinicoli, ben 800 nomi registrati a livello europeo per un valore di circa 11 miliardi di euro;
   ultimamente è risaltato alle cronache il fatto che in Gran Bretagna nei pub si stia diffondendo la moda del Prosecco «on tap» ovvero alla spina. Questa pratica di vendere il Prosecco sfuso può essere considerata a giudizio dell'interrogante a tutti gli effetti una frode alimentare a danno del simbolo per eccellenza del vino «made in Italy»;
   nel nostro Paese sono circa 8.000 i produttori di Prosecco con circa 350 milioni di bottiglie vendute. Il vero Prosecco è quello prodotto nel nostro Paese, tutelato a livello comunitario e che vanta la denominazione Doc e Docg;
   il Prosecco, in base alle norme comunitarie, può essere venduto solo ed esclusivamente in bottiglia, con la regolare fascetta del consorzio di tutela che lo protegge dalle imitazioni e ne controlla le modalità di erogazione in tutte le sue forme. Questa è la dimostrazione che i prodotti DOP e IGP, nonostante siano riconosciuti e tutelati a livello europeo, siano ancora oggi oggetto di pratiche illecite;
   il problema è ancora più ampio in ambito internazionale dove si rileva un'assenza di regole multilaterali per una tutela globale dei prodotti DOP e IGP – che possono essere considerate vere e proprie proprietà intellettuali – e la mancanza di una disciplina uniforme nel sistema commerciale;
   i Paesi extra europei sono restii a riconoscere le indicazioni geografiche comunitarie, che definiscono il carattere unico e non delocalizzabile delle produzioni DOP e IGP, perché intravedono il rischio che ciò impedisca alle loro imprese di utilizzare marchi commerciali già registrati nei loro Paesi che contengono o si richiamano a denominazioni di origine protette dal sistema europeo;
   sarebbe opportuno proteggere le denominazioni DOP e IGP anche in ambito internazionale estendendo di fatto a tutti i Paesi extra Unione europea le tutele del mercato interno comunitario affinché ai prodotti europei, in particolare italiani, venga garantita la protezione che meritano;
   il Ministro interrogato in un'audizione svolta in Commissione agricoltura alla Camera nel novembre del 2014 in occasione dell'indagine conoscitiva sulle ricadute sul sistema agroalimentare italiano dell'Accordo di partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP) ha dichiarato che «nel corso degli anni si è costituito nell'UE un fronte unito di Paesi, come, Francia, Italia, Portogallo, Spagna e Grecia che si sta adoperando per sostenere la Commissione europea e per sollecitarla affinché tenga nella dovuta considerazione le Indicazioni geografiche e la loro protezione internazionale, di fronte all'incremento dei casi di contraffazione. In sede negoziale, è prevalsa la linea dell'Italia, e del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali in particolare, di concerto con gli altri Paesi europei sopra citati, di vincolare il più possibile il compito della Commissione europea ai negoziati TTIP relativamente alla registrazione e alla conseguente protezione delle indicazioni geografiche europee (e italiane) negli USA. Anche nel corso del 7° round negoziale tra Stati Uniti e Unione europea, svoltosi a Washington dal 29 settembre al 3 ottobre, è stata ribadita dalla UE l'importanza del settore agricolo nel negoziato e confermato l'impegno per l'adeguata trattazione soprattutto delle indicazioni geografiche, come una priorità»;
   gli Usa non sono molto propensi verso le indicazioni geografiche, ritenute barriere non tariffarie che impediscono alle merci americane l'accesso al mercato. In verità, sono proprio le denominazioni italiane a subire la concorrenza sleale di marchi registrati in Usa che nulla hanno a che fare con le eccellenze enogastronomiche italiane. Se un merito il TTIP avrebbe potuto avere, era quello di poter, una volta per tutte, risolvere quest'annosa problematica, invece, sembra che dal negoziato stia emergendo un testo che tiene in scarsa considerazione le indicazioni geografiche;
   il semestre italiano di Presidenza si è concluso e il Governo si era impegnato ad essere protagonista nell'ambito delle attività negoziali del TTIP tra Usa e Unione europea –:
   se non intenda intervenire nelle opportune sedi competenti affinché le denominazioni DOP e IGP, in particolare dei prodotti di eccellenza italiani, continuino ad essere una priorità della Commissione europea non solo nell'ambito del TTIP tra Usa e Unione europea ma anche verso tutti gli altri Paesi extra europei, al fine di ottenere tutele internazionali al pari di quelle comunitarie, indicando come continueranno le attività negoziali sul TTIP tra Usa e Unione europea in tema di indicazioni geografiche all'indomani della conclusione del semestre italiano di presidenza. (5-04456)


   FAENZI e CATANOSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il regolamento dell'Unione europea è un atto normativo direttamente applicabile negli ordinamenti degli Stati membri (articolo 288, paragrafo 2 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea). L'effetto diretto ed immediato dei regolamenti comporta che essi non richiedono (a differenza delle direttive) l'adozione di provvedimenti nazionali di attuazione da parte degli Stati membri, ma si applicano immediatamente in tali ordinamenti e sono efficaci nei confronti sia degli Stati che degli individui, senza necessità di ulteriori atti;
   il regolamento (UE) 1380/2013 dell'11 dicembre 2013 all'articolo 15, obbliga i pescherecci dell'Unione, al più tardi a decorrere dal 1o gennaio 2015, a mantenere a bordo, registrare, sbarcare ed imputare ai rispettivi contingenti tutti gli esemplari catturati di specie soggette a limiti di cattura e/o taglia minima, quali tonno rosso, pesce spada, tonno bianco e altro;
   l'ICCAT, nella riunione plenaria tenutasi a Genova nel mese di novembre del 2014 con Doc. No. PA2-606A/2014 ha statuito il principio per cui ove la legislazione dello Stato membro preveda l'obbligo di sbarco non venga applicata la percentuale del 5 per cento come limite massimo di pesci mantenuti a bordo catturati accidentalmente;
   il regolamento n. 302/2009 (CE) del 6 aprile 2009 prevede che la pesca al tonno rosso per le imbarcazioni autorizzate inferiori a metri 24 sia aperta dal 1o gennaio al 31 dicembre di ogni anno;
   la decisione della Commissione del 6 dicembre 2013 «che istituisce un piano di azione per ovviare alle carenze del sistema italiano di controllo della pesca», ha prescritto una revisione e diminuzione dei permessi speciali di pesca al pesce spada sulla base di ben determinati criteri, che posso tranquillamente riassumersi con l'espressione di «pesca prevalente»;
   il decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 3 ottobre 2014 (rilascio permesso speciale alla pesca del pescespada) apparso per circa 15 giorni sul sito istituzionale e mai pubblicato in Gazzetta Ufficiale, è scomparso lasciando spazio ad una «errata corrige» della modulistica del medesimo decreto del 7 ottobre 2014, ad oggi ancora presente, ma di fatto inutile, vista la revoca del decreto di adozione;
   ad oggi, la flotta interessata ai provvedimenti anzidetti vive e lavora nell'assoluta incertezza normativa, dovuta ad una totale assenza ed inerzia dell'amministrazione competente, assistendo di fatto ad una gestione domestica della pesca nazionale con i palangari ai grandi pelagici, che sta penalizzando la marineria nazionale, già duramente provata dalla crisi del settore;
   è necessario emanare le disposizioni attuative per quanto riguarda il vigente obbligo di sbarco, ad evitare provvedimenti sanzionatori difformi da regolamenti dell'Unione europea;
   è necessario emanare il provvedimento di ripartizione delle quote tonno anno 2015, nonché le relative disposizioni attuative, onde permettere alle imbarcazioni inferiori a metri 24 di svolgere la legittima attività, come previsto dai regolamenti in materia;
   è necessario emanare un provvedimento conforme ai regolamenti in vigore in materia di disciplina della pesca professionale al pescespada, nonché di rilascio dei relativi permessi speciali –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (5-04457)


   ZACCAGNINI e FRANCO BORDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'assemblea plenaria del Parlamento europeo, in data 13 gennaio 2015, ha approvato, con 480 voti favorevoli, 159 voti contrari e 58 astensioni la nuova legislazione che permetterà agli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di colture OGM sul loro territorio;
   i divieti potranno inoltre includere anche i gruppi di OGM designati in base alla varietà o alla caratteristica. Inoltre, prima che uno Stato membro possa adottare tali misure, la normativa prevede una procedura che permette all'azienda che coltiva OGM, oggetto del processo di autorizzazione, di esprimere il suo accordo alle restrizioni previste all'immissione in commercio. Tuttavia, nel caso la società non sia d'accordo, lo Stato membro può imporre il divieto in maniera unilaterale. Il mais MON810 è attualmente l'unica coltura OGM autorizzata e coltivata nell'Unione europea. La patata «Amflora» OGM è stata vietata dal tribunale dell'Unione europea nel 2013, dopo un iniziale via libera della Commissione europea;
   l'accordo siglato prevede che gli Stati membri dovranno garantire che le colture OGM non contaminino altre coltivazioni e una particolare attenzione sarà rivolta alla prevenzione della contaminazione transfrontaliera con i Paesi vicini;
   l'approvazione della nuova normativa sugli OGM, per quel che riguarda la tutela delle biodiversità e delle colture che sposano il biologico non è priva di elementi di criticità: in Italia è in vigore un divieto temporaneo, fortemente voluto da associazioni di produttori, consumatori e ambientalisti, che vieta la coltivazione dell'unico OGM autorizzato per la coltivazione in Europa, il mais MON810. La nuova normativa approvata dal Parlamento europeo mette a rischio il nostro Paese, alla luce del fatto che ci vorranno mesi per recepirla; questo allungamento dei tempi è un serio rischio nella difesa del decreto interministeriale che ha vietato, in Italia, la coltivazione del mais geneticamente modificato;
   secondo la nuova legge, le motivazioni con cui il Governo può motivare il bando «non devono, in nessun caso, confliggere con la valutazione di impatto ambientale» condotta dall'EFSA, ovvero i Governi non possono basare i divieti su specifici impatti ambientali o evidenze di possibili danni da parte delle coltivazioni OGM a livello nazionale, anche nel caso in cui questi rischi non siano stati presi in considerazione da parte della valutazione dell'EFSA. In tal modo, non si forniscono sufficienti rassicurazioni sulla possibilità reale dei singoli Stati membri di far valere specifiche valutazioni di impatto ambientale a livello nazionale; non è certa, dunque, la possibilità che il singolo Stato potrà appellarsi a ragioni ambientali per vietare gli OGM. Questa impostazione rischia di rendere giuridicamente deboli i singoli Paesi;
   la possibilità che l'etichettatura obbligatoria sia considerata un ostacolo alla libera circolazione delle merci diventa, con il testo approvato, un pericolo reale che mette a rischio il diritto dei consumatori ad essere correttamente informati. Varie associazione agricole e ambientaliste, denunciano, che così impostata, la nuova normativa rischia di favorire, le multinazionali del biotech che mirano a mantenere un monopolio sulla sovranità alimentare. Allo stesso tempo, ponendo limiti all'obbligo di etichettatura, si ignora la volontà di gran parte dei cittadini che, a più riprese, hanno detto «no» agli OGM e pretendono di essere correttamente informati;
   si ricorda altresì che nello stesso parere espresso ed approvato dalla Commissione agricoltura della Camera dei deputati, in data 4 dicembre 2014 sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla produzione biologica e all'etichettatura dei prodotti biologici» si sottolinea che «l'Italia, che si colloca tra i primi dieci produttori mondiali di biologico con una superficie di 1,2 milioni di ettari e 40.000 aziende dedicate in via esclusiva al biologico e in Europa, dopo la Spagna, al secondo posto, considera di primario interesse il settore biologico; nel perseguire l'obiettivo condivisibile della Commissione di migliorare la normativa sulla base di principi e disposizioni di base trasversali, chiari e semplificati che dovrebbero rendere il settore più attraente, considerate le prospettive di mercato positive, occorre tenere conto delle specificità dell'agricoltura biologica italiana e mediterranea nel suo complesso, che presenta caratteristiche diverse rispetto a quella dei Paesi del nord Europa» –:
   se il Ministro interrogato, alla luce della nuova normativa europea, non reputi opportuno e necessario, considerata l'impossibilità delle norme di coesistenza di garantire la tutela delle coltivazioni tradizionali e biologiche, poiché la presenza di coltivazioni OGM genera contaminazione certa, dichiarare l'Italia Paese integralmente «OGM free», specificando in che tempi ciò avverrà, e garantire l'etichettatura sul nostro territorio dei prodotti contenenti OGM, per agevolare la massima trasparenza e informazione nella scelta dei consumatori. (5-04458)


   COVA e OLIVERIO. —Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   alcune aziende agricole hanno presentato ricorso presso il tribunale di Cassano D'Adda con la causa n. 15093/2003 che è giunta a sentenza definitiva da parte del giudice unico dottoressa Anna Landriani in data 12 dicembre 2008. Tale sentenza inibisce alla AGEA di richiedere ai ricorrenti e/o all'acquirente il versamento a titolo di prelievo supplementare per le annate in causa;
   inoltre, la stessa sentenza afferma: «... Il Tribunale definitivamente pronunciando, l'integralmente conferma della ordinanza del Dottor Manfredini del 19 dicembre 2003: accerta il diritto delle aziende agricole ricorrenti di essere integralmente pagate per le consegne effettuate nel corso dell'annate 1995/1996 alla presente 2002/2003 senza trattenute»;
   AGEA ha provveduto a far riscuotere le fidejussioni bancarie per queste annate ad alcune aziende agricole ricorrenti e in questi giorni sono state inviate le richieste di pagamento dei «debiti esigibili» riferiti alle annate oggetto di tale sentenza –:
   se AGEA abbia agito nel rispetto della sentenza citata e per quali motivi si sia apprestata a mandare le richieste di pagamento per un prelievo non più dovuto a seguito della sentenza e a riscuotere le fideiussioni bancarie. (5-04459)

Interrogazione a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   Il nuovo articolo 2135 del codice civile ha esteso il novero delle attività «legalmente» agricole;
   il 1° comma del nuovo articolo 2135 stabilisce: «È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento di animali e attività connesse»;
   il 2° comma considera agraria anche l'attività di sfruttamento delle acque dolci, salmastre o salate. Questa soluzione comporta che l'attività agricola si estenda ben oltre l'allevamento di animali o piante che si ottengono (o che si potrebbero ottenere) sul terreno, per coprire tutte le ipotesi di allevamento possibile su terra e in acqua, la quale può essere dolce (laghi, fiumi, valli d'acqua dolce), salmastra (valli salmastre) o salata (valli d'acqua salata e lo stesso mare);
   Il 3° comma dell'articolo 2135 del codice civile si occupa delle attività connesse tipiche che vengono elencate, anche prolissamente, in modo molto diffuso: «manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dell'allevamento d'animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero la ricezione ed ospitalità come definite dalla legge»;
   la nuova definizione di imprenditore ittico è contenuta nel decreto legislativo n. 226/2001, trae ispirazione dal diritto comunitario ed assimila ai prodotti agricoli anche «pesci, crostacei e molluschi», compresi nell'allegato I del trattato Ce (12). Pertanto sia la pesca, che pure è attività estrattiva, che l'acquacoltura, come si è visto prima, appunto per l'influenza del diritto comunitario, è stata assimilata, a giudizio dell'odierno interrogante, al settore agrario;
   l'imprenditore ittico, definito all'articolo 2 del decreto legislativo n. 226 del 2001 dedicato alla «pesca e acquacoltura», è assimilato all'imprenditore agricolo come recita testualmente il 3° comma dell'articolo 2 dello stesso decreto: «Fatte salve le più favorevoli disposizioni di legge, l'imprenditore ittico è equiparato all'imprenditore agricolo», e le attività connesse del pescatore sono di una ampiezza addirittura maggiore di quelle corrispondenti dell'imprenditore agricolo, comprendendo turismo, lavorazione, conservazione, commercializzazione e promozione pubblicitaria del pescato;
   si può, quindi, ritenere che un insediamento produttivo (lavorazione, conservazione e commercializzazione del pescato) posto in essere da un «imprenditore ittico» come definito, per ultimo, dall'articolo 4 del decreto legislativo n. 4 del 12 gennaio 2012, su di un terreno agricolo possa considerarsi assimilato ad un insediamento produttivo agricolo e, pertanto, avere applicata la relativa normativa ed i relativi criteri edificatori –:
   quali iniziative, di natura normativa, intenda adottare il Ministro interrogato al fine di dirimere dubbi e/o controverse interpretazioni in materia, onde consentire agli imprenditori ittici di godere delle agevolazioni previste dalla normativa vigente per gli assimilati imprenditori agricoli. (4-07510)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ANZALDI e BURTONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si riscontra, nel nostro Paese, una singolare anomalia per quanto riguarda il prezzo dei farmaci per gli animali;
   a fronte di un identico principio attivo, la media del costo dei farmaci per animali è mediamente superiore di tre/quattro volte rispetto a quella di farmaci per l'uomo, una differenza che può ampliarsi fino a decuplicarsi;
   per fare degli esempi il furosemide, un diuretico, nome commerciale «Diuren», nella confezione da 30 compresse da 20 milligrammi costa 7,50 euro, mentre l'analogo per uso umano costa 1 euro e 72 centesimi, così come per sei fiale di fitomenadione, nome commerciale «Vitamin K1 Laboratoire TVM», indicato per la somministrazione in caso di avvelenamento da rodenticidi (veleno per topi), si spendono 82 euro, cioè quattro volte in più del trattamento per uso umano con il «Konakion», e gli esempi possono proseguire con altri principi attivi, per antidolorifici, antibiotici e altri farmaci;
   oggi non è possibile prescrivere gli stessi farmaci perché la legge impone di usare farmaci veterinari e solo in precise circostanze ed in via eccezionale è autorizzata la prescrizione della versione per l'uomo o off label;
   il veterinario sulla ricetta deve necessariamente indicare il nome commerciale del medicinale e non il principio attivo;
   oltre ai costi altissimi è molto frequente che i proprietari di animali ricorrano all'uso di farmaci generici con lo stesso principio attivo ma sbagliando i dosaggi con rischi per la salute dell'animale e anche multe molto salate;
   a fronte di molecole simili, se non identiche, è davvero inspiegabile una così marcata differenza di prezzo se non attraverso una evidente azione di speculazione portata avanti dalle industrie del settore –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere in tempi rapidi al fine di affrontare il problema esposto in premessa e di definire una misura che consenta la somministrazione dei medicinali generici già registrati per gli umani, a parità di composizione, anche per uso veterinario, vigilando attentamente al fine di evitare azioni speculative da parte delle aziende farmaceutiche. (5-04447)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZAN. — Al Ministro della salute, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   si stima che le persone in Italia che vivono con il virus Hiv siano oggi tra 143 mila e 165 mila, e oltre 30 mila non sanno di avere l'infezione e quindi possono diffondere inconsapevolmente il virus;
   gli ultimi dati sul propagarsi dell'epidemia segnalano 3.600 nuovi casi nel 2013 con un preoccupante aumento tra i giovani, che sempre più spesso risultano, se non mal informati, con conoscenze scarse e superficiali;
   la proporzione di stranieri tra le nuove diagnosi di infezione da Hiv aumentata dall'11 per cento nel 1992 a un massimo di 32,9 per cento nel 2006; nel 2013 è del 24 per cento;
   i casi di AIDS registrati in Italia nel 2013 sono stati circa 1.158 e i casi di prevalenza ammontano a 23.895;
   rapportando i nuovi casi sulla popolazione residente (tassi di incidenza), le regioni più colpite nel 2010 sono state nell'ordine: Veneto, Liguria, Lombardia, Lazio, Toscana e Umbria, con un gradiente, nord-sud nella diffusione della malattia, essendo meno colpite le regioni meridionali ed insulari;
   nel 2012, nel Veneto, si è assistito a un netto incremento dell'incidenza di soggetti Hiv positivi. Sono stati diagnosticati 5,8 nuovi casi ogni 100 mila abitanti, quando, nell'anno precedente, ne erano stati diagnosticati 3,6 ogni 100 mila abitanti;
   a Padova, in particolare, dalle stime effettuate dagli operatori del settore, e più precisamente dagli studi della Fondazione del professor Carlo Foresta, si riporta un'elevata incidenza di Hiv positività, che ha raggiunto nel 2012 16,8 casi ogni 100 mila abitanti (nel 2011 erano stati 13,7), mentre nella provincia 7,1 (contro i 6,4 del 2011);
   altro problema, evidenziano i dati, è la percentuale di soggetti che scopre il proprio stato di Hiv positività tardivamente, a 36 anni rispetto ai 25 del passato, e il 60 per cento di questi lo scopre quando la malattia è già conclamata;
   il primo dicembre, giornata mondiale per la lotta all'AIDS, i comitati veneti di Arcigay hanno denunciato sulla stampa locale l'operato della regione Veneto, che avrebbe investito 1,4 milioni di euro di fondi statali vincolati, ad esempio per diagnosi tardiva dell'infezione da Hiv e altri progetti innovativi, in fondi ordinari o per altre spese e azioni già previste, o altre attività non in linea con le vincolanti indicazioni fornite nell'accordo sottoscritto dalla conferenza Stato-regioni nel 2012, e comunque per attività inerenti la spesa sanitaria corrente (esami di routine per le persone sieropositive, iniziative di counselling e altro);
   alcuni dei progetti previsti, attraverso lo stanziamento del fondo statale, basato appunto su «obiettivi di piano», erano la «sperimentazione di interventi per l'accesso al test al di fuori di strutture sanitarie» e la «definizione e attivazione di percorsi per raggiungere gruppi di popolazione a prevalenza più elevata di infezione». Tra questi rientrano anche gli «Msm», cioè gli uomini che hanno rapporti sessuali con uomini;
   in risposta alla denuncia delle associazioni LGBT, il Presidente della regione del Veneto Luca Zaia ha dichiarato alla stampa: «(...) La realtà è che la Regione Veneto ha utilizzato tutti i fondi a disposizione per iniziative di informazione e prevenzione contro l'Aids, addirittura anticipando dal proprio bilancio il milione e 400 mila euro che sarebbero dovuti arrivare dal Governo. Quei soldi li abbiamo anticipati noi come Regione con il Fondo Sanitario Regionale perché, in questa come in altre situazioni in cui i fondi devono arrivare da Roma, essi tardano anche anni ad arrivare, non seguendo per nulla la tempestività dei roboanti annunci di questo o quel Ministro. Una volta tardivamente arrivati questi soldi sono stati doverosamente rimessi nel portafoglio da dove erano stati presi, e cioè dalla spesa ordinaria. È il caso dei finanziamenti anti Aids come di quelli con i quali ci dovrebbero essere rimborsate le cure erogate agli extracomunitari irregolari, come di tante altre voci di spesa che dovrebbero essere nazionali ma che finiscono per cadere addosso alle Regioni»;
   rimane il fatto che tali finanziamenti non avrebbero dovuto riguardare la spesa ordinaria: sull'HIV/AIDS, i livelli essenziali di assistenza o i trasferimenti della legge n. 135 del 1990, che definisce il piano degli interventi urgenti in materia di prevenzione e lotta all'AIDS;
   è dunque grave, a parere dell'interrogante, che a fronte di un dato nazionale che posiziona l'Italia ultima in Europa sulla prevenzione, con oltre 20 mila nuovi casi l'anno e un costo per il sistema sanitario nazionale di circa 8 mila euro per ogni nuovo malato, la regione Veneto spenda quei fondi per interventi di spesa corrente che dovrebbero già essere coperti dal bilancio regionale, negando l'opportunità di mettere in campo ulteriori azioni per il contrasto dell'HIV;
   a oggi, è già stato erogato alla regione Veneto il 70 per cento della quota del fondo destinato alla prevenzione dell'HIV, e risulta esservi molta incertezza sull'effettivo trasferimento del rimanente saldo, visto l'impiego di tali fondi;
   risulta inoltre a oggi mancante il bollettino epidemiologico sull'AIDS che dovrebbe fornire tutti i dati sulla malattia nella regione Veneto, documento che la precedente giunta regionale realizzava con regolarità –:
   di quali informazioni dispongano i Ministri interrogati in merito a quanto sopra esposto, in particolare circa l'utilizzo della quota già erogata del fondo statale destinato alla prevenzione dell'HIV nella regione Veneto;
   se e quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere, anche sulla base di intese in sede di Conferenza Stato-regioni, per garantire adeguate politiche di prevenzione e di cura dell'HIV/AIDS nella regione Veneto nonché il rispetto delle prescrizioni in materia di utilizzo vincolato dei fondi statali. (4-07517)


   VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'ospedale Eastman è, unitamente al S. Anna Centro per la Donna e al Nuovo Regina Margherita, uno dei tre nosocomi presenti nel primo, secondo, terzo e quarto distretto sanitario dell'azienda USL Roma A;
   al 1o gennaio 2012, la popolazione residente nei quattro distretti sanitari risultava essere complessivamente di 459.764 abitanti (con una forte presenza di anziani rispetto ai giovanissimi), distribuita su una superficie di 121,70 chilometri quadrati;
   l'ospedale Eastman, storicamente dedicato al trattamento delle problematiche odontoiatriche, si è nel tempo arricchito di nuove offerte sanitarie, tra le quali una UOC - Unità operativa complessa di oculistica nata alla fine del 2006, per trasferimento dal Nuovo Regina Margherita;
   l'apertura della predetta UOC ha necessariamente richiesto un ingente investimento per la completa ristrutturazione degli ambienti (in totale 20 locali), la creazione di 2 sale operatorie dedicate solo all'oculistica, la fornitura delle apparecchiature e degli arredi, la dotazione di risorse umane (in totale 15 sanitari, di cui 1 primario, 6 dirigenti medici oculisti, 1 tecnico ortottista, il personale tecnico e di comparto);
   nel 2012, in evidente contraddizione rispetto al suddetto piano di investimenti concernente l'ospedale Eastman, l'azienda USL Roma A decideva di attivare presso il presidio ospedaliero Nuovo Regina Margherita una nuova struttura di oculistica, presso la quale venivano trasferiti due medici operanti presso l'ospedale Eastman, acquistando ovvero noleggiando nuove e costose apparecchiature specialistiche dedicate;
   malgrado i pregressi investimenti e le lunghe liste di pazienti in attesa sia per gli interventi chirurgici che per le prestazioni specialistiche, l'attività dell'UOC di oculistica dell'ospedale Eastman risultava a questo punto sostanzialmente ridimensionata, le strumentazioni e le apparecchiature sottoutilizzate e via via obsolete, le prestazioni sanitarie limitate ad interventi di tipo ambulatoriale e le 2 sale operatorie sostanzialmente chiuse;
   con anni di ritardo, soltanto nel giugno 2014, la ASL Roma A indiceva per l'ospedale Eastman una gara per l'acquisto di un facoemulsificatore, apparecchiatura indispensabile per l'esecuzione degli interventi di cataratta, ma tale procedura sarebbe andata incredibilmente deserta per incongruità del capitolato di gara. Successivamente, sarebbe stata indetta una seconda gara provvisoria per il noleggio semestrale dello stesso strumento (per un costo pari a 15 mila euro) che sarebbe stata poi aggiudicata ad una ditta leader mondiale;
   l'attività del reparto oculistico dell'ospedale Eastman non sarebbe decollata neppure a seguito di tale aggiudicazione temporanea in quanto lo strumento acquisito sarebbe stato paradossalmente ritenuto «inidoneo e pericoloso» dai responsabili sanitari della struttura stessa;
   appare del tutto incomprensibile all'interrogante la costosa compresenza di due reparti di oculistica dotati di doppie strumentazioni in due strutture ospedaliere appartenenti alla stessa ASL Roma A, tra le quali peraltro non si riscontra alcuna forma di collaborazione e sinergia, con conseguente spreco di danaro pubblico e nocumento per il bacino di pazienti residenti –:
   se, alla luce del piano di rientro dal disavanzo sanitario, i costi di tale riorganizzazione siano stati presi in considerazione dal Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro medesimo, considerato che l'interrogante giudica irragionevole tale riorganizzazione, essendo l'ospedale Eastman assolutamente idoneo a garantire, tramite la sua unità operativa di riferimento, un adeguato presidio nell'ambito dell'oculistica. (4-07520)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, GIANCARLO GIORDANO, SCOTTO, AIRAUDO e PLACIDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 gennaio 2015 alcuni organi di stampa (Ansa, Corriere Adriatico e Messaggero, nelle versioni online) riportano la notizia della messa in mobilità di 20 dirigenti della società Indesit Company, acquisita nel luglio 2014 dalla multinazionale americana Whirlpool;
   nonostante le numerose richieste provenienti da rappresentanti politico-istituzionali e dai lavoratori, non sono a tutt'oggi chiari il piano industriale di Whirlpool e le ricadute sui livelli occupazionali dei territori interessati a seguito dell'annunciato piano di riorganizzazione della Indesit;
   in data 31 ottobre 2014 la testata La Repubblica, in occasione dell'offerta pubblica d'acquisto su Indesit del 3 novembre 2014, riportava alcuni stralci del documento dell'offerta pubblica d'acquisto, dai quali si evinceva la volontà di Whirlpool di procedere ad «operazioni straordinarie come fusioni infragruppo e trasferimenti di cespiti o aziende o rami d'azienda, nonché alla riorganizzazione delle attività produttive e distributive e il consolidamento di alcune funzioni tra i due gruppi», nonché l'intenzione di avviare una «razionalizzazione delle funzioni amministrative e produttive tra Whirlpool e Indesit»;
   già in quella circostanza la prima firmataria del presente atto presentava una interrogazione parlamentare la n. 5-03957 del 4 novembre 2014, seduta n. 324, nella quale si chiedeva al Ministro se non ritenesse opportuno «convocare immediatamente un tavolo con la società Whirlpool, le organizzazioni sindacali e le istituzioni territoriali, interessate, al fine di evitare iniziative che possano colpire nuovamente i livelli occupazionali e gli stabilimenti produttivi della Indesit situati nelle Marche e in Campania»;
   l'organizzazione sindacale Fiom ha reso noto che il Governo si era impegnato a convocare un incontro tra Governo, nuova proprietà Indesit (Whirlpool) e organizzazioni sindacali entro il 15 dicembre 2014. Impegno ad oggi disatteso;
   a seguito di un'altra interrogazione parlamentare della prima firmataria del presente atto, in data 8 ottobre 2014 il Viceministro dello sviluppo economico De Vincenti, durante il question time in Commissione attività produttive della Camera dei deputati, riferì che la Whirlpool aveva dichiarato di dover effettuare ulteriori verifiche al suo interno all'esito delle quali ci sarebbe stata da parte del Ministero una nuova convocazione dell'impresa;
   va tenuto conto del citato documento di offerta pubblica di acquisto di Whirlpool e dell'intenzione di «razionalizzare le funzioni amministrative» di Indesit e Whirlpool; secondo le stime della Fiom le funzioni impiegatizie considerate sovrapponibili solo nello stabilimento di Fabriano interesserebbero 1200 unità;
   altrettanto sovrapponibili per attività svolte possono essere considerati diversi stabilimenti situati in Italia, appartenenti ai due gruppi, che attualmente ricorrono ad ammortizzatori sociali –:
   se non ritenga il Ministro interrogato di dover convocare immediatamente un tavolo di confronto tra Ministero, Whirlpool e organizzazioni sindacali al fine di chiarire il piano di riorganizzazione che intende adottare la multinazionale americana a seguito dell'acquisizione di Indesit;
   se il Ministro abbia svolto ulteriori approfondimenti in merito al piano industriale di Whirlpool e con quali risultanze;
   quali iniziative intenda adottare, anche alla luce anche degli impegni assunti dalla vecchia proprietà di Indesit con gli accordi sottoscritti in data 3 dicembre 2013 presso il Ministero dello sviluppo economico, per salvaguardare i livelli occupazionali nei territori interessati dalla riorganizzazione aziendale avanzata da Whirlpool. (5-04453)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Terrosi e altri n. 7-00565, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Zanin.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Naccarato e altri n. 4-07303, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Mannino.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Rossomando e altri n. 5-04374, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Miotto.

Apposizione di firme ad un'interrogazione a risposta scritta e indicazione dell'ordine dei firmatari.

  L'interrogazione a risposta scritta Pellegrino n. 4-07473, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Garavini e Preziosi, e contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Pellegrino, Palazzotto, Kronbichler, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Airaudo, Albini, Amoddio, Anzaldi, Bergonzi, Franco Bordo, Borghi, Carrescia, Ciracì, Costantino, Distaso, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Fitzgerald Nissoli, Gandolfi, Garavini, Giuseppe Guerini, La Marca, Laforgia, Magorno, Marazziti, Marcon, Martelli, Matarrelli, Melilla, Narduolo, Nicchi, Oliverio, Paglia, Pannarale, Piras, Placido, Preziosi, Quaranta, Ribaudo, Ricciatti, Sannicandro, Sberna, Schirò, Scotto, Zaccagnini, Zaratti».

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Parentela n. 5-04327, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 352 del 18 dicembre 2014.

   PARENTELA, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, GALLINELLA, BENEDETTI e ROSTELLATO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il viceministro delle politiche agricole, alimentari e forestali rispondendo all'atto di sindacato ispettivo n. 5-04188 presentato dall'interrogante e discusso il 3 dicembre 2014 in merito alla «Aethina tumida», – un coleottero parassita degli alveari sconosciuto fino a qualche tempo fa alle nostre latitudini ora approdato in Sicilia dopo aver causato danni agli apicoltori calabresi per oltre un milione e mezzo di euro – ha illustrato gli interventi messi in atto dal Ministro della salute che ha competenza specifica in materia;
   emerge che sarebbe stata attivata pedissequamente la procedura imposta dall'Europa che prevede «all'inizio di questi fenomeni, e fintantoché essi non diventino endemici, una strategia molto drastica, volta all'eradicazione»;
   il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali ha affermato:
    «sono stati esaminati i dati più recenti sulla diffusione dell’Aethina tumida e si è prospettata la necessità di studiare eventuali linee di intervento non più volte alla eradicazione, bensì solo al contenimento. A tal riguardo il Ministero della salute si è dichiarato disponibile a esaminare le condizioni normative europee per un adattamento della strategia, ferme restando le garanzie sul controllo della movimentazione da assicurare all'Unione europea»;
    «siamo consapevoli, come Governo, che le misure di eradicazione, con la distruzione totale degli alveari, hanno comportato danni rilevanti agli operatori economici»;
    «per poter attivare un regime di aiuto a favore degli apicoltori danneggiati da infestazioni di Aethina tumida e vespa velutina è necessaria una nuova base giuridica, possibilmente con adeguate dotazioni finanziarie (tenuto conto della scarsità di risorse a disposizione per gli interventi compensativi del Fondo) che dovrà preventivamente essere notificata alla Commissione come aiuto di Stato»;
    «ritengo inoltre indispensabile lanciare un piano di tutela dell'apicoltura a più lungo termine»;
   il suddetto piano di eradicazione è stato attuato con lo stesso protocollo con il quale si trattano le altre specie zootecniche da reddito (bovini, ovini, suini) senza tenere conto che sia il parassita che l'ospite sono degli insetti; il tribunale amministrativo regionale per la Calabria in data 18 dicembre 2014, a fondamento della propria pronuncia sul ricorso numero di registro generale 1856 del 2014 contro la regione Calabria e il Ministero della salute per l'annullamento del decreto n. 94 del 2014 emesso dal Presidente della giunta regionale avente ad oggetto ordinanza contingibile ed urgente a tutela del patrimonio apistico regionale e comunitario per rinvenimento di aethina tumida in alveari, ha riconosciuto che «dalla lettura del provvedimento impugnato e da quello adottato dal Ministero della salute non emergono specifiche e circostanziate motivazioni sulla necessaria distruzione degli apiari», e che «non si rinvengono nei provvedimenti indicati specifiche motivazioni sull'effettiva idoneità degli strumenti adottati a determinare l'estinzione del coleottero»;
   l'articolo 3, comma 1, lettera a), della decisione di esecuzione della Commissione del 12 dicembre 2014 relativo ad alcune misure di protezione a seguito della presenza confermata del piccolo scarabeo dell'alveare in Italia [notificata con il numero C(2014) 9415] dispone che:
    « 1. L'Italia garantisce l'attuazione delle seguenti misure di protezione nelle zone elencate nell'allegato:
   a) un divieto di spedizione di partite dei seguenti prodotti dalle zone elencate nell'allegato verso altre zone dell'Unione:
    i) api mellifere;
    ii) calabroni;
    iii) sottoprodotti apicoli non trasformati;
    iv) attrezzature apistiche;
    v) miele in favo per il consumo umano»;
   tra le sopracitate «zone elencate nell'allegato» soggette a misure di prevenzione di cui al GUL359 del 16 dicembre 2014 vengono inserite la regione Calabria e la regione Sicilia per l'intero territorio; le aziende calabresi e siciliane specializzate nell'allevamento e nell'esportazione di api, oltre a vedere svanire anni di lavoro, ricerche, sperimentazioni ed investimenti, non potranno più nemmeno alienare le attrezzature apistiche utilizzate come ultimo disperato tentativo per recuperare un po’, di liquidità provando una riconversione verso altre produzioni –:
   se non ritenga, in linea con quanto già affermato dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, che non sussistano più i requisiti probabilistici e di convenienza economica per continuare a perseverare nel tentativo di eradicazione dell’Aethina Tumida, a fronte di danni oramai oltre la soglia di accettabilità ad apicoltura, agricoltura e ambiente;
   se il Ministro non ritenga più opportuno elaborare una strategia che preveda un intervento diretto sul coleottero, la limitazione del proliferare delle popolazioni tramite le trappole per il controllo degli adulti, i trattamenti larvici nonché l'utilizzo della lotta integrata non sussistendo secondo il TAR della Calabria con pronuncia del 18 dicembre 2014 sul ricorso numero di registro generale 1856 del 2014 «specifiche motivazioni sull'effettiva idoneità degli strumenti adottati a determinare l'estinzione del coleottero»;
   quali interventi siano stati messi in atto allo stato attuale al fine di attivare un regime di aiuto a favore degli apicoltori danneggiati da infestazioni di Aethina tumida;
   se non ritenga opportuno, al fine di agevolare la riconversione delle aziende agricole apistiche, in deroga a quanto stabilito dalla decisione della Commissione del 12 dicembre 2014, assumere iniziative per permettere il commercio delle attrezzature apistiche, sottoprodotti apicoli non trasformati, attrezzature apistiche, miele in favo per il consumo umano, esclusivamente a seguito di controllo ed eventuale rilascio della certificazione fitosanitaria dal parte degli ispettorati fitosanitari competenti per territorio, nelle regioni comprese nell'allegato alla decisione europea. (5-04327)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Cova n. 4-05527 del 15 luglio 2014.
   interrogazione a risposta in Commissione Gallinella n. 5-04350 del 20 dicembre 2014.