Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 13 gennaio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il Ministero della salute, con nota Prot. 609/SEGR/47 del 2 marzo 2003, che ai proponenti risulta ad oggi vigente, avente ad oggetto la «gestione dei resi dell'industria di panificazione», specifica che i prodotti di panificazione invenduti sono da considerare rifiuto ai sensi del decreto legislativo 22 del 1997, poi abrogato dal decreto legislativo n. 152 del 2006 oppure, sussistendone le garanzie igienico-sanitarie ed un atto scritto da parte del produttore, avviata all'alimentazione animale o utilizzati come materia prima per mangimi, ai sensi del decreto legislativo n. 360 del 1999;
    tale interpretazione produce l'effetto di considerare non più commercializzabili a fini dell'alimentazione umana migliaia di quintali di pane che, in realtà, hanno ancora tutti i crismi per essere consumati. Il pane, infatti, risulta tra i prodotti alimentari che maggiormente vengono sprecati in Italia. Secondo una recente inchiesta pubblicata dal quotidiano La Repubblica, sarebbero circa 13 mila i quintali di pane buttato ogni giorno, quasi il 25 per cento del pane prodotto destinato alla grande distribuzione. A livello del consumatore finale, i dati indicano che ogni famiglia italiana spreca in media una quantità di cibo del valore di 454 euro l'anno, di cui il 19 per cento è costituito dal pane;
    per ridurne lo spreco, il pane potrebbe essere donato alle popolazioni svantaggiate, ma questa distribuzione appare ostacolata dall'interpretazione della suddetta nota ministeriale (prot. 609/SEGR/47 del 2 marzo 2003). A giudizio dei proponenti, bisognerebbe rendere possibile che le reti di distribuzione e le reti italiane Caritas o laiche prelevino il pane dai distributori, prima che esso sia reso, evitando che le stesse siano costrette ad acquistare il pane per il proprio fabbisogno;
    l'impegno di «promuovere il potenziamento delle reti caritative nazionali, al fine di poter recuperare il pane ogni giorno invenduto dalla grande distribuzione, per destinarlo alle popolazioni svantaggiate accolte nei centri caritativi distribuiti nella penisola» era stato proposto nella mozione n. 1-00088, a prima firma Chiara Gagnarli, abbinata alla mozione n. 1-00482 a prima firma Massimo Fiorio, sul tema degli sprechi alimentari in genere; Tuttavia, nella versione finale della mozione congiunta, votata in data 3 giugno 2014, l'impegno è stato soppresso;
    facendo seguito a quanto finora premesso, il gruppo M5S in Commissione agricoltura ha richiesto all'avvocato Daniele Pisanello, esperto in legislazione alimentare, un parere giuridico circa l'interpretazione della nota del Ministero della salute, ed in generale sulla questione della commercializzazione/redistribuzione del pane invenduto da le industrie di panificazione o dalle semplici attività commerciali, verso le associazioni caritatevoli attive sul territorio. Il parere giuridico, acquisito in data 3 dicembre 2014, da interpretazione sul contenuto della nota Prot. 609/SEGR/47 del 2 marzo 2003 del Ministero della salute, chiarisce quali norme attualmente regolano la gestione dei resi dell'industria di panificazione, compresi gli ultimi aggiornamenti contenuti nella legge di stabilità 2014, ed infine affronta l'aspetto fiscale legato alle cessioni gratuite di beni effettuate dalle imprese, in alternativa alla distruzione o all'eliminazione dal mercato, nei confronti degli enti non profit ed in particolare delle ONLUS;
    è opportuno premettere che il pane, ove preconfezionato, non rientra nella categoria degli alimenti altamente deperibili, quindi è soggetto, ove offerto in vendita al consumatore finale sotto forma di preimballo, all'obbligo di indicazione del tempo minimo di conservazione (TMC), ben diverso dalla data di scadenza, obbligatoria invece per i prodotti altamente deperibili. La giurisprudenza italiana, in questo senso, ha avuto modo di precisare che nel caso di «prodotti con TMC scaduto, caratterizzato dalla dicitura “da consumarsi preferibilmente entro il ...”, [...] secondo la quasi unanime dottrina e giurisprudenza, non configura alcun vizio di commestibilità o di commercialità, ma solo garantisce da parte del produttore la conservazione delle qualità nutrizionali dell'alimento, che potrebbe non solo essere consumato oltre tale data, ma non aver perduto alcuna sua qualità» (cfr. Corte di cassazione, sez. III, 23 marzo 1998, n. 5372). Anche il pane fresco, si legge nel parere dell'avvocato, Daniele Pisanello, rimasto invenduto nelle 24 ore successive alla fabbricazione, non costituisce alimento non più destinabile al consumo umano, per le stesse ragioni addotte per il pane preconfezionato, tenendo in debito conto dei parametri di sicurezza scolpiti all'articolo 14 Reg. (CE) n. 178/2002;
    per quanto concerne la nota del Ministero della salute, il parere giuridico osserva che la stessa si riferisce espressamente e chiaramente al pane ed altri prodotti da forno che, per motivi commerciali, non sono più destinati alla commercializzazione come alimenti (cfr. primo capoverso della nota). Ma visto che, il superamento del termine minimo di conservazione (TMC) per il pane preconfezionato, e delle 24 ore successive alla fabbricazione per il pane fresco invenduto, come innanzi anticipato, non concretizzano una situazione di non commerciabilità, evidentemente, la nota ministeriale si riferisce ai casi di prodotti della panetteria invenduti perché ad esempio invasi da parassiti, muffe, corpi estranei o oggetto di ritiro per motivi sanitari dal produttore;
    la tesi sostenuta dal parere giuridico è confermata dalla legge 27 dicembre 2013 n. 147 (legge di stabilità 2014) comma 236, che recita: «Le organizzazioni riconosciute non lucrative di utilità sociale ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, e successive modificazioni, che effettuano a fini di beneficenza distribuzione gratuita agli indigenti di prodotti alimentari, ceduti dagli operatori del settore alimentare, inclusi quelli della ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, nonché i citati operatori del settore alimentare che cedono gratuitamente prodotti alimentari, devono garantire un corretto stato di conservazione, trasporto, deposito e utilizzo degli alimenti, ciascuno per la parte di competenza. Tale obiettivo è raggiunto anche mediante la predisposizione di specifici manuali nazionali di corretta prassi operativa in conformità alle garanzie speciali previste dall'articolo 8 del regolamento (CE) n. 852 del 2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, e successive modificazioni, validati dal Ministero della salute». Tale periodo, sottintende che i prodotti alimentari, compreso il pane, possano essere ceduti a fini di beneficenza, purché ogni soggetto rispetti il corretto stato di conservazione, trasporto, deposito e utilizzo, escludendo in maniera intrinseca che il pane possa essere considerato alla stregua di un rifiuto solo perché si siano superate le 24 ore dalla produzione per il pane fresco o il TMC per il pane preconfezionato. Per rendere fattibile la redistribuzione, la legge di stabilità 2014 ha previsto la predisposizione di appositi manuali nazionali di corretta prassi operativa, che ad oggi ci risultano non ancora predisposti, salvo pochi casi;
    per quanto riguarda l'aspetto fiscale, il parere asserisce che la distribuzione del pane invenduto dalle imprese alle associazioni caritatevoli non lucrative, non rappresenterebbe un problema o un deterrente, in quanto i prodotti alimentari non più commercializzati o non idonei alla commercializzazione per carenza o errori di confezionamento, di etichettatura, di peso o per altri motivi similari, nonché per prossimità della data di scadenza, ceduti gratuitamente ai soggetti di cui all'articolo 10, n. 12 del decreto del Presidente della Repubblica 633 del 1972 (enti pubblici, associazioni riconosciute, fondazioni o Onlus) si considerano distrutti ai fini IVA, dunque, fuori campo IVA, a prescindere dal ritiro presso i luoghi di esercizio dell'impresa. Questa disposizione è finalizzata proprio a sostenere gli enti di beneficenza, il cui regime è, pertanto, particolarmente favorevole e non frena, a parere dei proponenti, l'impulso della distribuzione caritatevole;
    si sottolinea infine che il cosiddetto decreto Bersani (decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del d'agosto 2006), aveva previsto, in aggiunta alle definizioni dei vari prodotti della panetteria già presenti in norme precedenti, la denominazione di «pane fresco» riservandola «al pane prodotto secondo un processo di produzione continuo, privo di interruzioni finalizzate al congelamento, alla surgelazione o alla conservazione prolungata delle materie prime, dei prodotti intermedi della panificazione e degli impasti, fatto salvo l'impiego di tecniche di lavorazione finalizzate al solo rallentamento del processo di lievitazione, da porre in vendita entro un termine che tenga conto delle tipologie panarie esistenti a livello territoriale» (articolo 4, comma 2-ter, (b), decreto Bersani). Tale decreto demandava le disposizioni attuative ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottarsi di concerto con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali e con il Ministro della salute, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto. A tutt'oggi tale decreto non risulta adottato, sebbene risulti essere stata predisposta una bozza,

impegna il Governo:

   a rivedere la sua posizione in merito all'interpretazione della normativa relativa alla redistribuzione del pane fresco invenduto oltre le 24 ore dalla produzione e del pane preconfezionato con termine minimo di conservazione (TMC) scaduto, alla luce delle considerazioni espresse nel parere giuridico citato in premessa, valutando l'opportunità di interventi normativi correttivi;
   a emanare, in tempi rapidi, i manuali di corretta prassi operativa, previsti dalla legge 27 dicembre 2013 n. 147 (legge di stabilità 2014), comma 236, ad oggi mancanti, al fine di chiarire il quadro normativo attuale e ridurre i costi ed i rischi per gli operatori alimentari, legati al conferimento ed alla gestione dei prodotti da forno, favorendo pertanto le lodevoli iniziative caritatevoli;
   a emanare, in tempi rapidi, il decreto attuativo previsto ormai da anni dal cosiddetto decreto Bersani, che completi la disciplina e dia la giusta tutela alla panificazione artigiana.
(1-00696) «Gagnarli, Gallinella, Lupo, Parentela, Massimiliano Bernini, Benedetti, L'Abbate, Busto, Daga, Baldassarre».


   La Camera,
   premesso che:
    dai dati emersi dalla rilevazione SVIMEZ 2014, continua a registrarsi, per la regione Sardegna, una tendenza fortemente negativa che si riassume con i seguenti dati: diminuzione del PIL rispetto all'anno 2013 pari al 4.4 per cento, perdendo complessivamente negli anni di crisi dal 2007 oltre il 13 per cento di prodotto, tasso di natalità inferiore di due punti percentuale rispetto al tasso di mortalità, ripresa delle emigrazioni con un saldo migratorio (-1,2 per cento), occupazione diminuita del 7,3 per cento nel biennio 2012-2013, tasso di disoccupazione ufficiale pari al 17,5 con tasso di disoccupazione giovanile (giovani con meno di 24 anni) pari al 54 per cento, un aumento della percentuale di laureati emigrati (21,6 per cento) e un tasso di dispersione scolastica pari al 25 per cento, percentuale di famiglie povere pari al 24,8 per cento, saldo fortemente negativo nell'immediato ma con una pesante tendenziale conferma per quel che concerne il numero di cessazioni di imprese, procedure fallimentari e aziende avviate alla liquidazione;
    i dati suindicati, comuni peraltro alle regioni del centro sud dell'Italia, si inseriscono in una realtà già gravemente pregiudicata dalla mancata risoluzione di vertenze aperte da troppo tempo con lo Stato italiano;
    la situazione in cui versa la regione è sicuramente anche il frutto del mancato pieno utilizzo delle potenzialità dell'autonomia speciale, ma ancor più gravi le responsabilità in capo allo Stato italiano, sempre più patrigno, nella gestione e risoluzione di questioni centrali per l'economia isolana;
    in tale contesto rileva che, a fronte del riconoscimento statutario di quote di compartecipazione alle entrate erariali, spettanti alla regione Sardegna, persistono tuttora difformità di interpretazione in merito ad alcuni tributi erariali e residua un debito statale – di circa un miliardo – da saldare nei confronti della regione sarda, ancora più insopportabile in un momento di forti tagli alla spesa pubblica e tenuto conto che la regione Sardegna attuerà il pareggio di bilancio contribuendo al debito dello Stato per oltre 570 milioni di euro – anni 2013-2014, con una previsione di aumento per il 2015 di 97 milioni di euro. Lo Stato, su questo punto, è inadempiente, come confermato anche dalla sentenza del 2012 della Corte costituzionale, e sarebbe necessario trovare urgentemente una soluzione condivisa che detti criteri certi di suddivisione delle quote e determini un maggior rafforzamento del ruolo della regione per risolvere, anche per il futuro, la vertenza;
    in Sardegna oltre 35.000 ettari di territorio sono sotto vincolo di servitù militare. L'isola ospita infatti strutture ed infrastrutture al servizio delle forze armate italiane e della Nato: i poligoni missilistici (Perdasdefogu) e per le esercitazioni aeree (Capo Frasca) e a fuoco (Capo Teulada), aeroporti militari (Decimomannu) e depositi. La necessità di una riduzione della presenza militare nell'isola è ormai stata riconosciuta in tutte le sedi. Il consiglio regionale, con ordine del giorno n. 9 del 17 giugno 2014, ha impegnato la giunta regionale a chiedere, tra gli altri punti, un riequilibrio in termini di compensazione economica rispetto ai danni ambientali, sanitari ed economici subiti nel corso degli anni a causa del gravame militare nell'isola e la progressiva diminuzione delle aree soggette a vincoli militari e la dismissione dei poligoni. Tuttavia, anche su questo tema, il Governo appare arroccato sulle sue posizioni, ritenendo prevalenti i supremi interessi nazionali rispetto agli interessi del territorio. Anzi, con il decreto legge 24 giugno 2014, n. 91, si parificano per le «aree dove si svolgono esercitazioni militari» le concentrazioni di soglia di contaminazione alle «aree industriali»; determinando, in tal modo, gravi pregiudizi al territorio limitrofo, prevalentemente residenziale, all'ambiente, all'agricoltura;
    sempre con riferimento alle servitù militari, un discorso a parte merita la vicenda del poligono sperimentale di addestramento interforze (Salto di Quirra) situato a nord di Cagliari che, con i suoi 120 chilometri quadrati di estensione è la più importante base europea per la sperimentazione di nuovi missili, razzi e radio bersagli. Ebbene, nel gennaio del 2011, si apre un'inchiesta che porterà alla luce la terribile scoperta che il poligono è stato, per anni, utilizzato come una vera e propria discarica di materiale militare dove si è smaltito uranio impoverito e torio radioattivo. Quest'ultimo, a seguito delle indagini e dei prelievi effettuati è stato ritrovato in diversi alimenti umani e nelle ossa di alcuni pastori deceduti che, per la loro attività, avevano accesso all'interno del poligono;
    sempre in merito alle servitù militari, il Ministro della difesa Roberta Pinotti ha imposto, unilateralmente, per altri 5 anni i vincoli su Santo Stefano. Il Presidente Pigliaru ha presentato ricorso contro l'imposizione della servitù militare su Guardia del Moro alla Maddalena e chiesto al Consiglio dei ministri un riesame del decreto impositivo della servitù ma resta il dato di fatto: nonostante la regione Sardegna, attraverso il suo consiglio regionale e la sua popolazione, siano apertamente contro le servitù militari, nonostante il mancato rinnovo della servitù nei tempi consentiti e nonostante il contenzioso in atto con il comune di La Maddalena, il Governo è andato avanti unilateralmente, anteponendo ancora una volta i supremi interessi della «difesa nazionale» alle esigenze dei territori. La procedura della reimposizione sarebbe, dal punto di vista amministrativo, improponibile in quanto lesiva dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione introdotti dalla modifica del Titolo V della Costituzione. Anche il Tar della Sardegna, con una pronuncia del 2012, ha stabilito che l'interesse alla difesa non è superiore all'interesse della comunità locale, definendo entrambi di massimo rilievo e di natura sensibile e ricordando che «le servitù hanno carattere temporaneo proprio perché legate all'esigenza di valutare e rivalutare le situazioni, tenendo conto dei cambiamenti che vive il territorio su cui sono calate»;
    quando lo Stato italiano avrebbe potuto rimediare almeno in parte di danni subiti da questo territorio, non ha invece adempiuto ai propri impegni in occasione del G8 della Maddalena, privando, dapprima, l'isola della possibilità di una vetrina a livello internazionale e trasferendo d'ufficio il vertice in altra regione e, successivamente, non dando corso agli impegni presi in ordine alla bonifica del territorio – impedendo conseguentemente la realizzazione dell'accordo del 2009 con imprese private (di recente, a causa di tale inadempimento la protezione civile è stata condannata a pagare alla società aggiudicatrice circa 36 milioni di euro). Attualmente, pertanto, le acque che dovevamo essere bonificate risultano ancora inquinate e le strutture costruite in stato di abbandono. In generale, il tema dell'ambiente è uno di quelli maggiormente colpiti dall'incuria statale in quanto sono diversi i siti inquinati che dovrebbero essere oggetto di attenzione da parte del Governo italiano, in particolare quei siti industriali insediati dalle note aziende partecipate statali che da Porto Torres al Sulcis, passando per la piana di Ottana nel centro Sardegna, hanno compromesso territori di incomparabile bellezza;
    la negazione da parte dello Stato italiano dell'articolo 14 dello statuto della regione Sardegna che prevede la restituzione al patrimonio regionale di tutte le aree demaniali, (comprese quelle costiere), e militari nazionali che non siano più giudicate strategiche ai fini di interesse pubblico, costituisce un'ulteriore freno a possibili opportunità di sviluppo economico, soprattutto in ambito turistico ed ambientale, in vaste aree del territorio sardo;
    attenzione che, comunque, il Governo non sembra di avere in merito ad un altro aspetto. La Sardegna, infatti, potrebbe essere prescelta per lo stoccaggio di scorie nucleari radioattive. La notizia in merito alla destinazione di questi rifiuti, già assunta dal Comitato interministeriale, è stata rimandata al prossimo 3 gennaio in quando, la società pubblica Sogin, si è presa qualche altro giorno di tempo. A nulla sembrano essere servite le prese di posizione dei cittadini sardi che, già nel 2011, con un referendum consultivo avevano detto «no» al nucleare in Sardegna e del governo regionale che, lo scorso settembre con un ordine del giorno, votato all'unanimità, si è impegnato a portare all'attenzione del Governo l'impegno che: «La Sardegna non deve essere inclusa nella lista delle regioni candidate ad ospitare siti nucleari»;
    una nuova «servitù» sembra contraddistinguere la Sardegna: quella relativa al regime carcerario per i detenuti ai sensi dell'articolo 41-bis. A seguito infatti della recente revisione normativa dove si statuisce: «preferibilmente detenuti nelle aree insulari» sembra aver trasformato l'isola nell'area per eccellenza di detenzione di mafiosi, ergastolani e terroristi. Non va dimenticato che, anche di recente, è stata ventilata la demenziale proposta di una possibile riapertura del carcere dell'Asinara. A questo si deve aggiungere la presenza sul territorio sardo di un numero di strutture carcerarie più elevato rispetto alle altre regioni italiane (2.700 posti detentivi per 1 milione e 600 mila abitanti) che determineranno il trasferimento dalla Penisola, in contrasto con il principio della territorializzazione della pena sancita dall'ordinamento penitenziario, di un numero elevato di detenuti. Ancora una volta, gli interessi nazionali prevalgono sugli interessi del territorio e ancora una volta un nuovo peso si aggiunge a quelli già presenti sul territorio sardo;
    con riferimento invece alle calamità naturali che hanno colpito la regione nel novembre 2013, lo Stato deve rispettare i propri impegni anche su tale versante tenuto conto che, ad oggi, si registrano ritardi nei tempi e nelle entità dei risarcimenti dovuti. Spiace, peraltro, constatare una diversità di trattamento rispetto ad altre regioni che purtroppo hanno dovuto affrontare la stessa problematica – ad esempio, in Emilia Romagna lo Stato è intervenuto con il decreto-legge n. 74 del 2014 recante disposizioni urgenti per l'Emilia Romagna. A fronte della catastrofe immane che ha colpito duramente il territorio sardo (19 morti, 2.700 sfollati e circa 700 milioni di danni) lo stesso presidente della regione ha pubblicamente ricordato che lo Stato non ha praticamente dato nulla alla causa sarda e che mancherebbero all'appello circa 474 milioni di euro. Anche di recente si è cercato con emendamenti a diversi provvedimenti all'esame del Parlamento di prevedere l'esclusione dal patto di stabilità di tutti gli stanziamenti per opere e interventi legati all'evento alluvionale, compresi anche i fondi avuti dai comuni in beneficenza, ma il Governo continua ad essere sordo;
    di recente poi, l'articolo 38 del decreto-legge n. 133 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2011, rubricato «Misure per la valorizzazione delle risorse energetiche nazionali», ha tolto di fatto agli enti locali – non solo sardi – il potere di veto su ricerca di petrolio e trivellazioni, trasferendo la competenza delle valutazioni di impatto ambientale su attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e di stoccaggio sotterraneo di gas naturale dalla regione allo Stato. In Sardegna, l'effetto della norma si avrà sulla zona di Arborea, interessata dal cosiddetto Progetto Eleonora, rispetto al quale gran parte della popolazione è contraria. In un'area di eccezionale interesse naturalistico, a forte vocazione agricola, si vorrebbe autorizzare la trivellazione per la ricerca di giacimenti di gas naturale;
    in Sardegna inoltre, la produzione di energia dall'uso idroelettrico è piuttosto diffusa e si concentra sui bacini dei fiumi principali, con modeste attività in alcune altre piccole centrali periferiche. La Regione, con legge regionale n. 19 del 2006 è subentrata nella titolarità delle concessioni inerenti l'utilizzo dell'acqua ma la procedura di subentro non è stata completata per gli invasi sfruttati dall'Enel per uso idroelettrico. Enel continua a gestire secondo i firmatari della presente mozione impropriamente le centrali, confidando sull'applicazione del decreto legislativo n. 79 del 1999 che ha prorogato le concessioni fino al 2029. Le parti sembrerebbero vicine ad un accordo per la gestione comune delle acque per evitare un contenzioso dovuto, ancora una volta, ad una contraddizione – almeno lamentata da una delle parti – tra una legge statale e regionale. Occorre che lo Stato, anche su questo punto riconosca i torti subiti fino ad oggi dalla regione;
    la regione per soddisfare esigenze non proprie sta diventando una grande piattaforma di produzione di energia attraverso la costruzione di impianti fotovoltaici, di impianti eolici, lo scavo di pozzi marini per la ricerca del gas naturale. Ferme restando le responsabilità regionali per la mancanza di un piano energetico, la questione del costo dell'energia resta un problema irrisolto e trascurato che compromette pesantemente lo sviluppo economico dell'isola. Sul punto spicca la questione del riconoscimento del regime di essenzialità per gli impianti di produzione sardi, in particolare per quello di Ottana: infatti, la regione è in attesa della proroga anche per il 2015 e del parere dell’Authorithy per l'energia e il gas. Il riconoscimento dell'essenzialità è fondamentale per permettere ai gestori delle centrali sarde di vedersi riconosciuti da Terna i costi di produzione dell'energia e garantire pertanto alle imprese sarde di poter fruire di prezzi dell'energia più bassi. Questo avviene in un contesto segnato dalla mancata metanizzazione e da costi per energia altissimi – occorre, infatti, ricordare, che la Sardegna è l'unica regione a non avere il metano (a seguito anche dell'uscita dal progetto Galsi, società sostenuta oltre che dalla regione anche da Enel ed Edison) e che l'energia ha il costo più elevato d'Italia – 15 per cento in più – Paese peraltro in cui l'energia ha già un costo maggiore rispetto al resto d'Europa);
    la mobilità è un diritto ancora non pienamente riconosciuto alla nostra regione. Il diritto alla mobilità, riconosciuto dall'articolo 16 della Costituzione, deve essere inteso come garanzia per ogni cittadino del trasporto indipendentemente dalla realtà geografica nella quale vive. La continuità territoriale deve eliminare gli svantaggi delle aree del Paese dovute a distanze o insularità. L'articolo 53 dello Statuto sardo dispone che la regione sia rappresentata nella elaborazione delle tariffe ferroviarie e nella regolamentazione dei servizi nazionali di comunicazione e trasporti terrestri, marittimi ed aerei che possano direttamente interessarla. Fino ad oggi, invece, anche su questo punto si deve registrare un atteggiamento poco rispettoso delle competenze regionali tanto che la Corte costituzionale, in materia di trasporto marittimo, ha riconosciuto recentemente fondato il ricorso proposto dalla regione volto al riconoscimento del diritto ad una partecipazione effettiva al procedimento in materia di trasporto marittimo. Nelle materie in cui si registra una sovrapposizione di competenze deve essere valorizzato il principio di leale collaborazione; in particolare, ad avviso della Corte, le decisioni assunte in materia dallo Stato toccano interessi indifferenziati della regione ed interferiscono in misura rilevante con scelte rientranti nella competenza della regione, pertanto la regione ha diritto a partecipare ai procedimenti in materia. Occorre inoltre vigilare, per evitare, come accaduto in passato, la creazione di pericolosi monopoli nei trasporti marittimi (si deve registrare il caso recente di una pericolosa scalata da parte del gruppo Moby all'interno della società CIN). Si deve, inoltre, ricordare che la regione Sardegna, a seguito dell'accordo stipulato con lo Stato nel 2006 si è accollata interamente le spese sul trasporto pubblico locale che in altre regioni sono finanziate attraverso compartecipazioni a tributi erariali. La provincia di Nuoro, insieme a quella di Matera, è l'unica provincia italiana non servita dalla linea principale a scartamento ordinario delle Ferrovie di Stato essendo coperta solo da un tratto a scartamento ridotto, gestito attualmente dall'Arst, società pubblica regionale e non rientrando nel novero delle grandi opere infrastrutturali dello Stato;
    diversi sono inoltre i casi che hanno interessato la regione sul fronte del lavoro. Per quanto riguarda l'occupazione le responsabilità non sono certamente solo politiche, in quanto, è evidente che la produzione industriale rientra in un contesto di mercato e di competitività nazionale ma, occorre ricordare l'assenza di una strategia nazionale industriale e il fatto che la chiusura di molti stabilimenti è la conseguenza degli alti costi di produzione che paga l'insularità (per tutti si cita il caso del sito industriale di Portovesme, uno dei più grandi poli di metallurgia non ferrosa, gestito fino a poco tempo fa da società private come Alcoa, leader mondiale nella produzione di alluminio, la quale ha comunicato la chiusura dello stabilimento sardo nel 2012);
    legato ai problemi dell'insularità e alla crisi occupazionale è la vicenda della compagnia aerea Meridiana (di cui fanno parte oltre la compagnia aerea anche Meridiana Maintenance, società di manutenzione, Geasar spa, società di gestione dell'aeroporto di Olbia). Ad oggi nessuna soluzione sembra palesarsi all'orizzonte e circa 1.600 dipendenti rischiano il licenziamento. Anche in questo caso l'atteggiamento del Governo italiano è apparso poco incisivo: questo è più che mai evidente, secondo i firmatari della presente mozione, nella risposta all'interrogazione 3-01155 che il Ministro Lupi ha dato lo scorso 11 novembre nell'aula di Montecitorio;
    anche per quanto riguarda il settore agricoltura non sono state tenute in debita considerazione le specificità sarde, comuni peraltro anche ad altre regioni. AGEA, ente nazionale, incurante delle procedure stabilite e validate precedentemente, con un atteggiamento vessatorio verso le peculiarità della nostra agricoltura ha dato indicazioni operative ai suoi tecnici rilevatori per una riclassificazione che, ha comportato per la Sardegna e per le altre regioni interessate dalla «Macchia Mediterranea», la perdita di migliaia di ettari di superficie – 280.000 ettari circa di superficie coltivabile e finanziabile precedentemente riconosciuti – con la conseguenza che, per tantissime domande, presentate a valere sul PSR e sulla PAC, oggi, sono riscontrabili gravi anomalie particellari, e, di conseguenza, il rischio reale che centinaia o migliaia di operatori del settore debbano restituire somme già percepite. Si è richiesto già al Governo – con la risoluzione n. 7-00396 – un intervento presso l'organismo pagatore AGEA affinché sospenda gli effetti del nuovo ciclo di refresh evitando in particolare iscrizioni massive nella banca dati debitori di aziende che invece presentano titoli e requisiti per l'accesso ai premi comunitari;
    altro problema è quello relativo al dimensionamento scolastico che rappresenta forse più di ogni altro come le decisioni prese dall'alto poco si adattino a territori con caratteristiche morfologiche del tutto particolari come è la Sardegna. Anche se dalle aule dei tribunali continuano ad arrivare espressioni negative contro la legge che ha disposto le cancellazioni e gli accorpamenti degli istituti – il decreto-legge n. 98 del 2011 ha fissato l'obbligo di fusione degli istituti comprensivi delle scuole dell'infanzia, elementari e medie con meno di 1.000 alunni, ridotti a 500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche – tale provvedimento comunque ha di fatto causato la cancellazione di oltre 1.700 scuole. Seppur reputato «costituzionalmente illegittimo» dalla Consulta con la sentenza n. 147 del 2012, occorre in questa sede rilevare come la disposizione non solo contrasta con ogni criterio didattico-pedagogico comportando la creazione di istituti scolastici abnormi, di difficile gestione e governabilità, ma ha effetti ancora più negativi in un territorio come quello sardo, costringendo a gravosi spostamenti intere famiglie e rappresentando un ulteriore deterrente alla prosecuzione del cammino scolastico degli studenti, in una regione, come in precedenza evidenziato, con il più alto tasso di dispersione scolastica;
    infine, a fronte degli oneri e delle servitù gravanti sul territorio sardo, lo Stato italiano continua a dismettere presidi importanti per il territorio (caserme, uffici dei giudici di pace, tribunali, uffici della motorizzazione civile, sedi della Banca d'Italia), proponendo accorpamenti che ancora una volta non tengono conto delle specificità del territorio isolano, costituito da aree con scarsa densità di popolazione e da collegamenti molto spesso difficili;
    le considerazioni sopra esposte evidenziano la persistente prevalenza dell'interesse nazionale rispetto a quello territoriale segnando profondamente il modo di essere di una regione e, in taluni casi, rischia di compromettere definitivamente la sua vocazione naturale, turistica e culturale;
    sussiste una «specificità» Sardegna dettata anche da un riconoscimento costituzionalmente garantito in merito alla «specialità» che deve essere affrontata autonomamente ed inserita con urgenza nell'Agenda dei lavori dal Governo in modo tale da risolvere definitivamente problematiche che durano da troppo tempo, anche attraverso un ripensamento delle attuali competenze,

impegna il Governo:

   nelle questioni sopra richiamate, ad attivarsi concretamente al fine di superare le criticità esistenti, tenendo nel debito conto gli interessi territoriali in base anche al principio della leale collaborazione tra enti e comunque nel pieno rispetto degli interessi di cui è portatrice la regione autonoma della Sardegna;
   a prestare un'attenzione «particolare» in termini di assunzione di responsabilità e di riconoscimento delle specificità della realtà e delle problematiche della Sardegna affinché possano essere superate ed orientate ad una valorizzazione le vocazioni principali dell'isola stessa;
   ad inserire nell'Agenda dei lavori del Governo la questione Sardegna, anche attraverso l'istituzione di uno specifico tavolo di lavoro congiunto Stato-regione per l'esame urgente delle vertenze ancora aperte e per definire, in particolare, tutte le iniziative utili a garantire la loro risoluzione in tempi certi.
(1-00697) «Capelli, Dellai, Tabacci, Labriola, Piras, Vargiu, Di Gioia, Lo Monte, Fauttilli».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VI e XIII,
   premesso che:
    la legge 11 marzo 2014, n. 23, delega il Governo ad attuare una revisione della disciplina relativa al sistema estimativo del catasto dei fabbricati in tutto il territorio nazionale, attribuendo a ciascuna unità immobiliare il relativo valore patrimoniale e la rendita in relazione ai valori medi ordinari espressi dal mercato nel triennio antecedente l'anno di entrata in vigore della nuova disciplina;
    si reputa necessaria un'analoga revisione per le tariffe d'estimo stabilite, per ciascuna qualità e classe di terreno, sia per il reddito agrario che dominicale, in modo strutturale ed organico, che tenga presente anche la significativa modificazione delle relazioni economiche tra le varie tipologie di coltivazioni, la ubicazione territoriale, e la reintroduzione di forme di imposizione patrimoniale che hanno come riferimento proprio le rendite catastali;
    le richieste di rettifica e perequazione relative ai redditi di terreni, richieste dai comuni secondo l’iter previsto dalla legge 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni e sue norme attuative, risultano spesso di durata anche di molti anni;
    nel corso degli anni le diversificazioni di redditività, e quindi di valore patrimoniale, anche all'interno di analoghe classi e qualità di coltura sono venute significativamente crescendo anche in funzione dell'aumento della forbice di valore tra le singole cultivar e varietà soprattutto nell'ambito del comparto ortofrutticolo e viticolo e dette diversificazioni in moltissimi casi non trovano più rispondenza nei riferimenti catastali;
    sino a gran parte del 2014 relativamente alla applicazione o esenzione dall'imposta comunale IMU si faceva riferimento all'articolo 7, comma 1, lettera h), del decreto legislativo n. 504 del 1992 che stabilisce l'esenzione per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina il riferimento per identificare quali territori ricadano in tale definizione fosse la circolare del Ministero delle finanze n. 9 del 14 giugno 1993, che presenta in allegato un elenco dettagliato dei comuni interessati;
    l'articolo 22, comma 2, del decreto-legge n. 66 del 2014 convertito con modificazioni dalla legge n. 89 del 2014, ha introdotto la previsione di un decreto attuativo che individuasse i comuni nei quali, a decorrere dall'anno di imposta 2014, si applicasse tale esenzione, tenendo conto anche dell'altitudine riportata nell'elenco ISTAT ed eventualmente riservando un trattamento di favore ai terreni, posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo n. 99 del 2004 iscritti nella previdenza agricola;
    con decreto 28 novembre 2014 il Ministero dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e con il Ministero dell'interno ha dettato le disposizioni di attuazione della legge n. 89 del 2014;
    detto decreto stabilisce che diversamente dal passato sono esenti dall'imposta i terreni agricoli dei comuni con sede comunale ad una altitudine superiore ai 600 metri, individuandoli appunto sulla base dell’«Elenco comuni italiani», pubblicato sul sito internet dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), tenendo conto appunto dell'altezza riportata nella colonna «Altitudine del centro (metri)», e prevede anche l'esenzione per i terreni agricoli in possesso di coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, iscritti nella previdenza agricola, nei comuni ubicati a un'altitudine compresa fra 281 metri e 600 metri individuati sulla base del succitato elenco ISTAT;
    il decreto ministeriale conferma l'esenzione dell'IMU per i terreni ad immutabile destinazione agro-silvo-pastorale a proprietà collettiva indivisibile e inusucapibile che, in base al decreto ministeriale, non ricadono nelle esenzioni delle zone montane e di collina;
    gli introiti IMU derivanti dalla nuova materia imponibile non costituiranno una effettiva maggiore entrata per il bilancio del comune, in quanto lo Stato ridurrà in misura equivalente i trasferimenti ad ogni ente;
    il criterio dell'altitudine non rappresenta un reale discrimine tra aziende e territori necessitanti di tutela fiscale e aziende e territori non necessitanti di tale attenzione, e che nei diversi territori lo svantaggio si coniuga ed articola con modalità e parametri anche altri, oltre a quello dell'altitudine, e che addirittura in alcuni casi vede terreni e territori di particolare pregio, anche patrimoniale, proprio in aree ad alta altimetria ma non per questo svantaggiate;
    il TAR Lazio ha accolto le richiesta di sospensiva di ANCI Umbria, Liguria, Veneto ed Abruzzo sul provvedimento, e che il giudizio nel merito è atteso il 21 gennaio 2015, mentre la scadenza del versamento è attualmente prevista il 26 gennaio 2015;
    lo «Statuto del contribuente» di cui alla legge n. 212 del 2000, all'articolo 3, comma 2, prevede che «le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore»;
    la nuova modalità prevista per il versamento dell'IMU sui terreni agricoli è stata introdotta alla fine di una annata agraria che ha visto notevoli difficoltà per tutti i comparti, sia per le conseguenze dei prezzi e dei consumi legati alle condizioni economiche generali, sia per l'impatto delle complicazioni connesse a vario titolo all’export, sia per le numerose situazioni legate alle fitopatie in essere, sia per il difficile andamento climatico,

impegnano il Governo:

   ad assumere iniziative dirette a rinviare la scadenza del 26 gennaio per il versamento per un tempo congruo a permettere un approfondimento della materia, per la individuazione di criteri capaci di superare i limiti e le sperequazioni che il quadro attuale parrebbe evidenziare;
   a rivedere la scelta del solo criterio altimetrico, anche eventualmente riprendendo in considerazione i riferimenti della circolare del Ministero delle finanze n. 9 del 14 giugno 1993, con allegato un elenco dettagliato dei comuni interessati anche eventualmente riveduta, corretta ed integrata;
   ad avviare una revisione organica e complessiva delle tariffe d'estimo stabilite, per ciascuna qualità e classe di terreno, sia per il reddito agrario che dominicale, su tutto il territorio, con una armonizzazione tra colture e tra territori, che tenga conto della intervenuta modificazione delle relazioni economiche e competitive sui territori stessi e tra le filiere settoriali;
   ad attivare tavoli di confronto con le organizzazioni agricole e con le rappresentanze degli enti locali al fine di individuare criteri e riferimenti maggiormente capaci di «fotografare» la situazione di valore agricolo, patrimoniale e competitivo dei terreni e delle aziende agricole, anche per dar corso alla revisione di cui al punto precedente;
   a non considerare, fino a conclusione dell’iter di definizioni delle nuove classificazioni, il maggior gettito stimato in capo ai comuni, non procedendo quindi a riduzioni di trasferimenti nei confronti di suddetti comuni nei quali ricadono i terreni per i quali si richiede una revisione di classificazione e conseguentemente di applicazione dell'IMU;
   a prevedere specifici interventi finalizzati a sostenere il comparto agricolo e agroalimentare e a promuoverne la competitività, anche avendo riguardo a misure per finanziare la ricerca e l'innovazione in agricoltura;
   ad assumere le iniziative di competenza dirette a favorire la produzione agricola e agroalimentare di qualità, che vive una gravissima crisi economica e occupazionale.
(7-00564) «Taricco, Venittelli, Romanini, Oliverio, Antezza, Dal Moro, Cova, Lodolini, Terrosi».


   Le Commissioni VI e XIII,
   premesso che:
    nell'anno 2013 i terreni agricoli sono stati esentati dall'IMU sulla base del decreto-legge n. 102 del 2013, per la prima rata, e del decreto-legge n. 133 del 2013 per la seconda rata, che ha esentato dal pagamento della seconda rata dell'IMU solo gli imprenditori agricoli professionali (IAP) e i coltivatori diretti; per tali soggetti è stato previsto il pagamento della cosiddetta «mini IMU», entro gennaio 2014, nei comuni che hanno innalzato le aliquote rispetto alle misure di base previste dalla legge;
    ai sensi delle disposizioni citate risultavano, in sostanza, esenti da imposta – anche per l'anno 2014 – tutti i terreni agricoli di valore pari o inferiore a 6.000 euro, nelle condizioni previste dalla legge (possesso e conduzione da parte di coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali);
    il decreto-legge n. 66 del 2014, con l'articolo 22, commi 2 e 2-bis, ha disposto una limitazione dell'esenzione dall'IMU dei terreni agricoli ricadenti in aree montane e di collina prevista dalla lettera h), comma 1, articolo 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992; il medesimo decreto ha rinviato ad un decreto del Ministro dell'economia e finanze l'individuazione dei comuni nei quali a decorrere dal periodo di imposta 2014, si applica l'esenzione sulla base dell'altitudine (riportata nell'apposito elenco ISTAT), diversificando tra terreni posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, iscritti alla previdenza agricola; tali disposizioni dovrebbero generare un maggior gettito complessivo annuo non inferiore a 350 milioni di euro a decorrere dal 2014 a fronte di corrispondente riduzione delle quote assegnate del Fondo di solidarietà comunale;
    il decreto ministeriale 28 novembre 2014 in attuazione di quanto previsto dall'articolo 22 del decreto-legge n. 66 del 2014 stabilisce che sono esenti i terreni agricoli dei comuni ubicati a un'altitudine di 601 metri e oltre, individuati sulla base dell’«Elenco comuni italiani», pubblicato sul sito internet dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), tenendo conto dell'altezza riportata nella colonna «Altitudine del centro (metri)»; il medesimo decreto prevede inoltre l'esenzione per i terreni agricoli in possesso di coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, iscritti nella previdenza agricola, nei comuni ubicati a un'altitudine compresa fra 281 metri e 600 metri individuati sulla base dell'elenco ISTAT;
    il decreto ministeriale conferma l'esenzione dell'IMU per i terreni ad immutabile destinazione agro-silvo-pastorale a proprietà collettiva indivisibile e inusucapibile che, in base al decreto ministeriale, non ricadono nelle esenzioni delle zone montane e di collina;
    l'allegato A del citato decreto ministeriale riporta sia gli importi da recuperare sui comuni, sia gli importi da rimborsare ai comuni che subiscono una perdita di gettito per effetto delle modifiche del perimetro applicativo dell'esenzione;
    i soggetti obbligati al versamento dell'IMU per l'anno 2014 sulla base di detto decreto erano tenuti ad effettuano in un'unica rata entro il 16 dicembre 2014;
    il 16 dicembre 2014 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto-legge n. 185 del 2014, che, all'articolo 1, ha disposto la proroga al 26 gennaio 2015 del termine – già fissato al 16 dicembre 2014 – per il versamento dell'IMU relativa all'anno 2014 sui terreni agricoli situati in zone montane e collinari; l'imposta, dovuta sui terreni non più esenti a seguito della ridefinizione del perimetro delle esenzioni operata dal decreto ministeriale 28 novembre 2014, deve essere calcolata ad aliquota base (0,76 per cento) salvo che non siano state approvate dagli enti per i terreni agricoli specifiche aliquote;
    tali norme risultano ora trasposte nella legge di stabilità 2015 all'articolo 1, commi 692-693 e 701;
    i terreni assoggettabili all'imposta sono stati individuati in base al criterio della quota altimetrica del centro del comune di riferimento indicata nell'Elenco comuni italiani, pubblicato sul sito internet dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT);
    tale disposizione ha sollevato notevoli perplessità in seno al mondo agricolo che si è espresso in maniera univoca chiedendo una revisione del provvedimento;
    con numerosi atti parlamentari di indirizzo e di sindacato ispettivo e lettere indirizzate ai Ministri competenti, è stata sollecitata un'immediata revisione dei criteri e lo slittamento della data ultima prevista per il pagamento;
    le ANCI regionali di Abruzzo, Liguria, Umbria, Veneto, Sardegna e Lazio hanno presentato ricorso al TAR del Lazio in considerazione del ritardo con cui sono stati resi noti i criteri per l'applicazione dell'IMU agricola rispetto alla scadenza prevista per il pagamento, e in relazione al taglio del fondo di solidarietà comunale intervenuto a bilanci chiusi, con gravi difficoltà per i comuni stessi; la pronuncia del TAR è prevista per il 21 gennaio 2014;
    il maggior prelievo IMU sui terreni agricoli interviene in un momento di particolare difficoltà per il settore, colpito dalla crisi economica e da ricorrenti eventi alluvionali legati ai cambiamenti climatici,

impegnano il Governo:

   a rivedere i criteri di definizione delle aree svantaggiate e montane per l'esenzione dall'IMU dei terreni agricoli, individuando una griglia di criteri definiti sulla base delle caratteristiche pedoclimatiche, per tener conto delle difficoltà oggettive di coltivazione, e sulla base delle caratteristiche socio-economiche delle aree interessate per tener conto degli indici di infrastrutturazione e di organizzazione delle filiere agricole, nonché delle dimensioni e del reddito aziendale;
   ad istituire un tavolo di confronto con le organizzazioni agricole e con gli enti locali per l'individuazione degli indici più rappresentativi dei criteri suddetti;
   ad assumere iniziative per prorogare la data di scadenza del pagamento oltre il termine previsto del 26 gennaio 2016, fino alla definizione dei suddetti criteri, tenuto conto dell'esito dei ricorsi pendenti dinanzi al Tar del Lazio;
   a prevedere specifici interventi finalizzati a sostenere il comparto agricolo e agroalimentare e a promuoverne la competitività, anche avendo riguardo a misure per finanziare la ricerca e l'innovazione in agricoltura;
   ad assumere le iniziative di competenza dirette a favorire la produzione agricola e agroalimentare di qualità, che vive una gravissima crisi economica e occupazionale.
(7-00565) «Terrosi, De Maria, Cenni, Fiorio, Tentori, Carra, Romanini, Oliverio, Venittelli, Cova, Taricco, Antezza, Mongiello, Luciano Agostini, Zoggia, Mariani».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    in base all'articolo 11, comma 4, della direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti, «entro il 31 dicembre 2014, la Commissione esamina le misure e gli obiettivi di cui al paragrafo 2 al fine, se necessario, di rafforzare gli obiettivi e di valutare la definizione di obiettivi per altri flussi di rifiuti»;
    la medesima direttiva all'articolo 3, paragrafo 18, definisce «rigenerazione di oli usati» qualsiasi operazione di riciclaggio che permetta di produrre oli di base mediante una raffinazione degli oli usati, che comporti in particolare la separazione dei contaminanti, dei prodotti di ossidazione e degli additivi contenuti in tali oli;
    in base ai dati del Consorzio obbligatorio olii usati, sulla base della tipologia e della qualità degli oli raccolti, la percentuale di oli usati rigenerabili nel 2012 si attestava intorno all'89 per cento del totale raccolto;
    il 12o considerando della proposta di modifica della direttiva rifiuti (COM 2014/397 finale) afferma che: «Gli obiettivi introdotti dalla presente proposta presuppongono che gli Stati membri incentivino l'uso di materiali di recupero, come carta e legno recuperati, in linea con la gerarchia dei rifiuti, allo scopo di assicurare l'approvvigionamento di materie prime e far sì che l'Unione divenga sempre più una “società del riciclaggio”, e, dove possibile, non favoriscano il collocamento in discarica o l'incenerimento di detti materiali. Gli Stati membri non dovrebbero sostenere l'incenerimento dei rifiuti che possono essere riciclati in maniera tecnicamente ed economicamente fattibile e in condizioni sicure per l'ambiente. È opportuno interpretare in questo contesto il considerando 29 della direttiva 2008/98/CE»;
    il 21o considerando della medesima proposta di revisione della direttiva rifiuti afferma che «L'adeguata gestione dei rifiuti pericolosi continua a porre problemi nell'Unione e i dati riguardanti il loro trattamento sono lacunosi. È pertanto necessario potenziare la registrazione dei dati e i meccanismi di tracciabilità tramite l'introduzione di registri informatici dei rifiuti pericolosi negli Stati membri. La raccolta informatica dei dati dovrebbe essere applicata anche ad altri rifiuti, per semplificare alle imprese e alle amministrazioni la registrazione dei dati e per monitorare meglio i flussi di rifiuti nell'Unione»;
    l'articolo 216-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006, al comma 2, stabilisce che «il deposito temporaneo e le fasi successive della gestione degli oli usati sono realizzati, anche miscelando gli stessi, in modo da tenere costantemente separati, per quanto tecnicamente possibile, gli oli usati da destinare, secondo l'ordine di priorità di cui all'articolo 179, comma 1, a processi di trattamento diversi fra loro»; il medesimo articolo, al comma 7, rimanda alla emanazione di provvedimenti attuativi per quanto riguarda le norme tecniche di trattamento degli olii usati; detti provvedimenti attuativi non risultano essere stati ancora emanati dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
    l'articolo 233 del decreto legislativo n. 152 del 2006 disciplina la gestione degli oli e dei grassi vegetali e animali esausti tramite la creazione del Consorzio obbligatorio (CONOE), ma non fissa alcun criterio per prevenire la miscelazione, accidentale o meno, fra oli vegetali ed oli esausti di altra natura, ad esempio minerali, né, di conseguenza, per monitorare l'eventuale contaminazione del successivo processo di depurazione e rigenerazione degli oli non minerali;
    i lubrificanti, oltre all'olio, contengono il 15 per cento di additivi, che si consuma durante l'utilizzo, e viene in parte disperso nell'ambiente sotto forma di emissioni inquinanti; la parte che non viene dispersa rimane a carico del processo industriale di riciclaggio;
    la consultazione pubblica condotta dalla Commissione europea per la revisione della direttiva quadro sui rifiuti ha mostrato un chiaro supporto per l'introduzione di obiettivi di riciclaggio anche per quanto concerne i rifiuti industriali,

impegna il Governo:

   a fissare obiettivi per la riduzione della percentuale e della pericolosità di additivi non riciclabili negli oli usati, attraverso la ricerca mirata alla sostituzione degli attuali additivi con altri non dannosi;
   ad assumere iniziative per definire i criteri per la verifica del corretto funzionamento degli impianti di depurazione prevenendo la presenza di oli esausti nel ciclo di depurazione;
   ad assumere iniziative per imporre ai gestori della raccolta dei rifiuti urbani l'installazione di apposite postazioni per la raccolta degli oli usati di natura non vegetale o animale, ad esempio derivanti dal cambio olio dell'auto;
   a fissare obiettivi di riduzione, sia della quantità che della pericolosità, per quanto riguarda i rifiuti derivanti dalla raffinazione e dal riciclaggio degli oli usati e a predisporre un programma di monitoraggio ambientale dedicato;
   a fissare criteri per garantire la tracciabilità e la pubblicità delle informazioni lungo tutte le fasi del ciclo produttivo degli oli usati dalla raccolta al riciclaggio, conformemente alla direttiva 2003/4/CE sulle informazioni ambientali;
   a fissare criteri per garantire la tracciabilità delle informazioni relative ai rifiuti prodotti dalla raffinazione e dalla rimozione dagli oli usati degli additivi non riciclabili e/o che causano il maggior impatto ambientale;
   a sostenere, nell'ambito dei negoziati relativi alla modifica della direttiva 2008/98/CE, l'introduzione di obiettivi vincolanti per la raccolta e il riciclo degli oli usati con la finalità di aumentare le percentuali di riciclo entro il 2030.
(7-00563) «Segoni, Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Micillo, Terzoni, Vignaroli, Zolezzi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   nei rifiuti radioattivi si comprendono diverse categorie di rifiuti, fra loro molto diverse, tra cui quelli provenienti dai reattori di ritrattamento del combustibile nucleare, quelli prodotti dallo smantellamenti di vecchi impianti, e gli elementi di combustibile esauriti;
   le scorie nucleari possono essere prodotte nelle centrali nucleari (per la maggior parte), in medicina, e nei siti industriali per le analisi produttive di parti metalliche;
   secondo le norme vigenti è previsto che entro il 31 dicembre 2014 venga definito il sito unico nazionale per lo stoccaggio delle scorie nucleari;
   il 2 gennaio 2015, la Sogin (la società statale per lo smantellamento degli impianti nucleari italiani e la gestione dei rifiuti radioattivi) ha consegnato all'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) la carta delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il deposito nazionale per i rifiuti radioattivi;
   il deposito nazionale, infrastruttura di superficie dove mettere i rifiuti radioattivi, consentirà la sistemazione definitiva di circa 75 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media attività e lo stoccaggio temporaneo di circa 15 mila metri cubi di rifiuti ad alta attività;
   dei circa 90 mila metri cubi di rifiuti radioattivi, ricorda Sogin, il 60 per cento deriverà dalle operazioni di smantellamento degli impianti nucleari, mentre il restante 40 per cento dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca, che continueranno a generare rifiuti anche in futuro;
   la pubblicazione della Carta e quella contestuale del progetto preliminare, spiega la Sogin, «apriranno una fase di consultazione pubblica e di condivisione, che culminerà in un Seminario Nazionale, dove saranno invitati a partecipare tutti i soggetti coinvolti ed interessati»;
   nella mappa realizzata dalla «Sogin», dalle aree considerate sono escluse le aree vulcaniche attive o quiescenti, le località a 700 metri sul livello del mare o ad una distanza inferiore a 5 chilometri dalla costa, le aree a sismicità elevata, a rischio frane o inondazioni e le «fasce fluviali», dove c’è una pendenza maggiore del 10 per cento, le aree naturali protette, che non siano ad adeguata distanza dai centri abitati, quelle a distanza inferiore di un chilometro da autostrade e strade extraurbane principali e ferrovie;
   la Sardegna secondo tutti i piani connessi e richiamati non rientra in alcun modo nelle priorità di esclusione;
   le simulazioni geosatellitari confermerebbero che la Sardegna sarebbe l'unica regione d'Italia a corrispondere a questi criteri individuati;
   sono concrete le possibilità per cui il Governo possa chiedere disponibilità alla Sardegna come sede del «deposito nazionale di scorie nucleari», considerata la ampia presenza di aree non urbanizzate ed a bassa densità abitativa;
   la mappa consegnata dalla Sogin all'Ispra è inspiegabilmente secretata, a tutti i livelli istituzionali, negando così la possibilità ai governi regionali e ai livelli parlamentari di poter sapere quali territori sono stati individuati in via preliminare per la costruzione del deposito nazionale;
   in Sardegna grava il 60 per cento delle servitù militari italiane, con i tre poligoni militari più grandi d'Europa, depositi sotterranei di armi e munizioni, polveriere e aree militari delimitate in tutti i territori;
   l'assessore regionale all'ambiente Donatella Spano e il presidente della regione Sardegna Francesco Pigliaru hanno già fatto sapere di essere fermamente contrari all'ipotesi della costruzione del deposito nazionale di scorie nucleari in Sardegna, così come tutte le principali forze politiche rappresentate nel parlamento nazionale e nel consiglio regionale della regione autonoma della Sardegna;
   il 15 e 16 maggio del 2011, i sardi si sono pronunciati attraverso un referendum consultivo popolare che chiedeva al popolo di esprimersi sulla presenza in Sardegna di centrali nucleari e siti di stoccaggio di scorie radioattive: il referendum ha raggiunto un quorum del 60 per cento (887.347 sardi al voto) che per il 97,1 per cento, (848.691 sardi) ha detto «NO» a centrali nucleari e siti di stoccaggio di scorie nell'isola;
   i sardi, attraverso il voto popolare e la democrazia diretta, hanno quindi deciso di non mettere a disposizione la loro terra, che vivono e lavorano quotidianamente, per la costruzione di impianti di stoccaggio o depositi di scorie nucleari;
   sono tantissime le aree in Sardegna individuate anche dal Governo da sottoporre a bonifica e riconversione ambientale, per cui sarebbe incomprensibile aggiungere ulteriori servitù inquinanti –:
   se il Governo, non ritenga quanto prima di rendere pubblici i documenti e consentire l'accesso agli atti consegnati da Sogin a Ispra il 2 gennaio 2015;
   se non si intenda chiarire in via formale il fatto che la Sardegna, che ha deciso di non accettare depositi e centrali nucleari con referendum popolare, sarà esclusa da qualsiasi ipotesi di destinazione di rifiuti nucleari radioattivi.
(2-00809) «Piras, Pellegrino, Zaratti, Ricciatti, Ferrara, Scotto».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   con la legge 11 marzo 2014, n. 23, il Governo è stato delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge (23 marzo 2014), decreti legislativi recanti la revisione del sistema fiscale;
   in attuazione della legge delega, il Governo ha emanato i seguenti decreti legislativi:
    1) il decreto legislativo 15 dicembre 2014, n. 188, recante disposizioni in materia di tassazione dei tabacchi lavorati, dei loro succedanei, nonché di fiammiferi, attuativo dell'articolo 13 della legge delega;
    2) il decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175, recante disposizioni in materia di semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata, in attuazione dell'articolo 7 della legge delega;
   viceversa, ha ricevuto il prescritto parere dalle Commissioni competenti ma non risulta ancora pubblicato lo schema di decreto legislativo in materia di riforma della commissioni censuarie;
   in data 24 dicembre 2014 il Governo ha deliberato l'adozione dello schema di decreto legislativo in materia di abuso del diritto e riforma del sistema sanzionatorio penale tributario; tuttavia, a seguito di quelli che gli interpellanti ritengono fatti scandalosi relativi al tanto discusso articolo 19-bis, cosiddetto «salva Silvio» (vicenda i cui contorni sono ancora incerti e sulla quale il Governo non ha ancora ritenuto opportuno far chiarezza; a nulla è servito al riguardo il vano tentativo del Movimento 5 stelle di provocare, in sede di conferenza dei capigruppo, l'audizione in Aula del Ministro dell'economia e delle finanze in carica), il Governo ha ritenuto di ritirare lo schema di decreto legislativo rinviandone la presentazione, così confermando la fondatezza delle contestazioni circa l'inopportunità della disposizione normativa (apparentemente – si passi l'eufemismo — ad personam);
   in sostanza, a pochi mesi dalla scadenza del termine annuale fissato per l'attuazione della delega fiscale, il Governo si è limitato all'adozione dei suddetti decreti numeri 188 e 175, attuando quindi soltanto in minima parte, circa il 15 per cento, l'oggetto della delega;
   da oggi e fino al termine di scadenza del 27 marzo 2015, dunque, è prevedibile una spedita e proficua produzione legislativa del Governo diretta all'attuazione della restante parte del contenuto della delega fiscale;
   tuttavia, come dichiarato dallo stesso Governo, la presentazione alle Commissioni competenti del prossimo schema di decreto legislativo (quello del 24 dicembre ritirato e revisionato) è prevista solo per il prossimo 20 febbraio, ovvero all'esito dell'elezione del Presidente della Repubblica e, cosa ancor più importante, a distanza di soli 35 giorni dal termine di scadenza fissato per l'attuazione della delega fiscale;
   considerati i ristretti tempi che restano per la completa attuazione della legge delega, già risultano gravemente compromessi i lavori di Commissione e con essi la stessa partecipazione democratica al procedimento legislativo da parte dei gruppi parlamentari;
   ancor più grave e inaccettabile sarebbe l'eventuale proroga dei termini della legge delega; tale eventualità, peraltro non prevista nella legge delega (che si limita all'articolo 1, comma 8, a prevedere la possibilità per il Governo di adottare decreti legislativi correttivi), costituirebbe ad avviso degli interpellanti una ingiustificata «rimessione in termini» per il Governo, dimostratosi incapace di rispettare il termine fissato nella delega fiscale;
   sconcertante è apparsa invece la condotta ambigua del Governo in merito allo schema di decreto legislativo in materia di riforma del sistema sanzionatorio penale tributario ed in particolare in merito all’«improvvisa apparizione» nel testo del decreto dell'articolo 19-bis; a parte il «teatrino» messo in scena e l'ilarità suscitata a livello internazionale, quanto accaduto, alla vigilia di Natale, mina definitivamente la trasparenza del Governo in carica e dei suoi componenti, inclini secondo gli interpellanti a compromessi e alle più disonorevoli forme di «inciucio»;
   in ogni caso, proprio in merito allo schema di decreto in materia di riforma del sistema sanzionatorio, destano non poche perplessità le scelte prese dal Governo sia in tema di abuso del diritto sia in merito alla riforma del sistema sanzionatorio. Quanto al primo punto, infatti, nel testo dello schema di decreto è contenuta una definizione di base: si ha abuso del diritto quando si è in presenza di operazioni prive di sostanza economica che realizzano vantaggi fiscali indebiti come conseguenza principale dell'operazione e indipendentemente dalle intenzioni del contribuente. Lo scopo perseguito è quello di garantire una maggiore certezza del diritto in tema di elusione. Sennonché, così come delineato nel decreto, il concetto di abuso del diritto appare di non chiara definizione e comprensione lasciando all'interprete il compito di riempirne il contenuto. Il rischio, insomma, è quello di generare incertezze applicative ancor più rilevanti rispetta a quelle derivanti dalla vigente disciplina di cui all'articolo 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973. Quanto invece alla riforma del sistema sanzionatorio, le scelte fatte appaiono agli interpellanti del tutto prive di senso logico e giuridico: la previsione del tetto di mille euro sotto il quale non sono punibili le fatture relative a operazioni inesistenti e le nuove regole sulle dichiarazioni fraudolente, in base a cui «non costituiscono operazioni simulate quelle che hanno dato luogo ad effettivi flussi finanziari annotati nelle scritture contabili obbligatorie», creano una inquietante e ingiustificata area di non punibilità a tutto vantaggio dei grandi evasori (si pensi alle banche e alla mole di contenziosi tributari attualmente in atto); a ridurre ulteriormente l'area della punibilità è poi la previsione, contenuta nelle medesime disposizioni, che considera penalmente rilevanti solo le condotte che si avvalgono di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei non solo «ad ostacolare l'accertamento» ma anche – e congiuntamente – a «indurre in errore amministrazione finanziaria» (mentre non assumono più alcun rilievo le falsità presenti nelle scritture contabili); per non parlare poi della depenalizzazione della dichiarazione infedele sotto il «tetto» dei 150 mila euro (triplicato rispetto alle norme ora in vigore) sotto il quale non sarà più reato evadere le imposte sui redditi o l'Iva. Misure, queste, che secondo gli interpellanti non trovano alcuna razionale giustificazione e finiscono per favorire l'evasione dei redditi ed, in particolare, quella perpetrata e reiterata dei grandi evasori, nonché per escludere o limitare il disvalore penale di condotte in corso di accertamento e di condanne già emesse, ad avviso degli interpellanti in spregio ai principi costituzionali di univocità e uguaglianza delle leggi (a parte Silvio Berlusconi, si pensi alla posizione degli ex di Unicredit, Alessandro Profumo, e di Intesa San Paolo, Corrado Passera, entrambi rinviati a giudizio per frodi fiscali). Del resto, basti pensare alle osservazioni (rectius, critiche) espresse dall'Agenzia delle entrate che, esaminando il contenuto del decreto e le scelte adottate dal Governo, ha paventato il concreto rischio di una perdita di gettito stimabile in ben 16 miliardi di euro, conseguente in particolar modo dalle disposizioni in tema di raddoppio dei termini di accertamento (misura, purtroppo, anch'essa fortemente limitata dalle nuove disposizioni contenute nello schema di decreto) –:
   quali ragioni di politica sanzionatoria e fiscale abbiano indotto il Governo all'adozione delle descritte e contestate misure contenute nello schema di decreto legislativo presentato il 24 dicembre e come valutino al riguardo le osservazioni critiche sollevate dall'Agenzia delle entrate in merito alla possibile perdita di gettito di 16 miliardi e se e quali misure di contrasto intendano adottare;
   in merito alla nuove soglie di punibilità e alla condizione di punibilità di cui all'articolo 19-bis e alla soglia del 3 per cento ivi prevista, se siano stati quantificati preventivamente gli effetti della disposizione, la platea dei possibili beneficiari, il numero dei procedimenti penali tributari pendenti relativi a maggiori imposte ed imponibili inferiori alle soglie previste, e quali siano i dati e le risultanze acquisite al riguardo;
   come si giustifichi la scelta di rinviare al 20 febbraio la presentazione dello schema di decreto legislativo in materia di abuso del diritto e riforma del sistema sanzionatorio penale tributario, che al momento appare agli interpellanti solo uno scandaloso baratto che allunga la propria ombra sinistra sulle dinamiche e sulle scelte politiche e istituzionali che presto attendono il Paese;
   se non ritengano opportuno procedere con speditezza considerati i ristretti tempi che residuano per l'attuazione della delega fiscale ed al fine di garantire la proficuità dei lavori di commissione;
   come giustifichi il ritardo nell'attuazione della delega fiscale e se non ritengano opportuno, considerata l'imminente scadenza del 27 marzo 2014, rinunciare all'attuazione di parte del contenuto della delega, rimettendo la materia all'iniziativa parlamentare.
(2-00811) «Pesco, Ruocco, Cancelleri, Barbanti, Alberti, Pisano, Villarosa».

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   l'utilizzo del sistema delle «fonti» ha storicamente costituito e tuttora costituisce tanto per i servizi di sicurezza, quanto per le forze di polizia, un valido strumento di acquisizione di informazioni che — analizzate, elaborate e riscontrate — hanno consentito e consentono secondo le finalità precipue delle singole autorità, la creazione di un efficace sistema di controllo e prevenzione delle attività perniciose per l'interesse nazionale, ovvero di repressione delle attività criminose; a tal riguardo, ed a titolo puramente indicativo, basti considerare che in base ad uno studio statistico pubblicato dall'Arma dei carabinieri qualche anno fa (Rassegna dell'Arma, anno 2009, n. 4), molto significativo nei contenuti anche in ordine alle esigenze avvertite dagli operatori, il 28 per cento delle notizie sono acquisite dagli ufficiali di polizia giudiziaria nel corso delle indagini proprio attraverso il canale degli informatori; in base alla medesima statistica importante risulta anche la frequenza con cui gli informatori sono consultati in quanto ben il 36 per cento degli intervistati ha dichiarato di consultarli «sempre» o «spesso»; il 41 per cento, «qualche volta» e solo il 22 per cento «raramente» o «mai»;
   la gestione delle fonti solleva diverse questioni in ordine: al sistema di reclutamento; alla verifica dell'affidabilità; alla natura dell'attività richiesta alla fonte; alla retribuzione;
   recenti accadimenti — alcuni riferiti anche dalla stampa nazionale, a tal riguardo leggasi i numerosi articoli apparsi, ad esempio, sull'arresto di Paolo Oliverio (uno fra tutti, «Il fiscalista amico dei Servizi, dalla corte di Pollari ai ricatti» di Carlo Bonini pubblicato su La Repubblica del 13 gennaio 2014) — hanno posto il tema della gestione delle fonti come prioritario. Infatti i soggetti «messi in prova» dai servizi di sicurezza hanno millantato poteri e prerogative con il risultato di gettare discredito sulle istituzioni;
   constano all'attenzione del Ministero dell'interno e del Ministero della giustizia casi in cui i soggetti — dopo aver collaborato in indagini con gli organi della polizia di Stato e con la piena consapevolezza del magistrato inquirente — chiedono il pagamento delle spettanze conseguenti alla prestazione di tale attività in favore degli organi dello Stato; in particolare, è pendente innanzi al tribunale di Lecce, seconda sezione civile, R.G. n. 4442/2014, G.I. dottoressa Maria Gabriella Perrone, una causa avente ad oggetto la richiesta di compenso da parte di un soggetto incaricato dalla procura di Taranto e dalla polizia di Stato, sezione di P.G. presso il tribunale di Taranto, di svolgere una vera e propria attività investigativa in un'indagine di «traffico internazionale di valuta americana» marginata dalla procura di Taranto al R.G.N.R. 382/2008 (Quotidiano di Puglia — Edizione di Taranto del 3 aprile 2013, pagine 16 e 17; Quotidiano di Puglia — Edizione di Taranto del 4 aprile 2013; pagina 18);
   resta fondamentale capire quali vantaggi possano trarre le fonti da una collaborazione con i servizi di sicurezza e/o con le forze di polizia; in particolare, ove tali vantaggi si traducano in vere e proprie forme di retribuzione, occorre chiarire quali sistemi di controllo esistono affinché l'attribuzione di danaro venga effettivamente percepita dalla fonte impedendo che funzionari fedifraghi trattengano illecitamente per sé parte di quanto promesso alla fonte;
   assume importanza chiarire queste tematiche anche al fine di mantenere la giusta credibilità tanto ai servizi di sicurezza quanto alle forze di polizia e consentire che continui la collaborazione con le fonti tanto utili alla stesse attività istituzionali;
   non si rinviene un atto normativo, ovvero un atto amministrativo regolamentare che disciplini tali aspetti; così come, sopratutto nelle forze di polizia, gli operatori denunciano anche la mancanza di formazione nella gestione delle fonti –:
   quali iniziative si intendano immediatamente adottare al fine di regolamentare l'attività di gestione delle fonti, in particolare sotto l'aspetto dell'acquisizione della fonte, della valutazione dell'affidabilità, nonché in relazione alle tematiche della retribuzione della fonte medesima e del controllo della correttezza delle dazioni di denaro ad esse destinate.
(2-00806) «Petraroli».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   AGOSTINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la giunta regionale delle Marche, con delibera n. 1308 del 3 agosto 2009, ha statuito in ordine all'accertamento della conformità urbanistica ed edilizia delle varianti apportate al progetto preliminare per il collegamento del porto di Ancona con la grande viabilità (uscita ovest) rispetto alle norme e previsioni del piano regolatore generale e del piano particolareggiato esecutivo del porto di Ancona, ai sensi dell'articolo 165, comma 5, del decreto legislativo n. 163 del 2006, decidendo di chiedere al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di applicare il dispositivo di cui al punto b), comma 6, dell'articolo 165 del decreto legislativo n. 163 del 2006, allo scopo di provvedere ad una nuova valutazione del progetto preliminare ed alla eventuale proposta alternativa;
   nel predetto atto collegiale la giunta regionale, in particolare, addiveniva alle seguenti conclusioni: «l'accertamento effettuato di conformità urbanistica ha dato risposta negativa, salvo alcune compatibilità e, visto anche il parere del Comune di Ancona, di ritenere che non sussistano i requisiti normativi e di regolamento per approvare il progetto in variante alle norme e previsioni degli strumenti urbanistici vigenti nel Comune di Ancona»;
   la non conformità rilevata dalla giunta riguardava le seguenti parti del progetto preliminare: a) assi stradali; b) pianificazione urbanistica di aree diverse dalla strada; c) espropri, interferenze ed elenco fabbricati da demolire; d) piano dei cantieri, cave di prestito e siti di sistemazione delle terre di esubero;
   in particolare, con riguardo alle difformità riguardanti le cosiddette «interferenze» (parte c) del progetto preliminare), si deliberava «di prendere atto dei pareri sulle interferenze acquisiti in istruttoria da: Autorità Portuale, RFI-Direzione Compartimentale di Ancona, Multiservizi Ancona .... Di prendere atto che in questi pareri sono esposti motivi concreti di riserva sul progetto interferenze e demolizioni e quindi di confermare la prescrizione formulata dalla P.F. Pianificazione Urbanistica di recepirli così come sono riportati testualmente nel documento istruttorio del documento istruttorio»;
   nel documento istruttorio della stessa dgr 1308/2009 è, tra gli altri, riportato il parere dell'autorità di bacino di Ancona; nelle conclusioni di tale parere si legge: «Appare evidente che il primo tratto dell'opera in progetto (viadotto “Enrico Mattei” e imbocco nord della galleria “Palombella”) interferisce con l'area in frana identificata nel PAI con il codice F-13-0152 (“Palombella”), mentre più avanti il tracciato interferisce in termini significativi con il solo dissesto PAI F-12-0004 (“Ghettarello”), mentre possono essere considerate meno significative le interferenze con gli altri dissesti in quanto le rispettive quote (galleria/discontinuità di versante) appaiono compatibili;
   dai documenti tecnici acquisiti (elaborati Prof. Cotecchia e Prof. Mazzotti) e dagli atti formali approvati (PAI e Piano AERCA) risultano inoltre sussistere presupposti tali da far ritenere che, anche in assenza e nelle more di riperimetrazione formale, il primo tratto del tracciato interferisca con una propaggine della grande frana di Ancona del 1982 (attualmente individuata dal PAI, con perimetro più ridotto, con cod. F-13-0154);
   per quanto sopra, si richiede che gli studi geologici allegati al progetto di collegamento viario Porto-A14 redatto dall'ANAS Spa siano resi pienamente confermi al DM LLPP 11 marzo 1988 (“Norme tecniche riguardanti le indagini sui terreni e sulle rocce, la stabilità dei pendii naturali e delle scarpate, i criteri generali e le prescrizioni per la progettazione, l'esecuzione e il collaudo delle opere di sostegno delle terre e delle opere di fondazione”) ed alla successiva Circolare LL.PP. 24 settembre 1988, n. 30483 (“Istruzioni per l'applicazione del DM LLPP 11 marzo 1988”) (e successive integrazioni e modificazioni);
   per quanto riguarda in particolare l'interferenza con il contesto geologico della Rupe della Palombella, si ritiene che le indagini di cui sopra siano indispensabili per confermare lo scenario di pericolosità (ex ante) indicato dagli studi condotti dal Comune di Ancona, per altro citati nella bibliografia “relazione geologica” – elaborato T00 GE00 GEO RE01 – contenuta nel progetto, ovvero per dimostrare eventuali difformità da tali esiti, nonché per definire gli scenari conseguenti alla realizzazione dell'opera in progetto (ex post);
   a conclusioni della suddetta analisi dovrà comunque risultare la coerenza tra gli accertamenti conseguiti (il modello geometrico, geotecnico e cinematico di cui si dimostri l'affidabilità) e le scelte progettuali (...);
   tali approfondimenti sono prodromici all'attuazione della previsione del Piano di Risanamento AERCA – punto N.1.1 – concernente appunto la realizzazione del collegamento diretto Porto-A14, che prevede una “adeguata attenzione alle problematiche ambientali”;
   allo stato delle conoscenze attuali, e nelle more degli esiti degli approfondimenti sopra richiesti (rispetto del DM LLPP 11 marzo 1988 e attuazione del Piano AERCA), si ritiene che non sussistano elementi conoscitivi adeguati ed univoci per l'espressione di un parere positivo sulla realizzazione del progetto così come presentato;
   per quanto sopra esposto è evidente che le linee di intervento individuate dal Piano di Risanamento dell'AERCA pongono un diretto collegamento tra le necessarie azioni conoscitive e le procedure tecnico amministrative da programmare ed attuare preliminarmente sia per la mitigazione del rischio della “grande frana” di Ancona (E3.1) sia per la realizzazione del collegamento viario in progetto (N1.1);
   quanto sopra relazionato e concluso è perfettamente coerente con quanto evidenziato in particolare anche dalla Commissione VIA al punto 10 della richiesta di integrazione del 24 novembre 2005 nel quale è stato richiesto di “meglio approfondire le problematiche relative alle interferenze del tracciato con la Grande Frana di Ancona, anche in riferimento alla fase di cantiere, tenendo conto degli studi esistenti (studio del prof. Cotecchia e relativa linea sismica, studio del prof. Marroni dell'Università di Milano)”;
   tale richiesta fondamentale è stata poi rimandata alla successiva fase della progettazione definitiva con la prescrizione n. 19 del parere di compatibilità della Commissione VIA del 31 marzo 2006, laddove è solamente previsto di “Tenere conto degli eventuali eventi franosi che abbiano danneggiato o comunque coinvolto nelle aree prossime al tracciato delle gallerie, con particolare riguardo all'imbocco della galleria Palombella, mediante l'analisi della documentazione disponibile presso gli enti competenti. Dovranno, inoltre, reperirsi, ove esistenti, dati storici riguardanti misure di monitoraggio eseguite in passato nelle stesse aree”;
   in realtà si ritiene che tale prescrizione e gli interventi previsti dal Piano di Risanamento dell'AERCA, tra l'altro considerato in bozza e minimamente considerato nel parere della Commissione VIA, non possa essere stabilita nella valutazione del progetto definitivo;
   infatti, lo scenario di pericolosità indicato dagli studi condotti dal Comune di Ancona, se fosse riconfermato dagli approfondimenti richiesti sia dalla Commissione VIA che dal Piano di risanamento regionale, non consente contrariamente a quanto dichiarato dal proponente l'attuazione di localizzati accorgimenti progettuali volti ad aumentare la stabilità del pendio, rendendosi invece necessari consistenti interventi di stabilizzazione dell'intero versante, tra l'altro già individuati dal Prof. Cotecchia, senza i quali non sarebbe ipotizzabile la realizzazione dell'opera in progetto in termini di sicurezza di medio lungo periodo;
   infine si ricorda che il Ministero dell'ambiente nell'ambito della valutazione della compatibilità ambientale del progetto di realizzazione del Porto turistico di Ancona, in località Borghetto, a seguito della domanda di pronuncia di compatibilità presentata dalla Società Marina Dorica S.p.a., che prevedeva la realizzazione del porto turistico articolata in due lotti, funzionali indipendenti, ha espresso – in data 25 febbraio 1994 – “giudizio negativo circa la compatibilità ambientale del progetto relativo al II lotto in quanto questa potrà essere valutata solo dopo l'avvenuta esecuzione di un progetto di stabilizzazione dell'area dissestata e nell'ambito di un giudizio più generale di pianificazione territoriale dell'entro fascia territoriale”»;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, aderiva alla proposta della giunta regionale, costituendo il collegio tecnico di cui all'articolo 165 comma 6 punto b) del decreto legislativo n. 163 del 2006; i lavori del collegio tecnico si concludevano in data 22 ottobre 2009, così realizzando l'intesa tra Stato e regioni;
   nell'esprimersi sulle motivazioni addotte dalla 71 regione Marche, nella dgr 1308/2009, quali ragioni di dissenso al raggiungimento dell'intesa Stato-regione, il collegio tecnico ometteva di prendere posizione sul parere negativo già espresso dalla Autorità di bacino in data 18 maggio 2009 su richiesta della P.F. pianificazione urbanistica del 1o aprile 2009, nell'ambito della procedura di valutazione d'impatto ambientale;
   si trattava di parere vincolante ai fini della compatibilità dell'opera progettata con la pericolosità delle aree di versante in dissesto, previsto dalle norme di attuazione del PAI (articolo 12, comma 3, lettera j));
   le conclusioni cui giungeva il collegio tecnico costituivano intesa tecnica ed amministrativa tra lo Stato e la regione e, quindi, documenti di riferimento per il presidente della regione in sede di CIPE;
   le predette conclusioni venivano condivise e recepite con successiva delibera di giunta regionale n. 1919 del 16 novembre 2009 –:
   se l'autorità di bacino sia stata invitata al tavolo tecnico per chiarire la propria posizione già espressa con il parere del 18 maggio 2009 e quali altri soggetti, già consultati nell'istruttoria, abbiano partecipato alle riunioni del medesimo collegio tecnico a mezzo dei loro rappresentanti;
   per quali ragioni la determinazione del collegio tecnico e quindi la delibera di giunta regionale che l'ha recepita abbiano omesso di motivare in merito al citato parere vincolante dell'autorità di bacino e se tale omissione non costituisca grave violazione di legge, nonché vizio di eccesso di potere sub specie di difetto di istruttoria/omessa motivazione, di per sé sufficiente all'esercizio dei poteri di autotutela diretti alla revoca della determinazione del collegio tecnico finalizzata al rinnovo dell'istruttoria. (5-04439)


   PRODANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 21 novembre 2014 è stato firmato a Palazzo Chigi l'Accordo di programma per la messa in sicurezza, la riconversione industriale e lo sviluppo economico produttivo nell'area della Ferriera di Servola (Trieste);
   il documento – previsto dall'articolo 7, comma 2, dell'Accordo di programma del 30 gennaio 2014 per la disciplina degli interventi relativi alla riqualificazione delle attività industriali e portuali e del recupero ambientale dell'area di crisi industriale complessa di Trieste – è stato sottoscritto – alla presenza del Presidente del Consiglio – dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dal Ministro dello sviluppo economico, dalla Presidente della regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, dalla presidente dell'autorità portuale di Trieste, Marina Monassi e da Giovanni Arvedi per conto della Siderurgica Triestina srl, l'azienda che ha acquistato la Ferriera dopo il periodo di commissariamento;
   l'articolo 6 dell'Accordo di programma del 30 gennaio 2014 condiziona il trasferimento del sito della Ferriera di Servola al possesso – da parte dell'acquirente – dei requisiti soggettivi di cui 252-bis, commi 4 e 5 del decreto legislativo n.152 del 3 aprile 2006, noto come Codice dell'ambiente;
   secondo quanto stabilito dal comma 4 del sopracitato articolo, i soggetti con i quali vengono stipulati gli accordi di programma non devono essere responsabili della contaminazione del sito oggetto degli interventi di messa in sicurezza e bonifica, riconversione industriale e di sviluppo economico produttivo, tenuto conto anche dei collegamenti societari e di cariche direttive ricoperte nelle società interessate o ad esse collegate;
   l'amministratore della Siderurgica Triestina Srl, Francesco Rosato, è stato rinviato a giudizio nel 2013 – presso il tribunale di Grosseto – con l'accusa di smaltimento illecito di rifiuti in relazione a un'indagine che coinvolge la sua direzione dello stabilimento di Servola sotto la precedente gestione Lucchini;
   il comma 5 dell'articolo 252-bis, del decreto legislativo n. 152 del 2006 prevede l'esenzione dalle responsabilità della contaminazione del sito oggetto degli interventi di messa in sicurezza e bonifica – ai fini della stipula di relativi accordi di programma – ove esiste uno specifico piano finanziario presentato dal soggetto interessato a garanzia della sostenibilità economica degli interventi, in misura non inferiore a dieci anni;
   tale previsione, quindi, non risulterebbe soddisfatta in quanto l'allegato 5 «Piano industriale finanziario» all'allegato B dell'Accordo di programma del 21 novembre 2014, prevede una mera elencazione delle principali voci di investimento da realizzarsi nel triennio 2014-2016;
   potrebbe, pertanto, configurarsi la nullità dell'Accordo sottoscritto il 21 novembre 2014 in quanto alcuni dei requisiti previsti dal Codice dell'ambiente appaiano disattesi –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del summenzionato procedimento giudiziario a carico di Francesco Rosato, amministratore della Siderurgica Triestina Srl, e se questo fatto — insieme alla mancata presentazione di un piano decennale riguardo la sostenibilità economica degli interventi previsti – possa eventualmente pregiudicare l'accordo di programma siglato con la suddetta società;
   alla luce di quanto esposto, se e come intendano garantire il rispetto delle disposizioni previste dall'articolo 252-bis del Codice dell'ambiente e dal principio di responsabilità ambientale riconosciuto a livello comunitario secondo «chi inquina paga». (5-04441)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZARATTI, PELLEGRINO, RICCIATTI e FERRARA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 2 gennaio 2015, la SOGIN ha consegnato l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) la proposta di carta delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) ad ospitare il deposito nazionale e parco tecnologico, redatta sulla base della, guida tecnica n. 29 dell'ISPRA, del 4 giugno 2014, recante «Criteri per la localizzazione di un impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività»;
   l'ISPRA ha due mesi di tempo per verificare la corretta applicazione dei criteri da parte di Sogin e validare la carta delle aree potenzialmente idonee;
   la pubblicazione della suddetta carta apriranno una fase di consultazione pubblica, con un seminario nazionale, dove saranno invitati a partecipare i soggetti interessati. Successivamente, sempre la Sogin, potrà presentare, entro sessanta giorni, la proposta finale della carta per essere definitivamente approvata dai Ministeri competenti, sentito nuovamente il parere dell'ISPRA che si dovrà esprimerà entro i successivi sessanta giorni;
   il deposito nazionale è un'infrastruttura ambientale di superficie dove mettere in sicurezza i rifiuti radioattivi. La sua realizzazione consentirà di completare il decommissioning degli impianti nucleari italiani e di gestire tutti i rifiuti radioattivi, compresi quelli provenienti dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca;
   la carta delle arte potenzialmente idonee (CNAPI) consegnata all'Ispra dalla Sogin, è inspiegabilmente mantenuta segreta, impedendo così, perlomeno agli organi istituzionali locali e centrali, di poter intanto essere messi a conoscenza di quali territori sia pure in via preliminare – sono stati individuati dalla medesima Sogin per la realizzazione del suddetto deposito nazionale –:
   se non si ritenga indispensabile e doveroso rendere pubblica la carta delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) ad ospitare il deposito nazionale e parco tecnologico, al fine di consentire legittimamente ai soggetti interessati una prima valutazione sui siti individuati. (4-07486)


   PRODANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 13 dicembre 2014 è diventato applicabile il regolamento dell'Unione europea n. 1169 del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori;
   il suddetto regolamento comporta degli obblighi precisi di informazione verso i consumatori da parte degli operatori del settore alimentare in tutte le fasi della filiera produttiva;
   l'obbligo da parte degli operatori del settore di fornire specifiche informazioni circa la presenza di sostanze o prodotti che provocano allergie o intolleranze utilizzati nella fabbricazione o nella preparazione di alimenti è previsto sia per i preimballati come per i non preimballati;
   la modalità principale di assolvere all'obbligo d'informazione prevista dall'articolo 9 del regolamento, ovvero la forma scritta, trova facile applicazione per quanto riguarda gli alimenti preimballati – soprattutto con apposite etichette –, ma lo stesso non si può dire per gli alimenti venduti senza preimballaggio (ad esempio nelle imprese di ristorazione, bar, pasticcere, panetterie, gastronomie, macellerie, pizzerie, mense, catering, hotel e agriturismi);
   l'articolo 44, paragrafo 2, del regolamento prevede la possibilità per gli Stati membri, previa autorizzazione da parte della Commissione europea, di introdurre delle disposizioni nazionali concernenti i mezzi con i quali rendere disponibili le informazioni relative agli alimenti non preimballati;
   diversi Stati membri dell'Unione europea, tra cui il Regno Unito, dopo aver comunicato e ottenuto dalla Commissione europea la relativa autorizzazione, hanno introdotto delle norme specifiche sulla materia consentendo di fatto agli operatori del settore di fornire l'informazione dettagliata sugli alimenti non preimballati ai consumatori tramite una presentazione orale in alternativa a quella scritta;
   non risulta essere stata intrapresa alcuna azione formale dal Governo italiano per ottenere l'autorizzazione da parte della Commissione europea – ai sensi dell'articolo 44, paragrafo 2, del regolamento – finalizzata a consentire presentazioni alternative alla sola forma scritta relativa alla presenza di sostanze allergene negli alimenti offerti in vendita senza preimballaggio;
   l'obbligo della sola informazione scritta, senza la possibilità di optare per una presentazione orale, rischia di comportare un danno economico alle circa 300 mila imprese italiane del settore – la cui offerta di ingredienti, spesso relativa alla stagione, non sempre si presta a standardizzazioni nel menu scritto – con delle possibili ricadute negative anche sulla competitività del sistema turistico del nostro Paese –:
   se il Governo intenda promuovere presso la Commissione europea un'azione ai sensi dell'articolo 44, paragrafo 2, del regolamento relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, in modo da poter introdurre delle disposizioni nazionali sulla materia che consentano alle imprese di scegliere, nel rispetto del principio di garantire un'informazione chiara e comprensibile al consumatore, tra opzione scritta e orale. (4-07495)


   PESCO, ALBERTI e VILLAROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   tra le banche oggetto degli stress test da parte della Bce, la Banca popolare di Vicenza, nel proprio organigramma può contare sull'ex ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio e su Giannandrea Falchi, capo della segreteria particolare di Mario Draghi quando questi era Governatore; dopo l'aumento di capitale completato quest'anno dalla Popolare di Vicenza che la Banca centrale europea aveva valutato non sufficiente a raggiungere la soglia capitale utile prevista in condizioni di stress, il 23 ottobre 2014, la Banca centrale europea ha comunicato confidenzialmente il risultato del Comprehensive Assessment, l'esercizio contabile a cui sono state sottoposte tutte le banche europee, alla Banca popolare di Vicenza che in quella data aveva un buco tecnicamente uno shortfall, di 223 milioni di euro;
   il 25 ottobre 2014 infatti, alla vigilia dell'annuncio ufficiale al mercato, la Banca popolare di Vicenza ha convocato un Consiglio di amministrazione straordinario che ha deliberato «l'irrevocabile conversione del prestito obbligazionario di 253 milioni sottoscritto nel 2013», tappando quel buco rilevato dalla Bce, con una campagna di riacquisto (buyback), di azioni proprie, campagna che si era conclusa il 30 settembre 2014 con il conseguente abbattimento del capitale della banca di 194,90 milioni, cifra che aveva portato l'istituto di credito sotto la soglia minima prevista del 5,5 per cento, salvando così la banca vicentina dalla bocciatura, grazie ad una misura sul capitale presa dopo il termine del 30 settembre scorso previsto dalla Bce per il suo esercizio contabile;
   con l’«irrevocabile conversione» di un bond di 253 milioni decisa da Bpvi sabato sera 25 ottobre 2014, con un Consiglio di amministrazione straordinario convocato a meno di 24 ore dalla comunicazione ufficiale dei risultati degli stress test Bce, l'istituto vicentino riesce a superare in extremis la soglia del 5,5 per cento che la Banca centrale europea di Mario Draghi aveva stabilito come soglia minima in condizioni di stress, trasformando un'obbligazione che rendeva il 5 per cento in un'azione, difficilmente liquidabile ed il cui valore non è determinato dai mercati, ma dalla stessa banca e dai cosiddetti «esperti» notoriamente a libro paga dei committenti;
   ancora una volta sulla pelle dei risparmiatori, ignari dei rischi ai quali possono andare incontro quando sottoscrivono azioni e/o obbligazioni bancarie, e con la complicità delle Autorità di vigilanza, vengono compiute operazioni che potrebbero integrare violazione di gravissimi reati, che l'associazione a tutela di consumatori e risparmiatori (Adusbef) ha chiesto di accertare in esposti-denunce ad alcune procure della Repubblica, tra le quali la procura di Vicenza;
   come ha scritto Claudio Gatti nell'inchiesta a cui si fa riferimento pubblicata il 27 ottobre ed il 4 novembre 2014 sul quotidiano Il Sole-24 Ore, oltre ad avere come vice-presidente l'ex ragioniere dello Stato Andrea Monorchio, nella primavera del 2014 la BPVI ha fatto un altro acquisto rilevante assoldando infatti, nel consolidato sistema di porte girevoli tra vigilanti e vigilati, il dottor Giannandrea Falchi, capo della segreteria particolare di Mario Draghi quando questi era Governatore, dotandolo di un sontuoso ufficio nel palazzo di Largo Tritone recentemente acquistato dalla Bpvi nel pieno centro di Roma, inaugurato il 19 settembre 2013 ed un pacchetto di remunerazione quantificato in 300 mila euro con tanto di macchina e autista, assegnandogli il ruolo di «consigliere alle relazioni istituzionali e internazionali»;
   come scrive Gatti: «Sia Banca d'Italia sia Consob hanno fascicoli aperti su quell'aumento di capitale completato quest'anno dalla Popolare di Vicenza che la Banca Centrale Europea ha valutato non sufficiente a raggiungere la soglia di capitale utile prevista in condizioni di stress. Il 23 ottobre scorso Francoforte ha comunicato confidenzialmente a Vicenza il risultato del Comprehensive Assessment, l'esercizio contabile a cui sono state sottoposte tutte le banche europee. E in quella data l'istituto risultava avere un buco, o shortfall, di 223 milioni di euro. Due giorni dopo, alla vigilia dell'annuncio ufficiale al mercato, la Bpvi ha convocato un Cda d'emergenza che ha deliberato “l'irrevocabile conversione del prestito obbligazionario di 253 milioni sottoscritto nel 2013”. Con questa conversione, la banca ha tappato il buco, che la Bce aveva notato essere stato creato da una campagna di riacquisto, o buyback, di azioni proprie. Quella campagna si era esaurita il 30 settembre 2014 con il conseguente abbattimento del capitale della banca di 194,90 milioni, cifra che aveva portato la banca sotto la soglia minima prevista del 5,5 per cento. A Il Sole-24 Ore risulta che lunedì scorso, Banca d'Italia abbia inviato a Vicenza una lettera in cui chiede informazioni sull'aumento capitale, il successivo buyback e la loro contabilizzazione. Né Banca d’ Italia né Bpvi hanno voluto confermare o smentire. L'istituto vicentino si è limitato a confermare al giornale che “l'interlocuzione con Banca d'Italia, come succede alle altre banche, è frequente sulle più svariate tematiche di vigilanza”. La banca ci ha inoltre ufficialmente informati di aver saputo per la prima volta dello shortfall di 223 milioni soltanto il 23 ottobre. Il che solleva una domanda: come mai nessuno ha notato prima quel buco visto che per accertare la posizione delle banche rispetto alle soglie i numeri venivano continuamente fatti ’girare’ sin da agosto ?...” La Consob, ha un fascicolo aperto sulla Bpvi. “Consob ha avviato verifiche volte ad accertare la correttezza dei comportamenti dell'intermediario. Sotto esame, in particolare, c’è l'adeguatezza delle procedure interne alla Popolare di Vicenza in materia di collocamento di strumenti finanziari presso la clientela...”. La questione dello smobilizzo dei titoli Bpvi non interessa ovviamente solo alla Consob, ma anche ai sottoscrittori. Essendo la Vicenza una banca non-quotata, i suoi titoli possono essere infatti ceduti solo se c’è un compratore. Che nel caso dell'operazione di buyback sopra citata è stata la banca stessa. Quando abbiamo chiesto alla Bpvi un commento sulle voci circolanti a Vicenza che i titoli non si riescono a vendere, ci è stato risposto che “storicamente il socio della BPVI è sempre riuscito a liquidare il proprio investimento nel corso dell'anno al prezzo determinato dall'ultima Assemblea”. L'istituto vicentino ha però anche precisato che “negli ultimi due anni sono stati effettuati due importanti aumenti di capitale che hanno probabilmente influito sulla tempistica del processo di evasione delle richieste”. Uno dei sottoscrittori che da mesi sta pagando le conseguenze di questa nuova tempistica è Giuseppe Serafini, un pensionato vicentino con quasi tremila titoli. Serafini è il classico socio di una banca popolare: cittadino locale che investe i propri risparmi in una banca che a sua volta investe nel territorio. Senza ambizioni speculative o aspettative smisurate. Dividendi ragionevoli, è tutto ciò che si è sempre aspettato. E che per lungo tempo ha avuto. Ma ora non più. Ha difatti asserito che “Sono anni che non riceviamo più dividendi. E adesso non riesco più a vendere. Sono cinque mesi che ho dato mandato di vendere titoli per 100 mila euro. Ma non sono mai riusciti a venderle. E per i titoli di mia moglie è lo stesso. Avevano sempre detto che nel giro di due o tre mesi quei titoli si sarebbero venduti... invece niente. Adesso aspetto, anche perché non posso fare altro”»;
   gli interroganti si chiedono vi siano collegamenti tra l'assunzione di Giannandrea Falchi, la comunicazione anticipata dell'esame Bce, la convocazione straordinaria del Consiglio di amministrazione per deliberare la conversione di un tranquillo prestito obbligazionario di 253 milioni di euro in più rischiose azioni Banca popolare di Vicenza dal valore autoreferenziale fissato al prezzo convenzionale di 62,50 euro cadauno, l'acquisto del prestigioso Palazzo Repeta, storica sede di Banca d'Italia chiusa per 5 anni perché non aveva acquirenti, piazzata alla Banca popolare di Vicenza al prezzo richiesto di 9 milioni di euro nella scorsa primavera;
   tale conversione di obbligazioni in azioni BPVI, ad avviso degli interroganti, ha penalizzato i piccoli risparmiatori, che hanno difficoltà nella vendita delle stesse in caso di bisogno di liquidità;
   le condotte denunciate potrebbero coinvolgere dirigenti della Banca d'Italia e della Banca centrale europea, in un sistema collaudato di «porte girevoli» tra controllati e controllanti, che hanno costretto investitori in bond a diventare soci forzati di azioni difficilmente vendibili, quindi privi di liquidità, come confermato anche da alcune testimonianze rese alla lodevole inchiesta di cui in premessa, appaiano di dubbia legittimità;
   il fatto che il valore delle azioni BPVI sia stato deciso e fissato da consulenti retribuiti dalla banca stessa, così come in altre situazione simili, sembra configurare un grave conflitto di interessi vista la possibilità di poter assegnare un valore gonfiato ed arbitrario rispetto a quello di mercato, per di più sommato all'obbligo di acquistare azioni, per accedere ai servizi bancari dello stesso istituto –:
   quale sia l'orientamento del Governo sui fatti esposti in premessa;
   quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano assumere a tutela dei risparmiatori che, come nel caso di specie, sono stati penalizzati dall'ennesima discutibile operazione bancaria;
   quali iniziative urgenti anche normative, il Governo intenda attivare, per evitare che il sistema di «porte girevoli» tra la Banca d'Italia e le banche controllate, che ad avviso degli interroganti ha già provocato gravissimi danni a risparmiatori, azionisti, consumatori ed utenti dei servizi bancari costretti a pagare costi di gestione dei conti correnti pari a 371 euro l'anno contro una media dell'Unione europea di 114 e tassi sui mutui prima casa in media del 4,75 (dati di settembre 2014), il cui spread di 149 punti base genera un esborso di 30.000 euro su ogni mutuo trentennale di 100.000 euro, abbiano a ripetersi;
   quali iniziative urgenti anche di carattere normativo intenda adottare perché sia rafforzata la vigilanza sugli istituti di credito alla luce di quanto emerge periodicamente;
   quali iniziative normative urgenti intenda attivare per evitare che i diversi conflitti d'interesse descritti nelle premesse abbiano a ripetersi. (4-07506)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PORTA e AMENDOLA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto Italo Latino Americano (IILA), istituito nel 1966 con una convenzione internazionale tra l'Italia e venti Paesi latinoamericani (Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Haiti, Honduras, Messico, Nicaragua, Panama, Paraguay, Perù, Repubblica Dominicana, Uruguay e Venezuela), con lo scopo di diffondere le conoscenze reciproche tra le diverse realtà e incrementare le possibilità di scambio, assistenza reciproca ed azione comune tra i contraenti, si è rivelato uno dei più incisivi strumenti di relazione del nostro Paese in quell'area di interesse strategico;
   nel corso della sua ormai quasi cinquantennale attività l'istituto ha consolidato la sua funzione di raccordo e di promozione nel campo culturale, tecnico-scientifico, della cooperazione allo sviluppo e, in particolare, in quello socio-economico, nel quale ha attivato rapporti di collaborazione con le principali istituzioni regionali latinoamericane, quali ad esempio il Banco interamericano di sviluppo (BID) ed il Sistema economico latinoamericano (SELA), e sub-regionali di integrazione come la Comunità andina delle nazioni (CAN), e ha consolidato il suo impegno operativo con la Commissione europea in vista dell'elaborazione, affidamento ed esecuzione di specifici progetti;
   l'Istituto è diventato negli ultimi anni uno degli strumenti privilegiati della strategia di attenzione e di rinnovata presenza dell'Italia nel continente latinoamericano, anche in considerazione delle forti dinamiche che in esso si sono sviluppate per iniziativa di alcuni Paesi con alti ritmi di crescita e dell'esigenza di cogliere opportunità di proiezione internazionale per le aziende italiane in una fase di acuta crisi come quella che l'Italia sta attraversando;
   il momento di più alto confronto politico e istituzionale tra i Governi interessati è rappresentato dalla Conferenza Italia-America Latina e Caraibi, convocata con cadenza biennale a partire dal 2003 e realizzata in collaborazione con l'IILA, la cui VII edizione si svolgerà quest'anno a ridosso (o durante) dell'Expo di Milano, con implicazioni di evidente peso per la riuscita dell'importante manifestazione e per gli stessi interessi del nostro Paese;
   il 18 novembre 2014 è stato definitivamente approvato dal Parlamento il disegno di legge del Governo con il quale si istituzionalizza la Conferenza Italia — America Latina e Caraibi, convocata dal Ministro del affari esteri e della cooperazione internazionale ogni due anni «in collaborazione con l'Istituto Italo Latino Americano», chiamato, dunque, come nel passato, a svolgere un'insostituibile funzione di promozione e servizio di quella che ormai rappresenta la maggiore iniziativa istituzionale del Governo italiano nei riguardi dell'area latinoamericana;
   il bilancio del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per il 2014 ha previsto le risorse da assegnare al funzionamento dell'IILA per lo svolgimento della sua attività ordinaria e per il sostegno delle sue iniziative, mentre, nonostante le proposte emendative avanzate in sede parlamentare in occasione dell'approvazione della legge di stabilità per il 2015, nulla è stato previsto per l'anno corrente, con la conseguenza non solo di mettere a rischio la sopravvivenza dell'Istituto ma di compromettere gravemente la credibilità del nostro Paese nei confronti dei partner latinoamericani –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere per assicurare che l'IILA possa continuare ad esistere in vista del suo imminente cinquantesimo anniversario di vita e possa continuare a svolgere il suo rilevante compito in funzione della preparazione della VII Conferenza Italia-America Latina e Caraibi e del sostegno dell'Expo di Milano, a cui sono legati molteplici interessi di rilancio e di presenza internazionale del nostro Paese. (5-04428)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata:


   VECCHIO. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nei comuni di Augusta, Priolo e Melilli in provincia di Siracusa si trova il più grande complesso petrolchimico d'Europa. Questo territorio è stato classificato come sito di interesse nazionale a causa dell'emergenza prodotta dall'inquinamento delle falde acquifere e della contaminazione delle coste. In queste località, infatti, l'incidenza dei tumori è altissima;
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore, Stefania Prestigiacomo, aveva stipulato un contratto con le industrie responsabili dell'inquinamento che prevedeva il cofinanziamento di 770 milioni di euro da destinare alle bonifiche. Parte di questi fondi era di provenienza pubblica;
   il 22 aprile 2014, in occasione della Giornata della Terra, è andata in onda su la7 un'inchiesta curata dal giornalista Antonio Condorelli, da cui si evinceva che la bonifica di Siracusa non è ancora iniziata. L'inchiesta mostrava, inoltre, come nella penisola di Magnisi, il più importante sito protostorico e archeologico della Sicilia orientale, siano ancora presenti discariche a cielo aperto di pirite, contenenti arsenico e metalli pesanti. A quanto pare i fondi del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non sarebbero stati mai utilizzati e gli importi che i privati avevano destinato alla bonifica del territorio, a titolo di risarcimento del danno, sarebbero finiti nel calderone del bilancio dello Stato e, attualmente, sarebbero utilizzati per altri scopi –:
   se i 770 milioni di euro destinati alla bonifica della provincia di Siracusa siano stati utilizzati e a quale scopo e quali siano le iniziative assunte dal Governo per tutelare gli abitanti di Augusta, Priolo e Melilli, che continuano ad ammalarsi e a morire di tumore. (3-01240)


   BRATTI, CARRESCIA, ROSTAN, PALMA, COMINELLI, PELILLO, REALACCI, TERROSI, MARIANI, BRAGA, BORGHI, MARIASTELLA BIANCHI, FREGOLENT, BRAY, CAPONE, GINEFRA, LOSACCO, MARIANO, MASSA, MONGIELLO, VENTRICELLI, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
   il deposito di rifiuti radioattivi della Cemerad, nel comune di Statte, in provincia di Taranto, destinato alla raccolta di rifiuti di origine ospedaliera e industriale nel periodo 1984-2000, è attualmente chiuso e affidato in custodia giudiziaria al comune;
   a quanto risulta dalla documentazione presente nel deposito, nell'unico capannone sono tuttora immagazzinati circa 3.000 fusti di rifiuti radioattivi, anche a media ed alta attività, e circa 12.000 fusti di rifiuti di natura diversa, non facilmente individuabili nel numero e nella tipologia;
   l'Istituto per la protezione e la ricerca ambientale, nel corso della XVI legislatura, ha segnalato alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti lo stato di grave degrado e abbandono del deposito;
   la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, istituita nella XVII legislatura, con un sopralluogo – il 1o dicembre 2014 – e con le audizioni del prefetto di Taranto e del sindaco di Statte ha accertato le condizioni di gravissimo degrado del deposito, inadeguato nelle strutture e non protetto da eventi meteorologici avversi e dal rischio di effrazioni;
   il deposito richiede – con estrema urgenza – interventi di messa in sicurezza della struttura e del sito, per la delimitazione di una zona di rispetto, per la caratterizzazione dei fusti, della superficie su cui è edificato il deposito e del terreno circostante e la definizione – con l'ausilio di tecnici qualificati ad elevata specializzazione – di un progetto adeguato di smaltimento dei rifiuti e di bonifica del sito che individui le opportune modalità tecniche di intervento per condurre le susseguenti azioni, nei tempi brevi che lo stato delle cose impone e con priorità per la completa rimozione dei fusti –:
   se sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e quali iniziative il Governo intenda assumere per l'immediata messa in sicurezza del sito, lo smaltimento dei rifiuti e la bonifica del deposito e del terreno circostante. (3-01241)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, MANNINO, MICILLO, SEGONI, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo segnalazioni, articoli di giornale e servizi televisivi sempre più frequenti in tutto il territorio del delta del Po che va da Venezia fino a Ravenna fino nell'entro terra del mantovano, pescatori di frodo, in gran parte possessori di regolari licenze di pesca di professione rilasciate dalle province di Rovigo – Ferrara – Ravenna, catturano grosse quantità di pesce nelle acque italiane con metodi illegali, stendendo chilometri di rete e utilizzando la corrente elettrica, per poi rivenderlo sui mercati europei;
   il pescato raccolto illegalmente viene trasportato e stoccato in mezzi e strutture non idonee per poi essere trasportato senza alcun controllo né certificazione sanitaria sia sui mercati italiani che su quelli dell'Est Europa. Forti dubbi, poi, sono stati più volte sollevati sulla commestibilità di tale pesce, che vive e si nutre in acque non pulite, come è stato anche verificato nelle recenti analisi fatte sui pesci del fiume Po;
   associazioni di pesca e aziende del settore hanno più volte, lanciato l'allarme anche per l'impoverimento del fiume, che rappresenta un patrimonio tale da generare un indotto economico che permette a migliaia di persone di vivere, denunciando anche i sempre più frequenti furti di motori e imbarcazioni su tutto il territorio;
   tali attività di pesca in acque interne, e conseguente captazione ittica, smodata, distruttiva e costante, colpisce diversi aspetti: quello sanitario, quello economico e quello ambientale –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopracitati;
   se il Governo non ritenga urgente e necessario potenziare i controlli nell'area anche tramite il Corpo forestale dello Stato, assumere iniziative per inasprire le sanzioni, al fine di ripristinare la legalità e salvaguardare, così, l'attuale patrimonio ittico che grazie alla pesca sportiva genera un indotto economico che è alla base della sussistenza per migliaia di aziende e attività commerciali collegate ad essa.
(5-04421)


   LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'impianto ITREC è un impianto nucleare italiano, situato nel centro di ricerca Enea-Trisaia di Rotondella (Matera) e utilizzato per la conservazione e la sperimentazione del ritrattamento del combustibile nucleare;
   la Sogin spa società di Stato incaricata della bonifica ambientale dei siti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi provenienti dalle attività industriali, ha rilevato l'esercizio dell'impianto al fine di attuarne la disattivazione e lo smantellamento, limitandone le funzioni alla gestione delle materie nucleari presenti e dei rifiuti radioattivi;
   nel centro di Rotondella sono presenti 84 barre di uranio-torio che, negli anni tra il 1969 e il 1971, ai sensi di un accordo mai ratificato dal Parlamento italiano, giunsero dal reattore di Elk River, nel Minnesota (Stati Uniti d'America) all'allora Cnen, oggi Itrec;
   l'impianto Itrec, ormai inattivo da molti anni, ha svolto attività di ritrattamento di combustibile nucleare irraggiato e presso di esso vengono attualmente svolte, oltre alle operazioni di mantenimento in sicurezza, operazioni propedeutiche alla disattivazione e alla sistemazione dei rifiuti radioattivi. Tra tali attività rientra il condizionamento di una soluzione acida di nitrati di uranio e torio (prodotto finito) fortemente radioattiva, risultante dal trattamento di 20 elementi di Elk River e di una soluzione nitrica di uranio-torio non irraggiata derivante da prove nucleari;
   nella notte tra il 28 e il 29 luglio 2014, si è proceduto a un trasferimento di materiale nucleare dalla suddetta centrale di Trisaia di Rotondella (Matera) verso l'aeroporto militare di Gioia del Colle-Bari;
   la particolare natura degli elementi di combustibile ERR li rende unici nel loro genere in campo internazionale e per questo non hanno nessun interesse commerciale, in quanto le nazioni utilizzano il nucleare per la produzione di energia elettrica sfruttano il ciclo uranio-plutonio e non uranio-torio;
   esiste un programma chiamato GTRI che, secondo gli accordi di Seul del 2012, prevede un invio presso gli Stati Uniti di materiale nucleare strategico. A questa specie appartiene il lotto che fu spedito nel luglio 2014 presso gli Stati Uniti;
   occorre ricordare che la presenza delle barre americane impedisce ogni ipotesi di trasformazione della struttura in un centro universitario di studi e di ricerca –:
   quali iniziative si intendano intraprendere per assicurare la piena informazione e documentazione sul materiale presente, stoccato e trattato negli impianti;
   se non si ritenga di dover valutare la possibilità di restituzione agli Stati Uniti d'America delle barre provenienti dalla centrale di Elk River. (5-04424)


   VEZZALI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Raffineria Api di Falconara Marittima dal 7 gennaio 2015 è ferma per le normali procedure di manutenzione;
   nella notte tra il 31 dicembre 2014 e nella giornata del 1o gennaio 2015 dalla torcia dell'impianto si è sprigionata un'intensa colonna di fumo e analogo episodio sarebbe accaduto il 4 settembre 2014;
   la causa, secondo informazioni disponibili, parrebbe dovuta a un problema elettrico che avrebbe bloccato la desolforazione nell'impianto;
   secondo i vigili del fuoco, si sarebbe trattato di un guasto elettrico, risolto poi dalle squadre interne della raffineria, senza necessità di successivi interventi;
   sebbene l'incidente non abbia evidenziato danni al personale della raffineria, vi è il timore che possa avere determinato ripercussioni di carattere ambientale e ricadute sulla salute delle popolazioni locali –:
   se il Governo fosse a conoscenza dei fatti occorsi presso l'impianto tra il 31 dicembre 2014 e il 1o gennaio 2015;
   quali siano le cause che hanno sprigionato i fumi dalla torcia dell'impianto e se siano stati superati i limiti concernenti le emissioni inquinanti in atmosfera derivanti dai cicli produttivi e dai fumi sprigionati nell'incidente;
   quali iniziative di competenza intendano assumere in materia di sicurezza ambientale nel rispetto della normativa sul lavoro;
   quali siano le iniziative che il Governo intende adottare per monitorare e pubblicare i dati concernenti il controllo e sicurezza dell'impianto. (5-04430)


   TERZONI, ZOLEZZI, MANNINO, BUSTO, MICILLO, DAGA, DE ROSA e SEGONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, cosiddetto decreto competitività, convertito con modificazioni, dalla legge 20 agosto 2014 pubblicata nel supplemento ordinario n. 72 alla Gazzetta Ufficiale n. 192 del 20 agosto 2014, ha prorogato l'entrata in vigore del SISTRI (sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti di cui agli articoli 188 e 188-bis del decreto 3 aprile 2006, n. 152, e successive modifiche), al 31 dicembre 2015 e a partire dal 30 novembre 2014 Selex Service Management, società del gruppo Finmeccanica, incaricata nel 2009 di realizzare il sistema di tracciabilità dei rifiuti, ha interrotto la gestione del SISTRI in coincidenza con la scadenza contrattuale;
   nello stesso «decreto Competitività» il Governo aveva già previsto di sostituire la gestione Selex avviando una gara per l'affidamento della concessione del servizio entro il 30 giugno 2015 rispettando i principi di «economicità, semplificazione, interoperabilità tra sistemi informatici e costante aggiornamento tecnologico»;
   ulteriori proroghe sono state disposte da successive recenti iniziative normative;
   attraverso l'ordine del giorno presentato dal deputato Mirko Busto (9/01682-A/077) e accolto dal governo pro tempore nella seduta n. 104 del 24 ottobre 2013 il Governo medesimo si è impegnato «ad adottare un piano di intervento che preveda che ogni onere versato a titolo di contributi di iscrizione al SISTRI per le annualità 2010, 2011 e 2012 dai soggetti di cui all'articolo 3 del 17 dicembre 2009 sia restituito o compensato secondo le modalità previste ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.»;
   l'inserimento di continue modifiche in così tanti provvedimenti crea non poca confusione e insicurezza in quelle aziende chiamate ad aderire obbligatoriamente al sistema –:
   quale soggetto e con quali modalità stia gestendo e gestirà il sistema SISTRI nella fase di transizione fino a nuovo affidamento e quindi con chi si dovranno interfacciare le aziende chiamate ad aderire in maniera obbligata al sistema;
   se i nuovi gestori avranno accesso ai dati raccolti negli anni di gestione da parte di Selex Service Management;
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario fare ordine in questa materia mettendo a disposizione delle imprese un cronoprogramma completo, ufficiale e attendibile sulle prossime scadenze per poter programmare al meglio le proprie attività;
   se il Ministro interrogato non ritenga di riportare i punti essenziali che dovranno essere la base del nuovo contratto di affidamento e del nuovo regolamento del sistema di tracciabilità dei rifiuti;
   se e come si intenda dare attuazione e con quali tempistiche a quanto previsto nell'ordine del giorno di cui in premessa per la restituzione dei contributi di iscrizione al SISTRI per le annualità 2010, 2011 e 2012. (5-04437)


   BORGHESI e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha avviato, nell'ambito del sistema di comunicazione EU Pilot, il caso 6955/14/ENVI in merito a dubbi di violazione della direttiva 2009/147/CE concernente la conservazione degli uccelli selvatici;
   in ragione di ciò, la Commissione europea, chiede che le autorità italiane chiariscano, in particolare che i calendari venatori di alcune regioni italiane siano coerenti con la direttiva 2009/147/CE;
   varie sentenze dei Tar regionali e del Consiglio di Stato hanno ritenuto congrue le motivazione regionali sostenute a supporto dei calendari venatori con chiusure al 31 gennaio, in merito alla caccia di tordo bottaccio, cesena e beccaccia, in discostamento dal parere ISPRA;
   tali pronunciamenti prendono in esame necessariamente anche il diritto comunitario, in quanto prevalente sul diritto nazionale;
   ciò nonostante il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con nota dei primi di dicembre 2014 ha formalmente diffidato le regioni a modificare tempestivamente il calendario venatorio per la stagione in corso (2014/2015) chiedendo di anticipare almeno al 20 gennaio 2015 il termine di chiusura per la caccia tardo bottaccio, cesena e beccaccia;
   nella stessa nota, vengono ammonite le amministrazioni regionali scrivendo che, qualora non venisse urgentemente adeguata la data di chiusura dell'attività venatoria alle specie sopra citate, verrà avviata la procedura per l'esercizio sostitutivo di cui all'articolo 8, commi 1 e 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131;
   la Costituzione italiana riserva allo Stato la legislazione esclusiva in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema (articolo 117, secondo comma, lettera s)) e la Corte Costituzionale ritiene che le disposizioni della legge 157 del 1992 concernenti la tutela delle specie oggetto di disciplina siano pertanto riservate alla competenza dello Stato. Il rispetto della normativa statale da parte delle regioni in fase di predisposizione e approvazione dei calendari venatori fa presumere la coerenza con le normative comunitarie, di cui la legge 157 del 1992 costituisce formale recepimento per lo Stato italiano;
   non si ritengono esistenti i presupposti previsti dalla legge 5 giugno 2003, n. 131, per procedere all'esercizio del potere sostitutivo nei confronti delle regioni –:
   quali siano stati i motivi e quali siano i presupposti che hanno spinto il Ministero interrogato a intimare addirittura l'utilizzo del potere sostitutivo ministeriale;
   quali siano le ragioni per le quali il Ministero interrogato abbia inviato ben due diffide alle regioni Italiane, chiedendo l'accorciamento della stagione di caccia, quando la comunicazione UE PILOT 6955/2014 ENVI della Commissione europea è una semplice richiesta di informazioni sui calendari venatori italiani e su cui la Commissione dovrà esprimersi successivamente;
   quali siano state le logiche che hanno spinto il Ministero interrogato ad evitare un tavolo di confronto serio e democratico con le regioni italiane, che sono per legge gli enti deputati alla gestione della caccia, scegliendo di comprimerne le competenze con una diffida ad utilizzare il potere sostitutivo contraria allo spirito collaborativo fra enti pubblici;
   quale sia stata l'origine della decisione del Ministro interrogato di non applicare articoli 2.7.3 e 2.7.10 della guida europea alla disciplina della caccia nell'ambito della direttiva 79/409/CE (oggi 147/2009/CE), che esplicitamente prevedono che le regioni degli Stati membri possano discostarsi dal dato key concepts nazionale, quando in possesso di dati scientifici che dimostrino una differenza nei tempi di migrazione delle specie cacciabili. (5-04440)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAPONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi gli organi di stampa nazionale e territoriale hanno dato giusto risalto alla notizia secondo cui la Sogin, società di Stato che si occuperà dello smantellamento dei siti nucleari italiani, ha consegnato il 2 gennaio all'Ispra la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e il parco tecnologico che, come si legge sul sito della stessa Sogin, sarà un centro di ricerca, aperto a collaborazioni internazionali, dove svolgere attività nel campo del decommissioning, della gestione dei rifiuti radioattivi, e dello sviluppo sostenibile in accordo con il territorio interessato;
   nell'elenco dei siti potenzialmente idonei figura anche una vasta piana localizzata nel Salento in agro di Nardò al confine con la provincia di Taranto coerente – a quanto si legge – dal punto di vista geologico e geomorfologico con i criteri localizzativi diffusi nel giugno 2014 dall'Ispra nel documento cosiddetto guida tecnica n. 29 «Criteri per la localizzazione di un impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività»;
   alla luce della suddetta guida, la redazione della carta si configura come il primo momento di un processo particolarmente articolato e complesso scandito da un preciso cronoprogramma, nel cui ambito l'individuazione dei siti è soggetta ad altre non meno rilevanti verifiche di coerenza. Tale processo è minuziosamente descritto proprio nella guida tecnica n. 29 dove si precisa come all'azione di individuazione delle aree «potenzialmente» idonee seguiranno poi una seconda fase finalizzata ad individuare i siti da sottoporre ad un'indagine di dettaglio e infine una terza fase finalizzata alla caratterizzazione tecnica di dettaglio di uno o più siti per approdare alla scelta definitiva;
   pur tuttavia tale complessità di processo, che dovrà garantire anche il coinvolgimento delle istituzioni territoriali e dei portatori di interesse, non sta impedendo nel territorio salentino, ed in particolare tra le popolazioni potenzialmente coinvolte, la diffusione di allarme e preoccupazione legati anche alla rilevanza ambientale dell'intero territorio dell'Arneo caratterizzato da un parco marino, da siti di interesse naturalistico, da porzioni di territorio eccezionalmente rilevanti sotto il profilo paesaggistico ed ambientale, da rilevanti investimenti nel campo del turismo e dell'agricoltura e, sebbene il cronoprogramma indichi un iter a partire dalla pubblicazione ufficiale dei criteri dell'Ispra di oltre quattro anni per giungere all'autorizzazione unica e all'avvio della realizzazione, si comprende la particolare attenzione che sta caratterizzando fin d'ora la diffusione della notizia e il rischio di una localizzazione del deposito in quel territorio;
   contestualmente è importante ricordare, inoltre, come negli ultimi mesi siano emersi fatti di inquietante rilevanza sul rischio ambientale nel Salento, oggetto anche di smaltimento di rifiuti tossici e pericolosi, mentre non va dimenticato che il triangolo Brindisi-Lecce-Taranto è sottoposto ormai da anni a una pressione ambientale fortissima che parrebbe riflettersi anche nell'aumentata incidenza di particolari patologie tumorali –:
   quali siano i passaggi istituzionali e il procedimento amministrativo previsti dopo la consegna della carta;
   come i Ministri interrogati intendano assicurare il coinvolgimento delle istituzioni territoriali e dei portatori di interesse e la massima trasparenza nel procedimento di individuazione definitiva del sito;
   come i Ministri intendano assicurare la tutela e la salvaguardia ambientale perché l'individuazione del sito non comprometta irreversibilmente aree di eccezionale pregio e rilevanza. (4-07484)


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 2 gennaio 2015, il Ministero dell'economia della Croazia comunica che il Governo di Zagabria ha concesso 10 licenze per esplorazione e sfruttamento di idrocarburi in Adriatico, in seguito alla gara pubblica chiusasi il 2 novembre 2014. Appare evidente che le concessioni 25 e 26, appannaggio della INA e nello specchio d'acqua prospiciente le coste pugliesi, ricadano in un'area in cui la presenza di ordigni inesplosi è imponente;
   la presenza di tali ordigni, caricati con aggressivi chimici, è accertata dalle mappe redatte dall'ISPRA e utilizzate dal progetto RED COD (Research on Environmental Damage caused by Chemical Ordinance Dumped at Sea), con cui la Commissione europea ha cofinanziato l'approfondimento di ricerche sul tema;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è a conoscenza della problematica e ha già accolto, lo scorso novembre, le osservazioni del «Comitato Bonifica Molfetta», presentate contro la richiesta di concessioni per la ricerca e la coltivazione di idrocarburi della Global Petroleum Limited, nello specchio d'acqua di fronte alle coste pugliesi (sottozone d80- F.R-.GP, d81- F.R-.GP, d82- F.R-.GP, d83 F.R-.GP);
   le prospezioni geofisiche che si vorrebbero condurre con tecniche Air-Gun (e simili), le future trivellazioni di pozzi provvisori e definitivi, probabilmente non sono mai state messe in correlazione con le migliaia di ordigni bellici affondati nelle sottozone di cui si chiede l'indagine e nelle altre zone confinanti. La probabile interazione fra le ricerche, le trivellazioni e gli ordigni presenti, rappresenta un potenziale pericolo inaccettabile per la tutela e la salubrità delle acque, della fauna marina e dei cittadini;
   il Governo croato e la società concessionaria delle concessioni per la ricerca e la coltivazione di idrocarburi, con ogni probabilità non hanno la conoscenza adeguata della situazione dei fondali, nelle zone interessate dalle concessioni, e dei potenziali rischi cui sottopongono i cittadini dei paesi che si affacciano in Adriatico –:
   se i Ministri interrogati non ritengano urgente un intervento sul Governo croato, per segnalare la situazione di pericolo descritta in premessa;
   se i Ministri interrogati non ritengano di dover chiedere al Governo croato di fermare le concessioni per le ricerche di idrocarburi nelle acque dell'Adriatico, facendo valere un principio di precauzione rispetto ai potenziali pericoli che potrebbero generarsi per i cittadini italiani.
(4-07491)


   BARGERO, FIORIO, BARUFFI, BASSO, FERRO, FERRARI, D'OTTAVIO, ERMINI e FABBRI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 152 del 2006, cosiddetto «codice ambientale», nella sua versione originaria, confermata successivamente anche dal 2o correttivo, il decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, definiva all'articolo 183, comma 1, lettera t), il «compost da rifiuti» come il «prodotto ottenuto dal compostaggio della frazione organica dei rifiuti urbani nel rispetto di apposite norme tecniche finalizzate a definirne contenuti e usi compatibili con la tutela ambientale e sanitaria e, in particolare, a definirne i gradi di qualità»;
   con le integrazioni e modifiche apportate dal decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, il vigente articolo 183 del decreto legislativo n. 152 del 2006 definisce al 1o comma, lettera dd), il «rifiuto biostabilizzato» (in luogo del soppresso «compost da rifiuti») come il «rifiuto ottenuto dal trattamento biologico aerobico o anaerobico dei rifiuti indifferenziati, nel rispetto di apposite norme tecniche, da adottarsi a cura dello Stato, finalizzate a definirne contenuti e usi compatibili con la tutela ambientale e sanitaria e, in particolare, a definirne i gradi di qualità»;
   sotto quest'ultimo profilo occorre evidenziare come non esistano ancora, né per il compostaggio né per il trattamento meccanico biologico (Tmb), i relativi decreti attuativi. E ciò, nonostante dall'ultimo rapporto Ispra (dati riferiti al 2010) si evinca che dei 32,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani generati in Italia, quasi 4 milioni di tonnellate (il 12 per cento) sono destinate a compostaggio e 9,4 milioni di tonnellate (il 29 per cento) sono destinate al trattamento meccanico biologico con produzione di biostabilizzato, bioessiccato e altro;
   sulle norme tecniche finalizzate all'utilizzo del biostabilizzato prodotto da impianti di trattamento meccanico biologico, occorre riferire che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva collaborato con il Consorzio italiano compostatori fino al 2005 per la redazione di un testo di decreto, di fatto mai stilato, in attesa dell'emanazione del decreto legislativo n. 152 del 2006. Ad oggi questa norma tecnica non è stata ancora pubblicata;
   quindi è dal decreto legislativo n. 22 del 1997, «cosiddetto decreto Ronchi», che il cosiddetto biostabilizzato è in attesa di una norma tecnica che ne definisca produzione ed impiego. Si rammenta che il solo biostabilizzato prodotto a livello nazionale supera le 1,6 milioni di tonnellate/annue;
   in assenza di decreti attuativi sulla biostabilizzazione, le società partecipate dai soli comuni e/o quelle a prevalente capitale pubblico, deputate alla fase di smaltimento e recupero dei rifiuti indifferenziati, sono «libere» di interpretare e di non seguire scrupolosamente la pianificazione regionale e, quindi, la sicurezza regionale dell'autosufficienza sancita, da ultimo, dal comma 1 dell'articolo 35 della legge 11 novembre 2014, n. 164. Tutto ciò con il rischio concreto di incorrere nuovamente in ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore –:
   quando verranno emanate le norme tecniche finalizzate a caratterizzare il rifiuto biostabilizzato, definendone i contenuti e gli usi compatibili con la tutela ambientale e sanitaria;
   nelle more dell'adozione delle norme in questione, quali siano i parametri quali-quantitativi che consentono di definire il rifiuto biostabilizzato;
   se il rifiuto urbano indifferenziato, sottoposto a trattamento meccanico biologico, possa diventare un rifiuto speciale e, in caso positivo, a quali condizioni e se potrà essere avviato a recupero energetico in ambito extra regionale o dovrà essere sottoposto al principio di autosufficienza regionale;
   poiché i nuovi impianti di incenerimento con recupero energetico verranno definiti e individuati entro il 10 febbraio 2015 con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, tenendo conto della pianificazione regionale, per il caso di specie, quali misure urgenti di competenza si intendano adottare. (4-07492)


   PARENTELA, NESCI e DIENI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha autorizzato la realizzazione di una Nuova Centrale termoelettrica-turbogas EDISON a Pianopoli presso il centro commerciale Due Mari (CZ);
   il progetto della centrale a gas nella Valle dell'Amato risale al 2006 e dopo alcune modifiche, l'11 febbraio 2013, ha ottenuto l'autorizzazione integrata ambientale. Dalla conclusione dell’iter – con il via libera del Ministero dell'ambiente e della tutela e del mare del 17 settembre 2014 – l'Edison ha cinque anni di tempo per realizzare la centrale;
   si tratta di un impianto che ricadrà nei comuni di Lamezia Terme, Amato, Feroleto Antico, Marcellinara, Serrastretta, Maida e Pianopoli;
   il progetto della centrale prevede globalmente:
    a) una configurazione in multiple shaft, composta da due turbogas (della potenza elettrica complessiva di circa 544 MWe), una turbina a vapore (con potenza elettrica di circa 272 MWe), per una potenza complessiva di impianto pari a 817 MWe, con un rendimento complessivo netto fino a circa il 56 per cento;
    b) un sistema di raffreddamento ad aria attraverso un unico condensatore collocato nella parte sud-ovest del sito di centrale;
    c) quattro generatori di vapore ausiliario modulabili, della capacità di circa 3t/h di vapore necessari per l'avviamento della centrale;
    d) 2 camini principali di emissione in atmosfera di altezza pari a 50 m e diametro pari a 6,5 m;
    e) 4 camini ausiliari di emissione relativi alle quattro caldaie ausiliarie;
    f) una sottostazione elettrica realizzata in GIS (Gas Insulated Substation);
    g) un elettrodotto interrato da 380 kV, a singola terna, che si svilupperà per una distanza di circa 8 chilometri e collegherà la nuova centrale con la stazione elettrica esistente di Feroleto;
   la centrale Edison in località Simeri Crichi (CZ) identica per potenza in MWh alla centrale Pienopoli ha prodotto nell'anno 2013 – ultima rilevazione pubblicata – emissioni in atmosfera per:
    1) 320,27 tonnellate di ossidi di azoto;
    2) 279,02 tonnellate di monossido di carbonio;
    3) 907.444,42 tonnellate di anidride carbonica;
    4) polveri sottili (particolato PM10) – sotto i 10 micron;
   in base ad una metodologia semplificata utilizzata dalla EEA (European environment agency), è possibile valutare in termini monetari il danno sulla salute e sull'ambiente provocato da emissioni di gas serra e ossidi di azoto. Considerando che una tonnellata di biossido di azoto (NO2) costa in termini di danni ambientali e di salute euro 8.394,00 e che una tonnellata di anidride carbonica costa euro 33,60, se prendiamo adempio la centrale di Simeri Crichi (per potenza simile a quella di Pianopoli/Due Mari) possiamo presto calcolare, che nell'anno 2013 sono stati prodotti danni ambientali per un totale di 33.178.478,8 euro;
   la Commissione nazionale per l'emergenza inquinamento atmosferico (C.N.E.I.A) in occasione della realizzazione della centrale a turbogas nel comune di Salandra in Matera ha affermato che «...la formazione di polveri PM10 a partire da alcuni inquinanti (NOX, SOX, NH3 e COV) è un fenomeno alquanto complesso, ancora in fase di studio; la valutazione di tale apporto deve essere attentamente effettuata tenendo in considerazione singole situazioni locali e meteo climatiche; la problematica ha anche riflessi sulle scelte di localizzazione degli impianti industriali, tra le quali le nuove centrali termoelettriche; infatti anche i turbogas che hanno notoriamente emissioni di polveri primarie trascurabili, presentano rilevanti emissioni di precursori (NOX) delle polveri PM10 che andrebbero adeguatamente valutate... Alla luce delle recenti informazioni scientifiche rese disponibili, le emissioni di NOX della centrale possono contribuire ad incrementare le concentrazioni in atmosfera di particolato secondario e quindi concorrere ad incrementare la formazione di PM10 che risulta inquinante critico a livello nazionale per i reiterati superamenti dei limiti di legge imposti... omissis ed ancora: in base a quanto sopra, ... non si dispone di elementi certi per quantificare l'entità del fenomeno in assenza di modelli diffusivi affidabili da applicare a scala regionale ed interregionale...»;
   secondo il dottore Armaroli dell'Istituto per la sintesi organica e la fotoreattività del Cnr di Bologna «è dimostrato che è proprio il particolato di taglia minuta a danneggiare maggiormente la salute: più le particelle sono piccole, più penetrano lungo le vie respiratorie»;
   la «Metanalisi italiana degli studi sugli effetti a breve termine dell'inquinamento atmosferico» del 2004, per quanto concerne le connessioni tra la mortalità e le polveri fini PM10, ha confermato un incremento della mortalità attesa a breve termine;
   gli studi epidemiologici, oramai recepiti anche dalla Unione europea e dall'OMS, indicano un incremento del rischio di contrarre tumori ed in particolare leucemia infantile per esposizioni prolungate a campi magnetici, causate dall'elettrodotto per il trasporto dell'energia prodotta;
   alle negative conseguenze a danno della salute dobbiamo aggiungere, altresì, le alterazioni dell'equilibrio naturale dell'ecosistema causate dalle emissioni di gas ad effetto serra – con gli effetti negativi sul clima della Terra che ne derivano quali riscaldamento globale, scioglimento dei ghiacciai e desertificazione – la variazione, a livello locale, del microclima, la ricaduta al suolo di inquinanti chimici e la contaminazione dell'aria, del suolo e dell'acqua;
   il progetto si inserisce in un contesto caratterizzato dalla presenza di paesaggi agrari di interesse storico-ambientale, nuclei e centri storici, aree di rilevante valore paesaggistico-ambientale e punti e percorsi, eco-enogastronomici, panoramici individuati dalla regione Calabria;
   il consiglio comunale di Maida più volte si è opposto fermamente alla costruzione della centrale – con delibere del 23 agosto 2011, 27 dicembre 2012 e 28 dicembre 2012 – come anche il comune di Pianopoli – con raccomandata a.r. inviata in data 27 marzo 2013 al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   il sindaco di Maida Natale Amantea ha affermato che: «si tratta di un impianto assolutamente incompatibile con l'area che porterebbe ripercussioni gravemente negative per tutto il comprensorio, che appare ormai irreversibilmente votato a tutt'altra destinazione, stante la fitta presenza di insediamenti commerciali, produttivi, abitativi, socio-assistenziali e con il conseguente intollerabile aggravio in termini d'inquinamento dell'aria e delle acque del vicino fiume Amato, avrebbe conseguenze irreparabili e addirittura esiziali per l'ambiente e per l'economia locali»;
   le centrali turbogas sono sicuramente una valida scelta per la riconversione di vecchie centrali ad olio combustibile o a carbone, ma nel caso specifico non vi è alcuna dismissione in atto, per cui si è di fronte a qualcosa che si aggiunge alla produzione esistente, così da aumentare l'offerta di energia;
   nell'ottobre 2014 l'amministratore delegato di Enel annunciava: «alcuni impianti termoelettrici non risultano più competitivi. Sono 23, le centrali potenzialmente da dismettere per un totale di circa 11 GW che si andrebbero ad aggiungere ai 2,4 GW di potenza termoelettrica già messa offline»;
   secondo l'autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEG) realizzare una centrale termoelettrica in Italia, oggi, non è redditizio oltre che inquinante e poco lungimirante dato che, allo stato attuale – come già preannunciato nel 2006 nella relazione annuale di Assoelettrica – esistono più impianti energetici convenzionali di quelli che servono;
   secondo il Gestore dei mercati energetici (GME) il prezzo dell'energia di notte è aumentato per far fronte ai costi fissi delle centrali termoelettriche che prescindono dall'effettivo funzionamento e dall'energia che riescono a vendere sul mercato mentre, di giorno, il fotovoltaico e l'eolico permettono di comprare l'energia a prezzi più bassi;
   secondo il Gestore dei servizi energetici (GSE) le ore di funzionamento di un impianto a combustione sono passate da una media annuale di 4.120 nel 2007 a 2.633 nel 2011, 2300-2400 nel 2012 e si sono ridotte ulteriormente anche nell'ultimo biennio;
   il termoelettrico in piena crisi è stato soccorso da un emendamento del decreto sviluppo, che ha introdotto il cosiddetto capacity payment, ossia la remunerazione non solo per la produzione ma anche per i servizi di dispacciamento che i cicli combinati garantiscono al «sistema elettrico con la sua flessibilità»;
   l'AEEG ha affermato che «nel corso del 2013, si realizza, rispetto all'anno precedente, un aumento dell'onere netto a carico del sistema: il saldo tra i proventi e gli oneri maturati da Terna per l'approvvigionamento delle risorse per il dispacciamento (cosiddetto uplift) ha subìto un peggioramento nel 2013 rispetto all'anno precedente»;
   l'interrogante ha ricordato più volte, con altri atti di sindacato ispettivo ad oggi senza risposta che la produzione di energia nella regione Calabria supera ampiamente il fabbisogno richiesto; dall'ultimo bilancio di Terna al 31 dicembre 2013, infatti, risulterebbero attivi per la Regione Calabria 49 impianti termoelettrici, 50 idroelettrici e 82 eolici con una produzione netta 10407,8 GWh di gran lunga superiore a quella richiesta di 6259,8 Gwh;
   sulla base di quanto esposto nelle premesse la realizzazione dell'ennesima centrale termoelettrica in Calabria può, ad avviso degli interroganti arrecare danni ingenti alla salute dei cittadini, all'ambiente, al turismo e alle economie locali a fronte di un fabbisogno energetico già ampiamente soddisfatto per le aree coinvolte –:
   se, sulla base di quanto esposto dall'interrogante, il Ministro sia ancora convinto che siano state fornite motivazioni adeguate in ordine alla compatibilità paesaggistica della centrale Turbogas di Pianopoli e, in caso negativo, se non ritenga opportune che venga annullato tale atto per difetto di motivazione;
   se non ritenga opportuno, al fine di scongiurare situazioni di pericolo e di danno per l'ambiente, revocare l'autorizzazione integrata ambientale. (4-07497)


   TONINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Osservatorio nazionale amianto (ONA) ha recentemente (ottobre 2014) diffuso i dati relativi alla diffusione dell'amianto nella regione Lombardia, per i quali in dieci anni oltre 3.200 casi di mesotelioma pleurici conclamati in Lombardia di cui il 65 per cento dovuti ad una esposizione professionale all'amianto misurata su un arco temporale medio di 28 anni, che diventano 3.844 se si considerano anche i casi cosiddetti «probabili», cioè in attesa di conferma (ma con alta probabilità di certezza);
   la Lombardia secondo il registro nazionale mesoteliomi (ReNaM) si colloca al terzo posto in Italia, con 1.205 casi, quanto riguarda le altre patologie correlate;
   in particolare, nella città di Cremona, si sono verificati recenti interventi nell'area ex Piacenza, in viale Trento e Trieste, nell'area ex industriale di Cavatigozzi nei pressi della stazione, tutti casi cui sono intervenuti i carabinieri del nucleo operativa ecologico, su segnalazione dell'ONA, in conseguenza dell'inerzia dimostrata sia dal comune di Cremona che dall'azienda sanitaria locale;
   i cittadini, quindi, sono stati costretti a saltare i passaggi istituzionali che prevedono l'intervento delle autorità cittadine all'uopo preposte e ad allertare direttamente la forza pubblica, che è intervenuta effettuando i doverosi controlli e quindi sequestrando le aree oggetto di segnalazione;
   a tanto si aggiunga il più recente caso di via Lungastretta, traversa di via Giordano, dove un edificio che costeggia la gran parte della strada è stato posto sotto sequestro dal comune a seguito di un'ordinanza contingibile ed urgente volta a fare eseguire le opportune verifiche statiche, nonché gli interventi di messa in sicurezza necessari a garantire la pubblica incolumità e che risulta essere a distanza di quasi quindici anni ancora sotto sequestro. Questa situazione del tutto anomala ha fatto sorgere il pericolo di diffusione dell'amianto dovuto al progressivo deteriorarsi delle coperture – probabilmente in eternit – che dal sequestro e quindi per un quindicennio non sono state sottoposte a manutenzione;
   è evidente che per questioni che attengono al bene primario della salute dei cittadini e in presenza di elementi fattuali e di rilevazioni di dati nella misura innanzi esposta, un simile contegno da parte delle strutture amministrative locali debba essere fatto oggetto, ad avviso dell'interrogante, di attenta valutazione da parte dei Ministri interrogati, al fine di valutare la necessità di attività di intervento sostitutiva dell'autorità governativa in presenza dei presupposti del «pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica [...] e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali» di cui all'articolo 120 della Costituzione –:
   se al Governo, risulti l'insieme delle denunce e/o segnalazioni di qualsiasi genere attinenti alla presenza di amianto nella regione Lombardia e in particolare nel comune di Cremona;
   quali iniziative di competenza intenda assumere, in assenza colpevole dell'intervento degli organi locali, al fine di garantire la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti il diritto alla salute in presenza di un pericolo grave per la stessa come è quello derivante dalla presenza di amianto oggetto di esposizione pubblica in ambito cittadino.
(4-07498)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MANZI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con il DD 16 febbraio 2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4a, serie speciale n. 15 del 24 febbraio 2006, è stato indetto un concorso pubblico per esami a 11 posti di dirigente, professionalità di storico dell'arte, nel ruolo di dirigenti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   in base alla graduatoria di merito, approvata in data 23 maggio 2007, sono stati nominati gli undici vincitori del predetto concorso;
   in seguito e con successivi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è stato autorizzato ad assumere altri dirigenti di seconda fascia nel ruolo degli storici dell'arte, utilmente collocati nella graduatoria di cui al DD 23 maggio 2007;
   come riportato nel DD 11 giugno 2012 di nomina di n. 2 dirigenti storici dell'arte, l'esigenza di dovere attingere ancora a tale graduatoria di merito, a distanza di anni, è giustificata dal fatto che essa è quella più risalente nel tempo e quindi ha, secondo la giurisprudenza, una priorità cronologica –:
   se, nel novero della nuova e più recente organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e data la vacanza di ulteriori posti nei ruoli dirigenziali, soprattutto a livello periferico, siano previste nuove assunzioni e, in caso affermativo, dato che la graduatoria, di cui al DD 23 maggio 2007, sarà in vigore fino al 2016, il Ministro intenda attingere da essa per le nuove assunzioni dirigenziali. (5-04422)


   CAROCCI, TULLO e BASSO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nell'Archivio di Stato del capoluogo ligure è custodito un patrimonio documentario di circa 30 chilometri lineari che testimonia nove secoli ininterrotti di storia, di cui sette dell'antica Repubblica di Genova dalla fine dell'XI secolo al 1805; il fondo notarile conservato dall'Archivio di Stato di Genova, che comprende il registro notarile più antico conservato al mondo, risalente alla metà del XII secolo, non ha eguali per l'antichità e la varietà delle tipologie contrattuali e per l'ampiezza degli orizzonti geografici, ed illumina la storia economica, sociale e culturale dell'Europa medievale e moderna dall'Inghilterra alle Fiandre, dalla Spagna al Maghreb, dal Levante al Mar Nero e per questo da due secoli è al centro degli studi di storici del mondo intero;
   l'Archivio di Stato di Genova conserva l'immenso archivio del Banco di San Giorgio che non fu solo un potente istituto finanziario a livello internazionale, fu la prima banca pubblica d'Europa, e il laboratorio dove si sperimentarono tecniche e strumenti finanziari che sarebbero stati poi applicati nel mondo intero;
   Genova ha l'unico archivio dell'Occidente che conservi gli originali di documenti bizantini e arabi del secolo XII, e armeni del secolo XIII, per non parlare del corpus delle fonti colombiane e di documenti fondamentali per la storia del nostro Risorgimento;
   la sede storica dell'Archivio da anni è oggetto di una serie di lavori di restauro che non sono ancora giunti a compimento con evidenti conseguenze negative nella gestione dell'immenso patrimonio in esso conservato;
   inoltre, si presentano una serie di problematiche:
    la sede principale situata nel Complesso di S. Ignazio in Carignano pur essendo molto prestigiosa non sembra del tutto adatta allo scopo cui è destinata: quando piove si verificano frequenti infiltrazioni, i depositi sono saturi, gli spazi attualmente disponibili (in pratica, solo i due appartamenti in passato utilizzati dal direttore e dal custode) probabilmente saranno utilizzati per ospitare la soprintendenza archivistica;
    per quanto riguarda la sede storica sita in via Tommaso Reggio sono necessari almeno 1.500.000 euro per terminare i lavori edili e impiantistici. A tale somma, inoltre, vanno aggiunti l'impianto antincendio e gli arredi, e le spese per il trasloco; una volta operativa, tale sede potrà contenere a stento quello che oggi è conservato nel deposito di Campi; sarà quindi comunque necessario, per accogliere gli ulteriori versamenti degli uffici statali, o mantenere il deposito di Campi, o comunque reperirne uno analogo;
    infine, per allestire il deposito di Genova Campi, in locazione passiva, sono stati spesi circa 1.300.000 euro. Il canone annuo di locazione è di circa 130.000. Considerando che, in caso di dismissione, sarebbe necessario disallestire il deposito (con ulteriori spese), sembrerebbe più ragionevole acquisirlo al demanio dello Stato;
    a settembre 2014 è stato fatto il collaudo dei lavori principali (pari a euro 7.500.000,00 circa) e gli ultimi atti tecnici contabili sono stati completati a dicembre 2014; a seguire è stato redatto il quadro economico del finanziamento di euro 200.000,00;
    la necessità finanziaria per ultimare l'intervento è di circa 1.600.000 euro, esclusi gli arredi, che potrebbero essere anche erogati per lotti funzionali per consentire di non fare deperire le opere sin qui realizzate;
    il completamento delle opere consentirebbe di trasferire progressivamente i fondi presenti nel deposito in locazione passiva che annualmente costa all'erario circa 130.000 euro;
   si segnalano, inoltre, evidenti problematiche legate alla carenza di organico del personale: in questo momento in Archivio di Stato sono in servizio tre soli archivisti, ed uno solo in soprintendenza archivistica (che deve vigilare sugli archivi pubblici e privati di tutta la Liguria, supportando gli enti anche nella gestione delle emergenze, purtroppo frequenti in Liguria); non c’è nessun funzionario amministrativo; il personale addetto all'accoglienza e vigilanza non è sufficiente, trattandosi di una decina di persone e considerando che le ore di apertura al pubblico, tra la sede principale e quella di Campi, sono circa 48 alla settimana, che l'età media è superiore ai 58 anni, che alcuni hanno problemi di salute che, in alcuni casi, rendono di fatto impossibile svolgere le attività previste (compresa la movimentazione del materiale archivistico), e che di fatto ci sono spesso problemi a garantire l'apertura e il servizio al pubblico;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 171 del 2014 di riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo prevede, all'articolo 41, comma 5, che «Al fine di assicurare l'immediata operatività delle strutture periferiche del Ministero, in sede di prima applicazione e comunque non oltre sei mesi dall'entrata in vigore del presente decreto, la Direzione generale Organizzazione, d'intesa con il Segretario generale e con la Direzione generale Bilancio, può, ai sensi della normativa vigente, assegnare unità di personale agli istituti e musei di cui all'articolo 30, comma 3, e agli uffici di cui all'articolo 31, in modo da garantire la più razionale ed efficiente distribuzione delle risorse umane»;
   in tal senso, sarebbe auspicabile che sulla base di questa previsione fosse preso in considerazione, e messo in condizione di funzionare adeguatamente, anche l'istituto derivante dall'unione tra Archivio di Stato di Genova e soprintendenza archivistica per la Liguria;
   le possibili soluzioni possono essere individuate ad esempio nel consentire nuovamente a personale di altre pubbliche amministrazioni di prestare servizio in posizione di comando presso gli istituti del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo o nell'assegnazione all'Archivio di Stato di personale della Ales spa dotato di opportuni profili professionali –:
   come intenda intervenire per procedere in tempi celeri alla fine dei lavori di restauro;
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere per affrontare le problematiche legate alla carenza strutturale di personale. (5-04429)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime settimane si sono registrati presso l'abitato di Stigliano in provincia di Matera una serie di furti in abitazioni creando sconcerto e preoccupazione tra la popolazione;
   a quanto si apprende i malviventi operano anche in pieno giorno e approfittano dell'assenza dei proprietari, in quanto si presume abbiano studiato abitudini e comportamenti delle malcapitate vittime;
   oltre a denaro e oro, l'attenzione dei ladri si rivolge anche ad elettrodomestici, abiti ed altro ritenuto di interesse;
   questa ondata di furti ha scosso una comunità tranquilla di un paese importante punto di riferimento di un intero comprensorio della provincia materana –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere per potenziare l'organico in servizio presso la stazione dei carabinieri di Stigliano al fine di consentire un maggiore controllo del territorio e garantire maggiore sicurezza ai cittadini.
(5-04436)

Interrogazione a risposta scritta:


   DI LELLO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi due anni, l'Esercito ha avviato uno studio teso ad attuare una serie di provvedimenti finalizzati al conseguimento degli obiettivi di riduzione dell'area infrastrutturale logistica dell'Esercito imposti da diverse disposizioni legislative, tra cui il decreto legislativo 28 gennaio 2014 n. 7, che potessero confluire nel cosiddetto «piano per la revisione dello strumento militare terrestre»;
   nell'ambito di tale «riordino» si è previsto di privilegiare l'area operativa rispetto a quella del supporto generale che ha iniziato ad interessare tutte le aree della Forza armata comprese quelle logistiche e infrastrutturali;
   nell'incontro tenutosi ai primi di dicembre del 2014 tra lo Stato Maggiore dell'Esercito e le rappresentanze sindacali, i vertici militari, nell'ambito del progetto di riordino in senso riduttivo dello strumento militare terrestre e allo scopo di continuare a ricercare soluzioni essenziali ed efficaci tese al contenimento dei costi di gestione attraverso una spinta ottimizzazione degli spazi disponibili, hanno fatto sapere che è allo studio un progetto teso a ottimizzare/razionalizzare gli immobili militari nella città di Napoli. I principi ispiratori di tale studio sono basati sulla necessità di individuare una distribuzione degli spazi il più possibile ottimale per ciascuna tipologia di immobile, ricercando, ove fattibile, l'accentramento di più funzioni in spazi unici. Ciò per dismettere gli immobili non, più necessari ai fini istituzionali, ammodernare in modo mirato i soli immobili cosiddetti «strategici» e sfruttare da parte di più utenti le aree comuni (mensa, circolo, aule, parcheggi, aree sportive e addestrative, e altro) per eliminare le spese superflue di mantenimento;
   nello specifico, ha sottolineato lo Stato Maggiore, saranno avviate le procedure per il trasferimento, quale primo provvedimento di riallocazione di enti e comandi in un minor numero di sedi, del 10o reparto genio e infrastrutture, situato a Fuorigrotta, dal comprensorio della «Canzanella» alla Caserma Minucci;
   la notizia, anche se entrambe le parti si sono riservate alcune riflessioni, ha destato molta preoccupazione nella città in quanto la sede si trova in un'area particolarmente sensibile della città di Napoli, Fuorigrotta, e, oltre ai propri compiti istituzionali, ha sempre svolto una funzione deterrente per ogni forma di devianza sociale;
   senza parlare delle conseguenze economiche e dell'eventuale perdita di capacità lavorativa che si verrebbe a creare con il trasferimento altrove della struttura in una zona particolarmente difficile di Napoli dove è già molto alto il tasso di disoccupazione, vi sono particolari situazioni di squilibrio sociale e dove, la mancanza di simboli e testimonianze dello Stato come tale reparto, creerebbe seri problemi di ordine;
   a rimarcare la necessità di mantenere operativo il 10o reparto genio e infrastrutture si è espressa anche la 2o commissione consigliare della X municipalità Bagnoli Fuorigrotta che si è fatta promotrice, attraverso i propri rappresentanti consiliari, di ogni iniziativa utile affinché gli enti preposti possano riconsiderare le determinazioni in merito al trasferimento del reparto sopra menzionato –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere, pur nell'ambito di una revisione in senso riduttivo di tutte le aree dell'Esercito che tenga però conto del contesto territoriale nel quale i reparti, distaccamenti, basi operative o altro sono collocati, in merito al reparto di cui sopra, al fine di non danneggiare ulteriormente un territorio già fortemente degradato e dove la mancata presenza dello Stato, in ogni sua espressione, farebbe solo acuire marginalità già presenti. (4-07494)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS, TOFALO e PETRAROLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la legge delega 4 marzo 2009, n. 15 ed il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, hanno introdotto, in sostituzione del vecchio concetto di produttività individuale e collettiva, la nuova nozione di performance organizzativa ed individuale;
   l'introduzione nella pubblica amministrazione del concetto di performance, inteso non soltanto come rispetto di norme giuridiche e atti amministrativi, ma soprattutto come capacità di produrre in modo efficiente beni e servizi pubblici, richiede che da un controllo delle attività interne all'amministrazione, quali il controllo giuridico amministrativo e della gestione in senso stretto, si passi alla valutazione dei risultati conseguiti all'azione pubblica;
   il parco nazionale del Gargano è un'area naturale protetta istituita dalla legge n. 394 del 6 dicembre 1991, collocata nella parte nord–orientale della Puglia;
   dalla determinazione dirigenziale, dell'ente in questione, n. 578 del 04 dicembre 2014, «Piano della performance 2013 – 2015. Valutazione e Misurazione della “Performance organizzativa”, della “Qualità della prestazione individuale” e del “risultato”. Liquidazione premi annualità 2013», sono stati definiti gli obiettivi operativi e le azioni per l'anno 2013, assegnati alla struttura organizzativa dell'ente per la loro attuazione;
   per l'anno 2013, in relazione alla quantità e qualità degli obiettivi assegnati alla struttura organizzativa, con determinazione dirigenziale n. 747 del 3 dicembre 2013 è stato disposto di destinare risorse economiche pari a complessivi euro 71.253,00 per la valorizzazione del merito e l'erogazione dei premi per i risultati perseguiti dai singoli e dalle unità organizzative in relazione agli obiettivi previsti dal «piano della Performance 2013 – 2015», approvato con deliberazione presidenziale n. 15 del 28 maggio 2013;
   l'organismo indipendente di valutazione della performance ha provveduto alla misurazione e valutazione della performance del direttore facente funzioni che nel 2013 ha diretto l'ente, il dottor Luca Soldano, secondo le modalità previste dal «sistema di misurazione e valutazione della performance»;
   in base alle determinazioni scaturenti dalla misurazione e valutazione della performance del direttore f.f. per l'anno 2013 è stato attribuito allo stesso un premio di euro 3.245,34, quantificato a seguito dell'applicazione della formula prevista dal «sistema di misurazione e valutazione della performance»;
   il dottor Luca Soldano (dipendente che nel 2013 ha espletato l'incarico di direttore facente funzioni) su richiesta dell'attuale direttore f.f ha provveduto a formulare la proposta di misurazione e valutazione della performance «organizzativa», «individuale», e di «risultato» per l'anno 2013 per tutto il personale dipendente dell'ente, proponendo la quantificazione dei relativi premi da attribuire a ciascun dipendente valutato, determinati complessivamente in 68.007,66 euro;
   il processo di misurazione e valutazione della performance stato eseguito in conformità al vigente «sistema di misurazione e valutazione della performance», secondo quanto dichiarato dallo stesso dottor Soldano;
   sul sito dell'ente in questione, nella parte relativa alla pagina «amministrazione trasparente», i link alle retribuzioni dei dirigenti non risultano in alcun modo attivi –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti riportati e quali siano i suoi orientamenti in merito ai premi elargiti;
   se il Governo intenda attivarsi al fine di rivedere la pianta organica e l'organizzazione interna dell'ente in modo da diminuire la quota dei suddetti premi.
(5-04443)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ROSATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la tassa di proprietà prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 5 febbraio 1953, n. 39, obbligatoria per chi risulta intestatario di un veicolo iscritto al pubblico registro automobilistico, deve essere corrisposta, indipendentemente dall'utilizzo del mezzo, singolarmente per ciascun veicolo;
   con la legge 27 dicembre 1997, n. 449, dal 1998, la competenza della riscossione della tassa è stata trasferita alle regioni a statuto ordinario e alle province autonome, mentre nelle regioni a statuto speciale la titolarità è rimasta in capo al Ministero dell'economia e delle finanze;
   secondo le indicazioni del Ministero, la modalità di versamento – individuale per ciascun veicolo – viene seguita anche nel caso di pagamento per più mezzi, e non può essere assolta in una unica soluzione tramite modulo F24 o tramite un unico cedolino postale;
   questo schema è rimasto inalterato anche in seguito all'abolizione dell'obbligo di esporre sui veicoli il contrassegno attestante il pagamento della tassa in argomento;
   il sistema di pagamento individuale si traduce, per le imprese che possiedono un cospicuo parco veicoli, in un ulteriore costo e balzello burocratico: si pensi alle aziende che a cadenza annuale (o quadrimestrale, per chi ha optato per la rateizzazione del pagamento) devono compilare un bollettino postale per ciascun veicolo;
   il pagamento individuale non risponde ad alcuna esigenza per la pubblica amministrazione, prova ne è la previsione del pagamento cumulativo adottato dalla regione Campania con legge regionale 27 gennaio 2012, n. 1, per il possesso di più di dieci veicoli, e la previsione della riscossione cumulativa adottata dal legislatore nazionale per i veicoli concessi in locazione finanziaria (legge 23 luglio 2009, n. 99);
   sarebbe opportuno semplificare la procedura di pagamento della tassa di proprietà, consentendo per possessori che abbiano più di dieci veicoli, la possibilità di effettuare il pagamento attraverso un unico bollettino postale cumulativo o attraverso un unico modello F24 –:
   se il Ministro sia a conoscenza della gravosità che comporta, per proprietari in possesso di un cospicuo parco veicoli, la procedura di pagamento della tassa di proprietà, singolarmente per ciascun veicolo;
   se il Ministro intenda semplificare la procedura di riscossione della tassa consentendo il pagamento cumulativo per più veicoli attraverso un unico modello F24 o un unico bollettino postale. (4-07496)


   DE LORENZIS, TOFALO e PETRAROLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 dicembre 2014 su «Il Fatto Quotidiano» veniva pubblicato un articolo a firma di Giorgio Meletti dal titolo «Tiscali vola in borsa grazie alla notizia che sapevano in pochi»;
   nel suddetto articolo si rappresentava come il giorno 29 dicembre 2014 il titolo azionario della società denominata Tiscali Italia spa presieduta e di proprietà dell'europarlamentare Renato Soru aveva registrato alla borsa di Milano un rialzo del 21 per cento ad inizio seduta tanto che lo stesso titolo veniva sospeso per due ore nella stessa giornata per chiudere con un rialzo del 15 per cento;
   secondo l'autore dell'articolo citato tale anomalo rialzo del valore del titolo della società era stato determinato dalla notizia che la predetta società si sarebbe aggiudicata la gara per l'affidamento dei servizi di connettività nell'ambito del sistema pubblico di connettività (SPC) indetta da Consip nel maggio del 2014 per un valore di 2,5 miliardi di euro;
   secondo quanto riportato nell'articolo Consip avrebbe comunicato questa notizia price sensitive non al mercato e al pubblico degli investitori ma esclusivamente alle altre società partecipanti alla gara per l'affidamento con ciò determinando dei fenomeni speculativi sul titolo della società quotata;
   nell'articolo si precisa, inoltre, come Tiscali Italia spa offrendo un ribasso dell'89 per cento rispetto al valore stimato della gara si sarebbe aggiudicata il 52 per cento della fornitura e, in ragione delle regole di gara, l'esito della stessa sarebbe condizionato dal comportamento di altre tre società utilmente collocate nella graduatoria che per aggiudicarsi 3 lotti pari al restante 48 per cento della fornitura devono dichiarare la volontà di offrire il listino proposto da Tiscali spa diversamente la gara non verrà aggiudicata –:
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere il Ministro interrogato per verificare quanto sopra rappresentato con riferimento alla presunta rivelazione di informazioni privilegiate da parte di Consip. (4-07499)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   al detenuto Aldo Ercolano, già condannato all'ergastolo per omicidio e associazione di stampo mafioso, il 14 settembre 2014 è stato nuovamente revocato il regime speciale di detenzione previsto dall'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario;
   il regime di detenzione speciale era stato disposto per un periodo di due anni con decreto del 4 aprile 2014, assumendo la pericolosità che avrebbe certamente determinato la restituzione dell'Ercolano al circuito carcerario ordinario;
   sulla revoca del 41-bis all'Ercolano si è peraltro già più volte espressa, negativamente, la Direzione nazionale antimafia che ritiene tuttora Aldo Ercolano (figlio dei capomafia deceduto Giuseppe Ercolano e nipote del capomafia Benedetto Santapaola) l'uomo di maggior rilevanza criminale all'interno delle famiglie Santapaola-Ercolano;
   non si comprende quali elementi abbiano potuto determinare, in così pochi mesi, una revisione radicale del giudizio sulla pericolosità dell'Ercolano;
   appena due mesi fa, nel corso dell'operazione antimafia Reset sono state acquisite intercettazioni telefoniche, trasferite poi negli atti del procedimento, da cui risulta in modo inequivocabile che Aldo Ercolano è tuttora capo mafia di Catania e che nel corso di una riunione delle cosche catanesi che fanno riferimento alle famiglie Santapaola-Ercolano, al nome di Aldo Ercolano, indicato come l'attuale referente di Cosa Nostra, sarebbe partito tra gli affiliati un lungo applauso;
   il 20 novembre 2014 nel corso dell'operazione Caronte è stato arrestato con l'accusa di associazione mafiosa anche Vincenzo Ercolano, fratello di Aldo Ercolano; in quella circostanza si è provveduto anche al sequestro preventivo di un patrimonio stimato in oltre 50 milioni di euro;
   secondo il rapporto dei Ros l'autotrasporto continua ad essere il business criminale incontrastato degli Ercolano che, per accrescere i propri affari, «avrebbero utilizzato la forza intimidatrice» del loro cognome. Un potere criminale recentemente consolidato – secondo gli investigatori – anche attraverso alleanze eccellenti della criminalità organizzata palermitana e con imprenditori collegati alla mafia agrigentina;
   analogo provvedimento di sequestro aveva già subito anche il patrimonio di Angelo Ercolano, cugino di Aldo e titolare della Sud Trasporti;
   tutto ciò rende ancora più incontrovertibile l'attuale pericolosità mafiosa della famiglia Ercolano e il ruolo indiscutibilmente apicale che vi ricopre Aldo Ercolano –:
   se il Ministro interpellato non ritenga di assumere le iniziative di competenza per riattivare tempestivamente le misure di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario nei confronti del suddetto detenuto.
(2-00810) «Fava, Mattiello, Garavini, D'Uva, Pisicchio».

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata:


   NICCHI, PELLEGRINO, ZARATTI e MATARRELLI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   l'emergenza abitativa nel nostro Paese è sempre più drammatica e acuita dalla grave crisi economica in atto e finisce per colpire principalmente le fasce sociali più deboli della società;
   come hanno in questi giorni ricordato i tre assessori alle politiche abitative delle tre grandi città di Roma, Milano e Napoli, con un appello al Governo, ogni giorno sono 140 gli sfratti eseguiti per mezzo della forza pubblica: una sentenza di sfratto colpisce, secondo le statistiche, una ogni 353 famiglie. Escludendo quelle proprietarie di case e gli assegnatari di alloggi pubblici, ciò significa che ogni anno in Italia una sentenza di sfratto – quasi sempre per morosità incolpevole – colpisce una famiglia su quattro;
   il 31 dicembre 2014 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 302 il decreto-legge n. 192 del 2014 recante «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative», ma, a differenza dei precedenti decreti di proroga termini, il testo non prevede alcuna proroga del blocco degli sfratti scaduto a fine 2014;
   da cinque anni a questa parte, segnalano gli assessori, Roma ha registrato oltre 10 mila sentenze per fine locazione; 4500 sentenze a Napoli e 4 mila sentenze di sfratto a Milano, sempre tra il 2008 e il 2013. Circa il 70 per cento delle famiglie avrebbe i requisiti di reddito e sociali (anziani, minori e portatori di handicap) previste dalla norme per la proroga dei termini;
   lo stesso Piero Fassino, presidente dell'Anci, ha dichiarato che «l'emergenza abitativa (...) sollecita una valutazione sull'opportunità di una proroga, almeno temporanea» –:
   per quali motivi il Governo abbia ritenuto di non inserire nel decreto-legge n. 192 del 2014 la proroga del blocco degli sfratti scaduto a fine 2014. (3-01242)


   DORINA BIANCHI, GAROFALO e PISO. Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   la mancata reiterazione dell'ultima proroga degli sfratti, disposta al 31 dicembre 2014 con il decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2014, n. 15, ha generato un ampio malcontento, portando gli assessori delle principali città e le associazioni di categoria degli inquilini a delineare un quadro di 30.000 soggetti interessati dalla scelta operata dal Governo;
   il numero totale degli sfratti eseguiti nell'anno 2013 – secondo i dati del Ministero dell'interno – ammonta a poco più di 30.000. La norma di proroga in questione e su cui il Parlamento da anni delibera in sede di conversione del decreto-legge di proroga dei termini di fine anno si limita a prorogare una disposizione di sospensione che già da tempo circoscriveva i reali destinatari del beneficio solo a particolari categorie. In primo luogo, la sospensione riguarda (dal 2007) solo la categoria degli sfratti per finita locazione che – secondo la stessa fonte ufficiale citata – sono quasi l'8 per cento del totale. In secondo luogo, la norma richiede requisiti di reddito molto stringenti. Infine, aggiunge ulteriori condizioni;
   ai sensi dell'articolo 1, comma 1, della legge 8 febbraio 2007, n. 9, la sospensione riguarda soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio per finita locazione degli immobili adibiti ad uso di abitazioni, con reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27.000 euro, che siano o abbiano nel proprio nucleo familiare persone ultrasessantacinquenni, malati terminali o portatori di handicap con invalidità superiore al 66 per cento, purché non siano in possesso di altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella regione di residenza, nonché conduttori che abbiano, nel proprio nucleo familiare, figli fiscalmente a carico. Tali conduttori devono essere residenti nei comuni capoluoghi di provincia, nei comuni con essi confinanti con popolazione superiore a 10.000 abitanti e nei comuni ad alta tensione abitativa di cui alla delibera Cipe 13 novembre 2003, n. 87103;
   secondo le stime ricavabili dalla relazione tecnica dell'ultima proroga disposta nel dicembre 2013, avrebbero usufruito della sospensione per il 2012 circa 2000 nuclei familiari. Questo dato è ricavato dalle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2013 dai proprietari che possono, a fronte del mancato rilascio dell'immobile, non dichiarare ai fini Irpef il reddito derivante dalla locazione dell'immobile interessato dalla sospensione. Tale beneficio si applica, esclusivamente, ai sensi dell'articolo 1, comma 2 del decreto-legge 20 ottobre 2008, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2008, n. 199, nei comuni capoluogo delle aree metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli, Palermo, Messina, Catania, Cagliari e Trieste nonché nei comuni ad alta tensione abitativa con essi confinanti;
   non va dimenticato che il blocco degli sfratti che viene prorogato dal 2007 non può essere ampliato per rispondere al crescente disagio abitativo (fenomeno certamente preoccupante), in quanto già la Corte costituzionale, in più occasioni, segnalò l'assoluta incompatibilità di questo genere di disposizione con diversi principi costituzionali –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere (sulla base della stima che l'Esecutivo ha fatto in merito agli effetti della mancata proroga) per pervenire ad una soluzione alternativa per quelle famiglie colpite da un disagio che riguarda un diritto primario e che rischia di inasprire la tensione sociale, soprattutto nelle aree metropolitane del nostro Paese. (3-01243)


   PRESTIGIACOMO, RICCARDO GALLO e PALESE. Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   il 30 dicembre 2014, sulla strada statale 121 Palermo-Agrigento, si è verificato un cedimento della carreggiata di circa 3 metri a ridosso del viadotto Scorciavacche 2, su un tratto di 1,3 chilometri inaugurato il 23 dicembre 2014 e costato 13 milioni di euro;
   i lavori concernenti il viadotto Scorciavacche 2 dovevano terminare nel marzo 2015 ma il consorzio di imprese che li ha eseguiti ha reso fruibile il tratto stradale già dal 23 dicembre 2014 e l'Anas, dopo le dovute verifiche, aveva dato il via libera alla circolazione veicolare;
   il 30 dicembre 2014, in presenza dei primi segni di cedimento dell'asfalto del citato viadotto, la stessa Anas ha fatto chiudere il tratto di carreggiata prima che si potessero verificare incidenti e prima che si aprisse una spaccatura profonda sulla strada;
   il tratto della strada carrozzabile interessato dal cedimento è stato posto sotto sequestro dalla procura di Termini Imerese che ha aperto un'inchiesta per crollo colposo, mentre l'Anas ha annunciato un'indagine interna per accertare le eventuali responsabilità della ditta costruttrice e della direzione dei lavori che aveva autorizzato l'agibilità provvisoria, riservandosi di avviare nei loro confronti un'azione legale;
   gli ingegneri responsabili dell'esecuzione dell'opera del consorzio Bolognetta scpa, hanno dichiarato che il viadotto sarebbe crollato a causa di un cedimento del terreno di fondazione del corpo stradale con innesco di uno scivolamento verso valle;
   il consorzio comprende la ditta Cmc – cooperativa Muratori&Cementisti – di Ravenna (che ha la stessa sede legale del consorzio Bolognetta scpa), la ditta Ccc – Consorzio cooperative costruzioni – di Bologna e la Tecnis spa di Catania;
   la società Bolognetta scpa è impegnata attualmente con diverse squadre di lavoro, soprattutto nei nuovi viadotti Scorciavacche 1 e 2;
   in data 6 gennaio 2015 il quotidiano Il Giornale ha riportato la notizia che la ditta Cmc di Ravenna ha avuto in passato controversie legali in seguito all'esecuzione di taluni lavori;
   il presidente dell'Anas, Pietro Ciucci, eseguendo una ricognizione nei luoghi interessati all'infrastruttura, ha confermato che il cedimento è stato conseguenza di un errore di progettazione o esecuzione dell'opera stessa;
   in Sicilia sono crollati numerosi viadotti a partire dal maggio 2009, mese in cui la procura della Repubblica di Agrigento aprì un'inchiesta dopo il crollo del viadotto «Geremia II», dove l'intera campata precipitò al suolo, passando per il crollo di una porzione della campata centrale del viadotto Verdura a Ribera (Agrigento) il 2 febbraio 2013, sulla strada statale 115 sud occidentale sicula, fino ad arrivare al luglio 2014, data in cui ci fu il crollo di una campata del viadotto Petrulla, in territorio di Ravanusa, che fece 4 feriti;
   non è chiaro, inoltre, se per il viadotto Scorciavacche 2 siano stati eseguiti controlli preventivi di carattere geognostico prima di progettare e realizzare l'opera –:
   quali provvedimenti il Ministro interrogato abbia intrapreso per ripristinare celermente la viabilità ordinaria nel tratto di strada che collega le province di Palermo e Agrigento, accertando nel contempo, per quanto di competenza, le eventuali responsabilità e omissioni delle ditte appaltatrici, e di quali fatti sia a conoscenza per aver definito il crollo come il risultato di un «difetto di progettazione da parte di un'azienda che peraltro è molto qualificata e opera in tutto il mondo».
(3-01244)

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, CECCONI, DAGA, MICILLO, BUSTO, SEGONI, MANNINO, ZOLEZZI e DE ROSA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si apprende la notizia secondo la quale l'ENAV avrebbe nei suoi piani il ridimensionamento dell'aeroporto Falconara Ancona;
   piano di riorganizzazione priverebbe l'unico aeroporto presente nella regione Marche del sistema ATIS, il servizio automatico di trasmissione delle informazioni utili al pilota per acquisire in modo aggiornato e continuativo i dati meteorologici per l'atterraggio e decollo, fondamentale in caso di condizioni meteo marginali; nonché dell'apparato di emergenza delle frequenze di comunicazione e del sistema meteo di riserva che gestisce l'acquisizione e distribuzione di dati temperatura, umidità dell'aria, pressione, vento;
   inoltre ad essere investito dal piano sarebbe anche il personale con la previsione che controllori di volo e osservatori meteo «esperti» vengano trasferiti negli aeroporti e sostituiti, in quantità numericamente ridotta, da personale neo assunto, abilitato a entrambe le funzioni;
   l'aeroporto Falconara Ancona rappresenta una struttura strategica per tutta l'economia regionale per quanto riguarda le attività di trasporto sia di merci che di passeggeri. Questo soprattutto in considerazione della chiusura del vicino aeroporto di Rimini con prevedibile spostamento di parte del traffico aereo sull'aeroporto marchigiano con conseguente aumento del traffico passeggeri e merci;
   la regione è attraversata da una profonda crisi del settore industriale e il turismo potrebbe rappresentare una possibilità per diminuire la disoccupazione che nelle aree interne raggiunge picchi pari al 16.9 per cento –:
   se il Ministro è a conoscenza delle notizie in premessa;
   se il Ministro sia a conoscenza e sia quindi in grado di illustrare i motivi alla base della decisione dell'ENAV;
   se il Ministro interrogato non, ritenga di dover intervenire per quanto di competenza per rivedere il piano di riorganizzazione, tenendo conto delle possibilità di sviluppo dell'aeroporto e dell'importanza strategica della struttura per lo sviluppo economico della regione. (3-01239)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CULOTTA e RIBAUDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a partire dalla data del 15 dicembre 2014 la compagnia maltese Fly Hermes ha iniziato ad operare in Italia su Comiso, Palermo e Torino;
   la sua base principale e l'aeroporto di Malta, dove si trova anche la sua sede amministrativa;
   la stessa compagnia pare abbia a disposizione un solo velivolo, un Boeing 737 da 168 posti;
   nella giornata del 6 gennaio 2015, il volo Palermo-Torino, previsto per le ore 14:00 è stato prima posticipato, poi cancellato e poi riprogrammato per il giorno successivo sempre per le ore 14:00 ed in effetti poi partito all'1 e 15, dunque nella notte tra il 7 e l'8 gennaio;
   i 160 passeggeri, tra cui una donna in gravidanza, nella giornata del 6 gennaio sono rimasti quasi privi di informazioni a tal punto da portare alcuni di loro a fare un esposto alla polizia aereoportuale;
   coloro i quali sono rimasti in aeroporto fino a sera, circa 22 passeggeri, sono stati accompagnati c/o un albergo della città di Palermo, dove sono stati rifocillati e ospitati per la notte e riportati in aeroporto il giorno successivo;
   nella giornata del 7 gennaio, in cui era stato inizialmente riprogrammato il volo sempre per le ore 14:00 ma poi partito appunto all'1 e 15, i passeggeri nelle ulteriori ore di attesa, sono stati accolti e ospitati dall'ente gestore dell'Aeroporto di Palermo (GESAP);
   il disservizio qui riportato risulta essere il più serio, ma altri ne sono stati registrati, di minore entità in rapporto a quello citato, dalla data di attivazione dei voli da e per la Sicilia;
   l'aeroporto di Palermo è uno degli aeroporti italiani definiti strategici dal Governo nazionale e che lo scalo di Comiso è scalo di rilevanza nazionale;
   da fonti di stampa si apprende che il presidente dell'ENAC, il professor Vito Riggio, ha chiesto alla sua omologa maltese di vigilare sulle proprie compagnie aree e di far applicare il regolamento di riferimento per la tutela dei diritti dei passeggeri, avviando un'indagine sull'accaduto;
   il presidente della Gesap, la società di gestione dell'Aeroporto di Palermo, ha scritto al presidente di ENAC richiedendo di essere notiziato in merito alle azioni poste in essere da quest'ultima nei confronti della compagnia FLYHERMES –:
   quali siano i motivi che hanno portato alla cancellazione dei voli in partenza da Comiso e Palermo e se sia stato rispettato il regolamento (CE) n. 261/2004 in materia di assistenza e informazioni ai passeggeri in caso di ritardo prolungato, cancellazione volo e negato imbarco;
   quali azioni il Ministro intenda porre in essere nei confronti della suddetta compagnia per scongiurare disservizi simili che, oltre a ledere la pazienza dei viaggiatori, ledono fortemente l'immagine dell'intero sistema aeroportuale italiano.
(5-04444)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MORANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende di un possibile declassamento dell'aeroporto delle Marche da parte di ENAV (Ente nazionale di assistenza al volo);
   l'aeroporto di Ancona Falconara è stato inserito dall'ENAV in un gruppo di aeroporti definiti «a basso traffico», e su tale premessa, pare sia stato avviato un programma di ristrutturazione interna con riduzioni di costi, di apparati tecnologici e di personale;
   questo ridimensionamento potrebbe deprimere fortemente le speranze di sviluppo del territorio e minare nelle fondamenta anche il nuovo piano industriale della società di gestione (Aerdorica) e il progetto della regione Marche, intenzionata ad investire circa 20 milioni di euro per determinare lo sviluppo dell'aeroporto con l'obiettivo del raddoppiare in cinque anni il numero dei passeggeri e della quantità di merci;
   tale paventato declassamento dell'aeroporto potrebbe inoltre inibire le aspettative di sviluppo legate al progetto della macro regione adriatico-ionica, oltre che tutte quelle sinergie di collegamenti e scambi culturali e commerciali, su cui fortemente si stanno impegnando le comunità e le Istituzioni locali;
   di fatto viene mortificata la realtà locale chiudendo la porta alla valorizzazione che il territorio meriterebbe: ci si riferisce alle ricadute negative per tutte le aziende che vedono nell'estero la sola risposta efficace per combattere la crisi e per quegli operatori turistici locali che stanno investendo per una migliore fruibilità della regione, incrementando scambi commerciali e culturali;
   un ridimensionamento delle potenzialità dell'Aeroporto pregiudicherebbe lo sforzo che le imprese, sempre attente al proprio territorio, stanno mettendo in atto;
   inoltre il declassamento, viste le difficoltà di scali aeroportuali di rilievo come quello di Rimini, andrebbe ad influire negativamente anche sulla possibile acquisizione di nuovi importanti collegamenti, che potrebbero risultare strategici, anche nell'ottica di sviluppo del progetto della Macroregione Adriatico-Ionica –:
   se le notizie riguardanti l'eventuale declassamento dell'aeroporto delle Marche corrispondano al vero e se, in caso affermativo, il Ministro non ritenga opportuno e necessario ripensare tale decisione, che, riguardando la principale infrastruttura delle Marche, che garantisce collegamenti verso importanti hub aeroportuali europei, e rientrando in un più ampio sistema di trasporto da cui non può prescindere, coinvolge le possibilità di sviluppo di un intero territorio, che non può permettersi di perdere una simile possibilità di crescita. (4-07485)


   LAFORGIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel decreto-legge n. 47 del 28 marzo 2014 viene incrementato con 100 milioni il Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione per il biennio 2014/2015 e con 226 milioni il Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli per il settennio 2014/2020;
   il Governo è intenzionato a non prorogare la legge n. 9 del 2007 che prevedeva il blocco degli sfratti per finita locazione per i nuclei con reddito lordo complessivo inferiore ai 27 mila euro e contemporanea presenza di almeno una delle seguenti condizioni: presenza di anziani con più di 65 anni, minori, portatori di handicap gravi, malati terminali;
   secondo i dati forniti dai sindacati inquilini il 70 per cento dei casi coinvolti dalla norma sono anziani con reddito di sola pensione;
   dal 2009 al 2013 si sono registrati circa 140.000 sfratti eseguiti e dall'inizio della crisi, nel 2008, Roma ha registrato oltre 10.000 sentenze per fine locazione, Napoli 4.500 e Milano 4.000;
   secondo gli assessori alla casa di Milano, Roma e Napoli Daniela Benelli, Francesca Danese e Alessandro Fucito il presupposto delle proroghe consisteva nell'impegno del Governo di sostenere con adeguati piani i comuni, ma che dal Consiglio dei ministri non siano arrivate ancora risposte soddisfacenti, considerando che fra le 30 e le 50 mila famiglie in tutta Italia sono a rischio di sfratto esecutivo per la mancata proroga degli sfratti di fine locazione e che sono oltre 70 mila le sentenze di sfratto in Italia alla fine del 2014, più di 30 mila quelli eseguiti, il 90 per cento dei quali per morosità, spesso incolpevole;
   in data 7 gennaio 2015 il delegato alle politiche abitative e lavori pubblici dell'ANCI, Alessandro Bolis, ha richiesto la proroga del blocco degli sfratti per finita locazione, almeno per i nuclei di persone particolarmente fragili e problematici, per evitare che vadano ad ingrossare, pur avendo sempre pagato il canone di locazione, le fila di coloro che vivono nello strato più profondo del disagio abitativo, in una situazione in cui i fondi stanziati sono esigui e le poche risorse arrivano con ritardo, chiedendo la convocazione della Consulta Casa per la prossima settimana;
   le amministrazioni comunali di Milano, Torino, Bologna, Roma e Napoli chiedono in alternativa alla concessione della proroga il trasferimento dei fondi statali destinati al sostegno agli affitti direttamente alla città metropolitane e non alle regioni, per garantire una maggiore velocità degli iter burocratici e un efficientamento della gestione delle risorse destinate agli inquilini non più in grado di pagare il canone o agli stessi proprietari degli alloggi qualora abbiano inquilini morosi perché indigenti –:
   se il Governo abbia intenzione di convocare la consulta casa come richiesto da ANCI;
   se il Governo sia intenzionato ad assumere iniziative per destinare direttamente alle città metropolitane i fondi al sostegno per gli affitti;
   se il Governo a fronte dell'emergenza abitativa non ritenga di dover destinare ulteriori fondi a questo tema, adottando strumenti per il recupero del patrimonio edilizio pubblico esistente sfitto;
   se il Governo non intenda adottare attraverso accordi con le associazioni di categoria convenzioni in cui si possa agire sul patrimonio abitativo invenduto nel settore privato. (4-07490)


   COMINARDI, SORIAL, PESCO, MANLIO DI STEFANO, ALBERTI, DE ROSA, CARINELLI, BASILIO, TRIPIEDI e CASO. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   all'articolo 1, comma 299, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015) – è stato istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un fondo con una dotazione di 20 milioni di euro annui per il periodo dal 2017 al 2031, finalizzato prioritariamente alla realizzazione di opere di interconnessione di tratte autostradali per le quali è necessario un concorso finanziario per assicurare l'equilibrio del piano economico e finanziario. Alla ripartizione delle risorse si provvede con delibera del CIPE su proposta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Il contributo è utilizzato esclusivamente in erogazione diretta;
   secondo quanto riportato dal quotidiano La Repubblica, milano.repubblica.it, articolo del 30 dicembre 2014, dal titolo «Brebemi dal Governo Renzi 300 milioni di euro all'autostrada costruita con i soldi dei privati», gli stanziamenti previsti dal Governo con la legge di stabilità 2015, pari a 20 milioni di euro annui dall'anno 2017 al 2031, potrebbero essere proprio per la società Brebemi spa. Sempre nel medesimo articolo del quotidiano viene ricordato che «la Regione Lombardia, nella sua finanziaria, aveva approvato il riequilibrio del piano economico della Brebemi-A35 attraverso un contributo da 60 milioni da versare in tre anni, dal 2015 al 2017»;
   con riferimento al costo della tratta autostradale A35 Milano-Brescia, da realizzarsi in project financing, come riportato dal quotidiano Corriere della Sera, milano.corriere.it, articolo del 24 luglio 2014, dal titolo «Debutta l'autostrada Brebemi. Ma quanto è cara?», sui 62 chilometri della tratta autostradale, costata 25,8 milioni a chilometro, non è stato possibile, fino alla fine del 2014, fare rifornimento in quanto i distributori, al momento dell'apertura, risultavano chiusi in quanto la gara d'appalto è andata deserta. Inoltre, la tratta autostradale sarebbe priva di tutor ed autovelox e l'importo delle tariffe per chilometro appare tra i più elevati d'Italia;
   a fronte dei pedaggi onerosi e dei costi rilevanti dell'infrastruttura (2,4 miliardi di euro), la risposta dell'utenza risulta deludente rispetto alle stime della Brebemi che prevedeva 40 mila accessi giornalieri dall'apertura, mentre nella prima settimana sono stati registrati 16 mila accessi, questo è quanto riporta il Corriere.it del 10 settembre 2014.
   a dimostrazione dell'inutilità dell'opera, tre ragazzi del centro sociale Paci Paciana hanno improvvisato una partita a calcio sulla carreggiata, il tutto documentato su varie testate tra le quali liberoquotidiano.it dell'11 ottobre 2014;
   diversamente da quanto dichiarato più volte a mezzo stampa dal presidente di Brebemi (Francesco Bettoni) che l'opera è interamente sostenuta da contributi privati, si apprende dal FattoQuotidiano.it del 25 gennaio 2014 che in realtà è finanziata per 820 milioni di euro dalla Cassa depositi e prestiti (banca pubblica) e per 700 milioni di euro dalla Bei (Banca europea degli investimenti, pubblica) con garante Sace spa che a sua volta è di proprietà della Cassa depositi e prestiti;
   con deliberazione 4/2011 del 5 maggio 2011, il CIPE esprime un parere favorevole riguarda al secondo atto aggiuntivo alla convenzione fra la società autostradale Bre.Be.Mi. e C.A.L. s.p.a, prendendo atto in particolare che l'atto aggiuntivo prevede, tra l'altro, un ulteriore intervento di Cassa depositi e prestiti s.p.a. sotto forma di finanziamento diretto del progetto;
   già in data 1o agosto 2014 il CIPE ha approvato, misure di defiscalizzazione all'asse autostradale Pedemontana Lombarda per riequilibrare il piano economico finanziario (PEF). L'ammontare delle misure agevolative fiscali è pari a 349 milioni di euro in valore attuale complessivo (IRES, IRAP e IVA) per il periodo di applicazione 2016/2027;
   alla luce delle notizie fin qui riportate, eventuali finanziamenti erogati all'opera in questione potrebbero configurare, a giudizio dell'interrogante, un «aiuto di Stato», che le più recenti sentenze della Corte di giustizia estendono anche alle modalità di finanziamento delle infrastrutture destinate all'uso economico, da sottoporre al controllo della Commissione europea per verificare che non entrino in contrasto con la normativa comunitaria in materia di libera concorrenza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa;
   se i contributi di cui al fondo istituito ai sensi dell'articolo 1, comma 299, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, siano destinati alle società concessionarie o alle società di progetto delle opere di interconnessione di tratte autostradali o a chi siano destinati in erogazione diretta;
   se ritenga che eventuali finanziamenti alle opere citate in premessa, erogati dallo Stato, possano costituire un aiuto di Stato, e se, in tal caso, a norma dell'articolo 108 del TFUE e del regolamento applicativo del Consiglio (CE) n. 659/1999, lo Stato italiano abbia assolto all'obbligo di notifica del finanziamento in progetto alla Commissione europea per consentire alla stessa di verificarne la compatibilità con il mercato comune.
(4-07502)


   DELL'ORCO, DI BATTISTA e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo fonti stampa il 24 luglio 2013, è stato firmato il protocollo d'intesa per il completamento del piano strategico dell’hub portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta e del sistema di rete e della logistica, promosso dall'autorità portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta. All'intesa avrebbero aderito la Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministero per la coesione territoriale, Ministero dello sviluppo economico, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero dei beni e delle attività culturali, regione Lazio, provincia di Roma, provincia di Viterbo, comune di Roma, comune di Viterbo, comune di Civitavecchia, comune di Fiumicino, comune di Tarquinia, autorità portuale di Civitavecchia-Fiumicino-Gaeta, RFI spa, SNAM spa, ANAS, ARDIS, Fincantieri spa, consorzio Oasi di Porto, fondazione Portus onlus;
   il suddetto documento non risulta essere disponibile in rete ma, stando sempre alle fonti stampa, prevederebbe anche la realizzazione del primo lotto del progetto del nuovo porto commerciale di Fiumicino, da destinare ad attracco per unità da crociera e ro-ro e a darsena pescherecci, nonché la realizzazione dei nuovi collegamenti stradali con Roma, oltre alle complanari di penetrazione dell'autostrada Roma-Aeroporto di Fiumicino; la realizzazione del nuovo Ponte 2 Giugno; realizzazione del collegamento fluviale tra il nuovo porto commerciale e l’ex Arsenale Pontificio di Porta Portese, con l'utilizzo della navigabilità del Tevere per il trasporto di turisti dal porto a Roma; progettazione con il comune di Fiumicino del Waterfront e del sistema viario a servizio del porto;
   con delibera CIPE n. 31/2014 è stata espressa compatibilità del Programma triennale 2014-2016 dell'autorità portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta con il documento programmatorio vigente che, per il Porto di Fiumicino prevederebbe un costo di 178,399 milioni di euro di interventi da realizzare, fermo restando che il Programma stesso troverà attuazione nei limiti delle effettive disponibilità dell'autorità portuale;
   i lavori previsti presentano però importanti problemi di impatto ambientale che, secondo più di una autorità intervenuta nelle procedure di valutazione di variante del piano regolatore portuale, non sarebbero stati adeguatamente vagliati, a cominciare dall'impatto dell'impianto «sea-lines – stazione di pompaggio» posto che, nel documento del parere del Ministero dei beni e delle attività culturali (Prot. N. DG BAP S02/30.19.04/4021/2009) è specificato che: «non si conoscono al momento le caratteristiche tecniche e dimensionali, né la conformazione del suddetto impianto “ sea-lines – stazione di pompaggio ” sul quale questo Ufficio si riserva di esprimere eventuali pareri»;
   la stessa regione Lazio inoltre, nel parere trasmesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (prot. N. 111560/25/25 del 15 giugno 2009), tra le conclusioni specifica che «il piano, così come presentato dal soggetto proponente, non ha previsto impianti significativi sull'assetto ambientale costiero e che invece in sede di valutazione questa Autorità ritiene che la dimensione e l'ubicazione delle opere portuali possano indurre effetti negativi sull'erosione costiera»; Fiumicino, insieme a Fregene e Ladispoli, risulta già tra l'altro tra i comuni della costa laziale maggiormente interessati del fenomeno dell'erosione con una quota di coste in arretramento compresa tra il 50 per cento e il 67 per cento (Rapporto sullo stato dell'ambiente la Regione Lazio Enea - C.R. Casaccia) e lo stesso sindaco, durante la seduta della, commissione ambiente del comune di Fiumicino del 6 agosto 2014, ha pubblicamente ammesso che la costruzione del nuovo porto recherà conseguenze pesanti sui fenomeni di erosione del litorale per tutta la costa di Fiumicino e oltre. Il progetto tra l'altro non prevede interventi di ripascimento e/o di compensazione, contrariamente a quanto indicato dalle disposizione del decreto del Presidente della Repubblica n. 356 del 1997, come modificato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 120 del 2003;
   all'interrogante non risultano inoltre del tutto chiari gli effetti dei lavori sulla risorsa idrica e, d'altronde, in rete non risulta neppure rintracciabile il documento di valutazione sull'interazione tra il campo idrodinamico e il nuovo porto di Fiumicino (1o aprile 2008) predisposto dall'ICRAM su richiesta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; del tutto negativo sarà invece l'impatto sulla qualità dell'aria, considerato che la piena operatività della nuova struttura «potrà portare il livello della qualità dell'area da buono a mediocre nell'area di Piana del Sole e Parco Leonardo con punte sino a valori scadenti», in un'area che risulta densamente popolata, come dichiarato nel succitato parere trasmesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dalla regione Lazio;
   anche gli effetti su aree SIC o ZPS o altre aree naturali protette rimangono da chiarire benché nel parere trasmesso dalla Commissione di valutazione di impatto ambientale al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (n. 187 del 15 dicembre 2008) si assicura che «nell'area di progetto non sono presenti SIC o ZPS o altre aree naturali protette»; tale affermazione non risulta infatti del tutto veritiera posto che il progetto prevede il raddoppio di via Coccia di Morto all'interno della pineta confinante che è un'area protetta (SIN3IT6030061); inoltre il progetto sembrerebbe avere delle preoccupanti mancanze proprio per l'impossibilità di intervenire in aree protette, come si evincerebbe dallo «Studio di Impatto Ambientale» depositato dall'autorità portuale per la partecipazione del pubblico (sintesi non tecnica). In quel documento si riporta infatti che non sono previsti interventi di riqualificazione del litorale sottoflutto (ovvero quelli previsti in ambito naturalistico protetto come da Direttiva Habitat 92/43/CEE), non perché non siano necessari ma «in quanto la fascia costiera a nord del porto rientra in un ambito naturalistico protetto in quanto riserva naturale (nonché SIC, sito d'importanza naturalistica comunitaria)» e dunque «eventuali interventi devono essere concordati con l'ente di gestione»;
   con la realizzazione del porto commerciale, Fiumicino diventerebbe uno dei maggiori scali merci del Lazio, con la previsione ottimale di un passaggio di 3 milioni di tonnellate di merci all'anno trasportati da circa 180.000 TIR ma l'impatto del progetto sulla viabilità locale è stato del tutto sottovalutato considerando che, come espresso nella relazione della soprintendenza per i beni architettonici, per il paesaggio per il Lazio, inviata alla direzione generale del Ministero dei beni e delle attività culturali (con nota n. 14296 del 16 aprile 2004 ed acquisita agli atti protocollo n. ST/408/33693 del 27 ottobre 2004), l'immediato intorno cittadino all'area portuale è però «privo di adeguate arterie di comunicazione infrastrutturale e difficilmente adattabile in tal senso, considerato il “disordine” urbano con cui si è sviluppato negli ultimi decenni gran parte di quel territorio»;
   il parere favorevole del Ministero dei beni e delle attività culturali è stato pertanto vincolato alla costruzione di infrastrutture viarie e ferroviarie che rendano sostenibile la viabilità nell'intera zona interessata dal progetto, compresa via Coccia di Morto, ospitante il traffico proveniente dall'Aurelia e dalla rete viaria disposta a nord del futuro amplesso portuale, ora già ampiamente congestionata, al contempo però nello stesso parere, viene dichiarata «l'impossibilità del suo allargamento nel tratto confinante con la pineta tutelata» e la necessità di trovare alternative;
   il piano di viabilità del progetto di variante al piano regolatore portuale di Fiumicino non risulta completamente definito posto che nel parere regionale, si fa riferimento alla costruzione di «un'arteria in tunnel sotto il Porto canale», prevista dal P.R.G., e al tempo stesso al progetto di costruzione di un nuovo ponte sospeso, incompatibile con la costruzione del sottovia citato nel punto precedente;
   completamente sottovalutata sembra invece l'attività geovulcanica del sottosuolo di Fiumicino caratterizzato da sacche di gas abbastanza superficiali posto che tra agosto 2013 e maggio 2014 sono apparsi a Fiumicino vari geyser (principalmente di anidride carbonica e metano), due alla rotatoria di via Coccia di Morto, uno a 400 metri dalla costa, durante lo svolgimento in loco del primo dei 170 sondaggi necessari per il porto commerciale, un altro infine a via Portuense, nei pressi del commissariato di polizia dove era presente una trivella, presumibilmente usata per i carotaggi necessari alla costruzione della arteria in tunnel sotto il Porto canale;
   in un recente studio di ricerca del CNR-INGV-Geomagellan-Uni Roma Tre si conferma che i gas fuoriusciti a Fiumicino nell'agosto e nel settembre 2013 provengono da una falda acquifera posizionata a 40-50 metri di profondità contenente gas provenienti dai vulcani dei Castelli Romani e dai Monti Sabatini, inattivi da secoli ma non ancora spenti. Il risultato a cui sono giunti i ricercatori è che altri geyser potrebbero spuntare in qualsiasi momento a Fiumicino e che queste manifestazioni sono potenzialmente pericolose per l'emissione di gas mortali, tra cui l'acido solfidrico e l'anidride carbonica e che, dunque, le fumarole potrebbero essere potenzialmente letali quando si verifichino all'interno o nei pressi zone abitate –:
   se i Ministri interrogati non rilevino una qualche incongruenza tra fattibilità e sostenibilità ambientale dell'opera e le innumerevoli prescrizioni relative a rischi ambientali e, criticità nella viabilità, ad oggi non risolte, presenti nei tre pareri espressi da regione Lazio, Ministero dei beni e delle attività culturali (incluso parere della soprintendenza per i beni architettonici, per il paesaggio per il Lazio) e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, considerando che la fattibilità di tale opera è subordinata, tra altro «alla realizzazione della rete infrastrutturale adeguata, prima dell'avvio dei lavori» (parere della direzione generale del Ministro dei beni e delle attività culturali) mentre la maggior parte delle arterie coinvolte nella rete infrastrutturale da realizzare risultano trovarsi in zone con vincoli archeologici;
   se il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo sia a conoscenza del fatto che il piano regolatore portuale e il piano regolatore generale prevedano il «raddoppio di “via Coccio di Morto”, a partire dal nodo di ingresso all'abitato di Fiumicino, fino alla zona di Focene» (come riportato nella «Pronuncia di Compatibilità Ambientale per il Progetto di Variante al Piano Regolatore Portuale di Fiumicino» – Regione Lazio nonché al VIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, parere n. 187 del 15 dicembre 2008) nonostante il fatto che nel parere del Ministero è escluso il raddoppio di codesta via nel tratto confinante con la pineta tutelata;
   posto che si è recentemente formato presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il Comitato per la portualità e la logistica, che supporterà il Governo nella definizione del Piano strategico nazionale della portualità e della logistica, (previsto dall'articolo 29 della cosiddetta legge Sblocca Italia), che sarà oggetto di un decreto del Presidente del Consiglio su proposta dello stesso Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, se non si ritenga opportuno anche in quella sede effettuare ulteriori valutazioni sull'opportunità della realizzazione del nuovo porto commerciale di Fiumicino;
   se sia stato valutato se la costruzione di tale opera sia dannosa per la salute degli abitanti di Piana del Sole e di Parco Leonardo, già esposti ad una qualità dell'aria mediocre per via della presenza della discarica di Malagrotta e di tutti gli impianti inquinanti della Valle Galeria;
   per quale motivo non sia stato pubblicato in rete l'accordo «quadro tra Palazzo Chigi e l'Autorità Portuale di Fiumicino, Civitavecchia e Gaeta», e se non si ritenga opportuno ai fini della trasparenza pubblicare in internet questo atto, come pure il documento di valutazione dell'ICRAM (ora ISPRA) sull'interazione tra il campo idrodinamico e nuovo Porto di Fiumicino (1o aprile 2008);
   se il quadro finanziario dell'opera sia già definito e se sia possibile, in tal caso, avere un dettagliato stato dell'arte specificando eventuali capitoli di spesa e se i fondi pubblici siano interamente stanziati dallo Stato italiano o prelevati dal FESR (Fondo europeo per lo sviluppo regionale) e, nel secondo caso, se siano stati stipulati accordi con l'Unione europea e con la Commissione competente in materia;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia rilevato che nel parere della commissione di VIA (n. 187 del 15 dicembre 2008) trasmesso al Ministro sia contenuto un errore là dove si dichiara che nel progetto non sono comprese zone SIC o altre protette mentre, al contrario, è presente la pineta confinante con via Coccia di Morto che sarebbe intaccata dal previsto raddoppio di codesta via;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della particolarità del sottosuolo di Fiumicino e delle possibili emissioni di pericolosi gas mortali, tra cui l'acido solfidrico e l'anidride carbonica e dunque fino a quali profondità si intende far arrivare i piloni di sostegno del porto nei fondali considerando che potrebbero essere presenti pericolose sacche di gas, come certificato dalla ricerca del CNR-INGV-Geomagellan-Uni Roma Tre citata in premessa;
   se le società che eseguiranno gli appalti sono obbligate a stipulare polizze assicurative che coprano anche eventuali danni da fenomeni erosivi o, comunque, a chi saranno addebitati eventuali costi di ripascimento delle spiagge e/o eventuali operazioni di compensazione ambientale. (4-07508)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   fino al 31 dicembre 2014 le province sono tenute ad esercitare le funzioni assegnate dalle leggi statali e delegate dalle regioni;
   la legge n. 56 del 2014 assegna alle province funzioni fondamentali relative alla pianificazione territoriale, alla tutela e valorizzazione dell'ambiente, alla pianificazione dei trasporti, alla costruzione e gestione delle strade provinciali, alla gestione dell'edilizia scolastica e alla programmazione provinciale della rete scolastica, all'assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali, alla raccolta ed elaborazione dati, al controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e alla promozione delle pari opportunità, alla stazione unica appaltante e al monitoraggio dei servizi e dell'organizzazione di concorsi e procedure selettive, d'intesa coi comuni interessati;
   la succitata legge stabilisce che debbano mantenersi in capo alle province e le funzioni collegate alle fondamentali e che le altre vadano riorganizzate;
   Stato e regioni sono chiamati a stabilire quali siano e a chi assegnarle e hanno il compito di riordinare le funzioni delle province;
   in ordine alla viabilità, per esempio, alle province tocca la gestione, manutenzione e messa in sicurezza di 130 mila chilometri di strade, cioè oltre il 70 per cento della rete viaria nazionale;
   in quanto alla scuola, invece, alle province spetta la gestione ordinaria e la messa in sicurezza delle oltre 5.100 scuole superiori italiane in cui studiano 2 milioni e 500 mila studenti;
   nel 2013 la spesa complessiva delle province, per gestione, servizi e investimenti, è stata di 10 miliardi 350 milioni;
   l'80 per cento della spesa, pari a 8 miliardi e 300 milioni di euro, è stata destinata l'erogazione e gestione dei servizi assegnati alle province dalle leggi statali e regionali, mentre il 20 per cento, cioè 2 miliardi, è stata destinata al pagamento degli stipendi degli oltre 51 mila dipendenti delle province;
   nel raffronto col 2013, nei primi nove mesi del 2014 gli incassi derivanti dall'imposta provinciale di trascrizione e dalla rc auto sono scesi di circa 471 milioni (-15,49 per cento);
   le regioni hanno delegato e trasferito alcune funzioni essenziali alle province (servizi per l'impiego, gestione trasporto, formazione, agricoltura e altro);
   insieme alle funzioni, le regioni sono tenute a trasferire alle province le risorse necessarie per esercitarle;
   negli anni i trasferimenti finanziari dalle regioni sono diminuiti drasticamente e dal 2010 al 2013 si è arrivati a -17,4 per cento;
   a partire dal 2011 le manovre economiche sui bilanci delle province sono andate in crescendo, per cui, tra maggiori tagli e inasprimento di obiettivo di patto di stabilità, i bilanci delle province sono arrivati a rischio di disequilibrio, con conseguenze immediate sulla finanza pubblica, come attestato pure dalla Corte dei conti;
   la legge di stabilità 2015 entrata in vigore il 1o gennaio prevede per il 2015 tagli pari ad 1 miliardo di euro per le province e le città metropolitane, taglio che si raddoppia nel 2016 ed arriva a 3 miliardi per il 2017; a 4 miliardi ammontano i tagli a carico delle regioni, mentre i comuni subiscono il taglio di 1,2 miliardi del fondo di solidarietà comunale; tutti i suddetti tagli si cumulano a quelli stabiliti dal 2015 con il decreto legge n. 66 del 2014, cosiddetto «IRPEF»;
   nel 2015 le province potranno usare 2 miliardi di euro, per garantire i servizi essenziali, a riorganizzazione delle funzioni non ancora attuata, dovendo quindi gestire tutti i servizi in capo all'ente al 31 dicembre 2014 e con lo stesso personale;
   al riguardo si riporta che nel 2012, stima Upi, per garantire quei servizi sono stati spesi 4 miliardi 675 milioni di euro, pertanto nel 2015 mancheranno circa 2 miliardi e 700 milioni di euro;
   sulla base dei provvedimenti previsti per le province si avrà, stima Upi, la caduta verticale del gettito delle entrate proprie, l'insolvenza di Stato e regioni per i debiti nei confronti delle province, l'insufficienza strutturale delle risorse ordinarie a finanziare le funzioni fondamentali, il disequilibrio strutturale della situazione corrente di bilancio, il default degli equilibri di cassa e lo sforamento generalizzato degli obiettivi del patto di stabilità interno, a onte di un risparmio totale dato dall'impianto previsto dalla legge n. 56 del 2014 – pari a 89 milioni di euro, secondo la relazione del 6 novembre 2013 della sezione autonomie Corte dei conti, esposta alla Commissione affari costituzionali della Camera;
   le province di Biella e di Vibo Valentia si trovano già in dissesto finanziario, con la seconda in una situazione amministrativa di ulteriore difficoltà, anche a causa dei condizionamenti della ’ndrangheta sul territorio;
   nel rispondere all'interpellanza urgente n. 2-00530, del deputato Bruno Censore e di altri, il sottosegretario per l'interno Gianpiero Bocci ha dichiarato che «l'adozione di misure straordinarie per la Provincia di Vibo Valentia, quali l'individuazione di specifiche fonti di finanziamento a carattere straordinario ovvero la modifica dei criteri di riparto del Fondo nazionale di riequilibrio per sostenere le iniziative già poste in essere dalla provincia, richiede apposite modifiche legislative che prevedano adeguate coperture finanziarie», assicurando, poi, «l'impegno a valutare, d'intesa con il Ministero dell'economia e finanze, possibili soluzioni che vadano in questa direzione»;
   per le ragioni sopra esposte, altre province potrebbero necessitare – e presto – di misure straordinarie per espletare le funzioni di competenza, alla luce dei ripetuti tagli dei trasferimenti –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per intervenire in via straordinaria nei casi di mancanza di liquidità degli enti, se non ritenga indispensabile e inderogabile promuovere un aumento dei trasferimenti centrali per l'espletamento delle funzioni spettanti alle province e, infine, come e dove sarà allocato il personale in eccedenza e con quali risorse pubbliche.
(2-00807) «Nesci, Vignaroli, Carinelli, Battelli, Luigi Di Maio, Fico, Petraroli, Cozzolino, Toninelli, Dadone, Dieni, Fraccaro, Lombardi, Nuti, D'Ambrosio, Tripiedi, Rizzetto, Bechis, Baldassarre, Chimienti, Ciprini, Cominardi, L'Abbate, Massimiliano Bernini, Benedetti, Gagnarli, Gallinella, Lupo, Parentela, Rostellato».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SCUVERA e FRAGOMELI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 18 della legge 8 novembre 2000, n. 328, sono a carico dei Comuni, indipendentemente dalle loro dimensioni, i costi di assistenza ai minori a seguito del relativo provvedimento di affidamento del tribunale;
   la finanza locale è fortemente limitata dal patto di stabilità, dalla cui applicazione non sono escluse tali spese;
   il tema è particolarmente importante per i piccoli comuni (per esempio il comune di Santa Cristina e Bissone a fronte di una popolazione di circa 2.100 abitanti, ha in affido 6 minori per una spesa annua per assistenza di 100 mila euro);
   se i Ministri interrogati non intendano valutare, per quanto di competenza, delle soluzioni per consentire un'adeguata assistenza ai minori affidati e la sostenibilità finanziaria della medesima. (5-04423)


   MICHELE BORDO e MONGIELLO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel 1999 è stato avviato l’iter burocratico per l'individuazione nel territorio di Foggia di un suolo idoneo alla costruzione della nuova sede del comando provinciale dei vigili del fuoco;
   tale richiesta nasceva dalla valutazione dell'inidoneità dell'attuale sede del comando provinciale dei vigili del fuoco a garantire il regolare svolgimento del servizio a causa della vetustà di strutture e impianti, della limitata superficie, dell'inadeguatezza logistica ed igienica;
   i lavori di costruzione del nuovo comando provinciale sono fermi dal mese di luglio 2014 per non meglio precisati motivi tecnici;
   da notizie di stampa e di fonte sindacale si apprende che è in fase di definizione l’iter di rescissione del contratto con la ditta appaltatrice dei lavori di costruzione;
   su richiesta delle organizzazioni sindacali è stato attivato il servizio di vigilanza privata h24 relativamente al cantiere, per evitare il furto di materiali e il danneggiamento della struttura –:
   se e come i Ministri interrogati intendano agire per garantire la rapida conclusione dei lavori di costruzione della sede del comando provinciale dei vigili del fuoco di Foggia, così garantendo alla popolazione un servizio efficace ed ai lavoratori sede e strutture idonee all'attività finora svolta con tanta abnegazione e spirito di servizio. (5-04427)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   gravi eventi di microcriminalità stanno colpendo Cotronei, un piccolo centro della provincia di Crotone in Calabria, da sempre considerato tranquillo, anomalia positiva di un territorio che non conosce delinquenza;
   Cotronei è un piccolo paese del crotonese di circa 6000 abitanti, che vive di turismo in quanto collocato in una posizione strategica tra il mare e la montana, ma soprattutto è un paese agricolo che basa la sua economia sulla coltivazione dell'ulivo;
   proprio in campo agricolo vengono registrati e denunciati in questo ultimo periodo alle forze dell'ordine, da parte dei cittadini, atti intimidatori e vandalici;
   decine di piante di ulivo, nella notte tra il 20 e il 21 dicembre 2014, sono state tagliate e rase al suolo, mettendo a rischio l'economia paesana su cui si basa l'intero territorio;
   l'olio prodotto nel paese grazie alle sue qualità organolettiche e alla sua lavorazione a freddo è considerato uno dei migliori oli presenti sul territorio nazionale, tanto da aver guadagnato il marchio D. O. P. (denominazione di origine protetta);
   altri eventi di natura vandalica e intimidatoria vengono registrati nel piccolo paese. I cittadini di Cotronei è da giorni che si svegliano trovando le ruote delle proprie autovetture bucate e le abitazioni derubate di ogni bene;
   uno dei due eventi più eclatante di microcriminalità vandalica è stato registrato nei primi giorni di dicembre 2014 e riguarda l'azienda proprietaria delle centrali elettriche di Cotronei, A2A, alla quale è stata incendiata una delle autovetture di servizio;
   l'altro evento di microcriminalità riguarda tre singoli cittadini, che nei primi giorni di gennaio 2015 si sono svegliati trovando la propria auto in fiamme;
   tutti questi atti vandalici e intimidatori di microcriminalità sono inaccettabili in una comunità definita per antonomasia fiore all'occhiello del territorio crotonese e stanno mettendo in allarme i cittadini di Cotronei che non si sentono più né sicuri né protetti e vivono queste scellerate azioni come un incubo da cui uscire al più presto possibile –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e se ritenga opportuno intervenire, aumentando la vigilanza sul territorio per favorire l'individuazione dei colpevoli di questi atti vandalici ed evitando il loro ripetersi, in modo da tranquillizzare i cittadini di Cotronei che versano da giorni in una situazione di paura per la loro incolumità. (4-07487)


   COLONNESE, TOFALO, PETRAROLI, SIBILIA e LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dagli organi di stampa giunge notizia circa la futura chiusura del presidio a cavallo della polizia di Stato sita nel Parco e nel Real Bosco di Capodimonte, a seguito del progetto di rimodulazione dei 974 presidi della polizia di Stato;
   rispetto ad altri comandi di polizia interessati dalla spending review, il mantenimento della squadra in questione comporterebbe oneri proporzionalmente inferiori rispetto ad altri presidi, in quanto occupante una struttura demaniale, l'antico Palazzo della nobile famiglia napoletana Acquaviva di Carmignano, conosciuto oggi come «Fabbricato Scuderie», oltre a garantire il mantenimento e l'utilizzo funzionale del predetto immobile;
   il complesso che racchiude Parco e Real Bosco di Capodimonte ha un'affluenza annua di 1.300.000 utenti fra turisti stranieri e visitatori, e al suo interno si trova il Museo di Capodimonte, una delle più prestigiose pinacoteche visitata da turisti di tutto il mondo;
   è giunta voce agli interroganti che i residenti del posto hanno avviato una raccolta firma per scongiurarne la chiusura. Gli abitanti di Capodimonte affermano che la presenza storica della squadra a cavallo contribuisce a rendere il sito più sicuro, poiché, per le peculiari proprietà morfologiche e la vastità del territorio boscoso, solo tali particolari forze di polizia risulterebbero idonee a garantire una efficiente sorveglianza nel suddetto contesto ambientalistico. Gli interroganti ne deducono l'importanza fondamentale che rappresenterebbe perciò il lavoro di prevenzione e repressione svolto della polizia a cavallo;
   in seguito a finanziamenti comunitari e per iniziativa del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, è in fase di realizzazione un progetto che comporterà il riuso degli edifici storici con un'offerta di servizi pubblici che incrementerà ancora di più l'affluenza del pubblico all'interno del sito, con corrispondente necessità di garantire maggiore prevenzione e tutela dell'ordine pubblico;
   l'attività della squadra a cavallo, come testimoniato da plurimi interventi consultabili negli stessi archivi di polizia, assolve in maniera soddisfacente l'esigenza primaria della salvaguardia della pubblica sicurezza del sito, con ampio consenso, come accennato, del contesto residenziale, e la sua chiusura esporrebbe il sito al proliferare di fenomeni di microcriminalità e degrado sociale, già tristemente noti nei periodi precedenti alla costituzione di detto presidio –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno rivedere la decisione di eliminare il presidio a cavallo della polizia di Stato sita nel Parco e nel Real Bosco di Capodimonte, scelta che mina la sicurezza sociale della zona e dell'intero complesso dichiarato il 13 ottobre 1965, ai sensi della legge 1089 del 1939, «sito di particolare interesse culturale»;
   se, alla luce di quanto in premessa, non ritenga più opportuno garantire una maggiore sicurezza del Real Bosco di Capodimonte, quale polo di interesse stoico, ambientale e culturale, confinante con zone ad alto indice di criminalità, per prevenire e contrastare eventi delittuosi che ne possano pregiudicare l'importanza e la fruibilità da parte della cittadinanza in vista dei futuri eventi culturali, valutando di non rinunciare alle risorse già operanti sul territorio e con consolidata esperienza nel contesto specifico, ma, al contrario, ottimizzandone ed eventualmente implementandone l'operatività, al fine di garantire, nel suddetto sito, una maggiore presenza di agenti della squadra a cavallo della polizia di Stato. (4-07488)


   RONDINI e GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprendono le sconcertanti dichiarazioni di Usama El Santawy, presidente della comunità islamica di Cinisello Balsamo, alle porte di Milano, responsabile di una delle associazioni culturali della città, le cui sedi sono risultate in più casi abusive e prive dei requisiti di legge, e uno dei telepredicatori islamici italiani;
   tra le varie dichiarazioni rilasciate ad una testata nazionale si apprende che secondo il predicatore nato a Milano, 29 anni, di origini egiziane:
    «i musulmani vengono umiliati, quindi non ci si deve stupire se 50 italiani vanno a combattere nelle file dell'Isis»;
    «Ci si chiede da dove siano uscite queste cinquanta persone che si vogliono affiliare ai tagliateste. La responsabilità...non è di queste persone, che pure avranno le loro colpe, ma delle istituzioni che non tengono conto dell'umiliazione dei mussulmani»;
   le persone che partono per combattere regimi sanguinari, continua El Santawy, «sono da onorare, anche se oggi dicendo queste parole sembra di giustificare il terrorismo, invece no, dobbiamo fare dei passi indietro, capire che ci sono persone che soffrono realmente, non solo in Siria»;
   a Cinisello Balsamo la comunità che guida è di circa un migliaio di persone: «Ogni anno», conclude, «seguo personalmente circa 20 persone, che vogliono convertirsi all'Islam». Persone come Giuliano Delnevo, il ragazzo ligure morto nei combattimenti in Siria;
   tutte le agenzie di intelligence riferiscono come gli estremisti che vanno a combattere in teatri di guerra come l'Iraq e la Siria e che trovano una giustificazione morale nelle parole dell'Imam di Cinisello rappresentano un pericolo, in quanto è di tutta evidenza che costoro rientrando in Europa e in Italia vi torneranno con intenzioni ostili, forti anche dell'ulteriore radicalizzazione e delle tecniche di combattimento acquisite in zona di guerra –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione e intenda assumere iniziative per incrementare i controlli in relazione ad associazioni come quella di cui in premessa anche valutando se sussistano i presupposti per l'avvio della procedura per l'espulsione del Presidente della comunità islamica di Cinisello Balsamo. (4-07500)


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   un clerico islamico, l'imam di Cinisello Balsamo, Usama el-Santawy, ha recentemente inneggiato ai jihadisti, giustificando altresì i cosiddetti Foreign Fighters italiani che combattono nelle fila del sedicente Stato Islamico, in quanto reagirebbero alle presunte umiliazioni di cui sarebbero vittime i musulmani;
   ad el-Santawy sono inoltre tuttora riconducibili siti internet e blog che hanno minacciato giornalisti e politici;
   ciò malgrado, el-Santawy continua indisturbato nell'esercizio del suo «magistero», senza che alcuna autorità gli contesti quanto dice e gli viene attribuito –:
   in attesa che intervenga una normativa più rigida ed adeguata alla sfida, quali siano le informazioni disponibili in merito all'imam di Cinisello Balsamo che continua la propria predicazione radicale e fondamentalista che all'interrogante appare in contrasto con le leggi italiane e se lo stesso sia opportunamente monitorato dalle forze dell'ordine. (4-07504)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   l'8 gennaio 2015, in seguito al terribile attacco terroristico alla redazione del settimanale Charlie Hebdo a Parigi, l'assessore regionale all'istruzione della regione Veneto Elena Donazzan ha inviato una circolare (prot. N. 6175/C. 100. 06. 3. B. 2) a tutti i dirigenti scolastici richiedendo loro di adoperarsi perché i genitori dei «tanti alunni stranieri nelle nostre scuole» prendano apertamente posizione condannando la strage;
   «deve essere un fronte comune e impenetrabile – scrive la Donazzan – quello della condanna a quanto accaduto a Parigi. È stata colpita una capitale dell'Europa in uno dei simboli della nostra civiltà: la libertà di stampa e di espressione. Libertà sconosciute in altri paesi del mondo, certamente impedite in quegli Stati a matrice islamica così distanti culturalmente da noi, ma così pericolosamente vicini sia geograficamente che nelle comunicazioni sulla rete»;
   «non può più essere un alibi per non affrontare il problema – aggiunge la Donazzan – se non si può dire che tutti gli islamici sono terroristi, è evidente che tutti i terroristi sono islamici e che molta violenza viene giustificata in nome di una appartenenza religiosa e culturale»;
   «nessuna giustificazione, nessuna tolleranza può essere richiamata per fatti simili e l'Europa civile, libera e laica, che spesso dimentica di essere tale perché cristiana, deve ritrovare la forza di indignarsi e reagire – si legge ancora nella circolare ai Dirigenti scolastici – una condanna morale che deve scaturire dal profondo di una coscienza comune e che dobbiamo sviluppare nel luogo della educazione collettiva che è la scuola»;
   «è infatti una esigenza necessaria anche alla luce della presenza di stranieri a scuola e nelle nostre comunità – scrive ancora l'assessore all'istruzione della giunta Zaia – soprattutto a loro dobbiamo chiedere una condanna di questi atti, perché se hanno deciso di venire a vivere in Europa, in Italia, in Veneto è giusto che sappiano adeguarsi alle regole e alle consuetudini del nostro popolo e della nostra civiltà, quella che li sta accogliendo con il massimo della pienezza dei diritti, ma che ha anche dei doveri da rispettare»;
   «abbiamo visto in queste ore fallire il modello di integrazione finora adottato in Europa, nella Francia della terza generazione come in Italia della prima generazione e dobbiamo affermare che va rivisto con chiarezza di obiettivi e di modalità. Il primo cambio di rotta – conclude Elena Donazzan – è una ferma condanna senza alcun distinguo tra italiani, francesi o islamici, se questi ultimi vogliono veramente essere considerati diversi dai terroristi che agiscono gridando Allah è grande»;
   tali parole appaiono agli interpellanti non solo sconfortanti ma anche inadeguate a comprendere e gestire una fase tanto complessa e delicata: la tragedia di Parigi richiede ad avviso degli interpellanti una forte risposta di coesione e unità tra le varie culture che compongono la nostra società e le nostre scuole;
   richiede, altresì, da parte del Ministero l'ulteriore promozione di politiche scolastiche per l'integrazione degli alunni con cittadinanza non italiana e la verifica della loro attuazione (anche tramite monitoraggi), incoraggiare accordi interistituzionali e favorire la sperimentazione e l'innovazione metodologica didattica e disciplinare;
   inoltre, sarebbe auspicabile intervenire per il potenziamento degli organi istituiti presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con l'obiettivo di monitorare e potenziare l'attività di integrazione nelle scuole: lo scopo è quello di individuare un modello italiano che evidenzi le specificità delle condizioni individuando i punti di forza e facendoli diventare sistema, introducendo nuove pratiche e risorse aggiuntive e dando visibilità ai progetti che funzionano e alle nuove progettualità;
   per queste ragioni, in un momento come questo le strumentalizzazioni politiche fatte sulla pelle degli studenti e delle loro famiglie non sono solo gravi ma anche irresponsabili e vanno condannate;
   è inaccettabile che si considerino i ragazzi stranieri e le loro famiglie complici, se non addirittura colpevoli, fino a quando non rinnegheranno ciò che è accaduto;
   questa rappresenta la risposta peggiore, soprattutto se compiuta nelle scuole dove non dovrebbe mai prevalere l'intolleranza dettata dalla paura e dall'ignoranza ma il senso di responsabilità e di comunanza coinvolgendo i ragazzi in discussioni e iniziative che insegnino loro gli ideali di pace e fratellanza, a prescindere dalla propria confessione religiosa;
   è, inoltre, estremamente grave la colpevolizzazione senza ragioni di giovani ragazzi che sono certamente scossi emotivamente dalla drammaticità di questi fatti e che potrebbero vivere con angoscia, preoccupazione e dolore la richiesta fatta alle loro famiglie di scusarsi e condannare atti da loro non commessi e nemmeno condivisi;
   sono quegli stessi ragazzi che a Padova, Treviso, Verona, Rovigo e Venezia come in tantissime altre piazze hanno dato vita nei giorni scorsi a flash mob di solidarietà per tutte le vittime della strage di Parigi: erano ragazzi di ogni nazionalità, cultura, lingua e religioni e si sono tutti uniti sotto l'insegna «Je suis Charlie»;
   invece di promuovere iniziative come quella dell'assessore Donazzan occorrerebbe impegnarsi per costruire una via italiana alla scuola interculturale e all'integrazione anche degli alunni stranieri;
   nel nostro Paese, infatti, fin dalla prime presenze di studenti con cittadinanza non italiana, dirigenti e docenti hanno lavorato per costruire un dialogo continuo e questo nonostante le difficoltà di bilancio in cui versano molte delle scuole italiane, soprattutto per quel che concerne la realizzazione di tutti i progetti per il miglioramento dell'offerta formativa;
   nella regione Veneto si realizzano molti progetti a sostegno dell'integrazione e dell'inclusione scolastica degli alunni stranieri molti dei quali ottengono ottimi risultati nonostante la scarsità delle risorse messe a disposizione;
   sarebbe opportuno informarsi sull'attività realizzata nelle scuole prima di procedere a suggerire ai dirigenti come affrontare certi argomenti;
   cultura, educazione, integrazione e inclusione sociale sono strumenti fondamentali per non imbarbarirsi, per imparare a stare insieme in una comunità, a riconoscere l'altro e a rispettarlo: l'identità europea non è inconciliabile con l'integrazione e questo è un processo che comincia proprio dalle scuole –:
   se sia a conoscenza dei fatti sopra riportati e quali iniziative di competenza intenda promuovere per impedire che si verifichino nuovamente interferenze di questa gravità connotate da un forte approccio ideologico e non culturale che nuoce agli studenti e al lavoro svolto da dirigenti e insegnanti.
(2-00808) «Malpezzi, Martella, Coscia, Ghizzoni, Rotta, De Menech, Sbrollini, Narduolo, Naccarato, Camani, Rubinato, D'Arienzo, Ginato, Zoggia, Mognato, Zardini, Zan, Dal Moro, Crimì, Moretto, Miotto, Crivellari, Murer, Casellato, Cinzia Maria Fontana».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIMBRO, D'OTTAVIO, PICCOLI NARDELLI e RONDINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il liceo classico «Marie Curie» di Cernusco sul Naviglio, da oltre trent'anni un'indubbia scuola di eccellenza del milanese, responsabile di una distintiva e peculiare offerta educativa, sta risentendo della generale crisi di iscrizioni che affligge i licei classici della penisola (nel 2013/14 gli iscritti al classico in Italia sono stati solo il 6 per cento del totale, 31.000 studenti, meno della metà di quanti erano nel 2007), aggravata, in questo caso, dalla concorrenza degli istituti di Milano città;
   nel marzo 2014 al momento della chiusura delle preiscrizioni gli allievi registrati erano sedici: un numero ritenuto non sufficiente per la futura classe prima, che di conseguenza non è stata formata;
   ciò significherebbe la chiusura dell'istituto. Un fatto grave, che segnerebbe la fine di un'istituzione prestigiosa e da tempo radicata nel territorio, impoverendo l'offerta formativa d'un ampio bacino d'utenza comprendente anche i comuni limitrofi della zona, la cui distanza da Milano rende oggettivamente difficoltosa l'iscrizione a un liceo classico;
   immediatamente genitori, insegnanti e allievi, col sostegno dei media locali (ad esempio Gazzetta della Martesana), ma anche nazionali (ad esempio Blog Scuola del Corriere della Sera), si sono attivati nel denunciare la troppo sbrigativa liquidazione d'un polo formativo unico nella zona;
   a testimonianza del ruolo culturale svolto dal liceo classico «Marie Curie» si ricorda che esso è stato scelto come liceo pilota nel programma sperimentale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per l'alternanza scuola/lavoro, tramite lo svolgimento fin dalla classe seconda d'un periodo di attività lavorativa presso aziende e istituzioni culturali, dalla Veneranda fabbrica del Duomo al Museo archeologico, dalla soprintendenza agli stage giornalistici presso testate locali;
   fra le altre iniziative si segnala il programma scuola-archeologia, un percorso di avvicinamento graduale, a partire già dalla classe prima, al patrimonio artistico e archeologico, che approda al quinto anno a lezioni specialistiche tenute in lingua inglese presso i principali musei europei. Grazie a questo lavoro di formazione si è inoltre creata una virtuosa collaborazione con il comune di Cernusco, per il coinvolgimento e l'attiva partecipazione degli allievi come «apprendisti ciceroni» nella divulgazione dei beni culturali del territorio;
   la vivacità culturale del liceo classico in questione è testimoniata inoltre dai brillanti risultati ottenuti dagli allievi, vincitori d'un concorso letterario nell'ultima edizione di BookCity, mentre la capacità attrattiva della scuola sul territorio è dimostrata dal successo pluriennale del concorso letterario «liceo in giallo», riservato ai ragazzi di terza media, con pubblicazione dei racconti migliori –:
   se, data l'importanza rivestita dall'istituto nel tessuto culturale del suo territorio, possa essere consentito al liceo classico «Marie Curie» di Cernusco sul Naviglio di formare ugualmente la classe prima per la prossime annualità, anche se la quota di studenti non sarà perfettamente raggiunta, posto che in questo contesto non valgono i numeri, bensì è doveroso considerare il vuoto culturale che lascerebbe la mancanza di un liceo classico e tenuto conto che questo ricco panorama informativo e formativo non deve andare disperso, per non vanificare gli sforzi dei docenti, nonché le aspettative di allievi e genitori che danno fiducia a questa scuola e desiderano poterla ancora considerare un punto di riferimento per l'area. (5-04432)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i fatti di Parigi del 7 gennaio 2015 hanno un profilo di enorme tragicità e l'Europa intera e l'Italia in particolare condannano ogni atto violento e di terrorismo;
   in data 8 gennaio 2015, l'Assessore regionale del Veneto Elena Donazzan ha inviato una circolare a tutti i dirigenti scolastici della regione Veneto;
   l'assessore, nella sua missiva, in particolare si esprime sostenendo che «se non si può dire che non tutti gli islamici sono terroristi, è evidente che tutti i terroristi sono islamici»;
   aggiunge inoltre che «una condanna morale che deve scaturire dal profondo di una coscienza comune e che dobbiamo sviluppare nel luogo della educazione collettiva che è la scuola;
   è infatti una esigenza necessaria anche alla luce della presenza dei tanti alunni stranieri nelle nostre scuole e dei loro genitori nelle nostre comunità. Soprattutto a loro dobbiamo rivolgere il messaggio di richiesta di una condanna di questi atti, perché se hanno deciso di venire a vivere in Europa, in Italia, in Veneto devono sapere che sono accolti in una civiltà con principi e valori, regole e consuetudini a cui devono adeguarsi e la civiltà che li sta accogliendo con il massimo della pienezza dei diritti, ha anche dei doveri da rispettare»;
   nelle scuole italiane (pertanto anche in quelle venete) non esiste e non può esistere una discriminazione tra gli allievi sulla base della loro provenienza, del loro censo o della religione che professano loro e le famiglie da cui provengono;
   l'assessore ad avviso dell'interrogante di fatto discrimina ed invita presidi e docenti a discriminare gli allievi chiedendo a quelli stranieri di condannare atti disumani, perché, a questo sembra evincersi, essendo stranieri e di un'altra religione, sono più propensi al terrorismo;
   l'assessore riporta dati secondo l'interrogante palesemente errati; infatti secondo l’European Union Terrorism Situation and Trend Report 2014 in Europa, su 4200 attentati negli ultimi 8 anni, il 78 per cento del totale sono stati compiuti da separatisti e meno di un attentato su 100 ha matrice religiosa –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda mettere in campo al fine di assicurare la natura egualitaria della scuola ed evitare che siano introdotti elementi discriminatori sulla base di preconcetti, dati ideologici e informazioni non corrette. (4-07503)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata:


   CIPRINI, GALLINELLA, TRIPIEDI, BECHIS, RIZZETTO, COMINARDI, BALDASSARRE e CHIMIENTI. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo le rilevazioni Istat, che fanno riferimento agli occupati indipendenti, gli italiani lavoratori autonomi sono circa 5.537 mila e il dato è relativo all'ultimo trimestre del 2013, sebbene in leggero calo durante tutto il 2014. Altro dato da prendere in considerazione è quello delle partite iva: le aperture sono diminuite del 9 per cento a gennaio 2014 (fonte del Ministero dell'economia e delle finanze), ma paradossalmente, qualche mese dopo, nel corso del novembre 2014 sono state aperte 38.351 nuove partite iva, in aumento del 15,5 per cento rispetto al novembre 2013. È quindi evidente che in molti abbiano anticipato l'apertura della partita iva entro la fine del 2014, ritenendo il regime allora in vigore chiaramente più vantaggioso. Ad avviso degli interroganti anche questo elemento lascia trasparire lo scarso gradimento dei lavoratori rispetto alle iniziative dell'Esecutivo in seno alle legge di stabilità 2015 ed evidentemente recanti ulteriore nocumento alle già precarie condizioni fiscali e previdenziali vissute nei periodi antecedenti;
   Acta ha calcolato che la pressione fiscale per un non dipendente è di poco inferiore al 50 per cento sui 30 mila euro e supera il 50 per cento quando si va oltre i 45 mila euro all'anno;
   evidente è, altresì, l'onerosità e la complicazione delle regole per i lavoratori autonomi oltre al variegato emergere di problematiche connesse ai rapporti con le pubbliche amministrazioni nonché al regime delle tutele previdenziali e assistenziali;
   a parere degli interroganti le recenti misure adottate dal Governo non sono andate nella direzione di un'efficace tutela di detta tipologia di lavoratori, allorché l'articolo 1, commi da 54 a 89, della legge di stabilità 2015 ha introdotto e disciplinato il nuovo regime fiscale agevolato per autonomi, destinato agli esercenti di attività d'impresa, di arti e professioni in forma individuale;
   l'articolo 1, comma 85, della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015) infatti abroga, a decorrere dal 2015: a) il regime delle nuove iniziative produttive (articolo 13 della legge n. 388 del 2000); b) il regime di vantaggio per l'imprenditoria giovanile ed il regime agevolato per gli «ex minimi» (articolo 27 del decreto-legge n. 98 del 2011 e articolo 1, commi da 96 a 115 e 117 della legge n. 244 del 2007). In base all'articolo 1, comma 88, della legge di stabilità 2015, nonostante l'abrogazione, il regime di vantaggio per l'imprenditoria giovanile può continuare ad essere applicato in via transitoria e fino a scadenza naturale (5 anni oppure anche oltre fino al compimento dei 35 anni di età) dai soggetti che già lo applicavano nel 2014;
   l'accesso al nuovo regime agevolato diventa ora possibile ai soggetti che possiedono, al contempo, in sintesi le seguenti caratteristiche: a) valore dei compensi/ricavi in una misura variabile massima da 15.000,00 euro a 40.000,00 euro a seconda della tipologia dell'attività; b) limite di 5.000,00 euro per spese per lavoro dipendente e assimilato; c) il limite di 20.000,00 al loro degli ammortamenti per l'acquisto di beni strumentali; d) i redditi di lavoro dipendente o assimilati devono essere inferiori a quelli d'impresa o di lavoro autonomo soggetti al regime forfettario;
   in particolare, con riferimento nello specifico alle nuove attività professionali, evidenti sono le criticità del nuovo regime per i neo esercenti attività professionali che intendono aprire una partita iva a decorrere dal 1o gennaio 2015: a) il limite dei 15.000,00 euro di ricavi e compensi rispetto ai 30.000,00 euro previsti dal vecchio regime (il limite è troppo basso); b) il parametro dei beni ammortizzabili, a differenza del precedente regime, deve essere monitorato senza considerare il limite dei tre anni precedenti (rientrano cioè nel calcolo dei 20.000,00 euro anche i beni acquistati da quattro anni o più); c) nel criterio di computo dei beni strumentali: nel limite predetto sono inclusi: 1) i beni in leasing, che rilevano per il costo sostenuto dal concedente; 2) i beni in locazione e noleggio che rilevano per il valore normale al momento del carico in uso (non vengono computati i canoni come accade nel precedente regime); 3) i beni in comodato che rilevano per il valore normale al momento del carico in uso determinato ai sensi dell'articolo 9 del Testo unico delle imposte sui redditi (nel regime di vantaggio tali beni sono irrilevanti). Con il concetto di valore normale si intende «il prezzo o il corrispettivo mediamente praticato per beni o servizi della stessa specie o similari» (valore di mercato), la cui determinazione può dar luogo a contestazioni da parte degli uffici finanziari con possibilità di superamento del limite dei beni strumentali e fuoriuscita dal regime; d) incremento dell'imposta sostitutiva dal 5 per cento al 15 per cento; e) determinazione del reddito in forma forfetaria con applicazione di un coefficiente del 78 per cento sui compensi: non rilevano alcun tipo di costi e/o spese tranne i contributi previdenziali;
   un'elaborazione della fondazione Hume ha calcolato gli effetti del nuovo sistema su un giovane professionista del terziario, ad esempio un consulente informatico che abbia deciso di mettersi in proprio con una partita iva di 15.000,00 euro di compensi l'anno, capitale iniziale di circa 2.000,00 euro (il minimo per un computer e uno smartphone). Se avesse aperto la partita iva entro il 31 dicembre 2014, l'imposta sostitutiva si sarebbe attestata a 450,00 euro. Con il nuovo regime entrato in vigore il 1o gennaio 2015 «decolla» a 811,00 euro: un aumento superiore all'80 per cento, mentre per un commerciante con introito per 25 mila euro si passerà da 520 a 700 euro (+ 34,6 per cento);
   a giudizio degli interroganti, la nuova normativa appare nel complesso fortemente penalizzante per i neo lavoratori autonomi ed esercenti arti e professioni in forma individuale che intendono mettersi in proprio e rischia di produrre effetti ulteriormente recessivi e/o depressivi sull'economia proprio nel momento in cui forte è la disoccupazione e il calo della domanda interna; il tutto senza considerare anche l'aumento dei contributi previdenziali per gli iscritti alla gestione separata dell'Inps, già previsto dalla normativa introdotta dal Governo Monti;
   si rende necessario un intervento deciso del Governo volto a correggere la stortura e che dia – in un'ottica di politica fiscale complessiva – «fiato» e spazio ai giovani professionisti, commercianti e artigiani –:
   quali concrete ed urgenti iniziative e misure intenda intraprendere il Governo al fine di agevolare i rapporti dei lavoratori autonomi con le pubbliche amministrazioni, migliorarne i regimi previdenziali e assistenziali e, più genericamente, garantirne tutela anche con riferimento alla necessità di eliminare le criticità esposte in premessa e frutto del regime fiscale introdotto dalla recente legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015). (3-01245)


   DELLAI, FAUTTILLI, GIGLI, PIEPOLI e SBERNA. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sono 73 i lavoratori della società Getek Ict srl di Crotone (facente parte del Consorzio Poste Link di Poste Italiane spa), attualmente in mobilità e prossimi alla disoccupazione;
   questi lavoratori hanno svolto un delicato servizio di contact center per il numero verde Inps/Inail e la loro professionalità è stata riconosciuta dagli stessi enti Inps ed Inail;
   nel settembre del 2010 la nuova gara per il servizio di contact center Inps/Inail è stata aggiudicata alla società Transcom Worldwide spa con sede a L'Aquila ma, a differenza degli operatori degli altri siti che sono stati reinseriti nella nuova commessa, i lavoratori della Getek sono stati esclusi da tale reinserimento;
   sembrerebbe, addirittura, che mentre i lavoratori Getek Ict srl sono stati posti prima in cassa integrazione guadagni ordinaria e poi in cassa integrazione guadagni straordinaria e, oggi, in mobilità, gli operatori di altri siti sono stati formati ed assunti dal 2010 ad oggi per lo stesso servizio;
   la situazione occupazionale nel territorio crotonese in particolare e calabrese in generale è drammatica; si tratta di lavoratori capifamiglia monoreddito con figli a carico –:
   se non ritenga opportuno convocare un tavolo tecnico per tentare di dare soluzione ad una vicenda che si trascina da troppo tempo, affinché non vada disperso un capitale professionale riconosciuto e, soprattutto, per dare risposte alle aspettative di tante famiglie crotonesi che si interrogano su quale sarà il loro futuro.
(3-01246)


   PRATAVIERA, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI e SIMONETTI. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Youth Guarantee, programma rivolto ai giovani Neet (Not in education, employment or training) tra i 15 ed i 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in alcun percorso formativo (Not in education, employment or training) e che prende forma nella raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea del 22 aprile 2013, nell'applicazione concreta italiana più che uno strumento efficace di concrete opportunità lavorative a centinaia di migliaia di giovani italiani si è rivelata finora – secondo le conclusioni di una ricerca del Centro Studi «Impresa Lavoro» – un labirinto burocratico che non porta ad alcuna prospettiva occupazionale;
   secondo la definizione classica di Neet, in Italia i giovani Neet sono stimati in circa 1,27 milioni (di cui 181 mila stranieri), corrispondenti al 21 per cento della popolazione di questa fascia di età, ma il nostro Paese ha deciso di allargare il target group ai giovani di età compresa tra i 15 ed i 29 anni, per un totale di 2.254.000 ragazzi;
   in totale l'Italia ha ottenuto un finanziamento di 1,5 miliardi di euro, al cui concorso partecipano la YEI (Youth Employment Initiative) con 567 milioni di euro, il Fondo sociale Europeo per un pari importo e risorse nazionali;
   secondo la ricerca di «Impresa Lavoro» trattasi di una montagna di denaro pubblico che ha partorito un costosissimo topolino: al programma comunitario hanno, infatti, aderito 250.770 giovani, di cui solo 59.150 sono stati poi effettivamente presi in carico dal programma «Garanzia Giovani»; complessivamente, dall'inizio del programma, sono stati offerti ai Neet 25.747 posti di lavoro, il che significa che ogni ragazzo preso in carico è costato sinora 25.600 euro e che ogni offerta di lavoro è costata ad oggi la tutt'altro che irrisoria somma di 58.700 euro;
   forse perché nell'anno di avvio (2014) il piano non ha avuto la risposta che il Governo si aspettava, in occasione delle festività natalizie il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha avviato una campagna pubblicitaria nelle principali sale cinematografiche del Paese –:
   quanto sia costata la campagna pubblicitaria richiamata in premessa e se le conclusioni della ricerca di «Impresa Lavoro» sopracitata trovino conferma nei dati in possesso del Ministro interrogato, nel qual caso, di conseguenza, se il Governo non ritenga opportuno adoperarsi anche in ambito europeo per un cambio della strategia per il rilancio dell'occupazione giovanile e, quindi, riorientare le risorse su una considerevole riduzione del cuneo fiscale, percorso più proficuo per il rilancio del tessuto produttivo italiano e, quindi, dell'occupazione. (3-01247)


   RAMPELLI, GIORGIA MELONI, LA RUSSA, CIRIELLI, CORSARO, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel corso di alcune puntate della trasmissione televisiva Le Iene andate in onda alla ripresa autunnale del programma, sono stati effettuati dei servizi che trattavano la problematica del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564, in materia di contribuzione figurativa e di copertura assicurativa per periodi non coperti da contribuzione;
   in forza di tale strumento normativo, infatti, dirigenti e dipendenti sindacali possono ottenere una cospicua pensione integrativa di decine di migliaia di euro all'anno, pagando anche solo un mese di contributi;
   lo stesso Tiziano Treu, oggi commissario dell'Inps ed ex Ministro del lavoro autore della contestata legge, ha dichiarato che la norma del 1996 sulla possibilità per i sindacalisti di ottenere una pensione più alta grazie all'ultima retribuzione avuta si è rivelata «troppo costosa e ingiustificata», e che «a pensarci bene, siccome si sono verificati degli abusi, si poteva pensare a dei limiti», annunciando l'intenzione di effettuare delle ispezioni ma solo «là dove ci siano delle segnalazioni ragionevoli»;
   gli abusi realizzati in forza della norma che consente ai sindacalisti di ottenere la pensione integrativa appaiono ancor più deplorevoli alla luce della difficile situazione finanziaria dell'Inps e del fatto che migliaia di giovani e di lavoratori rischiano di non vedersi mai riconosciuto un adeguato trattamento pensionistico –:
   quali siano gli intendimenti del Governo in merito alla problematica esposta, e, in particolare, se non si ritenga di adottare con urgenza una iniziativa normativa che possa correggere la disciplina in questione. (3-01248)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LOSACCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende dagli organi di informazione dal 1° febbraio 2015 il gruppo Auchan intenderebbe porre in mobilità i dipendenti dell'ipermercato ospitato all'interno del centro commerciale «Bariblu» presso Triggiano in provincia di Bari;
   al momento non sono note le motivazioni che avrebbero indotto il gruppo francese a prendere in considerazione tale ipotesi;
   non è dato sapere se sono in corso contatti con altri soggetti operanti nel settore della grande distribuzione eventualmente interessati a rilevare l'ipermercato;
   è forte la preoccupazione dei circa 120 addetti per il proprio futuro anche in considerazione delle difficoltà in cui versa il comprensorio con il serio rischio di perdere il lavoro;
   il numero degli addetti è rilevante e occorre fare presto chiarezza ed eventualmente attivare tutti gli strumenti anche legislativi per tutelare i lavoratori –:
   se il Governo sia a conoscenza di tale situazione e se non intenda intervenire per attivare un tavolo di confronto con la proprietà al fine di valutare ogni opportunità per salvaguardare gli attuali livelli occupazionali. (5-04426)


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso che gli uffici territoriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nell'ambito della vigilanza svolta, nell'anno 2014, hanno ispezionato circa 5 mila cooperative, di cui circa 3.200, ossia il 64 per cento, sono risultate irregolari;
   in particolare, sono stati individuati circa 7.200 lavoratori irregolari, di cui più di mille in nero e 3.300 casi di somministrazione di lavoro in violazione dei limiti e delle condizioni previste dalla normativa in materia. Si è inoltre proceduto alla riqualificazione di circa 1.500 rapporti di lavoro;
   considerando l'ingente numero di lavoratori irregolari che viene registrato, in tutti i settori, si ritiene necessario adottare urgenti misure di contrasto, anche in via preventiva, con particolare attenzione al mondo delle cooperative –:
   se e quali provvedimenti intenda adottare il Ministro interrogato per intensificare i controlli al fine di individuare i casi di lavoro irregolare;
   se e quali iniziative intenda promuovere per prevenire gli illeciti in questione;
   se e quali iniziative intenda adottare ad hoc, per contrastare il lavoro irregolare, rispetto alle cooperative che appaiono particolarmente esposte a tale tipologia di illeciti;
   se non ritenga necessario avviare un'indagine conoscitiva ministeriale sulla gestione del lavoro irregolare nell'ambito delle cooperative. (5-04434)


   ASCANI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da ottobre 2014, dopo un periodo di cassa integrazione, una parte dei dipendenti dell'ex Antonio Merloni sono stai avviati alla mobilità: 820 nelle fabbriche di Fabriano e 630 a Gaifana di Nocera Umbra. Sono gli operai non riassunti dalla J & P di Porcarelli che ha riassorbito 700 addetti del gruppo elettrodomestico fondato da Antonio Merloni, la più grande azienda contoterzista europea fino agli anni ’80, crollata sotto il peso della crisi economica, in amministrazione straordinaria dal 2008;
   per i dipendenti non riassunti dalla J & P di Porcarelli, finora protetti dalla cassa integrazione in deroga, non vi sono prospettive, la mobilità durerà un anno per chi ha meno di 40 anni, due anni per i 40-50enni, tre anni per chi ha più di 50 anni;
   molti lavoratori, in questi giorni del 2015, si sono visti accreditare dall'Inps una busta paga di 10 euro. Da una indennità di mobilità che doveva essere di 695 euro, ne sono stati detratti 685 di Irpef a causa di un conguaglio;
   da notizie di stampa si legge, che ad alcuni lavoratori rivoltisi direttamente all'Inps per avere spiegazioni in merito, l'istituto li abbia informati che vi era un conguaglio fiscale da pagare di circa 1.500 euro, dovuto a causa dei diversi Cud ricevuti in un anno;
   l'indennità di mobilità ha una durata minima di 1 anno per i suddetti lavoratori; si poteva prevedere una rateizzazione di tale conguaglio per garantire loro un minimo reddituale e non creare ulteriori disagi economici rispetto a quelli che da tempo stanno vivendo;
   da notizie di stampa si legge, inoltre, che il direttore regionale dell'Inps, Mastragostino ha evidenziato come «tale importo, erogato a gennaio e relativo al mese di dicembre, è conseguenza dell'applicazione del conguaglio fiscale di fine anno» –:
   se il Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie competenze, intenda fare luce sulla vicenda ed affrettare gli eventuali rimborsi dovuti, intervenendo, allo stesso tempo, al fine di dare almeno la possibilità ai suddetti lavoratori di poter rateizzare tale conguaglio per l'intero periodo di durata dell'indennità di mobilità. (5-04438)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2005 veniva annunciata la nascita di Ala, l'azienda che avrebbe completato la filiera della Otefal attraverso una fonderia e un reparto laminatoio. Nel 2007 Otefal sbarca in Sardegna e sigla un contratto d'affitto per la Ila. In questo periodo le cose sembrano andare bene. Nel 2009, l'Otefal riavvia l'attività a solo un mese dal sisma. Ma iniziano i problemi, fino all'ingresso, nel 2010, nella procedura concorsuale. Nel 2012 si firma l'accordo con i siriani della Madar, che affittano il sito e ricollocano i lavoratori;
   dura poco perché non viene bandita la gara per la vendita, i siriani lasciano e i lavoratori finiscono in mobilità;
   finalmente il 26 novembre scorso un consorzio di aziende abruzzesi si è aggiudicato, alla cifra di 1 milione e 400 mila euro, il lotto dell'immobile riservato alla cosiddetta stiratura dell'alluminio;
   si trattava della quarta asta, le prime tre erano andate deserte;
   ha partecipato un solo gruppo appena costituito, tra la Feral Recycling di Chieti e la Vs Alluminium di Paganica, che si è aggiudicato il lotto della Stirali. Assenti gli spagnoli della Lux Perfil, che avevano presentato un'offerta di acquisto per l'intero stabilimento, illustrata anche al sindaco;
   si tratta della linea tensospianatrice del materiale grezzo, dove dovrebbero essere riassorbiti circa una ventina di addetti. Un numero esiguo, rispetto a tutto il personale in mobilità che è di 170 unità, ma che potrebbe tornare subito al lavoro;
   ma è passato oltre un mese e sulla vertenza dell'ex Otefal di Bazzano tutto tace;
   il 22 dicembre anche la cordata spagnola che aveva manifestato interesse per il sito avrebbe avanzato un'offerta;
   i sindacati in una nota chiedono un incontro con la nuova proprietà, in modo da intavolare le trattative per riassumere i primi operai e avere delucidazioni sul piano industriale e sul futuro dei restanti addetti in mobilità dallo scorso giugno –:
   se non ritenga necessario promuovere una iniziativa urgente con le parti sociali, gli enti locali e i vertici aziendali per cercare soluzioni produttive e occupazionali e scongiurare questo dramma occupazionale (4-07489)


   GIULIETTI, SERENI, VERINI e ASCANI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Nestlé – Perugina rappresenta una delle realtà più significative per l'Umbria ed un punto fermo per l'occupazione e per l'intera economia della città di Perugia e della nostra Regione;
   con gli 860 occupati nei livelli produttivi e circa 1.000 unità complessive, lo stabilimento di San Sisto (Perugia) necessita di investimenti certi al fine di avere un volume di lavoro superiore al quello odierno (nel 2014 si parla di circa 25.000 tonnellate e per il 2015 è prevista una diminuzione);
   poco si è investito in questi anni nella promozione di un prodotto di indubbia qualità e poco si è investito nella ricerca di nuovi prodotti che possano arricchirne la gamma anche in sintonia con le nuove esigenze del mercato;
   al fine di poter garantire la piena occupazione dei lavoratori è stato sottoscritto nell'agosto del 2014 un contratto di solidarietà che prevedeva ai lavoratori un compenso pari al 70 per cento della retribuzione per due anni;
   oggi non essendo stato rifinanziato il bonus del 10 per cento, la retribuzione relativa al contratto di solidarietà è fissata nella misura del 60 per cento della retribuzione –:
   se sia possibile, trattandosi di un contratto sottoscritto, nell'agosto 2014 e quindi prima del mancato rifinanziamento del bonus del 10 per cento relativamente ai contratti di solidarietà, verificare se sussistano i presupposti per la piena attuazione del contratto sottoscritto e quindi riportare al 70 per cento della retribuzione quanto previsto dal contratto di solidarietà;
   quali iniziative il Governo intenda mettere in atto per tutelare l'insediamento produttivo di San Sisto – Perugia e per verificare nel minor breve tempo possibile il piano industriale del gruppo Nestlé per il nostro Paese. (4-07493)


   FRANCO BORDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il cementificio di Tavernola Bergamasca (BG), facente parte del Gruppo Sacci s.p.a, in data 2 gennaio 2015, ha disposto il licenziamento di un lavoratore delle rappresentanze sindacali unitarie e la massima sanzione disciplinare agli altri 3 lavoratori facenti parte delle rappresentanze sindacali unitarie con 3 giorni di sospensione dal lavoro, provocando l'azzeramento della rappresentanza sindacale dei lavoratori all'interno dello stabilimento;
   il provvedimento è stato generato dalla diffusione da parte della R.S.U. di un comunicato emesso il 25 settembre 2014 nel quale si evidenziavano alcune problematiche organizzative dell'azienda, già evidenziate da un precedente volantino del marzo 2012, che, denunciando carenze di manutenzione preventiva agli impianti, avanzava la richiesta «che gli sforzi dell'azienda si focalizzino sul miglioramento dell'ambiente lavorativo per la salute di chi lavora e vive sul territorio» in virtù del prossimo utilizzo sperimentale da parte della Sacci spa di combustibile alternativo CSS (combustibile solido secondario) e CDR (combustibile derivato da rifiuti) nel ciclo industriale del cementificio di Tavernola Bergamasca;
   a seguito di questi provvedimenti della Sacci, spa, l'8 gennaio 2014 le organizzazioni sindacali territoriali, in condivisione con i rispettivi livelli regionali, hanno proclamato uno sciopero di 8 ore per lunedì 12 gennaio 2015, stabilito il blocco delle operazioni in flessibilità e straordinario, annunciato l'avvio delle procedure di impugnazione del licenziamento e del contrasto dei provvedimenti disciplinari, richiesto la convocazione del tavolo nazionale delle rappresentanze sindacali unitarie del gruppo Sacci;
   l'intero consiglio comunale di Tavernole Bergamasca ha censurato il comportamento dell'azienda, espresso piena solidarietà ai lavoratori delle rappresentanze sindacali unitarie colpiti da immotivati provvedimenti e invitato la cittadinanza alla mobilitazione in occasione della manifestazione di protesta proclamata per il giorno 12 gennaio 2015, denunciando che: «questo grave episodio fa aumentare enormemente la preoccupazione e la tensione di tutta la comunità»;
   le organizzazioni sindacali dichiarano che «metteranno in atto ogni possibile iniziativa, sia legale che sindacale, che respinga il principio secondo il quale se la RSU esprime un giudizio nell'alveo dell'articolo 21 della Costituzione italiana e dell'articolo 1 della legge 300/70, ma non condiviso dalla direzione aziendale, la stessa possa essere licenziata»;
   licenziare e assumere provvedimenti disciplinari nei confronti di lavoratori, per di più rappresentanti sindacali, che hanno espresso opinioni diverse da quelle del management aziendale, si configura come un comportamento antisindacale in aperta violazione delle norme di comportamento stabilite dal Contratto nazionale di lavoro –:
   quali iniziative il Ministro intenda assumere per garantire l'esercizio dei diritti sindacali presso la Sacci spa;
   quali iniziative per quanto di competenza il Ministro intenda assumere per indurre l'azienda a ritirare il provvedimento di licenziamento e le procedure disciplinari rivolte verso le RSU del cementificio di Tavernola Bergamasca garantendo i diritti sindacali dei lavoratori;
   se il Ministro intenda convocare un tavolo di confronto tra azienda e parti sociali al fine di chiarire la situazione denunciata dalle rappresentanze sindacali unitarie dei lavoratori in merito alle esigenze manutentive degli impianti industriali del cementificio di Tavernola Bergamasca, e ripristinare il dialogo fra azienda e parti sociali. (4-07505)


   GIUSEPPE GUERINI, CARNEVALI, MISIANI e SANGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 ottobre 2014 è stata depositata un'interrogazione al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, relativa al cementificio di Tavernola Bergamasca, di proprietà del gruppo Sacci s.p.a. Nello specifico, gli interroganti chiedevano di conoscere gli elementi a disposizione del Ministero in relazione alla possibilità che il cementificio suddetto impiegasse combustibile derivato da rifiuti (CDR) e pneumatici triturati quali combustibili alternativi da utilizzare in parziale sostituzione di petcoke e quali iniziative il Ministero intendesse assumere al fine di tutelare l'ambiente e la salute dei cittadini di fronte ad attività di incenerimento dei rifiuti a opera di cementifici, come nel caso in esame (cfr. interrogazione n. 4-06542);
   nei giorni scorsi, Sacci s.p.a. ha proceduto a licenziare un lavoratore della rappresentanza sindacale unitaria e ha stabilito il massimo del provvedimento disciplinare (tre giorni di sospensione dal lavoro) nei confronti degli altri tre componenti della rappresentanza sindacale unitaria, contestando ai lavoratori di aver reso pubblica documentazione aziendale riservata in materia di incenerimento di rifiuti e utilizzo di CDR e pneumatici tritati, di cui al paragrafo precedente;
   le organizzazioni sindacali hanno avviato le procedure di impugnazione del licenziamento e di contrasto dei provvedimenti disciplinari e, dopo aver convocato un'assemblea dei lavoratori il 9 gennaio 2015, hanno proclamato uno sciopero, con presidio e manifestazione davanti ai cancelli del sito produttivo di Tavernola Bergamasca;
   le medesime organizzazioni sindacali hanno inoltre richiesto la convocazione del coordinamento nazionale delle rappresentanze sindacali unitarie del gruppo Sacci e hanno ottenuto la solidarietà unanime dell'amministrazione comunale di Tavernola Bergamasca;
   ci si trova in un momento storico in cui si è ampiamente discusso del tema dei licenziamenti, che è stato oggetto di una recentissima modifica normativa –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere per verificare la correttezza delle relazioni sindacali all'interno dell'azienda de qua;
   quali interventi ritenga di assumere per evitare che il clima determinato da provvedimenti disciplinari come quelli decisi dall'azienda indeboliscano l'attenzione rispetto al fine di tutelare l'ambiente e la salute dei lavoratori e dei cittadini in generale. (4-07507)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   AMATO e MIOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la diagnostica per immagini rappresenta un passaggio frequentemente obbligato nel percorso del paziente in emergenza-urgenza;
   la medicina basata sulla evidenza è concorde nell'attribuire alla golden hour, la prima ora dopo l'evento, un valore condizionante la prognosi;
   con il ridisegno delle reti ospedaliere secondo il sistema hub e spoke, gli ospedali spoke rappresentano ospedali di «transito», primo step per inquadramento diagnostico e stabilizzazione;
   l'istituto della reperibilità determina un tempo «morto» per il raggiungimento dell'ospedale da parte dell'operatore sottratto alla golden hour;
   in alcuni centri sono solo i tecnici sanitari di radiologia medica in turno notturno con il medico radiologo reperibile, e lavorano in attesa dell'arrivo del medico e in sua assenza, con la giustificazione della emergenza;
   frequentemente il personale reperibile lavora come se fosse in turno non avendo poi diritto al riposo compensatorio, con il rischio di medici radiologi che dopo una notte di reperibilità affrontano al mattino metodiche che richiedono la massima concentrazione e attenzione, per esempio la ricerca di microcalcificazioni in mammografia;
   ormai per necessità orografiche in molte aree difficili, quali montagne ed isole, si utilizza lo strumento della telerefertazione, che pure di recente è stato al centro di una vicenda legale per i TSRM di Braga e Marlia, peraltro risoltasi positivamente per i tecnici sanitari di radiologia medica;
   l'attuale livello delle tecnologie può garantire nella trasmissione delle immagini sia qualità che velocità di trasmissione e privacy;
   in Italia la telerefertazione non ha avuto applicazione anche per le preoccupazioni dei radiologi per dotazioni tecnologiche non adeguate ed obsolete e per il rischio di riduzione ulteriore degli organici –:
   se non ritenga sia arrivato il tempo di superare l'anacronistico istituto della reperibilità promuovendo l'istituzione per quegli ospedali spoke con numero elevato di prestazioni di pronto soccorso l'obbligatorietà del turno di notte per la équipe di diagnostica per immagini;
   se, dopo i fatti di Marlia e Braga, siano state decise iniziative per modificare il testo di recepimento della normativa europea Euratom, per garantire quindi ai tecnici sanitari di radiologia medica di effettuare il proprio lavoro con autonomia almeno per gli esami di radiologia tradizionale che non prevedano l'uso del mezzo di contrasto senza incorrere in sanzioni;
   se i modelli tecnologici e organizzativi per la telereferentazione siano già allo studio al Ministero della salute e quali siano i tempi previsti per l'applicazione, considerando la necessità di sostenibilità del sistema sanitario nazionale, e, in caso di risposta affermativa, come si intenda coniugare la telerefertazione con le problematiche di responsabilità professionale. (5-04433)


   GAGNARLI, L'ABBATE, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, PARENTELA, LUPO e ROSTELLATO. — Al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della salute, con nota prot. 609/SEGR/47 del 2 marzo 2003, che ai proponenti risulta ad oggi vigente, avente ad oggetto la «gestione dei resi dell'industria di panificazione», specifica che i prodotti di panificazione invenduti sono da considerare rifiuto, ai sensi del decreto legislativo n. 22 del 1997 – oggi abrogato dal decreto legislativo n. 152 del 2006 – oppure, sussistendone le garanzie igienico-sanitarie ed un atto scritto da parte del produttore, avviati all'alimentazione animale o utilizzati come materia prima per mangimi, ai sensi del decreto legislativo n. 360 del 1999;
   tale interpretazione produce l'effetto di considerare non più commercializzabili a fini dell'alimentazione umana migliaia di quintali di pane che, in realtà, hanno ancora tutti i crismi per essere consumati. Il pane, infatti, risulta tra i prodotti alimentari che maggiormente vengono sprecati in Italia. Secondo una recente inchiesta pubblicata dal quotidiano La Repubblica, sarebbero circa 13 mila i quintali di pane buttato ogni giorno, quasi il 25 per cento del pane prodotto destinato alla grande distribuzione. A livello del consumatore finale, i dati indicano che ogni famiglia italiana spreca in media una quantità di cibo del valore di 454 euro l'anno, di cui il 19 per cento è costituito dal pane;
   per ridurne lo spreco, il pane fresco dopo le 24 ore ed il pane preconfezionato dopo il superamento del tempo minimo di conservazione (TMC), assicurate le condizioni di sicurezza alimentare di cui all'articolo 14, Regionale (CE) n. 178/2002, potrebbe essere donato alle popolazioni svantaggiate; questa distribuzione appare ostacolata dall'interpretazione della suddetta nota ministeriale (Prot. 609/SEGR/47 del 2 marzo 2003), mentre bisognerebbe – a giudizio degli interroganti – rendere possibile che le reti di distribuzione e le reti italiane Caritas o laiche, prelevino il pane dai distributori, prima che esso sia reso, evitando che le stesse siano costrette ad acquistare il pane per il proprio fabbisogno;
   l'impegno di «promuovere il potenziamento delle reti caritative nazionali, al fine di poter recuperare il pane ogni giorno invenduto dalla grande distribuzione, per destinarlo alle popolazioni svantaggiate accolte nei centri caritativi distribuiti nella penisola» era stato proposto nella Mozione n. 1-00088, a prima firma Chiara Gagnarli, abbinata alla Mozione n. 1-00482 a prima, firma Massimo Fiorio, sul tema degli sprechi alimentari in genere; Tuttavia, nella versione finale della Mozione congiunta, votata in data 3 giugno 2014, l'impegno è stato soppresso;
   facendo seguito a quanto finora premesso, il gruppo M5S in Commissione agricoltura ha richiesto all'avvocato Daniele Pisanello, esperto in legislazione alimentare, un parere giuridico circa l'interpretazione della nota del Ministero della Salute, ed in generale sulla questione della commercializzazione/redistribuzione del pane invenduto dalle industrie di panificazione o dalle semplici attività commerciali, verso le associazioni caritatevoli attive sul territorio. Il parere giuridico, acquisito in data 3 dicembre 2014, da interpretazione sul contenuto della nota Prot. 609/SEGR/47 del 2 marzo 2003 del Ministero della salute, chiarisce quali norme attualmente regolano la gestione dei resi dell'industria di panificazione, compresi gli ultimi aggiornamenti contenuti nella legge di stabilità 2014, ed infine affronta l'aspetto fiscale legato alle cessioni gratuite di beni effettuate dalle imprese, in alternativa alla distruzione o all'eliminazione dal mercato, nei confronti degli enti non profit ed in particolare delle ONLUS;
   nel parere dell'avvocato Daniele Pisanello si legge inoltre che il pane, ove preconfezionato, non rientra nella categoria degli alimenti altamente deperibili, quindi è soggetto, ove offerto in vendita al consumatore finale sotto forma di preimballo, all'obbligo di indicazione del tempo minimo di conservazione (TMC), ben diverso dalla data di scadenza, obbligatoria invece per i prodotti altamente deperibili. La giurisprudenza italiana, in questo senso, ha avuto modo di precisare che nel caso di «prodotti con TMC scaduto, caratterizzato dalla dicitura ”da consumarsi preferibilmente entro il...”, [...] secondo la quasi unanime dottrina e giurisprudenza, non configura alcun vizio di commestibilità o di commercialità, ma solo garantisce da parte del produttore la conservazione delle qualità nutrizionali dell'alimento, che potrebbe non solo essere consumato oltre tale data, ma non aver perduto alcuna sua qualità» (cfr. Corte di cassazione, sez. III, 23 marzo 1998, n. 5372). Anche il pane fresco rimasto invenduto nelle 24 ore successive alla fabbricazione, si legge nel parere giuridico, non costituisce alimento non più destinabile al consumo umano, per le stesse ragioni addotte per il pane preconfezionato, sempre tenendo in debito conto dei parametri di sicurezza scolpiti all'articolo 14 Reg. (CE) n. 178/2002;
   per quanto concerne la nota del Ministero della salute, il parere giuridico osserva che la stessa si riferisce espressamente e chiaramente al pane ed altri prodotti da forno che, per motivi commerciali, non sono più destinati alla commercializzazione come alimenti (cfr. primo capoverso della nota). Ma visto che, il superamento del termine minimo di conservazione (TMC) per il pane preconfezionato, e delle 24 ore successive alla fabbricazione per il pane fresco invenduto, come innanzi precisato, non concretizzano una situazione di non commerciabilità, evidentemente, la nota ministeriale si riferisce ai casi di prodotti della panetteria invenduti perché ad esempio invasi da parassiti, muffe, corpi estranei o oggetto di ritiro per motivi sanitari dal produttore;
   la tesi sostenuta dal parere giuridico è confermata dalla legge 27 dicembre 2013 n. 147 (legge di stabilità 2014) comma 236, che recita: «Le organizzazioni riconosciute non lucrative di utilità sociale ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, e successive modificazioni, che effettuano a fini di beneficenza distribuzione gratuita agli indigenti di prodotti alimentari, ceduti dagli operatori del settore alimentare, inclusi quelli della ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, nonché i citati operatori del settore alimentare che cedono gratuitamente prodotti alimentari, devono garantire un corretto stato di conservazione, trasporto, deposito e utilizzo degli alimenti, ciascuno per la parte di competenza. Tale obiettivo è raggiunto anche mediante la predisposizione di specifici manuali nazionali di corretta prassi operativa in conformità alle garanzie speciali previste dall'articolo 8 del regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, e successive modificazioni, validati dal Ministero della salute». Tale periodo, sottintende che i prodotti alimentari, compreso il pane, possano essere ceduti a fini di beneficenza, purché ogni soggetto rispetti il corretto stato di conservazione, trasporto, deposito e utilizzo, escludendo, in maniera intrinseca, che il pane possa essere considerato alla stregua di un rifiuto solo perché si siano superate le 24 ore dalla produzione per il pane fresco o il TMC per  pane preconfezionato. Per rendere fattibile la redistribuzione, la legge di stabilità 2014 ha previsto la predisposizione di appositi manuali nazionali di corretta prassi operativa, che ad oggi ci risultano non ancora predisposti, salvo pochi casi;
   si sottolinea, infine, che il cosiddetto decreto Bersani (decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 4 agosto 2006) aveva previsto, in aggiunta alle definizioni dei vari prodotti della panetteria già presenti in norme precedenti, la denominazione di «pane fresco» riservandola «al pane prodotto secondo un processo di produzione continuo, privo di interruzioni finalizzate al congelamento, alla surgelazione o alla conservazione prolungata delle materie prime, dei prodotti intermedi della panificazione e degli impasti, fatto salvo l'impiego di tecniche di lavorazione finalizzate al solo rallentamento del processo di lievitazione, da porre in vendita entro un termine che tenga conto delle tipologie panarie esistenti a livello territoriale» (cfr. articolo 4, comma 2-ter, lettera b), decreto Bersani). Tale decreto demandava le disposizioni attuative ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottarsi di concerto con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali e con il Ministro della salute, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto. A tutt'oggi tale decreto non risulta adottato, sebbene risulta predisposta una bozza –:
   quali siano, ad oggi, i manuali di corretta prassi operativa, previsti dalla legge 27 dicembre 2013 n. 147 (legge di stabilità 2014) comma 236, già predisposti ed utilizzati e quanti e quali ancora da predisporre;
   quali siano le ragioni della mancata adozione del decreto attuativo previsto dal cosiddetto decreto Bersani (articolo 4 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 4 agosto 2006). (5-04435)


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CECCONI, CHIMIENTI, ALBERTI, CARINELLI, PESCO, CASO, DE ROSA, SILVIA GIORDANO, VILLAROSA, PETRAROLI, GRILLO e LOREFICE. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con nota pr. 3757 del 10 febbraio 2011, il Ministero della salute ha promosso nel territorio nazionale un piano di monitoraggio di durata triennale (dal 2011 al 2013), volto ad acquisire dati necessari per una corretta definizione dei livelli di rischio per i principali contaminanti in alimenti di origine animale prodotti in aree limitrofe ai siti di interesse nazionale (SIN);
   l'attività prevedeva la ricerca di contaminanti ambientali di differente natura quali metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici, pentaclorofenolo, nonilfenolo, diossine e PCB, da ricercare nelle matrici alimentari rappresentate dalle uova di gallina di allevamenti rurali;
   nell'anno 2012, la U.O. veterinaria della DG salute, in ottemperanza alla citata nota, nelle province di Milano e di Monza e Brianza ha svolto monitoraggi su campioni di uova di gallina provenienti da 30 diversi allevamenti rurali destinati all'autoconsumo, presenti nei comuni scelti con criterio casuale nel raggio di 10 chilometro dal SIN di Sesto San Giovanni (legge istitutiva n. 388/00);
   per la provincia di Monza e Brianza, il dipartimento di prevenzione veterinario dell'ASL ha sottoposto a campionamento un allevamento rurale per ognuno dei seguenti comuni: Agrate Brianza, Brugherio, Concorezzo, Desio, Lissone, Muggiò, Monza, Nova Milanese, Varedo, Vedano al Lambro, Villasanta;
   gli esiti finali ottenuti verso fine 2013 hanno rilevato che, ad esclusione degli allevamenti dei comuni di Agrate Brianza, Muggiò, Varedo e Vedano al Lambro, i livelli di PCB erano superiori al limite massimo consentito dalla legge stabilito in 40 ng/g (nanogrammi per grammo) per tutti i restanti allevamenti. Di questi, più che preoccupante il livello dell'allevamento di Villasanta, attestato a 495,18 ng/g, più di 12 volte il limite massimo consentito dalla legge;
   per le diossine, ad esclusione del solo allevamento del comune di Muggiò, per i restanti 10 i risultati non sono stati conformi per limiti di concentrazioni. Di questi, 9 hanno superato il limite massimo consentito dalla legge stabilito in 2,5 pg TEQ/g (picogrammi di tossicità equivalente per grammo), arrivando a valori che non superano i 6-7 pg TEQ/g. Desta particolare preoccupazione il dato riguardante il decimo allevamento sito nel comune di Desio, dove si è registrato il picco massimo di diossine pari a 52,43 pg TEQ/g, quasi 21 volte il limite massimo consentito dalla legge;
   dai referti delle analisi effettuate, emerge che le tipologie delle diossine rinvenute nelle uova provenienti dall'allevamento sito in Desio, sia per il 39 per cento del tipo TCDD riconducibile al disastro del 10 luglio 1976 della ditta Icmesa di Seveso, e il restante 61 per cento, cioè 31,44 pg TEQ/g, di provenienza sconosciuta;
   nella città di Desio vi è un inceneritore per rifiuti solidi urbani (RSU) ed ospedalieri attivo dall'anno 1976 che dista 1860 metri dal sito ove si è prelevato il campione analizzato;
   a causa del processo di combustione dei rifiuti, gli inceneritori liberano nell'aria diossine di diversi tipi;
   l'allegato 1, comma 3, del decreto ministeriale n. 503 del 19 novembre 1997, classifica come periodiche e non continue le misurazioni delle concentrazioni di diossina, stabilendo in 0,1 ng/m (elevato alla terza) il valore medio rilevato per un periodo di campionamento di 8 ore con frequenza al massimo annuale. Tale norma esclude, pertanto, le misurazioni delle emissioni delle diossine per accumulo per periodi di tempo elevati quali, ad esempio, gli anni;
   la ASL di Monza e Brianza, non ha inoltrato alcuna segnalazione alla procura di competenza riguardante gli esiti non conformi degli esami dell'allevamento di Desio;
   la ASL di Monza e Brianza, chiamata in causa per presunte negligenze dovute ad una mancata e corretta informazione riguardante gli sforamenti dei campioni controllati, in data 8 gennaio 2014 ha diramato un comunicato stampa a tutte le testate locali dove indicava che, a seguito delle evidenze rilevate, in ottemperanza a quanto previsto dalla nota prot. n. H1.2013.0031360 del 12 novembre 2013 trasmessa dalla U.0. Veterinaria regionale, ha inviato una nota contenente le indicazioni relative all'adozione di una serie di provvedimenti atti a coordinare ed uniformare gli interventi da parte dei dipartimenti di prevenzione veterinari delle ASL in relazione agli allevamenti avicoli di galline allevate a terra e all'aperto i cui prodotti sono destinati ad autoconsumo; ha avviato sul territorio la campagna informativa «Uova sicure da allevamenti sicuri»; durante le Assemblee dei sindaci svoltesi il 18 dicembre 2013 per l'ambito di Monza, il 23 dicembre 2013 per l'ambito di Desio e il 13 gennaio 2014 per l'ambito di Carate Brianza, ha illustrato a tutti i sindaci degli 11 comuni sopraindicati, gli esiti del monitoraggio effettuato;
   in data 16 dicembre 2014, sul sito on line «Made in Desio», il sindaco di Desio, Roberto Corti, ha dichiarato che la «ASL ha fatto ampia campagna informativa per avvisare dei rischi»;
   l'articolo 117, comma 1, del decreto legislativo n. 112 del 1998, indica per i sindaci la possibilità di emanare ordinanze contingibili ed urgenti, con efficacia estesa al territorio comunale, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica;
   nessuno dei sindaci dei comuni sopraindicati ha provveduto nell'immediato ad informare gli allevatori né tantomeno ha manifestato particolari ed adeguate attenzioni rispetto alla gravità del caso che non merita di essere sminuito circoscrivendolo alla sola contaminazione di un campione alimentare, ma alla potenziale contaminazione dei terreni su cui le galline razzolavano e su quelli limitrofi –:
   se i ministri interrogati, ognuno per le proprie competenze e di concerto con gli enti preposti, non intendano proporre nuove e più specifiche analisi della qualità dell'aria, delle concentrazioni di inquinanti da rilevarsi in più terreni ed un'indagine epidemiologica sulla popolazione dei comuni con allevamenti i cui monitoraggi risultino essere non a norma, con particolare attenzione alla città di Desio e all'inquinate diossina, al fine anche di stabilire con maggiore certezza le fonti di provenienza delle diossine ignote rilevate negli esiti degli esami sopraesposti.
(5-04442)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   nella Thales di Chieti Scalo, che è uno dei cinque stabilimenti italiani della multinazionale francese, si effettuano lavorazioni di alta tecnologia nel campo della difesa, sicurezza e protezione civile;
   in particolare si progettano, realizzano e mantengono anche sul campo, con l'utilizzo di personale altamente specializzato, apparati e sistemi, in dotazione alle forze armate, alle forze dell'ordine ed alla protezione civile vigili del fuoco, per la protezione contro atti terroristici, protezione contro minacce nucleari, biologiche e chimiche e sistemi di comunicazione e controllo (alcuni dei quali sono attualmente utilizzati nelle missioni internazionali in cui sono impegnate anche le forze armate italiane);
   oltre il 70 per cento delle maestranze presenti nel sito di Chieti Scalo è in possesso di laurea specifica e grande esperienza e competenza in ambito internazionale;
   tra i dipendenti cresce la preoccupazione per il ridimensionamento della presenza del marchio francese in Italia con la fine dell'esperienza teatina dell'azienda. Notizia mai confermata ufficialmente dai vertici aziendali (ma neanche smentita) e avvalorata da un programmato e progressivo disinteresse al sito di Chieti;
   il timore fondato, quindi, è che tutte le attività della Thales Italia vengano accorpate nel solo stabilimento di Firenze, con molteplici conseguenze: la perdita di competenze e la distruzione di un know- how oltre all'impoverimento del territorio e dell'economia locale poiché i dipendenti non potranno essere evidentemente disposti ad un trasferimento di 500 chilometri, qualora questa fosse l'unica soluzione possibile;
   i sindacati sottolineano come tra mobilità volontarie, dirigenti mandati via e mancato ricambio generazionale, si assiste da tempo a un depauperamento del sito teatino: da qualche anno a questa parte, complice la crisi, il management di Thales Italia ha messo in campo una strategia di tagli che, però, non sembra coinvolgere alla stessa maniera tutti gli stabilimenti italiani;
   in particolare si evince un netto segnale volto a proteggere il lavoro nella sola sede di Sesto Fiorentino che, al contrario ha incrementato il suo organico (nell'ambito delle funzioni centrali) nonostante la netta flessione degli ordini;
   la sede di Chieti ha dato un contributo sicuramente alto in termini di riduzione di posti di lavoro, pur essendo realtà con altissimo potenziale che da più di 40 anni si è distinta nello sviluppo di prodotti ad elevata tecnologia per un mercato difficile quale è quello militare, riscuotendo riconoscimenti di eccellenza sia dai propri clienti che dalle divisioni del gruppo;
   da evidenziare che il laboratorio di ricerca del sito ha all'attivo il deposito di 15 brevetti e la pubblicazione di almeno 50 articoli scientifici sulle più importanti riviste del settore, conta almeno 150 tesi di laurea e 10 dottorati di ricerca e ha partecipato a progetti di ricerca internazionali con istituti come il Cnr e la Fondazione Bordoni in Italia, l'Istituto Fraunhofer in Germania e l'Istituto Celar in Francia;
   anche lo Stato italiano, attraverso decine di milioni di euro di progetti di ricerca finanziati, ha investito nelle competenze del sito Thales di Chieti (tecnologia Ultra Wide Band per la localizzazione indoor, tecnologia per sistemi di comunicazione del soldato avanzati, sistemi wireless per la sicurezza, sistemi avanzati per applicazioni critiche, eccetera);
   la preoccupazione dei dipendenti tutti del sito teatino è che tutto finisca nel silenzio totale, lasciando ad una disputa fra regioni il destino di oltre 100 famiglie, nonché un importante indotto, su un territorio già oltremodo provato da una pesante crisi –:
   se non intenda intervenire per scongiurare che un'importante struttura industriale e di ricerca possa essere chiusa, tutelando i dipendenti e il futuro industriale dell'intera area teatina.
(2-00805) «Melilla».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COVELLO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a seguito del passaggio dalla trasmissione analogica al digitale terrestre sono innumerevoli le difficoltà di ricezione del segnale, in particolare dei canali RAI, riscontrate a Mirto-Crosia in provincia di Cosenza;
   per l'utenza del comprensorio di cui in premessa è impossibile seguire persino il telegiornale regionale Rai della Calabria e comunque tale utenza vede compromesso, per una materiale impossibilità, il diritto di poter usufruire dei canali Rai;
   la Rai, in qualità di concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, così come previsto dall'articolo 45 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, dovrebbe svolgere un servizio pubblico sul territorio italiano, sulla base di un contratto nazionale stipulato con il Ministero dello sviluppo economico assicurando a tutti i cittadini la possibilità di poterne usufruire;
   in questi giorni è in scadenza il canone Rai e per i cittadini di Mirto-Crosia è assai complicato pagarlo quando di fatto non riceve il servizio da parte della Rai –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere per far sì che il diritto di accesso alle reti del servizio pubblico radiotelevisivo possa essere garantito attraverso la trasmissione in tecnica digitale terrestre, con copertura integrale, anche per i cittadini del comune citato in premessa così come del resto è previsto dal contratto di servizio stipulato tra il Ministero e l'azienda del servizio pubblico. (5-04425)


   OLIVERIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 gennaio 2014 è stato annunciato che il gruppo industriale tedesco operante nel settore E.on ha ceduto le proprie centrali elettriche alla società Eph, della Repubblica Ceca, che fa capo a Daniel Kretinsky, un noto avvocato d'affari, nonché patron della squadra di calcio dello Sparta Praga;
   il gruppo Eph sta procedendo ad una serie di acquisizioni in tutta Europa;
   vengono così ceduti gli asset di generazione elettrica a carbone (600 megaWatt) e a gas in Italia corrispondenti a 6 centrali per 3,9 gigaWatt;
   il gruppo della Repubblica ceca ha battuto la concorrenza di Edison;
   tra le sei centrali interessate dalla cessione vi è quella di Scandale, in provincia di Crotone (Calabria), di proprietà Ergosud s.p.a. partecipata da E.ON e da A2A entrambe al 50 per cento è costituita da due cicli combinati gas-vapore, potenzialmente cogenerativi, per una potenza complessiva di 814 MW;
   si tratta di un impianto moderno in grado di adottare diverse soluzioni tecniche per ottimizzare l'impiego di risorse naturali come ad esempio il sistema «zero liquid discharge», che consente il riutilizzo di tutte le acque reflue, comprese in parte anche le acque piovane, limitando al minimo l'apporto di acque dall'esterno –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere per verificare quali sono gli intendimenti del nuovo gruppo che ha rilevato gli asset di E.On, in particolare in riferimento all'impianto di Scandale.
(5-04431)

Interrogazione a risposta scritta:


   PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge 23 dicembre 2000, n. 388, «legge finanziaria 2001», all'articolo 103, ex commi 5 e 6, ha disposto la concessione, nei limiti stabiliti dalla disciplina comunitaria per gli aiuti de minimis, di un credito di imposta per lo sviluppo delle attività di commercio elettronico, di cui all'articolo 21 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114. I progetti ammissibili alle agevolazioni per il commercio elettronico sono stati selezionati tramite bandi pubblici, nei quali sono state indicate le tipologie dei soggetti destinatari degli interventi e le spese autorizzabili tra cui anche quelle inerenti la formazione all’e-commerce e la realizzazione di portali internet;
   in base alla suddetta legge, nel 2006 è stato promosso il IV bando e-commerce dove sono entrate in graduatoria 5.721 imprese, come da nota del 14 luglio 2006 dell'ente gestore del procedimento, Unicredit Mediocredito Centrale spa, che hanno esaurito in brevissimo tempo l'intera disponibilità degli oltre 92 milioni di euro di sgravi fiscali messi a bando per lo sviluppo delle attività di commercio elettronico;
   i soggetti riusciti ad entrare in graduatoria, nel IV bando e-commerce, hanno dovuto provvedere a presentare, all'ente gestore del procedimento, i rendiconti degli investimenti effettuati entro i termini previsti dal decreto n. 885 del 23 gennaio 2008 e, quindi, entro l'8 agosto 2008. Inspiegabilmente, però, pur essendo state pubblicate in Gazzetta Ufficiale il 2 febbraio 2009 le graduatorie dei progetti ammessi, le autorizzazioni al credito d'imposta sono cominciate ad arrivare solo a partire da gennaio 2014, quindi esattamente sei anni dopo il termine ultimo di rendicontazione degli investimenti effettuati e otto dall'istituzione del IV bando, e questo solo dopo continue istanze e solleciti da parte dei diretti interessati e delle associazioni di categoria di riferimento. Infatti, l'Associazione italiana commercio elettronico (AICEL), proprio in virtù dell'inspiegabile ed irragionevole ritardo nella concessione di queste agevolazioni fiscali, da tempo ha avviato istanze di accesso agli atti e formale diffida e messa in mora nei confronti delle amministrazioni competenti;
   questo ritardo, a giudizio dell'interrogante incomprensibile ed assurdo, ha comportato grave nocumento ai quasi 6.000 imprenditori che hanno investito centinaia di migliaia di euro nelle attività di commercio elettronico, andando in molti casi anche oltre le loro possibilità finanziarie dato che erano motivati dal credito d'imposta. Non poche realtà produttive, infatti, pur avendo maturato il diritto al credito d'imposta, si sono viste costrette a chiudere per il sopraggiungere della grave congiuntura economica. Non è da escludere che se avessero potuto usufruire di tali agevolazioni le cose sarebbero potute andare diversamente;
   l’e-commerce ha bisogno di forti iniziative concrete da parte del Governo e non certo di promesse non mantenute. Nel 2013 il settore ha registrato una ulteriore crescita pari a 11,2 miliardi di euro, in salita del 17 per cento rispetto all'anno passato. Numeri che cresceranno anche nel 2014, ma pur sempre poca cosa se confrontati con quelli europei;
   risulta all'interrogante che, da gennaio 2014, il Gestore Unicredit Mediocredito Centrale spa ha cominciato ad inviare le prime comunicazioni agli assegnatari e questo con estrema lentezza. Infatti, non è noto, ad oggi, quanti effettivamente abbiano già ottenuto l'agognata concessione;
   le aziende che attendono con ansia questi crediti sono ancora molte e, per la particolare congiuntura economica non positiva, ogni giorno di ritardo rischia di essere il loro ultimo giorno di vita poiché, come detto, molte di queste realtà, specialmente piccole e medie imprese operanti nell’e-commerce, hanno affrontato investimenti straordinari solo perché «garantiti» da tale finanziamento. Pertanto usufruire di queste agevolazioni in moltissimi casi è vitale alla loro stessa sopravvivenza;
   è da stigmatizzare il comportamento dello Stato che quando si tratta di tassare non esita a sanzionare il contribuente anche per un solo giorno di ritardo, mentre quando deve autorizzare un credito d'imposta non esita a perdere anni in farraginose procedure pubbliche che hanno il solo scopo di ritardare quanto più possibile tale impegno finanziario;
   non sono ancora chiare le ragioni di questo ritardo monstre che per l'interrogante non è solo imputabile alla elefantiaca e farraginosa burocrazia –:
   se il Ministro interrogato sia conoscenza di quanto in premessa e, in particolare, delle ragioni alla base di quello che all'interrogante appare un incomprensibile ed irragionevole ritardo nell'assegnazione delle agevolazioni previste dal IV bando e-commerce;
   se il Ministro interrogato intenda trasmettere dati puntuali sul numero dei soggetti già beneficiari, anche se con estremo ritardo, del suddetto credito d'imposta sul totale degli aventi diritto;
   se il Ministro interrogato non ritenga doveroso assumere iniziative per prevedere delle forme di indennizzo per quanti, avendo maturato tale diritto, hanno chiuso l'attività anche in virtù di questo incomprensibile ed irragionevole ritardo da parte delle amministrazioni preposte a tale concessione. (4-07501)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Sbrollini e altri n. 7-00549, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Marantelli.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza Zan e altri n. 2-00803, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ghizzoni.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Rossomando e altri n. 5-04374, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Narduolo.

  L'interrogazione a risposta scritta Petraroli n. 4-07467, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Lorenzis.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Carnevali e altri n. 5-04420, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Valeria Valente.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Vecchio n. 4-04612 del 23 aprile 2014;
   interrogazione a risposta scritta Realacci n. 4-07349 del 19 dicembre 2014;
   interrogazione a risposta scritta Nicchi n. 4-07450 dell'8 gennaio 2015;
   interpellanza Piras n. 2-00802 del 9 gennaio 2015;
   interrogazione a risposta orale Dellai n. 3-01238 del 9 gennaio 2015.

Ritiro di una firma da una mozione.

  Mozione Prodani e altri n. 1-00047, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 maggio 2013: è stata ritirata la firma del deputato Coppola.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ALBANELLA, RACITI, BURTONE e BERRETTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è di questi giorni la notizia, diffusa anche sui social network, che Forza Nuova sta preparando, per sabato 14 giugno a Catania una manifestazione contro «gli invasori», ovvero, «le decine di migliaia di immigrati clandestini che giornalmente si riversano nelle vie della città svolgendo attività per lo più illegali»;
   su Facebook Forza Nuova, il cui corteo partirà alle 18 da piazza Roma e si concluderà nel cuore della città, illustra così le sue motivazioni: «le coste della Sicilia sono diventate obiettivo di centinaia di migliaia di immigrati clandestini, solo negli ultimi 5 mesi il numero degli invasori ha superato le 60.000 unità. (...) Catania è una delle città più colpite: di sera le strade diventano insicure e si registrano giornalmente casi di molestie sessuali, furti e violenze ai nostri connazionali e continui scontri etnici tra immigrati per disputarsi il malaffare del centro storico»;
   è utile ricordare che Forza Nuova è un'organizzazione di estrema destra, che si richiama esplicitamente al fascismo, guidata da Roberto Fiore, estremista di destra per anni latitante a Londra a seguito di una condanna per associazione sovversiva emessa nel 1982 dalla magistratura italiana, e che nel 1985 venne condannato, sempre in Italia, per banda armata (in associazione con i NAR) e associazione sovversiva;
   Fiore, rimanendo sempre latitante, ha negli anni accumulato una vera e propria fortuna sia societaria che immobiliare, senza mai scontare un giorno della sua condanna, fino al 1999, anno in cui i reati di cui è accusato vanno in prescrizione e fa ritorno in Italia;
   la manifestazione dell'organizzazione che fa capo a Fiore, prevista a Catania per il prossimo 14 giugno, presenta chiari tratti xenofobi, razzisti e discriminatori, e fa leva su paure e disagi reali sfruttando però, secondo gli interroganti, cinicamente e irresponsabilmente, la gravissima situazione che porta uomini, donne e bambini a rischiare la vita per fuggire da guerre, persecuzioni e fame, nonché le difficoltà reali che la Sicilia e i suoi cittadini coraggiosamente affrontano perché terra di «frontiera» rispetto agli sbarchi, situazione nei cui confronti è necessaria una presa in carico sempre maggiore da parte dello Stato ma, soprattutto, da parte dell'Unione europea, ma che di certo non va affrontata istigando strumentalmente all'odio, al razzismo e alla violenza –:
   se il Ministro non valuti preoccupante lo svolgimento della manifestazione di cui sopra sotto il profilo dell'ordine pubblico e se non ritenga che possano ricorrere i presupposti, sempre rimanendo nel rispetto dei principi della nostra Costituzione, per impedire lo svolgimento della manifestazione prevista per il 14 giugno a Catania. (4-05151)

  Risposta. — Il 14 giugno 2014 si è svolta a Catania la preannunciata manifestazione promossa da Forza Nuova per protestare contro l'immigrazione, il degrado urbano, l'abusivismo e la contraffazione commerciale.
  Il corteo, inizialmente programmato in una zona della città ad alta presenza di stranieri, su invito della Questura, ha sfilato da Piazza Roma a Piazza Vittorio Emanuele, dove si è concluso con il comizio del rappresentante di Forza Nuova Roberto Fiore.
  Sempre nella stessa giornata, presso un'altra piazza della città si è tenuto un presidio antirazzista e antifascista organizzato dalla Rete antirazzista catanese e dall'Anpi.

  Entrambi gli eventi si sono svolti pacificamente senza alcuna turbativa per l'ordine e la sicurezza pubblica.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   ATTAGUILE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di gennaio 2014 è stata presentato dal Ministro interrogato al Consiglio dei ministri un piano nazionale degli aeroporti in cui vengono classificati undici aeroporti strategici e ulteriori 26 scali di interesse nazionale;
   nel bacino di traffico Mediterraneo/Adriatico è definito strategico quello di Bari e sono di interesse nazionale quelli di Brindisi e Taranto;
   l'aeroporto di Foggia non trova alcun posto in questo piano nazionale e questa mancanza si traduce in un taglio importante ad un'economia legata al turismo, e non solo, che avrebbe avuto invece bisogno di sostegno e attenzione;
   se l'aeroporto di Foggia potesse offrire collegamenti con gli aeroporti inglesi, francesi, svizzeri, tedeschi o russi, questo comporterebbe con grosse probabilità un incremento notevole del turismo durante tutto l'anno sul Gargano che oggi è fortemente penalizzato dalla lontananza con gli aeroporti di Brindisi o di Bari e da viaggiatori quasi esclusivamente italiani che concentrano i propri viaggi nei due tre mesi estivi;
   su La Gazzetta del Mezzogiorno del 28 febbraio 2014 si legge che il finanziamento di 14 milioni di euro da parte dell'Unione europea per l'ampliamento della pista dell'aeroporto foggiano non sarebbe in discussione e che rimarrebbe solo da sbloccare la VIA (valutazione d'impatto ambientale) presentata nel 2012;
   ma la procedura di valutazione di impatto ambientale del 2012 è stata sospesa nel dicembre 2013, presumibilmente in virtù del nuovo piano di investimenti aeroportuali e la gara d'appalto per l'assegnazione dei lavori per la pista resta fissata al 30 gennaio 2014, ma il nuovo bando vincola l'offerta a 18 mesi;
   così stante la situazione, con una richiesta di valutazione di impatto ambientale a cui viene risposto dopo due anni con una sospensione, si rischia di perdere un finanziamento a causa di tempistiche eccessivamente lunghe e burocrazia obsoleta –:
   quali siano le motivazioni alla base delle tempistiche così lunghe di risposta ad un'istanza di valutazione di impatto ambientale;
   quali siano i parametri utilizzati per la classificazione degli aeroporti di interesse nazionale inseriti nel piano nazionale degli aeroporti che hanno portato ad escludere l'aeroporto di Foggia e a comprendere invece altri scali piccoli e con traffico limitato, come Salerno, Pescara o Brescia. (4-05234)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  In relazione alle preoccupazioni espresse circa l'esigenza di rivedere la posizione dell'aeroporto di Foggia «Gino Lisa» nell'ambito del Piano nazionale degli aeroporti, occorre evidenziare che il processo per l'individuazione degli aeroporti e dei sistemi aeroportuali di interesse nazionale riveste carattere dinamico, in quanto lo stesso si fonda su azioni progressive di specializzazione del ruolo degli aeroporti e di risanamento economico-finanziario degli stessi, al fine di realizzare uno sviluppo integrato con le altre realtà aeroportuali dei bacini di traffico di riferimento.
  In particolare, le predette linee programmatiche favoriscono forme di alleanze e di sistema tra i vari aeroporti di bacino quali elementi di priorità per l'interesse nazionale degli stessi.
  Pertanto, anche aeroporti che, al momento, non risultano in possesso delle condizioni per il riconoscimento dell'interesse nazionale, possono essere coinvolti, d'intesa con le Regioni interessate, in processi di specializzazione di ruolo e alleanze di sistema, nonché di risanamento economico-finanziario per assurgere ad un diverso ruolo nella rete aeroportuale nazionale.
  Rilievo fondamentale, a tale riguardo, avranno le politiche regionali di coinvolgimento delle varie realtà aeroportuali esistenti sui territori, in un disegno organico di sviluppo sistemico delle stesse realtà rapportate alle esigenze e alle potenzialità di tutte le aeree interessate.
  Le potenzialità dell'aeroporto di Foggia, in relazione alle attrattive turistiche del Gargano, ai siti di interesse religioso in esso presenti, all'economia del territorio e dei bacini circostanti, potranno essere convogliate in un disegno industriale di sviluppo e crescita della domanda di trasporto aereo tale da far superare le criticità in atto, che fanno registrare, invece, allo stato attuale, uno scarsissimo traffico aeroportuale che non consente, al momento, di delineare un diverso ruolo del medesimo aeroporto.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   ATTAGUILE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   alle ore 00:50 del mattino del 27 settembre 2014 è scoppiato un incendio all'interno della raffineria Mediterranea a Milazzo ed in particolare al serbatoio TK513 dove erano stoccati un milione di litri di carburante; sono stati bruciati circa 600.000 litri di idrocarburi;
   il rogo, sviluppato intorno alle 00:45 ha prodotto fiamme altissime visibili per diversi chilometri dai comuni del messinese e ha creato odori fortissimi e soffocanti da combustione; il fumo tossico è arrivato la mattina successiva ad oltre 15 chilometri dal luogo dell'incidente e i comuni più colpiti oltre a Milazzo sono stati San Filippo del Mela, Pace del Mela, Santa Lucia del Mela, Condrò, Gualtieri Sicaminò, San Pier Niceto e Barcellona Pozzo di Gotto;
   l'allarme è stato dato alle ore 2:00 del mattino dal centro operativo comunale di Milazzo che ha consigliato alla popolazione di rimanere chiusi in casa e tenere le finestre serrate; non risulta che sia stato predisposto alcun piano di evacuazione, anche se centinaia di famiglie che risiedono nella zona sono fuggite in auto per paura, intasando le strade del comprensorio;
   sul posto hanno operato per ore diverse squadre dei vigili del fuoco, oltre a quelle del servizio di sicurezza della raffineria e, per fortuna, non risultano feriti né all'interno della raffineria né all'esterno;
   l'incendio, si è ravvivato nel pomeriggio di sabato, formando nuovamente una enorme nuvola nera e, anche nelle giornate di domenica e lunedì, si sono alternati nuovi incendi e formazioni di nuvole nere che, in base al vento, hanno investito o Valle del Mela o il centro di Milazzo;
   dalle informazioni sui mass media sembra che la causa dell'incendio sia stata una crepa al tetto galleggiante del serbatoio che ha messo l'aria a contatto col liquido; peraltro alcune notizie riportano anomalie del serbatoio e piccoli incendi iniziati già nel pomeriggio ma non visibili dalla città;
   lo stabilimento della Raffineria di Milazzo s.c.p.a. è annoverato fra le industrie «a rischio di incidente rilevante» ai sensi della normativa «Seveso» di cui al decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, e successive modificazioni; infatti, la natura e quantità delle sostanze impiegate nei processi produttivi potrebbero causare, in caso di eventi improvvisi (incendi, esplosioni, fughe di sostanze tossiche), danni alla popolazione e all'ambiente;
   in particolare, la virgin nafta, contenuta nel serbatoio andato in fiamme, insieme alle benzine è classificata come sostanza estremamente infiammabile e pericolosa, che può provocare il cancro, alterazioni genetiche ereditarie, irritazioni alla pelle, possibile rischio di danni ai bambini non ancora nati, tossicità agli organismi acquatici, danni ai polmoni in caso di ingestione e sonnolenza e vertigini in caso di inalazione;
   negli anni scorsi altri incidenti si sono verificati nella raffineria ed, in particolare, nel 1993, un gravissimo incidente ha causato la morte di 7 persone ed il ferimento di altre sedici;
   la popolazione subisce gli «effetti collaterali» della presenza della raffineria nel proprio territorio, ove sono presenti anche altri impianti inquinanti, come una centrale termoelettrica ad olio combustibile e una fabbrica di amianto dismessa ma non del tutto bonificata;
   nel 2011 e nel 2012 l'arpa locale aveva già ammonito la raffineria per le emissioni non adeguatamente controllate;
   la popolazione non risulta adeguatamente informata sui rischi e sui piani di emergenza, nonostante la normativa «Seveso» imponga la predisposizione di un piano di emergenza interno ed un piano di emergenza esterno e la massima informazione della popolazione sulle misure in atto;
   si apprende dalla stampa che la procura di Barcellona Pozzo di Gotto ha aperto un fascicolo contro ignoti per l'incidente del 27 settembre e ha disposto il sequestro dell'area –:
   se i Ministri non ritengano necessario verificare l'entità dei danni ambientali da inquinamento atmosferico causati dalla prolungata combustione del carburante e appurare le cause che hanno provocato l'incendio nella raffineria di Milazzo, la corretta applicazione della normativa «Seveso» e le misure che sono state attivate per il ripristino e messa in sicurezza dei siti interessati;
   se il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga necessario avviare un'apposita istruttoria per il SIN di Milazzo e un confronto con il gestore dell'impianto e l'ARPA locale per verificare lo stato di attuazione e il rispetto delle prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale relativa all'impianto;
   se i Ministri non ritengano doveroso informare i cittadini sui rischi a cui vadano incontro e sulle azioni che l'azienda, le autorità di controllo e lo Stato intendano intraprendere per evitare simili incidenti in futuro che possono mettere in pericolo la pubblica incolumità, anche tenendo conto dell'opportunità della delocalizzazione della raffineria e della centrale termoelettrica in aree lontane dai centri abitati. (4-06642)

  Risposta. — A seguito dell'evento incidentale accaduto la notte del 27 settembre 2014 presso la raffineria Mediterranea di Milazzo, classificata come industria a rischio di incidente rilevante ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 334 del 1999, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha immediatamente inviato una notifica preliminare dell'evento alla Commissione europea tramite il sistema informativo europeo sugli incidenti «Seveso», denominato «e-MARS».
  Dalle informazioni acquisite, è risultato che l'incidente, nonostante il comprensibile stato di paura che ha generato nei confronti della popolazione locale, non ha nell'immediato provocato problemi di particolare rilievo, né per il personale della raffineria né per la popolazione residente nelle zone circostanti.
  È stato infatti comunicato dalle competenti autorità locali che, fin dalla prima segnalazione, la situazione è apparsa sotto controllo, essendosi trattata di un'emergenza interna allo stabilimento, contrastata con tempestive operazioni di spegnimento e contenimento delle fiamme. In particolare, risulta che l'incidente sia stato originato dalla inclinazione del tetto galleggiante di un serbatoio destinato allo stoccaggio di idrocarburi liquidi, con conseguente rilascio di vapori infiammabili e loro innesco, presumibilmente a causa di scintille provocate dall'attrito tra parti metalliche. Gli effetti si sono concretizzati in un incendio di vaste proporzioni che ha interessato unicamente il medesimo serbatoio senza determinare sversamenti sul suolo o in mare di idrocarburi né di acque o schiumogeno antincendio utilizzati negli interventi di spegnimento.
  Tuttavia, il Ministero dell'ambiente ha provveduto a richiedere alle autorità competenti e agli organi tecnici ed alle autorità locali dettagliate informazioni sulle circostanze e sulle conseguenze dell'incidente. Ciò al fine di avviare la procedura prevista, in caso di incidente rilevante, dall'articolo 24 del predetto decreto legislativo.
  Tale procedura, in particolare, prevede l'istituzione di una commissione composta da esperti appartenenti agli organi tecnici nazionali, incaricata di effettuare un sopralluogo per la raccolta delle informazioni sulle circostanze, le cause e le conseguenze dell'evento. Tutti dati da trasmettere successivamente alla Commissione europea, così come previsto dalla vigente normativa sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose.
  Allo stato risulta essere in corso la costituzione della precitata commissione, essendo pervenute la maggior parte delle designazioni. Per quanto attiene alle iniziative adottate per verificare le eventuali esternalità negative conseguenti all'incidente occorso, risulta a questo Ministero che l'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente della Sicilia si è subito adoperata per verificare i dati ambientali forniti dai sistemi di monitoraggio di cui essa stessa è dotata nel territorio, posizionate a Milazzo e Pace di Mela, nonché i dati risultanti dalle centraline di proprietà Edipower e facenti parte delle rete di monitoraggio, posizionate a San Filippo del Mela, Pace del Mela, San Pier Niceto, Milazzo – Croce di Mare e Valdina.
  Sin dal giorno successivo si è reso operante un laboratorio-mobile, anch'esso dedicato alla analisi della qualità dell'aria, posizionato sul lungomare di Milazzo.
  È stato riferito che i dati forniti dai sistemi di rilevamento non hanno mostrato concentrazioni anomale degli inquinanti monitorati, né il superamento dei limiti di legge.
  L'ARPA ha immediatamente organizzato un piano di attività che, interessando tutti i comuni dell'area, comprende il monitoraggio al suolo delle ricadute dei fumi in termini di analisi di microinquinanti organici persistenti, quali diossine e IPA, e di contaminanti inorganici, quali i metalli pesanti.
  È stato assicurato che le attività di controllo si protrarranno fino a quando l'ARPA riterrà utile e significativa l'indagine anche in funzione degli eventi successivi.
  Nello stesso tempo, si sta procedendo al prelievo dei campioni di acqua, compresa quella di mare, vegetazione e aria. Per quest'ultima, in particolare, sono stati posizionati in zone dove è più visibile la ricaduta, tenendo conto delle segnalazioni dei cittadini e della direzione del vento, due campionatori ad alto volume che in continuo prelevano volumi noti di aria su appositi supporti per la raccolta delle polveri sottili ricadenti in diversi archi temporali, per la determinazione delle diossine.
  La raffineria Mediterranea rientra tra gli impianti autorizzati dal Ministero dell'ambiente con AIA (autorizzazione integrata ambientale). L'avvio del complessivo riesame di tale autorizzazione, come per quelle relative a tutte le altre raffinerie, è previsto venga effettuato entro l'anno, in esito alla imminente pubblicazione da parte della Commissione Unione europea delle «Conclusioni sulle BAT». Nell'ambito del pertinente procedimento di riesame potranno essere quindi utilmente prese in considerazione, tra l'altro, le problematiche inerenti la sicurezza dell'esercizio dell'impianto, alla luce dell'evento accaduto lo scorso 27 settembre, ed eventualmente precedenti, e potrà essere condotto un riscontro, da parte degli Enti territoriali – competenti, tra l'altro, in materia di informazione ai cittadini – circa la compatibilità di tale esercizio con la garanzia di adeguati livelli di qualità dell'ambiente e sanitari, anche in un'ottica di ipotesi di delocalizzazione di impianti di tal genere in aree lontane dai centri abitati.
  Per maggior cautela, il Ministero dell'ambiente ha disposto un sopralluogo straordinario da parte dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) al fine di verificare il rispetto delle condizioni autorizzative potenzialmente connesse all'evento incidentale, le cui conclusioni risultano essere in corso di elaborazione, e dal cui esito potranno essere disposte eventuali misure correttive, come previsto dall'articolo 29-
decies, comma 9, del decreto legislativo n. 152 del 2006.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BUENO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in Brasile otto anni fa è scoppiato un gravissimo caso di corruzione politica. Si tratta di un fenomeno molto simile allo scandalo italiano «mani pulite» che ha preso il nome di mensalao che significa mensilità. Il caso esplose quando si scoprì che l'Esecutivo e il Partito dei lavoratori avevano dirottato fondi pubblici per stipendiare alcuni parlamentari in maniera da garantirsi l'appoggio in Parlamento;
   da allora si sono svolti anni di indagini sui vertici del partito del Presidente Lula e della attuale Presidente Dilma Rousseff, fino a quando, la scorsa settimana, sono scattate le manette per undici persone, tra politici e manager brasiliani;
   l'ex segretario del partito e il braccio destro dell'ex presidente Lula, ministro al tempo dello scandalo, sono stati arrestati per corruzione. La polizia avrebbe dovuto arrestare anche l'ex direttore marketing del Banco do Brasil, Henrique Pizzolato, condannato a 12 anni e sette mesi di carcere, discendente di emigranti italiani, ex sindacalista, che ha gestito per anni l'enorme budget di pubblicità e marketing della più grande banca pubblica brasiliana;
   da notizie apparse sulla stampa locale risulta che le autorità brasiliane avevano ritirato i passaporti, brasiliano e italiano, del banchiere ma quando le autorità di polizia si sono recate a casa per prelevarlo, hanno scoperto che Pizzolato da più di un mese era riuscito a scappare in Italia grazie ad un duplicato del passaporto italiano;
   sempre da informazioni apprese dalla stampa locale Pizzolato avrebbe lasciato Rio de Janeiro per recarsi in auto fino al Paraguay e arrivare poi in Argentina. Da qui si sarebbe imbarcato per l'Italia con un duplicato del suo passaporto italiano. Una volta giunto in Italia, tramite il suo avvocato, il latitante ha fatto sapere di essere fuggito in Italia per essere sottoposto ad un nuovo processo da parte di un tribunale più libero dai condizionamenti dei media;
   in data 19 novembre 2013, con lettera al Ministro dell'interno l'interrogante ha chiesto informazioni sul caso Pizzolato, senza avere alcun riscontro –:
   se il Governo possa confermare la notizia della presenza di Henrique Pizzolato in Italia e quali siano le informazioni acquisite riguardo alle modalità di ingresso dell'ex banchiere in Italia;
   se risulti quale consolato abbia rilasciato il duplicato del passaporto per entrare in Italia e quali sarebbero le intenzioni del Governo italiano nei confronti di una eventuale richiesta di estradizione da parte dello Stato brasiliano. (4-02752)

  Risposta. — Le autorità brasiliane hanno diffuso la richiesta di arresto provvisorio ai fini estradizionali di Henrique Pizzolato, per i reati di riciclaggio e corruzione, il 15 novembre 2013. Di conseguenza, il dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno ha provveduto a inserire il provvedimento di cattura nella banca dati delle forze di polizia SDI – come sancito dal combinato disposto degli articoli 6 e 13 del trattato bilaterale di estradizione tra Brasile e Italia – informandone altresì il Ministero della giustizia.
  In materia di estradizione, fra Italia e Brasile è in vigore il suddetto trattato bilaterale, sottoscritto a Roma il 17 ottobre 1989, che stabilisce l'applicazione del principio
aut dedere aut judicare, compatibilmente con le norme nazionali sul diritto penale. Quindi, ogni eventuale richiesta di estradizione deve essere valutata sulla base della normativa vigente dalle competenti autorità italiane.
  Il cittadino italo brasiliano era iscritto all'AIRE nello schedario del consolato generale di Rio de Janeiro, ma nel 2008 ha trasferito la sua residenza a Malaga (Spagna); risulta infatti titolare di passaporto emesso l'11 marzo 2010 dall'ambasciata italiana a Madrid ed è anche titolare di carta di identità, rilasciata il 16 aprile 2009 dal consolato italiano presso la predetta ambasciata, per la quale è stata presentata denuncia di smarrimento.
  Egli risulta essere stato in Italia prima dell'internazionalizzazione delle sue ricerche da parte dello Stato brasiliano, ma non si è a conoscenza della data e delle modalità del suo ingresso nel territorio nazionale.
  Il 3 febbraio 2014, i carabinieri di Modena hanno tratto in arresto il signor Pizzolato, che al momento si trova in stato di detenzione presso la casa circondariale di Modena, in attesa della decisione della corte d'appello di Bologna sulla sua estradizione.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   COLLETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società Sogin S.p.A. è partecipata al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze e il suo compito è quello di smaltire i rifiuti nucleari degli impianti italiani, un'attività di grande importanza per garantire la sicurezza dei cittadini, salvaguardare l'ambiente e tutelare le generazioni future;
   nella determinazione n. 21/2013, recante la «Relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della Società gestione impianti nucleari (SO.G.I.N. S.p.A.), per l'esercizio 2011», la Corte dei conti, in sezione di controllo sugli enti, ha precisato che: «Nel complesso, la SO.G.I.N. è passata dal 4 per cento di avanzamento delle attività di smantellamento a fine 2007 (0,6 per cento annuo), al 12 per cento a fine 2011, con una media di circa il 2 per cento annuo»;
   a causa dei continui rallentamenti dei lavori, secondo la «Relazione sulla gestione dei rifiuti radioattivi in Italia e sulle attività connesse», approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella seduta del 18 dicembre 2012, la spesa prevista attualmente è di 6,7 miliardi di euro. Per questi motivi il Movimento 5 Stelle, con l'interrogazione parlamentare n. 3-00335 a prima firma del senatore Girotto, a settembre 2013 aveva chiesto al Governo la definizione di un nuovo metodo di finanziamento i cui oneri non fossero posti a carico dei clienti finali del sistema elettrico;
   ogni anno Sogin spende milioni di euro in consulenze distribuite tra avvocati, ingegneri, tecnici e professionisti; i cronoprogrammi delle sue attività di smantellamento delle centrali nucleari e degli impianti avviati nel 2001 prevedevano il rilascio «a prato verde» dei siti nel 2020, a fronte di un costo previsto di 4,5 miliardi di euro, quasi interamente a carico dei contribuenti grazie al sovrapprezzo della bolletta elettrica;
   nella lista di incarichi, collaborazioni e consulenze di Sogin tra il 2012 e il 2014 compare l'avvocato Stefano Previti, figlio di Cesare Previti, il quale fu pagato il 28 gennaio 2013 per un incarico di consulenza da 6 mila euro per «assistenza legale stragiudiziale»;
   tra i consulenti legali figura anche Donato Bruno, avvocato, senatore di Forza Italia, che nelle intercettazioni dell'inchiesta sull'Expo (allargata ai lavori per il nucleare) viene indicato da Gianstefano Frigerio come «un altro amico» e quindi come parte della «squadra» composta anche da «Gianni Letta e Cesare Previti», in grado di condizionare le nomine nelle società pubbliche come Terna e Alitalia. Il 7 marzo del 2013 Donato Bruno, in qualità di legale, ha ricevuto dalla Sogin un incarico di consulenza da 30 mila euro per una non meglio precisata «assistenza legale stragiudiziale». Da notizie di stampa si apprende inoltre che Donato Bruno è compreso fra i possibili candidati ai due posti vacanti della Corte costituzionale;
   appare quanto mai singolare che le decine di consulenze legali esterne richieste dalla Sogin S.p.A. nel 2012 e 2013 si siano ridotte a una soltanto nel 2014, affidata all'avvocato Lorenzo Parola, per poco meno di 11 mila euro. Non si comprende come mai la necessità di trovare accordi e comporre liti fuori dai tribunali (assistenza legale stragiudiziale) sia stata tanto forte negli anni precedenti e sia praticamente cessata nel 2014 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
   se il Governo abbia verificato che le consulenze richieste dalla Sogin siano state tutte legittime e, in caso contrario, se ritenga opportuno informare la Corte dei Conti per accertare possibili profili di responsabilità al fine del ristoro degli eventuali danni subiti;
   se il Governo reputi necessario assumere iniziative per cambiare le modalità di finanziamento passando dall'attuale sistema di prelievo sulla bolletta elettrica a carico dei cittadini ad un sistema che consenta di erogare finanziamenti solamente in relazione allo stato di avanzamento dei lavori, in tal modo beneficiandone sia lo Stato sia soprattutto, i cittadini. (4-06546)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame, concernente la società Sogin Spa., con la quale si chiede, in particolare:
   «se il Governo abbia verificato che le consulenze richieste dalla Sogin siano state tutte legittime e, in caso contrario, se ritenga opportuno informare la Corte dei conti per accertare possibili profili di responsabilità al fine del ristoro degli eventuali danni subiti;
   se il Governo reputi necessario assumere iniziative per cambiare le modalità di finanziamento passando dall'attuale sistema di prelievo sulla bolletta elettrica a carico dei cittadini ad un sistema che consenta di erogare finanziamenti solamente in relazione allo stato di avanzamento dei lavori, in tal modo beneficiandone sia lo Stato sia soprattutto, i cittadini».

  Al riguardo, sentito il Ministero dello sviluppo economico e la citata società, si fa presente quanto segue.
  Con riferimento al controllo esercitato dalla Corte dei conti sulla gestione finanziaria della Sogin, non risulta che siano stati effettuati rilievi sull'andamento delle attività di
decommissioning svolte dalla società, come peraltro attesta la relazione n. 21 del 2013 riguardante l'esercizio 2011.
  Per quanto riguarda, invece, la Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, la medesima, nella relazione sulla gestione del ciclo dei rifiuti radioattivi del 18 dicembre 2012 e sull'attuazione dei programmi di
decommissioning, ha espressamente individuato nella particolare complessità degli iter, nelle quali sono coinvolte diverse realtà istituzionali, la principale causa delle dilazioni dei tempi di realizzazione delle attività di smantellamento.
  Al fine di superare tali problematiche, è stato emanato l'articolo 24 del decreto-legge n. 1 del 24 gennaio 2012, convertito nella legge n. 27 del 24 marzo 2012, che ha impresso una significativa «svolta» in termini di riduzioni dei tempi di autorizzazione, con conseguente incremento dei volumi di attività.
  Infatti, già in sede di prima attuazione della citata normativa, sono state sbloccate le istanze di autorizzazione alla disattivazione per tre delle quattro centrali nucleari (presentate tra il 2001 e 2002 e ferme da anni), nonché altre importanti autorizzazioni relative a interventi prioritari ai fini della sicurezza, sia per le centrali stesse che per gli impianti del ciclo del combustibile. In particolare, tra il 2012 e il 2014 sono state rilasciate autorizzazioni per la disattivazione delle centrali nucleari di Trino, Garigliano e Caorso, nonché l'avvio delle procedure autorizzative riguardanti gli altri impianti.
  Nell'attesa della definizione delle procedure di approvazione sono state, comunque, portate avanti importanti attività relative alla messa in sicurezza dei rifiuti o propedeutiche a questa e allo smantellamento (realizzazione di depositi provvisori sui siti, impianti di trattamento dei rifiuti, ecc.).
  Con riguardo alle consulenze affidate dalla precedente gestione societaria e, pertanto, alla stessa interamente ascrivibili, il 20 settembre 2013 il Ministero dell'economia e delle finanze ha provveduto alla nomina di un nuovo Consiglio di amministrazione della società e i nuovi vertici aziendali hanno immediatamente assunto le opportune iniziative di revisione interna volte a verificare eventuali anomalie nella pregressa gestione aziendale.
  In particolare, la Sogin ha provveduto a sostituire i responsabili delle funzioni Legale e societario e Sicurezza industriale e successivamente ha adottato una diversa struttura aziendale con conseguente attribuzione delle relative responsabilità a nuovi dirigenti, nonché a svolgere una «
due diligence» sull'intera passata gestione e sull'affidamento di incarichi e consulenze. Gli esiti di tale «due diligence» e le conseguenti azioni intraprese a tutela della società sono stati tempestivamente comunicati all'azionista e alle diverse istituzioni e autorità competenti e hanno formato oggetto di una dettagliata informativa al Parlamento nel corso dell'audizione svoltasi il 29 maggio 2014 presso le Commissioni riunite Industria e Territorio e ambiente del Senato.
  Da ultimo, con riferimento alla possibilità richiamata nell'interrogazione di «assumere iniziative per cambiare le modalità di finanziamento» e passare «ad un sistema che consenta di erogare finanziamenti solamente in relazione allo stato di avanzamento del lavoro», si precisa che tutti i costi sostenuti per lo svolgimento delle attività della Sogin sono remunerati, ai sensi delle vigenti disposizioni, a valere sulla componente tariffaria A2 della bolletta elettrica (con una incidenza complessiva a carico del consumatore elettrico stimabile tra i 2 e i 3 euro annui).
  Inoltre, la società è soggetta al controllo e alla regolazione dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas e sistema idrico, attraverso un sistema regolatorio particolarmente rigoroso e incisivo fondato su programmi annuali e pluriennali di avanzamento e su verifiche svolte dall'autorità stessa, con la previsione di stringenti meccanismi di «efficientamento» dei costi finalizzati a garantire la rispondenza delle predette attività alla
mission societaria.
  Sulla base di tali considerazioni le attuali modalità di finanziamento di Sogin appaiono coerenti con le esigenze rappresentate nell'interrogazione.

Il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanzeEnrico Zanetti.


   COLLETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 14 aprile 2014 è stata divulgata dai media la notizia della nomina da parte del Governo del professor Guido Alpa quale componente del consiglio di amministrazione di Finmeccanica; il medesimo è già Presidente del Consiglio nazionale forense che, ai sensi degli articoli 35 e 36, svolge ampie attività amministrative ed addirittura giurisdizionali, nonché risulterebbe essere titolare delle seguenti quattro cattedre d'insegnamento e di un master presso l'università degli studi «Sapienza» di Roma (Diritto Civile, Istituzioni di diritto privato e Master universitario di II livello in «Diritto privato europeo»);
   ai sensi degli articoli 35 e 36 della legge n. 247 del 2012 il Consiglio nazionale forense ha notevoli competenze in esclusiva e concorrenti, fra i quali anche una competenza giurisdizionale;
   per l'articolo 39 della legge n. 247 del 2012 il Congresso nazionale forense: «Tratta e formula proposte sui temi della giustizia e della tutela dei diritti fondamentali dei cittadini, nonché le questioni che riguardano la professione forense»; per l'articolo 24, comma 1, della legge n. 247 del 2012 gli iscritti all'albo costituiscono l'ordinamento forense e quindi il congresso è al di sopra del Consiglio nazionale forense e degli ordini circondariali che ne sono delle mere articolazioni (ciò è confermato dal fatto che l'articolo 35, comma 1, lettera q), della legge n. 247 del 2012 recita che il Consiglio nazionale forense «esprime, su richiesta del Ministero della giustizia, pareri su proposte di legge e disegni di legge»);
   il Consiglio nazionale forense – pur rimanendo organo giurisdizionale disciplinare ex articolo 36 della legge n. 247 del 2012 – ha acquistato funzioni politiche di rappresentanza dell'avvocatura, creando così, ad avviso dell'interrogante, un sistema di tipo gerarchico e verticistico che mina l'autonomia e l'indipendenza degli ordini circondariali;
   il meccanismo di elezione per la formazione del Consiglio nazionale forense non assicura un criterio di proporzionalità nella composizione dell'organo –:
   se si ritenga opportuno che un membro del consiglio di amministrazione di Finmeccanica, seppur apprezzato nell'ambiente professionale, forense ed accademico, possa svolgere contemporaneamente così tanti incarichi;
   se sia compatibile la nomina nel consiglio di amministrazione di Finmeccanica con la perdurante presidenza del Consiglio nazionale forense, essendo quanto meno discutibile che chi presiede un organo giurisdizionale possa al contempo essere espressione di parte e, comunque, di gradimento governativo;
   se sia opportuno, nell'attuale e perdurante momento di crisi congiunturale, che sia consentito un siffatto cumulo di compensi e cariche in capo al medesimo soggetto che, oltre a percepire i redditi derivanti dall'attività professionale quale avvocato, cumula anche quelli per l'attività di docenza, oltre all'indennità o ai rimborsi per la presidenza del Consiglio nazionale forense e quelli per la presenza nel board di Finmeccanica;
   se, infine, il grave ritardo del Consiglio nazionale forense nell'adottare i regolamenti previsti dalla legge di riforma della professione forense (legge n. 247 del 2012 in vigore dal 2 febbraio 2013) – che tra l'altro deve regolamentare l'ingresso di 60 mila avvocati con redditi medio-bassi fino ad oggi esclusi dalla Cassa di previdenza con tutte le problematiche ancora non risolte riguardo a quest'ultimi, quale l'armonizzazione della legge professionale del 2012 con la legge 11 febbraio 1992, n. 141, che modifica ed integra la legge 20 settembre 1980, n. 576, al fine di garantire ai nuovi ingressi quanto meno la pensione di vecchiaia – possa essere imputato in qualche modo proprio alle poliedriche e variegate attività svolte simultaneamente dal suo presidente. (4-06548)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame, concernente la nomina del professor Guido Alpa a componente del consiglio di amministrazione di Finmeccanica.
  Al riguardo, in via preliminare, si fa presente che l'articolo 4, comma 1, lettera
e) del decreto legislativo n. 165 del 2001 prevede che, nell'esercizio delle funzioni di indirizzo politico-amministrativo, gli organi di governo provvedano, in particolare, ad effettuare le nomine, le designazioni ed atti analoghi ad essi attribuiti da specifiche disposizioni. Il Ministro dell'economia e delle finanze, nell'esercizio delle funzioni di indirizzo politico-amministrativo, provvede alla scelta degli organi di amministrazione e di controllo delle società direttamente controllate dal Dicastero; pertanto, le conseguenti indicazioni impartite ai rappresentanti del Ministero nelle assemblee si configurano quali atti di alta amministrazione riservati, per legge, al medesimo Ministro.
  Lo Stato è titolare anche di partecipazioni di controllo in società che emettono strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati e, conseguentemente, tali società sono sottoposte alla disciplina delle società emittenti strumenti finanziari diffusi tra il pubblico; infatti, l'articolo 147-
quinquies del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, individua i requisiti di onorabilità e professionalità che devono essere posseduti, a pena di decadenza dalla carica, dagli amministratori, rinviando a quelli previsti dal decreto del Ministero della giustizia 30 marzo 2000, n. 162, per i componenti dei collegi sindacali.
  Con specifico riferimento alla nomina del professor Alpa nel consiglio di amministrazione di Finmeccanica S.p.A., tale nomina risulta compatibile con i requisiti previsti dalla normativa citata.
  Per quanto attiene, poi, al cumulo degli incarichi e ai relativi tetti retributivi, si fa presente che i limiti alle remunerazioni del
board delle società pubbliche, ai sensi dell'articolo 23-bis del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito nella legge n. 214 del 2011, e dei relativi regolamenti attuativi, si applicano, ai soli amministratori con deleghe; la disciplina sul tetto massimo, per espressa previsione, non si applica alle società quotate.
  Inoltre, si segnala che il tetto alle retribuzioni fissato dal combinato disposto dell'articolo 23-
ter del citato decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 e dell'articolo 13 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito nella legge n. 89 del 2014 si riferisce a «chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluso il personale in regime di diritto pubblico definito ai sensi del medesimo decreto legislativo».
  In proposito, si fa presente che il professor Guido Alpa non è un pubblico dipendente e non riceve emolumenti o retribuzioni a carico della finanza pubblica, considerato che Finmeccanica è una società quotata in borsa; inoltre, nell'ambito della sua nomina nel consiglio di amministrazione della società non ha ricevuto alcuna delega.
  Per gli aspetti di competenza, la Commissione nazionale per le società e la borsa ha comunicato che in data 14 aprile 2014 il Ministero dell'economia e delle finanze, in possesso del 30,2 per cento circa del capitale sociale di Finmeccanica, ha depositato la propria lista di candidati per la nomina del consiglio di amministrazione dell'emittente, tra cui figurava il professor Guido Alpa, che ha dichiarato di essere in possesso dei requisiti di indipendenza previsti dalla legge (articolo 147-
ter e articolo 148, comma 3 del Testo unico delle finanze (Tuf) e dal Codice di autodisciplina.
  Tale candidatura era in linea con gli «Orientamenti del consiglio di Finmeccanica agli azionisti sulla composizione del nuovo consiglio di amministrazione», approvati in data 19 marzo 2014, che raccomandavano la presenza in Consiglio, tra gli altri, di esperti di diritto commerciale e societario, anche a livello internazionale.
  A seguito della nomina da parte dell'assemblea degli azionisti del 15 maggio 2014 del professor Guido Alpa quale componente del consiglio di amministrazione, quest'ultimo, riunitosi nella stessa data successivamente all'assemblea medesima, ha confermato la sussistenza dei requisiti di indipendenza, ai sensi di legge e del Codice di autodisciplina, in capo agli amministratori non esecutivi, tra cui il professor Guido Alpa.
  Alla luce delle disposizioni contenute nello statuto dell'emittente e della normativa in vigore (articolo 147-
ter e articolo 148, comma 3 del Tuf), nonché delle raccomandazioni del Codice di autodisciplina, non risultano limiti al «cumulo di compensi e cariche» – quale quello rappresentato nell'interrogazione in questione, né incompatibilità tra la carica di componente del consiglio di amministrazione di Finmeccanica e quella di presidente del Consiglio nazionale forense, rivestita dal professor Guido Alpa.
  Sulla questione, il Ministero della giustizia ha comunicato che esso esercita, ai sensi dell'articolo 24 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, attività di vigilanza sul Consiglio nazionale forense, al pari degli ordini circondariali, i quali hanno natura
ex lege di enti pubblici non economici di carattere associativo. Tale attività si esprime con la verifica della regolarità della funzione esercitata dal soggetto vigilato e può esplicarsi attraverso richieste di chiarimenti, può estendersi ad attività di tipo ispettivo e – in ipotesi di rilevate gravi irregolarità degli organi che ne compromettano la funzionalità – giungere al commissariamento.
  Con specifico riferimento al professor Guido Alpa, il Ministero della giustizia fa rilevare che la nomina del medesimo quale componente del consiglio di amministrazione di Finmeccanica, intervenuta in data 14 aprile 2014, è avvenuta dopo l'elezione dello stesso alla presidenza del Consiglio nazionale forense, risalente al 21 maggio 2004 e confermata nelle consiliature successive.
  Sul piano tecnico-giuridico, inoltre, non risulta che alcuna norma positiva, né primaria, né secondaria, vieti il cumulo di tali cariche, né stabilisca alcuna specifica incompatibilità.
  L'articolo 38, comma 3, della legge 31 dicembre 2012 n. 247, infatti, sancisce espressamente l'incompatibilità fra la carica di consigliere nazionale rispetto e quella di consigliere dell'ordine e di componente del consiglio di amministrazione e del comitato dei delegati della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, nonché di membro di un Consiglio distrettuale di disciplina; per tali ipotesi, la stessa disposizione impone l'obbligo per l'eletto di optare per l'uno o l'altro degli incarichi a pena di decadenza da quello assunto in precedenza.
  La nomina del professor Alpa quale componente del consiglio di amministrazione di Finmeccanica non appare, pertanto, rientrare nel novero delle ipotesi di incompatibilità previste dalla legge.
  Per quanto riguarda, poi, l'attuazione della legge di riforma della professione forense, il Ministero della giustizia ha precisato che il Consiglio nazionale forense ha provveduto alla adozione o alla approvazione di tutti i regolamenti di propria competenza, mentre quelli di competenza del Ministero medesimo sono in fase di definizione e in ogni caso saranno completati nel termine di legge del febbraio 2015.

Il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanzeEnrico Zanetti.


   DADONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la Stura di Demonte, comunemente detto Sturo, è un fiume del Piemonte che nasce dall'area italo-francese della Maddalena e si sviluppa interamente nella provincia di Cuneo, rappresentando con gli oltre cento chilometri di lunghezza il più importante affluente, assieme al Bormida, del più imponente fiume Tanaro;
   secondo quanto riportato da alcune redazioni locali, agli inizi di ottobre di quest'anno alcuni eletti del territorio piemontese e in particolare della provincia di Cuneo, avrebbero consegnato al presidente della regione Piemonte, Sergio Chiamparino, all'assessore regionale all'ambiente, Alberto Valmaggi a, nonché al sindaco di Cuneo, Federico Borgna, e al presidente dell'azienda Cuneese dell'Acqua, Cristina Ricchiardi, delle bottiglie di acqua raccolta inquinata dal fiume Stura;
   secondo quanto denunciato dai rappresentanti del Movimento 5 Stelle presso le istituzioni locali e regionali, a seguito della decisione assunta dal consiglio comunale di Cuneo, dal mese di ottobre 2014 nel fiume Stura si starebbero sversando i liquami fognari di oltre centocinquantamila cittadini. Tale scelta sarebbe stata presa al fine di adeguare l'impianto di depurazione di Cuneo;
   nello stesso periodo, vari esponenti di associazioni e organizzazioni per la tutela e la salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio della provincia di Cuneo, hanno scritto agli amministratori locali dei comuni interessati nonché agli stessi amministratori regionali e alla direzione dell'Azienda regionale protezione ambiente, al fine di sottolineare i rischi e il disagio causati dalla scelta del comune di Cuneo;
   è noto che proprio in materia di depurazione delle acque è aperta nei confronti dell'Italia una procedura di infrazione a livello europeo –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto illustrato e quindi dell'inquinamento del fiume Stura;
   se il Governo non intenda assumere idonee iniziative di competenza per garantire quanto meno tempestivi e esaurienti aggiornamenti e informazioni sull'avanzamento dei lavori e sui rischi ambientali nei confronti dell'opinione pubblica considerate le procedure di inflazione in essere nei confronti dell'Italia. (4-06454)

  Risposta. — Presso l'impianto di depurazione di Cuneo viene collettato e trattato l'intero carico generato nell'agglomerato urbano cui lo stesso è posto a servizio, pari a circa 123.000 «abitanti equivalenti», a fronte di una capacità organica di progetto posseduta dall'impianto di 185.000 «abitanti equivalenti». I reflui in uscita presentano valori limite di emissione dei parametri BOD5 e COD conformi ai dettami della normativa nazionale e comunitaria in materia.
  Secondo quanto comunicato dalla regione Piemonte, per l'impianto di Cuneo sono stati programmati, con delibera di giunta regionale n. 7-10588, interventi prioritari di adeguamento che consentiranno il raggiungimento dell'obiettivo di abbattimento del 75 per cento per entrambi i nutrienti (fosforo ed azoto).
  Infatti, ai sensi dell'articolo 5, comma 4 della direttiva 91/271/CEE del 21 maggio 1991, concernente il trattamento delle acque reflue urbane, il Piemonte è tenuto a raggiungere, a scala regionale, l'obiettivo dell'abbattimento di almeno il 75 per cento per azoto e fosforo. Occorre precisare che il mancato raggiungimento di tale obiettivo entro il prossimo biennio comporterebbe il rischio di incorrere nelle pesanti sanzioni previste dalla Commissione europea in caso di inadempienza.
  I lavori per l'adeguamento dell'impianto sono già stati avviati e risultano in fase di esecuzione; la loro conclusione è prevista entro il 31 dicembre 2014. Essi risultano essenziali e improcrastinabili, oltre che per evitare le ricordate sanzioni comunitarie, per garantire adeguati livelli di qualità ambientale del corpo idrico recettore delle acque depurate, cioè il fiume Stura di Demonte, in prima battuta, e poi del fiume Tanaro nel quale esso si immette, e così via.
  Per permettere l'esecuzione dei programmati lavori, sono possibili deroghe temporanee ai limiti allo scarico ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 e, in particolare, articolo 124, comma 6, come modificato dall'articolo 7, comma 1, lettera
l), del decreto-legge n. 133 del 2014, in corso di conversione («Le regioni disciplinano le fasi di autorizzazione provvisoria agli scarichi degli impianti di depurazione delle acque reflue per il tempo necessario al loro avvio oppure, se già in esercizio, allo svolgimento di interventi, sugli impianti o sulle infrastrutture ad essi connesse, finalizzati all'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, ovvero al potenziamento funzionale, alla ristrutturazione o alla dismissione»).
  È da tenere ulteriormente conto che per particolari e complesse lavorazioni, per periodi limitati, è possibile, ai sensi del regolamento regionale 17/R/2008, parzializzare o
by-passare il processo depurativo, a fronte di specifica richiesta di autorizzazione provvisoria allo scarico, corredata da opportuna documentazione, formulata alla provincia competente.
  E proprio nel caso di specie, la provincia di Cuneo ha rilasciato la pertinente autorizzazione provvisoria, fissando quindi deroghe ai limiti di emissione allo scarico per il periodo strettamente necessario ad eseguire i lavori, la cui conclusione, come già riferito, è prevista al 31 dicembre 2014.
  Con la medesima autorizzazione la provincia ha concesso, altresì, la possibilità di porre in
bypass l'impianto (limitando il trattamento alle sole operazioni di grigliatura contemplate dal regolamento 17/R/2008) per un periodo di 30 giorni – periodo così detto di fermo impianto – utile per poter effettuare quelle operazioni che non sarebbero assolutamente realizzabili in presenza di portata fognaria.
  In ogni caso, al fine di limitare l'impatto derivante dal fermo impianto e dal conseguente scarico dei reflui non trattati, sono stati previsti e attuati tutti i necessari accorgimenti. In particolare:
   le immissioni maggiormente inquinanti non sono scaricate in fognatura ma portate ad altri siti di trattamento (ACSR Azienda cuneese smaltimento rifiuti);
   sono stati attivati scaricatori locali distribuiti sui circa 60 chilometri di rete consortile al fine di alleggerire in modo consistente lo scarico concentrato immediatamente a valle del depuratore;
   molti consorzi irrigui del territorio circostante hanno rilasciato in alveo le portate non strettamente necessarie a fini irrigui, aumentando così ulteriormente la capacità di naturale diluizione dei corsi d'acqua recettori.

  Peraltro, tutte le iniziative adottate risultano essere state illustrate agli amministratori locali nel corso di una specifica riunione che si è tenuta presso l'impianto in parola lo scorso 26 settembre.
  Si riferisce, per concludere, che il prossimo 12 novembre è fissata una riunione/sopralluogo presso l'impianto di depurazione, da parte delle competenti autorità locali, per verificare la situazione nel suo complesso e confermare l'effettiva possibilità di ultimazione dei lavori di adeguamento alla data prevista del 31 dicembre 2014.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DI BATTISTA e VACCA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro interrogato è stato rettore dell'Università per stranieri di Perugia dal 2004 al 2012;
   innanzitutto, come appreso da organi di stampa, il Ministro Giannini è sotto indagine da parte della Corte dei conti a seguito di una denuncia che è stata presentata alla magistratura contabile dell'Umbria dal presidente del collegio dei revisori dei conti Antonio Buccarelli, magistrato della Corte dei conti stessa, e da Maria Adele Paolucci;
   la denuncia riguarda alcuni progetti che sono stati deliberati nel 2008 dal Consiglio di amministrazione dell'università – quando il Ministro Giannini era, appunto, rettore – al fine di promuovere attività culturali, strettamente «connesse alla specifica finalità formativa che l'Ateneo persegue, che avessero risonanza e rilievo internazionale e culminanti nella creazione della “Scuola internazionale di cucina italiana”, nonché quello di disporre di una struttura ricettiva anche per il personale e gli studenti, strumentale alle attività istituzionali della stessa università (convegni, incontri con altre Istituzioni pubbliche, private, nazionali e internazionali, e congressi)»;
   in sostanza si tratta di un progetto relativo all'apertura di una scuola di cucina, un ristorante per docenti e studenti ed un centro di attività lucrative;
   la denuncia presentata dal presidente dei revisori dei conti dell'università, postula un danno erariale di circa 525 mila euro;
   detto importo deriverebbe dalla locazione, da parte dell'università, di un locale di 465 metri quadri ad un canone annuo di 78 mila euro oltre Iva, nonché dai mancati introiti dell'attività di «ristorazione e vendita» (che vengono stimati in circa 140.000 euro complessivi rispetto a tutto il periodo interessato);
   nella denuncia si fa però riferimento anche «all'inutilità dell'iniziativa e al mancato raggiungimento degli obiettivi proposti al Consiglio di amministrazione e da questo autorizzati con le delibere dell'aprile, del giugno e del luglio 2008»; in particolare evidenziando che la proposta dell'iniziativa «non è supportata da alcun atto istruttorio in ordine alla fattibilità dell'operazione, alla sua economicità, alla sua resa, né risulta che l'Ateneo abbia individuato una struttura ad hoc per tali compiti;
   prosegue poi l'esposto affermando che: «la proposta è del rettore dell'epoca che ha anche siglato i contratti, mentre il Consiglio di amministrazione si sarebbe limitato all'approvazione della stessa come formulata (salvo opporsi alla proroga del termine di stipula con richiesta di danni, quanto alla prima aggiudicazione). Non è quindi noto se siano intercorsi contatti e preventivi sondaggi nei riguardi di operatori del mercato prima di procedere all'acquisizione della disponibilità del bene... Nulla di tutto ciò che l'Università si prefiggeva è stato realizzato»;
   si legge infine, nella segnalazione alla magistratura contabile, che «in ogni caso... non sono state minimamente rispettate e adempiute le deleghe conferite dal Consiglio di amministrazione in ordine ai pareri da acquisire e al progetto Scuola di cucina da attuare» e che «la locazione e la sublocazione dei locali, che da sole non spiegano perché l'Università si sia pedestremente avventurata nella descritta operazione commerciale, ogni altra finalità comunque manifestata, risulta vaga, generica, superficiale e velleitaria. L'aggiudicazione al Circo del Gusto avviene, peraltro, in un contesto viziato da clamoroso conflitto di interessi. Analoghe inerzie e negligenze caratterizzano la gestione dei due contratti e la loro esecuzione, tant’è che non risulta essere stata compiuta alcuna attività concreta volta al conseguimento degli interessi pubblici incarnati dall'Ateneo»;
   come risulta da organi di stampa la Corte dei conti dell'Umbria sta accertando se si sia verificato un danno erariale e, pertanto, ha incaricato la guardia di finanza di raccogliere materiale documentale all'università degli stranieri di Perugia di ascoltare numerose persone informate sui fatti;
   risulta, inoltre, che la Corte dei conti abbia firmato almeno quindici inviti a dedurre;
   oltre a questa inchiesta – sulla quale gli interroganti intendono chiedere spiegazioni e chiarimenti all'attuale Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca – il Ministro Giannini, sempre quale rettore dell'università, ad avviso degli interroganti, ha anche dimostrato di aver agito, in più occasioni, in conflitto di interessi o comunque con un modus operandi che, ove confermato, sarebbe del tutto inopportuno ed inadeguato per un Ministro della Repubblica;
   in primo luogo, come riportato da alcune fonti di informazione on line (ad esempio dal blog Byoblu di Messora) tra le consulenze fornite all'università di Perugia vi sarebbero quelle del signor Luigi Puccetti, architetto di Lucca che sembra essersi occupato anche del restauro della casa del marito del Ministro interrogato, Luca Rossello (in particolare si tratterebbe di consulenze per progettazione spazi ateneo di cui al C.D.A. del 26 giugno 2005 per 20.000 euro, ed al C.D.A. del 25 luglio 2005 per 18.604 euro);
   in secondo luogo, nella seduta del Consiglio di amministrazione del 25 febbraio 2008, la rettrice Stefania Giannini ha proposto di destinare 15.000 euro di fondi, derivanti dal contratto di affidamento del servizio di cassa dell'università all'Unicredit, al completamento del progetto «Osservatorio» presieduto dalla stessa professoressa Stefania Giannini, proposta che poi il Consiglio di amministrazione ha approvato;
   mentre durante l'adunanza del consiglio di amministrazione del 2 marzo 2009 il rettore Stefania Giannini ha presieduto il consiglio con il quale veniva approvata la richiesta di cofinanziamento del progetto di ricerca coordinato dalla professoressa Stefania Gianni «L'Italiano appreso in contesto guidato: analisi ed interpretazione dei processi nell'acquisizione della geminazione consonantica» per 9.800 euro;
   in terzo luogo l'attuale Ministro Giannini sembra sia stata protagonista, sempre in qualità di rettore, di spese non del tutto giustificabili e comunque sostenute dall'ateneo al di fuori dei regolamenti;
   difatti il 5 luglio 2008 sono state emesse, nei confronti dell'Università degli stranieri di Perugia, tre fatture relative ad una missione universitaria in Cina della rettrice Stefania Giannini, della professoressa Lidia Costamagna e della dipendente amministrativa Valentina Seri (cat. B3);
   tra i costi della missione in Cina dal 5 al 12 luglio 2008, si evincono costi per cinque notti di pernottamento in un hotel 5 Stelle ed una notte in un hotel 4 Stelle, nonostante il limite di classe (imposto dal regolamento dell'Università) consenta al massimo l'utilizzo di hotel 4 stelle (3 stelle nel caso di dipendenti B3);
   durante la predetta missione in Cina la rettrice Stefania Giannini ha altresì utilizzato voli in business class ed è partita direttamente da Pisa quando, in realtà, dai regolamenti di ateneo sembra evincersi che siano rimborsabili solo viaggi con partenza dalla sede della facoltà e soltanto voli in economic class;
   gli atti compiuti dal Ministro durante il suo incarico di rettore appaiono, oltre che inopportuni, anche in concreto ed effettivo conflitto di interessi, mettendo così in serio dubbio che le funzioni costituzionalmente e legislativamente attribuite all'Esecutivo e, in particolare, al suo Dicastero, possano essere svolte con la dovuta imparzialità;
   le circostanze appena esposte, inoltre, qualora fossero confermate, andrebbero inevitabilmente ad inficiare prestigio e l'autorità morale necessari per ricoprire un incarico di tale importanza istituzionale quale è il ruolo di Ministro della Repubblica –:
   se non intenda fornire, con urgenza, i chiarimenti e le delucidazioni necessarie in merito ai fatti descritti in premessa ed in particolare in merito al procedimento aperto dalla Corte dei conti finalizzato all'accertamento di un danno erariale;
   se corrisponda al vero che tra le consulenze fornite all'università degli stranieri di Perugia, quando il Ministro interrogato era rettore, vi sarebbero quelle del signor Luigi Puccetti, architetto di Lucca che si è occupato anche del restauro della casa del marito del Ministro interrogato, Luca Rossello;
   se corrisponda al vero che il Ministro interrogato, durante il suo incarico da rettore dell'Università degli stranieri di Perugia, fosse presente durante le sedute del Consiglio di amministrazione dell'Università il quale ha approvato progetti dell'allora rettore Giannini;
   se nelle stesse sedute del Consiglio di amministrazione dell'università degli stranieri di Perugia il Ministro interrogato si sia astenuta;
   se corrisponda al vero che il Ministro interrogato, durante la missione in Cina di cui in premessa, abbia pernottato in un hotel a 5 stelle ed abbia utilizzato voli in business class in violazione dei regolamenti di Ateneo all'epoca in vigore.
(4-06257)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, non può mancarsi di rilevare che ad oggi, per il periodo di cui all'interrogazione, non è stata accertata, dall'autorità competente in materia, alcuna responsabilità per irregolare gestione contabile e amministrativa riferita all'università per stranieri di Perugia.
  In base a tale preliminare e fondamentale premessa, si evidenzia pure che l'intera vicenda, contrariamente a quanto assunto dall'interrogante, sottende, un rilevante interesse pubblico, comprovato dal coinvolgimento della regione Umbria, della provincia e del comune di Perugia nell'iniziativa dell'ateneo, che si sostanzia nella necessità di dare, da parte dell'università, una tempestiva risposta in termini di immagine e di offerta didattica, specie sul piano internazionale, a seguito del noto evento delittuoso del novembre 2007 che ha interessato i media di tutto il mondo.
  Il progetto, infatti, riguarda l'ampliamento dell'offerta formativa attraverso l'istituzione di una scuola di «Alta formazione internazionale della cucina italiana», che vede il coinvolgimento di un soggetto privato particolarmente qualificato nel settore per pregresse esperienze professionali, nonché il reperimento di nuovi spazi di aggregazione, stante l'insufficienza di quelli disponibili, per gli studenti per favorirne l'aggregazione e sottrarli così ad ambienti esposti a rischio.
  Il fallimento della proposta, che assume l'interrogante, è dipeso unicamente da un inadempimento contrattuale del soggetto privato, che, pur presentando ex ante ineccepibile esperienza professionale, si è poi dimostrato del tutto inaffidabile; tanto è vero che l'Ateneo si è attivato in sede giudiziale ai fini risarcitori.
  Quanto all'incarico di progettazione che l'università per stranieri di Perugia ha conferito all'architetto Luigi Puccetti, richiamato dall'interrogante, si precisa che, in ragione della necessità di realizzare una più funzionale distribuzione di alcuni spazi dell'Ateneo, in vista anche di una riorganizzazione amministrativa, e preso atto che la responsabile della divisione edilizia della stessa università, a causa della carenza del personale tecnico, non era nelle condizioni di provvedere direttamente alla progettazione, il consiglio di amministrazione dell'università ha deciso di ricorrere a professionisti esterni. In particolare, considerato che l'allora vigente normativa – articolo 17, comma 12, della legge 11 febbraio 1994 n. 109 – prevedeva che: «Per l'affidamento di incarichi di progettazione ovvero della direzione dei lavori il cui importo stimato sia inferiore a 100.000 euro le stazioni appaltanti per il tramite del responsabile del procedimento possono procedere all'affidamento ai soggetti di cui al comma 1, lettere d), e), f) e g), di loro fiducia, previa verifica dell'esperienza e della capacità professionale degli stessi e con motivazione della scelta in relazione al progetto da affidare» il consiglio di amministrazione dell'ateneo, in data 20 giugno 2005, all'unanimità ha deliberato di autorizzare l'espletamento di una procedura negoziata, da aggiudicarsi al prezzo più basso, per l'affidamento dell'incarico di progettazione, con l'indicazione di una base d'asta di 20.000,00 euro, tre professionisti in possesso di idonei curricula. In data 25 luglio 2005 lo stesso consiglio di amministrazione dell'Ateneo ha deliberato, sempre all'unanimità, valutate le due offerte economiche pervenute e alla luce dell'ulteriore ribasso del 5 per cento oltre al 20 per cento previsto per legge sull'importo a base d'asta effettuato dall'architetto Luigi Puccetti, di aggiudicare a quest'ultimo l'incarico di progettazione in quanto economicamente più vantaggioso.
  In ordine, poi al cofinanziamento del progetto «L'italiano appreso in contesto guidato: analisi ed interpretazione dei processi nell'acquisizione della geminazione consonantica», citato nell'interrogazione in esame, si evidenzia che lo stesso è rientrato nell'ambito di progetti di ricerca di interesse nazionale cofinanziati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per l'anno 2008 – Bando Prin 2008. Infatti, sulla base del decreto ministeriale del 4 dicembre 2008, il Consiglio di amministrazione dell'ateneo, ha invitato tutti i docenti a far pervenire le richieste di finanziamento. Lo stesso ha poi approvato i progetti di ricerca proposti da tre professori dell'Ateneo, in qualità di responsabili scientifici delle rispettive unità di ricerca, con deliberazione unanime del 2 marzo 2009 e successivamente ha assegnato all'unanimità il cofinanziamento corrispondente al 30 per cento dell'importo complessivo, detratto il costo convenzionale del personale intero e, quindi, ha destinato per i predetti tre progetti rispettivamente la somma di 9.800 euro, 3.000,00 euro e 15.000,00 euro. Il consiglio di amministrazione ha altresì subordinato la effettiva disponibilità dei fondi alla concessione del cofinanziamento da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, fatta inoltre salva la possibilità dell'ateneo di ridurre gli importi indicati in misura proporzionale alla riduzione operata dal ministero rispetto al cofinanziamento richiesto.
  In merito, poi, al finanziamento del progetto di ricerca cosiddetto «Osservatorio», pure segnalato dall'interrogante, si precisa che lo stesso è stato funzionale al completamento dello stesso progetto, cofinanziato per altro dal 2001 al 2006 dal dipartimento di scienze del linguaggio e dalla «fondazione cassa di risparmio di Perugia. Previo parere favorevole del consiglio accademico, il consiglio di amministrazione dell'ateneo ha deliberato, il 25 febbraio 2008, anche in questo caso all'unanimità, l'assegnazione del contributo erogato dall'Unicredit Banca Spa, pari a 15.000,00 euro al dipartimento di scienze del linguaggio.
  Per entrambi i predetti finanziamenti occorre rilevare in risposta agli assunti dell'interrogante che non solo v’è stato il pieno rispetto delle procedure deliberative, ma, soprattutto, che l'unanimità dei consensi avrebbe comunque consentito l'approvazione del finanziamento anche con l'astensione dal voto di un solo membro del consiglio di amministrazione.
  In ultimo, per quanto attiene la «trasferta» in Cina, questa si è collocata nell'ambito della missione istituzionale che l'università per stranieri di Perugia svolge a livello non solo nazionale ma anche sopranazionale in considerazione del fatto che questo ateneo, per sua stessa natura, è contrassegnato da una vocazione internazionale di ambasciatore nel mondo del nostro Paese. La scelta dell'alloggio e del volo è stata dettata dalle contingenze del momento e, quindi, dall'effettiva disponibilità dei servizi.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   DI GIOIA e MONGIELLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il nuovo piano nazionale degli Aeroporti, presentato il 17 gennaio 2014 dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Maurizio Lupi, prevede 11 aeroporti strategici e 26 restanti aeroporti di interesse nazionale;
   per individuare gli scali strategici, il territorio nazionale è stato ripartito in 10 bacini di traffico e per ciascuno è stato identificato un aeroporto strategico, con l'eccezione del Centro-Nord, dove ce ne sono due;
   nel bacino di traffico Mediterraneo/Adriatico è strategico Bari, mentre sono di interesse nazionale Brindisi e Taranto, morfologicamente le tre città formano un triangolo;
   l'esclusione dell'aeroporto Gino-Lisa della città di Foggia rischia di compromettere le potenzialità di sviluppo del territorio di Capitanata;
   in ciascuna delle predette aree sovraregionali sono stati individuati dei bacini di traffico omogeneo con distanza massima di 2 ore di percorso in auto da un aeroporto strategico; l'aeroporto di Foggia dista da quello strategico, Bari, 122 chilometri, che tradotti in tempo necessario per raggiungere lo scalo, portano ad 1 ora e 20 minuti; un lasso di tempo maggiore rispetto a quello occorrente per tutti gli altri aeroporti ed inseriti tra quelli di interesse nazionale, in particolare quello di Brindisi che dista da Bari 116 chilometri, e Taranto-Bari la cui distanza in automobile non eccede i 95,1 chilometri;
   lo scalo di viale Aviatori è inoltre compreso nella lista degli aeroporti collocati lungo le direttrici della rete di sviluppo europea TenT, nella configurazione «core» e «comprehensive» network. Nel piano nazionale lo scalo Gino-Lisa è escluso dall'elenco degli aeroporti di interesse nazionale;
   14 milioni di euro degli ex fondi Fas, sono già stati stanziati per i lavori di allungamento della pista di volo 15/33 dell'aeroporto Gino-Lisa e il cui bando, oggetto di errate interpretazioni dei regolamenti comunitari in materia di libera concorrenza, era stato prima sospeso da parte di Adp, società a controllo regionale, e poi riavviato con nuova procedura di gara; la regione Puglia ha inoltre ottenuto da Bruxelles altri 80 milioni di euro per riqualificare i suoi scali aeroportuali;
   lo sviluppo a vocazione turistica, agroalimentare, nonché religioso del territorio della provincia di Foggia, è individuabile nelle località del Gargano, con i suoi oli pregiati, rosmarino e nell'area protetta del parco nazionale, San Giovanni Rotondo, una delle località religiose più importanti del mondo, il santuario dell'arcangelo Michele a Monte Sant'Angelo, iscritto recentemente tra il patrimonio dell'Unesco;
   lo scalo foggiano soddisferebbe, inoltre, le necessità di continuità territoriale con le regioni e le province limitrofe di Potenza, Campobasso, Avellino, nonché di altre province della Basilicata –:
   se non si ritenga necessario rivedere i criteri di identificazione del piano nazionale aeroporti per i sistemi aeroportuali di interesse nazionale, in particolare per il bacino Mediterraneo/Adriatico, riconsiderando l'aeroporto Gino-Lisa di Foggia di interesse nazionale;
   come si intenda operare con le istituzioni comunali e regionali, affinché non naufraghino le speranze di un territorio che prova ad emergere rilanciando il settore turistico e produttivo locale. (4-03280)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  In relazione alle preoccupazioni espresse circa l'esigenza di rivedere la posizione dell'aeroporto di Foggia «Gino Lisa» nell'ambito del piano nazionale degli aeroporti, occorre evidenziare che il processo per l'individuazione degli aeroporti e dei sistemi aeroportuali di interesse nazionale riveste carattere dinamico, in quanto lo stesso si fonda su azioni progressive di specializzazione del ruolo degli aeroporti e di risanamento economico-finanziario degli stessi, al fine di realizzare uno sviluppo integrato con le altre realtà aeroportuali dei bacini di traffico di riferimento.
  In particolare, le predette linee programmatiche favoriscono forme di alleanze e di sistema tra i vari aeroporti di bacino quali elementi di priorità per l'interesse nazionale degli stessi.
  Pertanto, anche aeroporti che, al momento, non risultano in possesso delle condizioni per il riconoscimento dell'interesse nazionale, possono essere coinvolti, d'intesa con le regioni interessate, in processi di specializzazione di ruolo e alleanze di sistema, nonché di risanamento economico-finanziario per assurgere ad un diverso ruolo nella rete aeroportuale nazionale.
  Rilievo fondamentale, a tale riguardo, avranno le politiche regionali di coinvolgimento delle varie realtà aeroportuali esistenti sui territori, in un disegno organico di sviluppo sistemico delle stesse realtà rapportate alle esigenze e alle potenzialità di tutte le aeree interessate.
  Le potenzialità dell'aeroporto di Foggia, in relazione alle attrattive turistiche del Gargano, ai siti di interesse religioso in esso presenti, all'economia del territorio e dei bacini circostanti, potranno essere convogliate in un disegno industriale di sviluppo e crescita della domanda di trasporto aereo tale da far superare le criticità in atto, che fanno registrare, invece, allo stato attuale, uno scarsissimo traffico aeroportuale che non consente, al momento, di delineare un diverso ruolo del medesimo aeroporto.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 8-bis del decreto legislativo n. 195 del 1995 rubricato «Consultazione delle rappresentanze del personale», in riferimento al personale del comparto sicurezza (decreto-legge n. 121 del 1981) e difesa, prevede che le organizzazioni sindacali e le sezioni del COCER di cui all'articolo 2 siano convocate presso la Presidenza del Consiglio dei ministri in occasione della predisposizione del documento di programmazione economico-finanziaria e prima della deliberazione del disegno di legge di bilancio per essere consultate;
   alcune organizzazioni sindacali dei vigili del fuoco lamentano all'interrogante che non esiste analoga norma in favore del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonostante la similitudine ordinamentale dei vari Corpi, tutti con rapporto di lavoro in regime di diritto pubblico ai sensi dell'articolo 3 del decreto-legge n. 165 del 2001 e tutti riconosciuti destinatari della norma sulla specificità lavorativa ai sensi dell'articolo 19 della legge n. 183 del 2010;
   secondo quanto riferiscono le medesime organizzazioni sindacali, anche a causa di quanto sopra, sovente si determinano disparità di trattamento e sperequazioni tra i vigili del fuoco e gli altri Corpi dello Stato, a danno dei primi –:
   se il Ministro interrogato non ritenga che analoga attenzione debba essere riservata anche alle rappresentanze sindacali del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al fine di garantire a tale Corpo ed ai suoi appartenenti parità di attenzione istituzionale rispetto agli altri Corpi dello Stato, anche per peculiari attività di soccorso pubblico direttamente ricadenti sulla sicurezza della popolazione;
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover promuovere un'iniziativa normativa che riconosca analogo diritto di consultazione anche alle rappresentanze del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. (4-03787)

  Risposta. — Come evidenziato dall'interrogante, il decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195 prevede, all'articolo 8-bis, che le organizzazioni sindacali rappresentative del personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile e le sezioni del COCER dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza siano convocate presso la Presidenza del Consiglio dei ministri in occasione della predisposizione del documento di programmazione economico-finanziaria.
  Effettivamente il quadro normativo non prevede la partecipazione delle organizzazioni sindacali rappresentative del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco ad alcun processo di consultazione in fase di predisposizione del predetto documento di programmazione.
  Tale partecipazione è stata specificamente richiesta e, di recente, ribadita da un'organizzazione sindacale (CONAPO), nell'ambito delle rivendicazioni volte ad ottenere l'inserimento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco nel comparto sicurezza – senza snaturarne i peculiari compiti e funzioni – nonché l'estensione al personale del Corpo medesimo di taluni istituti, anche retributivi, propri delle forze di polizia ad ordinamento civile.
  Al riguardo, si rappresenta che, soprattutto da quando il rapporto di impiego del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è tornato ad essere disciplinato in regime di diritto pubblico secondo autonome disposizioni ordinamentali, l'Amministrazione dell'interno è impegnata in un processo di progressiva estensione al personale medesimo di tutta una serie di istituti valevoli per il personale delle Forze di polizia e delle Forze armate.
  Tale attività perequativa, realizzata attraverso ripetuti interventi normativi, ha prodotto negli anni buoni risultati da vari punti di vista, non ultimi quelli stipendiali e previdenziali.
  Nel prosieguo di tale sforzo, potrà essere presa in considerazione anche l'opportunità di un'iniziativa legislativa volta a equiparare il Corpo nazionale dei vigili del fuoco ai corpi del comparto sicurezza e difesa anche sotto il profilo segnalato dall'interrogante.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha ricevuto la segnalazione da parte di un cittadino circa l'irragionevolezza di una norma concernente il regolamento relativo al concorso pubblico per l'ammissione alla prima classe dei corsi regolari dell'Accademia aeronautica;
   il segnalante, dopo aver superato la preselezione, si sarebbe imbattuto in quella che ha percepito come una vera ingiustizia. Infatti, a causa di un problema ottico che lo accompagna fin dalla nascita, tempo addietro era stato sottoposto ad un intervento oculistico per correggere tale difetto e ritrovare la completa funzionalità della vista;
   purtroppo l'intervento al quale è stato sottoposto, denominato LASIK, avrebbe comportato l'inidoneità del soggetto, a differenza di un'altra tipologia di intervento, denominato RPK, che a quanto risulta all'interrogante risulterebbe più problematico, doloroso e soprattutto rudimentale per il paziente;
   in effetti, la competente commissione medica del Centro aeromedico per la selezione psicofisiologica ha ritenuto che l'intervento di fotocheratoablazione (LASIK) rientrasse nelle cause di esclusione previste dall'articolo 582, lettera s), del decreto ministeriale 15 marzo 2010, n. 90;
   si tratta di una norma che secondo autorevoli pareri medici sarebbe del tutto irragionevole, dal momento che l'intervento richiesto dalle istituzioni militari è una pratica obsoleta e arretrata, facile da eseguire, mentre l'operazione LASIK è molto più efficace per il paziente, ma più complessa nell'esecuzione;
   così il cittadino segnalante sarebbe stato recentemente dichiarato non idoneo alle visite mediche per il suddetto concorso per essersi sottoposto ad un intervento che utilizza una tecnologia più avanzata ed efficace e meno rischiosa, anziché ad una modalità di intervento obsoleta, meno efficiente, più rischiosa e dolorosa per il paziente –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato sulle vicende esposte;
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover attivare tutte le iniziative di competenza al fine di aggiornare le normative relative al concorso pubblico per l'ammissione alla prima classe dei corsi regolari dell'Accademia aeronautica.
(4-04149)

  Risposta. — I competenti organi tecnici dell'amministrazione riservano un'attenzione costante ai progressi della scienza medica, allo scopo di mantenere sempre aggiornata la «Direttiva tecnica per delineare il profilo sanitario dei soggetti giudicati idonei al servizio militare», approvata con decreto del Ministro della difesa 5 dicembre 2005.
  Infatti, proprio alla luce delle intervenute innovazioni tecnologiche in campo medico, con decreto ministeriale 4 giugno 2014 è stata recentemente a aggiornata tale direttiva tecnica, con il recepimento degli esiti di trattamento LASIK e di fotocheratoablazione senza disturbi funzionali e con integrità del fondo oculare tra quelli compatibili con un giudizio di idoneità al servizio militare volontario (ex articolo 580, comma 4 del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90 «Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare»), come auspicato dall'interrogante.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 marzo 2013, il Ministro interrogato ha delegato il prefetto di Napoli ad esercitare i poteri di accesso ed accertamento di cui al decreto-legge n. 629 del 1982, affinché si avviassero le necessarie procedure per addivenire all'eventuale scioglimento del consiglio comunale di Torre Annunziata (Napoli) per condizionamento camorristico a norma dell'articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;
   in data 27 marzo 2013, il Prefetto ha nominato la relativa Commissione, che il 1° agosto ha presentato il suo resoconto, consentendogli il 5 settembre di relazionare al Ministro, il quale il 7 novembre 2013 ha decretato la conclusione del procedimento per insussistenza dei presupposti di cui al secondo comma del summenzionato articolo 143;
   il 15 novembre 2013 fonti di stampa locale hanno riportato la notizia, evidenziando che i commissari si erano espressi per l'epilogo dell'organo assembleare. Il 4 marzo 2014 una delle sopra citate fonti di stampa avrebbe addirittura riferito che il sindaco ha ricevuto dalla prefettura due elenchi: uno da comunicare ai consiglieri; uno riservato, contenenti prescrizioni, raccomandazioni e consigli. Quello pubblico riguarda i mancati abbattimenti degli abusi edilizi e i lavori di piazza San Luigi nel Rione carceri, notoriamente feudo del clan Gionta;
   secondo quanto segnalato all'interrogante, sorge il dubbio di divergenze fra relazione commissariale, prefettizia e decreto ministeriale. Dubbio rafforzato dai recenti precetti disposti dal prefetto nei confronti del comune, che sembrerebbero avvalorare proprio l'ipotesi della posizione sfavorevole assunta dai commissari nella loro relazione e riportata tanto dalle testate giornalistiche, quanto da un esposto presentato al procuratore della Repubblica di Torre Annunziata in data 6 marzo 2014 dall'ex deputato ed ex magistrato Michele Del Gaudio. Esposto, questo, che faceva seguito già ad una prima istanza inoltrata al prefetto di Napoli il 4 agosto 2011 per sollecitare gli interventi necessari per lo scioglimento del consiglio comunale prima delle elezioni del 2012;
   se questo scenario fosse corrispondente al vero, sarebbe lecito ipotizzare tre possibili ricostruzioni dell'accaduto. Secondo una prima ipotesi, il prefetto avrebbe smentito le conclusioni della commissione d'accesso, avvalendosi di ulteriori ed antitetiche indagini, allegate al suo rapporto al dicastero. Se al contrario, non avesse compiuto altre verifiche, avrebbe allora dedotto l'inverso dagli atti della commissione, sulla base di una diversa interpretazione e ricostruzione della relazione commissariale. Se infine, vi si fosse uniformato, optando per lo scioglimento, il Ministro o si sarebbe basato su dati in suo possesso differenti da quelli dei commissari, oppure avrebbe deciso in contrasto con gli elaborati prefettizi, pur richiamandoli, senza contraddirli, nel suo provvedimento;
   all'interrogante appare opportuno dissipare i dubbi e l'allarme sociale che si stanno diffondendo nell'opinione pubblica e fornire i dovuti chiarimenti sulla vicenda, affinché sia chiarito con maggiore risolutezza e fermezza che il consiglio comunale di Torre Annunziata non è condizionato dalla camorra;
   in effetti, nonostante dopo il primo esposto si siano svolte le elezioni, apparirebbe inverosimile che un cambiamento della giunta possa sanare un eventuale, costante e documentato condizionamento mafioso. Parimenti, nemmeno la sostituzione di un assessore potrebbe eventualmente assolvere una pressoché intera classe politica;
   peraltro, sempre secondo quanto segnalato all'interrogante, il prefetto non sembrerebbe «completamente» convinto dell'assenza del condizionamento, dal momento che ha sollecitato pubblicamente provvedimenti di chiaro significato anticamorristico al comune di Torre Annunziata –:
   quali siano le informazioni in possesso del Governo in merito alle vicende sopra esposte che stanno provocando non poco allarme nella comunità territoriale;
   se il Ministro intenda rendere pubbliche le relazioni del prefetto e della commissione di accesso, nonché le recenti prescrizioni, con eventuali omissis per le notizie coperte da motivato segreto amministrativo o istruttorio;
   se il Ministro intenda, ove possibile, rendere pubbliche almeno le conclusioni delle relazioni del prefetto e della commissione d'accesso, onde verificarne l'eventuale contrasto;
   quali azioni intenda porre in essere il Governo per accertare e eventualmente monitorare eventuali condizionamenti camorristici nel comune di Torre Annunziata;
   se il Ministro ravvisi i presupposti per procedere comunque a norma dell'articolo 141 decreto legislativo n. 267 del 2000, comma 1, lettera a), in ragione delle prescrizioni che comunque il prefetto ha dovuto disporre nei confronti del comune. (4-04416)

  Risposta. — Con decreto del 7 novembre 2013, il Ministro dell'interno ha disposto, ai sensi dell'articolo 143, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, la conclusione del procedimento che era stato avviato dal prefetto di Napoli nei confronti del comune di Torre Annunziata con la nomina di una commissione di accesso e indagine, previa delega dei poteri di accesso e di accertamento di cui all'articolo 1, comma 4, del decreto legge 629 del 1982, convertito dalla legge 726 del 1982.
  L'attività svolta dalla commissione ha evidenziato delle criticità, ma non tali da concretizzare i presupposti per lo scioglimento del comune di Torre Annunziata, ai sensi dell'articolo 143 del testo unico degli enti locali. Si è ritenuto, infatti, che gli elementi raccolti non rivestissero i caratteri richiesti dalla normativa vigente sotto il profilo della concretezza, della univocità e della rilevanza, anche alla luce del parere del comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica.
  Nella valutazione si è tenuto conto dell'orientamento della giurisprudenza amministrativa, ormai consolidato, secondo cui l'applicazione delle misure straordinarie va motivata con riferimento a risultanze obiettive circa la sussistenza dei «collegamenti» o delle «forme di condizionamento».
  Va tuttavia ricordato che con decreto del prefetto di Napoli del 7 gennaio 2014 il sindaco di Torre Annunziata è stato invitato a porre in essere, entro il termine di sei mesi, le iniziative necessarie a rimuovere le forme di sviamento dell'attività amministrativa e gli effetti pregiudizievoli per l'interesse pubblico rilevati in sede ispettiva, che, ove perduranti, avrebbero potuto portare allo scioglimento del consiglio comunale ai sensi dell'articolo 141 del testo unico degli enti locali.
  Al sindaco sono state anche trasmesse, con atto separato, le schede richiamate nell'interrogazione, con l'avvertenza di adottare misure idonee a evitare la loro diffusione, se non per le finalità per le quali erano state trasmesse, e a custodirle con adeguate procedure di sicurezza, in conformità alle previsioni di cui al decreto legislativo 196 del 2003.
  In merito alle iniziative intraprese a seguito dell'invito-diffida del prefetto, il sindaco di Torre Annunziata ha fornito un quadro della situazione che esporrò in sintesi.
  In primo luogo, è stata rinnovata la giunta, la quale attualmente risulta formata da un gruppo di professionisti, senza precedenti esperienze politiche. Anche i principali organi dell'Amministrazione sono stati interessati da cambiamenti favoriti dalla nuova maggioranza consiliare, che ha assunto un atteggiamento di forte collaborazione con la giunta.
  Sempre secondo quanto riferito dal sindaco, il mutato scenario politico ha consentito di assumere una serie di incisive misure nei diversi settori.
  Le opere abusive rilevate in via Marzabotto e nell'area Largo San Luigi sono state abbattute. L'amministrazione comunale si è costituita parte civile nel procedimento penale relativo al primo abuso, mentre, con riferimento al secondo abuso, è stato dato incarico al legale del comune di agire per ottenere il risarcimento dei danni.
  Inoltre, è stata avviata un'approfondita attività di monitoraggio degli interventi di edilizia abusiva sul territorio, al fine di acquisire una più precisa conoscenza delle dimensioni del fenomeno.
  Contestualmente è stato disposto il censimento degli occupanti gli alloggi residenziali pubblici per verificare la titolarità delle assegnazioni, la regolarità del pagamento dei canoni, gli spazi effettivamente occupati e l'esistenza di eventuali abusi edilizi. Nei confronti degli occupanti sine titulo sono state intraprese le procedure di sgombero, quelle coattive per il recupero delle morosità maturate, nonché quelle ablative nei casi di «ampliamento» non autorizzato degli immobili. Nell'esecuzione di tali interventi è stata data priorità ai casi di abuso commessi da appartenenti a organizzazioni criminali o da loro familiari.
  Sempre al fine di contrastare il fenomeno dell'abusivismo edilizio, è stato istituito un gruppo interdipartimentale con il compito di svolgere un costante monitoraggio del territorio, al di là degli ordinari servizi di controllo.
  Su espresso invito della prefettura di Napoli, l'amministrazione comunale ha provveduto ad adottare il regolamento per le concessioni demaniali e quello per l'affidamento degli appalti di lavori, servizi e forniture. Mentre, di iniziativa, si è dotata di un'altra serie di regolamenti necessari a garantire il buon andamento e l'imparzialità dell'azione amministrativa in diversi settori.
  Con particolare riferimento alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici e al rilascio delle autorizzazioni nel settore dei pubblici esercizi, il sindaco ha emanato specifiche direttive – estese anche alle società partecipate –, prevedendo una serie di cautele necessarie ad assicurare la massima trasparenza nella gestione di questi delicati settori.
  In merito alla gestione del personale, l'amministrazione comunale ha riferito che i dipendenti comunali e delle società partecipate condannati per assenteismo sono stati assegnati a diverso incarico o, laddove ciò non sia stato possibile, sottoposti a una attenta vigilanza.
  In ogni caso, gli stessi sono stati esclusi dall'attribuzione di posizioni organizzative o da compensi collegati alla produttività.
  Per contrastare più efficacemente il fenomeno dell'assenteismo, sono state attivate particolari forme di controllo, anche di concerto con le Forze di polizia. Inoltre, è stata disposta una rotazione dei dipendenti nelle loro funzioni, anche al fine di prevenire possibili forme di corruzione.
  In merito ai servizi cimiteriali, l'amministrazione comunale ha riferito che tutte le anomalie segnalate all'esito dell'attività ispettiva sono state eliminate, mentre i servizi pubblici sono attualmente esercitati da un soggetto appaltatore selezionato dai provveditorato alle opere pubbliche in veste di stazione unica appaltante.
  In materia di concessioni demaniali, ho già detto dell'avvenuta adozione del regolamento comunale di disciplina dello specifico settore. Aggiungo che il comune ha reso noto di aver avviato anche un'attività di verifica di tutti gli atti concessori in corso.
  Relativamente alle autorizzazioni commerciali rilasciate per i pubblici esercizi, a seguito di uno screening generale di tutte le licenze rilasciate e a conclusione dei controlli effettuati, è stato disposto il ritiro di tre autorizzazioni.
  Si segnalano due ulteriori, significative iniziative del comune di Torre Annunziata: la scelta del sorteggio elettronico per l'individuazione degli scrutatori in occasione delle elezioni europee dello scorso mese di maggio e la presentazione, in accoglimento dell'invito del prefetto di Napoli, dell'istanza di adesione al protocollo per l'integrazione dei sistemi di prevenzione della corruzione stipulato tra le prefetture della Campania, l'ANCI Campania e alcuni comuni della regione.
  Si soggiunge, infine, che il provvedimento con cui il Ministro dell'interno ha concluso il procedimento di accesso e indagine avviato nei confronti del comune di Torre Annunziata è stato pubblicato nella sezione dedicata del portale del Ministero dell'interno, nel rispetto di quanto previsto dal decreto ministeriale del Ministro dell'interno in data 4 novembre 2009, pubblicato nella Gazzetta ufficiale 28 novembre 2009, n. 278.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   MANLIO DI STEFANO, SIBILIA, SPADONI, DI BATTISTA, SCAGLIUSI, GRANDE e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 aprile 2013 veniva bandito in Gazzetta Ufficiale, 4° Serie speciale concorsi ed esami, il concorso, per titoli ed esami, a trentacinque posti di segretario di legazione in prova;
   alcune segnalazioni pervenute agli interroganti dai candidati confermerebbero vistose violazioni della normativa concorsuale avvenute durante lo svolgimento delle prove scritte tra il 30 giugno e il 4 luglio 2014 presso il Centro nazionale di selezione e reclutamento del Comando generale in Roma, Via di Tor di Quinto, 153;
   in particolare, sotto il profilo giuridico, il concorso diplomatico è regolato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1 aprile 2008, n. 72, il cui articolo 15 rinvia, per quanto non espressamente previsto, alla disciplina contenuta nel regolamento generale concorsi per i pubblici impieghi, ovverosia al decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487. A sua volta, l'articolo 13, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 1994 prescrive che: «I candidati non possono portare carta da scrivere, appunti, manoscritti, libri o pubblicazioni di qualunque specie»;
   inoltre, nel calendario delle prove scritte, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, 4° Serie speciale concorsi ed esami del 10 giugno 2014, veniva assunto il seguente autovincolo: «All'interno della sala non è consentito utilizzare né tenere con sé, a pena d'esclusione, telefoni cellulari, palmari, lettori multimediali, carta da scrivere, appunti, manoscritti, libri, periodici, giornali quotidiani e altre pubblicazioni di alcun tipo, ivi inclusi dizionari di alcun genere, né si possono portare borse o simili, capaci di contenere pubblicazioni»;
   pertanto, pur se in presenza di una pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. VI, del 7 maggio 2009, n. 2832, che ha ammesso l'ingresso in aula di telefoni cellulari, e altro, laddove il bando di concorso si limiti a precludere soltanto l'utilizzazione della strumentazione elettronica, questa pronuncia sembrerebbe non trovare applicazione rispetto al concorso diplomatico, in quanto ai candidati non è consentito soltanto di utilizzare, ma anche e semplicemente di tenere con sé, magari sul banco o in una borsa chiusa accanto al banco, smartphone, e altro. Le stesse considerazioni potrebbero valere con riferimento ai manoscritti, e altro, che i candidati non possono portare con sé, a norma dell'articolo 13, decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 1994;
   la violazione dell'articolo 13, decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 1994, e soprattutto dell'autovincolo menzionato, potrebbero determinare l'annullamento dei provvedimenti amministrativi viziati, ai sensi dell'articolo 21-octies, della legge n. 241 del 1990;
   ciò nondimeno, sotto il profilo fattuale, sono stati ammessi in aula telefoni cellulari, borse, manoscritti, libri di testo, tablet, smartphone, ecc. D'altra parte, non era stato previsto un deposito accanto all'aula d'esame come si può evincere da una pubblica dichiarazione, resa il primo giorno delle prove scritte, prima dell'estrazione delle tracce, da parte del consigliere d'ambasciata Fabrizio Lobasso, segretario della Commissione e dirigente dell'ufficio reclutamento del Ministero degli affari esteri. Peraltro, in base a un'ulteriore dichiarazione pubblica resa dallo stesso Consigliere Lobasso il terzo giorno degli scritti prima dell'estrazione delle tracce, alcuni telefoni o tablet si agganciavano al suo hotspot; ciò nonostante, non sono state prese misure di espulsione, di sequestro generalizzato della strumentazione elettronica o di contenimento delle ulteriori violazioni della normativa concorsuale, quanto meno prima del terzo giorno delle prove scritte. Per di più, il quarto giorno degli scritti, quando la Commissione aveva intensificato, pur se tardivamente, i controlli, il Consigliere Lobasso ha ribadito che telefoni e tablet si erano agganciati al suo hotspot, dichiarazione reiterata il quinto e ultimo giorno delle prove scritte. Questi fatti, ovviamente, sembra siano avvenuti in pubblico e potrebbero formare eventualmente oggetto di testimonianza in sede giurisdizionale –:
   come intenda verificare quanto segnalato in premessa e quindi se effettivamente e in via generalizzata, in occasione delle prove scritte del concorso diplomatico dal 30 giugno al 4 luglio 2014, siano stati ammessi in aula telefoni cellulari, borse, manoscritti, libri di testo, tablet, smartphone, e altro;
   come intenderà procedere al fine di garantire la legalità, l'imparzialità e l'economicità dell'azione amministrativa laddove fosse confermato quanto segnalato in premessa. (4-06181)

  Risposta. — La ratio primaria della normativa concorsuale richiamata dagli interroganti (segnatamente, l'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 487 del 1994) consiste nel prevenire che il candidato, durante lo svolgimento di una prova d'esame, possa essere indebitamente agevolato mediante l'ausilio di appunti, pubblicazioni e scritti in generale, o attraverso una qualsiasi forma di comunicazione sia all'interno della sala (ad esempio, lo scambio verbale di informazioni tra partecipanti) che con l'esterno (con l'uso di cellulari, tablet, smartphone e strumenti simili).
  Tale obiettivo, sia in occasione dello svolgimento della prova attitudinale (con circa 4200 candidati iscritti alla prova) che delle prove scritte (circa 690 candidati risultati idonei dopo la prova attitudinale), è stato perseguito in modo rigoroso dall'Amministrazione attraverso le seguenti attività:
   1. informazione preventiva sul sito web del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci), come peraltro ricordato dagli stessi interroganti, in occasione della pubblicazione del calendario delle prove scritte, relativamente al divieto di qualsiasi utilizzo di materiale cartaceo e di strumenti telematici;
   2. adeguato servizio di sorveglianza (70 persone circa per la prova attitudinale, 40 persone circa per ognuna delle cinque giornate delle prove scritte), preceduto da debita formazione logistica e da sensibilizzazione dei singoli sorveglianti per effettuare al meglio il servizio;
   3. informazione pubblica da parte responsabile ufficio concorsi della competente Direzione del Maeci, inizio di ognuna delle prove d'esame e di ciascun giorno di prova, circa il divieto assoluto di utilizzo di appunti, manoscritti, pubblicazioni e quant'altro non autorizzato dalla commissione o dall'Amministrazione, nonché sul divieto assoluto di utilizzo di cellulari, smartphone, tablet e simili;
   4. continui controlli da parte della sorveglianza prima, durante e dopo le prove d'esame, ulteriormente rafforzati da continui controlli a campione su numerosi candidati in occasione del movimento degli stessi per/da i bagni pubblici, e dalla costante presenza di sorveglianti nei bagni medesimi.
  Gli interroganti fanno inoltre riferimento ad episodi relativi al presunto «aggancio» di smartphone sul tablet di un membro della commissione. Fatti i dovuti controlli, non sono risultati alla commissione violazioni in tal senso.
  Alla luce di tali elementi e in considerazione delle attività di controllo, informazione e vigilanza messe in atto dal Maeci, si ritiene che la legalità, l'imparzialità, la trasparenza e l'efficacia dell'azione amministrativa siano state nella circostanza pienamente tutelate.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   DONATI, GIANNI FARINA, FANUCCI, MARCO DI MAIO e D'INCECCO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Organizzazione europea dei brevetti (OEB – European patent organization EPO) è una organizzazione intergovernativa composta da 38 Paesi, tra cui l'Italia. Al suo interno lavorano circa 7000 dipendenti, di cui circa 500 di nazionalità italiana. L'organizzazione è guidata da un Presidente che viene eletto ogni quattro anni: dal 2010 ricopre questo ruolo Benoît Battistelli, di nazionalità francese. Il Presidente viene eletto da un consiglio di amministrazione, che ha anche funzioni di supervisione sull'intera organizzazione. Nel Consiglio siedono i rappresentanti dei 38 Paesi, per l'Italia il dottor Mauro Masi e come supplente la dottoressa Loredana Giulino direttrice dell'ufficio italiano brevetti e marchi;
   l'Unione sindacale dell'organizzazione, compresi numerosi funzionari italiani, denunciano il clima sociale deteriorato che regna da alcuni mesi in seno all'Organizzazione, nelle sue sedi de L'Aia, Berlino, Monaco, Bruxelles e Vienna: l'esercizio del diritto di sciopero sarebbe ostacolato, minacce di sanzioni disciplinari verrebbero utilizzate abusivamente per limitare il diritto di espressione del personale;
   i dipendenti dell'Organizzazione non hanno accesso né ai tribunali del lavoro nazionali, né al sistema di tutela comunitario. La possibilità di ricorrere al tribunale amministrativo dell'Organizzazione internazionale del lavoro è stata fortemente limitata dalla riforma delle procedure, che ha reso i tempi di ottenimento di un pronunciamento assolutamente inadeguati a garantire una reale tutela dei diritti dei dipendenti;
   la situazione in essere può essere di nocumento, oltre che ai dipendenti, agli interessi italiani ed europei: l'OEB è universalmente riconosciuto come una organizzazione che rilascia brevetti di qualità e che quindi dà un contributo fondamentale all'innovazione tecnologica, senza peraltro costare un solo euro ai contribuenti. Il deterioramento dei rapporti tra dirigenza e lavoratori potrebbe portare anche ad un sensibile deterioramento di questa qualità, con conseguente grave danno alla competitività italiana ed europea;
   la questione dei diritti dei lavoratori dell'OEB è stata portata all'attenzione del Governo francese da Philip Cordery, deputato francese, attraverso una lettera pubblicata il 4 marzo scorso –:
   se non ritenga opportuno acquisire elementi in merito alla conformità delle decisioni prese dalla dirigenza dell'OEB e dal consiglio di amministrazione in tema dei diritti dei lavoratori con i principi delle legislazione italiana ed europea in materia;
   se non ritenga opportuno dare mandato al rappresentante italiano nel consiglio di Amministrazione dell'OEB di richiedere espressamente la cancellazione di tutte le sanzioni disciplinari adottate contro i dipendenti e i rappresentanti sindacali, qualora si ravvisino violazioni dei diritti dei lavoratori;
   se non ritenga opportuno dare mandato al rappresentante italiano nel consiglio di amministrazione di relazionare sulla tutela dei diritti dei lavoratori dell'OEB. (4-04466)

  Risposta. — L'Organizzazione europea dei brevetti è un organismo intergovernativo composto di due organi: l'ufficio europeo brevetti (Epo), che svolge le attività di esame e rilascio del brevetto europeo, e il consiglio di amministrazione, che fra i diversi compiti annovera l'esercizio di funzioni di supervisione sull'Epo. Fanno parte del consiglio di amministrazione i rappresentanti dei 38 Paesi (i 28 Stati membri dell'Unione europea, Albania, ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Islanda, Liechtenstein, Principato di Monaco, Norvegia, San Marino, Serbia, Svizzera e Turchia) firmatari della Convenzione di Monaco del 1973. I membri italiani sono il professor Mauro Masi, in qualità di Delegato italiano per la proprietà intellettuale presso il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, e l'avvocato Loredana Gulino, Direttore generale per la lotta alla contraffazione/Ufficio italiano brevetti e marchi del Ministero dello sviluppo economico. Il primo ricopre la carica di rappresentante, mentre la seconda quella di rappresentante supplente. L'Epo conta circa 7.000 dipendenti provenienti da più di 30 Paesi, che operano presso la sede in Monaco di Baviera e gli uffici distaccati a Berlino, Bruxelles, L'Aja e Vienna.
  In relazione al quesito sull'opportunità di acquisire elementi in merito alla conformità delle decisioni della dirigenza dell'Organizzazione e del consiglio di amministrazione concernenti i diritti dei lavoratori con i principi della legislazione italiana ed europea in materia, si fa presente che il parametro per la valutazione della suddetta conformità non è costituito dalla normativa nazionale (dell'Italia o di altri Stati membri Epo) ed europea, ma dalla regolamentazione dello stesso Epo e dai principi fissati dalla normativa internazionale. Così, ad esempio, il Governo olandese nella risposta a una recente interrogazione di due membri del Parlamento dei Paesi Bassi sulle condizioni di lavoro presso l'Epo ha indicato che quest'ultimo organismo gode di immunità funzionale e che le questioni relative alle condizioni lavorative dei dipendenti sono coperte da tale immunità, rimanendo pertanto la regolamentazione interna sul personale Epo nella sfera di esclusiva competenza dell'ufficio stesso. Conto le decisioni dell'Epo, una volta esaurite le procedure di ricorso interne o qualora queste non siano applicabili, può essere adito il tribunale amministrativo dell'Organizzazione internazionale del lavoro (ILOAT), il quale valuta le predette decisioni sulla base delle disposizioni interne dell'Organizzazione europea dei brevetti e dei principi generali di diritto, inclusi i diritti umani. In questo senso si era già espresso il consiglio di amministrazione Epo in una dichiarazione adottata in occasione della 55a sessione del 13-15 dicembre 1994. Occorre peraltro segnalare che il sistema di risoluzione delle controversie dell'Epo e di natura essenzialmente individuale e che pertanto decisioni di carattere generale possono essere messe in discussione soltanto nel caso in cui queste abbiano effetti negativi diretti per la posizione legale del dipendente interessato. Si aggiunge inoltre che, in base alle statistiche disponibili concernenti i giudizi dell'Iloat su casi relativi all'Epo, nel 95 per cento dei casi sono state confermate le decisioni dell'Epo oggetto di impugnazione, stabilendo fra gli altri il succitato principio dell'inammissibilità di ricorsi contro decisioni del consiglio di amministrazione aventi carattere generale.
  Per quanto riguarda il quesito relativo all'opportunità di dare mandato al rappresentante italiano nel consiglio di amministrazione di richiedere espressamente la cancellazione delle sanzioni disciplinari adottate contro i dipendenti e i rappresentanti sindacali, qualora si ravvisino violazioni dei diritti dei lavoratori, si informa che, nel corso del consiglio di amministrazione del 15 ottobre 2014, i rappresentanti italiani hanno sottolineato l'importanza, sopratutto ai fini della performance dell'Organizzazione, di avere un ambiente di lavoro sereno, nel quale venga mantenuto un dialogo aperto e inclusivo che consenta il raggiungimento di un compromesso anche in tema di risorse umane. Ulteriori occasioni di dialogo e analisi delle criticità relative alle risorse umane si ritiene possano essere rappresentate dalle discussioni che si svilupperanno nel quadro dell'esame dei seguiti da riservare alla «Human Resources Roadmap», programma di lavoro in materia di risorse umane approvato nel 2011, volto ad allineare il sistema dell'Epo gli standard e alle best practice internazionali conformemente ai principi generali normativi applicati dall'Epo e dal tribunale amministrativo dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Iloat). Nel corso della 140a sessione del consiglio di amministrazione svoltasi a L'Aja il 25-27 giugno 2014, il presidente Battistelli ha illustrato i risultati raggiunti e i futuri passi da compiere nel processo di riforma del settore delle risorse umane e il Consiglio ha approvato all'unanimità le proposte per il completamento del programma di lavoro. Fra i temi oggetto di futura discussione si evidenzia quello della meritocrazia, che verrà affrontato nel corso della prossima riunione del consiglio di amministrazione prevista per il 10 e 11 dicembre 2014. Al riguardo, lo stesso presidente Battistelli, durante il consiglio di amministrazione tenutosi a L'Aja a giugno 2014, aveva sottolineato come sia allo studio una riforma del sistema degli avanzamenti di carriera, che dovranno avvenire sulla base delle performance individuali e non più per anzianità. Nella stessa occasione egli aveva auspicato che il pacchetto di proposte relative alla carriera, che include anche la valutazione delle performance, potesse essere sottoposto all'attenzione del consiglio di amministrazione entro la fine dell'anno, per poi entrare in vigore nel 2015. In vista del conseguimento degli obiettivi che hanno ispirato la definizione e l'attuazione della predetta Roadmap, si potrà quindi sensibilizzare la dirigenza e la membership Epo in merito al carattere imprescindibile della tutela dei diritti del lavoratori, all'esigenza ineludibile di assicurare il benessere dei dipendenti attraverso un processo di continuo miglioramento delle condizioni di lavoro e all'urgenza di un dialogo aperto e costruttivo tra dirigenza e personale Epo. Ciò anche per poter meglio valutare e dare effettivo riscontro alla richiesta di verificare se sia il caso di procedere all'attuazione della predetta Roadmap nella sua attuale versione o se sia per contro necessario modificarla. In relazione alla predetta «Human Resources Roadmap» e in particolare alla nuova policy di «social democracy» avviata a giugno 2014 per migliorare la rappresentatività del personale e il processo di consultazione a tutti i livelli, si segnala infine che il 18 giugno scorso si sono tenute le prime elezioni del comitato del personale, con una partecipazione pari al 68 per cento. Si è trattato per il personale della prima votazione diretta per la nomina dei propri rappresentanti a livello centrale in seno al «Central Staff Committee».
  Quanto all'opportunità di dare mandato al rappresentante italiano nel consiglio di amministrazione di relazionare sulla tutela dei diritte lavoratori dell'Epo, si ritiene che un tale mandato possa eventualmente essere conferito una volta rese note le decisioni dell'Iloat sui procedimenti relativi alle summenzionate possibili violazioni nonché sulla base degli sviluppi che si registreranno a seguito delle iniziative di cui al punto precedente. Al riguardo, si segnala che, in base alla documentazione disponibile, risulta che l'Epo, al fine di consentire una gestione più snella dei ricorsi presentati all'Iloat – attualmente caratterizzati dalla lunghezza dei procedimenti – abbia concordato con lo stesso tribunale che i casi concernenti l'Organizzazione verranno trattati in un lasso di tempo ragionevole. La delegazione italiana continuerà a seguire quanto sopra con particolare attenzione e a svolgere gli interventi del caso, quale quello sopra citato.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   FANTINATI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto contenuto nel decreto firmato dal Ministro dell'economia e delle finanze il 2 luglio 2014, il fondo strategico italiano (controllato all'80 per cento da Cassa depositi e prestiti e il restante 20 per cento da Bankitalia), allargando il proprio perimetro, potrà investire anche in aziende del settore turistico-alberghiero, agroalimentare e della distribuzione, nonché della gestione dei beni culturali e artistici;
   l'iniziativa si fonda sull'idea secondo cui tali settori rivestono particolare importanza per l'economia italiana, pur essendo penalizzati dalle ridotte dimensioni e da una certa frammentazione;
   nel dettaglio, il fondo potrà investire anche in società che non sono costituite in Italia, ma che controllano società presenti sul territorio nazionale, in possesso di particolari requisiti di fatturato (almeno 50 milioni di euro) e di dipendenti (non meno di 250). Inoltre, è confermata la possibilità, da parte del fondo, di acquisire partecipazioni in società, che, «pur non operando nei settori indicati, presentino un fatturato annuo netto non inferiore a 300 milioni di euro e un numero medio di dipendenti nell'ultimo esercizio non inferiore a 250, con un margine di ribasso del 20 per cento qualora l'attività della società risulti comunque rilevante in termini di indotto e di presenza di stabilimenti produttivi»;
   da articoli di stampa si apprende la notizia che il fondo strategico nazionale abbia intenzione di acquistare la catena alberghiera che fa capo a Rocco Forte — imprenditore inglese di origini italiane — che in questo momento ha in portafoglio 11 alberghi extralusso in giro per l'Europa, di cui tre in Italia: il Savoy a Firenze, il de Russie a Roma e il Verdura Golf Resort & Spa di Sciacca, in Sicilia;
   l'operazione è complessa, anche perché le singole strutture in Italia sono controllate da società differenti. Per capire, però, la ratio dell'intervento bisogna partire dalla struttura siciliana di Rocco Forte, ossia il «Verdura Resort», una struttura che, di recente, ha subito una serie di fibrillazioni che hanno fatto finire nel pantano tutta una serie di investimenti che Rocco Forte aveva in mente. Per esempio la costruzione di ben 52 villette per un importo complessivo di 100 milioni di euro, parte dei quali messi a disposizione dallo Stato italiano;
   notizie di stampa riferiscono, inoltre, che da anni Rocco Forte Hotels, tramite il Ministero dello sviluppo economico e Invitalia, percepisce contributi pubblici e che sull'evoluzione delle 52 villette sopracitate penda un piano paesaggistico locale che la catena alberghiera ritiene particolarmente penalizzante. E non è servita a sbloccare la situazione, la promessa che nell'operazione sarebbero stati coinvolti operai e artigiani locali;
   non c’è dubbio che l'operazione desta una serie di perplessità: c’è l'intervento dello Stato in un'impresa alberghiera a controllo estero e con diversi problemi «politici» in Italia –:
   se corrisponda al vero quanto descritto in premessa;
   quali siano i piani d'investimento che il fondo strategico italiano (FSI) intende adottare nel settore turistico-alberghiero, agroalimentare e della distribuzione, nonché della gestione dei beni culturali e artistici. (4-06547)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame, intesa a conoscere i piani d'investimento che il Fondo strategico italiano intende adottare nel settore turistico-alberghiero, agroalimentare e della distribuzione, nonché della gestione dei beni culturali e artistici.
  Al riguardo, sentita Cassa depositi e prestiti, si fa presente che Fondo strategico italiano spa (Fsi) e una holding di partecipazioni controllata da Cassa depositi e prestiti spa (CDP).
  Fondo strategico italiano investe in società operanti in settori di «rilevante interesse nazionale» originariamente individuati dal decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 3 maggio 2011, che includono difesa, sicurezza, infrastrutture e pubblici servizi, trasporti, comunicazioni, energia, assicurazioni e intermediazione finanziaria, ricerca e alta tecnologia.
  Recentemente, il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 2 luglio 2014 ha ampliato l'ambito di intervento del Fsi anche ai settori turistico-alberghiero, agroalimentare e della distribuzione e della gestione dei beni culturali e artistici.
  Si tratta di settori di particolare rilievo per l'economia italiana, i quali essendo caratterizzati da un'estrema frammentazione e ridotte dimensioni aziendali, possono beneficiare di un nuovo strumento in grado di promuovere processi di aggregazione e sviluppo, rendendo più agevole l'attrazione di capitali stranieri e la promozione di processi di internazionalizzazione.
  Nei settori «strategici» così ampliati, nel decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 2014 sono considerate di «rilevante interesse nazionale» anche le società che, pur non costituite in Italia, hanno, comunque, una presenza significativa nel territorio nazionale in termini di fatturato (almeno 50 milioni di euro) e di occupazione (in numero non inferiore a 250).
  Ai sensi dello statuto sociale di Fondo strategico italiano, le imprese oggetto di investimento dovranno essere in una stabile situazione di equilibrio finanziario, economico e patrimoniale, nonché caratterizzate da adeguate prospettive di redditività e con significative prospettive di sviluppo, idonee a generare valore per gli investitori.
  Sin dal 2013, Fsi aveva manifestato (come peraltro reso pubblico nel corso della conferenza stampa tenutasi a Milano il 16 dicembre 2013) il proprio interesse per il settore turistico-alberghiero ed aveva delineato un progetto per la costituzione di un «polo italiano del turismo», incentrato sulla distinzione fra proprietà e gestione nel settore dell'offerta alberghiera a 3, 4 e 5 stelle. Dall'analisi della situazione economico-finanziaria delle società operanti nel settore è emerso, infatti, che la separazione delle attività di gestione immobiliare da quelle di gestione del core business alberghiero può favorire l'attrazione di maggiori apporti finanziari al settore, differenziati in ragione della diversificazione del rischio.
  Il citato progetto del «polo italiano del turismo» risulta sinergico con le attività immobiliari di Cdp, quale azionista di controllo di Fsi, e intende riqualificare le strutture ed ottimizzare la gestione del proprio portafoglio immobiliare.
  In merito, si precisa che le dovute analisi relative a possibili opportunità di investimento da parte di Fsi con operatori del settore sono tuttora in corso. I contatti attivati sono ancora in fase di valutazione. Si assicura comunque, che l'eventuale investimento di Fsi nel settore avverrà a condizioni di mercato (pertanto, in modo distinto e indipendente dalla possibile finizione di agevolazioni pubbliche da parte di società oggetto di investimento da parte di Fsi), in conformità alle condizioni previste dalla normativa di riferimento e dalle richiamate norme statutarie.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanzeEnrico Zanetti.


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 2 febbraio 2013, lungo la stradale statale 115, che collega i comuni di Ribera e Sciacca, in provincia di Agrigento, il crollo di un viadotto sul fiume «Verdura» ha provocato l'interruzione al transito dell'arteria stradale, crocevia fondamentale dell'assetto viario della Sicilia centro-meridionale;
   da pochi mesi un transito alternativo e precario, frutto di installazioni provvisorie, ha tamponato alla meno peggio l'emergenza derivante dal blocco stradale, nonostante l'Anas avesse già predisposto un progetto finanziato per 11 milioni di euro per costruire il nuovo tratto del viadotto crollato;
   l'interrogante evidenzia che attualmente, nonostante sia trascorso un anno dal cedimento del viadotto in precedenza indicato, l'avvio dei lavori per la realizzazione dell'opera infrastrutturale fondamentale per la viabilità stradale dei suindicati comuni, risulti gravemente in ritardo, con inevitabili ripercussioni sulle comunità interessate, che affrontano una serie di disagi, sia nel raggiungimento dei comuni in precedenza indicati, sia nello spostamento di mezzi di trasporto utilizzati per l'attività lavorativa –:
   se sia a conoscenza dei ritardi della realizzazione del viadotto esposto in premessa e, in caso affermativo quali iniziative il Ministro intenda attivare nei confronti dell'Anas per verificare quanto sta accadendo in relazione ai ritardi delle opere infrastrutturali e fornire garanzie sulla tempistica al fine di risolvere la condizione di stallo che danneggia, tra l'altro, l'ampio indotto economico, tra il commerciale e il ricettivo-turistico, legato alla percorribilità agevole della strada statale 115 Sciacca-Gela. (4-04620)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si comunica che questa Amministrazione, nel luglio 2014, ha richiesto ad Anas una relazione tecnica sulle cause dell'accaduto, chiedendo altresì di valutare la necessità di eseguire una verifica puntuale, sia di tipo documentale che ispettivo, prioritariamente nel compartimento per la Sicilia, su altri viadotti che per tipologia costruttiva, periodo di realizzazione, caratteristiche degli elementi prefabbricati, ecc., risultassero simili al viadotto oggetto del crollo e quindi potenzialmente a rischio.
  Al riguardo, la predetta società ha riferito quanto segue.
  Il 2 febbraio 2013 si è verificato il crollo di due campate del ponte in muratura sul fiume Verdura, sito sulla strada statale 115 «Sud Occidentale Sicula».
  L'Anas si è prontamente attivata per ripristinare la viabilità sulla citata statale, concordando con gli enti competenti una soluzione transitoria e avviando, nel contempo, la progettazione di un nuovo ponte in sostituzione di quello danneggiato.
  Il progetto preliminare, tempestivamente redatto, è stato approvato dall'Anas il 3 aprile 2013.
  il 13 maggio 2013, l'Anas ha aperto al traffico il ponte provvisorio, ristabilendo la circolazione a doppio senso di marcia.
  Il 16 maggio 2013, la stessa società, dopo aver redatto il progetto definitivo, ha intrapreso, presso la Regione Siciliana, la procedura di valutazione d'impatto ambientale e la procedura di valutazione di incidenza ambientale in considerazione del fatto che l'opera ricade all'interno di un sito di interesse comunitario (Sic) «Foce del fiume Verdura».
  In attesa del rilascio del parere di compatibilità ambientale, il 18 luglio 2013 l'Anas ha avviato le ulteriori procedure approvative stabilite dalle norme vigenti.
  Ad oggi risultano pervenute le seguenti autorizzazioni da parte della Regione Siciliana: autorizzazione paesaggistica, parere archeologico e autorizzazione alla demolizione del ponte esistente, attestazione assenza di vincolo idrogeologico, nulla osta idraulico; il parere interforze del Comando regione militare Sud; il parere relativo alla compatibilità dell'opera con il Piano di assetto idrogeologico (Pai), la valutazione di impatto ambientale integrata dalla valutazione di incidenza per la presenza del Sic «Foce del fiume Verdura».
  Infine, il 30 settembre 2014, la Regione Siciliana ha emesso il decreto sulla localizzazione urbanistica dell'opera, atto quest'ultimo indispensabile per il completamento dell’iter autorizzativo e per l'avvio dei lavori di costruzione.
  A seguito dell'emissione del suddetto provvedimento regionale, l'Anas ha potuto avviare le procedure per l'espropriazione delle aree interessate dall'intervento; difatti, l'8 ottobre 2014 ha inoltrato gli avvisi di avvio del procedimento di dichiarazione di pubblica utilità ai proprietari dei terreni interessati, richiedendo la pubblicazione del medesimo avviso all'albo pretorio dei comuni interessati.
  Entro trenta giorni dal ricevimento dei sopracitati avvisi i proprietari potranno presentare osservazioni, sulle quali l'Anas, con atto motivato, dovrà pronunciarsi.
  Successivamente l'Anas approverà il progetto definitivo, dichiarando la pubblica utilità dell'opera e completerà la stesura del progetto esecutivo.
  Tale progetto dovrà, poi, essere sottoposto alla verifica di ottemperanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento regionale di compatibilità ambientale emesso dalla Regione Sicilia – Assessorato territorio ed ambiente; non appena saranno resi disponibili i finanziamenti necessari, l'Anas provvederà a bandire la gara per l'appalto dei lavori.
  Nel concludere si fa presente, che il costo complessivo del nuovo viadotto sul fiume Verdura è stato stimato in circa 12 milioni di euro e risulta inserito nel «Programma di manutenzione straordinaria di ponti, gallerie e interventi mirati alla sicurezza del piano viabile».
  Per completezza d'informazione, si segnala che la società Anas ha comunicato che sulla statale 115, nel tratto interessato, non sono in vigore limitazioni di sagoma o carico per gli automezzi e non risultano criticità e/o anomalie.
  Infine, si comunica che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in relazione alle criticità del sistema infrastrutturale viario, ha dato avvio, negli ultimi anni, a programmi specifici relativi a interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie.
  In particolare, l'articolo 18, comma 10, del decreto-legge n. 69 del 2013, e relativa legge di conversione, ha previsto, tra l'altro, che con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è approvato il programma degli interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie nonché degli ulteriori interventi mirati ad incrementare la sicurezza e a migliorarle condizioni dell'infrastruttura viaria...»; attraverso apposite convenzioni stipulate con Anas sono stati individuati, nel dettaglio, gli interventi di manutenzione straordinaria ritenuti prioritari.
  Dette convenzioni assicurano anche una continua attività di verifica della realizzazione degli interventi previsti; inoltre l'Amministrazione, sia centrale sia periferica, può effettuare verifiche e ispezioni sullo stato di attuazione degli interventi.
  Infine, con i predetti programmi di manutenzione straordinaria delle opere d'arte è stato previsto, per la rete stradale siciliana, un finanziamento di 37,9 milioni di euro (ex articolo 18, comma 10, del decreto-legge n. 69 del 2013) per n. 3 interventi e un finanziamento di 49,5 milioni di euro (ex articolo 1, comma 70, della legge n. 147 del 2013) per n. 33 interventi.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 7 luglio presso la strada statale n. 626 tra Licata e Canicattì, in provincia di Agrigento, si è verificato il crollo di alcune arcate del viadotto Petrulla, causato con ogni probabilità da un cedimento strutturale;
   la frana ha coinvolto alcune automobili che sono precipitate a causa dello smottamento e ha causato un successivo tamponamento a catena che ha visto coinvolte diverse automobili, ha provocato il ferimento di quattro persone tra cui donne e bambini;
   secondo una prima ricostruzione sembra che improvvisamente una parte del manto stradale abbia ceduto provocando un vistoso avvallamento nella parte iniziale del viadotto, proprio mentre le automobili stavano transitando;
   nonostante attualmente non ci siano né indagati, né ipotesi di reato a parere dell'interrogante è opportuno accertare quanto è accaduto, in considerazione che i livelli di sicurezza delle opere infrastrutturali di collegamento della viabilità stradale, si sono contraddistinti negativamente negli ultimi anni a causa dei numerosi incidenti accaduti nel nostro Paese ed in modo particolare in Sicilia;
   l'interrogante evidenzia inoltre che, secondo quanto hanno rilevato i responsabili dell'ANAS, il cedimento strutturale si è verificato nella parte iniziale del viadotto Lauricella, che a sua volta ha causato il crollo di una campata del confinante viadotto «Petrulla», risalente alla fine degli anni settanta, lungo 492 metri al chilometro 4,350 della «Licata-Braemi», nel territorio di Licata e la conseguente chiusura al traffico in entrambe le direzioni tra lo svincolo di Licata Calandrino/Innesto;
   i medesimi tecnici dell'ANAS, inoltre hanno ipotizzato che la causa del crollo sembrerebbe imputabile a una rottura delle travi in cemento armato precompresso che sostenevano l'impalcato;
   l'interrogante rileva altresì come nell'anno 2009 la suindicata statale n. 626, Caltanissetta-Gela, nel territorio di Butera, sia stata, oggetto di un altro disastro su un altro viadotto denominato «Geremia II», che ha determinato il crollo del manto stradale con numerosi feriti, la condanna di alcuni tecnici dell'ANAS e dei responsabili dell'impresa di costruzione del medesimo tratto stradale;
   ulteriori crolli e cedimenti strutturali in altri viadotti, sebbene di lieve entità, si sono segnalati anche l'anno scorso nell'Agrigentino ed in particolare sulla statale 115 tra Agrigento e Sciacca, con inevitabili ripercussioni sia sulla viabilità degli automobilisti che del ripristino dei collegamenti stradali che ha richiesto dei tempi tecnici eccessivi;
   la suesposta vicenda a giudizio dell'interrogante, evidenzia come episodi come quello verificatosi di recente nell'agrigentino, richiedano un'azione di monitoraggio più incisiva di verifica e dei controlli per i livelli di sicurezza delle infrastrutture di collegamento stradali in Sicilia, in considerazione come peraltro suesposto, dei numerosi e gravi incidenti accaduti nel corso degli ultimi anni, che certamente rappresentano un segnale d'allarme per i soggetti responsabili alla progettazione, alla revisione delle strutture, nonché alla salvaguardia e protezione degli utenti che utilizzano i tratti stradali interessati –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di una verifica degli interventi necessari sia a ripristinare in tempi rapidi la viabilità che a prevenire eventuali problemi sulle altre campate del viadotto;
   se non intenda acquisire tutte le informazioni necessarie finalizzate ad accertare che lungo il percorso alternativo individuato non vi siano rischi di altri eventi franosi che possano mettere a rischio l'incolumità degli utenti che percorrono il medesimo tratto;
   se non si intenda altresì procedere ad una mappatura per quanto di competenza, sullo stato della rete viaria stradale e autostradale siciliana al fine di accrescere i livelli di monitoraggio per la sicurezza delle strade ed evitare il ripetersi di tragedie come quelle esposte in premessa, che come evidenziato risultano essere negli anni particolarmente aumentate. (4-05512)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, relativa al crollo del viadotto Petrulla, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Questo Dicastero, già l'8 luglio 2014, ha richiesto alla società Anas una relazione tecnica sulle cause dell'accaduto, chiedendo altresì di valutare la necessità di eseguire una verifica puntuale, sia di tipo documentale che ispettivo, prioritariamente nel compartimento per la Sicilia, su altri viadotti che per tipologia costruttiva, periodo di realizzazione, caratteristiche degli elementi prefabbricati, e altro, risultassero simili al viadotto oggetto del crollo e quindi potenzialmente a rischio.
  Al riguardo, la predetta Anas ha riferito quanto segue.
  Il giorno 7 luglio 2014, alle ore 11,25 circa, si è verificato il cedimento di una campata del viadotto Petrulla, al km 4+500 della strada statale 626 dir. Licata – Braemi, tra i comuni di Licata e Braemi, in provincia di Agrigento. L'opera, costruita alla fine degli anni settanta, è costituita da 12 campate, con una lunghezza complessiva di 492 metri.
  L'Anas, non appena ricevuta notizia dell'evento, ha prontamente inviato sul posto il proprio personale tecnico che, svolte le prime verifiche, ha ipotizzato quale possibile causa del cedimento strutturale del ponte, la rottura delle travi in cemento armato precompresso di sostegno all'impalcato. Si evidenzia che, sino al citato episodio, nessun segnale premonitore si era verificato sul viadotto, tale da evidenziare eventuali pericoli di instabilità dello stesso, neanche durante i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria effettuati sull'opera d'arte (adeguamento delle barriere di sicurezza, sostituzione dei giunti di dilatazione e altro).
  L'Anas ha, quindi, nominato una commissione tecnica (presieduta dal professore Paolo Petrangeli, docente della facoltà di ingegneria dell'Università di Roma Sapienza, esperto in ponti e grandi infrastrutture) che il 10 luglio, dopo aver ottenuto l'autorizzazione dalle autorità di Polizia giudiziaria, ha eseguito un primo sopralluogo sul viadotto, necessario per esaminare le travi collassate e ispezionare tutte le altre campate; sono state, altresì, avviate tutte le attività utili al ripristino della viabilità sul ponte Petrulla.
  Analoghi sopralluoghi sono stati immediatamente effettuati anche sugli altri otto viadotti situati lungo la statale 626, aventi caratteristiche costruttive simili a quelle del ponte Petrulla, per verificare la sussistenza di eventuali difetti strutturali.
  Contestualmente, d'intesa con la Polizia stradale, gli enti locali e con il coordinamento della prefettura di Agrigento, sono stati individuati i percorsi alternativi per consentire la mobilità nell'area interessata dall'evento.
  L'azione dell'Anas si è, quindi, concentrata sugli interventi di ripristino del tracciato della strada statale 123, da utilizzare quale collegamento alternativo alla strada statale 626 dir, con tempi di percorrenza leggermente superiori.
  Il 25 luglio 2014 è stata aperta al transito la strada statale 123 «di Licata» (che costituisce, appunto, il più breve percorso alternativo alla strada stradale 626 tra le località di Ravanusa e Licata); la strada è stata resa percorribile, con il solo divieto temporaneo di circolazione per i mezzi pesanti.
  Nel contempo, sono stati definiti gli ulteriori interventi necessari per il completo riutilizzo dell'arteria alternativa che riguardano la manutenzione straordinaria relativa al ripristino delle pavimentazioni, delle barriere di sicurezza, il rifacimento della segnaletica e il consolidamento di un versante in frana, causa della attuale parziale chiusura della strada.
  I lavori sono iniziati il 15 settembre con ultimazione prevista per il corrente mese.
  Circa la strada statale 626 dir, essa risulta chiusa al traffico dal chilometro 0,00 al chilometro 8,800 mentre per la restante parte, a seguito delle verifiche eseguite, Anas ha ritenuto di imporre la sola limitazione del divieto di transito ai mezzi pesanti tra il chilometro 16,300 e il chilometro 19,300.
  Inoltre, a seguito degli accertamenti effettuati dalla citata commissione tecnica, si è appurato che la causa del cedimento dell'impalcato è da addebitarsi alla corrosione dei cavi di precompressione posti all'interno delle travi. Il fenomeno corrosivo, assolutamente invisibile alle ispezioni esterne eseguite, ha determinato una progressiva perdita di capacità portante delle travi sino al raggiungimento del collasso della struttura.
  Anche se in data 18 settembre il direttore regionale Anas per la Sicilia ne ha chiesto il dissequestro o in subordine la possibilità di accesso all'opera per l'esecuzione di verifiche tecniche, ad oggi il viadotto Petrulla rimane sotto sequestro giudiziario sino a quando i consulenti tecnici, nominati dalla procura della Repubblica di Agrigento, non avranno concluso l'attività di competenza.
  Anas ha già predisposto il progetto per la ricostruzione della campata crollata e per il risanamento delle restanti, per un importo di circa 3/4 milioni di euro, che potrà essere meglio precisato solo a seguito dell'esito delle necessarie prove.
  Gli accertamenti conseguenti al collasso della struttura, subito estesi ai restanti viadotti, hanno evidenziato inoltre la necessità di procedere con interventi di ripristino delle condizioni di sicurezza statica, oltre che sul viadotto Petrulla, anche sul viadotto Salso che presenta caratteristiche costruttive simili.
  Più in generale, si fa presente che questa Amministrazione, in relazione alle criticità del sistema infrastrutturale viario, ha dato avvio, negli ultimi anni, a programmi specifici relativi a interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie.
  In particolare, l'articolo 18, comma 10, del decreto-legge n. 69 del 2013, e relativa legge di conversione, ha previsto, tra l'altro, che con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e approvato il programma degli interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie nonché degli ulteriori interventi mirati ad incrementare la sicurezza e a migliorare le condizioni dell'infrastruttura viaria...»; attraverso apposite convenzioni stipulate con ANAS sono stati individuati, nel dettaglio, gli interventi di manutenzione straordinaria ritenuti prioritari.
  Tali convenzioni assicurano anche una continua attività di verifica della realizzazione degli interventi previsti; inoltre l'Amministrazione, sia centrale sia periferica, può effettuare verifiche e ispezioni sullo stato di attuazione degli interventi.
  Infine, con i predetti programmi di manutenzione straordinaria delle opere d'arte è stato previsto, per la rete stradale siciliana, un finanziamento di 37,9 milioni di euro (ex articolo 18, comma 10, del decreto-legge n. 69 del 2013) per n. 3 interventi e un finanziamento di 49,5 milioni di euro (ex articolo 1, comma 70, della legge n. 147 del 2013) per n. 33 interventi.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   LATRONICO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare made in Italy, che registra un fatturato nazionale superiore ai 266 miliardi di euro, rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica; l'usurpazione del Made in Italy minaccia la solidità e provoca gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa;
   la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace; la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione ed arreca danno al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale — considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore — ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   la crescita costante dell’export testimonia l'indiscutibile ruolo dell'agro alimentare nazionale e del valore attribuito al marchio «Italia», con un territorio ed una produzione ammirati ed imitati nel mondo;
   nell'agricoltura italiana sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   gli allevamenti italiani di suini, presenti prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna, sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti e offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento; in Italia nel 2012 la consistenza è stata di 9,279 milioni di capi, preceduta da Germania (28,1 milioni), Spagna (25,2 milioni), Francia (13,7 milioni), Danimarca (12,4 milioni), Olanda (12,2 milioni) e Polonia (11,9 milioni di capi); i dati del censimento dell'agricoltura 2010 indicano in 26.197 il numero delle aziende suinicole in Italia (74,1 per cento rispetto al 2007), 4.900 delle quali allevano più di 50 suini;
   in Italia, nel 2012, la produzione nazionale di suini è stata stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno, le importazioni in 572.987,42 tonnellate; gli allevamenti di suini sono oltre 26.200 concentrati, prevalentemente, in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate; minori importazioni provengono dall'Olanda;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che dietro questo sistema ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   la libera circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale del mercato interno, ma, sempre più spesso, la salute dei consumatori e la corretta e sana alimentazione appaiono compromesse da cibi anonimi, con scarse qualità nutrizionali, o addizionati e di origine per lo più sconosciuta;
   il Codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
   l'articolo 26, comma 2, lettera b) del Regolamento CE 25 ottobre 2011, n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, prevede che l'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza è obbligatoria per le carni dei codici della nomenclatura combinata (NC) elencati all'allegato XI del regolamento medesimo — tra le quali sono contemplate le carni di animali della specie suina, fresche, refrigerate o congelate — rinviando l'applicazione della norma a successivi atti di esecuzione da adottare entro il 13 dicembre 2013;
   sulla base dei dati Efsa, l'Italia risulta prima, nel mondo, in termini di sicurezza alimentare, con oltre 1 milione di controlli l'anno, il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3 per cento), con un valore inferiore di cinque volte rispetto a quelli della media europea (1,5 per cento di irregolarità) e addirittura di 26 volte rispetto a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità);
   l'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, introduce un sistema al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle Amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine degli oli di oliva vergini, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche –:
   quali azioni il Ministro intenda adottare al fine di promuovere il rispetto di quanto imposto dal Regolamento 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento alle carne suine;
   quali determinazioni intenda promulgare alle autorità di controllo e, in particolare, al Corpo forestale dello Stato, per applicare la definizione precisa dell'effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis della legge 24 dicembre 2003, n. 350 sulla tutela del made in Italy;
   se il Ministro non intenda assicurare l'adozione, anche per le carni suine, di un sistema analogo a quello previsto per gli oli di oliva vergini dalla legge n. 9 del 2013 citata, per assicurare l'accessibilità delle informazioni e dei dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine delle carni suine e promuovere, a tale scopo, la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche;
   quali iniziative il Ministro intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di rendere noti e pubblici i riferimenti delle società eventualmente coinvolte in pratiche commerciali ingannevoli, fraudolente, o scorrette finalizzate ad immettere sui mercati finti prodotti made in Italy ed i dati dei traffici illeciti accertati. (4-06589)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, riferisco quanto segue.
  La conoscenza del Paese di origine o del luogo di provenienza di un prodotto agroalimentare rappresenta un requisito imprescindibile per l'orientamento all'acquisto dei consumatori, a garanzia del diritto all'informazione e della possibilità di compiere scelte consapevoli.
  Soprattutto per il nostro Paese, l'indicazione dell'origine è un fattore strategico per contrastare una diffusa pratica contraffattiva e imitativa delle nostre produzioni ed arginare il danno noto e ingente al potenziale economico del settore agroalimentare.
  Tenendo ben presenti tali considerazioni, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha sempre fortemente sostenuto, in sede europea, l'indicazione obbligatoria del Paese d'origine o del luogo di provenienza dei prodotti, concertando la posizione negoziale con il Dicastero della salute.
  Infatti, anche grazie all'impegno e al sostegno del nostro Paese, il 13 dicembre 2013 è stato emanato il regolamento di esecuzione della Commissione n. 1337 del 2013 che, oltre a stabilire i criteri di etichettatura per gli operatori del settore alimentare delle carni fresche, refrigerate o congelate di suino, ovino, caprino e di volatili, introduce la prescrizione relativa all'indicazione del Paese d'origine o luogo di provenienza ove gli animali sono stati allevati e macellati.
  In seguito, il Parlamento europeo, con risoluzione del 6 febbraio 2014, ha invitato la Commissione a ritirare il predetto regolamento di esecuzione e a redigerne una nuova versione che preveda l'indicazione obbligatoria in etichetta, del luogo di nascita nonché dei luoghi di allevamento e di macellazione dell'animale per le carni non trasformate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili, in conformità della legislazione vigente in materia di etichettatura di origine delle carni bovine (regolamento CE n. 1760 del 2000 – Titolo II).
  La modifica al quadro normativo europeo di riferimento rappresenta un risultato positivo per i consumatori, cui garantisce una maggiore conoscibilità dei prodotti attraverso le informazioni in etichetta, ma anche un importante passo avanti in favore delle più efficaci azioni che possono essere attuate a tutela del made in Italy.
  Invero, le variazioni apportate al testo originario proposto dalla Commissione (tra le quali il raddoppio del periodo minimo di allevamento per poter indicare in etichetta il Paese di allevamento dell'animale) hanno consentito di fare maggiore chiarezza sulle procedure da seguire per l'apposizione delle diciture in etichetta (anche per la carne suina, nelle varie fasi di commercializzazione) e di fornire al consumatore valide informazioni circa la realtà produttiva.
  Il predetto regolamento di esecuzione (che si applicherà dal 1° aprile 2015), oltre a concedere di integrare, su base volontaria e nel rispetto degli articoli 36 e 37 del Regolamento n. 1169 del 2011, le informazioni sull'origine con ulteriori informazioni relative alla provenienza della carne (tra cui, un livello geografico più dettagliato), consente di utilizzare il termine «origine» solo nel caso di animali nati, allevati e macellati nello stesso Paese e dispone che l'indicazione del luogo di provenienza delle carni avvenga nel seguente modo:
   per tutte le specie: l'indicazione «Origine Italia» può essere utilizzata solo se l'animale è nato, allevato e macellato in Italia;
   per gli ovini e i caprini: l'indicazione «Allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale ha trascorso almeno gli ultimi 6 mesi in Italia ovvero viene macellato sotto i 6 mesi ed ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia;
   per il pollame: l'indicazione «Allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale ha trascorso almeno l'ultimo mese in Italia, ovvero viene macellato sotto 1 mese di età ed ha trascorso l'intero periodo di ingrasso in Italia;
   per i suini: l'indicazione «Allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale viene macellato sopra i 6 mesi e ha trascorso almeno gli ultimi 4 mesi in Italia; se è entrato in Italia ad un peso inferiore ai 30 kg e macellato ad un peso superiore ai 80 chilogrammi e, infine, se l'animale viene macellato ad un peso inferiore agli 80 chilogrammi e ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia.

  È bene ricordare che, a livello nazionale, oltre il 70 per cento dell'intera produzione suinicola italiana già produce carne nel rispetto delle disposizioni dei disciplinari delle nominazioni di origine protetta (Dop) e delle indicazioni geografie protette (Igp).
  In particolare, i disciplinari dei prodotti della salumeria Dop e Igp italiani, approvati a livello europeo, impongono che i suini appartengano a determinate razze appositamente selezionate, vengano allevati in condizioni di benessere e secondo un programma alimentare studiato per le diverse fasi di allevamento. Peraltro, gli allevatori e i macelli aderenti ai circuiti delle produzioni Dop ed Igp sono controllati da Istituti, pubblici o privati, designati dal Ministero monitorano la certificazione dei capi suini destinati alla trasformazione in prodotti Dop e lgp, le movimentazioni degli animali verso altri allevamenti e/o macelli nonché le fasi di macellazione, trasformazione ed eventuale confezionamento.
  Peraltro, il circuito di questi prodotti di qualità include un insieme di operatori iscritti ad un sistema organizzato e controllato della produzione. In pratica, la provenienza della materia prima utilizzata viene tracciata seguendo il seguente percorso: allevamento in cui è nato il suino; allevamento che lo ha avviato al macello; macello; laboratorio di sezionamento; industria di trasformazione.
  Nel dettaglio, l'allevamento di nascita appone sulla coscia dell'animale (entro il 30° giorno di vita) un timbro indelebile (tatuaggio) recante il proprio codice e il mese di nascita dell'animale. Successivamente, l'allevamento da cui i suini partono per il macello certifica, tramite la certificazione unificata di conformità (Cuc) gli animali della partita avviata alla macellazione, indicando i tatuaggi relativi all'allevamento di nascita dei suini, della partita nonché il tipo genetico prevalente. Detta certificazione è accompagnata da eventuali certificati relativi agli spostamenti dei suini in allevamenti diversi da quello di nascita. Il macello, tramite timbro indelebile impresso sulla cotenna, appone poi il proprio codice di identificazione su ogni coscia, dopo aver accertato i requisiti previsti dal disciplinare di produzione. Lo stagionatore, infine, identifica e registra l'inizio del processo di stagionatura. Nel caso dei prosciutti Dop di Parma e di San Daniele viene apposto sulle cosce un sigillo metallico numerato.
  Presso gli stabilimenti di macellazione e lavorazione delle carni suine vengono garantiti i controlli ufficiali dei servizi veterinari delle aziende sanitarie locali che, nella verifica dell'applicazione dei regolamenti europei afferenti al «pacchetto igiene» (regolamenti n. 178 del 2002 e nn. 852, 853, 854 e 882 del 2004), esaminano anche gli aspetti relativi alla rintracciabilità dei prodotti così come disposto dall'articolo 18 del regolamento n. 178 del 2002.
  In ogni caso, è certo che la sicurezza e la qualità degli alimenti possono essere maggiormente garantite attraverso un elevato livello di collaborazione e coordinamento tra diverse amministrazioni. Tale principio è ben consolidato e su di esso si fonda la normativa europea vigente in materia. In particolare, il regolamento n. 882 del 2004 prevede che ciascun Paese membro predisponga un piano di controllo nazionale che assicuri un approccio multidisciplinare per la pianificazione, lo svolgimento e la rendicontazione dei controlli ufficiali.
  A tal fine, il Ministero della salute è il punto di raccordo nazionale per il Piano nazionale integrato (Pni) che nasce dall'intensa e proficua collaborazione con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministero dell'ambiente, e della tutela del territorio e del mare l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, i nuclei del Comando dei Carabinieri (Nas, Nac e Noe, le Capitanerie di porto, il Corpo forestale dello Stato e la Guardia di finanza. Sia il Pni 2011-2014 che le relazioni annuali (ove sono raccolti i dati delle attività svolte dalle citate amministrazioni), sono pubblicati sul portale del Ministero della salute.
  Ricordo, inoltre, che l'articolo 8, comma 4, del decreto-legge 18 giugno 1986, n. 282 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 462 del 1986 stabilisce che presso il Ministero della salute è istituito l'elenco pubblico delle ditte commerciali e dei produttori che abbiano riportato condanne con sentenza passata in giudicato per reati di frode e di sofisticazione alimentare. Il Ministro della salute ne cura annualmente la pubblicazione, con riferimento alle condanne intervenute nell'anno precedente, nella Gazzetta Ufficiale e in almeno due quotidiani a diffusione nazionale.
  A tal riguardo, mi preme sottolineare l'intensa attività di controllo espletata dal Corpo forestale dello Stato sul territorio nazionale, finalizzata al contrasto del fenomeno del falso made in Italy e del cosiddetto italian sounding, ossia l'utilizzo fuorviante, sull'imballaggio dei prodotti agroalimentari, di etichette o simboli che esaltino l'italianità dei luoghi d'origine della materia prima, della ricetta e del marchio.
  Nel corso del 2013, in particolare, il Corpo forestale dello Stato ha posto in essere un'attività sanzionatoria contro il falso made in Italy a tutela sia dei consumatori, che dei produttori onesti, penalizzati da una concorrenza sleale nel libero scambio delle proprie merci all'interno dall'Unione. I controlli eseguiti, oltre a costituire un efficace monitoraggio del made in Italy agroalimentare, hanno consentito il sequestro di circa 600 tonnellate di prodotti e la comunicazione di oltre 170 notizie di reato alla Procura della Repubblica italiana, assicurando la repressione di tutte quelle condotte penalmente rilevanti che si siano poste in evidente contrasto con il leale svolgimento degli scambi commerciali e con la trasparenza informativa nei riguardi del consumatore.
  Vorrei poi ricordare che il Governo, su iniziativa del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali con il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, all'articolo 3 (Interventi per il sostegno del made in Italy), ha previsto che, ad esprimersi sulle indicazioni relative al luogo di origine o di provenienza dei prodotti alimentari e della materia prima agricola utilizzata, siano direttamente i cittadini attraverso una consultazione pubblica, per definire meglio le loro aspettative.
  Ed invero, tale consultazione è iniziata il 7 novembre 2014 sul sito istituzionale del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali; i risultati saranno resi pubblici e trasmessi alla Commissione europea.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   MELILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il taglio pesante ai fondi della cultura sta determinando seri rischi all'attività dell'Archivio Centrale dello Stato; secondo il Sovrintendente dell'Archivio di Stato il fabbisogno minimo per coprire le spese incomprimibili è di 800 mila euro mentre nel 2013 sono stati attribuiti solo 650 mila euro;
   con i suoi 120 chilometri di scaffali e una media di 36 mila pezzi movimentati l'anno, l'Archivio Centrale dello Stato rappresenta da oltre mezzo secolo la memoria storica e documentaria dell'Italia;
   l'inidoneità della sede per la conservazione dei documenti è da tempo stata posta all'attenzione dei vari Governi che si sono succeduti;
   i problemi di spazio si aggravano con la declassificazione degli atti riguardanti le stragi di Ustica, Peteano, Italicus, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Gioia Tauro, Bologna e rapido 904 –:
   quali iniziative intenda intraprendere per garantire l'attività e il futuro dell'Archivio Centrale dello Stato. (4-05953)

  Risposta. — L'Archivio centrale dello Stato, organo dotato di autonomia speciale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT), afferente alla direzione generale per gli archivi (DGA), è l'istituto archivistico depositario della memoria documentale dello Stato unitario.
  Esso ha il compito di conservare gli archivi prodotti dagli organi e dagli uffici centrali dello Stato italiano nato con l'unità: un insieme di archivi e di carte che comprende, tra le fonti più significative, la Costituzione italiana del 1948, la raccolta in originale delle leggi e decreti dello Stato unitario, i verbali della Presidenza del Consiglio dei ministri, la documentazione delle grandi commissioni d'inchiesta, lo stato civile dei Savoia e l'archivio della Real Casa, gli archivi dei tribunali militari e quelli fascisti, con le carte della segreteria particolare di Mussolini. Insieme agli archivi statali, l'Archivio centrale conserva circa cinquanta archivi di enti pubblici e privati, di rilievo nazionale. Alcuni sono stati depositati dagli enti stessi, che hanno messo a disposizione della ricerca storica le proprie carte più antiche, altri da società subentrate a preesistenti istituzioni mentre la maggior parte sono stati versati dal Ministero del tesoro che ha curato la liquidazione degli enti. Si segnalano quelli dell'Opera nazionale combattenti (ONC), dell'Ente per l'esposizione universale di Roma del ’42 (EUR), del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), della Società generale immobiliare (SGIS), dell'istituto per la ricostruzione industriale (IRI). L'Archivio centrale conserva, infine, circa duecentocinquanta archivi personali di esponenti della politica (tra cui Agostino Depretis, Francesco Crispi, Giovanni Giolitti, Vittorio Emanuele Orlando, Ferruccio Farri, Ugo La Malfa, Pietro Nenni) e della cultura, in particolare di architetti, (come Luigi Moretti, Mario Paniconi, Giulio Pediconi, Riccardo Morandi, Plinio Marconi, Gaetano Minnucci, Giuliana Genta), le cui carte svolgono una funzione insostituibile nella ricerca storica.
  L'Archivio centrale ha sofferto, come tutti gli istituti del Ministero, di progressive riduzioni delle risorse finanziarie, in conseguenza dei tagli operati nel bilancio dello Stato, al fine di contenere la spesa pubblica.
  La direzione generale per gli archivi, nel 2013, ha erogato sul capitolo 3030, per le spese di funzionamento, euro 352.010,11; cui devono aggiungersi euro 100.000,00 sui fondi del lotto, euro 12.000,00 sui fondi per l'informatica, euro 150.000,00 sul capitolo 1321 (progetti integrati) e euro 65.000,00 erogati dal servizio I della direzione generale per l'organizzazione, gli affari generali, l'innovazione e il personale, per un totale complessivo di euro 679.010,11. L'Archivio centrale è dotato, inoltre, di autonomia contabile e può, quindi, disporre anche di entrate proprie, ad integrazione degli stanziamenti ministeriali.
  Dal bilancio consuntivo dell'Archivio, per l'esercizio finanziario 2013, risulta un totale di entrate pari a euro 805.415,80, ai quali si aggiungono euro 138.250,00 di altri trasferimenti da parte dello Stato e euro 684.500,00 di un finanziamento sui fondi strutturali europei, successivamente variato nel 2014 e portato a euro 728.420,00, relativi al Piano operativo nazionale (PON) 2007-2013, destinato al progetto ASET «Archivi dello sviluppo economico territoriale», concernente gli archivi della Cassa del Mezzogiorno.
  La direzione generale per gli archivi si fa carico, inoltre, del pagamento di 4.312.276,36 euro, IVA compresa, per la locazione della sede dell'EUR, di proprietà dell'Ente EUR Spa e di 138.958,00 euro, IVA inclusa, per la locazione del deposito di Pomezia, recentemente acquisito.
  Nel contesto di riduzione degli stanziamenti di bilancio, l'amministrazione ha da tempo avviato azioni finalizzate a ridurre i costi complessivi di gestione e ad assicurare all'Istituto maggiori risorse finanziarie.
  Un importante passo in questa direzione è costituito dall'acquisizione, in locazione, di un deposito archivistico a Pomezia, in sostituzione della sede succursale nel quartiere del Serafico.
  La sede attuale dell'Archivio centrale è costituita da due dei tre corpi di fabbrica del complesso che avrebbe dovuto ospitare, in occasione dell'esposizione universale del 1942, la mostra dell'autarchia e che, rimasti incompiuti a causa della guerra, furono completati negli anni cinquanta, senza che vi fossero stati compiuti quei lavori di adeguamento indispensabili a trasformarli e a renderli una funzionale sede d'archivio: un fattore che oggi, in un periodo in cui la scarsità di risorse non permette di effettuare tutte le necessarie manutenzioni, si traduce in uno stato precario dei depositi e in impianti poco efficienti.
  L'acquisizione del deposito di Pomezia ha permesso un notevole risparmio delle spese affitto ed ha aumentato gli spazi a disposizione dell'Archivio. Il deposito di Pomezia costa, come già detto, euro 138.958,00 l'anno e può ospitare 38 chilometri di carte, mentre la succursale del Serafico, presa in affitto a metà degli anni ottanta, custodiva 15 chilometri di carte e costava, tra canone di locazione e costi di gestione, euro 450.000,00 l'anno. Si è, così, aumentata di 23 chilometri la capacità di ricezione dei depositi dell'Archivio centrale, con un notevole risparmio, per l'amministrazione, in termini finanziari e senza ridurre la qualità del servizio.
  Nel deposito di Pomezia sono stati trasferiti, infatti, fondi archivistici privi di adeguate descrizioni (dunque inconsultabili) e altri raramente richiesti. Nei dieci mesi successivi al trasferimento nella sede succursale di Pomezia, si sono ricevute solo due richieste di consultazione per i fondi ivi trasferiti, a riprova della bontà della scelta operata. Contestualmente al trasferimento, è stato possibile razionalizzare la sistemazione di altri fondi della sede centrale.
  L'acquisizione del deposito di Pomezia, con la sua disponibilità di spazi, ha, inoltre, consentito di corrispondere alle richieste di versamento e deposito pervenute, contrariamente agli anni passati, nei quali era stato possibile procedere solo a pochissime nuove acquisizioni. La disponibilità di nuovi spazi ha, come sopra accennato, permesso all'Archivio di beneficiare di un finanziamento PON di euro 728.420,00, per il progetto ASET «Archivi dello sviluppo economico territoriale», per riunire tutti gli archivi prodotti dalla Cassa per il Mezzogiorno e dall'Agensud, archivi che, alla fine degli anni novanta, proprio per carenza di spazio, l'Archivio potè acquisire solo in parte.
  È in programma, nel prossimo anno, il trasferimento al deposito di Pomezia, di ulteriore documentazione oggi conservata nella sede dell'EUR. L'individuazione dei fondi da spostare sarà effettuata seguendo i criteri già adottati per la documentazione trasferita nell'ottobre 2013: vi saranno trasferiti i fondi non inventariati e quelli meno consultati.
  Il trasferimento della documentazione non comporterà conseguenze negative per la qualità del servizio e per gli studiosi che frequentano l'Archivio centrale. Prima del prossimo trasferimento, la sala di studio dell'Archivio sarà dotata, infatti, di un sistema informatizzato di gestione che consentirà agli studiosi di prenotare e chiedere i materiali anche on line, a distanza, così da anticipare le richieste e trovare nella sede dell'EUR quanto richiesto.
  In una prospettiva più ampia, l'estensione del deposito di Pomezia potrebbe essere il passo verso la creazione di quel polo archivistico romano delle pubbliche amministrazioni, di cui da anni si parla e che assume sempre maggiore importanza, anche perché la riduzione del termine per i versamenti dei fondi archivistici, passato da quaranta a trenta anni, determinerà, nei prossimi anni, l'acquisizione di una mole consistente di carte.
  Da una rapida ricognizione, fatta nel 2013, è risultato che la consistenza dei depositi archivistici noti, situati all'esterno delle sedi degli organi centrali dello Stato, su cui l'Archivio centrale esercita la propria competenza, è di 800.000 metri lineari. Anche ipotizzando che una parte sia destinata allo scarto, si tratta comunque una consistente mole di documentazione, di straordinaria importanza e di sicuro interesse per la conoscenza e lo studio della storia del nostro Paese.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   MELILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   un orso marsicano è stato trovato morto nei pressi di Pettorano sul Gizio (AQ) nella riserva regionale Monte Genzana-Alto Gizio, ai confini con il Parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise;
   muore così l'ennesimo esemplare di orso bruno marsicano: il fatto è molto grave essendo ridotta la popolazione di questi rari plantigradi a circa 60 unità ed è quindi a rischio la conservazione di questa specie;
   quest'ultimo episodio segnala una progressione preoccupante: se si divide infatti l'intervallo temporale, della statistica relativa agli orsi rinvenuti morti tra il 1971 ed il 2012, in periodi di sette anni, si nota come ai primi due cicli turbolenti della vita del parco con rispettivamente 22 e 26 decessi, ne sono seguiti altri due dei quali il primo con «soli» 12 morti ed il secondo in ripresa con 17 vittime;
   l'ultimo che si sta vivendo (2006-2014), registra una brutta accelerazione con ben 24 perdite di cui 4 nell'ultimo anno;
   le autorità del parco nazionale d'Abruzzo hanno posto all'attenzione delle istituzioni locali e nazionali il problema della conservazione dell'orso bruno marsicano come grande emergenza sottolineando che il Parco, da solo, non è in grado di gestirla;
   si rende urgente e non più rinviabile, dinanzi al ripetersi di simili incidenti, decidere in tempi brevi: a) un'azione molto più incisiva e coordinata di vigilanza e repressione del fenomeno; b) la costituzione di una banca del seme dell'orso bruno marsicano, valutando con un pool di esperti internazionali la fattibilità di un programma di conservation breeding;
   è necessaria dunque una forte mobilitazione della comunità scientifica e ambientalista per scongiurare il pericolo della scomparsa di questa straordinaria specie appenninica di orsi –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo per sostenere l'azione dell'ente parco nazionale d'Abruzzo a tutela della conservazione dell'orso bruno marsicano e, in particolare, se non ritenga necessario promuovere in tempi brevi la costituzione di una banca del seme. (4-06024)

  Risposta. — Si stima che negli Appennini l'attuale popolazione di orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus) ammonti a circa 50 individui. Poiché il suo prolungato isolamento (400-600 anni) ha determinato una significativa differenziazione genetica e morfologica rispetto alle popolazioni di orsi dell'arco alpino e del resto d'Europa, la residua popolazione va considerata un'unità evolutiva e conservazionistica a sé stante.
  L'areale dell'orso bruno marsicano in Italia centrale si è progressivamente ridotto dal XVII secolo; tale contrazione è stata particolarmente rilevante negli ultimi 200 anni, soprattutto a causa della persecuzione dell'uomo, fino alla istituzione del Parco nazionale d'Abruzzo (oggi Parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise) avvenuta nel 1923. Già negli anni ’70 la popolazione era oramai confinata al territorio del parco e alle aree montane immediatamente circostanti.
  Attualmente l'areale della popolazione comprende il parco e la sua zona di protezione esterna, per una superficie di 1.500-2.500 chilometri quadrati; nelle aree periferiche a tale comprensorio solo periodicamente si registra la presenza di individui erratici, con densità estremamente contenute. Tale più ampio areale di presenza si estende in una matrice di oltre 10.000 chilometri quadrati di habitat idonei alla specie, compresi all'interno del territorio di 5 regioni e 12 province.
  In questo contesto, si svolge l'impegno del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la conservazione della popolazione appenninica di orso bruno marsicano, specie considerata a forte rischio di estinzione.
  In particolare, il «Piano d'azione nazionale per la tutela dell'orso bruno marsicano», in sigla PATOM, è stato predisposto sulla base delle migliori conoscenze scientifiche e a seguito di un ampio processo di partecipazione e discussione su obiettivi, metodi e azioni necessarie per garantire il miglioramento dello stato di conservazione della specie nell'Appennino centrale.
  Nell'ambito di esso, a rafforzamento dell'impegno di conservazione e dato il perdurare di una situazione estremamente critica, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per tramite della competente direzione generale per la protezione della natura e del mare, ha avviato già da tempo una fase di concertazione e collaborazione attiva con tutti gli enti territorialmente competenti, formalizzata anche attraverso uno specifico protocollo d'intesa, firmato in data 27 marzo 2014 dalle regioni Abruzzo, Lazio e Molise, dall'Ente parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise e da questo medesimo Ministero, in seguito formalmente trasmesso alle tre prefetture di Frosinone, Isernia e L'Aquila, al Corpo forestale dello Stato e all'ISPRA.
  In tale protocollo sono descritti gli impegni assunti per dare risposte concrete e congiunte alla conservazione dell'orso marsicano:
   implementare in maniera vigorosa le azioni coordinate previste nel PATOM;
   individuare e regolare le aree contigue del Parco;
   promuovere tutte le misure ad hoc per ridurre la mortalità causata da incidenti stradali;
   incentivare le azioni di prevenzione per contrastare i problemi sanitari;
   limitare gli impatti della caccia;
   gestire in modo coordinato la lotta al bracconaggio, anche potenziando il ricorso ai cani antiveleno.

  Questo Ministero, successivamente alla sottoscrizione di detto protocollo, sta dando seguito agli impegni assunti, in particolare, mediante la collaborazione avviata con l'ispettorato generale e con il comando regionale abruzzese del Corpo forestale dello Stato. Dalla cooperazione tra lo stesso Corpo forestale dello Stato e le autorità provinciali nasce un «protocollo d'intesa» per implementare l'utilizzo delle unità cinofile in area orso, ed un ulteriore «protocollo», per la gestione delle criticità riscontrate nel rinvenimento di fauna selvatica morta, ferita o defedata.
  Detta collaborazione ha favorito, altresì, una rapida risoluzione delle indagini relative all'atto criminoso consumato a danno dell'esemplare di orso, ucciso da colpi di arma da fuoco, rinvenuto il 12 settembre 2011 nel territorio del comune di Pettorano sul Gizio, e ciò grazie alla individuazione del presunto colpevole, un abitante del luogo, per il quale sussiste un procedimento penale avviato proprio grazie alle indagini del Corpo forestale dello Stato.
  Sul punto, appare opportuno segnalare che al fine di rafforzare le possibili sinergie tra amministrazioni dello Stato, enti territoriali e altri soggetti pubblici e privati, con il comma 1 dell'articolo 11 del decreto-legge n. 91 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 116 del 2014, è stata introdotta una specifica misura volta a favorire la promozione di intese e accordi tra i predetti soggetti per lo sviluppo e l'attuazione di piani d'azione per la conservazione di specie di particolare interesse a rischio di estinzione, nel cui novero figura a pieno titolo l'orso marsicano.
  Per quanto attiene, poi, alla possibile costituzione di una banca del seme, si deve premettere e adeguatamente sottolineare che tale ipotesi è strettamente connessa a pratiche di allevamento in cattività (captive breding) di esemplari di orso bruno.
  Peraltro, su quest'ultimo punto era già stato richiesto uno specifico parere all'istituto superiore per la protezione e la cerca ambientale (ISPRA) – che, com’è noto, ha «ereditato» competenze, strutture e personale del soppresso Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS) –, il quale ha ritenuto opportuno richiedere, a sua volta, una valutazione tecnica anche al «Gruppo specialistico sugli Orsi» dell'Unione mondiale per la conservazione della natura (IUCN), all’European Brown Bear Expert Team, e all’International Association far Bear Research and Management.
  In particolare, il «Gruppo Specialistico sugli Orsi» (IUCN SSC BSG), organismo creato dalla Species survival commission dell'IUCN, composto da esperti di tutto il mondo, fornisce supporto tecnico su tutte le materie legate alla conservazione degli orsi e il loro habitat. Il gruppo specialistico ha creato lo European Brown Bear Expert Team, composto dai maggiori esperti europei sulla materia.
  Dal canto suo, l’International association far bear research and management (IBA) è una organizzazione no-profit, costituita da biologi professionisti, faunisti ed esperti di conservazione degli ursidi. Questa associazione organizza periodiche conferenze scientifiche e pubblica la rivista scientifica «Ursus».
  Gli organismi sopra richiamati – cui fanno capo oltre 600 membri di più di 50 paesi – hanno ritenuto di concordare una risposta congiunta al quesito posto dall'ISPRA – che quest'ultima ha pienamente condiviso – ritenendo, in conclusione, che un programma di conservazione ex-situ – basato, cioè, sull'allevamento in cattività – ha scarse o nulle basi scientifiche e comporta rischi significativi. I dati disponibili indicano, infatti, come i rilasci di orsi provenienti dalla cattività non hanno in generale avuto successo, anche a causa dello specifico comportamento degli orsi, che tendono ad evolvere rapidamente, in condizioni di cattività comportamenti di abitudine all'uomo e di dipendenza dalle fonti trofiche artificiali, con il conseguente rischio, in caso di rilascio, di aggravare i conflitti con le attività antropiche e di determinare pericoli per la sicurezza dell'uomo.
  Appare evidente, così, come l'eventuale costituzione di una banca del seme, oltre a non essere in linea con le indicazioni di tutela e conservazione contenute nel PATOM, rappresenta, altresì, un inutile dispendio di risorse, in quanto per la sua biologia, nel caso dell'orso, non vi sono le condizioni né l'opportunità di avviare progetti di allevamento in cattività, al cui fine, necessariamente, una iniziativa di banca del seme sarebbe necessariamente collegata.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MOSCATT. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata del 7 luglio 2014 si è verificato il cedimento strutturale del viadotto nella strada statale 626 nei pressi di Ravanusa (Agrigento);
   tale cedimento strutturale nell'immediatezza ha provocato almeno sei feriti e sarà sicuramente causa di disagi inverosimili per la circolazione stradale;
   tale cedimento è l'ultimo di una serie di crolli stradali che testimoniano in maniera chiara e palese quanto fragile sia il sistema infrastrutturale siciliano ed, in particolare, quello della provincia di Agrigento;
   più volte si è chiesto al Governo di intervenire in maniera urgente per la messa in sicurezza del sistema viario di effettuare seri investimenti per riorganizzare e potenziare le infrastrutture del territorio;
    malgrado gli sforzi messi in atto dagli organi di competenza in Sicilia, senza le dovute risorse, risulta impossibile svolgere attività ordinaria e straordinaria di controllo e manutenzione dell'impianto stradale –:
    quali provvedimenti immediati si intendano porre in essere al fine di garantire l'immediato ripristino del viadotto ed evitare disagi alle popolazioni residenti;
   se non ritenga utile assumere iniziative per stanziare ulteriori fondi al fine di garantire all'ANAS Sicilia le risorse necessarie per svolgere, in maniera sistemica, attività di controllo e manutenzione ordinaria;
   se non ritenga necessario assumere iniziative per porre in essere un sistema di investimenti utile a riqualificare, riorganizzare e potenziare, per quanto di competenza, il sistema viario della Sicilia ed, in particolar modo, quello della provincia di Agrigento. (4-05450)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, relativa al crollo del viadotto Petrulla, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Questo Dicastero, già l'8 luglio 2014, ha richiesto alla società Anas una relazione tecnica sulle cause dell'accaduto, chiedendo altresì di valutare la necessità di eseguire una verifica puntuale, sia di tipo documentale che ispettivo, prioritariamente nel compartimento per la Sicilia, su altri viadotti che per tipologia costruttiva, periodo di realizzazione, caratteristiche degli elementi prefabbricati, ecc., risultassero simili al viadotto oggetto del crollo e quindi potenzialmente a rischio.
  Al riguardo, la predetta Anas ha riferito quanto segue.
  Il giorno 7 luglio 2014, alle ore 11,25 circa, si è verificato il cedimento di una campata del viadotto Petrulla, al chilometro 4+500 della strada statale 626 dir. Licata – Braemi, tra i comuni di Licata e Braemi, in provincia di Agrigento. L'opera, costruita alla fine degli anni settanta, è costituita da 12 campate, con una lunghezza complessiva di 492 metri.
  L'Anas, non appena ricevuta notizia dell'evento, ha prontamente inviato sul posto il proprio personale tecnico che, svolte le prime verifiche, ha ipotizzato quale possibile causa del cedimento strutturale del ponte, la rottura delle travi in cemento armato precompresso di sostegno all'impalcato. Si evidenzia che, sino al citato episodio, nessun segnale premonitore si era verificato sul viadotto, tale da evidenziare eventuali pericoli di instabilità dello stesso, neanche durante i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria effettuati sull'opera d'arte (adeguamento delle barriere di sicurezza, sostituzione dei giunti di dilatazione etc..).
  L'Anas ha, quindi, nominato una commissione tecnica (presieduta dal professore Paolo Petrangeli, docente della facoltà di ingegneria dell'Università di Roma Sapienza, esperto in ponti e grandi infrastrutture) che il 10 luglio, dopo aver ottenuto l'autorizzazione dalle autorità di Polizia giudiziaria, ha eseguito un primo sopralluogo sul viadotto, necessario per esaminare le travi collassate e ispezionare tutte le altre campate; sono state, altresì, avviate tutte le attività utili al ripristino della viabilità sul ponte Petrulla.
  Analoghi sopralluoghi sono stati immediatamente effettuati anche sugli altri otto viadotti situati lungo la statale 626, aventi caratteristiche costruttive simili a quelle del ponte Petrulla, per verificare la sussistenza di eventuali difetti strutturali.
  Contestualmente, d'intesa con la Polizia stradale, gli enti locali e con il coordinamento della prefettura di Agrigento, sono stati individuati i percorsi alternativi per consentire la mobilità nell'area interessata dall'evento.
  L'azione dell'Anas si è, quindi, concentrata sugli interventi di ripristino del tracciato della strada statale 123, da utilizzare quale collegamento alternativo alla strada statale 626 dir, con tempi di percorrenza leggermente superiori.
  Il 25 luglio 2014 è stata aperta al transito la strada statale 123 «di Licata» (che costituisce, appunto, il più breve percorso alternativo alla strada statale 626 tra le località di Ravanusa e Licata); la strada è stata resa percorribile, con il solo divieto temporaneo di circolazione per i mezzi pesanti.
  Nel contempo, sono stati definiti gli ulteriori interventi necessari per il completo riutilizzo dell'arteria alternativa che riguardano la manutenzione straordinaria relativa al ripristino delle pavimentazioni, delle barriere di sicurezza, il rifacimento della segnaletica e il consolidamento di un versante in frana, causa della attuale parziale chiusura della strada.
  I lavori sono iniziati il 15 settembre con ultimazione prevista per il corrente mese.
  Circa la strada statale 626 dir, essa risulta chiusa al traffico dal chilometro 0,00 al 8,800 mentre per la restante parte, a seguito delle verifiche eseguite, Anas ha ritenuto di imporre la sola limitazione del divieto di transito ai mezzi pesanti tra il chilometro 16,300 ed il chilometro 19,300.
  Inoltre, a seguito degli accertamenti effettuati dalla citata commissione tecnica, si è appurato che la causa del cedimento dell'impalcato è da addebitarsi alla corrosione dei cavi di precompressione posti all'interno delle travi. Il fenomeno corrosivo, assolutamente invisibile alle ispezioni esterne eseguite, ha determinato una progressiva perdita di capacità portante delle travi sino al raggiungimento del collasso della struttura.
  Anche se in data 18 settembre il direttore regionale Anas per la Sicilia ne ha chiesto il dissequestro o in subordine la possibilità di accesso all'opera per l'esecuzione di verifiche tecniche, ad oggi il viadotto Petrulla rimane sotto sequestro giudiziario sino a quando i consulenti tecnici, nominati dalla procura della Repubblica di Agrigento, non avranno concluso l'attività di competenza.
  Anas ha già predisposto il progetto per la ricostruzione della campata crollata e per il risanamento delle restanti, per un importo di circa 3/4 milioni di euro che potrà essere meglio precisato solo a seguito dell'esito delle necessarie prove.
  Gli accertamenti conseguenti al collasso della struttura, subito estesi ai restanti viadotti, hanno evidenziato inoltre la necessità di procedere con interventi di ripristino delle condizioni di sicurezza statica, oltre che sul viadotto Petrulla, anche sul viadotto Salso che presenta caratteristiche costruttive simili.
  Più in generale, si fa presente che questa Amministrazione, in relazione alle criticità del sistema infrastrutturale viario, ha dato avvio, negli ultimi anni, a programmi specifici relativi a interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie.
  In particolare, l'articolo 18, comma 10, del decreto-legge n. 69 del 2013, e relativa legge di conversione, ha previsto, tra l'altro, che con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è approvato il programma degli interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie nonché degli ulteriori interventi mirati ad incrementare la sicurezza e a migliorare le condizioni dell'infrastruttura viaria...; attraverso apposite convenzioni stipulate con Anas sono stati individuati, nel dettaglio, gli interventi di manutenzione straordinaria ritenuti prioritari.
  Tali convenzioni assicurano anche una continua attività di verifica della realizzazione degli interventi previsti; inoltre l'Amministrazione, sia centrale sia periferica, può effettuare verifiche e ispezioni sullo stato di attuazione degli interventi.
  Infine, con i predetti programmi di manutenzione straordinaria delle opere d'arte è stato previsto, per la rete stradale siciliana, un finanziamento di 37.9 milioni di euro (ex articolo 18, comma 10, del decreto-legge n. 69 del 2013) per n. 3 interventi e un finanziamento di 49,5 milioni di euro (ex articolo 1, comma 70, della legge n. 147 del 2013) per n. 33 interventi.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   NUTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, in breve ANBSC, è stata istituita con il decreto legge 4 febbraio 2010, n. 4, convertito dalla legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, legge 31 marzo 2010, n. 50;
   l'articolo 1, comma 2, di tale normativa stabilisce che l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata è posta sotto la vigilanza del Ministero dell'interno;
   il 23 dicembre 2011 il direttore dell'ANBSC, prefetto Giuseppe Caruso, il presidente di Assolombarda, Alberto Meomartini, il presidente di ADAI, Renato Garbarini, e il presidente di Fondirigenti, Renato Cuselli, assieme a rappresentanti dei tre partner scientifici che si sarebbero occupati materialmente del percorso di formazione (Fondazione ISTUD, SDA Bocconi e LUISS), hanno sottoscritto la convenzione con la quale sono state definite le modalità di raccordo istituzionale tra gli enti coinvolti è stato reso operativo il progetto per la valorizzazione delle competenze dei manager nella gestione delle imprese sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata;
   la convenzione aveva l'obiettivo di formare un gruppo di manager, inizialmente previsto in un numero di 60, senza oneri a carico dello Stato, in via sperimentale da impiegare a Milano e in Lombardia, e successivamente da ampliare al resto del territorio nazionale;
   obiettivo della Convenzione è la creazione di competenze strategiche e manageriali necessarie per la valutazione e la gestione delle imprese sequestrate e confiscate da mettere a disposizione del Ministero dell'interno e dell'ANBSC;
   ad oggi risulta che tutti i 63 manager che sono stati appositamente formati per poter gestire le imprese sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata, risultano non impiegati, come riportato, tra l'altro, in un articolo de Il Corriere della Sera del 7 marzo 2014;
   nell'articolo si riporta anche il lavoro svolto da questo gruppo di manager relativo a 14 progetti da attuare su altrettante aziende confiscate alla mafia, ma che non risultano essere mai stati impiegati;
   secondo i dati forniti dall'ANBSC, sino ad oggi sono state confiscate più di 1.700 aziende e, secondo gli ultimi dati disponibili, l'Agenzia sta gestendo più di 1.200 imprese, di cui quasi 540, pari a circa il 44 per cento del totale, risultano essere ubicate in Sicilia, mentre le restanti aziende risultano essere tutte ubicate in Campania, Calabria, Lombardia, Lazio e Puglia;
   secondo quanto scritto in un articolo pubblicato sul sito web «LINKIESTA», tra tutte le aziende confiscate alle mafie solo il 4 per cento sopravvive;
   come riportato da numerose associazioni e reso noto anche attraverso la stampa, sono ancora oggi troppe le aziende che, una volta confiscate alla mafia, falliscono dopo pochi mesi, anche a causa della gestione da parte degli amministratori giudiziari, con gravi ricadute negative per il sistema economico, con particolare riguardo ai lavoratori dipendenti di queste aziende, che in alcuni casi non hanno alcun rapporto con la criminalità organizzata –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non intenda attivarsi, anche in base ai poteri di vigilanza sull'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, per promuovere l'impiego concreto dei manager precedentemente formati in convenzione con Assolombarda;
   se non intenda attivarsi per promuovere ulteriori convenzioni con associazioni qualificate su tutto il territorio nazionale, al fine di formare nuovi soggetti con sufficienti capacità manageriali in grado di assistere l'attività degli amministratori giudiziari, ovvero sostituirsi ad essi ove possibile, con particolare riguardo verso quelle regioni, come la Sicilia dove il numero delle aziende confiscate è molto consistente. (4-04009)

  Risposta. — L'interrogante ha richiamato l'attenzione sulla convenzione sottoscritta il 23 dicembre 2011 dal direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, dal presidente di Assolombarda e da altri rappresentanti del mondo del lavoro e della formazione.
  In particolare, chiede se l'amministrazione dell'interno intenda attivarsi per promuovere, nella gestione delle aziende confiscate, l'impiego concreto da parte della predetta Agenzia dei manager formati nell'ambito della convenzione, prevedendo eventualmente per il futuro la formazione di altri nuovi manager attraverso ulteriori convenzioni.
  Occorre precisare, innanzitutto, che la figura del manager è contemplata dal Codice antimafia (decreto legislativo n. 159 del 2011), laddove dispone (articoli 35, comma 4, 38, comma 7) che l'amministratore giudiziario (se si tratta di beni in amministrazione giudiziaria) e il coadiutore (se si tratta di beni amministrati dall'Agenzia nazionale) possano farsi assistere, nella gestione dei beni sequestrati e confiscati, compresi quelli aziendali, da tecnici o da altri soggetti qualificati, ossia da figure dotate di capacità manageriali in grado di supportarli nella loro attività.
  Tuttavia, mentre gli amministratori/coadiutori sono oggetto di una circostanziata disciplina legislativa, a partire dai requisiti professionali di cui debbono disporre per ricevere l'incarico dall'autorità giudiziaria o dall'Agenzia – che, tra l'altro, sono necessari anche per l'iscrizione all'apposito albo tenuto dal Ministero della giustizia –, il codice antimafia e la normativa collegata nulla prevedono con riferimento ai compiti e al ruolo dei manager e alle loro interrelazioni con gli amministratori/coadiutori.
  Al riguardo, va innanzitutto rilevato che, poiché gli obiettivi precipui del coinvolgimento di esperti di gestione aziendali sono quelli di individuare e selezionare le aziende sequestrate che hanno il potenziale per restare o essere rimesse sul mercato e di definire, conseguentemente, un piano industriale di rilancio, tali attività debbono essere effettuate già nella fase del sequestro sotto l'egida dell'autorità giudiziaria competente.
  A tal proposito, risulta all'Agenzia nazionale che, proprio nella consapevolezza di quanto sopra, la stessa Assolombarda – unitamente ai soggetti partner dell'iniziativa che ha portato alla sottoscrizione della convenzione di cui trattasi – ha allo studio soluzioni procedurali per l'inserimento di figure manageriali nel processo di gestione e amministrazione delle aziende sequestrate, con l'intento di sottoporre poi all'esame dei competenti organi legislativi e di governo.
  Appare infatti necessario un mirato intervento normativo volto a colmare la lacuna evidenziata, a seguito del quale l'Agenzia nazionale è disponibile ad attivare ulteriori convenzioni con associazioni qualificate per formare nuovi manager.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   PALAZZOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la mattina di lunedì 7 luglio in Sicilia si è verificato il crollo di alcune campate del viadotto Petrulla, lungo la strada statale 626 tra Licata e Canicattì. Alla base del suddetto crollo ci sarebbe un cedimento strutturale;
   il crollo ha coinvolto due autovetture che sono precipitate a causa dello smottamento, un successivo tamponamento a catena che ha visto coinvolte diverse automobili e ha provocato il ferimento di quattro persone tra cui una donna incinta e un bambino;
   nonostante al momento non ci siano né indagati, né ipotesi di reato a parere dell'interrogante è opportuno far luce su quanto è accaduto perché la sicurezza delle nostre strade e dei cittadini che vi transitano non può essere un tema da sottovalutare;
   secondo una prima ricostruzione sembra che improvvisamente una parte del manto stradale abbia ceduto provocando un vistoso avvallamento nella parte iniziale del viadotto, proprio mentre le automobili stavano transitando, non facendo in tempo ad evitare di finire giù;
   fortunatamente il cedimento strutturale si è verificato nella parte iniziale visto che il viadotto Lauricella arriva anche a 60 metri di altezza;
   secondo quanto ha reso noto l'Anas a crollare è stata una campata del viadotto «Petrulla» (risalente alla fine degli anni settanta, lungo 492 metri e costituito da 12 campate) al chilometro 4,350 della «Licata-Braemi», nel territorio di Licata (Agrigento). La strada è stata chiusa al traffico in entrambe le direzioni tra lo svincolo Licata Calandrino/Innesto strada statale 123 di Licata e deviato su percorsi alternativi;
   sempre secondo i tecnici dell'ANAS, la causa del crollo di una delle campate del viadotto «Petrulla», sembrerebbe imputabile a una rottura delle travi in cemento armato precompresso che sostenevano l'impalcato;
   si ritiene opportuno ricordare che nel 2009, sempre sulla statale 626, era crollato un altro viadotto denominato «Geremia II». Per la vicenda nel 2013 sono stati condannati due tecnici dal gup del tribunale, Lirio Conti. Un anno e cinque mesi per i geometri Aldo Afeltra e Bruno Flore, mentre sono stati rinviati a giudizio il direttore tecnico della società Rizzi di Rovigo, costruttrice del viadotto, Luca Manfredini in qualità di direttore dei lavori, Francesco Lombardo dell'ANAS di Palermo e Luca Rizzi, amministratore delegato della stessa azienda;
   il crollo era avvenuto sulla strada statale 626 Caltanissetta-Gela, nel territorio di Butera, il 28 maggio del 2009, appena tre anni dopo l'inaugurazione. Goffredo Polisanti, amministratore delegato in successione dell'impresa Rizzi di Rovigo, e Corrado Ciolli, componente tecnico della commissione di collaudo, sono stati giudicati in precedenza;
   il viadotto «Geremia II» ebbe un primo cedimento strutturale il 21 maggio 2009, creando un gradino di 50 centimetri contro cui finirono un poliziotto in sella alla sua moto e l'automobile di un autista da noleggio che stava accompagnando a Palermo una donna con i suoi due figli. Rimasero tutti feriti, e in particolare la donna, che subì la frattura scomposta delle vertebre cervicali. Anche l'anno scorso un altro viadotto era crollato nell'Agrigentino mentre il 2 febbraio del 2013 era franato il ponte Verdura sulla statale 115 tra Agrigento e Sciacca. In quella circostanza fortunatamente non vi furono feriti –:
   se il Ministro non intenda intervenire immediatamente affinché si proceda alla verifica di tutti gli interventi necessari atti sia a ripristinare in tempi rapidi la viabilità che a prevenire eventuali problemi sulle altre campate del viadotto;
   se il Ministro non intenda acquisire tutte le informazioni necessarie atte ad escludere che lungo il percorso alternativo individuato (deviazione sulla strada statale 115 e proseguimento sulle strade statali 576, 410 dir, 123 fino all'incrocio con la strada statale 644) non vi siano rischi di altri eventi franosi che possano mettere a rischio l'incolumità degli automobilisti;
   se il Ministro non intenda procedere ad una mappatura per quanto di competenza sullo stato della rete viaria stradale e autostradale siciliano e nazionale al fine di mettere in sicurezza le strade ed evitare così che fatti come quelli descritti in premessa non debbano più ripetersi.
(4-05445)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, relativa al crollo del viadotto Petrulla, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Questo Dicastero, già l'8 luglio 2014, ha richiesto alla società Anas una relazione tecnica sulle cause dell'accaduto, chiedendo altresì di valutare la necessità di eseguire una verifica puntuale, sia di tipo documentale che ispettivo, prioritariamente nel compartimento per la Sicilia, su altri viadotti che per tipologia costruttiva, periodo di realizzazione, caratteristiche degli elementi prefabbricati, eccetera, risultassero simili al viadotto oggetto del crollo e quindi potenzialmente a rischio.
  Al riguardo, la predetta Anas ha riferito quanto segue.
  Il giorno 7 luglio 2014, alle ore 11,25 circa, si è verificato il cedimento di una campata del viadotto Petrulla, al chilometro 4+500 della strada statale 626 dir. Licata-Braemi, tra i comuni di Licata e Braemi, in provincia di Agrigento. L'opera, costruita alla fine degli anni settanta, è costituita da 12 campate, con una lunghezza complessiva di 492 metri.
  L'Anas, non appena ricevuta notizia dell'evento, ha prontamente inviato sul posto il proprio personale tecnico che, svolte le prime verifiche, ha ipotizzato quale possibile causa del cedimento strutturale del ponte, la rottura delle travi in cemento armato precompresso di sostegno all'impalcato. Si evidenzia che, sino al citato episodio, nessun segnale premonitore si era verificato sul viadotto, tale da evidenziare eventuali pericoli di instabilità dello stesso, neanche durante i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria effettuati sull'opera d'arte (adeguamento delle barriere di sicurezza, sostituzione dei giunti di dilatazione eccetera).
  L'Anas ha, quindi, nominato una commissione tecnica (presieduta dal professore Paolo Petrangeli, docente della facoltà di ingegneria dell'Università di Roma Sapienza, esperto in ponti e grandi infrastrutture) che il 10 luglio, dopo aver ottenuto l'autorizzazione dalle autorità di Polizia giudiziaria, ha eseguito un primo sopralluogo sul viadotto, necessario per esaminare le travi collassate e ispezionare tutte le altre campate; sono state, altresì, avviate tutte le attività utili al ripristino della viabilità sul ponte Petrulla.
  Analoghi sopralluoghi sono stati immediatamente effettuati anche sugli altri otto viadotti situati lungo la statale 626, aventi caratteristiche costruttive simili a quelle del ponte Petrulla, per verificare la sussistenza di eventuali difetti strutturali.
  Contestualmente, d'intesa con la Polizia stradale, gli enti locali e con il coordinamento della prefettura di Agrigento, sono stati individuati i percorsi alternativi per consentire la mobilità nell'area interessata dall'evento.
  L'azione dell'Anas si è, quindi, concentrata sugli interventi di ripristino del tracciato della strada statale 123, da utilizzare quale collegamento alternativo alla strada statale 626 dir, con tempi di percorrenza leggermente superiori.
  Il 25 luglio 2014 è stata aperta al transito la strada statale 123 «di Licata» (che costituisce, appunto, il più breve percorso alternativo alla strada statale 626 tra le località di Ravanusa e Licata); la strada è stata resa percorribile, con il solo divieto temporaneo di circolazione per i mezzi pesanti.
  Nel contempo, sono stati definiti gli ulteriori interventi necessari per il completo riutilizzo dell'arteria alternativa che riguardano la manutenzione straordinaria relativa al ripristino delle pavimentazioni, delle barriere di sicurezza, il rifacimento della segnaletica e il consolidamento di un versante in frana, causa della attuale parziale chiusura della strada.
  I lavori sono iniziati il 15 settembre con ultimazione prevista per il corrente mese.
  Circa la strada statale 626 dir essa risulta chiusa al traffico dal chilometro 0,00 al chilometro 8,800 mentre per la restante parte, a seguito delle verifiche eseguite, Anas ha ritenuto di imporre la sola limitazione del divieto di transito ai mezzi pesanti tra il chilometro 16,300 ed il chilometro 19,300.
  Inoltre, a seguito degli accertamenti effettuati dalla citata commissione tecnica, si è appurato che la causa del cedimento dell'impalcato è da addebitarsi alla corrosione dei cavi di precompressione posti all'interno delle travi. Il fenomeno corrosivo, assolutamente invisibile alle ispezioni esterne eseguite, ha determinato una progressiva perdita di capacità portante delle travi sino al raggiungimento del collasso della struttura.
  Anche se in data 18 settembre il direttore regionale Anas per la Sicilia ne ha chiesto il dissequestro o in subordine la possibilità di accesso all'opera per l'esecuzione di verifiche tecniche, ad oggi il viadotto Petrulla rimane sotto sequestro giudiziario sino a quando i consulenti tecnici, nominati dalla procura della Repubblica di Agrigento, non avranno concluso l'attività di competenza.
  Anas ha già predisposto il progetto per la ricostruzione della campata crollata e per il risanamento delle restanti, per un importo di circa 3/4 milioni di euro che potrà essere meglio precisato solo a seguito dell'esito delle necessarie prove.
  Gli accertamenti conseguenti al collasso della struttura, subito estesi ai restanti viadotti, hanno evidenziato inoltre la necessità di procedere con interventi di ripristino delle condizioni di sicurezza statica, oltre che sul viadotto Petrulla, anche sul viadotto Salso che presenta caratteristiche costruttive simili.
  Più in generale, si fa presente che questa Amministrazione, in relazione alle criticità del sistema infrastrutturale viario, ha dato avvio, negli ultimi anni, a programmi specifici relativi a interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie.
  In particolare, l'articolo 18, comma 10, del decreto-legge n. 69 del 2013, e relativa legge di conversione, ha previsto, tra l'altro, che con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è approvato il programma degli interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie nonché degli ulteriori interventi mirati ad incrementare la sicurezza e a migliorare le condizioni dell'infrastruttura viaria...»; attraverso apposite convenzioni stipulate con Anas sono stati individuati, nel dettaglio, gli interventi di manutenzione straordinaria ritenuti prioritari.
  Tali convenzioni assicurano anche una continua attività di verifica della realizzazione degli interventi previsti; inoltre l'Amministrazione, sia centrale sia periferica, può effettuare verifiche e ispezioni sullo stato di attuazione degli interventi.
  Infine, con i predetti programmi di manutenzione straordinaria delle opere d'arte è stato previsto, per la rete stradale siciliana, un finanziamento di 37,9 milioni di euro (
ex articolo 18, comma 10, del decreto-legge n. 69 del 2013) per n. 3 interventi e un finanziamento di 49,5 milioni di euro (ex articolo 1, comma 70, della legge n. 147 del 2013) per n. 33 interventi.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   PELUFFO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa nazionale e locale che la signora Massimilla Conti, consigliera comunale eletta nel comune di Motta Visconti (provincia di Milano) ha pubblicato in data 31 ottobre 2014 sul suo profilo Facebook le seguenti frasi testualmente riportate da numerosi organi di comunicazione: «Se tra i cani ci sono razze che vengono più predisposte ad aggredire, perché non ammettiamo che i rom sono più portati a commettere certi reati.» «Le telecamere servono per punire tutti sti bastardi ! Comunque niente gattabuia, ci vorrebbero i forni... metto a disposizione la mia taverna. Se vedete del fumo strano che esce dal tetto non vi preoccupate»;
   nelle frasi riportate, pubblicamente espresse, a giudizio dell'interrogante si richiamano apertamente le pratiche di sterminio sistematico su base etnica, religiosa e razziale messe in pratica dai nazisti negli anni Trenta e Quaranta del XX secolo, e si ravvisa pertanto chiaramente una propaganda di idee fondate sulla superiorità e sull'odio razziale o etnico, istigando al contempo a commettere atti di discriminazione per motivi razziali ed etnici;
   tale condotta si presenta in aperto contrasto, con le principali normative in materia di prevenzione dell'odio razziale, tra cui la legge 20 giugno 1952, n. 645 recante «Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione»; la legge 13 ottobre 1975 n. 654 recante «Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966»; il decreto-legge 26 aprile 1993 n. 122 convertito con modificazioni dalla legge 25 giugno 1993, n. 205 recante «Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa (cosiddetta Legge Mancino);
   l'articolo 54 comma secondo, della Costituzione della Repubblica italiana recita testualmente: «I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle, con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.» –:
   di quali elementi disponga il Ministro in relazione a quanto esposto in premessa e se risultino avviate indagini rispetto ai fatti descritti;
   se non intenda assumere iniziative normative volte a implementare le sanzioni per esternazioni apertamente xenofobe, razziste e istigatrici alla violenza, qualora provengano da persone che esercitano una funzione pubblica o ricoprano incarichi istituzionali come nel caso della consigliera comunale di cui in premessa. (4-06798)

  Risposta. — Il 21 settembre 2014 un consigliere del comune di Motta Visconti – in provincia di Milano – ha pubblicato sulle pagine di Facebook alcune frasi offensive che, secondo i carabinieri del locale comando, possono essere fatte risalire a un tentativo di furto avvenuto il giorno prima in una villetta confinante con l'abitazione del consigliere medesimo. Frasi dello stesso tenore sono comparse anche successivamente, in particolare nelle giornate del 29 settembre e del 29 ottobre.
  Su tali fatti risulta iscritto presso la Procura della Repubblica di Roma un procedimento penale, al momento a carico di ignoti, per il reato di cui all'articolo 3 della legge n. 645 del 1975, che ha ratificato la convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale.
  A parte gli aspetti penali della vicenda, l'ordinamento amministrativo contempla l'adozione di provvedimenti di rigore nei confronti di titolari di cariche elettive.
  Tale previsione è tuttavia limitata a fattispecie circoscritte che non sembrano ricorrere nel caso in esame.
  Infatti, l'allontanamento, anche temporaneo, dell'amministratore pubblico, nel nostro sistema, sembra essere legato a gravi manchevolezze connesse all'esercizio del
munus pubblico, mentre nel caso in esame il comportamento, per quanto palesemente disdicevole, del consigliere comunale non appare presentare tale specifica connessione.
  Su un diverso piano, cioè quello dell'applicazione della legge Severino e del decreto attuativo relativo alla sospensione e decadenza degli amministratori locali, occorrerà attendere, come è noto, l'esito del procedimento penale per verificare se si siano concretizzati i presupposti per le misure, cautelari e definitive, previste dal decreto attuativo 235 del 2012.
  Quanto alla specifica sollecitazione contenuta nell'interrogazione, il Governo è disponibile a confrontarsi con il Parlamento su proposte di legge volte a rafforzare il sistema sanzionatorio nei riguardi di pubblici funzionari e amministratori che si rendano responsabili di esternazioni razziste.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   PETRAROLI e DE ROSA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'intervento per la costruzione di una rete ferroviaria fa parte del programma di collegamento tra Mendrisio (Lugano) e Varese (aeroporto della Malpensa). La parte italiana dell'opera prevede: adeguamenti tecnologici sulla tratta esistente Varese-Arcisate e precisamente il raddoppio della tratta esistente Arcisate-bivio per porto Ceresio e la tratta di nuova realizzazione tra Arcisate e il confine di Stato in località Gaggiolo per una lunghezza pari a 3,740 chilometri comprendente gli innesti sulla linea preesistente; buona parte della tratta interrata;
   il progetto partito nell'anno 1999 è inserito nell'accordo di programma quadro tra Governo e regione in materia di trasporti «Realizzazione di un sistema integrato di accessibilità ferroviaria e stradale all'aeroporto di Malpensa»;
   si arriva all'anno 2004 dove l'intervento è incluso nel piano delle priorità degli investimenti di Rete ferroviaria italiana (RFI), approvato dal CIPE il 20 dicembre, tra i nuovi progetti di legge obiettivo, con la denominazione «Nuovo collegamento Arcisate-Stabio», con il costo di 185 milioni di euro. Successivamente il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti trasmette al CIPE la relazione istruttoria del progetto preliminare, proponendone l'approvazione ai soli fini procedurali. Il CIPE, con delibera n. 82, approva il progetto preliminare anche ai fini del riconoscimento della compatibilità ambientale e individua in RFI spa il soggetto aggiudicatore con il compito di redigere il progetto definitivo. I tempi di realizzazione, compresi quelli per la progettazione esecutiva, sono stimati in circa 35 mesi. La data di attivazione prevista è il 30 ottobre 2008. Le modifiche apportate al progetto sulla base delle prescrizioni della regione Lombardia e la maggiore complessità dell'intervento fanno aumentare il costo complessivo a 203,7 milioni di euro;
   si è giunti al 2014 e l'opera, che doveva essere terminata nel 2011, è ancora in alto mare;
   sussiste un problema che ferma il proseguo dei lavori, esso è dato dalle «terre di scavo» che contengono arsenico i cui valori di concentrazione sono superiori ai limiti tabellari imposti dal decreto-legge n. 152 del 2006 e non possono pertanto essere utilizzate. L'area in oggetto è storicamente nota per i valori «anomali» in arsenico, anche se occorre sottolineare che l'origine del metalloide è geochimica, quindi naturale. Si osserva quella che agli interroganti appare una superficialità nelle indagini, eseguite non preventivamente ma durante le operazioni di scavo. Il fatto che non si sia eseguita una caratterizzazione preventiva è senz'altro colpa ad avviso degli interroganti non solo delle due parti più direttamente interessate alla questione (stazione appaltante ed appaltatore) ma anche di tutti gli enti pubblici, che sono stati coinvolti nella procedura di VIA ed hanno di conseguenza avallato il progetto e la valutazione delle ricadute ambientali dell'opera in modo alquanto superficiale;
   stante tale situazione, l'appaltatore si è trovato, a cantieri aperti e con una buona parte di scavi già eseguiti, di fronte allo scenario di dovere smaltire 800.000 metri cubi di terre da scavo, non riutilizzabili ai sensi del decreto-legge a causa del superamento di detti limiti tabellari, che definiscono i terreni come «contaminati». Tale aspetto potrebbe avere un costo per l'appaltatore di almeno 80 milioni di euro, dovendo smaltire le terre da scavo in discarica per rifiuti non pericolosi –:
   cosa intenda fare il Ministro in merito alla riapertura dei cantieri e alle terre da scavo. (4-03586)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, si ritiene opportuno ripercorrere sinteticamente gli eventi che hanno caratterizzano l’iter procedimentale per la realizzazione del nuovo collegamento ferroviario tra Arcisate e Stabio.
  Il progetto preliminare è stato approvato, come ricordato anche nel presente atto ispettivo, con delibera Cipe n. 82 del 2004, mentre il progetto definitivo con delibera Cipe n. 7 del 2008. La realizzazione del nuovo collegamento Arcisate-Stabio è stata poi affidata all'Ati Salini-Carena nel 2010, con appalto integrato. Il costo a vita intera del progetto è di 261 milioni di euro.
  Il 15 aprile 2011, le analisi in corso d'opera sui terreni oggetto di scavo hanno evidenziato la presenza di arsenico di origine naturale, con superamento talvolta dei limiti di colonna A (20 ppm) e B (50 ppm) di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Stante la presenza di arsenico naturale nei terreni, precedentemente non ipotizzata, l'appaltatore ha conseguentemente modificato il piano di gestione delle terre e rocce da scavo (Pgtr). La nuova versione del documento è stata presentata dall'appaltatore nell'aprile 2012 e approvata con prescrizioni dalla Regione Lombardia nel maggio 2012.
  Il Pgtr così modificato prevedeva il conferimento delle terre in esubero (con contaminazione da arsenico naturale) presso la
ex cava Rainer, tramite un'apposita modellazione morfologica.
  Al 30 aprile 2013, non risultando ancora perfezionato l’
iter autorizzativo relativo al progetto di sistemazione (rimodellazione morfologica con il conferimento delle terre in esubero) dell'ex cava Rainer, sono state rinvenute tracce di idrocarburi nel sito e, di conseguenza, la Provincia di Varese ha dichiarato il sito «potenzialmente inquinato».
  Nell'ambito degli incontri che sono seguiti fra le parti coinvolte, nel mese di giugno 2013, la Regione Lombardia chiedeva quindi di procedere con tutte quelle lavorazioni che non riguardassero gli scavi in genere e che potessero consentire la continuità ai cantieri per almeno tre mesi, inteso quale arco temporale necessario per trovare una soluzione alla problematica.
  Quindi, in tale periodo sono state sviluppate dagli enti (regione e Arpa su tutti) le possibili alternative per l'individuazione di un idoneo sito per lo stoccaggio definitivo delle terre in esubero, che risultasse alternativo alla ex cava Rainer.
  La Regione Lombardia ha successivamente comunicato di aver individuato una possibile soluzione per la gestione e il conferimento delle terre, dando così avvio all’
iter istruttorio per l'approvazione della variante di progetto.
  Italferr spa, in qualità di soggetto tecnico di Rete ferroviaria italiana (Rfi), ha provveduto a redigere il progetto esecutivo di sistemazione ambientale relativo a due siti per la messa a dimora definitiva delle rocce e delle terre da scavo provenienti dal cantiere della linea ferroviaria.
  In particolare, il progetto esecutivo in variante presentato prevede che il quantitativo complessivo di materiale di scavo da allocare, pari a 807.000 metri cubi, sarà suddiviso, secondo criteri di recupero ambientale, rispettivamente in 233.500 metri cubi per l'area CSFB02 (ex proprietà Rainer) e i rimanenti 573.500 metri cubi nel sito di cava Femar, che si trova nel territorio comunale di Viggiù (VA).
  In data 28 aprile 2014, Rfi spa in qualità di soggetto aggiudicatore ha inviato detto progetto esecutivo agli enti competenti.
  L'impresa Ics Grandi Lavori, quale appaltatore, progettista e titolare del Pgtr, ha elaborato la revisione D dello stesso piano e il piano di gestione e recupero dello smarino di galleria; infine ha provveduto all'invio di tale documentazione a tutti gli enti interessati dall'intervento.
  Il 5 giugno 2014 è stata convocata la conferenza di servizi.
  Conclusa detta conferenza e ottenuti i pareri relativi, fra cui quello della Regione Lombardia in data 12 settembre 2014 e quello del Ministero per i beni e le attività culturali in data 30 settembre 2014, il citato progetto esecutivo in variante è stato sottoposto al Cipe e approvato, con prescrizioni e raccomandazioni, nella seduta del 10 novembre scorso. Non appena sarà pubblicata la delibera Cipe (presumibilmente entro fine anno), potranno riprendere i lavori, la cui durata, da progetto, è prevista entro due anni. Il Ministro ha inoltre chiesto all'Amministratore di Rfi di individuare soluzioni, con il coinvolgimento degli enti locali, che consentano di ridurre i tempi di realizzazione.
  Infine, per completezza d'informazione, faccio presente che le problematiche emerse in merito al conferimento dei materiali provenienti dalla realizzazione delle opere relative alla nuova infrastruttura ferroviaria hanno determinato, in fase di esecuzione dei lavori, la necessità di realizzare il rimodellamento morfologico di due aree limitrofe alla linea stessa e di revisionare, quindi, gli originari criteri di gestione delle terre e rocce da scavo da movimentare nell'ambito dei lavori d'appalto.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   PILOZZI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Certosa di Trisulti è un monastero benedettino sito nel comune di Collepardo, in provincia di Frosinone;
   l'attuale complesso monumentale, dichiarato Monumento nazionale sin dal 1873 e di competenza del demanio, fu costruito nel 1204 costituendo nei secoli uno dei centri più importanti della cristianità medievale e rinascimentale;
   al suo interno, la Certosa conserva testimonianze storiche, architettoniche e artistiche di altissimo rilievo, come l'antica farmacia, gli affreschi della Chiesa e l'antico chiostro e la biblioteca;
   oggi la Certosa ospita solamente 3-4 monaci cistercensi ai quali, unitamente al personale ministeriale che gestisce la biblioteca, è di fatto demandato il compito di aprire ai visitatori la Certosa;
   l'intero complesso, nonostante la completa assenza di politiche volte a sviluppare i flussi turistici nazionali e internazionali, ospita annualmente circa 100.000 turisti da tutto il mondo che accorrono ad ammirare la maestosità e la bellezza della struttura e dei magnifici luoghi che la circondano;
   oggi però, la struttura della Certosa, nonostante alcuni recenti interventi di recupero degli edifici di culto, necessita di importanti interventi di restauro conservativo per evitare che, nel breve volgere di qualche anno, intere parti del complesso possano subire danni molto gravi;
   l'assenza di manutenzione ordinaria, di personale in grado di gestire la quotidianità della struttura, la riduzione del numero dei monaci presenti, che in questi secoli ne hanno comunque garantito la manutenzione e la valorizzazione, sono fattori che rischiano di portare la Certosa ad un rapido deterioramento delle sue strutture;
   inoltre, la grandiosità e l'importanza del complesso meriterebbero una maggiore valorizzazione turistica dello stesso che, in un territorio devastato da una profonda crisi economica e sociale oramai pluriennale, costituirebbe una importante occasione di crescita economica e occupazionale –:
   se non ritenga opportuno pianificare e realizzare interventi urgenti di restauro conservativo del Monumento nazionale Certosa di Trisulti a Collepardo, in provincia di Frosinone;
   se non intenda elaborare, di concerto con le istituzioni locali, un piano per la valorizzazione turistica della Certosa di Trisulti che possa contribuire e alla conservazione del Monumento naturale e alla crescita economica e occupazionale dell'intero territorio. (4-05533)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, con la quale l'interrogante, lamentandone lo stato di conservazione, chiede di «pianificare e realizzare interventi urgenti di restauro conservativo del monumento nazionale Certosa di Trisulti a Collepardo» e di «elaborare, di concerto con le istituzioni locali, un piano per la valorizzazione turistica della Certosa», si comunica quanto segue.
  Il complesso monumentale della Certosa di Trisulti, nel comune di Collepardo (Frosinone) costituisce un sito di eccezionale valenza culturale, sia per gli aspetti storico-architettonici che per quelli paesaggistici, essendo immerso nella secolare cornice ambientale dei boschi di querce dei monti Ernici, a ridosso del Parco nazionale d'Abruzzo.
  La Certosa ospita al suo interno una biblioteca pubblica statale. La consistenza del patrimonio bibliografico della biblioteca è di 37.000 volumi, tra i quali molti pregiati libri liturgici, in gran parte messali e breviari; vi sono, inoltre, incunaboli, cinquecentine, manoscritti e codici pergamenacei. La biblioteca è specializzata in testi religiosi, di farmacia antica e di medicina antica. Le spese di funzionamento della biblioteca sono sostenute da questo Ministero, tramite la Direzione generale per le biblioteche, gli istituti culturali ed il diritto d'autore.
  La conservazione del complesso monumentale della Certosa di Trisulti è seriamente minacciata dal cattivo stato di fatto delle coperture della stessa. Dalle verifiche eseguite sui luoghi, si è constatato l'avvallamento di estese porzioni di copertura in più punti, dovuti al cedimento di alcuni elementi dell'orditura primaria e secondaria. Tali dislivellamenti e sconnessioni del manto di copertura causano l'infiltrazione delle acque meteoriche all'interno della struttura.
  Nella stesura delle programmazioni triennali dei lavori pubblici la competente Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo ha provveduto, ogni anno, a richiedere fondi da destinare alla salvaguardia del complesso monumentale in esame.
  Sono in corso di affidamento all'impresa «Francesco Graziosi S.r.l.» i lavori di restauro delle coperture dell'emeroteca della Certosa (perizia n. 174 del 19 novembre 2013), per un impegno di spesa complessivo di euro 100.000,00. Inoltre è in corso di redazione un progetto di «Pronto intervento in somma urgenza per la messa in sicurezza di porzioni della copertura dell'edificio refettorio» che comporterà un impegno di spesa complessivo di euro 25.000,00.
  In ogni caso, per un'adeguata opera di salvaguardia del bene, che consenta la corretta conservazione dei tesori artistici e architettonici ivi custoditi, è necessario un intervento radicale di restauro conservativo delle coperture compromesse, per il quale la soprintendenza competente ha stimato necessario un impegno di spesa di euro 1.000.000,00.
  Al momento, inoltre, la Certosa di Trisulti è oggetto, insieme con altri siti statali, di un importante e innovativo progetto, coordinato dalla Direzione generale per il paesaggio, le belle arti, l'architettura e l'arte contemporanee, con la fattiva collaborazione delle strutture periferiche del Ministero.
  Tale progetto discende da una convenzione stipulata il 3 settembre 2011 tra la Direzione generale e Arcus spa, società a capitale pubblico per la «Verifica della sicurezza sismica dei musei statali. Applicazione dell'Ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3274 del 2003 e successive modificazioni e integrazioni e della direttiva P.C.M. del 12 ottobre 2007», per un importo complessivo di euro 4.000.000,00, riguardante quarantacinque sedi museali statali, localizzate in undici regioni particolarmente esposte al rischio sismico. La Certosa di Trisulti è uno dei tre siti scelti nel Lazio e, nel 2013, è stato sottoscritto, tra la Direzione e l'Università degli studi del Molise, Laboratorio di dinamica strutturale e geotecnica, un contratto di ricerca che prevede l'effettuazione delle verifiche sismiche dell'intero complesso sino al livello di dettaglio, la formulazione di proposte per la revisione e/o aggiornamento delle linee guida per la valutazione e la riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale (circolare n. 26 del 2 dicembre 2010) e la formulazione di proposte per la valutazione della sicurezza sismica dei beni mobili presenti nei siti monumentali.
  La ricerca parte da un puntuale rilevamento del manufatto, come noto assai ampio, articolato e complesso, svolto con l'ausilio delle tecnologie più aggiornate, per proseguire con una ricostruzione delle sue vicende costruttive e storico-artistiche, una definizione dei suoi materiali costitutivi e del complessivo stato di conservazione, anche attraverso l'esecuzione di saggi e prove. Non sono previsti interventi diretti di consolidamento o miglioramento antisismico, ma gli stessi potranno essere suggeriti e localizzati puntualmente in esito alle verifiche svolte. Lo studio è in corso e già sono stati consegnati alla direzione generale due stati di avanzamento. La conclusione della ricerca è prevista per febbraio 2015. A essa seguirà una successiva e ampia informativa e divulgazione dei risultati, secondo modalità da concordare con gli organi periferici dell'amministrazione e i dipartimenti universitari coinvolti. I risultati di tale ricerca, realmente sperimentale e innovativa, volta a individuare possibili strategie anche per la salvaguardia dell'importantissimo patrimonio mobiliare custodito nella Certosa, costituiranno la base di conoscenza imprescindibile per ogni futuro intervento di restauro conservativo che, si auspica, possa trovare presto pratica attuazione.
  Va, poi, evidenziato che la soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici del Lazio si è attivata per reperire fondi da destinare al recupero dei dipinti murali, delle tele e degli arredi dell'edificio sacro. Il restauro dei locali antistanti l'antica farmacia ha consentito il recupero delle opere del pittore campano Filippo Balbi, della seconda metà del secolo XIX. In considerazione della funzione prioritaria della valorizzazione del sito monumentale, ai fini di una maggiore conoscenza e fruibilità, la soprintendenza ha realizzato un video che accompagna virtualmente il visitatore all'interno della Certosa; il filmato è stato presentato nell'ambito di una conferenza svoltasi l'otto settembre scorso, nella sala del Consiglio nazionale del Ministero. Il video sarà reso disponibile, per la visione, sul sito
web della soprintendenza.
  L'attenzione della soprintendenza è attualmente orientata a reperire le risorse che consentano il restauro della volta affrescata della chiesa, opera di Filippo Caci, nella seconda metà del sec. XVII, compromessa dalle infiltrazioni d'acqua determinate dalle condizioni del tetto.
  L'Amministrazione, sia a livello centrale che nella articolazioni periferiche, è impegnata affinché, fra tutti gli enti istituzionali interessati alle sorti della Certosa, si realizzi una convergenza degli sforzi mirati alla conservazione del monumento, importante non solo dal punto di vista storico-artistico ma anche per le potenziali ricadute positive sul turismo e sull'economia del territorio.
  In tal senso si segnala che la Certosa di Trisulti è inserita nel progetto «Via Benedicti sulle tracce di San Benedetto tra Umbria e Lazio» che insieme alla via Francigena di San Francesco, fanno parte dell'ambizioso progetto «Cammini di fede», ideato e realizzato dall'Azienda di promozione turistica di Rieti, con la collaborazione delle regioni Umbria, Lazio e Molise e co-finanziato dal Dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo, a sostegno dei sistemi turistici locali.
  Per quanto sopra esposto, dunque, si segnala la disponibilità dello scrivente Ministero ad intraprendere, assieme a tutti gli altri attori istituzionali coinvolti, ogni consentita iniziativa al fine di valorizzare e tutelare, nell'ambito delle risorse attualmente disponibili o che si dovessero rendere tali in futuro, la Certosa di Trisulti.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto Gino Lisa di Foggia è un'infrastruttura funzionante nella quale nel corso degli anni sono state investite ingenti risorse pubbliche in opere di ammodernamento;
   in particolare, nel maggio 2011 è stato presentato al comune di Foggia il progetto di allungamento della pista di volo dell'aeroporto di Foggia «Gino Lisa», che nel successivo mese di luglio è stato approvato dalla giunta comunale;
   alla fine del mese di luglio 2011 una delibera del CIPE relativa all'impiego delle disponibilità del fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) ha destinato 14 milioni di euro in favore dell'allungamento della pista dell'aeroporto di Foggia, fondi poi confermati dalla Corte dei conti a fine dicembre 2011;
   la conferenza di servizi tra comune, regione e la società Aeroporti di Puglia, che ha curato il progetto, si è conclusa con alcune richieste per la chiusura dell'istruttoria, tra le quali il rilascio del parere della valutazione di impatto ambientale da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   dopo oltre un anno dalla consegna di alcune integrazioni della documentazione necessaria al rilascio della VIA, avvenuta, come si legge sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il 9 gennaio 2013, con una nota del 24 gennaio 2014 è stata disposta una sospensione di quarantacinque giorni del procedimento concessorio; ad oggi, nonostante i termini per la sospensione siano già decorsi da due mesi, la VIA non è ancora stata concessa;
   il rilascio della valutazione d'impatto ambientale è l'ultimo atto necessario per potere appaltare i lavori di allungamento della pista, atto che si attende da ormai oltre nove mesi e la cui omissione, a giudizio dell'interrogante immotivata, rischia di pregiudicare il progetto di adeguamento di questa importante infrastruttura, nonché di causare gravi danni alla comunità per la perdita dei fondi già stanziati;
   l'aeroporto di Foggia già oggi appartiene al Comprehensive Network della rete Ten-T approvata da Parlamento europeo, Commissione europea e Consiglio dei ministri europeo in via definitiva nel dicembre del 2013, e nella proposta di piano nazionale è l'unico, oltre lo scalo di Forlì, a essere escluso dall'elenco degli scali d'interesse nazionale, nonostante il piano sia stato approntato secondo criteri molto estensivi, se si considera che in esso rientrano ben 38 aeroporti, 12 strategici e 26 di interesse nazionale, e che tra questi sono stati inseriti anche scali non rientranti nella rete TEN-T come Cuneo, Crotone, Comiso, Taranto, Salerno, Parma;
   gli aeroporti citati, peraltro, non sono caratterizzati da volumi di traffico storici rilevanti, né sono ubicati in aree con potenziale di traffico, numero residenti e flussi turistici superiori a quello di Foggia, né sono distanti da altri scali più di quanto Foggia sia da Bari; appare, ad esempio, incomprensibile come la Calabria, con meno di due milioni di abitanti, possa avere tre aeroporti di interesse nazionale per traffico passeggeri (Lamezia, Reggio Calabria, Crotone), mentre la Puglia, con quattro milioni di abitanti ed una lunghezza di oltre 400 chilometri, ne veda funzionanti solo due adibiti al trasporto passeggeri, tra loro distanti circa cento chilometri;
   la provincia di Foggia è la seconda più estesa d'Italia dopo Bolzano e comprende nel proprio territorio aree interne, remote, periferiche, geograficamente ed economicamente svantaggiate, quali ad esempio il Gargano e i Monti Dauni, che distano oltre duecento chilometri dall'aeroporto di Bari;
   lo scalo di Foggia si trova ad una distanza tale dagli aeroporti di Bari (122 chilometri) e Pescara (196 chilometri) da potere beneficiare di un bacino d'utenza specifico e non sovrapposto ad altri scali;
   l'aeroporto di Foggia è essenziale allo sviluppo economico e sociale dell'intera area –:
   quali siano gli elementi che hanno determinato la sospensione del procedimento per la concessione della valutazione d'impatto ambientale e quali siano le ragioni, ad oggi, del mancato rilascio, al fine di ottenerlo quanto prima e non disperdere le somme già stanziate per la realizzazione dell'opera;
   nell'ambito dell'approntamento del Piano nazionale di sviluppo aeroportuale, se non ritenga di reinserire l'aeroporto «Gino Lisa» di Foggia nell'elenco degli scali di interesse nazionale, come scalo che soddisfa esigenze di continuità territoriale e di servizio ai flussi turistici ed attività imprenditoriali del Gargano e dell'intera zona della Capitanata. (4-04780)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri del 1o agosto 2014, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Nell'ambito del Piano nazionale degli aeroporti, di recente approvazione, l'aeroporto di Foggia «Gino Lisa» riveste la funzione di aeroporto di interesse regionale, all'interno del sistema aeroportuale pugliese. Nella tabella che elenca gli aeroporti di interesse nazionale sono inseriti tre aeroporti pugliesi: Bari, Brindisi e Taranto, individuandoli come appartenenti ad uno dei dieci bacini di traffico in cui è stato suddiviso il Paese; aeroporti che oggi appaiono sufficienti a fornire risposta alla domanda di traffico dell'intero territorio pugliese.
  In proposito, occorre evidenziare che il processo per l'individuazione degli aeroporti e dei sistemi aeroportuali di interesse nazionale riveste carattere dinamico, in quanto lo stesso si fonda su azioni progressive di specializzazione del ruolo degli aeroporti e di risanamento economico-finanziario degli stessi, al fine di realizzare uno sviluppo integrato con le altre realtà aeroportuali dei bacini di traffico di riferimento.
  In particolare, le predette linee programmatiche favoriscono forme di alleanze e di sistema tra i vari aeroporti di bacino quali elementi di priorità per l'interesse nazionale degli stessi.
  Pertanto, anche aeroporti che, al momento, non risultano in possesso delle condizioni per il riconoscimento dell'interesse nazionale, possono essere coinvolti, d'intesa con le Regioni interessate, in processi di specializzazione di ruolo e alleanze di sistema, nonché di risanamento economico-finanziario per assurgere ad un diverso ruolo nella rete aeroportuale nazionale.
  Rilievo fondamentale, a tale riguardo, avranno le politiche regionali di coinvolgimento delle varie realtà aeroportuali esistenti sui territori, in un disegno organico di sviluppo sistemico delle stesse realtà rapportate alle esigenze e alle potenzialità di tutte le aeree interessate.
  Le potenzialità dell'aeroporto di Foggia, in relazione alle attrattive turistiche del Gargano, ai siti di interesse religioso in esso presenti, all'economia del territorio e dei bacini circostanti, potranno essere convogliate in un disegno industriale di sviluppo e crescita della domanda di trasporto aereo tale da far superare le criticità in atto, che fanno registrare, invece, allo stato attuale, uno scarsissimo traffico aeroportuale che non consente, al momento, di delineare un diverso ruolo del medesimo aeroporto.
  Infine, per quanto riguarda il progetto di ampliamento della pista di volo dell'aeroporto «Gino Lisa», il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (Mattm) evidenzia che in data 6 marzo 2012 l'Enac ha presentato la domanda di pronuncia di compatibilità ambientale relativa al ”Progetto di prolungamento della pista di volo RWY 15/33».
  L'intervento previsto riguarda il prolungamento di detta pista nella direzione nord della testata 15, la realizzazione di una zona
back track in testata 15, la realizzazione di nuova viabilità perimetrale, l'adeguamento e l'implementazione degli impianti di volo notturni e degli aiuti visivi luminosi.
  Il successivo 23 marzo 2012 la competente direzione del Mattm ha dato avvio all'istruttoria presso la Commissione tecnica Via/Vas.
  Senza ripercorrere tutte le ulteriori fasi dell’
iter procedurale si segnala, da ultimo, che il 5 settembre scorso, la competente struttura tecnica dell'Enac ha fornito al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare gli ultimi chiarimenti richiesti; al momento si è in attesa del parere della commissione tecnica Via per dare quindi esecutività agli interventi previsti.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   RICCIATTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Saipem spa, Società anonima italiana perforazioni e montaggi, è una società per azioni facente parte del gruppo Eni, costituita nel 1956 ed operante nel settore della prestazione di servizi per il settore petrolifero. La società è specializzata nella realizzazione di infrastrutture riguardanti la ricerca di giacimenti di idrocarburi, la perforazione e la messa in produzione di pozzi petroliferi, nonché la costruzione di oleodotti;
   nell'esercizio della propria attività si avvale della collaborazione di alcune società controllate, quali la Sonsub, l'Intermare Sarda e la Moss Maritime, ma anche di aziende e consulenze esterne che costituiscono, in alcune aree, un indotto significativo;
   nel 2006 Saipem ha acquisito la Snamprogetti (incorporandola definitivamente nel 2008), leader dei progetti onshore del settore, estendendo così la competenza anche ai progetti su terra;
   oggi la società è uno dei più importanti contractor a livello mondiale del settore della costruzione e manutenzione delle infrastrutture al servizio dell'industria petrolifera, con una operatività in tutti e cinque i continenti;
   la terza sede del gruppo per importanza, dopo quella centrale a Milano San Donato e la succursale parigina in Francia, si trova a Fano (PU), dove lavorano oltre mille tecnici di altissimo livello professionale, specializzati nel progettare e costruire pipe-line, oleodotti e gasdotti, in giro per il mondo;
   negli ultimi mesi, ed in particolare a partire da luglio 2014, si sono succedute diverse indiscrezioni su una possibile cessione del gruppo Saipem da parte della maggior azionista Eni che ne detiene il 43 per cento circa della azioni;
   tali indiscrezioni sono state rilanciate dapprima da autorevoli testate giornalistiche e successivamente confermate, il primo agosto 2014, da Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, il quale ha tracciato la nuova strategia del colosso petrolifero italiano;
   già il 22 luglio 2014, il quotidiano La Repubblica, tra gli altri, segnalava come diversi rumors riferissero di un mandato in questa direzione affidato alla banca d'affari statunitense Goldman Sachs, con conseguente sondaggio tra potenziali compratori, come i russi di Rosneft ma soprattutto i gruppi norvegesi Subsea 7 e Seadrill; 
   la direzione di Eni verso il probabile disimpegno da Saipem sembrerebbe avere la finalità di spostare sempre più il focus della società sulle operazioni cosiddette upstream, ovvero a più elevato ritorno economico;
   il Wall Street Journal del 21 luglio 2014 indicava, anche, una possibile revisione delle attività di raffinazione (sempre secondo quanto riferisce la stampa specializzata, infatti, il business Refining & Marketing di Eni avrebbe perso una media di 106 milioni di euro al trimestre dal 2009, come hanno rilevato gli analisti di Sanford C. Bernstepz, tanto che lo scorso anno la divisione R&M ha avuto un cash flow negativo che ha pesato per il 5 per cento sugli investimenti complessivi);
   la cessione di Saipem si presenterebbe, quindi, come una operazione volta a indirizzare le attività del gruppo Eni verso iniziative più remunerative per la società a discapito della finalità primaria dell’ approvvigionamento energetico – ad avviso dell'interrogante – che il gruppo dovrebbe perseguire, anche in virtù del fatto che l'azionista di maggioranza dell'Eni è il popolo italiano, seppure per il tramite del Ministero dell'economia e delle finanze, che a sua vota controlla la Cassa depositi e prestiti;
   come ha avuto modo di ribadire anche Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia – società indipendente di ricerca in campo energetico e ambientale –, al quotidiano torinese La Stampa il primo agosto 2014, «Saipem è davvero un gioiello, è leader mondiale nella posa dei tubi, soprattutto sottomarini, e nelle piattaforme offshore». Sebbene in genere i colossi petroliferi acquistino tali servizi sul mercato, il fatto che Eni possieda la quota di maggioranza di Saipem consente di mantenere in mani italiane l'altissimo – e strategico – know how della società di progettazione; un eventuale disimpegno di Eni da Saipem potrebbe avere degli effetti particolarmente preoccupanti per la sopravvivenza della stessa società; 
   secondo gli analisti finanziari della banca d'investimento Equita, infatti, ci sono diverse incognite rispetto all'operazione di cessione, dovute innanzitutto al fatto che Saipem ha ancora progetti problematici per 5,8 miliardi di euro e poi l'ammontare significativo di debito infragruppo (il 90 per cento dei complessivi 4,5 miliardi) che in caso di cessione andrebbe rifinanziato; 
   evidentemente, come gli analisti finanziari rilevano, per Saipem trovare delle alternative alle sue fonti di finanziamento attuali potrebbe essere difficile e le stesse potrebbero essere più care;
   assolutamente non trascurabili sono poi i riflessi occupazionali per i territori interessati;
   in particolare, quello di Fano, dove a causa della crisi economica prolungata la città ha già perso, nel corso degli ultimi anni – e continua a perdere –, pezzi importanti delle sue professionalità e dell'economia;
   tra le indicazioni strategiche del gruppo Eni vi è anche la riduzione della sua presenza in Europa;
   almeno di fronte alla pubblica opinione, il Governo ribadisce costantemente la necessità e l'obiettivo di aumentare i livelli occupazionali e rilanciare l'economia mediante la leva dello sviluppo di attività ad alto tasso di innovazione e know how;
   la cessione di Saipem da parte di Eni – controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze – va in direzione opposta a tali dichiarazioni di intenti, privando l'Italia di una realtà ad elevatissimo know how, colpendo duramente i livelli occupazionali di un territorio già provato duramente dalla crisi economica e desertificando un indotto qualificato, che a traino di Saipem ha costruito a sua volta professionalità di livello altissimo –:
   se il Ministro interrogato non ritenga l'iniziativa di Eni, di cedere Saipem, contraria agli interessi generali del Paese, individuati nella necessità di mantenere i livelli occupazionali e salvaguardare i know how strategici;
   quali iniziative intenda intraprendere per salvaguardare tali interessi;
   se non ritenga opportuno intervenire, attraverso gli strumenti riconosciuti dall'ordinamento, facendo valere nel gruppo Eni i legittimi interessi dell'azionista di maggioranza – il Paese tutto – esercitati per il tramite del Ministero dell'economia e delle finanze. (4-06544)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame, concernente la società Saipem s.p.a (Società anonima italiana perforazioni e montaggi), facente parte del Gruppo Eni.
  Al riguardo, si fa presente che il 31 luglio 2014 l'amministratore delegato di ENI, nel contesto di un più generale aggiornamento sulla strategia di medio termine, ha dichiarato che il gruppo si è dotato di una nuova struttura organizzativa ancora più focalizzata sulle priorità di
business oil & gas e sulla centralizzazione dei servizi tecnici e di staff.
  In tale contesto Saipem rappresenta una partecipazione
non-core, in linea con la composizione del portafoglio di tutte le altre Oil major internazionali con cui Eni si confronta e a cui è equiparata dagli investitori mondiali nelle scelte di investimento.
  Pertanto, Eni sta valutando una serie di opzioni sulle quali aggiornerà opportunamente il mercato.
  Nel frattempo continuerà a sostenere Saipem assicurandone la solidità finanziaria.

Il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanzeEnrico Zanetti.


   RIZZETTO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dai giornali di stampa che Marco Vallisa, 53 anni, tecnico specializzato italiano che lavora in Libia, è irreperibile da sabato 5 luglio 2014 insieme a due colleghi stranieri, uno bosniaco e l'altro macedone. I tre tecnici – tutti dipendenti della ditta di Modena «Piacentini Costruzioni» – sono scomparsi a Zuwara, nell'ovest della Libia;
   il Governo di Tripoli ritiene che gli scomparsi siano stati rapiti, come dichiara l'emittente panaraba Al Arabiya. La Farnesina, da parte sua, conferma che il connazionale Marco Vallisa è a tutt'oggi irreperibile e che le verifiche del caso sono ancora in corso;
   a parere dell'interrogante, come già più volte espresso in precedenti interrogazioni concernenti il rapimento di operai italiani in Libia, si ritiene che vi siano delle gravi responsabilità del Ministero degli affari esteri per la scomparsa di Marco Vallisa, poiché non sono stati adottati i necessari provvedimenti per tutelare la sicurezza dei dipendenti delle imprese italiane che operano in territorio libico considerando la situazione a rischio sicurezza che sussiste in tale Stato;
   il predetto Ministero è ben consapevole che molte imprese italiane operano in tale territorio e dei rischi a cui sono quotidianamente sottoposti i lavoratori, pertanto, la scomparsa di Marco Vallisa continua a confermare l'incapacità della Farnesina di adottare incisi provvedimenti per tutelare l'incolumità fisica di coloro che lavorano in tale Stato;
   inoltre, come già denunciato dall'interrogante, la situazione è resa più grave dal fatto che il Ministero degli affari esteri non si adopera adeguatamente per la liquidazione dei crediti delle imprese italiane in Libia successivi alla crisi dell'anno 2001;
   la mancata liquidazione di tali crediti, determinando la crisi delle aziende coinvolte, ha costretto, a rischio di vita, gli imprenditori e gli operai delle stesse a continuare ad operare in Libia pur di far «sopravvivere» tali attività;
   negli anni, tali fatti sono stati denunciati più volte dalle imprese, tra cui la friulana Bitumi International srl, al Ministero degli affari esteri, tuttavia, ad oggi, tali realtà risultano totalmente abbandonate dalle istituzioni, sia per quanto concerne la sicurezza dei lavoratori che rispetto alla liquidazione dei crediti di cui sono titolari le imprese italiane;
   su tale questione, con atto del 27 febbraio 2014, il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Mario Giro, ha fornito risposta all'interrogazione del 4 febbraio 2014 (4-03364), che non è stata ritenuta soddisfacente dall'interrogante, in particolare, relativamente alle misure predisposte per l'incolumità dei lavoratori italiani in Libia nonché i provvedimenti adottati per la liquidazione dei crediti –:
   se e quali provvedimenti siano stati adottati dal Ministro interrogato per rintracciare Marco Vallisa, tecnico dell'impresa «Piacentini Costruzioni» di Modena, scomparso in territorio libico;
   se e quali interventi siano stati posti in essere dal Ministro interrogato per tutelare i lavoratori delle imprese italiane che operano in Libia, considerando la situazione a rischio sicurezza che sussiste in tale Stato;
   se e quali concreti provvedimenti abbia adottato per risolvere la ben nota situazione che vede una moltitudine di imprese italiane in attesa, da molti anni, della liquidazione di crediti in Libia, costringendo le stesse, per stato di necessità, a continuare ad operare in territorio libico al fine di far sopravvivere le proprie attività. (4-05441)

  Risposta. — Il 13 novembre 2014 la vicenda del sequestro del signor Marco Vallisa (nato a Piacenza l'11 aprile 1961) si è conclusa positivamente con la liberazione del connazionale. Il raggiungimento di tale risultato è stato possibile soprattutto grazie all'efficace azione di tutti gli organi dello Stato che hanno lavorato tra di loro in stretta sinergia per restituire il signor Vallisa all'affetto dei suoi cari. È stata impiegata la stessa dedizione e professionalità già dimostrata in passato dal Ministero degli affari esteri che, in raccordo con le altre competenti articolazioni dello Stato, ha portato alla liberazione di 45 connazionali negli ultimi tre anni.
  Il connazionale era stato rapito assieme a due cittadini di nazionalità rispettivamente bosniaca e macedone (Petar Matic e Milasin Gafuri) nella località di Zwara, che si trova sulla costa occidentale della Libia. I due tecnici stranieri erano stati successivamente liberati (lunedì 7 luglio 2014) mentre il connazionale era rimasto nelle mani dei rapitori.
  A seguito della segnalazione della scomparsa fatta dall'Ambasciata d'Italia a Tripoli e dalla stessa ditta, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale si era immediatamente attivato in coordinamento con le altre competenti articolazioni dello Stato, procedendo alle necessarie verifiche ed attivando gli opportuni canali di ricerca.
  Contestualmente, come di consueto avviene in tali circostanze, era stato stabilito un canale diretto con la famiglia per aggiornarla sulla situazione. I membri della famiglia sono inoltre stati ricevuti presso l'unità di crisi per un punto di situazione e con loro sono sempre stati mantenuti costanti e periodici contatti.
  Dalle verifiche effettuate è emerso che la predetta ditta, per cui lavorava il connazionale, non aveva segnalato la sua presenza alla nostra rappresentanza diplomatica, né a questo Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Il tecnico non risultava infatti iscritto in alcuna lista istituzionale (AIRE e/o stabili presenze) e non aveva proceduto a registrarsi nemmeno sul sito dell'unità di crisi/Ministero degli affari esteri
www.dovesiamonelmondo.it, come suggerito dall'avviso sicurezza Libia presente nel portale www.viaggiaresicuri.it, da tutti fruibile. A tale proposito è opportuno ricordare che il predetto avviso, alla data in cui avveniva il sequestro, conteneva specifiche raccomandazioni per i connazionali che intendevano recarsi in Libia. In particolare, il sito citava che nella zona dove è avvenuto il rapimento «Le visite a carattere professionale, se motivate da necessità imperative e indifferibili, devono essere svolte adottando ogni possibile misura prudenziale. Gli alti rischi connessi a ulteriori possibili manifestazioni violente, ancorché non dirette contro cittadini stranieri, inducono a raccomandare estrema cautela negli spostamenti in città, che si invita a limitare quanto più possibile. Si raccomanda, in particolare, la puntuale programmazione degli incontri e dei movimenti sul territorio, che dovranno essere comunicati in anticipo all'Ambasciata e al Consolato generale a Tripoli».
  Tali raccomandazioni sono state pubblicate al fine di rendere tutti i nostri connazionali, che intendevano ed intendono recarsi in Libia, ben consapevoli del precario quadro di sicurezza in cui versa il Paese africano, con particolare riferimento ai lavoratori e agli operatori economici.
  Per quanto concerne la sicurezza degli operai italiani che lavorano in Libia, preme ricordare come l'Ambasciata d'Italia a Tripoli intrattenga uno strettissimo e costante contatto con tutti i connazionali presenti e con tutte le realtà imprenditoriali che ad essa si sono regolarmente notificate, destinatarie peraltro di regolari informative sulla situazione di sicurezza, recanti altresì istruzioni di comportamento in relazione a specifiche situazioni di rischio. Tale sistema di monitoraggio ed informazione, attivo 24 ore su 24 per 365 giorni l'anno, è peraltro particolarmente apprezzato dalla nostra comunità di affari presente nel Paese e si è rivelato di estrema utilità in molteplici circostanze proprio a tutela dell'incolumità dei nostri connazionali.
  La risoluzione delle pendenze relative ai crediti delle aziende italiane rimane una delle priorità dell'azione del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale in Libia, pur nel difficilissimo passaggio che il Paese sta attraversando, dopo le recenti elezioni parlamentari del 25 giugno 2014, sia sul piano della transizione politica, che in termini di recrudescenza delle violenze.
  Per quanto riguarda i crediti vantati da oltre 100 aziende italiane nei confronti della Libia e legati a contratti risalenti agli anni ’80-’90 (cosiddetti «crediti storici»), all'indomani della rivoluzione del 2011 le Autorità libiche hanno espresso disponibilità a riaprire le trattative. Benché si tratti di una problematica riconducibile a responsabilità del passato regime, le nuove autorità di Tripoli considerano il superamento di tale annoso contenzioso come un investimento per iniettare rinnovata linfa e fiducia nel rapporto bilaterale con l'Italia. Tripoli ha quindi ripresentato un'ipotesi «transattiva» finalizzata a chiudere il contenzioso e ritenuta ad un primo esame interessante e soddisfacente dalle tre associazioni rappresentative dei creditori; su tali basi si è svolta una serie di sessioni negoziali tra le parti.
  Il 7 giugno 2013 alla Farnesina è stato firmato un Verbale di riunione (cosiddetto
Meeting Summary) che chiude la contesa a livello politico, con la conferma del versamento da parte libica di una cifra transattiva di 233 milioni di euro a favore delle imprese creditrici.
  Nonostante l'impegno profuso personalmente dall'allora Primo Ministro Zidan, divergenze tra le parti su aspetti di natura tecnica e legale hanno impedito, in una prima fase, la finalizzazione degli accordi esecutivi tra il Governo libico e le associazioni rappresentative dei creditori. Proprio per superare gli ultimi scogli tecnici e chiudere definitivamente il contenzioso, alla vigilia della Conferenza di Roma sulla Libia del 6 marzo scorse, si è svolta una missione a Roma del Vice Ministro delle finanze Suleiman Gheit Mraja, in occasione della quale è stato definito il testo di un accordo tecnico-giuridico (
Settlement Agreement) tra il Governo libico e le tre associazioni dei creditori «storici» sulle modalità di pagamento, in applicazione dell'intesa politica del 7 giugno 2013; quest'ultima aveva definito, tra i tanti aspetti, l'ammontare dell'offerta libica e i creditori che ne sarebbero stati i destinatari. Tale risultato è stato raggiunto anche grazie all'approccio flessibile e costruttivo dei rappresentanti delle tre Associazioni, che hanno effettuato alcune importanti concessioni, anche rispetto a quanto convenuto nell'intesa politica.
  Il testo del
Settlement Agreement è stato firmato dai rappresentanti delle tre associazioni. Da parte sua, Mraja lo ha siglato rinviando la firma ad una decisione da parte del Consiglio dei ministri. Non è stata finora possibile l'adozione di tale decisione da parte del Governo, sul quale la Farnesina e l'Ambasciata a Tripoli continuano comunque a mantenere alta la pressione.
  In occasione di una riunione svoltasi prima dello scoppio dei nuovi scontri tra il Vice Ministro delle finanze Mraja e l'Ambasciatore Buccino, quest'ultimo ha ribadito la viva aspettativa del Governo italiano che il
settlement agreement possa essere quanto prima approvato da parte dell'Esecutivo libico, come ultimo passaggio formale richiesto alle Autorità di Tripoli prima della firma e dell'attuazione del documento. Il Vice Ministro, da parte sua, ha confermato di avere consegnato il settlement agreement all'ufficio del Primo Ministro con l'indicazione di approvarlo, ricordando tuttavia che l'approvazione del bilancio per il 2014 avrebbe costituito una precondizione per l'avanzamento di tale dossier. La legge di bilancio libica (il cui voto era stato rinviato per mesi, a causa della grave crisi istituzionale), è stata adottata dal Congresso il 22 giugno 2014 (invero senza una votazione formale e in virtù di una norma che ne prevede l'adozione se essa non viene discussa per tre mesi dopo la sua presentazione). Rimane peraltro da verificare se la Banca Centrale – che ha avanzato riserve sulla sostenibilità di molte previsioni finanziarie – consentirà l'attuazione pratica di tale legge e di tale decisione, sbloccando i pagamenti sospesi da tempo.
  L'Ambasciatore italiano ha consegnato una nota riassuntiva sul dossier anche al Primo Ministro attuale, Al Thinni, il quale ha mostrato di essere al corrente della questione ed ha assicurato la massima attenzione per una celere approvazione dell'accordo, che deve comunque scontare la complessità del momento che sta attraversando il Paese.
  Si era quindi ad un piccolissimo passo dalla soluzione. Purtroppo la crisi in Libia non ha fatto che aggravarsi e il Paese sta attraversando una nuova e delicatissima fase di instabilità.
  Più complessa è la questione dei crediti maturati dalle imprese italiane, in maggioranza di dimensioni piccole e medie, che operavano in Libia quando è scoppiata la rivoluzione (cosiddetti «crediti recenti»). Malgrado il costante impegno della Farnesina e della nostra Ambasciata a Tripoli, le aperture a tratti manifestate dalle autorità libiche, le difficoltà interne (il susseguirsi di vari Governi, i problemi di bilancio causati dall’
oil disruption e le ultime violenze) hanno finora impedito di addivenire a una soluzione definitiva (salvo pochissime eccezioni, con intese raggiunte caso per caso e riguardanti le aziende più grandi).
  Sono state tentate varie strade: dapprima si era pensato ad una commissione che avrebbe dovuto rivedere i contratti individuali per escludere il sospetto di corruzione delle autorità locali; successivamente si è valutata l'ipotesi di una ripresa dell'esecuzione dei progetti da parte delle nostre imprese a fronte del pagamento immediato del 50 per cento dei crediti maturati, cui avrebbe fatto seguito il pagamento dilazionato del restante ammontare con l'esecuzione completa del contratto. Nessuna di queste vie è stata effettivamente accolta dalle Autorità libiche, né nei confronti delle imprese italiane, né di imprenditori di altri Paesi. In sostanza, sia il precedente Governo Zidan che il successivo esecutivo Al Thinni, prima dell'attuale situazione di stallo politico, hanno dato prova di disponibilità e continuato a manifestare la volontà di sanare le situazioni sospese, anche se all'atto pratico pochi sono stati i risultati.
  Nel 2013 l'approvazione del bilancio dello Stato, che per la prima volta assegnava ai Ministeri parti significative delle risorse derivate dallo sfruttamento degli idrocarburi, ha lasciato intravedere qualche opportunità; in alcuni casi, la disponibilità di queste risorse ha in effetti consentito il pagamento sia pure parziale di alcuni crediti arretrati. Cruciale è stata, per l'ottenimento di tali risultati, l'azione della Farnesina e della nostra Ambasciata a Tripoli sui vertici dei vari Dicasteri libici coinvolti. Si tratta però di un numero limitato di aziende secondo l'approccio
case by case preferito da Tripoli.
  Nel 2014 i notevoli tagli effettuati dalla legge di bilancio rischiano di complicare il quadro. Malgrado la complessità dell'esercizio di recupero dei crediti, le incognite che pesano sull'attuazione della legge di bilancio e quelle che scaturiscono dalla escalation della violenza, sia il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale che l'Ambasciata a Tripoli continueranno ad impegnarsi, passo per passo, per il superamento di tutte le difficoltà.
  L'Italia rimane in prima fila per favorire una soluzione politica alla crisi libica, favorendo il processo di mediazione a guida delle Nazioni Unite, come testimoniato dalla visita a Tripoli dell'11 ottobre 2014 della allora Ministro Mogherini assieme al segretario generale dell'ONU e sostenendo il lavoro dello SRSG/Capo di
United nations support mission in Libya, Bernardino Leon.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   SCAGLIUSI, L'ABBATE, TOFALO, SIBILIA, SPADONI e MANLIO DI STEFANO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 401 del 1990 regola l'attività degli istituti italiani di, cultura e il servizio in Italia e all'estero del personale di ruolo dell'area della promozione culturale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
   il principio della rotazione del personale di ruolo tra le sedi all'estero e la sede centrale è regolato dall'articolo 13 della legge n. 401 del 1990: il cui comma 4 recita: «Dopo ogni periodo di servizio all'estero, il servizio in Italia non può avere durata inferiore a due anni e superiore a quattro anni. Tale servizio può essere svolto anche in posizione di comando presso università, istituzioni culturali pubbliche, enti di ricerca e altre Amministrazioni dello Stato che svolgono attività connesse con le finalità della presente legge»;
   a giudizio degli interroganti in aperto contrasto con la legge succitata nelle circolari ministeriali regolanti gli atti amministrativi di assegnazione del personale di ruolo dell'area della promozione culturali nelle sedi estere a tale limite di due anni di servizio in Italia è stato derogato più volte nel corso del 2013 e 2014, da ultimo nella lista straordinaria 2014 per il personale APC (diramata con messaggio ministeriale n. 0217069 del giorno 06/10/2014) così come rettificata con messaggio Ministeriale 0224023 del 13 ottobre 2014, oltre che nella lista straordinaria III 2013 per il personale APC, messaggio ministeriale n. 0268561 del 27 novembre 2013; nella lista straordinaria 2013 per il personale APC, messaggio ministeriale n.0132284 dell'11 giugno 2013; nella lista straordinaria 2013 per il personale APC, messaggio ministeriale n. 0058289 del 12 marzo 2013;
   la ratio della citata norma risiede, oltre che nel principio generale di rotazione che regola l'organizzazione degli uffici pubblici, nella necessità tipica del personale con compiti di promozione culturale, di aggiornarsi circa la realtà culturale italiana contemporanea dopo un periodo di permanenza all'estero di nove anni, e di riprendere contatto con le istituzioni culturali e con i loro dirigenti, con i quali il personale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione interazionale è chiamato a collaborare nella sua azione di promozione della lingua e della cultura italiana e dei servizi culturali italiani all'estero;
   l'insistita iterazione di una deroga in materia di personale, destinata ad avvantaggiare solo chi si trova in condizioni di beneficiarne, nella fattispecie soltanto una parte del personale in questione, dà luogo a fenomeni di distorsione organizzativa, secondo gli interroganti chiaro indicatore di cattiva gestione dell'attività amministrativa e fonte di disparità di trattamento nel caso di gestione del personale –:
   quali iniziative il Ministro intenda mettere in atto per regolare la rotazione del personale dell'area della promozione culturale secondo i principi di buona gestione degli uffici, nonché se il Ministro abbia intenzione di far rispettare il limite minimo di due anni previsto dalla normativa succitata. (4-06525)

  Risposta. — La normativa prevista dalla legge n. 401 del 1990 in materia di avvicendamenti, nello specifico all'articolo 13 – commi 3 e 4, che stabiliva i termini minimi e massimi di permanenza all'estero, è stata nel tempo integrata da una serie di successivi contratti collettivi integrativi sottoscritti dall'amministrazione e dalle diverse organizzazioni sindacali che disciplinavano la materia dei termini in maniera parzialmente difforme da quanto inizialmente previsto dalla legge n. 401. Tale facoltà era in origine contemplata dall'ampia delega di materie che la legge ordinaria ed in particolare il decreto legislativo n. 165 del 2001 (articolo 2, comma 2 secondo periodo) aveva assegnato alla potestà di regolamentazione pattizia nell'ambito della cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego.
  Con la radicale modifica dell'impianto della contrattazione integrativa introdotto dalla cosiddetta riforma Brunetta (legge n. 15 del 2009 e decreto legislativo n. 150 del 2009), tale materia è stata sottratta alla potestà regolamentare contrattuale e ricompresa nel novero delle competenze di gestione del personale riconosciute all'amministrazione «con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro». Nell'esercizio di tale facoltà il Maeci ha ritenuto di regolare l'intera materia dei trasferimenti attraverso due Circolari, una per tutto il personale delle AA.FF (Circolare 1/2010) e l'altra specifica per il personale dell'APC (Circolare 2/2011). Quest'ultima rispetta quanto previsto dalla legge n. 401 del 1990 per la nomina dei direttori ed estende, per analogia di funzioni e di responsabilità, tale modalità alla nomina dei capi delle sezioni distaccate. D'altro canto le organizzazioni rappresentative del personale, né in sede di confronto sul testo della Circolare, né in occasione delle successive ripetute informative sui trasferimenti, hanno sollevato obiezioni in merito.
  Tale scelta è stata a suo tempo dettata da due esigenze concorrenti.
  In un contesto caratterizzato dalla consistente riduzione della presenza negli organici (dimezzatasi rispetto agli anni ’90) si è sentita la priorità di dotare la rete del personale necessario ad assicurare il funzionamento degli Istituti. Ciò è coinciso con la possibilità per l'amministrazione di disporre di più ampi margini di elasticità nella gestione dei termini di trasferimento all'estero del proprio personale, proprio per garantire una migliore e più produttiva allocazione delle risorse disponibili.
  In secondo luogo si mirava a far fronte alla necessità di eliminare le disparità di trattamento che sarebbero emerse dalla pedissequa applicazione della più restrittiva disciplina di legge nei confronti della sola categoria di personale APC rispetto al restante personale amministrativo e tecnico delle AA.FF., e che peraltro avrebbero creato un irragionevole pregiudizio per il solo personale Apc. A mero titolo di esempio, la legge prevede per la sola categoria di personale Apc un termine massimo di permanenza presso l'Amministrazione centrale, con conseguente obbligo di invio all'estero, nonché termini massimi di permanenza all'estero inferiori rispetto a quelli riconosciuti al restante personale delle AA.FF.
  Ne è conseguito che il personale Apc in servizio presso il Maeci ha potuto chiedere di essere riassegnato in una sede all'estero anche in tempi relativamente brevi dal suo rientro in Italia. Nell'offrire tale possibilità non si è violata la parità poiché l'assegnazione dei candidati è stata comunque effettuata tenendo presente, insieme alle caratteristiche professionali e personali, anche la durata della loro permanenza presso il Ministero.
  In ossequio al principio di piena trasparenza dell'azione amministrativa, il Maeci ha comunque ritenuto opportuno sottoporre un quesito all'avvocatura generale dello Stato sulla questione.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il consiglio comunale di Torre Annunziata è stato già sciolto per condizionamenti di tipo camorristico nel 1992;
   nel luglio 2011 il dirigente dell'Ufficio Tecnico Comunale, ing. Corrado Orrico, è stato rimosso dal suo incarico, e successivamente, dopo aver presentato un esposto alla procura della Repubblica di Torre Annunziata, ha rilasciato un'intervista a organi di stampa locale denunciando sprechi di risorse pubbliche e interferenze continue ed anomale nella gestione dei lavori pubblici da parte di componenti della giunta comunale, come riportato da MetropolisWeb il 31 luglio dello stesso anno nell'articolo «Torre Annunziata, bufera politica per il caso-Orrico»;
   pochi giorni dopo, come si rileva dall'articolo del quotidiano locale online TorreSette.it intitolato «Del Gaudio, esposto al prefetto: “Sciogliere il Consiglio comunale !«” dell'8 agosto 2011, il dottor Michele del Gaudio, ex magistrato e parlamentare, ha presentato un esposto al Prefetto di Napoli e alla procura della Repubblica di Torre Annunziata nel quale, sulla base di un articolato dossier, chiedeva se vi fossero le condizioni per lo scioglimento del consiglio comunale;
   in occasione delle elezioni amministrative del 2012 sono state denunciate alle forze dell'ordine numerose irregolarità presso i seggi elettorali;
   in quell'occasione è stato eletto come sindaco di Torre Annunziata, Giosuè Starita con oltre il 60 per cento dei voti;
   Ciro Alfieri, vicesindaco con deleghe alle politiche sociali e ambito, alle pari opportunità, ai centri sociali, all'informagiovani e politiche giovanili, all'asilo nido, alle politiche attive della casa, alla statistica, ai rapporti con le associazioni e all'informatizzazione della giunta comunale nominata dal sindaco Starita, risulta oggetto di un provvedimento dell'autorità giudiziaria che ha acclarato il compimento di reati contro la pubblica amministrazione, non punibili per l'avvenuta prescrizione;
   nel settembre 2012, durante un'operazione di controllo nel quartiere Penniniello di Torre Annunziata era stato rinvenuto presso l'abitazione di un presunto boss di un clan camorristico uno dei centinaia di pacchi alimentari distribuiti dal comune di Torre Annunziata, in particolare dall'assessorato alle politiche sociali, delega affidata al suddetto Ciro Alfieri, alle famiglie disagiate, come racconta MetropolisWeb nell'articolo datato 30 settembre 2012 «Torre Annunziata, scoperta-choc nei santuari della camorra: i pacchi spesa del Comune a casa dei boss»;
   il 3 aprile 2013 si è insediata presso il comune di Torre Annunziata la commissione d'accesso nominata dal prefetto di Napoli sulla base di un dossier delle forze dell'ordine definito «un quadro indiziario consistente»;
   nello stesso mese di aprile 2013 l'ex presidente del consiglio comunale e consigliere regionale in carica, Raffaele Sentiero, è stato oggetto di un provvedimento cautelare dell'autorità giudiziaria per l'accusa di truffa aggravata nell'utilizzo di denaro pubblico, erogato per attività di comunicazione o comunque a carattere istituzionale e utilizzato per soddisfare spese di natura personale, come riporta l'edizione napoletana del quotidiano La Repubblica del 4 luglio 2013 nell'articolo «Regali e giocattoli, scandalo in Regione»;
   il prefetto di Napoli ha prorogato fino al 2 agosto 2013 l'incarico della commissione medesima;
   il territorio di Torre Annunziata risulta pesantemente infiltrato da organizzazioni criminali e presenta estese aree di marginalità sociale e un profondo disagio economico;
   l'invio della commissione d'accesso è importante e giustificato dalla corposità del dossier elaborato delle forze dell'ordine, come riportato dall'articolo «Commissione d'accesso a Torre Annunziata: c’è un dossier pieno di indizi» pubblicato da MetropolisWeb il 4 aprile 2013 –:
   se, alla luce dei fatti esposti in premessa, il Ministero interrogato per quanto di competenza, non intenda esaminare, non appena acquisita, la relazione definitiva della commissione d'accesso di Torre Annunziata ed assumere quindi le iniziative indispensabili a pervenire eventuali forme di condizionamento degli amministratori che possano compromettere la libera determinazione degli organi elettivi ed il buon andamento dell'amministrazione comunale, nonché il regolare funzionamento dei servizi alla stessa affidati, anche promuovendo lo scioglimento ex articolo 143 del testo unico sull'ordinamento degli enti locali. (4-01193)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'estate del 2011 l'ex magistrato Michele Del Gaudio ha inviato un dossier di 4 pagine inviato al prefetto di Napoli e al procuratore della Repubblica di Torre Annunziata avente ad oggetto un'istanza di scioglimento del consiglio comunale oplontino;
   l'istanza punta il dito contro la presenza nella giunta di Ciro Alfieri, in passato sotto processo per gravi reati proprio contro la pubblica amministrazione, e del vicesindaco Tommaso Solimeno, coinvolto in un abuso edilizio;
   inoltre, la maggioranza in consiglio comunale presenta, tra le altre, figure quali Domenico Iapicca, finito nei verbali del pentito Migliorino, e Francesco Donadio, comunque toccato dalla tangentopoli oplontina, tanto che fu allontanati dal suo partito;
   secondo Del Gaudio, l'amministrazione guidata dal sindaco Starita sarebbe nata dall'estromissione di Luigi Monaco, che ha sempre associato tale avvenimento con la sua strenua resistenza all'ingresso in giunta dell'Alfieri, diventato con Starita uomo forte dell'amministrazione, con sostanziosi bilanci per ii suo assessorato alle politiche sociali;
   Del Gaudio descriveva nel suo dossier una serie di episodi incresciosi avvenuti durante le prime fasi di quell'amministrazione comunale, a partire dalle improvvise dimissioni del consigliere comunale Polimeno con le voci di intimidazioni rivolte alla sua famiglia con lo scopo di consentire il subentro del primo dei non eletti, Domenico De Vito per arrivare alle minacce al consigliere Pierpaolo Telese, dallo scoppio di un grosso petardo davanti al negozio del fondatore del Comitato cittadini torresi alle dimissioni del segretario comunale Carmosino, ritirate non prima di aver lanciato pesanti accuse attraverso i giornali, sui quali si leggono intercettazioni che collegano consiglieri comunali con il consigliere regionale Conte, arrestato per camorra;
   il prefetto ha subito interessato le forze dell'ordine per ogni utile necessario approfondimento;
   si sono poi aggiunte altre vicende anche dopo le elezioni del 2012, tanto che il Ministro dell'interno ha delegato il prefetto ad esercitare i poteri di accesso ed accertamento;
   il 27 marzo del 2013 erano stati inviati tre commissari, che ad agosto hanno presentato una relazione in merito;
   dopo l’iter di legge il 7 novembre il Ministro ha decretato la conclusione del procedimento per insussistenza dei presupposti per lo scioglimento;
   Del Gaudio ha evidenziato come i commissari si fossero espressi per l'epilogo dell'assembleare;
   il prefetto ha presentato al sindaco delle raccomandazioni, relative principalmente ai mancati abbattimenti degli abusi edilizi ed ai lavori di piazza San Luigi nel rione carceri, trasformato di fatto in un cortile privato;
   a quanto pare, però, queste non sarebbero le uniche raccomandazioni consegnate dal prefetto a Starita: ci sarebbe una seconda lista, che il sindaco non ha potuto condividere e che tiene riservata;
   da alcune indiscrezioni in quella lista si parlerebbe anche di una serie di appalti ed incarichi che l'ente avrebbe dato dal 2007 al 2009;
   l’ex magistrato Del Gaudio ha scritto in merito un esposto alla procura della Repubblica di Torre Annunziata, chiedendo un'indagine sul mancato scioglimento del consiglio comunale per condizionamento camorristico;
   secondo Del Gaudio vi sono dubbi riguardo le divergenze fra relazione commissariale, prefettizia e decreto ministeriale, privo di motivazione, rimessa al richiamo all'atto del prefetto, i cui recenti precetti avvalorano proprio l'ipotesi della posizione sfavorevole da parte dei funzionari;
   se così non fosse il prefetto li avrebbe smentiti, avvalendosi di ulteriori ed antitetiche indagini, allegate al suo rapporto al dicastero;
   se invece non avesse compiuto altre verifiche, avrebbe dedotto l'inverso dagli atti della commissione;
   se infine vi si fosse uniformato, optando per lo scioglimento, il Ministro si sarebbe basato su dati in suo possesso differenti da quelli dei commissari, oppure avrebbe deciso in contrasto con gli elaborati prefettizi, pur richiamandoli, senza contraddirli, nel suo provvedimento;
   il cambiamento della giunta non può sanare una eventuale, costante e documentata, dipendenza mafiosa, né può la sostituzione di un assessore assolvere una pressoché intera classe politica;
   la prefettura non sembra convinta dell'assenza della piovra, tanto che ha sollecitato pubblicamente provvedimenti di chiaro significato anticamorristico e ne avrebbe richiesti altri attraverso un secondo documento riservato;
   già nel luglio del 2013 l'interrogante aveva presentato l'interrogazione a risposta scritta 4-01193 nella seduta n. 49 di martedì 9 luglio 2013 segnalando, tra l'altro, che nel luglio 2011 il dirigente dell'ufficio tecnico comunale, ingegner Corrado Orrico, era stato rimosso dal suo incarico, e successivamente, dopo aver presentato un esposto alla procura della Repubblica di Torre Annunziata, avevo rilasciato un'intervista a organi di stampa locale denunciando sprechi di risorse pubbliche e interferenze continue ed anomale nella gestione dei lavori pubblici da parte di componenti della giunta comunale, come riportato da MetropolisWeb il 31 luglio dello stesso anno nell'articolo «Torre Annunziata, bufera politica per il caso-Orrico»;
   l'interrogante avevo segnalato anche come nel settembre 2012, durante un'operazione di controllo nel quartiere Penniniello di Torre Annunziata fosse stato rinvenuto presso l'abitazione di un presunto boss di un clan camorristico uno dei centinaia di pacchi alimentari distribuiti dal comune di Torre Annunziata, in particolare dall'assessorato alle politiche sociali, delega affidata a Ciro Alfieri, alle famiglie disagiate, come racconta MetropolisWeb nell'articolo datato 30 settembre 2012 «Torre Annunziata, scoperta-choc nei santuari della camorra: i pacchi spesa del Comune a casa dei boss»;
   nell'interrogazione si raccontava anche come nell'aprile 2013 l'ex presidente del consiglio comunale e consigliere regionale in carica, Raffaele Sentiero, fosse stato oggetto di un provvedimento cautelare dell'autorità giudiziaria per l'accusa di truffa aggravata nell'utilizzo di denaro pubblico, erogato per attività di comunicazione o comunque a carattere istituzionale e utilizzato per soddisfare spese di natura personale, come riporta l'edizione napoletana del quotidiano La Repubblica del 4 luglio 2013 nell'articolo «Regali e giocattoli, scandalo in Regione»;
   nell'interrogazione si chiedeva al Ministero di esaminare, non appena acquisita, la relazione definitiva della commissione d'accesso di Torre Annunziata ed assumere quindi le iniziative indispensabili a pervenire eventuali forme di condizionamento degli amministratori che possano compromettere la libera determinazione degli organi elettivi ed il buon andamento dell'amministrazione comunale, nonché il regolare funzionamento dei servizi alla stessa affidati, anche promuovendo lo scioglimento ex articolo 143 del testo unico sull'ordinamento degli enti locali;
   a tale interrogazione non è ancora stata data risposta;
   i fatti narrati in aggiunta a quanto riportato nella precedente interrogazione sono riportati anche nell'articolo «Torre Annunziata. Prescrizioni del Prefetto, c’è l'esposto» pubblicato dal quotidiano online Metropolis il 7 marzo 2014, nell'articolo «Torre Annunziata, Del Gaudio chiede una indagine sul mancato scioglimento del Consiglio comunale» pubblicato dal quotidiano online La Voce Sociale il 6 marzo 2014 e nell'articolo «Allarme di un ex magistrato: «A Torre Annunziata condizioni per lo scioglimento» pubblicato dal quotidiano online Metropolis il 7 agosto 2011 –:
   se risponda a verità l'esistenza di una seconda lista di raccomandazioni consegnata dal prefetto al sindaco di Torre Annunziata in via privata;
   quali motivazioni abbiano portato il prefetto a non rendere pubblico questo documento, laddove esista;
   se non ritenga doveroso rendere pubblico il documento consegnato in via privata dal prefetto al Sindaco Starita, a meno che tale scelta non sia stata motivata da questioni di sicurezza o ordine pubblico. (4-04040)

  Risposta. — Con decreto del 7 novembre 2013, il Ministro dell'interno ha disposto, ai sensi dell'articolo 143, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, la conclusione del procedimento che era stato avviato dal prefetto di Napoli nei confronti del comune di Torre Annunziata con la nomina di una commissione di accesso e indagine, previa delega dei poteri di accesso e di accertamento di cui all'articolo 1, comma 4, del decreto-legge 629 del 1982, convertito dalla legge n. 726 del 1982.
  L'attività svolta dalla Commissione ha evidenziato delle criticità, ma non tali da concretizzare i presupposti per lo scioglimento del comune di Torre Annunziata, ai sensi dell'articolo 143 del testo unico degli enti locali. Si è ritenuto, infatti, che gli elementi raccolti non rivestissero i caratteri richiesti dalla normativa vigente sotto il profilo della concretezza, della univocità e della rilevanza, anche alla luce del parere del comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica.
  Nella valutazione si è tenuto conto dell'orientamento della giurisprudenza amministrativa, ormai consolidato, secondo cui l'applicazione delle misure straordinarie va motivata con riferimento a risultanze obiettive circa la sussistenza dei «collegamenti» o delle «forme di condizionamento».
  Va tuttavia ricordato che con decreto del prefetto di Napoli del 7 gennaio 2014 il sindaco di Torre Annunziata è stato invitato a porre in essere, entro il termine di sei mesi, le iniziative necessarie a rimuovere le forme di sviamento dell'attività amministrativa e gli effetti pregiudizievoli per l'interesse pubblico rilevati in sede ispettiva, che, ove perduranti, avrebbero potuto portare allo scioglimento del consiglio comunale ai sensi dell'articolo 141 del testo unico degli enti locali.
  Al sindaco sono state anche trasmesse, con atto separato, le schede richiamate in una delle due interrogazioni, con l'avvertenza di adottare misure idonee a evitare la loro diffusione, se non per le finalità per le quali erano state trasmesse, e a custodirle con adeguate procedure di sicurezza, in conformità alle previsioni di cui al decreto legislativo n. 196 del 2003.
  In merito alle iniziative intraprese a seguito dell'invito-diffida del prefetto, il sindaco di Torre Annunziata ha fornito un quadro della situazione che esporrò in sintesi.
  In primo luogo, è stata rinnovata la giunta, la quale attualmente risulta formata da un gruppo di professionisti, senza precedenti esperienze politiche. Anche i principali organi dell'amministrazione sono stati interessati da cambiamenti favoriti dalla nuova maggioranza consiliare, che ha assunto un atteggiamento di forte collaborazione con la giunta.
  Sempre secondo quanto riferito dal sindaco, il mutato scenario politico ha consentito di assumere una serie di incisive misure nei diversi settori.
  Le opere abusive rilevate in via Marzabotto e nell'area Largo San Luigi sono state abbattute. L'Amministrazione comunale si è costituita parte civile nel procedimento penale relativo al primo abuso, mentre, con riferimento al secondo abuso, è stato dato incarico al legale del comune di agire per ottenere il risarcimento dei danni.
  Inoltre, è stata avviata un'approfondita attività di monitoraggio degli interventi di edilizia abusiva sul territorio, al fine di acquisire una più precisa conoscenza delle dimensioni del fenomeno.
  Contestualmente è stato disposto il censimento degli occupanti gli alloggi residenziali pubblici per verificare la titolarità delle assegnazioni, la regolarità del pagamento dei canoni, gli spazi effettivamente occupati e l'esistenza di eventuali abusi edilizi. Nei confronti degli occupanti
sine titulo sono state intraprese le procedure di sgombero, quelle coattive per il recupero delle morosità maturate, nonché quelle ablative nei casi di «ampliamento» non autorizzato degli immobili. Nell'esecuzione di tali interventi è stata data priorità ai casi di abuso commessi da appartenenti a organizzazioni criminali o da loro familiari.
  Sempre al fine di contrastare il fenomeno dell'abusivismo edilizio, è stato istituito un gruppo interdipartimentale con il compito di svolgere un costante monitoraggio del territorio, al là degli ordinari servizi di controllo.
  Su espresso invito della prefettura di Napoli, l'amministrazione comunale ha provveduto ad adottare il regolamento per le concessioni demaniali e quello per l'affidamento degli appalti di lavori, servizi e forniture. Mentre, di iniziativa, si è dotata di un'altra serie di regolamenti necessari a garantire il buon andamento e l'imparzialità dell'azione amministrativa in diversi settori.
  Con particolare riferimento alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici e al rilascio delle autorizzazioni nel settore dei pubblici esercizi, il sindaco ha emanato specifiche direttive – estese anche alle società partecipate –, prevedendo una serie di cautele necessarie ad assicurare la massima trasparenza nella gestione di questi delicati settori.
  In merito alla gestione del personale, l'amministrazione comunale ha riferito che i dipendenti comunali e delle società partecipate condannati per assenteismo sono stati assegnati a diverso incarico o, laddove ciò non sia stato possibile, sottoposti a una attenta vigilanza.
  In ogni caso, gli stessi sono stati esclusi dall'attribuzione di posizioni organizzative o da compensi collegati alla produttività.
  Per contrastare più efficacemente il fenomeno dell'assenteismo, sono state attivate particolari forme di controllo, anche di concerto con le Forze di polizia. Inoltre, è stata disposta una rotazione dei dipendenti nelle loro funzioni, anche al fine di prevenire possibili forme di corruzione.
  In merito ai servizi cimiteriali, l'amministrazione comunale ha riferito che tutte le anomalie segnalate all'esito dell'attività ispettiva sono state eliminate, mentre i servizi pubblici sono attualmente esercitati da un soggetto appaltatore selezionato dal provveditorato alle opere pubbliche in veste di stazione unica appaltante.
  In materia di concessioni demaniali, ho già detto dell'avvenuta adozione del regolamento comunale di disciplina dello specifico settore. Aggiungo che il comune ha reso noto di aver avviato anche un'attività di verifica di tutti gli atti concessori in corso.
  Relativamente alle autorizzazioni commerciali rilasciate per i pubblici esercizi, a seguito di uno screening generale di tutte le licenze rilasciate e a conclusione dei controlli effettuati, è stato disposto il ritiro di tre autorizzazioni.
  Si segnalano due ulteriori, significative iniziative del comune di Torre Annunziata: la scelta del sorteggio elettronico per l'individuazione degli scrutatori in occasione delle elezioni europee dello sborso mese di maggio e la presentazione, in accoglimento dell'invito del Prefetto di Napoli, dell'istanza di adesione al protocollo per l'integrazione dei sistemi di prevenzione della corruzione stipulato tra le prefetture della Campania, l'Anci Campania e alcuni comuni della regione.
  Si soggiunge, infine, che il provvedimento con cui il Ministro dell'interno ha concluso il procedimento di accesso e indagine avviato nei confronti del comune di Torre Annunziata è stato pubblicato nella sezione dedicata del portale del Ministero dell'interno, nel rispetto di quanto previsto dal decreto ministeriale in data 4 novembre 2009, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale 28 novembre 2009, n. 278.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   SCOTTO, AIRAUDO, PLACIDO, RICCIATTI, FERRARA, MARCON, DURANTI, PIRAS, FRATOIANNI, MELILLA, QUARANTA, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DANIELE FARINA, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MATARRELLI, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in numerosi articoli di stampa nazionale e locale dello scorso mese si legge che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, l'onorevole Maurizio Lupi, ha dichiarato che «Il Ponte sullo Stretto di Messina è assolutamente indispensabile e necessario. Nel momento in cui disegniamo un piano strategico infrastrutturale per il Paese, parlo dell'alta velocità della ferrovia che dovrà arrivare fino a Reggio Calabria, il raddoppio ferroviario della Messina-Palermo-Catania, la Bari-Napoli, è pensabile che non si prenda in considerazione il completamento dell'opera strategica per una distanza di tre km ?». «Le infrastrutture si portano dove c’è domanda, ma le infrastrutture generano sviluppo e domanda» «Se investiamo sull'Alta velocità fino a Reggio Calabria, e non mi si dica che non c’è la domanda, perché le infrastrutture creano la domanda, se investiamo sul raddoppio della Messina-Catania-Palermo, riducendo da 4 a 2 ore la percorrenza, è evidente che il Ponte sullo Stretto è una infrastruttura che completa questo sforzo». «Sono stato a Lisbona. Hanno costruito — ha aggiunto — un ponte di 17 chilometri, certo in una condizione diversa dallo Stretto, ma è un esempio che ci dice che si può fare. D'altronde, la nostra posizione sul Ponte, come Ncd, è nota da tempo»;
   ancora più recentemente nell'ambito di una risposta fornita dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in data 3 ottobre 2014 all'interrogazione n. 4-06143 pubblicata in data 25 settembre 2014 si legge che «La realizzazione del ponte sullo stretto di Messina ha da sempre rappresentato per il nostro Paese una sfida di innovazione ingegneristica e, al tempo stesso, di coesione economica e territoriale». E ancora, «In primo luogo le motivazioni di questa opera risalgono alla scelta operata a suo tempo e ancora oggi attuale di connettere due aree metropolitane del Mezzogiorno, di risanare l'assetto urbanistico della città di Messina e del litorale reggino, di razionalizzare l'offerta di servizi metropolitani ferroviari del vasto hinterland di Messina e di quello di Reggio Calabria nonché l'intera offerta ferroviaria sui due versanti. Si ricorda che — per quanto riguarda il versante siciliano — anche recentissimamente il decreto legge «Sblocca Italia» riconferma una scelta di forte impegno del Governo: quest'opera godrà, infatti, delle attività di un commissario delegato con poteri speciali per la sua realizzazione. Si ricorda, inoltre, che — benché il ponte sullo stretto di Messina si collochi lungo la direttrice tirrenica nord sud che da sempre rappresenta la massima densità della popolazione italiana residente — la realizzazione di quest'opera avrebbe l'effetto di aumentare la coesione economica, di rendere stabile l'accessibilità interna dei territori del Mezzogiorno, di dare piena attuazione ad altri investimenti di direzione ovest est, a partire dalla Napoli-Bari fino alla realizzazione della strada statale Ionica e del suo innesto con la nuova Salerno Reggio Calabria sul versante calabrese (tutte opere strategiche in corso di realizzazione). Quando si parla di coesione sociale occorre considerare a fondo tutte le implicazioni di tale espressione: la spinta che la realizzazione del ponte sullo stretto può contribuire — anche in termini di inclusione sociale — a creare quell'anello mancante della percorribilità ad alta velocità e frequenza dei collegamenti interni ai territori della Sicilia e della Calabria che dovrebbe rappresentare la vera motivazione a riflettere sugli scenari futuri del Paese senza l'assillo dei vincoli finanziari ma con obiettivi finalmente economici. Quale Paese vogliamo da qui ai prossimi venti anni ? A questa domanda la realizzazione del ponte sullo stretto offre una risposta perché si identifica, senza troppe ideologie, come una invariante infrastrutturale per lo sviluppo duraturo del Mezzogiorno, un'occasione unica per l'emersione dal sottosviluppo urbano del sud. E infine: «Oggi non si può riparlare del Ponte senza valutare attentamente la dimensione transnazionale di quest'opera e il suo ruolo nella prospettiva dei grandi corridoi europei e, soprattutto, il suo valore strategico nella proiezione del continente europeo — e dell'Italia — verso l'intero bacino Mediterraneo e la sponda nord del continente africano: aree geografiche che saranno protagoniste del futuro. Nell'area del Mediterraneo sono in campo ipotesi molto ambiziose (come il progetto Ferrmed che mira a convogliare il grande traffico merci verso la Spagna attraverso un apposito corridoio ferroviario a 4 binari) che minacciano di marginalizzare completamente non solo il Mezzogiorno, ma l'Italia intera. Sono questi i motivi per i quali l'idea del ponte sullo stretto di Messina non può, su un piano strategico e trasportistico, ritenersi archiviata»;
   il decreto–legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, aveva previsto, all'articolo 4, comma 4-quater, un finanziamento, qualificato «contributo in conto impianti», pari a 1,3 miliardi di euro in favore della società Stretto di Messina, da imputarsi sulle risorse del Fondo previsto dall'articolo 18, comma 1, lettera b), del decreto–legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 298;
   tale finanziamento, come noto e come emerge dall'anagrafe revoche e riassegnazioni curata dal CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) con aggiornamento al 31 luglio 2014, era stato revocato;
   purtuttavia si deve rilevare che nell'ambito della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014 Doc LVII n.2-bis Allegato III (Programma delle infrastrutture strategiche) aggiornato al mese di settembre 2014 e trasmesso alla Presidenza della Camera dei Deputati in data 3 ottobre 2014, a pagina 19 del documento stesso, nell'ambito della tabella n. 1, ovvero la tabella delle revoche e delle riassegnazioni della legge obiettivo compare come reimpiego di legge obiettivo, l'assegnazione alla Società Stretto di Messina SpA (decreto–legge n. 78 del 2009 convertito dalla legge n. 102; del 3 agosto 2009) di una quota pari a 1 miliardo e 287 milioni di euro (segnatamente 1.87.324.000 euro);
   quanto precede, ad avviso degli interroganti, appare di eccezionale gravità considerato che l'allegato infrastrutture rappresenta il documento programmatico del Governo per eccellenza in materia infrastrutturale ed il sospetto che detta riassegnazione possa essere varata anche successivamente alla discussione della legge di stabilità 2015, considerate le esternazioni recentemente rese dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in favore della realizzazione del Ponte stesso –:
   se il Ministro interrogato non intenda correggere immediatamente, quello che si auspica si tratti di un grossolano errore contenuto nella tabella n. 1 della nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2014 Doc LVII n. 2-bis allegato III (programma delle infrastrutture strategiche) e chiarire in via definitiva che questo Governo non intende in alcun modo riaprire il dossier teso alla realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina. (4-06614)

  Risposta. — Gli obblighi di legge in capo al CIPE sul tema dell'anagrafe revoche riassegnazioni, disposte dall'articolo 13 del decreto-legge n. 145 del 2013, ne comportano la pubblicazione in formato excel sul sito web del CIPE stesso. Cliccando sull'indicazione dell'anagrafe, si visualizza un foglio elettronico di cui il primo si chiama «tabella delle revoche» e il secondo «tabella delle riassegnazioni».
  Si evidenzia che con il concetto di reimpieghi si intende, come correttamente riportato dal predetto comunicato del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, quello relativo alle risorse revocate e non riassegnabili agli scopi primari del finanziamento assentito ma ad altre finalità. Nel caso specifico, quei fondi furono considerati non più impiegabili per l'infrastruttura in argomento ma sono ritornati nella disponibilità dello Stato.
  Inoltre, occorre precisare che le leggi di stabilità, anche quella del 2012, la quale prese atto che i fondi a suo tempo assegnati al Ponte sullo Stretto, qualificati poi come differibili dalla delibera CIPE 6 del 2012, erano destinate all'abbattimento del debito pubblico.
  Nel tornare al citato «grossolano errore compiuto», a detta degli interroganti, si sottolinea quanto segue: sotto il profilo della correttezza della tabella, il fatto che «per numerose righe della tabella 1 la voce e l'importo della colonna delle revoche si ripetono nella colonna dei reimpieghi» deriva dalla predetta delibera CIPE titolata «Fondo per lo sviluppo e la coesione. Imputazione delle riduzioni di spesa disposte per legge, revisione della pregressa programmazione e assegnazione di risorse ai sensi dell'articolo 33, commi 2 e 3, della legge n. 183 del 2011». Tale delibera lascia tra le opere «differibili» il ponte sullo Stretto, in quanto i fondi erano già destinati con legge di stabilità per il 2012 alle necessità di ripiano del debito pubblico.
  Pertanto, la tabella 1 non fa che «fotografare» come dato storico-anagrafico un preciso momento della programmazione nazionale.
  L'allegato infrastrutture è redatto sulla base delle indicazioni di legge, ma anche di precise sentenze della Corte Costituzionale, che – ad esempio – riconoscono, in capo alle Regioni, la possibilità di sottoscrivere Intese Generali Quadro, cioè Intese che comportano, nel rispetto della II parte del Titolo V della Costituzione, il diritto alla identificazione delle infrastrutture che sono definite come rientranti nell'elenco di quelle strategiche. Quindi è solo per adempiere al meglio alle finalità – anche di trasparenza – della legge che le informazioni che si forniscono possono anche essere ulteriori rispetto a quelle strettamente prescritte dal comma 1-
bis, dell'articolo 1, della legge 443 del 2001.
  Si precisa, inoltre, che l'unico obiettivo della tabella 1 è di sintetizzare in una cronistoria la dinamica che nel tempo ha interessato le infrastrutture. Sottolineando, a tal proposito, che le uniche tabelle significative ai fini del citato comma 1-
bis sono quelle successive alla tabella 1, come si evince dalla lettura attenta del documento.
  Pertanto, si ritiene non opportuno espungere dal documento la tabella 1, né altre parti del documento stesso, dal momento che ciò comporterebbe una riduzione delle informazioni trasmesse al Parlamento, mentre tutto il confronto su questo tema – fra il Parlamento e Governi che si sono succeduti dal dicembre 2001 ad oggi – è sempre stato ispirato alla ricerca comune e condivisa di un'informazione sempre più completa e trasparente.
  Infine, quanto alla paventata eventuale destinazione di risorse, si comunica che la legge di stabilità per il 2015, già pubblicata sotto forma di atto Camera, non prevede destinazioni o pagamenti, a qualunque titolo, riconosciuti genericamente al ponte sullo Stretto di Messina.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 6 giugno 2014 il comitato tecnico di VIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha emesso il parere n. 1514, positivo con prescrizioni, per il progetto di perforazione di nuovi pozzi di coltivazione e adeguamento degli impianti esistenti per l'ottimizzazione del recupero di idrocarburi dal giacimento offshore «Rospo Mare» proposti dalla EDISON spa;
   la Edison, oltre ad avere la concessione di Rospo Mare, possiede anche il pozzo di produzione di gas Santo Stefano 9, lo stesso a cui sarà collegato Ombrina Mare 2 (e anche Rospo Mare) attraverso una condotta sottomarina;
   Rospo Mare, come Ombrina Mare, erano state bloccate dal decreto Prestigiacomo, tant’è che i pareri di VIA risultavano negativi;
   i decreti di rigetto delle istanze di Ombrina mare 2 e di Rospo Mare, conseguenti ai pareri negativi di VIA, non furono mai emanati;
   il Governo Monti, con il cosiddetto «Decreto Sviluppo» ha modificato l'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, «Norme in materia ambientale», ed in particolare ha concretizzato la possibilità di riattivare le procedure concessorie delle attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare bloccate dal Decreto Prestigiacomo;
   i Ministri Clini e Passera, così come l'attuale Ministro dello sviluppo economico e l'attuale Presidente del Consiglio dei ministri, non hanno mai nascosto la volontà di trasformare i mari italiani, ed in particolare l'Adriatico, in distretto minerario di idrocarburi;
   le mega discariche abusive di Bussi, create dalla Edison, sono in attesa del completamento della messa in sicurezza e della bonifica;
   si registra una notevole celerità nel procedere alla conclusione delle procedure di autorizzazione di concessione di sfruttamento del territorio mentre non si rileva la stessa efficienza e velocità quando si tratta di bonificare un sito inquinato per riparare ai danni ambientali provocati da queste attività o di concludere con una risposta negativa un processo autorizzatorio –:
   che relazioni ci siano tra le ultime concessioni per l'estrazione di idrocarburi offshore di Rospo Mare e il piano di bonifica per Bussi;
   quale sia lo stato della trattativa in corso per un piano di bonifica parziale, di cui si conosce l'esistenza ma non i contenuti, che prevede la creazione di una bonifica «legalizzata» nel sito di interesse nazionale di Bussi;
   se il Ministro non ritenga un vizio di forma la mancata ripubblicazione, come prevede la legislazione vigente, della richiesta di concessione e ampliamento progetto di perforazione di nuovi pozzi di coltivazione e adeguamento degli impianti esistenti per l'ottimizzazione del recupero di idrocarburi dal giacimento offshore di «Rospo Mare». (4-05760)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, gli interroganti affrontano due distinte questioni: l'una concerne lo stato di attuazione del piano di bonifica del sito di interesse nazionale (SIN) di «Bussi sul Tirino»; l'altra è relativa al procedimento di VIA che sta interessando un progetto per la perforazione di nuovi pozzi di coltivazione e adeguamento degli impianti esistenti per l'ottimizzazione del recupero di idrocarburi dal giacimento offshore «Rospo Mare». Per entrambe le questioni, peraltro, il soggetto interessato è il medesimo: la Edison spa; altro elemento di correlazione è, poi, costituito dalla comune localizzazione delle aree interessate dagli interventi, in quando ricadenti nella regione Abruzzo.
  In merito al SIN di Bussi sul Tirino, al fine di rendere un informato ed esauriente riscontro, appare opportuno ricordare che la sua istituzione è stata disposta con decreto ministeriale del 29 maggio 2008.
  A partire da tale data, la titolarità del procedimento di approvazione degli interventi di bonifica, è passata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ad eccezione di quelli concernenti la messa in sicurezza, caratterizzazione e bonifica della discarica in località «Tre Monti», le cui competenze, rimangono in capo al Commissario delegato
ex ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3614 del 4 ottobre 2007.
  Per quanto riguarda, più nello specifico, le «mega discariche» citate nella interrogazione – con presumibile riferimento alle discariche denominate 2A e 2B, autorizzate dalla giunta regionale dell'Abruzzo rispettivamente con delibera n. 128/5 del 14 dicembre 1983 e delibera n. 2435 del 5 maggio 1988 – nelle quali, e intorno alle quali, sono stati depositati, in modo incontrollato e/o illecito ingenti quantitativi di rifiuti, la competente direzione generale del Ministero, in data 9 settembre 2013, ha diffidato la società Edison a:
   
a) rimuovere tutti i rifiuti depositati in modo incontrollato nelle discariche realizzate in località «Tre Monti» e nelle aree a monte dello stabilimento industriale;
   
b) ripristinare integralmente lo stato dei luoghi mediante la rimozione delle discariche ed eventuali altre fonti di contaminazione ancora attive;
   
c) procedere alla bonifica delle matrici ambientali che all'esito della completa rimozione dei rifiuti dovessero risultare contaminate.

  Il provvedimento di diffida è stato impugnato dalla Edison innanzi al TAR di Pescara che, con sentenza n. 204 del 2014, ha dichiarato in parte inammissibile e comunque infondato nel merito il ricorso proposto. Detta sentenza è stata quindi appellata al Consiglio di Stato; l'udienza di discussione del merito è fissata al 13 gennaio 2015.
  Nelle more della definizione del giudizio, in data 4 febbraio 2014 si è comunque provveduto a diffidare anche la società Solvay, in qualità di attuale proprietaria dell'area, ad adottare nel sito a monte dello stabilimento le misure necessarie a prevenire la diffusione della contaminazione e i rischi per la salute. Il successivo 17 aprile 2014 è stato, quindi, chiesto alla medesima società Solvay di predisporre e sottoporre all'amministrazione un progetto di rimozione dei rifiuti, con conferimento degli stessi in un'apposita discarica di servizio.
  La società Solvay ha presentato il relativo studio di fattibilità nel mese di maggio 2014, prevedendo la rimozione di parte dei rifiuti e la realizzazione di un
capping nelle restanti aree, come misura di prevenzione.
  In data 28 luglio 2014 il commissario delegato si è impegnato a elaborare un progetto di rimozione dei rifiuti a completamento e in coordinamento con le attività già previste dalla Solvay, al fine della integrale bonifica dei 5,5 ettari delle aree a monte dello stabilimento industriale di Bussi.
  Il commissario delegato, in particolare, ha illustrato gli interventi individuati per il risanamento delle suddette aree nel corso della riunione tecnica tenutasi presso questo Ministero lo scorso 15 settembre, il cui verbale è visionabile sul sito istituzionale al seguente link:
http://www.bonifiche.minambiente.it/page_anno_39.html.
  Inoltre, al fine di accelerare il processo di risanamento del sito, con nota dello scorso 25 settembre, è stato chiesto al commissario delegato di predisporre uno studio di fattibilità, completo degli elaborati tecnici ed economici contenenti i requisiti minimi per consentire agli enti territoriali interessati di esprimere le valutazioni, le osservazioni e i pareri di competenza. Con la medesima nota, sono stati invitati i medesimi enti a fornire al commissario delegato le proprie valutazioni, integrazioni e correzioni all'ipotesi predisposta, al fine di pervenire a soluzioni condivise. In particolare, è stato chiesto alla regione Abruzzo di proporre eventuali soluzioni alternative alla realizzazione in sito di una discarica per i rifiuti non pericolosi derivanti dalla bonifica in attuazione dei principi e criteri stabiliti dal vigente piano regionale di gestione dei rifiuti.
  Per quanto riferito dalla regione Abruzzo, non risulta essere in corso alcuna trattativa che miri alla creazione – per dirla come gli interroganti – di una bonifica «legalizzata» nel SIN di Bussi sul Tirino.
  Al contrario, questa amministrazione ha piuttosto provveduto formalmente a diffidare Edison con il provvedimento già citato del 9 settembre 2013 – allo stato al vaglio del Consiglierei Stato – affinché provveda al ripristino dello stato dei luoghi, ponendo in essere, le iniziative ritenute idonee per pervenire in tempi rapidi e con la massima condivisione all'integrale risanamento delle aree ricadenti nel SIN in parola.
  Relativamente all'istanza di pronuncia di compatibilità ambientale presentata dalla Edison s.p.a. in data 30 gennaio 2009, concernente il progetto «Variazione programma lavori nell'ambito della concessione di coltivazione: perforazione di nuovi pozzi di coltivazione e adeguamento degli impianti esistenti, per l'ottimizzazione del recupero di idrocarburi dal giacimento
offshore Rospo Mare», la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS, a conclusione della propria istruttoria tecnica, ha espresso parere favorevole, con prescrizioni, n. 303 del 3 luglio 2009 – come modificato dal successivo parere n. 502 del 5 agosto 2010 al solo fine di eliminare un refuso contenuto nella prescrizione n. 3 del precedente parere. Non corrisponde, quindi, al vero quanto sostenuto dall'interrogante in merito al fatto che il progetto «Rospo Mare» abbia conseguito un parere negativo da parte della commissione VIA e VAS.
  È vero, invece, che il progetto comunque interferiva con le aree interdette di cui all'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo n. 128 del 2010 nel frattempo intervenuto, stante la presenza di diversi siti costieri appartenenti al programma Natura 2000.
  In ragione di ciò, in data 18 ottobre 2010 veniva data comunicazione di preavviso di rigetto ai sensi dell'articolo 10-
bis della legge n. 241 del 1990. La società Edison provvedeva ad inviare le proprie osservazioni al riguardo. Pur ritenendo le stesse condivisibili, si riteneva di attendere comunque il pronunciamento del Consiglio di Stato – nel frattempo adito – sulla interpretazione della norma.
  Indipendentemente dall'avvenuto pronunciamento del Consiglio di Stato, che comunque confortava la posizione di Edison, l'entrata in vigore del decreto legge n. 83 del 2012 convertito dalla legge n. 137 del 2012 – che faceva salvi i procedimenti in corso all'entrata in vigore, a sua volta, delle disposizioni normative cui si riteneva contrastasse il progetto – ha definitivamente acclarato la validità dell'istanza presentata dalla società Edison. Il procedimento ha, pertanto, proseguito il suo corso senza che vi fosse necessità di nuove pubblicazioni integrative in quanto la procedura di VIA non era stata mai conclusa, né sospesa.
  Nel frattempo, era intervenuto il decreto-legge n. 5 del 2012, convertito dalla legge n. 35 del 2012, che, integrando l'allegato VIII al decreto legislativo n. 152 del 2006, assoggettava ad autorizzazione ambientale integrata (AIA) anche gli impianti localizzati in mare su piattaforme
offshore.
  Per concludere, nonostante la vigente normativa, la società Edison ha ritenuto ugualmente opportuno presentare istanza di AIA, in quanto il pertinente procedimento di VIA, avviato in data 3 dicembre 2009, rientrava nelle eccezioni previste dall'articolo 4, comma 5, del decreto legislativo n. 128 del 2010, che espressamente prevedono che le procedure di VAS, VIA e AIA avviate precedentemente l'entrata in vigore dello stesso decreto, sono concluse ai sensi delle norme vigenti al momento dell'avvio del procedimento.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.