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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 5 gennaio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    ai sensi dell'articolo 36 della legge n. 317 del 1991, si definiscono «sistemi produttivi locali i contesti produttivi omogenei, caratterizzati da una elevata concentrazione di imprese, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, e da una peculiare organizzazione interna» (comma 1), mentre si parla di distretti industriali in presenza di «sistemi produttivi locali (...) caratterizzati da una elevata concentrazione di imprese industriali nonché dalla specializzazione produttiva di sistemi di imprese» (comma 2);
    il medesimo articolo 36, al comma 3, stabilisce che «ai sensi del titolo II, capo III, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono alla individuazione dei sistemi produttivi locali nonché al finanziamento di progetti innovativi e di sviluppo dei sistemi produttivi locali, predisposti da soggetti pubblici o privati»;
    la regione Lazio, con legge regionale n. 36 del 19 dicembre 2001, al fine di incrementare lo sviluppo economico, la coesione sociale, l'occupazione e, in particolare, di rafforzare la competitività del sistema produttivo, nonché di ricercare ed attivare nuove linee di intervento, e con successiva deliberazione n. 135 dell'8 febbraio 2002, della giunta regionale, ha istituito il distretto industriale di Civita Castellana;
    si tratta di un distretto – l'unico presente nella provincia di Viterbo che rappresenta una realtà produttiva di fondamentale importanza per l'intera economia non solo regionale – che abbraccia i seguenti comuni: Castel Sant'Elia, Corchiano, Fabrica di Roma, Faleria, Gallese, Nepi, Sant'Oreste;
    la maggior parte delle imprese del distretto opera nel settore ceramico, in particolare per usi domestici e ornamentali e per prodotti igienico-sanitari;
    le imprese produttrici di ceramica sanitaria presenti nel distretto industriale di Civita Castellana nel 2013, risultano essere 32 e contano un numero di stabilimenti produttivi pari a 37;
    principalmente si tratta di imprese medio-piccole, con una forte specializzazione produttiva;
    secondo i dati forniti dal Centro Ceramica Civita Castellana – società consortile che si occupa di valorizzare, prestare assistenza e promuovere iniziative in favore delle aziende del distretto – il distretto industriale impiega oltre il 50 per cento degli addetti dell'industria ceramica sanitaria italiana in quanto gli addetti alle dipendenze di queste imprese, al mese di dicembre 2013, sono 2.017, di cui l'83 per cento rappresentato da manodopera diretta;
    il dato occupazionale del distretto ha registrato un calo pari al 5 per cento, mentre al livello nazionale la situazione si presenta decisamente peggiore attestando un calo dell'8 per cento;
    la produzione delle aziende del distretto, nel 2013, si attesta a 2.172.152 pezzi, registrando un calo dell'1,6 per cento rispetto all'anno precedente e comunque realizzando il 56 per cento della produzione nazionale, che ha, invece, registrato un calo del 6,7 per cento rispetto allo scorso anno;
    le vendite delle aziende appartenenti al distretto di Civita Castellana, invece, sono pari al 53 per cento del totale delle vendite realizzate complessivamente nel comparto della ceramica sanitaria nazionale e, nel 2013, ammontano a 1.936.867 pezzi di cui il 60 per cento realizzate per il mercato interno, mentre il 40 per cento destinate all’export;
    rispetto allo scorso anno, secondo i dati forniti dall'Istat (dati espressi in valore), le vendite del distretto hanno registrato una flessione pari al 2,77 per cento quando il dato nazionale ha invece subito una riduzione più consistente pari al 6,07 per cento;
    quanto agli aspetti occupazionali, secondo i dati di alcune sigle sindacali nel distretto, riportati anche in precedenti atti di sindacato ispettivo, solo tra il 2010 ed il 2013, a causa della crisi che ha colpito il settore, si è passati da 3.424 occupati a 2.729 ed oltre un migliaio di lavoratori sono sottoposti alla cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, alla mobilità o a contratti di solidarietà;
    dai dati appena menzionati emergono, con tutta evidenza, l'importanza del distretto industriale di Civita Castellana nel panorama industriale italiano nonché la sua rilevanza in termini di fatturato e di posti lavoro;
    da qualche anno le aziende del distretto, anche del comparto della ceramica sanitaria, stanno però vivendo una situazione di criticità, legata principalmente alla crisi internazionale del settore ceramico, con effetti economici ed occupazionali non solo sul viterbese;
    nonostante gli sforzi delle aziende del distretto, attraverso percorsi di ristrutturazione e di innovazione tecnologica, negli ultimi anni si è purtroppo assistito ad una evidente e progressiva performance negativa nella produzione, nelle vendite e nelle esportazioni;
    le cause di questa situazione di contrazione economica sono molteplici:
   a) innanzitutto l'elevato costo del lavoro nel settore pesa per oltre il 50 per cento del prodotto finito;
   b) in secondo luogo si consideri che il settore della ceramica è forte ente energivoro (i costi per l'acquisto di materie prime incidono mediamente per il 15 per cento sul totale dei costi di produzione) ed utilizza prevalentemente gas metano ed elettricità; il costo di acquisto dell'energia (accise regionali, oneri elettrici, e altro è addirittura di oltre il 30 per cento della media europea;
   c) la pressione fiscale è poi troppo alta (in particolare per il livello di tassazione IRAP, tra le più alte aliquote applicate a livello nazionale);
   d) si consideri inoltre la forte concorrenza straniera (soprattutto da parte delle imprese cinesi, dal momento che la Cina ha sensibilmente aumentato la propria quota di mercato di prodotti ceramici a livello mondiale erodendo, così, quella delle aziende del distretto);
   e) a ciò si aggiunga che, in conseguenza dell'ingresso di competitor internazionali come la Cina, assume rilievo l'assenza di una legislazione europea antidumping nel settore della ceramica sanitaria; difatti, ad oggi, esistono disposizioni antidumping, in particolare attraverso l'istituzione di dazi contro la Cina, solo per il settore delle piastrelle di cui al regolamento di esecuzione (UE) n. 412/2013 del Consiglio, del 13 maggio 2013, che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva dei dazi provvisori istituiti sulle importazioni di oggetti per il servizio da tavola e da cucina in ceramica originari della Repubblica popolare cinese;
   f) sono inoltre assenti o del tutto insufficienti le forme di incentivazione regionale, statale e dell'Unione europea, anche e soprattutto con riferimento all'accesso ai fondi;
   g) le esportazioni sono diminuite, in particolare quelle destinate agli Stati Uniti (che si assestavano ai primi posti tra i Paesi importatori di ceramiche del distretto), anche per effetto della rivalutazione dell'euro rispetto al dollaro;
   h) senza contare che hanno inciso molto, sulle condizioni economiche delle aziende del distretto, le modeste prospettive di crescita nel settore dell'edilizia residenziale;
    il Governo, in data 7 febbraio 2014, rispondendo ad un atto di sindacato ispettivo  interrogazione a risposta scritta n. 4-03005) ha affermato che «il ”sistema ceramico” di Civita Castellana ha pesantemente subito l'ingresso nei mercati occidentali di prodotti provenienti dal Far east e imposti a prezzi talvolta molto inferiori ai costi di produzione delle nostre imprese. Ma soprattutto, non ha saputo offrire alternative di alta qualità caratterizzate da design e tecnologie innovative sia per i materiali utilizzati, sia per i processi produttivi adottati»;
    la risposta del Governo al predetto atto di sindacato ispettivo è stata ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo del tutto insufficiente poiché ha sostanzialmente addossando le colpe della situazione economica delle aziende del distretto alle imprese stesse,

impegna il Governo:

   a porre in essere ogni iniziativa di propria competenza volta a ridurre i costi di acquisto di energia sostenuti dal distretto industriale di Civita Castellana, anche valutando di promuovere l'istituzione di un sistema locale di approvvigionamento energetico sulla base delle energie rinnovabili;
   ad intraprendere un percorso di riduzione della pressione fiscale sulle piccole e medie imprese, prima fra tutte l'IRAP;
   ad adottare ogni iniziativa di competenza al fine di valorizzare l'immagine del distretto attraverso l'introduzione di un programma di protezione del marchio «made in Italy» nonché di un vero e proprio «marchio del distretto industriale di Civita Castellana» che accerti la provenienza del prodotto ceramico e che sia garanzia di elevata qualità;
   a fornire informazioni circa l'eventualità dell'apertura di un procedimento ai sensi del regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio del 30 novembre 2009, ai fini della istituzione di un dazio antidumping nei confronti delle imprese che importano prodotti di ceramica sanitaria dalla Repubblica popolare cinese;
   ad incentivare e facilitare l'accesso ai fondi regionali ed europei per le aziende del distretto industriale di Civita Castellana, anche mediante collaborazioni con le amministrazioni territoriali competenti;
   ad adottare ogni iniziativa di competenza al fine di sostenere le attività delle piccole e medie imprese all'estero, soprattutto per quanto riguarda i mercati;
   ad assumere iniziative per introdurre un pacchetto di «defiscalizzazioni» sulle ristrutturazioni edilizie e sui prodotti ecosostenibili al fine portare ad un effetto di stimolo della domanda interna;
   ad assumere iniziative per introdurre incentivi per la sostituzione di sanitari inefficienti in favore delle nuove tecnologie cosiddette di «water saving» così da ottenere, oltre ad un incremento della domanda interna, anche risultati di riduzione dell'utilizzo dell'acqua e, quindi, conseguire obiettivi di maggiore efficienza idrica nell'interesse generale;
   a promuovere, conseguentemente, campagne di informazione della cittadinanza volte ad incentivare l'installazione di sanitari efficienti, a ridotto consumo di acqua, in linea con quanto avvenuto in altri Stati (come ad esempio Inghilterra, Stati Uniti, Germania) dove sono stati erogati considerevoli incentivi per la loro sostituzione;
   a sostenere le attività di ricerca, sviluppo ed innovazione tecnologica d'interesse del settore anche mediante collaborazione con le università e con enti di ricerca.
(1-00693) «Massimiliano Bernini, Luigi Di Maio, Rizzetto, Ciprini, Rostellato, Bechis, Da Villa, Di Battista, Mucci, Cominardi, Grande».

Risoluzioni in Commissione:


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    nel periodo compreso fra il 1979 ed il 2002, il catalogo del CNR IRPI (http://sici.irpi.cnnit/dannipersone.htm) riporta 4521 eventi calamitosi che hanno causato morti, dispersi, feriti, sfollati e senzatetto, di cui 2366 relativi a frane (52,33 per cento), 2070 ad inondazioni (45,79 per cento), e 85 a valanghe (1,88 per cento). I morti per frana sono stati almeno 10.032, i dispersi 85 ed i feriti 2265. I morti per inondazione sono stati oltre 20.754, i dispersi 121, e i feriti almeno 2366;
    secondo dati del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare elaborati sulla base dei piani di assetto idrogeologico (PAI) redatti dalle autorità di bacino, regioni e province autonome, i comuni interessati da aree ad alta criticità idrogeologica sono 6.633, pari all'81,9 per cento dei comuni italiani (Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare). Il rischio idrogeologico in Italia, 2008);
    le aree a alta criticità idraulica sono pari a 12.263 chilometri quadrati, quelle soggette a criticità idraulica sono pari a 23.903 chilometri quadrati per una popolazione esposta di 6.154.011 abitanti (elaborazione ISPRA 2012);
    l'Italia inoltre è il paese europeo maggiormente interessato da fenomeni franosi. L'inventario dei fenomeni franosi in Italia (Progetto IFFI – realizzato da ISPRA in collaborazione con le regioni e province Autonome) ha censito 499.511 frane (pari a circa il 70 per cento delle frane mappate in Europa), che interessano un'area di 21.182 chilometri quadrati pari al 7 per cento del territorio nazionale. Questi numeri, di per sé impressionanti, devono tuttavia essere considerati delle stime in difetto visto che la mappatura non è aggiornata su tutto il territorio nazionale e che ogni anno si verificano oltre un migliaio di frane, di cui circa un centinaio causano vittime, feriti, evacuati e danni a edifici e infrastrutture lineari di comunicazione primarie. Sempre secondo stime di ISPRA, la popolazione esposta a fenomeni franosi in Italia ammonta a 1.001.174 abitanti;
    le concause della peculiare situazione italiana possono essere ascritte sia ad elementi naturali che ad elementi antropici. Tra i primi sono sicuramente da annoverare la forzante meteorologica e la predisposizione geomorfologica del territorio: l'Italia infatti è una terra geologicamente molto giovane e deve ancora trovare un proprio equilibrio geomorfologico, soprattutto alla luce dei mutamenti climatici in atto. Questa considerazione non deve servire da alibi per coprire le evidenti responsabilità dell'uomo che possono essere riassunte in tre elementi principali: una gestione del territorio non sempre oculata e compatibile con le dinamiche naturali dei versanti e dei corsi d'acqua, una drammatica mancanza della cultura del rischio sia nella cittadinanza che negli amministratori, un'organizzazione della macchina amministrativa che non agevola risposte tempestive al problema del dissesto idrogeologico;
    in uno scenario nazionale così complesso e con un territorio geomorfologicamente in costante evoluzione, l'attività del servizio nazionale della protezione civile (nata con la legge la legge n. 225 del 1992, con il compito di «tutelare l'integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l'ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e altri eventi calamitosi») assume un ruolo di rilevanza vitale in quanto si occupa, oltre che del soccorso e delle attività volte al superamento dell'emergenza, anche della previsione e della prevenzione, fondandosi sul principio di sussidiarietà (regolamentato dal decreto legislativo n. 112 del 1998 e ulteriormente modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001);
    a vent'anni di distanza dalla sua fondazione, il Servizio nazionale della protezione civile è stato riformato recentemente con il decreto legge n. 59 del 15 maggio 2012 (convertito dalla legge n. 100 del 12 luglio 2012) in cui si sottolineano per la prima volta i concetti di «allertamento», «pianificazione d'emergenza», «formazione», «diffusione della conoscenza di protezione civile», «informazione alla popolazione», «applicazione della normativa tecnica» ed «esercitazioni» e in cui una novità importante è costituita dai piani comunali di emergenza (che devono essere redatti entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge, e periodicamente aggiornati);
    il piano d'emergenza (che recepisce il programma di previsione e prevenzione) è lo strumento che consente alle autorità di predisporre e coordinare gli interventi di soccorso a tutela della popolazione e dei beni in un'area a rischio, ha l'obiettivo di garantire con ogni mezzo il mantenimento del livello di «vita civile» che può essere messo in crisi da una situazione che comporta gravi disagi fisici e psicologici ed è soprattutto un documento in continuo aggiornamento, che deve tener conto dell'evoluzione dell'assetto territoriale e delle variazioni negli scenari attesi;
    l'attuale Governo, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 maggio 2014, ha istituito la «struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche», nota anche con il termine giornalistico italiasicura, con la principale finalità di imprimere un'accelerazione all'attuazione degli interventi strutturali in materia di dissesto idrogeologico;
    al dottor Erasmo D'Angelis è stato assegnato l'incarico di dirigenza della struttura in questione con il compito di curare l'impulso, il coordinamento, il monitoraggio e il controllo in ordine alle funzioni di programmazione, progettazione e realizzazione degli interventi strutturali in materia di dissesto idrogeologico, siano essi di prevenzione o di messa in sicurezza post-eventi, con particolare riferimento a quelli previsti negli accordi di programma Stato-regioni nonché in tutti gli altri accordi fra pubbliche amministrazioni in cui vi sia allocazione di risorse statali, facenti capo, nelle materie sopra indicate, agli enti ed organi preposti;
    tale dirigente della struttura in questione ha anticipato che per i prossimi sette anni l'obiettivo è aprire circa 7.000 cantieri, attraverso un piano nazionale contro il dissesto idrogeologico, prevedendo una spesa di quasi 9 miliardi di euro (5 provenienti dai fondi di sviluppo e coesione; 2 dal cofinanziamento delle regioni o dai fondi europei a disposizione delle regioni stesse e altri 2 miliardi recuperati dai fondi destinati alle opere di messa in sicurezza e non spesi fino ad ora) e che, in particolare, verranno aperti 654 cantieri entro la fine del 2014, per un totale di 807 milioni, e altri 659 cantieri nei primi mesi del 2015, per un valore pari ad un miliardo e 96 milioni di euro con l'obiettivo di promuovere una coscienziosa cultura del rischio sismico e idrogeologico;
    parallelamente, la società civile ed il mondo politico hanno organizzato diversi momenti di confronto come convegni e tavole rotonde (tra cui si cita, a titolo d'esempio, «Fuori dal fango ! Gli stati generali contro il dissesto idrogeologico – organizzato l'11 novembre 2014 e “Italia dissestata. Convegno su frane e alluvioni in Italia e in Parlamento” – organizzato il 7 ottobre 2014)»;
    i massimi esperti nazionali intervenuti da una parte hanno preso atto che la politica sta mettendo finalmente la prevenzione del dissesto idrogeologico tra i propri obiettivi, dall'altra hanno riscontrato come criticità il fatto che tale azione preventiva viene esercitata solo tramite cosiddetti interventi strutturali (opere di sistemazione attiva o passiva che mirano a ridurre la pericolosità dell'evento abbassando la probabilità di accadimento oppure attenuandone l'impatto), mentre gli interventi di tipo non strutturale (azioni finalizzate alla riduzione del danno attraverso l'introduzione di vincoli, la pianificazione dell'emergenza, la realizzazione di sistemi di previsione, allertamento e monitoraggio) risultano fortemente minoritari;
    la presente risoluzione raccoglie parte delle istanze emerse dai sopra citati momenti di confronto e interviene su aspetti (interventi non strutturali) che possono essere ritenuti complementari a quelli su cui attualmente si concentra prioritariamente l'azione dell'unità di missione (interventi strutturali);
    considerando l'impossibilità di azzerare il rischio idrogeologico in tutta Italia, è necessario sviluppare maggiormente la capacità di prevedere le emergenze e fare in modo che gli amministratori e la cittadinanza siano in grado di attivarsi prontamente per rispondere e mettere in atto tutte le contromisure necessarie. Appare particolarmente urgente disporre norme per contenere il consumo di suolo, per contrastare l'impermeabilizzazione dello stesso (che favorisce la formazione di alluvioni lampo e di ondate di piana concentrate) e per favorire lo sviluppo di un tessuto urbano e produttivo resiliente, ovvero capace di assorbire meno traumaticamente possibile gli eventi estremi e le dinamiche naturali dei versanti e del reticolo idrografico. Nell'ottica di sviluppare una società resiliente, è opportuno ricordare che quello del dissesto idrogeologico è un problema anche culturale, di percezione e conoscenza del rischio. Tra gli indirizzi proposti inoltre sono presenti anche impegni che mirano a superare alcune criticità che caratterizzano la pubblica amministrazione, tra cui la sovrapposizione di competenze tra enti, la mancanza di personale altamente specializzato in grado di riconoscere le dinamiche idro-geo-morfologiche e di prevedere l'evoluzione dei processi, l'assenza di strutture in grado di occuparsi di geologia di base e geologia applicata in maniera omogenea e continua su tutto il territorio nazionale,

impegna il Governo:

   a promuovere l'aggiornamento regolare della mappatura delle aree esposte a rischio idrogeologico e delle fonti di pericolosità, integrando i vari quadri conoscitivi tra loro e con gli strumenti urbanistici, al fine di subordinare la pianificazione territoriale alle conoscenze tecnico-scientifiche sulla pericolosità idrogeologica;
   ad assumere iniziative dirette a riorganizzare le competenze in materia di dissesto idrogeologico degli organi territoriali, sia di primo che di secondo livello, al fine di evitare sovrapposizioni e conflitti nella progettazione ed assicurandosi che le decisioni politiche in materia di assetto e pianificazione del territorio siano prese in base ad adeguati presupposti tecnico-scientifici;
   ad assumere un'iniziativa normativa affinché ogni variazione della strumentazione urbanistica generale e/o attuativa vigente che comporti aumenti delle previsioni edificatorie ovvero che renda, edificabili nuove aree (comprese quelle finalizzate alla realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico) possa avvenire solo previo parere positivo espresso dall'autorità di bacino (o distretto idrografico);
   assumere un'iniziativa normativa affinché il rilascio del permesso a costruire sia subordinato alla presentazione di un «certificato di sicurezza», asseverato da un tecnico specialista, che quantifichi il rischio idrogeologico a cui è esposto l'immobile e che sia allegato agli atti di compravendita;
   a individuare un opportuno cofinanziamento per la manutenzione e il potenziamento delle reti strumentali, sia da terra che satellitari, utili alla previsione e al monitoraggio delle condizioni meteorologiche, idrauliche e idrogeologiche;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza per favorire l'omologazione e la standardizzazione, su base nazionale, dei criteri, della terminologia e dei codici colore adottati dai vari enti territoriali per classificare e gestire le situazioni di emergenza;
   a destinare una piccola parte dei fondi individuati per la prevenzione del dissesto idrogeologico anche al finanziamento di progetti di ricerca scientifica applicata inerenti alla mitigazione del rischio idrogeologico ai fini di protezione civile, con particolare riferimento a progetti per il potenziamento delle capacità previsionali degli effetti al suolo degli eventi estremi;
   ad assumere iniziative normative per l'istituzione di un servizio geologico nazionale in cui ISPRA coordini e metta in rete i servizi geologici regionali (in capo alle ARPA o alle regioni), al fine di fornire supporto alla pianificazione territoriale, monitorare e aggiornare costantemente gli interventi e le situazioni di rischio, aggiornare e omogeneizzare le mappature tematiche come la cartografia geologica di base alla scala 1:50.000 e l'inventario dei fenomeni franosi;
   a promuovere, con l'opportuno coinvolgimento dei volontari della protezione civile e degli ordini professionali, programmi per l'apprendimento dei comportamenti idonei da tenere in caso di allerta per fenomeni meteo, idrogeologici e sismici, con particolare riferimento a specifici programmi rivolti agli istituti scolastici pubblici e privati, dalla scuola dell'infanzia agli istituti superiori.
(7-00556) «Segoni, Terzoni, Zolezzi, De Rosa, Daga, Busto, Mannino, Micillo, Artini, Tofalo».


   La X Commissione,
   premesso che:
    la produzione manifatturiera italiana ha avuto, nel periodo 2000-2013, un andamento opposto ai principali Paesi industriali, poiché mentre la produzione manifatturiera mondiale è cresciuta del 36 per cento, l'Italia ha registrato un crollo del 25 per cento, con cadute in tutti i comparti ad eccezione di quello alimentare;
    neanche l'anno in corso sembra mostrare un'inversione di tendenza, considerato che ad ottobre 2014 l'indice destagionalizzato della produzione industriale è diminuito dello 0,1 per cento rispetto a settembre, mentre nella media del trimestre agosto-ottobre la produzione è diminuita dello 0,9 per cento rispetto al trimestre precedente;
    sono di tutta evidenza la necessità e l'urgenza di rilanciare le politiche industriali specie in quei settori che possono maggiormente contribuire alla ripresa della crescita nel nostro Paese;
    in tale quadro, si può rivelare strategico il settore dell'alluminio, un materiale il cui consumo rappresenta una risorsa fondamentale per qualsiasi economia e, inoltre, essendo interamente riciclabile, questo metallo permette di limitare di molto le emissioni dei gas serra e rappresenta una risorsa fondamentale per quelle economie dove crescita e rispetto dell'ambiente e delle risorse naturali sono considerati elementi strategici non in conflitto;
    i prodotti finiti della lavorazione dell'alluminio sono destinati in gran parte a settori economici che risentono ampiamente dell'andamento del ciclo, come le costruzioni e la meccanica e quindi i trasformatori risentono molto dei cambiamenti della domanda interna;
    la crescita del mercato dell'alluminio ha avuto nel tempo un andamento inizialmente piuttosto lineare, mentre dal 1990 in poi ha avuto uno sviluppo quasi esponenziale: ciò è stato in gran parte dovuto al cambiamento della struttura del mercato con l'ingresso da protagonisti della Cina e degli altri Paesi orientali;
    l'Europa rappresenta il secondo mercato mondiale dell'alluminio, con ulteriori e significativi margini di crescita grazie ad un'industria di trasformazione tecnologicamente all'avanguardia e alla capacità di innovazione e sviluppo delle applicazioni;
    dal punto di vista merceologico, la produzione di alluminio si divide fondamentalmente in due differenti categorie: alluminio primario, ossia il metallo ottenuto per via industriale dalla bauxite mediante l'allumina, e alluminio secondario, ottenuto dalla lavorazione dell'alluminio già esistente;
    l'Italia, il cui import assomma a circa 764.000 tonnellate all'anno, pari al 47 per cento del fabbisogno, si pone come trasformatore di alluminio primario, generatore di alluminio secondario mediante riciclo di alluminio già utilizzato e rottami e consumatore di semilavorati e prodotti finiti;
    la produzione nazionale di primario era pari, prima della chiusura degli stabilimenti di Fusina e Portovesme a circa 190.000 tonnellate all'anno, e copriva solo il 12 per cento del fabbisogno interno, il valore più basso tra i Paesi industrializzati;
    la produzione di alluminio primario risulta fondamentale per l'economia nazionale perché è integrata all'industria di trasformazione e rappresenta, allo stesso tempo, un indiretto sostegno della industria del secondario, la più evoluta in Europa, che incontra difficoltà crescenti nell'approvvigionamento dell'estero del rottame;
    l'industria dell'alluminio primario è ad alta intensità di capitale con investimenti ad elevata durata di vita economica ed è energy intensive;
    l'energia elettrica è la vera materia prima del processo produttivo incidendo per oltre il 30 per cento sui costi operativi;
    la produzione di alluminio secondario, è di 700.000 tonnellate all'anno, pari al 43 per cento dell'intera domanda;
    l'Italia è stata tra le prime nazioni, dalla seconda metà del novecento a utilizzare tecnologie produttive sempre più efficienti riuscendo a riciclare completamente le scorie saline rimanenti alla fine del processo produttivo e ricopre un ruolo leader nelle produzioni mondiali di alluminio da riciclo, piazzandosi stabilmente al quarto posto dopo Usa, Giappone e Germania;
    la crisi economica, cominciata nel 2008, ha avuto effetto sulla filiera dell'alluminio in senso verticale, colpendo alcuni tra i comparti più importanti tra cui in particolare ne hanno risentito i settori dell'estrusione e quello dell'alluminio destinato all'edilizia, molto importanti in Italia;
    nel settore dell'estrusione, a fronte di una capacità produttiva di 950.000 tonnellate, nel 2012 il consumo è stato di sole 465.000 tonnellate, di cui 320.000 destinate al mercato interno;
    secondo i database Bureau Van Duk su dati Istat, risultano presenti oggi in Italia 1791 aziende attive nel settore dell'alluminio;
    il Nord (ovest ed est) comprende il maggior numero di unità produttive nel settore dell'alluminio, ma spicca comunque l'importanza che il settore ha sia nel Centro che nel Sud e nelle Isole;
    la produzione di alluminio primario in Italia era effettuata in due stabilimenti, entrambi appartenenti alla multinazionale Alcoa, che li ha acquistati nel 1996 in seguito alla privatizzazione dell'industria nazionale dell'alluminio:
     a) Portovesme, nel Sulcis Iglesiente (Sardegna) con capacità di 150.000 tonnellate all'anno;
     b) Fusina, nel Veneto, con capacità di 45.000 tonnellate all'anno e che attualmente invece dell'allumino primario produce prodotti laminati in alluminio;
    condizione essenziale per il perfezionamento di tale privatizzazione è stata la fornitura ai suddetti stabilimenti di energia elettrica ad un prezzo allineato a quello medio applicato nel resto dell'Europa per un periodo di almeno dieci anni, ossia sino al 31 dicembre 2005;
    nel luglio 2006, la Commissione europea, ritenendo che il suddetto regime potesse costituire un aiuto di Stato, ha aperto un'indagine conoscitiva conclusasi con una pesante condanna per il Governo italiano, e conseguentemente per Alcoa, al pagamento di oltre 300.000.000 di euro;
    il 30 novembre 2012 Alcoa ha deciso di fermare le produzioni di alluminio primario ed ha chiuso lo stabilimento;
    il fermo della produzione, nello stabilimento di Portovesme, ha comportato il ricorso agli ammortizzatori sociali per circa 1000 lavoratori, 500 dei quali direttamente dipendenti e altri 500 occupati nell'indotto;
    ad oggi la produzione è ancora sospesa e dal 31 dicembre 2014 si rischia anche il fermo delle attività di manutenzione ordinaria dello stabilimento, finora portate avanti da maestranze altamente qualificate al fine di mantenere attivi gli impianti e consentire l'acquisto degli stessi in condizioni efficienti e immediatamente attivabili per la produzione;
    sono state avviate interlocuzioni e trattative con una serie di potenziali investitori stranieri tra cui il gruppo Glencore che ha manifestato interesse nel possibile subentro;
    il mantenimento delle attività produttive di alluminio primario dell'ultimo impianto rimasto in Italia si pone come occasione per riprendere il filo di una politica industriale che:
     a) fermi le delocalizzazioni di attività produttive attive e remunerative;
     b) eviti che la competitività del sistema industriale sia danneggiata dalla rinuncia a una forma di approvvigionamento interna e dalla dipendenza economica da importazioni extra-Unione europea;
     c) consenta il rilancio di un settore strategico che può contribuire anche a fare da apripista della ripresa per molti di quei settori dell'industria italiana che coniugano lavorazioni artigianali tradizionali e innovazioni di prodotto e di processo;
     d) dia un segnale forte ad un territorio, quello del Sulcis-lglesiente che è stremato dalle numerose crisi aziendali e che rischia, continuando la chiusura di impianti, il collasso del tessuto produttivo rimasto, con effetti devastanti per l'occupazione,

impegna il Governo:

   a porre in essere tutte le iniziative necessarie al fine di definire un piano strategico di rilancio dell'industria di alluminio primario in Italia che consenta di riavviare gli impianti di produzione esistenti e di sviluppare nuove attività produttive;
   a proseguire il confronto con la Commissione europea sugli strumenti necessari da adottare per:
    a) conseguire l'abbattimento dei costi dell'energia a carico delle imprese metallurgiche e, in tal modo, non perdere la produzione industiale primaria a favore di Paesi extraeuropei;
    b) limitare, con adeguati strumenti normativi, l'esportazione di rifiuti (rottami) dell'alluminio in quei Paesi dove le norme ambientali e sanitarie per il riciclo sono poco rigorose;
   a rendere il settore della raccolta e del riciclo dell'alluminio ancora più efficiente, promuovendo tutte le best practice di cui l'Italia è punto di riferimento a livello mondiale.
(7-00557) «Cani, Benamati, Bargero, Basso, Galperti, Marrocu, Montroni, Peluffo, Pes, Giovanna Sanna, Francesco Sanna, Senaldi, Tidei».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TONINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere - premesso che:
   nel novembre del 2013 il Consiglio dei ministri ha designato il dottor Carlo Cottarelli «commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica». Nell'ambito del suo mandato, terminato con la sua nomina da parte del Governo al Fondo monetario internazionale a partire dal 1° novembre 2014, il commissario ha elaborato un piano per la revisione e l'efficientamento della spesa pubblica, del quale non è stata resa disponibile una versione ufficiale, pubblica e accessibile. Tuttavia, per quello che riguarda la parte del piano pubblica perché ricavata dal documento intitolato «proposte per una revisione della spesa pubblica (2014-2016)» o in quanto diffusa dalla stampa, è stato reso noto che:
    a) la riduzione della spesa deriverebbe da una «drastica riduzione numero centrali appaltanti (da 32.000 a 30-40; CONSIP, regioni, città metropolitane) per acquisti “sopra soglia”»;
    b) che all'interno del piano era stata prevista una drastica riduzione delle società partecipate da enti statali o locali, in una misura che ne avrebbe ridotto il numero da quello attualmente censito di 8.000 a 1.000 in tre anni, e che comunque prevedeva la possibilità di riduzione, nell'immediato, di circa 2.000 di tali società partecipate;
   nonostante la predisposizione del piano di un incaricato governativo ad hoc (il cui stipendio annuale, ammontante a 258.000 euro, peraltro, eccede il tetto massimo per le retribuzioni nel pubblico impiego fissato dallo stesso Governo nella misura di 240.000 euro) e tutti gli annunci fatti dal Presidente del Consiglio e dai sottosegretari e Ministri competenti, anche in questo caso i fatti sembrano andare in direzione opposta, così come è avvenuto per la sbandierata «eliminazione delle province», che non ha fatto altro che creare istituzioni non elettive che continuano a essere centri di spesa, e del cui piano di trasferimento del personale ancora non si ha notizia;
   il riferimento è alla vicenda della Scrp, principale tra le società partecipate del Cremasco, a cui sindaci soci hanno delegato la gestione della gara d'appalto che assegnerà per dieci anni – a partire dal 2016 – il servizio di igiene urbana, un appalto da 150 milioni di euro. La Scrp, che detiene una partecipazione azionaria di poco superiore al 9 per cento in Lgh, concorrerà alla suddetta gara d'appalto in quanto controlla il cento per cento linea gestioni, società che attualmente svolge tale servizio nella quasi totalità dei comuni soci di Scrp. In questo contesto, si ha che il direttore generale di Scrp figura tra i membri del consiglio di amministrazione di Lgh, ciò che evidentemente configura a giudizio dell'interrogante un manifesto conflitto di interessi e, infatti, la questione viene percepita da Scrp. Ma anziché chiedere al proprio direttore generale di dimettersi dal consiglio di amministrazione di Lgh, Scrp ha preferito chiedere un parere legale, con il quale ha il via libera all'operazione: ma si tratta pur sempre di un parere, peraltro di un privato e non di un'istituzione quale potrebbe essere l'Autorità nazionale anticorruzione (allora Autorità di vigilanza dei contratti pubblici);
   il direttore generale di Scrp è stato quindi dispensato dal compito di predisporre la gara, sono stati assunti pool di consulenti ad hoc, con spese per decine di migliaia di euro, per lo svolgimento di attività che potevano essere svolte dagli uffici provinciali competenti;
   a fronte di ciò, non è dato sapere quali conseguenze legali avrà il comportamento in questione sullo svolgimento della gara e quindi sulle tempistiche e sui costi complessivi dell'affidamento del servizio. Di fronte a una problematica del genere, anziché trovare la soluzione più semplice, si decide di affidarsi ad un'interpretazione in quella che per il suo valore è già una gara in cui la probabilità del contenzioso conseguente è molto elevata;
   quello appena menzionato è solo un esempio eclatante di come le promesse del Governo stiano rimanendo lettera morta dopo essere state «vendute» agli elettori come conquiste rivoluzionarie. La «legge Delrio» non ha abolito le province la riforma costituzionale in discussione le ha sostituite con gli enti di area vasta, l'attuazione del piano di trasferimento dei lavoratori al momento sta producendo solo caos e il piano per la riduzione del numero delle società partecipate è inattuato –:
   in che modo e secondo quali tempistiche si intenda promuovere il processo di riduzione delle società partecipate dallo Stato e dagli enti locali;
   quali iniziative di competenza, nel tempo previsto per l'attuazione del piano di riduzione delle società partecipate, si intendano assumere per prevenire e/o limitare il costo delle stesse attraverso l'implementazione di soluzioni quali la riduzione del numero delle centrali appaltanti, in particolare relativamente alle ancora esistenti e attive province. (5-04377)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo apparso su Il Fatto Quotidiano dell'11 dicembre 2014 e da un altro precedentemente apparso su Il Messaggero dell'Umbria rispettivamente a firma di Emiliano Liuzzi e di Italo Carmignani Fabrizi, in riferimento al Ministro Stefania Giannini per una vicenda legata all'acquisto di un edificio da parte dell'università per stranieri di Perugia di cui l'attuale Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca era rettore, si apprende che: «Come quello dell'acquisto di un edificio a due milioni e mezzo di euro, che l'università di Perugia decise di prendere dalla provincia e che, ancora oggi, è un santuario nel deserto, una struttura abbandonata. Non serviva a niente allora e tantomeno serve oggi, visto che non è ben chiaro a cosa volessero destinarlo, lei e il cda che guidava, al momento dell'acquisto;
   l'articolo fa riferimento a fatti accaduti quando l'attuale Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca rivestiva l'incarico di rettore dell'università per stranieri di Perugia: in particolare l'università per stranieri acquistò dalla provincia di Perugia (il cui presidente era Guasticchi) una palazzina (l'ex senologia sita al parco Santa Margherita di Perugia) per oltre due milioni di euro «ma ora giace serena e inutilizzata perché le sue mura sono spesse ottanta centimetri. Quindi l'intervento per ricavarne delle aule è titanico» (così Italo Carmignani sul Messaggero dell'Umbria);
   sulla vicenda dell'acquisto della suddetta palazzina e della sua destinazione da parte dell'università per stranieri, di cui attuale Ministro era rettore, occorre che il Governo fornisca dei chiarimenti –:
   se corrisponda al vero quanto esposto e se non si intendano fornire i chiarimenti e le delucidazioni necessarie in merito ai fatti descritti in premessa;
   se il Ministro possa chiarire in base a quale valutazione l'università per stranieri di Perugia, di cui l'attuale Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca era rettore, adottò la decisione di acquistare la suddetta palazzina;
   se e quali iniziative intenda intraprendere al riguardo il Governo, nell'ambito delle proprie competenze, a tutela dell'interesse pubblico. (4-07410)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 16 dicembre 2014 un terribile attacco rivendicato dalla sigla Ttp (Tehreek-e-Taliban Pakistan), è stato sferrato in Pakistan a danno di un istituto scolastico per i figli di militari a Peshawar, costato la vita di 148 persone, delle quali 130 ragazzi e bambini;
   sono più di 122 i feriti causati dall'attentato, di cui 80 in modo grave;
   gli assalitori hanno tenuto in ostaggio per ore circa 500 persone tra studenti, tra 6 e 16 anni, e insegnanti;
   «abbiamo scelto con attenzione l'obiettivo da colpire con il nostro attentato. Il governo sta prendendo di mira le nostre famiglie e le nostre donne. Vogliamo che provino lo stesso dolore», ha detto il portavoce dei talebani pachistani, Mohammed Umar Khorasani, rivendicando l'attacco iniziato alle 10.30 locali (le 6.30 italiane);
   Khorasani avrebbe annunciato che l'attentato di Peshawar «è solo un trailer» che precede altri nuovi attacchi;
   secondo quanto raccontato da una fonte dell'esercito alla tv americana Nbc, i terroristi avrebbero anche dato fuco a un insegnante e costretto i bambini a guardarlo mentre moriva;
   l'azione costituirebbe una vendetta per l'operazione lanciata dall'esercito pakistano contro i miliziani nel Nord Waziristan e nella Khyber agency, denominata «Zarb-e-Azb» e lanciata il 15 giugno dalle forze della sicurezza pakistana contro i Talebani e i miliziani della rete Haqqani nel Nord Waziristan a seguito di un attacco all'aeroporto di Karachi; l'attacco alla scuola sarebbe stato effettuato dunque per colpire ogni istituzione collegata all'esercito fino a quando non si fermeranno le loro operazioni e gli omicidi extra giudiziari dei detenuti talebani che secondo Khorasani verrebbero uccisi e gettati per le strade;
   l'operazione dell'esercito a cui il portavoce dei Talebani fa riferimento avrebbe costretto oltre 800 mila civili ad abbandonare le proprie case, mentre l'esercito ritiene di aver liberato il 90 per cento della regione tribale dai militanti;
   i talebani afghani hanno condannato l'attentato definendolo un atto «contro l'Islam»;
   in seguito all'attacco dei taliban alla scuola di Peshawar il Governo pakistano ha deciso la linea dura: in un vertice anti-terrorismo presieduto dal Premier Nawaz Sharif, l'Esecutivo ha deciso la sospensione della moratoria sulla pena di morte decisa nel 2008, anche se solo relativamente ai reati di terrorismo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei terribili fatti esposti in premessa e se non consideri urgente assumere ogni iniziativa, per quanto di competenza, affinché si faccia piena luce su quanto accaduto, tanto sui crimini quanto sui responsabili diretti di siffatte intollerabili efferatezze, che non possono essere perpetrate né tantomeno essere lasciate impunite e per promuovere azioni tali da contrastare il ripetersi di simili atrocità;
   se non intenda esercitare una decisa azione per promuovere una posizione congiunta dell'Europa all'interno della comunità internazionale, volta ad affermare le ragioni di una mutua cooperazione contro il terrorismo di gruppi estremistici e contro decisioni come la sospensione della moratoria della pena di morte di cui sopra, perché si evitino nefaste spirali di violenza ed odio. (4-07406)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   la piana di Scarlino è stata oggetto di attenzione da oltre dieci anni in relazione alla grave situazione di inquinamento ambientale che connota l'area, con particolare riferimento alla situazione delle falde acquifere, inquinate da rilevanti quantità di arsenico cancerogeno di prima classe, che, da tempo, erano oggetto di preoccupazione a diversi livelli istituzionali;
   le denunce e le sollecitazioni rivolte, nel corso degli anni ai competenti organi di vigilanza sono rimaste inascoltate e senza significativi interventi di rimozione dell'arsenico che sarebbe dovuto essere ricercato sui perimetri concentrici di raggio crescente circostanti la Piana;
   oggi, all'interno della Piana di Scarlino, rileva il rappresentante del Comitato Beni Comuni di Scarlino, si stima che siano disperse diverse migliaia di tonnellate di arsenico, mentre le tecniche proposte per la bonifica dell'area, prevedono attualmente la sottrazione di poche decine di chili di arsenico in 15 anni;
   già negli anni 1999-2001, la Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse della XIII legislatura si era occupata dell'inquinamento della piana di Scarlino, dando prescrizioni e formulando raccomandazioni;
   in particolare il Documento XXIII n. 55 degli atti parlamentari della suddetta Commissione, nell'ambito della relazione conclusiva sulla Toscana ed Umbria, dell'anno 2001 (relatore senatore Giovanni Iuliano), aveva già rilevato come a distanza di oltre dieci anni dalle prescrizioni che erano state impartite in relazione al sito citato, le norme previste in materia di bonifiche dei siti inquinati, non fossero state rispettate, aggiungendo inoltre che le falde inquinate non erano ancora state correttamente delimitate e bonificate, in quanto non era stato realizzato alcun serio provvedimento risanatore; inoltre il medesimo documento parlamentare evidenziava che le procedure di bonifica riavviate e approvate dal comune di Scarlino e dalla provincia di Grosseto, si erano limitate alle operazioni di bonifica della sola superficie e non anche delle falde idriche, riducendo le opere di ripristino e messa in sicurezza, entro il limite di proprietà dei soggetti responsabili, evitando pertanto di indagare oltre i confini di tali proprietà, pur essendo documentato l'avvenuto smaltimento di rifiuti sul territorio, anche all'esterno alle singole proprietà Eni;
   anche da parte della popolazione la situazione era già da tempo nota: sin dal 2001, il Comitato Beni Comuni di Scarlino, nell'ambito della conferenza dei servizi, per le bonifiche dei siti inquinati del 19 dicembre 2000, avanzava richieste d'intervento volte ad accertare la possibilità di migrazione degli agenti inquinanti nelle falde, sia all'interno che oltre il confine comunale di Scarlino;
   la causa della contaminazione da arsenico, secondo molte fonti, dovrebbe essere ricondotta alle attività industriali derivanti dal processo produttivo dell'Eni; tuttavia gli enti locali riconobbero che l'inquinamento da arsenico nei terreni della piana era di origine naturale, consentendo di fatto all'ENI di evitare di adempiere ad alcun obbligo di bonifica;
   successivamente Eni ha ceduto a diversi soggetti pubblici e privati le aree da bonificare ma la bonifica è stata avviata a macchia di leopardo ad opera delle industrie subentrate alle precedenti quali Scarlino energia, Nuova Solmine, e Tioxide ed è stata nel complesso inefficace;
   i comitati ambientalisti cittadini, avevano rilevato in più occasioni la necessità che gli enti locali, competenti a vigilare sulla bonifica del sito si attrezzassero adeguatamente per rimuovere le fonti inquinanti, anche attraverso una più incisiva azione di monitoraggio dell'intero territorio, che era stato suddiviso in più siti da bonificare senza che questa azione si limitasse, come è invece avvenuto, solo entro i confini di proprietà dell'azienda Nuova Solmine;
   le bonifiche svolte, da parte dei medesimi enti coinvolti, si sono limitate alle operazioni di rimozione dei rifiuti tossici interrati alla sola superficie di proprietà dei singoli siti, pur essendo documentato che tali rifiuti tossici erano stati interrati anche oltre il limite delle singole proprietà ed inoltre le stesse amministrazioni locali, non hanno prescritto la rimozione dei rifiuti tossici depositati nelle strade, nei piazzali, nei parcheggi, negli argini dei canali ed hanno convalidato il collaudo delle bonifiche delle superfici, pur sapendo che le acque in transito sotto quelle superfici continuavano a ricevere arsenico fuori norma;
   i livelli di pericolosità derivanti dall'inquinamento, sono, in conseguenza di ciò, divenuti sempre più elevati, come suffragato anche dallo studio commissionato dal comune di Scarlino, finalizzato ad individuare le cause della contaminazione e predisposto dalla società Ambiente nell'anno 2013 a seguito del quale sono emersi, i dati allarmanti relativi all'espansione territoriale della contaminazione;
   le conclusioni del predetto rapporto tecnico nell'ambito delle articolate motivazioni, evidenziano infatti due dati inquietanti relativi sia all'estensione della contaminazione da arsenico, che risulta essersi allargata oltre il territorio storicamente inquinato, ovvero verso la zona industriale di Follonica, sia con riferimento, alla persistente situazione di contaminazione che risulta ancora in corso e addirittura aggravata;
   il 12 giugno 2014, l'edizione locale di Grosseto del quotidiano: Il Tirreno, ha pubblicato un articolo che riporta l'allarme diffuso dall'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana-Arpat e dall'Azienda sanitaria locale, sull'inefficacia degli interventi di bonifica effettuati nel corso degli anni, a seguito del ritrovamento dell'arsenico nella falda acquifera della piana di Scarlino in provincia di Grosseto;
   in un successivo articolo dello scorso 20 giugno del medesimo quotidiano, sono stati documentati gli errori, le omissioni e l'inefficienza degli enti locali coinvolti nell'annosa vicenda delle bonifiche delle aree inquinate nell'area di Scarlino, in particolare si segnalava come ad esempio fosse stato espresso parere favorevole al riuso delle ceneri di pirite, per realizzare massicciate stradali, pur essendo noto che tali rifiuti erano tossici e nocivi, perché capaci di cedere arsenico in acqua e non è stato prescritto che fossero quantificate le quantità di polveri arseniose e ceneri disperse dalle attività di fusione delle arsenopiriti (bilancio di massa), nonostante il fatto che ciò fosse stata richiesto espressamente da consulenti tecnici del comune di Scarlino in sede di Conferenza dei Servizi;
   occorre segnalare che il Tirreno descrive inoltre un'evidente sottovalutazione della situazione e un tentativo di minimizzare la questione. Si evidenzia infatti dal confronto delle vecchie tavole dello studio Biondi-Donati del 2011 descrittivo dello stato dei luoghi, con le nuove tavole 4b) e 4c) del citato studio della società Ambiente, che queste ultime, che danno conto di un peggioramento della situazione, sono state rapidamente ridimensionate dal sindaco e dall'assessore provinciale del comune di Scarlino; con ciò non si è comunque evitato che i preoccupanti rilievi contenuti nello studio commissionato potessero essere resi pubblici, come in realtà è avvenuto; inoltre, mentre sulla stampa locale, l'Asl competente e l'Acquedotto del Flora, tentavano di trasmettere rassicurazioni sullo stato di sicurezza della falda acquifera della piana di Scarlino, gli enti coinvolti erano a conoscenza che il livello di sicurezza e della qualità dell'acqua del sottosuolo, avrebbe dovuto essere controllato con maggiore accuratezza, attraverso il reperimento di nuovi dati, in grado di comprendere quali siano le cause della contaminazione e intervenire di conseguenza;
   la suesposta vicenda, a giudizio dell'interpellante, desta sconcerto e preoccupazione, ove il contenuto dell'articolo dell'edizione locale di Grosseto del quotidiano: Il Tirreno fosse confermato, in considerazione delle gravissime conseguenze relative ai danni per la salute dei residenti delle comunità locali interessate e dell'impatto sull'ambiente circostante;
   la situazione di evidente pericolosità in termini di rischi sanitari ed ecologici nella piana di Scarlino, le denunce e le accuse rivolte da oltre un decennio, da parte dei Comitati ambientalisti locali, nel manifestare una situazione di inquinamento di estrema gravità nella falda acquifera della piana medesima, a seguito delle quali non sono seguite azioni incisive di risanamento per eliminare i livelli di inquinamento, accrescono, a parere dell'interpellante, l'esigenza di interventi urgenti da parte dei Ministri interpellati, al fine di definire in maniera univoca, le reali condizioni dell'area interessata;
   l'evidente inefficacia da parte dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana, di adeguati sistemi di controllo e monitoraggio dello stato della falda acquifera coinvolta, a cui non è seguita una seria attività ispettiva sull'intera area industriale, per controllare il rispetto delle norme in materia di tutela ambientale per accertare il livello critico di sostanze inquinanti e cancerogene, conferma inoltre l'urgenza, anche a livello normativo, di introdurre misure in grado di rafforzare le attività di controllo, finalizzate ad ottenere un alto livello di protezione ambientale nel nostro Paese;
   gli interpellanti rilevano altresì, come la suesposta vicenda, sia stata oggetto di un atto di sindacato ispettivo n. 4-07427, presentato la scorsa legislatura, in data 1o giugno 2010, nel quale già si segnalava nella Piana del Casone di Scarlino, una concentrazione di arsenico nelle falde idriche della zona pari a diverse centinaia di volte superiore ai limiti di legge;
   la situazione complessiva di particolare gravità e complessità, determinatasi nell'area in precedenza esposta, in ordine alle possibili ripercussioni, per l'inquinamento del territorio e dei suoi effetti diretti e indiretti sulla salute dei cittadini della comunità di Scarlino e del risanamento ambientale dell'area industriale (che risulta fortemente compromessa, a causa alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti quale l'arsenico cancerogeno di prima classe), richiede pertanto, che si affronti concretamente la fase di risanamento e di messa in sicurezza del territorio, nonché una revisione dei meccanismi di gestione delle operazioni di recupero dei rifiuti prodotti dalle bonifiche dei siti industriali contaminati dei territori –:
   quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa dove si evidenziano condizioni di elevata criticità sanitaria e ambientale, nella Piana di Scarlino e nell'intera area industriale inclusa la zona di Follonica, alla luce di quanto contenuto nell'articolo pubblicato nell'edizione locale di Grosseto del quotidiano Il Tirreno;
   se intendano inoltre assumere iniziative per assicurare la prevenzione di possibili disastri sanitari ed ambientali mediante un controllo diretto delle procedure di bonifica della Piana di Scarlino, riportata nella premessa, da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con l'inserimento, ove ne ricorrano i presupposti, dell'area nell'elenco dei siti da bonificare di interesse nazionale;
   quali iniziative urgenti e necessarie, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano intraprendere, al fine di verificare, anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità, se e quali effetti sulla popolazione possano essere derivati dall'attuale situazione di sostanziale compromissione delle acque di falda.
(2-00796) «Faenzi, Palese».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LIUZZI, SIBILIA, DE LORENZIS, PETRAROLI e PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'aviosuperficie «Enrico Mattei», situata a Pisticci (MT) in Basilicata, è stata realizzata negli anni sessanta, durante l'industrializzazione della Valbasento ed è rimasta inutilizzata per molto tempo. Si tratta di una semplice pista di atterraggio voluta da Enrico Mattei nella strategia di una sua maggiore personale rapidità di spostamento tra i siti Eni, assolutamente chiusa al pubblico. Nell'ottobre del 2007 è stato consegnato alla regione Basilicata un progetto che prevedeva la costruzione di opere infrastrutturali e di potenziamento dei servizi per la realizzazione di un aeroporto civile regionale di terzo livello, per un investimento complessivo di circa 8 milioni di euro;
   il 22 maggio 2014, la pista, è stata affidata dal Consorzio industriale di Matera (CSI), la sua gestione alla società aerotaxi Winfly Srl (succeduta alla «Lucana fly») del gruppo Cestari. Winfly Srl che ha sede all'aeroporto di Pontecagnano (Salerno) ed è una società nata nel 2010 e specializzata in collegamenti interni in Africa-Congo a servizio principalmente di società petrolifere;
   il Consorzio per lo sviluppo industriale di Matera ha ricevuto un finanziamento di 600 mila euro dalla regione Basilicata per il triennio 2014-2016 nonché dalla data di acquisizione dell'autorizzazione dell'Enac all'attivazione dei voli. Tuttavia la Winfly non ha ancora ottenuto tutte le autorizzazioni dell'Enac indispensabili per trasformare l'aviosuperficie in aeroporto minore e che possano permettere il decollo e l'atterraggio di aerei da 130 passeggeri sul modello dell'AirBus A318;
   da molto tempo si sospetta la presenza di discariche abusive e di rifiuti industriali chimici nella Valbasento. Tali supposizioni si sono intensificate quando il dirigente chimico di turno in servizio di pronta disponibilità per il dipartimento provinciale ARPAB di Matera, è stato allertato telefonicamente il 13 novembre 2013 dalla prefettura di Matera per una possibile situazione di emergenza ambientale insistente presso l'area industriale della TECNOPARCO Valbasento in agro di Pisticci. Il sindaco di Pisticci ha lamentato nella zona indicata il manifestarsi di odori insopportabili. Tuttavia, nella data prima indicata, i tecnici non sono riusciti a rilevare dei campioni rilevanti nella zona (compresa la zona dell'aviostazione) a causa del percorso infangato dalle forti piogge che c'erano state nel mese di ottobre 2013 e che avevano portato alla luce alcune discariche abusive;
   da fonti giornalistiche, si è appreso altresì che tra gli indagati risultano esserci anche Gaetano Santarsia, ex-commissario del consorzio per lo sviluppo industriale di Matera, presente in Tecnoparco con la quota di maggioranza relativa e l'ex amministratore delegato di Sorgenia Massimo Orlandi, dimissionario soltanto a luglio del 2013;
   sempre a mezzo stampa e dalla conferenza dei servizi istruttoria del 13 febbraio 2014 si è appreso che accanto all'aeroporto di Pisticci (e ipoteticamente anche sotto la pista) ci potrebbero essere addirittura 13 chilometri di discariche complessive interrate non ancora completamente analizzate, così come si è a conoscenza dell'esistenza, nei dintorni, di camini industriali in funzione appartenenti a Tecnoparco e delle contaminazioni da mercurio rilevate ma non ancora mappate, provenienti dal versante Basento, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a riprova di quanto detto, ha enunciato richieste di interdizione di foraggio e coltivazione, oltre all'esame della catena alimentare ed ordinanze di divieto d'emungimento delle falde dell'area;
   il 20 febbraio 2014, il «Quotidiano della Basilicata» ha pubblicato un articolo nel quale ha denunciato la presenza di 11 indagati fra il Centro Oli Eni di Viggiano, Tecnoparco Valbasento e Consorzio Industriale Matera. Dall'articolo si è appreso che, nella zona che interessa la pista, «per almeno tre anni e mezzo, Eni avrebbe smaltito in maniera illegale i rifiuti prodotti dal Centro Oli di Viggiano, in combutta con alcuni imprenditori locali, tra cui il Presidente di Confindustria Basilicata, uno dei «signori della monnezza lucana», e il vertice di Sorgenia, la società energetica del gruppo De Benedetti»;
   anche alcuni ex lavoratori della Val Basento hanno descritto l'area della pista Mattei, come una vera e propria discarica industriale, e nella conferenza dei servizi del 7 marzo 2014, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, rappresentato dall'ingegner Laura D'Aprile, ha chiesto ufficialmente carotaggi a 30 metri di profondità nella Val Basento. Tuttavia nelle conferenze successive quest'ultima indicazione è venuta meno e si è chiesto solo un «carotaggio di suolo rappresentativo», che è una tecnica di campionamento adottata con perforazione di pozzi o sondaggi mediante prelievi di campioni di roccia cilindrici a scopo di analisi;
   nel mese di marzo 2014, si è appreso a mezzo stampa che l'aviosuperficie Mattei sarebbe rientrata in funzione nell'estate dello stesso anno, a dispetto delle concomitanti dichiarazioni dal sindaco di Pisticci il quale ha più volte chiesto una bonifica della Valbasento e nonostante l'assenza di accertamenti riguardo alla bonifica del sito;
   il 4 ottobre 2014, la testata giornalistica «Basilicata24» ha pubblicato un articolo intitolato «La cupola dietro la Pista Mattei di Pisticci», nel quale ha denunciato che sotto l'area della Pista Mattei «fu sotterrato di tutto». Nell'articolo si legge che l'Arpa Basilicata avrebbe ricevuto un finanziamento di 5 milioni di euro, per uno studio volto ad individuare l'eventuale inquinamento dell'area. Nonostante il cospicuo finanziamento incassato dall'ente Arpab, è stato uno studio indipendente svolto dal professor Ruggiero Pacifico a rilevare nell'area della Val Basento numerosi metalli inquinanti, con limiti eccedenti quelli previsti dalla norma. Tra questi il più pericoloso sarebbe il mercurio, eccedente anche 250 volte in più rispetto al limite previsto dalla normativa;
   il 10 dicembre 2013, la stessa testata lucana succitata, ha pubblicato un pezzo intitolato: «Discariche, bidoni e altre storie di veleni». Nell'articolo viene fatta una panoramica sullo smaltimento illecito di rifiuti, che ha interessato la zona della Valbasento durante gli anni ottanta, favorito probabilmente da un intreccio di interessi tra aziende petrolchimiche dell'area lucana, politici e magistrati. Nell'articolo si fa riferimento anche al possibile sotterramento illegale di rifiuti sotto la pista Mattei; tesi sostenuta da una ricerca dello «Studio Omega» che nel 2004 ha rilevato lungo la pista, un'ampia anomalia magnetica. Un test effettuato in un deposito argilloso dove erano stati sepolti 20 fusti orientati verticalmente alla profondità di 4/5 metri circa, ha mostrato un'anomalia di 290nT/m (nano tesla/metro). Nella zona circoscritta di Pisticci di 4x12 m2 l'anomalia rilevata è stata pari a 9000nT/m, ossia 31 volte più alta del test con 20 bidoni. Sempre a mezzo stampa si è a conoscenza che il professor Nedo Biancani dello studio Omega, dopo aver evidenziato tali risultati è divenuto «persona non gradita» in Basilicata e da allora, a detta dell'articolo di stampa, tutte le collaborazioni lavorative con la provincia di Matera sono state interrotte;
   come si apprende anche da fonti stampa, il Ministero inizialmente ha chiesto: 156 carotaggi a profondità variabile, attenzione per il sito contaminato da mercurio, rifacimento della recinzione alla pista ed analisi ulteriori delle discariche. Successivamente ha esonerando poi dalla caratterizzazione il lotto D di proprietà della Syndial partecipata dall'Eni;
   nel campo della gestione dei rifiuti, l'Italia, al pari degli altri Stati membri, è tenuta a dare attuazione alle disposizioni contenute nelle direttive dell'Unione europea che regolano alcune parti della materia in merito alla gestione delle discariche: la n. 75/442/CEE, la n. 91/689/CE relativa alla gestione controllata dei rifiuti pericolosi, e la n. 1999/31/CE concernente la gestione delle discariche integrate dai regolamenti (CE) n. 1882/2003 e (CE) n. 1137/2008;
   il 26 aprile 2007, la Corte di giustizia delle Comunità europee (causa C-135/05) ha condannato la Repubblica italiana per non aver adottato tutti i provvedimenti necessari ad adempiere agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli articoli 4, 8 e 9 della direttiva 75/442, come modificata dalla direttiva 91/156/CEE, dell'articolo 2, n. 1, della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi, e dell'articolo 14, lettere a)-c), della direttiva del Consiglio 26 aprile 1999, 1999/31/CE, relativa alle discariche di rifiuti, imponendo all'Italia il pagamento delle spese processuali;
   l'Italia non ha rispettato la sentenza del 2007 della Corte di giustizia dell'Unione europea e constatato l'inadempimento, il nostro Paese è stato nuovamente condannato il 2 dicembre 2014, a pesanti sanzioni pecuniarie che prevengono una penalità a partire da un importo iniziale di 42.800.000 euro per il primo semestre (Corte di giustizia dell'Unione europea, sez. Grande, sentenza 2 dicembre 2014 n. C-196/13). Da tale importo saranno detratti 400 mila euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma e 200 mila euro per ogni altra discarica messa a norma. Inoltre nel corso della stessa sentenza, la Commissione europea ha affermato che, 198 discariche non sono ancora conformi alla direttiva «rifiuti» e che, di esse, 14 non sono conformi neppure alla direttiva «rifiuti pericolosi»;
   la Corte ha anche rilevato che le direttive impartite (ove attuate) sono state compiute con grande lentezza, tant’è che un numero importante di discariche abusive si registra ancora in quasi tutte le regioni italiane –:
   se intenda assumere ogni iniziativa di competenza con riferimento alla situazione che interessa l'area della Pista Mattei, la quale non risulta essere stata risanata, per non incorrere in un'ulteriore procedura d'infrazione;
   se il Ministro intenda commissionare, per quanto di competenza, uno studio ad hoc, oltre che per una valutazione dell'inquinamento del suolo, anche per l'inquinamento delle falde acquifere dell'intera zona interessata dall'inquinamento industriale della Val Basento. (5-04375)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   TOFALO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 9 della costituzione italiana pone tra i principi fondamentali lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica e la tutela e salvaguardia del patrimonio storico, artistico ed ambientale;
   il patrimonio artistico italiano è in larga parte venduto ai privati e lasciato incurato; nella fattispecie il castello medioevale di Airola è un chiaro esempio: lo stato dei fatti è stato accertato con il sopralluogo dell'8 luglio 2013, dal funzionario della Soprintendenza di Caserta — Benevento. Nel verbale si è evidenziata la necessità di effettuare dei lavori urgenti per il consolidamento delle strutture portanti e per una generale operazione di ripulitura, disinfestazione e restauro tenuto conto dell'enorme valore storico-artistico, architettonico e culturale del Castello, ad oggi non ottemperati;
   ai sensi dell'articolo 30 del decreto legislativo n. 42 del 2004, oltre ai proprietari, l'obbligo di eseguire le opere necessarie alla conservazione del bene sottoposto a tutela, incombe anche sull'Ente territoriale ove lo stesso è ubicato, oggi in difficoltà ad adottare provvedimenti per salvaguardare il valore storico-artistico dei nostri patrimoni incurati;
   si osserva che, ai sensi dell'articolo 32, del decreto legislativo n. 42 del 2004, qualora l'Ente territoriale o i proprietari non ottemperano alla diffida per la esecuzione delle opere necessarie alla conservazione del bene, tali opere devono essere eseguite dal Ministero del beni e delle attività culturali e del turismo –:
   se si intendano adottare iniziative normative in merito alla compravendita dei patrimoni artistico culturali, in modo che sia prevista in primis la cura del bene e poi la cessione dello stesso;
   quali iniziative il Ministro interrogato voglia attuare ad horas per un intervento di ristrutturazione del sopra descritto bene culturale. (4-07422)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VILLECCO CALIPARI, PETRENGA, SCOPELLITI, BASILIO e DURANTI. —Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   le condizioni votate dalla Commissione difesa della Camera dei deputati in sede di parere sull'A.G. 32 del 2013, accolte dal Governo in quella sede, sono state recepite in parte attraverso il decreto ministeriale del maggio 2014, con particolare riguardo a quelle che hanno stabilito il canone da corrispondere da parte di particolari soggetti meritevoli di tutela;
   tenuto conto che nella fase attuativa non tutti i comandi hanno interpretato correttamente la portata delle nuove norme, generando una situazione disomogenea nelle rispettive aree territoriali di competenza;
   in particolare tale situazione si è riscontrata nei confronti dei conduttori cosiddetti «sinetitulo» risultanti tali, entro e non oltre il 31 dicembre 2010, ai quali deve continuarsi ad applicare il canone calcolato sulla base delle norme dell'equo canone, senza maggiorazione, mentre nei loro confronti si applica dal febbraio del 2014 una maggiorazione non dovuta;
   giungono agli interroganti numerose istanze che richiamano l'attenzione su comportamenti che in maniera conflittuale stanno caratterizzando il rapporto fra utenti e amministrazione della difesa soprattutto a livello periferico;
   restano da recepire nel testo unico delle disposizioni in materia di ordinamento militare le norme relative all'esercizio dell'usufrutto da parte dei conduttori che sono impossibilitati a esercitare il diritto all'acquisto degli immobili da alienare in quanto non più utili alla difesa –:
   se intenda fornire un quadro esaustivo della situazione in atto;
   se intenda assumere iniziative per recepire in tempi brevi, nel testo unico delle disposizioni in materia di ordinamento militare, le norme richiamate in premessa. (5-04380)

Interrogazione a risposta scritta:


   TOFALO, FICO, DE LORENZIS e SIBILIA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la Difesa Servizi Spa è una società in house con azioni interamente sottoscritte dal Ministero della difesa che svolge, sulla base di una concessione, le attività di gestione, recupero e valorizzazione del patrimonio immobiliare e dei terreni del Ministero della difesa, nonché l'attività di gestione economica dei marchi, degli stemmi e dei segni distintivi delle forze armate;
   l'articolo 15 dello statuto della Difesa Servizi Spa subordina l'assunzione della carica di amministratore al possesso di una serie di requisiti generali, ovverosia la professionalità, la competenza e l'onorabilità, nonché di criteri più specifici di esperienza professionale in ambiti attinenti l'oggetto della società;
   l'articolo 16 dello statuto della società prevede inoltre le cause di incompatibilità del mandato di amministratore, la cui sussistenza determina la decadenza o la sospensione dalla carica;
   l'articolo 19, comma 3, dello statuto, attribuisce al consiglio di amministrazione il compito di nominare, su indicazione dell'Assemblea, un amministratore delegato, definendone il trattamento economico sulla base delle retribuzioni riconosciute ad amministratori delegati di analoghe società;
   il citato articolo 19 non estende espressamente all'amministratore delegato i requisiti e le cause di incompatibilità valevoli per i consiglieri di amministrazione, sebbene l'ampiezza delle deleghe conferite all'amministratore lasci presupporre una estensione analogica degli stessi requisiti;
   nel corso del 2014, l'ex deputato Pier Fausto Recchia, attualmente capo della segreteria del sottosegretario di Stato al Ministero della difesa, è stato nominato amministratore delegato della Difesa Servizi –:
   se l'amministratore delegato di Difesa Servizi sia in possesso di tutti i requisiti indicati dagli articoli 15 e 16 dello statuto, anche in mancanza di espressa previsione statutaria;
   quali siano le motivazioni della indicazione da parte dell'Assemblea di Pier Fausto Recchia come amministratore delegato della società;
   di quali specifiche competenze e di quale esperienza professionale fosse in possesso Recchia al momento della nomina;
   se non ritenga che, a prescindere dalle competenze, vi sia una incompatibilità sostanziale tra le due funzioni gravose svolte dall'avvocato Recchia, appunto quella di amministratore delegato della Difesa Servizi e di capo della segreteria del sottosegretario di Stato al Ministero della difesa;
   quali iniziative Recchia abbia fino ad oggi posto in essere, in qualità di amministratore delegato, per il rilancio della società, e quali siano le attività che egli intende avviare per la crescita e lo sviluppo della Difesa Servizi spa;
   quale sia la retribuzione specifica dell'avvocato Recchia derivante dallo svolgimento dei due suddetti incarichi;
   per quali ragioni nella sezione «Amministrazione trasparente» nel sito internet della società, alla pagina relativa agli «Incarichi amministrativi di vertice 2014-2016» non siano indicati i compensi lordi dei componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale.
(4-07421)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   POLIDORI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'Anas è il gestore della rete stradale ed autostradale italiana di interesse nazionale. È una società per azioni il cui socio unico è il Ministero dell'economia e delle finanze ed è sottoposta al controllo e alla vigilanza tecnica e operativa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   il numero totale dei dipendenti è 6.216 ed è così ripartito: dirigenti (192), altri dipendenti (5862), dipendenti a tempo determinato (163);
   da notizie giunte all'interrogante ed emerse sul sito istituzionale dell'Anas nel mese di ottobre 2014 le retribuzioni dei dirigenti sarebbero molto superiori rispetto al tetto massimo di 240.000 euro/annui imposto dal Governo nel 2014;
   dal canto proprio l'Anas fa sapere che i dirigenti che hanno incassato quantitativi superiori al tetto dei 240.000 euro/annui, lo hanno potuto fare nella «piena attuazione delle disposizioni di legge vigenti». Il fatto è, a detta dell'Anas, che il decreto con il quale è stato introdotto il limite, con decorrenza 1o maggio 2014, prevede l'applicazione del tetto «esclusivamente ai contratti di lavoro stipulati successivamente al 10 dicembre 2010»;
   a giudizio dell'interrogante la situazione emersa è paradossale. Da un lato il Governo, visto il periodo di grave e perdurante crisi, promette di fissare un tetto massimo alle retribuzioni inadeguatamente elevate dei dirigenti pubblici e dall'altro si realizza che tale vincolo coinvolge una minima platea di contribuenti –:
   quali orientamenti intendano esprimere in riferimento a quanto esposto in premessa e, conseguentemente, quali iniziative intendano intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, per porre rimedio all'annosa questione dei dirigenti dell'Anas;
   se intendano procedere attraverso un'attenta valutazione di quanto esposto in premessa affinché si mantenga la massima trasparenza. (4-07413)


   VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in base alla legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013, articolo 1, commi 586 e 587), la restituzione del rimborso del Modello 730 è prevista entro un determinato termine, per tutti i contribuenti che godono di detrazioni per carichi familiari o per i contribuenti che nell'anno precedente hanno versato più tasse di quelle dovute e riportino quindi un'eccedenza di imposta;
   in base a una nota dell'Agenzia delle entrate, del 10 giugno 2014, si apprende che i contribuenti i cui rimborsi per il Modello 730 superano i 4000 euro, potrebbero essere giustamente sottoposti a controlli e verifiche. Tali verifiche comunque avrebbero dovuto avere un termine certo e, nel caso in cui gli accertamenti fiscali avessero dato esito negativo e il contribuente quindi fosse in regola con dichiarazioni e versamenti, i rimborsi sarebbero dovuti avvenire entro il termine massimo dei sei mesi, indicato dalla legge di stabilità stessa, cioè entro la fine di ottobre;
   anche in Commissione finanze alla Camera dei deputati, è stata approvata, all'unanimità, una risoluzione che richiede un impegno preciso sulla questione dei tempi assolutamente certi, ma nonostante ciò, ancora oggi, alla fine di dicembre, di tali rimborsi non c’è alcuna traccia –:
   se intenda chiarire immediatamente i tempi relativi alle verifiche ed ai rimborsi di cui in premessa. (4-07415)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   il 13 settembre 2013 è entrata in vigore la cosiddetta riforma della geografia giudiziaria, con il taglio degli uffici giudiziari di primo grado previsto dal decreto legislativo n. 155 del 2012, che ha comportato la soppressione di 31 tribunali (poi divenuti 30, per il recupero del tribunale di Urbino da parte della Corte costituzionale), 31 procure (poi divenute 30, a seguito della sentenza della Corte su Urbino), ovvero tutte le procure della Repubblica presso i tribunali soppressi e di tutte le 220 sezioni distaccate di tribunale;
   ciò, al fine di riduzione della spesa e di miglioramento dell'efficienza del sistema giustizia, in attuazione alla delega conferita dall'articolo 1 della legge n. 148 del 2011, con l'osservanza di una serie di principi e criteri direttivi essenzialmente volti a: ridurre gli uffici giudiziari di primo grado, mantenendo comunque sedi di tribunale nei circondari di comuni capoluogo di provincia alla data del 30 giugno 2011; ridefinire la geografia giudiziaria, ovvero l'assetto territoriale degli uffici giudiziari, eventualmente anche trasferendo territori dall'attuale circondario a circondari limitrofi, anche al fine di razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane (nel compiere questa attività il Governo ha dovuto tener conto di «criteri oggettivi e omogenei» che comprendano i seguenti parametri: estensione del territorio; numero degli abitanti; carichi di lavoro; indice delle sopravvenienze; specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale; presenza di criminalità organizzata); ridefinire l'assetto territoriale degli uffici requirenti; garantire che, all'esito degli interventi di riorganizzazione, ciascun distretto di corte d'appello comprenda non meno di tre dei previgenti tribunali con relative procure della Repubblica; ridurre gli uffici del giudice di pace dislocati in sede diversa da quella circondariale, prevedendo la possibilità per gli enti locali interessati di chiedere e ottenere il mantenimento degli uffici del giudice di pace con competenza sui rispettivi territori, anche tramite eventuale accorpamento, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia;
   la revisione della geografia giudiziaria, con la soppressione di numerosi uffici, ha incontrato fortissime resistenze a livello locale: tali resistenze hanno determinato la sottoposizione della riforma al giudizio della Corte costituzionale, nonché una richiesta di referendum abrogativo;
   molti territori sono stati fortemente penalizzati dalla suddetta «regola dei 3» che, di fatto, sopprime tribunali di medie dimensioni, alcuni dei quali, come quelli campani, calabresi e siciliani, situati in realtà territoriali che presentano esigenze del tutto particolari, a vantaggio di tribunali di ridotte dimensioni, invero residuali;
   in tal modo, è notevolmente aumentato il carico di lavoro di alcune strutture, alla quali saranno trasferiti tutti i procedimenti attualmente pendenti dinanzi alle strutture soppresse, rendendo oltremodo complicato l'accesso dei cittadini alla giustizia e, probabilmente, allungando ulteriormente la durata dei procedimenti, comportando, così, una lesione del diritto alla giustizia degli stessi;
   inoltre, vengono privati di fondamentali presidi dello Stato territori vasti e difficili, sui quali insistono pericolosi fenomeni di criminalità, anche di natura organizzata;
   pur condividendo, in linea di principi, la necessità di razionalizzare e ridurre la spesa pubblica, gli interpellanti ritengano che tale azione debba essere esercitata con intelligenza, colpendo e tagliando la spesa improduttiva e clientelare, e senza mai comportare la lesione di servizi fondamentali per il cittadino quali la sanità, il welfare e, nel caso specifico, la giustizia;
   nel testo della sua relazione tecnica sulla razionalizzazione della geografia giudiziaria, lo stesso Guardasigilli ha evidenziato che «si potranno anche valutare le istanze e le esigenze di equilibrato ed efficace presidio dei territorio non adeguatamente considerate nell'ambito di esercizio della  originaria legge di delega», ciò in quanto «si è trattato di una riforma che non manca di registrare alcune criticità, oggetto di continuo monitoraggio al fine di individuare i possibili rimedi correttivi», per cui «sembra sin d'ora evidente l'opportunità di abbandonare criteri come quelli che hanno imposto di mantenere almeno tre tribunali per ogni distretto di corte di appello». Per concludere che «occorrerà naturalmente tenere conto della specificità territoriale dei bacino di utenza, ivi inclusa la specifica e aggiornata situazione infrastrutturale, dell'effettivo tasso d'impatto della criminalità organizzata, nonché della necessità di razionalizzare progressivamente il servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane» –:
   se non intenda assumere iniziative per modificare, a saldi invariati, la suddetta «regola dei tre» che è un criterio asettico e non rispondente ad una riorganizzazione funzionale che tenga conto dei problemi territoriali ed organizzativi del funzionamento del sistema giustizia, e se non intenda altresì promuovere una revisione anche dell'attuale definizione delle competenze territoriali delle aree maggiormente espressive di criticità, in attuazione dei fondamentali principi di efficienza dell'azione giudiziaria.
(2-00795) «Valiante, Tino Iannuzzi, Bargero, Palma, Sgambato, Magorno, Lattuca, Giuseppe Guerini, Cimbro, Fioroni, Ginoble, Burtone, Carloni, Zardini, Zoggia, Richetti, Ferrari, Fiorio, Murer, Senaldi, Migliore, Ragosta, Donati, Ferro, Galperti, Stumpo, D'Ottavio, Carra, Andrea Romano, Brandolin, Melilli».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSSOMANDO, AMODDIO, SORIAL e IACONO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel 2003 il DAP, dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ha avviato un progetto sperimentale in dieci istituti penitenziari italiani (Trani, Siracusa, Ragusa, Rebibbia circondariale, Rebibbia reclusione, Torino, Milano-Bollate, Padova e Ivrea) per promuovere l'attività lavorativa in carcere, attraverso la ristrutturazione delle cucine e l'affidamento della gestione a delle cooperative sociali, con il compito di formare professionalmente i detenuti, assunti con paga regolare dalle cooperative, attraverso periodi di formazione, affiancamento con professionisti del settore, impostazione di gestione secondo criteri di efficienza, adeguamento a standard di sicurezza e qualità;
   questo progetto, finanziato dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria a partire dal 2004 e successivamente, a partire dal 2009, dalla Cassa ammende, viene rinnovato di anno con risultati giudicati molto positivi, sia per quanto riguarda la produzione di pasti di qualità, sia per la nascita di vere realtà imprenditoriali (servizi di catering a Torino e Bollate, produzione di panettoni a Padova, taralli a Trani e dolci di mandorla e catering a Siracusa e Ragusa), che hanno raccolto l'apprezzamento anche dei consumatori esterni;
   secondo quanto riportato da articoli di stampa, a riscontro del dato positivo di questa esperienza, il 17 marzo 2014 l'allora direttore del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino, a seguito di un colloquio con i direttori dei 10 istituti penitenziari coinvolti, sottolineava il giudizio fortemente positivo sui risultati del progetto, ribadendo l'intenzione di proseguire nell'iniziativa, rendendola strutturale e diffondendola anche ad altri istituti;
   nel periodo di vacanza alla direzione del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, da maggio 2014, le cooperative sociali impegnate nelle carceri hanno più volte chiesto riscontro al Ministero circa il futuro del progetto, in scadenza il 31 dicembre 2014;
   nei giorni scorsi, con una circolare ministeriale inviata ai dieci direttori carcerari interessati, è stata comunicata la proroga del progetto fino al 15 gennaio 2015 e la successiva chiusura della sperimentazione, con il ritorno della gestione delle cucine all'amministrazione penitenziaria;
   tale decisione ha provocato forte preoccupazione tra gli operatori del settore e tra chi guarda con interesse e speranza al recupero e al reinserimento delle persone detenute, e non da ultimo alla loro formazione professionale, per la chiusura di una esperienza che ha prodotto effetti grandemente positivi non solo in termini economici e produttivi ma anche in termini di risparmio e di riqualificazione dell'esperienza detentiva;
   l'impiego dei detenuti in attività lavorative, infatti, non solo aumenta le possibilità di reinserimento del detenuto nella società, ma abbatte drasticamente l'eventualità di recidiva;
   l'articolo 15 dell'ordinamento penitenziario, di cui alla legge n. 354 del 1975, attribuisce al lavoro un ruolo centrale nel processo rieducativo e di risocializzazione del condannato, così come stabilito dall'articolo 27, comma terzo, della Costituzione. Proprio nel riconoscimento dell'importanza del lavoro per la riabilitazione dei detenuti, con la legge n. 193 del 2000, (cosiddetta legge Smuraglia) sono stati forniti strumenti e modalità per l'avvio di attività lavorative in carcere da parte di imprese pubbliche o private e di cooperative, attraverso la stipula di un'apposita convenzione con l'amministrazione penitenziaria;
   dai dati forniti dal Ministro della giustizia il 19 dicembre 2014, durante la conferenza stampa di presentazione del nuovo assetto del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e del sistema carcerario, è emerso che, per quanto riguarda il lavoro dei detenuti, si è passati dal 20,87 per cento del 2011 al 26,25 per cento del 2014 –:
   quali iniziative intenda avviare per dare continuità all'esperienza del progetto sopra descritto, anche con forme di finanziamento diverse da quelle adottate finora, al fine di non vanificare gli importanti risultati fin qui ottenuti, a partire dal 2004, negli istituti penitenziari interessati. (5-04374)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DIENI e NESCI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'ufficio del giudice di pace rappresenta per i cittadini un presidio che testimonia la presenza dello Stato in una delle sue funzioni fondamentali, quella di amministrare la giustizia, diritto garantito dall'articolo 24 della Costituzione;
   tale diritto deve essere garantito in special modo in quelle zone del Paese in cui la mancanza della presenza dello Stato e il conseguente vuoto nell'applicazione del principio di legalità, potrebbe venire compensato dal ricorso alla malavita organizzata, specie se radicata sul territorio;
   per questa ragione, sebbene sia giustificabile, in taluni casi, un intervento di razionalizzazione degli uffici dei giudici di pace, una tale azione negli ultimi anni è apparsa eccessiva non ponderata e talvolta collegata a considerazioni di natura politica anziché su fondate ragioni che consentissero una reale razionalizzazione del servizio;
   uno dei casi in cui tale processo approssimativo di selezione è meglio esemplificato, a parere degli interroganti, e relativo alla chiusura degli uffici del giudice di pace di Caulonia (RC), unico presidio rimasto sulla Costa jonica tra Reggio Calabria e Catanzaro;
   tali uffici, oltre a servire un considerevole ambito dal punto di vista territoriale, hanno a proprio attivo un consistente numero di pratiche processate, assommabili a circa 700 all'anno;
   il procedimento attraverso cui sono state selezionate le strutture da accorpare, inoltre, fa riferimento ad un iter normativo non lineare e che mostra diversi elementi di incorenza;
   attraverso il decreto legislativo n. 156 del 7 settembre 2012, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 12 settembre 2012, e più specificamente nell'Allegato I, il Governo dispone la chiusura di tutti i giudici di pace tranne quelli luogo del circondario e tutte le sedi distaccate dei tribunali;
   all'articolo 3 comma 2, si precisa tuttavia che «Entro sessanta giorni dalla pubblicazione di cui al comma 1 gli enti locali interessati, anche consorziati tra loro, possono richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace, con competenza sui rispettivi territori, di cui è proposta la soppressione, anche tramite eventuale accorpamento, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, ivi incluso il fabbisogno di personale amministrativo che sarà messo a disposizione dagli enti medesimi»;
   il comma 3 prosegue precisando che: «Entro dodici mesi dalla scadenza del termine di cui al comma 2, il Ministro della giustizia, valutata la rispondenza delle richieste e degli impegni pervenuti ai criteri di cui al medesimo comma, apporta con proprio decreto le conseguenti modifiche alle tabelle di cui agli articoli 1 e 2»;
   nonostante la domanda formulata, secondo le disposizioni sopra citate, con il decreto ministeriale del 10 novembre 2014 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 279 del 1o dicembre 2014 supp. ord. n. 91, il Ministro della giustizia sopprime, tra gli altri, gli uffici del giudice di pace di Caulonia;
   sebbene questa decisione potrebbe sembrare conforme alla lettera del già citato decreto legislativo n. 156 del 7 settembre 2012, essa si caratterizza per una sostanziale incoerenza, oltre ad essere scarsamente giustificabile;
   occorre infatti evidenziare che, dopo che il comune di Caulonia ha formulato domanda per il mantenimento degli uffici, il Ministro della giustizia, in osservanza del comma 2 dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 156 del 2012 firmava un primo decreto ministeriale, il decreto ministeriale 7 marzo 2014 nel quale venivano mantenuti gli uffici del giudice di pace di Caulonia;
   si fa presente che il comune di Caulonia aveva peraltro ottemperato a quanto richiesto dal Ministero di Giustizia, individuando i dipendenti da applicare al detto ufficio, i quali inoltre stavano già da fine luglio svolgendo il corso di formazione previsto dallo stesso Ministero;
   un orientamento volto al mantenimento degli uffici appariva peraltro confermato dal decreto legge n. 132 del 12 settembre 2014 nel quale la sede di Caulonia veniva mantenuta;
   va sottolineato che, nello stesso giorno in cui il Parlamento convertiva in legge tale decreto, individuando le sedi da sopprimere e quelle da conservare, il Ministero della giustizia pubblicava un nuovo elenco, discordante con quello approvato dalle Camere, in cui si prevedeva, tra gli altri, alla soppressione degli uffici del giudice di pace di Caulonia –:
   quali siano le motivazioni oggettive, sulla base di criteri geografici e di numero di pratiche lavorate, che hanno portato alla decisione all'accorpamento degli uffici del giudice di pace di Caulonia a quelli di Locri;
   se consideri definitivo, quantomeno per i prossimi mesi, il nuovo assetto identificato nel decreto ministeriale del 10 novembre 2014. (4-07416)


   CATANOSO. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   Totò Cuffaro è un detenuto che ha già scontato oltre metà della pena, un carcerato modello da gennaio del 2011 quando si è presentato spontaneamente dopo la sentenza definitiva al carcere romano di Rebibbia, un condannato che per il suo atteggiamento processuale ha ricevuto persino gli elogi del giudice che l'ha condannato;
   così riporta un articolo del quotidiano Il Giornale scritto il 15 dicembre 2014 dopo che si era diffusa la notizia del permesso di visita alla madre negato a causa dello stato in cui versa: la mamma ha la demenza senile, magari non lo riconoscerebbe;
   la vicenda del mancato permesso di visita alla mamma ha suscitato, una volta conosciuta, feroci critiche nei riguardi della decisione del giudice di sorveglianza di Roma Valeria Tomassini, confermato dal tribunale di Sorveglianza di Roma a maggio, due mesi dopo il primo, e firmato da altre due giudici, Maria Gabriella Gasparri e Albertina Carpitella;
   Totò Cuffaro sembra dover pagare una pena accessoria oltre quella che sta scontando in maniera dignitosa e rispettosa delle Istituzioni carcerarie. C’è stato, l'anno scorso, il «no» all'affidamento ai servizi sociali per scontare gli ultimi due anni (uscirà per fine pena a gennaio del 2016), nonostante il parere favorevole del procuratore generale. E c’è stato anche il no, «de facto» ai funerali del padre. Cuffaro lo aveva salutato per l'ultima volta a ottobre, un permesso di appena sei ore. Papà Raffaele morì il 31 dicembre del 2012. Il permesso per il funerale fu concesso il 2 gennaio, l'1 era festa. Cuffaro arrivò solo per la tumulazione;
   il ministro interrogato, secondo quanto riportano i quotidiani, avrebbe disposto degli accertamenti incaricandone l'Ispettorato generale;
   come dichiara il legale di Totò Cuffaro «c’è sempre stato un atteggiamento di chiusura rispetto al detenuto, in contrasto con l'atteggiamento di rispetto di tutte le decisioni che Cuffaro ha avuto» –:
   quali siano gli esiti dell'ispezione disposta dal Ministro interrogato. (4-07417)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZAPPULLA e AMODDIO. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come noto, il porto di Augusta è il più grande porto naturale del basso Mediterraneo, nella costa orientale della Sicilia, e al suo interno si trovano un'importante porto commerciale, un polo industriale, una base militare ed un porto/città con due darsene in pieno centro storico, ed è specializzato principalmente nel traffico di rinfuse liquide (petrolchimici) e, in misura minore, di rinfuse solide, gestendo un traffico di circa 33 milioni di tonnellate di merci e risultando il primo porto in Italia per traffico merci di prodotti industriali;
   nel corso degli ultimi tempi, l'operatività dello scalo è stata fortemente condizionata dall'ormeggio per diverse settimane, si potrebbe dire dall'abbandono, lungo le banchine di navi mercantili di migranti, tristemente note come «carrette dei disperati»;
   la permanenza di detti relitti sta di fatto impegnando le banchine del porto inibendo le normali attività portuali e marittime con gravissimo nocumento sulle proprie attività dello scalo e ricadute pesantissime a danno delle imprese e degli operatori impegnati;
   l'ultimo episodio, registratosi ieri, riguarda un mercantile, con circa 1000 migranti a bordo, partito circa una settimana fa da Mersin, località della Turchia non distante dal confine con la Siria;
   ovviamente, non può essere messo in discussione il sostegno e l'accoglienza verso i nostri fratelli più deboli e sfortunati che sono stati costretti ad abbandonare le proprie famiglie e la propria terra per sfuggire a guerre e povertà. Al contrario, occorrono maggiori risorse economiche e logistiche per migliorare ad Augusta la complessa macchina dell'accoglienza;
   in tale quadro, occorre prevedere l'elaborazione di un piano che, attraverso il coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali coinvolti, preveda le migliori condizioni per l'accoglienza dei migranti e, al tempo stesso, assicuri la tempestiva rimozione ed eventuale demolizione dei natanti utilizzati dai migranti, presso i cantieri presenti nell'area, così ripristinando la sollecita operatività dello scalo megarese –:
   quali provvedimenti si intendano adottare per risolvere la grave questione evidenziata in premessa, assicurando che la carcassa dell'ultima nave – (così come le altre già arrivate) – giunta nel porto di Augusta venga rapidamente rimossa dalle banchine. (5-04379)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 22 dicembre 2014, è avvenuto l'arresto di quattordici persone di un'associazione clandestina denominata «Avanguardia Ordinovista» che, secondo fonti di stampa, richiamandosi agli ideali del disciolto movimento politico neofascista «Ordine Nuovo» e, ponendosi in continuità con l'eversione nera degli anni ’70, progettava azioni violente nei confronti di obiettivi istituzionali, al fine di sovvertire l'ordine democratico dello Stato;
   le accuse sono di associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, associazione finalizzata all'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, nonché tentata rapina;
   sembra che il movimento volesse uccidere politici «senza scorta» con un'azione simultanea: «dieci, undici, insieme...», e far saltare le sedi di Equitalia con il personale dentro; inoltre, tra gli obiettivi c'erano anche le stazioni, le prefetture e le questure; tutto questo per «minare la stabilità sociale attraverso il compimento di atti violenti nei confronti di obiettivi istituzionali e, in un secondo momento, di partecipare alle elezioni politiche con un proprio partito»;
   sembra che il gruppo avesse avviato anche una ricerca di armi per la realizzazione degli scopi eversivi, recuperandone alcune sotterrate dopo l'ultima guerra mondiale, acquistandone altre in Slovenia tramite contatti locali o approvvigionandosi con una rapina, già pianificata, di armi detenute da un collezionista;
   «L'associazione eversiva» scrivono i Ros «utilizzava il web, ed in particolare il social network Facebook, come strumento di propaganda, incitamento all'odio razziale e per fare proselitismo, lanciando messaggi volti ad alimentare tensioni sociali e a suscitare sentimenti di odio razziale, in particolare nei confronti delle persone di colore»;
   due giorni prima dei fatti su esposti, il 20 dicembre 2014, Milano è stata la sede del convegno «Europa, una grande libera», primo incontro italiano del partito pan-europeo Alliance for Peace and Freedom, «Movimento nazionalista dei popoli europei», un nome altisonante che in realtà riunisce in un'unica alleanza trasversale partiti, sigle e gruppetti di estrema destra: dai greci di Alba Dorata ai britannici del British National party, chiamati a raccolta da Forza Nuova;
   nella sala dell'albergo che ha ospitato almeno 300 persone, c'erano molti giovanissimi, in buona parte con la nuova divisa d'ordinanza del partito neofascista, cioè camicia bianca e collanina con croce celtica al collo, a parlare c'erano esponenti dell'internazionale nera di Spagna, Svezia, Francia, Inghilterra, Germania: gli spagnoli di Democracia Nacional, i greci di Alba dorata, gli svedesi di Svenkarnas Parti e del britannico Nick Griffin, presidente del British National Party e compagno di intolleranze di Nigel Farage;
   gli interventi sono stati focalizzati soprattutto contro il «mondialismo sionista», contro gli «invasori africani disposti a uccidere per entrare in Europa» e il multiculturalismo, a difesa della «famiglia tradizionale», della «patria» e della «civiltà cattolica»;
   l'ospite speciale era l'europarlamentare tedesco Udo Voigt, tristemente noto per aver definito Hitler un grande statista, eletto a Bruxelles nel mese di maggio 2014, sotto le insegne del Nationaldemokratische Partei Deutschlands, Npd, il partito nazionaldemocratico di Germania, principale formazione di estrema destra sopravvissuta all'orrore del nazismo che le istituzioni tedesche stanno da tempo cercando di mettere al bando come «anti-costituzionale»;
   Voight, condannato da un giudice della Corte distrettuale a sette mesi di pena (poi sospesa) insieme ad altri due funzionari del partito per incitamento all'odio razziale e diffamazione, durante il convegno di Milano ha espresso il suo pensiero dicendo: «dobbiamo proteggere l'Europa dall'immigrazione. Non vogliamo l'influsso di culture che non appartengono alla nostra tradizione»;
   il politico Roberto Fiore, anche lui tra i relatori, ha dichiarato che Bruxelles vuole «un'Europa dei matrimoni gay che portano caos sociale e quindi crisi economica»;
   al tavolo dei relatori del convegno, tra gli altri, vi era anche una consigliera regionale eletta con la lista Maroni, Maria Teresa Baldini (ora passata al gruppo misto Popolari per l'Italia), politica non nuova a uscite quantomeno discutibili, come quando disse che «le mense sono a rischio infezione se nelle cucine lavorano gli immigrati» –:
   se il Ministro sia corrente di quanto suesposto in merito allo svolgimento di simili raduni in Italia, considerando la gravità delle idee violente e xenofobe dei movimenti coinvolti;
   se siano state prese misure e di quale genere rispetto alla pagina facebook con cui il gruppo «Avanguardia Ordinovista» attua la sua propaganda violenta e destabilizzante per la pace sociale, di cui in premessa;
   se non intenda promuovere un attento monitoraggio della situazione in Italia di questi movimenti neofascisti estremisti affinché sia scongiurato il rischio di incitamento all'odio razziale e di violenze di qualunque genere contro gli immigrati e non solo. (4-07405)


   LOMBARDI, BARONI, DAGA, DIENI e D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   per la «cupola» di Roma l'emergenza immigrati era una miniera d'oro: i fondi statali per i centri d'accoglienza sono un «piatto ricco» e il sodalizio criminale ipotizzato dagli inquirenti avrebbe fatto in modo che parte di questi finanziamenti finissero nelle tasche delle cooperative amiche;
   i magistrati dell'inchiesta «Mondo di mezzo» lo chiamano «Sistema Odevaine»; nell'ordinanza di applicazione delle misure cautelari firmata dal gip Flavia Costantini si legge: «La gestione dell'emergenza immigrati è stato ulteriore terreno, istituzionale ed economico, nel quale il gruppo riconducibile a Buzzi si è insinuato con metodo eminentemente corruttivo, alterando per un verso i processi decisionali dei decisori pubblici, per altro verso i meccanismi fisiologici dell'allocazione delle risorse economiche gestite dalla pubblica amministrazione»;
   gli inquirenti parlano della «possibilità di trarre profitti illeciti immensi (...), paragonabili a quelli degli investimenti illeciti realizzati in altri settori criminali, come lo smercio di stupefacenti»; infatti, dalle intercettazioni pubblicate dagli organi di stampa, emerge che al telefono con Pierina Chiaravalle, dipendente di una cooperativa coinvolta nell'inchiesta, Salvatore Buzzi, numero uno della società «29 giugno» e braccio operativo dell'organizzazione, domanda: «Tu c'hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati ? Il traffico di droga rende meno»;
   sempre stando ai risultati delle indagini resi noti dai giornali al centro del sistema vi sarebbe Luca Odevaine, ex vice capo di gabinetto del sindaco Walter Veltroni e capo della polizia provinciale di Roma: «Odevaine è mi signore che attraversa, in senso verticale e orizzontale, tutte le amministrazioni pubbliche più significative nel settore dell'emergenza immigrati», scrivono i pm; egli fa parte del Tavolo di coordinamento nazionale insediato presso il Ministero dell'interno – dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione e al contempo risulterebbe essere consulente del consiglio di amministrazione del Consorzio «Calatino Terra d'Accoglienza», ente che soprintende alla gestione del C.A.R.A. di Mineo»;
   un'intercettazione in cui Odevaine parla con il suo commercialista fotografa il suo ruolo: «Avendo questa relazione continua con il Ministero – spiega l'ex vice capo segreteria di Veltroni – sono in grado un po’ di orientare i flussi che arrivano da... da giù... anche perché spesso passano per Mineo... e poi... vengono smistati in giro per l'Italia... se loro c'hanno strutture che possono essere adibite a centri per l'accoglienza da attivare subito in emergenza... senza gara... (inc.) le strutture disponibili vengono occupate... e io insomma gli faccio avere parecchio lavoro...»;
   Odevaine sarebbe ben pagato, secondo Salvatore Buzzi, il quale, parlando con Giovanni Campennì, il braccio operativo dell'organizzazione afferma: «...lo sai a Luca quanto gli do ? Cinquemila euro al mese... ogni mese... ed io ne piglio quattromila»;
   la cupola aveva quindi il potere di deviare, in sede di bilancio pluriennale, risorse in favore delle strutture di accoglienza; gli inquirenti sottolineano la capacità, del sodalizio indagato, di interferire nelle decisioni dell'Assemblea Capitolina in occasione della programmazione del bilancio pluriennale 2012/2014 e relativo bilancio di assestamento di Roma Capitale, avvalendosi degli stretti rapporti stabiliti con funzionari collusi dell'amministrazione locale, al fine di ottenere rassegnazione di fondi pubblici per rifinanziare «i campi nomadi», la pulizia delle «aree verdi» e per «Minori per l'emergenza Nord Africa», tutti settori in cui operano le società cooperative di Salvatore Buzzi» –:
   se esista o sia esistito in passato, presso il Ministero dell'interno, il tavolo di coordinamento nazionale insediato presso il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione;
   in caso positivo, quali soggetti abbiano partecipato al tavolo medesimo e quale fosse il relativo emolumento;
   se corrisponda al vero che Luca Odevaine abbia fatto parte del tavolo e, in caso positivo, quale sia stato il suo ruolo e a quali decisioni abbia partecipato.
(4-07407)


   RAMPELLI. —Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la criminalità organizzata è in costante aumento, alimentata dalla crisi economica e dalla carenza di risorse a disposizione delle forze dell'ordine per combatterla;
   in particolare, nella zona di Catania, la polizia versa in uno stato di grande disagio, sia a causa della cronica carenza di autovetture e motociclette a disposizione degli operatori, sia con riferimento alla mancanza degli adeguati supporti giuridici;
   una ulteriore problematica riguarda la carenza di risorse per il pagamento delle ore di straordinario effettuate dagli agenti, e che spesso penalizzano anche su attività d'indagine molto delicate;
   a questo si aggiunge la continua emorragia di personale, a causa del blocco del turn-over nel settore delle forze di polizia;
   i sindacati, inoltre, lamentano una tendenza alla discriminazione delle agenti donne nell'assegnazione agli uffici investigativi;
   infine, si evidenziano anche difficoltà in ordine alle attività di polizia stradale, a causa della insufficiente dotazione di mezzi e di personale addetto al lavoro d'ufficio;
   tutti gli elementi citati determinano la duplice conseguenza della frustrazione dei poliziotti messi nell'impossibilità di lavorare, e del mancato presidio a tutela della sicurezza dei cittadini –:
   quali urgenti iniziative intendano assumere in merito alle problematiche di cui in premessa, al fine di mettere le forze di polizia catanesi e di tutto il Paese nelle condizioni di svolgere i propri compiti, garantendo la sicurezza dei luoghi e delle persone. (4-07414)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ALBANELLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   tra le situazioni di emergenza del settore scolastico, quella del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) risulta essere davvero preoccupante, per la mancata previsione di adeguate dotazioni organiche;
   gli incarichi annuali di supplenze fino al 31 agosto 2014 in relazione a posti vacanti in pianta organica e fino al termine attività didattiche fino al 30 giugno, nonché supplenze temporanee aventi carattere sostitutivo, colmano di fatto, con il ricorso a contratti a termine, esigenze permanenti e durevoli dell'amministrazione, nonché un vuoto che si prolunga da diversi anni, divenendo prova inconfutabile di un pretestuoso sottodimensionamento dell'organico e quindi del carattere abusivo della relativa condotta, a dimostrazione delle evidenti carenze della dotazione organica funzionale alle esigenze dell'amministrazione scolastica statale;
   tale situazione non tutela i predetti lavoratori precari, in servizio da almeno 36 mesi di servizio secondo quanto previsto dalla direttiva 1999/70/CE, recepita nel decreto legislativo n. 368 del 2001 e non anche dal decreto legislativo n. 165 del 2001 che esclude dall'applicazione di questo limite inspiegabilmente proprio il personale ATA supplente, come confermato di recente nella sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, che ha censurato proprio il sistema di reclutamento del personale scolastico nel suo complesso, che non coprendo stabilmente né i posti vacanti e disponibili su base provinciale, né garantendo organici funzionali alle effettive esigenze delle scuole o reti di scuole statali, rende sempre più incerto il funzionamento del sistema scuola –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda avviare al fine di garantire la stabilizzazione dei precari ATA e l'istituzione dell'organico funzionale ATA ed avviare – anche in considerazione della recente sentenza pronunciata dalla Corte di giustizia europea sul precariato scolastico – un adeguato sistema di reclutamento scolastico, con rilievi che, senz'altro, travalicano la specifica casistica dei posti vacanti. (5-04378)


   MARZANA, LUIGI GALLO, BATTELLI, SIMONE VALENTE, BRESCIA, D'UVA, VACCA, DI BENEDETTO, MANTERO e BARONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel 2010, Antonio Tagliaferri, direttore dei giochi, dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, in una intervista al quotidiano Repubblica dichiarò che: «I Monopoli stanno portando avanti il programma “Giovani e Gioco” per affrontare i problemi delle dipendenze e della compulsività da gaming»; una iniziativa costata 100 mila euro, che ha coinvolto 15 principali città italiane, per un totale di 70 mila contatti;
   Raffaele Ferrara, direttore generale dei Monopoli parlava di «investimento culturale», di potenziare il progetto coinvolgendo addirittura le fasce dei minori più piccoli;
   è inverosimile che progetti di prevenzione al gioco d'azzardo indirizzati a fasce giovanili, nonché di minori più piccoli, siano gestiti da operatori che detengono palesi interessi di promozione e profitto nell'ambito;
   difatti sono sconcertanti i messaggi che sono stati veicolati durante l'attuazione del programma nelle scuole: «Secondo Dante il rischio del gioco è sempre stato componente essenziale della vita», «Si evolve chi si prende una giusta dose di rischio» fino al più temerario messaggio: «Si può giocare ovunque, sempre e comunque»; inoltre, si è parlato di ludopatia piuttosto che di gioco d'azzardo patologico e ci si è limitati ad evidenziare le differenze tra gioco legale ed illegale, anziché dei rischi connessi a questa pratica;
   ebbene la storia si ripete, da notizie di stampa riportate il 17 giugno 2014 dal quotidiano on line «Il Sole 4 ore» e dal sito web «gioconews.it» si è appreso che la Libera Università Internazionale degli Studi Sociali (LUISS) in collaborazione con Confindustria Sistema Gioco Italia ha concluso, nel mese di giugno 2014, il progetto «gioco lecito», indirizzato agli studenti di dieci tra i più importanti licei del Lazio;
   nello specifico, a trenta studenti dell'ultimo anno di liceo, i migliori in italiano e storia, è stata offerta la possibilità di confrontarsi con esperti del settore del gioco d'azzardo e di conseguire, al termine di questo originale percorso formativo, già i primi 4 crediti formativi universitari (CFU) per avviare con successo il proprio percorso accademico;
   è davvero paradossale che un corso di formazione al «gioco responsabile» sia gestito da rappresentanti di importanti aziende del gioco d'azzardo, sebbene corredato anche da lezioni di economia, marketing, diritto, comunicazione e sociologia, tenute da docenti della LUISS;
   si prefigura difatti una posizione controversa e un macroscopico conflitto di interessi in quanto chi gestisce il progetto di «gioco lecito» rappresenta anche le maggiori società di profitto da gioco d'azzardo e persegue l'obiettivo di aumentarne i profitti, quindi il mercato dell'azzardo e la platea di soggetti fruitori;
   occorre registrare che in Italia l'offerta di giochi d'azzardo (slot machine, videopoker, lotto, supernenalotto, gratta e vinci, scommesse sportive) è in continuo aumento ed è sempre più diversificata, tanto che quella che in passato era un'abitudine riguardante una ristretta fascia di persone è, di fatto, divenuta una pratica che interessa ogni strato sociale;
   dagli ultimi dati dello studio Ipsad (Italian population survey on alcohol and other drugs) dell'istituto di fisiologia clinica del CNR di Pisa, emerge che nei 3 anni dal 2008 al 2011, la percentuale di persone tra i 15 e i 64 anni che ha puntato soldi su uno dei tanti giochi presenti sul mercato è passata dal 42 al 47 per cento, circa 19 milioni di scommettitori, di cui ben 3 milioni a rischio GAP (gioco d'azzardo patologico);
   dai dati registrati, emerge una preoccupante crescita, anche tra gli adolescenti, della fruizione di gioco d'azzardo: sono un milione il numero di studenti che hanno riferito, nel 2012, di aver puntato denaro sui giochi;
   sempre secondo l'indagine condotta dall'Ipsad, che ha coinvolto 45.000 studenti delle scuole superiori e 516 istituti scolastici di tutta Italia, nell'ultimo anno il 45,3 per cento degli studenti ha puntato somme di denaro: ad essere maggiormente coinvolti nel gioco risultano essere i ragazzi (55,1 per cento contro il 35,8 per cento delle ragazze) e si stima che siano 100.000 gli studenti che già presentano un profilo di rischio moderato e 70.000 quelli con una modalità di gioco problematica;
   per citare un esempio concreto, l'Associazione italiana dei consumatori e degli operatori del gioco (ACOGI), ha effettuato presso le scuole superiori della città di Bitonto una indagine molto particolare che desta non poche preoccupazioni su quanto sia presente il rischio del gioco d'azzardo tra i banchi di scuola: dei 230 studenti coinvolti, in età compresa fra i 13 e i 16 anni, circa metà degli intervistati, quasi il 48 per cento, ha dichiarato di giocare fra le due e le tre volte al mese; l'89 per cento degli intervistati punta fino a 10 euro a giocata, mentre c’è addirittura un significativo 7 per cento che spende più di 30 euro a giocata;
   il comma 5-bis dell'articolo 7 del decreto-legge n. 158 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012, comunemente denominato «decreto salute» o «decreto Balduzzi», stabilisce: «Il Ministero dell'istruzione, dell'Università e della Ricerca segnala agli istituti di istruzione primaria e secondaria la valenza educativa del tema del gioco responsabile affinché gli istituti, nell'ambito della propria autonomia, possano predisporre iniziative didattiche volte a rappresentare agli studenti il senso autentico del gioco ed i potenziali rischi connessi all'abuso o all'errata percezione del medesimo»;
   appare chiaro che il legislatore, consapevole dell'importanza della scuola, di ogni ordine e grado, nel sensibilizzare gli studenti rispetto al gioco d'azzardo, stabilisce che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si adoperi al fine di favorire iniziative didattiche che abbiano lo scopo di prevenire le possibili degenerazioni ricollegabili all'abuso dei giochi d'azzardo;
   la più efficace forma di contrasto alla diffusione del gioco d'azzardo consiste in una azione educativa di tipo culturale, che è tanto più efficace quanto più precoce è l'età dei suoi destinatari e pertanto massimo deve essere l'impegno preventivo e dissuasivo rispetto ai rischi del gioco da rivolgere ai giovani;
   diventa quindi fondamentale affrontare la problematica del gioco d'azzardo all'interno delle scuole, luoghi formativi ed educativi per antonomasia, attraverso progetti di prevenzione rivolti ad una presa di coscienza reale su questa diffusa forma di dipendenza;
   le istituzioni scolastiche non devono e non possono, prestarsi a quelli che secondo gli interroganti sono progetti controversi o subdole forme di formazione come il suddetto progetto « gioco lecito», dovendo al contrario sostenere, di concerto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministero della salute e le Asl territoriali, progetti gestiti da personale qualificato e impegnato nell'azione di sensibilizzazione sui rischi del gioco d'azzardo –:
   quale posizione il Ministro intenda assumere riletto a iniziative simili al progetto «giovani e gioco» illustrato in premessa e se non intenda assumere con azione di competenza per evitare qualsiasi iniziativa volta a una formazione gestita da operatori che detengono interessi nell'ambito dei «giochi»;
   se non ritenga opportuno diramare specifiche linee guida agli istituti scolastici volte a promuovere progetti educativi che evidenzino i grandi rischi connessi alla fruizione del gioco d'azzardo;
   quali iniziative intenda assumere per una maggiore tutela dei giocatori, in particolare dei giovani e delle altre persone vulnerabili o potenzialmente tali, al fine della sensibilizzazione circa i rischi collegati al gioco d'azzardo. (5-04382)


   CHIMIENTI, VACCA, LUIGI GALLO, MARZANA, BRESCIA, DI BENEDETTO, SIMONE VALENTE e D'UVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha presentato il giorno 3 settembre 2014 alla stampa il dossier «La Buona Scuola»;
   La «Buona Scuola» prevede l'immissione in ruolo di 150 mila docenti precari a partire da settembre 2015, assorbendo dunque il 90 per cento dei precari da graduatorie ad esaurimento e il 10 per cento da concorso 2012;
   preventivamente al piano di assunzioni, il Governo prevede un censimento in programma per il mese di dicembre 2014: i docenti presenti nelle graduatorie ad esaurimento saranno chiamati ad esprimere la propria disponibilità ad essere assunti con contratto a tempo indeterminato secondo condizioni stabilite dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   le condizioni sono le seguenti: possibilità di essere assunti in una provincia della stessa regione o anche in una regione diversa da quella di appartenenza; possibilità di allargare le classi di concorso per materie affini, o come organico funzionale ad una scuola o a una rete di scuole;
   al censimento dovrebbe essere atto a dare risultanza sia della distribuzione geografica degli iscritti nelle graduatorie ad esaurimento, sia della disponibilità all'assunzione di tutti quei docenti che hanno continuato ad aggiornare il proprio punteggio in graduatoria, e ad escludere chi abbia volontariamente optato per un'altra professione;
   nel caso in cui vi fossero rinunce, il Governo ha espresso la volontà di allargare le immissioni in ruolo anche ai laureati in Scienze della formazione primaria Vecchio Ordinamento che non hanno avuto accesso alla IV fascia delle graduatorie ad esaurimento e ai cosiddetti «congelati SSIS»;
   a tal fine, con la lettera protocollo 9842 del 23 settembre 2014, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ha esortato gli uffici scolastici a terminare le operazioni di immissioni in ruolo riferite all'anno scolastico 2014/15 con relativa trasmissione al sistema informativo dei contratti stipulati entro il 15 ottobre 2014;
   nonostante il mese di dicembre 2014 sia ormai passato, di tale censimento non si è più avuta alcuna notizia da parte del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca –:
   se il Ministro interrogato abbia stabilito una data certa in cui dare avvio al censimento di cui in premessa;
   se il Ministro interrogato non ritenga utile e doveroso procedere ad un ulteriore censimento atto a determinare l'esatto numero e il servizio prestato dai precari abilitati non considerati dal piano dalla Buona Scuola ai fini dell'immissione in ruolo;
   quali eventuali ulteriori iniziative si intendano intraprendere per quei docenti abilitatisi attraverso i corsi di TFA e PAS e per tutti coloro che hanno conseguito il diploma magistrale prima del 2001, che restano esclusi dal piano di immissioni in ruolo della Buona Scuola;
   se il Ministro interrogato indirizzo non ritenga più ragionevole sostituire il censimento con il semplice riaggiornamento delle graduatorie ad esaurimento, garantendo l'impiego dei docenti nei luoghi di residenza, eventualmente in organico funzionale, e in tal modo riducendo notevolmente le spese. (5-04383)


   CHIMIENTI, LUIGI GALLO, MARZANA, VACCA, BRESCIA, SIMONE VALENTE, DI BENEDETTO e D'UVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il precariato nella scuola italiana è un fenomeno di lunga data che tutt'oggi grava pesantemente sul comparto scuola;
   il 26 novembre 2014 una sentenza della Corte di giustizia europea ha stabilito che la normativa italiana sui contratti di lavoro a tempo determinato nel settore della scuola è contraria al diritto dell'Unione e che il rinnovo illimitato di tali contratti per soddisfare esigenze permanenti e durevoli delle scuole statali non è giustificato;
   all'instabilità lavorativa si sommano numerose discriminazioni perpetrate ai danni dei lavoratori con contratti a termine rispetto ai colleghi di ruolo;
   tra le problematiche più rilevanti per i docenti precari, che li rendono di fatto discriminati rispetto ai colleghi di ruolo, continuano a figurare la mancata monetizzazione delle ferie non godute, che i docenti precari della scuola non possono fruire durante l'anno scolastico, se non per sei giornate e previo reperimento dei propri sostituti; il mancato pagamento degli stipendi; l'impossibilità di aggiornare il proprio punteggio con il titolo abilitante conseguito in data successiva alla scadenza del decreto ministeriale n. 353 del 2014, relativo alle graduatorie d'Istituto dei docenti; il diverso riconoscimento dei vari percorsi abilitanti nell'attribuzione dei punteggi per le graduatorie e il mancato riconoscimento degli scatti di anzianità;
   in merito agli scatti stipendiali diverse sentenze di tribunale hanno sottolineato che il mancato riconoscimento ai lavoratori precari di qualsiasi progressione stipendiale è fortemente discriminante rispetto ai docenti impiegati a tempo indeterminato;
   al principio di non discriminazione cui fanno riferimento le sentenze in questione è sancito dalla clausola 4 dell'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla Direttiva 1999/70/CE, secondo la quale le condizioni di impiego dei lavoratori a tempo determinato non possono essere meno favorevoli rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato;
   far percepire ai lavoratori per tutto il periodo di precariato unicamente la retribuzione di base si pone non solo in aperto contrasto con, diversi principi comunitari, primo tra tutti quello di non discriminazione sancito dalla direttiva CE 99/70, ma, anche, al diritto all'equiparazione di cui al combinato disposto degli articoli 3, 36 e 97 della Costituzione;
   la succitata clausola n. 4 della direttiva CE 99/70 è stata già da tempo recepita attraverso l'articolo 6 del decreto legislativo n. 368 del 2001 proprio ai fini di far prevalere il principio di non discriminazione tra il personale di ruolo e quello precario;
   Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è stato più volte condannato da diversi giudici al pagamento delle differenze stipendiali spettanti, oltre agli interessi e alle spese legali, non solo per le motivazioni succitate ma, come spiega perfettamente la sentenza n. 42 del 7 marzo 2012 emessa dal Tribunale di Cuneo, anche in quanto è stato ritenuto che debba ritenersi norma tuttora vigente l'articolo 53 della legge n. 312 del 1980 che prevede che al personale docente, educativo e non docente, non di ruolo, siano attribuiti aumenti periodici per ogni biennio di servizio prestato in ragione del 2,50 per cento calcolato sulla base dello stipendio iniziale;
   ciò giacché, «l'articolo 53 citato non è stato espressamente abrogato: l'articolo 72 del decreto legislativo n. 165 del 2001 abroga parte dell'articolo 4 e dell'articolo 6 della legge n. 312 del 1980 ma nulla dice in ordine all'articolo 53, sicché esso è tuttora vigente. Altro forte argomento in favore della perdurante vigenza di tale norma è costituito dalla circostanza che l'articolo 146 CCNL 2006-2009 precisa che continua a trovare applicazione l'articolo 53». Né, precisa il Giudice «l'articolo 53 può essere interpretato nel senso, che esso operi per i soli insegnanti di religione come deduce invece il ministero»;
   tale differente trattamento retributivo continua a penalizzare docenti con ottime professionalità e che prestano servizio nella scuola statale da molti anni –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per sanare il mancato rispetto del principio di non discriminazione in fatto di progressioni stipendiali di cui in premessa;
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per adeguare definitivamente l'ordinamento italiano ai principi costituzionali di ragionevolezza e di equità retributiva, nonché al connesso principio di non discriminazione sancito dalla direttiva europea 1999/70/CE, anche alla luce del fatto che tra norme interne e norme comunitarie deve prevalere sempre, per la logica gerarchia delle fonti normative, la norma comunitaria;
   quali siano le proposte del Ministro interrogato per porre definitivamente fine alle discriminazioni sulla progressione retributiva in funzione dell'anzianità di fatto maturata che, oltretutto, osterebbe alla possibilità di ricostruire la carriera del personale assunto, così come avviene invece per il personale a tempo indeterminato. (5-04384)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ATTAGUILE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 30 dicembre 2010, n. 240, recante «Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario», prevede all'articolo 16, comma 1, che l'abilitazione attesti la qualificazione scientifica che costituisce requisito necessario per l'accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori;
   la succitata legge prevede che, a tal uopo, venga istituita, per ciascun settore concorsuale, un'unica Commissione nazionale di durata biennale «mediante il sorteggio di quattro commissari all'interno di una lista di professori ordinari» nonché di un commissario «all'interno di una lista curata dall'ANVUR (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca), di studiosi e di esperti di pari livello in servizio presso università di un Paese aderente all'Organizzazione per la cooperazione e sviluppo economico (OCSE);
   nelle intenzioni del legislatore il principio informatore della riforma è la promozione del merito un sistema troppo a lungo contaminato da forte nepotismo;
   già alla prima tornata concorsuale dell'abilitazione scientifica nazionale, tuttavia, la procedura ha fatto registrare irregolarità di varia natura, da cui hanno tratto argomento centinaia di ricorsi amministrativi, tanto in sede ordinaria quanto in sede straordinaria, riguardo ai quali già diversi tribunali amministrativi regionali si sono pronunciati con provvedimenti di sospensiva e di revisione;
   il Tar del Lazio ha individuato le maggiori criticità nei giudizi di non idoneità all'abilitazione dati dalle Commissioni nell'avere le stesse espresso i propri dinieghi tralasciando spesso di considerare elementi fondanti della preparazione dei candidati, dimostrando ad avviso dell'interrogante altre volte una non puntuale preparazione accademica nei diversi settori concorsuali, addirittura in ulteriori occasioni svelando come il commissario OCSE non comprendesse la lingua italiana;
   non mancano pronunciamenti, da parte del TAR del Lazio, per illegittima composizione delle Commissioni;
   tutto ciò il TAR lo ha posto a fondamento delle numerosissime ordinanze di accoglimento delle istanze cautelari che hanno ordinato al ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di procedere ad una nuova valutazione dei candidati con una Commissione di diversa composizione;
   il Ministero non ha ritenuto di dare attuazione alle ordinanze del TAR appellandosi al Consiglio di Stato che si è limitato a rinviare al TAR la sollecita decisione nel merito dei ricorsi e in taluni casi, a quanto consta all'interrogante, ordinando a sua volta al Ministero la rivalutazione dei candidati attraverso una nuova Commissione;
   si deve rilevare, tuttavia, come solo in pochissimi casi, il Ministero abbia adottato la linea della costituzione di nuove Commissioni per la valutazione dei candidati ritenuti in prima battuta non idonei e le cui istanze erano state accolte positivamente del TAR –:
   quali siano le iniziative che il Ministro intenda intraprendere per assicurare il corretto espletamento e il buon funzionamento di queste procedure di valutazione. (4-07409)


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo apparso sul Il Fatto Quotidiano dell'11 dicembre 2014, a firma di Emiliano Liuzzi, riferendosi al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca Stefania Giannini, si apprende che: «Il danno erariale è accertato, poi ci sono episodi, come quello dell'incarico dato al suo architetto di fiducia per restaurare l'ateneo, che non sono ancora stati chiariti. La ricostruzione, come già avevamo spiegato nei giorni scorsi, è molto semplice: il ministro, senza chiedere il parere del cda, nel 2005 decide di affidare la consulenza a un architetto di Lucca, Luigi Puccetti, che è lo stesso professionista utilizzato per ristrutturare la bellissima villa al mare, Marina di Pietrasanta, comune toscano in provincia di Lucca, che Giannini aveva appena fatto ristrutturare. Un attestato di stima, certo, ma che di fatto si traduce in un conflitto d'interessi, come venne sollevato da alcuni membri del cda al momento dell'incarico»;
   la ricostruzione farebbe riferimento a fatti accaduti (come riportato da alcune fonti di informazione on line ad esempio dal blog Byoblu di Messora) quando l'attuale Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca Giannini rivestiva l'incarico di rettore dell'università per stranieri di Perugia: tra le consulenze fornite all'università di Perugia, di cui il Ministro Giannini era rettore, vi sarebbero quelle del signor Luigi Puccetti, architetto di Lucca che sembra essersi occupato anche del restauro della casa del marito del Ministro interrogato, Luca Rossello (in particolare si tratterebbe di consulenze per progettazione spazi ateneo della storica sede universitaria di palazzo Gallenga nel cuore di Perugia di cui alle delibere del giugno e luglio 2005 del consiglio di amministrazione dell'Università);
   gli atti compiuti dal Ministro durante il suo incarico di rettore sembrerebbero, oltre che inopportuni, anche in conflitto di interessi poiché presenterebbero profili di incompatibilità con le disposizioni del regolamento di Ateneo dell'Università in tema di partecipazione e votazione nelle delibere del consiglio di amministrazione;
   inoltre l'università per stranieri di Perugia era dotata anche di un ufficio tecnico interno e – a parere dell'interrogante – suscita perplessità la decisione assunta all'epoca di conferire ad uno studio esterno di architettura – ed in particolare dell'architetto Luca Puccetti – la progettazione degli spazi dell'ateneo di palazzo Gallenga;
   i fatti riportati sui quali gli interroganti intendono chiedere spiegazioni e chiarimenti al Ministro interrogato, hanno – tra l'altro – già formato oggetto anche di un precedente atto di sindacato ispettivo (interrogazione a risposta scritta n. 4/06257), a tutt'oggi rimasto privo di riscontro –:
   se il Ministro interrogato intenda fornire ulteriori elementi in merito ai fatti descritti in premessa ed intervenire, e con quali modalità, al fine di chiarire la vicenda;
   se corrisponda al vero che tra le consulenze fornite all'università degli stranieri di Perugia, quando il Ministro interrogato era rettore, vi sarebbero quelle del signor Luigi Puccetti, architetto di Lucca che si è occupato anche del restauro della casa del marito del Ministro interrogato, Luca Rossello posto che tali atti sembrerebbero concretizzare un conflitto di interessi dell'allora rettore Giannini in contrasto con il regolamento di ateneo in tema di partecipazione al voto;
   se l'Università per stranieri di Perugia fosse dotata di un ufficio tecnico interno e per quale motivo con quale procedura sia stato deciso di affidare un incarico esterno di progettazione degli spazi di Ateneo proprio allo studio dell'architetto Luigi Puccetti;
   se e quali altri incarichi il Ministro interrogato – quando era rettore – abbia conferito allo studio dell'architetto Luigi Puccetti nel 2005-2007. (4-07411)


   CIPRINI e GALLINELLA. —Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse sugli organi di stampa (Il Giornale dell'Umbria dell'11 dicembre 2014) ed in particolare da Il Fatto Quotidiano dell'11 dicembre 2014, in un articolo a firma di Emiliano Liuzzi, si apprende che: «La citazione a giudizio è questione di ore. Il ministro dell'Istruzione e dell'università Stefania Giannini non l'ha ancora ricevuta, ma i magistrati della Corte dei conti di Perugia hanno finito i loro accertamenti. Ci sono i soldi spesi attraverso “atti privi di logica, fondamento e ragionevolezza”, scrivono nero su bianco. E tutto il periodo in cui era rettore dell'Università per stranieri del capoluogo umbro è segnato da una serie di vicende poco chiare, su cui i magistrati contabili vogliono far luce. Il danno erariale è accertato, ...»;
   la citazione a giudizio per il Ministro interrogato, ex rettore dell'università per stranieri di Perugia, sarebbe il frutto della conclusione delle indagini della magistratura contabile perugina che contesta all'ex rettore di aver causato un presunto danno erariale pari a 420 mila euro per aver proposto al consiglio di amministrazione dell'ateneo, che avrebbe approvato l'iniziativa come formulata, un progetto al fine di promuovere attività culturali, strettamente «connesse alla specifica finalità formativa che l'ateneo persegue, che avessero risonanza e rilievo internazionale e culminanti nella creazione della “Scuola internazionale di cucina italiana”, nonché quello di disporre di una struttura ricettiva – anche per il personale e gli studenti strumentale alle attività istituzionali della stessa università (convegni, incontri con altre Istituzioni pubbliche, private, nazionali e internazionali, e congressi)»;
   in sostanza si tratta di un progetto relativo all'apertura di una scuola di cucina, un ristorante per docenti e studenti ed un centro di attività lucrative; la denuncia – all'epoca presentata dal presidente dei revisori dei conti dell'università – postulava un danno erariale di circa 525 mila euro; detto importo deriverebbe dalla locazione, da parte dell'università, di un locale di 465 metri quadri ad un canone annuo di 78 mila euro oltre Iva, nonché dai mancati introiti dell'attività di «ristorazione e vendita» (che vengono stimati in circa 140.000 euro complessivi rispetto a tutto il periodo interessato); nella denuncia che avviò il procedimento contabile e firmata da Antonio Buccarelli, presidente del collegio dei revisori dei conti dell'Università per stranieri, si fa però riferimento anche «all'inutilità dell'iniziativa e al mancato raggiungimento degli obiettivi proposti al Consiglio di amministrazione e da questo autorizzati con le delibere dell'aprile, del giugno e del luglio 2008»; in particolare evidenziando che la proposta dell'iniziativa «non è supportata da alcun atto istruttorio in ordine alla fattibilità dell'operazione, alla sua economicità, alla sua resa, né risulta che l'Ateneo abbia individuato una struttura ad hoc per tali compiti;
   i fatti di indagine per i quali ora la Corte dei Conti sarebbe arrivata alla citazione in giudizio del ministro Giannini, hanno – tra l'altro – già formato oggetto anche di un precedente atto di sindacato ispettivo dell'interrogante (interrogazione a risposta scritta n. 4/04797), a tutt'oggi rimasto privo di risposta –:
   se corrisponda al vero quanto esposto e se il Ministro interrogato intenda fornire ulteriori elementi in merito ai fatti di cui in premessa ed intervenire, e con quali modalità, al fine di chiarire la vicenda;
   se il Ministro interrogato, nelle more della conclusione del procedimento per danno erariale, non ritenga comunque opportuno assumersi ogni responsabilità anche valutando l'opportunità di permanere nell'incarico, così da fugare ogni dubbio, anche di carattere etico e di responsabilità politica, che possa inficiare il prestigio e l'autorità morale necessari per ricoprire l'incarico istituzionale di Ministro della Repubblica. (4-07412)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   RICCIATTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il rapporto annuale dell'Osservatorio mercato del lavoro della regione Marche è un report approfondito sul mercato del lavoro regionale che affianca analisi ed elaborazioni sul mercato del lavoro ad un quadro delle tendenze generali per le variabili economiche più importanti del sistema produttivo marchigiano;
   dal rapporto di quest'anno emerge come nel primo semestre dell'anno 2014 si sono registrati circa 130.000 avviamenti al lavoro, numero sostanzialmente stabile rispetto allo stesso periodo del 2013, che però si era chiuso con un saldo negativo di 15.000 unità tra assunzioni e cessazioni;
   la Ires-Cgil delle Marche ha sottolineato come dal rapporto risulti evidente un continuo processo di precarizzazione. Le assunzioni a tempo indeterminato sono in calo di 1.950 unità rispetto alle 11.950 dello stesso periodo dell'anno precedente, e rappresentano il 9,2 per cento del totale, vale a dire meno di un'assunzione su dieci avviene per un lavoro stabile;
   si riscontra in particolare una continua crescita (3.200 in più rispetto all'anno precedente nella regione Marche) dei contratti a termine, che interessa il 55,6 per cento delle assunzioni. Di converso, si registra una diminuzione della durata dei contratti (57.800 inferiori ad un mese, la metà dei quali meno di 4 giorni);
   desta particolare interesse il dato sull'apprendistato, figura indicata da più riforme del lavoro come lo strumento principale di ingresso del mondo del lavoro, che tuttavia nelle Marche, lo scorso anno, ha rappresentato solo il 4,5 per cento delle assunzioni;
   ha registrato invece una crescita rispetto all'anno precedente la figura del contratto di somministrazione (14,2 per cento del totale degli avviamenti). È diminuito il ricorso al contratto di lavoro intermittente (6,4 per cento del totale) e al lavoro parasubordinato (5,7 per cento del totale);
   nel 2013 i voucher riscossi nelle Marche sono stati oltre 919 mila e hanno interessato oltre 20.000 lavoratori, dato che denota evidentemente un largo ricorso al lavoro occasionale;
   lo scenario del livello occupazionale regionale risente inoltre – sempre secondo i dati dell'Osservatorio – di un consistente ricorso alla cassa integrazione, che, nel solo mese di novembre 2014, ha toccato la cifra record di sei milioni di ore (894 mila di cassa integrazione guadagni ordinaria, 1 milione di cassa integrazione guadagni straordinaria e 4,1 milioni di ore di cassa in deroga), in aumento del 21,3 per cento rispetto all'anno precedente;
   dai dati riportati emerge una evidente tendenza al ricorso di contratti a termine (in varie forme) per le nuove assunzioni, da un lato, e una progressiva «distruzione» di posti di lavoro a tempo indeterminato (come lascia presupporre il massiccio ricorso alla cassa integrazione guadagni), dall'altro –:
   se il Ministro interrogato non ritenga prioritario anche alla luce dei dati citati, assumere iniziative per incentivare la figura del contratto a tempo indeterminato, e circoscrivere le ipotesi di ricorso a forme di lavoro precarie;
   quali iniziative, anche in fase di elaborazione dei decreti attuativi della legge delega n. 183 del 10 dicembre 2014, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 290 del 15 dicembre 2014, intenda adottare per rendere più «conveniente» il ricorso al lavoro a tempo indeterminato. (4-07408)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA e CIPRINI. —Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'ex istituto sperimentale per l'olivicoltura di Spoleto, oggi centro di ricerca per l'olivicoltura e l'industria olearia (CRA-OLI) da più cento anni riferimento locale, nazionale ed internazionale per la ricerca in olivicoltura ed unico centro di ricerca presente in Umbria dell'attuale CRA, rischia la chiusura per esigenze di budget del CRA nonché per la razionalizzazione imposta dall'attuale legge di stabilità;
   la legge di stabilità 2015, al comma 127 dell'articolo 2, prevede che il CRA, incorporato ad INEA, sia trasformato in «Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria» e tale realizzazione dovrà avvenire nel rispetto del vincolo di riduzione del 50 per cento delle articolazioni territoriali attuali del CRA;
   il nuovo ente verrà commissariato ed il commissario sarà eletto dovrà rispondere della riduzione delle sedi entro 120 giorni;
   il CRA-OLI di Spoleto, nato nel 1902, con la sua attività ha portato Spoleto ad essere un capoluogo nazionale e mondiale nel settore dell'olio d'oliva, specie dai punto di vista della ricerca scientifica sul comparto, sulla quale sia l'Italia che in particolare la regione Umbria stanno investendo molto;
   dei 47 attuali centri del CRA, il CRA-OLI di Spoleto è l'unico presente in Umbria e rappresenta pertanto una peculiarità per la regione;
   presso l'azienda di Collececco, interna al CRA-OLI di Spoleto è detenuta la più grande collezione di germoplasma olivicolo nazionale ed una delle più importanti a livello mondiale detenuta;
   negli ultimi sette anni, il CRA-OLI di Spoleto, nonostante una ridottissima presenza di ricercatori, ha portato avanti ben 15 progetti, e redatto oltre 140 pubblicazioni tra libri, articoli scientifici su riviste nazionali ed internazionali e articoli divulgativi, segno evidente di una elevata produttività scientifica –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, delle proprie competenze, nonché della peculiarità del CRA-OLI di Spoleto nel panorama della ricerca nazionale sull'olivicoltura, non ritenga opportuno assumere iniziative per mantenere, a fronte della futura razionalizzazione delle sedi del CRA, la sede di Spoleto del CRA-OLI, ipotizzando anche il rilancio, attraverso l'assunzione dei nuovi ricercatori, di tale importante bacino scientifico da troppo tempo rimasto senza alcuna possibilità turn over;
   se non ritenga fondamentale, quantomeno, il mantenimento e la valorizzazione dell'azienda di Collececco, dove è conservata la più grande collezione di germoplasma olivicolo nazionale.
(5-04381)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRUNETTA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 32 della Costituzione Italiana tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana;
   l'European Hospital da oltre 25 anni è sede di un dipartimento di Cardiochirurgia e Cardiologia Interventistica di altissimo livello;
   la suddetta struttura sanitaria è accreditata con Decreto della Regione Lazio n. 44 del 2012 con una dotazione di 51 posti letto (22 in cardiochirurgia, 12 in terapia intensiva cardiochirurgica, 9 in cardiologia interventistica ed 8 in UTIC Unità Terapia Intensiva Coronarica). Il numero dei dimessi negli ultimi 5 anni si è attestato tra 2.200 e 2.500 annui;
   dal 1990 ad oggi oltre 50.000 pazienti del SSN hanno usufruito di tutte le prestazioni sanitarie erogate in regime di degenza, di servizi ed attrezzature diagnostiche tra i più moderni ed ad elevato costo di esercizio. Nel dipartimento viene trattata tutta la patologia cardiovascolare, dalla malattia coronarica, alle malattie delle valvole cardiache, agli aneurismi dell'aorta, alle malattie congenite, alle aritmie, con disponibilità 24 ore su 24, 7 giorni su 7, sia dell’équipe cardiologica, cardiochirurgica che anestesiologica;
   il decreto Commissariale 80/2010, per la qualità e le performances della struttura ed in rispetto al fabbisogno regionale ha attribuito all'European Hospital in accreditamento ulteriori 9 posti letto, 5 di cadiochirurgia e 4 di cardiologia interventistica. Tale accreditamento si è perfezionato con il decreto 44 del 10 maggio 2012;
   da sempre l'European Hospital svolge un ruolo necessario ed insopprimibile nell'emergenza cardiochirurgica e, cardiologica della regione, accettando pazienti in rischio di vita, provenienti dagli altri ospedali o direttamente dal 118. Tale attività è documentabile dall'imponente quantità dei fax recapitati alla struttura, nonché dalle cartelle cliniche dei pazienti accettati in tale procedura;
   il decreto commissariale n. 74 del 2010 ha riconosciuto inoltre il ruolo dell'European Hospital nella rete emergenziale essendo di supporto e stipulando specifici accordi con gli ospedali del territorio;
   l'European Hospital è però l'unica struttura della Regione Lazio che pur possedendo tutti i requisiti connessi all'attività di Emergenza (attività h 24 7 giorni su 7, n. 2 sale di Emodinamica, n. 4 sale operatorie dedicate alla Cardiochirurgia, n. 12 posti letti di terapia intensiva e rianimazione, n. 8 posti letto di UTIC, n. 22 posti letto di cardiochirurgia e n. 9 posti letto di cardiologia interventistica) non è riconosciuta sede di Pronto soccorso, che nel caso dell'European Hospital dovrebbe essere monospecialistico come ad esempio per altre specialità il Pronto soccorso Regionale Oftalmico, il Pronto soccorso Eastman Odontoiatrico e il Pronto soccorso ortopedico ICOT di Latina;
   in data 7 aprile 2014 l'European Hospital ha presentato l'istanza alla Regione Lazio per il riconoscimento di Pronto Soccorso Monospecialistico ma alla richiesta non è stato ancora dato seguito, non essendo pervenuta alcuna risposta da parte della Regione;
   in data 11 ottobre 2014, l'European Hospital, avendo terminato il budget, ha chiesto alla Regione Lazio istruzioni se accettare o meno i pazienti provenienti dagli altri ospedali, ricevendo risposta negativa e non chiarendo inoltre quale comportamento debba adottare la struttura sanitaria per i ricoveri, ritenuti necessari, in favore di eventuali pazienti che si presentassero autonomamente nella struttura;
   la Direzione regionale salute ed integrazione sociosanitaria ha infatti dato indicazione alla Direzioni Sanitarie di bloccare, «fino a nostra nuova comunicazione, eventuali trasferimenti presso la struttura European Hospital»;
   tale situazione sta determinando per l'European Hospital un passo indietro rispetto alle legittime aspettative e potenzialità della struttura, sia per la futura assegnazione del budget regionale che generalmente avviene a metà dell'anno, sia per entrare nella rete sanitaria come Pronto Soccorso;
   inoltre nessuna copertura finanziaria è stata corrisposta dalla Regione Lazio per le prestazioni sanitarie già erogate, ma al contrario nel corso degli ultimi anni la Regione Lazio ha tagliato i rimborsi per circa 6.200.000 di euro;
   tale situazione ha già determinato da parte dell'European Hospital l'attivazione della procedura di licenziamento collettivo per 157 persone appartenente al personale ausiliario;
   si rileva inoltre che nel 2014 è stato chiuso il reparto cardiochirurgico del San Filippo Neri che eseguiva circa 350 interventi l'anno;
   pertanto è evidente che dalla descrizione evidenziata manca un piano coordinato per il servizio sanitario regionale; in particolare per quanto riguarda la rete delle emergenze legata alle patologie cardiovascolari, non è stata data ai cittadini fruitori dei servizi sanitari in questione informazioni sufficienti per far fronte alle emergenze e soprattutto tale gestione sta determinando la perdita di posti di lavoro in ambito sanitario –:
   quali iniziative di competenza, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dei disavanzi sanitari regionali, il Governo intenda assumere per verificare e chiarire la situazione sia dal punto di vista economico-finanziario sia per quanto concerne i profili connessi al rispetto dei livelli essenziali di assistenza. (4-07418)


   DI VITA, GRILLO, CECCONI, DALL'OSSO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, BARONI e NUTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 9 dicembre 2013 il Ministro della salute, On. Beatrice Lorenzin, si recava a Palermo per inaugurare al fianco del Sindaco del capoluogo siciliano, il nuovo reparto oncologico dell'Ospedale Civico di Palermo: 23 milioni di euro di spesa, 96 posti letto, attrezzature e sistemi ad alta tecnologia, quattro piani per le degenze e le sale operatorie. Una struttura all'avanguardia, almeno sulla carta, e conforme ai più alti standard italiani;
   «È un investimento — affermava il Ministro Lorenzin a latere dell'inaugurazione — che ha lo scopo di garantire a tutti i cittadini, anche nel meridione, l'accesso a prestazioni sanitarie adeguate e di alto livello, senza dovere recarsi in altre parti d'Italia». Dello stesso avviso l'assessore regionale alla Salute, Lucia Borsellino. «Oggi si suggella un momento importante per la Sanità siciliana e per il suo rilancio. Bisogna impedire — affermava la Borsellino — la migrazione dei pazienti che vanno in cerca di strutture adeguate fuori dalla provincia di Palermo o addirittura fuori dalla Sicilia». «È un'opera importane per la sanità siciliana — asseriva invece Carmelo Pullara, commissario straordinario dell'Arnas Civico — a dimostrazione del fatto che il lavoro paga. Si può arrivare a risultati ottimali anche in Sicilia — concludeva — nonostante qui sembri tutto più difficile»;
   il Ministro annunciava altresì che con il nuovo anno la gestione della sanità sul territorio sarebbe stata presa in particolare attenzione: «Da gennaio in poi farò dei tour a sorpresa nelle strutture sanitarie e ospedaliere italiane — ha detto — per rendermi conto realmente e in prima persona delle carenze ed eccellenze del sistema italiano. Partirò dalle province più lontane per fare palmo a palmo tutta la Penisola»;
   a un anno di distanza dall'inaugurazione, lo scorso 9 dicembre, un servizio dell'inviata palermitana di Striscia la notizia, Stefania Petyx, denunciava la mancata apertura, malgrado gli annunci, del reparto oncologico sopra descritto;
   tale dato discorda tuttavia con la notizia riportata da parte della stampa locale il 10 febbraio 2014 dunque a soli due mesi dalla data di inaugurazione del reparto oncologico — dell'avvenuto completamento degli interventi per trasferire le unità operative di Oncologia Medica, e di Terapia del Dolore –:
   di quali elementi disponga in ordine alle ragioni per cui, a dispetto degli annunci, il nuovo reparto oncologico sopracitato inaugurato alla presenza del Ministro non risulti ancora operativo e funzionante, quale sia il reale stato di avanzamento dei lavori per l'apertura del reparto in questione ed entro quale termine se ne stimi la messa in funzione definitiva;
   se il Ministro interrogato stia effettuando le ispezioni a sorpresa pubblicamente annunciate e se non ritenga opportuno, in relazione a queste, fornire all'interrogante un quadro generale di quanto emerso sino ad ora. (4-07420)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARTELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   Veneto nanotech è la società che coordina le attività del distretto hi-tech per le nanotecnologie applicate ai materiali e ha come obiettivo quello di promuovere la ricerca e diffusione della tecnologia più avanzata nel settore industriale;
   è una società nata nel 2003 e vede la partecipazione dei livelli istituzionali quali regione Veneto, le università del Veneto, camere di commercio, organizzazioni di categoria, fondazioni ed istituti di credito;
   il risultato della «due diligence» voluta dal nuovo consiglio di amministrazione, in riferimento al bilancio della società, e presentata all'assemblea straordinaria, ha evidenziato un passivo di oltre 3 milioni e 800 mila euro con perdite di esercizio per oltre un milione 400 mila euro, ed un milione di arretrati per la sede di Nanofab al Parco Vega di Marghera;
   con un debito così pesante, anche il fondo di dotazione regionale pari ad un milione di euro potrebbe non essere sufficiente e mettere a rischio una importante realtà di ricerca che interessa diversi segmenti industriali e produttivi del veneto e del Paese in considerazione del fatto che il Veneto è la regione che vanta una delle principali concentrazioni di imprese, a livello nazionale ed europeo, nei settori interessati da nanotecnologie –:
   in considerazione della rilevanza di quanto esposto in premessa, se il Governo intenda intervenire, per quanto di competenza, al fine di acquisire elementi sulla attuale situazione della società e promuovere conseguentemente un tavolo di confronto istituzionale con l'obiettivo di scongiurarne il fallimento ed assicurare il prosieguo di un'attività strategica per l'intero distretto delle nanotecnologie e per la competitività del sistema delle imprese del Veneto e non solo. (5-04376)

Interrogazione a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come riporta il sito «Siciliainformazioni», il 27 novembre 2014, le rappresentanze sindacali aziendali di Fiba-Cisl, Fisac-Cisl, Uilca-Uil e Ugl Credito comunicavano di avere «incontrato, su propria richiesta, l'Azienda Sviluppo Italia Sicilia, in seguito alla comunicazione ricevuta in data 26 novembre, in cui la stessa comunicava che, per carenza di liquidità, il pagamento dello stipendio del mese di novembre non sarebbe stato corrisposto nei termini contrattuali»;
   la società pubblica siciliana, non è in condizione di corrispondere le mensilità correnti ai lavoratori e non esiste alcuna previsione temporale dei pagamenti delle prossime mensilità, né di saldare i debiti pregressi nei confronti dei lavoratori. La carenza di liquidità mette, peraltro, a rischio l'operatività aziendale sino al possibile blocco delle attività, in particolare quelle legate alle erogazione delle agevolazioni a valere sul titolo II del decreto legislativo n. 185 del 2000;
   le organizzazioni sindacali di cui sopra non hanno potuto che prendere atto dell'inaffidabilità dell'attuale gestione di onorare il pagamento degli stipendi ai lavoratori e di tenere fede agli impegni assunti;
   i lavoratori hanno anche indetto uno sciopero di tre giorni nella seconda settimana di dicembre a fronte del clima di incertezza, di mancanza di programmazione e pianificazione strategica oltre ad una miscela di scetticismo e problemi economici che non lasciano dormire sonni tranquilli a nessuno;
   insieme ad Irfis ed a Sicilia Patrimonio immobiliare, Sviluppo Italia Sicilia, vanta un patrimonio immobiliare, in passato stimato in dieci milioni di euro, e destinato a ridursi senza interventi specifici di consolidamento per non parlare della «mission» di sviluppo del territorio siciliano e della creazione d'impresa;
   nell'arco dell'ultimo anno si è registrato un calo degli incassi superiore al 50 per cento, a parità di attività erogate, con il management incapace di incassare i crediti vantati nei confronti del socio regione per oltre un milione di euro, mentre è rimasto un obiettivo proibitivo quello di ristabilire un focus sul percorso dell'azienda. Evidentemente, non basta per andare avanti il solo dialogo privilegiato con Invitalia;
   dal 30 settembre a metà dicembre 2014, sono stati firmati 200 contratti di finanziamento per un totale di somme impegnate pari a 8 milioni di euro e tempi di accoglimento dei progetti pari a 90 giorni dalla data di presentazione degli stessi. Nei primi mesi del 2015 si prevede un numero pari se non superiore di progetti di impresa da contrattualizzare e, a partire dal 16 febbraio 2015, sarà possibile presentare i progetti a valere sullo strumento «Smart & Start», che ha uno stanziamento di 200 milioni di euro. È possibile affermare che le iniziative finanziate da Sviluppo Italia Sicilia-Invitalia supereranno nettamente quelle ammesse dalla sommatoria dei vari enti regionali (Irfis, Crias, Ircac);
   ai lavoratori di sviluppo Italia Sicilia spa non sono stati erogati gli ultimi tre stipendi e i buoni pasto, e la presidente Carmelina Volpe ha comunicato che le casse della società sono vuote;
   i sindacati di settore hanno chiesto al Ministro dello sviluppo economico, con una lettera, l'apertura urgente di un tavolo di confronto sulla società;
   la società è stata acquistata dalla regione siciliana in virtù del protocollo d'intesa siglato il 29 novembre 2007 tra Ministero dello sviluppo economico, regione e Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti (oggi Invitalia). «Il protocollo – si spiega nella missiva – prevedeva l'impegno a definire le procedure atte a trasferire dallo Stato alla regione le risorse gestite oggi dall'Agenzia nazionale attraverso la società regionale, per garantire l'equilibrio economico e finanziario attraverso la progressiva regionalizzazione delle misure. Il trasferimento delle risorse è rimasto lettera morta, configurando un inadempimento da parte dell'Agenzia. Tale trasferimento avrebbe consentito il raggiungimento dell'equilibrio economico finanziario della società» –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano adottare i Ministri interrogati per risolvere le problematiche esposte in premessa e tutelare i lavoratori di Sviluppo Italia Sicilia, anche alla luce delle istanze che i sindacati di settore hanno indirizzato al Ministro dello sviluppo economico. (4-07419)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza Faenzi n. 2-00599 del 1o luglio 2014.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Marzana e altri n. 4-06144 del 25 settembre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04382.