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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 17 dicembre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    in senso lato, il termine «crowdfunding» designa il finanziamento collettivo di iniziative e progetti imprenditoriali o sociali attuato mediante la raccolta di investimenti individuali per lo più di modesta entità, effettuata tramite il web presso una platea indeterminata e indefinita di soggetti – i «crowdfunders» – che intendono cooperare alla realizzazione del progetto per spirito imprenditoriale, semplice apprezzamento o attitudine solidaristica;
   elementi tipici del fenomeno, che lo differenziano dal «venture capital» e dai cosiddetti «business angels», sono individuati da un lato nella prevalente partecipazione di investitori non professionali e dall'altro nel mezzo scelto, ossia il ricorso al web mediante piattaforme in cui si verifica l'incontro tra la domanda e l'offerta, che consente la raccolta con modalità agili e a costi il più possibile contenuti;
    il crowdfunding, nell'ambito del contesto europeo e internazionale, si declina in diversi schemi in funzione delle finalità della raccolta e del trattamento dell'investitore. In particolare, si possono distinguere principalmente quattro modelli:
     a) il «donation-model», forma sotto la quale si è per prima manifestato il fenomeno, finalizzato a finanziare iniziative senza scopo di lucro e rispetto al quale i soggetti che elargiscono il loro apporto finanziario non hanno diritto ad alcun rimborso (si pensi ad esempio alle raccolte attraverso canali radiotelevisivi o in occasione di eventi culturali);
     b) il «reward-model», in cui il crowdfunder riceve un premio simbolico a fronte del proprio impegno finanziario e quindi può essere incentivato da un interesse diretto ancorché meramente eventuale e spesso simbolico (ad esempio, raccolte promosse da comunità locali per realizzare infrastrutture a beneficio degli abitanti della zona, quali centri sportivi o ricreativi nei quali gli apportanti possano poi avere un carnet di accessi; oppure ancora raccolte volte a finanziare progetti discografici, editoriali o cinematografici, in cui sia offerta ai finanziatori copia dell'opera);
     c) il «pre-purchase model», evoluzione del reward-based model e in un certo senso transizione verso schemi partecipativi, particolarmente utilizzato da società di nuova costituzione, che prevede che al finanziatore sia accordato un trattamento di favore per usufruire dei servizi erogati dalla società o acquistare i prodotti a condizione che l'iniziativa abbia successo, ed eventualmente il diritto a acquisire quote/azioni in un momento successivo;
     d) l’«equity-model» che, a fronte dell'investimento, comporta l'immediata acquisizione di una partecipazione nel capitale della società, con assunzione diretta da parte del finanziatore del rischio connesso al rischio imprenditoriale dell'emittente, e la conseguente attribuzione della qualifica di socio a tutti gli effetti. Paragonabile a quest'ultimo per l'ambito di impresa in cui si colloca il «loanbased crowdfunding», o «social lending», in cui il rapporto che si instaura è sostanzialmente di mutuo;
    ai fini imprenditoriali e societari l’«equity model» è, senza alcun dubbio, lo schema di crowdfunding che riveste maggiore interesse. Questo, poiché da un lato l’«equity crowdfunding» – in un momento di crisi economica come quello che si sta attraversando con la conseguente necessità di sostenere lo sviluppo dell'imprenditoria – rappresenta uno strumento atto a ridurre la dipendenza delle imprese neo-costituite dai canali di finanziamento tradizionali, spesso di difficile accessibilità, e a generare nuova ricchezza con un positivo ritorno in termini di diversificazione delle fonti e del rischio. Dall'altro lato, poiché la forte espansione del fenomeno, unita a un'avvertita maggiore rischiosità della tipologia dell'investimento partecipativo, tendenzialmente di entità maggiore ancorché pur sempre contenuta, rispetto al modello di tipo «sociale», induce il legislatore a intervenire e adottare un approccio più prudenziale su taluni aspetti attinenti agli interessi dei vari soggetti coinvolti;
    il nostro Paese, con l'entrata in vigore del Regolamento Consob, emanato con delibera n. 18592 del 13 luglio 2013 di attuazione degli articoli 50-quinquies e 100-ter del Testo unico della finanza decreto legislativo n. 58 del 1998 («TUF»), si è dotato di un pacchetto di norme volte a disciplinare specificamente il fenomeno del «crowdfunding» nell'ambito di misure intese a favorire l'imprenditorialità e l'innovazione mediante l'introduzione nel nostro ordinamento della figura della «start-up innovativa», alla quale tale modalità di finanziamento è elettivamente rivolta;
    con l'approvazione del citato regolamento Consob, l'Italia, infatti, risulta così il primo Paese a varare una completa disciplina integrata nel settore;
    per essere precisi, bisogna tuttavia segnalare che con la recente disciplina il legislatore ha intrapreso la strada di regolamentare in modo puntuale un fenomeno già diffuso nella prassi e che peraltro non risultava vietato nell'ambito dell'ordinamento: non è quindi avvenuta una legittimazione di operazioni prima vietate, ma solo la particolare declinazione di un comportamento diffuso che in diversi altri ordinamenti ci si limita al momento a inquadrare negli istituti generali;
    al netto di quanto precede, si deve tuttavia osservare che ciò che ha suscitato maggiori perplessità da parte della dottrina e un cospicuo numero di analisti finanziari specializzati e cultori della materia è rappresentato soprattutto dall'ottica estremamente circoscritta e settoriale con cui la legislazione italiana è intervenuta sul punto: un'ottica che, con tutta evidenza, non si prefigge di regolare in modo generale tutte le operazioni di finanziamento a livello di capitale di rischio di qualunque attività imprenditoriale o progetto, ma si rivolge solo all’equity crowdfunding telematico di start-up innovative;
    quale sia la ratio di un tale approccio ristretto non è semplice da capire. In ogni caso, se l'impianto normativo è finalizzato a proteggere l'investitore, non si comprende in pieno il motivo per cui la tutela non dovrebbe essere accordata anche in relazione a simili raccolte di fondi attuate da altre imprese, magari anche in stato di difficoltà o crisi economica, il che porta ad un risultato regolamentare discutibile e potenzialmente foriero di disparità trattamento. La disciplina italiana dell’equity crowdfunding si rivolge, infatti, precisamente alla start-up innovativa: sostanzialmente individuata nella società di capitali o societas europaea costituita da non più di 48 mesi e non risultante da fusione o scissione, avente a oggetto esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico, operante principalmente in Italia con un valore della produzione non superiore a euro 5 milioni e che non abbia distribuito utili. A favore di tali società, oltre alla possibilità di ricorrere all’equity crowdfunding, è previsto un regime agevolativo in materia fiscale, giuslavoristica e fallimentare nonché deroghe ad alcune disposizioni di diritto societario. Gli elementi caratterizzanti della nuova disciplina sono dunque: a) l'ambito strettamente circoscritto dei soggetti che possono avvalersi del nuovo metodo di raccolta del capitale di rischio; b) l'estensione alle quote di s.r.l. della possibilità di essere offerte al pubblico, sinora riservata alle azioni, attuata mediante espressa deroga al divieto posto dall'articolo 2468 c.c.; c) l'individuazione del canale di raccolta nella piattaforma web, la cui gestione è affidata, oltre che agli intermediari finanziari abilitati (banche e imprese di investimento sottoposte a vigilanza), alla nuova figura del gestore del portale – così denominato dal legislatore – che deve possedere determinati requisiti ed essere iscritto in apposito registro tenuto dalla Consob, venendo assoggettato a parte della disciplina del TUF ma senza per questo assumere la natura di intermediario autorizzato né svolgere attività inquadrata come servizio di investimento; d) la previsione di limiti massimi di importo affinché all'operazione sia applicabile l'esenzione dalla disciplina ordinaria del prospetto di offerta, sostituita da oneri informativi molto più leggeri a cura del gestore del portale; e) la riserva a investitori professionali, fondazioni bancarie e incubatori di start-up di una percentuale almeno pari al 5 per cento del corrispettivo offerto, ai fini del perfezionamento dell'operazione sul portale;
    durante le puntata televisiva di «Report» andata in onda il 7 dicembre 2014 è stato trasmesso un servizio curato dal giornalista Michele Buono da titolo «Start up stories» dove si vede il giornalista intraprendere un viaggio alla volta degli USA dove è nata la nuova forma di finanziamento denominata «crowdfunding». La trasmissione di Report mette bene in evidenza lo scenario comparato tra un sistema in forte espansione ed evoluzione come quello USA e quello imbrigliato dalla normativa come quello italiano;
    in particolare, la puntata televisiva dimostra come lo sviluppo del crowdfunding, dell’equity crowdfunding e di tutto ciò che ne consegue appare essenzialmente legato al buon funzionamento di un vero e proprio ecosistema in cui l'arricchimento delle conoscenze della persona rappresenta il primo punto di riferimento rispetto al quale convergono le responsabilità di molteplici organismi pubblici. Di seguito vale la pena citare alcuni punti estratti. Con questo sistema, in buona sostanza, negli Stati Uniti, ma non solo, si mette in rete un'idea, la si fa conoscere al mondo e si cercano degli sponsor da una vasta platea che, se interessata, compra delle quote e finanzia il progetto di realizzazione dell'idea per la ricerca e la produzione. Nuove start-up crescono, si creano nuovi posti di lavoro che, a loro volta, attirano anche altri investimenti internazionali e il «crowdfunding» viene considerato una vera e propria rivoluzione perché puntando sul capitale umano, ricerca, e non sullo sfruttamento delle persone o sul livellamento al ribasso degli stipendi di chi lavora. Numerose le testimonianze riportate dalla puntata: a) a Fremont, in California, ad esempio, si producono auto elettriche per la Tesla, con robot che possono essere programmati. E quando si dovranno produrre altri beni sarà sufficiente riprogrammare i robot. La produzione è stata possibile grazie al prestito statale che è stato poi restituito. L'idea innovativa è che le persone devono fare cose più produttive che stare alla catena: qui il valore aggiunto è la programmazione dei robot; b) il signor Adriano Farano è il fondatore di Watchup e la sua idea è stata quella di mischiare televisione e carta stampata così che l'utente può farsi il suo telegiornale. Da ricercatore a Stanford è diventato investitore nella Silicon Valley dimostrando che grazie al crowdfunding è stato abbattuto un muro tra prodotto e consumatore: i consumatori sono interessati alla produzione dei beni di cui sentono di avere bisogno e altro;
    in Italia, il crowdfunding non si insegna alle università, ma è presente una precisa disciplina che ne regola il meccanismo. Gli italiani, del resto, hanno tante idee innovative che potrebbero finanziarsi in questa maniera come, ad esempio, il «Cantiere Savona», che ha costruito una nave a batteria solare, con finanziamenti presi dalla rete e oggi la start-up di un cantiere navale coinvolge circa un centinaio di persone;
   pur tuttavia, come già evidenziato in premessa, la nostra legislazione prevede delle procedure particolarmente farraginose che, in pratica, vincolano i soldi che si possono investire (solo 500 euro per persone fisiche) e costringono a passare per un investitore professionale, ovvero le banche, che possono decidere che l'investimento sia rischioso e bloccarlo, con il risultato che mentre in America le aziende hanno raccolto quote per 500.000 dollari, in Italia si sono fatti solo 3 progetti, perché l'Autorità di controllo, ovvero la Consob, ha introdotto eccessivi paletti attraverso la disciplina regolamentare, senza contare il fatto che, come si è precisato, solo le azioni di società tecnologiche possono essere vendute su internet. Se invece ci si occupa di infissi o piastrelle, non si può fare nulla. Ed, infatti, non è decollato un bel niente, nonostante le possibilità siano veramente enormi;
    servirebbe, pure, la rete in fibra per collegare le aziende e farle lavorare in modo interconnesso: ma manca il sistema, che crei una culla per la partenza delle start-up, mentre come sottolineato recentemente sottolineato dal Andrea Rangone, professore del Politecnico di Milano, il nostro appare ancora un Paese burocratizzato, dove manca la cultura digitale e non sarebbe neanche un problema di risorse visto che i fondi europei sono stati sempre stanziati, ma manca ancora una strategia vera a livello nazionale e non basta parlare semplicemente di «Agenda digitale»;
    e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, perché i nostri ingegneri, i nostri laureati si trasferiscono all'estero dove trovano condizioni migliori, come ad esempio in Germania, dove il signor Luca Talarico, un ingegnere calabrese emigrato a Berlino si è inventato un sito di crowdfunding per aziende italiane e la Germania sta aiutando queste aziende, altamente tecnologiche, per togliere di mezzo ogni forma inutile di burocrazia. Digitaly è, infatti, la fondazione che unisce queste imprese italiane. Sono stati stanziati 100 milioni di euro a disposizione per queste aziende per cui lo Stato ci mette il suo impegno, i laureati ci mettono le idee, nascono le startup e nascono anche altre aziende che facilitano il cosiddetto «coworking», ovvero si creano sedi di lavoro da offrire per queste aziende in fase di crescita e che non hanno soldi per affittare uffici. In questo modo in Germania sono state create circa 40.000 imprese in un anno;
    anche in Italia sono accaduti questi fenomeni di coworking per cui si affittano scrivanie, spazi, server. Ma tutto è in mano ai privati, sotto forma di spinta dal basso, mentre il pubblico non sembrerebbe che stia facendo molto. Eppure, dal basso nascono iniziative come quello della casa editrice di Scampia perché grazie alla rete i ragazzi hanno potuto pubblicare i libri di questa piccola casa editrice, la Marotta e Cafiero editore, ma il sito di crowdfunding era stato realizzato a Milano;
    il tema dell’«equity crowdfunding» riveste eccezionale importanza come motore innovativo per lo sviluppo del Paese, ma numerosissimi esperti del settore e studiosi accademici appaiono molto critici per i vincoli imposti dalla normativa attuale dettata in materia;
    emerge per altro l'opportunità di utilizzare lo strumento dell’«equity crowdfunding» in funzione anticrisi come sistema di sostegno alla riconversione e rilancio di aziende che in crisi o anche fallite, considerato che le imprese sono spesso radicate nel territorio e nel cuore della popolazione e, dunque, l’«equity crowdfunding» potrebbe rappresentare un utile mezzo di raccolta e di focalizzazione di risorse economiche per sostenere la ripresa di aziende in agonia,

impegna il Governo:

   a valutare con particolare attenzione l'opportunità di porre in essere ogni iniziativa di competenza finalizzata a modificare l'attuale normativa in materia di «crowdfunding» al fine di:
    1) estendere il perimetro applicativo dell’equity crowdfunding dalle sole start-up innovative alle micro e piccole e medie imprese;
    2) eliminare la riserva attualmente prevista della riserva a investitori professionali, fondazioni bancarie e incubatori di start-up di una percentuale almeno pari al 5 per cento del corrispettivo offerto, ai fini del perfezionamento dell'operazione sul portale;
    3) introdurre un'aliquota forfettaria per la cessione semplificata delle quote acquistate in dell’equity crowdfunding;
    4) innalzare le soglie e massime di investimento attualmente previste;
   a valutare l'opportunità di istituire presso il Ministero dello sviluppo economico una task force di esperti del settore per alimentare lo sviluppo del mercato dell’equity crowdfunding;
   a valutare l'opportunità di modificare la disciplina vigente in materia di cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria e ammortizzatori sociali al fine di attivare l'applicazione dello strumento dell’equity crowdfunding anche per le ristrutturazioni aziendali e per le aziende in crisi o fallite al fine di valorizzare il capitale umano attraverso l'implementazione di progetti di innovazione di processo e prodotto;
   ad affrontare in modo deciso l'intera materia relativa all'attuazione dell'Agenda digitale, eventualmente intervenendo con tutti gli strumenti necessari, così da dare finalmente sostegno ad una serie di procedure di rilevanza essenziale per lo sviluppo e la competitività del nostro Paese anche sotto il profilo dell'implementazione dello strumento del crowdfunding;
   a rendere noto quale sia l'ammontare preciso e complessivo delle risorse che saranno destinate per attuare l'Agenda digitale italiana, chiarendo la strategia complessiva da adottare;
   a valutare l'opportunità di utilizzare lo strumento del crowdfunding come fonte di cofinanziamento dei progetti europei per lo sviluppo.
(1-00691) «Ricciatti, Scotto, Ferrara, Fratoianni, Civati, Duranti, Pannarale, Kronbichler, Nicchi, Melilla, Zaccagnini, Franco Bordo, Piras, Zaratti, Palazzotto, Airaudo, Placido, Pellegrino, Paglia, Quaranta, Costantino, Marcon, Matarrelli, Giancarlo Giordano, Daniele Farina, Sannicandro».

Risoluzione in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 22, comma 2, del decreto-legge n. 66 del 2014 ha modificato in termini riduttivi il regime di esenzione IMU dei terreni agricoli, demandando a un decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze l'individuazione dei comuni nei quali applicare le nuove regole sulla base dell'altitudine riportata nell'elenco dei comuni italiani predisposto dall'ISTAT e diversificando tra terreni posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali e gli altri;
    la disposizione ha incontrato l'immediata opposizione di tutto il mondo agricolo e di parte delle forze politiche della stessa maggioranza per i seguenti motivi:
     in primo luogo la norma demanda a una classificazione dei comuni montani fissata dall'ISTAT, diversa da quelle precedenti e a forte contenuto di arbitrarietà; le leggi sulla montagna (dalla legge n. 991 del 1952 alla legge n. 97 del 1994), consideravano invece montani i comuni situati per almeno l'80 per cento della loro superficie al di sopra di 600 metri di altitudine sul livello del mare e quelli nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e la superiore del territorio comunale non fosse minore di 600 metri;
    tale metodologia era stata mantenuta nella riclassificazione del 1993 (Circolare del 14 giugno 1993 n. 9 del Ministero delle finanze), che faceva riferimento alla legge n. 984 del 1977; di tutela dei territori montani e collinari: sulla base di tale precedente normativa erano considerati totalmente montani 3.533 comuni, e parzialmente montani 655 comuni;
    sulla base invece del criterio adottato dall'ISTAT, fondato sull'altitudine del «centro» del comune (cioè della casa comunale), i comuni montani con un'altezza di più di 600 metri sono 1.578, quelli collinari, posti tra 281 e 600 metri sono 2.568, i comuni con altitudine fino a 280 sono 3.911: pertanto, rispetto alla precedente classificazione oltre 4.000 comuni vedono ora modificata la tassazione IMU dei rispettivi terreni agricoli;
    nella maggior parte dei comuni di montagna la casa comunale è posta a fondovalle; pertanto, la sua altitudine — assunta dall'ISTAT a riferimento per la classificazione statistica dei comuni — non può costituire un indice idoneo a definire la natura «montana» di un comune, a maggior ragione se tale definizione è posta a fondamento di un trattamento fiscale differenziato per i contribuenti; l'unilateralità di tale criterio, oltre ad aver escluso ingiustificatamente un gran numero di comuni montani, ha prodotto anche il paradosso per cui comuni limitrofi, situati alla stessa altitudine, si trovano a dover applicare un regime di tassazione diverso;
    oltre a ciò, il nuovo criterio, basato esclusivamente sul valore altimetrico, non tiene in alcun conto (come invece era stato correttamente stabilito dall'articolo 29 della legge n. 142 del 1990, che demandava alle regioni la definizione di aree montane) le specificità dei diversi territori, la redditività delle colture, l'isolamento e del ritardo di sviluppo di talune aree del Paese;
    in secondo luogo, per quanto riguarda l'impatto della revisione del regime di esenzione dall'IMU sul comparto agricolo, la norma del decreto-legge n. 66 del 2014 ha previsto un maggior gettito di 350 milioni di euro a decorrere dal 2014, con corrispondente riduzione dei trasferimenti ai comuni del Fondo di solidarietà comunale 2014;
    ciò determina pertanto una stortura di fondo, in quanto l'esenzione IMU non è più commisurata alla realtà economica, ma alle esigenze di maggior gettito: per tali motivi sia l'ANCI e le principali organizzazioni agricole, sia esponenti del Governo, hanno espresso la loro forte contrarietà a una disposizione che già precedentemente, per volontà del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali pro tempore, era stata soppressa dalla legge di stabilità per il 2014;
    in tale contesto di criticità appare ulteriormente grave il ritardo con cui è stato emanato il decreto interministeriale applicativo del citato articolo 22, comma 2, del decreto-legge n. 66 del 2014: infatti tale decreto è datato 28 novembre ed è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 284 del 6 dicembre 2014, cioè a distanza di soli 10 giorni dalla data entro la quale i contribuenti erano tenuti a effettuare il versamento, laddove l'articolo 3 dello Statuto del contribuente (legge n. 212 del 2000) prevede non solo che le disposizioni tributarie si dovrebbero applicare a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono, ma anche che non si dovrebbero prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data dell'adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti;
    tali previsioni a tutela del contribuente assumono assai maggior rilievo ove si consideri che le basi di calcolo dell'IMU agricola dipendono non solo dalla consistenza complessiva della base imponibile di ciascun comune, ma anche dalle caratteristiche soggettive del possessore e dell'utilizzatore e dalla dimensione delle proprietà;
    con il decreto-legge 16 dicembre 2014, n. 185, recante «Disposizioni urgenti in materia di proroga dei termini di pagamento IMU per i terreni agricoli montani», i termini per il versamento dell'IMU 2014 sui terreni agricoli sono stati spostati dal 16 dicembre 2014 al 26 gennaio 2015: l'originaria intenzione di spostare il pagamento al giugno 2015 è stata frustrata dalle regole contabili comunitarie, che dettano limiti in materia di accertamento di entrate e di effettivo incasso in corso d'anno;
    le previsioni del citato decreto-legge n. 185 appaiono tuttavia del tutto insufficienti a risolvere le problematiche esposte;
    l'agricoltura italiana è uno dei comparti più dinamici dell'economia nazionale e la sua vitalità sta avendo effetti estremamente positivi sulla bilancia commerciale e sull'occupazione; nell'attuale fase economica depressiva il comparto agricolo nazionale sta quindi svolgendo una rilevante funzione anticiclica;
    in agricoltura i terreni sono un mezzo di produzione e una bassa tassazione di questi ha effetti moltiplicativi in termini di PIL e di crescita dei livelli occupazionali; l'IMU agricola, in relazione alla quale è stato iscritto a bilancio un maggior gettito di 350 milioni di euro, si configura invece come una sorta di patrimoniale applicata, con effetti distorsivi e depressivi, a un comparto produttivo;
    il quadro appena esposto dimostra pertanto l'esigenza di procedere in tempi rapidi e certi a una complessiva rivisitazione della normativa fiscale sui terreni agricoli; le vicende connesse alla modifica dei criteri di calcolo dell'IMU sui terreni agricoli è indicativa di come la tassazione possa essere utilizzata alternativamente per deprimere il comparto agricolo o per favorirne lo sviluppo,

impegna il Governo:

   ad assumere con la massima sollecitudine iniziative volte ad abrogare l'articolo 22, comma 2, del decreto-legge n. 66 del 2014, individuando nell'ambito dei risparmi di bilancio o mediante nuove diverse entrate, le necessarie misure di compensazione volte a coprire il minor gettito, pari a 350 milioni di euro a decorrere dal 2014, determinato dalla soppressione di tale previsione e ripristinando i trasferimenti precedentemente previsti in favore dei comuni oggetto di riduzione;
   ad assumere iniziative, ivi compresa la convocazione di un «tavolo tecnico», al fine di procedere all'individuazione di modalità di tassazione dei terreni agricoli, impostata su criteri premiali quali:
    a) un regime di esenzione IMU che consideri come montani i comuni situati per almeno l'80 per cento della loro superficie al di sopra di 600 metri di altitudine sul livello del mare e quelli nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e la superiore del territorio comunale non è minore di 600 metri; tale soglia dovrà essere ridotta a 500 metri nelle aree meridionali ricomprese nell'Obiettivo convergenza comunitario e l'esenzione dovrà in ogni caso applicarsi ai terreni che singolarmente superino le suddette soglie;
    b) la possibilità, per le regioni, come precedentemente previsto dall'articolo 29 della legge n. 142 del 1990, di individuare ulteriori aree nelle quali applicare esenzioni o riduzioni dell'imposta, in funzione delle specificità dei diversi territori, della redditività delle colture, dell'isolamento e del ritardo di sviluppo;
    c) la previsione che l'esenzione IMU spettante ai coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, iscritti nella previdenza agricola, si applichi ai terreni da essi regolarmente condotti, purché in attualità di coltivazione, e non solo ai terreni «posseduti»;
    d) la previsione, nel caso in cui l'IMU sia dovuta, di un'aliquota ridotta per i primi anni di insediamento in favore dei giovani imprenditori agricoli;
    e) la possibilità che i comuni, sia montani sia non, con propri regolamenti possano modificare in termini premiali o sanzionatori le aliquote dell'IMU, introducendo o incrementando l'imposta a carico dei terreni agricoli lasciati incolti, fatti salvi i riposi colturali, o i terreni abbandonati, anche sotto il profilo della mancata esecuzione delle opere di tutela della pubblica incolumità o di sicurezza idrogeologica posti dalla legge a carico dei proprietari, ovvero introducendo nuove o ulteriori riduzioni in favore dei terreni in attualità di coltura o dei terreni non coltivati, ma la cui corretta conduzione costituisca presidio contro il dissesto idrogeologico.
(7-00547) «Pagano».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPI, MANZI, NARDUOLO, CHAOUKI, MALPEZZI, COSTANTINO, FRATOIANNI e GHIZZONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nella piana di Ninive, nell'attuale Iraq, sono presenti i resti archeologici della prima civiltà stanziale che l'umanità abbia conosciuto. Resti archeologici importantissimi per la storia dell'umanità intera e al cui recupero e riscoperta ha contribuito, tra gli altri e ripetutamente, anche una missione archeologica italiana;
   oltre al drammatico bilancio di vite umane, i violenti scontri in Iraq degli ultimi decenni hanno danneggiato pesantemente il patrimonio culturale, uno dei più preziosi e antichi del mondo;
   oggi il cosiddetto Stato Islamico ha colpito con violenza moltissime testimonianze della ricca presenza multiculturale preislamica di quel Paese e risulta, da numerose fonti crescenti, che gli scavi di materiale archeologico in qualche misura, autorizzati dal nuovo Governo, sono al centro di un traffico crescente di manufatti e ritrovamenti antichi che, venduti su mercati internazionali, da un lato, costituiscono una delle principali fonti di finanziamento di chi sta oggi perpetrando violenze inaudite su civili di ogni fede e nazione, e, dall'altro, contribuiscono a disperdere in modo irrecuperabile un patrimonio culturale inestimabile dell'umanità –:
   quali iniziative il Governo, di concerto con l'Europa e le istituzioni internazionali, possa mettere in campo per contrastare questo criminale traffico, magari rafforzando il ruolo di unità specializzata nella tutela dei beni culturali e nella lotta al traffico internazionale in relazione al quale l'Italia ha competenze uniche riconosciute e che potrebbero essere il contributo peculiare del nostro Paese tanto alla lotta al terrorismo quanto alla difesa di quel patrimonio dell'umanità che ha lasciato il passato e che è fondamentale per il futuro. (4-07307)


   LAFORGIA e FIANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 24 febbraio 2012 il Consiglio dei ministri presieduto da Mario Monti approvò la soppressione dell'Agenzia del Terzo settore, trasferendone le competenze al Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   questa misura faceva parte di un pacchetto di provvedimenti volti al mantenimento della spesa pubblica;
   il 28 gennaio 2012 il sindaco di Milano Giuliano Pisapia scrisse una lettera indirizzata al Governo per chiedere che l'agenzia non fosse chiusa, sia per una giusta scelta di decentramento, sia per il ruolo che Milano e la Lombardia hanno sempre svolto nell'ambito del Terzo settore che in queste terre ha avuto origine e notevole sviluppo;
   il Governo in questi mesi sta affrontando il tema complesso della riforma del terzo settore, che ha come obiettivi quelli di costruire un nuovo welfare partecipativo, valorizzare lo straordinario potenziale di crescita e occupazione insito nell'economia sociale e nelle attività svolte dal Terzo Settore;
   i fatti giunti alla ribalta delle cronache nelle scorse settimane, riguardo le inchieste che fanno riferimento alla gestione dei fondi per le politiche sociali a Roma, indicano un forte interesse delle organizzazioni criminali per il terzo settore;
   l’authority può diventare un punto di riferimento nazionale per la trasmissione delle buone pratiche di ogni e a sostenere le amministrazioni, i dirigenti e i funzionari, in una gestione sempre più trasparente delle risorse, lavorando al fianco della magistratura e dell'autorità nazionale anticorruzione –:
   se il Governo ritenga opportuno assumere iniziative per riaprire l'agenzia per il terzo settore a Milano o se si stia prevedendo qualche intervento teso a valorizzare le amministrazioni e gli enti virtuosi e a garantire strumenti per una trasparenza che si rende ancora più indispensabile quando si affrontano i temi delle fragilità. (4-07312)


   D'INCÀ, PETRAROLI, TOFALO e DA VILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, coordinato con la legge di conversione 11 novembre 2014, n. 164, «Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive», all'articolo 7, comma 2, prevede la stipula di un accordo di programma tra regione e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per lo stanziamento di risorse destinate agli interventi in materia di mitigazione del rischio idrogeologico;
   tre frane lungo la strada statale 52 Carnica in provincia di Belluno, minacciano gli abitati di Santo Stefano di Cadore e San Pietro, destando moltissima preoccupazione per il pericolo di collasso. Ad agosto 2014 eventi alluvionali hanno fatto franare tratti di montagna, allagando i due comuni e ostruendo la galleria del Comelico, creando notevoli disagi alla zona del Comelico e Sappada. Il traffico è stato dirottato sulla strada provinciale 532 del passo S. Antonio, non accessibile però ai mezzi pesanti. A monte della galleria, la «frana rossa» sta scendendo verso il Piave e rischia di ostruirlo, creando un effetto diga che potrebbe mettere sott'acqua l'intero comune di Santo Stefano. I tecnici parlano di situazione di estrema pericolosità, con grandi massi instabili su un terreno argilloso;
   il presidente del Veneto Luca Zaia ha firmato il decreto che dichiara lo «stato di crisi» per gli eccezionali eventi atmosferici del 9 agosto 2014 nei territori dei comuni bellunesi di Santo Stefano di Cadore e di San Pietro di Cadore:
   la situazione critica della zona è nota da anni, tanto che è stato presentato all'ANAS nel 2000 un progetto per realizzare la galleria di Coltronto (secondo tronco della galleria del Comelico), nuovo tracciato che è stato più volte inserito da ANAS nel piano di investimenti e continuamente rinviato. Ad oggi la galleria di Coltrondo è inserita nel piano triennale Anas. Il progetto preliminare del 2000 quantificava in 27 milioni euro il costo dell'opera, mentre, con gli adeguamenti normativi necessari, è stimata una somma di circa 66 milioni di euro per realizzare la nuova galleria (lettera del sindaco Santo Stefano prot. n. 5132 del 30 settembre 2014 e progetto di variante alla strada statale 52 Carnica – revisione del progetto preliminare per adeguamento normativo del 29 settembre 2014);
   il sindaco di Santo Stefano ha richiesto al presidente della regione Veneto Zaia e al direttore nazionale di ANAS Di Bernardo di convocare con urgenza un tavolo tecnico/politico per affrontare definitivamente il problema (lettera del sindaco Santo Stefano prot. n. 6220 del 24 novembre 2014);
   è necessario un collegamento sicuro e continuo lungo la direttrice Venezia-Treviso-Belluno su cui gravitano tutte le attività turistiche e produttive del Comelico e della valle del Piave;
   la galleria Comelico è un traforo che mette in comunicazione il centro Cadore e il Comelico tramite la strada statale 52 Carnica. Se si eccettua il passo di Sant'Antonio, la galleria rappresenta l'unico collegamento stradale tra Cadore e Comelico, visto che il vecchio tratto in superficie della statale è chiuso al traffico;
   è indispensabile mettere in sicurezza l'abitato di Santo Stefano minacciato dalle frane esistenti: il dissesto idrogeologico è complessivo e accentuato dalle forti piogge cadute. Ad esempio, a Costalta, nella frazione di Valle ci sono 4 punti critici; a Chiamorzei c’è una frana che ha costretto l'amministrazione a chiudere la strada; la zona di forcella Zovo è minacciata da tre cedimenti che hanno portato all'ordinanza di Veneto Strade. A Tabiè Gran, dove era stato fatto un intervento di canalizzazione, si è verificata un'occlusione, così come si devono liberare i tombini a Cercenà, perché in caso di nuove piogge la situazione diventerà critica. Ancora un cedimento di rilievo è segnalato a Maso di Valle in prossimità dell'azienda agricola Zampol Sergio, ma va rilevato un sistema fognario decisamente precario. Le fognature sono ostruite a Rio Rin, via Parcellon, via Mazzini e in via Pradetto dove c’è una rottura –:
   se siano al corrente della situazione delle frane nel bellunese e del concreto pericolo per l'incolumità della popolazione che vive a Santo Stefano Di Cadore e a San Pietro, senza contare i danni economici alla zona turistica del Cadore per la difficoltà dei collegamenti viari, a tratti interrotti;
   se intendano, come prevede il decreto «Sblocca Italia», stipulare al più presto un accordo di programma con la regione Veneto, per procedere urgentemente alla messa in sicurezza della strada statale 52 Carnica e alla realizzazione della galleria Coltrondo (secondo tronco della galleria Comelico). (4-07316)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   ZOLEZZI, SEGONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la valutazione di impatto ambientale (VIA) nazionale viene introdotta in Italia sulla base di norme transitorie che traggono origine da quanto definito dall'articolo 6 della legge n. 394 del 1986 istitutiva del Ministero dell'ambiente e conformemente alla direttiva del Consiglio della Comunità europea n. 85/337 del 1985 modificata ed integrata dalle direttive CEE 97/11 e 2003/35. Per motivi di chiarezza e di razionalizzazione si è proceduto alla codificazione e all'emanazione della direttiva 2011/92/UE, successivamente modificata con la direttiva 2014/52/UE. Secondo la normativa comunitaria, i progetti che possono avere un effetto rilevante sull'ambiente, inteso come ambiente naturale e ambiente antropizzato, devono essere sottoposti ad una apposita valutazione di impatto ambientale. Quest'ultima può essere nazionale o regionale in base a determinate categorie progettuali;
   la valutazione ambientale strategica (VAS) viene introdotta a livello comunitario dalla direttiva europea 2001/42/CE che riguarda «la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente naturale». La valutazione ambientale strategica opera, infatti, sul piano programmatico con l'obiettivo di perseguire la sostenibilità ambientale delle scelte contenute negli atti di pianificazione ed indirizzo che guidano la trasformazione del territorio. In particolare, la valutazione di tipo strategico si propone di verificare che gli obiettivi individuati nei piani siano coerenti con quelli propri dello sviluppo sostenibile, e che le azioni previste nella struttura degli stessi siano idonee al loro raggiungimento;
   l'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica del 14 maggio 2007, n. 90, istituisce la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale – VIA e VAS, inizialmente composta da sessanta commissari. L'articolo 12 del decreto-legge n. 91 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, ha disposto che «ai fini del contenimento della spesa pubblica e dell'incremento dell'efficienza procedimentale, il numero dei commissari che compongono la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale è ridotto da cinquanta a quaranta compreso il Presidente e il Segretario»;
   nel sito istituzionale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nella pagina http://www.minambiente.it/pagina/la-commissione-seduta-ple- naria (aggiornata l'8 aprile 2014), dedicata alla composizione della commissione in seduta plenaria sono, tuttavia, riportati 48 membri;
   l'articolo 12, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 90, dispone che «Tre mesi prima della scadenza del termine di durata, le Commissioni VIA e VAS presentano una relazione sull'attività svolta al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che la trasmette alla Presidenza del Consiglio dei ministri, ai fini della valutazione congiunta della perdurante utilità dei singoli organismi e della conseguente eventuale proroga della loro durata, comunque non superiore a tre anni, da adottarsi con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare»;
   risulterebbe che nel mese di luglio dell'anno 2014 sia scaduto il mandato triennale, secondo quanto disposto dall'articolo 12, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 90, agendo i commissari stessi in regime di «prorogatio»;
   si pone, dunque, con urgenza il rinnovo dei componenti della commissione in questione;
   ad oggi, la nomina dei componenti della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale – VIA e VAS avviene pressoché a mera discrezionalità del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in base a criteri che risultano, peraltro, essere agli interroganti estremamente vaghi;
   sotto il primo profilo della procedura di nomina, va detto che non è prevista alcuna forma di selezione pubblica dei componenti della commissione che spetta esclusivamente al diretto controllo politico del Ministro interrogato;
   ad oggi, nonostante i ripetuti interventi del legislatore rappresentati dall'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2007 e dall'articolo 7, comma 1, del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90, i requisiti per essere nominati commissario nella predetta Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale risultano essere, a giudizio degli interroganti, assolutamente insufficienti ed inadeguati, rispetto alla gravosità e responsabilità dei compiti affidati alla commissione in questione;
   infatti, grazie all'articolo 12 del decreto-legge n. 91 del 2014 è sufficiente che i componenti della commissione siano «...scelti fra soggetti provvisti del diploma di laurea, non triennale, con adeguata esperienza professionale, all'atto della nomina, di almeno cinque anni». Si tratta – come evidente – di una formulazione che lascia piena libertà al Ministro di designare professionalità anche, in ipotesi, prescindendo dalla valutazione di una specifica preparazione conferente e pertinente rispetto alle necessità che tale incarico comporta;
   va ricordato che la formulazione originaria dello stesso decreto n. 91 del 2014 riportava almeno il concetto di «congruenza» tra attività svolta dal nominato e funzioni svolte dalla commissione –:
   se il Ministro interrogato nel procedere al riordino della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale così come previsto dal secondo periodo del comma 1 dell'articolo 7 del decreto-legge n. 90 del 2008, non intenda valutare la possibilità di assumere idonee iniziative normative al fine di introdurre procedure di selezione pubblica di tutti componenti della commissione tecnica, nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità, con specifico riguardo alla diffusione dei curricula dei soggetti nominati, assicurando l'assenza di conflitti di interesse per i titolari delle cariche, nonché un congruo rapporto di proporzione fra i diversi tipi di competenze ed esperienze dei componenti scelti atti a garantire le singole professionalità, espressione della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS, attraverso parametri di designazione quali la qualificazione dei commissari in materie progettuali, ambientali, economiche e giuridiche o comunque afferenti direttamente alle attività istituzionalmente demandate alla commissione. (5-04310)


   PELLEGRINO e ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo del 25 novembre 2014, pubblicato sul Foglietto della ricerca (usirdbricerca.info), un settimanale dell'Unione sindacale italiana, il professor Enzo Boschi, che è stato per 12 anni alla guida dell'Istituto nazionale di geologia e vulcanologia – INGV, ha denunciato che il medesimo INGV non avrebbe dato alcun parere di natura sismologica, che è una sua indubbia e indiscussa competenza, per la redazione del rapporto «Criteri per la localizzazione del Deposito Nazionale delle scorie nucleari», prodotto dall'Ispra, ente di ricerca vigilato dal Ministero dell'ambiente;
   nell'articolo, il professor Boschi dichiara: «se risultasse vero, non sarebbe solo gravissimo sul piano metodologico ma sarebbe un motivo imprescindibile per rendere inaccettabile a priori il rapporto dell'Ispra e la scelta del sito che ne conseguirebbe. Qualunque esso sia!»;
   nell'articolo suddetto si legge inoltre: «nel gennaio scorso il Direttore Generale dell'Ispra scrisse ai Presidenti del Cnr, Ingv, Iss, Enea e Igm per avere, credo entro la fine di aprile, un parere tecnico sulla questione della localizzazione del sito per il deposito sicuro delle scorie nucleari attualmente «sparse» nel Paese. In questa delicatissima operazione non sarebbero stati coinvolti i sismologi dell'Ingv, benché siano indubbiamente gli esperti più quotati al mondo sulla sismicità italiana, oltre ad essere i più numerosi. La cosa, se vera, appare paradossale visto che la questione sismologica è senza alcun dubbio la più critica nella scelta del sito e nella sua caratterizzazione. È quella che maggiormente suscita preoccupazioni, perplessità e opposizioni fra la gente. La risposta Ingv alla richiesta dell'Ispra sarebbe stata affidata ad un singolo ricercatore, indubbiamente simpatico e gentile, ma con esperienze sismologiche non acclarabili (...)»;
   un articolo del Il Resto del Carlino del 10 dicembre 2014, dal titolo «La discarica delle scorie nucleari? Il test terremoto può attendere», viene ripreso e approfondito l'articolo del professor Boschi;
   l'articolo riporta come l'Istituto nazionale di geologia e vulcanologia non ha dedicato una sola riga alle caratteristiche sismiche che dovrà avere l'area deposito nazionale di smaltimento delle scorie radioattive a bassa e media attività. «In effetti – come riporta l'articolo – il parere dell'Ingv, meno di due facciate sulle 23 della Guida tecnica numero 29 elaborata dall'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale del ministero di via Cristoforo Colombo a Roma, affronta solo tre punti. Sostiene che debbono essere escluse le aree “vulcaniche attive e quiescenti” indicate dalla Protezione Civile, sollecita che siano “ulteriormente valutate quelle secondarie” e chiede di “effettuare sull'area di indagine un monitoraggio areale di radiazione gamma atto a definire il livello di background di radioattività naturale”. Punto. Nel delineare il secondo criterio di esclusione delle aree inadatte al deposito della “spazzatura nucleare”, quello sul rischio di terremoti, l'Ispra è quindi costretto a richiamarsi alle “norme tecniche per le costruzioni” che sono ora in vigore.»;
   l'ente non può fare a meno di precisare che mancano “dati e informazioni storiche omogenee per l'intero territorio nazionale” sull'accelerazione di picco, ossia sul parametro che misura l'intensità dei sismi. Dovrebbe invece essere calcolata per un intervallo di 2475 anni fra due scosse della stessa entità. Nel Deposito dovrebbero finire tutte le scorie nucleari sparse nel Bel Paese;
   il volume complessivo dei residui sarebbe compreso fra 60 mila e 90 mila metri cubi, un piccolo palazzo dello sport. È il materiale a bassa e media intensità prodotto dalle centrali nucleari smantellate dopo il referendum del 1987 o da attività industriali e ospedaliere. Quelli ad alta intensità, i più pericolosi, dovranno essere accolti, scrive l'Ispra, in una “specifica struttura” collocata nello stesso impianto. Per il momento si trovano in Francia e in Gran Bretagna, ma dovranno tornare in blocchi vetrificati fra il 2019 e il 2025. L'investimento minimo previsto è di 1,2 miliardi di euro. L'operazione sarà affidata alla Sogin e dovrebbe concludersi in otto anni»;
   l'articolo conclude con un'affermazione del professor Boschi che sottolinea come «la risposta dell'Ingv dimentica qualunque analisi delle strutture sismo genetiche, diffuse ovunque nel territorio nazionale, che costituiscono il punto più critico di tutta l'operazione». «È vero – rincara – che è disponibile la Mappa di Pericolosità Sismica, ma per una infrastruttura tanto delicata sono imprescindibili studi molto più approfonditi» –:
   quali iniziative si intendano intraprendere alla luce delle considerazioni esposte in premessa, e se non si ritenga indispensabile avviare, studi di sismicità ben più approfonditi ai fini dell'individuazione del sito per il deposito nazionale delle scorie nucleari. (5-04311)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAPONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sulla stampa odierna grande risalto viene dato alla decisione della procura di Lecce di aprire un fascicolo a proposito dell'emergenza ambientale in alcuni comuni del Sud Salento, e specificamente Andrano, in seguito all'indagine avviata nei mesi scorsi da questo Ministero e a quanto rilevato dagli elicotteri del programma sicurezza «Miapi» (coordinato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) che, dotati di magnetometro e spettrometro metro gamma – ray, hanno sorvolato il Salento alla ricerca di fonti di radiazioni e di inquinamento del territorio;
   tali rilievi, condotti nel corso dei mesi estivi, avrebbero infatti fatto emergere la presenza di uranio e cesio proprio in un'ampia area a ridosso della provinciale cosiddetta del «Mito», strada di collegamento tra Andrano a Tricase, non troppo lontana dal cimitero e dall'ex discarica comunale di «Pilomaco», che a partire dal 2007 è stata «caratterizzata» prima e successivamente «bonificata»;
   più specificamente tracce di uranio e cesio sarebbero state individuate in tre punti differenti sui cinque terreni campionati, appartenenti ad altrettante proprietà diverse. Nello specifico, si apprende ancora da notizie di stampa, la società incaricata dal Ministero, «Gia Consulting» di Napoli, ha rilevato una radioattività pari a 0.8 microsievert/h, indice appena inferiore al limite 1.10 micorsievert/h previsto dalla normativa;
   in seguito a tali rilevazioni l'Agenzia regionale pugliese per la prevenzione e protezione dell'ambiente ha ulteriormente effettuato accertamenti, ritenendo viceversa che quei valori «sarebbero riconducibili alle stesse caratteristiche geomorfologiche del territorio interessato e alla presenza nella crosta terrestre di uranio». Ancora secondo l'Arpa, a quanto si apprende dalla stampa, «in questa porzione di territorio andranese, il cesio sarebbe invece del tutto assente». In ogni caso non ci sarebbero gli effetti prodotti da sorgenti radioattive usate nell'industria o nel settore ospedaliero come pure si poteva temere, essendo state scoperte nei mesi scorsi discariche abusive dove erano stati seppelliti rifiuti ospedalieri;
   il punto di vista espresso dall'Arpa non collima con il parere degli esperti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per i quali la concentrazione di uranio non è assoggettabile alla natura del terreno, mentre è evidente anche la presenza del cesio;
   va sottolineato, in questa sede, che il territorio di Andrano ricade nel parco costiero Otranto-Santa Maria di Leuca istituito dalla regione Puglia, zona di rilevantissimo pregio naturalistico e ambientale che mai e poi mai avrebbe dovuto subire l'oltraggio dell'interramento illegale di rifiuti tossici e pericolosi e che peraltro in quanto area parco è sottoposta a particolari vincoli;
   va ricordato inoltre che l'indagine predisposta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nell'ambito del programma sicurezza «Miapi», e che ha portato il Noe a sorvolare il territorio con elicotteri dotati di magnetometro e spettrometro metro gamma – ray, alla ricerca di fonti di radiazioni e di inquinamento del territorio si è resa necessaria in seguito alle dichiarazioni desecretate del pentito di mafia Carmine Schiavone del clan dei Casalesi relativamente al traffico di rifiuti illeciti gestito dalla camorra in Campania e nell'intero meridione in accordo con le mafie territoriali, e a quanto successivamente emerso anche grazie alle indagini della magistratura;
   la rilevazione spettrometrica, peraltro, non ha riguardato il solo comprensorio di Andrano dal momento che sono almeno tre gli altri siti leccesi da cui sono emerse anomalie, grazie ai sorvoli effettuati nell'ambito dello stesso programma, mentre un quarto è in provincia di Brindisi;
   l'interrogante evidenzia ancora come anche altre interrogazioni e atti parlamentari abbiano più e più volte sottolineato l'emergenza ambientale nel Salento e nella provincia di Brindisi, con il rischio correlato di una crescita esponenziale di patologie tumorali connesse all'esposizione agli inquinanti, come di recente riportato anche in una indagine dell'Istituto superiore di sanità dove emerge l'aumento di tumori al polmone soprattutto nella popolazione maschile del Salento orientale;
   a questo proposito vale rilevare che da quanto riportato in questi mesi sulla stampa circa le indagini in corso emergerebbe una preoccupante connivenza tra economia illegale ed economia legale, dal momento che anche nelle discariche autorizzate sarebbero stati «tombati» rifiuti nocivi o speciali –:
   quali iniziative i Ministri interrogati ritengano necessario intraprendere alla luce dei risultati dell'indagine ambientale promossa dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel Salento che avrebbe accertato la presenza di uranio e cesio; se, anche in relazione alla valutazione difforme emersa da parte di Arpa Puglia, non ritengano necessarie, per quanto di competenza, ulteriori indagini e verifiche;
   se non ritengano altresì prioritario e urgente predisporre una indagine epidemiologica per comprendere eventuali ricadute anche dal punto di vista clinico nelle popolazioni interessate;
   quali azioni di competenza intendano promuovere con l'obiettivo del disinquinamento ambientale nel territorio di Andrano e nelle altre zone dove sarebbe stato accertato l'interramento di rifiuti illegali e tossici. (5-04316)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PRODANI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   le alture di Montedoro sono colline che separano i comuni di Muggia e di San Dorligo della Valle, a qualche chilometro di distanza da Trieste, digradando dal confine con la Slovenia al mare Adriatico;
   nel sottosuolo le colline nascondono un sistema di depositi militari – realizzati nel 1941, legati prima alla seconda guerra mondiale e successivamente alla «guerra fredda» e infine utilizzati quali depositi per rifiuti industriali – che comprendono una ventina di cisterne da almeno 30 milioni di litri di combustibili, a cui si aggiungono gallerie blindate, condutture interrate e mimetizzate in superficie;
   secondo quanto denunciato dall'associazione Greenaction Transnational già nel 2011 — ripresa poi dal quotidiano Il Piccolo di Trieste del 22 maggio 2011 — queste infrastrutture militari ormai dismesse non sono state soggette a procedure di bonifica, circostanza che le renderebbe delle vere e proprie «bombe ambientali»;
   come riportato da prove documentali video di Greenaction Transnational, i siti — di cui nessuno vanta la proprietà — non sono stati messi in sicurezza e l'assenza di manutenzione ne evidenzia la pericolosità: i pozzetti e le gallerie sono facilmente accessibili, emergono tubature e strutture dal terreno e da alcuni pozzetti continuano a fuoriuscire vapori da idrocarburi;
   i rischi per le persone, le cose e l'ambiente sembrano essere gravissimi in caso di incendio o di esplosione dei carburanti ancora presenti. Inoltre, in questa zona, ora classificata come agricola, è presente nel sottosuolo una parte dell'acquedotto comunale di Muggia (Trieste), circostanza che rende ancora più evidente la necessità di procedere a una bonifica –:
   quali e quante siano nello specifico le strutture militari sotterranee dismesse, da mettere in sicurezza e bonificare, presenti nelle colline del Montedoro;
   se i Ministri interrogati, in necessario raccordo con gli enti locali, intendano promuovere un monitoraggio delle cisterne interrate a Montedoro e delle altre infrastrutture militari dismesse, attivandosi per favorire, nel minor tempo possibile, e per quanto di competenza, le necessarie bonifiche. (5-04303)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   CAUSI, GINATO e PETRINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'ultimo Rapporto sulla stabilità finanziaria della Banca d'Italia, risultano in aumento i rischi per la stabilità finanziaria derivanti dalla debole crescita e dalla bassa inflazione;
   l'incertezza sulle prospettive economiche condizionerebbe ancora la ripresa del credito alle imprese;
   nella prima metà del 2014 il flusso di nuovi prestiti deteriorati, in rapporto ai crediti in bonis, è ulteriormente diminuito; il calo ha riguardato anche le nuove sofferenze, soprattutto quelle relative ai finanziamenti alle imprese;
   il tasso di ingresso in sofferenza, un indice della capacità delle aziende di ripagare i prestiti bancari, è ancora alto, ma si è ridotto di 0,7 punti percentuali dal picco del 4,8 raggiunto nel settembre 2013: la riduzione tuttavia non ha interessato le imprese di minore dimensione;
   l'aumento registrato del tasso di copertura dei prestiti deteriorati (il rapporto tra le rettifiche e l'ammontare lordo delle esposizioni deteriorate) potrebbe favorire la cessione e la cancellazione dei prestiti in sofferenza dai bilanci delle banche e alcuni tra i principali gruppi bancari hanno avviato operazioni che dovrebbero condurre allo smobilizzo di prestiti deteriorati per importi rilevanti; la stessa Banca d'Italia ritiene tuttavia che la consistenza di tali crediti rimane elevata nel confronto internazionale;
   il 26 ottobre 2014 sono stati diffusi i risultati dell'esercizio di valutazione approfondita (comprehensive assessment) dei bilanci delle principali banche dell'area dell'euro, condotto dalla Banca centrale europea, propedeutico all'avvio del meccanismo di vigilanza unico (MVU) avvenuto il 4 novembre; il comprehensive assessment è consistito in una revisione della qualità degli attivi (asset quality review, AQR) e in uno stress test per la valutazione di uno scenario macroeconomico di base e di uno avverso;
   gli aggiustamenti di valore degli attivi per 12 miliardi di euro, attraverso aumenti di capitale effettuati tra gennaio e settembre 2014, hanno permesso a tutte le banche italiane di superare l'esercizio di valutazione AQR;
   lo stress test invece mostra potenziali esigenze di capitale per un valore complessivo di 3,3 miliardi di euro che tuttavia si riducono a 2,9 miliardi (lo 0,2 per cento del prodotto interno lordo) se si tiene conto delle misure di rafforzamento decise nel corso dell'anno (prevalentemente cessioni straordinarie di attivi, completamento di procedure di autorizzazione all'utilizzo di modelli interni, rimozione di requisiti patrimoniali specifici);
   nel complesso, la consistenza delle partite deteriorate a fine 2013 secondo i nuovi criteri dell'AQR aumenterebbe del 18,3 per cento per le banche dell'meccanismo di vigilanza unico, contro il 9,6 per le banche italiane (pari a 217 miliardi di euro secondo la nuova definizione AQR ce tiene conto della definizione armonizzata e dell'analisi degli attivi);
   secondo la Banca d'Italia i dati confermerebbero la complessiva tenuta del sistema bancario italiano, nonostante le forti tensioni a cui è stato sottoposto negli ultimi anni;
   l'incremento dei crediti in sofferenza delle banche, comportando la svalutazione in bilancio secondo le nuove regole europee, costringerebbe gli istituti a concedere nuovi impieghi solo ai clienti, famiglie e imprese, considerati meno rischiosi;
   in un recente intervento la direttrice del Fondo monetario internazionale, Lagarde, ha dichiarato che attualmente il sistema finanziario italiano è onerato dai prestiti inesigibili e limitato nella sua capacità di offrire credito; viene pertanto auspicato per l'Italia, insieme alla riforma del mercato del lavoro e alla riforma giudiziaria, l'approvazione della riforma del sistema bancario per renderlo più forte nel sostenere la ripresa soprattutto nel settore delle piccole e medie imprese, riportando il rapporto dei crediti inesigibili ai livelli pre-crisi;
   la Spagna e l'Irlanda hanno sperimentato l'ipotesi della cosiddetta «bad bank» costituendo una società con lo scopo di acquistare, a prezzi ridotti, ampi portafogli di crediti in sofferenza dagli istituti per recuperarne il maggior numero possibile con strumenti e professionalità ad hoc;
   l'ipotesi avanzata da più parti di costituire un fondo dove far confluire i crediti in sofferenza, seppure da valutare nella sua compatibilità con l'ordinamento europeo e nella sua relazione con le azioni già intraprese dalle banche italiane, potrebbe migliorare le condizioni di accesso al credito, con riflessi sul costo del capitale e sugli investimenti delle imprese –:
   alla luce delle dichiarazioni della direttrice del Fondo monetario internazionale quale sia l'orientamento sull'ipotesi della costituzione di uno strumento per la gestione dei crediti in sofferenza del settore bancario e quali iniziative intenda intraprendere, per quanto di propria competenza, al fine di incrementare i tassi di cancellazione dei debiti dai bilanci bancari con l'obiettivo di riportare il rapporto dei crediti inesigibili ai livelli pre-crisi e di fornire idonea liquidità all'economia necessaria per finanziare gli investimenti e la crescita. (5-04304)


   GEBHARD. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia e la Germania hanno regolato i loro rapporti fiscali con la Convenzione per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e prevenire le evasioni fiscali, siglata con Protocollo a Bonn il 18 ottobre 1989;
   il Protocollo è stato poi ratificato dall'Italia con la legge 24 novembre 1992, n. 459 e la convenzione è infine entrata in vigore il 26 dicembre 1992;
   la ratifica da parte dell'Italia di tale Protocollo ha disciplinato il regime dell'imponibilità dei redditi per i cittadini residenti nei Paesi contraenti, con riguardo al reddito complessivo, sul patrimonio o su elementi del reddito o del patrimonio, comprese le imposte sugli utili derivanti dall'alienazione di beni mobili o immobili, le imposte sull'ammontare complessivo dei salari pagati dalle imprese, nonché le imposte sui plusvalori;
   l'articolo 17 regola, nello specifico, l'imponibilità per gli artisti e gli sportivi e il paragrafo 2 stabilisce che i redditi derivanti dalle prestazioni di un artista dello spettacolo o di uno sportivo, attribuiti a persona diversa dall'artista/sportivo, come può essere ad esempio un'agenzia dello spettacolo, sono imponibili nello Stato in cui le prestazioni vengono rese, nonostante gli articoli 7, 14 e 15 della stessa convenzione;
   l'articolo 7 disciplina l'imponibilità degli utili dell'impresa nello Stato dove risiede l'impresa, altrimenti, in caso di più sedi, prevede il criterio della stabile organizzazione; l'articolo 14 riguarda i professionisti indipendenti, stabilendo l'imponibilità dei redditi nello Stato in cui il libero professionista svolge l'attività; l'articolo 15 riguarda i redditi imponibili del lavoro subordinato sempre secondo il criterio di dove è stata prestata l'attività per cui viene pagato il corrispettivo;
   sembra invece aperta la questione relativa alla trattenuta da effettuare in Italia ad un artista tedesco, nel caso in cui il suo compenso venga liquidato ad un'agenzia dello spettacolo, sempre tedesca, che rappresenta più artisti, tramite la quale l'artista ha prestato la propria attività in Italia, la quale però emette una fattura complessiva dalla quale non è immediatamente tracciabile l'onorario del singolo artista –:
   se il compenso pagato ad un artista dello spettacolo per il tramite di un'agenzia, ai sensi dell'articolo 17, paragrafo 2, della Convenzione tra Italia e Germania per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e prevenire le evasioni fiscali, sia soggetto alla trattenuta del 30 per cento, ai sensi dell'articolo 24, comma 1-ter, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, anche se l'onorario chiesto non è direttamente riconducibile a un artista specifico. (5-04305)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 1o dicembre 2014 è scaduto il termine per la trasmissione telematica della dichiarazione IMU relativa agli anni 2012 e 2013 degli enti non commerciali;
   la disciplina dell'ICI prima, e dell'IMU poi, ha subito negli anni radicali mutamenti con riferimento alla questione della «irrilevanza-rilevanza» delle modalità con cui sono svolte le attività meritevoli di esenzione; da ultimo, l'articolo 91-bis, comma 3, del decreto-legge n. 1 del 2012, ha demandato ad un decreto ministeriale la definizione dei requisiti generali e di settore atti a delimitare i confini dell'esercizio delle attività con «modalità non commerciali»;
   in data 19 novembre 2012 il Ministero dell'economia e delle finanze ha adottato il decreto ministeriale n. 200, con il quale sono state definite le condizioni necessarie affinché un'attività possa dirsi svolta con «modalità non commerciali»; in particolare tale decreto stabilisce: a) requisiti di carattere generale, da verificare in capo all'ente non commerciale ed afferenti le previsioni del suo atto costitutivo o statuto (articolo 3); b) requisiti particolari, differenziati in funzione della tipologia di attività non profit svolta dall'ente (articolo 4); c) specifici parametri in caso di immobili a destinazione mista, non commerciale/commerciale (articolo 5);
   tuttavia neppure il suddetto decreto ministeriale ha risolto tutti gli interrogativi in merito alle «modalità non commerciali»; gli ultimi chiarimenti in materia sono arrivati con le istruzioni per la compilazione della dichiarazione IMU-TASI (decreto ministeriale del 26 giugno 2014), la cui redazione ha considerato anche i principi fissati dalla decisione della Commissione europea del 19 dicembre 2012, SA.20829 e che ha chiuso l'annoso contenzioso relativo all'ICI;
   con successivo decreto del direttore generale delle finanze del 4 agosto 2014 sono state approvate le modalità di trasmissione telematica della predetta dichiarazione da presentarsi entro il 30 settembre 2014, termine successivamente prorogato al 1o dicembre 2014;
   con riferimento agli immobili di proprietà della Chiesa nulla è cambiato nel passaggio dal regime Imu a quello della Tasi: la nuova disciplina vigente conferma che le esenzioni sui fabbricati esclusivamente destinati all'esercizio del culto si applicano alle sole parti dell'immobile che vengono utilizzate per lo svolgimento delle attività meritevoli, con modalità non commerciali, e replicando di fatto il perimetro di applicazione sia dell'Ici che dell'Imu;
   l'applicazione del nuovo regime, che prevede una dichiarazione vincolata alle suddette direttive stabilite dal Ministro dell'economia e delle finanze circa l'individuazione del rapporto proporzionale tra attività commerciali e non commerciali esercitate all'interno di uno stesso immobile, determinerà effetti positivi sul gettito, anche alla luce del più efficace contrasto di fenomeni elusivi che ne potrebbero derivare;
   il Governo fino ad oggi ha preferito non fare stime sul gettito atteso e, rispondendo allo stesso interrogante in occasione dello svolgimento, il 6 agosto 2014, di una precedente interrogazione a risposta immediata con la quale si chiedeva di conoscere, con riferimento ai fabbricati della Chiesa destinati ad utilizzazione mista, il gettito IMU atteso per gli anni 2013 e 2014, si è limitato a precisare che lo stesso sarebbe stato accertato a consuntivo e che i relativi dati disponibili non consentivano di effettuare una stima puntuale, la quale, viceversa, poteva essere effettuata solo una volta acquisiti i dati delle dichiarazioni IMU che gli enti non commerciali avrebbero dovuto presentare in via telematica entro il 1o dicembre 2014 –:
   a fronte della ritrovata chiarezza normativa e stante la natura telematica dell'invio delle dichiarazioni che consente un'elaborazione dei dati in tempo reale, quante siano, limitatamente ai soggetti cui competeva la dichiarazione di cui al suddetto decreto ministeriale del 26 giugno 2014, le autodichiarazioni presentate e per quale importo, con particolare riferimento alla localizzazione territoriale ed al tipo di attività commerciale coinvolta. (5-04306)


   CANCELLERI e PESCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Direttore generale delle finanze n. 15921 del 22 ottobre 2013, considerata la totale applicabilità dell'articolo 35, comma 1, del decreto legislativo n. 545 del 1992 per quanto concerne le attribuzioni a tempo determinato degli incarichi di direzione delle segreterie delle commissioni tributarie, all'articolo 1, comma 2, stabilisce che gli incarichi «sono conferiti con atto scritto e motivato», previo avvio di procedura di indagine conoscitiva «rivolta al personale individuato nell'articolo 35, comma 1, del decreto legislativo n. 545 del 1992» tenendo conto dell'ampiezza delle conoscenze specialistiche, delle capacità tecnico-professionali e delle competenze organizzative, anche in funzione della complessità dell'incarico da attribuire;
   l'articolo 1 precisa, altresì, che «i criteri per la valutazione sono determinati nel rispetto dei princìpi di efficienza, trasparenza e oggettività, tenendo conto dei risultati conseguiti e delle competenze dimostrate nello svolgimento delle attività dell'ufficio di segreteria»;
   l'articolo 35, comma 1, del decreto legislativo n. 545 del 1992, che riguarda le attribuzioni del personale di segreteria delle commissioni tributarie, indica le qualifiche professionali giuridiche da possedere per l'attribuzione dell'incarico di direttore di segreteria (area III — fasce retributive F3, F4, F5) corrispondenti alla vecchia nomenclatura di VIII e IX qualifica funzionale;
   tutti gli interpelli banditi negli anni che decorrono dal 2001 al dicembre 2013, formulati dai vari dirigenti generali pro tempore, sono stati indirizzati sempre a funzionari di area III — F3/F4/F5 tra i quali individuare quello cui assegnare l'incarico di direttore di segreteria di commissione tributaria;
   la contrattazione decentrata di Ministero, tendente a definire un «Profilo Unico Di Area III», come previsto dalla CCNL dei ministeriali, è, fino alla data attuale, mancata e la norma finale dello stesso contratto nazionale di lavoro (tuttora vigente) ha inibito ed inibisce l'utilizzo del concetto di flessibilità di area fino a quando non verranno definiti i profili unici di area;
   il ruolo unico del personale del Ministero dell'economia e delle finanze, aggiornato al 1o gennaio 2014, testimonia la permanenza dei vecchi profili professionali ancora alla data odierna, e pertanto il personale inserito nell'Area III (ma anche II) si differenzia per fasce economiche e per profili professionali equivalenti anche a posizioni giuridiche con differenti declaratorie: collaboratore tributario (F1 — FII) — funzionario tributario (F3) — direttore tributario (F4-F5);
   la procedura di interpello della Direzione della giustizia tributaria prot. n. 6899 del 6 maggio 2014 non appare rispondere a nessuno dei requisiti sopra descritti (decreto del Direttore generale delle finanze e di flessibilità dentro l'area funzionale III);
   non appare agli interroganti legittimo indirizzare l'interpello per direttori di segreterie di commissioni a tutto il personale dell'area funzionale III, nella fondamentale valutazione della presenza nella stessa area di profili diversi e gerarchicamente sottesi (collaboratore (F1-F2) — funzionario (F3) — direttore (F4-F5)) –:
   se intenda assumere iniziative per la sospensione immediata degli incarichi a direttore di segreterie di commissioni tributarie, attualmente in essere, e per la revisione della procedura di interpello mediante formulazione di un nuovo bando. (5-04307)


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i buoni fruttiferi postali a termine (BFP), emessi da Cassa depositi e prestiti e collocati in esclusiva da Poste Italiane, sono stati massicciamente usati come strumento di raccolta, soprattutto durante gli anni ’80, in virtù dell'assoluta affidabilità pubblicizzata in quegli anni dai Ministeri delle poste e del tesoro, che presentavano i BFP come titoli in grado di offrire rendimenti certi e differenziati a seconda della durata dell'investimento;
   negli ultimi mesi, però, molti cittadini titolari di BFP si sono recati presso gli uffici postali per riscuotere le somme spettanti, ma si sono visti negare il pagamento dell'importo che sarebbe stato loro dovuto secondo le condizioni sottoscritte all'atto dell'acquisto dei BFP e riportate sui titoli in loro possesso;
   con il decreto ministeriale del 13 giugno 1986, n. 148, cosiddetto decreto «Gava Goria» — lo Stato italiano ha, infatti, retroattivamente e considerevolmente decurtato (dal 20 per cento a più del 50 per cento) i tassi d'interesse dei BFP emessi negli anni precedenti, pubblicando poi il decreto nella Gazzetta Ufficiale, ma senza fornire alcuna comunicazione personale e tempestiva ai cittadini sottoscrittori, così impossibilitati a esercitare efficacemente e consapevolmente il diritto di recesso;
   tenuto conto che le abnormi dimensioni della decurtazione retroattiva operata nel 1986 sul rendimento dei BFP sono state tali da alterare in maniera sostanziale i termini del rapporto contrattuale tra l'Ente emittente e i cittadini sottoscrittori, la Corte costituzionale italiana, con sentenza n. 463 del 1997, ha ritenuto che l'emissione di BFP, nei suoi aspetti generali, presenta connotazioni contrattuali analoghe ai servizi resi sul mercato delle imprese bancarie;
   in risposta ad un'interrogazione, la Commissione europea ha rilevato come il decreto del Ministro del tesoro del 13 giugno 1986 abbia modificato sia il saggio d'interesse sia l'imposta corrispondente applicabili alle serie O e P dei BFP e che questa duplice modifica spieghi «perché non sia più valido l'esatto importo di liquidazione indicato nella tabella sul retro dei BFP in questione (espresso in funzione dell'imposta applicabile alla data di emissione del Buono)»;
   la Commissione ha poi rilevato come le modifiche siano state adottate a norma dell'articolo 173 del codice postale (decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156), che aveva all'epoca previsto la possibilità di estendere le variazioni dei saggi d'interesse sui BFP «ad una o più delle precedenti serie» e che «la riduzione in questione non si configurerebbe come conseguenza di una modifica dei termini e condizioni dei BFP, bensì come elemento di diritto che acquista per principio efficacia alla pubblicazione senza dover essere comunicato singolarmente»;
   inoltre, in risposta ad una seconda interrogazione, la Commissione ha affermato che i buoni fruttiferi in questione «sembrano presentare caratteristiche particolari e risalire agli anni Ottanta del secolo scorso, precedendo quindi di parecchi anni la normativa europea in materia di servizi finanziari per quanto riguarda questo tipo di strumenti finanziari» e che, essendo stato ciò oggetto di una sentenza della Corte costituzionale italiana, la Commissione «non è in grado di pronunciarsi sulla compatibilità del decreto con la normativa dell'Unione vigente all'epoca» –:
   se nell'ambito delle proprie competenze, non ritenga opportuno regolare una simile situazione di incertezza e ingiustizia normativa, tenendo conto di come la modifica retroattiva dei tassi di interesse dei BPF senza una contestuale comunicazione personale, tempestiva e circostanziata ai sottoscrittori, tra l'altro dovuta secondo la legislazione comunitaria allora vigente, rappresenti una violazione degli obblighi informativi e di trasparenza cui sono tenuti i soggetti imprenditoriali che operano nel mercato europeo del risparmio e dei prodotti finanziari, considerando anche che il sottoscrittore in tal caso è chiaramente da identificarsi quale contraente debole del rapporto contrattuale.
(5-04308)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   tra le spese deducibili o detraibili dai contribuenti vi sono molte voci, a giudizio del legislatore, meritevoli di tutela, dalle spese veterinarie a quelle per la ristrutturazione dei beni immobili;
   anche le erogazioni liberali ai partiti ed ai movimenti politici rientrano tra quelle deducibili;
   una delle poche voci assenti dall'elenco è quella dell'acquisto dell'autovettura. Quello delle automobili è un mercato in profonda crisi, il cui ultimo «aiuto» risale al lontano 2007: l'incentivo alla rottamazione;
   il perdurare del periodo di crisi economica, per molti versi strutturale, unito alla totale mancanza di incentivi all'acquisto ha avuto come conseguenza diretta un vero e proprio «massacro» del mercato delle vendite automobilistiche;
   i costruttori esteri, come riporta la stampa di settore, hanno avanzato la proposta della detraibilità del 10 per cento del costo dell'auto fino ad un massimo di 2 mila euro in quattro anni a fronte dell'acquisto di una vettura nuova con emissioni fino a 120 grammi di CO2 e la contestuale rottamazione di un mezzo «Euro 0/1/2»;
   questo incentivo, oltre che andare incontro agli operatori del settore e risollevare il mercato automobilistico, avrebbe l'indubbio e duplice vantaggio di diminuire l'emissione di agenti inquinanti nell'atmosfera e di togliere dalla circolazione vetture obsolete e pericolose ai fini della sicurezza stradale –:
   quali iniziative, anche di natura normativa, intenda adottare il Ministro interrogato per pervenire ad una detrazione fiscale come esposta in premessa.
(4-07306)


   CRIMÌ. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   i professionisti che lavorano con enti pubblici ancora oggi, nonostante gli interventi del Governo, continuano a ricevere 1 compensi per le prestazioni effettuate, dopo circa un anno dalla presentazione della fattura, nei casi più fortunati;
   questo sistema di pagamento è ormai diventato regola, o abitudine, e associato alla crisi economica e alla drastica riduzione di incarichi, sta decimando le categorie professionali, soprattutto quelle tecniche;
   il ritardo dei pagamenti delle fatture, il più delle volte, non è dovuto a difficoltà economiche degli enti committenti, ma ad iter burocratici interni agli enti stessi e alle inerzie del personale e dei dirigenti responsabili;
   a causa del grave ritardo nei pagamenti, i professionisti, per sopravvivere, sono costretti a loro volta a ritardare i pagamenti dei loro debiti, riversando parzialmente anche su altre categorie di lavoratori gli effetti negativi dei mancati introiti;
   puntualmente però ai professionisti arrivano le cartelle esattoriali o quelle degli enti di previdenza che devono essere pagate rigorosamente entro i termini prefissati pena il pagamento di sanzioni ed interessi elevati, ed il blocco dei pagamenti delle fatture in assenza di regolarità contributiva –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per:
    a) tutelare chi lavora per gli enti pubblici, in quanto svolge un'opera professionale utile alla collettività, opera che il personale dipendente dell'ente committente non è in grado di svolgere per mancanza della necessaria competenza o per sottodimensionamento dell'organico;
    b) stabilire la perentorietà del termine di sessanta giorni per il pagamento delle fatture presentate;
    c) sanzionare, nel caso di ritardo, l'ente committente con il pagamento di penali ed interessi, rivalendosi obbligatoriamente sui dirigenti responsabili.
(4-07309)


   PAOLO NICOLÒ ROMANO, SPESSOTTO e DE LORENZIS. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 novembre 2014 il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Asti, Alberto Giannone, ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo e della contestuale motivazione, la sentenza di condanna nei confronti di Pierino Santoro, l'ex direttore dell'Agenzia territoriale per la casa di Asti (ATC), reo confesso per aver sottratto indebitamente al suddetto Ente somme di denaro per quasi nove milioni di euro;
   a seguito della vicenda giudiziaria l'ATC ha avviato un'approfondita indagine interna volta a ricostruire l'intera movimentazione delle somme di denaro sui conti correnti pregressi e la portata reale degli ammanchi che potrebbero essere superiori ai già quantificati nove milioni di euro. Durante il riesame delle scritture contabili è emerso che il Santoro ha emesso ripetutamente assegni circolari del conto corrente postale dell'ATC presso l'Agenzia delle Poste di Asti, sita in via Buozzi 47, intestandoli, cosa alquanto anomala, direttamente a Poste Italiane s.p.a. senza che sussistesse alcun titolo giuridico che giustificasse tale dazione;
   al fine di consentire ogni utile chiarimento e in virtù di un procedimento penale ancora in itinere, l'Ente delle case popolari di Asti inoltrava il 22 maggio 2014, alla suddetta agenzia postale di Asti, formale richiesta di accesso agli atti (lettera prot. n. 2106/02) per ottenere urgentemente «copia della documentazione in possesso di codesta Società, afferente gli atti e le lettere che erano stati formalizzati in occasione della stipulazione della convenzione» tra lo stesso Ente territoriale e Poste Italiane s.p.a. per il servizio di apertura di c/c postale, poiché tale apertura non è mai stata deliberata, dagli organi decisionali dell'ATC ma sarebbe frutto di una falsificazione di atti pubblici perpetuata dal Santoro nella sua direzione dell'Ente;
   dopo quattro mesi dalla prima formale richiesta, il direttore generale f.f. di ATC, avvocato Alessandro Lovera, si è visto costretto a reiterare il 17 settembre 2014 (lettera prot. n. 3888/02) la surricordata richiesta di copia della deliberazione dell'ATC di Asti n. 23 del 29 maggio 2009, con la quale si disponeva l'apertura del conto corrente postale, che, in realtà, non risulta mai stata assunta dall'Ente. Inoltre, si chiedeva di conoscere anche la causa e i destinatari degli anomali trasferimenti di denaro dalla stessa ATC a Poste Italiane s.p.a. Denaro attinto direttamente dal conto dell'Ente e trasferito a Poste Italiane s.p.a., mentre dalle scritture contabili dell'ATC di Asti non si evince alcuna ragione giuridica in merito a tali trasferimenti. Nell'arco di un solo anno, tra il 2010 e il 2011 e in date eccessivamente ravvicinate, anche di pochi giorni, sono stati effettuati ben nove trasferimenti di importi che vanno da un minimo di 24.750 euro ad un massimo di 33.759 euro. Non è dato sapere a chi sono state destinate queste somme di denaro e per quali ragioni e questo per il comportamento per niente collaborativo dell'agenzia postale di Asti;
   a detta dell'interrogante è incomprensibile che tali richieste di documentazione, necessarie per integrare la denuncia di falso in atto pubblico a carico del dottor Santoro, fossero, pur con vari solleciti, così apertamente inevase da una società, tra l'altro, a totale controllo pubblico ed erogatore di un servizio «universale». Le richieste di accesso agli atti sono state inviate dall'ATC, parte offesa nel procedimento contro il suo ex direttore Pierino Santoro, quando ancora era in itinere l'inchiesta. Non è infatti da escludere che la tempestiva trasmissione, da parte dell'agenzia postale di Asti, di tale documentazione avrebbe potuto determinate un diverso esito del procedimento giudiziario contribuendo ad un miglior inquadramento dei fatti illeciti compiuti dal Pierino Santoro. Esito giudiziario che viceversa ha rappresentato l'ennesima beffa ai danni dello Stato e dei cittadini onesti del Paese, in quanto, a fronte di nove milioni di euro rubati, il reo confesso ne ha restituiti solo 800.000 euro e con una condanna di quattro anni e due mesi rischia di non scontare nemmeno un giorno di reclusione –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti di cui in premessa e se non ritengano opportuno intervenire, per quanto di competenza, per fare luce sulle ragioni della mancata trasmissione, da parte di Poste Italiane s.p.a., della documentazione richiesta dall'Agenzia territoriale di Asti, parte offesa nel procedimento contro il suo ex direttore generale Pierino Santoro. (4-07315)


   ROTTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa riportate in vari organismi di informazione (Lettera 43, Il Giornale del 7 novembre 2014) l'interrogante apprende che la società produttrice del noto prodotto Smart Box, consistente in buoni regalo a prezzi vantaggiosi di cene, soggiorni alberghieri e altre tipologie di servizi per il tempo libero, sarebbe sotto indagine da parte della Guardia di finanza di Milano per delle gravi violazioni fiscali;
   secondo quanto riportato dai suddetti organi di informazione: «la Guardia di Finanza ha messo nel mirino l'operato della Smart&Co srl (ex Kivali Italia srl), terminale italiano di un gruppo che ha importanti ramificazioni internazionali. L'azienda con sedi a Roma e Milano è infatti controllata dalla francese Smart&Co sarl e consociata della Smartbox Experiences Ltd, società di diritto irlandese controllata per il 99 per cento dall'irlandese Weekendesk e per l'1 per cento dall'olandese Smart&Co Nv. La contestazione delle Fiamme Gialle (che dovrà essere confermata o meno dall'Agenzia delle Entrate) riguarderebbe circa 105 milioni di ricavi non dichiarati (tra valore dei pacchetti Smartbox venduti e commissioni percepite) e oltre 12 milioni di Iva dovuta e non pagata tra il 2009 e il 2013. Un valore che, stando agli investigatori, sarebbe stato calcolato per difetto data l'impossibilità di trovare il dettaglio di tutti i fatturati della compagnia. Quindi la cifra potrebbe essere anche più elevata»;
   in particolare, la Guardia di finanza contesterebbe una «stabile organizzazione occulta» nel rapporto tra la società italiana e la casa madre irlandese: la Smartbox Experience Ltd. In sintesi la società italiana non si sarebbe limitata alla semplice fornitura di servizi ausiliari ma avrebbe svolto tutte le attività commerciali poi fiscalmente imputate alla casa madre irlandese, che gode in ragione del suo domicilio fiscale di condizioni più favorevoli rispetto alle società italiane –:
   vista la portata della maxi-evasione che sarebbe stata contestata e al fine di garantire tanto il diritto all'informazione degli utenti quanto degli operatori presenti nel mercato, pur nella riservatezza del procedimento in corso e con le dovute garanzie del caso, se la notizia – smentita dalla società – trovi conferma e di quali informazioni il Governo disponga in merito. (4-07322)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 novembre 2014 il dirigente sindacale nazionale dell'U.G.L. Polizia Penitenziaria, Salvatore Argiolas, trasmetteva una nota sindacale indirizzata al vice capo dell'amministrazione penitenziaria, al direttore generale del personale e della formazione del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, al provveditorato regionale della Sardegna e alla casa circondariale di Cagliari, contenente urgenti richieste di notizie in merito all'apertura del nuovo istituto penitenziario di Cagliari-Uta, in particolare rivolte a conoscere l'esistenza o meno di tutte le certificazioni ed i collaudi necessari, motivando la richiesta sulla base delle prerogative sindacali per la legittima tutela del personale di polizia penitenziaria;
   in pari data lo stesso sindacalista trasmetteva ulteriore comunicazione sindacale indirizzata al direttore dell'ufficio III del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ed al provveditorato regionale della Sardegna con richiesta di notizie in merito all'organico del reparto di polizia penitenziaria in servizio presso la casa circondariale di Oristano-Massama, alla luce dei gravi episodi verificatisi in tale sede;
   a quanto consta all'interrogante a tutt'oggi alcuna nota di riscontro è giunta al dirigente sindacale, nonostante la normativa vigente che impone alla pubblica amministrazione l'obbligo di riscontro entro trenta giorni;
   gli accordi sindacali in vigore nella regione Sardegna tra l'amministrazione penitenziaria e le organizzazioni sindacali fissano in 10 (dieci) giorni il termine ultimo per il giusto riscontro alle richieste di parte sindacale;
   tale modus operandi del provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria della Sardegna, Gianfranco De Gesu, conferma, secondo l'interrogante, la scarsa attitudine dello stesso al mantenimento di una necessaria ed utile dialettica con i rappresentanti dei lavoratori della polizia penitenziaria;
   stante l'importanza delle informazioni richieste, specie in materia di tutela della salute dei lavoratori, che tante preoccupazioni stanno insinuando tra gli operatori di polizia penitenziaria in servizio presso l'istituto penitenziario di Cagliari-Uta e ulteriormente fomentati dal mancato riscontro da parte dell'amministrazione penitenziaria alle informazioni richieste;
   a tutto ciò si aggiunge un provvedimento inaccettabile sia sul piano giuridico che sostanziale con cui il provveditore regionale sulle carceri ha disposto una sorta di segreto sui certificati di agibilità e sicurezza del nuovo carcere di Uta e ha vietato alla Asl 8 e ai vigili del fuoco di dare notizie in merito –:
   se non ritenga il Ministro interrogato di dover intervenire presso gli uffici responsabili per garantire il puntuale rispetto della normativa vigente al fine di garantire l'efficienza, l'imparzialità e la necessaria trasparenza da parte di tutti gli uffici della pubblica amministrazione;
   se non ritenga in particolare di dover intervenire per garantire nella regione Sardegna un Provveditore regionale più incline alla tenuta dei rapporti sindacali con i rappresentanti dei lavoratori della polizia penitenziaria e maggiormente rispettoso degli stessi accordi di natura sindacale dallo stesso Dirigente sottoscritti. (5-04317)

Interrogazione a risposta scritta:


   NESCI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 30 maggio 2010 moriva il signor Nicola Guarna nella sala raggi dell'ospedale di Vibo Valentia, dopo essere stato sei ore tra il Pronto soccorso di Serra San Bruno (Vibo Valentia), con dolori al petto, e quello di del capoluogo dove, infine, spirò per l'aggravamento del quadro clinico;
   secondo la ricostruzione fatta dalla moglie, Concetta Ceniti, intorno alle ore 20 Guarna cominciò ad avvertire forti dolori addominali per i quali decise di contattare immediatamente la guardia medica di turno che, dopo un'attenta visita, chiamò a sua volta il 119. «In quel momento, però — si legge su Calabria Ora del 30 novembre 2012 — una sola ambulanza è disponibile e il consiglio che viene impartito è quello di temporeggiare, sperando in un naturale miglioramento del paziente e di valutare la possibilità di trasportare autonomamente l'uomo presso l'ospedale di Serra. L'anziana moglie dell'uomo è costretta a rivolgersi ad un parente, il quale, però, constata l'impossibilità dell'operazione, visto lo stato di estrema sofferenza in cui versa Guarna. Il tempo passa implacabile. Sono trascorse quasi due ore quando da Serra arriva un'ambulanza. Vengono così adottate le misure del caso e il ricovero per il povero Guarna pare d'obbligo. Il tempo corre veloce. Altra telefonata al 118, da parte del medico, per sapere se sia disponibile un posto letto. Il 118 dice di no. Si opta per Serra, ma il medico [...] avverte che lì potrebbero esserci difficoltà per effettuare un'ecografia. Sono le 23,30 circa, quando Guarna giunge nel nosocomio serrese. Gli accertamenti non bastano. Si ritiene serva un'ecografia più approfondita che solo a Vibo può essere effettuata. Si parte per lo “Jazzolino”, per giungervi a notte fonda. Dopo i controlli del caso, si definiscono “accettabili” le condizioni del paziente e si stabilisce il suo ricovero a Serra». Poco dopo, però, appresero che le condizioni di Guarna si erano aggravate e si era reso necessario il suo ricovero nel reparto di rianimazione che, alla fine, si dimostrò inutile;
   immediatamente si pensò che quelle ore di attesa furono determinanti per la morte del signor Guarna, tanto che la procura di Vibo Valentia aprì immediatamente un fascicolo che, due anni dopo, ha portato al rinvio a giudizio di sei persone, tra medici e sanitari dell'Azienda sanitaria provinciale vibonese, dato che gli operatori avrebbero «anteposto le esigenze gestionali a quelle si tutela della salute del paziente» così «determinando i ritardi per la corretta ospedalizzazione»;
   a quattro anni e mezzo da quel tragico episodio e a due dal rinvio a giudizio, però, non è stata ancora aperta l'istruttoria dibattimentale ma vi è stata soltanto la costituzione delle parti;
   secondo quanto ricostruito dal giornalista Gianluca Prestia su «Il Quotidiano della Calabria» del 16 dicembre 2014, «ieri (15 dicembre, nda), poi, l'ennesimo rinvio che ha fatto sbottare i familiari e l'avvocato di parte civile, Antonio Maio: Il giudice Cirianni è, infatti, un “got” (giudice onorario di tribunale che ha competenza in materia civile e penale in tutti i casi in cui la competenza è monocratica, salvo per i reati, come in questo caso, per i quali è prevista l'udienza preliminare), quindi non titolato a celebrare udienze di omicidio colposo»;
   è questo l'ennesimo rinvio dato che la precedente udienza del 16 maggio 2014 si concluse con un'analoga sospensione, questa volta per l'incompatibilità del magistrato che aveva rinviato appunto al 15 dicembre 2014 la trattazione del procedimento penale che, ora, è stato prontamente sospesa e aggiornata al 12 febbraio del prossimo anno;
   è gravissimo, a parere dell'interrogante, che ad oltre quattro anni e mezzo dalla morte del signor Guarna il processo in aula non sia, di fatto, mai stato aperto;
   a parere dell'interrogante, poi, le lungaggini del procedimento rischiano di compromettere l'effettiva giustizia sul caso, in considerazione del fatto che nel 2018, come si legge sui quotidiani locali, scatterebbe la prescrizione per il reato contestato agli imputati;
   il sistematico rinvio di processi, anche se profondamente delicati come nel caso Guarna, è un pesante vulnus che caratterizza il tribunale di Vibo Valentia. L'interrogante ha già rivolto due interrogazioni (la n. 4-02728 e la n. 5-03778) in cui si denunciavano i continui rinvii riguardanti il procedimento penale denominato Poison, che vede imputate 12 persone accusate d'aver concorso, sia fra loro che singolarmente, a provocare un gravissimo disastro ambientale di circa 127 mila tonnellate di rifiuti tossici e pericolosi, provenienti quasi per intero dalla centrale termoelettrica di Brindisi e poi finiti illegalmente, dal maggio del 2000 a settembre 2007, nella discarica degli impianti della «Fornace tranquilla srl» a San Calogero (Vibo Valentia) –:
   se siano a conoscenza dei fatti qui riassunti;
   quali iniziative di competenza il Ministro della Giustizia intenda assumere per garantire il corretto funzionamento del tribunale di Vibo Valentia, anche assumendo tutte le iniziative di competenza per la copertura di tutti i posti, contemplati dalla pianta organica, che dovessero risultare vacanti. (4-07323)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   NICOLA BIANCHI, PETRAROLI e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie di stampa la So.Ge.A.Al. spa, società di gestione dell'aeroporto di Alghero—Fertilia, partecipata all'80,20 per cento dalla regione Sardegna e al 19,80 per cento dalla SFIRS società finanziaria regionale, non avrebbe ancora approvato il bilancio relativo all'esercizio 2013;
   la società, a quanto si apprende, rischierebbe il collasso finanziario e la conseguente perdita della concessione quarantennale della gestione dell'aeroporto con incalcolabili danni per l'economia della Sardegna ed enormi disagi per i cittadini del territorio servito dallo scalo;
   l'aeroporto di Alghero—Fertilia è stato inquadrato come aeroporto di interesse nazionale nel Piano nazionale degli aeroporti, approvato il 30 settembre 2014, ma attualmente non esiste un piano industriale della società SoGeAAl –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle informazioni esposte in premessa e se non ritengano di dover avviare un tavolo tecnico di lavoro con il coinvolgimento della regione autonoma della Sardegna, dell'azienda SoGeAAl e delle rappresentanze sindacali al fine di individuare le possibili soluzioni volte al salvataggio della società di gestione dell'aeroporto e alla salvaguardia dei livelli occupazionali. (5-04309)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GAGNARLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da articoli di stampa on line: http://www.lastampa.it/2014/08/06/cronaca/controllori-aggrediti-sui-treninel-un-caso-a-settimana-AehHv1R39n5BtHU8cOwzpO/pagina.html si apprende che, nei primi sette mesi del 2014, gli attacchi o minacce gravi contro il personale in servizio sui treni in Italia sono raddoppiati rispetto al dato complessivo dell'anno scorso. A fine luglio si contavano già 25 episodi, contro i 13 denunciati in tutto il 2013: quasi una violenza a settimana, con Toscana, Veneto e Piemonte al vertice di questa classifica di rischio;
   nell'ultima settimana ci sono stati in Toscana diversi episodi di aggressione a capotreni o controllori a bordo dei treni regionali. Il primo episodio risale al 2 dicembre 2014: una donna di origini rumene sul convoglio della linea Lucca-Aulla ha rubato la borsa del capotreno e due martelli frangivetro collocati nel vagone, con i quali avrebbe minacciato il dipendente delle Ferrovie. Il secondo episodio, a distanza di soli tre giorni, è avvenuto su un treno della linea Lucca-Firenze dove un gruppo di violenti ha aggredito la capotreno, finita in ospedale, creando notevole scompiglio e disagi alla circolazione ferroviaria fino a provocare la soppressione del treno. L'ultimo episodio in ordine di tempo è avvenuto l'8 dicembre 2014: un controllore è stato aggredito alla stazione di Lucca da un clochard sorpreso a dormire in treno, riportando delle microfratture ad entrambe le mani;
   l'allarme, riporta La stampa on-line, riguarda anche i passeggeri a causa di furti a bordo, vandalismi e spacciatori. Nei primi 7 mesi dell'anno, su tutto il territorio nazionale sono stati 1.437 i furti in stazione, mentre 2.045 reati sono stati commessi a bordo dei treni. Le persone arrestate dagli organi di Polizia sono state 795 e 7.425 quelle denunciate all'autorità giudiziaria. Franco Fiumara, direttore centrale protezione aziendale del Gruppo FS Italiane, ritiene che l’escalation di questi episodi sia dovuta all'intensificazione dei controlli contro chi non paga il biglietto, che avrebbe portato ad una reazione di chi viaggia senza titoli sui treni regionali. Il capo della protezione aziendale di FS, assicura inoltre che la lotta contro gli evasori continuerà e che è stata attivata una collaborazione con gli agenti della polizia ferroviaria;
   sempre nel territorio toscano, sono stati disposti presidi presso le biglietterie automatiche, e la chiusura dei binari dell'Alta Velocità, ma l'allarme si è spostato sui treni regionali, soprattutto sui binari più defilati. La regione, stando alle dichiarazioni del Presidente Rossi, ha sottoscritto una convenzione con Trenitalia, secondo la quale gli agenti di sicurezza possono spostarsi sui treni gratuitamente con l'impegno ad avvertire la capotreno della loro presenza;
   da diversi mesi, tuttavia, il sindacato U.G.L. Federazione trasporti attività ferroviarie denuncia le difficoltà per chi opera nel front-line, personale costretto a svolgere le proprie mansioni in contesti molto pericolosi per la loro incolumità, ed ha chiesto ed ottenuto dalla regione Toscana e dall'assessorato competente, nell'interesse del personale di controlleria e dei pendolari, un urgente incontro fra azienda, organizzazioni sindacali, ed istituzioni per cercare ulteriori provvedimenti da adottare in merito –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare, in veste di garante del livello di sicurezza globale dei convogli in movimento, a seguito degli ultimi episodi di aggressione al personale dei treni regionali in Toscana, oltre che dei casi di furti, vandalismi e spaccio di droga, posto che la problematica ha ricaduta nazionale e visto l'imminente incontro tra regione Toscana, Trenitalia, Rfi, prefetti e forze dell'ordine presenti sul territorio regionale. (4-07308)


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Trenitalia nei mesi scorsi aveva promesso vari interventi di miglioramento della qualità e quantità dell'offerta di treni in Abruzzo;
   il nuovo orario invernale ferroviario era il momento in cui concretizzare i vari impegni assunti anche con la regione Abruzzo e in particolare con il presidente della giunta regionale nonché assessore regionale ai trasporti;
   la delusione è stata grande nel vedere che nessun miglioramento è stato deciso;
   in particolare sulla linea ferroviaria Pescara Roma non è stata decisa nessuna velocizzazione per portare il tempo di percorrenza a 3 ore, come pure era 20 anni fa;
   sarebbe bastato eliminare alcune fermate francamente inutili lungo la relazione per risparmiare 1 ora di tempo di percorrenza tra Pescara e Roma;
   così come si poteva intervenire per impedire la disabilitazione agli incroci delle stazioni sulla linea Pescara Roma proprio nella fase in cui si sta implementando il controllo traffico centralizzato (CTC) per evitare che le suddette disabilitazioni provochino danni notevoli ai passeggeri e rendano inefficace l'investimento che si sta operando sul Trasporto Pubblico Locale;
   non si è prodotto nessun utile confronto con la regione Lazio per consentire tracce orario più veloci per alcuni treni abruzzesi in ingresso a Roma e in uscita da Roma e per individuare anche soluzioni più idonee per gli incroci dei treni abruzzesi –:
   se non intenda intervenire per quanto di competenza al fine di evitare l'assoluta decadenza della linea ferroviaria Pescara Roma, oggi non competitiva con il trasporto su gomma pubblico e privato per l'eccessivo tempo di percorrenza e per la pessima qualità del materiale rotabile utilizzato. (4-07313)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   NACCARATO, CAMANI, MIOTTO e NARDUOLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel corso dell'inchiesta nota con il nome di «Mafia Capitale», la procura di Roma ha ordinato il sequestro ai fini di confisca di quote di due società — Terni Scarl e Bellolampo Scarl — entrambe con sede in via Pierobon 46 a Limena in provincia di Padova, riconducibili a Riccardo Mancini, 56 anni, uomo chiave dell'inchiesta capitolina;
   Mancini è stato arrestato per tentata estorsione, accusato di associazione di tipo mafioso in concorso, conosciuto dalle forze dell'ordine perché negli anni ottanta è stato destinatario di provvedimenti restrittivi della libertà personale per associazione sovversiva, banda armata e viene definito «uomo forte dell'amministrazione comunale romana e, specificatamente, plenipotenziario del sindaco Alemanno, quantomeno in taluni settori dell'amministrazione della cosa pubblica»;
   dalla prima ricostruzione che appare sulla stampa, secondo l'accusa, Mancini, attraverso il figlio Giovanni Maria, 29 anni, legale rappresentante e socio unico della Società Generale Rifiuti srl con sede a Roma in piazza Sallustio 3, detiene il 40 per cento (per un valore nominale di 4 mila euro su un capitale di 10 mila euro) della Terni Scarl, società con sede a Limena in via Pierobon 46, specializzata nel trattamento dei rifiuti (la cui attività è cessata giusto un mese fa, il 10 novembre scorso) e il 10 per cento della Bellolampo Scarl (1.000 euro di quote per un capitale sociale di 10 mila euro), società consortile con sede a Limena in via Pierobon 46;
   la Bellolampo Scarl ha come oggetto sociale «la progettazione esecutiva e l'esecuzione dei lavori di realizzazione di un impianto di trattamento meccanico e biologico della frazione residuale e della frazione organica dei rifiuti urbani da realizzare in contrada Bellolampo nel Comune di Palermo»;
   Bellolampo Scarl è stata registrata pochi giorni dopo l'affidamento di questi lavori alle imprese socie consorziate in un raggruppamento temporaneo di imprese nel febbraio scorso;
   la società consortile risulta essere di proprietà della Intercantieri Vittadello Spa con sigla Vittadello Spa con sede a Limena in via Pierobon 46 (per il 65 per cento), di Torricelli Srl (15 per cento, sede a Forlì in via Masetti 11/L) e di Loto Impianti Srl (10 per cento, Siracusa via Arsenale 44/46);
   Terni Scarl è stata registrata il 30 novembre 2011, allo scopo di provvedere alla progettazione integrata e ai lavori per il «Revamping» dell'esistente centrale di recupero energetico della società Terni EN.A Spa, ora A.R.I.A Acea Risorse e Impianti per l'Ambiente Spa;
   Terni Scarl ha capitale sociale di 10 mila euro e risulta di proprietà della Società Generale Rifiuti Srl per il 40 per cento, di IGM Ambiente Srl (con sede nel comune di Melilli, provincia di Siracusa) per il 10 per cento e per il restante 50 per cento della Intercantieri Vittadello Spa con sigla Vittadello Spa con sede a Limena in via Pierobon 46;
   Terni Scarl e Bellolampo Scarl hanno entrambe sede legale allo stesso indirizzo della Intercantieri Vittadello Spa con sigla Vittadello Spa a Limena in via Pierobon 46, di proprietà della Finanziaria Vittadello Srl, di proprietà di Andrea e Sergio Vittadello;
   gli inquirenti si sarebbero convinti a emettere la misura di prevenzione patrimoniale antimafia proprio per la presenza del figlio di Mancini nel consiglio di amministrazione della Scarl di Limena nel portafoglio della Società Generale Rifiuti Srl;
   le indagini dei carabinieri del Ros per conto della procura di Roma stanno cercando di ricostruire i motivi che avrebbero spinto Riccardo Mancini a entrare in società con altre imprese per la costruzione di impianti di trattamento rifiuti;
   nell'ordinanza di custodia cautelare si legge che «Riccardo Mancini, pubblico ufficiale a disposizione dell'associazione, partecipa fornendo uno stabile contributo per l'aggiudicazione di appalti pubblici, per lo sblocco di pagamenti a favore delle imprese riconducibili all'associazione, con le aggravanti di essere un'associazione armata e dell'avere finanziato attività economiche controllate con i proventi di delitti»;
   gli investigatori del Ros avrebbero ricostruito il patrimonio di Riccardo Mancini, confrontato i suoi redditi e quelli del suo nucleo familiare, verificando la «sussistenza di una sperequazione economica» e «accertando una notevole sproporzione tra pur considerevoli redditi percepiti di qualunque natura e il patrimonio accumulato»;
   Mancini, infatti, oltre al figlio, aveva coinvolto tutta la famiglia nei suoi traffici e il tribunale ha sequestrato, oltre alle quote delle due aziende padovane, terreni, intere società o parti di esse, appartamenti e decine di immobili riconducibili a lui ma intestati al figlio, all'attuale o all'ex moglie, alla madre e a tre diversi prestanome;
   inoltre le indagini stanno facendo emergere inquietanti collegamenti con la società Cassiani Tecnologie di proprietà di Giorgio Cassiani con sede a Castelnuovo del Garda (Verona) che costruisce e commercializza macchinari per la pulizia stradale e che avrebbe avuto relazioni con la società romana Ama;
   dalle indagini si sta evidenziando un presunto traffico di armi, acquistate tramite false fatturazioni, che si svolgerebbe attraverso alcune operazioni presso il comune di Cortina d'Ampezzo in provincia di Belluno;
   dopo i numerosi casi di infiltrazione mafiosa in Veneto, anche questo episodio conferma la volontà delle organizzazioni criminali di mettere radici nella nostra regione per costruire nuove opportunità di traffici entrando in relazione con società del territorio e dirigendo i loro interessi in particolare verso gli appalti pubblici;
   in particolare, gli interroganti esprimono la loro preoccupazione circa le reali ragioni che avrebbero spinto i soci delle due Scarl a creare due società a Limena, in provincia di Padova, per realizzare opere, come la ristrutturazione della centrale di recupero energetico a Terni e la progettazione ed esecuzione dei lavori di realizzazione di un impianto di trattamento meccanico e biologico della frazione residuale e della frazione organica dei rifiuti urbani da realizzare in contrada Bellolampo nel comune di Palermo, in località situate a grande distanza dalla loro sede legale;
   la notizia ha sollevato grande allarme perché dimostra, come più volte denunciato dagli interroganti, la presenza della criminalità organizzata nel tessuto economico veneto –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali atti di competenza, anche per il tramite degli uffici territoriali del Governo, intenda adottare per prevenire e contrastare la presenza della criminalità organizzata nel tessuto economico del Veneto. (4-07303)


   CECCONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni si è proceduto alla razionalizzazione degli spazi finalizzata, alla contrazione delle spese di locazione passiva. In quest'ottica, il distaccamento della polizia stradale di Fano è stato trasferito ed accorpato alla sede del commissariato di polizia di Fano in data 11 novembre 2011. La suddetta operazione non ha comportato oneri per lo Stato che, al contrario, ha goduto di un risparmio di spesa pari a 35.119 euro annui, corrispondenti ai canoni locativi dei locali privati precedentemente utilizzati. Nonostante ciò, recentemente è stato prospettato un ulteriore accorpamento della polizia stradale di Fano alla sottosezione autostradale di Fano;
   tale accorpamento non porterebbe alcun vantaggio economico in capo allo Stato pur comportando un notevole detrimento per la tutela della sicurezza territoriale;
   Fano è, infatti, la terza città in ordine di popolazione delle Marche, conta circa 60.000 abitanti ed è uno snodo nevralgico fondamentale per 3 regioni;
   allo stato attuale il solo distaccamento di Fano garantisce circa 50 pattuglie di vigilanza stradale al mese, sulla rete viaria provinciale, urbana e sulla strada di grande comunicazione Fano – Grosseto;
   qualora si realizzasse il prospettato accorpamento e la polizia stradale si trovasse costretta all'utilizzo delle vetture a disposizione della sottosezione autostradale, urge evidenziare come le stesse siano nella disponibilità della Società autostrade per mezzo di contratto di leasing e che quindi esse siano utilizzabili, come disposto dalla convenzione stipulata fra Ministero e società Autostrade/Aiscat, in via esclusiva sulle tratte autostradali;
   ciò escluderebbe dalla vigilanza della polizia stradale tutta la rete viaria sopra descritta, con notevole detrimento della sicurezza stradale della cittadinanza;
   la casermetta che ospita la sottosezione polizia autostradale di Fano è, inoltre, di proprietà della Società Autostrade per l'Italia e si trova lontano dal centro abitato ed in una zona non servita dai mezzi pubblici, perciò di difficile raggiungimento da parte dell'utenza;
   la suddetta struttura è stata dichiarata sede disagiata e, in conseguenza di ciò, al personale in servizio è stata garantita la fruizione dei pasti presso una struttura privata convenzionata;
   sulla questione si è espresso anche il prefetto di Pesaro e Urbino, a seguito di incontro con il questore, evidenziando, con nota inviata direttamente al Ministero dell'interno, come il preannunciato accorpamento non sia foriero di garantire un ulteriore risparmio alle finanze pubbliche, ma ponga, bensì, notevoli problematiche circa la questione della fruizione dei pasti, stimabili in circa 90.000 euro annui;
   se non sia il caso di riconsiderare l'accorpamento della polizia stradale di Fano alla sottosezione autostradale di Fano, in quanto a giudizio dell'interrogante privo di utilità pratica e potenzialmente foriero di disservizi alla cittadinanza e di un aumento di spesa immotivato. (4-07304)


   PARISI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito delle misure di razionalizzazione e di revisione della spesa pubblica, il Ministro interrogato ha disposto dall'inizio dell'anno, una razionalizzazione della dislocazione dei presidi di polizia sul territorio nazionale, motivata dalla carenza di organico in cui versano le forze dell'ordine, oltre che dall'attuale congiuntura economica negativa in corso da anni;
   nel quadro decisorio generale, rientra anche la soppressione di 11 squadre a cavallo, tra le quali sembra essere ricompresa anche quella di Firenze, che rappresenta una parte integrante del tessuto sociale fiorentino e svolge un importante presidio sul territorio; senza tale presidio, le aree attualmente pattugliate, saranno con ogni probabilità, facile oggetto di degrado e di abbandono urbano;
   l'interrogante evidenzia come le radici storiche della squadra a cavallo di Firenze risalgono al 2000; dal successivo anno è entrata nel progetto nazionale parchi sicuri, che ha messo in correlazione il Ministero dell'interno con le amministrazioni comunali, al fine di rilanciare i parchi cittadini;
   a tal fine, la medesima squadra fiorentina ha favorito il continuo processo di riqualificazione dell'arco e la realizzazione del progetto «Cascine 2020», con un controllo visibile e particolarmente attento delle forze dell'ordine e soprattutto della polizia a cavallo;
   negli ultimi anni il parco ha accresciuto i livelli d'interesse e di partecipazione e, a tal fine, è aumentato il numero dei visitatori che hanno scoperto le potenzialità delle Cascine, anche se, sempre negli ultimi anni, i posti di polizia che hanno avuto un ruolo fondamentale nella realizzazione di questa nuova vitalità, sono stati lentamente soppressi, come ad esempio nel, 2010 la polizia forestale a cavallo e nel 2012 la caserma dei carabinieri a cavallo;
   l'interrogante evidenzia, altresì, che la funzione di presidio del personale di pubblica sicurezza a cavallo che opera e garantisce la sicurezza non solo nel parco delle cascine, sia di particolare rilevanza, in quanto tale funzione di tutela e salvaguardia, si estende anche in altre zone della città ad alta densità turistica del capoluogo regionale e in quelle aree della periferia in cui si verificano fenomeni di degrado legati all'abusivismo commerciale, all'accattonaggio e alla microcriminalità, soprattutto nella zona di Monte Morello;
   il mantenimento della squadra a cavallo della polizia di Stato a Firenze costituisce pertanto, a parere dell'interrogante, un'esigenza prioritaria da salvaguardare, al fine di garantire alla intera comunità fiorentina un presidio operativo fondamentale per assicurare i necessari livelli di sicurezza non soltanto per il parco delle Cascine –:
   se trovino conferma le notizie riportate in premessa, secondo le quali nell'ambito delle iniziative del Governo sul versante della spesa pubblica attraverso misure di razionalizzazione e di risanamento della finanza pubblica, sia prevista la soppressione della squadra a cavallo della polizia di Stato di Firenze;
   in caso affermativo, se non ritenga opportuno riconsiderare tale decisione, in considerazione del fatto che l'eventuale chiusura di un presidio di sicurezza così importante e necessario per la città di Firenze può determinare, oltre ad un cospicuo spreco di risorse già investite per l'alta specializzazione di tali operatori della sicurezza, anche una situazione di particolare gravità nelle attività di controllo e vigilanza sul territorio, con conseguenze negative sulla sicurezza dei cittadini e sull'intero tessuto sociale, economico e produttivo di Firenze. (4-07305)


   NESCI, CRIPPA e CASTELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   fino al 31 dicembre 2014 le province sono tenute ad esercitare le funzioni assegnate dalle leggi statali e delegate dalle regioni;
   la legge n. 56 del 2014 assegna alle province funzioni fondamentali relative alla piani razione territoriale, alla tutela e valorizzazione dell'ambiente, alla pianificazione dei trasporti, alla costruzione e gestione delle strade provinciali, alla gestione dell'edilizia scolastica e alla programmazione provinciale della rete scolastica, all'assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali, alla raccolta ed elaborazione dati, al controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e alla promozione delle pari opportunità, alla Stazione Unica Appaltante e al monitoraggio dei servizi e dell'organizzazione di concorsi e procedure selettive, d'intesa coi comuni interessati;
   la succitata legge stabilisce che debbano mantenersi in capo alle province le funzioni collegate alle fondamentali e che le altre vadano riorganizzate;
   Stato e regioni sono chiamati a stabilire quali siano e a chi assegnarle e hanno il compito di riordinare le funzioni delle province;
   in ordine alla viabilità, per esempio, alle province tocca la gestione, manutenzione e messa in sicurezza di 130 mila chilometri di strade, cioè oltre il 70 per cento della rete viaria nazionale;
   in quanto alla scuola, invece, alle province spetta la gestione ordinaria e la messa in sicurezza delle oltre 5.100 scuole superiori italiane in cui studiano 2 milioni e 500 mila studenti;
   nel 2013 la spesa complessiva delle province, per gestione, servizi e investimenti, è stata di 10 miliardi 350 milioni;
   l'80 per cento della spesa, pari a 8 miliardi e 300 milioni, è stata destinata all'erogazione e gestione dei servizi assegnati alle province dalle leggi statali e regionali, mentre il 20 per cento, cioè 2 miliardi, è stata destinata al pagamento degli stipendi degli oltre 51 mila dipendenti delle province;
   nel raffronto col 2013, nei primi nove mesi del 2014 gli incassi derivanti dall'imposta provinciale di trascrizione e dalla rc auto sono scesi di circa 471 milioni (-15,49 per cento);
   le regioni hanno delegato e trasferito alcune funzioni essenziali alle province (servizi per l'impiego, gestione trasporto, formazione, agricoltura e altro);
   insieme alle funzioni, le regioni sono tenute a trasferire alle province le risorse necessarie per esercitarle;
   negli anni i trasferimenti finanziari dalle regioni sono diminuiti drasticamente e dal 2010 al 2013 si è arrivati a –17,4 per cento;
   a partire dal 2011 le manovre economiche sui bilanci delle province sono andate in crescendo, per cui, tra maggiori tagli e inasprimento di obiettivo di patto di stabilità, i bilanci delle province sono arrivati a rischio di disequilibrio, con conseguenze immediate sulla finanza pubblica, come attestato pure dalla Corte dei conti;
   nel 2015 le province potranno usare 2 miliardi per garantire i servizi essenziali, a riorganizzazione delle funzioni non ancora attuata, dovendo quindi gestire tutti i servizi in capo all'ente al 31 dicembre 2014 e con lo stesso personale;
   a riguardo si riporta che nel 2012, stima Upi, per garantire quei servizi sono stati spesi 4 miliardi 675 milioni, pertanto nel 2015 mancheranno circa 2 miliardi e 700 milioni;
   sulla base dei provvedimenti previsti per le province si avrà, stima Upi, la caduta verticale del gettito delle entrate proprie, l'insolvenza di Stato e regioni per i debiti nei confronti delle province, l'insufficienza strutturale delle risorse ordinarie a finanziare le funzioni fondamentali, il disequilibrio strutturale della situazione corrente di bilancio, il default degli equilibri di cassa e lo sforamento generalizzato degli obiettivi del patto di stabilità interno, a fronte di un risparmio totale — dato dall'impianto previsto dalla legge 56 del 2014 — pari a 89 milioni di euro, secondo la relazione del 6 novembre 2013 della sezione autonomie Corte dei conti, esposta alla commissione affari costituzionali della Camera;
   le province di Biella e di Vibo Valentia si trovano già in dissesto finanziario, con la seconda in una situazione amministrativa di ulteriore difficoltà, anche a causa dei condizionamenti della ’ndrangheta sul territorio;
   nel rispondere all'interpellanza urgente n. 2-00530, del deputato Bruno Censore e di altri, il sottosegretario del Ministero dell'interno Gianpiero Bocci ha dichiarato che «l'adozione di misure straordinarie per la provincia di Vibo Valentia, quali l'individuazione di specifiche fonti di finanziamento a carattere straordinario ovvero la modifica dei criteri di riparto del Fondo nazionale di riequilibrio per sostenere le iniziative già poste in essere dalla provincia, richiede apposite modifiche legislative che prevedano adeguate coperture finanziarie», assicurando, poi, «l'impegno a valutare, d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze, possibili soluzioni che vadano in questa direzione»;
   per le ragioni sopra esposte, altre province potrebbero necessitare — e presto — di misure straordinarie per espletare le funzioni di competenza, alla luce dei ripetuti tagli dei trasferimenti –:
   quali iniziative intenda assumere per intervenire in via straordinaria nei casi di mancanza di liquidità degli enti, e se non ritenga indispensabile e inderogabile promuovere un aumento dei trasferimenti centrali per l'espletamento delle funzioni spettanti alle province. (4-07318)


   NESCI e LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal giornale Il Quotidiano della Calabria di sabato 29 novembre, il segretario nazionale del Sindacato Autonomo di Polizia in conferenza stampa ha dichiarato che sarebbe «in atto» un «progetto di smantellamento della squadra mobile della questura di Crotone», dato che il dirigente Cataldo Pignataro starebbe per essere trasferito per «questioni di bottega» e «scelte avventate»;
   il 27 novembre 2014, lo stesso segretario nazionale del Sap (Sindacato autonomo di polizia) ha fatto visita in Calabria, affermando, come riportato dai media, che il trasferimento del dottor Pignataro «mette a rischio l'operatività di un ufficio d'eccellenza impegnato in prima linea nella lotta alla ‘ndrangheta»;
   a parere dell'interrogante, la scelta del suddetto trasferimento appare manifestamente illogica, specie se si tiene conto che sotto la direzione di Cataldo Pignataro la squadra mobile di Crotone ha inferto durissimi colpi alla criminalità ‘ndranghetistica crotonese, tra le più sanguinarie d'Italia;
   a tale ultimo riguardo, si ricorda, a titolo di esempio, l'indagine «Old Family» condotta appunto dalla squadra mobile di Crotone e coordinata dal sostituto procuratore antimafia Pierpaolo Bruni, al termine della quale lo stesso pubblico ministero ha chiesto condanne per 549 anni di reclusione nei confronti di 37 imputati presunti appartenenti al clan Vrenna-Bonaventura-Ciampà-Corigliano di Crotone;
   oltretutto, nella seduta della Camera n. 336 dello scorso 21 novembre, l'odierna interrogante ha presentato l'interrogazione a risposta scritta n. 4-06982, ancora pendente, nella quale sono espresse forti preoccupazioni per l'incolumità del pubblico ministero Bruni, destinatario di piani di morte della ‘ndrangheta, e vengono richieste ulteriori misure di protezione, come poi ribadito personalmente al Viceministro dell'interno Filippo Bubbico, dopo la decisione del prefetto di Crotone, Maria Tirone, di rimuovere il circuito di videosorveglianza nei pressi dell'abitazione del magistrato a Crotone;
   l'illogicità di tale decisione di trasferire il dottor Cataldo, qualora dovesse rivelarsi vera, nonché dell'attuale situazione relativa alla sicurezza del pubblico ministero Bruni, sta anche nelle tante dichiarazioni dello stesso Ministro interrogato secondo il quale: «Da quando sono Ministro, sono stati arrestati 70 latitanti e confiscati immensi patrimoni. Sulla sicurezza non faremo alcun passo indietro. Non ci sarà un solo uomo in meno» (31 marzo 2014); «Abbiamo un obiettivo preciso: non dare tregua alla ‘ndrangheta e agli ‘ndranghetisti» (23 aprile 2014);
   a quanto sopra si aggiunge, riguardo a Crotone, la recente denuncia pubblica di abbandono fatta dal collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura – già membro di vertice del sodalizio criminale crotonese Vrenna-Bonaventura e oggi ritenuto tra i più affidabili in ambito processuale –, che con i suoi familiari non ha avuto la proroga – si legge sui giornali – del contratto di protezione da parte del Ministero –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti in premessa e quali iniziative intenda adottare per garantire l'efficienza finora avuta dalla squadra mobile di Crotone;
   se, alla luce della suddetta decisione assunta dal prefetto Tirone in ordine alla videosorveglianza del pubblico ministero Bruni, il Ministro dell'interno non ritenga di dover verificare l'opportunità del trasferimento a Foggia del medesimo prefetto, scelta che agli odierni interroganti suona come una effettiva promozione, contrastante con il pericolo oggettivo in cui nei fatti è stato inspiegabilmente lasciato il magistrato;
   se non ritenga di dover intervenire con urgenza per assicurare al collaboratore Bonaventura e ai suoi familiari il giusto sostentamento e la massima sicurezza e serenità. (4-07319)


   LUIGI DI MAIO, NESCI, LOMBARDI e CIPRINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   agli interroganti è stata segnalata una profonda sorpresa destata dal provvedimento col quale il questore di Novara — prossimo al collocamento in quiescenza — ha disposto il trasferimento dell'ispettore R.F., dall'ufficio minori e violenza sulle donne, all'ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico con il compito della mera trasmissione all'autorità giudiziaria degli atti redatti dagli equipaggi delle volanti;
   secondo quanto segnalato agli interroganti da ambienti sindacali, a molti degli operatori del settore della «pubblica sicurezza», riesce difficile capire la ratio del provvedimento. Non si vede infatti come la consolidatissima esperienza maturata dall'ispettore nell'area di sua competenza possa essere utilmente trasferita alle «volanti», ovvero un settore nel quale, dopo venticinque anni di servizio, l'ispettore, non ha operato un solo giorno;
   secondo le segnalazioni, la professionalità di tale ispettore nel campo della repressione di reati contro i minori e le donne, avrebbe portato lustro alla città di Novara che, nell'ultimo decennio, è stata indicata come «questura pilota» nella trattazione delle tematiche di specie e presa ad esempio da altre realtà;
   le capacità di questo ispettore nei citati ambiti è testimoniata anche da numerose attestazioni di stima comparse sui giornali locali mediante la pubblicazione di lettere di cittadini, associazioni e rappresentanti delle istituzioni sulla stampa locale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti citati in premessa e quale sia il suo orientamento;
   quali siano le motivazioni alla base del provvedimento assunto dal questore di Novara con il quale è stato disposto il trasferimento dell'ispettore R. F.
(4-07320)


   SORIAL. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo recenti fonti di stampa, minori egiziani ospiti delle case di accoglienza, lavorerebbero oltre 12 ore al giorno per pochi euro presso il centro agroalimentare di Guidonia, alle porte di Roma, luogo che, malgrado gli sforzi di sorveglianza e le inchieste della magistratura, continua a essere preso d'assalto da giovanissimi in cerca di un lavoro che si trasforma spesso in un brutale sfruttamento;
   in base ai dati aggiornati al 30 settembre 2014, forniti dal rapporto pubblicato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione, i minori stranieri non accompagnati (MSNA) arrivati in Italia sono 12.164, un terzo dei quali, 3.163, risulta irreperibile;
   gli abusivi nei mercati ci sono sempre stati, a Roma come a Torino, Milano e Napoli o altrove, ma a Guidonia capita che questi ragazzi immigrati siano «infra-sedicenni e addirittura bambini», come spiegato nei rapporti della polizia locale di Roma Capitale che lo scorso 18 dicembre 2014 hanno fatto scattare un'operazione nel Car;
   si tratta di una realtà fatta di intimidazioni e ricatti alle famiglie che hanno pagato il viaggio della speranza verso l'Italia per queste vittime dell'intermediazione illecita e dello sfruttamento del lavoro minorile, del caporalato insomma;
   il centro agroalimentare di Roma, a Guidonia, è il mercato generale più grande d'Italia, il terzo in Europa per volume di affari, dove i clandestini si introducono anche scavalcando, forzando le recinzioni, nascosti nei camion, risalendo dai campi, per spostare cassette di frutta per 12 ore, guadagnando 20 euro a giornata: «Abbiamo eseguito anche 200 respingimenti al giorno – racconta Flavio Massimo Pallottini, direttore della Car scpa, società proprietaria dei 140 ettari di via Tenuta del Cavaliere – ma non possiamo fare molto se non accompagnare questi ragazzi fuori dal perimetro del Car. È un fenomeno preoccupante e odioso che riguarda le persone di età minore che alloggiano nelle case famiglia che sono pagate dai contribuenti, e che magari il giorno vanno a fare cose di questo tipo»;
   il fenomeno era talmente diffuso che la Cargest ha cercato una soluzione. Qualche mese fa ha riaperto il bando per la movimentazione di merci all'interno del centro. La Rossi Transworld si è aggiudicata l'appalto e ha iniziato a lavorare a pieno regime. Dopo neanche due settimane, a metà settembre, è scoppiata però una gigantesca rissa proprio tra i banchi dell'ortofrutta. Un gruppo di «abusivi» come sono definiti nei verbali, ragazzi e tutti stranieri, ha aggredito i lavoratori della Transworld, dando vita ad una vera e propria guerra di territorio. «Il grave episodio di settembre – osserva Pallottini – attesta che il lavoro nero a Guidonia sta trasformandosi in qualcosa di simile ad un racket intimidatorio dedito a violenze e pretese egemoniche di tipo criminale»;
   il procuratore di Tivoli Luigi De Ficchy ha dichiarato che «Siamo di fronte a un fenomeno indecoroso per il nostro paese», un vero e proprio sistema di facchinaggio abusivo che spesso si avvale della manodopera di minori immigrati irregolarmente, e ha spiegato che «Polizia e Carabinieri svolgono controlli giornalieri e da settembre una nuova cooperativa di facchini si è stabilita regolarmente all'interno del centro agroalimentare di Guidonia. Questo ha tolto un po’ di spazio agli irregolari e la situazione sta migliorando, ma nel Car rimane un grande interesse dietro allo sfruttamento del lavoro irregolare di adulti e minori»;
   i centri di accoglienza che ospitano i minori, dal canto loro, sono tenuti al controllo dei minori all'interno del centro: c’è un controllo sugli orari, ma i ragazzi possono uscire e tendenzialmente sono liberi di andare in giro;
   Save The Children nel dossier «Percorso migratorio e condizioni di vita dei minori non accompagnati egiziani» frutto del progetto europeo «Providing Alternatives irregular migration for unaccompanied children in Egypt», spiega come la decisione della partenza di questi minori sia spesso appoggiata e condivisa dalla famiglia: secondo Viviana Valastro, responsabile protezione minori per Save the Children, è oggettivamente difficile credere che a quell'età i giovani egiziani si autorganizzino per lavorare, sapendo dove andare e a che ora. L'organizzazione ha adottato iniziative formali per portare le autorità a conoscenza del fenomeno e con il Progetto Egitto ha cercato di informare i minori sui rischi, non per disincentivarne la partenza, ma per fa sì che conoscessero anche il rischio di sfruttamento a cui vengono incontro in Italia;
   stando alla Flai-Cgil, «sono circa 400 mila i lavoratori che trovano un impiego tramite i caporali, di cui circa 100 mila presentano forme di grave assoggettamento, dovuto a condizioni abitative e ambientali considerate paraschiavistiche» anche perché c’è «un'economia dello sfruttamento». È questo il punto: «I lavoratori impiegati dai caporali – prosegue la Flai-Cgil – percepiscono un salario giornaliero inferiore di circa il 50 per cento a quello previsto dai contratti nazionali». E se sono immigrati le cose vanno anche peggio. Lo conferma anche un'indagine curata dall'economista Tito Boeri per la fondazione Rodolfo Debenedetti: gli immigrati, meglio se irregolari, sono funzionali a molte imprese perché lavorano di più e guadagnano molto di meno –:
   se il Governo sia al corrente dei fatti illustrati in premessa e se non intenda avviare un'indagine capillare su questo grave fenomeno che coinvolge minori immigrati, ragazzi e anche bambini, in modo da chiarire i contorni di un fenomeno che va avanti da troppo tempo di vero e proprio lavoro e sfruttamento minorile, inaccettabile in un Paese che possa definirsi civile;
   per quali ragioni non siano state adottate misure tempestive per evitare questo sfruttamento minorile già noto da tempo, come l'invio urgente degli ispettori del lavoro presso il Car di Guidonia con una frequenza adeguata alla gravità della situazione;
   se il Governo non intenda assumere iniziative per garantire la piena realizzazione dei diritti dei minori stranieri non accompagnati come stabiliti dalla normativa nazionale, basata anche sul recepimento delle convenzioni internazionali in materia e dagli obblighi in capo all'Italia come Stato membro dell'Unione europea;
   quali misure siano state previste per monitorare l'adeguatezza delle strutture di accoglienza per i MSNA, in particolare per quanto riguarda l'effettiva capacità di assorbire l'aumento strutturale dei flussi in arrivo e l'appropriatezza dei servizi rispetto a quanto stabilito dalla normativa nazionale, come ad esempio, la necessaria presenza di corsi di formazione professionale per la futura integrazione dei minori, prevista ma non attiva a tutt'oggi.
(4-07321)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   TAGLIALATELA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 31 agosto 2013, all'articolo 4, ha previsto che entro il 31 dicembre 2016 le amministrazioni pubbliche possano procedere ad assunzioni a tempo indeterminato di personale non dirigenziale attualmente in servizio con contratto di lavoro a tempo determinato;
   nel comparto scuola, questa facoltà di stabilizzazione fa seguito a quella già prevista con una legge del 2009, e grazie alla quale si era potuto procedere all'assunzione, nel comune di Napoli, di oltre 260 maestre ed educatrici precarie;
   altrettante insegnanti, tuttavia, furono escluse dalla procedura di stabilizzazione perché non avevano maturato i requisiti, alcune per pochi giorni, avendo il comune posto come ultimo giorno per la maturazione dei requisiti il termine tassativo del 30 giugno 2009;
   il decreto-legge 101 del 2013 va quindi a sanare l'ingiustizia allora subita da tanti insegnanti precari, prevedendo un nuovo reclutamento speciale con il criterio, tra gli altri, di una finestra temporale in favore dei soggetti che abbiano svolto almeno tre anni di servizio presso l'ente nel quinquennio 2008-2013;
   in attuazione del citato decreto-legge, il 17 luglio 2014 il comune di Napoli ha deliberato l'avvio delle procedure per il suddetto reclutamento, e il 19 novembre il Formez ha pubblicato il bando di concorso, nel quale è richiesto un determinato numero di giorni di servizio nei profili richiesti, vale a dire maestre della scuola dell'infanzia ed educatori all'asilo nido, già, di fatto, escludendo molti precari;
   inoltre, la forma di reclutamento concorsuale e selettiva mette a rischio l'idoneità di persone attualmente in servizio, che, qualora non superassero i test, sarebbero escluse dall'insegnamento nelle scuole comunali;
   la totalità delle aventi diritto a partecipare al reclutamento speciale, tuttavia, sono persone interne al comune, e non dovrebbero, quindi, essere sottoposte ad una procedura selettiva che l'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, prevede per gli esterni;
   il personale attualmente in servizio, infatti, è collocato in una graduatoria riservata per titoli di servizio, formata sulla base di un determinato numero di giorni di servizio svolti e la frequentazione con profitto di un corso concorso di formazione –:
   se sia informato dei fatti di cui in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere, anche sul piano normativo, al fine di risolvere in via definitiva la delicata questione degli insegnanti precari. (4-07317)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   ATTAGUILE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la prestazione assistenziale dell'indennità di accompagnamento, istituita dalla legge n. 18 del 1980, viene riconosciuta ed erogata in presenza di una condizione di inabilità e sempre che il soggetto versi nell'impossibilità di deambulare o di attendere agli atti quotidiani della vita senza continua assistenza;
   hanno diritto all'indennità di accompagnamento gli invalidi civili che hanno ottenuto il riconoscimento di una invalidità totale e permanente del 100 per cento;
   l'indennità di accompagnamento è stata fissata per il 2014 a euro 504,07 per dodici mensilità;
   le persone affette da gravi disabilità necessitano di un'assistenza continua che non si esaurisce con un impegno temporaneo da parte di chi li assiste;
   l'assistenza ai disabili gravi viene spesso assicurata da persona che presta la sua opera all'interno di un rapporto di lavoro contrattualizzato che non prevede (per contratto) periodi di sospensione;
   l'indennità di accompagnamento costituisce spesso l'unico sostegno economico grazie al quale il disabile grave può accedere ad una forma di assistenza privatistica;
   l'erogazione dell'indennità di accompagnamento è sospesa nei periodi di degenza in strutture sanitarie con retta a carico dello Stato o di altro ente pubblico;
   durante i periodi di ricovero l'assistito non è in grado di far fronte al pagamento di chi lo assiste –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative per rivedere l'istituto dell'indennità di accompagnamento mantenendone la continuità anche nei periodi di degenza dell'assistito.
(4-07310)


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Progetto Meccanica, ex Verlicchi, fabbrica monocliente Honda che produce forcelle e telai versa in una situazione di grave crisi: da oltre un anno il titolare dell'azienda rilevata dal fallimento della ex Verlicchi, non corrisponde gli stipendi a causa della mancanza di ordinativi;
   la nuova proprietà ha sempre puntato il dito contro la Honda, responsabile, a suo giudizio, di procurarsi le componenti necessarie alla sua produzione motociclistica altrove invece che attingere dall'indotto;
   questa situazione mette a rischio la sopravvivenza dell'azienda stessa e in una nota i Sindacati hanno annunciato che scenderanno in piazza per protestare contro questa situazione;
   la Progetto Meccanica, ex Verlicchi, ha esperienza e professionalità nella realizzazione di telai e marmitte per la moto. Negli anni, ha prodotto questa componentistica per la maggior parte delle case motociclistiche presenti sul mercato; oggi, con una crisi del mercato che sta mettendo in ginocchio l'intero settore e, in seguito alle scelte di Honda che tendono a spostare il lavoro in altre parti del mondo, la ex Verlicchi si appresta a chiudere;
   in questi anni c’è stata un'emorragia di forza lavoro: va ricordato che nei tempi buoni in questa fabbrica lavoravano circa duecento persone mentre oggi ci lavorano meno di 30 persone –:
   se non ritenga doveroso convocare le parti sociali, gli enti locali e i vertici aziendali per cercare soluzioni produttive e occupazionali e scongiurare questo dramma occupazionale. (4-07311)


   LEVA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze ha assegnato alla regione Molise le seguenti risorse per la concessione o la proroga, in deroga alla vigente normativa, dei trattamenti di cassa integrazione e mobilità:
    decreto n. 83527 del 6 agosto 2014 – euro 2.751.578;
    decreto n. 86486 del 4 dicembre 2014 – euro 3.439.472;
    residui anno 2013 – euro 300.000
   per un totale di risorse assegnate pari a 6,4 milioni di euro;
   in data 4 agosto 2014 il Ministero del lavoro e della politiche sociali ha adottato il decreto n. 83473 del 1o agosto 2014 pubblicato sul sito istituzionale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in data 4 agosto 2014 disciplinante i criteri per la concessione degli ammortizzatori in deroga anno 2014 e 2015 e che l'11 settembre 2014 il Ministero ha emanato la circolare n. 19 con la quale chiariva alcuni aspetti procedurali del decreto;
   gli accordi quadro territoriali per la concessione degli ammortizzatori in deroga per l'anno 2014 sono stati stipulati in data 28 luglio 2014 e in data 22 settembre 2014 presso la sede dell'assessorato al lavoro della regione Molise alla presenza della direzione regionale dell'INPS, della direzione regionale del lavoro e delle rappresentanze sindacali e datoriali componenti della commissione regionale tripartita e le rispettive istruzioni operative approvate con determinazione del direttore d'area n. 96 del 29 luglio 2014 e n. 128 del 25 settembre 2014;
   la nota dell'INPS Regionale del 2 dicembre 2014 ha confermato i dati afferenti il numero delle domande di cassa in deroga e mobilità in deroga presentate per l'anno 2014 ovvero n. 34 domande di cassa integrazioni guadagni in deroga per n. 282 unità pari a euro 1.076.630 (periodo antecedente decreto del 4 agosto 2014), n. 26 domande per n. 262 unità pari a euro 1.026.000 (post decreto) e n. 950 domande di mobilità in deroga per 3 mesi pari a euro 3.780.000;
   il Messaggio INPS n. 9588 dell'11 dicembre 2014 prende atto della ripartizione delle risorse assegnate alle regioni per gli ammortizzatori in deroga e autorizza le sedi territoriali ad erogare i trattamenti fino alla concorrenza delle risorse assegnate;
   l'entità complessiva degli importi di tutte le pratiche di cassa in deroga del Molise per l'anno 2014 non supera i 2,1 milioni di euro e che per le mobilità in deroga secondo i dati INPS per il trimestre ottobre – dicembre 2014 sono necessari 3.780.000 euro a fronte di un'assegnazione complessiva di risorse pari a 6,4 milioni di euro;
   le pesanti condizioni socio-economiche della regione Molise sono state confermate anche dall'ultimo rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno che evidenzia come nel solo anno 2013 si sono persi ben 7.200 posti di lavoro (-7,7 per cento) con un tasso di disoccupazione regionale salito in modo allarmante e con la metà dei giovani molisani senza lavoro;
   il 7 agosto 2014 le istituzioni locali, per fronteggiare la profonda crisi regionale, hanno sottoscritto con le rappresentanze del partenariato economico e sociale un patto per il lavoro riprendendo sia le sollecitazioni della manifestazione sindacale CGIL – CISL – UIL del 29 giugno 2014 conclusa dal segretario generale della CGIL, Susanna Camusso, che il monito di Papa Francesco sulla dignità del lavoro fatto presso l'università del Molise a Campobasso il 5 luglio 2014;
   la regione Molise con delibera di giunta regionale n. 163 del 29 aprile 2014 ha richiesto il riconoscimento dell'area di crisi complessa ai sensi dell'articolo 27 della legge n. 134 del 2012 ed è in attesa di riscontro del Ministero dello sviluppo economico, stante anche l'audizione intervenuta sulla stessa materia presso la X Commissione attività produttive della Camera dei deputati avvenuta il 27 novembre 2014 –:
   se non condivida l'esigenza di sbloccare con la massima urgenza i pagamenti della cassa in deroga e della mobilità in deroga per il 2014 nella regione Molise, agevolando le aziende in crisi ed evitando ulteriori licenziamenti di lavoratori.
(4-07314)


   NACCARATO, CAMANI, MIOTTO e NARDUOLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'hotel Caesar, situato nel comune di Montegrotto Terme in via Aureliana, è di proprietà della fondazione Enpam vigilata dal Governo; l'albergo è gestito dalla Hotel Caesar srl, con sede a Montegrotto Terme in via San Mauro 19, e capitale sociale di 10.400 euro, che è fallita nel 2008. La srl ha avuto diversi passaggi di proprietà in tempi recenti. Nel 2002 la famiglia Mioni ha venduto l'80 per cento alla Golden Hotels Italia srl; nel febbraio 2004 i Mioni hanno ceduto un ulteriore 10 per cento alla Golden Hotels Italia srl, il 5 per cento a Maurizio Masuzzo e il 5 per cento a Maurizio Crea. Alla fine del 2004 la Golden Hotels Italia ha ceduto il 90 per cento alla Real Estate Hotels sa. Nel giugno 2008 la Real Estate Hotels sa ha acquistato il 5 per cento di proprietà di Maurizio Masuzzo e il 5 per cento di proprietà di Maurizio Crea. Nel dicembre 2008 è stata iscritta la procedura di fallimento della Hotel Caesar srl. La società ha avuto come amministratore unico dal 2006 fino al fallimento l'allora sindaco del comune di Montegrotto Terme Luca Claudio. Nel bilancio di esercizio 2007 la srl ha dichiarato una perdita di 2.149.232 euro e debiti per 5.447.259 euro;
   Maurizio Masuzzo è stato ed è amministratore di numerose società, tra le quali la Giada srl, con sede a Campofelice di Roccella (Pa). Il tribunale di Termini Imerese nel 2007 e nel 2009 ha disposto, in pregiudizio di Masuzzo, il sequestro preventivo delle quote sociali della Touring Gardenia srl già detenute dalla Giada srl;
   Golden Hotels Italia srl, con sede a Montegrotto Terme in viale stazione 109, e capitale sociale di 50.000 euro, è stata cancellata nel luglio 2009. Anche in questa srl la compagine sociale è cambiata spesso. Nel 2001 i soci storici della famiglia Mioni hanno ceduto il 50 per cento a Maurizio Crea e il 50 per cento a Maurizio Masuzzo. Dal 2006 la società risulta per il 95 per cento di proprietà di Golden Hotels sa, con sede in Lussemburgo in boulevard royal 8, per il 5 per cento di Crea e per il 5 per cento di Masuzzo. Nel giugno 2008 Crea e Masuzzo hanno ceduto le proprie quote a Golden Hotels sa. Nel novembre 2008 è stata eseguita la fusione per incorporazione della srl nella Golden Hotels sa e pertanto Golden Hotels Italia srl è stata cancellata;
   dopo tale data la proprietà ha avuto diverse modifiche: nel novembre 2008, in esecuzione di una sentenza del 2006, Golden Hotels sa ha ceduto la proprietà a ICS srl; il mese successivo ICS ha ceduto il 95 per cento a Poniatowsky invest holding srl e il 5 per cento Giovanni Trianni; nell'aprile 2009 Poniatowsky invest holding srl ha ceduto il 95 per cento a B&B hotels srl;
   ICS srl, con sede a Roma in via Silicone 158 e capitale sociale di 10.200 euro, è stata di proprietà di Blaise Alain Bartoccioni ed è fallita nel 2014;
   Poniatowsky invest holding srl, con sede a Roma in via dei Sergi 7 e capitale sociale di 100.000 euro, è di proprietà per il 99,5 per cento della Ifill srl e per lo 0,5 per cento di Marco Venturini, e ha come amministratore unico Albert Cornia;
   B&B hotels srl, con sede a Hounslow in Gran Bretagna e capitale sociale di 101.000 euro, era di proprietà per il 99,9 per cento della Ifill srl e per l'0,1 per cento di Marco Venturini, ed è stata cancellata dal registro delle imprese nel 2011 per il trasferimento in Gran Bretagna;
   Ifill srl, Bartoccioni e Venturini sono stati coinvolti in diverse indagini giudiziarie e processi per reati connessi al fallimento e alla bancarotta delle società Zanellini spa di Mantova e Neograf di Cuneo –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali verifiche abbia effettuato l'Enpam in occasione dell'affidamento della gestione dell'hotel Caesar alla società Hotel Caesar srl. (4-07324)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XIII Commissione:


   ROMANINI, MAESTRI, BERGONZI e OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il continuo calo del prezzo dello zucchero a livello europeo e le forti eccedenze presenti sul mercato hanno causato un tracollo del prezzo dello zucchero in Italia;
   tale riduzione del prezzo dello zucchero incide fortemente sulla programmazione 2015 le cui condizioni di partenza sono, anche per quest'anno, determinate da quote di produzione definite, un prezzo minimo della materia prima determinato a livello comunitario e un aiuto accoppiato anch'esso fissato a livello comunitario;
   in fase di trattativa fra le parti, lo zuccherificio Eridania Sadam di San Quirico di Trecasali, ha avanzato una proposta ritenuta inadeguata dai produttori di barbabietola da zucchero che operano nel comprensorio sito fra le province di Parma e Piacenza;
   l'azienda ha infatti ipotizzato di vincolare la prossima campagna ad un bacino di approvvigionamento di 13 mila ettari in un raggio di 80 chilometri dallo stabilimento e proporre un prezzo di parte industriale corrispondente a quello minimo previsto dal regolamento comunitario e corrispondente complessivamente a 38 euro/tonnellata considerata una integrazione polpe e un aiuto accoppiato di circa 12 euro/tonnellata;
   la Confederazione generale dei bieticoltori (CGBI), che rappresenta l'80 per cento dei produttori, ha osservato che nel 2014, con un prezzo più alto di 45 euro/tonnellata, le superfici seminate nel raggio di 80 chilometri sono state 7900 ettari e su questa base ha presentato la seguente controproposta: accettazione di un prezzo della materia prima al minimo previsto dal regolamento comunitario e la disponibilità di contratti per una superficie di 10.000 ettari in un bacino di approvvigionamento di 100 chilometri facendosi carico i coltivatori dell'invarianza di costi industriali rispetto al bacino di 80 chilometri richiesto da Eridania;
   il comune di Sissa Trecasali ha convocato giovedì 27 settembre 2014 presso la sede municipale i rappresentanti dei sindacati alimentaristi, delle associazioni bieticolo saccarifere e dello zuccherificio Eridania Sadam per verificare le condizioni per la prossima campagna saccarifera;
   poiché in quella sede è emersa una preoccupante divergenza di vedute tra azienda e bieticoltori, il sindaco di Sissa Trecasali ha scritto al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, a quello dello sviluppo economico e al presidente della regione Emilia Romagna richiedendo la convocazione di un tavolo di crisi, con la presenza di tutti i soggetti coinvolti;
   l'attenzione al tema ha portato a un primo incontro delle parti presso il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il giorno 5 dicembre 2014, nel quale le proposte elaborate dalle associazioni dei bieticoltori sono state valutate positivamente da parte del Ministero;
   il 17 dicembre 2014 è convocato presso il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali il tavolo di filiera, e in quella sede saranno o meno confermate le condizioni per il mantenimento della produzione 2015;
   se non si dovesse trovare a breve un accordo sulle semine verrebbe compromessa la campagna 2015 con un danno enorme al settore agricolo del bacino mettendo i circa 100 lavoratori fissi e 200 stagionali a rischio di perdita di lavoro, con pesanti ripercussioni occupazionali per tutto l'indotto –:
   come il Ministro interrogato intenda farsi parte attiva nella situazione di stallo sopradescritta, condividendo l'obiettivo di mantenere una produzione come quella bieticola che caratterizza l'agricoltura padana e che ha generato risultati importanti per tanti anni o per lo meno evitare che la riduzione del settore bieticolo saccarifero si realizzi prima che il nuovo quadro normativo (cessazione del regime delle quote e dell'aiuto accoppiato) sia operativo. (5-04312)


   GALLINELLA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO, PARENTELA e ROSTELLATO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   è largamente nota la vicenda che ha interessato nel corso degli anni la Federazione italiana dei consorzi agrari — Federconsorzi — ennesimo e riprovevole caso di una gestione principalmente intesa al mantenimento del consenso politico ed elettorale ed articolata intorno ad una fitta rete di rapporti tra politica, banche ed industria che, nonostante il crescente indebitamento della struttura, avrebbe consentito alla dirigenza di provvedere alla redistribuzione degli utili ai propri soci fino al suo completo fallimento;
   le responsabilità di tale cattiva gestione sono ascrivibili anche alle maggiori organizzazioni di categoria, tra cui Coldiretti e Confagricoltura, che, in linea con gli orientamenti del partito di cui erano espressione fin dal dopoguerra, trasformarono di fatto lo scopo mutualistico della Federconsorzi in quello che appare agli interroganti mero assistenzialismo volto ad erogare fondi ai soci consorziati in cambio del loro sostegno politico e a prezzo del depauperamento della casa madre;
   tra le cause indicate dai giudici fallimentari nella sentenza di omologazione del concordato preventivo adottata nel 1992, figurano infatti l'erogazione di crediti ai consorzi senza alcuna valutazione del rischio insolvenza e quindi gli oneri derivanti dalla eccessiva esposizione bancaria, oltre alla utilizzazione antieconomica del patrimonio con conseguenti implicazioni sia sul reddito di esercizio che sul valore di scambio;
   ad oltre 20 anni dal disfacimento, è ancora pendente nei confronti del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali il contenzioso relativo ai crediti derivanti dalla rendicontazione della gestione degli ammassi dei prodotti agricoli, funzione che Federconsorzi svolgeva per conto dello Stato;
   la corte di appello di Roma nel 2010 ha provveduto a definire le modalità di calcolo degli interessi sui suddetti crediti, già decretati esigibili;
   si sono diffuse indiscrezioni circa un'iniziativa volta a rendere Federconsorzi unico creditore dei circa 400 milioni di euro che lo Stato deve ai consorzi agrari per le gestioni di ammasso obbligatorio e commercializzazione dei prodotti agricoli nazionali nonostante tale somma possa essere destinata ad altri utilizzi più necessari al comparto primario –:
   di quale ulteriore elemento disponga il Ministro in relazione a quanto espresso in premessa e se non ritenga di dover escludere qualsiasi iniziativa atta a favorire la ripresa delle attività di Federconsorzi. (5-04313)


   CAON. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Cassa nazionale di assistenza e previdenza allenatori e guidatori trotto e allenatori e fantini da galoppo, fondata nel 1968, ha come scopo quello di assistere i professionisti ippici durante e al termine della propria attività soprattutto in ragione delle condizioni usuranti delle attività svolte;
   attualmente sono iscritte alla Cassa circa 420 persone e sono assistite 267, di cui 103 ultraottantenni e 16 ultranovantenni che a tutt'oggi non percepiscono il sussidio, che a causa della mancanza di fondi dovuta alla minor contribuzione corrisposta a partire dal 2007 da ex UNIRE e ex ASSI sono scesi da 500 a 410 euro lordi e da 300 a 246 euro per i superstiti;
   l'UINIRE e poi l'ASSI avevano il compito di contribuire finanziariamente affinché la Cassa potesse disporre di sufficienti risorse economiche per assolvere alle sue finalità, anche in ragione di disposizioni di legge che prevedevano, appunto, tra i compiti di UNIRE quello di promuovere iniziative previdenziali ed assistenziali a favore dei lavoratori dell'ippica;
   nel 1997 il Consiglio di Stato definiva legittima la contribuzione nei confronti della Cassa affermando che poteva essere, addirittura, aumentata in misura dei tassi annui di svalutazione monetaria;
   con il decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, si disponeva la soppressione dell'ASSI, subentrata nel 2011 all'UNIRE, e con decreti di natura non regolamentare del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali adottati di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, si stabiliva che si ripartissero tra il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e l'Agenzia delle dogane e dei monopoli le funzioni attribuite ad ASSI dalla normativa vigente, e le relative risorse umane, strumentali e finanziarie nonché i relativi rapporti attivi e passivi;
   fino all'adozione del suddetto decreto il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali veniva autorizzato a delegare uno o più dirigenti per lo svolgimento delle attività di ordinaria amministrazione, comprese le operazioni di pagamento e riscossione a valere sui conti correnti già intestati all'ASSI;
   successivamente il decreto ministeriale del 31 gennaio 2013 recava il trasferimento delle funzioni e delle risorse dell'ex ASSI al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali all'Agenzia delle dogane e dei monopoli;
   in occasione di un precedente question time in Commissione dell'interrogante (n. 5/01451), svolto nel novembre 2013, il sottosegretario Castiglione rispondeva che le difficoltà incontrate dall'UNIRE prima e dall'ASSI dopo nel corrispondere regolarmente alla Cassa il contributo che le spetta risiedono esclusivamente nelle condizioni di criticità finanziaria. Inoltre, comunicava che l'ostacolo al versamento del contributo in favore della Cassa fosse rappresentato dalle obiezioni mosse dall'organo di controllo (UCB) sulla legittimità del contributo e per questo i due decreti, del maggio e dell'agosto 2013 vennero restituiti dall'UCB senza essere registrati e per approfondimenti in ordine ad un eventuale contrasto con il principio sancito dall'articolo 26 del decreto legislativo n. 33 del 2013 sulla pubblicità dei criteri cui devono attenersi le amministrazioni pubbliche nell'erogare contributi finanziari. Infine, il sottosegretario affermava che l'effettiva erogazione degli importi da destinare a favore della Cassa fosse condizionata alla normalizzazione delle procedure e dei tempi per il pagamento dei premi e che la problematica della sostenibilità della Cassa dovesse essere affrontata e risolta;
   con la legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014) veniva autorizzato il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ad utilizzare i conti correnti intestati all'ASSI per le operazioni di pagamento e riscossione inerenti alle competenze trasferite, compresi i contributi assistenziali da versare alla Cassa nazionale di assistenza e previdenza allenatori e guidatori trotto e allenatori e fantini da galoppo;
   a tutt'oggi all'interrogante non risulta che il Ministero delle politiche agricole e alimentari e forestali abbia provveduto all'erogazione delle somme dovute in favore della Cassa nazionale di assistenza e previdenza –:
   per quali motivi non si sia ancora provveduto e quali provvedimenti intenda adottare per far fronte alla situazione di grave emergenza in cui versano gli assistiti della Cassa a causa del mancato versamento di quanto dovuto per parte ministeriale. (5-04314)


   ZACCAGNINI e FRANCO BORDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il sistema agroalimentare italiano è una delle più importanti risorse da salvaguardare e potenziare, non solo perché è il settore destinato alla produzione di alimenti, ma anche perché rappresenta un patrimonio unico di valori e tradizioni, di cultura e qualità; a partire da questa considerazione appare necessario, a fronte di una globalizzazione alimentare che impone standard di competitività molto alti, che il nostro Paese sappia far leva sulle peculiarità originali delle sue produzioni agroalimentari, esaltando i tratti della tipicità, della genuinità, del legame inscindibile col territorio; anche in vista dell'Expo 2015 che ha come tema il cibo: «Nutrire il Pianeta energia per la vita»;
   la produzione agroalimentare necessita, in tal senso, di una maggiore tutela che può avvenire solo puntando sulla qualità, sulla tracciabilità degli alimenti e sull'ampliamento delle informazioni ai consumatori, anche al fine di contrastare il dilagare delle pratiche commerciali sleali nella presentazione degli alimenti stessi. A tal fine, sono di fondamentale importanza l'etichettatura degli alimenti e le indicazioni che in essa sono riportate;
   tale regolamentazione in tema di etichettatura ha trovato una sua attuazione nel nuovo regolamento (UE) n. 1169/2011, basato proprio sulla necessità di migliorare l'informazione e la tutela del consumatore, regolamento entrato in vigore dal 12 dicembre 2011; la nuova disciplina si sta applicando in più passaggi: dapprima sulle carni macinate; a partire dal 13 dicembre 2014 sono applicati tutti i nuovi contenuti del regolamento, ad esclusione dell'obbligo delle indicazioni nutrizionali; infine, a partire dal 13 dicembre 2016 si applicheranno anche le disposizioni relative all'obbligo delle indicazioni nutrizionali; tuttavia, le indicazioni nutrizionali riportate sulle etichette, su base facoltativa tra il 13 dicembre 2014 e il 13 dicembre 2016 dovranno essere conformi alle disposizioni del nuovo regolamento;
   il regolamento (UE) n. 1169/2011 entrato in vigore, anche nel nostro Paese, il 14 dicembre 2014, è una norma che riguarda, nello specifico vari campi di applicazione, dalla provenienza delle materie prime a indicazioni più chiare e leggibili in etichetta; tuttavia anche a fronte di misure sicuramente migliorative, in prima battuta la sua attuazione danneggia i piccoli produttori e in particolare i prodotti di nicchia e di alta qualità italiani. Non sarà, infatti, necessario indicare l'origine dei prodotti o perlomeno non di tutti, la normativa restringe il suo campo sull'indicazione obbligatoria del Paese d'origine o del luogo di provenienza solo per i seguenti alimenti:
    a) i tipi di carni diverse dalle carni bovine e diverse dalle carni fresche, refrigerate o congelate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili;
    b) il latte;
    c) il latte usato quale ingrediente di prodotti lattiero-caseari;
    d) gli alimenti non trasformati;
    e) i prodotti a base di un unico ingrediente;
    f) gli ingredienti che rappresentano più del 50 per cento di un alimento;
   ai sensi dell'articolo 26 del regolamento (UE) 1169/2011, l'indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza è obbligatorio nel caso in cui l'omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al Paese d'origine o al luogo di provenienza reali dell'alimento, in particolare se le informazioni che accompagnano l'alimento o contenute nell'etichetta nel loro insieme potrebbero altrimenti far pensare che l'alimento abbia un differente paese d'origine o luogo di provenienza;
   il legislatore nazionale, con la legge n. 4 del 3 febbraio 2011, in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari, ha attribuito specifico rilievo all'indicazione del luogo di origine, elemento di distinzione e pregio del prodotto made in Italy nonché di competitività economica, incentrando il dispositivo normativo sulla necessità del legame fra il prodotto ed il territorio. Gli articoli 4 e 5 della legge n. 4 del 3 febbraio 2011, dispongono l'obbligo, per i prodotti alimentari posti in commercio, di riportare nell'etichetta anche l'indicazione del luogo di origine o di provenienza;
   l'articolo 39 del regolamento (UE) n. 1169/2011, stabilisce che, oltre alle indicazioni obbligatorie (articolo 9, paragrafo 1, e articolo 10), gli Stati membri possono adottare, previa comunicazione alla Commissione europea, disposizioni che richiedono ulteriori indicazioni obbligatorie per tipi o categorie specifici di alimenti per almeno uno dei seguenti motivi:
    a) protezione della salute pubblica;
    b) protezione dei consumatori;
    c) prevenzione delle frodi;
    d) protezione dei diritti di proprietà industriale e commerciale, delle indicazioni di provenienza, delle denominazioni d'origine controllata e la repressione della concorrenza sleale;
   ai sensi dell'articolo 45 del regolamento n. 1169/2011, gli Stati membri che ritengono necessario adottare nuova normativa in materia di informazioni sugli alimenti notificano previamente alla Commissione europea e agli altri Stati membri le disposizioni previste, precisando i motivi che le giustificano –:
   se il Ministro interrogato non reputi, nell'ambito della procedura di adozione dei decreti attuativi in materia di etichettatura degli alimenti, obbligatori per dare attuazione al nuovo regolamento europeo, nell'ottica della legge n. 4 del 3 febbraio 2011, di fornire opportuna argomentazione in sede europea sulla necessità di rendere obbligatorio il luogo di origine in etichetta per i prodotti made in Italy così come stabilito degli articoli 26, 39 e 45 del regolamento (UE) n. 1169/2011, già entrato in vigore in data 14 dicembre 2014 e, contestualmente, se non reputi di farsi portavoce nel dibattito europeo della necessità di indicare il luogo di origine per tutti gli altri Paesi membri dell'Unione. (5-04315)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   GALGANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 10 luglio 2014 è stata siglata tra Governo e Regioni l'intesa con la quale si è approvato il documento «Patto per la salute 2014-2016»;
   all'articolo 6 dell'accordo (assistenza socio-sanitaria) viene stabilito che «le relative prestazioni “sono effettuate nei limiti delle risorse previste” (comma 1); “le Regioni disciplinano i principi e gli strumenti per l'integrazione dei servizi e delle attività sanitarie, socio-sanitarie e sociali, particolarmente per le aree della non autosufficienza, della disabilità, della salute mentale adulta e dell'età evolutiva, dell'assistenza ai minori e delle dipendenze e forniscono indicazioni alle Asl ed agli altri enti del sistema sanitario regionale per l'erogazione congiunta degli interventi, nei limiti delle risorse programmate per il Servizio sanitario regionale e per il Sistema dei servizi sociale per le rispettive competenze” (comma 2); “le Regioni si impegnano ad armonizzare i servizi socio sanitari, individuando standard minimi qualificanti di erogazione delle prestazioni socio sanitarie che saranno definite anche in base al numero e alla tipologia del personale impiegato” (comma 8);
   la tutela della salute rappresenta un diritto fondamentale, sancito dell'articolo 32 della Costituzione;
   lo Stato, ex articolo 117 della Costituzione, ha legislazione esclusiva in materia di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»; la legge n. 833 del 1978 istitutiva del Servizio sanitario nazionale stabilisce che esso debba assicurare «la diagnosi e la cura degli eventi morbosi quali ne siano le cause, la fenomenologia e la durata» (articolo 2) e che esso opera «nei confronti di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio» (articolo 1);
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, richiamato dall'articolo 54 della legge n. 289 del 2002, sono stati definiti i livelli essenziali di assistenza (Lea) delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie;
   nella sentenza n. 509 del 2000 la Corte costituzionale ha precisato che il diritto alle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie «è garantito ad ogni persona come un diritto costituzionalmente condizionato all'attuazione che il legislatore ne dà attraverso il bilanciamento dell'interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti [...]. Bilanciamento che, tra l'altro, deve tenere conto dei limiti oggettivi che il legislatore incontra in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone, restando salvo, in ogni caso, quel nucleo irriducibile alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana [...], il quale impone di impedire la costituzione di situazioni prive di tutela, che possano appunto pregiudicare l'attuazione di quel diritto»;
   in una recente pronuncia del 2013 (sentenza n. 36), la Corte costituzionale ha precisato che «l'attività sanitaria e socio-sanitaria a favore di anziani non auto sufficienti è elencata tra i livelli essenziali di assistenza sanitaria dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001». Nella stessa sentenza, la Corte costituzionale ha definito non autosufficienti le «persone anziane o disabili che non possono provvedere alla cura della propria persona e mantenere una normale vita di relazione senza l'aiuto determinante di altri»;
   la limitazione delle prestazioni socio-sanitarie alle risorse previste viola a giudizio dell'interrogante il principio della tutela della salute espresso dalla Costituzione e dalle leggi vigenti in materia di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie;
   l'assegnazione alle regioni del compito di disciplinare «i principi e gli strumenti per l'integrazione dei servizi e delle attività sanitarie, socio-sanitarie e sociale» e di individuare «standard minimi qualificanti di erogazione delle prestazioni socio sanitarie» contrasta con l'esclusiva titolarità dello Stato nella definizione dei livelli essenziali delle prestazioni;
   le suddette disposizioni del patto per la salute annullano di fatto il diritto alle cure sanitarie e socio sanitarie per milioni di concittadini malati e/o colpiti da handicap gravemente invalidante, introducendo una inaccettabile discriminazione non solo fra i malati acuti e quelli cronici non autosufficienti, ma anche fra malati autosufficienti e malati non autosufficienti colpiti da analoghe patologie acute;
   mediante tali provvedimenti si introduce un elemento di discrezionalità nell'attività del medico che può determinare l'accesso o meno alle cure per un paziente in funzione della sua classificazione come malato necessitante dell'assistenza socio-sanitaria limitata alla disponibilità di risorse anziché di quella sanitaria non vincolata alla quantità di risorse disponibili;
   la risoluzione n. 8-00191 (approvata all'unanimità dalla Commissione affari sociali della Camera dei deputati l'11 luglio 2012), prevedeva di adottare le iniziative necessarie per assicurare la corretta attuazione e la concreta esigibilità delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie previste dai livelli essenziali di assistenza (Lea) alle persone con handicap invalidanti, agli anziani malati cronici non auto sufficienti, ai soggetti colpiti dal morbo di Alzheimer o da altre forme neurodegenerative e di demenza senile e ai pazienti psichiatrici, assicurando loro l'erogazione delle prestazioni domiciliari, semiresidenziali e residenziali –:
   se non ritenga opportuno dare tempestiva attuazione agli impegni presi attraverso l'ordine del giorno n. 9/02679-bis-A/088, accolto dalla Camera nella seduta n. 342 del 30 novembre 2014, tenendo conto della risoluzione n. 8-00191 approvata e citata in premessa, anche prendendo in considerazione una revisione dell'articolo 6 del «Patto per la salute 2014-2016», che non è più in grado di assicurare livelli essenziali garantiti per tutti su tutto il territorio nazionale, così come previsto dall'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. (3-01234)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GAGNARLI, L'ABBATE, GALLINELLA, ROSTELLATO e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la costrizione in gabbie di dimensioni estremamente ridotte è una costante degli allevamenti intensivi, ed è una delle principali cause di sofferenze per gli animali che vi sono rinchiusi. La problematica non riguarda solo gli allevamenti di polli e galline ovaiole, più noti, ma tocca anche oche, scrofe ed animali destinati alla produzione di pellami, come i visoni, oltre che i conigli;
   il caso dei conigli tocca più da vicino il nostro Paese, in quanto l'Italia è il principale Paese produttore mondiale, dopo la Cina, con circa 175 milioni di esemplari allevati ogni anno (fonte Faostat), quasi esclusivamente in batteria;
   la Ciwf International, associazione che si occupa di benessere animale, ha lanciato una campagna su scala internazionale intitolata «End the Cage Age», ovvero stop all'era delle gabbie, con l'obiettivo di vietare in Europa l'utilizzo delle gabbie in zootecnia, considerandole anacronistiche ed obsolete e causa di sofferenze inutili per gli animali. La branca italiana dell'Associazione ha deciso di accendere i riflettori proprio sugli allevamenti di conigli, pubblicando una inchiesta sugli allevamenti cunicoli intensivi in Italia;
   l'inchiesta della Ciwf Italia ha rivelato che, in quasi tutti gli allevamenti intensivi visitati, i conigli vivono tutta la loro vita in gabbie reticolate non più grandi di una scatola di scarpe, ammassati, senza poter esprimere i propri comportamenti naturali, come muoversi o saltare. Anche le condizioni igieniche di molti degli allevamenti visitati sono risultate pessime: luoghi sudici, con accumuli di escrementi misti a pelo sotto le gabbie, aria irrespirabile, presenza di flaconi vuoti di antibiotici, in alcuni casi anche conigli morti non rimossi. Tali condizioni provocano malattie ai conigli, con aree diffuse di alopecia, infiammazioni agli occhi, sintomi di gravi infezioni alle orecchie e, a volte, piaghe purulente;
   in Belgio e Germania, fanno notare gli esperti del Ciwf, sono stati sviluppati metodi di allevamento alternativi alla gabbia, in cui i conigli possono esprimere buona parte dei loro comportamenti naturali. Si parla, ad esempio, di aree coperte in cui i conigli hanno anche piattaforme su cui saltare, tini in cui nascondersi e un pavimento di plastica che, diversamente dalla griglia delle gabbie, non ferisce le loro zampe. Questo consente di evitare l'utilizzo preventivo degli antibiotici e di somministrare farmaci solo agli animali effettivamente ammalati, che in queste condizioni sono una quota nettamente inferiore. Alcuni supermercati tedeschi, stanno persino adottando sistemi di allevamento cunicolo a terra e all'aperto –:
   se il Governo intenda rendersi promotore di una sensibilizzazione a livello europeo delle condizioni di allevamento in gabbia dei conigli, indicando i sistemi di Belgio e Germania come alternative praticabili e promuovendo un graduale passaggio ai sistemi di allevamento alternativi alla gabbia, anche attraverso incentivi economici o defiscalizzazioni. (5-04302)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  La interrogazione a risposta in Commissione Cenni e altri n. 5-04288, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Dal Moro.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Cenni n. 5-04288, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 350 del 16 dicembre 2014.

   CENNI, MARIANI, TERROSI, ARLOTTI, TARICCO, PRINA, ZANIN, TENTORI, OLIVERIO e DAL MORO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il nostro Paese è caratterizzato da una cospicua copertura forestale stimata attorno al 37 per cento del territorio nazionale;
   questo capitale naturalistico è quindi tuttora una fondamentale risorsa in termini di contenuto di carbonio, di biomassa, di salvaguardia del territorio, e pertanto richiede una oculata gestione;
   le foreste e la loro manutenzione rappresentano un fronte di impegno fondamentale per più ragioni (climatiche, ambientali, di difesa idrogeologica, occupazionali, turistiche);
   la nuova Strategia forestale dell'Unione europea, pubblicata nel 2013 dalla Commissione europea e che aggiorna quella del 1998, pone al centro del mantenimento degli ecosistemi, la multifunzionalità delle foreste nel pieno rispetto della sostenibilità ambientale;
   la manutenzione dei boschi italiani trova fondamento giuridico in una complessa articolazione di norme nazionali e regionali evolutesi in funzione dei mutati assetti istituzionali che hanno interessato il vasto comparto del mondo rurale, ed in modo particolare delle regioni che hanno prevalentemente adottato strumenti di programmazione quali i piani forestali regionali;
   nel nostro Paese, per circa 65.000 addetti ai lavori di sistemazione idraulico forestale si pone dal 31 dicembre 2012 il tema del rinnovo contrattuale;
   fino al rinnovo del precedente Ccnl (2010/2012), capofila della componente datoriale pubblica, era l'Uncem (Unione nazionale delle comunità enti montani) delegata dalle regioni;
   a seguito delle trasformazioni o delle soppressioni delle comunità montane, l'Uncem, da gennaio 2011, ha avviato un processo di integrazione con Anci, trasformandosi in Unione nazionale comuni comunità enti montani;
   a tale integrazione non ha però fatto seguito alcuna formalizzazione della delega di rappresentanza alla nuova forma, di cui sopra, da parte delle regioni, e pertanto non risulta ad oggi noto quale soggetto possa utilmente sedere ai tavoli della contrattazione a nome delle istituzioni con funzioni di firma;
   la situazione è stata segnalata e formalizzata con numerosi atti:
    lettera delle sigle sindacali di settore ai Ministri pro tempore De Girolamo, Orlando, Trigilia, Giovannini, in data 18 luglio 2013;
    lettera al capo del Corpo forestale dello Stato l'8 ottobre 2014;
    nota di Flai Cgil, Fai Cisl, Uila Uil, trasmessa al Presidente nazionale dell'Anci ed al presidente della Conferenza delle regioni, in data 24 ottobre 2014;
    nota delle medesime organizzazioni ai Ministri pro tempore Martina e Galletti, nonché per conoscenza al capo del Corpo forestale dello Stato Patrone;
    il 28 ottobre 2014, Anci ha risposto alle sigle sindacali, circa l'impossibilità per Uncem di poter continuare ad essere il rappresentante degli enti datoriali «considerato che l'attività forestale, in relazione ai programmi, ai progetti, alle risorse, risulterebbe in capo alle Regioni»;
    il 19 novembre 2014 si è svolto un incontro con il capo del Corpo forestale dello Stato Patrone anche allo scopo di conoscere quali prospettive attendano gli operai dipendenti del Corpo forestale dello Stato ed operanti negli UTB, anche alla luce delle ipotesi di riordino del Corpo forestale dello Stato;
    in più occasioni è stato richiesto di riattivare il tavolo interistituzionale ed interministeriale che nell'ottobre 2012 fu istituito dall'allora Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, allo scopo di avere una governance condivisa del settore forestale e di prefigurare il varo di un piano della filiera del legno in coerenza con i contenuti del programma quadro settore forestale;
    il 29 novembre 2014 si è svolta una mobilitazione unitaria dei lavoratori forestali per sollecitare le risposte ai temi sopra richiamati –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione e quali siano i loro orientamenti circa il rinnovo del Ccnl del settore e circa la rappresentanza datoriale;
   se sia intenzione dei Ministri interrogati riattivare il tavolo interministeriale richiamato in premessa;
   se sia intenzione dei Ministri interrogati rilanciare le politiche forestali del Paese anche aggiornando il piano forestale nazionale. (5-04288)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore:
   Interrogazione a risposta immediata in Assemblea Bosco n. 3-01225 del 16 dicembre 2014.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BASILIO, CORDA, RIZZO, PAOLO BERNINI, FRUSONE, ARTINI, TOFALO, CHIMIENTI, LUPO, BENEDETTI, CRISTIAN IANNUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, TACCONI, DEL GROSSO, GRANDE, SPADONI, DI BATTISTA, MANLIO DI STEFANO, BRESCIA e DALL'OSSO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da diversi organi di stampa si apprende la vicenda della dottoressa Barbara Balanzoni, che in qualità di ufficiale medico ha prestato servizio nella Riserva selezionata presso il ROLE 1 della base militare italiana «Villaggio Italia» in Kosovo e che verrà processata il 7 febbraio 2014 – sempre secondo gli organi di stampa – con l'accusa di disobbedienza aggravata e continuata;
   il 23 dicembre 2013 l'ufficio stampa del Ministero della difesa diramava un comunicato dal titolo «Tenente Barbara Balanzoni. Precisazioni». In esso si legge: «in merito ai recenti articoli di stampa relativi all'imminente processo a carico di Barbara Balanzoni, Ufficiale della Riserva Selezionata e alle presunte ragioni del suo rinvio a giudizio, si precisa che le imputazioni contestate al succitato Ufficiale riguardano i reati di “diffamazione e ingiuria aggravata e continuata” nei confronti di inferiori gerarchici. Non risultano, allo stato, altri addebiti contestati alla militare, di qualsivoglia natura. Titolare del procedimento è la Procura Militare di Roma; il processo sarà celebrato il 7 febbraio 2014 presso il Tribunale Militare di Roma»;
   i fatti dal quale nasce questo rinvio a giudizio del tenente Balanzoni sembrano essere imputabili esclusivamente ad un suo sensibile e tempestivo intervento per salvare una gatta rifugiatasi sotto una struttura prefabbricata in un'area riservata del compound italiano;
   il gesto, sarebbe contrario al regolamento ed è stato inopinatamente punito con cinque giorni di consegna e risulta fra i capi di accusa di cui dovrà rispondere al processo militare che la vede imputata;
   al riguardo l'articolo 1361 del Codice dell'ordinamento militare che disciplina la sanzione della consegna appare formulato in maniera generica in quanto, nell'affermare che sono punite le violazioni dei doveri diversi da quelli previsti dall'articolo 751 del regolamento, attribuisce una eccessiva discrezionalità nella valutazione delle singole condotte, in contrasto con il principio di tipicità che deve caratterizzare non solo le norme penali ma anche le norme che prevedono l'applicazione di sanzioni disciplinari;
   piuttosto, il comportamento in concreto tenuto dalla dottoressa Balanzoni appare conforme alle norme di comportamento e di servizio previste dal Capo II, sezione I, del Codice dell'ordinamento militare (decreto legislativo n. 66 del 2010) che, tra l'altro, all'articolo 732, impone al militare di tenere in ogni circostanza una condotta esemplare a salvaguardia del prestigio delle Forze armate e di prestare soccorso a chiunque versi in pericolo o abbisogni di aiuto;
   la dottoressa Balanzoni aveva mostrato già in precedenza la sua sensibilità mettendo in contatto l'Esercito Italiano e l'Ente nazionale protezione animali, contribuendo così alla salvezza e all'adozione di diversi animali nelle zone in cui le nostre truppe erano impegnate in missioni di pace, in Kosovo e in Afghanistan, con un'azione che ha contribuito a dare lustro e risonanza internazionale all'azione delle nostre Forze armate –:
   se il Ministro non ritenga necessario assumere iniziative dirette ad apportare le necessarie modifiche normative anche al fine di evitare che vengano sanzionati comportamenti di personale militare finalizzati a soccorrere animali anche in considerazione che l'Italia ha aderito al Trattato di Lisbona che, all'articolo 13, definisce gli animali come «esseri senzienti»;
   se non intenda riconoscere, altresì, il valore del gesto della dottoressa Balanzoni che ha contribuito a dare rilievo all'azione e all'immagine dell'Esercito italiano quale ambasciatore di pace nelle missioni internazionali. (4-03173)

  Risposta. — Sulle questioni oggetto dell'interrogazione in esame il Governo ha già avuto modo di riferire dinanzi alla 4a Commissione difesa del Senato, in data 6 febbraio 2014, in risposta ad un'interrogazione orale a firma della senatrice Amati (n. 3-00610).
  In tale occasione era stata posta nella dovuta evidenza la circostanza che i reati contestati alla dottoressa Balanzoni si riferivano a una vicenda giudiziaria più complessa di quanto rappresentato nell'atto e riportato dalle stesse agenzie giornalistiche e che l'autorità giudiziaria, all'epoca, stava indagando per accertare la fondatezza della sussistenza di fattispecie criminose ben determinate in capo all'interessata.
  Con sentenza depositata in cancelleria in data 18 febbraio 2014, il tribunale militare di Roma ha successivamente assolto l'interessata dal reato di «disobbedienza aggravata continuata» disponendo, al contempo, la separazione dei processi relativamente ai reati di «diffamazione aggravata» e di «ingiuria aggravata e continuata».
  Dagli stessi atti processuali, pertanto, si evince che il rinvio a giudizio della dottoressa Balanzoni non è stato disposto in ragione di «un suo sensibile e tempestivo intervento per salvare una gatta rifugiatasi sotto una struttura prefabbricata in un'area riservata del compound italiano», ma ha trovato fondamento in condotte ritenute riconducibili a fattispecie di reato su cui si dovrà attendere la pronuncia giudiziale.
  Quanto, poi, all'ulteriore questione evidenziata, relativa alla formulazione dell'articolo 1361 del Codice dell'ordinamento militare (COM), va osservato che esso si è rivelato – e tale è stato ritenuto anche dal giudice amministrativo in sede di contenziosi – adeguato a consentire una valutazione appropriata dei comportamenti e delle condotte punibili con la consegna semplice, secondo il principio di tassatività di cui all'articolo 1353 del COM, stabilendo che siano soggette a tale sanzione le violazioni dei doveri diversi da quelli previsti dall'articolo 751 del Testo unico dell'ordinamento Militare (TUOM), perseguibili con la consegna di rigore e puntualmente elencati, la recidiva delle mancanze perseguibili con il rimprovero, nonché le più gravi trasgressioni alle norme della disciplina e del servizio.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   BERGAMINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con la pubblicazione della legge 27 dicembre 2013 n. 147 (legge di stabilità per il 2014) sono state rese effettive le procedure per il rinnovo della composizione del Comitato centrale per l'Albo degli autotrasportatori, che introduce i nuovi requisiti d'ingresso delle associazioni e definisce le nuove regole di rappresentanza delle categorie all'interno delle istituzioni;
   a tal fine è stato predisposto il decreto dirigenziale prot. n. 213 del 30 dicembre 2013, che assegna il termine di 30 giorni decorrenti dalla stessa data del decreto, entro il quale le Associazioni nazionali di categoria dell'autotrasporto, interessate ad ottenere l'accreditamento presso il suindicato Comitato, devono trasmettere la relativa istanza e la documentazione attestante il possesso dei requisiti di cui all'articolo 10 del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 284 e successive modifiche e integrazioni;
   Transfrigoroute Italia Assotir, rappresenta una importante Associazione di categoria degli autotrasportatori, che opera in modo continuativo a livello nazionale, ed include 774 imprese di autotrasporto, operanti nella logistica, trasporto merci e spedizione, regolarmente iscritte all'Albo degli autotrasportatori;
   in ottemperanza a quanto disposto dall'articolo 1 comma 3, del suindicato decreto dirigenziale, la suddetta Associazione ha inviato lo scorso 28 gennaio 2014 (pertanto entro i termini regolamentari previsti), il carteggio necessario, ai fini della verifica dei titoli per l'iscrizione presso il Comitato in precedenza esposto, considerando tra l'altro, la nota aggiuntiva dei chiarimenti prot. n. 692 del 13 gennaio 2014, sul corretto modo di intendere gli adempimenti che le associazioni di categoria dell'Autotrasporto di merci devono porre in essere, per dimostrare il possesso dei requisiti di cui all'articolo 1, comma 1, del medesimo decreto dirigenziale;
   l'interrogante segnala tuttavia come, nonostante la dettagliata e specifica documentazione presentata dall'associazione transfrigoroute Italia Assotir, alla direzione generale per il trasporto stradale e per l'intermodalità presso il Ministro interrogato, l'istanza per ottenere l'accreditamento presso il Comitato centrale dell'Albo degli autotrasportatori, sia stata respinta in quanto il contratto collettivo sottoscritto in data 23 gennaio 2014, con la Federazione autonoma sindacati dei trasporti FAST/CONFSAL, non rientra nella categoria dei rinnovi del contratto collettivo nazionale di lavoro logistica, trasporto merci e spedizione come espressamente previsto dalla legge 27 dicembre 2013 n. 147, configurandosi piuttosto, come una tipologia di contratto nuovo;
   la medesima nota ministeriale ha rilevato altresì come il suindicato contratto, risulti comunque sottoscritto in data successiva all'entrata in vigore della stessa legge di stabilità per il 2014;
   in ordine al rigetto da parte della suddetta Direzione generale, l'interrogante evidenzia come, attraverso una particolareggiata analisi dell'atto di reiezione, l'associazione interessata, ha espresso una serie di fondate perplessità interpretative, sia con riguardo alla mancata inclusione nella categoria dei rinnovi del CCNL logistica, trasporto e spedizione, che con riferimento alla sottoscrizione avvenuta oltre i termini previsti;
   quanto al primo profilo di criticità, Transfrigoroute Italia Assotir, rileva infatti, come la norma indicata dal comma 92 dell'articolo unico della legge 27 dicembre 2013, n. 147 non può non suscitare dubbi interpretativi, in considerazione dell'evidente mancanza di un opportuno coordinamento dei criteri previsti dalla disposizione legislativa;
   l'assunto secondo il quale, l'amministrazione non riconosce il possesso del requisito in questione alle associazioni, che non abbiano rinnovato un precedente accordo collettivo, ma abbiano stipulato direttamente un nuovo CCNL sul presupposto che la norma richieda espressamente la sottoscrizione di un accordo di rinnovo del predetto contratto, appare infatti all'interrogante connotato da evidenti dubbi di legittimità;
   la dizione letterale della suindicata disposizione, desta interpretazioni ambigue in considerazione che non appare chiaro se la parte fondante del precetto sia costituita dalla verifica sulla sostanziale sottoscrizione di un contratto collettivo nazionale, risultando quindi meramente residuale la circostanza, che si tratti di un nuovo contratto o del rinnovo di un contratto già in essere;
   appare inoltre scarsamente comprensibile, se la parola: «rinnovi», sia stata utilizzata in modo non tecnico, per individuare comunque la sottoscrizione di un contratto collettivo, oppure se il legislatore abbia voluto effettivamente limitare al riconoscimento del requisito solo a favore di chi abbia partecipato al contratto in essere;
   in quest'ultima ipotesi, ci si sarebbe dovuto domandare a quale concreta fattispecie il legislatore avrebbe realisticamente fatto riferimento, posto che in realtà quello che vengono comunemente denominati come rinnovi dei contratti collettivi, non possiedono tale caratteristica, trattandosi a tutti gli effetti della sottoscrizione di nuovi contratti, spesso stipulati decorso un lungo periodo della scadenza del precedente e contenenti clausole normative ed economiche diverse da quelle precedentemente pattuite;
   ulteriore profilo di criticità si riscontra, nell'ambito della dizione letterale della norma che indica genericamente un accordo di rinnovo: «del contratto collettivo nazionale del comparto della logistica, trasporto e servizi», non specificando con esattezza a quale contratto la stessa faccia riferimento, in considerazione che l'ordinamento giuridico non contempla l'esistenza di un unico contratto collettivo nazionale di un comparto, al quale conferire efficacia erga omnes;
   l'interrogante evidenzia altresì, come la sequenza di dubbi interpretativi derivanti dalla formulazione, sia della norma prevista dal comma 92 dell'articolo unico della legge 27 dicembre 2014, n. 147 (legge di stabilità per il 2014), che di quanto indicato dal decreto dirigenziale del 30 dicembre 2013, n. 213, espressi dall'Associazione Transfrigoroute Italia Assotir, rilevano come l'amministrazione del Ministero interrogato, avrebbe dovuto predisporre con maggiore attenzione e chiarezza la formulazione delle norme interessate ed in precedenza esposte, proprio in funzione della confusione determinatasi nell'applicazione del solo criterio letterale, da cui derivano effetti giuridici che si pongono in palese contrasto con il principio di ragionevolezza delle norme legislative, che costituisce corollario del diritto di uguaglianza, tutelato in via primaria dall'articolo 3 della Costituzione;
   in forza del suddetto principio costituzionale, le disposizioni normative debbono risultare adeguate e congruenti rispetto al fine perseguito, mentre così come risulta dalle osservazioni in precedenza esposte, si dimostrano essere in palese violazione del dettato costituzionale, generando una contraddizione all'interno del compendio normativo in cui sono inserite;
   il provvedimento di diniego emesso dall'Amministrazione, risulta pertanto gravemente viziato, poiché il pedissequo rispetto del testo letterale, determina una irragionevole situazione discriminatoria tra i soggetti che vantano in medesimo requisito, ovvero quello di aver sottoscritto un contratto nazionale collettivo del comparto, sia esso una prima stipula, ovvero il rinnovo di un contratto in essere;
   la disparità di trattamento che, secondo i rilievi espressi dalla medesima Associazione di autotrasporto, si configura in maniera ancora più grave, se si considera come la stessa, sia venuta a conoscenza della sottoscrizione del nuovo contratto collettivo con FAST/CONFSAL, al fine di garantirne le migliori clausole contrattuali a favore dei propri associati;
   una corretta azione amministrativa, non poteva quindi prescindere dall'analisi della norma sulla base della ratio, che ha determinato il legislatore a stabilirla, ovvero ricercare la finalità sociale o economica della norma stessa attraverso l'analisi logico sistematica dell'intero compendio normativo in cui essa è inserita;
   a tal riguardo, segnala l'Associazione, non vi è alcun dubbio che la norma in esame rientri all'interno di un più ampio complesso di disposizioni dettate dall'articolo 10, comma 1, lettera f) del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 284 e modificato dal comma 92 dell'articolo unico della legge 27 dicembre 2013, n. 147, tutte finalizzate all'accertamento in capo alle Associazioni di categoria degli autotrasportatori, di un grado di rappresentatività ritenuto sufficiente per partecipare alla composizione del Comitato centrale per l'Albo degli autotrasportatori;
   individuata la finalità non poteva sorgere infatti alcuna perplessità, in ordine all'interpretazione più corretta da adottare nell'applicazione della norma intorno alla quale, si intende evidentemente accertare che la singola associazione sia portatrice di un elevato grado di rappresentatività delle imprese associate, riconosciuto anche dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori addetti al comparto, tanto da pervenire alla determinazione di concordare e sottoscrivere con essa un accordo collettivo nazionale;
   sulla base delle suesposte considerazioni, appare evidente a giudizio dell'interrogante, che denegare a Transfrigoroute Italia Assotir, il riconoscimento del requisito richiesto, per il solo fatto che la stessa ha sottoscritto un nuovo contratto collettivo nazionale il luogo di un rinnovo, appalesa una posizione priva di logica ed in particolare viziata, sotto il profilo della legittimità;
   quanto al secondo profilo di rigetto, risulta indubitabile a parere dell'Associazione interessata, che il termine temporale del possesso dei requisiti non può che essere riferito al momento in cui una norma regolamentare ne richieda la dimostrazione ovvero nel caso di Transfrigoroute Italia Assotir, che ha sottoscritto il contratto collettivo con FAST/CONFSAL, in data 23 gennaio 2014, ovvero entro il termine del 30 gennaio, quale scadenza ultima posta dall'Amministrazione per presentare domanda di accreditamento attinente il prossimo rinnovo;
   l'Amministrazione per contro, nel ritenere riconoscibile il possesso del requisito in esame, solo se acquisito entro il limite temporale richiamato nel provvedimento di diniego, presuppone un incomprensibile, ambito applicativo, delle disposizioni in esame in considerazione che: o ritiene che i successivi rinnovi, saranno regolamentati da successive disposizioni, oppure considera che in occasione dei futuri rinnovi avranno titolo solo le Associazioni che hanno sottoscritto il rinnovo del CCNL logistica, trasporto e spedizione, del 29 gennaio 2005, entro il termine di entrata in vigore della legge n. 147/2013;
   l'interrogante evidenzia, come anche per quest'ultimo profilo indicato, l'interpretazione della norma espressa dall'Amministrazione, si appalesa irragionevolmente e vizia in modo grave il provvedimento di diniego dalla stessa emesso;
   l'esclusione dell'Associazione Transfrigoroute Italia Assotir dal Comitato centrale per l'Albo degli autotrasportatori a seguito della mancata accettazione della domanda presentata evidenzia, a giudizio dell'interrogante, sia una palese difficoltà da parte del legislatore, nella predisposizione di un'adeguata qualità delle norme da osservare, volte all'omogeneità, la semplicità, la chiarezza e proprietà di formulazione, i cui numerosi rilievi critici, hanno determinato una serie di effetti negativi e penalizzanti per la medesima Associazione, tali da provocarne l'estromissione, che dalla decisione di non applicare un CCNL siglato dalla CGIL-CISL-UIL e di firmare invece un CCNL a tutela delle imprese, da essa rappresentate, con la FAST/CONFSAL;
   la decisione di considerare come unica fonte di legittimazione la sottoscrizione del CCNL siglato unicamente dalla CGIL-CISL-UIL rappresenta, secondo quanto rileva la suddetta Associazione, sia una lacerazione della Costituzione, che non ha mai dato veste giuridica pubblica a quelli che restano, a tutti gli effetti, accordi tra privati, che una limitazione estrema, se si considera come la scelta di contenere l'accreditamento alle sole Associazioni firmatarie del CCNL con CGIL-CISL-UIL, determina un veto assoluto nei confronti delle medesime organizzazioni sindacali, nel decidere a quali Associazioni di autotrasporto, l'amministrazione dello Stato debba riconoscere come rappresentante delle imprese e chi invece debba rimanere escluso;
   risultano in definitiva indifferibili a giudizio dell'interrogante, una serie di precisazioni da parte dell'amministrazione interrogata, finalizzate a rendere più chiaro l'intero quadro normativo riferito al riforma dell'Albo della categoria interessata, che rappresenta il vero centro di governo del settore e che definisce, come in precedenza esposto, le nuove regole di rappresentanza della categoria all'interno delle istituzioni;
   la decisione di escludere dal Comitato centrale per l'Albo dell'Autotrasporto, la Transfrigoroute Italia Assotir, nonostante la medesima Associazione avesse dimostrato di associare oltre 700 imprese di autotrasporto con un parco veicolare di migliaia di camion e altrettanti addetti e possedere oltre 25 sedi territoriali in tutta la penisola, essendo peraltro da molti anni, protagonista del confronto politico del settore, appare inaccettabile anche con riferimento ai principi di rappresentatività e di libertà sia sindacale, che imprenditoriale cui hanno diritto gli associati –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se i rilievi critici espressi in premessa da parte dell'Associazione autotrasporto Transfrigoroute Italia Assotir, in ordine alle disposizioni riferite al comma 92 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 e del decreto dirigenziale 30 dicembre 2013, n. 213 siano fondati e connotati da seri dubbi di legittimità;
   in caso affermativo, se non ritenga urgente ed opportuno intraprendere iniziative volte ad eliminare lo stato di ambiguità e chiarire la corretta e autentica interpretazione delle norme in precedenza riportate al fine di consentire anche ad importanti Associazioni quale quella indicata in premessa, di partecipare alla composizione del Comitato centrale per l'Albo dell'Autotrasporto, essendo in possesso dei requisiti previsti come dalla medesima sostenuto, la cui attuale esclusione dell'organismo decisionale, ha determinato secondo l'interrogante una ingiustificabile discriminazione. (4-06296)

  Risposta. — Con riferimento a quanto richiesto dall'interrogante in merito all'istanza proposta dall'associazione di categoria degli autotrasportatori Transfrigoroute Italia Assotir, finalizzata ad ottenere il diritto di entrare a far parte del comitato centrale per l'albo degli autotrasportatori (di seguito albo), si riportano le informazioni assunte presso la competente direzione generale per l'autotrasporto e l'intermodalità del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  Preliminarmente giova ricordare che il comitato centrale è l'organo di direzione dell'albo nazionale delle persone fisiche e giuridiche che esercitano l'autotrasporto di cose per conto di terzi (regolato dal decreto legislativo n. 284 del 2005) che, grazie alla sua articolata composizione, rappresenta una naturale stanza di compensazione al cui interno si confrontano e trovano soluzione interessi settoriali ed esigenze generali pubbliche.
  In base alla nuova formulazione dell'articolo 10 del citato decreto – resasi necessaria a seguito della soppressione della consulta generale per l'autotrasporto e la logistica, l'appartenenza alla quale costituiva titolo per entrare di diritto a far parte del comitato centrale, il che non rendeva necessaria la previsione di autonomi criteri di designazione – il legislatore ha inteso ulteriormente valorizzare le funzioni del medesimo comitato quale organo di riferimento del settore dell'autotrasporto di merci.
  In tale ottica si inseriscono, ad esempio, le disposizioni che attribuiscono al comitato centrale, tra l'altro, funzioni di garanzia del rispetto della deontologia professionale delle imprese iscritte, anche attraverso la verifica del possesso dei requisiti per l'accesso alla professione e dell'esercizio dell'attività economica, a tutela tanto degli stessi operatori del settore (committenti e vettori) che della collettività.
  In sostanza, poiché le associazioni di categoria accreditate presso il comitato centrale per l'albo degli autotrasportatori sono, in quanto tali, legittimate a farsi portavoce delle imprese di trasporto merci in occasione dei confronti con il Governo (indipendentemente dalla dimensione locale o nazionale della vertenza), le stesse, per accreditarsi presso gli organismi istituzionali, debbono possedere rigorosi requisiti normativamente previsti: ad esempio rappresentatività e sufficiente radicamento nel territorio nazionale.
  E quindi, in tale contesto – nonché in funzione dei compiti che il comitato centrale è chiamato a svolgere – si inserisce, tra gli altri, la previsione normativa per la quale l'associazione deve risultare firmataria, nel corso degli ultimi dieci anni, di rinnovi del contratto collettivo nazionale di lavoro logistica, trasporto merci e spedizione.
  Con decreto dirigenziale protocollo – 213 del 30 dicembre 2013 sono state determinate le modalità di dimostrazione del possesso dei requisiti previsti dalla novella normativa, mentre con successivo decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 9 aprile 2014 è stata prevista la procedura istruttoria finalizzata alla ricostituzione del comitato centrale per l'albo degli autotrasportatori.
  Tanto premesso, si evidenzia che sulla questione è stato presentato un ricorso al Capo dello Stato, successivamente trasposto in sede giurisdizionale, su richiesta di un controinteressato, ed oggi pendente presso il TAR Lazio.
  Appare quindi prematura e superflua ogni espressione di valutazione del merito: prematura in quanto anticiperebbe inopportunamente la pronuncia del tribunale adito; superflua, perché certamente di nessun pregio giuridico rispetto a quest'ultima.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   NICOLA BIANCHI e PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'utilizzo dei trasporti su rotaia in Sardegna è costantemente disincentivato a causa delle pessime condizioni in cui versa la rete ferroviaria della regione e del limitato numero di treni che percorre l'isola quotidianamente. La rete principale della Sardegna, infatti, gestita dal gruppo Ferrovie dello Stato italiane tramite l'azienda RFI (Rete ferroviaria italiana), si compone solamente di quattro linee ferroviarie. Dei 432 chilometri a scartamento ordinario soltanto 51 sono a doppio binario. La gestione del trasporto ferroviario dei passeggeri che viaggiano sulla rete principale dell'isola, invece, è affidata all'azienda Trenitalia, che fa parte dello stesso gruppo Ferrovie dello Stato;
   interi territori, che comprendono anche comuni molto popolosi, non sono serviti da treni. Talvolta, l'unico modo per raggiungere le stazioni più vicine rispetto al luogo di residenza è utilizzare i mezzi propri. I pendolari sardi, inoltre, sono quotidianamente costretti, anche negli orari di punta, a lunghe attese nelle stazioni e impiegano tempi molto lunghi per percorrere brevi distanze, con tutti i disagi che ne conseguono;
   gravi condizioni di disagio dovuti alla carenza di servizi ferroviari si sono riscontrate negli ultimi anni in modo particolare nel tratto sud della dorsale sarda. Per migliorare il servizio dei trasporti dell'isola a giugno del 2009 sono state aperte tre nuove fermate lungo la tratta tra Cagliari e Decimomannu: Assemini Carmine, Assemini Santa Lucia e Cagliari Santa Gilla. L'investimento complessivo, come dichiarato dal gruppo Ferrovie dello Stato, è stato di 4,5 milioni di euro;
   il nuovo servizio metropolitano, che avrebbe permesso di raggiungere Decimomannu da Cagliari e viceversa in poco più di venti minuti sfruttando in pieno le potenzialità del doppio binario, avrebbe dovuto prevedere un treno ogni mezz'ora nelle fasce orarie a più intenso traffico pendolare;
   il servizio non è mai entrato in pieno regime e, nel corso degli anni successivi, è stato ridotto considerevolmente, fino ad arrivare alla cancellazione, dall'estate 2013, delle fermate di Assemini Carmine e Assemini Santa Lucia, lasciando agli abitanti del comune di Assemini, che comprende un'area molto vasta, soltanto l'utilizzo della vecchia stazione, ormai declassata a fermata ferroviaria –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro, nelle sedi che riterrà più opportune e nell'ambito delle proprie competenze, per chiarire le motivazioni della sopraggiunta inattività delle fermate di Assemini Carmine e Assemini Santa Lucia, a fronte di stanziamenti complessivi pari a 4,5 milioni di euro già utilizzati per l'apertura delle tre fermate ferroviarie citate;
   quali iniziative intenda altresì intraprendere, nelle sedi che riterrà più opportune e nell'ambito delle proprie competenze, affinché siano riattivate, nel più breve tempo possibile, le citate fermate ferroviarie. (4-04186)

  Risposta. — Secondo la normativa vigente (decreto legislativo n. 422 del 1997) la programmazione dei servizi regionali che assicurano la mobilità della clientela pendolare è di competenza delle singole regioni i cui rapporti con Trenitalia sono disciplinati da un contratto di servizio, nell'ambito del quale vengono definiti, tra l'altro, il volume e le caratteristiche dei servizi da effettuare, sulla base delle risorse economiche rese disponibili da ciascuna regione.
  La regione autonoma della Sardegna, nell'ambito delle proprie competenze di ente programmatore del servizio di trasporto locale, ha predisposto un piano di riorganizzazione dell'offerta ferroviaria regionale prevedendo, peraltro, la progressiva introduzione di un'offerta di tipo cadenzato: a partire dall'orario estivo 2014, in vigore dallo scorso mese di giugno, il cadenzamento è stato esteso alla relazione Cagliari-Oristano (e viceversa), che comprende la tratta tra Cagliari e Decimomannu.
  Pertanto, l'offerta cadenzata introdotta per i collegamenti ferroviari di detta tratta prevede:
   un aumento dei treni metropolitani: otto in più rispetto al precedente orario;
   l'effettuazione di tutte le fermate della relazione: Cagliari S. Gilla, Elmas aeroporto, Elmas, Assemini Carmine, Assemini e Assemini Santa Lucia;
   il cadenzamento orario (biorario nelle fasce di minore mobilità pendolare), con partenza dalle stazioni di Cagliari e di Decimomannu, rispettivamente, al minuto ’51 e al minuto ’43.

  In ordine alla sospensione del servizio ferroviario nelle stazioni di Assemini Carmine e Assemini Santa Lucia – che era stato in precedenza sospeso dal 15 dicembre 2013 al 14 giugno 2014 – si comunica che, nelle more della riorganizzazione delle linee del trasporto pubblico locale nell'area metropolitana di Cagliari, è stato ripristinato dal 15 giugno 2014, d'intesa con la regione Sardegna, nell'ambito del potenziamento del servizio di trasporto sulla relazione Cagliari - Decimomannu.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   BOCCADUTRI, LOSACCO, BRUNO BOSSIO, BARGERO, LACQUANITI, PALAZZOTTO, ANDREA ROMANO e BERGAMINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea, nell'ambito dell'Agenda digitale, che ha fissato i target per la realizzazione di nuove infrastrutture di telecomunicazione, si è posta l'obiettivo di conseguire entro il 2020 una copertura del 100 per cento della popolazione a 30 Mbps e almeno del 50 per cento della popolazione a 100 Mbps;
   il rapporto Caio «Raggiungere gli obiettivi europei 2020 della banda larga in Italia: prospettive e sfide» nel gennaio 2014 ha evidenziato che l'Italia è in ritardo nella copertura della rete infrastrutturale di telecomunicazioni rispetto agli altri partner europei e posto dubbi circa la possibilità di raggiungere la totale copertura della rete con velocità a 30 Mbps entro il 2020 in tutto il Paese, auspicando un ruolo attivo e vigile del Governo;
   gli operatori di telecomunicazioni nel settembre 2011 hanno versato nelle casse dello Stato 4 miliardi di euro per la acquisizione delle frequenze per il servizio radiomobile 4G (LTE);
   gli stessi hanno iniziato un piano di investimenti sulla rete di banda ultralarga mobile di diversi miliardi di euro con un evidente impatto positivo sia dal punto di vista occupazionale che per la crescita dell'Italia;
   il cosiddetto decreto crescita 2.0 (legge 17 dicembre 2012, n. 221) già da novembre 2012 ha introdotto nuovi criteri di calcolo per la misura dei campi elettromagnetici che avrebbero accelerato la realizzazione delle nuove reti di telecomunicazioni in larga banda mobile;
   tale disposizione prevedeva l'adozione di linee guida attuative da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che avrebbero permesso l'investimento dei privati entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge, cioè nel febbraio 2013;
   tali linee guida, trascorsi ormai 18 mesi, non sono ancora state emanate;
   il recentissimo cosiddetto decreto «competitività» (legge 11 agosto 2014, n. 116) modificando la norma, ha ulteriormente procrastinato di 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione l'emanazione delle linee guida, consentendone l'approvazione tramite più decreti;
   a quanto risulta il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avrebbe già pronti alcuni decreti attuativi;
   l'attuazione della norma è oggi quanto mai necessaria e urgente per consentire gli investimenti nelle reti di telecomunicazioni in banda ultralarga in Italia e lo sviluppo digitale del Paese –:
   in quali tempi si intenda procedere all'emanazione, ormai indifferibile, delle suddette linee guida. (4-06013)

  Risposta. — Il decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ha introdotto alcune disposizioni integrative sulla normativa relativa ai limiti di emissione elettromagnetica ad alta frequenza stabiliti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 luglio 2003.
  In particolare, le modifiche hanno riguardato l'intervallo temporale per la misurazione del limite di 6 V/m (Volt per metro), relativo sia al valore di attenzione sia all'obiettivo di qualità, che passa da 6 minuti a 24 ore. Viene stabilito, a tal proposito, che vengano predisposte dall'ISPRA e dalle ARPA/APPA apposite linee guida al fine di rendere operative le nuove misure così introdotte.
  Compito delle linee guida sarà quello di definire:
   1. i fattori di riduzione della potenza massima al connettore d'antenna, che tengano conto della variabilità temporale dell'emissione degli impianti nell'arco delle 24 ore «fattori di riduzione» della potenza massima);
   2. le modalità di fornitura all'ISPRA e alle ARPA/APPA dei dati di potenza degli impianti da parte degli operatori;
   3. i valori di assorbimento del campo elettromagnetico da parte delle strutture degli edifici (cosiddetti «coefficienti di attenuazione» delle pareti);
   4. le pertinenze esterne degli edifici utilizzati come ambienti abitativi per permanenze non inferiori a 4 ore continuative giornaliere sulle quali applicare il valore di attenzione di 6 volt per metro).

  Al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è demandata l'approvazione di tali linee guida con uno o più decreti del Ministro, sentite le Commissioni parlamentari, così come disposto dalle integrazioni disposte con la legge 11 agosto 2014, n. 116 di conversione del decreto legge 24 giugno 2014, n. 91.
  In particolare, si precisa che in riferimento ai precitati punti 1. e 2., a seguito dell'acquisizione del relativo documento predisposto dall'ISPRA e dalle ARPA/APPA e approvato dal consiglio federale, i competenti uffici ministeriali hanno provveduto a completare la propria istruttoria tecnica, presupposto ineludibile e necessario che ha consentito l'attivazione delle procedure volte ad acquisire il parere delle competenti Commissioni parlamentari, sì da pervenire alla adozione del provvedimento ministeriale di approvazione, la cui emanazione è, quindi, da ritenersi prossima.
  In relazione al punto 3., il Ministero dell'ambiente rimane in attesa di conoscere i risultati della sperimentazione effettuata dall'ISPRA su proprio incarico. Poiché tali risultati erano attesi per la fine dello scorso mese di giugno, nel sollecito tempestivamente inoltrato al predetto istituto è stato debitamente evidenziato che l'acquisizione degli esiti di detta sperimentazione, propedeutica alla definizione dei coefficienti di attenuazione da parte delle strutture degli edifici, risulta necessaria per la successiva emanazione di un provvedimento idoneamente suffragato da evidenze sperimentali.
  Per quanto attiene, in ultimo, al punto 4., per la definizione della tematica permangono nel merito talune «criticità», a cui si ritiene di poter porre presto rimedio, in quanto nella giurisprudenza non esiste, allo stato, una definizione chiara e univoca della nozione di «pertinenza esterna».
  Tale questione – anche considerato che il decreto-legge 11 settembre 2014, n. 133 cosiddetto «sblocca Italia») introduce alcune modifiche al decreto-legge e, in particolare, per quanto qui interessa, concernenti il concetto di «dimensioni abitabili» correlato alle pertinenze esterne – è stata seguita con attenzione da questo Ministero, anche mediante la costituzione di un tavolo di lavoro aperto alla partecipazione dell'ISPRA, degli operatori di settore dei sistemi di telefonia mobile e dell'associazione di categoria ASSTEL facente capo a Confindustria.
  Visto quanto sopra, è stato stimato dai competenti uffici che per i punti ancora in corso di definizione, la procedura volta alla emanazione dei relativi provvedimenti potrà essere portata a conclusione entro il termine del corrente anno.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BRUNO, CATALANO, BRUNO BOSSIO, AIELLO e CENSORE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sulla strada statale 107 Silana-Crotonese nei pressi del chilometro 25+450, dove sono in corso lavori per la realizzazione di una stazione di servizio, si sono verificati una serie di incidenti stradali in un breve lasso di tempo;
   per realizzare l'area di servizio si è reso necessario eliminare, letteralmente, le corsie di immissione degli svincoli di Piano Monello e di Piano di Maio;
   per realizzare tali svincoli, che rivestono un ruolo importante nella mobilità dell'intera area, lo Stato italiano ha impegnato, da poco tempo, ingenti risorse rinvenienti dai lavori di ammodernamento della autostrada A3, che si snoda subito a lato della strada statale 107 nel tratto in questione;
   l'eliminazione delle corsie d'immissione non può essere riconducibile a ragioni di sicurezza considerato che sull'intera strada statale 107 sono stati interessati da lavori simili solo e soltanto i due svincoli prospicienti la neo costruenda area di servizio;
   agli incidenti stradali richiamati ha evidentemente contribuito la notevole riduzione dello spazio disponibile per le vetture che devono immettersi sulla statale;
   gli svincoli in questione sono particolarmente interessati da frequenti episodi di congestione del traffico in direzione dell'Università della Calabria, inoltre, servendo una specifica area industriale del comune di Rende, vengono normalmente utilizzati da mezzi pesanti;
   parrebbe che le autorizzazioni comunali necessarie per la realizzazione dell'opera siano state rilasciate a ridosso dell'insediamento del commissario prefettizio in una fase di sostanziale vuoto amministrativo, a quanto consta agli interroganti senza nemmeno informare tutti gli uffici comunali e sovracomunali preposti alla viabilità di quel territorio;
   se non si interviene con celerità nel ripristinare almeno il livello di sicurezza precedente si rischia di registrare altri incidenti gravi con chiare ed evidenti responsabilità dei decisori pubblici –:
   se risulti completo l’iter tecnico e amministrativo delle opere realizzate;
   quanto riceverà l'Anas per il rilascio della concessione;
   quante siano state le risorse pubbliche impiegate per rendere i due svincoli funzionali e sicuri durante i lavori di ammodernamento della A3;
   quali iniziative urgenti intenda adottare il Ministro affinché vengano sensibilizzati gli organismi preposti a provvedere al più presto al ripristino della situazione precedente in modo da rimettere in sicurezza gli svincoli in questione. (4-05584)

  Risposta. — L'elevata incidentalità sulla strada statale 107 «Silana Crotonese» nel tratto citato dagli interroganti ha come causa primaria, il mancato rispetto dei limiti di velocità vigenti, così come riscontrato dagli accertamenti effettuati dagli organi di Polizia in collaborazione con la società ANAS.
  Attualmente, sulla statale in questione, nel tratto compreso tra i chilometri 25 e 26, sono in corso lavori per l'adeguamento degli svincoli denominati «Piano di Maio» e «Piano Monello».
  Il progetto di rimodulazione degli innesti è stato realizzato nel rispetto del decreto del Ministero delle infrastrutture e trasporti del 19 aprile 2006, recante: «Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle intersezioni stradali».
  Infatti, detta normativa prevede che le strade extraurbane secondarie (tipo C), come la strada statale 107, non siano provviste di corsie di immissione.
  L'ANAS, in ogni caso, al fine di garantire un adeguato livello di sicurezza ha predisposto l'inserimento di innesti, inclinati di 30o rispetto alla viabilità principale, opportunamente indicati dalla presenza di segnaletica, sia verticale che orizzontale, con obbligo di STOP e di svolta a destra.
  Per completezza d'informazione si evidenzia che detto intervento risulta interamente finanziato da un soggetto privato interessato a realizzare, sul tratto in esame, una nuova area di servizio.
  Infine, in merito al canone relativo alle concessioni ANAS si segnala che la concessione è sottoposta ad un canone annuale globale, al netto dell'importo IVA, di euro 5.962,84: tale importo è comprensivo del canone per gli accessi, pari ad euro 3.194,85 e del canone per occupazione suolo demaniale, pari ad euro 2.767,99.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI e MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 28, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni, dalla legge del 6 agosto 2008, n. 133, si istituisce l'istituto per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA);
   l'ISPRA è sottoposto alla vigilanza del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Il Ministro si avvale dell'istituto nell'esercizio delle proprie attribuzioni, impartendo le direttive generali per il perseguimento dei compiti istituzionali;
   il decreto ministeriale 123 del 21 maggio 2010 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare reca norme concernenti la fusione dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), dell'istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS) e dell'istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare (ICRAM) nell'ISPRA;
   la direttiva n. 2008/56/CE recepita dallo Stato italiano con il decreto legislativo n. 190 del 2010 è stata emanata sulla base dell'affermazione: «L'ambiente marino costituisce un patrimonio prezioso che deve essere protetto, salvaguardato e, ove possibile, ripristinato al fine ultimo di mantenere la biodiversità e preservare la diversità e la vitalità di mari ed oceani che siano puliti, sani e produttivi»;
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 1° dicembre 2011 ha stipulato con l'ISPRA una convenzione in base alla quale l'istituto al 31 dicembre 2014 svolgerà tutte le attività necessarie della prima «fase di preparazione» prevista dal decreto legislativo n. 190 del 2010 relativamente all'attuazione della direttiva n. 2008/56/CE all'interno dell'ordinamento italiano;
   la Commissione europea, nell'ambito della direttiva 2008/56/CE, per la seconda fase di «programma di misure» mette a disposizione oltre 16 milioni di euro;
   la Commissione europea ha approvato, sia pur con osservazioni, i «traguardi ambientali» e gli «indicatori» individuati dall'ISPRA, con la collaborazione della comunità scientifica nazionale, per raggiungere entro il 2020 il buono stato ambientale (GES, «Good Environmental Status») per le acque marine europee;
   da fonti sindacali, si apprende ancora che molti ricercatori tecnologi avrebbero espresso perplessità sulle nuove formulazioni di buono stato ambientale e dei traguardi ambientali predisposti dalla direzione generale per la protezione della natura e del mare del Ministero;
   da articoli di settore, si legge che sarebbe intenzione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non rinnovare la convenzione all'ISPRA per la seconda fase della direttiva, denominata «programma di misure» –:
   se corrisponda al vero che il Ministero non intenderebbe affidare all'ISPRA il coordinamento e la realizzazione del «programma di misure» previste dalla direttiva 2008/56/CE recepita in Italia con il decreto legislativo n. 190 del 13 ottobre 2010;
   quali siano le valutazioni espresse dall'ISPRA sulle nuove formulazioni di buono stato ambientale e dei traguardi ambientali predisposti dallo stesso Ministero;
   quale sia il ruolo che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intende dare ad ISPRA atteso che l'istituto ha fin qui svolto con successo il ruolo affidatogli dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di primus inter pares tra le istituzioni scientifiche nazionali, successo decretato dalla stessa Unione europea a valle della valutazione delle documentazioni inviate a Bruxelles relativamente alla conclusione della prima fase;
   quali siano le azioni poste in essere dal Ministro al fine di evitare che i prodotti elaborati dalla direzione generale per la protezione della natura e del mare possano esporre l'Italia al rischio di procedura di infrazione da parte dell'Unione europea. (4-06136)

  Risposta. — La direttiva 2008/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio costituisce il quadro di riferimento comunitario per la salvaguardia dell'ambiente marino. Essa è stata recepita nel nostro Paese con il decreto legislativo n. 190 del 13 ottobre 2010, il cui articolo 19, in particolare, ha quantificato e reso disponibili le risorse finanziarie necessarie per dare attuazione alle conseguenti iniziative da porre in essere a livello nazionale.
  Nel percorso di attuazione della direttiva, la prima fase ha riguardato la valutazione dello stato dell'ambiente marino, a definizione del «buono stato» dell'ambiente marino e dei traguardi ambientali e degli indicatori ad essi associati.
  Relativamente a tale fase, le informazioni raccolte e gli elaborati prodotti sono stati trasmessi nei termini temporali previsti alla Commissione europea, la quale, dopo avere svolto le valutazioni di competenza in ordine alla rispondenza delle attività realizzate dal nostro Paese ai princìpi generali della direttiva, ha formulato al riguardo le proprie osservazioni e raccomandazioni.
  Nessuna ipotesi di «approvazione» da parte della Commissione su quanto realizzato dai singoli Paesi è, peraltro, configurabile in tale attività.
  Le osservazioni formulate, tuttavia, in particolare relative ai traguardi ambientali (
targets), sono state numerose e rilevanti, tanto da indurre questo Ministero, assieme alle altre amministrazioni centrali coinvolte nella strategia marina, a riformulare significativamente ges (quale acronimo di Good Environmental Status) e targets.
  I documenti riformulati sono stati sottoposti al comitato tecnico previsto dall'articolo 5 del decreto legislativo n. 190 del 2010, il quale ha provveduto alla loro approvazione nello scorso mese di luglio. A tale organismo collegiale partecipano, peraltro, tutti i soggetti istituzionali aventi competenze in materia di strategia marina.
  La predetta documentazione è stata successivamente sottoposta alla conferenza unificata, la quale ha espresso il proprio parere positivo nella riunione del 26 settembre. Alla definitiva approvazione del documento si provvederà, quindi, con decreto ministeriale.
  Si ritiene opportuno precisare, a tal proposito, che al completamento del processo sopra descritto, hanno partecipato con un ruolo rilevante i maggiori istituti scientifici nazionali, tra i quali l'ISPRA, contribuendo attivamente al risultato con le proprie osservazioni e valutazioni di carattere tecnico-scientifico.
  La successiva fase di realizzazione della strategia marina, allo stato in corso, riguarda la predisposizione e l'attuazione dei programmi di monitoraggio.
  Si è pervenuti, in particolare, alla loro definizione sulla base di una proposta formulata dall'ISPRA, successivamente discussa e integrata nel corso di ripetuti incontri (tavoli tecnici) promossi da questo Ministero, con la partecipazione di esperti dei maggiori istituti scientifici nazionali (il CNR, il Conisma e lo stesso ISPRA) nonché degli enti partecipanti al comitato tecnico.
  La proposta dell'ISPRA sui programmi di monitoraggio è stata quindi sottoposta, come previsto dal decreto legislativo n. 190 del 2010, a consultazione pubblica nello scorso mese di luglio. Di tale consultazione, i cui esiti non hanno evidenziato particolari necessità di modifica e/o integrazione, esiste una sintesi redatta dall'ISPRA e pubblicata sul sito di questo Ministero.
  I programmi di monitoraggio sono stati sottoposti all'esame del comitato tecnico che, nella seduta del 24 settembre 2014 li ha approvati con modifiche minori. Essi saranno ora sottoposti al previsto parere della conferenza unificata.
  L'ISPRA, nelle fasi di attuazione della strategia marina, avrà la funzione di soggetto tecnico-scientifico di riferimento di questo Ministero. Saranno rispettate, allo stesso tempo, le competenze istituzionali di tutti gli altri soggetti che partecipano alla strategia marina, e degli enti tecnico-scientifici di riferimento, come d'altronde già fatto nella fase precedente ed esplicitamente previsto dalle recenti disposizioni normative introdotte dall'articolo 17 del decreto-legge n. 91 del 2014 convertito, con modificazioni, con la legge n. 116 del 2014.
  Per quanto sopra riferito, non sono riscontrabili, pertanto, attività valutative ascrivibili alla sola competenza del singolo ente coinvolto, ma si è in presenza di un complesso processo di valutazione, definizione e proposta al quale partecipano tutti i soggetti nazionali coinvolti. Il processo, si conclude, con l'approvazione del documento da parte del comitato tecnico e con il formale parere che viene espresso dalla conferenza unificata. I risultati finali cui si giunge sono, quindi, il prodotto complessivo del sistema nazionale che è coinvolto nell'attuazione della strategia marina.
  In tale contesto, l'ISPRA assicurerà il proprio contributo ai sensi delle funzioni che sono ad essa istituzionalmente attribuite e sulla base delle direttive emanate dal Ministro dell'ambiente, contribuendo, si è certi, in modo significativo alla predisposizione e alla attuazione di tutte le fasi di realizzazione della strategia marina, seppure primariamente a supporto dei compiti di questo Ministero e del comitato tecnico.
  Infatti, i prodotti relativi alle rispettive fasi della strategia marina sono preliminarmente approvate dal comitato tecnico e successivamente sottoposte al parere della conferenza unificata e, pertanto, sono formalmente rappresentativi dell'intero sistema nazionale, e non del solo Ministero dell'ambiente o del suo organo tecnico-scientifico di riferimento.
  Si precisa, in ultimo, che la direttiva sulla strategia per l'ambiente marino limita la possibilità di attivare procedure di infrazione solo in relazione al mancato rispetto della tempistica relativa alla attuazione delle fasi. E ciò in quanto i contenuti «sostanziali» sono oggetto di un processo di confronto, fra Stati membri e Commissione, di natura tecnico-scientifica, che, come tale, non può oggettivamente comportare possibili «infrazioni» alla normativa comunitaria.
  Peraltro, l'attuazione della strategia marina è oggetto di periodica relazione al Parlamento. La seconda relazione è stata di recente approvata dal comitato tecnico nella già citata riunione dello scorso 24 settembre, e sarà quindi a giorni trasmessa alle competenti Commissioni parlamentari.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CAMPANA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   F.D.G. nel 2005 ha vinto il concorso per maresciallo nell'Arma dei carabinieri;
   a Roma, il 13 gennaio del 2006, F.D.G. incontra il suo ex fidanzato M.M. pugliese per un chiarimento. L'uomo non aveva mai accettato la separazione dalla donna e nei mesi precedenti aveva perpetrato azioni di stalking nei confronti della ragazza. In occasione di quell'appuntamento, in Via Camilla a Roma, l'uomo si presenta armato ed esplode alcuni colpi di pistola contro V.F., ferendola gravemente alle gambe e ai polmoni. La donna è viva solo grazie al tempestivo intervento del suo istruttore che allertato dai racconti dell'allieva, l'aveva seguita fino a casa;
   F.D.G. è stata in coma per circa una settima e oggi è su una sedia a rotelle;
   l'Arma dei carabinieri in seguito all'incidente non ha ritenuto la donna idonea al servizio non procedendo all'assunzione;
   nel marzo dello scorso anno l'uomo viene rilasciato dopo aver scontato la pena;
   F.D.G. ha chiesto al Ministero della difesa di poter transitare verso ruoli civili all'interno dell'arma dei carabinieri, ma questa cosa viene rifiutata;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quali siano i motivi del diniego per il transito nei ruoli civili dell'arma;
   se il Ministro intenda avvalersi dell'esperienza della donna in tema di stalking e violenza sulle donne al fine di dare una risposta concreta a tutte le vittime che cercano nelle istituzioni un aiuto. (4-04252)

  Risposta. — Per una migliore comprensione della problematica esposta dall'interrogante, si reputa opportuno un breve riepilogo normativo delle disposizioni di riferimento.
  In particolare:
   il decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, recante «Codice dell'ordinamento militare» e successive modificazioni, prevede che il personale:
    «delle Forze armate, giudicato non idoneo al servizio militare incondizionato per lesioni dipendenti o meno da causa di servizio, transita nelle qualifiche funzionali del personale civile del Ministero della difesa, secondo le modalità definite con decreto del Ministro della difesa, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e della pubblica amministrazione e innovazione» (articolo 930, che ha riassettato l'articolo 14, comma 5, della legge 28 luglio 1999, n. 266);
    «dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della Guardia di finanza, nei casi di cui all'articolo 930, transita – rispettivamente – nelle qualifiche funzionali civili del Ministero della difesa e del Ministero dell'economia e delle finanze, secondo modalità e procedure analoghe a quelle previste dal decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 339, da definire con decreto dei Ministri interessati, emanato di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e della pubblica amministrazione e innovazione» (articolo 2142);
   il decreto del Ministro della difesa 18 aprile 2002 – che trova, tuttora, applicazione ai sensi dell'articolo 2186, comma 2, del codice dell'ordinamento militare – prevede che il militare transiti, a domanda, nelle corrispondenti aree funzionali civili dell'Amministrazione difesa, ai sensi dell'articolo 14, comma 5, della legge 28 luglio 1999, n. 266.

  Sulla base della normativa vigente, pertanto, il transito nei ruoli civili della Difesa è consentito (previa idoneità fisica/psichica accertata dalla competente commissione medica) solo a favore del personale militare vincolato da rapporto di pubblico impiego con l'Amministrazione, come ribadito dal Consiglio di Stato con la decisione resa il 3 febbraio 2009, n. 1211: «... un rapporto di servizio stabile nei ruoli delle Forze armate ... diventa il presupposto necessario perché possa essere disposto il trasferimento nelle corrispondenti aree funzionali del personale civile del Ministero della difesa».
  Ciò, peraltro, è confermato dalla circostanza che il «transito del personale militare non comporta modifiche alle dotazioni organiche dei ruoli di provenienza e di quelli di destinazione» (articolo 2, comma 6, del richiamato decreto interministeriale 18 aprile 2002).
  Nel caso specifico, invece, si tratta di allieva della scuola marescialli dell'Arma dei carabinieri e, in quanto tale, titolare di una posizione di stato giuridico non di servizio permanente.
  L'istanza avanzata dall'interessata non ha trovato, dunque, accoglimento in quanto, al momento del giudizio medico legale di non idoneità permanente al servizio militare incondizionato, la stessa non era legata all'Amministrazione da un rapporto di lavoro di pubblico impiego a tempo indeterminato e, di conseguenza, non poteva essere destinataria della normativa che disciplina il passaggio ai ruoli civili dei dipendenti inquadrati nei ruoli delle Forze armate.
  Il T.A.R. Lazio, con sentenza n. 2560 in data 4 febbraio 2009, ha respinto il ricorso di parte dalla stessa avanzato avverso la nota di rigetto dell'Amministrazione, confermando, in tal modo, che è possibile praticare il transito nel senso postulato dalla ricorrente soltanto a fronte di un inquadramento nei ruoli del servizio permanente delle Forze armate e non anche in favore di aspiranti che, come la ricorrente, non hanno ancora conseguito i titoli per l'accesso alla carriera militare.
  Atteso che la richiamata normativa sul transito non consente alcun margine di discrezionalità, appare evidente come l'Amministrazione nulla avrebbe potuto fare per l'accoglimento dell'istanza avanzata dall'interessata.
  Per completezza d'informazione, si aggiunge che l'Arma dei carabinieri mantiene, da sempre, costanti contatti con la famiglia della donna e che dal 3 settembre 2014 la stessa F.D.G., psicologa clinica, svolge attività specialistica di ricerca, con contratto a titolo oneroso, presso il centro nazionale selezione e reclutamento dell'Arma dei carabinieri. Il contratto prevede un impegno massimo di 324 ore per prestazioni professionali concernenti lo studio e l'acquisizione di materiale relativo ai test di arruolamento, che vengono poi predisposti con il coinvolgimento di ufficiali psichiatri dello stesso centro.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   CAPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è in atto una forte riduzione degli organici della Motorizzazione civile di Nuoro che porterà gli uffici, entro la fine di quest'anno, ad assicurare il servizio con appena sette dipendenti;
   questo non è altro, dal momento che gli organici sono stati progressivamente ridotti, il preludio alla prossima chiusura della sede e al trasferimento delle competenze alle sedi di Oristano, Sassari e Cagliari;
   attualmente la Motorizzazione civile di Nuoro serve tutta la provincia statale compresi i territori dell'Ogliastra, dell'alto Oristanese e parte della Gallura per cui un'eventuale chiusura della sede creerebbe non solo forti disagi per i cittadini ma un'ulteriore aggravamento della crisi economica che ha colpito e colpisce questo particolare territorio dell'entroterra sardo;
   non va dimenticato che queste zone pochi mesi or sono state colpite da una serie di eventi atmosferici che hanno ulteriormente compromesso il già precario equilibrio e che con questo ennesimo trasferimento di servizi – si pensi alla chiusura della sede della banca d'Italia, al trasferimento degli uffici della Telecom, persino allo smistamento della corrispondenza da parte delle Poste la cui competenza è stata demandata alla sede di Cagliari, all'accorpamento degli uffici del tesoro, la chiusura del tribunale di Macomer e di diversi uffici del giudice di pace e al dislocamento di diversi dipartimenti universitari presso la sede di Cagliari – tali zone si troveranno a dover subire, loro malgrado, ulteriori disagi;
   il depotenziamento della sede di Nuoro sembra all'interrogante far pensare ad un chiaro disegno: rendere indispensabile il trasferimento degli uffici ad altre sedi. Cosa, tra l'altro, poco verosimile se si considera la mole di lavoro che attualmente la motorizzazione nuorese riceve giornalmente: 300 pratiche per patenti, 300 per foglio rosa, 350 revisioni la settimana, 100 esami di guida per patenti A e B e 20 per patenti professionali e circa 600 immatricolazioni la settimana;
   la riduzione dell'organico ha già portato molteplici disagi se si pensa che l'ufficio immatricolazioni apre solo due volte la settimana e per le revisioni ed i collaudi dei mezzi pesanti c’è una lista d'attesa di almeno sette mesi, il che comporta anche evidenti problemi legati alla sicurezza di questi mezzi;
   la paventata chiusura della sede della Motorizzazione civile di Nuoro comporterà un aggravio dei costi per le tante aziende ai trasporti, per le autoscuole, per le agenzie automobilistiche, per gli utenti che, oltre a dover sostenere costi elevati per recarsi presso altri uffici dislocati sull'isola per il disbrigo delle pratiche, si troveranno a dover fare i conti con un territorio particolare dove le distanze, anche quando non eccessive, rendono difficili gli spostamenti a causa di una rete infrastrutturale, stradale e ferroviaria, decisamente insufficiente e obsoleta;
   questo finirà inevitabilmente per isolare ancora di più un territorio ed una provincia che già costringe i giovani a fuggire in altre località dell'isola, della penisola o all'estero;
   per impedire un ulteriore indebolimento della sede nuorese, si potrebbe concedere, a diversi lavoratori di altre amministrazioni, la mobilità volontaria chiesta con istanze presentate al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e mai prese in considerazione –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di porre in essere al fine di potenziare la sede della Motorizzazione civile di Nuoro per consentire a tutto l'indotto di avere un servizio efficiente garantendo quel numero di impiegati tale da essere in grado di assolvere al proprio ruolo. (4-04413)

  Risposta. — Come è noto, le sedi periferiche del dipartimento per i trasporti terrestri del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si articolano in uffici di livello dirigenziale non generale (cui è preposto un dirigente) e in unità organizzative di livello non dirigenziale (con a capo un funzionario di area III). Tutte le sedi sono ubicate presso capoluoghi di provincia ma, a fronte di competenze della medesima natura, la diversa configurazione (sede dirigenziale o unità organizzativa) trova la sua ratio nel bacino di utenza più o meno esteso, nella conseguente mole di attività e nella struttura organizzativa di cui ciascuna sede necessita per gli adempimenti dei compiti istituzionali, necessariamente più articolata e complessa negli uffici di maggiori dimensioni.
  Le problematiche generali afferenti la carenza di risorse umane, sia negli uffici di rango dirigenziale che non dirigenziale, possono così essere sintetizzate.
  L'endemica carenza di personale dirigenziale che affligge gli uffici periferici, alla cui guida è prevista dal decreto organizzativo una figura dirigenziale, è una problematica nota da tempo.
  Infatti, è stato più volte chiesto al dipartimento della funzione pubblica di procedere alle assunzioni, in deroga al blocco vigente; nelle more, si è proceduto a conferire incarichi dirigenziali a funzionari apicali ai sensi dell'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, nei limiti previsti dalla norma stessa.
  Conseguentemente si è reso necessario, nel corso degli anni, attribuire incarichi temporanei, peraltro non qualificati come reggenze, a funzionari dell'area III; ciò ha determinato l'insorgere di contenziosi per il riconoscimento delle differenze retributive rispetto alle retribuzioni dirigenziali. Si è inoltre rivelato oltremodo complesso praticare la rotazione del personale, sia all'interno dello stesso ufficio, considerata la carenza di figure professionali intercambiabili, che da altri uffici, stante anche il rischio di impugnativa connesso al trasferimento.
  Per quanto riguarda il personale non dirigenziale, l'attuale situazione è ugualmente critica in tutti gli uffici della rete periferica in quanto, alla mancata applicazione del
turn over a seguito del pensionamento delle unità di personale per le note esigenze di contenimento della spesa, si è aggiunta di recente la necessità di operare una riduzione del 10 per cento della dotazione organica in applicazione delle misure di spending review introdotte dal decreto legislativo n. 95 del 2012.
  In tale quadro si inserisce la grave situazione degli uffici periferici della direzione generale territoriale del centro nord ubicati in Sardegna; la natura insulare del territorio e la situazione delle vie di comunicazione interne costituiscono un ulteriore elemento di criticità, rendendo difficoltosa l'osmosi delle risorse da un ufficio all'altro dell'isola.
  Tuttavia, per la sede di Nuoro è stata individuata come misura immediatamente attuabile il supporto degli altri uffici della motorizzazione della regione i quali, malgrado siano essi stessi sottodimensionati, hanno assicurato ogni forma di collaborazione utile alla resa dei servizi, sia pure minimi; ciò ha reso possibile scongiurare, ad oggi, la chiusura dell'ufficio.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   CAPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Commissario straordinario dell'autorità portuale di Olbia e Golfo degli Aranci tramite avviso pubblico ha reso noto, il 25 luglio 2014, la riattivazione dell’iter procedurale inerente alla richiesta di rilascio di una concessione trentennale demaniale marittima per attrezzare e gestire il Molo Benedetto Brin allo scopo di destinarlo alla nautica da diporto. La società richiedente è Quay Royal Olbia S.r.l;
   con una nota inviata il 20 giugno 2014 la sopra citata autorità portuale ha manifestato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti l'intenzione di procedere a riattivare l’iter amministrativo finalizzato al rilascio della concessione demaniale marittima in questione;
   con nota della DIV2 (ex DG porti) M–INF - PORTI/7056 del 4 luglio 2014 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti disponeva di procedere alla riattivazione dell’iter procedurale;
   la vicenda risale al settembre 2007 quando per la prima volta fu presentato il progetto di privatizzazione del Molo Brin, per adibirlo a scalo per Maxi Yachts;
   quella procedura fu bloccata dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore, a seguito anche di un'interrogazione (n. 5-01495), in quanto di dubbia legittimità, dal momento che i pareri rilasciati dalla regione Sardegna e dalla provincia di Olbia-Tempio risultavano essere negativi;
   l'illegittimità, sostanzialmente riconosciuta dal Ministro, dalla regione Sardegna e dalla provincia di Olbia-Tempio, stava da un lato nella non approvazione del piano regolatore portuale, fondamentale per valutare ed inquadrare i singoli interventi in un porto con notevoli problemi legati ai flussi di traffico ed alla posizione geografica; dall'altro nella mancanza della valutazione ambientale strategica, da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, mai interpellato in tal senso;
   ad oggi la citata situazione di illegittimità continua a sussistere dal momento che la procedura valutazione ambientale strategica, è solo in fase istruttoria e solo al termine di questa si potrà procedere all'approvazione del piano regolatore portuale –:
   quali iniziative urgenti, nell'ambito dei suoi poteri di vigilanza, il Ministro intenda adottare nei confronti del commissario straordinario dell'autorità portuale di Olbia al fine di sospendere l’iter di riattivazione della procedura sopra descritta, stante il perdurare della mancanza delle autorizzazioni in materia. (4-05719)

  Risposta. — Il commissario straordinario dell'autorità portuale di Olbia e Golfo Aranci, in data 20 giugno 2014, ha rappresentato la circostanza che il molo BRIN di fatto viene utilizzato da almeno 15 anni, per l'ormeggio di unità da diporto anche di notevoli dimensioni.
  Il medesimo commissario ha inoltre evidenziato che il medesimo molo non può essere destinato al traffico commerciale, stanti la sua contiguità con la viabilità cittadina, la scarsa profondità dei fondali e la mancanza di specchi acquei di evoluzione, nonché l'inesistenza di un dente d'attracco per navi RO-RO e di mezzi per il trasbordo di rinfuse, che lo rendono di fatto impraticabile per qualunque operazione commerciale.
  Lo stesso commissario ha fatto presente, inoltre, che le linee guida del nuovo piano regolatore portuale, già adottato dai competenti organi, hanno previsto che l'area in questione sia destinata alla nautica da diporto, cosa che di fatto, come innanzi detto, è già operativa da tempo.
  In tale stato di cose, i competenti uffici di questo dicastero hanno ritenuto di non avere nulla da eccepire in merito alla decisione da parte del commissario di valorizzare la suddetta area attraverso la riattivazione della procedura di rilascio della concessione demaniale per attrezzare detto molo allo scopo di destinarlo alla nautica da diporto.
  Quanto sopra, in considerazione del fatto che con le nuove linee guida adottate è venuta meno l'eccezione, sollevata in passato nel corso della conferenza di servizi sull'esame del progetto proposto, in merito alla non conformità dello stesso alla destinazione dell'area secondo quanto previsto dall'allora vigente piano regolatore portuale.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   CIMBRO, LAFORGIA, GASPARINI e CASATI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   gli organi di stampa stanno in questi giorni diffondendo la notizia che la direzione aeroportuale Lombardia dell'ENAC intende indire «a breve» una gara pubblica «per la scelta del concessionario per tutti i beni appartenenti al demanio aeronautico disponibili all'interno dell'aeroporto civile «Franco Bordoni Bisleri» di Milano Bresso;
   ciò è quanto la direzione ha comunicato all'Aero Club di Milano, che opera da anni in loco e gestendo sia il campo volo sia la scuola di volo; annullando così la procedura iniziata nel gennaio 2014 per rinnovare la concessione di 450 metri quadrati di hangar, 50 metri quadrati di distributore carburante, 414 di circolo e bar e vari manufatti appendici di hangar usati per depositi, aule e uffici;
   la preoccupazione di associazioni ed enti locali è forte circa il ritorno in auge del progetto che vorrebbe la trasformazione dell'aeroporto in hub elicotteristico e/o vertiplano; nettamente in contrasto con la vocazione attuale del sito (campo volo), tale progetto andrebbe a minacciare inoltre la biodiversità del Parco Nord e le iniziative, volte a valorizzarla, che vanno apprestandosi per EXPO 2015;
   il Protocollo d'intesa firmato a Palazzo Chigi il 31 luglio 2007, e la riunione di monitoraggio del 24 novembre 2010 presso il DISET, non prevedevano il potenziamento dello scalo bressese: le conclusioni dello studio del dipartimento aerospaziale del Politecnico di Milano ha considerato compatibile la permanenza dell'aeroporto con il Parco Nord, alle seguenti condizioni:
    a) divieto del potenziamento dell'attuale attività aeroportuale con riferimento ai ventilati progetti di sviluppo del trasporto a pala rotante;
    b) ridimensionamento del sedime a 55 ettari, spostamento dell'aerostazione dal lato land side ovest a quello opposto comprese le attività in concessione all'Aero Club Milano e quelle della scuola di volo elicotteristica e dell'Elisoccorso;
    c) messa in sicurezza del nuovo sedime aeroportuale con la realizzazione della recinzione e la cessione al Comune di Bresso delle aree di frangia per la riqualificazione dell'asse Grandi-Matteotti-Gramsci;
    d) le restanti aree del lato ovest dello scalo, non più funzionali alle attività aeroportuali, devono essere messe a disposizione del Parco Nord/comune di Bresso –:
   se sia condivisa dal Governo la necessità di mettere a gara la gestione dell'aeroporto, col conseguente annullamento della procedura avviata per rinnovare le concessioni a Aero Club Milano;
   se il Governo intenda garantire che il bando di gara non consentirà la realizzazione di opere aggiuntive, o la collocazione nell'aeroporto di nuovi servizi eliportuali, confermando quindi il protocollo d'intesa sopra citato;
   se esistano progetti di utilizzo dell'attuale campo volo di Bresso in vista di EXPO 2014. (4-05729)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, occorre premettere che l'aeroporto di Milano-Bresso «G. Clerici» è un aeroporto civile in gestione diretta di ENAC, destinato a voli turistici e situato nel territorio comunale di Bresso, ai confini dei comuni di Sesto San Giovanni e Cinisello Balsamo, in un'area facente parte del Parco Nord Milano.
  Le strutture dell'aeroporto ospitano l'aero club Milano e l'aereo club Bresso.
  L'aereo club Milano, sodalizio con una lunga tradizione sportiva iniziata negli anni ’20 del secolo scorso come scuola di addestramento di piloti civili e militari, è presente con una flotta composta da 24 aeroplani.
  L'aero club Bresso, nato nel 2012, è federato all'aero club d'Italia con una flotta di 3 aeroplani.
  Come è noto l'ENAC, vigilato da questo dicastero, gode di autonomia regolamentare, organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile e finanziaria per lo svolgimento delle materie di propria competenza, in ottemperanza al decreto legislativo n. 250 del 25 luglio 1997.
  Tra tali materie rientrano la gestione e l'affidamento dei beni del demanio aeronautico dello Stato, attraverso l'istituto della concessione, in base alla normativa di settore, tra cui il codice della navigazione.
  In merito ai quesiti posti, si evidenzia che l'ENAC, in seguito alla scadenza dei titoli concessori a suo tempo rilasciati dalla direzione aeroportuale della Lombardia relativi a singole porzioni dell'aeroporto, ha comunicato ai concessionari l'intendimento di indire procedure pubbliche selettive e concorrenziali per l'affidamento in concessione dei beni disponibili all'interno del sedime aeroportuale di Milano Bresso.
  Tali procedure che riguardano non già la gestione totale dello scalo, che al momento rimane in capo all'ENAC, quanto l'affidamento di porzioni di esso, sono volte a garantire maggiore trasparenza dell'azione amministrativa, pubblicità, parità di trattamento dei concorrenti e la non discriminazione tra operatori, oltre ad essere in linea con i prevalenti orientamenti giurisprudenziali, che configurano il rinnovo automatico dei titoli concessori come illegittimo.
  In ordine, poi, allo stato di attuazione delle attività previste nel protocollo di intesa del 1997, tese a conciliare sia le esigenze dell'attività aviatoria svolta sullo scalo che la compatibilità fra l'aeroporto, il limitrofo centro abitato di Bresso e il Parco Nord, sulla base di quanto riportato da ENAC, si riferisce:
   1. lo studio di fattibilità, elaborato per valutare la possibilità di ricollocare l'aeroporto in altra località, ha evidenziato che non esistono nel territorio della provincia di Milano aree idonee;
   2. gli interventi previsti nel piano di riassetto dell'aeroporto elaborato da ENAC sono stati tutti realizzati, ad eccezione della recinzione aeroportuale, il cui progetto è in fase di approvazione;
   3. gli adempimenti amministrativi per la cessione al Parco nord di aree del sedime aeroportuale non più funzionali all'attività aviatoria sono tuttora in corso;
   4. la dismissione dell'attività elicotteristica presente sul lato ovest del sedime (area prossima al centro abitato di Bresso) è stata portata a termine, con successiva ricollocazione dell'eliporto nell'area est;
   5. lo studio di fattibilità per l'ipotesi di ricollocazione di tutta l'area
land-side dell'aeroporto, dal lato ovest al lato est del sedime, con conseguente possibile cessione al Parco nord delle aree ad ovest liberate, non è stato ancora avviato.

  Infine, in merito al possibile inserimento nei bandi di concessione della realizzazione di opere aggiuntive rispetto a quelle attuali, si evidenzia, sempre sulla base delle informazioni rese dall'ente, che i medesimi bandi avranno ad oggetto unicamente l'assegnazione dei singoli beni appartenenti al demanio aeronautico, e non riguarderanno né la realizzazione di opere aggiuntive né la definizione di nuovi servizi eliportuali, escludendo la possibilità che vengano realizzati nuovi progetti di utilizzo dell'infrastruttura idonei, per loro natura, a incidere o modificare la destinazione d'uso dei singoli beni demaniali e dell'infrastruttura aeroportuale nel suo complesso.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   CIRIELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Costiera Amalfitana, è quel tratto di costa campana, situato a sud della penisola sorrentina, famoso in tutto il mondo per la sua bellezza naturalistica, sede di importanti insediamenti turistici, sin dal 1997 considerato dall'UNESCO patrimonio dell'umanità;
   per la sua conformazione orografica, caratterizzata da erti rilievi ricadenti a picco sul mare, la Costiera Amalfitana, nei periodi di intense piogge, ha da sempre convissuto con fenomeni franosi, più o meno estesi, i quali hanno più volte coinvolto l'importantissima strada statale 163 «Amalfitana», principale arteria di collegamento tra la Costiera, Salerno e la Penisola Sorrentina;
   tali fenomeni, che spesso hanno portato alla paralisi della Costiera Amalfitana, non hanno però mai comportato, in passato, disagi nel lungo periodo per la mobilità e la libera circolazione sia della popolazione residente, sia dei turisti;
   l'ANAS, quale gestore delle strade statali e, quindi anche della strada statale 163, infatti, ha sempre provveduto con celerità alla esecuzione dei lavori per il ripristino della viabilità;
   tale modus operandi ha finora sempre assicurato la piena fruibilità dell'unica via di accesso alla Costiera Amalfitana, soprattutto nel periodo estivo, quando si registra, come è facilmente prevedibile, un considerevole aumento di turisti e visitatori pendolari;
   nell'ultimo triennio, però, si è registrato un notevole calo nell'efficiente gestione dell'ANAS relativamente alla strada statale 163 «Amalfitana» e prova evidente è la presenza di continue interruzioni del doppio senso di marcia, anche in piena estate, con conseguenti e gravi disagi alla circolazione;
   tale situazione, già oggettivamente penalizzante per la fluidità del traffico, è aggravata dalla presenza di semafori, non riconducibili alla categoria di quelli cosiddetti intelligenti, che dovrebbero regolare il senso unico alternato;
   a ciò si aggiunga l'ulteriore disagio rappresentato dalla circostanza che alcuni tratti della Strada statale Amalfitana, ormai da alcuni mesi, risultano inibiti al doppio senso di marcia per la presenza sulla sede stradale, come ad esempio nel tratto Cetara-Erchie, di non più di una dozzina di ciottoli;
   ai sensi dell'articolo 30, comma 2, del suddetto DLT n. 285/1992 «Salvi i provvedimenti che nei casi contingibili ed urgenti possono essere adottati dal sindaco a tutela della pubblica incolumità, il prefetto sentito l'ente proprietario o concessionario, può ordinare la demolizione o il consolidamento a spese dello stesso proprietario dei fabbricati e dei muri che minacciano rovina se il proprietario, nonostante la diffida, non abbia provveduto a compiere le opere necessarie»;
   il successivo comma 3, prosegue disponendo che «In caso di inadempienza nel termine fissato, l'autorità competente ai sensi del comma 2 provvede d'ufficio alla demolizione o al consolidamento, addebitando le spese al proprietario»;
   nonostante ciò e nonostante i danni incalcolabili, non solo per il traffico cittadino, che, soprattutto in questi mesi estivi, si intensifica con l'arrivo dei turisti, ma anche per le aziende del territorio, già in seria sofferenza a seguito dell'attuale recessione, tale situazione persiste nell'incuranza generale –:
   se i Ministri sono a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali sono i motivi che giustificano la mancata tempestiva attivazione del procedimento di cui ai commi 2 e 3 del decreto legislativo n. 285/1992 Codice della strada;
   quale sia il costo per il noleggio dei semafori che l'ANAS paga all'aggiudicatario. (4-05606)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle notizie fornite dalla società Anas.
  I movimenti franosi che hanno interessato la strada statale 163 «Amalfitana» sono stati causati dal distacco di materiale lapideo presente sul versante sovrastante la carreggiata della statale in questione.
  Per quanto riguarda la frana che si è verificata il 6 febbraio 2014 in corrispondenza del km 46+460 (comune di Cetara), l'Anas ha diffidato l'Azienda proprietaria del terreno franato affinché provvedesse a porre in essere i lavori di messa in sicurezza dei luoghi.
  Contestualmente, l'Anas ha invitato il sindaco del comune di Cetara, in caso di inerzia del proprietario, a porre in essere i necessari provvedimenti sostitutivi anche in ordine ai compiti di Autorità di protezione civile locale. Il sindaco, con ordinanza n. 1/2014, ha provveduto a diffidare la ditta proprietaria dei terreni in argomento.
  A seguito dei mancati interventi per la messa in sicurezza dell'area franata, l'Anas ha reiterato le diffide ai soggetti inadempienti, con le note compartimentali del 1o e del 29 aprile 2014 alle quali ha fatto seguito la diffida della prefettura di Salerno, del 14 maggio 2014, contenente l'invito al sindaco di Cetara ad adottare tutti i necessari provvedimenti di competenza.
  Per quanto concerne, invece, l'evento franoso del 7 maggio 2014, presso il km 43+450, nel comune di Maiori, della strada statale 163, la medesima Anas, dopo aver provveduto a mettere in sicurezza la circolazione, ha diffidato l'azienda proprietaria dei terreni franati affinché provvedesse, per diretta competenza, ad effettuare le dovute verifiche e porre in essere i lavori di messa in sicurezza dei luoghi.
  Inoltre, sulla base delle vigente normativa, l'Anas ha invitato il sindaco del comune di Maiori a porre in essere, per quanto di competenza, i necessari provvedimenti in caso di inerzia del proprietario.
  Nelle more dei necessari interventi di messa in sicurezza dei luoghi, in corrispondenza di entrambe le chilometriche della strada statale «Amalfitana» interessate dai movimenti franosi, proprio al fine di tutelare l'incolumità pubblica e privata, l'Anas ha deciso di adottare la parzializzazione della carreggiata stradale, mediante l'adozione di un senso unico alternato, regolato da impianto semaforico.
  In merito, infine, al costo per il noleggio dei semafori si precisa che l'apparecchiatura utilizzata è di proprietà della società Anas e, pertanto, nessun corrispettivo è dovuto a terzi per il noleggio.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   CIRIELLI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito dalla legge n. 125 del 2013 recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», al suo articolo 4, comma 3, prescrive il divieto, in capo a tutte le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, di bandire nuove procedure concorsuali in presenza di graduatorie vigenti, istituendo così l'obbligo del prioritario assorbimento degli idonei;
   con la circolare della funzione pubblica pro tempore 5/2013 il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione forniva i primi indirizzi per la corretta applicazione del decreto-legge soffermandosi, tra l'altro, proprio sul reclutamento speciale previsto dall'articolo 4 in esame, «perché è quello volto al superamento del fenomeno del precariato», specificando che sullo scorrimento delle graduatorie degli idonei «c’è un vincolo, previsto dal legislatore, rispetto all'avvio di nuove procedure concorsuali»;
   dall'applicazione della normativa rimangono esclusi unicamente il comparto scuola e quello delle istituzioni di alta formazione e specializzazione per i quali trova applicazione la disciplina specifica di settore;
   in data 11 aprile 2014 il Ministero degli affari esteri bandiva una nuova procedura concorsuale per il reclutamento di 35 segretari di legazione della carriera diplomatica, di fatto non procedendo al prioritario assorbimento degli idonei, in ossequio alla normativa citata, applicabile a tutte le amministrazioni dello Stato;
   non esistono, per quanto riguarda il concorso diplomatico o l'amministrazione degli esteri, normative di settore ostative allo scorrimento delle graduatorie, come dimostrato dai passati scorrimenti delle stesse, che avveniva senza alcuna problematica;
   non può essere considerata una norma ostativa allo scorrimento delle graduatorie nemmeno la legge 5 marzo 2010 n. 10, che autorizzava il Ministero degli affari esteri «in deroga alle vigenti disposizioni sul blocco delle assunzioni nel pubblico impiego, nei cinque anni 2010-2014 a bandire annualmente un concorso di accesso alla carriera diplomatica e ad assumere un contingente annuo non superiore a 35 segretari di legazione in prova», posto che la stessa amministrazione, in vigenza di tale disposizione, provvedeva allo scorrimento della graduatoria dell'anno 2010;
   il Ministero degli affari esteri ha assunto a giudizio dell'interrogante un comportamento contraddittorio ed ambiguo in merito alle graduatorie del concorso diplomatico, posto che procedeva ad un loro parziale scorrimento negli anni 2008 e 2010, non operando invece in tal senso la graduatoria del concorso bandito nel 2013, pur in presenza di una disposizione di legge che tale obbligo prescrive;
   il Ministero degli affari esteri, inoltre, non si esimeva dall'applicare il principio del previo scorrimento delle graduatorie vigenti anche per gli altri concorsi banditi dalla stessa amministrazione, creando una disparità di trattamento con le graduatorie del concorso diplomatico;
   i precedenti giurisprudenziali invocati nel nuovo bando di concorso, attualmente soggetto ad impugnazione innanzi al TAR del Lazio, non sono idonei a superare la questione implicata, essendo tutti antecedenti all'entrata in vigore della legge n. 125 del 2013;
   la sentenza più recente in materia, tra l'altro (TAR Lazio, III ter, 1 aprile 2014), è riferita ad una causa instaurata anteriormente all'entrata in vigore della suddetta legge, su cui pertanto non si pronuncia;
   il concorso di accesso alla carriera diplomatica, uno dei più illustri e prestigiosi in Italia, è stato negli ultimi due anni al centro di numerose vertenze giudiziarie e di numerose interrogazioni parlamentari, non soltanto in merito alla questione degli idonei –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intendano adottare per stabilizzare la situazione degli idonei al concorso diplomatico 2013, in ossequio al dettato legislativo vigente e ai principi di legalità, efficienza e buon andamento dell'amministrazione. (4-06150)

  Risposta. — L'interrogazione in esame offre lo spunto per confermare quanto la carriera diplomatica sia una carriera dello Stato retta da un ordinamento speciale («Ordinamento dell'amministrazione degli affari esteri» decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18 e successive modificazioni e integrazioni), in ragione, tra l'altro, delle specificità del percorso professionale e delle funzioni ricoperte dal personale diplomatico nel servizio all'estero.
  L'esercizio concorsuale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per l'accesso alla carriera diplomatica è da sempre improntato alla ricerca di funzionari con il più alto livello di preparazione ed aggiornamento, in linea con il prioritario principio di massima efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa.
  Per garantire il raggiungimento di tale obiettivo, il concorso si tiene in linea di principio con cadenza annuale. Per il periodo 2010-2014, tale cadenza è stata disposta dal decreto-legge 1 del 2010 (convertito con modificazioni nella legge 5 marzo 2010, n. 30), che ha stabilito per il concorso diplomatico una deroga al regime generale del blocco del
turn-over.
  Da sempre il Maeci ha effettuato una scelta in favore dell'indizione di nuovi concorsi per l'accesso alla carriera diplomatica. Solo in rarissime e specifiche occasioni, l'amministrazione degli esteri ha fatto ricorso all'assorbimento di idonei non vincitori di graduatorie vigenti, ad esempio per il concorso 2010, per esigenze derivanti da sopravvenute e straordinarie necessità lavorative di risorse umane, legate soprattutto all'accresciuta partecipazione da parte delle diplomazie nazionali al Servizio europeo di azione esterna (Seae) che, come noto, è stato creato proprio in quell'anno. A ciò va aggiunto il fatto che nel 2009 non si era potuto tenere alcun concorso diplomatico a causa delle insufficienti risorse finanziarie allora disponibili per bandire il concorso.
  Il
modus operandi concorsuale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale trova il suo fondamento sia nella normativa che nella giurisprudenza in materia.
  Come noto, l'articolo 4.3 del decreto-legge 101 del 2013 subordina l'avvio di nuove procedure concorsuali all'esistenza di una specifica autorizzazione. Nel caso dell'amministrazione degli esteri tale autorizzazione esiste già e risiede nella normativa speciale di cui al decreto-legge n. 1 del 2010 che, come noto, in deroga al blocco del
turn-over nella pubblica amministrazione e come anche ricordato dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione Madia nel corso di un recente question time in aula Camera, legittima il Mae non solo a bandire annualmente concorsi ma anche ad assumere segretari di legazione in prova per la carriera diplomatica sino ad un numero di 35 unità, annualmente, e per il quinquennio 2010-2014.
  In altre parole, la normativa del 2013 non ha aggiunto alcunché rispetto alle determinazioni del legislatore del 2010 sulla legittimità dell'indizione di nuovi concorsi da parte del Mae. Anzi, la legge n. 125 del 2013 ne ha confermato i contenuti relativamente alla presenza di una previa, necessaria e speciale autorizzazione normativa per porre in essere un nuovo esercizio concorsuale.
  In parallelo con il riscontro di tipo normativo, la legittimità dell'azione ministeriale è stata ribadita a più riprese anche dalla giustizia amministrativa che, oggi, attraverso le sue ripetute determinazioni ha oramai prodotto un orientamento consolidato a favore del Maeci.
  Il Consiglio di Stato (con l'adunanza plenaria n. 14 del 2011, e successivamente con sentenze del 2013 e del 2014) e il Tar (con sentenza del 2014) – nel quadro di una serie di determinazioni a favore del Ministero degli esteri relative a ricorsi (respinti) presentati da idonei non vincitori dei concorsi 2010, 2011 e 2012 hanno ripetutamente confermato la specialità normativa del Maeci (non solo relativa al decreto-legge n. 1 del 2010 ma altresì dell'ordinamento stesso dell'amministrazione degli affari esteri, decreto del Presidente della Repubblica 18 del 1967), legandola alle peculiarità proprie della carriera e dei meccanismi specifici di crescita professionale in essa previsti.
  Da notare che la suddetta specialità – che proprio ai sensi dell'Adunanza plenaria 14 del 2011 del Consiglio di Stato citata dall'interrogante, impone al Mae l'obbligo primario di bandire nuovi concorsi prima di un eventuale assorbimento di idonei non vincitori – è stata ribadita dalla giustizia amministrativa nel 2014 nelle due sentenze menzionate dall'interrogante: quindi successivamente all'entrata in vigore del decreto-legge n. 101 del 2013, a dimostrazione e riprova che con quest'ultima normativa non vi è stata alcuna novella sostanziale se non la conferma implicita della legittimità dell'azione dell'Amministrazione.

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   COZZOLINO, SPESSOTTO, D'INCÀ, BUSINAROLO, FANTINATI, BRUGNEROTTO, ROSTELLATO, RIZZETTO, BENEDETTI, DA VILLA e MUCCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il progetto preliminare dell'opera infrastrutturale denominata passante di Mestre, approvato con delibera del CIPE n. 80 del 2003, prevede la realizzazione di numerose opere complementari. Tra queste opere vi è anche lo spostamento a ovest della barriera di Venezia Ovest, località Villabona in comune di Dolo, località Roncoduro, proprio nell'area del vecchio casello di Dolo (aperto nel 1991 in sostituzione dello svincolo in località Cazzago e chiuso il 12 luglio 2008 per consentire i lavori del Passante di Mestre), in modo da liberalizzare completamente la tratta Venezia Mestre-Dolo;
   lo spostamento della barriera di Villabona a Roncoduro non è però mai stato realizzato, dal momento che a seguito dell'approvazione di un nuovo progetto esecutivo da parte del commissario delegato, contravvenendo a quanto disposto sia dalla delibera CIPE n. 80 del 2003 sia dalle prescrizioni contenute nel parere della commissione nazionale V.I.A. del 16 novembre 2003 relativo all'opera Passante di Mestre, la barriera Venezia Ovest è stata mantenuta in località Villabona; inoltre, a seguito della chiusura del vecchio casello di Dolo e in attesa dell'arretramento della barriera di Villabona a Roncoduro è stato realizzato un casello più a est, in località Vetrego (comune di Mirano), che avrebbe dovuto essere provvisorio ma che di fatto è divenuto definitivo;
   proprio il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore rispondendo all'atto di sindacato ispettivo n. 4-00500 depositato al Senato in data 17 settembre 2008 affermava «Per quanto riguarda il nodo autostradale di Dolo, va precisato che l'apertura del casello provvisorio di Mirano-Vetrego in luogo di quello di Dolo-Mirano si è resa necessaria per evitare di dover realizzare velocemente subito la nuova barriera di Venezia Ovest in presenza del traffico che oggi grava sulla tratta autostradale Padova-Mestre (circa 80.000-90.000 veicoli al giorno). Infatti, al fine di contenere i disagi per la circolazione autostradale ed i possibili effetti di conseguente congestione sulla viabilità ordinaria dell'area interessata, si è optato per realizzare i lavori della barriera Venezia Ovest... solo ad avvenuta apertura al traffico del passante autostradale di Mestre. Nella configurazione definitiva resta comunque confermata l'originale realizzazione progettuale con la liberalizzazione della tratta autostradale di Dolo-Villabona...»;
   dal testo della risposta del Ministro pro tempore Matteoli risultano chiaramente tre elementi. Il primo è la conferma dello spostamento della barriera Venezia ovest ad avvenuta apertura al traffico del passante autostradale di Mestre. Il secondo elemento è la conferma della liberalizzazione del tratto autostradale Dolo-Villabona. Il terzo elemento, a giudizio degli interroganti, è costituito dal riferimento all'originale realizzazione progettuale, che per il Ministro restava confermata. Un riferimento che, anche alla luce di una delle premesse dell'atto di sindacato ispettivo in cui si fa esplicito riferimento alla presenza di uno svincolo a Dolo nel progetto approvato e pubblicato, deve essere inteso rivolto a quanto riportato nel progetto originario del passante di Mestre e nella precedente delibera CIPE n. 83 del 2003, che prevedevano lo spostamento a ovest della barriera Venezia Mestre tra l'interconnessione ovest con l'A4 e lo svincolo di Mirano-Dolo e la riapertura dello svincolo diretto per Dolo in località Roncoduro;
   mantenendo invece la barriera a Mestre in località Villabona la tratta Mestre-Dolo non si può dire liberalizzata mentre il tratto Mirano-Mestre è a sistema aperto; infatti, per chi entra ed esce dall'autostrada nella tratta compresa tra il casello di Vetrego e la barriera di Mestre il pedaggio è nullo; ma per chi viaggia nella tratta Vetrego-Padova est si pagano invece 0,80 euro, e 3,20 euro per percorrere la tratta Mestre-Padova est;
   questa differenza di tariffa induce molti automobilisti, ed in particolare gli autoarticolati che percorrono l'autostrada tra Mestre e Padova, ad uscire dall'autostrada per poi subito rientrare presso il casello di Vetrego generando il cosiddetto fenomeno del «tornello»; poiché la viabilità a servizio di quello che doveva essere il casello provvisorio di Vetrego non è stata progettata per accogliere il volume di traffico che questa pratica induce, ciò provoca conseguentemente quotidiane code in uscita al casello, ed intasamenti della viabilità locale, nonché fenomeni di inquinamento acuto, con forte aggravio per la sicurezza degli utenti e della salute della popolazione residente;
   per risolvere questo problema, la società CAV spa partecipata al 50 per cento da ANAS spa e al 50 per cento dalla regione Veneto, ha chiesto al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di uniformare le tariffe autostradali equiparando il pedaggio a 2,70 euro sia per la tratta Vetrego-Padova est, sia per la tratta Mestre-Padova est, con gravi ripercussioni economiche per i residenti e i pendolari che usufruiscono dell'infrastruttura;
   questi disagi sono stati oggetto negli ultimi mesi di numerose proteste e contestazioni da parte di cittadini e comitati, arrivando anche a creare difficoltà alla viabilità proprio nei pressi dello svincolo di Vetrego e presso la sede di CAV spa –:
   quali atti intenda adottare il Ministro ed in quali tempi al fine di dare piena realizzazione al progetto del passante di Mestre, per quanto attiene lo spostamento a ovest della barriera Venezia Mestre tra l'interconnessione ovest con l'A4 e lo svincolo di Mirano-Dolo e la riapertura dello svincolo diretto per Dolo in località Roncoduro, nonché in merito alla prevista liberalizzazione dei relativi tratti autostradali interessati. (4-00934)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  L'8 febbraio 2009 è stato aperto al traffico il passante autostradale di Mestre. Com’è noto, tale tratto dell'autostrada A4 Torino-Trieste permette di evitare l'attraversamento dell'ex tratto urbano dell'A4, ora rinominato A57-tangenziale di Mestre.
  Per consentire il transito diretto senza barriere, sul tratto autostradale tra Milano e Trieste (e tra la A4 e la A27) l'apertura del Passante ha comportato l'arretramento verso Venezia della precedente barriera di Venezia est, dello svincolo di Quarto d'Altino sull'A4, nonché l'arretramento, sempre in direzione Venezia, della barriera di Venezia nord sulla A27.
  Non è stato, invece, realizzato l'arretramento della barriera di Venezia/Mestre, previsto dal progetto preliminare approvato con delibera Cipe n. 80 del 2003.
  In pendenza dell'arretramento della barriera di Venezia/Mestre, la società Anas, contestualmente all'apertura del passante, in conformità alle deliberazioni Cipe del 7 novembre 2003, del 26 gennaio 2007 e del 27 marzo 2008, ha autorizzato la liberalizzazione del pedaggio tra la stazione di Mirano/Dolo e la barriera di Venezia/Mestre.
  Il 30 dicembre 2013, la struttura di vigilanza sulle concessioni autostradali di questo dicastero, nel confermare la liberalizzazione del pedaggio per tutte le classi tariffarie di veicoli per i transiti con origine/destinazione tra le stazioni di Venezia/Mestre, Mira/Oriago e Mirano/Dolo, ha autorizzato:
   1. la percorrenza chilometrica virtuale convenzionale di chilometri 30,850 (chilometri 1,820 di competenza autostradale per l'Italia, chilometri 4,5 di competenza Autovie Venete, chilometri 6,2 e chilometri 18,330, per l'anno 2014, di competenza CAV) per il traffico in uscita alla stazione di Mirano/Dolo proveniente da ovest (ovvero dalla A13/Bologna, A4/Padova-Milano e A4 Passante di Mestre ed escluso ovviamente il traffico proveniente da est ovvero in entrata a Venezia/Mestre e/o Mira/Oriago già liberalizzato) in aggiunta alla percorrenza chilometrica assunta ai fini del calcolo del pedaggio secondo le varie provenienze, con il conseguente maggior pedaggio rispetto alla situazione precedente;
   2. l'applicazione al traffico in uscita alle stazioni di Venezia/Mestre e Mira/Oriago proveniente da ovest (ovvero da A13/Bologna, A4/Padova-Milano e A4 Passante di Mestre ed escluso ovviamente il traffico in entrata a Mirano/Dolo) delle stesse estese chilometriche utilizzate ai fini del calcolo del pedaggio (sia in sistema chiuso che in sistema aperto) per la stazione di Mirano/Dolo, con un corrispondente minor pedaggio equivalente al percorso Mirano/Dolo - Venezia/Mestre e Mirano/Dolo - Mira/Oriago;
   3. quanto indicato ai punti 1 e 2 vale ovviamente anche nell'altro senso di marcia ovvero per il traffico in entrata alle stazioni di Venezia/Mestre, Mira/Oriago e Mirano/Dolo diretti ad ovest.

  Conseguentemente, in ragione del maggior pedaggio che l'utenza locale paga in entrata/uscita alla stazione di Mirano/Dolo in direzione/provenienza da ovest nonché per facilitare la riscossione dei pedaggi ed incrementare il traffico in autostrada, è stata altresì approvata in via sperimentale una agevolazione tariffaria, condivisa anche dalla regione Veneto, per i soli veicoli di classe A, senza comportare incrementi tariffari sulle altre classi veicolari.
  La riduzione del pedaggio avviene unicamente sul percorso autostradale Mirano/Dolo - Padova est e viceversa, esclusivamente per i pendolari residenti nei comuni di Mirano, Dolo, Mira, Spinea e Pianiga, che abbiano preventivamente aderito al servizio
«telepass family».
  Il beneficio, corrispondente ad una riduzione del 40 per cento tutti i transiti (a partire dal primo) effettuati nel mese, viene erogato al raggiungimento del numero minimo di 20 transiti mensili. Il mancato raggiungimento del numero minimo dei transiti determinerà la non applicazione dell'agevolazione.
  Il conteggio dei transiti è su base mensile e si azzera alla fine del mese solare, con ripartenza nel mese successivo. Non è prevista la possibilità di recupero o di accumulo dei transiti in più mesi. L'agevolazione ha la durata di 24 mesi dalla data di avvio; il ciclo di fatturazione è trimestrale e l'importo del relativo beneficio è riportato nella fattura.
  Si segnala, infine, che con cadenza trimestrale la società concessionaria Cav deve fornire gli aggiornamenti sui transiti interessati dall'agevolazione.
  Dal prospetto relativo ai primi sei mesi, (disponibile presso il Servizio assemblea) fornito dalla suddetta società Cav si rileva che l'agevolazione ha determinato, nei primi sei mesi, dodici nuovi abbonamenti
telepass Family per la tratta Padova est - Mirano Dolo. L'adesione allo sconto rispetto al numero di transiti totali è stata pari all'8,53 ad aprile, all'8,27 a maggio e all'8,27 a giugno.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   D'ARIENZO, ZARDINI, COMINELLI, DAL MORO e ROTTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   A) di sera Verona non è collegata con Roma. Il buco è sulla Bologna-Verona. Infatti:
    la linea ferroviaria Verona-Bologna è percorsa giornalmente da circa 12 (dodici) coppie di treni regionali/regionali veloci al giorno nelle due direzioni; a questi vanno aggiunte altre 6 (sei) relazioni di treni Freccia Argento per collegamenti veloci con Roma;
    in pratica, a parte le due fasce pendolari (mattina e sera quando c’è in più un treno regionale che ferma in tutte le stazioni) circola un treno da Bologna per Verona ogni due ore (è servita meglio la relazione Verona-Modena con circa 15 coppie di treni al giorno, con una relazione ogni ora;
    dopo le 18,15 nessun treno collega Roma con Verona. E dopo le 18,50 nessun treno collega Verona con Roma. Di fatto, una delle più dinamiche città dal punto di vista economico del Paese, è isolata dalla capitale;
    se l'offerta ferroviaria per Verona da e verso Roma – direttamente o indirettamente – è cadenzata nel corso della giornata, dopo le 18,15 da Roma e dopo le 18,50 da Verona cala il buio.
   Nel dettaglio, sebbene da:
    1. Roma verso Bologna dopo le 18,15 vi siano quattro treni con un'offerta variegata in partenza dalle 19,20 alle 20,20 e arrivo rispettivamente alle 21,35 e alle 22,35 (altri collegamenti Roma/Bologna sono 19,35/21,52 e 19,50/22,07), dopo l'ultimo treno da Bologna per Verona in partenza alle 21,10 non c’è null'altro;
    2. da Bologna verso Roma dopo le 18,50 vi siano treni con offerta variegata in partenza alle 19,43, 19,53 e 20,20 con arrivo rispettivamente alle 21,40, 22,10 e 22,35 a Roma, dopo l'ultimo treno da Verona per Bologna in partenza appunto alle 18,50 non c’è null'altro;
   il problema vero, quindi, è la mancanza di treni regionali o regionali veloci di collegamento fra Bologna e Verona dopo le 22,35 e da Verona con arrivo fino alle 20,20 a Bologna; intercettando le coincidenze, si eviterebbero, peraltro, possibili vuoti di passeggeri sulla tratta;
    la soluzione di un nuovo collegamento che copra il vuoto risolverebbe anche il buco dei collegamenti da Padova, stazione presso la quale i treni da Roma giungono anche nelle fasce orarie in interesse, infatti dopo le 20,17 da quella città non parte nulla verso Verona;
    altresì, si favorirebbe il prolungamento dei passeggeri verso Trento in ragione del fatto che verso quella destinazione da Verona l'ultimo treno parte alle 22,49;
    l'ulteriore nota stonata è certamente il sottoutilizzo di una linea a doppio binario con una tecnologia sofisticata e molto moderna e con una programmazione di soli 50 treni al giorno quando ne potrebbero circolare più di 120! (come sulle tratte Verona/Milano e Verona/Venezia, o sulla Verona/Trento-Bolzano). Praticamente i lavori di raddoppio del binario (durati più di trent'anni) hanno portato solo benefici in termini di orario: prima le due città erano lontane più di due ore, oggi la distanza temporale è minore di 80/90 minuti ma il numero di corse non è mai cambiato;
    questo accade solo sul territorio veneto. In Emilia Romagna, infatti, sono aumentati i treni ed anche le stazioni nell’hinterland del capoluogo. Nella tratta Bologna-Poggio Rusco (e quindi, esclusivamente, sul territorio della regione Emilia Romagna) circola un treno ogni ora e nelle fasce pendolari un treno ogni mezz'ora;
    considerata l'esperienza emiliana, per potenziare il servizio sulla linea Verona-Bologna sarebbe sufficiente un accordo fra le due Regioni, Veneto ed Emilia ed il servizio ferroviario potrebbe essere più che raddoppiato con sicuri benefici per il collegamento fra le due città e probabilmente anche per il territorio limitrofo (da Trento e dalla zona padana fino a Brescia);
    sarebbe opportuna una riflessione sull'anticipo della prima partenza da Verona, oggi prevista alle ore 6,50 per essere a Roma prima delle 9,40 e, quindi, in tempo per raggiungere nella capitale qualsiasi destinazione;
    appare urgente prevedere due nuovi collegamenti che offrano la possibilità ai veronesi di usufruire di un collegamento ferroviario da Bologna, e quindi, da Roma, con partenza successiva alle 22,35 in modo da favorire la permanenza in Roma fino alle 20,20 e, di contro da Verona verso Bologna e, quindi, verso Roma che arrivi alla stazione bolognese entro le 20,20;
   B) va rivisto l'aggravio di costi per i veronesi diretti o provenienti dalla Lombardia. Infatti:
    la Regione Veneto, in data 9 luglio, ha comunicato in via ufficiale e in modo unilaterale la soppressione, a partire dall'entrata in vigore del prossimo orario invernale (vale a dire il 15 dicembre), di 4 coppie di treni interregionali che oggi collegano Venezia con Milano. Nel dettaglio i treni 2090, 2098, 2106 e 2110 in partenza da Venezia, ed i treni 2089, 2095, 2107 e 2113 in partenza da Milano;
    si tratta degli unici treni di collegamento interregionali rimasti sulla linea (la direttrice 17), percorsa unicamente dai FrecciaBianca e ai FrecciaRossa di Trenitalia; Le motivazioni fornite dalla Regione Veneto su questa scelta riguardano una rimodulazione del servizio ferroviario interno regionale che non prevede più treni di collegamento a lunga percorrenza con le altre regioni. Tecnicamente la cosa si chiama «rottura di carico», e in pratica il trasporto regionale Veneto da dicembre si muoverà da Venezia per fare capolinea a Verona. Le conseguenze di questa decisione sono diverse e riguardano sia il Veneto che la Lombardia;
    da dicembre, dunque non sarà più possibile muoversi tra Milano e Venezia se non con i convogli di Trenitalia, passando dagli attuali 17 euro di un interregionale ai 70 euro di un FrecciaRossa. Inoltre, chi non abita nei capoluoghi di provincia dove fermano i Freccia di Trenitalia, dovendo muoversi dal Veneto verso la Lombardia e viceversa, non avrà più modo di farlo, se non cambiando treno e sobbarcandosi tempi e costi aggiuntivi;
    la decisione penalizzerà soprattutto le fasce meno abbienti della popolazione e inciderà ulteriormente sulla viabilità dell'area già congestionata dal traffico e dallo smog –:
   se non si ritenga urgente costituire un tavolo ministeriale, di concerto con le regioni coinvolte, per trovare una soluzione positiva per Verona ed i pendolari veronesi. (4-01457)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  I collegamenti ferroviari alta velocità (Frecciarossa, Frecciargento e Frecciabianca) sono effettuati da Trenitalia in regime di mercato, pertanto, non ricevendo alcun corrispettivo pubblico, si sostengono esclusivamente con i ricavi da traffico, quindi, la relativa programmazione: orari, itinerari e fermate si basa su valutazioni di carattere commerciale.
  Attualmente, l'offerta di media-lunga percorrenza tra Roma e Verona è costituita da 7 coppie di treni Frecciargento giornalieri, di cui 4 treni la mattina e 3 treni il pomeriggio, in partenza da Roma e 3 collegamenti la mattina più 4 nel pomeriggio con partenza da Verona.
  A tale offerta si aggiunge una coppia di Intercity notte che soddisfa la clientela in partenza nella tarda serata sia da Roma per Verona (ICN 764 partenza ore 23,00 arrivo ore 5.30) che da Verona verso la Capitale (ICN 763 partenza ore 23.36 e arrivo a Roma alle 6.00).
  Relativamente all'ipotesi di anticipare la partenza del primo treno da Verona per Roma (prevista alle ore 6.50) si fa presente che – considerato il sistema di cadenzamento orario al minuto 50 vigente sulla relazione di cui trattasi (e il conseguente canale dedicato da Verona verso Roma) l'eventuale anticipo di partenza dovrebbe essere programmato alle ore 5.50, un orario poco appetibile per la clientela.
  Per quanto riguarda il servizio regionale, come è noto, secondo la normativa vigente, decreto legislativo n. 422 del 1997, la relativa programmazione e gestione rientra nelle competenze delle singole regioni i cui rapporti con Trenitalia sono disciplinati da contratti di servizio, nell'ambito dei quali vengono definiti, tra l'altro, il volume e le caratteristiche dei servizi da effettuare, sulla base delle risorse economiche rese disponibili dalle stesse regioni.
  Ugualmente, ricade nell'ambito delle competenze delle regioni la determinazione delle tariffe applicabili ai servizi contrattualizzati del proprio territorio.
  Con l'orario 2014, la regione Veneto ha dato corso ad un progetto di riorganizzazione complessiva del servizio ferroviario regionale sull'intero territorio che, adottando un'offerta di tipo cadenzato, ha previsto in sintesi quanto segue:
   un sistema cadenzato di treni «regionali veloci» che collegano i capoluoghi di provincia e i centri maggiori;
   un sistema cadenzato di treni «regionali» che servono tutte le stazioni/fermate;
   un incremento del numero dei treni e conseguentemente dei posti offerti;
   l'utilizzo di materiale rotabile dedicato per ciascuna linea/relazione.
  Al riguardo, Ferrovie dello Stato ha comunicato che l'attivazione del cadenzamento ha determinato una maggiore regolarità dei servizi e consentito un miglioramento generalizzato del sistema della mobilità su ferro in tutta la regione.
  In particolare, le 4 coppie di treni regionali diretti Venezia-Milano (e viceversa) sono state limitate a Verona, da dove è possibile raggiungere Milano (e viceversa) attraverso interscambio anche con i treni regionali della Lombardia (oltre che con i «Frecciabianca»); ciò ha permesso la realizzazione di un'offerta molto più articolata tra Venezia e Verona.
  Si fa presente inoltre, che i servizi ferroviari in parola, oggetto del processo di razionalizzazione ed efficientamento previsto dall'articolo 16-bis del decreto-legge n. 9 del 2012 così come modificato ed integrato dall'articolo 1, comma 301, della legge di stabilità 2013, saranno oggetto di verifica nel corso dell'anno da parte di questo ministero.
  Si segnala, infine, che per quanto di competenza di questa amministrazione, le problematiche segnalate potranno comunque essere esaminate nell'ambito dell'attività dell'osservatorio nazionale sul trasporto pubblico locale, istituito con l'articolo 1, comma 300, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   DI LELLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con l'atto di fusione del 27 dicembre 2012 l'Ente autonomo Volturno s.r.l. – socio unico regione Campania – ha incorporato le società Circumvesuviana, MetroCampania NordEst e Sepsa. In seguito a tale incorporazione, l'EAV: esercita il servizio ferroviario e funiviario regionale; cura la realizzazione delle opere di manutenzione, ammodernamento e potenziamento della rete ferroviaria regionale; gestisce il patrimonio infrastrutturale. Inoltre fornisce supporto alla regione Campania nelle attività di pianificazione, progettazione, programmazione e controllo dei progetti ed investimenti regionali nel campo della mobilità e del trasporto;
   negli ultimi anni, la riduzione dei fondi regionali, sia per quanto riguarda la parte relativa alle risorse per il completamento delle infrastrutture ferroviarie sia per quanto concerne le risorse relative al finanziamento dei contratti di servizio necessari per assicurare il programma di esercizio, ha prodotto la riduzione dei servizi di trasporto su gomma e su ferro, aumentando in modo esponenziale una situazione di estrema criticità, con disservizi costanti e gravi malfunzionamenti, ed alimentando disagi e proteste da parte di studenti, pendolari e cittadini. Tali disagi sono derivati dalla precaria situazione finanziaria ed economica che le società esercenti il trasporto ferroviario e su gomma in Campania stanno affrontando;
   vista la situazione di dissesto in cui versava e versa l'azienda Ente autonomo Volturno, il Governo ha emanato il decreto-legge n. 83 del 2012 convertito dalla legge n. 134 del 2012 con il quale ha disposto, all'articolo 16, comma 5, la nomina di un commissario ad acta per far fronte al disavanzo delle società di trasporto pubblico locale e assicurare azioni volte al ripristino di condizioni di equilibrio economico e finanziario;
   il 16 novembre 2012 si è proceduto all'insediamento del commissario ad acta nominato dal Governo per procedere alla razionalizzazione e al riordino delle società di trasporto su ferro e, come anticipato sopra, a dicembre 2012 ha avuto luogo la fusione per incorporazione in Ente autonomo Volturno delle preesistenti società di trasporto ferroviario regionale;
   ai sensi del sopra citato decreto, il commissario ad acta, salvaguardando i livelli essenziali delle prestazioni e la tutela dell'occupazione, ha effettuato, una ricognizione della consistenza dei debiti e dei crediti delle società esercenti il trasporto regionale ferroviario elaborando un piano di rientro dal disavanzo accertato e un piano dei pagamenti, alimentato dalle risorse regionali disponibili in bilancio e dalle entrate che è stato sottoposto l'11 aprile 2013 al tavolo tecnico cui hanno partecipato il Ministero dell'infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dell'economia e delle finanze e la regione Campania;
   nel corso dell'anno 2012 e in continuità nel 2013 sono stati definiti e concordati con le organizzazioni sindacali accordi finalizzati a recuperi di produttività che hanno registrato riduzioni salariali riferite a preesistente contrattazione di secondo livello riqualificazione di dipendenti in attività dirette con la ricollocazione in qualifiche attive, con la partecipazione diretta dei lavoratori al piano di rientro;
   a distanza di cinque mesi dalla presentazione non vi è ancora stata l'approvazione da parte dei Ministeri competenti;
   solo a seguito dell'approvazione del piano di rientro così come previsto dall'articolo 16, comma 9, del decreto-legge n. 83 del 2012 si potranno utilizzare, per gli anni 2012 e 2013, le risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione, di cui alla delibera CIPE n. 1/2009 del 6 marzo 2009, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 137 del 16 giugno 2009, ad esse assegnate, entro il limite complessivo di 200 milioni di euro –:
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati abbiano intenzione di porre in essere al fine di sottoscrivere, in tempi brevi, l'accordo di approvazione del piano di rientro dell'azienda Ente autonomo Volturno così come previsto dal decreto-legge n. 83 del 2012 posto che oramai il sistema dei trasporti è al limite del collasso con gravi ripercussioni sia in stermini economici ed occupazionali per quanto riguarda le società dell'Ente autonomo Volturno sia in termini di disservizi e disagi della popolazione. (4-01995)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Preliminarmente, si informa che l'accordo di approvazione del piano di rientro dell'azienda ente autonomo Volturno di cui al decreto-legge n. 83 del 2012 e relativa legge di conversione è stato stipulato in data 24 dicembre 2013 dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dal Ministero dell'economia e delle finanze e dal presidente della regione Campania ed è stato registrato dalla Corte dei conti il 26 febbraio 2014.
  Detta stipula permette al Commissario di intraprendere le azioni di efficientamento e razionalizzazione previste nel piano di rientro nonché di utilizzare le risorse nello stesso previste al fine di evitare l'acuirsi delle criticità che incidono sulla regolarità e sulla continuità del servizio di trasporto.
  Si informa, altresì, che l'articolo 41, comma 5, del decreto-legge n. 133 del 2014 cosiddetto «Sblocca Italia», in corso di conversione, al fine di consentire l'efficace prosecuzione delle attività del piano di rientro relativo al trasporto pubblico locale della regione Campania predisposto dal commissario ad acta ai sensi dell'articolo 16, comma 5, del citato decreto-legge n. 83 del 2012 ed impedire la sottoposizione a vincolo pignoratizio di somme indispensabili per l'estinzione dei debiti societari e per l'erogazione del servizio pubblico, ha ripristinato il divieto di intraprendere e proseguire azioni esecutive, anche concorsuali, nei confronti delle società a partecipazione regionale esercenti il trasporto ferroviario regionale nonché l'impignorabilità delle risorse destinate alla copertura del piano di rientro della regione Campania dall'entrata in vigore del decreto fino al 31 dicembre 2015.
  Il medesimo comma 5, al fine di garantire la realizzazione delle misure previste nel citato piano di rientro, prevede, inoltre, che i pignoramenti eventualmente eseguiti non vincolano gli enti debitori e i terzi pignorati, i quali possono disporre delle somme per le finalità istituzionali delle società di trasporto pubblico locale.
  Peraltro, si ricorda che il blocco delle azioni esecutive nei confronti delle società a partecipazione regionale esercenti il trasporto ferroviario regionale, inizialmente previsto per la durata di 12 mesi dall'articolo 16, comma 7 del suddetto decreto- legge n. 83 del 2012 era stato successivamente prorogato, dall'articolo 17, comma 5, del decreto-legge n. 16 del 2014, al 30 giugno 2014.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   FEDI, GIANNI FARINA, PORTA, LA MARCA e GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   numerose università australiane presso le quali il nostro Paese ha, nel corso degli anni, stabilito proficui rapporti, anche con la presenza di «lettori», esprimono forte preoccupazione in merito ad una serie di prospettate chiusure;
   l'università Monash di Melbourne segnala di aver già ricevuto una comunicazione in tal senso dal Consolato generale di Melbourne;
   la Monash University ha inoltre investito notevolmente in Italia con un Campus nella città di Prato che si è distinto localmente, su tutto il territorio nazionale e in Europa per capacità di innovazione, ricerca universitaria e scambi a livello universitario;
   in alcune realtà geografiche — come l'Australia — il numero complessivo di alunni che frequentano corsi di lingua italiana è andato gradualmente aumentando e, nel corso degli anni, la presenza di lettori a livello universitario ha consentito un collegamento immediato e proficuo con il settore terziario, anche in termini di ricerca e di rapporti tra università;
   il consistente taglio alle risorse finanziarie deciso dal Governo, non può consentire di ripartire in maniera lineare le riduzioni di bilancio e vanno invece salvaguardate le logiche di investimento e di produttività, anche in termini linguistici e culturali;
   eventuali progressive e drastiche riduzioni dell'impegno dello Stato italiano in Australia, a livello universitario e di lettorati, costituirebbe un segnale gravissimo di disattenzione nei confronti di una realtà politico-economica strategicamente collocata nell'Asia-Pacifico –:
   se siano fondate le preoccupazioni sollevate dalle università australiane presso le quali il nostro Paese ha lettorati, in relazione a consistenti riduzioni dell'impegno del nostro Paese;
   se siano fondate le preoccupazioni relative al mancato rinnovo del lettorato presso l'università Monash di Melbourne;
   se non si ritenga necessario intervenire affinché la lingua e la cultura italiane vedano una continuità di impegno anche a livello terziario;
   quali misure urgenti il Governo intenda adottare, immediatamente, per garantire continuità nella presenza italiana a livello universitario in Australia, ed in particolare presso l'università Monash di Melbourne, una delle poche università nel mondo che ha una presenza in Italia;
   se non si ritenga indispensabile operare affinché, nel mondo, possa essere mantenuta alta l'immagine di lingua e cultura italiane, anche a livello terziario.
(4-06400)

  Risposta. — Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale sostiene fortemente l'importanza della diffusione della lingua italiana quale strumento di promozione di sistema e, in particolare, il contributo offerto in tale campo dalle Istituzioni scolastiche ed educative italiane all'estero.
  La legge 135 del 2012 di revisione della spesa ha stabilito un nuovo limite massimo del contingente di personale scolastico all'estero pari a 624 unità, con una conseguente graduale riduzione di 400 posti, rispetto ai 1.024 dell'anno scolastico 2011/2012. Sulla base dell'automatismo insito nella norma secondo cui il numero dei posti da sopprimere corrisponde al numero del personale in rientro per termine del mandato all'estero, il limite massimo di 624 unità sarà raggiunto a partire dall'anno scolastico 2015/2016.
  Come si è già avuto modo di precisare all'interrogante in occasione di una precedente interrogazione, per quanto riguarda l'Australia per il corrente anno scolastico (2014/2015) sono stati mantenuti 6 posti di lettore (1 ad Adelaide, 1 a Canberra, 2 a Melbourne, 1 a Perth e 1 Sydney) sui 7 dell'anno scolastico precedente; si è proceduto alla riduzione di un solo posto a Melbourne/Clayton presso la Monash University, considerato che nella stessa circoscrizione sarebbero comunque rimasti due lettorati a Melbourne.
  Si è inoltre riusciti, come auspicato nella citata nota, ad istituire nel 2014/2015 un posto di dirigente scolastico a Canberra. Il funzionario, la cui assunzione è in corso di finalizzazione, assicurerà il coordinamento, l'organizzazione, la promozione e il monitoraggio delle iniziative educative e scolastiche italiane in Australia.
  Infine si precisa che, nei limiti delle risorse disponibili e qualora la Monash University presenti una richiesta documentata, sarà possibile assegnare da parte di questo Ministero un contributo finanziario per l'assunzione di un lettore a contratto locale.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   FUCCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella provincia di Barletta-Andria-Trani, e in particolare sulla piana del Castel del Monte, con la stagione estiva e come di consueto sono avvistati numerosi incendi che, anche quando sono di modesta entità, risultano difficili da domare e quindi potenzialmente molto pericolosi;
   in più di un'occasione, a causa del cumulo di sansa e segatura che si incendia, le fiamme di propagano lambendo le corsie stradali e andando così a creare gravi problemi di visibilità che mettono a rischio la sicurezza stradale;
   già nella passata legislatura, in più occasioni, l'interrogante ebbe modo di segnalare in corrispondenza della stagione estiva questo grave problema al Governo con le interrogazioni a risposta scritta n. 4-00522, n. 4-04346 e n. 4-17028;
   ad aumentare la preoccupazione è il fatto che, dopo la decisione in tal senso da parte del comando provinciale dei vigili del fuoco di Bari, la provincia Barletta-Andria-Trani è stata privata della presenza, pur inizialmente prevista, di una squadra aggiuntiva di assistenza contro gli incendi boschivi –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se intenda assumere, per quanto di competenza, iniziative per garantire anche alla provincia di Barletta-Andria-Trani il presidio necessario per prevenire il fenomeno degli incendi durante la stagione estiva. (4-05685)

  Risposta. — La lotta attiva contro gli incendi boschivi impegna intensamente, specie nel periodo estivo, le strutture operative del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, coadiuvate dal Corpo forestale dello Stato.
  Per quanto concerne la materia dello spegnimento degli incendi boschivi, si evidenzia che la competenza primaria è attribuita alle regioni, ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, salvo lo spegnimento con mezzi aerei che è stato mantenuto alla competenza dello Stato.
  Tale assetto normativo è stato peraltro confermato e rafforzato a favore delle regioni dalla legge quadro sugli incendi boschivi 21 novembre 2000, n. 353, che ha attribuito alle stesse il compito di definire e programmare, mediante apposito «piano regionale», le attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi, per la cui attuazione le regioni possono, tra l'altro, stipulare apposite convenzioni con il Ministero dell'interno per l'impiego di personale e mezzi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  In base a tale normativa, in data 10 giugno 2014 è stata stipulata, per la stagione estiva 2014, una convenzione per la lotta agli incendi boschivi tra la regione Puglia e il dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile del Ministero dell'interno, al fine di assicurare efficaci interventi operativi nel periodo di maggiore pericolosità per il rischio di incendi boschivi.
  Nel periodo 1o luglio-31 agosto la convenzione ha previsto due squadre aggiuntive per il Comando provinciale vigili del fuoco di Bari (competente per il territorio provinciale di Barletta-Andria-Trani), la cui dislocazione è stata concordata tra la direzione regionale vigili del fuoco e il servizio protezione civile della regione Puglia sulla base dell'andamento climatico e sulla scorta dell'esigenza di supporto alle forze operative presenti in campo.
  In particolare, per la campagna antincendi boschivi nella provincia di Barletta-Andria-Trani, la copertura operativa è stata assicurata dal 1o al 31 luglio 2014 con una squadra dislocata presso il distaccamento di Corato, con priorità di contrasto degli incendi boschivi, di colture e macchie nel territorio della provincia.
  Dal 1o agosto la stessa squadra è stata dislocata presso il distaccamento di Barletta.
  La predetta convenzione ha previsto, per il coordinamento di eventuali interventi di estinzione incendi con elicotteri o aeromobili, una sinergia operativa coordinata dalla sala operativa unificata di protezione civile regionale.
  Nell'ambito dei propri compiti di coordinamento tecnico delle attività di spegnimento degli incendi boschivi con la flotta aerea antincendio dello Stato, il Dipartimento dei vigili del fuoco ha dislocato sul territorio 5 velivoli canadair nell'aeroporto di Roma Ciampino e 4 velivoli canadair nell'aeroporto di Lamezia Terme, operativi per il territorio della Puglia e delle altre regioni meridionali, ai quali si affianca il nucleo elicotteri dei vigili del fuoco di Bari, coordinato dalla Direzione regionale vigili del fuoco per la Puglia.
  L'azione sinergica di questi dispositivi consente di fronteggiare in maniera efficace le eventuali esigenze di spegnimento degli incendi boschivi in quelle zone nel pieno rispetto degli standard di servizio.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   GAGNARLI, BALDASSARRE e SEGONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la situazione del trasporto locale su rotaia in Toscana è da tempo al centro dell'attenzione di media e quotidiani locali: dai ritardi alle soppressioni, dalle condizioni dei convogli alle gare di affidamento per il prossimo anno, dagli incidenti ai nuovi regolamenti ANSF sulla redistribuzione di responsabilità e mansioni tra capotreni e macchinisti;
   la prima firmataria del presente atto ha già presentato diversi atti di sindacato ispettivo su alcuni dei temi sopra citati: una interpellanza urgente, unica a cui si è avuta risposta, e 4 interrogazioni a risposta scritta ancora in sospeso;
   alcuni parlamentari 5 stelle toscani, Massimo Artini e Samuele Segoni, ed anche il presidente della regione Toscana Enrico Rossi, stanno effettuando periodicamente sopralluoghi nelle tratte più «calde» per verificare lo stato in cui sono costretti a viaggiare migliaia di pendolari;
   dal liveblog il Tirreno, grazie al certosino lavoro di giornalisti e utenti della rete ferroviaria, è possibile monitorare giornalmente questi ritardi e disagi sulle tratte regionali; a titolo di esempio si riportano di seguito i dati della settimana dal 27 al 31 gennaio 2014 sulle 3 linee più calde della Toscana:
    sulla Arezzo-Firenze, il caso della settimana è stato il «mistero» del regionale veloce 2304 di martedì 28 per Firenze SMN: Trenitalia ne annunciava il ritardo di 15 minuti, in rete alcuni pendolari raccontavano di esserci saliti, mentre altri viaggiatori dichiaravano di non averlo visto passare e che risultava assente anche dal tabellone elettronico della stazione; venerdì 31, il giorno delle bombe d'acqua che si sono rovesciate sulla Toscana, la pioggia ha creato gravi problemi tra cui l'allagamento del sottopasso a San Giovanni Valdarno, rimasto chiuso a causa dell'acqua alta;
    sulla Pisa-Lucca-Aulla venerdì 31 le forti piogge hanno messo in ginocchio il pisano: 14 i treni con un ritardo di almeno 10 minuti e ben 4 le soppressioni. Anche nei giorni precedenti, non sono mancati i problemi: tranne lunedì, i treni ritardatari sono stati sempre in doppia cifra; mercoledì 29 gennaio è stato il giorno peggiore con ben quattro corse che hanno totalizzato più di mezz'ora di ritardo;
    sulla Faentina il caso della settimana è stato il cambio di orario di tre corse che, tra gli altri, hanno interessato anche il frequentatissimo regionale 6806 da Borgo San Lorenzo a Firenze delle 7:23. Durante la settimana sulla Firenze-Borgo San Lorenzo si sono totalizzati ben 82 minuti di ritardo, sulla linea inversa invece 44 minuti totali di ritardo ed una soppressione, sulla Faenza-Firenze SMN si sono registrati 10 minuti di ritardo;
   sul Corriere fiorentino on-line del 5 febbraio 2014 si legge che la regione Toscana applicherà a Trenitalia una penale di 664.000 euro per i disservizi rilevati dagli ispettori regionali nel corso del 2012. Una cifra che non comprende ancora la valutazione economica dei ritardi e delle soppressioni; la penale si riferisce infatti solo agli standard di qualità del viaggio: carrozze sporche, problemi di riscaldamento o di condizionamento dell'aria, toilette inagibili, porte che non funzionano, biglietterie automatiche fuori servizio e mancate comunicazioni ai viaggiatori;
   nel tentativo di cambiare faccia al trasporto ferroviario locale l'amministrazione regionale ha deciso di interrompere, a fine anno, il contratto di servizio con Trenitalia e sta organizzando una gara per l'affidamento del servizio, ed un nuovo accordo quadro con RFI, ai sensi del decreto legislativo n. 188 del 2003, propedeutico allo sviluppo della procedura di gara;
   l'affidamento ad un nuovo gestore presenta tuttavia numerosi aspetti ancora da chiarire, tra cui le modalità con cui garantire la disponibilità dei beni necessari al servizio in ordine al materiale rotabile, ai depositi ed alle officine, se la Toscana sarà divisa in più lotti o in un unico lotto, se ci saranno ripercussioni circa il personale attualmente impiegato da Trenitalia –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché vengano salvaguardati gli standard di sicurezza e qualitativi, la continuità temporale e spaziale del servizio, la corretta manutenzione straordinaria, ordinaria e le revisioni periodiche del materiale rotabile, la pulizia interna ed esterna alle carrozze, la gestione delle relazioni con l'utenza e la tutela dei lavoratori attualmente impiegati da Trenitalia. (4-03612)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, occorre premettere che secondo la normativa vigente (decreto legislativo n. 422 del 1997), la programmazione dei servizi regionali, che assicurano principalmente la mobilità della clientela pendolare, è di competenza delle singole regioni, nel caso specifico della regione Toscana, i cui rapporti con la società Trenitalia sono disciplinati da contratti di servizio nell'ambito dei quali vengono definiti, tra l'altro, il volume e le caratteristiche dei servizi da effettuare sulla base delle risorse economiche rese disponibili dalle stesse regioni, nonché i relativi standard qualitativi e i meccanismi di penalità da applicare nei casi di eventuali difformità dai parametri contrattualmente stabiliti.
  Come evidenziato anche dagli interroganti tra la fine del mese di gennaio e l'inizio del mese di febbraio 2014 si è verificata una fase di condizioni meteo particolarmente avverse, per la quale la protezione civile ha emesso vari «Bollettini di vigilanza meteorologica nazionale» e, di conseguenza, il Gestore dell'infrastruttura ferroviaria (Rfi) ha attivato la fase operativa di allerta del piano neve e gelo che ha interessato la maggior parte delle regioni del centro-nord del Paese, tra cui la Toscana.
  Tali condizioni meteorologiche, che hanno determinato numerose avarie agli impianti ed alle sedi infrastrutturali del territorio toscano (come l'allagamento dei binari per le esondazioni del fiume Cecina e del torrente Era, il giorno 31 gennaio), hanno comportato, conseguentemente, interruzioni e rallentamenti della circolazione ferroviaria con contingenti modifiche al regolare svolgimento della programmazione dei servizi.
  Al riguardo, Trenitalia ha comunicato che durante la fase dell'emergenza maltempo le informazioni relative alla circolazione dei treni sono state rese disponibili per la clientela attraverso i vari canali di informazione del gruppo ferrovie dello Stato italiane, tra cui, FSNews Radio (in diffusione sul web e in 400 stazioni) e @fsnews-it, il profilo Twitter delle Fsi.
  La medesima società ha evidenziato, infine, che il materiale rotabile impiegato nel servizio regionale toscano è conforme ai requisiti di qualità e sicurezza prescritti dalla normativa vigente; tutti i rotabili di Trenitalia vengono regolarmente sottoposti ad operazioni di manutenzione programmata secondo piani manutentivi che ciclicamente si ripetono, in base alla percorrenza chilometrica e/o alla scadenza temporale prevista, con varie fasi di controllo, verifiche ed interventi effettuati a livelli differenti, che ne determinano il ciclo di utilizzo.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS=Eco-management and audit scheme) è un sistema a cui possono aderire volontariamente le imprese e le organizzazioni, sia pubbliche che private, aventi sede nel territorio dell'Unione europea o al di fuori di esso, che desiderano impegnarsi nel valutare e migliorare la propria efficienza ambientale;
   il primo Regolamento EMAS n. 1836 è stato emanato nel 1993 e nel 2001 è stato sostituito del Regolamento n. 761 che, a sua volta sottoposto a revisione, è stato sostituito nel 2009 dal nuovo Regolamento n. 1221;
   EMAS è principalmente destinato a migliorare l'ambiente e a fornire alle organizzazioni, alle autorità di controllo ed ai cittadini uno strumento attraverso il quale è possibile avere informazioni sulle prestazioni ambientali delle organizzazioni;
   il sistema di gestione relativo alle attività tecniche di registrazione EMAS, accreditamento e sorveglianza dei verificatori ambientali EMAS sono svolte in conformità alla norma ISO 9001:2008 (Certificato 9175 rilasciato da IMQ-CSQ);
   i Regolamenti (CE) 1221/09 EMAS e (CE) 66/10 ECOLABEL prevedono che ogni Stato membro istituisca gli organismi competenti nazionali cui demandare il compito di applicare gli schemi comunitari; nel nostro Paese, il decreto ministeriale n. 413 del 1995 ha istituito il Comitato ecolabel ecoaudit per svolgere le funzioni attribuite ai predetti organismi competenti;
   lo stesso decreto prevede che i membri del Comitato, che è composto da rappresentanti dei Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dello sviluppo economico, della salute e dell'economia e delle finanze, restino in carica tre anni e che l'incarico possa essere rinnovato solo una ulteriore volta;
   l'ultimo decreto di nomina del Comitato per l'Ecolabel e per l'Ecoaudit è il GAB-DEC–2010–000111 del 28 giugno 2010 — a firma del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, registrato all'UCB il 9 luglio 2010 visto n. 233;
   negli ultimi anni la legislazione nazionale ha riconosciuto benefici e incentivi e soprattutto semplificazioni per l'ottenimento delle autorizzazioni ambientali per le imprese che aderiscono volontariamente ad EMAS, o che certificano prodotti e servizi con il marchio Ecolabel;
   la registrazione consente, inoltre, di aver un rapporto trasparente con gli enti di controllo, come regione, provincia e ARPA, ed importanti agevolazioni, anche economiche;
   per le imprese e organizzazioni registrate EMAS si prevedono semplificazioni in materia di rifiuti, di prevenzione e riduzione integrata dell'inquinamento (IPPC), di energia, di acque; in sintesi, la registrazione EMAS è l'obiettivo più qualificante, a carattere volontario, che un'impresa possa perseguire, a dimostrazione del proprio impegno nel rispetto e tutela dell'ambiente;
   purtroppo il comitato EMAS è decaduto nel luglio 2013 e non è stato rinominato da parte del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; pertanto, tutte le pratiche di richiesta di registrazione sono attualmente ferme in attesa che venga istituito il nuovo comitato;
   al momento, tutto è in stallo in attesa della decisione del Ministro che potrebbe anche rinnovare d'ufficio il Comitato decaduto ai fini dell'accelerazione delle pratiche;
   le perdite per le imprese sono consistenti, in quanto hanno già investito per implementare internamente i propri sistemi di gestione conformi alle norme europee in questione; infatti, in termini di oneri risparmiati in un momento di crisi economica come l'attuale la riattivazione del Comitato può essere di vitale importanza per le imprese –:
   se e con quali tempi il Ministro intenda riattivare il Comitato per l'Ecolabel e per l'Ecoaudit, sezione EMAS e sezione Ecolabel. (4-02157)

  Risposta. — Con decreto interministeriale 2 agosto 1995, n. 413, emanato di concerto tra i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della salute, dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze, successivamente modificato con il decreto interministeriale 12 giugno 1998, n. 236, è stato adottato il «Regolamento recante, norme per l'istituzione ed il funzionamento del Comitato per l'Ecolabel e l'Ecoaudit».
  Il predetto Comitato, com’è noto, rappresenta l'organismo competente previsto dall'articolo 9 del regolamento n. 880/92/CEE del Consiglio del 23 marzo 1992 e dall'articolo 18 del regolamento n. 1836/93/CEE del Consiglio del 29 giugno 1993. Detti regolamenti comunitari, peraltro, sono stati entrambi e rispettivamente modificati con i regolamenti n. 1980/2000 e n. 761/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio e, successivamente, con i regolamenti n. 66/2010 e n. 1221/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio.
  In relazione alle modifiche apportate, da ultimo, con i regolamenti n. 66/2010 e n. 1221/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, si rendeva necessario provvedere alla emanazione di un «nuovo» regolamento di funzionamento del Comitato.
  Tuttavia, nelle more di pervenire al suo perfezionamento, si è reso necessario, per garantire continuità alle funzioni rimesse al Comitato, provvedere alla sua ricostituzione in quanto erano venuti, nel frattempo, a scadere gli incarichi conferiti ai precedenti componenti.
  Per tale ragione, una volta acquisite le necessarie designazioni, si è provveduto con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 370 del 19 dicembre 2013 alla nomina dei componenti del Comitato per l'ecolabel e l'ecoaudit.
  Alla nomina del presidente e del vicepresidente del medesimo organismo si è successivamente provveduto con decreto n. 384 del 31 dicembre 2013 del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare emanato di concerto con il Ministro dello sviluppo economico.
  È previsto che, tali incarichi, la cui durata è fissata in tre anni dalla data del provvedimento di nomina, vengano a cessare al momento della adozione e della piena attuazione del «nuovo» regolamento di funzionamento, da emanarsi in attuazione dei sopra citati regolamenti comunitari n. 66/2010 e n. 1221/2009.
  I provvedimenti di cui sopra sono visionabili presso il sito internet istituzionale di questo Ministero alla sezione «amministrazione trasparente» (
http://www.minambiente.it/pagina/provvedimenti-organi-indirizzo-politico), mentre la composizione dell'organo collegiale è visionabile alla sezione «comitati e commissioni» (http://www.minambiente.it/pagina/comitati-e-commissioni).
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CRISTIAN IANNUZZI, NICOLA BIANCHI, DE LORENZIS e PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la mobilità è un diritto tutelato dalla Costituzione (articolo 16) e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (protocollo n. 4, articolo 2);
   il quadrante Est di Roma sopporta, da decenni, un peso insediativo di abitanti in continua espansione, che grava sulla rete viaria esistente, formata dalle strade Casilina, Prenestina, Collatina, Tiburtina e dal tratto urbano dell'autostrada A24;
   i lavori di adeguamento della rete viaria rispondono solo parzialmente alle crescenti esigenze degli abitanti della zona: l'allargamento, in sede, della via Tiburtina (dal Km 9,300 al Km 15,800) sarà ultimato solamente fra 3 anni; la linea FR2, a doppio binario dalla stazione Tiburtina a Lunghezza, nelle ore di punta, non è sufficiente a fornire un servizio paragonabile alle metropolitane; il prolungamento della metro B, previsto a servizio dell'Asse Tiburtino, è stato cancellato, mentre ancora non si hanno certezze in merito alla messa in esercizio della metro C;
   in tale contesto, al fine di risolvere almeno parzialmente le esigenze del traffico nella zona, 10 anni fa venivano progettate le complanari alla autostrada A24;
   il 15 dicembre 2004 il Ministro dei trasporti, il presidente della regione Lazio, il presidente della provincia di Roma e il sindaco di Roma firmavano un protocollo d'intesa per realizzare due complanari alla A24, da Lunghezza a via Palmiro Togliatti, dichiarando: «i pendolari del quadrante est della città avranno una viabilità più scorrevole e non dovranno più pagare il pedaggio autostradale»;
   nel mese di aprile 2014 sono state completate le complanari all'autostrada A24, che, nonostante gli intenti delle parti contraenti al momento della sottoscrizione del protocollo di intesa, prevedono il pagamento di un pedaggio per chi vi accede dai caselli di Lunghezza, Ponte di Nona e Settecamini;
   al contrario, l'accesso alle complanari è libero per chi vi accede dal Grande Raccordo Anulare;
   si realizza di fatto una discriminazione ingiustificata nei confronti dei residenti del VI e IV Municipio di Roma Capitale, a tutti gli effetti cittadini romani al pari di chi risiede all'interno del Grande Raccordo Anulare;
   non si comprende la ragione di tale discriminazione, atteso il fatto che l'opera è stata finanziata, per circa due terzi, con soldi pubblici; il suo costo, pari ad euro 273.339.558,00 è stato così ripartito: 85.000.000,00 a carico degli enti territoriali, 80.000.000,00 a carico dell'ANAS e la parte restante a carico della società Strada dei Parchi S.p.A.;
   a fronte delle rimostranze manifestate dalla cittadinanza in merito al pagamento del pedaggio nel tratto stradale in questione, la società concessionaria dell'opera, Autostrada dei Parchi, ha dichiarato che il pagamento del pedaggio per l'accesso alle complanari dell'A24 è previsto ab origine dall'accordo contrattuale sottoscritto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti –:
   se sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa;
   se corrisponda al vero la circostanza che il pedaggio relativo alle complanari dell'Autostrada A24 nella zona indicata in premessa sia stato oggetto di accordo tra codesto Ministero e la società concessionaria, Strada dei Parchi spa;
   in caso tale affermazione corrisponda al vero, se sia possibile rinegoziare tale accordo, al fine di scongiurare l'ennesima tassa occulta a carico dei cittadini.
(4-05522)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  L'autostrada A24 ha inizio a Roma, con progressiva chilometro 0+000 sul grande raccordo anulare (Gra) crescente tanto verso la tangenziale est di Roma, tronco di penetrazione urbana, quanto verso Teramo e Pescara e prevede un sistema di pedaggiamento «di tipo aperto» nella tratta compresa tra le stazioni di Settecamini e Lunghezza, ossia l'utente paga una somma fissa, indipendente dai chilometri percorsi e legata solo alla classe del veicolo posseduto.
  In particolare, nel tratto in questione, il pedaggio è corrisposto, fin dalla entrata in funzione, in entrata/uscita dalle stazioni di Lunghezza, Ponte di Nona e Settecamini con direzione/provenienza tangenziale est di Roma; mentre per il tratto iniziale compreso tra la tangenziale est di Roma e il grande raccordo anulare (tronco di penetrazione urbana) non è dovuto nessun pedaggio, così come previsto nella convenzione di concessione.
  Pertanto, non esistono atti che prevedono la liberalizzazione della tratta esterna al grande raccordo anulare.
  La scelta relativa alla tipologia del sistema di esazione da adottare, nonché, al posizionamento di stazioni controllate e svincoli liberi, alle lunghezze in base alle quali calcolare i pedaggi e i relativi importi, risponde, da un lato ai vincoli di progetto della rete autostradale e dall'altro alle esigenze di fluidità e di sicurezza del traffico.
  Difatti, la viabilità complanare dell'autostrada A24 consente di fluidificare il traffico in entrata e in uscita dalla capitale e di migliorare i collegamenti con la stessa autostrada; da via Palmiro Togliatti fino al casello Roma est sono state realizzate due corsie per ciascun senso di marcia, alla destra e alla sinistra dell'attuale sede autostradale, dette appunto complanari, destinate al traffico locale.
  Le corsie centrali, ovvero quelle già esistenti, saranno utilizzabili solamente ed esclusivamente da e per il casello di Roma est. Dallo svincolo di Portonaccio all'intersezione con via Palmiro Togliatti, invece, è stata realizzata la riqualificazione della piattaforma esistente con l'adeguamento dei dispositivi di sicurezza e di segnaletica alle nuove tecnologie.
  Al riguardo, si evidenzia, che nel protocollo d'intesa, citato dagli interroganti, non viene menzionato il sistema di pedaggiamento che è rimasto invariato rispetto a quanto precedentemente previsto.
  Occorre segnalare, altresì, che gli ingenti investimenti sostenuti dalla concessionaria strada dei parchi Spa per la realizzazione delle complanari all'A24 nonché per la realizzazione della seconda carreggiata nella tratta Villavomano-Teramo, trovano copertura nella specifica manovra tariffaria inserita nel piano finanziario che prevede percentuali di adeguamento più sostenute rispetto ad altre concessionarie con minori investimenti.
  Infatti, per la strada dei parchi Spa, come per ogni altra società concessionaria, con periodicità annuale sono riconosciuti, con decreto di concerto tra il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, specifici incrementi tariffari secondo il corrispondente contratto di concessione e secondo specifiche procedure.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   LACQUANITI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 giugno 2014 si è verificato un episodio di sversamento di circa 200 litri di gasolio nel lago di Garda, a Desenzano del Garda, in località «Maratona». Con grande tempestività sono intervenuti i mezzi di soccorso dei vigili del fuoco, i tecnici dell'ARPA, i mezzi del Consorzio «Garda 1», la polizia locale. Le misure adottate hanno permesso, a quanto consta all'interrogante, di circoscrivere i danni e riassorbire il carburante, e la situazione è stata normalizzata come ha assicurato il sindaco di Desenzano, Rosa Leso;
   questo è stato solo l'ultimo di una serie di episodi che in un mese hanno provocato l'intervento dei battelli chiamati a limitare i danni causati dallo sversamento di carburante nel Lago di Garda;
   in data 15 giugno, nei pressi di Salò, un altro sversamento di circa 300 litri di carburante induceva la cittadinanza e i turisti a rivolgersi immediatamente alle autorità locali. Queste ultime, intervenivano tempestivamente con l'ausilio dei vigili del fuoco e dei mezzi di soccorso del Consorzio «Garda Uno» e della Guardia costiera, e il danno ambientale veniva riassorbito;
   in data 7 giugno l'incendio di un'imbarcazione a Manerba del Garda e il successivo affondamento provocava l'intervento dei mezzi di soccorso e di prevenzione dell'inquinamento;
   un altro episodio simile il 10 giugno al porto di Moniga del Garda per un'altra barca affondata;
   tutti questi episodi si verificano in una zona geografica particolarmente pregiata sotto il profilo ambientale, dotata di un microclima rinomato, con colture autoctone rilevanti, e tuttavia già oggetto nel tempo di svariate forme di aggressione al territorio. È di soli pochi giorni fa la proroga del divieto di vendita di anguille pescate nel Garda, provvedimento che il Ministero della salute aveva già deliberato nel 2011, per la rilevata concentrazione di diossine e policlorobifenili su campioni ittici della specie  –:
   se non si intenda procedere a controlli urgenti e immediati per verificare come prevenire tali eventi;
   se sia intenzione del Governo assumere iniziative, per quanto di competenza, per assicurare il tempestivo ed efficace intervento nel caso dovessero ripetersi nuovamente accadimenti simili ai suddetti.
(4-05407)

  Risposta. — In riferimento al tema trattato con l'atto di sindacato ispettivo indicato in esame, appare preliminarmente opportuno precisare che nessuna diretta competenza o responsabilità concernenti le questioni poste dall'interrogante sono riconducibili ad attività istituzionalmente rimesse allo scrivente Ministero. Per questo motivo tutti gli elementi conoscitivi sono stati acquisiti, nel corso di una apposita istruttoria, dalla prefettura di Brescia e dall'Arpa Lombardia.
  In tale occasione è stato riferito in particolare, che i parametri chimici che potrebbero risultare problematici per il lago di Garda, sulla base delle pressioni insistenti sul suo bacino, risultano da anni sottoposti al monitoraggio dell'Arpa della Lombardia, in ottemperanza a precise disposizioni normative.
  In effetti, nel corso del 2011, si è riscontrata nelle stazioni monitorate una concentrazione massima di mercurio (il cui controllo è previsto con frequenza bimestrale) superiore al limite stabilito dalle disposizioni in materia di «monitoraggio e classificazione delle acque in funzione degli obiettivi di qualità ambientale» (decreto legislativo n. 152 del 2006 e decreto ministeriale n. 260 del 2010). Tale situazione è rimasta circoscritta al 2011 non essendosi registrati superamenti del limite di concentrazione per detta sostanza nei successivi anni 2012 e 2013.
  È stato precisato, che nello stesso anno 2011, a seguito della contaminazione rinvenuta nelle anguille pescate nel lago di Garda, il dipartimento Arpa di Brescia ha condotto un'indagine specifica avente ad oggetto la ricerca di PCB, diossine, furani, IPA e metalli nelle acque e nei sedimenti del suddetto lago. Va rilevato che le analisi effettuate nel mese di novembre 2010 su alcuni campioni di fauna ittica del lago di Garda, avevano evidenziato la presenza di concentrazioni di PCB, diossine-simili superiori al limite fissato dal regolamento CE 188/2006 per la sua commercializzazione e consumo umano. Secondo la relazione conclusiva, non si hanno evidenze di una significativa contaminazione delle acque da diossina, furani e PCB; al contrario, l'esame dei sedimenti ha mostrato un inquinamento di tipo localizzato e generalmente contenuto, segno evidente di inquinamento pregresso.
  Per quanto riguarda i recenti episodi di sversamento di idrocarburi, verificatosi nei mesi di giugno e luglio scorsi, che hanno in particolare interessato le aree prossime a Salò e a Desenzano, è stato precisato che rimane ferma la competenza della provincia ai sensi della legge regionale Lombardia n. 26 del 2003, per quanto attiene l'asportazione e lo smaltimento degli idrocarburi immessi nelle acque dei laghi e dei fiumi, qualora i responsabili della contaminazione non vi provvedano, ovvero, non siano individuabili, anche se l'Arpa abbia spesso effettuato degli interventi nell'ambito del servizio di pronta disponibilità.
  Più precisamente, il 30 giugno 2014, in tarda serata, in località «Maratona» di Desenzano sul Garda, si verificava uno sversamento massivo di idrocarburi nel lago. Interveniva, quindi, il battello «spazzino», veniva sistemata una barriera galleggiante contenitiva all'imbocco del porto e si provvedeva all'applicazione di disgreganti per idrocarburi sulle acque inquinate e al deposito di mattonelle adsorbenti idrocarburi. Il tutto a cura del personale del distaccamento volontario dei Vigili del fuoco di Desenzano del Garda, congiuntamente al personale della società Garda Uno e ai tecnici dell'Arpa.
  Nella circostanza, il comando di polizia locale di Desenzano del Garda informava la procura della Repubblica presso il tribunale di Brescia con notizia di reato a carico di ignoti.
  In relazione al richiamato episodio, l'azienda sanitaria locale di Brescia interveniva per quanto di competenza, verificando che la più vicina delle due «prese» con le quali si assicura l'approvvigionamento idrico del comune di Desenzano sul Garda, dista oltre 800 metri rispetto alla zona dello sversamento ed è collocata a monte rispetto al flusso dell'acqua e sopra vento rispetto ai venti prevalenti. Per la verifica della balneabilità delle acque veniva effettuata una doppia ricognizione dei luoghi ove era occorso lo svernamento e delle spiagge più prossime, rilevando in quest'ultime la totale assenza di fenomeni di iridescenza e/o presenza di idrocarburi.
  Per quanto riguarda gli episodi occorsi in precedenza, è stato riferito che nell'evento del 7 giugno 2014, nelle acque antistanti Manerba del Garda (Brescia), personale del distaccamento dei Vigili del fuoco di Salò interveniva nello spegnimento di un incendio divampato su un'imbarcazione privata a causa di un guasto elettrico. Al termine, veniva dato corso alla pulizia e bonifica dell'area a mezzo di idoneo natante della società Garda Uno, il cui intervento era stato richiesto dalla Guardia costiera, anch'essa presente con proprio natante.
  Nell'episodio del 10 giugno 2014, a Moniga del Garda, personale della polizia locale interveniva nella zona antistante il porto turistico ove veniva segnalata ad alcune centinaia di metri dalla riva una barca affondata. Riscontrata la presenza di una macchia di benzina, questa veniva trattata e bonificata per mezzo di soluzioni aggreganti per idrocarburi fornite dalla società Garda Uno.
  Nell'accaduto del successivo 15 giugno 2014, in prossimità dell'approdo di Salò, a causa di un guasto tecnico di una motonave in servizio pubblico di navigazione, si verificava uno sversamento di gasolio nelle acque del lago. Interveniva il personale del distaccamento Vigili del fuoco di Salò, della Guardia costiera di Salò e della società Garda Uno con idoneo natante, e si provvedeva a bonificare l'area interessata con disinquinanti e solventi.
  Non si può non ritenere, per quanto sopra riferito, che in ciascuna delle richiamate circostanze sia stato assicurato da parte delle autorità locali a ciò preposte un tempestivo ed efficace intervento in regime di emergenza. Circostanza, questa, che induce a ritenere che altrettanto fattive ed efficaci iniziative vengano correntemente adottate anche in tema di prevenzione (es.: vigilanza, controlli preventivi, ecc.).
  Per quanto attiene lo stato delle acque, è già stato riferito che i parametri chimici del lago di Garda sono sottoposti da anni al monitoraggio da parte dell'Arpa in ottemperanza alla normativa vigente. Dall'anno in corso, poi, al fine di tenere maggiormente sotto controllo il bacino lacustre, il lago di Garda è stato inserito dalle tre regioni confinanti in una specifica rete di monitoraggio (Rete Nucleo), con il preciso scopo di valutare le variazioni a lungo termine della qualità del corpo idrico. Tale iniziativa consentirà, tra l'altro, di aumentare la frequenza dei monitoraggi ordinari già previsti.
  In particolare, poi, Arpa Lombardia, Arpa Veneto, Arpa Trento e le rispettive regioni Lombardia e Veneto e la provincia autonoma di Trento, stanno perfezionando un accordo per la definizione di un programma unificato di monitoraggio del lago di Garda, che da un lato permetterà di ottimizzare le risorse disponibili e, dall'altro, di intensificazione le attività di monitoraggio della qualità del corpo idrico.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   LOMBARDI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 56 del 2014 lungi dall'abolire le province, ne ha solo trasformate dieci in città metropolitane, dando luogo a una lunga serie di incertezze normative;
   la prima di queste riguarda il trattamento economico del personale delle province e delle città metropolitane;
   al riguardo, l'articolo 1, comma 48, dispone che: «Al personale delle città metropolitane si applicano le disposizioni vigenti per il personale delle province; il personale trasferito dalle province mantiene, fino al prossimo contratto, il trattamento economico in godimento»;
   successivamente, l'articolo 1 comma 96, con riferimento al trattamento economico del personale delle province trasferito ad altri enti locali a seguito del riordino delle funzioni non fondamentali delle province, statuisce che: «Nei trasferimenti delle funzioni oggetto del riordino si applicano le seguenti disposizioni: il personale trasferito mantiene la posizione giuridica ed economica, con riferimento alle voci del trattamento economico fondamentale ed accessorio, in godimento all'atto di trasferimento, nonché l'anzianità di servizio maturata; le corrispondenti risorse sono trasferite all'ente destinatario; in particolare, quelle destinate a finanziare le voci fisse e variabili del trattamento accessorio, nonché la progressione economica orizzontale, secondo quanto previsto dalle disposizioni contrattuali vigenti, vanno a costituire specifici fondi, destinati esclusivamente al personale trasferito, nell'ambito dei più generali fondi delle risorse decentrate del personale delle categorie e dirigenziale»;
   pertanto, la scelta del legislatore è stata quella di distinguere la situazione dei dipendenti delle istituende città metropolitane da quella dei dipendenti provinciali che saranno trasferiti ad altri enti; per quanto riguarda i dipendenti delle future città metropolitane, appare preoccupante il solo riferimento al mantenimento del «trattamento economico in godimento», senza precisazione di quello fondamentale o di quello accessorio, come avviene invece nel caso dei dipendenti delle province assorbiti da altri enti;
   l'interpretazione che si ricava dalle due disposizioni è che i dipendenti delle future città metropolitane, al momento del passaggio nel nuovo ente, avranno meno garanzie dei dipendenti delle province che in base al riordino verranno collocati in altri enti;
   la legge n. 56 ha creato confusione anche sulle funzioni provinciali e del personale;
   infatti, l'articolo 1, comma 91, stabilisce che entro l'8 luglio 2014, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, lo Stato e le regioni individuano in modo puntuale, mediante accordo sancito nella Conferenza unificata, le funzioni attribuite dallo Stato e dalle regioni oggetto del riordino e le relative competenze;
   il comma successivo prevede poi che entro l'8 luglio con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono stabiliti, previa intesa in sede di Conferenza unificata, i criteri generali per l'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse all'esercizio delle funzioni che devono essere trasferite, ai sensi dei commi da 85 a 97, dalle province agli enti subentranti;
   le due disposizioni disciplinano la procedura inerente al riordino delle funzioni delle province, che verranno attribuite dallo Stato e dalle regioni;
   ora, atteso che le funzioni delle città metropolitane sono quelle fondamentali delle province, quelle proprie e quelle oggetto di riordino, sarebbe opportuno che nel momento di adozione dei criteri per il trasferimento del personale, si tenesse conto del novero più ampio di funzioni delle città metropolitane rispetto a quello delle province;
   inoltre, la legge sul riordino degli enti locali prevede una serie di scadenze ravvicinate – ad esempio per la realizzazione degli statuti metropolitani, per le elezioni dei consigli metropolitani e per l'individuazione delle risorse umane e finanziare delle città metropolitane – in ordine alle quali paiono esserci forti ritardi nell'attuazione delle relative disposizioni legislative;
   in proposito, si segnala che la pagina del sito del Ministero per gli affari regionali e le autonomie dedicata all'attuazione della legge Delrio annuncia l'attivazione di una sezione FAQ per fornire una base informativa chiara e univoca ai soggetti interessati, che però ad oggi non è ancora stata realizzata;
   infine, l'articolo 1, comma 14, attribuisce alla giunta provinciale in carica e al presidente – fino al 31 dicembre 2014 – compiti di sola «gestione provvisoria» e, a norma dell'articolo 163, comma 2, del TUEL, le spese possibili sono quelle limitate alle sole operazioni necessarie per evitare danni patrimoniali certi e gravi all'ente e in particolare:
    assolvimento di obbligazioni già assunte;
    obbligazioni derivanti da provvedimenti giurisdizionali esecutivi;
    obblighi speciali tassativamente regolati dalla legge;
    pagamento di spese di personale;
    pagamento di residui passivi;
    pagamento di rate di mutui;
    pagamento di canoni, imposte e tasse –:
   se il trattamento economico garantito al personale delle città metropolitane comprenda sia quello fondamentale che quello accessorio;
   se nell'adozione dei criteri per il trasferimento del personale dalla provincia alla città metropolitana, si intenda tener conto del novero più ampio di funzioni delle città metropolitane rispetto a quello delle province;
   se si intendano assumere iniziative per prorogare i termini previsti dalla legge per l'adempimento degli obblighi posti in capo ai nascenti organi delle città metropolitane;
   se non si ritenga più opportuno consentire che nel periodo di transizione dall'attuale alla nuova disciplina almeno le province trasformate in città metropolitane assolvano alle funzioni inerenti all'edilizia scolastica e alla viabilità, al fine di investire su scuole e strade per continuare ad offrire servizi necessari ai cittadini. (4-05002)

  Risposta. — In riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si rappresenta quanto segue.
  In merito al processo di attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56, nella seduta del 5 agosto 2014, la Conferenza unificata ha approvato il protocollo di intenti tra il Governo, le regioni, i comuni e le province contenente l'impegno dello Stato e delle regioni ad avviare gli
iter legislativi di rispettiva competenza, al fine di intraprendere tempestivamente il conseguente processo di riordino delle funzioni, favorendo la piena applicazione dei principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione e assicurando la continuità amministrativa, la semplificazione delle procedure, la razionalizzazione dei soggetti e la riduzione dei costi della pubblica amministrazione.
  Come noto, il processo di riordino delle province, avviato dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, implica una riallocazione delle relative funzioni e delle risorse funzionali all'esercizio delle stesse, ivi incluse le risorse umane. In tale contesto, la legge detta disposizioni a garanzia del trattamento del personale trasferito verso gli enti destinatari, rinvenibili nei commi 48 e 96. In particolare, il comma 48 dispone che «al personale delle Città metropolitane si applicano le disposizioni vigenti per il personale delle Province; il personale trasferito dalle Province mantiene, fino al prossimo contratto, il trattamento economico in godimento»; il comma 96, lettera
a), stabilisce che «Nei trasferimenti delle funzioni oggetto del riordino si applicano le seguenti disposizioni: il personale trasferito mantiene la posizione giuridica ed economica, con riferimento alle voci del trattamento economico fondamentale e accessorio, in godimento all'atto del trasferimento, nonché l'anzianità di servizio maturata: le corrispondenti risorse sono trasferite all'ente destinatario: in particolare, quelle destinate a finanziare le voci fisse e variabili del trattamento accessorio, nonché la progressione economica orizzontale, secondo quanto previsto dalle disposizioni contrattuali vigenti, vanno a costituire specifici fondi, destinati esclusivamente al personale trasferito, nell'ambito dei più generali fondi delle risorse decentrate del personale delle categorie e dirigenziale. I compensi di produttività, la retribuzione di risultato e le indennità accessorie del personale trasferito rimangono determinati negli importi goduti antecedentemente al trasferimento e non possono essere incrementati fino all'applicazione del contratto collettivo decentrato integrativo sottoscritto conseguentemente al primo contratto collettivo nazionale di lavoro stipulato dopo la data di entrata in vigore della presente legge».
  Le disposizioni appena richiamate, nonostante la diversa formulazione e collocazione all'interno del testo della legge, hanno lo stesso ambito di applicazione, poiché entrambe disciplinano il trattamento del personale delle province che verrà trasferito, nell'un caso (
ex comma 48), alla città metropolitana, nell'altro (ex comma 96, lettera a) «all'ente destinatario», comprensivo anche dell'ente città metropolitana. I commi 48 e 96 non presuppongono, dunque, un differente trattamento, né potrebbe sostenersi il contrario in base al fatto che il comma 96 riguarda il trasferimento del personale nell'ambito delle procedure di riordino delle funzioni non fondamentali, posto che il tipo di funzione non può assurgere a parametro di legittima discriminazione dei trattamenti. Ad ulteriore conferma di ciò si ricorda che, secondo l'orientamento prevalente, nella locuzione «trattamento economico in godimento» rientrano sia la componente fondamentale, sia quella accessoria.
  Il riassetto istituzionale e amministrativo, configurato dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, assegna alle città metropolitane un ruolo strategico, con funzioni di indirizzo e governo del territorio dell'area vasta. A tal fine vengono attribuite alla città metropolitana le funzioni fondamentali delle province, quelle non fondamentali oggetto di riordino, nonché funzioni fondamentali proprie (comma 44 e commi da 85 a 97). Tale quadro normativo certamente richiede che le città metropolitane siano dotate di risorse finanziarie, strumentali e umane idonee a sostenere l'ampiezza delle competenze ad esse riferite».
  Nel citato protocollo di intenti tra Stato, regioni, comuni e province, siglato il 5 agosto 2014, le parti hanno convenuto che «qualsiasi scelta in merito alla garanzia dell'esercizio delle funzioni fondamentali e delle altre funzioni oggetto di riordino deve essere accompagnata da decisioni coerenti sulle risorse finanziarie necessarie per l'esercizio delle stesse».
  Ciò premesso, nella seduta dell'11 settembre 2014 la conferenza unificata ha sancito l'accordo tra il Governo e le regioni, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, ai sensi dell'articolo 1, comma 91, della legge 7 aprile 2014 n. 56, concernente l'individuazione delle funzioni di cui al comma 89, dello stesso articolo 1, oggetto del riordino e delle relative competenze.
  Nella stessa seduta dell'11 settembre 2014 la conferenza unificata ha sancito, altresì, l'intesa ai sensi dell'articolo 1, comma 92, della citata legge n. 56 del 2014, in conformità con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno e del Ministro per gli affari regionali, di concerto con i Ministri per la semplificazione e la pubblica amministrazione e dell'economia e delle finanze, concernente i criteri generali per l'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse all'esercizio delle funzioni che devono essere trasferite dalle province agli enti subentranti, garantendo i rapporti di lavoro a tempo indeterminato in corso, nonché quelli a tempo determinato, in corso fino alla scadenza per essi prevista.
  L'individuazione dei beni e delle risorse, connessi alle funzioni oggetto di riordino, tiene prevalentemente conto della correlazione e della destinazione alle funzioni, alla data di entrata in vigore della legge, anche ai fini del subentro nei rapporti attivi e passivi in corso. In applicazione del criterio generale e delle disposizioni di cui al citato decreto del Presidente del consiglio dei ministri, in corso di formalizzazione, le province, anche quelle destinate a trasformarsi in città metropolitane, dovranno effettuare una mappatura dei beni e delle risorse connesse a tutte le funzioni, fondamentali e non, alla data di entrata in vigore della legge, salvo per quanto riguarda i beni e le partecipazioni, aventi valore economico, in enti e società, compresi i rapporti attivi e passivi. La mappatura è comunicata alla Regione e al rispettivo Osservatorio regionale istituito con l'accordo sancito in data 11 settembre 2014. Con tale accordo è stato altresì istituito l'osservatorio nazionale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Ministro per gli affari regionali e le autonomie – presieduto dal Ministro stesso e, composto, dal Sottosegretario per gli affari regionali e le autonomie, dal Ministro dell'economia e delle finanze, dal Ministro dell'interno, dal Ministro della semplificazione e della pubblica amministrazione, dal presidente della conferenza delle regioni, dal presidente dell'Anci e dal presidente dell'Upi.
  L'Osservatorio nazionale svolge funzioni di impulso e di raccordo per l'attuazione della legge e di coordinamento con le sedi di concertazione istituite a livello regionale; esso è di supporto al monitoraggio delle attività attuative del processo di riordino, anche in relazione alla tempistica definita dall'accordo e cura l'informazione periodica alla Conferenza unificata sull'attuazione della legge.
  Gli osservatori regionali rappresentano sedi di impulso e coordinamento. La composizione degli osservatori regionali è stabilita secondo modalità definite dalla regione in modo che sia comunque assicurata la presenza di rappresentanti di Anci e Upi e del sindaco della città metropolitana, ove istituita. Tali osservatori assolvono alla ricognizione delle funzioni amministrative provinciali, oggetto di riordino e alla formulazione di proposte concernenti la loro riallocazione presso il livello istituzionale più adeguato, in attuazione dei principi di cui all'articolo 118 della Costituzione e di quanto previsto dall'accordo tra il Governo e le regioni. Le regioni garantiscono un flusso costante di informazioni all'osservatorio, anche ai fini del monitoraggio dell'attività riorganizzativa.
  L'Osservatorio nazionale e gli osservatori regionali svolgono le proprie attività senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, nell'ambito delle risorse finanziarie, umane e strumentali disponibili a legislazione vigente.
  Per quanto concerne, in generale, la tempistica dell'attuazione della riforma, si rappresenta che i termini previsti dalla legge hanno natura ordinatoria. Il Governo è comunque impegnato ad adottare tutte le azioni utili ad una sollecita definizione degli adempimenti richiesti. Per quanto riguarda, in particolare, il quesito posto, non sono allo stato previste, nell'ambito dei lavori in corso, proroghe dei termini per l'adempimento degli obblighi che la legge pone in capo ai nascenti organi delle città metropolitane.
  Nel contesto delle iniziative attuative intraprese, l'attivazione, in data 24 aprile 2014, della sezione denominata «attuazione legge Delrio», costituisce uno strumento di comunicazione con l'utenza interessata, finalizzato a rendere accessibile e trasparente il processo di implementazione della legge. In tale spazio
web sono infatti presenti, oltre alle circolari e ai pareri dei principali attori che concorrono all'attuazione della riforma, anche le risposte ai quesiti di carattere generale pervenuti nella casella di posta elettronica attivata allo scopo. Tali risposte sono rinvenibili nell'apposita sezione «chiarimenti tecnici», locuzione, questa, ritenuta più idonea rispetto al termine faq, stante la specificità dei soggetti cui si rivolgono.
Il Ministro per gli affari regionali e le autonomieMaria Carmela Lanzetta.


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, BARONI, CECCONI, DALL'OSSO, DI VITA, GRILLO e MANTERO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 29 giugno 2014 un peschereccio con a bordo oltre 600 profughi e almeno 30 cadaveri, è stato soccorso dai mezzi della Marina militare nel Canale di Sicilia. L'imbarcazione è stata presa a rimorchio e portata nel porto di Pozzallo, nel Ragusano;
   gli immigrati sarebbero morti per asfissia, i corpi si trovano in una parte angusta dell'imbarcazione, sono stati recuperati dopo l'arrivo del peschereccio nel porto di Pozzallo;
   le operazioni di recupero dei corpi non sono state possibili nell'immediato, in quanto la posizione in cui si trovano i corpi ha impedito il loro immediato recupero; solo un paio di cadaveri sono stati recuperati immediatamente e portati a bordo della nave militare;
   per la Marina militare le morti sono state causate da asfissia e annegamento;
   il sindaco di Pozzallo ha dichiarato pubblicamente che non è in grado di affrontare l'emergenza da solo, ed ha ricordato che le due uniche celle frigorifere a disposizione nel cimitero comunale, ospitano già corpi di migranti ai quali non è stata data sepoltura, e, quindi, non sa dove mettere i corpi dei 30 migranti deceduti nei giorni scorsi;
   due donne incinte sono state soccorse immediatamente;
   quella che si è conclusa domenica tragicamente è stata un'altra giornata, che da venerdì ha impegnato ininterrottamente gli uomini e le unità del dispositivo Mare Nostrum;
   il 27 giugno 2014, le navi della Marina militare e della Guardia costiera hanno soccorso sette barconi e hanno salvato 1.654 persone partite dalle coste africane;
   il primo intervento, venerdì mattina, è stato eseguito dalla nave Dattilo della Guardia costiera, che ha preso a bordo 416 migranti che si trovavano su un barcone in difficoltà;
   quattro sono state le imbarcazioni soccorse dalla fregata Grecale: un primo intervento, nei confronti di un barcone che aveva una falla ed era alla deriva, ha consentito il salvataggio di 227 persone, tra cui 19 donne e 18 minori; a questo si sono succeduti gli interventi con i quali sono state soccorse altre 218 persone, tra cui 29 donne e 39 minori, su un barcone e 84 su un gommone che aveva difficoltà di galleggiamento. L'ultimo intervento ha coinvolto un barcone con a bordo 327 migranti, di cui 13 donne e 25 minori;
   sono complessivamente 382, invece, i migranti che erano sulle due imbarcazioni soccorse dalla nave Orione della Marina militare;
   dal 27 giugno al 30 giugno 2014 risultano circa 5000 i migranti soccorsi complessivamente; ai già citati vanno aggiunti i migranti soccorsi: dalla corvetta Chimera, con 353 migranti, arrivata a Pozzallo, dalla nave anfibia San Giorgio con a bordo 1.170 migranti arrivata nel porto di Taranto, dal pattugliatore d'altura Dattilo della capitaneria di porto con a bordo 1.096 migranti arrivato nel porto di Augusta; dalla rifornitrice Etna con a bordo 1.044 migranti arrivata nei porto di Salerno; dal pattugliatore Orione con a bordo 396 migranti e dal mercantile Mare Atlantic con a bordo 235 migranti arrivati nel porto di Messina; dalla motovedetta della capitaneria di porto 906 Corsi con a bordo 341 migranti arrivata a Porto Empedocle in giornata, dal mercantile City of Beirut con a bordo 105 migranti e dal mercantile Ticky con a bordo 190 migranti arrivati nel porto di Trapani;
   appare evidente come la sola operazione «Mare nostrum», senza l'aiuto delle altre forze europee, si stia rivelando ogni giorno insufficiente e incapace ad affrontare la questione degli sbarchi e in tale contesto appare inammissibile il costo in vite umane che persone disperate sono costrette a pagare per approdare alle coste italiane e, in particolare, della Sicilia –:
   quali iniziative intenda avviare, a partire dal semestre di presidenza italiana europea, in coordinamento con l'Unione europea e l'Onu, per affrontare la questione degli sbarchi che non può continuare ad essere trattata in termini emergenziali, in quanto è questione strutturale che attiene ad una problematica che può e deve essere affrontata solo a carattere internazionale;
   quali azioni siano state avviate per sostenere in particolare i comuni della Sicilia, che sono lasciati da soli ad affrontare la gravissima vicenda degli sbarchi di persone provenienti dal Nord Africa.
(4-05322)

  Risposta. — L'interrogante ha posto alcuni quesiti riferiti all'eccezionale numero di sbarchi di stranieri che stanno interessando le coste italiane e all'accoglienza degli stranieri medesimi.
  Al fine di fronteggiare tale emergenza, il 1o novembre 2014 ha avuto inizio un'operazione di Frontex, denominata
Triton, che ha assorbito due missioni europee già in atto, Hermes ed Aeneas. Con ciò la missione Mare Nostrum andrà rapidamente alla dismissione. Vi sarà un periodo di coesistenza tra le due operazioni, ma sarà limitato alla sola fase di avvio di Triton.
  Si ritiene di poter ascrivere tale risultato alla perseveranza del Governo italiano, che ha saputo creare attenzione e consenso intorno alla propria proposta di una gestione rinforzata delle frontiere esterne dell'Unione, in particolare di quelle del Mediterraneo centrale, da realizzarsi attraverso il consolidamento della presenza e la leadership dell'Agenzia Frontex, opportunamente potenziata nelle sue capacità operative e nella sua dotazione finanziaria e altrettanto opportunamente sostenuta nella sua azione dagli Stati membri.
  Entrando nel dettaglio di
Triton, si rappresenta preliminarmente che, al fine di consentire lo svolgimento dell'operazione, il budget di Frontex verrà opportunamente incrementato con uno stanziamento aggiuntivo di 20 milioni di euro per l'anno 2015.
  Si informa, inoltre, che al momento sono 18, oltre l'Italia, gli Stati che hanno assicurato la partecipazione all'operazione medesima, alcuni con assetti aerei e navali, altri fornendo propri esperti.
  L'Agenzia Frontex ha già messo a punto il piano operativo dell'iniziativa, che è stato predisposto sulla base delle disponibilità offerte, in termini di risorse umane e strumentali, e tenendo conto dei costi dei costi stimati in 3 milioni di euro.
  Il principale obiettivo di
Triton consiste nel contrastare l'immigrazione irregolare e le attività di traffico di esseri umani; le sue navi fisseranno la linea di pattugliamento a 30 miglia dalle coste italiane e le imbarcazioni utilizzate per il trasporto illegale degli stranieri potranno essere distrutte per impedirne il possibile reimpiego. L'Italia continuerà ad adempiere il dovere di ricerca e salvataggio a cui sono tenuti tutti gli Stati, sulla base del diritto internazionale della navigazione e delle elementari regole del diritto umanitario, ma l'operazione Mare Nostrum sarà gradualmente chiusa.
  Il rafforzamento dei controlli delle frontiere esterne dell'Unione, attraverso l'azione di Frontex, è solo uno dei punti cardine della nuova strategia europea – e, quindi, italiana – di gestione dei flussi migratori. Ad esso se ne affiancano altri due: il miglioramento della cooperazione con i Paesi terzi di origine e transito dei flussi e la piena attuazione del sistema comune europeo di asilo.
  Sul primo versante, l'Italia è da sempre in prima linea, avendo privilegiato la sottoscrizione di accordi di tale tipo in particolare con i Paesi del Nord Africa (Tunisia, Libia e Egitto) e dell'Africa sub-sahariana (Niger, Nigeria e Cambia), nell'intento di attuare specifici programmi di assistenza tecnica a beneficio delle forze di polizia di quegli Stati.
  Nello stesso ambito, il Governo riconnette fondamentale importanza anche allo sviluppo dei partenariati di mobilità, dei programmi di protezione regionale e dei Processi regionali, strumenti indispensabili a portare l'azione dell'Europa direttamente nelle aree di origine del fenomeno migratorio.
  In proposito, si comunica che, in aggiunta ai partenariati con il Marocco e la Tunisia, già operativi, è stato firmato, a margine del Consiglio GAI di Lussemburgo del 9-10 ottobre 2014 anche quello con la Giordania.
  Per ciò che attiene ai processi regionali, un ulteriore impulso potrà venire dalla IV Conferenza ministeriale euro-africana su migrazione e sviluppo che l'Italia ospiterà a Roma il 27 novembre 2014, nel quadro del «Processo di Rabat», un foro di dialogo tra l'Unione europea e i Paesi dell'Africa occidentale, centrale e mediterranea sui temi migratori.
  Il Governo italiano sta inoltre promuovendo l'avvio e lo sviluppo del «Processo di Khartoum», analogo foro di dialogo, stavolta, con i Paesi dell'Africa orientale.
  Quanto al secondo versante, cioè all'attuazione del sistema comune europeo di asilo, le priorità individuate dall'Unione europea riguardano l'intensificazione delle attività di identificazione dei migranti e la costruzione di sistemi di accoglienza flessibili, in grado di rispondere ai flussi migratori improvvisi.
  Sul primo aspetto, il Ministero dell'interno ha già disposto un vigoroso giro di vite nel sistema di sicurezza, per rispondere in modo più efficace alle esigenze del fotosegnalamento, della registrazione e della raccolta delle impronte dei migranti, anche al fine di contrastare i tentativi di aggirare il sistema Eurodac, perpetrati dalla rete dei trafficanti.
  Sempre nell'ottica del contrasto degli interessi criminali si colloca l'operazione
Mos Maiorum, che si è svolta dal 13 al 26 ottobre 2014, con il coordinamento italiano e il contributo di Frontex. L'iniziativa, che ha coinvolto varie polizie europee, è stata finalizzata in particolare a realizzare una mappatura di tutte le rotte delle attività di trafficking delle organizzazioni criminali, identificando i mezzi di trasporto utilizzati e i principali luoghi di rintraccio.
  Quanto all'accoglienza dei migranti, il Governo ha avviato una profonda revisione del relativo sistema, che consentirà di affrontare i flussi migratori come attività ordinaria, strutturata e programmabile – quindi al di fuori di una logica emergenziale –, sulla base della concertazione tra lo Stato e il mondo delle autonomie territoriali. Il sistema sarà organizzato in tre fasi e articolato in modo da consentire il rapido passaggio dall'una all'altra: le prime due fasi (soccorso e prima accoglienza) saranno gestite dallo Stato attraverso appositi centri governativi; la terza (seconda accoglienza) sarà gestita dal Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, con il coinvolgimento diretto degli enti locali.
  La gestione del sistema è affidata al Ministero dell'interno, che si avvale del supporto e delle indicazioni del tavolo di coordinamento nazionale al quale partecipano, oltre alle amministrazioni statali interessate, la conferenza delle Regioni, l'Upi e l'Anci.
  Analogamente, il prefetto del comune capoluogo di regione attiva e presiede tavoli di coordinamento regionale, aperti alla partecipazione di regione, province e comuni, con il compito di realizzare a livello locale le strategie operative definite dal tavolo nazionale.
  Oltre a riformare il sistema dell'accoglienza, il Governo ha posto le basi anche per il suo potenziamento, attraverso congrui finanziamenti pari, per l'anno 2014, a circa 113 milioni di euro e, a regime, a circa 187 milioni di euro, questi ultimi stanziati con il disegno di legge di stabilità 2015 attualmente all'esame del Parlamento.
  Infine, per quanto riguarda le azioni avviate affinché l'accoglienza dei migranti non gravi sui bilanci dei comuni siciliani maggiormente interessati da flussi migratori, con l'articolo 7 del decreto-legge n. 119 del 2014 è stato disposto l'allentamento per il 2104 del patto di stabilità interno per i comuni di Agrigento, Augusta, Caltanissetta, Catania, Lampedusa, Mineo, Palermo, Porto Empedocle, Pozzallo, Ragusa, Siculiana, Siracusa e Trapani.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in Georgia a 25 chilometri dalla capitale Tbilisi il 16 ottobre di 14 anni fa veniva ritrovato morto il giornalista italiano di Radio Radicale Antonio Russo, nato a Francavilla a Mare, in Abruzzo, il 6 giugno 1960;
   dall'autopsia è risultata inequivocabilmente la natura violenta del decesso di Antonio Russo: «Il torace fracassato, due costole rotte con il colpo netto di un'arma che assomiglia ad una mazza di ferro...»
   le autorità russe all'inizio tentarono di sviare le indagini parlando di incidente e di rissa tra balordi ma la verità emerse subito: Antonio Russo era stato torturato e assassinato per la sua attività giornalistica di controinformazione;
   nei giorni precedenti la sua morte, Antonio Russo aveva dichiarato di essere in possesso di nuovo materiale video sulla guerra civile in Cecenia e sulle violenze commesse dai russi in aperta violazione dei diritti umani tutelati a livello internazionale;
   l'appartamento in cui viveva Russo fu trovato devastato e senza il computer, i suoi documenti e appunti di lavoro e il telefono satellitare;
   secondo alcune indagini Russo avrebbe anche documentato l'uso di armi chimiche contro la popolazione cecena;
   Antonio Russo era noto per le sue corrispondenze in zone di guerra come il Burundi in Africa, e la ex Jugoslavia, era stato l'ultimo giornalista rimasto a Pristina a denunciare il dramma dei profughi bosniaci e per primo si recò in Cecenia a documentare una guerra civile spaventosa contribuendo a formare una opinione pubblica a livello internazionale sui crimini che venivano commessi ai danni della popolazione cecena; a distanza di 14 anni da quell'assassinio non è stata ancora accertata la responsabilità di mandanti ed esecutori –:
   quali siano le iniziative assunte dal Governo e dalle nostre rappresentanze diplomatiche per l'accertamento della verità da parte della autorità giudiziaria russa non potendo immaginare che lo Stato italiano abbia smesso di chiedere giustizia per un suo cittadino barbaramente assassinato e torturato per la sua attività giornalistica. (4-06301)

  Risposta. — Fin dal tragico ritrovamento del cadavere del connazionale Antonio Russo, il 16 ottobre 2000, la nostra Ambasciata a Tbilisi, su istruzione della Farnesina, ha sollecitato con fermezza le autorità georgiane (Ministero degli esteri, dell'interno, della sicurezza, capo dei servizi speciali, procuratore generale) affinché fosse accertata la dinamica degli eventi che avevano condotto alla morte del connazionale ed acclarate le relative responsabilità. Passi diretti sono stati condotti anche sull'allora capo di Stato georgiano Shevernadze. Tale continua e mirata azione di pressione ha condotto, in un contesto comunque non semplice, ad ottenere l'esito dell'esame autoptico condotto sul corpo del signor Russo.
  Dal 2000 ad oggi il caso è stato evocato in occasione di incontri bilaterali a livello politico e tecnico, sottolineando l'esigenza di riscontri concreti alle richieste di chiarimenti. Nel 2003 si è riusciti ad ottenere l'istituzione, presso la procura generale georgiana, di una struttura investigativa
ad hoc. Gli esiti di quell'attività investigativa furono comunque penalizzati dalla limitata operatività delle strutture giudiziarie georgiane in una fase, quella della «Rivoluzione delle Rose» (che avrebbe condotto alle dimissioni del Presidente Shevernadze), di profondo cambiamento interno al Paese. Dalle indagini di allora era emerso un quadro estremamente frammentario e dal quale con difficoltà si sarebbe risaliti a responsabilità certe.
  Per tale ragione le richieste da parte italiana (tra il 2004 ed il 2013 se ne contano oltre quindici, a diverso livello, sia presso la procura generale che presso interlocutori politici) non sono mai diminuite di intensità. L'ambasciata a Tbilisi ha infatti inteso conservare costante la pressione sulle autorità georgiane affinché nessun percorso investigativo fosse lasciato intentato e soprattutto per prevenire una archiviazione formale delle indagini. Anche per volontà del procuratore generale
pro tempore, un nuovo impulso alle indagini è stato promosso nella seconda metà del 2013, riuscendo ad ottenere un formale impegno all'approfondimento dell'inchiesta.
  La sopravvenuta alternanza al vertice della procura nazionale georgiana, che ha cambiato titolare per tre volte dal novembre 2013 al febbraio 2014, ha comportato un ulteriore rallentamento. All'inizio del mese di ottobre 2014 si è riusciti a rinnovare l'impegno formale della magistratura inquirente georgiana a più approfondite indagini. In tale quadro si iscrive la convocazione a breve di una riunione di coordinamento tra la procura generale e l'ambasciata d'Italia a Tbilisi.
  Si continuerà a seguire questi sviluppi ribadendo, in ogni futura occasione di contatti politici bilaterali, il forte interesse italiano a far luce sull'accaduto e a giungere alla conclusione di un'indagine da troppo tempo attesa. Anche attraverso pressioni mirate per un chiarimento della morte del connazionale Antonio Russo, si intende altresì confermare il fermo impegno per la tutela degli operatori dell'informazione, specie se inviati in teatri di conflitto o comunque non privi di rischio.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la signora R.A.G. nata nelle Filippine e residente a Zhunan Town-Miaoli County TAIWAN ha richiesto al consolato italiano in Taiwan il visto turistico per recarsi in Italia, ospite del signor V. D. L. imprenditore di Penne (Pescara);
   la suddetta richiesta era supportata da tutti i documenti previsti, ma il consolato italiano in Taiwan non ha concesso il visto turistico con motivazioni che all'interrogante sembrano inconsistenti;
   la signora R.A.G. si è dichiarata disponibile a fornire ogni chiarimento ed eventuale documentazione aggiuntiva –:
   quali siano i motivi del diniego del visto turistico suddetto e quali siano i chiarimenti e documenti ulteriori da presentare per la concessione del visto turistico alla signora R.A.G. in tempi celeri. (4-06303)

  Risposta. — La signora G. R., nata il 4 gennaio 1984 nelle Filippine, ha presentato domanda di visto presso la nostra delegazione diplomatica a Taipei il 5 settembre 2014, la domanda era per il rilascio di un visto turistico della durata di 90 giorni. La documentazione di base era ritenuta esaustiva e la domanda ammissibile.
  Tuttavia, in fase di intervista, la stessa non ha giustificato la disponibilità di un periodo di ferie così lungo e corrispondente alla durata del visto (90 giorni). Di fronte alla richiesta di documentazione aggiuntiva (l'autorizzazione al congedo da parte del datore del lavoro – ella aveva dichiarato di lavorare come operaia presso una ditta locale) la signora G. R. si è rifiutata di presentare quanto richiesto, dichiarando che il proprio contratto si sarebbe concluso il 4 giugno 2015 e che, qualora avesse trovato idonee condizioni in Italia, sarebbe stata sua intenzione quella di rimanervi a lavorare.
  Lo stesso invitante, il signor V. D. L., nato in Italia il 2 febbraio 1961, nel corso di un contatto con la nostra Sede ha dichiarato di aver conosciuto la signora G. R. in occasione di un viaggio da lui effettuato a Taiwan, e che avrebbe voluto invitarla in Italia anche per valutare, tramite sue conoscenze, la possibilità del riconoscimento del titolo professionale di cui ella è in possesso e per esplorare eventuali, non meglio precisate, opportunità di lavoro.
  Il rilascio di visti Schengen, per corto soggiorno, è disciplinato dalla normativa dell'Unione Europea. In particolare, il Codice comunitario dei visti (regolamento CE 810/2009) dispone che gli Uffici consolari valutino i requisiti per l'ingresso dei richiedenti nello spazio Schengen alla luce delle loro condizioni socio-economiche e delle motivazioni che ne giustifichino il viaggio, al fine di evitare il rischio che essi rimangano nello spazio Schengen oltre la scadenza del visto.
  Nel caso specifico, gli operatori dell'ufficio consolare responsabili per la valutazione della domanda di visto hanno ritenuto che il rischio di immigrazione della signora G. R. nel nostro Paese fosse elevato, ai sensi di quanto previsto dalla normativa europea.
  Il rifiuto di presentare la documentazione aggiuntiva richiesta, la non chiara finalità del viaggio e la ventilata intenzione di stabilirsi in Italia hanno poi giustificato il provvedimento di diniego di visto.
  Come risulta dal provvedimento di diniego rilasciato all'interessata, il visto è stato dunque negato per mancanza dei requisiti idonei a dimostrare l'interesse al rientro in patria prima della scadenza del visto.
  Il precedente diniego non pregiudica la possibilità di ripresentare domanda, possibilmente per una tipologia di visto adeguata alle sue reali intenzioni e corredata da documentazione in grado di superare i motivi di diniego riscontrati nella precedente richiesta.
  Si precisa che il Ministero degli affari esteri non ha facoltà di revisione delle decisioni in materia di visti degli uffici consolari, avverso le quali è solo ammesso ricorso presso la competente autorità giudiziaria italiana (nel caso specifico, il Tar del Lazio).

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   MIGLIORE, DURANTI, PIRAS e SCOTTO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in Afghanistan sono impiegati 24 militari per servizio scorte ai diplomatici in missione nel Paese;
   16 di questi sono impiegati a Kabul per servizi di protezione e scorta all'ambasciatore italiano, mentre altri 8 svolgono servizi di protezione e scorta a Herat all'Alto rappresentate della NATO per la regione ovest dell'Afghanistan;
   gli 8 militari in servizio a Herat sono tutti alle dipendenze del Ministero degli affari esteri;
   dei 16 militari in servizio a Kabul, 8 risultano essere alle dipendenze del Ministero degli affari esteri, mentre altri 8 risultano essere amministrativamente dipendenti da ITALFOR, anche se lavorano anch'essi, di fatto per il Ministero degli affari esteri;
   i 24 militari impiegati nei servizi di protezione e scorta svolgono le medesime funzioni e compiti. Eppure, relativamente ai militari impiegati a Kabul, si registrano delle incongrue differenze di trattamento per via della dipendenza amministrativa a differenti strutture: ITALFOR e il Ministero degli affari esteri;
   tali differenze di trattamento comprendono sia diversificate paghe che diversificati trattamenti come ad esempio l'accesso alla mensa ISAF, che non è prevista per i dipendenti del Ministero degli affari esteri, che godono invece di una «meal card» per l'acquisto del cibo;
   a parere degli interroganti questa diversificazione di trattamento appare totalmente ingiustificata e priva di alcun senso logico –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative intendano adottare per porre fine a questa ingiustificata differenza di trattamento e se non intendano porre tutti i militari alle dipendenze del Ministero degli affari esteri. (4-02691)

  Risposta. — Nell'interrogazione in esame si fa riferimento alla rilevata differenza di trattamento tra i militari dell'Arma dei carabinieri impiegati in Afghanistan, a partire da quelli operanti a Kabul.
  Al riguardo si assicura che il Governo ha già preso le opportune misure e risolto tale difformità, che era riconducibile esclusivamente alla dipendenza amministrativa di 8 militari dal Ministero della difesa, in ragione di scelte operative risalenti all'avvio della missione, a differenza degli altri, inviati successivamente, che dipendevano dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci).
  In considerazione della specifica funzione esercitata da tutti i militari dell'Arma presenti a Kabul, essi sono ora interamente gestiti dal Maeci e ricevono pertanto lo stesso trattamento economico e amministrativo, nel rispetto delle responsabilità operative e di grado.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   OLIVERIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da notizie riportate da alcuni quotidiani locali risulta una ulteriore riduzione dei servizi di trasporto ferroviario lungo la linea Lamezia Terme – Rosarno, via Tropea;
   la decisione di Trenitalia ha suscitato grave sconcerto e preoccupazione nell'opinione pubblica e negli operatori sociali ed economici;
   la riduzione dei treni continua a colpire le fasce più deboli della popolazione, in particolare i pendolari, essenzialmente pensionati e universitari e studenti frequentanti le scuole superiori di Tropea;
   la giunta comunale di Tropea, partendo da una petizione di fruitori del servizio ha presentato una istanza a Trenitalia unitamente alla regione Calabria. Il documento è stato inviato all'assessore ai trasporti della regione Calabria, al prefetto di Vibo Valentia e al commissario straordinario della provincia di Vibo Valentia;
   alla soppressione di alcune fermate si accompagna un aumento dei prezzi del trasporto, non spiegato da alcun miglioramento della qualità dei servizi medesimi, ma anzi dal peggioramento degli stessi, dal crescere dei ritardi e da una generale inaffidabilità del trasporto ferroviario;
   in precedenza attraverso alcune proteste pacifiche si era riusciti, anche con il sostegno delle amministrazioni locali, ad ottenere la fermata di due treni;
   quello di Trenitalia è un provvedimento sicuramente da rivedere, considerato che le fermate soppresse arrecherebbero una grave difficoltà ai viaggiatori, anche in considerazione dell'assenza, nella stessa tratta, di servizi pubblici di linea;
   la regione Calabria, in particolare la parte tirrenica, soffre già di un conclamato «gap» infrastruttura, soprattutto in campo ferroviario, essendo mal collegata con l'interno del Paese e soffrendo di ben note carenze in cui anche la cancellazione di poche fermate determinerebbe un ulteriore aggravio della situazione;
   la strada provinciale, importante collegamento tra Joppolo e Coccorino, risulta particolarmente pericolosa, tanto che l'amministrazione provinciale ne ha disposto la chiusura per motivi precauzionali;
   tale criticità influisce sicuramente anche sul sistema turistico determinando una ricaduta negativa sulla precaria economia locale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali iniziative di competenza intenda promuovere per una tempestiva soluzione della questione al fine di evitare gli incontestabili disagi che sono costretti ad affrontare i cittadini di questo territorio popolazioni. (4-02074)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, occorre evidenziare che, secondo la normativa vigente (decreto legislativo n. 422 del 1997), la programmazione dei servizi ferroviari regionali, che assicurano la mobilità della clientela pendolare, è di competenza delle singole regioni, i cui rapporti con Trenitalia sono disciplinati da un contratto di servizio, nell'ambito del quale vengono definiti, tra l'altro, il volume e le caratteristiche dei servizi da effettuare, sulla base delle risorse economiche rese disponibili da ciascuna regione.
  Quindi, nel caso in esame, le dimensioni e le caratteristiche dell'offerta vengono determinate dalla regione Calabria la quale, peraltro, con deliberazione di giunta n. 124 dell'8 aprile 2014, ha stabilito «...l'adeguamento dei programmi di esercizio dei servizi affidati a Trenitalia, con riduzioni dei servizi sulle linee a più bassa domanda servita...», ciò per effetto di una minore disponibilità di risorse economiche.
  Pertanto, nell'ambito dell'adeguamento dell'offerta ferroviaria alla disponibilità finanziaria regionale e tenuto conto del livello di frequentazione rilevato per ciascuna linea, Trenitalia, d'intesa con la regione Calabria, ha predisposto una rimodulazione del servizio offerto.
  A partire dall'orario estivo 2014, sulla direttrice Rosarno-Lamezia Terme (via Tropea) è stato sospeso il collegamento regionale 12669 (p. Lamezia Terme Centrale 12.45 – a. Rosarno 14.10, con fermata a Joppolo) ed è stato invece confermato il collegamento Regionale 12654 con partenza da Rosarno alle ore 6.57, fermata a Joppolo alle 7.13 e arrivo a Lamezia Terme Centrale alle ore 8.30.
  Si fa presente inoltre, che i servizi ferroviari in parola, oggetto del processo di razionalizzazione ed efficientamento previsto dall'articolo 16-bis del decreto-legge n. 9 del 2012 così come modificato ed integrato dall'articolo 1 comma 301 della legge di stabilità 2013, saranno oggetto di verifica nel corso dell'anno da parte di questo Ministero.
  Si segnala, infine, che per quanto di competenza di questa amministrazione, le problematiche segnalate potranno comunque essere esaminate nell'ambito dell'attività dell'Osservatorio nazionale sul trasporto pubblico locale, istituito con l'articolo 1, comma 300, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   PILI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'ex base USAF sita in località Limbara nel comune di Tempio Pausania, provincia di Olbia Tempio, risulta costituita da due cespiti demaniali denominati rispettivamente Monte Limbara Captazione Sorgenti (codice id 3634) e base Usaf (codice id 2866);
   i siti in argomento risulterebbero dismessi definitivamente all'amministrazione finanziaria dello Stato con verbale n. 5343/09 e contestualmente transitati alla regione Sardegna con verbale 5344/09 del 23 marzo 2009;
   con l'avvento delle comunicazioni satellitari la base militare venne dismessa;
   l'ultimo utilizzo della base del Monte Limbara risulta essere legato alla prima guerra del Golfo, quindi nei primi anni 90;
   nel 1993 la base è stata definitivamente dismessa per transitare nella disponibilità del Ministero della difesa italiano, quindi all'aeronautica militare e infine, ma senza certezza dell'atto finale e definitivo – nel 2008 – alla regione Sardegna:
   lo scenario che si presenta in un delle vette più importanti della Sardegna è di abbandono, degrado e disastro ambientale;
   si è consumata in quell'area l'ennesima rappresentazione di una Sardegna «usa e getta»;
   il risultato agli occhi di quei pochi che hanno potuto accedere su quel compendio è evidente: dopo le basi militari solo degrado e abbandono;
   si tratta di un disastro ambientale a 1.200 metri di quota con una base militare americana nascosta ai più nelle vette del Monte Limbara, a due passi da sorgenti e patrimonio naturalistico incomparabile;
   si tratta di un luogo fantascientifico abbandonato a se stesso, come se dopo la guerra fredda gli americani fossero scappati da quel luogo esclusivo dove avevano piazzato una delle basi strategiche per il controllo e il presidio aeronautico del Mediterraneo;
   si rileva uno stato di degrado assoluto con ogni genere di materiale inquinante, oli combustibili e un affronto alla natura senza precedenti;
   si configura una vera e propria aggressione all'ambiente con migliaia di metri cubi di volumetrie piazzate nelle vette più alte della Sardegna e con parabole di grandezza ciclopica per controllare giorno e notte i movimenti nell'area più a rischio del medio oriente;
   tutto questo è di una gravità inaudita perché nel 1993 quando gli americani hanno lasciato le cime del Limbara hanno lasciato tutto senza procedere né al ripristino dei luoghi né tantomeno alla loro bonifica;
   il  passaggio di quell'area, preannunciato nel 2008 tra lo Stato e la regione Sardegna, deve essere rivisto e se ancora non definito, bloccato;
   gli Usa, a giudizio dell'interrogante, deve pagare il ripristino di quell'area;
   chi inquina paga e non si può accettare un assalto così grave al patrimonio ambientale senza che nessuno faccia niente per evitarlo;
   prima di qualsiasi trasferimento di quella base alla regione sarda doveva essere definito l'ammontare delle bonifiche e del ripristino dell'area;
   nel 2008 tra il commissario per il G8 e l'allora presidente della regione ci fu solo una pre-intesa, ma non fu definito il passaggio successivo;
   è probabile che quegli atti siano rimasti incompleti o indefiniti;
   per questo motivo se non sono stati portati a compimento occorre bloccarli per chiedere il congruo risarcimento agli Stati Uniti;
   qualora il passaggio fosse stato definito occorre, invece, rimetterlo in discussione anche sul piano giudiziario, perché risulta palese l'omissione della riparazione del danno ambientale;
   tutto questo è di una gravità inaudita perché conferma la tesi di un atteggiamento verso la Sardegna da «Usa e getta» che non può essere accettato in alcun modo;
   i quattro ettari della base dismessa risultano far parte di un contingente di beni per il quale era previsto il passaggio nell'ambito del G8, ma che non risulta essere formalizzato;
   nell'elenco di quel patrimonio c'era appunto quella base americana, ma nessuno si occupò di valutare danni e costi di bonifica;
   i costi di bonifica e ripristino sono esorbitanti e nessuno può far salvo il Governo degli Usa da questo costo;
   del resto il compendio risulta di fatto dar luogo a un vero e proprio disastro ambientale con sei parabole, due cisterne, prefabbricati in amianto, una centrale elettrica, la sala delle teletrasmissioni e rifiuti speciali piombo, acidi e lana di vetro;
   l’ex base della Us Air Force è ad avviso dell'interrogante una mortificazione senza precedenti che va rimossa a carico di chi ha provocato questa aggressione così temeraria al patrimonio naturalistico della Sardegna;
   esistono da tempo denunce e progetti portati avanti dal comitato Sos Laribiancos, un gruppo di persone interessate al territorio che hanno ripetutamente avanzato soluzioni per l'eliminazione di quel disastro ambientale –:
   se sia stato definito il passaggio patrimoniale alla regione Sardegna e a quali condizioni;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del disastro ambientale della zona del monte Limbara e se il Governo abbia mai avanzato richiesta di risarcimento danni all'amministrazione americana;
   se e come intenda procedere il Governo per il ripristino e la piena bonifica dell'area della base americana. (4-05544)

  Risposta. — Il documento di sindacato ispettivo in esame concerne il trasferimento alla regione autonoma della Sardegna e la bonifica del compendio sito in Tempio Pausania, località Monte Limbara, denominato ex base U.S. Air force.
  Al riguardo, sentita l'Agenzia del demanio, si rappresenta quanto segue.
  Il bene in parola è stato dismesso dal Ministero della difesa con verbale del 23 marzo 2009 e, in pari data, consegnato dall'Agenzia del demanio alla Regione autonoma.
  Tale consegna ricade nel quadro degli accordi istituzionali intervenuti direttamente tra il Ministero della difesa e la Regione autonoma della Sardegna, diretti – in applicazione dell'articolo 14 della legge costituzionale n. 3 del 1948 (Statuto speciale per la Sardegna) – al trasferimento a quest'ultima degli immobili militari non più utili ai fini istituzionali del predetto dicastero.
  Giova evidenziare, altresì, che, in attuazione di tali accordi, il compendio è stato oggetto di consegna alla regione nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava al momento della sottoscrizione del verbale «compresi gli oneri gestionali o di eventuale bonifica». L'ente territoriale si è inoltre obbligato a porre in essere, con oneri a suo carico e con sollecitudine, tutte le operazioni necessarie per le formalità di trascrizione e voltura catastale del compendio, comprese le attività necessarie per gli atti di accatastamento e frazionamento.
  Da quanto riferito dalla direzione regionale Sardegna dell'Agenzia del demanio, tali ultime operazioni non risultano ancora effettuate da parte della regione autonoma e ciò ha impedito, ad oggi, di completare la procedura di trasferimento del compendio al patrimonio regionale, da definirsi con l'inserimento in apposito elenco ai sensi dell'articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica 19 maggio 1949. n. 250, recante le norme di attuazione dello Statuto.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanzePier Paolo Baretta.


   RIZZETTO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da un articolo del Messaggero Veneto del 3 luglio 2014 – intitolato «Le atomiche sono qui: il satellite lo conferma» – che uno studio dell'esperto Hans Kristensen, direttore del Nuclear information project della Federation of american scientists – rivela che nel nostro Paese sono presenti venti bombe nucleari nella base italiana di Ghedi, in provincia di Brescia, altre cinquanta in quella americana di Aviano. Si tratta di un arsenale di cui si parla da anni e che non è mai stato confermato dai Governi di Roma e Washington, ma che, a quanto è dato sapere, esiste e addirittura assegnerebbe all'Italia il primato europeo nel numero di ordigni atomici statunitensi;
   tali fatti sembrerebbero confermati anche da alcune foto satellitari che mostrano nella base di Ghedi i veicoli speciali della Nato destinati alla gestione operativa degli ordigni;
   i venti ordigni nella base di Ghedi sono di proprietà americana e vengono custoditi da un reparto statunitense, ma è previsto che in caso di guerra vengano sganciati dai cacciabombardieri Tornado del sesto stormo italiano. Nel gennaio 2014 i militari dei due Paesi hanno celebrato con una cerimonia a Ghedi i cinquant'anni dall'arrivo delle armi atomiche, inaugurando anche un ceppo commemorativo;
   risulta che l'Italia garantisce le spese per ospitare i custodi americani degli ordigni e l'addestramento degli equipaggi dell'Aeronautica alle missioni nucleari. Inoltre, dovrà anche farsi carico di una parte dei costi delle misure di protezioni rinnovate –:
   se trovino conferma i fatti esposti in premessa e quale sia il suo orientamento circa la presenza e la gestione in Italia degli ordigni atomici in questione;
   quale sia il numero degli ordigni atomici presenti in Italia e, ove sia ostensibile, quale sia la loro localizzazione.
(4-05412)

  Risposta. — La questione relativa alla presunta presenza di armamento nucleare in Italia è stata affrontata già in passato dai diversi Governi pro-tempore in risposta a precedenti interrogazioni di analogo contenuto, di cui l'ultima, in ordine di tempo, è quella del deputato Basilio n. 4-01188.
  Pertanto, in linea di coerenza, non si possono che richiamare anche in tale occasione i medesimi elementi di informazione che la Difesa ha rappresentato in tali circostanze.
  Ciò premesso, è opportuno sottolineare che l'impegno di appartenenza all'Alleanza atlantica assunto dal nostro Paese e i relativi vincoli sono conseguenti a decisioni adottate in passato e ribadite nel tempo.
  L'Alleanza atlantica costituisce un cardine essenziale della sicurezza e difesa dell'Italia e degli interessi nazionali; unitamente all'Onu e all'Unione europea rappresenta il riferimento delle nostre iniziative in ambito multilaterale, volte al rafforzamento della pace, della stabilità e della sicurezza internazionale.
  In tale quadro, l'Alleanza atlantica, ha nel tempo riesaminato la propria politica nucleare e i relativi dispositivi di forze, riducendo drasticamente, a partire dalla fine della guerra fredda, il numero e la tipologia di armi nucleari, in particolare di quelle dislocate in Europa.
  Tuttavia, pur mantenendo un atteggiamento assolutamente trasparente sulla propria strategia nucleare, la NATO non può agire a discapito della sicurezza e della riservatezza che è indispensabile avere in relazione alla dislocazione, ai quantitativi ed alla tipologia degli armamenti nucleari di cui dispone.
  Una riservatezza che non può essere violata unilateralmente da un singolo paese dell'Alleanza, perché la deterrenza nucleare è un bene ed un onere collettivo che lega collegialmente tutti i Paesi alleati.
  La tipologia e la qualità delle informazioni rilasciabili sugli armamenti nucleari è quindi una decisione politica collettiva ed unanime degli alleati, cui nessun Paese può sottrarsi, pena la violazione del patto di alleanza liberamente sottoscritto e del vincolo di riservatezza che da esso ne discende.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   ROSATO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 25 febbraio 2012, l'amministrazione dell'arma dei carabinieri ha pubblicato un bando di concorso per titoli ed esami per il reclutamento di 1886 allievi carabinieri effettivi riservato, ai sensi dell'articolo 199 del decreto legislativo 15 marzo 2010 n. 66, ai volontari delle Forze armate in ferma prefissata di un anno o quadriennale;
   espletata la procedura concorsuale, la stessa si è conclusa con la pubblicazione della graduatoria finale di merito, tuttavia, con il provvedimento di revisione della spesa (cosiddetta spending review) che ha introdotto — con l'articolo 14, comma 2, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 — la riduzione del turn over per la pubblica amministrazione, anche il comparto sicurezza-difesa ha dovuto rivedere le proprie immissioni riducendo i posti banditi a 240 allievi carabinieri (anziché 1886);
   già con la legge di stabilità 2013 (legge 24 dicembre 2012, n. 228) però si è provveduto, in sede parlamentare, ad incrementare lo stanziamento e le percentuali di turn over nel comparto sicurezza-difesa, al 50 per cento per l'anno 2013, 55 per cento per quello in corso, e al 70 per cento per l'anno 2015;
   il Ministro della difesa pro tempore nella risposta all'interrogazione 4-17451 nella precedente legislatura, promuovendo una iniziativa di innalzamento delle percentuali del turn over allora vigenti, ha dichiarato che una rimodulazione avrebbe potuto permettere «di andare incontro alle aspettative dei volontari in ferma prefissata delle Forze armate vincitori di concorso», e alla successiva interrogazione n. 4-00460 di questa legislatura il Ministro della difesa pro tempore, a seguito dell'avvenuta rimodulazione delle quote di turn over, ha confermato che «tale piano assunzionale dovrebbe permettere di soddisfare — già a decorrere dal prossimo autunno — le legittime aspettative di larga parte dei giovani candidati dei bandi del 2012 e risultati idonei non prescelti»;
   difatti, con il decreto dirigenziale n. 16/13-3-2012 CC, del 23 luglio 2013 è stata disposta per l'anno 20131'immissione diretta nell'arma dei carabinieri di 818 unità (poi aumentate a 823) da trarre dai candidati idonei non vincitori del concorso 2012; il successivo decreto dirigenziale n. 16/14-3-2012 CC, del 2 gennaio 2014 ha disposto gli accertamenti sanitari per la verifica del mantenimento dell'idoneità psico-fisica, al fine di addivenire all'immissione dei candidati a partire dal 26 agosto 2014;
   all'interrogante risulta che, al termine degli accertamenti, sul sito web dell'amministrazione sia stata fissata come data di convocazione il 25 settembre, ma pochi giorni prima di questa data sia stata data comunicazione di un posticipo dell'incorporamento del personale che ha superato le prove di mantenimento per «motivi organizzativi»;
   dietro ai numeri del concorso 1886 allievi carabinieri ci sono vite ed aspettative di ragazzi e ragazze che sono risultati idonei al concorso 2012 e per ben due volte hanno partecipato a proprie spese alle prove di mantenimento dell'idoneità, senza che a queste abbia avuto seguito il loro incorporamento nell'Arma;
   il continuo rinvio di queste immissioni crea uno stato di sconforto e di incertezza che sta determinando notevoli disagi ai candidati e alle loro famiglie, in quanto sulla base delle precedenti comunicazioni hanno assunto decisioni personali e si sono organizzati di conseguenza –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quando prenderà finalmente avvio il corso formativo per allievi carabinieri di cui alla graduatoria del concorso per 1886 carabinieri bandito nel 2012;
   quali iniziative siano state assunte o verranno assunte a tutela dei candidati in attesa di essere immessi nell'Arma.
(4-06306)

  Risposta. — Rassicuro l'interrogante sul fatto che, dopo un rinvio dovuto ad esigenze organizzative, gli idonei al concorso per l'immissione in servizio di allievi carabinieri al 132o corso, tra i quali anche i vincitori del concorso bandito nel 2012, verranno incorporati nei giorni dal 1o al 3 dicembre 2014, per iniziare l’iter formativo previsto il successivo giorno 4 dicembre.
  Gli interessati sono stati direttamente informati con comunicazione del Centro nazionale selezione e reclutamento dell'Arma dei carabinieri, oltre che attraverso specifico avviso pubblicato sul sito internet istituzionale www.carabinieri.it.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   ZANIN, COPPOLA, BRANDOLIN, SCANU, MARCON, MALISANI, BLAZINA e ROSATO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni il consiglio comunale di Cordenons (PN) a più riprese ha espresso la propria preoccupazione per un possibile inquinamento del suolo e delle falde acquifere dovuto ad accumuli di metalli pesanti rilasciati dalle munizioni in uso per gli addestramenti e dal materiale di brillamento ed ha accompagnato il «disciplinare d'uso» con raccomandazioni e mozioni approvate all'unanimità richiedendo che fosse l'ARPA provinciale di Pordenone, come soggetto pubblico terzo rispetto alle Forze armate, ad eseguire gli opportuni controlli sull'area del Poligono e a monitorare i livelli di inquinamento raggiunti;
   nel frattempo le analisi effettuate dall'Esercito, e rese note a marzo 2013, hanno rilevato una presenza, sopra la soglia consentita, di cadmio, nichel, zinco, vanadio, antimonio, rame e specialmente piombo. L'area interessata è stata cintata e interdetta a militari e civili, facendo scattare la segnalazione obbligatoria agli organi di controllo e l'avvio della procedura di bonifica;
   nei giorni scorsi, come riferito dalla stampa, il dipartimento provinciale dell'Arpa ha comunicato in una nota inviata al comando della 132° brigata Ariete di Cordenons, al comando dell'Esercito, a regione e provincia, alla prefettura di Pordenone e all'Ass6, nonché ai comuni di Cordenons, San Quirino, Vivaro e San Giorgio della Richinvelda, sui cui territori insiste il poligono, che il torio 232, metallo radioattivo derivato dal decadimento dell'uranio, è presente oltre la soglia naturale nell'area del poligono militare Cellina Meduna a Cordenons, con relativo aumento dell'allarme per la salute umana;
   l'area militare è stata assimilata a quella industriale, dove i limiti relativi alla presenza dei metalli è più alta rispetto all'area abitativa, ma questo innalzamento dei limiti non ha molto senso visto che alcuni gruppi di abitazioni distano a poche centinaia di metri dalle aree interessate;
   a breve distanza dal poligono militare c’è la zona di interesse comunitario SIC-ZPS con specie di flora e fauna di massima importanza ambientale. Inoltre a breve distanza si estendono le coltivazioni; il fatto che l'ARPA chieda di poter effettuare ulteriori analisi oltre il perimetro del poligono anche su flora e fauna è quanto mai opportuno;
   la vasta area dei Magredi e delle Risorgive è molto frequentata non solo dagli agricoltori e dagli ambientalisti ma anche da tanta gente comune che frequenta a piedi o in bicicletta la bellezza del luogo, per cui i motivi di pericolosità per la salute umana sono legittimi –:
   quali tempi e quali strumenti si intendano adoperare, per quanto di competenza, per assicurare la celere soluzione del caso di inquinamento con rischi per la salute umana, adoperandosi per la rassicurazione su base scientifica della popolazione;
   se non si ritenga necessario adoperarsi, dato il caso di specie, per immediati accertamenti in tutti i territori analogamente soggetti ad azioni di addestramento militare;
   quali strumenti di prevenzione da tale inquinamento, in ogni luogo ove esso sia possibile, si intendano attuare all'interno delle Forze armate. (4-03062)

  Risposta. — Nell'ambito dell'accertamento dei livelli di contaminazione radioattiva, condotto dall'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (Arpa) del Friuli Venezia Giulia nell'area su cui insiste il poligono di Cellina Meduna, i primi risultati hanno evidenziato, in 4 degli 8 bersagli statici presi in esame, la presenza di torio in «quantità nettamente superiore» a quella presente nel fondo ambientale della zona.
  La contaminazione, presumibilmente connessa ad attività risalenti nel tempo, è circoscritta a piccole aree all'interno del poligono, delle dimensioni di alcune centinaia di metri quadrati.
  Nondimeno, l'Arpa sta procedendo all'effettuazione di ulteriori indagini finalizzate ad approfondire il quadro di distribuzione del torio nell'area addestrativa, all'esito delle quali, non appena saranno noti i risultati tecnici, saranno avviate le azioni più idonee per la bonifica e per il ripristino ambientale del poligono, sulla base delle indicazioni espresse dalla conferenza dei servizi tenutasi il 12 giugno 2013.
  Quanto all'opportunità di porre in essere «immediati accertamenti in tutti i territori ...soggetti ad azioni di addestramento militare», è previsto un piano di ricognizione di tutti i poligoni all'aperto delle Forze armate ed è stato già effettuato il monitoraggio ambientale di diverse aree addestrative/poligoni in uso.
  Riguardo, poi, agli «strumenti di prevenzione», già nel 2005, la Difesa ha avviato una serie di iniziative per controllare e censire il materiale utilizzato presso i poligoni: tra le principali, si ricordano l'istituzione di «comitati per la tutela ambientale» e un affinamento del «disciplinare ambientale» che, nel rispetto della normativa vigente, regolamenta le procedure per autorizzare le attività all'interno dei poligoni.
  Il disciplinare prevede che ogni attività sia oggetto di una valutazione preventiva basata sulla documentazione tecnica del materiale da utilizzare, di un controllo di coerenza tra le attività pianificate e quelle effettuate durante le esercitazioni e le sperimentazioni – da tenersi in coordinamento tra personale del poligono e utenti – e, infine, di un controllo successivo alla esercitazione o sperimentazione, durante il quale si interviene con la bonifica, qualora ne emerga l'esigenza.
  Ogni attività viene, altresì, preventivamente valutata e autorizzata solo dopo un esame dell'impatto ambientale e previa consultazione del Comitato misto paritetico, la cui attività è finalizzata proprio ad instaurare, nell'ambito di ogni Regione, un rapporto permanente di collaborazione con le Forze armate, al fine di armonizzare le esigenze della Difesa con quelle del tessuto civile e sociale della vita comunitaria.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.