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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 11 dicembre 2014

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALAZZOTTO. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il centro di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) di Mineo è stato inaugurato il 18 marzo 2011 a seguito della proclamazione dello stato di emergenza nel territorio nazionale in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini stranieri provenienti dalle regioni del Nord Africa con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 aprile 2011;
   il CARA è ospitato presso il «Villaggio della Solidarietà» di Mineo, composto da 403 villette di proprietà della Pizzarotti spa di Parma;
   il residence è diventato il «Villaggio della Solidarietà» attraverso un decreto di requisizione, il n. 16455 del 2 marzo 2011;
   il costo stimato di indennizzo che è stato pagato dallo Stato alla Pizzarotti spa è pari a circa 6 milioni di euro all'anno;
   la struttura è affidata al Consorzio siciliano di cooperative sociali Sisifo (LegaCoop), capofila di un raggruppamento composto da Sol.Calatino Caltagirone (aderente al Consorzio Sol.Co. Catania, rete di imprese sociali siciliane operante a Mineo dal 28 dicembre 2009), la coop-azienda di ristorazione Cascina di Roma, la Senis Hospes e la Domus Caritatis;
   l'accordo raggiunto con l'ente gestore prevedeva un costo di 46 euro per ogni rifugiato ospitato dal centro;
   la struttura di Mineo attualmente ospita oltre 4.000 migranti, a fronte di una capienza stimata di 2000 unità. A tal proposito, si rileva come l'incremento degli ospiti nella struttura sia riferibile al periodo in cui terminava lo stato d'emergenza e contestualmente il pagamento diretto, da parte dello Stato, dell'indennizzo alla Pizzarotti spa;
   nell'ambito dell'inchiesta «Mafia Capitale» emergerebbero inquietanti elementi riguardo a numerose attività criminali connesse alla gestione dei flussi migratori e dei centri di accoglienza per i richiedenti asilo che dimostrerebbero come alcuni personaggi, oggi arrestati o indagati, avrebbero, con grave danno alla collettività, tratto vantaggi personali grazie a rapporti privilegiati anche con gli uffici del Ministero dell'interno;
   in particolare, desta particolare allarme la notizia secondo la quale uno degli arrestati, Luca Odevaine, fosse contestualmente membro del tavolo di coordinamento nazionale sull'immigrazione, a cui spettava il compito di valutare gli appalti per l'affidamento della gestione del CARA, ed esperto di problematiche legate all'immigrazione e consulente del Consorzio «Calatino Terra d'Accoglienza», ente attuatore del CARA di Mineo;
   per questa consulenza sarebbe stato indicato dal Sottosegretario alle politiche agricole, alimentari e forestali, Giuseppe Castiglione, all'epoca presidente della provincia di Catania, citato tra l'altro in un'intercettazione telefonica pubblicata il 9 dicembre su Repubblica, dalla quale emergerebbe che Odevaine, parlando con una terza persona, avrebbe riferito di un incontro con lo stesso Castiglione, a Catania, per discutere dell'appalto per la gestione del Cara di Mineo e del soggetto, già individuato, che avrebbe dovuto vincere la gara d'appalto;
   tale duplice ruolo avrebbe infatti consentito ad Odevaine di orientare e gestire il flusso di appalti nel sistema dell'emergenza immigrati, un affare da cento milioni di euro, in modo da favorire sempre gli stessi gestori, il consorzio di cooperative sociali che negli ultimi tre anni gestisce il CARA di Mineo, il più grande centro d'Europa;
   in sostanza, per gli inquirenti, Odevaine, sarebbe l'uomo su cui poteva contare l'organizzazione criminale per indirizzare i milioni di euro dell'immigrazione;
   inoltre, Odevaine, nel giugno di quest'anno, oltre ai ruoli ricoperti e richiamati in premessa, avrebbe fatto parte anche della commissione giudicatrice le proposte relative al bando per la gestione dei servizi del Cara di Mineo, così come era già successo nel 2012;
   da fonti di stampa si apprende come la gara di giugno 2014 sia stata vinta dall'Ati (associazione temporanea di imprese) che ha come capogruppo mandatario il Consorzio Casa della Solidarietà, a cui le altre aziende facenti parte dell'Ati hanno dato l'incarico di trattare con il committente. Sono le stesse cooperative e aziende che hanno gestito il Cara sinora: Sisifo, Sol.Calatino, Senis Hospes, Cascina Global Service, Pizzarotti e c. s.p.a, comitato provinciale della Croce Rossa Italiana; rispetto al passato, dunque, sarebbe cambiato solo l'ente capofila: prima dell'ultimo appalto era sempre stato il Consorzio Sisifo, coinvolto nel 2013 nella scandalosa gestione del Cpsa di Lampedusa;
   in definitiva, a parere degli interroganti, ciò che emerge dalle pagine dell'inchiesta Mondo di Mezzo, è un complesso sistema di rapporti tra la politica ed il business dell'immigrazione con il Cara di Mineo che diventa, anche grazie alla figura di Odevaine, un vero e proprio centro di smistamento dei flussi di migranti verso le altre strutture facenti capo alla «Mafia Capitale»;
   solo così si può comprendere con chiarezza il motivo del sovraffollamento della struttura finalizzato alla creazione di un'emergenza continua attraverso cui bypassare di fatto tutte le procedure ordinarie per le gare d'appalto ed affidarle direttamente alla rete di cooperative appartenenti al sistema d'affari di «Mafia Capitale»;
   già in passato l'interrogante aveva denunciato sia mezzo stampa che attraverso atti parlamentari, come il Cara di Mineo sia stato pensato per diventare centro di smistamento dei flussi di migranti da e per i centri di accoglienza straordinari e di come un centro di tali dimensioni sia inadeguato all'accoglienza ed all'integrazione, paventando il rischio che diventasse solo un grande centro speculativo;
   infine, dai dati sulla distribuzione dei rifugiati in Italia per regione nei CARA, nelle strutture temporanee e nei SPRAR, pubblicati sul sito del Ministero dell'interno emerge la seguente situazione al 30 settembre 2014: in Sicilia sono presenti il 24 per cento dei migranti, nel Lazio il 13 per cento; in Puglia il 10 per cento, in Lombardia il 9 per cento, in Calabria e Campania il 7 per cento, in Emilia Romagna il 5 per cento, in Piemonte e Toscana il 4 per cento, in Veneto e nelle Marche il 3 per cento, in Liguria, Friuli Venezia Giulia, Molise e Sardegna il 2 per cento, in Umbria, Basilicata e Abruzzo l'1 per cento;
   dalla lettura di questi dati appare evidente che, a parte la Sicilia che ha una ragione geografica tale da giustificare una percentuale di accoglienza così elevata, essendo punto di sbarco, non si comprende invece come la seconda regione sia il Lazio, con il 13 per cento e soprattutto Roma, se non alla luce delle intercettazioni di Odevaine che dichiara di aver fatto aumentare i posti Sprar su Roma da 250 a 2500 e soprattutto non si capisce come il tutto sia avvenuto senza destare alcun sospetto –:
   quante siano le deroghe, e quale ne sia la ragione, concesse al rapporto tra popolazione dei comuni/migranti previsto dal progetto SPRAR; in particolar modo, riguardo al comune di Roma, quali siano le ragioni, nonché le procedure autorizzative, che hanno portato ad una così grande crescita del numero di ospiti delle strutture per richiedenti asilo;
   se e quali controlli sui requisiti soggettivi ed oggettivi degli enti gestori dei centri per migranti siano stati posti in essere, in via ordinaria, per accertare l'assenza di conflitti di interessi nonché l'eventuale presenza di ulteriori ragioni ostative all'affidamento;
   se siano stati portati avanti dei controlli sul CARA di Mineo in ordine alla regolarità degli affidamenti e quale sia, ad oggi, il costo della struttura differenziando fra costo di gestione e costo per l'affitto;
   quali siano le ragioni per cui il numero di ospiti del CARA di Mineo sia stato mantenuto costantemente al doppio della capienza consentita, e quali siano le procedure e i responsabili di tali deroghe alla capienza;
   se il Ministro non ritenga che la figura di Odevaine fosse in conflitto di interessi, occupando simultaneamente il posto di membro del tavolo di coordinamento nazionale sull'immigrazione e di dipendente del consorzio di gestione del CARA di Mineo;
   se fosse noto al Ministero questo doppio incarico e, nel caso, perché sia stato consentito;
   se in via cautelativa, in attesa delle risultanze dell'indagine in corso ma alla luce delle evidenze già diffuse dalla stampa, il Ministro non ritenga di dover intervenire sospendendo l'appalto di affidamento di servizi per il Cara di Mineo ed avviando la procedura di chiusura della struttura, ad esempio affidandola alla protezione civile per il periodo necessario alla sua dismissione. (4-07247)


   FRANCO BORDO, ZACCAGNINI, MELILLA, PAGLIA e PLACIDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è uno dei paesi che ha pagato il prezzo più alto delle scelte prese in sede comunitaria in merito al settore bieticolo-saccarifero, con una riduzione complessiva pari al 70 per cento della propria capacità produttiva;
   a seguito della riforma del settore del 2006 (Regolamento del Consiglio n. 318/2006 relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero) sono stati 15 su 19 gli impianti industriali italiani che hanno dismesso la produzione di zucchero, con ripercussioni negative per l'intera filiera, passando da 1.800.000 tonnellate prodotte nel 2005 a circa 500.000 nel 2013 e da 253.000 ha di superficie coltivata a scarsi 60.000;
   allo stato attuale sono 4 gli stabilimenti ancora attivi in Italia, però anch'essi rischiano nel breve termine di essere dismessi, determinando la scomparsa di una filiera da sempre considerata strategica per la nostra economia. Ad essere minata, inoltre, è la capacità dell'Italia e dell'Unione europea di rispondere al principio dell'autosufficienza nell'approvvigionamento di zucchero. Tale principio avrebbe dovuto ispirare i processi di riforma intrapresi, alla prova dei fatti sembra aver favorito la costruzione di un oligopolio a vantaggio di pochi colossi multinazionali piuttosto che favorire un regime di libero mercato e di leale concorrenza;
   il prezzo dello zucchero sul mercato mondiale è in continua diminuzione, con una riduzione superiore al 50 per cento in soli tre anni. Oggi è stimato in circa 332 euro per tonnellata, un prezzo considerato da tutti insostenibile. Combinando questo dato con le novità che coinvolgeranno il settore da qui ai prossimi anni — ovvero la venuta meno delle quote zucchero dal 30 settembre 2017 e la mancata assegnazione di un aiuto accoppiato alla produzione bieticola — è facile intuire che il rischio reale sia la definitiva scomparsa della produzione di zucchero in Italia e la conseguente perdita di circa 3000 posti di lavoro dell'intera filiera;
   a questa perdita vanno aggiunte le difficoltà di realizzare quei processi di riconversione e ristrutturazione — attuati nella misura del 30 per cento previsti dalla legge n. 81 del 2006, nata con l'obiettivo di garantire una risposta occupazionale attraverso progetti di riconversione degli zuccherifici e che di fatto — invece — ha solo garantito un sostegno all'impresa in merito alle dismissioni degli impianti con la conseguenza di disattendere le decisioni prese dal tavolo interministeriale appositamente istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri;
   alla luce di quanto illustrato le decisioni prese finora vanno riviste per tornare ai principi ispiratori della riforma dell'Organizzazione comune del mercato, ovvero: l'autosufficienza dell'intera Unione europea nella produzione e trasformazione di zucchero per far fronte ai bisogni di approvvigionamento interno, difendere il mercato europeo dall'oscillazione speculativa dei prezzi, rendere il settore più competitivo per affrontare la concorrenza internazionale;
   secondo gli interroganti la situazione in cui versa il settore bieticolo-saccarifero non si risolve proponendo — come fatto da più parti — la costruzione di un nuovo fondo destinato alla ristrutturazione del settore per incentivare la dismissione dei pochi impianti rimasti o per colmare le lacune dei progetti di riconversione non realizzati. Sarebbe più utile, invece, inaugurare una nuova stagione volta alla valorizzazione di tale filiera e dei posti di lavoro connessi;
   a tal proposito, sarebbe opportuno che il Governo, nella persona del Ministro interrogato in qualità di presidente di turno del prossimo Consiglio europeo dell'agricoltura che si terrà il 16 dicembre 2014, si opponga ai tentativi di ripristinare un fondo volto ad incentivare la dismissione dei pochi presidi produttivi rimasti in Italia, e al contrario, di intraprendere tutte le azioni necessarie — in Italia come in Europa — per difendere la filiera e i posti di lavoro connessi e per garantire al nostro Paese una quota di produzione funzionale all'approvvigionamento di zucchero a fini di consumo industriale e commerciale –:
   se il Governo non intenda intervenire in sede comunitaria al fine di far estendere almeno fino al 2020 l'erogazione delle quote zucchero per evitare un vero e proprio shock all'intera filiera bieticola-saccarifera continentale che vedrebbe, a fronte dell'attuale oscillazione del prezzo dello zucchero, il fallimento di diverse imprese produttrici con la conseguente chiusura di svariati stabilimenti e soprattutto la perdita di migliaia di posti di lavoro in un periodo — tra l'altro — già di fortissima crisi economica per l'intera Unione europea;
   se non si intenda intraprendere azioni tese a monitorare il prezzo dello zucchero, attraverso, ad esempio, in maggiore ruolo di vigilanza dell'Antitrust della Commissione europea, sulla scia di alcune azioni sanzionatorie già intraprese da analoghi organismi degli Stati membri;
   quali azioni di tutela si intendano porre in essere in merito alla filiera bieticola-saccarifera, che conta circa 3000 addetti, anche attraverso la definizione di aiuti accoppiati capaci in maggior misura di far fronte ad un prezzo dello zucchero in continua diminuzione;
   quali siano i motivi che impediscono l'erogazione dei circa 50 milioni di euro di finanziamenti già concordati ma non ancora corrisposti, costituendo queste risorse elemento fondamentale per la programmazione delle prossime campagne in relazione all'attuale prezzo dello zucchero. (4-07252)


   MARCON, MATTIELLO, CHIMIENTI, GIOVANNI FAVA, AIRAUDO, PALAZZOTTO, CAPONE, PELLEGRINO, FRANCO BORDO, BOSSA e DURANTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014) all'articolo 1, comma 164-bis prevede un finanziamento di 3 milioni di euro per ciascuno dei tre anni per dare vita a progetti (in forma di sperimentazione) di Corpi civili di pace che coinvolgano almeno 500 operatori;
   la legge di stabilità fa riferimento al comma c) dell'articolo 1 della legge 64 del 2001 e per la realizzazione di questo intervento si riconduce lo stanziamento a quanto previsto dall'articolo 12 del decreto legislativo n. 77 del 5 aprile del 2002 (Disciplina del Servizio civile nazionale a norma dell'articolo 2 della legge 6 marzo 2001, n. 64);
   attualmente, esperienze analoghe a quelle dei Corpi civili di pace vengono svolte nell'ambito dell'articolo 9 (servizio civile all'estero) della legge n. 64 del 2001, istitutiva del servizio civile nazionale. Dal 2001 ad oggi sono oltre 3.300 i volontari in servizio civile che hanno svolto il servizio all'estero, grazie a progetti realizzati da varie organizzazioni come l'Associazione Papa Giovanni XXIII, la Caritas Italiana, la Focsiv. È attiva al riguardo una piattaforma delle organizzazioni e dei progetti, denominata «antenne di pace», che svolge un ruolo di coordinamento, di raccolta e di informazione rispetto agli interventi;
   nonostante la previsione di cui al comma 164-bis, a distanza di quasi un anno, non sono stati emanati i provvedimenti attuativi e questo ha comportato il blocco dell'avvio della sperimentazione;
   in questi ultimi 10 mesi la Consulta nazionale degli enti di servizio civile (CNESC), il Tavolo degli interventi civili di pace, la campagna Sbilanciamoci e la Rete Disarmo hanno più volte chiesto al Governo di dare il via alla sperimentazione prevista dalla legge;
   l'8 luglio 2014 il sottosegretario al lavoro e alle politiche sociali, onorevole Luigi Bobba ha annunciato (durante un convegno all'università di Padova dal titolo «Dal progetto Caschi bianchi oltre le vendette ai Corpi civili di pace») che i decreti attuativi sarebbero stati emanati entro il 30 settembre 2014;
   il 10 dicembre 2014 il sottosegretario al lavoro e alle politiche sociali, onorevole Luigi Bobba (durante un convegno della CNESC a Roma) ha affermato che i decreti attuativi non ci sono ancora perché manca il «concerto del Ministero degli Affari Esteri» –:
   quali siano stati i reali problemi di carattere amministrativo o istituzionale che hanno impedito di emanare in 12 mesi i decreti attuativi necessari all'attuazione di quanto previsto dal comma 164-bis dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147;
   quali siano i tempi previsti per la loro emanazione;
   se, essendo la sperimentazione dei Corpi civili di pace triennale, il ritardo fino a qui accumulato per l'emanazione dei decreti attuativi avrà ripercussioni sulla riduzione del finanziamento di 9 milioni di euro e del numero di 500 giovani previsti per la sperimentazione dei corpi civili di pace e in quel caso quali siano gli intendimenti del Governo in merito. (4-07261)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   SIBILIA, MANLIO DI STEFANO, SCAGLIUSI, SPADONI, DI BATTISTA, DEL GROSSO e GRANDE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   sull'edizione del quotidiano online repubblica.it del 5 dicembre 2014 è stato pubblicato un articolo dal titolo «Io, turista italiano in Israele, rimasto chiuso in aeroporto per quattro giorni» riguardante la vicenda di Daryush Sabaghi, un italiano d'origine iraniana, bloccato dall'autorità di sicurezza israeliana allo scalo internazionale Ben Gurion di Tel Aviv e portato in quello che viene definito «carcere per turisti» prima di essere rimpatriato;
   secondo quanto riportato nell'articolo, il signor Sabaghi è arrivato in Israele per turismo e per svolgere attività di volontariato presso un ostello a Ramallah, in Cisgiordania. Invece ha passato 4 giorni e 3 notti in una cella di 10 metri quadri con tre letti a castello, una doppia inferriata stretta, un lavabo e un piccolo bagno con doccia;
   questo è il racconto fornito in un'intervista al quotidiano dal signor Sabaghi su quanto gli è accaduto «I veri motivi del respingimento all'aeroporto non sono ancora chiari. Durante gli interrogatori, le autorità aeroportuali mi hanno accusato di essere un pericolo e una minaccia per Israele e che forse potrei essere un terrorista. Nonostante sia cittadino italiano, le mie origini iraniane hanno probabilmente influenzato l'esito della loro decisione. Le autorità aeroportuali hanno controllato e-mail, profili Facebook e Twitter, fotografie, rubriche e ogni altra informazione presenti all'interno del telefono e del computer, nonché tutto il contenuto dei miei bagagli. E si ostinavano a farmi confessare chissà quale verità sul vero obiettivo del mio viaggio. Un pressing psicologico condito da minacce velate senza una giustificazione. All'inizio non mi è stata data nemmeno la possibilità di chiamare l'ambasciata. L'ho potuto fare una volta in cella grazie a Giacomo, un operatore della Croce Rossa che era venuto a fare dei controlli sullo stato della prigione. Mi ha scritto il numero dell'ambasciata su un pezzo di carta e ha aggiunto che avevo diritto di fare una chiamata al giorno. L'ambasciata comunque non ha potuto fare niente. Durante il soggiorno all'interno della prigione per turisti hanno sequestrato tutto: mi hanno fatto tenere solo qualche libro, sigarette e il portafogli. La nostra ora d'aria durava 20 minuti al giorno: 10 la mattina e 10 la sera»;
   rispedito a Roma, il signor Sabaghi ha chiesto via e-mail informazioni maggiori sull'accaduto all'ambasciata israeliana in Italia che, dopo pochi giorni, ha risposto: «Gentile signore, le autorità aeroportuali hanno rifiutato il suo ingresso per ragioni di sicurezza. Non potrà entrare in Israele per i prossimi 10 anni»;
   lo Stato di Israele ha lo statuto di osservatore dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa dal 1957 mentre è aperto ancora al dibattito all'interno del Consiglio stesso la proposta di allargare a Israele e delle altre democrazie mediterranee l'adesione al CEDU, atteso che, col suo focus privilegiato sui diritti umani, potrebbe costituire un importante test della volontà di tali governi di garantire lo stato di diritto e il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali ai propri cittadini e agli stranieri sotto la propria giurisdizione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della incresciosa vicenda accaduta al signor Sabaghi e se non ritenga opportuno valutare di assumere una qualche iniziativa, per quanto di competenza, sia per accertare i motivi del respingimento all'aeroporto di Tel Aviv sia per evitare che fatti simili possano succedere di nuovo senza un'adeguata informazione ai soggetti interessati circa le cause del fermo e del conseguente rimpatrio. (4-07245)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TERZONI, DAGA, LIUZZI, PESCO, LUIGI GALLO, SIBILIA, NESCI, FICO, DEL GROSSO, VACCA, DI BATTISTA, MICILLO, D'UVA, TOFALO, DE ROSA, RIZZO, LUIGI DI MAIO e D'INCÀ. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il parco nazionale del Vesuvio è stato istituito con il decreto del Presidente della Repubblica del 5 giugno 1995 per il grande interesse geologico, biologico e storico che il suo territorio rappresenta la cui area si estende su ben 13 comuni. L'istituzione avvenne principalmente per conservare i valori del territorio e dell'ambiente, e la loro integrazione con l'uomo, per salvaguardare le specie animali e vegetali, nonché le singolarità geologiche e per promuovere attività di educazione ambientale, di formazione e di ricerca scientifica;
   dal 1997 il parco è riserva MAB-UNESCO la cui la finalità fondamentale è, come solennemente sancisce il Ministero dell'ambiente (http://www.minambiente.it) quella «di trovare un equilibrio che duri nel tempo tra conservazione della biodiversità, promozione di uno sviluppo sostenibile e salvaguardia dei valori culturali connessi e che tale obiettivo possa essere perseguito attribuendo ai territori compresi nelle Riserve le seguenti funzioni complementari:
    conservazione della diversità biologica, delle risorse genetiche, delle specie, degli ecosistemi e dei paesaggi, e della diversità culturale;
    sviluppo, centrato principalmente sulle popolazioni locali, secondo modelli di gestione «sostenibile» del territorio;
    logistica, per supportare progetti di dimostrazione, informazione, educazione ambientale, ricerca e monitoraggio collegati ai bisogni di conservazione e sviluppo sostenibile locale, nazionale e globale»;
   con decreto-legge n. 83 del 22 giugno 2012 convertito dalla legge dalla legge il 7 agosto 2012, n. 134, il parco nazionale del Vesuvio veniva declassato da sito di interesse nazionale (SIN) a sito di interesse regionale (SIR);
   il parco Nazionale del Vesuvio, unico sito «protetto» al mondo ad essere sede di discariche di rifiuti autorizzate, è letteralmente martoriato da decine di altre aree di sversamento e di occultamento illegale di rifiuti di ogni genere che per decenni sono stati abbandonati e/o interrati in cave naturali o appositamente realizzate dalla criminalità organizzata che ha agito e continua ad agire nella sostanziale impunità;
   dai sopralluoghi recentemente effettuati nella sola zona pedemontana del vulcano più famoso del mondo rientrante nei territori dei comuni di Terzigno, Poggiomarino, Boscoreale e Boscotrecase, è emerso stridente e mortificante il contrasto tra i rinvenimenti archeologici di ville romane rustiche risalenti al primo secolo avanti Cristo, di inestimabile valore storico e culturale, che stanno subendo un costante degrado e danneggiamento, e lo stoccaggio indiscriminato di migliaia di tonnellate di rifiuti allocati in siti più o meno ufficiali e censiti;
   Vasca Fornillo, via Vecchia Aquini, cava Ranieri, cava Vitiello, cava Pozzelle, cava Dodano, cava Sari e Nuova cava Sari, Amendola Formisano a Ercolano e «la Marca» a Somma Vesuviana, le pinete del comune di Torre del Greco sono luoghi di sversamento e di sfregio permanente del territorio oramai tristemente famosi, che sono state costretti ad «ospitare» oltre 2 milioni di tonnellate di spazzatura interrate ed alcune migliaia di ecoballe che ancora oggi vengono lasciate a marcire ed ad inquinare; detti siti, peraltro, rappresentano solo alcune tappe di un lunghissimo tour che conta centinaia di luoghi di degrado e di avvelenamento a cui va posto immediato rimedio con interventi di bonifica radicali;
   ad aggravare questo desolante panorama ambientale vi è il districato groviglio di competenze amministrative sulla gestione del parco e dei suoi gravissimi problemi ambientali che genera discordanze e conflitti tra il commissariato di Governo, la regione, i comuni, l'Agenzia regionale per l'ambiente, l'ente parco istituito con la legge quadro sulle aree protette n. 394 del 1991 (che al contempo vietava la realizzazione e/o l'esercizio di cave e discariche nei parchi) e la soprintendenza archeologica col risultato che, ad esempio, nonostante ingenti fondi messi a disposizione per la bonifica di cava Ranieri in Terzigno e nonostante l'impegno ufficiale a rimettere in pristino il sito dopo un anno dalla sua istituzione avvenuta nel 2000, ad oggi, nessuna bonifica è stata realizzata e questo, come centinaia di altri siti di stoccaggio più o meno ufficiali esistenti nel parco, versa anch'esso in una condizione di degrado incipiente;
   su questo scenario di indicibile degenerazione che caratterizza un territorio dal punto di vista ambientale ed archeologico unico al mondo e che dovrebbe essere vanto e non vergogna nazionale, sta scendendo un manto di silenzio e rassegnazione istituzionale contro il quale combattono in maniera sempre più isolata le migliaia di cittadini che vivono a ridosso di tale scempio e che da anni si sono organizzati in comitati ed associazioni spontanee, che hanno il diritto di essere coinvolte nei progetti di bonifica e riqualificano dei loro territori;
   peraltro, con la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 2 dicembre 2014 emessa nella causa C-196/13 instaurata a seguito di ricorso presentato il 16 aprile 2013 dalla Commissione europea nei confronti della Repubblica italiana, l'Italia è stata condannata per non avere dato esecuzione a una precedente sentenza della Corte del 2007 che aveva constatato l'inadempimento del Governo italiano alla direttiva del Consiglio sui rifiuti 75/442/CEE, del 15 luglio 1975, come modificata dalla direttiva 91/156/CEE del 18 marzo 1991, alla Direttiva sui rifiuti pericolosi 91/689/CEE del 12 dicembre 1991, nonché alla direttiva relativa alle discariche di rifiuti 1999/31/CE del 26 aprile 1999, tanto da vedersi inflitta una sanzione pecuniaria di oltre 40 milioni di euro per ogni ulteriore semestre di ritardo nell'attuazione delle misure necessarie per dare esecuzione alle predette direttive. Peraltro, con la richiamata sentenza, la Corte di giustizia ha espressamente ricordato che la mera chiusura di una discarica o la copertura dei rifiuti con terra e detriti non è sufficiente per adempiere agli obblighi derivanti dalla direttiva «rifiuti», tanto che i provvedimenti di chiusura e di messa in sicurezza delle discariche non sono sufficienti per conformarsi alla richiamata direttiva. Sempre con la richiamata recentissima sentenza, la Corte ha ribadito altresì che gli Stati membri sono tenuti a verificare se sia necessario bonificare le vecchie discariche abusive e, all'occorrenza, sono tenuti a bonificarle specificando inequivocabilmente che il sequestro della discarica e l'avvio di un procedimento penale contro il gestore non costituiscono misure sufficienti all'ottemperanza alle prescrizioni delle richiamate direttive;
   con decreto ministeriale del 28 novembre 2006, n. 308 il Ministro dell'ambiente individua delle risorse economiche da assegnare per la copertura del programma di bonifica e di risanamento ambientale pari complessivamente a euro 60.375.800,00 di cui euro 6.752.727,00 da destinare alla Campania per il «Litorale Vesuviano» nella cui area è compreso anche il parco nazionale del Vesuvio;
   con delibera della giunta regionale della Campania del 15 ottobre 2014 n. 470, risulta che è stato programmato e speso dell'importo di cui al precedente comma la somma di euro 1.040.000, e che essendo il sito declassato e pertanto di competenza regionale si procederà attraverso un accordo di programma fra il Ministero dell'ambiente e della tutela del tutela del territorio e del mare la regione e gli enti locali territorialmente interessati al fine di programmare gli interventi per la restante somma di euro 5.712.727,00;
   nel suddetto accordo di programma non saranno ricompresi gli interventi di bonifica per le aree della località nel Pozzelle nel comune di Terzigno e l'area di discarica «Amendola e Formisano» nel comune di Ercolano «per i quali saranno attivate le procedure di bonifica in sostituzione e in danno, esercitando l'azione di rivalsa, in relazione ai costi sostenuti, nei confronti dei responsabili dell'inquinamento» –:
   se risulti quali siano le aree interessate dagli interventi di messa in sicurezza e bonifica per i quali sono stati spesi gli euro 1.040.000,00;
   quali siano le motivazioni per le quali alla data del 22 giugno 2012, data di declassamento del parco, l'importo complessivo stanziato con decreto del 28 novembre 2006, n. 308 non era ancora stato utilizzato per i lavori di risanamento del litorale vesuviano;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere al fine di verificare, monitorare e accertare l'avvio delle opere di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica di tutte le aree oggetto di sversamento lecito ed illecito allocate all'interno del parco nazionale del Vesuvio incluse le aree della località nel Pozzelle nel comune di Terzigno e l'area di discarica «Amendola e Formisano» nel comune di Ercolano per le quali la regione Campania intende procedere con le procedure di bonifica in sostituzione e in danno;
   se e quali progettualità intenda porre in essere per destinare nuovamente un sito patrimonio ambientale e culturale dell'umanità alla sua naturale vocazione di volano turistico ed economico del territorio, prevedendo la diretta partecipazione dei suoi cittadini alle iniziative di radicale riqualificazione necessarie;
   se e quali iniziative di tutela siano in atto o si intendano individuare per le ville romane rustiche risalenti al primo secolo avanti Cristo site in Cava Ranieri, quali fondi siano stati stanziati e perché i lavori affidati alla Sogesid per l'accesso ai resti della villa in Cava Ranieri non siano ancora stati eseguiti;
   se non si ritenga opportuno riclassificare come SIN le cave e le discariche non conformi alla legislazione nel parco nazionale del Vesuvio descritte in premessa;
   quali iniziative intenda porre in essere il Governo, quali risorse intenda destinare e quali progetti intenda mettere a punto affinché le affermazioni di intenti espresse a margine dell'istituzione del parco come riserva MAB-UNESCO non rimangano prive di significato reale, irrise dallo stato di degrado sotto gli occhi del mondo;
   quali iniziative intenda attuare il Governo per evitare di subire continue e reiterate sanzioni europee per la gestione dei rifiuti e se non sia più opportuno utilizzare maggiori risorse per intervenire con bonifiche e un'adeguata gestione dei rifiuti. (5-04268)


   PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 2000/60/CE (direttiva quadro sulle acque — DQA) che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque ha introdotto un approccio innovativo nella legislazione europea in materia di acque, tanto dal punto di vista ambientale, quanto amministrativo-gestionale. La direttiva 2000/60/CE si propone di raggiungere tra gli altri l'obiettivo di riconoscere a tutti i servizi idrici il giusto prezzo che tenga conto del loro costo economico reale e rendere partecipi i cittadini delle scelte adottate in materia;
   la direttiva 2000/60/CE è stata recepita in Italia attraverso il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
   in relazione all'applicazione comunitaria della direttiva rispetto al giusto prezzo si fa rilevare il caso della regione Sardegna dove si sta verificando un'anomala e, a parere dell'interrogante illegittima applicazione della disposizione, giusto obiettivo relativamente all'imposizione a posteriori e in termini unilaterali di un deposito cauzionale di ingente consistenza che rende del tutto inapplicata la direttiva nella parte relativa al giusto prezzo considerato che si tratta di un gravame diretto sul costo dell'acqua;
   in primo luogo l'emissione della fattura a titolo di deposito cauzionale è in palese contrasto con deliberazioni n. 86/2013/R/IDR e n. 643/2013/R/IDR giacché le stesse espressamente dispongono che «il gestore può richiedere all'utente finale, all'atto della stipulazione del contratto di somministrazione, il versamento di un deposito cauzionale» (articolo 3). Al riguardo è icto oculi evidente che il qui contestato deposito non è stato richiesto al momento della stipulazione del contratto ma unilateralmente ed in violazione della correttezza e buona fede contrattuale in un momento successivo ed in mancanza di concerto;
   il censurato deposito cauzionale imposto rappresenta, quindi, un atto unilateralmente fissato che, in quanto posteriore alla stipula del contratto di erogazione del servizio idrico, risulta essere in palese violazione delle normative speciali di settore oltreché in contraddizione con le previsioni contrattuali vigenti e, comunque, in contrasto con il disposto del codice civile in materia che non ammette modifiche unilaterali salvo espresso patto contrario qui non presente;
   la unilaterale decisione della società di gestione Abbanoa impositiva dello spropositato deposito cauzionale richiesto, poi, è, a parere dell'interrogante, illegittima in quanto la stessa viola le predette deliberazioni dell'AEEGSI anche sotto altro dirimente profilo. Infatti, tali norme prevedono che «il gestore non può richiedere all'utente finale il versamento del deposito cauzionale, né altre forme di garanzia, qualora non abbia adottato e pubblicato, secondo le modalità di cui alla Deliberazione 586/2012/R/IDR, una carta dei servizi conforme alla normativa in vigore» (ancora articolo 3);
   al riguardo si rileva che nella contestata richiesta di pagamento non solo non è minimamente presente alcun riferimento alla citata carta dei servizi ma, inoltre, non è neppure rispettato il periodo di fatturazione previsto dalla citata carta e, poi, comunque, tale ultimo strumento non risulta conforme alla normativa vigente sotto vari profili; e ciò in particolare per il fatto di non essere stata tempestivamente rinnovata e resa accessibile e/o conoscibile secondo quanto prescritto dalla legge;
   sotto altro ulteriore profilo si eccepisce, inoltre, sempre secondo l'interrogante, la più assoluta illegittimità della predetta richiesta di pagamento del deposito cauzionale posto che la stessa si pone in palese contrasto con il principio di correttezza e lealtà nella definizione delle trattative e/o modifiche contrattuali;
   l'apposizione di tale nuova previsione contrattuale, infatti, non è mai stata concertata, né tanto meno è mai stata oggetto di apposite e specifiche trattative tra le parti;
   l'atto impositivo è senz'altro contraddittorio e infondato nelle premesse di fatto da esso richiamate non solo perché non esiste il lamentato rischio di insolvenze ma, soprattutto, perché — in un'astratta prospettiva futura – non può certamente sussistere nella misura del richiesto deposito cauzionale giacché lo stesso è incredibilmente spropositato rispetto ai consumi effettivi registrati negli anni di durata dell'erogazione del servizio nella media dei cittadini sardi;
   la richiesta, in quanto non rapportata e proporzionata agli effettivi consumi, è palesemente illegittima proprio perché va a ledere il principio della direttiva comunitaria recepita dallo Stato italiano relativa al giusto prezzo della risorsa idrica;
   l'addebito è illegittimo anche perché costituisce a tutti gli effetti un'indebita imposizione di pagamento che, in violazione del principio di legalità sancito dalla costituzione, non trova fondamento in alcuna disposizione di legge;
   la gravità di detta previsione, peraltro, assume speciale rilevanza nel caso di specie in quanto il contestato deposito cauzionale produrrebbe un ingiusto guadagno in contrasto con quanto prescritto dall'Unione europea che, come noto, non consente l'apposizione di depositi cauzionali e/o altre forme sproporzionate di garanzia alle società che agiscono in condizioni di monopolio operativo qual’è appunto Abbanoa Spa;
   le somme richieste nel bacino della Sardegna rappresentano una vera e propria forma di induzione al versamento di un anticipo sui consumi in violazione del punto 3.4, articolo 3, della deliberazione 28 febbraio 2013, 86/2013/R/IDR –:
   se non ritenga di dover intervenire al fine di dare completa e piena attuazione ai principi di cui alla direttiva comunitaria su richiamata con particolare riferimento al giusto prezzo della risorsa idrica;
   se non ritenga, nell'ambito delle proprie competenze, di adottare le necessarie iniziative normative affinché sia espressamente vietata la fatturazione di consumi non effettivi e di ulteriori oneri non collegati al consumo, anche promuovendo la predisposizione di strumenti di misurazione dei consumi, collegati in rete, che possano fornire in tempo reale il consumo effettivo di ogni utenza al fine di arginare fenomeni come quelli in premessa.
(5-04270)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SEGONI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, ARTINI, DAGA, ZOLEZZI, MICILLO e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio COM(2014) 397 finale, che modifica direttive 2008/98/CE relativa ai rifiuti, 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti, 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, al 19o considerando afferma fra l'altro che: «La qualità e l'affidabilità delle statistiche dovrebbe migliorare con [...] la soppressione delle disposizioni obsolete in materia di rendicontazione»;
   la decisione della Commissione Europea del 18 novembre 2011, che istituisce regole e modalità di calcolo per verificare il rispetto degli obiettivi di cui all'articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, all'articolo 2 comma 1, paragrafo 2, prescrive che «il peso dei rifiuti preparati per essere riutilizzati, riciclati o recuperati è determinato calcolando la quantità di rifiuti impiegati nella preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio finale o altri processi di recupero finale di materiale. Un'operazione preparatoria che precede il recupero o lo smaltimento di rifiuti non costituisce un'operazione finale di riciclaggio né un'altra operazione finale di recupero di materiale. In caso di raccolta differenziata dei rifiuti o se la produzione di un impianto di selezione è sottoposta a processi di riciclaggio o altra forma di recupero di materiale senza perdite significative, il peso dei rifiuti in questione può essere considerato equivalente al peso dei rifiuti preparati per essere riutilizzati, riciclati o sottoposti ad altra forma di recupero di materiale»;
   il decreto ministeriale 13 maggio 2009 (modifica del decreto 8 aprile 2008, recante la disciplina dei centri di raccolta dei rifiuti urbani raccolti in modo differenziato sostituisce Il punto 6.5 dell'Allegato 1 con il seguente: «Devono essere adottate procedure di contabilizzazione dei rifiuti in ingresso, per quanto concerne le sole utenze non domestiche, e in uscita al fine della impostazione dei bilanci di massa o bilanci volumetrici, entrambi sulla base di stime in assenza di pesatura, attraverso la compilazione, eventualmente su supporto informatico, di uno schedario numerato progressivamente e conforme ai modelli di cui agli allegati Ia e Ib», pertanto si ammette la possibilità di calcolo presuntivo in entrata e in uscita dai centri di raccolta di cui all'articolo 183, comma 1, lettera cc) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modifiche;
   il decreto ministeriale ambiente 8 aprile 2008, all'articolo 3, comma 1, prescrive che: «Il centro di raccolta deve essere strutturato prevedendo una “zona di conferimento e deposito dei rifiuti non pericolosi, attrezzata con cassoni scarrabili/contenitori, anche interrati, e/o platee impermeabilizzate e opportunamente delimitate”, ma non specifica se gli scarrabili debbano essere muniti di adeguata copertura funzionale a proteggere il contenuto da intemperie, furti e conferimenti impropri, né se le platee debbano essere munite di adeguata copertura di protezione dagli agenti atmosferici. Si fa notare come questa modalità di raccolta sia prassi comune anche nel caso di rifiuti speciali»;
   anche volendo escludere i furti all'interno dei centri di raccolta (anche definite «isole ecologiche»), che tuttavia sono cronaca ordinaria, appare evidente come l'utilizzo di cassoni scarrabili non dotati di copertura e lo stoccaggio dei rifiuti in platee scoperte possano falsare enormemente i dati di contabilità dei rifiuti in uscita, in primis perché materiali come carta e cartone, legno e derivati, schiume poliuretaniche contenute in materassi e imbottiti, possono trattenere una considerevole quantità d'acqua, in secundis perché le intemperie possono depositare nei cassoni anche altri residui (foglie, rami, sabbia e altro) che abbassano la qualità e la riciclabilità dei materiali contenuti, contravvenendo al principio comunitario per cui i rifiuti sono gestiti «prevenendo o riducendo gli impatti negativi della produzione e della loro gestione, riducendo gli impatti complessivi dell'uso delle risorse e migliorandone l'efficacia –:
   quali iniziative intenda attuare e in quali tempi al fine di:
    a) imporre la pesatura obbligatoria in entrata e uscita dai centri di raccolta;
    b) imporre l'utilizzo nei centri di raccolta e per i rifiuti speciali di cassoni scarrabili dotati di opportuna copertura e la copertura delle platee attualmente scoperte;
    c) fissare criteri per l'attuazione di controlli incrociati dei dati in entrata con quelli in uscita dai centri di raccolta, al fine di scongiurare possibilità di errore nella contabilità generale dei rifiuti e trasmettere in questo modo alla Commissione europea un quadro conoscitivo più aderente alla realtà. (4-07244)


   LAVAGNO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'impianto ex-ENEA Fabbricazioni Nucleari (FN) di Bosco Marengo (AL), ha operato dal 1973 al 1995 fabbricando combustibili per le centrali nucleari italiane (ricariche della centrale di Garigliano, prima carica e ricariche per Caorso, ricariche per Trino) e anche per reattori stranieri. I materiali nucleari lavorati sono stati l'uranio depleto, l'uranio naturale e l'uranio arricchito fino al 5 per cento;
   alla fine del 1995 l'ENEA, azionista pressoché esclusivo della FN, ha deciso di non proseguire ulteriormente le attività di fabbricazione di combustibili nucleari e di procedere alla disattivazione dell'impianto;
   nel 1996 è stato presentato un piano di disattivazione. A seguito dei rilievi mossi da varie amministrazioni, il piano è stato revisionato. La nuova edizione è stata presentata alle amministrazioni alla fine del 2002;
   nel frattempo si è provveduto ad alienare, trasferendolo all'estero, parte del materiale nucleare detenuto e a risistemare i rifiuti radioattivi già prodotti;
   Sogin è la società statale che si occupa dello smantellamento degli impianti, controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze e opera secondo gli indirizzi strategici formulati dal Ministero dello sviluppo economico, alla quale è stato affidato il compito di dismettere le centrali nucleari e quindi anche del sito in questione;
   secondo quanto si apprende, nella relazione presentata dalla Sogin al tavolo sulla trasparenza nucleare della regione Piemonte, nell'area della ex Fn di Bosco Marengo sono presenti quantità notevoli, seppure al momento indefinite, di sostanze nascoste nel terreno e c’è una presenza diffusa di materiali interrati nel sottosuolo. Appare, pertanto ufficiale che non si tratti, quindi, solo dei cinque bidoni ritrovati il 28 agosto 2014;
   le analisi su quei contenitori non avevano fatto emergere un inquinamento dovuto al ciclo delle lavorazioni del combustibile nucleare, in quanto l'attività dell'ormai ex Fn è cessata da anni. Nessun rischio per le persone e l'ambiente, aveva precisato Sogin, che sta portando avanti il decommissioning, cioè lo smantellamento dell'attività nucleare;
   in seguito al ritrovamento dei cinque bidoni, Sogin ha svolto una campagna di indagini geofisiche, dalla quale è emersa la presenza di altri materiali sotterrati. Si attende il piano operativo per la bonifica completa dell'area che Sogin ha immediatamente predisposto e il cui avvio è previsto, maltempo permettendo, il prossimo anno, dopo l'approvazione da parte dell'Ispra;
   Sogin fa sapere che a valle della bonifica, sarà possibile conoscere la tipologia dei materiali rinvenuti, la loro consistenza e caratteristiche chimico fisiche e, quindi, definire le eventuali azioni conseguenti verso soggetti terzi;
   la società pubblica, ad agosto 2014, aveva informato del ritrovamento dei bidoni anche la prefettura, l'asl e l'arpa, la quale oggi ricorda che gli approfondimenti sul cesio 137, rinvenuto a settembre nei primi bidoni, saranno effettuati a valle della presentazione del piano di intervento che Ispra ha richiesto a Sogin, che ancora non risulta presentato;
   da quanto si apprende da organi di stampa, i bidoni sarebbero stati interrati all'interno del sedime di proprietà Sogin, tra due reti di sicurezza e che nessun estraneo aveva accesso in quel sito controllato con sorveglianza armata –:
   se il Governo sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte e quali azioni intenda intraprendere al fine di chiarire la dinamica dell'interramento dei bidoni.
(4-07246)


   ELVIRA SAVINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è stata condannata, con sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea (Grande sezione) del 2 dicembre 2014, a versare alla Commissione europea una sanzione pecuniaria pari ad euro 42.800.000 per non aver dato esecuzione ad una sentenza della Corte del 2007 (sentenza Commissione/Italia EU:C2007:250) che aveva constatato l'inadempimento generale e persistente della Repubblica alle direttive sui rifiuti;
   in particolare, nel 2007 la Corte aveva dichiarato che l'Italia era venuta meno agli obblighi di cui agli articoli 4, 8 e 9 della direttiva 75/442/CEE (direttiva abrogata e sostituita dalla direttiva 2006/12/CE, a sua volta abrogata e sostituita dagli articoli 13, 15, 23 e 36 paragrafo 1 della direttiva 2008/98/CE), nonché all'articolo 2 paragrafo 1 direttiva 91/689 (abrogato e sostituito dalla direttiva 2008/98 articolo 35, paragrafo 1 e 2), nonché alla direttiva 1999/31 articolo 14 lettere da a) a c) relativi alla gestione dei rifiuti, pericolosi e delle discariche di rifiuti;
   in sede di controllo di ottemperanza alla sentenza Commissione/Italia (EU:C: 2007:250) la Commissione chiedeva con lettera dell'8 maggio 2007 alle autorità italiane di indicare i provvedimenti da esse adottati ai fini dell'esecuzione della sentenza;
   le autorità italiane, con lettere del 10 luglio 2007, del 26 ottobre 2007, del 31 ottobre 2007 e del 26 novembre 2007, hanno presentato il sistema legislativo nazionale repressivo in materia di gestione dei rifiuti e alcune iniziative relative a tale gestione, nonché una sintesi, regione per regione, della situazione dei siti identificati nel rapporto del Corpo forestale dello Stato del 2002;
   tuttavia, già nel 2008, nel corso di una riunione tenutasi a Bruxelles il 24 settembre, la Commissione criticava il contenuto delle informazioni trasmesse dalla Repubblica italiana concludendo che persisteva in capo alla stessa l'inadempimento generale già accertato dalla Corte nella sentenza Commissione/Italia (EU:C:2007:250);
   in particolare, la Commissione riteneva che nelle, regioni italiane esistessero ancora 218 discariche non conformi agli articoli 4 e 8 e 9 della direttiva 75/445 e che 16 di tali 218 discariche non conformi contenevano rifiuti pericolosi senza che fossero rispettate le prescrizioni di cui all'articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 91/689;
   persistendo detta situazione al 2013, la Commissione ha proposto ricorso al fine di dare attuazione alla sentenza del 2007;
   nel corso della causa è emerso che la Repubblica italiana non sarebbe stata in grado di fornire adeguato programma relativo alle misure da adottare per l'adeguamento alle direttive europee in materia di rifiuti e di discariche nonostante, per contro, l'Italia avesse sostenuto di aver adottato tutte le misure necessarie ai fini dell'esecuzione della sentenza Commissione/Italia (EU:C:2007:250);
   in particolare, per la Corte sembrerebbe che la Repubblica che per alcuni siti non avrebbe presentato né approvato alcun piano di riassetto e non avrebbe adottato alcuna decisione definitiva in ordine alla loro chiusura e alla loro destinazione ad altro uso; per altri siti, i dati forniti sarebbero stati incompleti o poco chiari e per altri siti ancora non sarebbe stata trasmessa alcuna informazione;
   la Repubblica, come riferisce la Corte europea, è ben consapevole della minaccia che detti rifiuti riversati nelle discariche abusive e prive di autorizzazioni necessarie e licenze, costituiscono per la salute dell'uomo e per l'ambiente;
   la Repubblica è consapevole, altresì, che per conformarsi alle direttive europee, nonché alle sentenza Commissione/Italia (CE:C:2007:205) non è sufficiente ordinare la chiusura, il sequestro della discarica abusiva ed avviare un procedimento penale contro il gestore di tale discarica;
   l'Italia deve dimostrare, così come enunciato nel corpo della sentenza, attraverso un catalogo e una identificazione esaustiva i rifiuti pericolosi depositati nelle discariche, nonché deve depositare i piani di riassetto presso l'autorità competente ai sensi dell'articolo 14 della direttiva 1999/31;
   poiché è stato conclamato dalla Corte che, quindi, l'Italia ha violato in modo continuativo e persistente l'obbligo di recuperare i rifiuti o di smaltirli senza pericolo per l'uomo o per l'ambiente; l'Italia non si è assicurata che il regime di autorizzazione istituito fosse effettivamente applicato e rispettato; non ha assicurato la cessazione effettiva delle operazioni realizzate in assenza di autorizzazione; non ha provveduto ad una catalogazione e un'identificazione esaustiva di ciascuno dei rifiuti pericolosi riversati nelle discariche; ha violato l'obbligo di garantire che per determinate discariche sia adottato un piano di riassetto o un provvedimento definitivo di chiusura;
   la Commissione, in virtù di tutto quanto innanzi riferito, ha proposto una pena di tipo decrescente su base semestrale che permetterà di detrarre da un importo iniziale di euro 42.800.000, euro 400.000 per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma ed euro 200.000 per ogni altra discarica messa a norma e per ogni semestre successivo la penalità sarà calcolata detraendo i predetti importi da quello originario in ragione delle discariche messe a norma nel corso del semestre;
   alla luce della sentenza del 2 dicembre lo Stato italiano appare ancora una volta incapace di dare piena attuazione alle disposizioni comunitarie in materia di gestione di rifiuti;
   considerato il periodo storico drammatico in cui versa lo stato Italiano e l'interesse per lo stesso a vedersi decurtata semestralmente la pena inflittagli in ragione delle discariche messe a norma –:
   quali iniziative straordinarie ed urgenti intenda adottare per giungere il più veloce possibile alla rimozione di tutte le situazioni giuridiche che hanno dato origine alla pena inflitta allo Stato italiano;
   quali azioni intenda adottare perché venga data piena attuazione alla normativa comunitaria in materia di trattamento di rifiuti e di gestione delle discariche per tutelare l'uomo e l'ambiente. (4-07251)


   FURNARI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'ispezione Ispra, effettuata il 14 e 15 ottobre 2014, presso lo stabilimento Ilva, la quarta del 2014, sia per ciò che riguarda le prescrizioni dettate dall'AIA sia per quelle inerenti il Piano ambientale, sembra non aver pienamente convinto l'Istituto superiore per la protezione ambientale;
   dall'ultima indagine effettuata emerge, come si legge nel verbale conclusivo, un problema legato all'uso delle acque di cui si serve l'Ilva. In particolare alcuni pozzi di «emungimento sono stati riscontrati superamenti nelle concentrazioni di alcuni parametri (antimonio, selenio, ferro e solfati); inoltre, vi sarebbe il problema della “concessione demaniale del Mar Piccolo” relativa al biennio 2012-2014 scaduta in data 10 ottobre 2014». In tal senso, è stato richiesto all'Ilva di fornire indicazioni in merito all'avvenuto rinnovo della stessa che, come previsto dalla stessa concessione demaniale rilasciata dal comune di Taranto, doveva essere inoltrata dall'istante «almeno tre mesi prima della scadenza stessa»;
   Ispra precisa che «tale concessione riguarda il prelievo di acqua dallo specchio di mare antistante il primo seno di Mar Piccolo per i cicli di raffreddamento dell'impianto Ilva spa; l'acqua di mare viene collettata alle due stazioni di rilancio denominate 1o salto A e 1o salto B, attraverso quattro gallerie sotterranee». Gallerie che, ricorda Ispra, sono state anche oggetto di indagine ed interessate da verifiche di stabilità dopo l'incidente occorso in data 11 febbraio 2012;
   significative sono inoltre le conclusioni tratte dall'Arpa che ha partecipato all'ispezione presso lo stabilimento Ilva e la cui relazione è allegata a quella dell'Ispra in merito allo sversamento di olio in mare avvenuto il 18 settembre di quest'anno. In quell'occasione dovette intervenire la Ecotaras, con le sue panne, per cercare di assorbire la sostanza oleosa finita in mare a causa di un'anomalia dell'automatismo delle valvole di scarico fanghi che sono rimaste aperte. Nel sopralluogo effettuato l'Arpa ha avuto modo di constatare che «non esiste un allarme di livello per il decantatore n. 11 e che l'allarme di cattivo funzionamento delle valvole è solo visivo non anche sonoro» –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di porre in essere al fine di verificare che le prescrizioni inerenti all'AIA ed il Piano ambientale siano rispettate dallo stabilimento siderurgico di cui sopra e quali iniziative urgenti intenda porre in essere per prevenire disastri ed incidenti come quelli dello scorso settembre che continuano a compromettere l'ambiente e la salute dei cittadini. (4-07254)


   FURNARI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel sottosuolo di un'area dell'acciaieria 1 dell'Ilva di Taranto, dove dovrà sorgere il nuovo impianto di aspirazione, i carabinieri del NOE di Lecce, coadiuvati anche da esperti dell'Arpa che hanno eseguito i prelievi, sono stati rinvenuti oli, catrame e altre sostanze. La scoperta è stata fatta durante una serie di sopralluoghi nelle zone interessate ai lavori previsti dall'autorizzazione integrata ambientale;
   è stato dunque dato l'avvio, lo riferiscono fonti investigative, all'ennesima inchiesta per inquinamento ambientale da parte della procura di Taranto;
   a quanto si apprende, anche dalla stampa locale, l'inchiesta è stata avviata due settimane fa sulla scorta di una denuncia del sindacato Usb;
   le gravi conseguenze per la salute umana e per l'ambiente se confermate dalle analisi che saranno effettuate determineranno l'ennesimo disastro in una zona, per la quale, il nostro Paese continua a non fare in modo che lo stabilimento funzioni in conformità alla normativa europea e per questo è stato assoggettato a procedura di infrazione europea, con parere motivato dell'ottobre 2014, a causa delle vicende legate al mancato rispetto della «direttiva sulle emissioni industriali» 2010/75/UE del 24 novembre 2010;
   la stessa commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite collegate al ciclo dei rifiuti che ha svolto, ai primi di dicembre, una serie di audizioni e sopralluoghi a Taranto e, ha avuto modo, con riferimento al tema dell'ambientalizzazione dell'ILVA e di tutte le opere che riguardano il miglioramento ambientale, di sottolineare che: «Siamo oggi a Taranto perché ci interessa che tutte le questioni ambientali poste in sede di Aia, siano assolutamente rispettate» –:
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogato abbiano intenzione di adottare, qualora le indagini della procura della Repubblica confermino la presenza di sostanze inquinanti nel sottosuolo dello stabilimento ILVA, al fine di tutelare la salute dei lavoratori e dei cittadini e per preservare il territorio da possibili ed ulteriori disastri ambientali. (4-07255)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAROCCI, GIACOBBE, TULLO, BASSO e PASTORINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel 2004 i 600 mila volumi custoditi nella vecchia sede della biblioteca universitaria di Genova sono stati accatastati nei fondi del palazzo di via Balbi in vista del trasferimento nella nuova sede, ricavata nell'edificio ristrutturato dell'ex Hotel Colombia di piazza Acquaverde;
   da allora, l'enorme patrimonio bibliografico utilizzato da docenti universitari, studiosi e studenti dell'ateneo genovese è di fatto indisponibile;
   la ristrutturazione dell'Hotel Colombia, chiuso nel 1989 e passato al demanio dello Stato, che lo aveva ceduto al Ministero dei beni culturali per ospitare la nuova biblioteca universitaria, ha attraversato molte peripezie, compresi i rituali ricorsi al Tar;
   i lavori di ristrutturazione e trasformazione dell'ex hotel in biblioteca avviati nel lontano 2004 hanno richiesto un investimento di oltre 26 milioni di euro stanziati dal Ministero dei beni culturali e si sono resi necessari poiché la sede storica in via Balbi 3 non assicurava più lo spazio sufficiente ad ospitare i volumi;
   il collaudo definitivo dei lavori risale al 2012. Il primo annuncio di apertura è stato dato nel 2011, poi ancora nel 2012. L'inaugurazione, attesa per quest'anno, non è avvenuta;
   dal 1o ottobre 2013, sono stati resi operativi gli spazi al 4o piano e sono state portate alla nuova sede le raccolte custodite nel deposito di via XX Settembre. Si è infine dato il via alle operazioni per l'allestimento di alcuni degli spazi di maggior pregio al piano terra dell'immobile che saranno destinati ad accogliere i 40 mila preziosi volumi del fondo donato dalla famiglia di Edoardo Sanguineti. Ma ad oggi nella nuova sede sono presenti solo i libri acquistati dal 2002 in poi, manca il patrimonio storico — circa 600 mila volumi — sul quale si fanno le ricerche, nonché i volumi della Biblioteca Sanguineti, e sono tuttora in corso l'opera di allestimento e l'avvio delle procedure per l'attività di gestione degli spazi destinati a funzioni complementari: caffetteria, ristorazione, book-store e mediateca;
   il patrimonio culturale della biblioteca, da conservare con cura e di sicuro richiamo per studiosi e appassionati da ogni parte del mondo, se adeguatamente valorizzato e promosso può rappresentare un'attrattiva di primo piano per la città;
   tuttavia, nonostante le ingenti risorse stanziate, non si conoscono i tempi di avvio a pieno regime del funzionamento della nuova sede, e le gravi minacce per il patrimonio che scaturiscono da infiltrazioni, muffe e fenomeni di allagamento fanno sorgere concrete preoccupazioni circa la migliore conservazione di documenti e libri che in alcuni casi provengono dal primo nucleo della biblioteca, realizzato dai padri gesuiti fin dalla prima metà del 1600 nella sede «storica» di via Balbi 3;
   appaiono evidenti problemi dal punto di vista della programmazione, dei tempi di realizzazione dei lavori e del trasferimento del patrimonio librario;
   serve portare a compimento questa grande opera mettendo in sicurezza il patrimonio librario e restituendolo al più presto alla fruizione dei professori, degli studenti, dei laureandi che non sanno come finire le loro tesi, degli appassionati e dei genovesi –:
   quali le ragioni di questo ritardo e quali tempi sono previsti perché i volumi vengano trasferiti — con le procedure, gli accorgimenti e le precauzioni del caso negli scaffali e nei magazzini dell'ex Colombia e, di conseguenza, quando sarà operativa e fruibile al pubblico la nuova sede della biblioteca. (5-04262)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   CANCELLERI, LOREFICE, GRILLO e MANNINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 66 del 2014 (articolo 22, comma 2) ha disposto una limitazione dell'esenzione dell'IMU dei terreni agricoli ricadenti in aree montane e di collina (prevista dalla lettera h) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992, espressamente richiamato dall'articolo 9, comma 8 del decreto legislativo n. 23 del 2011) domandando ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze l'individuazione dei comuni nei quali a decorrere dal periodo di imposta 2014, si applica l'esenzione sulla base dell'altitudine (riportata nell'apposito elenco ISTAT);
   il decreto ministeriale attuativo della detta disposizione è stato emanato il 28 novembre 2014 ed è in corso di pubblicazione; in particolare, il decreto stabilisce che sono esenti:
    a) i terreni agricoli dei comuni ubicati a un'altitudine di 601 metri e oltre, individuati sulla base dell’«Elenco comuni italiani», pubblicato sul sito internet dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), http://www.istat.it/it/archivio/6789, tenendo conto dell'altezza riportata nella colonna «Altitudine del centro (metri)»;
    b) i terreni agricoli posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, iscritti nella previdenza agricola, dei comuni ubicati a un'altitudine compresa fra 281 metri e 600 metri, individuati sulla base del medesimo elenco;
   il decreto interministeriale, dunque, suddivide i comuni montani in tre fasce, in base all'altitudine:
    1) quelli con altitudine fino a 281 metri s.l.m.: i terreni agricoli posseduti dai contribuenti e ricadenti in tali comuni rimarranno soggetti a IMU nel 2014;
    2) quelli con altitudine compresa fra 281 e 600 metri s.l.m.: i terreni agricoli, posseduti dai Contribuenti che hanno la qualifica di CD e IAP iscritti alla previdenza agricola, ricadenti in tali comuni sono stati e rimarranno esenti da IMU anche nel 2014;
    3) quelli con altitudine superiore ai 600 metri s.l.m.: i terreni agricoli posseduti dai contribuenti e ricadenti in tali comuni sono stati e rimarranno esenti da IMU anche nel 2014;
   inoltre, lo stesso decreto prevede che i soggetti obbligati al versamento dell'IMU per l'anno 2014 devono effettuarlo in un'unica rata entro il 16 dicembre 2014;
   i criteri stabiliti dal decreto ministeriale hanno dunque aggravato il regime fiscale dei terreni agricoli ricadenti in aree montane, nonostante le particolari condizioni di disagio che la produzione agricola deve affrontare in tali aree. Va senza dire, infatti, che la produzione agricola in aree montane è sottoposta ad innumerevoli difficoltà operative e di esercizio, legate sia alle difficoltà di spostamento sul territorio che alle impervie condizioni climatiche;
   proprio per tali motivi, il legislatore aveva previsto l'esenzione ai fini IMU per tali territori, disponendo, all'articolo 7, comma 1, lettera h), del decreto legislativo n. 504 del 1992, la totale esenzione dall'imposta, oggi venuta meno in forza delle disposizioni di cui all'articolo 22, comma 2, del decreto-legge n. 66 del 2014;
   inoltre, la distinzione operata nel decreto in base al solo indice dell'altitudine (determinata prendendo a riferimento l'altitudine del centro), determinerà un'inaccettabile disparità di trattamento, essendo peraltro basata su un dato del tutto accidentale, quale la collocazione della casa comunale;
   considerati i limiti di altitudine previsti dal decreto, poi, la limitazione dell'esenzione dell'IMU disposta con il decreto ministeriale del 28 novembre 2014 finirà per colpire in particolar modo i terreni agricoli montani isolani;
   infine, va evidenziato che a pochi giorni dalla scadenza del termine di pagamento previsto, il relativo decreto attuativo non sia stato ancora pubblicato; il che, oltre a creare non pochi disagi agli stessi enti comunali, ad avviso delle interroganti viola chiaramente il principio di irretroattività delle norme tributarie sancito dallo Statuto dei diritti del contribuente –:
   quali iniziative intenda assumere per venire incontro alle specifiche esigenze dei territori agricoli montani e se non ritenga opportuno in ogni caso posticipare l'applicazione della nuova disciplina IMU sui terreni agricoli, anche al fine di consentire l'adeguamento della normativa da parte dei comuni. (4-07242)


  LATRONICO e PALESE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i mezzi d'informazione riportano, a cadenza sempre più frequente, notizie di gravi sinistri occorsi a piloti (e/o a loro accompagnatori e/o a trasportati) dei cosiddetti aerei ultraleggeri (detti anche U.L.M.), nell'ambito della pratica del volo da diporto o sportivo; dall'esito di una ricerca curata dal Centro studi «Aerohabitat» del 18 aprile 2012, risulta che, solo dall'anno 2003 all'anno 2011, sono stati ben 197 gli incidenti mortali che hanno interessato chi pratica la predetta disciplina;
   da ultimo, in data 26 novembre 2014, un ennesimo grave incidente mortale ha visto coinvolto un ultraleggero, sconvolgendo l'abitato di Cirò Marina (KR), dove un velivolo da diporto è precipitato sul tetto di un ristorante, causando la morte sul colpo del pilota e il ferimento grave del trasportato;
   la disciplina del volo da diporto, attività in grande espansione, è attualmente regolata dalla legge n. 106 del 25 marzo 1985 (intitolata «Disciplina del volo da diporto o sportivo») e dal regolamento di attuazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 133, il quale ha recentemente sostituito il precedente regolamento del 1988;
   il predetto regolamento, pur approvato solo nel 2010, pur contenendo un intero Capo (Capo V, articoli 20-22) dedicato alla «Assicurazione», della quale è confermata l'obbligatorietà «per la responsabilità civile per i danni prodotti a terzi sulla superficie ed a seguito di urto o collisione in volo» (articolo 20), nulla prevede per i casi tutt'altro che remoti in cui l'assicuratore del pilota – danneggiante fallisca o venga posto in liquidazione coatta amministrativa;
   per casi analoghi, che vedono coinvolti soggetti impegnati nell'esercizio di attività parimenti «pericolose», ma ugualmente – si aggiunge – meritevoli di tutela e necessitanti di essere idoneamente regolamentate, come la circolazione dei veicoli a motore e dei natanti e la caccia, la legge offre, invece, un'apposita tutela per il danneggiato: infatti, il codice delle assicurazioni private decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 prevede che, nel caso di fallimento o liquidazione coatta amministrativa dell'assicuratore del danneggiante, i danni siano liquidati da parte di un apposito fondo: il «Fondo di garanzia per le vittime della strada» oppure il «Fondo di garanzia per le vittime della caccia» a seconda dei casi;
   non sussiste alcuna motivazione ragionevole per la quale chi riporta danni durante l'esercizio del volo da diporto non debba ricevere medesima tutela, attesi anche i molteplici profili di analogia tra la circolazione stradale, la circolazione dei natanti e la caccia, da una parte e il volo da diporto, dall'altra parte;
   trattasi di attività per le quali è prevista l'assicurazione obbligatoria da parte dell'esercente, nonché azione giudiziale diretta da parte del danneggiato nei confronti dell'assicuratore del responsabile;
   un'interpretazione costituzionalmente orientata (rispettosa, quindi, del principio del diritto di uguaglianza tra i cittadini, del principio del diritto di difesa e del principio del diritto alla salute) del codice delle assicurazioni private, il quale, peraltro, ha mito l'indiscutibile pregio di condensare in un unico testo normativo il variegato sistema assicurativo, imporrebbe un'estensione della tutela di cui al summenzionato fondo per le vittime della circolazione dei veicoli a motore e dei natanti anche a chi esercita il volo da diporto (si tratta della cosiddetta aviazione minore; i sinistri il più delle volte si verificano a terra, durante le fasi di decollo o di atterraggio; l'impatto sui terzi può essere molto drammatico come nel caso di un investimento stradale: si veda il recente già citato caso di Cirò Marina); e ciò attraverso un'applicazione estensiva o analogica delle norme del codice delle assicurazioni private (articoli 302-304), oppure attraverso un intervento normativo ad hoc, che sani tale grave lacuna; ad esempio, istituendo un fondo ad hoc (tenuto conto che attualmente i fondi presso la Consap sono almeno 5-6);
   bisogna infatti considerare i numerosi incidenti che rischiano di rimanere senza tutela per il danneggiato; gli interpellanti sono infatti a conoscenza di casi in cui, anche dopo l'esito vittorioso di una causa in giudizio, conclusasi con il riconoscimento di un certo danno, non vi è stata, proprio per mancanza di una normativa chiara, la possibilità di ottenere un effettivo risarcimento;
   a fronte della gravità dei casi privi di tutela, il rimedio appare agevole e di rapida applicazione, essendo sufficiente estendere a tali casi una tutela già esistente e prevista dalla legge in casi analoghi –:
   quali siano gli orientamenti del Governo per ovviare alla predetta lacuna normativa, la quale si traduce in veri e propri casi di denegata giustizia nei casi segnalati in premessa;
   se intendano adottare opportune iniziative in merito, anche proponendo interventi sul codice delle assicurazioni private, ricomprendendo nella tutela anche le fattispecie «scoperte» denunciate in, premessa, o comunque chiarendo e specificando che nella sfera di applicazione del fondo di garanzia per le vittime della circolazione stradale e dei natanti rientra anche il risarcimento dei danni alle vittime del volo da diporto o sportivo, nel caso in cui l'assicurazione del danneggiante fallisca o venga posta in liquidazione coatta amministrativa, fino all'ipotesi di istituire un apposito fondo;
   se, con riferimento ai casi già verificatisi, intenda assumere iniziative ad hoc, ove ne ricorrano i presupposti di fatto e di diritto, per garantire ai terzi danneggiati in incidenti provocati da velivoli da diporto il giusto risarcimento. (4-07259)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la figura dello psicologo viene introdotta negli istituti penitenziari per adulti con la legge di riforma dell'ordinamento penitenziario 26 luglio 1975, n. 354, che accoglie le regole minime per il trattamento dei detenuti previste dalla risoluzione già adottata dall'ONU il 30 agosto 1955;
   la suddetta legge, all'articolo 80, recita: «...Per lo svolgimento delle attività di osservazione e trattamento, l'amministrazione penitenziaria può avvalersi di professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria, criminologia clinica...»;
   tali professionisti vengono denominati esperti ex articolo 80 dell'ordinamento penitenziario;
   tale legge riveste notevole importanza, in quanto con essa viene affermato chiaramente il principio della umanità della pena e della sua finalità rieducativa;
   il «trattamento rieducativo», che è parte del più ampio «trattamento penitenziario», viene attuato seguendo il criterio della individualizzazione della pena;
   la suddetta legge all'articolo 1 recita: «Nei confronti dei condannati deve essere attuato un trattamento secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti, per facilitare quel processo di modificazione degli atteggiamenti che sono di ostacolo ad una costruttiva partecipazione sociale»;
   l'inserimento nel sistema carcerario di figure specializzate nelle teorie e nelle tecniche di competenza psicologica-sociale-criminologica diviene pertanto necessaria per l'attività di osservazione e di trattamento della persona detenuta;
   tuttavia, nonostante sia ritenuta fondamentale tale figura al fine del recupero del detenuto, in quasi tutte le strutture si registrano carenze di tale personale –:
   quale sia il numero delle figure specializzate nelle teorie e nelle tecniche di competenza psicologica-sociale-criminologica impiegate nelle carceri italiane e quale sia in media il numero di detenuti affidato ad ogni singolo professionista;
   se il Ministro interrogato non ritenga, nell'ottica di puntare sulla rieducazione del condannato, di assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di favorire nuove assunzioni di psicologi ad integrazione degli esistenti. (5-04260)

Interrogazione a risposta scritta:


   MATTIELLO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   Amedeo Matacena nel luglio del 2012 viene condannato a cinque anni di reclusione più l'interdizione perpetua dai pubblici uffici per concorso esterno in associazione mafiosa dalla Corte d'assise d'appello di Reggio Calabria, sentenza confermata dalla Corte di Cassazione il 6 giugno 2013;
   nel 2012, inoltre, Matacena è stato condannato a 4 anni di reclusione dai giudici del tribunale di Reggio Calabria nell'ambito di un'inchiesta su un caso di corruzione: l'imprenditore avrebbe infatti promesso 200 mila euro all'ex presidente della sezione di Reggio Calabria del Tar Luigi Passanisi per vincere un ricorso davanti al Tar e ottenere le autorizzazioni per gli scivoli agli imbarchi del porto di Reggio Calabria;
   Matacena, nel 2013, è tuttavia sfuggito all'arresto non facendosi trovare nella sua abitazione ed è stato quindi arrestato a Dubai il 28 agosto di quell'anno dopo circa un mese di latitanza;
   rilasciato poco dopo, secondo quanto emerso dall'inchiesta che ha portato all'arresto di Claudio Scajola, l'ex Ministro avrebbe favorito la sua «fuga» all'estero e si sarebbe ora adoperato per fargli raggiungere il Libano (come Marcello Dell'Utri), altro Paese in cui la tipologia di reato per la quale è condannato non prevede l'estradizione;
   gli Emirati arabi hanno rigettato la richiesta presentata dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria perché l'ex deputato di Forza Italia fosse estradato in Italia;
   Matacena risulta condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e per corruzione ed è attualmente latitante a Dubai –:
   quale sia, attualmente, lo stato della richiesta di estradizione del latitante Amedeo Matacena, inoltrata dalle autorità italiane a quelle di Dubai fin dal 25 settembre 2013;
   se alle autorità italiane risulti che il Matacena si trovi ad oggi ancora a Dubai, e quali siano le misure che le autorità italiane intendano adottare al fine di assicurarlo al più presto alla giustizia italiana. (4-07248)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   DORINA BIANCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il nuovo orario invernale, per il treno regionale Sibari-Catanzaro Lido, prevede la soppressione della fermata di Torre Melissa delle ore 7,13 nonché delle fermate di tutte le altre stazioni minori presenti lungo linea;
   le modifiche apportate da Trenitalia sono estremamente penalizzanti per gli utenti del vasto comprensorio della costa Jonica calabrese;
   le fermate soppresse non consentiranno a cittadini, operatori economici, studenti, di utilizzare il servizio trasporto su rotaie;
   tali modifiche, che si aggiungono a precedenti decisioni fortemente penalizzanti per la linea Jonica, sono in contrasto con tutte le iniziative pubblicizzate dirette a incentivare il trasporto su rotaia;
   la soppressione delle fermate disposta da Trenitalia, determinata da motivi esclusivamente economici, aggrava l'isolamento delle nostre zone alle quali vengono ripetutamente sottratti servizi di mobilità ormai essenziali;
   tale decisione determina un enorme incomprensibile disagio agli utenti e li costringerà a indirizzarsi al trasporto su gomma con conseguente incremento dei costi sia in termini di consumo di carburante che di danno ambientale per l'incremento delle immissioni inquinanti, che di natura sociale;
   se sia a conoscenza di quanto riportato in premessa;
   se sia possibile comunicare direttamente ai vertici aziendali di Trenitalia il disagio che la soppressione della fermata di Torre Melissa delle ore 7,13 del treno regionale Sibari-Catanzaro Lido e di tutte le altre fermate nelle stazioni minori comporta per le popolazioni locali;
   se sia possibile trovare, per quanto di competenza, una soluzione alternativa alla soppressione delle fermate di cui al punto precedente che non penalizzi la vasta utenza della costa Jonica calabrese impossibilitata, in mancanza, ad usufruire del trasporto su rotaia e che invece ne potenzi la presenza e la copertura dell'intero territorio. (3-01222)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, QUARANTA, SCOTTO e SANNICANDRO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 12 settembre 2014 n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 denominato «sblocca Italia» all'articolo 32-bis, comma 4, introduce «Disposizioni in materia di autotrasporto» prevedendo che: «Al fine di assicurare la tracciabilità dei flussi finanziari finalizzata alla prevenzione delle infiltrazioni criminali e del riciclaggio del denaro derivante da traffici illegali, tutti i soggetti della filiera dei trasporti provvedono al pagamento del corrispettivo per le prestazioni rese in adempimento di un contratto di trasporto di merci su strada, di cui al decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 286, utilizzando strumenti elettronici di pagamento, ovvero il canale bancario attraverso assegni, bonifici bancari o postali, e comunque ogni altro strumento idoneo a garantire la piena tracciabilità delle operazioni, indipendentemente dall'ammontare dell'importo dovuto. Per le violazioni delle disposizioni di cui al presente comma si applicano le disposizioni dell'articolo 51, comma 1, del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, e successive modificazioni»;
   tale disposizione introdurrebbe una deroga al limite di euro 999,99 introdotto con decreto-legge 201 del 2011 convertito dalla legge n. 214 del 2011;
   nonostante la piena condivisibilità dell'obiettivo della tracciabilità al fine di prevenire infiltrazioni criminali e riciclaggio nel settore — come recita la norma — appare indubbio che l'eccessiva limitazione della circolazione del contante anche per pagamenti esigui possa rappresentare per gli operatori interessati, e per i loro clienti, un eccessivo irrigidimento delle procedure di pagamento;
   gli operatori del settore del trasporto paventano, inoltre, il rischio che l'eccessivo irrigidimento della modalità di pagamento — oltre a costituire un costo aggiuntivo per gli stessi in termini di acquisto, degli strumenti di pagamento, di commesse e competenze bancarie su bonifici ed operazioni — possa generare un rischio di perdita di competitività nei confronti di concorrenti stranieri non sottoposti alle medesime restrizioni –:
   se il Governo non ritenga fondate le preoccupazioni delle aziende operanti nel settore dei trasporti, soprattutto in merito agli aggravi di spesa e al rischio di un deficit di competitività rispetto ai concorrenti stranieri;
   considerato che il citato decreto-legge 201 del 2011 ha ritenuto, in linea, generale, congruo il tetto di euro 1.000 alla circolazione della moneta contante, se il Governo non ritenga di dover intervenire, anche con iniziative normative, per modificare l'articolo 31-bis comma 4, nella parte in cui dispone l'utilizzo di strumenti idonei a garantire la piena tracciabilità delle operazioni «indipendentemente dall'ammontare dell'importo dovuto», riconducendolo al tetto di euro 1.000 previsto dal decreto-legge 201 del 2011. (5-04261)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPESSOTTO e TOFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è notizia di questi giorni che le procure di Arezzo e di Forlì hanno avviato una inchiesta congiunta sulla superstrada E45 Perugia-Cesena per i lavori di manutenzione, miglioramento e messa in sicurezza eseguiti fra il 2010 e il 2014 nel tracciato sui versanti toscano e romagnolo della E45;
   come si apprende da fonti giornalistiche, sono state iscritte nel registro degli indagati, per inadempimento di contratti di pubbliche forniture e per aver posto in pericolo la sicurezza dei trasporti, ventidue persone, fra titolari delle aziende, dirigenti e direttori dei lavori;
   in particolare, l'ipotesi di reato avanzata dalle procure è quella di non avere adempiuto «agli obblighi indicati nei contratti di fornitura stipulati con l'Anas», dal momento che, secondo le procure «il materiale cementato e stabilizzato non era conforme alle condizioni dettate dai contratti di fornitura»;
   la doppia indagine, che nasce da una denuncia della Associazione dei familiari delle vittime della E45 per individuare le responsabilità inerenti una serie di gravi inadempienze quali le pessime condizioni dell'asfalto e le buche gigantesche della E45, riguarderebbe 23 contratti per un importo complessivo pari a 15.536.955 euro;
   per quanto riguarda il territorio romagnolo, l'indagine ha preso in esame, nella sola provincia di Forlì-Cesena, sempre con riferimento al quinquennio 2010-2014 anche 153 segnalazioni per danneggiamenti a veicoli in transito, censiti dalle forze dell'ordine, e 19 casi di incidenti stradali provocati dalle stesse buche;
   è stata altresì disposta, nell'ambito delle indagini in corso, una consulenza tecnica che dovrà accertare, fra l'altro, se «il materiale cementato e stabilizzato fosse o meno conforme alle condizioni dettate dai contratti di fornitura» stipulati dalle aziende con l'Anas;
   delle condizioni della superstrada si è occupata anche l'Asaps, la Associazione dei sostenitori e amici della Polizia stradale, che l'ha definita «un percorso di guerra» e l'ha descritta in questi termini: «Quella strada è così: semplicemente malmessa, con voragini sui viadotti, tunnel anneriti, aree di sosta impraticabili: ogni giorno molti veicoli riportano danni strutturali. (...) L'E45, ormai famigerata (tanto che molte guide turistiche straniere la sconsigliano apertamente), è piena di trappole mortali» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, in particolare con riferimento all'ipotesi al vaglio degli inquirenti che il materiale cementato e stabilizzato, utilizzato per la E45, non sia conforme alle condizioni dettate dai contratti di fornitura, e quali provvedimenti, per quanto di competenza, il Ministro ritenga di poter mettere in atto, anche per mezzo della società ANAS spa, al fine di garantire i necessari standard manutentivi e di sicurezza lungo l'intero tracciato della E45, in considerazione delle preoccupanti condizioni di deterioramento del manto stradale e della pessima qualità del cemento utilizzato nella sua costruzione, elementi che emergerebbero anche dall'inchiesta attualmente in corso.
(4-07249)


   BRAGA, REALACCI, MARIANI, MARIASTELLA BIANCHI e BONACCORSI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il traffico passeggeri a Ciampino è cresciuto dai 700 mila passeggeri circa negli anni precedenti il 2001 a circa 5 milioni previsti nell'anno in corso, aumento ottenuto disattendendo sia la valutazione di impatto ambientale sia la valutazione ambientale strategica;
   in data 1o luglio 2010 la Conferenza dei servizi, istituita ai sensi del decreto ministeriale 31 ottobre 1997 ha approvato l'impronta acustica dell'aeroporto di Roma-Ciampino, con l'individuazione delle aree di rispetto, zonizzazione denominata «piano regolatore dell'inquinamento acustico aeroportuale», che evidenzia come l'aeroporto di Roma-Ciampino operi costantemente oltre i limiti di legge, con oltre 2500 cittadini abitanti in fascia «B» ove il livello di rumore aeroportuale non consente l'uso residenziale, ed è considerato pericoloso, secondo gli standard definiti dall'OMS, per la salute umana;
   come rilevato da indagini epidemiologiche ufficiali condotte dal servizio epidemiologico della regione Lazio, svolto insieme al dipartimento di prevenzione asl RmH, il dipartimento tutela materno infantile e della genitorialità asl RmB, l'Inail centro ricerche – Monteporzio Catone e Arpa Lazio, sono attestati problemi cardio-vascolari nella popolazione residente intorno all'aeroporto di Ciampino (indagine S.E.R.A., 2009) e un rischio tre volte più alto, per i bambini che vivono e studiano in prossimità dello stesso aeroporto, di contrarre ritardi cognitivi e ridotte facoltà di discriminazione uditiva (indagine S.Am.Ba., 2012);
   il sistema di monitoraggio del rumore aeroportuale, come risulta dalle relazioni semestrali inviate da ARPA Lazio alle amministrazioni locali e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha registrato continui sforamenti dei limiti acustici di legge, anche nelle ore notturne, violando così il diritto al riposo, nonché ripetute violazioni delle procedure antirumore;
   ai sensi del decreto ministeriale 29 novembre 2000, articolo 2 comma 2 lettera c2, il gestore aeroportuale ha presentato entro 36 mesi dalla data di individuazione delle aree di rispetto ai sensi del DM 31/10/97, il piano di contenimento e abbattimento del rumore aeroportuale;
   tale piano, ai sensi della normativa regionale del Lazio è stato sottoposto alla valutazione e approvazione dei comuni coinvolti dal rumore aeroportuale; entro il 28 febbraio 2014 tutti i suddetti comuni, ossia Roma Capitale, Ciampino e Marino, hanno bocciato il piano di AdR in quanto non prevede, come richiesto dal decreto ministeriale 29 novembre 2000 l'abbattimento del rumore in via prioritaria alla fonte, ossia con la riduzione del numero di voli;
   l'Arpa Lazio aveva indicato qualitativamente, nello studio CRISTAL del 2009, per l'aeroporto di Ciampino un limite di 61 movimenti aerei al giorno, affinché le emissioni acustiche dell'aeroporto potessero rientrare entro i limiti di legge; si fa presente che oggi i movimenti aerei a Ciampino sono in media 150 al giorno con punte di 200 –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di dover intervenire con urgenza, per quanto di competenza, nel merito dei fatti illustrati, e se intendano prendere in considerazione eventuali soluzioni di riduzione dei voli a Ciampino, anche attraverso l'applicazione dell'articolo 720 del regolamento europeo n. 1008/2008/CE, al fine di salvaguardare la qualità della vita e la salute dei cittadini interessati.
(4-07250)


   DIENI. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   uno dei problemi maggiormente avvertiti dai cittadini calabresi è l'impossibilità di raggiungere agevolmente le altre aree del Paese, dato il deficit infrastrutturale, cui si cumula il costante decremento della qualità e della quantità dei trasporti che servono la regione e, più in generale, il Sud del Paese;
   questo stato di cose, denunciato dalla interrogante e in svariati atti di sindacato ispettivo, viene talvolta aggravato da un'inaccettabile inosservanza delle regole a tutela dei consumatori che rendono il disagio, specie per dei cittadini che non possono beneficiare di alternative nella scelta dei trasporti, realmente intollerabile;
   a quanto emerge da un articolo apparso ne Il Quotidiano della Calabria di martedì 9 dicembre 2014 dal titolo «Salta il volo per Lamezia», è caos: passeggeri «sequestrati» per due giorni in aeroporto, la compagnia aerea Rynair alle 17.30 di domenica 7 dicembre 2014 avrebbe comunicato, attraverso sms rivolto ai viaggiatori interessati, la cancellazione del volo da Bergamo per Lamezia delle 19.50;
   la causa sarebbe attribuibile al malfunzionamento di un radar sito nell'area dell'aeroporto di Milano;
   nel messaggio di testo sarebbero stati invitati i passeggeri a prenotare un altro volo, attraverso il sito della Rynaiar, ma l'operazione sarebbe stata resa impossibile dal blocco del sito causato dall'eccessivo numero di richieste pervenute;
   un cospicuo numero di passeggeri si sarebbe dunque recato nell'aeroporto di Orio Al Serio dove, dopo un tempo di attesa di due ore, sarebbe stato comunicato loro che se era loro intenzione raggiungere la Calabria, era disponibile un solo posto per Crotone nella giornata del martedì successivo, 9 dicembre, in serata;
   alternativamente sarebbe stata indicata la possibilità di attendere fino alla giornata di mercoledì, data in cui era previsto il pieno ripristino dell'operatività dei collegamenti;
   solo allora i viaggiatori calabresi bloccati a Bergamo sarebbero potuti tornare a Lamezia in aereo;
   nonostante sarebbe stata concessa, secondo l'articolo, la possibilità di ottenere un rimborso o di cambiare prenotazione al mercoledì successivo senza costi aggiuntivi, appare evidente che entrambe queste possibilità avrebbero comportato per il viaggiatore un forte aggravio dei costi, dovuti al pernottamento per 3 giorni a Bergamo o, alternativamente, alla necessità di individuare un nuovo volo senza un congruo periodo di preavviso e con la conseguente esplosione dei costi;
   va ricordato inoltre che i collegamenti ferroviari da Bergamo a Lamezia Terme richiedono, secondo il sito di Trenitalia, tempi di percorrenza che vanno dalle 9 ore e 40 alle 15 ore e 30 minuti, e non costituiscono quindi una valida e rapida alternativa al mezzo aereo –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se la compagnia aerea Ryanair abbia ottemperato, nel comportamento tenuto nell'occasione descritta in premessa, a tutti i suoi doveri nei confronti degli utenti coinvolti dal disservizio;
   se il ritardo di 3 giorni prospettato ai viaggiatori diretti a Lamezia Terme a causa del guasto del radar avvenuto nell'area di Milano nella giornata di domenica 7 novembre 2014, trovi riscontri in altre tratte servite da Ryanair o da altre compagnie, e quali siano le ragioni per le quali non sia stato possibile limitare il disagio ad un semplice ritardo anziché prevedere la cancellazione del volo.
(4-07253)


   COLONNESE, DE LORENZIS, SIBILIA, FICO e TOFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 17 novembre 2014 si verificava l'improvvisa chiusura della funicolare centrale di Napoli, che collega piazza Fuga a piazzetta Augusteo. Secondo le indiscrezioni dei quotidiani on line improvvisa chiusura era dovuta dall'usura della fune di trazione segnalato da alcuni addetti dopo controlli di routine, quindi la necessità di provvedere repentinamente alla sostituzione della stessa ne ha conseguentemente provocato la chiusura riprendendo il servizio regolarmente dal 21 novembre 2014. Questo il messaggio pubblicato dall'Anm sulla pagina Facebook: «Si informa la Gentile Clientela che a partire da oggi 17 novembre 2014 e fino a nuova disposizione la Funicolare Centrale resterà chiusa al pubblico per un improvviso guasto tecnico». I lavori di manutenzione straordinaria, sopraggiunti senza preavviso, provocavano disagi agli utenti, costretti a ricorrere alle alternative a loro disposizione, e al contempo la necessità di modificare i percorsi di alcuni autobus costretti a servire i cittadini di via Palizzi e di corso Vittorio Emanuele;
   il 16 novembre 2014 si verificava la chiusura, sempre per problemi tecnici, degli ascensori di via Acton e via Chiaia;
   il 1o dicembre la funicolare centrale di Napoli si fermava per un problema ai freni, causando disagi ai passeggeri e il 3 dicembre chiudeva per manutenzione straordinaria;
   l'Ufficio speciale trasporti a impianti fissi (USTIF), istituito con legge del 1o dicembre 1986, n. 870, all'articolo 12, è un organo periferico del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti italiano, dipendente dal dipartimento per i trasporti, la navigazione ed i sistemi informativi e statistici, direzione generale della motorizzazione civile. Fra le molteplici competenze si evidenzia il rilascio del nulla osta all'entrata in servizio, ai fini della sicurezza, dei sistemi di trasporto realizzati ex novo oppure in seguito a pesanti ammodernamenti fra cui ferrovie in concessione, metropolitane e sistemi assimilabili, tranvie, filovie, sciovie, slittinovie, funivie monofune, ascensori pubblici, scale e marciapiedi mobili, servoscale e sistemi ettometrici. La sua sfera di competenza comprende anche progetti con soluzioni tecniche innovative, o comunque non già favorevolmente sperimentate, e comportanti deroghe alle normative tecniche vigenti;
   nel 2013 Gennaro Capodanno, presidente del comitato Valori collinari, affermava che in base alla normativa vigente, la vita tecnica della funicolare centrale terminava nel 1988. Su Napolitoday.it del 28 marzo 2013, Capodanno precisa «I lavori di ammodernamento, iniziati nel 1989, tra alterne vicende, che interessarono anche la magistratura inquirente, furono suddivisi in due lotti, il primo dei quali si concluse con la riapertura al pubblico avvenuta il 27 ottobre 1991, mentre il secondo comportò una nuova chiusura dell'impianto dal 31 luglio 1994 fino all'inaugurazione che avvenne il 25 aprile 1996. Dopo vent'anni dall'apertura dell'esercizio in base alle norme dettate dal decreto ministeriale 2 gennaio 1985, n. 23, l'impianto deve essere sottoposto alla prima revisione generale, la qual cosa comporta accertamenti e controlli molto articolati e dettagliati, che vengono descritti al punto 5 del richiamato decreto, concludendosi con l'espletamento delle necessarie verifiche e prove funzionali eseguite dal competente ufficio periferico della M.C.T.C. A seguito del loro esito favorevole, viene rilasciata la nuova autorizzazione od il nuovo nulla osta tecnico per la riapertura al pubblico esercizio dell'impianto. Orbene nel caso specifico, se si considerasse come apertura dell'impianto il termine dei lavori del primo lotto, conclusosi con l'inaugurazione del 27 ottobre 1991, la revisione generale già sarebbe dovuta partire alla fine dell'anno 2011, dalla qual cosa si potrebbe dedurre che l'impianto stia funzionando in regime di proroga –:
   se l'Ufficio speciale trasporti a impianti fissi preveda uno scadenzario obbligatorio per la sostituzione della fune trainante e se qualora si fosse rotta nel corso dell'esercizio a chi sarebbero stati addebitati i danni derivanti dall'incidente a cose e a persone;
   quando si provvederà alla revisione generale;
   se sia vero che l'ufficio speciale trasporti a impianti fissi abbia concesso una proroga quinquennale al comune e in tal caso, quali siano le motivazioni di tale proroga;
   qualora malauguratamente nel periodo di proroga dovesse accadere un incidente legato al malfunzionamento di «carrelli, motore, sistema frenante, comando porte...», oggetto di manutenzione straordinaria, a chi sarebbero addebitati i danni derivanti dall'incidente a cose e a persone. (4-07256)


   BATTAGLIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il Contratto istituzionale di sviluppo (CIS), siglato il 18 dicembre 2012 fra Ministero per la coesione territoriale, regioni Campania, Basilicata e Calabria ed amministratore delegato della società Rete ferroviaria italiana (RFI) sono stati definiti interventi da realizzare per la velocizzazione della direttrice ferroviaria Salerno – Reggio Calabria;
   successivamente, in data 8 marzo 2013, in sintonia con quanto previsto nel CIS, il CIPE ha preso atto e deliberato una serie di interventi, tra i quali, nell'ambito del «Programma delle infrastrutture strategiche (legge 443/2001)», la «realizzazione a Reggio Calabria del dirigente centrale operativo (DCO) intero compartimento con fabbricato DCO – dirigente operativo trazione elettrica “DOTE”», per un importo complessivo di 11 milioni di euro, da installare a Reggio Calabria in locali già predisposti, a suo tempo, per il montaggio delle apparecchiature e delle postazioni di lavoro;
   rete ferroviaria italiana (RFI) società del Gruppo FS, invece di dare seguito al contratto siglato ed alla delibera del CIPE e di avviare la realizzazione della citata struttura a Reggio Calabria, ha deciso invece di delocalizzare l'intervento trasferendo a Roma i posti centrali di Lamezia Terme e Sapri, previsti dal CIS e dal CIPE a Reggio Calabria, finanziando l'intervento con fondi propri lasciando decadere i fondi stanziati dal CIPE;
   la decisione sarebbe motivata sull'assunto che il comando e controllo della circolazione sulla direttrice Battipaglia – Reggio Calabria è opportuno che vengano governati dal posto centrale di Roma, poiché la stessa direttrice è parte del corridoio europeo Scandinavo – Mediterraneo;
   tale scelta è estremamente penalizzante per la regione Calabria e, ove trovasse realizzazione, determinerebbe la perdita, per trasferimento, di, circa, ottanta posti di lavoro, oltre l'indotto, senza alcun vantaggio in termini di efficienza ed efficacia per la circolazione ferroviaria sulla direttrice tirrenica o sulla direttrice Scandinavo – Mediterranea –:
   se il Governo sia informato di tale decisione assunta da RFI e se non intenda intervenire per evitare la delocalizzazione a Roma dei posti centrali di Lamezia e Sapri che rappresenterebbero secondo l'interrogante l'ennesimo atto di discriminazione di RFI nei confronti del Mezzogiorno con atti unilaterali decisi, addirittura, in difformità a contratti, e da accordi assunti con il Governo e in deroga ad atti deliberativi del CIPE. (4-07257)


   BATTAGLIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con delibera 8 marzo 2013, il CIPE, nell'ambito del «Programma delle infrastrutture strategiche (legge n. 443 del 2001)», ha preso atto e deliberato la «realizzazione a Reggio Calabria del dirigente centrale operativo (DCO) intero compartimento con fabbricato DCO-dirigente operativo trazione elettrica “DOTE”», per un importo pari a 11 milioni di euro, in locali che, già sono stati attrezzati per la installazione delle apparecchiature e delle postazioni di lavoro;
   Rete ferroviaria italiana (RFI) del gruppo FS sembrerebbe non intenzionata a dare seguito alla delibera CIPE e quindi a porre in essere gli interventi per la realizzazione del DCO e DOTE a Reggio Calabria;
   questo atteggiamento di RFI lascerebbe supporre che Ferrovie dello Stato abbia deciso di delocalizzare tali infrastrutture trasferendole in altra regione, facendo perdere a Reggio Calabria e alla Calabria un investimento già deliberato dal CIPE per un importo di 11 milioni di euro –:
   se il Governo sia a conoscenza di tali intendimenti di RFI/FS di non procedere alla attuazione della delibera CIPE e se intenda intervenire per consentire invece che venga realizzato l'investimento per la realizzazione a Reggio Calabria del DCO e DOTE assicurando un importante ammodernamento al servizio del territorio con ricadute positive anche dal punto di vista occupazionale. (4-07258)

INTERNO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   In Umbria e a Perugia è allarme ’ndrangheta: l'Umbria, considerata da sempre non a rischio rispetto al fenomeno mafioso, sta diventando terreno molto fertile per la proliferazione di questa forma di criminalità organizzata che sembra stia generando un vero e proprio inquinamento dell'economia locale, avvantaggiandosi della crisi economica e della ricaduta che questa ha sulle piccole e medie imprese;
   il 10 dicembre 2014 è partita una importante operazione di polizia che ha interessato l'Umbria: «Estorsioni, minacce, intimidazioni e violenze nei confronti degli imprenditori locali, soprattutto del settore edile. Agivano così i 61 arrestati appartenenti a una vera e propria “holding criminale” collegata alla ’Ndrangheta umbra che opera a Perugia da 6 anni e “interessata al mercato della green economy”, come ha spiegato il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti. Le cellule operavano prevalentemente nella zona del perugino, ma allungavano i loro tentacoli anche ad alcune province toscane, laziali, marchigiane, emiliane e lombarde, fino a sconfinare in Germania, ed erano legate alla cosca Farao-Marincola di Cirò Marina (Crotone), radicata anche nel Varesotto. I clan locali, però, tenevano contatti anche con la mafia albanese, soprattutto per quanto riguarda il traffico di droga e lo sfruttamento della prostituzione. Le forze dell'ordine, dopo aver arrestato i 61 membri dell'organizzazione, stanno procedendo con il sequestro di beni mobili e immobili che, si pensa, siano il frutto dell'attività malavitosa del clan, per un valore stimato che supera i 30 milioni di euro, Le misure cautelari, emesse su richiesta della procura distrettuale antimafia di Perugia, considerano i reati di associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, danneggiamento, bancarotta fraudolenta, truffa, trasferimento fraudolento di valori, con l'aggravante delle finalità mafiose, fino all'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e sfruttamento della prostituzione. Un'organizzazione che si era “infiltrata nel tessuto economico locale”, come si legge in una nota dei Carabinieri del Ros che hanno condotto l'operazione “Quarto Passo”, mostrando quanto la malavita calabrese stia conquistando il territorio nazionale, dopo essersi ormai da anni stabilita anche nel nord Italia» (www.ilfattoquotidiano.it del 10 dicembre 2014);
   la coincidenza ha voluto che l'operazione di polizia cadesse proprio a seguito della Conferenza tenutasi a Perugia il 28 novembre 2014 su «Mafia e droga, allarme Umbria. Espansione del fenomeno delle infiltrazioni nel territorio e collegamenti con le organizzazioni del narcotraffico» cui ha partecipato anche il Presidente della Commissione nazionale antimafia Rosy Bindi;
   il fenomeno, dunque, non è dunque nuovo: già nella relazione annuale della Direzione nazionale antimafia (Dna) per il periodo 1o luglio 2011-30 giugno 2012, si legge quanto segue: «È [...] evidente l'elevata appetibilità che le aree del centro nord d'Italia, caratterizzate da contesti ricchi e sedi di importanti crocevia per lo spaccio delle sostanze stupefacenti (emblematico è, a tale proposito, il caso di Perugia)»;
   in effetti, pur se non paragonabile alle grandi città (Roma, Milano, Torino), il capoluogo perugino, con il suo relativo benessere e un'ampia popolazione universitaria, come emerge dal dossier «La droga in Umbria» del 2014 dell'Associazione Libera, è una piazza interessante per le organizzazioni criminali che trovano nella città un mercato «ricco» per la cessione degli stupefacenti ma anche per «avviare» altre attività illecite;
   come è evidenziato nella relazione della Commissione d'inchiesta della regione Umbria su «Infiltrazioni mafiose in Umbria, metodologie di controllo, prevenzione e lotta alla criminalità organizzata» del 27 settembre 2012 «emerge con chiarezza che la situazione umbra manifesta i segni di infiltrazioni criminali di stampo mafioso nell'economia legale e si ricollega pienamente a quanto è affermato nell'ultima relazione della Direzione investigativa antimafia (DIA) (febbraio 2012), laddove si sottolinea che la nuova strategia delle organizzazioni criminali di stampo mafioso è la espansione delle attività al di fuori del contesto territoriale del mezzogiorno, non nella forma classica del controllo pieno, di dominio, del territorio ma nella ricerca di impieghi ed attività utili al riciclaggio di enormi quantità di denaro liquido provenienti dal traffico di droga, armi ed esseri umani»;
   la criminalità organizzata, secondo la Commissione d'inchiesta, agisce in Umbria, non con le forme note dell'organizzazione mafiosa volta al controllo del territorio, quanto piuttosto «nel contesto di una finanziarizzazione dell'economia»;
   la relazione della Commissione precisa che: «L'Umbria, sotto tale aspetto, non ha anticorpi sviluppati e un vigile controllo sociale nei confronti del fenomeno criminale mafioso, e nemmeno l'abitudine a tenere alta la guardia dell'attenzione e del sospetto. Perciò l'Umbria corre il rischio di essere un campo fertile in cui infiltrarsi, acquisire patrimoni, attività con forte flusso di cassa, per operare il riciclaggio dei proventi delle attività mafiose condotte in altre parti (audizione n. 1). Emerge dalle audizioni che l'assenza di comprovati fenomeni di radicamento ingenera nell'opinione pubblica, nelle organizzazioni sociali ed economiche e anche nel sistema istituzionale, un atteggiamento di sottovalutazione del fenomeno delle infiltrazioni malavitose. Di fronte alle inchieste giudiziarie che evidenziavano un fenomeno in espansione, davanti alle stesse segnalazioni giornalistiche, è prevalsa a lungo l'idea di considerarli episodi isolati, intrusioni in un contesto sano che restava totalmente refrattario all'infiltrazione. Alcuni dei soggetti auditi, pur senza giungere a posizioni negazioniste, hanno manifestato un'esplicita sottovalutazione del rischio di infiltrazione.»;
   proprio nel 2011 si sono verificati numerosi eventi «sentinella» comprovanti infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto perugino: è nota l’«Operazione Apogeo» del 14 settembre 2011 condotta nelle province di Perugia, Caserta, Ancona, Firenze, Padova e Pesaro nel corso della quale i carabinieri del ROS e i militari del GICO della Guardia di finanza di Perugia e Firenze hanno concluso un importante intervento nei confronti di un'organizzazione criminale dedita alla truffa aggravata, al riciclaggio, alla bancarotta fraudolenta, all'emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, con l'aggravante del metodo mafioso;
   l'organizzazione, che si presume collegata al clan dei Casalesi, anche in quel caso, aveva sede a Perugia. Risulta confermata la presenza della ’ndrangheta in provincia di Perugia e, dopo i fatti dell'indagine Apogeo, anche la presenza della camorra, con alcune evidenze anche nella provincia di Terni;
   dal rapporto Ecomafie 2014 emerge un quadro poco rassicurante sulla penetrazione delle associazioni criminali nel tessuto economico e sociale umbro;
   anche il problema della diffusione delle sostanze stupefacenti è strettamente collegato alla criminalità organizzata: la Commissione regionale ha precisato che «La situazione umbra, specie nella zona urbana perugina, desta forte preoccupazione. Perugia è al centro di una rete di smercio che copre un'area molto più vasta della regione. La provenienza dei morti per overdose, in numero eccezionalmente elevato, indica che la dimensione del fenomeno abbraccia anche le regioni vicine. Questa caratteristica attira in Umbria, soprattutto a Perugia, organizzazioni criminali di varia provenienza, che si dividono il mercato. Nella relazione della Procura nazionale antimafia l'Umbria è segnalata per una presenza particolarmente numerosa di quelle che la DIA chiama mafie “alloctone”: albanesi, nigeriane, magrebine. È facile ipotizzare legami con le organizzazioni criminali che in Italia detengono tale mercato»;
   nei primi sei mesi del 2014 il bilancio dell'attività della Guardia di finanza del comando provinciale di Perugia è stato di otto chili tra hashish e marijuana, otto etti di cocaina e 661 grammi di eroina; finora sono state 14 le persone finite in manette per spaccio e 51 i denunciati;
   e infine, secondo l'ordinanza di custodia cautelare – in riferimento alla recente operazione di polizia del 10 dicembre –, «il Gip di Perugia scrive che sarebbe riduttivo definire l'associazione come “un'articolazione periferica della struttura criminale calabrese” ma si tratterebbe di “un'autonoma associazione composta da soggetti residenti in Umbria da oltre un decennio” che “operano autonomamente ed in via esclusiva in Umbria, conservando sempre un ‘basso profilo’ criminale, al fine di non attirare sull'organizzazione l'attenzione delle forze dell'ordine in un territorio, quale quello umbro, a torto ancora ritenuto da taluni ‘isola felice’ ed invece in via di progressiva ‘mafizzazione’”. Gli imprenditori, secondo quanto raccolto dalle indagini, erano spesso costretti a emettere false fatture per coprire pagamenti illeciti o addirittura cedere le proprie imprese agli indagati o a loro prestanome che, dopo aver “spolpato” l'azienda, ne provocavano la bancarotta fraudolenta. Vittime di truffa anche i fornitori di materiali edili i cui prodotti venivano poi rivenduti a ricettatori calabresi proprietari di imprese, che li reimpiegavano per costruire edifici in Umbria, Toscana e Calabria. Una parte dell'organizzazione, che faceva capo a Francesco Pellegrino, rubava materiale edile e macchine operatrici nelle Marche, per rivenderle sul mercato legale o a ditte calabresi. I proventi delle attività illegali, si legge nella nota del Ros, “sono stati reimpiegati per acquistare beni immobili ed attività commerciali nel settore dell'intrattenimento e del fotovoltaico, anche intestati a prestanome”, per “dissimulare la reale riconducibilità dei beni alla cosca». Beni che i militari dell'Arma hanno quantificato in 30 milioni di euro.» (www.ilfattoquotidiano.it);
   il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, dopo essersi complimentato con i Carabinieri, spiega come «questa operazione conferma gli interessi della criminalità organizzata verso la green economy»;
   ed infatti la Direzione nazionale antimafia nel proprio rapporto annuale rappresentava l'Umbria come crocevia della droga, terra di «integrazione criminale», campo di gioco per più etnie che intessono rapporti con «soggetti italiani residenti nella regione» per trattare affari illegali, e «covo freddo» di camorra e ’ndrangheta, che reinvestono i capitali provento delle attività criminali, lavando in Umbria il denaro sporco;
   nell'agosto del 2013 l'interrogante denunciò con un intervento alla Camera le infiltrazioni nella «felice Umbria» delle organizzazioni malavitose e del narcotraffico;
   le recenti vicende di cronaca giudiziaria hanno dato ragione all'interrogante facendo emergere, ad avviso dell'interrogante, una sostanziale sottovalutazione – anche da parte della politica nazionale – nonché una insufficiente attenzione – da parte delle istituzioni competenti – e conoscenza del fenomeno e del suo impatto sulla società e nell'economia del territorio umbro che per le sue caratteristiche appare fortemente «appetibile» alle organizzazioni criminali –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti esposti e delle conclusioni della relazione della Commissione d'inchiesta della regione Umbria su «Infiltrazioni mafiose in Umbria, metodologie di controllo, prevenzione e lotta alla criminalità organizzata» del 27 settembre 2012 e della relazione annuale 2014 della Direzione nazionale antimafia che evidenziano importanti elementi di fragilità e di esposizione al rischio infiltrazioni in Umbria e se intenda promuovere, nell'ambito delle proprie competenze, azioni informative non solo di controllo e repressione del fenomeno, ma anche di prevenzione;
   quali misure, alla luce delle recenti vicende giudiziarie che coinvolgono sempre più spesso l'Umbria e la città di Perugia, il Ministro interrogato intenda adottare con urgenza, nell'ambito delle proprie competenze, per contribuire alla prevenzione dei tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata in Umbria e per rafforzare l'azione di contrasto, anche con ulteriori strumenti di controllo e il coinvolgimento delle istituzioni locali, alla penetrazione e al radicamento delle associazioni criminali sul territorio della regione Umbria, in particolare nei settori degli investimenti immobiliari e commerciali, delle operazioni finanziarie e dei traffici illeciti di sostanze stupefacenti, scongiurando il rischio di inquinamento dell'economia locale e dell'illecito arricchimento delle organizzazioni malavitose e di una «mafizzazione» del territorio.
(2-00783) «Ciprini, Gallinella, Tripiedi, D'Uva, Dadone, Di Battista, Parentela, Benedetti, Massimiliano Bernini, Bechis, Cominardi, Chimienti, Baldassarre, Colletti, D'Ambrosio, Businarolo, Ferraresi».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'amministrazione del Ministero dell'interno ha proposto la chiusura di numerose strutture dislocate nel territorio regionale della Sardegna con particolare riferimento alle zone interne;
   un piano che non tiene conto di alcune fondamentali peculiarità dell'intero territorio;
   tale piano viene contrastato in modo documentato e puntuale dal segretario generale provinciale della Uil Polizia Giovanni Cabras che ha posto in rilievo questioni non solo di natura strategica relativa alla sicurezza dei territori ma anche di natura operativa, logistica ed economica;
   la caserma che ospita il distaccamento polizia stradale è ubicata ad Orosei al centro del paese, adiacente al palazzo comunale; la stessa fu realizzata nel 2000 dal comune, che ne risulta proprietario, formalmente consegnata dal 1o marzo 2003;
   l'amministrazione comunale per realizzare quest'opera accese due mutui della Cassa depositi e prestiti per un totale di un miliardo e 100 milioni delle vecchie lire, che a tutt'oggi devono essere ancora estinti;
   ad oggi lo Stato paga di affitto 60 mila euro annue, cifra che nel corso degli anni è stata ridimensionata, se si pensa che il canone fu fissato in 76 mila euro;
   l'amministrazione comunale lamenta sia il fatto che nel 2000 per potere realizzare lo stabile furono fatti grossi sacrifici e che ad oggi lo stesso sarà difficilmente convertibile ad altri scopi, motivo per cui il comune di Orosei, qualora avvenisse la chiusura del presidio di polizia, si riserverà di intraprendere tutte le iniziative del caso, compresa la richiesta di risarcimento danni;
   il distaccamento gode di una posizione strategica;
   il comune di Orosei sorge sulla strada statale 125 (Orientale Sarda) e sulla strada statale 1129 (Trasversale Sarda) ed è a 20 chilometri circa dalla strada statale 131 DCN;
   le tre strade statali su menzionate sono costantemente pattugliate e monitorate durante tutto l'anno, con itinerari di vigilanza stradale che interessano i comuni della Valle del Cedrino (Orosei, Galtellì, Irgoli, Loculi ed Onifai), ma che si spingono sino a grossi centri quali Siniscola, Budoni, Posada, San Teodoro e Nuoro, attraverso la grossa arteria statale 131DCN, precisando inoltre che, sia d'estate che d'inverno, l'unico pattugliamento presente nel limitrofo comune di Dorgali e Cala Gonone viene effettuato dalle pattuglie di Orosei;
   risulta assente in tutta l'area qualsiasi altro presidio di polizia;
   i cinque comuni della Valle del Cedrino hanno una densità di popolazione globale di circa 13.000 abitanti, più Dorgali-Cala Gonone con circa 8.500 abitanti, che nel periodo estivo vedono più che quadruplicate le presenze sul proprio territorio;
   l'assenza di un presidio di polizia andrebbe a discapito sia della popolazione locale, ma soprattutto andrebbe a danneggiare il fenomeno turistico, poiché verrebbe a mancare un punto di informazione e indirizzo (si precisa che pur essendo un presidio specialistico di polizia stradale la ricezione di denunce di qualsiasi genere non viene in alcun modo demandata a Carabinieri o commissariato). Inoltre da Siniscola a Tortolì vi sarebbe la scopertura di circa 130 chilometri di costa che vede interessata la strada statale 125 (Orientale Sarda);
   nel comune di Orosei sono presenti le seguenti strutture ricettive:
    a) 23 hotel per un totale ricettività di 4.685 posti letto;
    b) 24 camping per un totale ricettività di 2.472 posti ospiti;
    c) 3 case vacanze per un totale di 53 posti letto;
    d) 7 agriturismo per un totale di 77 posti letto;
    e) 20 B&B per un totale di 80 posti letto;
   dal 2004 al 2013 il territorio della Valle del Cedrino è stato interessato da fenomeni alluvionali che hanno duramente colpito attività commerciali e popolazione;
   nello specifico nel 2004 diversi agenti del distaccamento di Orosei, liberi dal servizio e con propri mezzi, si sono messi a disposizione della popolazione portando ausilio e svolgendo compiti di soccorso pubblico e ordine pubblico, motivo per cui agli stessi venne riconosciuto, per il servizio svolto, un premio in denaro. Analogamente il servizio di pubblica sicurezza è stato svolto per i fenomeni alluvionali del 2008, 2010 e 2013, in quest'ultimo episodio, durante le operazioni di soccorso ha perso la vita l'agente Luca Tanzi;
   il distaccamento di Orosei è composto da 13 unità, di cui un Ispettore, attualmente in aspettativa per frequenza corso da commissario di polizia, tre sovrintendenti e nove nel ruolo agenti e assistenti;
   il personale ha stabilmente acquistato casa nella zona ed ha una situazione familiare monoreddito. Solo tre sono le domande di trasferimento in atto, di personale ruolo agenti, non originari che intendono raggiungere le proprie città natali;
   nel decorso anno 2013 il fenomeno dei tagli sui presidi di polizia, nello specifico sui distaccamenti di polizia stradale, portò alla stesura di un documento di proposta ministeriale che vedeva elencati, per ciò che concerne la provincia di Nuoro, i distaccamenti di Fonni, Ottana e Siniscola;
   la soppressione del distaccamento di Orosei significherebbe che i presidi di polizia più vicini siano ad oltre 40 chilometri di distanza ledendo non solo alla sicurezza ma alla posizione lavorativa dei dipendenti, tra cui ricordiamo sono presenti due situazioni di legge n. 104 del 1992 in famiglia;
   i parametri di valutazione inizialmente considerati per i tagli sui presidi di polizia hanno tenuto conto dei costi che gli stessi avevano a carico dell'amministrazione pubblica;
   i dati acquisiti per il confronto si riferiscono sicuramente al quasi decorso anno 2014, anno in cui il distaccamento di Orosei ha subito un crollo di pattuglie su strada dovuto alla situazione del parco veicolare;
   gli autoveicoli in assegnazione in numero di due sono risultati inefficienti, uno a seguito di sinistro stradale l'altro causa usura, motivo per cui nei mesi di giugno, luglio e ottobre 2014 non sono state effettuate pattuglie di vigilanza stradale;
   il paese di Ottana si trova al centro della Sardegna, poco distante da Nuoro, dal punto di vista viario è ben collegata in quanto attraversato dalla DCN 131 che, all'altezza di Abbasanta, si collega alla statale 131, uno degli snodi più importanti dell'intera isola;
   nel comune è presente anche il commissariato che, come il distaccamento, occupa uno stabile di proprietà del demanio, pertanto l'unica spesa è costituita dalla corresponsione agli operanti del vitto gratuito;
   storicamente il distaccamento polizia stradale di Fonni ha rivestito una funzione di rilevante importanza soprattutto per la sua collocazione;
   la posizione strategica consente il controllo delle zone interne del Nuorese e dell'Ogliastra;
   da sempre considerato uno dei distaccamenti più importanti tant’è che nel 2002 anno in cui è stata consegnato il nuovo stabile adibito a caserma è stata stabilito di lasciare la polizia stradale a Fonni nonostante fosse stata destinata un'area nella nuovo struttura del commissariato di polizia stradale di Gavoi proprio perché era stata ritenuta importante la posizione del distaccamento;
   la media annuale dei soccorsi che supera i 600 quindi più di uno al giorno;
   il lavoro principale il distaccamento lo svolge nel periodo invernale, si ricordi che Fonni è l'unica località sciistica in Sardegna nei periodi in cui nevica si registra un picco di traffico rilevante, basta verificare i dati circa la ricettività delle strutture alberghiere;
   sono spesso predisposti servizi specifici per la viabilità nelle dette località;
   nel periodo estivo ricopre gli itinerari costieri dell'Ogliastra garantendo nonostante l'esiguo personale una vigilanza continua, spesso la pattuglia del distaccamento si trova ad essere l'unica pattuglia di polizia nel proprio tratto di competenza nonostante attraversi i territori dei commissariati di Lanusei e Tortolì;
   in caso di chiusura considerato che il contratto dello stabile è scaduto il 30 di settembre di quest'anno e prevede un tacito rinnovo, i canoni di affitto saranno comunque corrisposti, inoltre saranno chiaramente danneggiati gli agenti di questo ufficio perché costretti ad essere trasferiti con molta probabilità senza remunerazione quindi a proprie spese in altri uffici di polizia ridimensionando in alcuni casi anche il ruolo acquisito nel proprio posto di lavoro questo evidenzia un diverso trattamento rispetto alle opportunità dei colleghi ove nonostante prevista la chiusura vi sia la possibilità di restare nello stesso comune in quanto vi è il commissariato –:
   se non ritenga di dover stralciare i presidi della provincia di Nuoro dal piano di chiusure programmate per le argomentate ragioni sia di natura operativa e strategica che logistico-economica riportate in questo atto;
   se non ritenga di dover modificare il proprio piano di chiusura dei distaccamenti tenendo conto di una situazione che potrebbe non essere stata presa nella debita considerazione;
   se non ritenga di dover proporre una rivisitazione del piano attraverso il coinvolgimento delle autorità locali e in particolar modo dei sindaci;
   se non ritenga di dover salvaguardare un presidio di polizia stradale come quello di Orosei che ha la competenza tra le altre cose anche delle arterie viarie costiere più importanti della Sardegna;
   se non ritenga di dover salvaguardare un presidio di polizia stradale come quello di Ottana che ha la competenza tra le altre cose anche dell'arteria principale della direttrice centrale della Sardegna;
   se non ritenga di dover salvaguardare un presidio di polizia stradale come quello di Fonni che ha la competenza tra le altre cose anche delle arterie viarie poste nella più elevata altitudine della Sardegna;
   se non ritenga infine di dover valutare nell'esame del piano di ridimensionamento di due elementi relativi all'insularità della Sardegna e in particolar modo alle caratteristiche geografiche, viarie, sociali ed economiche delle zone interne. (5-04263)


   PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i primi distaccamenti della polizia stradale nel Nuorese oltre alla Sezione capoluogo erano quelli di Macomer Laconi e Lanusei;
   nel 1978 per far fronte alla crescita economica che stava attraversando il paese e al conseguente aumento della criminalità l'amministrazione dell'interno ha ritenuto opportuno istituire vari avamposti di polizia ritenendo che per un capillare controllo del territorio fosse necessario l'impiego della polizia stradale destinando 200 uomini al territorio del centro Sardegna;
   i distaccamenti di polizia stradale sono diventati riferimenti importanti per le comunità sia per la strategicità che l'importanza degli stessi legata alla tipologia ed alla conformazione del territorio nonché a questioni di ordine e sicurezza pubblica;
   appare davvero incomprensibile che aver proposto la chiusura di determinati uffici di polizia stradale e dei relativi distaccamenti siano state le autorità che devono garantire l'ordine e la sicurezza pubblica;
   questo atto di chiusura dell'ufficio distaccato della polizia stradale di Fonni è l'ennesima dimostrazione che allo stato, delle zone interne e della sorte dei piccoli centri, e delle identità locali, non importa nulla;
   questo atteggiamento rispecchia l'andamento generale del rapporto dello stato con la Sardegna ed esasperano la condizione di abbandono che questo territori stanno percependo fin troppo bene;
   secondo l'interrogante ciò dimostra una visione della gestione dell'ordine e sicurezza pubblica che punta a salvaguardare solo ed esclusivamente grossi centri e regioni più forti;
   la chiusura del distaccamento di Fonni non ha nessuna spiegazione tangibile se non quella di effettuare tagli casuali per cercare di recuperare qualche spicciolo da destinare a chissà quali strutture;
   il tentativo maldestro di ridurre tutto in termini di costi non valutando il valore sociale della sicurezza data da un poliziotto in strada non solo non riduce i costi ma in alcuni casi li rende ancora più gravosi;
   per una questione di trasparenza si indicano nella tabella seguente le spese del Distaccamento di Fonni nell'ultimo anno tenuto conto che lo stipendio degli agenti verrà comunque corrisposto come il benefit dei pasti che saranno comunque garantiti al personale in qualsiasi posto venga trasferito;
   le spese per il presidio di Fonni per l'anno 2014 sono le seguenti: a) canone affitto 36.669,24 euro; b) bolletta energia elettrica 2.263,43 euro; c) acqua 850 euro; d) tassa rifiuti 879,00 euro; e) gasolio 2.378 euro, per un totale di 43.039,67 euro;
   decisamente cifre irrisorie rispetto alla sicurezza ed al controllo che ogni pattuglia quotidianamente garantisce nell'area intorno al comune di Fonni dove gravita tra le altre cose un consistente traffico turistico anche nel periodo invernale con un aggravio ulteriore degli interventi su strada considerato che si tratta del comune più alto della Sardegna e quindi soggetto ripetutamente alla formazione di ghiaccio sulle strade dell'intera area;
   storicamente il distaccamento polizia stradale di Fonni ha rivestito una funzione di rilevante importanza soprattutto per la sua collocazione;
   la posizione strategica del distaccamento consente il controllo delle zone interne del nuorese e dell'ogliastra;
   da sempre considerato uno dei distaccamenti più importanti tant’è che nel 2002, anno in cui è stata consegnato il nuovo stabile adibito a Caserma, è stato stabilito di lasciare la polizia stradale a Fonni nonostante fosse stata destinata un'area nella nuova struttura del commissariato di polizia di Stato di Gavoi proprio perché era stata ritenuta importante la posizione del distaccamento;
   il distaccamento si occupa della viabilità soprattutto sulla strada statale 389, una delle arterie più importanti in Sardegna e dove si segnala un continuo aumento del flusso veicolare;
   il lavoro principale il distaccamento lo svolge nel periodo invernale, si ricordi che Fonni è l'unica località sciistica in Sardegna nei periodi in cui nevica si registra un picco di traffico rilevante, basta verificare i dati circa la ricettività delle strutture alberghiere;
   sono predisposti servizi specifici per la viabilità nelle dette località sciistiche;
   il distaccamento funge da punto di riferimento delle notizie circa la viabilità nei tratti interessati da nevicate o particolari condizioni;
   è riferimento continuo per tutti gli utenti che dall'interno devono raggiungere il capoluogo in quanto specificatamente segnala anomalie circa la viabilità e spesso richiede e vigila sugli interventi dell'ente proprietario della strada;
   partecipa all'attività della Polstrada nell'insegnamento dell'educazione stradale nelle scuole;
   nel periodo estivo ricopre anche itinerari costieri in Ogliastra garantendo nonostante l'esiguo personale una vigilanza continua;
   i servizi esterni sono in continuo aumento riferito agli ultimi due anni;
   si è passati da 272 servizi esterni nel 2013 a 307 sino al 30 novembre di quest'anno;
   significa che tolti i giorni di riposo dovuti al personale la presenza delle pattuglie del distaccamento è quotidiana e assidua;
   in quest'anno sono stati effettuati 672 soccorsi ad utenti in difficoltà di cui il 60 per cento nel periodo invernale e nelle arterie interessate dalle nevicate;
   un dato statistico rilevante è che, a decorrere dal settembre 2012, durante i turni ove era presente la pattuglia del distaccamento Polstrada Fonni non sono avvenuti incidenti mortali questo a dimostrazione dell'importanza dell'operato delle pattuglie;
   il personale del distaccamento Polstrada Fonni sarà trasferito con molta probabilità senza remunerazione quindi a proprie spese in altri uffici di polizia ridimensionando in alcuni casi anche il ruolo acquisito nel proprio posto di lavoro mortificando coloro che nel tempo hanno comprato casa e fondato legittime aspettative della propria vita e delle loro famiglie;
   chiudere i presidi di Polizia e nella fattispecie quello di Fonni è un azzardo;
   il rapporto tra il numero di appartenenti alle forze dell'ordine e gli abitanti è calcolo davvero inaccettabile, irrazionale e irragionevole proprio perché la Sardegna è una delle regioni più estese d'Italia e soprattutto una regione al limite del collasso –:
   se non ritenga di modificare il proprio piano di chiusura dei distaccamenti tenendo conto di una situazione che potrebbe non essere stata presa nella debita considerazione;
   se non ritenga di proporre un approfondimento delle decisioni con il coinvolgimento delle autorità locali e in particolar modo dei sindaci;
   se non ritenga di dover vagliare con attenzione l'area oggetto del taglio che viene proposto e delle sue potenzialità e del carico effettivo di lavoro;
   se non ritenga di dover salvaguardare un presidio di polizia stradale che ha la competenza tra le altre cose anche delle arterie viarie poste nella più elevata altitudine della Sardegna;
   se non ritenga infine di dover valutare nell'esame del piano di ridimensionamento di due elementi relativi all'insularità della Sardegna e in particolar modo alle caratteristiche geografiche, viarie sociali ed economiche delle zone interni.
(5-04264)


   PILI. —Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la gestione del flusso di migranti verso la Sardegna è, alla luce dei dati seguenti, un'operazione che deve obbligatoriamente essere valutata in tutte le sue implicazioni a partire dalle responsabilità oggettive e soggettive che riguardano il caso Sadali;
   il piccolo comune della Sardegna è stato oggetto di una serie vergognosa, quanto inspiegabile, di viaggi di trasporto di centinaia di immigrati destinati ad una struttura alberghiera di livello resort, con piscina e aree di svago ubicata nella periferia del paese di Sadali;
   in totale, attraverso altrettanti voli charter e trasporti su pullman, si tratta di ben otto viaggi ripetuti a distanza di qualche giorno l'uno dall'altro;
   in totale sono stati trasportati dall'aeroporto di Elmas sino a Sadali 222 immigrati di cui ben 208 hanno lasciato la destinazione dopo nemmeno 24 ore;
   nel dettaglio i viaggi charter e trasporto in pullman da aeroporto Elmas a Sadali (200 km andata e ritorno) risultano così dispiegati:
    a) in data 18 agosto 2014 risultano arrivati 47 con destinazione Sadali provenienti da Nigeria: 31 – Senegal: 1 – Mali: 14 – Gambia: 1 tutti e 47 allontanatisi dopo 24 ore in seguito a gravi disordini con sequestro di personale delle forze dell'ordine nel sito di Sadali come risulta da relazioni di servizio puntualmente redatte dai funzionari di polizia presenti in loco;
    b) in data 21 agosto 2014 risultano arrivati 50 immigrati con destinazione Sadali provenienti da Siria: 36 – Palestina: 10 46 si allontanano dopo 24 ore, restano a Sadali dal Sudan: 1 – Mali: 2 – Eritrea: 1;
    c) in data 2 settembre 2014 risultano arrivati 36 immigrati provenienti dalla Siria con destinazione Sadali, in 36 si allontanano dopo 24 ore;
    d) in data 12 settembre 2014 arrivano 30 immigrati provenienti Siria: 26 Palestina: 4 con destinazione Sadali. Si allontanano tutti nel giro di 24 ore;
    e) in data 17 settembre 2014 arrivati: 10 immigrati con destinazione Sadali provenienti dalla Siria. Tutti e 10 allontanati;
    f) in data 19 settembre 2014 arrivati: 33 immigrati con destinazione Sadali provenienti 16 Eritrea (tutti allontanatisi), Pakistan: 2 – Gambia: 7 Senegal: 4 – Mali: 1;
    g) in data 24 settembre 2014 arrivati: 25 immigrati con destinazione Sadali Eritrea: 17 – Siria: 6 allontanati solo 1 Somalia rimasto in loco;
    h) in data 30 settembre 2014 arrivati: 18 immigrati con destinazione Sadali provenienti da Nigeria: 10 – Sudan: 8.
   per ben 8 volte, la stragrande maggioranza 208 su 222, i migranti assegnati e trasportati nella struttura turistica di Sadali denominata Janas si sono allontanati senza fornire indicazioni sul luogo di permanenza e risultano quindi irrintracciabili;
   non sono bastati reiterati casi analoghi che il Ministero dell'interno ha continuato a mandare migranti nel paese di Sadali nonostante dopo poche ore gli stessi si allontanassero verso mete sconosciute;
   i migranti sarebbero andati via ogni volta con mezzi propri, ovvero con mezzi pubblici e quant'altro hanno trovato a disposizione per lasciare il centro Sardegna;
   si è trattato e si tratta di uno spreco di Stato senza precedenti e per giunta reiterato senza alcuna logica;
   aerei e pullman da gran turismo per trasportare tutti a Sadali e in meno di 24/48 ore tutti via da quel luogo;
   è intollerabile una gestione così dissennata da parte di organi dello Stato;
   chiunque avesse avuto un po’ di buon senso e senso di responsabilità avrebbe evitato questa figuraccia con un dispendio di risorse umane e finanziarie senza precedenti;
   agenti di pubblica sicurezza costretti a turni di scorta, viaggi interminabili per poi assistere alla «fuga» in massa da Sadali di persone che sono di fatto libere;
   i responsabili di questa situazione devono essere secondo l'interrogante immediatamente sollevati da questo incarico e deve essere richiesto il risarcimento dei danni economici;
   quello accaduto per ben 8 volte nel trasbordo dei migranti dall'aeroporto di Elmas verso Sadali ha superato il limite della decenza;
   un Governo che trasferisce nel cuore della Sardegna 222 immigrati, e registra un allontanamento in massa per località sconosciute poche ore dopo, ha di fatto fallito la propria azione;
   tutto ciò si è verificato con tanto di assegni staccati all'Alitalia e non solo per i voli charter, con trasporti interni su pullman gran turismo e resort con piscina;
   tutto questo è davvero scandaloso e inaccettabile e ha indignato non poco l'opinione pubblica sarda alle prese con una crisi economica senza precedenti;
   è indispensabile segnalare il tutto alla Corte dei Conti che deve accertare l'eventuale, quanto evidente, danno erariale e perseguire i responsabili;
   in uno Stato di diritto questi errori si pagano. Non possono essere i cittadini già duramente vessati a pagare per uno Stato che gestisce la vicenda immigrati con una superficialità senza pudore;
   il caso Sadali è la più grave rappresentazione di questa gestione e si configura sempre di più una vera e propria vergogna nazionale –:
   se il Ministro dell'interno intenda chiarire quel che è successo e assumersene la responsabilità e/o indicare il responsabile di tale gestione;
   se sia stata messa a repentaglio la sicurezza degli uomini delle forze dell'ordine per un viaggio verso il comune di Sadali e nella fattispecie quello svoltosi in data 18 agosto 2014;
   se il Ministro intenda fermare questa inaccettabile gestione dei viaggi di immigrati in Sardegna considerata l'inutilità e soprattutto la totale insussistenza delle minime condizioni perché gli stessi migranti si trattengano in Sardegna;
   se intenda inviare gli atti alla Corte dei Conti per accertare un eventuale danno erariale per la gestione della vicenda Sadali;
   se risulti che l'albergo di Sadali fosse, sin dal primo viaggio, oggetto di una procedura fallimentare;
   se lo stesso albergo risultasse già all'asta (secondo proc. 36/12 del tribunale di Lanusei) all'atto della stipula del contratto con il Ministero dell'interno, e in questo caso in base a quali procedure sia stato affidato tale servizio ad una struttura già in fase di vendita giudiziaria;
   se sia stato fatto un conto economico dell'onere sostenuto per tale trasporto e gestione degli immigrati destinati a Sadali (trasporto aereo, trasporto pullman, contratto albergo, gestione uomini compresi straordinari e missioni) e se non intenda renderlo noto per la trasparenza della stessa gestione. (5-04271)


   COZZOLINO e LOMBARDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 dicembre 2014 diversi organi di stampa hanno pubblicato articoli nei quali si riportavano stralci di intercettazioni telefoniche realizzate nel corso dell'indagini dell'inchiesta comunemente denominata Mafia Capitale o Terra di mezzo;
   in tali stralci vi è più di un riferimento al tentativo da parte delle persone coinvolte nell'inchiesta di ottenere contatti e incontri con esponenti delle istituzioni, quali il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro, il Viceministro dell'interno, senatore Filippo Bubbico, e il sottosegretario all'interno Domenico Manzione;
   i contatti con esponenti delle istituzioni erano ricercati dai protagonisti dell'inchiesta per favorire le attività economiche che gestivano nell'ambito del settore dell'accoglienza ai migranti grazie a sovvenzioni effettuate con denaro pubblico –:
   se si sia mai verificato alcun incontro o contatto tra il Salvatore Buzzi e gli esponenti delle istituzioni riportati in premessa ed aventi come oggetto le attività della Cooperativa 29 giugno. (5-04272)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPADONI, DE LORENZIS e NESCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   IAM spa (Iniziative ambientali meridionali) di Reggio Calabria-Gioia Tauro nata per gestire la depurazione civile e industriale, è oggi un'azienda pluriservizi che offre progettazione attuazione e gestione di sistemi integrati ambientali;
   le principali attività di IAM spa sono: gestione del ciclo integrato dell'acqua di captazione distribuzione e depurazione, progettazione, realizzazione e gestione di impianti di sollevamento, di potabilizzazione e depurazione, gestione reti per il controllo degli agenti inquinanti. Analisi di laboratorio aria, acqua e suolo. La principale struttura gestita è il depuratore di Gioia Tauro;
   IAM spa è una società mista a prevalente capitale pubblico partecipata. Nel 2005 risultata composta da aziende quali ASI di Reggio Calabria, Lico Santo S.r.l. e AGAC spa di Reggio Emilia (confluita poi in Enia spa e infine in Iren spa società entrambe quotate in Borsa);
   negli anni seguenti IAM spa ha visto la partecipazione azionaria di ASIREG al 60,5 per cento, LIGEAM srl 20 per cento (controllata ad oggi al 92 per cento da Lico Michelino e Lico Santo 8 per cento) Enia Spa 15 per cento, comune di Gioia Tauro 3 per cento e comune di Rosarno 0,5 per cento;
   come si evince dalla relazione trimestrale consolidata al 30 settembre 2009 di Iren spa, la società quotata in borsa ha ceduto in quell'anno la propria partecipazione azionaria in IAM spa;
   ad oggi la partecipazione azionaria di IAM spa è così composta LIGEAM srl (controllata al 92 per cento da Lico Michelino e 8 per cento Lico Santo), comune di Gioia Tauro 3 per cento. Undis spa-Saca spa, Servizi Ambientali Centro Abruzzo 2,25 per cento, Qua SAR Ambiente srl 1,5 per cento, SASIT srl 1,5 per cento comune di Polistena 1 per cento, 3TI ITALIA spa 0,75 per cento, comune di Rosarno 0,50 per cento;
   il 28 maggio 2014 una di queste aziende socie di IAM, la Lico Santo srl di Vibo Valentia, è stata messa sotto sequestro dalla Direzione investigativa antimafia di Roma in quanto avrebbe utilizzato per le sue attività aziende riconducibili al boss della ‘ndrangheta Saverio Razionale; la Lico Santo srl avrebbe impiegato nel ciclo lavorativo operai non in regola con la normativa vigente, forniti dalle società di Razionale risparmiando così notevoli costi del personale –:
   se i Ministri intendano assumere iniziative normative per garantire la massima trasparenza affinché nessuna azienda che collabori con enti partecipati dai comuni e/o quotati in borsa possa tessere relazioni con la criminalità organizzata o esserne addirittura parte integrante. (4-07243)


   GALPERTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel 1985 entra in Italia il cittadino siriano Abdul Kader Ajam, nato ad Aleppo il 21 gennaio 1965;
   il suddetto vive, studia, si laurea in medicina nel 1992, consegue l'abilitazione professionale, si convenziona con l'Asl di Brescia, frequenta tre master, a Roma, università La Sapienza e Tor Vergata, ed uno all'università di Napoli;
   quindi da molto tempo, circa vent'anni, assiste i suoi mutuati presso l'ambulatorio sito in Brescia, Villaggio Prealpino;
   risulterebbe aver sempre tenuto una condotta esemplare e rispettosa delle leggi del nostro Paese;
   la sua domanda di cittadinanza italiana presentata nel 1997 («Il soggetto potrebbe creare lacerazione nella società italiana») è stata respinta e così pure la richiesta reiterata nel 2005, pendente ricorso al Consiglio di Stato;
   il motivo del secondo diniego risulterebbe afferire ad una asserita pericolosità per la sicurezza dello Stato –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione in premessa descritta;
   se non ritenga che vadano espletate tutte le iniziative possibili per consentire ad Abdul Kader Ajam di ottenere la cittadinanza italiana dopo trent'anni di vita, studio, lavoro nel nostro Paese. (4-07262)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GHIZZONI, INCERTI, GNECCHI e DI SALVO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la riforma pensionistica nota come riforma Fornero, introdotta dal decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, risulta viziata da un errore essenziale riguardante i lavoratori del comparto scuola;
   come già espresso nel precedente atto di sindacato n. 5-04059, i soggetti coinvolti da tale errore sono mantenuti al lavoro in quanto alla soluzione dei problema sono sempre stati opposti insormontabili problemi di natura finanziaria: in particolare, in tre anni, non si è mai voluto giungere a determinare con esattezza inconfutabile il numero esatto dei lavoratori coinvolti, dato imprescindibile per calcolare il costo dei interventi a favore del loro pensionamento;
   a tale proposito, a fronte del fatto che il costo di eventuali interventi è sempre stato ritenuto insostenibile, mentre non si sono volute valutare le conseguenze di un brusco innalzamento coattivo dell'età lavorativa e, in particolare, si ignora il costo «sociale» del mantenimento in servizio di persone ultrasessantenni;
   è solo un luogo comune che i lavoratori della scuola svolgano una professione «leggera» e caratterizzata da presunti «privilegi»: al contrario, ci sono ormai studi consolidati che attestano che si tratta in realtà di «lavoro usurante», perché non si può considerare la fatica solo nel suo aspetto meramente fisico. A questo proposito, gli studi dello psichiatra Vittorio Lodolo D'Oria, dimostrano come la professione di docente sia tra quelle le «helping professions» e a più alto rischio di burnout;
   non appare difficile comprendere quanto sia complesso e faticoso occuparsi per più di 40 anni dell'educazione e dell'istruzione di bambini e alunni e di studenti e adolescenti problematici e lavorare in classi sovraffollate che richiedono esigenze educative e didattiche diverse dovute alla presenza di alunni stranieri, di ragazzi in condizione di handicap spesso con sostegno insufficiente, di studenti con DSA o con BES: si tratta di un pesante impegno fisico e intellettivo, che nel tempo determina una alta predisposizione a contrarre malattie;
   una indagine basata sulle autodichiarazioni – documentabili – rese dal personale coinvolto dall'errore della riforma Fornero, e che è già a disposizione del Ministro interrogato, individua una forte accelerazione delle patologie, in questi tre anni, verso stadi di cronicizzazione ingravescenti e la comparsa di nuove patologie da stress da lavoro correlate. Questa situazione, in progressivo deterioramento, determina la necessità di frequenti assenze (anche di persone che in 20/30 anni, non hanno mai usufruito di un solo giorno di lavoro), che a loro volta producono un incremento, che probabilmente non è stato ancora opportunamente considerato, dei costi a carico del Servizio sanitario nazionale, del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dell'INPS, sia per le cure necessarie sia per il pagamento di supplenti;
   a parere degli interroganti, quindi, sarebbe più lungimirante considerare il pensionamento più economico del protrarsi di questa condizione, tenuto conto della esigenza della continuità didattica, della dignità dei lavoratori coinvolti nonché della necessità di emendare a palesi errori normativi –:
   se il Ministro abbia valutato i costi economici e sociali derivanti dal trattenimento in servizio di personale ultrasessantenne;
   quali iniziative intenda assumere per consentire ai lavoratori in premessa di accedere al pensionamento, seppur tardivamente, con il prossimo 1o settembre 2015 per dare esecuzione all'ordine del giorno 9/2679-bis-A/235 Di Salvo accolto dal Governo in sede di approvazione della legge di stabilità. (5-04266)


   NARDUOLO, NACCARATO e CAMANI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il collegio docenti dell'educandato statale «San Benedetto» di Montagnana (Padova) in data 15 luglio 2014 ha deliberato in merito all'attivazione di un indirizzo di liceo linguistico per l'anno scolastico 2015-2016;
   la richiesta è motivata dalla volontà di potenziare l'offerta formativa degli istituti scolastici secondari di secondo grado di Montagnana con l'insegnamento della lingua russa, non presente nei piani formativi degli altri istituti scolastici circostanti nelle province di Padova, Verona, Vicenza e Rovigo, avendo valutato che la scelta di una lingua di un paese emergente (uno dei cosiddetti «BRICS») potrebbe consentire un'apertura della didattica e un investimento significativo nell'interazione tra sistema formativo e tessuto economico-produttivo del territorio, dal momento che a causa della crisi quest'ultimo si è notevolmente impoverito e le uniche realtà in grado di sopravvivere hanno stretto rapporti commerciali con Paesi dell'est Europa (Russia in particolare) e dell'Asia;
   il comune di Montagnana, in quanto comune ospitante, con delibera di giunta n. 111 del 18 settembre 2014 ha espresso parere favorevole all'iniziativa dell'educandato statale «San Benedetto»;
   in data 19 novembre 2014 si è tenuta presso la sede della provincia di Padova la commissione di distretto formativo («ambito») per esaminare la richiesta di attivazione di un indirizzo di liceo linguistico presso l'educandato statale «San Benedetto» di Montagnana;
   l'esito della commissione è stato negativo e pertanto la richiesta è stata respinta;
   in seguito a tale riunione, i sindaci dei comuni di Montagnana, Casale di Scodosia, Urbana, Merlara, Masi, Santa Margherita d'Adige, Megliadino San Fidenzio hanno sottoscritto una lettera diretta al presidente e al vicepresidente della provincia di Padova e al dirigente dell'ufficio scolastico territoriale di Padova per sostenere la richiesta di attivazione dell'indirizzo di liceo linguistico e chiedere di rivedere la decisione presa in sede di commissione di distretto formativo, in quanto la presenza degli amministratori è risultata essere molto sotto rappresentata;
   nonostante le linee guida allegate alla D.G.R. del Veneto n. 1125 del 1o luglio 2014, recante «Programmazione della rete scolastica e dell'offerta formativa. Anno Scolastico 2015-2016», specifichino la data del 13 ottobre 2014 come termine ultimo per l'espressione dei pareri delle Commissioni di distretto formativo, per la provincia di Padova le decisioni in merito all'offerta formativa sono state prese ben oltre il termine indicato dalla delibera regionale –:
   quali provvedimenti il Ministro interrogato intenda assumere, per le parti di sua competenza, anche attraverso gli uffici territoriali del Governo, per sostenere la richiesta dei sindaci summenzionati, il cui obiettivo è cercare una via di uscita per la crisi che attanaglia il territorio attraverso un investimento innovativo in termini educativi. (5-04269)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO, PANNARALE e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   al comma 2 dell'articolo 15 del decreto-legge n. 104 del 12 settembre 2013, convertito dalla legge n. 128 dell'8 novembre 2013, si pone quale obiettivo quello di assicurare continuità al sostegno degli alunni con disabilità attraverso l'incremento dell'organico di diritto fino alla concorrenza del 90 per cento dell'organico di fatto nel 2014-2015 e del 100 per cento nel 2015-2016, determinato in base ai posti complessivamente attivati nell'anno scolastico 2006/2007 e cioè 90.032 su base nazionale;
   l'organico di fatto attribuito alla provincia di Bari nell'ultimo triennio è stato pari a 2.949, come si evince dalle note dell'ufficio scolastico regionale n. 4853 dell'11 luglio 2013 e n. 7899 del 23 luglio 2014. Tale organico di fatto era costituito da 2387 cattedre in organico di diritto e da 562 cattedre aggiuntive, come risulta dal citato decreto dell'Ufficio scolastico regionale Puglia n. 7899 del 23 luglio 2014;
   dei 562 posti aggiuntivi, 542 erano in capo alla scuola secondaria di secondo grado, numero che si ottiene sottraendo dal numero dell'organico di fatto, 983, come da nota 19 luglio 2013 dell'ufficio scolastico provinciale di Bari, il numero delle cattedre in organico di diritto, ovvero 441, come da decreto dell'ufficio scolastico regionale dell'11 aprile 2014 PROT. n. AOODRPU. 4089;
   nell'anno scolastico 2013/2014, alla scuola secondaria di secondo grado della provincia di Bari venivano assegnate 983 cattedre consolidate, di cui 441 di diritto e 542 aggiuntive, mentre agli altri ordini di scuola venivano complessivamente assegnate 1966 cattedre, di cui 1946 in organico di diritto e 20 aggiuntive, con un evidente squilibrio nel riparto nei vari ordini dell'organico di diritto. Di fatto, mentre per la scuola superiore il rapporto di 441 posti di diritto su 983 posti complessivi dell'organico di fatto, porta al 45 per cento circa di copertura, negli altri ordini si è già raggiunto quasi il 10 per cento, considerando complessivamente il rapporto di 1946 posti di diritto su 1966 di organico di fatto;
   in data 11 aprile 2014 l'ufficio scolastico Regionale della Puglia con proprio decreto n. 4089 ripartiva in questo modo l'incremento dell'organico di diritto attribuito alla provincia di Bari per complessivi 355 posti: 36 alla scuola dell'infanzia, 89 alla primaria, 53 alla secondaria di primo grado ed, infine, 177 alla scuola secondaria di secondo grado, portando i nuovi organici di diritto a 293 cattedre all'infanzia, che con 510 alunni ha un rapporto di un docente per 1,74 alunni (al di sopra della media voluta dalla norma); 1030 cattedre alla primaria per 1785 alunni con un rapporto di un docente per 1,74 alunni; 801 alla secondaria di primo grado per 1404 alunni con un rapporto di un docente per 1,75 alunni, ed infine portando a 618 le cattedre per la secondaria superiore per complessivi 1858 alunni con un rapporto di un docente per 3 alunni;
   il provveditore agli studi di Bari con propria nota del 25 luglio 2014, sulla base del citato decreto 7899 dell'ufficio scolastico regionale Puglia, comunicava che le cattedre in organico di fatto delle scuole secondarie superiore non erano più 983, come nel precedente anno scolastico, ma 818, tagliando circa 160 cattedre. Una decisione poco comprensibile se si considera che nella provincia di Bari le iscrizioni degli alunni con disabilità alle scuole secondarie superiori siano aumentate di circa 100 unità, da 1838 (A.S. 2013/14) a 1952 (A.S. 2014/15). Inoltre, il rapporto fra organico di diritto e organico di fatto, pur con la diminuzione di quest'ultimo, non rispetta i parametri imposti dal decreto-legge n. 104 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 128 del 2013 visto che si raggiunge la copertura del 75 per cento circa, invece del 90 per cento per l'anno 2014-2015;
   l'ufficio scolastico provinciale di Bari ha convocato il giorno 11, 12 e 15 settembre 2014 i docenti delle aree AD01, AD02, AD03 e AD04 e ha pubblicato in data 10 settembre le disponibilità delle cattedre per queste aree; da tali disponibilità si evince che le cattedre in prima convocazione risultano essere 223 + 90 spezzoni orari circa, a fronte di numeri ben diversi per l'anno scolastico 2013/14, ovvero 553 + 81 spezzoni circa in prima convocazione;
   appare chiaro come sarà necessario assegnare ulteriori cattedre per rispettare i rapporti docente/alunni, secondo le normative vigenti, e che queste saranno assegnate con il meccanismo della deroga, creando disagi e ingiustizie, non solo per gli alunni diversamente abili e le loro famiglie, costretti molte volte anche a restare a casa per qualche settimana, ma anche per i docenti precari che dovranno attendere le deroghe per vedere riconosciuto quello che è in realtà un posto consolidato –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione su esposta;
   se il Ministro non ritenga che si sia verificata una condizione contraria a quanto stabilito dal decreto-legge n. 104 del 2013;
   se il Ministro non ritenga che questa situazione richieda un intervento immediato per garantire la continuità didattica per gli alunni diversamente abili delle scuole secondarie di secondo grado;
   se il Ministro non ritenga doveroso intervenire per approfondire e fare luce sulle cause che hanno portato al taglio dell'organico di fatto per le scuole superiori di secondo grado della provincia di Bari, a fronte di un aumento della popolazione studentesca. (4-07239)


   ASCANI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale 30 gennaio 1998, n. 39, all'articolo 4, comma 3, ha previsto che i soggetti in possesso di diplomi di abilitazione, separatamente conseguiti, per le classi di concorso 50/A – materie letterarie negli istituti di istruzione secondaria di secondo grado e 36/A – filosofia, psicologia e scienze dell'educazione, ovvero per le classi di concorso LXVI e XLII del pregresso ordinamento, siano da considerarsi abilitati per la classe 37/A – filosofia e storia;
   la nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 3119 con data del 1o aprile 2014, oltre a stabilire l'atipicità della classe A037, ha reso la classe medesima scorporabile e sostituibile da altre classi di concorso; in alcuni licei le ore di storia possono esser assegnate ai docenti delle classi di concorso A050 e A051, allo stesso tempo, filosofia spesso viene assegnata alla classe A036;
   la stessa succitata nota non prevede altresì che i docenti della classe A037 possano insegnare storia nel biennio delle scuole secondarie di secondo grado, almeno negli indirizzi in cui la classe di concorso A037 è presente, così come filosofia al liceo delle scienze umane –:
   se il Ministro non ritenga opportuno rivalutare, anche nei futuri decreti, l'atipicità della classe A037 ovvero scorporabile e sostituibile dalle classi A036 e A050/A051 in linea con quanto stabilito con il decreto ministeriale 30 gennaio 1998, n. 39. (4-07240)


   RONDINI e GRIMOLDI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il nuovo concorso nazionale per l'accesso alle scuole di specializzazione in medicina, si è svolto dal 28 al 31 ottobre 2014, in più di 400 sedi differenti in tutta Italia;
   il concorso era strutturato in questo modo: il 28 ottobre: prova comune composta da 70 quesiti di medicina (argomenti clinici e pre-clinici);
   il 29, 30 e 31: i candidati dovevano svolgere una prova composta da 30 quesiti di macroarea (medica, chirurgica e dei servizi clinici) uguali per tutti i candidati, seguita da una prova composta da 10 quesiti di area specialistica, differenti per ogni Scuola. Ciascun candidato poteva scegliere fino a due Scuole per ogni area;
   già dal primo giorno, come evidenziato da numerosi articoli e testimonianze dirette di partecipanti al concorso, sono emerse varie criticità:
    a) mancato rispetto delle procedure concorsuali previste nel bando in merito all'assegnazione dei posti a sedere, messo in alcuni casi a verbale;
    b) allestimento non idoneo delle sedi in cui si è svolta la prova. Diversi candidati hanno segnalato pc non adeguatamente distanziati, tastiere a disposizione dei candidati, collegamento alla rete Internet dei pc;
    c) controlli non uniformi, pertanto non adeguati, su tutto il territorio nazionale. In alcune sedi è stato possibile introdurre telefoni cellulari, come testimoniato da alcune foto circolanti su internet. Si segnala anche che in alcune aule è stato concesso ai candidati di abbandonare la postazione durante l'espletamento della prova per andare in bagno, ciò in violazione di quanto statuito dal bando;
    d) mancanza di linee guida in merito alla risoluzione di criticità intervenute durante lo svolgimento della prova. In una sede, in seguito ad un blackout, i candidati hanno ripetuto la prova a distanza di due ore, quindi non più contemporaneamente alle altre sedi nazionali, e dopo averne già visualizzato il contenuto;
    e) tutte le suddette segnalazioni dimostrano l'assenza di garanzia di condizioni paritarie fra tutti i candidati su tutto il territorio nazionale nello svolgimento delle prove, con conseguente possibilità, in alcune aule d'esame, di interazione fra gli stessi;
    f) tutte le irregolarità sopra esposte hanno immediatamente allarmato i concorrenti a livello nazionale, dando il via a segnalazioni indirizzate al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in seguito alle quali, il secondo giorno di prove, è stata inviata una circolare, letta a tutti i candidati, in cui si chiedeva un controllo più rigoroso da parte dei vigilanti e responsabili d'aula;
    g) l'irregolarità più eclatante tuttavia si è manifestata in data 1o novembre 2014, quando il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con un comunicato stampa ufficiale affermava che, a seguito dei controlli di ricognizione finali sullo svolgimento dei test, era stata rilevata una grave anomalia nella somministrazione delle prove scritte del 29 e 31 ottobre che riguardavano rispettivamente le scuole dell'area medica e quelle dell'area dei servizi clinici;
   il Cineca, il consorzio interuniversitario incaricato di somministrare i test, tramite lettera ufficiale inviata al Ministero la sera del 31 ottobre 2014, aveva ammesso «un errore nella fase di codifica delle domande durante la fase di importazione» di queste ultime nel data-base utilizzato per la generazione dei quiz;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, quindi, preso atto di quanto accaduto, stabiliva di annullare e ripetere le prove oggetto dell'errore determinato dal Cineca, ovvero i 30 quiz comuni all'area medica e i 30 comuni all'area dei servizi clinici fissando allo scopo la data del 7 novembre. Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca comunicava inoltre che il 3 novembre il Ministro Giannini avrebbe firmato apposito decreto;
   in data 3 novembre 2014, tuttavia, il Ministro Giannini non firmava alcun decreto ed il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ribaltava la propria decisione annunciando, con un secondo comunicato stampa, che le prove per l'accesso alle scuole di specializzazione in medicina del 29 e 31 ottobre non si sarebbero più dovute ripetere, avendo trovato una soluzione in grado di salvare i test;
   a seguito di un consulto con la Commissione nazionale, incaricata prima del concorso per validare le domande del quiz, nonché con l'Avvocatura di Stato, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca decideva che 28 quesiti su 30 proposti ai candidati sia per l'area medica (29 ottobre) che per quella dei servizi clinici (31 ottobre) erano comunque da ritenersi validi ai fini della selezione, poiché i settori scientifico-disciplinari di ciascuna area erano in larga parte comuni. Pertanto procedeva con la neutralizzazione di solo due domande per area;
   contrariamente a quanto affermato nel comunicato, tale decisione non ha tuttavia salvato la bontà del test, alterando invece la graduatoria in maniera sostanziale;
   non si comprende come mai inizialmente la decisione fosse quella di far ripetere le due prove invertite, basata sulla considerazione che i quesiti appartenessero a due aree differenti, come da bando, mentre con un giudizio a posteriori, la Commissione nazionale ha ritenuto i quesiti delle due aree sovrapponibili, ad esclusione di 2 domande per ciascuna area. Peraltro individuate su criteri ancora ignoti;
   la neutralizzazione delle due domande, avvenuta attribuendo 1 punto per ciascuna, ha stravolto interamente la graduatoria, uniformando il punteggio dei candidati. Giova ricordare che inizialmente era attribuito 1 punto per ogni risposta corretta, 0 punti per la risposta non data e -0,3 per ogni risposta errata. Uniformare il punteggio dei candidati, ha determinato una illegittimità che va contro il merito degli stessi. In questo modo coloro che avevano fornito le risposte sbagliate, hanno avuto un vantaggio superiore rispetto a chi aveva risposto correttamente;
   si aggiunga che non è dato sapere quali membri della Commissione nazionale hanno partecipato a tale valutazione;
   non è noto se il provvedimento di neutralizzazione dei quesiti, adottato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, necessiti di atto ministeriale ufficiale, non essendo stata emanata al momento alcuna disposizione ufficiale ad eccezione del comunicato stampa su menzionato;
   a seguito di segnalazioni inviate, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ha provveduto a neutralizzare ulteriori due quesiti, appartenenti alle prove specialistiche di malattie dell'apparato cardiovascolare e endocrinologia e malattie del ricambio, determinando anche qui una illegittimità contro il merito;
   la prova che ciascun candidato ha svolto e che può scaricare in formato PDF dal sito www.universitaly.it, risulta essere sostanzialmente modificata, poiché riporta non più le risposte realmente fornite dal candidato durante lo svolgimento della stessa, ma quelle corrette ovvero neutralizzate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Appare chiaro che, ove non esistesse più un file originale non modificabile della prova svolta dal candidato, si perderebbe la certezza dell'inalterabilità della prova concorsuale, per eventuale manomissione o contraffazione operata da soggetti terzi;
   molti dei quesiti a cui sono stati sottoposti i candidati, risultano essere quantomeno dubbi e fuorvianti, lasciando ampio spazio ad interpretabilità in merito alle possibili risposte selezionabili. In alcuni casi è possibile che più di una risposta risulti corretta, ovvero quella ritenuta ufficialmente corretta non sia in realtà tale. Dilemma che sarebbe stato evitato mediante l'indicazione di una bibliografia di riferimento, come disposto dal decreto ministeriale 30 giugno 2014 n. 105, articolo 2, comma 1;
   il punteggio medio della prima giornata di prove, in alcune sedi risulta discostarsi enormemente dalla media dei punteggi nazionali, sollevando il legittimo sospetto di svolgimento non regolare della prova da parte dei candidati di tali sedi;
   i partecipanti con ulteriori segnalazioni, hanno messo in luce un'organizzazione superficiale, lacunosa e poco trasparente del concorso:
    a) la comunicazione di sedi e orari del concorso è avvenuta oltre il termine previsto dal bando (almeno 20 giorni prima dell'inizio del concorso);
    b) la mancanza della comunicazione nei tempi adeguati del numero di concorrenti iscritti. Il numero totale dei candidati, infatti, è stato pubblicato solo il giorno di inizio del concorso. Il numero dei candidati per ciascuna scuola non è stato mai comunicato se non al momento della pubblicazione delle prime graduatorie;
    c) al momento non è noto se siano state poste in essere le dovute verifiche, capillari e non a campione, delle autocertificazioni riguardanti le tesi di laurea sperimentale e i voti che ciascun candidato ha dichiarato per ciascuna materia. Tali parametri sono stati considerati per l'attribuzione dei punteggi per il curriculum individuale, risultando determinanti per l'elaborazione della graduatoria;
    d) il  software utilizzato per la prova concorsuale, presenta presumibilmente una anomalia per cui era possibile modificare inavvertitamente e involontariamente la risposta fornita ai quesiti, cliccando in un punto differente dello schermo rispetto a quello ove doveva apporsi la spunta di selezione (in gergo «radio») modificando in questo modo la scelta del candidato;
    e) l'elevato numero delle sedi individuato non ha garantito omogeneità nei controlli dei candidati da parte del personale preposto. Nell'elenco fornito dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca compaiono 169 sedi per un totale di 442 aule. Inoltre altre sedi sono state designate per lo svolgimento del test pur non comparendo in tale elenco –:
   se il Ministro alla luce dei fatti esposti non intenda:
    a) tutelare il totale dei candidati del Concorso nazionale, poiché tutti indistintamente sono stati lesi dalle numerose irregolarità elencate e pertanto spettanti delle borse di specializzazione in sovrannumero, come forma risarcitoria;
    b) distribuire le risorse aggiuntive di medici nei policlinici universitari e nei presidi ospedalieri territoriali, in linea con l'articolo 43 del decreto-legge n. 368, 17 agosto 1999, nel rispetto degli standard formativi e garantendo un «tronco comune» tra gli atenei ed il territorio, secondo l'articolo 2 del decreto ministeriale del riassetto scuole di specializzazione di area sanitaria, 1o agosto 2005;
    c) implementare il numero dei contratti di formazione specialistica, in linea agli standard dei Paesi europei, secondo l'articolo II-74 della Costituzione europea e l'articolo 4 della Costituzione italiana;
    d) rivisitare e rielaborare il bando per l'ammissione alle scuole di specializzazione in medicina del decreto ministeriale n. 612, 8 agosto 2014, correggendo le irregolarità emerse e conservando la «Nazionalità» del concorso, a tutela dei futuri medici abilitati ed in nome del concetto di meritocrazia. (4-07260)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 10 novembre 2014 l'azienda Ottana Polimeri ha comunicato che a causa dell'attuale e contingente difficoltà attraversata, tutto il personale è collocato in Cassa integrazione guadagni straordinaria (88 lavoratori diretti e circa 300 con l'indotto);
   la Ottana Polimeri è nata nel 2010 dalla realizzazione di una società tra Indorama (leader mondiale nella produzione di polimeri) ed il gruppo Clivati (gruppo imprenditoriale italiano già presente ad Ottana), società che rileva gli impianti dalla Dow Chemical che qualche decennio prima rilevò gli impianti proprio dall'ENI;
   negli impianti di Ottana viene prodotto il polietilene tereftalato, meglio noto come PET, prodotto in granuli che viene venduto per uso alimentare alle aziende che lo trasformano in bottiglie di plastica di larghissimo consumo;
   Ottana Polimeri risulta essere l'unica azienda del settore chimico in grado di produrre nello stabilimento di Ottana, in grado di creare economia, posti di lavoro e buste paga, insieme alla centrale termoelettrica, che fornisce energia e servizi industriali;
   da ormai due anni ad oggi si sono ridotte le produzioni, poi gli impianti funzionano a tratti e infine si bloccano completamente le produzioni sino ad arrivare ad Ottana Polimeri lo spettro della cassa integrazione;
   l'atteggiamento devastante dell'ENI che abbandonò gli impianti di Ottana avviò una gravissima azione di disinvestimento e privatizzando lo stabilimento;
   in questi giorni i lavoratori della Ottana Polimeri sono in presidio davanti allo stabilimento della Sardegna centrale per scongiurare la cancellazione dell'ultimo presidio industriale di quell'area con conseguenze drammatiche sia sul piano occupazionale che economico;
   il presidio permanente all'esterno dello stabilimento rappresenta l'ultimo baluardo che tenta di scongiurare l'ennesimo delitto industriale;
   il Governo dopo aver negato il riconoscimento di essenzialità per gli impianti energetici di Ottana Energia, l'ha concessa solo sino al 30 aprile 2014, ha di fatto aggravato la difficile situazione produttiva di quell'area;
   l'essenzialità degli impianti energetici è fondamentale per dare il tempo necessario alla conversione degli impianti di produzione elettrica –:
   se il Governo non intenda intervenire con urgenza per garantire l'essenzialità per gli impianti di Ottana Energia per tutto il tempo necessario alla conversione degli impianti stessi;
   se non intenda intervenire con urgenza per definire le procedure necessarie per garantire gli ammortizzatori sociali ai lavoratori in attesa di definire la vertenza stessa. (5-04265)

SALUTE

Interrogazioni a risposta orale:


   MONCHIERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legionellosi, patologia letale con una media del 16 per cento dei casi, è una forma di polmonite batterica il cui contagio, trasmissibile per via aerea, interessa in particolar modo soggetti immunodepressi e quindi maggiormente esposti a rischio;
   l'infezione si contrae per inalazione di acqua nebulizzata contaminata dal batterio della legionella. Pertanto gli impianti di condizionamento, gli impianti idrici delle docce e perfino le vasche idromassaggio, costituiscono dei siti favorevoli per la diffusione del batterio;
   negli ultimi anni, sia in Italia che all'estero, si è registrato un significativo aumento dei casi, in particolare nell'ambito delle strutture ospedaliere e in quelle residenziali per anziani;
   poiché la legionellosi è caratterizzata da un alto tasso di mortalità, anche in conseguenza della debolezza dei soggetti esposti a rischio, in Italia è una malattia soggetta a obbligo di notifica nella classe II (DM 15 dicembre 1990), ma dal 1983 viene anche sorvegliata da un sistema di segnalazione;
   i metodi di prevenzione della legionellosi attualmente utilizzati sono principalmente lo shock termico e l'iperclorazione delle acque;
   il primo si è rivelato scarsamente efficace, a causa della difficoltà di portare a temperatura sufficientemente elevata l'acqua contenuta in impianti idrici spesso obsoleti o troppo ampi. Il secondo si caratterizza per effetti negativi su una parte delle attrezzature e degli impianti, e soprattutto per l'alterazione dell'acqua destinata al consumo umano ben oltre i limiti consentiti dalla legge. È purtroppo frequente e assolutamente paradossale che negli ospedali, a seguito di iperclorazione anti legionella, venga esposto il cartello «acqua non potabile»;
   le «Linee Guida per la prevenzione e il controllo della legionellosi», attualmente vigenti furono approvate nell'anno duemila e da allora non sono state aggiornate, mentre si registra soltanto un progetto di ricerca, avviato nel 2007, dal Ministro della salute che peraltro non si è tradotto in indicazioni operative;
   è presumibile che grazie ai progressi tecnologici degli ultimi anni siano disponibili tecnologie che consentano di eliminare le colonie di legionella senza gli inconvenienti sopra ricordati –:
   se non ritenga opportuno istituire un tavolo di lavoro, utilizzando le migliori competenze del settore, finalizzato a predisporre nuove linee guida, in grado di affrontare, con mezzi e misure adeguate, la legionellosi in modo più appropriato ed efficace. (3-01220)


   MOLEA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Ministro della salute dell'8 agosto 2014 pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 18 ottobre 2014, n. 243 contiene le Linee guida in materia di certificati medici per l'attività sportiva non agonistica; che prevedono per i praticanti detta attività una certificazione basata su alcuni accertamenti clinici e diagnostici;
   l'attività ludico motoria in base all'articolo 42-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 non esige alcuna certificazione medica;
   molte associazioni sportive e palestre non essendo chiara la distinzione fra attività non agonistiche e ludico motorie in termini di impegno fisico del praticante, caratteristiche e tipologia dell'attività, richiedono comunque una certificazione medica per attività non agonistica, la quale risulta quindi spesso essere inappropriata oltreché onerosa;
   in questo senso desta molte perplessità tra gli operatori la previsione, requisito obbligatorio per la certificazione, dell'elettrocardiogramma «una volta nella vita», intervento di scarsa efficacia preventiva per tutte le persone in buona salute, mentre occorrerebbero opportuni approfondimenti per gli affetti da patologie croniche comportanti un aumentato rischio cardiovascolare;
   una comprovata esperienza scientifica ha dimostrato poi l'inefficacia dell'utilizzo di accertamenti sanitari preventivi a livello di popolazione, se non in presenza di programmi strutturati, supportati da rigorosi studi propedeutici e da un continuo monitoraggio dei risultati;
   l'obbligatorietà di una certificazione sanitaria per accedere a determinate attività è, in modo differente per ogni regione, una misura impegnativa e onerosa, che limita la libertà individuale in relazione alla tutela della salute e dovrebbe, pertanto, essere utilizzata in modo rigoroso e non estesa indiscriminatamente a qualsiasi situazione in cui potrebbe essere esposta a rischio la salute individuale;
   l'onerosità di tale certificazione obbligatoria discrimina le persone con un basso livello di reddito e quei soggetti, in particolare disabili e minori che avrebbero più necessità di accedere alla pratica motoria;
   la prescrizione di un gran numero di elettrocardiogrammi a riposo finalizzati al rilascio del certificato, anche se spesso diversamente motivati, provoca l'aumento delle liste d'attesa e un aggravio immotivato dei costi per il sistema sanitario nazionale;
   alcune regioni, tra cui l'Emilia Romagna, si sono attrezzate per garantire a minori e disabili la gratuità del rilascio delle certificazioni di idoneità non agonistica e la possibilità di accedere agli esami necessari in tempi ragionevoli, comunque entro i 30 giorni;
   il suddetto decreto del Ministero della salute 8 agosto 2014 elude il tema più volte sollevato della differenza di trattamento tra le attività organizzate da associazioni e società sportive iscritte al registro del Coni e le medesime attività proposte al di fuori dell'organizzazione sportiva, ancorché organizzate da soggetti privati for profit o associativi non sportivi per le quali non viene richiesta alcuna certificazione ai praticanti, differenziando così la tutela della salute degli sportivi in relazione all'organizzatore e non al tipo di attività –:
   quali urgenti iniziative intenda porre in essere per garantire l'uniformità dell'applicazione del decreto ministeriale citato in premessa su tutto il territorio nazionale, evitare le richieste di certificazione inappropriate, tutelare nello stesso modo gli sportivi praticanti attività simili indifferentemente dallo status degli organizzatori;
   se non ritenga opportuno, assumere iniziative per assicurare almeno per i minori e i disabili la gratuità del rilascio delle certificazioni di idoneità non agonistica. (3-01221)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 settembre 2014, nella seduta n. 284, l'interrogante presentava al Ministro l'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03495, nella quale chiedeva quali iniziative intendesse promuovere, nel contesto della Presidenza italiana dell'Unione europea, per far approvare in via definitiva le disposizioni del regolamento del «made in» già approvate dal Parlamento europeo in data 15 aprile 2014;
   già in quella sede si segnalava il rischio di un rinvio sul dossier «made in» causato dalla richiesta di maggiori approfondimenti da parte di alcuni Paesi europei contrari alla norma;
   nella risposta alla interrogazione suddetta, pubblicata in data 15 ottobre 2014, il Ministro interrogato sul punto rispondeva che «a sostegno del forte interesse della Presidenza Italiana affinché il regolamento venga approvato nell'ambito del semestre a propria guida, il 16 settembre scorso la stessa Presidenza ha convocato – dopo quasi un anno – il Gruppo di lavoro Consumatori, che ha esaminato il testo approvato in prima lettura dal Parlamento. Per dare risposta alla richiesta unanime dei membri del Gruppo di acquisire nuovi elementi di analisi utili a facilitare la prosecuzione dei lavori a livello tecnico, la Presidenza ha chiesto alla Commissione europea uno studio di analisi sull'impatto dell'articolo 7, che la Commissione si è detta disponibile a realizzare in tempi stretti (cfr. Messaggio della Rappresentanza Permanente d'Italia presso la UE, prot. 9417 del 29 settembre 2014)»;
   nonostante, quindi le rassicurazioni espresse in quella sede dal Ministro interrogato, in data 5 dicembre 2014 le maggiori testate nazionali, tra le quali Il Sole 24 Ore, La Repubblica e Il Corriere della sera, riportavano la notizia della mancata adozione della norma a tutela del «made in» durante il semestre di presidenza italiano dell'Unione europea ed il suo rinvio alla presidenza successiva, a guida lettone –:
   considerata la mancata adozione della norma per la tutela del «made in» durante il semestre di presidenza italiana della Unione europea, quali iniziative intenda intraprendere il Governo per agevolare l'adozione del regolamento, posto che la tutela del «made in» è ritenuta tutti gli operatori economici del nostro Paese uno strumento strategico ed essenziale per la protezione delle produzioni di qualità italiane. (5-04267)

Interrogazione a risposta scritta:


   COZZOLINO, D'INCÀ, BENEDETTI e ROSTELLATO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   sul Corriere della sera dell'8 dicembre 2014 è stato pubblicato un articolo dal titolo «Quell'errore da evitare sui Festival del cinema» all'interno del quale si riporta la notizia che il Ministero dello sviluppo economico, in accordo con il Ministero dei beni ne delle attività culturali e del turismo, starebbe per stanziare un sovvenzionamento di circa due milioni di euro a favore del Festival del cinema di Roma;
   tale decisione appare agli interroganti immotivata e soprattutto discriminatoria nei confronti delle altre manifestazioni cinematografiche organizzate nel nostro Paese, che a quanto si riferisce nell'articolo non sarebbero considerate dall'intervento del Governo;
   in particolare, sorprende che, nel momento in cui il Governo ritiene di dover sostenere un settore come quello relativo alla produzione cinematografica nazionale, non venga presa minimamente in considerazione una tra le più antiche e autorevoli manifestazioni cinematografiche nell'intero panorama mondiale come quella della Mostra di Venezia, preferendo invece sovvenzionare una manifestazione che secondo gli interroganti vive più grazie al sostegno della politica che non alla propria autorevolezza o alle capacità d'impresa –:
   se quanto riportato in premessa in merito allo stanziamento di un finanziamento al Festival del cinema di Roma corrisponda al vero e, in caso affermativo, quali siano le motivazioni che lo giustifichino;
   quali interventi intendano adottare Ministri interrogati a sostegno della Mostra cinematografica di Venezia e delle altre manifestazioni che si svolgono in Italia. (4-07241)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Frusone 5-03395, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Baroni.

  L'interrogazione a risposta scritta Ricciatti 4-07087, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sannicandro.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Sottanelli n. 5-04203, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vitelli.

  L'interrogazione a risposta scritta Pellegrino e altri n. 4-07146, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Massimiliano Bernini.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza urgente Scotto n. 2-00752 del 19 novembre 2014;
   interpellanza urgente Latronico n. 2-00766 del 30 novembre 2014.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Battaglia n. 5-02037 del 30 gennaio 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-07258;
   interrogazione a risposta in Commissione Battaglia n. 5-03296 del 23 luglio 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-07257.