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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 4 dicembre 2014

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   il 20 febbraio 2014 la Commissione europea ha comunicato all'Italia l'apertura della procedura di infrazione relativa al caso EU-Pilot 1611/10/ENVI avviato per la violazione degli articoli 7 e 9 della direttiva n. 79/409/CEE, cosiddetta direttiva uccelli, e in particolare per il permanere, nel nostro Paese, delle deroghe alla normativa venatoria relativa alla cattura degli uccelli da utilizzare come richiami vivi, una pratica anacronistica e crudele che lede ogni diritto degli animali e del loro benessere;
   nella lettera del febbraio 2014, la Commissione europea ha anche ribadito l'esistenza di valide alternative all'uso degli uccelli migratori come richiami vivi, quali ad esempio i richiami a bocca; alternative che le regioni italiane «in deroga» non hanno mai dimostrato di aver sperimentato;
   a seguito dell'apertura di tale procedura, che potrebbe costare al nostro Paese decine di milioni di euro (la sanzione minima per l'Italia è stata determinata in 9.920.000 euro, mentre la penalità di mora può oscillare tra 11.000 e 700.000 euro per ogni giorno di ritardo nel pagamento, in base alla gravità dell'infrazione) durante la discussione sulla legge europea bis il Governo ha tentato di risolvere l'emergenza scaturita dalla lettera della Commissione europea apportando alcune modifiche all'articolo 4 alla legge 157 del 1992;
   tali modifiche, poi ricalcate dal decreto del 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 116 dell'11 agosto 2014, ad avviso degli interroganti, non sarebbero state sufficienti a risolvere il caso anche se, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Sandro Gozi ha dichiarato che: questa posizione del Governo chiude la procedura di infrazione;
   la Commissione dell'Unione europea ha poi, di fatto, smentito le parole del Sottosegretario attraverso una comunicazione del 28 luglio 2014 nella quale si legge che «tale modifica normativa non sia sufficiente a porre fine alla violazione degli articoli 8 e 9 della Direttiva Uccelli» e anche che le autorizzazioni in deroga all'articolo 9 sarebbero «illegittime in quanto violerebbero gli articoli 8 e 9 della direttiva uccelli (..) in primis per la mancanza di dimostrazione dell'esistenza di valide alternative»;
   il 26 novembre 2014 l'Europa ha inviato all'Italia il parere motivato sull'apertura della procedura di infrazione, anticamera del deferimento alla Corte di Giustizia e ultimo passo prima della definitiva condanna a pagare che sarà avviata entro dopo due mesi da questa notifica;
   il Ministro degli affari regionali su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a seguito di tale notifica ha immediatamente trasmesso ai presidenti delle regioni Lombardia ed Emilia Romagna una diffida in cui si chiede di annullare, entro 15 giorni, le delibere delle due regioni che, rispettivamente nel giugno e nel luglio scorso, hanno autorizzato l'attivazione di impianti di cattura di uccelli selvatici da utilizzare poi come richiami vivi, ma non si tratta ancora di misure sufficienti a risolvere definitivamente la procedura, poiché manca il tassello finale da parte del Governo di vietare definitivamente, e senza possibilità di deroga, questa pratica in tutto il Paese –:
   come intenda risolvere, in maniera definitiva, l'incompatibilità del diritto italiano con quello comunitario in materia di richiami vivi nell'attività venatoria al fine di chiudere la procedura di infrazione e scongiurare così il pagamento, per il nostro Paese, di un'elevata sanzione pecuniaria.
(2-00775) «Gagnarli, L'Abbate, Gallinella, Benedetti, Massimiliano Bernini, Lupo, Parentela».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DAGA, VIGNAROLI e SEGONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'anno scorso è stata presentata dagli stessi interroganti l'interpellanza n. 2-00331 riguardante il «raddoppio» dell'aeroporto Leonardo Da Vinci di Fiumicino denominato «Fiumicino Nord» che, ad oggi, attende ancora una risposta; in quell'interpellanza venivano rilevate numerose criticità, i dubbi sulla regolarità procedurale, possibili violazioni del quadro normativo vigente, la gravissima inidoneità del sito, sia per la sicurezza idrogeologica che per la ricaduta dell'impatto ambientale, riguardanti il progetto in questione;
   da parecchi giorni, oramai, vengono avvistati dai cittadini del comune di Fiumicino macchinari che effettuano trivellazioni e sondaggi per investigare il sottosuolo nei terreni di Maccarese (sia nella Zona 2 che nella Zona 1, ovvero quella di massima tutela) adiacenti all'aeroporto di Fiumicino e di queste trivellazioni si è interessata anche la stampa locale e nazionale a causa di un incendio avvenuto nella notte tra giovedì 13 e venerdì 14 novembre 2014 (come riporta il quotidiano Il Messaggero, in via della Trigolana, a pochi metri dall'estremità nord dell'aeroporto, un incendio «ha distrutto una trivella della società “Spea” incaricata da Aeroporti di Roma spa di effettuare carotaggi nei terreni contigui alla pista 3», e come riporta Fregene Online: «Da una settimana le trivelle della ditta Spea avevano cominciato a saggiare i terreni della Maccarese spa nella zona di via dell'Olivetello, Campo Salino e via della Trigolana, suscitando le immediate preoccupazioni di tutti i residenti della zona considerato che proprio in quelle aree è previsto il raddoppio del Leonardo Da Vinci)»;
   il Comitato «FuoriPista» ha avuto conferma da parte del sindaco di Fiumicino, Esterino Montino, e della «commissione riserva» della «Riserva naturale statale Litorale Romano» (di cui fanno parte i terreni dove erano posizionate le trivellatrici) che non è stata richiesta né data alcuna autorizzazione all'esecuzione delle trivellazioni da parte delle autorità competenti;
   la società Aeroporti di Roma, con una nota del 14 novembre 2014, ha dichiarato che «gli interventi realizzati a Maccarese rientrano nella normale e prevista attività di monitoraggio del terreno circostante il sedime aeroportuale»;
   recentemente in prossimità delle aree in oggetto sono già state coinvolte in un ben noto disastro ambientale causato dalla fuoriuscita di oltre 30.000 litri di cherosene da un oleodotto che rifornisce l'aeroporto di Fiumicino;
   il Ministro interrogato, durante la presentazione in conferenza stampa del decreto «Sblocca Italia», il giorno del 30 agosto 2014, ha dichiarato che il raddoppio dell'aeroporto Leonardo Da Vinci avrebbe fatto parte delle grandi opere incluse nel decreto in questione, ma tale opera non viene riportata tra quelle elencate come cantierabili nell'articolo 3, comma 2, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (misure urgenti per l'apertura dei cantieri, realizzazione di opere pubbliche, digitalizzazione del Paese, semplificazione burocratica, emergenza del dissesto idrogeologico e ripresa delle attività produttive) –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti, quali siano le intenzioni al riguardo e quali azioni intenda intraprendere in merito al progetto denominato «Fiumicino Nord»;
   quali siano le azioni concrete che intende attivare, per quanto di competenza, al fine di garantire e tutelare la sicurezza ambientale, naturale, idrogeologica del contesto territoriale di riferimento. (5-04231)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo fonti di stampa, presso il Ministero dell'economia e delle finanze sarebbe in atto una profonda frattura tra la Presidenza del Consiglio e alcuni alti dirigenti che non vogliono sottostare alle richieste del Premier Renzi al punto da arrivare alle dimissioni: il capoeconomista del Tesoro Lorenzo Codogno si è dimesso e ora si sta cercando il successore; Vieri Ceriani, consigliere per il fisco in via XX Settembre, ha presentato anche lui le dimissioni, bloccate per ora dal Ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan (così come erano state bloccate in un primo momento quelle di Codogno);
   la crisi sarebbe in atto anche con la dirigente generale del dipartimento finanze del Ministero, indicata da Palazzo Chigi come responsabile dei ritardi sulla riforma fiscale;
   le divisioni tra tecnocrati e politica sembrano vertere soprattutto su due fronti: da un lato sulla politica fiscale dettata da Palazzo Chigi e dall'altro, più generale, sui saldi di finanza pubblica;
   la causa del profondo malumore dei tecnici sarebbe dovuta al fatto che «alcune delle figure di punta si considerano per la prima volta emarginate da Palazzo Chigi dall'elaborazione della manovra di bilancio», visto che si troverebbero a sollevare alcuni problemi di merito su aspetti cruciali come le coperture finanziarie della legge di stabilità, tramite i tagli annunciati o la lotta all'evasione;
   a far dubitare alcuni, c’è anche il fatto che la stima di decrescita del prodotto interno lordo nel 2014 sarebbe troppo ottimistica, perché non terrebbe conto del fatto che la recessione sta continuando anche in autunno, come sottolineato in questi giorni anche dalla Banca d'Italia e dall'Istat, e con un'economia più piccola, salterebbero a catena anche le metriche di contenimento del deficit e del debito in chiusura d'anno e nel 2015;
   Roberto Codogno, sulle cui dimissioni più volte annunciate ma smentite dal Governo l'interrogante aveva già depositato un'interpellanza ancora senza risposta, era tra le figure di spicco del Ministero dell'economia e delle finanze, capo dell'analisi e della programmazione economia e finanziaria, e avrebbe rassegnato le dimissioni perché non credeva più alla «versione dei fatti sull'Italia che, istituzionalmente, è tenuto a fornire a manager dietro i quali si trovano migliaia di miliardi di fondi internazionali in cerca di investimenti», come riportato dalla stampa;
   con un master di finanza alla Syracuse University di New York e un passato in Bank of America a Londra, Codogno era in pratica colui che curava tutti i documenti con i quali il Governo pianifica la legge di stabilità, l'andamento dell'economia, quello del deficit e del debito pubblico, e colui che insieme alla dirigente generale Maria Cannata, parlava agli investitori internazionali per convincerli a comprare i titoli del debito pubblico italiano;
   Ceriani, allievo di Federico Caffè, ex Banca d'Italia, è stato il super-tecnico delle politiche fiscali nei Governi di centro sinistra, collaboratore di Vincenzo Visco, ma della sua competenza si sono poi avvalsi anche i Governi di centrodestra e quello tecnico di Mario Monti, che l'ha voluto come Sottosegretario;
   dai dati Istat relativi al terzo trimestre 2014 diffusi in questi giorni, emerge che l'economia italiana ha registrato una contrazione dello 0,1 per cento rispetto al trimestre precedente, con un quadro di consumi fermi e crollo degli investimenti: rispetto allo stesso periodo del 2013, l'economia italiana è arretrata dello 0,5 per cento contro il calo dello 0,4 per cento stimato il 14 novembre, e nel terzo trimestre 2014 tutti i comparti dell'economia italiana hanno mancato l'obiettivo della crescita;
   la domanda interna è al palo: nell'ultimo triennio i consumi delle famiglie sono diminuiti del 10,7 per cento pari ad una contrazione sul mercato di oltre 78 miliardi di euro, come affermato da Adusbef e Federconsumatori, a commento dei dati sul prodotto interno lordo prodotti dall'Istat;
   la Commissione europea ha affermato in questi giorni che l'Italia è a «rischio di non conformità» con il patto di Stabilità, aggiungendo che Bruxelles «valuterà la situazione a inizio marzo 2015», insieme a quella di Francia e Belgio; il commissario Pierre Moscovici ha dichiarato che, «in caso di esito negativo, la Commissione non esiterà ad assumersi le sue responsabilità proseguendo con le procedure d'infrazione nei confronti del nostro Paese» –:
   se non si intenda fare luce su quanto starebbe avvenendo presso il Ministero dell'economia e delle finanze, come esposto in premessa, visto che a quanto sembra non si tratta più di un caso isolato di dimissioni, su cui l'interrogante aveva già chiesto delucidazioni, ma di una sorta di fenomeno che coinvolge diversi tecnici, persone di grande levatura e preparazione nelle materie di economia e finanza, la cui perdita come esperti non può certo essere cosa da poco, e sembra delineare un malessere profondo e preoccupante nei confronti della politica di questo Governo;
   se il Governo non consideri consono e dovuto fare chiarezza sulle reali condizioni e prospettive economiche del Paese, visto questo esodo di esperti dal Ministero dell'economia e delle finanze, ma anche visti i preoccupanti dati Istat, le incalzanti richieste e velate minacce dell'Unione europea, e soprattutto il disagio degli italiani, alle prese oramai da più di otto anni con una crisi economica che non può certo essere scongiurata né migliorare solo grazie a stime ottimistiche o slogan, mentre il Paese resta, a quanto pare, esposto al rischio del default e delle sanzioni da parte dell'Unione europea. (4-07152)


   FORMISANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   sono ripresi nel quartiere Gallaratese di Milano i lavori di scavo per il progetto «Vie d'acqua. Expo 2015» che passano per la ex-cava sita tra Via Quarenghi, Via Castellanza e Via Gallarate;
   da 10 anni quell'area è stata recintata e dichiarata dal comune «area sotto protezione»;
   risulterebbe all'interrogante che il verde attrezzato previsto in quell'area dalla convenzione edilizia «Giardini di Bonola» non sia stato ivi realizzato a cagione del terreno trovato «inquinato» all'avvio degli scavi già nel 2002;
   risulterebbe altresì che nella stessa zona il grande complesso «My Bonola», in costruzione tra via Castellanza e via Gallarate, sia fermo per il fallimento dell'impresa, dovuto all'importante spesa affrontata per bonificare e disinquinare il sottosuolo anche da amianto (eternit depositato) e al tempo perso;
   lo stesso cantiere per «Le Vie d'acqua. Expo 2015», installato nell'area ex-cava tra via Quarenghi e via Castellanza un anno fa, è stato chiuso e disinstallato dopo che il consiglio di zona 8 aveva fatto presente i rischi, insiti nell'intervento, per la salute della popolazione e degli stessi operai impegnati;
   malgrado quanto sopra riportato sembrerebbe anormale l'insistenza nel voler realizzare i lavori per l'Expo nella predetta ex-cava per una variante apportata al progetto che prevede in quella zona la perforazione del sottosuolo a notevole profondità con la posa sotterranea di tubature che dovrebbero smaltire le acque del sito Expo, confermandosi il percorso del precedente progetto di superficie, già a ragione contestato, senza previe analisi e preventiva bonifica dei terreni sopracitati da tempo risultati e dichiarati inquinati;
   questa importante criticità avrebbe invece dovuto portare a ridisegnare il percorso del progetto in presenza, tra l'altro, di serie e più economiche alternative avanzate dalla Associazione «Italia Nostra» con l'avallo di professori del Politecnico di Milano fin dal 2010;
   la presenza di amianto, rilevata nell'area del complesso «My Bonola» un anno fa, e la dichiarazione di area inquinata, attribuita al sito in riferimento, destano nei cittadini che abitano nei luoghi circostanti un vivissimo allarme per i rischi alla loro salute, anche dopo le recenti notizie su corruzioni e turbative d'asta per una offerta di appalto di «minor costo» riguardanti il progetto «Vie d'acqua. Expo 2015», che alimentano giustificabili sospetti su interessi economici occulti in dispregio della salute dei cittadini e del bene comune;
   tali preoccupazioni hanno portato diversi cittadini a rivolgersi anche alla magistratura per avere quella tutela che, però, deve essere prioritariamente e preventivamente assicurata dalla pubblica autorità di ogni livello –:
   se il Governo sia a conoscenza del fatto sopra riportato e quali immediate iniziative di competenza intenda porre in essere affinché, previa eventuale sospensione dei lavori, le autorità competenti svolgono celeri e approfondite analisi sullo stato dei luoghi da mettere a disposizione dei cittadini presso il consiglio di zona 8 di Milano, onde possano compierne adeguata verifica. (4-07160)


   BECHIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 novembre 2014 sul quotidiano la Repubblica è apparso un articolo dal titolo «“Chi fa ricerca paga meno tasse” la guerra dei cervelli tra Italia e Francia» a firma di FEDERICO FUBINI di cui si riportano di seguito alcuni stralci:
    (...) Dai grandi gruppi ai piccoli marchi: almeno 150 delle nostre imprese hanno spostato oltralpe parte della loro attività (...) Sono imprese di ogni settore, dalla farmaceutica alla meccanica, dalla chimica al tessile, che si muovono dalla pianura padana per impiantarsi dall'altra parte delle Alpi occidentali. Sono attratte da incubatori creati dal governo, come a Briancon, o più spesso da un magnete ancora più potente: sgravi sulle tasse dieci volte più incisivi che in Italia su ogni spesa catalogabile sotto la voce ricerca, sviluppo, innovazione. L'anno scorso i progetti di investimento del made in Italy in Francia sono stati 64, per 2.500 posti di lavoro, e solo Stati Uniti e Germania hanno fatto di più. Una stima dell'Agenzia di Parigi per gli investimenti internazionali indica che circa 150 aziende italiane potrebbero aver già spostato almeno parte della ricerca in Francia. (...) Parigi concede uno sgravio fiscale di 323.500 euro in media per ogni impresa che sposti la ricerca in Francia. (...) a Milano opera l'ufficio dell'Agenzia francese per gli investimenti italiani: quattro persone, oltre al direttore Hervé Pottier. Ogni mattina l'ufficio setaccia una rassegna dei giornali locali di tutt'Italia, in cerca di notizie su imprenditori che dichiarino di voler crescere all'estero, o rafforzare gli investimenti in ricerca. «Non appena leggiamo qualcosa del genere, visitiamo le aziende per mostrare le opzioni di credito d'imposta — spiega Pottier —. Qui l'interesse è enorme, molto evidente». (...) La Francia è ormai il polo europeo della ricerca, come la Germania lo è per l'industria o Londra per la finanza;
   quelli che vuole non sono posti di lavoro come gli altri. Sono ricercatori, scienziati, ingegneri, programmatori. Enrico Moretti, un'economista dell'Università della California a Berkeley, stima che per ogni posto di lavoro del genere se ne generino in media altri cinque in attività accessorie: ristoranti, hotel, palestre, scuole private per i figli. Ogni cervello attratto o attivato su un distretto sprigiona un effetto moltiplicatore;
   (...) Nel 2013, i crediti d'imposta a ricerca e innovazione sono costati al bilancio di Parigi 5,8 miliardi di deficit in più (...). Questa ha tutta l'aria di una battaglia impari a colpi di concorrenza fiscale per i cervelli e c’è da chiedersi se sia leale: l'Italia rispetta i tetti del Patto di stabilità sul deficit, mentre la manovra di Parigi non è stata respinta da Bruxelles benché il disavanzo viaggi da anni ben oltre le soglie. Hollande usa questo spazio di bilancio per sottrarre investimenti, posti di lavoro ad alto valore e gettito fiscale ai Paesi che affrontano sacrifici pur di evitare una procedura del Fiscal Compact. Ha senso ? «Se la politica serve a qualcosa — replica Pottier dell'Agenzia francese per gli investimenti italiani — è proprio perché deve fare delle scelte e indicare priorità a costo di essere impopolare» –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto e quali azioni anche in sede europea, intenda adottare al fine di aumentare concretamente l'offerta di posti di lavoro nella ricerca;
   se il Governo ritenga doveroso attuare iniziative anche di tipo normativo al fine sia di arginare l'emigrazione di personale qualificato con competenze nei campi scientifico, tecnologico, ingegneristico e matematico, sia al fine di stimolare la capacità del sistema di creare e diffondere le competenze poc'anzi elencate, quindi, con un livello adeguato di spesa in ricerca e sviluppo e, in caso affermativo, in che modo. (4-07175)


   BECHIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 novembre 2014 sul quotidiano Corriere della sera è apparso un articolo dal titolo «Disfida dello zucchero tra Italia e Oms Lorenzin: sbagliato dimezzarne l'uso» a firma di Margherita De Bac di cui si riportano di seguito alcuni stralci:
   «Zucchero, il nuovo tabacco»? Pare sostenerlo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, l'Oms, che porta avanti anche attraverso una consultazione popolare su internet una battaglia contro il più dolce degli alimenti.
  La proposta è di dimezzarne il consumo dal 10 al 5 per cento del totale delle calorie assunte quotidianamente. La raccomandazione non esonera le aziende, che sarebbero costrette così a commercializzare prodotti privati di una buona parte della sostanza più gradevole per il palato.
  (...) Beatrice Lorenzin, ministro della Salute, impegnata a difendere il made in Italy nel semestre europeo a guida tricolore: «No a diktat senza base scientifica. È un'aggressione alle nostre tradizioni dolciarie. Poi però viene ammessa l'invasione di biscotti, barrette e cose simili con aspartame (un edulcorante artificiale ndr)».
  (...) «È un falso pretesto quello di porre un freno al dilagare dell'obesità, diabete e malattie cardiovascolari attraverso azioni del genere, che penalizzano i marchi italiani. Non si risolve nulla, ci vogliono iniziative di altro tenore». Il ministro pensa all'educazione alimentare a scuola, alla scelta corretta dei cibi (freschi anziché confezionati), alla promozione dell'attività fisica, al sostegno della dieta mediterranea.
  (...) Per Andrea Ghiselli, membro del Cra (Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura) la controffensiva dell'Oms non ha senso: «La raccomandazione è di contenere il consumo di zuccheri aggiunti, inclusi miele e succhi di frutta. Esempio, se il fabbisogno giornaliero è di 2.000 calorie si dovrebbe togliere l'equivalente di 5 bustine di zucchero, 25 grammi. È una riduzione punitiva sul piano del gusto. Oltretutto non c’è alcun vantaggio per la salute» –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo anche in sede europea per difendere il made in Italy. (4-07176)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   PELLEGRINO, FRANCO BORDO, FIORIO, MATARRESE, GALLINELLA, SCHULLIAN, ALFREIDER, BRANDOLIN, CAPUA, CIMBRO, COSTANTINO, DURANTI, DANIELE FARINA, GAGNARLI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, L'ABBATE, LA MARCA, MARCON, MELILLA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PESCO, PIRAS, PRINA, QUARANTA, RICCIATTI, ROMANINI, PAOLO ROSSI, SBROLLINI, SCHIRÒ, SCOTTO, TACCONI, TOFALO, VILLECCO CALIPARI, ZACCAGNINI, ZANIN e ZARATTI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 10 dicembre 2010 la Commissione europea ha avviato una procedura Pilot (EUPilot 1611/10/ENVI) nei confronti dello Stato italiano in cui la pratica della cattura degli uccelli da utilizzare come richiamo vivo, veniva considerata essere una violazione alle prescrizioni dell'articolo 9 della direttiva comunitaria 2009/147/CE (cosiddetta direttiva uccelli);
   nella medesima procedura la Commissione chiedeva allo Stato italiano quali iniziative intendesse assumere al fine di garantire il pieno recepimento della direttiva uccelli e la sua corretta applicazione;
   nel novembre del 2013 il Governo italiano ha inviato alla Commissione europea una proposta di modifica della legge italiana che avrebbe rimandato la pratica della cattura dei richiami vivi al regime di deroga previsto dall'articolo 9 della direttiva uccelli, recepito dall'articolo 19-bis della legge n. 157 del 1992;
   la Commissione europea, ritenendo inadeguata ed insoddisfacente la proposta di modifica avanzata dal Governo italiano, nel febbraio del 2014 ha trasmesso al Governo italiano la lettera di messa in mora aprendo di fatto una vera e propria procedura di infrazione  a carico dello Stato italiano per la violazione degli articoli 8 e 9 della direttiva uccelli (procedura di infrazione 2014/2006);
   nella lettera di messa in mora la Commissione aveva ampiamente spiegato che la cattura degli uccelli selvatici con le reti, a fini di utilizzo quale richiamo vivo nella caccia di varie specie, è una pratica (non solo vietata ma) per niente necessaria, esistendo «numerose valide alternative alla cattura di uccelli per la cessione a fini di richiamo mediante reti»;
   con il decreto-legge n. 91 del 2014, poi convertito dalla legge n. 116 del 2014, il Governo ha introdotto modifiche alla legge n. 157 del 1992 che sebbene vietassero in modo esplicito la cattura degli uccelli selvatici ai fini di richiamo vivo, prevedeva comunque questa possibilità sotto il regime di deroga rimandando ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la definizione dei metodi consentiti per la cattura e quelli vietati;
   il 28 luglio 2014 la rappresentanza permanente dell'Italia presso l'Unione europea a Bruxelles ha trasmesso al Governo italiano la lettera della Commissione europea, direzione generale ambiente del 18 luglio 2014 [ENV. D.2/LSvf/ARES(2014)] con cui si informa che i cambiamenti apportati alla legge n. 157 del 1992 con il decreto-legge n. 91 del 24 giugno 2014, sebbene apprezzabili, non siano «di per sé sufficienti a porre fine alla violazione agli articoli 8 e 9 della direttiva Uccelli, oggetto di procedura d'infrazione 2014/2006»;
   nell'autunno di quest'anno le regioni Lombardia ed Emilia Romagna hanno autorizzato, ad avviso degli interrogati in modo assolutamente non conforme alla normativa, la cattura di uccelli selvatici per la cessione ai fini di richiamo;
   il 26 novembre 2014 la Commissione europea ha inviato al Governo italiano il parere motivato sulla procedura di infrazione 2014/2006, comunicando che l'Italia, entro due mesi, deve adottare tutte le misure necessarie per garantire la conformità della legge italiana alla direttiva uccelli, pena il deferimento alla Corte di giustizia europea;
   oltre ai richiami della Commissione rispetto all'osservanza della direttiva, larga parte dei cittadini italiani ha espresso, nei mesi scorsi, forte disapprovazione nei confronti di tale pratica –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano porre in essere per vietare definitivamente la cattura degli uccelli selvatici ai fini di richiamo vivo e soddisfare così le richieste della Commissione europea e far sì che la procedura sia positivamente risolta. (4-07146)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   secondo le norme vigenti è previsto che entro il prossimo 31 dicembre venga definito il sito unico nazionale per lo stoccaggio delle scorie nucleari;
   secondo fonti autorevoli tale piano sarebbe stato già definito e il 15 dicembre prossimo verrebbe trasmesso formalmente da Sogin ai componenti tecnici delle commissioni appositamente insediate da parte del Governo;
   tali componenti hanno già avuto contatti con Sogin e da questi sarebbe emersa l'esistenza di un quadro d'insieme che individuerebbe 6 regioni tra le quali scegliere l'ubicazione del sito, tra queste in modo del tutto arbitrario sarebbe stata compresa anche la regione Sardegna;
   tale ipotesi sarebbe avversata dal popolo sardo con ogni strumento di contrapposizione utile ad escludere senza alcun tipo di margine un progetto del tutto surreale e destituito di ogni valutazione tecnica e giuridica;
   oltre alle pregresse posizioni già espresse, sin dal 2003, nell'ambito della conferenza Stato regioni dagli interpellanti in qualità di presidente della regione Sardegna si registra un pronunciamento deciso e senza appello di un apposito referendum popolare che ha bocciato qualsiasi ipotesi in tal senso;
   il fatto che la regione Sardegna, dopo essere costretta a sopportare un carico statale senza eguali, dalle basi militari alla petrolchimica, dall'essere la Regione più gravata da aree inquinate da attività industriali a sopportare la nefasta distrazione dello Stato in tema di energia e trasporti, venga solo inserita in un'ipotesi così demenziale mobiliterebbe il popolo sardo in modo deciso e determinato;
   già nei mesi scorsi all'atto della pubblicazione della guida tecnica avvisai gli esponenti del Governo di non commettere tale grave errore che violerebbe le stesse norme statutarie di rango costituzionale della regione Sardegna;
   l'Ispra aveva pubblicato, con notevole ritardo, la guida tecnica n. 29 relativa ai criteri per l'individuazione del sito per la realizzazione del deposito unico nazionale per le scorie nucleari;
   il documento non indica una precisa località ma tutti i documenti e studi richiamati riportano alla Sardegna;
   il piano dell'Ispra per individuare il deposito unico pubblicato è una sovrapposizione di documenti impressionante ma che ha un comune denominatore: escludere tutte le aree a rischio;
   l'Ispra arriva alla Sardegna per esclusione di tutto il resto;
   carte e mappe che indicano rischi, pericoli, e che in sintesi affermano che la Sardegna sarebbe la terra più sicura per le scorie nucleari;
   nel documento dell'Ispra denominato guida tecnica n. 29 sono indicati criteri, ma ad una più attenta e dettagliata analisi si arriva a capire qual è il progetto: realizzare il deposito unico nazionale in Sardegna;
   a decidere tutto sono i criteri di esclusione individuati da lspra;
   prima di tutto vengono escluse le aree vulcaniche attive e quiescenti, poi quelle contrassegnate da sismicità elevata e infine quelle interessate da fenomeni di fogliazione;
   la Sardegna secondo tutti i piani connessi e richiamati non rientra in alcun modo in queste prime tre priorità di esclusione;
   le simulazioni geosatellitari confermano che la Sardegna sarebbe l'unica regione d'Italia a corrispondere a questi criteri individuati;
   il database realizzato dagli Stati Uniti (Database of individual seismogenic sources) individua in modo esplicito l'unica regione che sarebbe esente da pericoli;
   tutti questi elementi che vengono tenuti sotto traccia, ma che di fatto sono allegati alla guida tecnica, rappresentano un elemento di gravità assoluta proprio perché si sta tentando di mettere in piedi un piano che lasci poca scelta alla Sogin, per individuare la Sardegna come terra di conquista per le scorie nucleari;
   dalla pubblicazione del piano era emerso sin da subito con chiarezza il richiamo alla stabilità geologica, geomorfologica e idraulica. Un parametro univoco posto alla base del piano che secondo gli interpellanti finisce inesorabilmente per puntare sulla Sardegna;
   la Sardegna, secondo gli interpellanti non può e non deve essere minimamente contenuta nemmeno come ipotesi nei criteri per la realizzazione del deposito unico nazionale delle scorie nucleari;
   questo piano di deposito unico nazionale che non si farà mai né in Sardegna né in Italia;
   si tratta di un'operazione solo per spendere risorse senza controllo così come è stato sino ad oggi;
   il deposito nucleare unico sarà l'ennesimo pozzo senza fondo;
   questo piano è solo uno strumento delle lobby del nucleare e degli appalti che puntano a progettare, spendere con troppi omissis che non possono in alcun modo essere accettati;
   le carte e gli studi allegati e tenuti di fatto sotto traccia sono emblematici di un disegno studiato a tavolino e che non lascia adito a dubbi;
   il Governo deve immediatamente sconfessare questa ipotesi e dire con chiarezza e trasparenza quello che intende fare;
   non può il Governo continuare a sfuggire e delegare su una vicenda talmente delicata per la quale serve serietà e correttezza;
   si tratta di miliardi di euro di scorie nucleari, realizzare un deposito unico nazionale, mantenere in piena efficienza le centrali esistenti e soprattutto un grande business nucleare;
   si paventa un fiume di denari verso le lobby nucleari che va immediatamente fermato;
   la Sardegna è contraria a qualsiasi ipotesi di deposito unico nucleare contraria senza se e senza ma;
   già nel 2003, gli interpellanti, da presidente della regione bloccò il piano del generale Jean per la realizzazione del deposito unico nazionale facendo in modo che la conferenza dei presidenti approvasse la sua proposta di rigettare integralmente quel piano che ora si tenta di riproporre;
   il fatto che diversi soggetti legati a Sogin affermino che la Sardegna sarebbe un sito ideale per il deposito unico nazionale di scorie nucleari e come tale viene indicata insieme alle altre cinque regioni è un fatto di una gravità inaudita;
   va ridiscussa alla radice la decisione di realizzare un deposito unico nazionale alla luce di valutazioni di natura scientifica, economica e di opportunità;
   esistono proposte in tal senso che la Sardegna ha avanzato undici anni fa condividendo l'impostazione del fisico Carlo Rubbia che aveva messo a punto un piano di ricerca per l'abbattimento della radioattività delle scorie;
   un deposito unico nazionale dal quale devono, comunque, essere escluse, senza se e senza ma, realtà come la Sardegna che hanno sia sul piano normativo costituzionale che popolare escluso la volontà di ospitare tale sito unico nazionale –:
   se non ritenga di dover smentire questa possibilità e intervenire per disporre un cambio di rotta deciso sul deposito unico nazionale;
   se non ritenga di dover escludere la regione Sardegna da questa scellerata ipotesi;
   se non ritenga anche per ragioni di ordine pubblico di evitare che tale ipotesi venga solamente palesata.
(2-00774) «Pili, Pisicchio».

Interrogazione a risposta scritta:


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, PESCO, ALBERTI, CARINELLI, CASO, MANLIO DI STEFANO, PETRAROLI e DE ROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 luglio 1976, dallo stabilimento ICMESA di Meda uscì una nube altamente tossica contenente varie sostanze inquinanti tra cui la molecola di TCDD (tetraclorodibenzo-p-diossina) che contaminò 1810 ettari di territorio nei comuni di Seveso, Cesano Maderno, Meda, Bovisio Masciago, Desio e, in parti più piccole, Barlassina, paesi siti in provincia di Monza e Brianza e disposti sulla traiettoria di imminente costruzione dell'autostrada pedemontana Lombarda;
   tale contaminazione è tutt'ora presente sostanzialmente nella stessa quantità di allora, come confermato da studi terminati nel 2003 svolti dal FLA (Fondazione Lombardia per l'ambiente) e da rappresentanti dei comuni di Seveso, Meda, Cesano Maderno e Desio e da successivi studi svolti nel 2008 dalla società Pedemontana a seguito delle prescrizioni del CIPE (comitato interministeriale per la programmazione economica) sul progetto preliminare, limitatamente ai comuni di Cesano Maderno, Seveso e Meda, ai fini della verifica della presenza residua di diossina all'interno del suolo del territorio interessato dall'incidente ICMESA del 1976;
   la molecola TCDD è un inquinante organico persistente e non è possibile rallentare il processo di diffusione della stessa nell'aria, nell'acqua e nelle catene alimentari, dato che la sostanza, una volta emessa in caso di incidenti industriali (come per il disastro di Seveso) o di dispersioni nell'ambiente (come per inceneritori e grandi impianti industriali che utilizzano il principio della combustione), penetra in tutti gli esseri viventi (piante, animali, uomo), nelle catene alimentari, nelle acque e nei terreni, con effetti che risultano essere irreversibili;
   la sostanza, altamente tossica, è stata classificata dalla IARC (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) come cancerogeno certo e inserita nel gruppo 1, quello riguardante gli inquinanti più pericolosi. È in grado di provocare danni gravissimi alla salute e tumori a pelle, cuore, reni, fegato, stomaco, sistema linfatico, creare malformazione nei feti umani con conseguenti nascite di bambini riportanti mutilazioni e, nel caso di deformazioni gravi, alla morte degli stessi anche in periodo fetale. Nei casi di esposizioni elevate e alla contaminazione diretta, alla comparsa di cloracne;
   per gli animali in genere e per l'animale uomo, vi è più semplice accumulo nelle parti grasse data la costituzione molecolare delle diossine e della TCDD in particolare. Un'ampia e sempre più crescente ed autorevole letteratura scientifica, ne indica accumuli anche nel latte materno, anch'esso sostanza grassa, con le ben immaginabili conseguenze della trasmissione dal seno della madre al nascituro. Per citare uno tra i diversi e comprovati casi che confermano tale teoria, tra i più recenti vi è quello di Taranto riportato su «ilfattoquotidiano.it», in data 30 maggio 2014;
   in data 17 settembre 2013, il consiglio della regione Lombardia ha approvato la mozione n. 72, che disponeva nuove rilevazioni ambientali nei comuni brianzoli colpiti dal disastro della diossina del 10 luglio 1976 dell'ICMESA di Seveso, disposti sul tracciato non ancora realizzato dell'autostrada pedemontana Lombarda;
   in data 4 luglio 2014, la Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale, VIA e VAS, ha trasmesso il parere n. 1545 riguardante la valutazione di impatto ambientale dell'infrastruttura Pedemontana Lombarda, trasmessa alla società CAL (concessioni autostradali lombarde), dove numerose sono state le non ottemperanze rilevate dalla commissione tecnica. In tale documento facente riferimento in particolare alla tratta B1 dell'autostrada in questione, nelle 277 prescrizioni e raccomandazioni elencate, non vi erano a quanto, consta agli interroganti particolari analisi specifiche delle problematiche legate ai terreni contaminati dalla diossina, nemmeno nelle considerazioni di carattere generale non riguardanti la sola tratta B1;
   in data 26 novembre 2014, veniva pubblicata sul quotidiano «Corriere della Sera Milano», la notizia riguardante lo stato di elevata preoccupazione di sindaci e associazioni ambientaliste per la probabile imminente costruzione della tratta indicata con la sigla B2 dell'autostrada Pedemontana Lombarda, sui terreni inquinati dalla diossina del disastro del 10 luglio 1976;
   il presidente della regione Lombardia, Roberto Maroni, nello stesso articolo dichiarava che le bonifiche saranno effettuate, ogni traccia di diossina verrà cancellata, dichiarazione in linea con quelle rilasciate in passato da Pedemontana spa in più occasioni ma che mai hanno trovato seguito;
   senza eventuali bonifiche, nel momento in cui dovessero partire i cantieri di Pedemontana, la diossina contenuta nei terreni inquinati tornerebbe in superficie creando un nuovo e gravissimo problema sanitario;
   ad avviso degli interroganti la cosa ancor più grave è che nessuna istituzione abbia considerato con il giusto peso la problematica che porterebbero i lavori sui terreni contaminati dalla diossina –:
   se i Ministri interrogati, ognuno per le proprie competenze, non ritengano più che discutibile che allo stato della redazione del documento VIA e VAS, n. 1545 del 4 luglio 2014, vi siano stati così tanti punti dichiarati non ottemperati;
   se i Ministri interrogati, ognuno per le proprie competenze, siano a conoscenza del fatto che la società CAL abbia, successivamente alla pubblicazione del documento n. 1545 del 4 luglio 2014, ottemperato tutti i punti indicati come non ottemperati e se non lo ha fatto per tutti i punti, quali sono quelli non ottemperati e perché;
   se i Ministri interrogati non ritengano che vi sia una sottovalutazione reale del pericolo della diossina, dato che non vi sono, allo stato attuale, interventi concreti da parte dei Ministeri, a fronte della certezza della presenza dell'inquinante TCDD nei terreni indicati e della sua pericolosità accertata, come ampiamente riportato sopra. (4-07171)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   NARDUOLO, MOGNATO e ZOGGIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Museo nazionale Archeologico di Quarto d'Altino (provincia di Venezia) fu inaugurato il 29 maggio del 1960 con il contributo del Conte Marcello e della Soprintendenza Archeologica di Venezia, ed era inizialmente composto da due sale di esposizione e da un magazzino, allora più che sufficienti a custodire il materiale raccolto;
   con la nascita del Museo, iniziò una sistematica serie di campagne di scavo che da allora in poi proseguirono, quasi ininterrottamente, ad opera della soprintendenza archeologica. Dal 1966 ad oggi gli scavi hanno portato al rinvenimento di più di 2.000 corredi tombali, di numerosissimi monumenti funerari ed all'acquisizione di un bagaglio pressoché unico di informazioni relative alla cultura funeraria romana. Si tratta di un patrimonio inestimabile composto da frammenti architettonici provenienti dall'abitato, reperti lapidei, iscrizioni funerarie, corredi tombali, monete, vasi, vetri e resti di decorazioni musive pavimentali databili tra la fine del I e l'inizio del II secolo dopo Cristo;
   si consideri che nel 1966 il Museo custodiva meno di mille oggetti, mentre ora la consistenza del materiale ammonta complessivamente a circa quarantamila pezzi;
   proprio a causa di questo ininterrotto afflusso di materiali provenienti dagli scavi, nel corso degli anni si sono resi indispensabili successivi ampliamenti del settore dei depositi del Museo fino a quando, alla fine degli anni ’80, divenne improrogabile la necessità di risistemare gli spazi espositivi, giunti ormai al limite della capienza;
   alla luce di ciò, si decise di realizzare un nuovo complesso architettonico su un'area demaniale, acquistata nel 1984, in località «La Fornace», costituito da due casoni agricoli ristrutturati e su tre nuovi corpi di fabbrica, in cui trasferire la nuova sede museale;
   il progetto per la nuova sede del Museo archeologico di Altino è stato elaborato dalla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto e curato dall'architetto Stefano Filippi. Al momento attuale, per la sua realizzazione (dopo 30 anni, ancora in corso), sono stati impiegati circa 6 milioni di euro, di cui una buona parte costituiti da fondi europei. Per estensione, numero e qualità dei servizi offerti, una volta nato, diventerebbe il primo museo archeologico del Veneto;
   come detto, sono sostanzialmente trenta anni che Altino e il Veneto aspettano che il Museo archeologico nazionale venga completato e possa entrare in funzione. Un tempo incredibilmente lungo su cui pesa anche il ritrovamento dei resti del santuario altinate che hanno comportato, tra il 1997 e il 2007, dieci anni di scavi, ma dovuto anche all'esiguità dei finanziamenti per realizzarlo e dai problemi burocratici;
   dopo tutto questo tempo, venerdì 12 dicembre il nuovo Museo Archeologico di Altino sarà inaugurato ufficialmente, presso la nuova sede, presentando il progetto di restauro e di allestimento. Tuttavia, verrà chiuso pressoché immediatamente, perché mancano ancora diversi milioni di euro per completare il nuovo allestimento e anche per garantire il personale e le spese di manutenzione e gestione per il suo funzionamento;
   la direttrice del Museo, dottoressa Margherita Tirelli, in alcune dichiarazioni rilasciate ad un quotidiano locale dice: «Apriremo gli spazi architettonici del nuovo museo e allestiremo probabilmente qui per l'occasione la sezione preistorica. Poi chiuderemo, ma ci sono ancora fondi ministeriali sufficienti per allestire, il prossimo anno il piano terra e il primo piano del nuovo museo. Se non arriveranno nuove risorse dal Ministero o da eventuali sponsor, dovremo fermarci e aspettare»;
   con la riforma del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che dovrebbe scattare dal primo gennaio 2015, la competenza sulla realizzazione del nuovo Museo di Altino dovrebbe passare dalla Soprintendenza archeologica e direzione regionale dei beni culturali del Veneto al nuovo polo museale regionale previsto con l'entrata in vigore della riforma. È chiaro che ciò non fa che aumentare i timori per un ulteriore allungamento dei tempi per l'entrata in funzione della nuova sede –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   quali misure intenda adottare al fine di garantire finanziamenti e tempi certi alla più che sospirata – visti i tre decenni trascorsi – realizzazione del nuovo Museo archeologico nazionale di Altino. (5-04220)

Interrogazione a risposta scritta:


   OCCHIUTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini ha affermato più volte, come accaduto durante il dibattito parlamentare inerente la conversione del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, recante «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», la rilevante necessità di investire nel potenziale economico costituito dal patrimonio di storia, bellezza e cultura della nostra nazione;
   il combinato disposto dal comma 2, articolo 31 e dagli articoli 35 e 37 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, prevede lo stanziamento di contributi statali, su autorizzazione delle competenti soprintendenze, per atti di restauro ed altri interventi conservativi su beni culturali ad iniziativa del proprietario, possessore o detentore;
   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo deve ancora versare i suddetti rimborsi, nella cifra di circa 97 milioni di euro, ai proprietari, possessori e detentori di immobili di valore storico-artistico per lavori di restauro autorizzati e già collaudati;
   molti proprietari di immobili storico-artistici si trovano già in grave difficoltà economica per l'aumento del prelievo fiscale sugli immobili in questione;
   l'Unione europea ha avviato nei confronti dell'Italia una procedura di infrazione per violazione della direttiva 2011/7/UE sui tempi di pagamento della pubblica amministrazione –:
   quali siano le iniziative che il Governo intenda adottare per sanare il pregiudizio arrecato ai proprietari di immobili di interesse storico-artistico e per accelerare il pagamento dei contributi previsti dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. (4-07143)

DIFESA

Interrogazione a risposta orale:


   ALBINI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 3 marzo 2014 moriva il cittadino italiano Riccardo Magherini durante le operazioni di fermo da parte dei carabinieri in Borgo San Frediano a Firenze;
   alla data odierna la procura della Repubblica di Firenze ha formulato richiesta di rinvio a giudizio per quattro militari dell'arma dei carabinieri e per tre volontari del 118 con l'accusa di omicidio colposo per la morte di Riccardo Magherini; per uno dei quattro carabinieri la richiesta di rinvio a giudizio è anche per il reato di percosse; la Procura generale della Cassazione ha aperto un procedimento disciplinare sulle modalità d'indagine del pm Luigi Bocciolini;
   la ricostruzione di quella notte fornita dalla procura della Repubblica di Firenze e riportata sugli organi d'informazione, vede il cittadino Riccardo Magherini percorrere tratti di strada tali da incrociare numerose telecamere appartenenti a varie strutture anche pubbliche; il legale di parte civile della famiglia Magherini ha presentato in data 24 marzo 2014 la richiesta di acquisizione dei filmati utili a ricostruire il percorso fatto quella notte dall'uomo con specifici riferimenti ad alcune vie che incontrano strutture di pubblica sicurezza;
   il comune di Firenze in risposta ad una richiesta di accesso agli atti da parte di un consigliere comunale comunica la cancellazione automatica dei filmati in 7 giorni salvo e comunicazioni dell'autorità giudiziaria;
   è necessario, però, tenere conto che si fa riferimento agli uffici della Dia (direzione investigativa antimafia) posta in Lungarno Vespucci che conta nove telecamere sul suddetto lungarno e altrettante sulla via retrostante (Montebello) e che tali sono da considerarsi di oggettivo interesse alle indagini anche considerando le chiamate effettuate alle forze dell'ordine con la segnalazione di un uomo che chiedeva aiuto sul ponte Vespucci in direzione San Frediano;
   oltre agli uffici Dia sopracitati, considerate le vie richieste dai legali, di parte civile, Magherini potrebbe essere transitato in prossimità del Comando interregionale dell'Italia centro settentrionale della guardia di finanza che ha i suoi uffici in Borgo San Frediano 14 con ingresso secondario da Lungarno Soderini; in prossimità degli uffici di polizia di Stato dell'ufficio sezionale Oltrarno in piazza del Tiratoio; in prossimità della caserma Cavalli dell'Esercito Italiano in piazza del Cestello; oltretutto anche la struttura della Croce rossa italiana in Lungarno Soderini 11 da dove è partito il primo mezzo intervenuto in soccorso a Magherini –:
   se i filmati registrati dalle autorità di polizia e dai soggetti pubblici indicati in premessa, siano ancora disponibili e se siano stati o saranno messi a disposizione dell'autorità giudiziaria al fine di rendere un servizio oggettivamente utile all'attività di indagine sulla morte di Riccardo Magherini. (3-01205)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DURANTI e PIRAS. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende da diversi organi di stampa, in particolare con articolo della Gazzetta del Mezzogiorno-Taranto del 3 dicembre 2014, circa 110 famiglie del personale militare residenti a Taranto hanno visto interrotta la normale fornitura di gas per il riscaldamento pur avendo pagato regolarmente le utenze;
   nello specifico le 110 famiglie residenti nelle palazzine di via Magnaghi 4, via Nazario Sauro 3 e viale Virgilio 164, Taranto, tra il 15 ed il 19 novembre 2014, dovendo approntare le caldaie condominiali per il riscaldamento centralizzato, hanno scoperto che i cosiddetti «contatori ENEL Gas» (tecnicamente chiamati «punti di rifornimento») erano stati sigillati con la conseguente impossibilità di avvio delle centrali termiche;
   i condomini si attivavano con il «Punto di Contatto Enel» per appurare le cause della interruzione del servizio, scoprendo il mancato pagamento delle bollette con scadenza marzo 2014 da parte dell'intestatario che risulta essere la direzione Genio Marina di Taranto. In seguito a questa scoperta, gli stessi condomini verificavano presso l'ufficio oneri di gestione alloggi Maricommi Taranto (deputato al pagamento dei consumi degli utenti delle palazzine adibite ad alloggi per militari in servizio ed in pensione) che le bollette erano state evase, anche se con oltre sei mesi di ritardo. A supporto di questo, l'ufficio oneri forniva copia dei bonifici effettuati per ogni, palazzina;
   con la suddetta documentazione, i condomini informavano via fax e via mail i dirigenti di «Enel Gas», i quali rispondevano dichiarando che, nonostante il pagamento di quelle bollette, la direzione Genio per la Marina militare di Taranto risultava essere morosa per diversi milioni di euro nei confronti di Enel Energia;
   interpellata al riguardo la direzione Genio, nella persona del vicedirettore, riferiva la mancanza di fondi per pagare i consumi dei punti di rifornimento degli alloggi non abitati a carico del Genio, o adibiti a caserme e palazzi utilizzati esclusivamente dagli uffici dipartimentali (che risultano essere i maggiori debitori), le cui bollette devono essere pagate dalla amministrazione;
   il vicedirettore inoltre specificava che, in mancanza dei suddetti fondi necessari a sanare tutte le ditte fornitrici, sarebbero stati a rischio anche l'erogazione di acqua potabile e di energia elettrica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non intenda verificare le cause dei mancanti pagamenti, e quali iniziative intenda intraprendere affinché siano immediatamente ripristinati, ai cittadini coinvolti, i servizi di primaria importanza.
(5-04226)

Interrogazione a risposta scritta:


   FORMISANO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro rappresenta un'assoluta priorità per il Paese che, con l'approvazione definitiva nel luglio 2009 del decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106, al testo unico n. 81 del 2008, ha registrato un importante passo in avanti nell'equiparazione dell'Italia agli standard normativi internazionali ed europei;
   presso l'amministrazione della difesa il disposto normativo a tutela della sicurezza e salute sui luoghi di lavoro è stato recepito con decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, (Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare);
   nell'ambito della Marina militare la pubblicazione SMM 1062 (attuazione delle norme di legge in materia di prevenzione, protezione, sicurezza ed igiene del lavoro) ha reso attuativi i dettami del decreto legislativo n. 81 del 2008, e successive modificazioni, al contesto militare e navale, stabilendo gli obblighi e i doveri di tutte le figure che concorrono alla sicurezza sui luoghi di lavoro, compresi quelli del cosiddetto «medico competente»;
   l'articolo 38 del decreto legislativo n. 81 del 2008, e successive modificazioni e integrazioni, identifica il «medico competente» tra i medici in possesso di specifici titoli requisiti, con esclusivo riferimento al ruolo degli ufficiali sanitari delle Forze armate, compresa l'Arma dei carabinieri, della polizia di Stato e della guardia di finanza (articolo 38 d-bis decreto legislativo n. 81 del 2008) è stata stabilita una particolare eccezione con la quale è stato statuito che per svolgere le funzioni di «medico competente» è necessario aver esercitato l'attività di «medico nel settore del lavoro» per almeno quattro anni;
   la scelta di autorizzare i sanitari militari allo svolgimento ope legis delle specifiche funzioni di medico competente ha condotto a una pletora di professionisti provenienti da differenti percorsi formativi ed esperienze lavorative disparate nonché da specializzazioni mediche tra loro disomogenee o del tutto distanti alla disciplina medica del lavoro, spesso creando le premesse per una serie di situazioni di difficile gestione, non ultime quelle correlate ad una idonea valutazione dei rischi infettivi in operazioni militari di soccorso;
   nell'ambito dell'occidente industrializzato pochi Paesi possono vantare una simile situazione, per la quale professionisti con determinati percorsi formativi specialistici (esempio cardiologi, dermatologi, oculisti, e altro) possano essere abilitati dalla legge a esercitare le funzioni di medici che hanno seguito un percorso formativo di specializzazione in medicina del lavoro;
   lo svolgimento dell'incarico di «medico competente» necessità di particolare e specifica preparazione, posto che «... il legislatore, richiedendo che la figura del medico competente sia individuato sulla base di specifici parametri e nel richiedere contestualmente anche una comprovata esperienza professionale del medico designato, ha inteso evidentemente individuare la figura del medico di qualificata professionalità, in grado di diventare collaboratore del datore di lavoro e del responsabile del Servizio di prevenzione e protezione aziendale» (Cass. penale, sezione Terza, 2 luglio 2008 n. 26539);
   in considerazione della delicatezza delle funzioni del medico competente sarebbe irragionevole poter attribuire tale incarico ad un medico non adeguatamente formato demandando la necessaria acquisizione delle competenze essenziali allo svolgimento delle funzioni ad un momento successivo rispetto al conferimento dell'incarico; a tal proposito, a seguito di istanze presentate da diversi medici militari non specialisti in medicina del lavoro, il Ministero della salute ha provveduto immediatamente a cancellare i medesimi dall'elenco nazionale dei medici competenti; successivamente la direzione generale della sanità militare ha provveduto d'ufficio all'iscrizione dei citati medici in un elenco, non previsto dal T.U. sulla salute e sicurezza sul lavoro (decreto legislativo n. 81 del 2008) di medici competenti della difesa, assicurando un adeguato percorso formativo;
   dal complesso delle disposizioni dettate in materia e, in particolare dal T.U. n. 81 del 2008, si evince chiaramente che le conoscenze mediche e tecnico-scientifiche necessarie per lo svolgimento delle funzioni di medico competente attengono alla specifica materia della medicina del lavoro; ciò è chiaramente espresso anche dal comma 1 dell'articolo 39 dove si afferma che l'attività di medico competente è svolta secondo i principi della medicina del lavoro e del codice etico della Commissione internazionale di salute occupazionale (ICOH);
   ai sensi dell'articolo 38 comma 3, del decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni, per lo svolgimento delle funzioni di medico competente è altresì necessario partecipare al programma di educazione continua in medicina (E.C.M.) ai sensi del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, e successive modificazioni e integrazioni; i crediti previsti dai programmi triennali di educazione continua dovranno essere conseguiti nella misura non inferiore al 70 per cento del totale nella disciplina «medicina del lavoro e sicurezza degli ambienti di lavoro»; tale situazione obbliga i sanitari di cui al citato articolo 38, d-bis, del decreto legislativo n. 81 del 2008 a dover rinunciare all'educazione continua in medicina nella loro branda di specializzazione ed a dover orientare la loro formazione continua quasi esclusivamente nella disciplina medica del lavoro e della sicurezza degli ambienti lavorativi –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se non ritenga opportuno intervenire a tutela della salute e della sicurezza del personale dipendente evitando che il personale medico che misconosce le complessità di numerose tematiche specifiche relative ai disparati ambienti di lavoro (basti ricordare il rischio chimico, cancerogeno, mutageno, da esposizione a radiazioni ionizzanti; il rischio biologico; il rischio da cadute dall'alto; la valutazione dello stress lavoro-correlato e altro) possa essere impiegato in qualità di medico competente;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanti, tra i medici competenti inseriti nell'elenco del Ministero della difesa, abbiano effettivamente frequentato un adeguato corso formativo e quanti, tra gli specialisti in altre discipline attualmente impiegati quali medici competenti, siano stati impiegati per almeno quattro anni nella disciplina della medicina del lavoro e sicurezza degli ambienti lavorativi;
   se il Ministro interrogato sia in grado di dettagliare la logica secondo la quale, in assenza di specializzazione in medicina del lavoro ed in presenza di personale in possesso di specializzazioni mediche differenti dalla stessa (es. cardiologia, oculistica e altro), aver svolto un ruolo professionale «nel settore del lavoro» di strutture pubbliche per un certo lasso di tempo possa essere ritenuto sufficiente per svolgere la complessa attività di «medico competente»;
   se il Ministro interrogato non ritenga che quanto stabilito dall'articolo 38, comma 3, del decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni possa inficiare l'educazione continua in medicina nelle restanti discipline mediche esercitate dal personale dipendente e se sia in grado di dettagliare quali disposizioni siano da applicarsi a garanzia dei programmi di educazione continua in medicina delle restanti discipline;
   se il Ministro interrogato sia in grado di qualificare il numero totale dei casi di infezione tubercolare finora riscontrati tra il personale dipendente impiegato in attività operative e di soccorso umanitario (esempio operazione mare nostrum e altro) e quanti medici competenti, sul totale di quelli nominati per le unità navali, siano effettivamente specialisti in medicina del lavoro in regola con l'assolvimento degli obblighi di formazione continua in medicina statuiti dall'articolo 38, comma 3, del decreto legislativo n. 81 del 2008;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della tipologia di corsi garantiti dall'amministrazione della difesa per la formazione dei medici competenti e se sussistano differenze formative tra i precorsi garantiti dalla Marina militare rispetto alle altre forze armate al fine del conseguimento dell'idoneità e per la successiva designazione a ricoprire l'incarico di medico competente;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di eventuali sospensive disposte dalla giustizia amministrativa per medici militari finora indicati, sine titulo, quali medici competenti dall'Amministrazione della difesa. (4-07150)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   DORINA BIANCHI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sono almeno seimila i «centri trasmissione dati» che, dietro a questa generica dizione, nascondono dei punti scommesse collegati a network esteri, sprovvisti della concessione dei Monopoli di Stato, in grado di raggiungere la somma di due miliardi di euro, esentasse e totalmente al di fuori dal circuito economico italiano;
   ad oggi, la Guardia di finanza è riuscita a chiuderne quasi duemila, ma, causa la facilità di aprire punti di scommessa attraverso un computer collegato ad internet, giungere ad una totale chiusura di essi diventa un'impresa a dir poco impossibile;
   stando ai proprietari di questi centri raccolta, il concetto giuridico di «monopolio di Stato» e dunque di attività economica in concessione si pone in conflitto con la normativa comunitaria, mentre quanti sostengono che vi debba essere un controllo diretto dello Stato affermano inoltre che ogni Paese membro possa regolarsi, su queste materie, secondo le proprie norme;
   i titolari di questi punti scommessa hanno la loro residenza nel Regno Unito, negli Stati Uniti d'America in paradisi fiscali fuori dai confini dell'Unione europea, a Malta oppure in zone franche dell'Unione europea come Lussemburgo;
   secondo fonti della guardia di finanza, le postazioni possono fruttare non, meno di duemila euro al giorno, esentasse e con costi di gestione minimi;
   dal 2012, i gestori dei centri autorizzati hanno proceduto a mappare la rete non in regola, arrivando così a censire 4.000 punti scommesse, contro i 6.000 punti autorizzati: oggi, i punti di scommesse clandestini hanno di gran lunga superato il numero del network legale;
   davanti alla Commissione parlamentare sull'anagrafe tributaria di palazzo San Macuto, il Comandante della guardia di finanza, Saverio Capolupo, durante un'audizione ha spiegato lo sforzo delle Fiamme gialle in questo settore «ormai fortemente infiltrato dalla criminalità organizzata», in grado di riciclare capitali illeciti con estrema facilità;
   una delle modalità attraverso le quali la guardia di finanza può intercettare movimenti di denaro sospetti, elusione fiscale, riciclaggio di proventi illeciti è il controllo delle banche dati e i giocatori, per potersi collegare con i casinò fuori confine devono usare strumenti di pagamento elettronici; basterebbe monitorare questi flussi di denaro o gli investimenti di chi ne beneficia per poter individuare i gestori clandestini;
   ancora oggi il sistema integrato delle banche dati non è completato, come ammesso dal comandante della Guardia di finanza Capolupo, in audizione davanti la Commissione parlamentare sull'anagrafe tributaria –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   cosa intenda fare per garantire la assoluta interoperatività delle singole banche dati affinché la guardia di finanza possa avere pieno accesso alla banca dati dell'Agenzia delle entrate in modo da risalire con certezza ai titolari di movimenti di denaro provenienti dai punti di scommessa clandestini che rappresentano un danno all'erario italiano ed una fuga di capitali all'estero, ad oggi, inarrestabile.
(3-01206)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GASPARINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i soci cooperatori sostengono l'attività delle cooperative con il prestito sociale, determinando così opportunità di investimento nel campo dell’housing sociale, i servizi per l'abitare e per il sociale;
   essendo stato modificato il regime fiscale determinando che la ritenuta a titolo d'imposta sugli interessi passivi sia aumentata da 12,50 per cento a 26 per cento si è consumata una palese ingiustizia nei confronti delle cooperative e dei loro soci, in quanto sugli stessi interessi grava un ulteriore tassazione IRES;
   gli interessi corrisposti ai soci delle cooperative sono soggetti, oltre alla regola generale di cui all'articolo 96 del Testo unico delle imposte sui redditi, (regola dei ROL) anche ad una indeducibilità dal reddito prevista dalla legge n. 311 del 2004;
   si evince che:
    a) una non omogeneità di trattamento tra soggetti uguali in quanto gli interessi corrisposti ai soci superiori a quelli determinati in base ai tassi minimi dei Buoni fruttiferi postali più lo 0,9 per cento sono sempre indeducibili, mentre per gli altri soggetti Ires gli stessi interessi sono sottoposti alle regole generali previste dal citato articolo 96 del Testo unico delle imposte sui redditi (vedi allegato);
    b) l'articolo 45 della Costituzione recita «La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità»;
   l'articolo 47 della Costituzione recita: «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito. Favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese» –:
   se intenda assumere iniziative per non penalizzare «l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione»;
   se intenda sostenere le cooperative di abitanti che molto hanno fatto per aiutare ad affrontare l'emergenza abitativa con offerta di alloggi a canone convenzionato;
   se intenda ricercare la possibilità di parificare il regime fiscale degli interessi passivi delle cooperative a quello di tutti i soggetti IRES, eliminando la disposizione restrittiva prevista dalla legge n. 311 del 2004. (5-04221)


   MARIANI, EPIFANI, REALACCI, BORGHI, PELUFFO, BRAGA, COMINELLI, BASSO, MANFREDI, FOLINO, ZARDINI, CARRA, GINATO, SBROLLINI, DONATI e GADDA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la produzione cartaria italiana rappresenta uno dei poli tecnologici di eccellenza nel panorama europeo e mondiale con intere linee produttive caratterizzate da altissima automazione e specializzata tecnologia che viene esportata in tutto il mondo; anche in termini occupazionali il settore risulta trainante con un indotto tecnologico che contribuisce a raddoppiare quasi il numero di occupati;
   la produzione di carta dal 2007 al 2013 ha subito una sensibile riduzione, pari a 1,6 milioni di tonnellate cioè il 18 per cento dell'attuale livello di produzione; il settore ha reagito alla forte flessione interna mediante l'acquisizione di quote di mercato estero, dove lo sviluppo della industria cartiera italiana è stato rilevante;
   tra i principali gruppi industriali italiani che hanno consistenti produzioni all'estero, molti appartengono al polo di Lucca, vera eccellenza in Italia per questo settore, con esponenti di spicco sia nella produzione, in tutti i settori (packaging, tissue, ondulato), che nella tecnologia, soprattutto macchinari per converting ma anche tecnologie termiche e cogenerative;
   come è noto il settore è caratterizzato da elevati costi energetici, principalmente energia elettrica e termica; infatti l'incidenza del costo energetico per il settore cartario rispetto al valore della produzione è molto elevato e si attesta intorno al 20 per cento con punte anche di molto superiori che arrivano anche al 45 per cento. Se si considera l'incide a del costo energetico sul valore aggiunto della produzione (come fanno per esempio in Germania) il valore aumenta sensibilmente raggiungendo facilmente livelli superiori al 50 per cento;
   il costo dell'energia per il settore cartario (energia elettrica e gas naturale) è superiore a 1 miliardo di euro, superiore al 16 per cento del valore del fatturato, escludendo il costo degli oneri CO2, mentre il conto pagato dal settore in termini di oneri di sistema elettrici e gas e di costi accessori delle tariffe arriva a valori di circa 150 milioni di euro l'anno, ovvero circa il 15 per cento del costo totale della bolletta. A questo valore devono essere aggiunti almeno 10 milioni di euro per il pagamento degli oneri di sistema all'autoconsumo, oltre agli oneri per le emissioni di CO2 che si stima siano in media di 25 milioni di euro l'anno fino al 2020;
   l'aumento dei costi per il supporto delle fonti rinnovabili sta determinando enormi criticità di natura competitiva per tutti i settori energivori in Europa ed in particolar modo in Italia, il cui costo energetico soffre ancora di un elevato gap rispetto all'Europa: per la commodity elettrica è più elevato anche del 50 per cento rispetto al prezzo tedesco e francese;
   l'Unione europea ha da tempo introdotto norme per consentire ai Paesi membri di supportare l'industria energivora, senza incorrere nelle procedure degli aiuti di Stato;
   Francia e Germania hanno varato misure che garantiscono ai loro settori energivori un costo energetico tale da consentire una competitività ottimale; attualmente per il settore cartario la bolletta per l'energia elettrica in Francia si attesta sui 55/60 euro/Megawatt ora ed addirittura inferiore ai 50 euro/Megawatt ora in Germania; la analoga bolletta italiana per lo stesso settore viaggia sui 170 Euro/Megawatt ora, sullo stesso perimetro, ovvero inclusi oneri e trasporto;
   la riduzione degli oneri prevista dall'articolo 39 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, non va oltre una media di 10 euro/Megawatt ora laddove in Germania lo stesso istituto supera i 70 euro/Megawatt ora, azzerando oneri ed anche buona parte del trasporto e del dispacciamento;
   più in generale sembrerebbe che le modalità attuative della normativa ex articolo 39 abbiano in gran parte reso impossibile la reale fruizione della agevolazione, trasformandola in un boomerang finanziario;
   infatti l'Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico ha sottoposto l'erogazione della agevolazione alla emissione di una garanzia; tuttavia allo stato attuale la condizione del sistema bancario finanziario italiano induce le aziende a preferire l'utilizzo delle linee di credito per l'attività caratteristica con la conseguenza di non usufruire delle agevolazioni connesse, anche se di fatto già iscritte a bilancio;
   l'istituto dell'interrompibilità rappresenta la misura di politica industriale fruita in modo equilibrato da tutti i settori industriali energivori italiani e rappresenta un indispensabile elemento di mitigazione del crescente impatto del costo della bolletta elettrica per importanti settori industriali, quali siderurgia carta chimica ceramiche e fonderie per limitarsi ai principali. Attualmente è in scadenza alla fine dell'anno ed il suo rinnovo è al centro del cosiddetto «taglia bollette». I settori interessati stanno subendo un taglio importante, ben superiore a quel 10 per cento richiesto dal «taglia bollette», condizione che già rischia di pregiudicare la competitività di molte aziende. Oltre a questo sembra che si voglia percorrere anche una ulteriore riduzione dei corrispettivi tramite una forte contrazione del servizio stesso ed una allocazione a riduzione del premio, metodologia che certamente acuirà le discriminazioni settoriali, tra quelli che godono di altre agevolazioni e quelli che godono pressoché solo di questa. La carta rischia di uscirne molto penalizzata, forse il settore più compromesso;
   un'ulteriore misura di politica industriale per il comparto è rappresentato da Interconnector, programma di sviluppo delle interconnessioni con l'Europa che sinora ha permesso di fruire di una misura di avvicinamento del costo della commodity a quella tedesca. Alla misura sono ammessi solo i grandi siti industriali, caratterizzati da potenza superiore ai 10 Megawatt per questo misura solo in parte fruibile dal settore cartario;
   altra misura è rappresentata dalla esenzione dalla corresponsione degli oneri di dispacciamento per le aziende che prestano un servizio di interrompibilità superiore ai 40 Megawatt mensili, il cosiddetto «comma 19». Questa misura non è fruibile dal settore cartario, così come dalla maggioranza dei settori energivori;
   in sintesi il settore cartario accede in modo cospicuo all'istituto della interrompibilità elettrica, in modo esiguo alla riduzione oneri prevista dall'articolo 39 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 ed in modo assolutamente parziale all’interconnector;
   anche sommando tutte le misure di cui sopra il costo dell'energia elettrica acquistata dal settore cartario rimane significativamente superiore ai 120 euro/Megawatt ora, oltre il doppio di Francia e Germania, con tutte le conseguenze;
   la cogenerazione ha accompagnato la storia industriale dell'industria cartaria degli ultimi 20 anni almeno ed è l'unico strumento di ulteriore efficientamento per perseguire la competitività; gli impianti di cogenerazione esistente, in gran parte realizzati nei primi anni ’90 ed ormai assolutamente superati tecnologicamente, dovranno essere sostituiti con impianti moderni ed in grado di supportare correttamente lo sviluppo dello stabilimento;
   l'articolo 24 del decreto-legge n. 91 del 2014; (cosiddetto competitività) ha introdotto una misura di netta penalizzazione della cogenerazione capace di contrastare il suo sviluppo in ambito industriale, bloccando l'ammodernamento del parco cogenerativo, ed i nuovi investimenti, necessari per mantenere efficiente il parco produttivo cartario;
   esso ha, infatti, introdotto l'applicazione del 5 per cento dei corrispettivi variabili unitari degli oneri di sistema, previsti per l'energia prelevata da rete, all'energia elettrica autoconsumata a decorrere dal 1o gennaio 2015. La norma si applica a tutti i sistemi esistenti anche in maniera retroattiva e prevede la possibilità di incrementare ogni due anni, a partire dal 30 settembre 2015, la quota del 5 per cento di massimo 2,5 punti percentuali ogni due anni. Gli eventuali ulteriori incrementi saranno applicati agli impianti che entreranno in funzione in data successiva alla decisione di aumento e rendono di fatto impossibile l'esatta quantificazione di tali oneri in caso di investimenti nuovi;
   l'Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrica con la deliberazione del 13 novembre 2014, 566/2014/R/eel, ha modificato la precedente deliberazione 301/2014/R/eel dettando la Disciplina finale per l'approvvigionamento a termine dei servizi di interrompibilità con efficacia a decorrere dal 1o gennaio 2015;
   in particolare, con la delibera 566/2014/R/eel è stato previsto che i Megawatt di servizio passano da 3.900 a 3.300 Megawatt e che il corrispettivo (massimo) per il premio di riserva per l'assegnazione di capacità interrompibile istantaneamente passa da 150.000 euro/Megawatt a 135.000 euro/Megawatt anno;
   tali nuovi indirizzi hanno l'obiettivo di conseguire un risparmio atteso di circa 140 milioni di euro;
   appare necessario chiarire alcuni aspetti della delibera in relazione ai nuovi limiti e agli impatti che determineranno sul comparto cartario;
   è da valutare, ad esempio, se la compressione del servizio da 3.900 Megawatt e 3.300 Megawatt possa essere accompagnata da altri adattamenti tali da modificare la capacità di servizio prestabile in modo compatibile;
   in caso contrario, il mancato adeguamento tra domanda ed offerta (avendo modificato ex lege l'offerta portandola a 3.300 Megawatt) potrebbe comportare per alcuni settori tra cui certamente il settore cartario una forte riduzione in fase di assegnazione;
   la delibera non dice nulla relativamente al numero di interruzioni incluse nel premi base d'asta di 135.000 euro. Nel contratto attuale sono incluse 10 interruzioni nel premio (di 150.000 euro). Il numero di interruzioni medio degli ultimi anni è 4. Ne deriva che se il nuovo contratto include 5 interruzioni la riduzione complessiva di costo per il sistema diventa circa 149 milioni di euro. Laddove il numero di interruzioni incluse nel contratto rimanesse 10 la riduzione diventerebbe di circa 200 milioni di euro rispetto all'onere caricato in bolletta –:
   se sia intenzione del Governo assumere iniziative per rivedere le misure sulla cogenerazione previste all'articolo 24 del decreto-legge n. 91 del 2014 al fine di dare certezze sul medio periodo alle scelte di sviluppo industriale garantendo sì che tale misura non si applichi ai settori energivori interessati dall'applicazione dell'articolo 39 del decreto-legge n. 83 del 2012;
   se si intenda consolidare gli istituti attuali che interessano le politiche industriali, a partire da quello dell'interrompibilità elettrica;
   se il Governo ritenga di assumere iniziative per una revisione delle misure applicative dell'articolo 39 del decreto-legge n. 83 del 2012 in modo da prendere in considerazione dati certi e definitivi e contestualmente rimuovere l'esigenza di prestare garanzia;
   se intenda tutelare la competitività dei settori energivori tra cui il settore cartario nazionale vigilando sull'impatto della riduzione del costo dell'istituto della interrompibilità a fronte della attuazione delle delibere esposte in premessa, 566 e 301, recanti la disciplina finale per l'approvvigionamento a termine dei servizi di interrompibilità. (5-04233)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FANUCCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'iscrizione all'albo dei revisori legali contempla fattispecie in cui non risulta prevista la procedura da porre in essere per sanare alcuni obblighi formali non adempiuti, fra cui la presentazione della documentazione attestante la fine del tirocinio dei revisori contabili e della domanda di iscrizione all'albo dei revisori legali;
   al riguardo, a titolo esemplificativo, giova illustrare il caso in cui si sia svolta la pratica presso un dottore commercialista e revisore contabile, e contestualmente avvenga l'iscrizione sia all'albo dei praticanti dottori commercialisti che all'albo dei revisori contabili: al termine del tirocinio dei dottori commercialisti e dei revisori contabili, è sostenuto con successo l'esame da dottore commercialista, equipollente a quello dei revisori contabili. Successivamente, avviene l'iscrizione presso l'albo dei dottori commercialisti; tuttavia, si suppone che non venga presentata alcuna documentazione attestante la fine del tirocinio dei revisori contabili, né alcuna domanda per l'iscrizione all'albo dei revisori legale dei conti;
   nel caso in esame, l'iscrizione all'albo dei revisori legali non risulta perfezionata, nonostante siano presenti tutti i requisiti sostanziali, ovvero la pratica da tirocinante per revisore legale svolta e l'esame sostenuto e superato –:
   quale sia la procedura per sanare gli obblighi formali non adempiuti, ovvero la presentazione della documentazione attestante la fine del tirocinio dei revisori contabili e della domanda di iscrizione all'albo dei revisori legali, al fine di procedere all'iscrizione all'albo dei revisori medesimi. (4-07144)


   BALDASSARRE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Banca del Mezzogiorno, creata con la legge 23 dicembre 2009, n.191, è una realtà bancaria controllata totalmente da Poste italiane spa nata con la seguente missione:
    i) aumentare la capacità di offerta del sistema bancario e finanziario del Mezzogiorno;
    ii) sostenere le iniziative imprenditoriali maggiormente meritevoli di credito, incidendo sui costi di approvvigionamento delle risorse finanziarie necessarie agli investimenti;
    iii) canalizzare il risparmio verso iniziative economiche che creano occupazione nel Mezzogiorno;
   sul sito di Poste italiane spa si può facilmente leggere che: «Quinto BancoPosta: il prestito dove tutto suona sereno. Il prestito personale per i pensionati (INPS e INPDAP) e i Dipendenti Pubblici ricco di vantaggi. È offerto a tutti coloro che cercano un finanziamento che garantisca la tranquillità e la serenità di un rimborso adeguato alle proprie possibilità. (...)Messaggio pubblicitario con finalità promozionale. Offerta valida fino al 31.12.2014. La concessione di Quinto BancoPosta è soggetta a valutazione ad approvazione di Bnl Finance S.p.A.»;
   nel 2006 la banca Bnl è entrata a far parte del gruppo bancario francese BNP Paribas;
   appare degno di approfondimenti il fatto che Poste italiane spa abbia al proprio interno una banca italiana ma che ritenga invece più opportuno proporre ai propri dipendenti un prodotto finanziario made in France –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti e se ritenga opportuno intervenire al fine di salvaguardare gli investimenti pubblici in Banca del Mezzogiorno;
   se il Ministro interrogato non ritenga di acquisire elementi in merito a procedura, che gli interroganti giudicano anomala, attuata dai vertici di Poste italiane finalizzata a pubblicizzare prodotti finanziari di Bnl Finance Spa – gruppo francese – e non prodotti di una banca che tuttora è controllata da Poste quale la Banca del Mezzogiorno. (4-07149)


   PAGLIA, FRANCO BORDO, ZACCAGNINI, NICCHI, PLACIDO e PIRAS. —Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 22, comma 2 della legge n. 89 del 2014, dispone una limitazione dell'esenzione dall'IMU dei terreni agricoli ricadenti in aree montane e di collina (prevista dalla lettera h)), comma 1, articolo 7 del decreto legislativo n. 504/1992, come espressamente richiamato dall'articolo 9, comma 8 del decreto legislativo n. 23 del 2011, demandando ad un decreto del Ministro dell'economia e finanze di natura non regolamentare l'individuazione dei comuni nei quali a decorrere dal periodo di imposta 2014, si applica l'esenzione sulla base dell'altitudine, diversificando eventualmente tra terreni posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, iscritti alla previdenza agricola, e gli altri, in modo tale da ottenere un maggior gettito complessivo non inferiore a 350 milioni di euro a decorrere dal medesimo anno 2014;
   il suddetto decreto emanato lo scorso 28 novembre 2014, di concerto con i Ministri dell'interno e delle politiche agricole, alimentari e forestali, e consultabile sul sito istituzionale del Ministero dell'economia e delle finanze, stabilisce che sono esenti: i terreni agricoli dei comuni ubicati ad un'altitudine di 601 metri e oltre, individuati sulla base dell’«Elenco comuni italiani», pubblicato sul sito internet dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), tenendo conto dell'altezza riportata nella colonna «Altitudine del centro (metri)»; i terreni agricoli posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, iscritti nella previdenza agricola, dei comuni ubicati a un'altitudine compresa fra 281 metri e 600 metri, individuati sulla base del medesimo elenco;
   il semplice criterio altimetrico, peraltro incapace di tener conto delle peculiarità territoriali dei terreni e delle relative redditività, quale parametro per stabilire se un comune è montano, che sostituisce pertanto quello della reale altimetria dei territori, È un'aberrazione alla quale, secondo gli interroganti, occorre al più presto rimediare. Infatti con la prevista esenzione indifferenziata per i soli terreni montani situati al di sopra di 600 metri d'altitudine verrebbero beneficiati soltanto 1500 comuni montani italiani rispetto ai 3.500 esentati dal precedente regime, 2500 si dovrebbero accontentare di un'esenzione parziale, mentre i rimanenti 4000 di alcuna;
   ma gli effetti particolarmente gravi di tale criterio non si riversano solo su quegli operatori agricoli già pesantemente colpiti da una crisi di sistema senza precedenti e dalle difficoltà di accesso al credito che dovrebbero, di contro, essere aiutati e sostenuti nella fondamentale opera di presidio del territorio che svolgono, ma anche sugli stessi comuni che non vedranno riversato il corrispettivo del maggior gettito, pari a 350 milioni di euro per l'anno 2014, sul cosiddetto «Fondo di solidarietà comunale», e senza neanche avere la possibilità di recuperare la quota loro sottratta attraverso il pagamento dell'IMU da parte dei proprietari dei terreni agricoli esentati, a causa del perverso meccanismo con il quale il Ministero dell'economia e delle finanze ha già autonomamente ridotto i trasferimenti degli enti locali di un importo ritenuto pari al gettito presunto, calcolato secondo criteri poco oggettivi e certi;
   tutte le operazioni di assestamento dei bilanci sono state già ultimate dai comuni per i quali sarebbe oramai impossibile, a valere sul 2014, imputare il suddetto taglio dei trasferimenti sul Fondo di solidarietà senza adeguata compensazione finanziaria;
   il solo parametro dell'altitudine, inoltre, non sarebbe in grado d'individuare quelle zone svantaggiate del Paese che invece dovrebbero essere sostenute da una normativa fiscale perequativa;
   coloro che non beneficeranno dell'esenzione dovranno adempiere all'obbligo tributario pagando il saldo IMU per l'anno 2016 entro il 16 dicembre 2014, con palese violazione del principio di irretroattività sancito dal cosiddetto «Statuto del contribuente» che impone che le disposizioni tributarie non possono prevedere nuovi adempimenti prima di 60 giorni dalla scadenza del pagamento tributo al quale si riferiscono –:
   alla luce di quanto premesso ed in ottemperanza al principio di non retroattività delle norme fiscali, se non ritenga opportuno ritirare o quantomeno sospendere l'esecutività del suddetto decreto ministeriale, consentendo ai comuni coinvolti dalla normativa di garantire una ordinata riscossione dell'IMU;
   se non ritenga, in sede di eventuale riformulazione dello stesso, di dover adottare criteri e parametri più equi che tengano conto delle peculiarità territoriali dei terreni agricoli e delle relative redditività. (4-07164)


   GIOVANNA SANNA, FRANCESCO SANNA, SCANU, PES, CANI, MARROCU e MURA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 22, comma 2 della legge numero 89 del 2014 prevede l'emanazione da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dell'agricoltura, dell'applicazione dell'Imu sui terreni;
   tale decreto, in vista della scadenza del 16 dicembre per il versamento dell'Imu, dovrà quindi individuare i comuni nei quali, a decorrere dal periodo di imposta 2014, si applicherà l'esenzione sulla base dell'altitudine dei rispettivi edifici comunali, «eventualmente diversificando tra terreni posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, iscritti alla previdenza agricola, e i restanti terreni, in modo tale da ottenere un maggior gettito complessivo non inferiore a 350 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014»;
   secondo tale decreto, in base all'applicazione dei parametri vigenti, gli unici terreni esenti dal pagamento dell'Imu sarebbero quelli situati nei comuni i cui edifici comunali sono situati ad una altitudine di almeno 600 metri; tra i 280 e i 600 metri, verrebbero esentati i terreni posseduti da coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali, mentre fino a 280 metri, tutti i cittadini e le imprese possessori di terreni agricoli dovrebbero pagare l'intera imposta per il 2014. In questo modo sarebbero tutelati soltanto circa 1500 comuni italiani, mentre per circa 2500 sarebbe prevista una esenzione parziale e per i rimanenti 4000 nessuna esenzione;
   forti preoccupazioni sono state manifestate anche dall'Anci che ha rimarcato come i comuni interessati subiranno una decurtazione certa di 350 milioni di euro del «Fondo di solidarietà comunale», senta avere però la reale possibilità di recuperare per tempo quei fondi attraverso il pagamento dell'Imu da parte dei proprietari dei terreni agricoli;
   l'Imu applicata con queste modalità porrebbe gravi rilievi d'incostituzionalità, dal momento che i soli parametri di altitudine non possono individuare le zone «svantaggiate»: la ricca e diversificata differenziazione morfologica e logistica del territorio nazionale dimostra infatti ampiamente come i caratteri di marginalità siano causati anche da altri fattori come la mancanza di infrastrutture moderne ed efficaci, di servizi efficienti o da una situazione demografica frastagliata;
   la maggior parte dei comuni della Sardegna, che in virtù della sua Autonomia ha peraltro competenza primaria in materia di agricoltura, rientranti nella categoria dei comuni svantaggiati, ad esclusione dei pochissimi che superano i 600 metri di altitudine, subirebbero un incredibile taglio del «Fondo di solidarietà comunale» perché parametrato evidentemente in base alla estensione del territorio comunale, caratteristica che accomuna i nostri enti locali, di piccolissime dimensioni come centri abitati, ma con estesi territori. Con questi presupposti i comuni per recuperare il taglio del fondo di solidarietà dovrebbero applicare per IMU terreni agricoli percentuali d'imposta superiori a quelle previste per le abitazioni –:
   se in base a quanto premesso possano essere messi in atto urgenti iniziative dirette alla sospensione del decreto citato, per modificare gli attuali parametri meramente altimetrici, alla luce delle evidenti sperequazioni che sia i comuni che i cittadini subirebbero, se fossero mantenuti vigenti tali parametri. (4-07166)


   FORMISANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito dell'applicazione del decreto legislativo n. 231 del 21 novembre 2007 (antiriciclaggio), gli istituti bancari hanno convocato i titolari dei conti correnti per procedere alla loro identificazione attraverso il know your customer (KYC);
   in base all'articolo 1, comma 2, lettera g) del suddetto decreto legislativo, nel relativo documento del Ministero dell'economia e delle finanze, si pongono gli obiettivi della identificazione del cliente, della registrazione e conservazione delle informazioni e della segnalazione delle operazioni sospette in base ai «dati identificativi»: il nome e il cognome, il luogo e la data di nascita, l'indirizzo, il codice fiscale e gli estremi del documento di identificazione o, nel caso di soggetti diversi da persona fisica, la denominazione, la sede legale e il codice fiscale o, per le persone giuridiche, la partita IVA;
   sempre nel suddetto decreto legislativo, in relazione al Titolo II, Capo I, Sezione I, articolo 18 e 19 vengono stabiliti gli obblighi di adeguata verifica della clientela e le modalità di adempimento degli obblighi;
   all'interrogante risulterebbe che alcune banche hanno sottoposto i propri clienti alla compilazione schede in cui venivano richiesti molti più dati identificativi di quelli richiesti dal decreto legislativo n. 231 del 2007, andando a schedare dati sensibili totalmente impropri rispetto alle reali necessità;
   a parere dell'interrogante gli istituti bancari non hanno il potere di chiedere dati riguardanti la stretta «privacy» e che per giunta sono ininfluenti ai fini del controllo rafforzato dei traffici finanziari che contribuiscono ad una schedatura delle persone sui profili personali, oltre che patrimoniali e finanziari –:
   se il Ministro sia a conoscenza di tale prassi, se essa debba ritenersi conforme alla legge, e quali iniziative intenda intraprendere, anche sul piano normativo e sentito il Garante per la protezione dei dati personali, per vietare la richiesta di dati personali ininfluenti sotto il profilo finanziario eventualmente stabilendo la forma del questionario in modo che contenga unicamente elementi utili ai fini delle disposizioni del decreto legislativo n. 231 del 2007. (4-07169)


   BECHIS. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 novembre 2014 sul quotidiano La Stampa è apparso un articolo dal titolo «Emergenza artigiani in nero “In Piemonte sono 126 mila” I mestieri più a rischio sono estetisti e parrucchieri. “È concorrenza sleale”» a firma di Marina Cassi di cui si riportano in seguito alcuni stralci:
    «Emergenza artigiani in nero – “In Piemonte sono 126 mila” – I mestieri più a rischio sono estetisti e parrucchieri. “È concorrenza sleale”;
    (...) Secondo la Confartigianato del Piemonte in regione ci sono 126.700 lavoratori dell'artigianato in nero, il 9,5 per cento del totale del settore. (...) Dino De Santis, ha le idee molto chiare: (...) “il settore più a rischio è quello dei parrucchieri ed estetiste, spesso ex dipendenti che dopo il licenziamento continuano a esercitare a casa loro, idraulici e elettricisti che arrotondano anche se non prestano più i loro servizi ufficialmente”. E l'elenco prosegue con “i dipendenti in mobilità oppure i cassintegrati”. De Santis polemizza: “Questo esercito di abusivi non solo fa concorrenza sleale alle imprese regolari ma determina una rilevante evasione fiscale e contributiva”.
    (...) L'associazione stima che una fetta così ampia di lavoro irregolare determini una evasione fiscale e contributiva pari a 11,78 miliardi di Iva, 2,8 di Irpef, 604 milioni di Irap e 4,54 miliardi di contributi sociali. (...) Secondo la ricerca le imprese artigiane regolari sono tra le più esposte alla concorrenza sleale dell'abusivismo e del sommerso: circa i due terzi del settore – che in Italia conta 923.559 imprese e 1.750.427 addetti – sono a rischio. (...) Il settore più esposto sarebbe è quello dei servizi alla persona, con un tasso di aziende a rischio del 24,5 per cento, poi alloggio e ristorazione con il 22,1 per cento e le attività di trasporto e magazzinaggio con il 19,5. Ma particolarmente esposti alla crisi sono anche parrucchieri e estetiste» –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto e cosa intenda fare per facilitare e incrementare le operazioni atte a combattere efficacemente l'evasione fiscale e contributiva. (4-07174)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COLLETTI, DEL GROSSO e VACCA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati forniti dall'ufficio studi della Confederazione generale italiana dell'artigianato (Cgia) di Mestre, tra la fine del 2011 e lo stesso periodo del 2013 le banche hanno erogato a famiglie e imprese 97,2 miliardi di euro in meno: per le prime c’è stata una contrazione di 9,6 miliardi (-1,9 per cento) e per le seconde una flessione pari a ben 87,6 miliardi di euro (-8,8 per cento);
   sempre secondo i dati della Cgia di Mestre gli abitanti abruzzesi presentano un alto rischio di cadere vittime di usura a causa degli alti tassi di interesse e dei pochi prestiti erogati dalle banche. In Abruzzo i tassi di interesse sono del 3,54 per cento, mentre nella media italiana i tassi si assestano sul 2,69 per cento. Molto alto anche il rapporto tra sofferenze ed impieghi bancari con una percentuale del 14,1 per cento (per l'esattezza 3.528 sofferenze su 25.001 impieghi), mentre la media italiana è dell'8,43 per cento. È inoltre molto elevato il numero di denunce contro gli usurai rispetto alla popolazione, 28 per l'esattezza, con una media di 2,46 ogni 100.000 abitanti e con indice 310, ovvero il triplo della media nazionale e di gran lunga il più elevato in Italia;
   secondo le valutazioni del Report nazionale sull'usura praticata dalle banche sul 99 per cento dei quasi 47mila conti correnti aziendali analizzati sono state rilevate anomalie: in particolare usura oggettiva (nel 71 per cento dei casi i tassi di interesse passivi erano superiori al tasso soglia fissato trimestralmente dalla Banca d'Italia), usura soggettiva (nel 74 per cento dei casi sono state applicate condizioni particolarmente gravose, considerata la situazione di difficoltà economico-finanziaria dell'azienda) o anatocismo (nel 71 per cento dei casi). Le aziende che, secondo tali, valutazioni, sono state colpite da usura bancaria e anatocismo appartengono in prevalenza ai settori direttamente produttivi (50,1 per cento): la manifattura incide per il 24,54 per cento, le costruzioni per il 23,56 per cento e l'agricoltura per il 2 per cento. Rilevante anche il numero di aziende del settore di commercio e del turismo (34,4 per cento), seguono quelle impegnate in attività immobiliari, finanziarie e assicurative (10,21 per cento), e in attività professionali e artistiche (5,28 per cento). Le analisi stimano che il rapporto tra le somme recuperabili dalle aziende perché non dovute e quanto pagato alla banca tra interessi, commissioni e spese varie è del 62 per cento per le aziende manifatturiere, del 65 per cento per quelle di costruzioni, del 70 per cento nel settore agricolo e sale addirittura all'82 per cento per le attività alberghiere e di ristorazione. A essere colpite maggiormente sono quelle attività di solito portate avanti da un singolo individuo e dalla sua famiglia. Il rapporto tra somme non dovute e somme pagate, infatti, è in media intorno all'80 per cento per le imprese individuali, compreso tra il 70 e l'80 per cento per le società in accomandita semplice e per quelle in nome collettivo, compreso tra il 60 e il 70 per cento per le società a responsabilità limitata, mentre scende sotto il 50 per cento per le società per azioni;
   l'usura bancaria rappresenta un vero e proprio pericolo per il nostro Paese – soprattutto in un periodo di crisi economica come quello attuale – in quanto aggredisce il patrimonio industriale, artigianale, agricolo e dei servizi che connota il tradizionale corpo produttivo dell'Italia –:
   se il Ministro della giustizia sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e in particolare del numero di reati di usura bancaria denunciati negli ultimi tre anni in Italia e in Abruzzo, divisi per anno;
   se il Ministro sia a conoscenza del numero di volte in cui la procura abbia sospeso procedure esecutive per usura bancaria negli ultimi tre anni in Italia e Abruzzo, divisi per anno;
   se il Ministro dell'interno sia a conoscenza del numero di persone ammesse dal prefetto ai benefici di legge per usura derivante da contratti con istituti bancari e/o finanziari negli ultimi tre anni in Italia e Abruzzo, divisi per anno. (5-04218)


   SARTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la presente interrogazione si basa su quanto emerso al seguito di due visite ispettive svolte dall'interrogante, la prima in data 22 settembre 2014 e la seconda pochi giorni fa, il 16 novembre, in quest'ultima occasione insieme al nuovo garante dei detenuti comunale Davide Grassi, presso la casa circondariale di Rimini, sita in via Santa Cristina n. 19, al fine di verificare personalmente le condizioni dei detenuti, del personale e lo stato della struttura. Già a settembre, mi era stato possibile incontrare il direttore, la dottoressa Benassi, poiché costretta ad occuparsi di due strutture carcerarie, Rimini e Modena; in data 7 ottobre, la dottoressa Casella è andata in pensione ed è stato nominato un nuovo direttore provvisorio, l'avvocato Gianluca Candiano. Con il nuovo direttore però, la situazione è peggiorata poiché secondo il provvedimento di nomina deve presenziare alla casa circondariale di Rimini solo due volte a settimana e per il resto dei giorni presso il carcere di Castelfranco Emilia;
   la capienza del carcere è di 136 posti di cui: 22 posti mai utilizzati della seconda sezione completamente ristrutturata ma chiusa; 16 di custodia attenuata riservati alla sezione Andromeda per alcoldipendenti e tossicodipendenti, di cui ad oggi solo 7 posti occupati; 11 posti riservati ai semiliberi di cui occupati 5; 7 posti vuoti perché destinati ai detenuti transessuali (occupati 1). Quindi, sottraendo dalla capienza totale i posti riservati alle sezioni speciali, quelli della sezione ordinaria in realtà sono solamente 80;
   ad oggi 19 novembre 2014, i detenuti presenti sono in totale 114, di cui 100 nelle sezioni ordinarie (la prima, la terza, la quarta e la quinta). Ciò significa che, se la capienza come sopra spiegato per i detenuti ordinari è di 80 posti, allora c’è un sovraffollamento di 20 soggetti e paradossalmente le sezioni speciali sono sostanzialmente vuote. Dalla documentazione, che non tiene conto del fatto che un normale detenuto non può accedere ai posti assegnati alle sezioni speciali, risulta addirittura che nel carcere Casetti ci siano 22 posti liberi rispetto alla capienza massima (136);
   del totale dei 114 detenuti gli imputati sono 44, appellanti 16, ricorrenti 5, definitivi 49; sempre con riferimento al totale 55 sono stranieri e 59 italiani; 57 sono tossicodipendenti;
   l'istituto penitenziario è composto da 6 sezioni più quella assegnata ad Andromeda e quella per i detenuti in condizione di semilibertà. Delle sei sezioni, però, ne possono essere utilizzate quattro, per diversi motivi: la seconda sezione è totalmente chiusa poiché le società che hanno svolto i lavori di ristrutturazione, non pagate dalla società da cui dipendevano, non hanno mai consegnato i certificati di collaudo. La società in questionerà sua volta, non ha provveduto al pagamento delle società subappaltanti e subfornitrici. Attraverso la visita, l'interrogante ha potuto verificare che tale sezione vuota è completamente ristrutturata e conforme alle norme di sicurezza, contrariamente alle celle della prima sezione, attualmente ospitante i detenuti che appare fatiscente, in uno stato igienico pessimo con evidenti problemi di infiltrazioni di acqua piovana;
   la sesta sezione, invece, è stata ristrutturata dai detenuti. Il provveditore regionale, a seguito dei lavori di ristrutturazione svolti, per renderla adeguata al regolamento di esecuzione rispetto al quale le metrature erano diventate esigue, decideva di buttare giù i muri cosicché da 2 celle se ne ricavasse 1 più ampia e rispondente ai criteri stabiliti dalla sentenza Torreggiani. Dopo un mese però, lo stesso provveditore regionale, stabiliva che, nell'attesa dell'inizio di questi lavori, i detenuti transessuali venissero comunque mandati al Casetti;
   il cortile ricreativo è un campo di cemento completamente esposto al sole e alle intemperie, contrariamente a quanto previsto dall'ordinamento penitenziario. Un'eventuale copertura deve essere disposta dal Provveditore. Esiste poi un'altra zona più protetta, con anche un tappetino a terra, cosicché se i detenuti giocano a calcio non si facciano male. Accanto, però, si trova un'area verde ombreggiata per i colloqui tra i detenuti e i figli minori completamente ristrutturata con gazebo di legno e sedie mai utilizzata poiché, a seguito della nevicata del 2012, è crollato il tendone. Per rimetterlo a posto era stata data la disponibilità economica da parte della camera penale di Rimini ma poi, venendo a conoscenza del costo elevato di tale opera, circa 7 mila euro, non ha mai versato la somma;
   le attività ricreative dei detenuti sono ridotte al minimo e quelle lavorative sostanzialmente inesistenti; questo comporta il venir meno della finalità principale della pena ossia la rieducazione e il reinserimento; non solo, i detenuti, in mancanza di attività che occupino il loro tempo in maniera produttiva, finiscono per dar vita a risse e scontri. Recentemente infatti, precisamente in data 7 ottobre 2014, è scoppiata una rissa per un pacchetto di sigarette in cui due detenuti hanno picchiato a sangue un detenuto tunisino con una caffettiera e con un'asta appendiabiti da armadio rompendogli il naso; qualche giorno prima, l'1 ottobre, due agenti, vedendo un detenuto che perdeva sangue perché colpito da un suo compagno di cella, sono dovuti ricorrere a cure mediche per i colpi ricevuti dal detenuto mentre cercava di divincolarsi. Nello stesso momento, un detenuto tossicodipendente si era provocato delle lesioni tagliandosi il corpo in più parti perché; a detta del detenuto, non aveva ricevuto la terapia prevista. In tale occasione, il segretario generale aggiunto del Sappe (sindacato degli agenti), Giovanni Battista Durante, dichiarava che le aggressioni, i ferimenti e le azioni di autolesionismo sono sempre più frequenti, ravvisando l'assoluta necessità di un direttore in pianta stabile. Ad oggi i problemi si stanno sommando: dall'inizio dell'anno i numeri parlano di 12 tentati suicidi, 12 aggressioni agli agenti e 25 tra detenuti, oltre 73 atti di autolesionismo, 12 denunce all'autorità giudiziaria per violenza, minaccia e resistenza al pubblico ufficiale; 52 proteste di sciopero della fame; 9 danneggiamenti ai beni dell'amministrazione; 2 incendi;
   inoltre, l'interrogante ha ravvisato una carenza di organico importante: il magistrato di sorveglianza è uno solo per le tre carceri romagnole di Forlì, Ravenna e Rimini, mentre per quanto riguarda gli agenti di polizia penitenziaria, in un carcere dove ci sono circa 140 detenuti, per ogni turno il personale di sorveglianza è di appena 8 persone quando ne servirebbero almeno il doppio; basti pensare al caso in cui un detenuto debba essere portato in ospedale è necessaria una scorta di almeno tre agenti, dunque per 136 detenuti rimarrebbero 5 agenti;
   per quanto riguarda l'igiene e la pulizia delle cella, essa è affidata ai detenuti stessi, tra l'altro come previsto dall'ordinamento penitenziario. Purtroppo però, non dispongono nemmeno di scope e spugne a causa del taglio lineare dei fondi destinati alle mercedi dei detenuti al carcere di Rimini –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra descritto e intenda sollecitare affinché vengano superati gli ostacoli burocratici che hanno impossibilitato fino ad ora l'utilizzo delle sezioni ristrutturate e della zona ricreativa;

se il Ministro intenda verificare e fornire prova dell'effettivo versamento delle somme dovute alle società che hanno effettuato i lavori di ristrutturazione della seconda sezione della casa circondariale di Rimini, come previsto dal decreto di liquidazione emesso dal provveditorato regionale dell'Emilia Romagna in data 26 agosto 2014 e nel caso in cui il dap risulti inadempiente se il Ministro voglia disporre l'immediata erogazione di quanto dovuto ai fini dell'apertura della seconda sezione;
   se il Ministro ritenga opportuno disporre che venga nominato un direttore in pianta stabile vista la situazione di assoluta necessità e urgenza sopra esposta;
   se il Ministro possa adoperarsi affinché venga colmata la grave lacuna a livello di organico per quanto attiene ai turni degli agenti di polizia penitenziaria che, con riferimento al numero di detenuti, per regolamento dovrebbero essere almeno il doppio di quanti ve ne sono oggi. (5-04228)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, BARONI e DALL'OSSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con decreto 5 novembre 2014 pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 91 del 21 novembre 2014 – 4a serie speciale – concorsi, è stato bandito il concorso, per esami, a 340 posti di magistrato ordinario;
   tra i requisiti per l'ammissione al concorso elencati nell'articolo 2 del bando, al punto 11 si legge che possono parteciparvi anche «laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di un corso universitario di durata almeno quadriennale e che hanno concluso positivamente lo stage presso gli uffici giudiziari o hanno svolto il tirocinio professionale per diciotto mesi presso l'Avvocatura dello Stato»;
   la disposizione di cui sopra è stata introdotta dall'articolo 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, nel testo vigente a seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con legge 11 agosto 2014, n. 114;
   si tratta di una novità riservata ai soli laureati di età inferiore ai 30 anni e che abbiano conseguito un voto di laurea pari o superiore a 105 ovvero una media di almeno 27/30 negli esami di diritto costituzionale, diritto privato, diritto processuale civile, diritto commerciale, diritto penale, diritto processuale penale, diritto del lavoro e diritto amministrativo;
   la norma introduce la possibilità che i laureati in possesso di particolari requisiti, previsti dalla legge, e che abbiano svolto per 18 mesi uno stage formativo presso gli uffici giudiziari o la pratica forense presso l'Avvocatura dello Stato possano accedere, per ciò solo e senza necessità di frequentare una Scuola di specializzazione, al concorso;
   ad una prima sommaria lettura la ratio della disposizione sembrerebbe essere quella di agevolare gli studenti più meritevoli, garantendo loro una via di accesso al concorso meno onerosa rispetto a quella ordinaria;
   tuttavia la norma, come fatto notare dal direttore dell'autorevole rivista giuridica leggioggi.it, avvocato Carmelo Giurdanella, non è esente da critiche e lascia residuare molti dubbi in ordine alla disparità di trattamento che la stessa crea in relazione agli aspiranti candidati cui, pur in possesso degli stessi requisiti di merito richiesti dalla legge, viene negato l'accesso al concorso per il solo fatto di aver svolto il periodo di pratica forense presso uno studio legale privato o presso avvocatura pubblica diversa dall'avvocatura dello Stato;
   una simile disparità di trattamento configura a giudizio degli interroganti manifesti e fondati profili di illegittimità costituzionale della norma in relazione agli articoli 2 e 3 della Costituzione, dal momento che porrebbe in essere una violazione irragionevole del principio di uguaglianza, il quale vieta di trattare in maniera diversa situazioni analoghe: non sembra, infatti, che intercorra una differenza tale, tra i due tipi di pratica, da giustificare l'introduzione di un tale discrimine;
   la Corte costituzionale ha già dichiarato, con sentenza n. 296 del 2010, l'illegittimità di una previsione che «attribuisce rilievo decisivo ad un requisito di ordine meramente formale (era l'iscrizione all'albo forense) del quale non si comprende l'idoneità a rivelare il possesso, in capo all'aspirante magistrato, di una maggiore attitudine all'esercizio della funzione giudiziaria rispetto agli altri aspiranti solo abilitati a svolgere la professione di avvocato» –:
   se non ritenga inopportuna l'introduzione di una simile discriminatoria differenza, meramente formale, tra uno studio professionale pubblico (l'avvocatura dello Stato) e tutti gli altri studi professionali, sia privati che pubblici e se non reputi necessario assumere iniziative per modificare la previsione normativa e, a cascata, il bando di concorso appena pubblicato, che esclude i praticanti provenienti da studi legali «privati» o da altri avvocature pubbliche diverse dall'avvocatura dello Stato. (4-07151)


   TRIPIEDI, COMINARDI, PESCO, ALBERTI e CIPRINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 31 ottobre 2014, veniva pubblicata sul quotidiano «Il Giorno» e sul quotidiano online «Infonodo.org» la notizia riguardante i disservizi per le operazioni di carico e scarico dei ristretti presso il tribunale di Monza (MB);
   sino alla data antecedente il 30 ottobre 2014, per le operazioni di carico e scarico dei ristretti e la sosta dei mezzi dell'amministrazione presso il tribunale di Monza, la polizia penitenziaria usufruiva del parcheggio del cortile interno alla stessa struttura nella più totale sicurezza, essendo il parcheggio recintato e protetto;
   dal 30 ottobre 2014, tramite un'ordinanza adottata dal presidente del tribunale, dottoressa Anna Maria Di Oreste, ai blindati viene interdetto l'accesso all'abituale parcheggio interno per le normali operazioni di carico e scarico ristretti, non autorizzandone più la sosta nello spazio interno del cortile bensì all'esterno della struttura, in piazza Anita Garibaldi, antistante l'ingresso principale del tribunale. Le motivazioni date dallo stesso presidente che ha ritenuto il provvedimento drastico ma necessario, sono quelle che, in conseguenza dell'aumento delle udienze, i due parcheggi interni utilizzati non erano più praticabili. Sempre nelle motivazioni veniva specificato che gli stessi mezzi venivano parcheggiati incustoditi, venendo meno, così, alle normali garanzie di sicurezza in caso di emergenze;
   le ragioni della riduzione dello spazio interno sarebbero da ricondurre alla condizione di costante sovraffollamento del posteggio interno, peggiorate anche a causa di un cantiere per la riqualificazione del tetto del tribunale;
   alle motivazioni del presidente del tribunale, hanno fatto seguito le critiche del sindacato di polizia penitenziaria UIL;
   il sindacato Uil polizia penitenziaria ha criticato la decisione presa denunciando il disagio di far passare i detenuti in manette fra i passanti, creando una situazione di forte pericolo per la polizia penitenziaria stessa, per i passanti e anche per gli stessi detenuti –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopraesposti;
   se il Ministro non intenda assumere ogni iniziativa di competenza per consentire di ripristinare, la situazione come era antecedentemente al fatto citato, ovvero riportando i blindati all'interno del cortile del tribunale di Monza, nel rispetto della dignità professionale della polizia penitenziaria, della riservatezza dei ristretti, e per garantire la sicurezza di polizia penitenziaria, ristretti e passanti. (4-07154)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MURA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 1o dicembre 1986, n. 860, sono stati istituiti su tutto il territorio nazionale, quali uffici periferici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT), gli uffici speciali trasporti a impianti fissi (USTIF);
   con la riorganizzazione del dicastero nel 2008-2009 l'USTIF e le sue articolazioni territoriali sono stati incardinati presso il dipartimento per trasporti, la navigazione ed i sistemi informativi e statistici – direzione generale della motorizzazione civile, da cui attualmente dipendono;
   gli uffici rilasciano il nulla osta all'entrata in servizio, ai fini della sicurezza, dei seguenti sistemi di trasporto realizzati ex novo o in seguito a pesanti ammodernamenti: ferrovie in concessione, metropolitane e sistemi assimilabili, tranvie, filovie, sciovie, slittinovie, funivie, ascensori pubblici, scale e marciapiedi mobili, servoscale e sistemi ettometrici;
   gli USTIF effettuano verifiche e prove funzionali periodiche alle infrastrutture e al materiale rotabile e possono revocare il nullaosta in seguito a verifiche e prove funzionali con esito negativo. Effettuano verifiche anche in seguito a incidenti riguardanti la sicurezza e la regolarità dei sistemi di trasporto sotto competenza dell'USTIF;
   gli USTIF rilasciano inoltre il nullaosta ai fini della sicurezza per il rilascio dell'autorizzazione alla costruzione di strade, canali, condotte d'acqua, elettrodotti, gasdotti, oleodotti, o altre opere di pubblica utilità destinate ad attraversare impianti ferroviari o ad essere realizzate ad una distanza che possa creare interferenze, soggezioni o limitazioni all'esercizio ferroviario;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha intrapreso da tempo una progressiva centralizzazione delle competenze e, conseguentemente, la chiusura degli uffici regionali, a partire proprio dagli USTIF;
   la sede dell'USTIF a Cagliari, competente per la Sardegna, è stata chiusa e le sue funzioni vengono svolte a Roma, nella cui sede ricadono anche le competenze per il Lazio, le Marche e l'Umbria;
   la chiusura della sede di Cagliari comporta per ogni intervento un trasferimento dei funzionari della regione Sardegna a Roma, facendo lievitare i costi e allungando i tempi in modo irragionevoli, con il rischio concreto di perdere i finanziamenti;
   tutte le regioni a statuto speciale, ad eccezione della Sardegna, nonché le province autonome di Trento e Bolzano, hanno da tempo provveduto ad acquisire le competenze degli USTIF;
   col trasferimento delle competenze si verrebbe a creare uno staff tecnico in grado di garantire nel tempo la continuità dei servizi specifici dell'USTIF dedicati alle problematiche della Sardegna –:
   se non ritenga opportuno rivedere la decisione di chiudere importanti uffici dell'USTIF in Italia, tra i quali vi è la sede di Cagliari competente per la Sardegna, regione oggi costretta a dover attendere tempi lunghissimi per le risoluzioni delle proprie richieste a causa del sovraccarico di pratiche negli uffici di Roma;
   quali azioni intenda assumere per evitare, a seguito della chiusura della sede di Cagliari, i ritardi e, conseguentemente, le ripercussioni negative in Sardegna sugli esercizi ferroviari e tramviari, le stazioni ferroviarie ed aeroportuali e gli ascensori pubblici;
   se non si ritenga di assumere iniziative per trasferire alla regione Sardegna le competenze degli USTIF, cosa che renderebbe subito operativi tutti i provvedimenti che la regione decidesse di attuare, con evidente benefici in termini di costi, tempi ed efficienza. (5-04222)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   per il 2015 l'Aeroporto d'Abruzzo ha scelto di annullare la linea aerea Pescara- Cagliari;
   il circolo dei sardi d'Abruzzo e del Molise ha sottolineato come, pur nella sua inadeguatezza rispetto alle esigenze dell'utenza, la linea aerea tra Pescara e la Sardegna sia un punto di riferimento per i numerosi lavoratori pendolari sardi presenti in Abruzzo, circa 2500, e lungo la fascia adriatica di competenza dell'aeroporto (da Foggia alla Romagna), senza disdegnare le zone interne e i passeggeri residenti nel Lazio, che trovavano meno comodo recarsi nei due aeroporti di Ciampino e Fiumicino per il cronico problema del traffico e dei parcheggi, oltre per un costo superiore dei biglietti aerei;
   il circolo Sardi d'Abruzzo sottolinea come l'abolizione è stata decisa da un'irrazionale politica commerciale che non ha tenuto conto del diritto dei sardi alla mobilità al pari degli altri cittadini, costringendoli a spostamenti, per raggiungere la propria terra, disagevoli e per questo ha convocato varie manifestazioni per chiedere di ripristinare la linea aerea –:
   se non intenda assumere ogni iniziativa di competenza per favore il ripristino della linea aerea Pescara-Cagliari onde evitare di creare un così grande disagio a migliaia di cittadini Sardi residenti in Abruzzo. (4-07155)


   BONAVITACOLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con decreto prot. 449 del 27 ottobre 2014, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha disposto la sospensione cautelare dell'ingegner Donato Carlea, dirigente di prima fascia, dal servizio e dall'incarico ai sensi dell'articolo 11, comma 2, del CCNL Area 1 della dirigenza comparto Ministeri, sottoscritto in data 12 febbraio 2010 per il quadriennio normativo 2006/2009;
   tale sospensione veniva motivata con riferimento:
    a) alla richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, nel procedimento penale nei confronti dell'ingegner Carlea, connesso a presunte irregolarità nell'esecuzione delle opere per il disboscamento in area del comune di Casamicciola – Terme Bosco della Maddalena, sottoposta a vincolo paesaggistico – dichiarata di notevole interesse pubblico – per i reati di cui agli articoli 41, 100 e 81 cpv, articolo 44 lettera c) decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 – 41, 100 c.p. e 181 comma 1-bis lettera a) decreto legislativo n. 42 del 2004 – 41, 110 e 734 c.p. e 479 c.p. (falsità ideologica commessa da p.u. in atti pubblici) di cui ai capi d'imputazione a), b), c) ed e) della richiesta di rinvio a giudizio;
    b) al successivo decreto n. 41164/09 del 16 luglio 2014 con il quale il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli ha disposto il rinvio a giudizio nei confronti dell'ingegner Carlea per i reati a lui ascritti;
   le contestazioni di cui innanzi riguardano presunte irregolarità nella localizzazione e realizzazione (previo disboscamento del sito) di una costruenda caserma del Corpo forestale dello Stato, alla cui realizzazione era stato preposto il Provveditorato interregionale per le OO.PP. Campania e Molise, retto dall'ingegner Carlea dal 20 settembre 2007 al 14 settembre 2010;
   l'appalto dei lavori è risalente all'anno 2005, con l'evidente conseguenza logica e fattuale che tutte le problematiche localizzative precedono di molto l'assunzione della carica di provveditore da parte dell'ingegner Carlea, mentre è altrettanto agevole considerare che tali problematiche sono pertinenti ad aspetti esecutivi di spettanza di altri organi e uffici operativi del provveditorato, non potendo occuparsene direttamente il provveditore in persona;
   la contraddittorietà del quadro accusatorio è confermata dalla formulazione del capo d) che vede, invece, il provveditore ingegner Carlea quale parte lesa di un inganno nei suoi confronti perpetrato da soggetti invece qualificati coimputati del Carlea negli altri capi a), b), c), e);
   a fronte di un quadro accusatorio palesemente contraddittorio e, comunque, privo di qualsiasi contestazione nei confronti dell'ingegner Carlea in ordine ad illeciti interessi personali nella vicenda, sarebbe stato logico da parte del Ministero sospendere l'azione disciplinare nei confronti dell'ingegner Carlea, in attesa delle risultanze del procedimento penale;
   ed invero, correttamente, con nota ministeriale n. 905/Ud del 15 aprile 2014 veniva attivato e, contestualmente sospeso ai sensi dell'articolo 55-ter del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, il procedimento disciplinare a carico dell'ingegner Carlea, connesso a quello penale di cui ai citati capi d'imputazione a), b), c), e);
   tale decisione si poneva in linea con la circolare Mit 446 UD del 18 maggio 2011, a firma del direttore generale, con cui sono state illustrate le novità in tema di responsabilità disciplinari dei dipendenti pubblici, ivi compresi i titolari di qualifica dirigenziale, a seguito delle modifiche al decreto legislativo n. 165 del 2001 introdotte dal decreto legislativo n. 150 del 2009;
   tra dette modifiche vanno richiamati ai fini della vicenda in esame:
    a) l'articolo 55, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 (sanzioni disciplinari e responsabilità), nel testo così sostituito dall'articolo 68 del decreto legislativo n. 150 del 2009:
     «1. Le disposizioni del presente articolo e di quelli seguenti, fino all'articolo 55-octies, costituiscono norme imperative, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile, e si applicano ai rapporti di lavoro di cui all'articolo 2, comma 2, alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2.
     2. Ferma la disciplina in materia di responsabilità civile, amministrativa, penale e contabile, ai rapporti di lavoro di cui al comma 1 si applica l'articolo 2106 del codice civile. Salvo quanto previsto dalle disposizioni del presente Capo, la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti collettivi. La pubblicazione sul sito istituzionale dell'amministrazione del codice disciplinare, recante l'indicazione delle predette infrazioni e relative sanzioni, equivale a tutti gli effetti alla sua affissione all'ingresso della sede di lavoro»;
    b) l'articolo 55-ter (Rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale) introdotto dall'articolo 69 del decreto legislativo n. 150 del 2009:
     «1. Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni di minore gravità, di cui all'articolo 55-bis, comma 1, primo periodo, non è ammessa la sospensione del procedimento. Per le infrazioni di maggiore gravità, di cui all'articolo 55-bis, comma 1, secondo periodo, l'ufficio competente, nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all'esito dell'istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l'irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale, salva la possibilità di adottare la sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti del dipendente.
     2. Se il procedimento disciplinare, non sospeso, si conclude con l'irrogazione di una sanzione e, successivamente, il procedimento penale viene definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso, l'autorità competente, ad istanza di parte da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall'irrevocabilità della pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l'atto conclusivo in relazione all'esito del giudizio penale.
     3. Se il procedimento disciplinare si conclude con l'archiviazione ed il processo penale con una sentenza irrevocabile di condanna, l'autorità competente riapre il procedimento disciplinare per adeguare le determinazioni conclusive all'esito del giudizio penale. Il procedimento disciplinare è riaperto, altresì, se dalla sentenza irrevocabile di condanna risulta che il fatto addebitabile al dipendente in sede disciplinare comporta la sanzione del licenziamento, mentre ne è stata applicata una diversa.
     4. Nei casi di cui ai commi 1, 2 e 3 il procedimento disciplinare è, rispettivamente, ripreso o riaperto entro sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza all'amministrazione di appartenenza del lavoratore ovvero dalla presentazione dell'istanza di riapertura ed è concluso entro centottanta giorni dalla ripresa o dalla riapertura. La ripresa o la riapertura avvengono mediante il rinnovo della contestazione dell'addebito da parte dell'autorità disciplinare competente ed il procedimento prosegue secondo quanto previsto nell'articolo 55-bis. Ai fini delle determinazioni conclusive, l'autorità procedente, nel procedimento disciplinare ripreso o riaperto, applica le disposizioni dell'articolo 653, commi 1 ed 1-bis, del codice di procedura penale»;
   dal citato contesto normativo è agevole ricavare che:
    a) le norme del decreto legislativo n. 159 del 2009 sono inderogabili quanto al procedimento disciplinare ed ai suoi rapporti con l'eventuale procedimento penale, con la conseguenza che alla disciplina dei CCNL è riservato solo la definizione della tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni, mentre le eventuali norme della contrattazione collettiva relative ad aspetti procedimentali in contrasto con la norma primaria sono ope legis sostituite dalle norme procedimentali previste dallo stesso decreto legislativo n. 159 del 2009;
    b) rientra nella facoltà dell'Amministrazione, per i casi riguardanti fatti complessi da accertare in sede penale, sospendere il procedimento disciplinare e riprenderlo solo in esito alla conoscenza di sentenza irrevocabile inerente i fatti a base dell'attivazione del procedimento disciplinare;
   tale procedimento non è stato seguito nella vicenda in esame, in quanto alla sospensione iniziale ha fatto seguito l'irrogazione di una gravissima sanzione a carico dell'ingegner Donato Carlea sospensione sine die dal servizio) non solo in assenza di una sentenza irrevocabile, ma addirittura in assenza di alcuna sentenza, visto che tale irrogazione ha fatto seguito ad un mero decreto di rinvio a giudizio, provvedimento giudiziale privo di alcun contenuto decisorio (articolo 429 codice di procedura penale) sui fatti di cui è procedimento penale, in apparente contrasto con quanto previsto dall'articolo 55-ter, comma 4 del decreto legislativo n. 165 del 2001;
   l'amministrazione, all'atto della sospensione del procedimento disciplinare, non ha ritenuto d'irrogare alcuna sanzione cautelare, con la conseguenza che la riapertura del procedimento (e l'irrogazione di eventuali sanzioni) restava obbligatoriamente ed inderogabilmente subordinata alla sopravvenienza di una sentenza irrevocabile di condanna, per effetto del modello procedimentale scolpito dal combinato disposto dell'articolo 55-ter, comma 1, secondo periodo e comma 4, cui il Ministero si è uniformato ed autovincolato con la decisione n. 905/Ud del 15 aprile 2014, laddove veniva attivato e, contestualmente sospeso ai sensi dell'articolo 55-ter del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, il procedimento disciplinare a carico dell'ingegner Carlea, connesso a quello penale di cui ai citati capi d'imputazione a), b), c), e);
   con totale mutamento di rotta, palesemente abnorme ed illegittimo a giudizio dell'odierno interrogante, il Ministro non ha affatto atteso, come avrebbe dovuto, l'esito del procedimento penale, ma ha sanzionato l'ingegner Carlea in modo davvero ingiusto al solo cospetto di un mero decreto di rinvio a giudizio, atto ininfluente e non compreso fra i presupposti di riattivazione del procedimento disciplinare precedentemente sospeso senza sanzioni cautelari;
   tale decisione appare ancor più abnorme ove si consideri:
    a) la evidente tenuità delle contestazioni al Carlea, accusato di falsa attestazione di circostanze amministrative nell'ambito di un procedimento volto esclusivamente alla realizzazione di un'opera di pubblico interesse, senza che in alcun modo l'autorità inquirente abbia avuto modo di adombrare un benché minimo interesse del Carlea a compiere attestazioni da cui poter ricavare un qualsiasi interesse o tornaconto personale;
    b) la problematicità e apparente contraddittorietà delle contestazioni di falso mosse all'ingegner Carlea, considerato che la stessa autorità inquirente formula due capi d'imputazione che contemporaneamente, per lo stesso fatto, vedono l'ingegner Carlea autore di falso e vittima di condotte altrui che lo avrebbero dolosamente tratto in inganno in ordine allo stesso fatto;
    c) la pluridecennale e specchiata carriera di servitore delle istituzioni dell'ingegner Carlea, fra i più esperti e stimati funzionari del Mit, proprio di recente colpito con provvedimento n. 677/ud del 17 dicembre 2013 da analoga e gravissima sanzione disciplinare in ordine a fatti (transazione con impresa Carchella) per i quali pende procedimento penale di accertamento delle effettive responsabilità e per i quali lo stesso ingegner Carlea ha prodotto specifica e dettagliata denuncia all'autorità giudiziaria, al fine d'individuare le vere responsabilità, restando esclusa anche in questo caso qualsiasi contestazione all'ingegner Carlea sul perseguimento d'interessi personali o di propri vantaggi di qualsiasi natura;
   tali circostanze palesano uno straordinario ed immotivato accanimento sanzionatorio del Mit nei confronti dell'ingegner Carlea, che si vede sommare due abnormi sospensioni, senza soluzione di continuità, che lo estromettono dal servizio e dalla retribuzione a tempo indeterminato fino alla definizione del procedimento penale che si trova al mero stadio del decreto di rinvio a giudizio, con la prevedibile conseguenza che tale estromissione durerà numerosi anni –:
   se il Ministro non ritenga di attivare un'opportuna istruttoria al fine di ritirare, in via di autotutela, l'abnorme sanzione della sospensione sine die dal servizio e dalla retribuzione irrogata all'ingegner Donato Carlea, riservando la riattivazione del procedimento disciplinare in esito alla sentenza irrevocabile di definizione del giudizio, in attuazione delle norme innanzi citate;
   in quali casi di procedimento penale pendente sia stata irrogata tale gravissima sanzione della sospensione sine die dal servizio e dalla retribuzione, a carico di dirigenti e/o funzionari del Mit coinvolti, con riferimento a quali procedimenti e capi d'imputazione, nonché in quali fasi del procedimento penale;
   in quali casi di procedimento penale pendente a carico di dirigenti e/o funzionari del Mit si sia ritenuto d'irrogare sanzioni cautelari in sede disciplinare, con precisazione dei procedimenti e relativi capi d'imputazione;
   in quali casi di procedimento penale pendente a carico di dirigenti e/o funzionari del Mit si sia ritenuto d'irrogare sanzioni cautelari in sede disciplinare diverse da quelle irrogate all'ingegner Carlea, con precisazione dei procedimenti e relativi capi d'imputazione;
   se della disposta sospensione si sia anche tenuto conto in sede di procedura d'interpello interno per l'attribuzione degli incarichi di titolarità delle strutture ministeriali di primo livello, considerata la legittima aspirazione dell'ingegner Carlea ad una collocazione di primario rilievo in forza di un curriculum professionale di primissimo piano (basti riferirsi al Manuale dei lavori pubblici di cui è autore ed ai numerosi ed autorevoli attestati di stima ricevuti nel corso di una lunga carriera al servizio dello Stato). (4-07168)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   MARTELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 5 dicembre 2014, come annunciato dal portavoce regionale del «Coordinamento 9 dicembre», conosciuto alla pubblica opinione come movimento dei «forconi», torneranno una serie di presìdi in circa una dozzina di città del Veneto;
   molti ricorderanno i disagi per i cittadini nonché le tensioni e gli scontri con le forze dell'ordine, che si registrarono lo scorso anno in riferimento alle proteste che lo stesso movimento mise in atto per diversi giorni;
   l'obiettivo dichiarato è quello di paralizzare la regione per lanciare un ultimatum allo Stato italiano;
   il suddetto ultimatum andrebbe dalla «pretesa» delle dimissioni immediate di Governo e Presidente della Repubblica, al ritorno alla moneta nazionale, dal disconoscimento di tutti i trattati internazionali siglati dopo il 2006 fino all'istituzione di un tribunale speciale che proceda penalmente nei confronti di tutti coloro del mondo politico, economico e istituzionale che hanno permesso che il popolo italiano venisse ridotto in schiavitù, nonché l'introduzione del referendum propositivo e vincolante per l'indipendenza del Veneto;
   come riportato dagli organi di stampa è stato testualmente affermato dai promotori che: «scaduto l’ultimatum non garantiamo più che il dissenso si manifesti in modo ordinato e pacifico: ciascuno risponderà delle proprie azioni»;
   in considerazione di quanto verificatosi l'anno scorso e delle dichiarazioni qui riportate è del tutto evidente la strumentalità delle richieste che presuppongono, ovviamente, una volontà di scontro con le istituzioni –:
   se e quali iniziative il Governo, in particolare il Ministro dell'interno, abbia predisposto in vista della citata protesta al fine di evitare che si possano verificare problemi di ordine pubblico e, comunque, affinché venga garantita la massima sicurezza e il normale svolgimento delle attività pubbliche ed economiche. (3-01204)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VALERIA VALENTE, BOSSA e CARLONI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   gli organi di stampa e i media hanno reso noto il grave episodio di vandalismo e saccheggio verificatosi in una istituzione scolastica napoletana tra il 24 e il 25 novembre scorsi;
   in realtà, sin dallo scorso 24 novembre 2014, la dirigente scolastica dell'ITES Ferdinando Galiani – Istituto tecnico statale commerciale sito in Napoli, alla Via Don Bosco n. 6, aveva denunziato al commissariato di pubblica sicurezza San Carlo Arena di Napoli l'intervenuta occupazione dell'Istituto in questione, ad opera di soggetti con volto nascosto da sciarpe o da maschere, i quali avevano altresì consentito l'accesso ai locali dell'istituto a numerosi studenti;
   nella denuncia risulta chiaramente esposto che la presa di possesso del plesso scolastico era avvenuta con minacce e violenza, in danno di due collaboratori scolastici regolarmente generalizzati, e che l'istituto si trovava, di fatto, alla mercé degli occupanti, con grave rischio per la integrità della struttura, dei beni in essa custoditi, per i numerosi giovani che si intrattenevano nella scuola;
   la dirigente scolastica, nel rendere note l'illegale interruzione del pubblico servizio scolastico e l'occupazione del pubblico edificio, richiedeva, perciò, il sollecito intervento delle forze di Polizia, perché fosse eseguito lo sgombero dell'Istituto, considerato che i comportamenti particolarmente aggressivi manifestati nella presa di possesso della struttura apparivano estranei alle dinamiche che normalmente connotano le azioni dimostrative degli studenti sui temi della scuola, inducendo a temere intendimenti vandalici e propositi di saccheggio, in danno dei beni pubblici custoditi nel plesso scolastico e della struttura stessa;
   il richiesto sgombero, come è noto, non è stato, tuttavia, tempestivamente attuato e l'istituto Galliani, nelle 24 ore in cui è stato inopinatamente lasciato nel possesso degli abusivi occupanti, è stato oggetto della sistematica devastazione delle aule scolastiche, dalle quali sono stati sottratti tutti i computer che vi erano installati, con danneggiamento di altre attrezzature didattiche, sfondamento e distruzione delle porte di accesso alle aule e agli uffici, svuotamento degli estintori, sottrazione e danneggiamento degli altri dispositivi antincendio distribuiti nell'istituto, sottrazione di denaro contante e di PC custoditi negli uffici della direzione –:
   quali accertamenti si intendano effettuare per chiarire le ragioni del mancato tempestivo intervento delle forze di polizia a salvaguardia dell'edificio e per la messa in sicurezza dei beni che vi erano custoditi;
   quali misure intendano adottare per garantire la più sollecita ripresa delle normali attività didattiche nell'ITES Ferdinando Galiani di Napoli. (5-04219)


   BURTONE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 1o dicembre, 2014 come riportato dagli organi di stampa presso il pronto soccorso dell'ospedale di Policoro (Matera) il medico responsabile dottor Rocco Dileo è stato vittima di una aggressione da parte di un familiare di un paziente ricoverato;
   il medico, aiutato da una guardia giurata, a seguito dell'aggressione ricevuta è stato costretto a ricorrere alle cure mediche e a non potere proseguire il suo servizio;
   l'interrogante a seguito di un altro episodio che aveva visto sempre un medico dell'ospedale di Policoro, vittima, nel settembre 2013, di una aggressione, poneva il problema della sicurezza interna all'ospedale e alla necessità di istituire un presidio di polizia;
   con risposta del Governo del 18 dicembre 2013, quindi circa un anno fa, veniva testualmente riferito che: «la questione relativa alla sicurezza dei medici in servizio presso le strutture sanitarie è stata affrontata dal Comitato Provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica. In tale sede si è convenuto di realizzare, presso tutti i presidi del servizio di Guardia Medica della Provincia, un sistema di teleallarme collegato con le sale operative delle Forze di polizia, da utilizzare in presenza di situazioni di emergenza. Attualmente il sistema di allarme è operativo con i locali Comandi dell'Arma dei Carabinieri. Sempre in sede di Comitato Provinciale è stato, inoltre, esaminato lo stato di attuazione delle misure di sicurezza passiva presso le strutture sanitarie, al fine di garantire una maggiore tutela, soprattutto nelle ore notturne e festive, ai medici in servizio presso gli Ospedali di Matera e Policoro. Dalle verifiche effettuate è emerso che, a seguito dei fatti richiamati dall'onorevole interrogante, sono stati potenziati i servizi di vigilanza privata con un aumento di personale, per garantire una maggiore tutela anche dei medici addetti al Pronto Soccorso»;
   il ripresentarsi di un simile episodio evidentemente ripropone il tema della sicurezza per gli operatori e la necessità di affrontare anche il potenziamento del personale medico ed infermieristico in servizio presso l'ospedale di Policoro ed in particolare per quanto riguarda il pronto soccorso;
   va altresì ipotizzato, come avviene in diverse realtà ospedaliere, anche un servizio di supporto psicologico per i parenti dei pazienti in attesa al fine di prevenire il verificarsi di tali episodi in quanto la sicurezza delle strutture sanitarie va affrontata in maniera molto più ampia –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere a seguito del riportato episodio al fine di potenziare ulteriormente le misure di sicurezza presso l'ospedale di Policoro, ampliando la presenza della polizia di Stato h24. (5-04232)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAPARINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo la nuova riorganizzazione dei servizi di polizia rielaborata recentemente, dal dipartimento della pubblica sicurezza è ancora prevista la chiusura della sede della Polizia Stradale di Iseo e Salò (Brescia) che a breve verranno dunque definitivamente soppresse;
   contro tale decisione si è schierato il sindacato UGL della polizia di Stato, ma anche cittadini, sindaci, comunità e l'associazione nazionale vittime della strada;
   anche la regione Lombardia ha espresso il proprio dissenso contro tale decisione votando all'unanimità una mozione contro la chiusura dei presidi di polizia stradale nella provincia di Brescia (n. 225 del 2014);
   il Ministero dell'interno, il 18 novembre 2014, ha inviato alle organizzazioni sindacali nazionali il nuovo progetto di chiusura e le modalità di trasferimento del personale ponendo il 9 dicembre quale termine ultimo per presentare osservazioni;
   secondo quanto riportato nel dossier del centro di monitoraggio della sicurezza stradale di regione Lombardia, presentato recentemente a Palazzo Lombardia in occasione della quarta giornata regionale della sicurezza stradale, nel 2013 in Lombardia gli incidenti stradali hanno provocato 438 morti e 46.956 feriti, rispettivamente il 18,2 per cento e il 13 per cento del totale nazionale;
   gli indici di mortalità più elevati si registrano nelle strade extraurbane, in particolare sulle strade provinciali (4,1 per cento) e sulle statali (3,7 per cento);
   la stima dei costi sociali degli incidenti con lesioni a persone, in Lombardia, nel 2013 è stato di oltre 3 miliardi di euro, ovvero 302 euro per ogni cittadino lombardo;
   se si considera il dato disaggregato per provincia, dopo quella di Milano, che concentra il 43 per cento degli incidenti (14.755), il 42 per cento dei feriti (19.831) e il 24,7 per cento dei morti (108), segue quella di Brescia con 3.401 incidenti, 73 morti e 4.725 feriti;
   il programma Europeo di azione per la sicurezza stradale promosso dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e dalla Commissione europea (Libro Bianco del 2001) prevede quale obiettivo, per il 2011-2020, un ulteriore dimezzamento del numero dei morti sulle strade in Europa e nel mondo entro il 2020 e una riduzione dei feriti gravi;
   se si considerano i dati dell'incidentalità della provincia di Brescia dal 2000 al 2013, si palesa una sensibile diminuzione del numero di incidenti, ma anche del numero di morti e di feriti: in valore assoluto si è passati da 4.522 incidenti nel 2000 a 3.041 incidenti nel 2013, da 177 a 73 morti ed infine da 6.559 a 4.725 feriti;
   alla luce dei dati sopra riportati, la provincia di Brescia ha raggiunto pienamente i risultati prefissati dalla risoluzione comunitaria già nel 2010, poiché è passata da 185 morti per incidenti stradali nel 2001 a 73 nel 2013, con una variazione del –60 per cento in soli 10 anni;
   questi rilevanti obiettivi sono stati raggiunti grazie all'enorme lavoro svolto nel corso degli anni soprattutto dalla polizia Stradale e, in particolare, dal personale di questi reparti che con grande abnegazione hanno messo in campo numerosi e sistematici posti di controllo, tecnologie e servizi per prevenire incidenti stradali;
   con la chiusura della Polstrada di Iseo e di Salò non solo si vanificherà il grande lavoro svolto da questi Reparti nel corso degli anni, ma soprattutto si determinerà un aumento degli incidenti stradali e di perdite di vite umane in quanto, tenuto conto dell'esiguità delle altre forze che operano sul campo, tutte le arterie provinciali, comunali e statali rimarranno privi di questo settore strategico del controllo e della regolazione della mobilità su strada;
   la polizia stradale è una delle quattro specialità della Polizia di Stato e si occupa in via principale del settore strategico del controllo e della regolazione della mobilità su strada;
   l'elevata professionalità e specializzazione della polizia stradale è testimoniata dal continuo aggiornamento degli operatori c/o il centro addestramento Polizia di Stato di Cesena, in parallelo con le continue modifiche del codice della strada;
   in un momento di così grave crisi, con evidenti ripercussioni sulla sicurezza dei cittadini, è assai grave che questi Presidi di polizia abbandonino territori così vasti ed importanti, punto di riferimento fondamentale per i cittadini, per le aziende e per le scuole, ma anche per i numerosi turisti che affollano nella stagione estiva i laghi e i numerosi luoghi di villeggiatura della zona e nel periodo invernale le numerose località turistiche e sciistiche;
   pare inoltre che il comune di Salò abbia approvato una delibera con cui, al fine di mantenere il presidio di polizia, è disposta a cedere in comodato d'uso gratuito i locali sede del distaccamento polizia stradale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei dati sopra riportati in merito al lavoro svolto dai presidi di polizia stradale di Iseo e Salò e se, alla luce degli stessi nonché della loro utilità per tutta la provincia di Brescia, non ritenga opportuno rivedere il Piano che dispone la soppressione delle sedi ad Iseo e Salò prevedendone invece il mantenimento. (4-07142)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 24 aprile del 2009 con verbale di consegna provvisoria da parte del rappresentante della filiale siciliana dell'agenzia del demanio, veniva affidato al comune di Capaci un appezzamento di terreno sito in contrada Giampaolo, a Capaci, confiscato alla mafia ai sensi dell'articolo 2-ter legge 575 del 1965;
   da un esposto-denuncia presentato recentemente da alcuni consiglieri comunali di Capaci alla procura della Repubblica di Palermo, all'agenzia del demanio, al comandante della stazione dei carabinieri di Capaci, al comando della Guardia di finanza, al Ministero dell'interno, al Presidente della Commissione nazionale antimafia e al Presidente della Commissione regionale antimafia, sembrerebbe che la ex cava, che sorge su quell'appezzamento di terreno sia stata, negli anni, oggetto di continui saccheggi;
   secondo quanto affermato nell'esposto-denuncia, all'interno della ex cava, sostavano dei mezzi pesanti, un grosso bilico di pesa e un grosso cancello in ferro che delimitava l'ingresso dell'area. Tutti beni che facevano parte del bene confiscato, come si evince dal verbale di consegna provvisoria;
   i denuncianti sostengono che tutti questi beni mobili siano stati fatti sparire e nonostante abbiano informato e sollecitato più volte l'amministrazione comunale ad intervenire;
   il sindaco e il comune, tuttavia, non avrebbero ancora sporto regolare denuncia per furto, né attivato le procedure idonee a salvaguardare il sito da ulteriori saccheggi che continuerebbero a perpetrarsi;
   nell'esposto si pone l'accento sulla coincidenza temporale che ci sarebbe tra la scomparsa dei beni mobili e la messa in posa di alcuni blocchi di cemento che, per motivi di sicurezza, erano stati sistemati in modo da ostruire l'ingresso alla cava. Tale lavoro sarebbe stato svolto dalla ditta SIS, attualmente impegnata nel territorio per la realizzazione del passante ferroviario e che sarebbe stata autorizzata soltanto verbalmente dal capo area del comune di Capaci;
   in relazione a tale vicenda, ma anche più in generale, a parere dell'interrogante è necessario un raccordo stringente tra Agenzia del demanio ed enti locali nell'affidamento dei beni sequestrati alla criminalità organizzata –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e cosa intenda fare per evitare che continuino a verificarsi episodi di furti e saccheggi all'interno di beni confiscati alla criminalità organizzata, dovuti probabilmente al mancato coordinamento e controllo da parte degli enti affidatari dei beni confiscati alla criminalità organizzata;
   se intenda, per quanto di sua competenza, prestare la massima attenzione a quanto sta accadendo presso la ex cava sita in contrada Giampaolo a Capaci (Palermo), disponendo gli opportuni accertamenti e verifiche in merito alla sparizione dei beni mobili appartenenti al bene sequestrato al fine di evitare che l'attività di recupero e affidamento dei beni sequestrati alla criminalità organizzata venga vanificata da episodi quale quello esposto in premessa e, in particolare, da una gestione poco attenta;
   più in generale se non ritenga di intervenire anche a livello normativo per far sì che il ruolo dell'Agenzia del demanio, rispetto ai beni confiscati alle organizzazioni criminali, non si esaurisca nel mero affidamento degli stessi ma si estenda anche a garantirne l'effettiva restituzione alla collettività, nonché la qualità dell'uso finale, quale premessa alla reale efficacia dell'azione di contrasto alla criminalità organizzata. (4-07145)


   MURER. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 febbraio 2012, il Ministro dell'interno pro tempore Cancellieri, rispondendo ad un question time in aula, (3-02117) annunciò la volontà di «perseguire un disegno complessivo di razionalizzazione e semplificazione delle procedure previste dalla legge per il rilascio dei permessi di soggiorno»;
   nello stesso intervento, l'allora Ministro pro tempore precisò che era in avanzato stato di definizione un intervento normativo per «l'allungamento della validità, in particolare in fase di rinnovo, delle tipologie dei permessi di soggiorno più diffuse»; il riferimento era ai «permessi per lavoro e, conseguentemente, a quelli per motivi familiari, la cui durata è commisurata a quella del lavoratore straniero a cui ci si ricongiunge»;
   «L'allungamento della validità di questi permessi – spiegò il Ministro – comporterà una sensibile riduzione degli adempimenti a carico delle questure e, conseguentemente, un risparmio di risorse organizzative e finanziarie per l'amministrazione. Inoltre, la contrazione dei tempi di rilascio dei titoli e i miglioramenti organizzativi attesi consentiranno una maggiore fruibilità complessiva degli uffici da parte dell'utenza. Da questa semplificazione deriverà indirettamente anche un alleggerimento degli oneri economici posti a carico degli stranieri per il pagamento del contributo, per la minore frequenza con la quale saranno chiamati a rinnovare il titolo di soggiorno»;
   contrariamente a quanto annunciato, ad oggi, una riforma organica di semplificazione e razionalizzazione delle procedure per i permessi di soggiorno, manca e non è mai arrivata, mentre permangono, sul tema, una serie di rilevanti criticità;
   una di queste resta il costo, con il versamento di una tassa per i cittadini stranieri non comunitari per il rilascio od il rinnovo del titolo di soggiorno a decorrere dal 30 gennaio 2012; una tassa che varia dagli 80 ai 200 euro, a seconda dei casi; una norma discutibile non solo perché incide sugli stranieri che già contribuiscono con il loro lavoro alle finanze dello Stato, ma perché così reperisce le risorse necessarie alle espulsioni gravando su chi è regolarmente presente sul territorio –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda assumere per ridefinire, in un quadro organico di semplificazione, tempi, durata e modalità di rilascio dei permessi di soggiorno, e intervenire, in modo particolare, rispetto al tema di una tassa che incide in maniera così rilevante, in un momento di crisi economica e sociale, su categorie già disagiate. (4-07148)


   BERRETTA, GIULIETTI, GRECO, TINO IANNUZZI e LODOLINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la fascia costiera dove si trova «il giardino del lido dei Ciclopi» è soggetta a vincolo paesaggistico ex legge 1409 del 1939;
   il complesso nel suo insieme costituisce un significativo esempio di sviluppo sostenibile riconosciuto come tale dalla C.N.I. UNESCO;
   il decreto n. 1677 del dirigente generale del dipartimento dei beni culturali e dell'Identità Siciliana del 28, giugno 2013 (articolo 10, comma 4, lettera f), del decreto legislativo n. 42 del 2004) sancisce che il giardino del lido dei ciclopi «costituisce un importante esempio di acclimatazione per le preziose rarità botaniche ancora presenti» e dichiara il bene di «interesse culturale»;
   il giardino fa parte del complesso del lido dei ciclopi ed è un bene confiscato alla mafia dallo Stato;
   la gestione finanziaria del solo stabilimento balneare è stata affidata dallo Stato alla srl Ulivi;
   l'amministrazione comunale di Aci Castello progetta di ricongiungere i due tronconi della litoranea divisi dal Giardino del lido dei Ciclopi;
   qualsiasi progetto di ricongiungimento deve tenere conto della tutela del paesaggio e del territorio –:
   quali opportune iniziative intendano mettere in pratica per verificare che ogni intervento che si determini rispetti il vincolo paesaggistico cui il giardino è sottoposto che ne vieta «alterazioni della struttura e dell'uso originario». (4-07157)


   FRANCO BORDO e DANIELE FARINA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la mattina di sabato 29 novembre 2014 presso l'ingresso di numerose scuole milanesi, sono comparsi manifesti abusivamente affissi così composti: «Mamma, papà. Segnalate le iniziative di propaganda omosessualista nelle scuole dei vostri figli». Dal manifesto, in bianco e nero, un ragazzo e una ragazza che rappresentano due coniugi sorridono insieme a un neonato. «Lottate per la vostra famiglia, difendete i vostri figli !». Sotto, un numero verde per i telefoni fissi (800.978.458), uno alternativo per i cellulari (02.8935.6543), una casella di posta elettronica (perlafamiglia@forzanuova.it). E il marchio di Forza Nuova «per la difesa della famiglia»;
   il movimento politico Forza Nuova sulla propria pagina Facebook di Milano (https://www.facebook.com/ForzaNuovaMilano) e sul proprio sito internet (http://www.milano.forzanuova.info), non fa mistero di aver compiuto questa azione nella notte tra venerdì 28 e sabato 29, pubblicando foto e descrivendo l'azione in questi termini: «campagna contro l'aggressione omosessualista nelle scuole milanesi», annunciando anche che l'affissione delle locandine proseguirà con queste parole: «Questa notte militanti forzanovisti hanno affisso la locandina allegata al primo blocco di 40 scuole elementari e medie del territorio cittadino. Nelle prossime settimane l'operazione proseguirà coprendo entro Natale tutti i plessi scolastici di primo e secondo grado della nostra città», il messaggio prosegue annunciando perfino la creazione di una schedatura della scuole, «Verrà scritto assieme ai genitori milanesi il libro bianco dell'aggressione della teoria del “gender” negli istituti scolastici cittadini. Saremo quindi in grado di intervenire tempestivamente a denunciare le iniziative prima che possano svolgersi impunemente ed in un silenzio complice»;
   il movimento politico Forza Nuova, assieme ad altri movimenti di estrema destra, non è nuovo ad iniziative che mirano alla strumentalizzazione e intimidazione verso qualsivoglia iniziativa che vada nella direzione del contrasto alle discriminazioni legate all'orientamento sessuale;
   negli ultimi anni le formazioni di estrema destra, a fianco dei tradizionali filoni afferenti alle posizioni xenofobe e razziste che da sempre li contraddistinguono hanno affiancato l'omofobia come elemento dirompente di azione politica, con un conseguente aumento delle azioni intimidatorie e discriminatorie verso singoli cittadini omosessuali e associazioni LGBT (Lesbiche, Gay, Bisex, Trans) Italiane –:
   quali azioni i Ministri interessati intendano mettere in campo al fine di:
    a) garantire la libertà delle scuole di realizzare momenti didattico/formativi di contrasto alle discriminazioni da orientamento sessuale;
    b) contrastare questa campagna dal chiaro intento intimidatorio rivolto a presidi, docenti e studenti;
    c) garantire la sicurezza dei cittadini e delle realtà organizzate LGBT che vivono con comprensibile timore l'aumentare di queste iniziative, sovente anticipatrici di atti di violenza ed aggressione fisica e verbale. (4-07158)


   MURER e CHAOUKI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   alcuni giorni fa è stato fermato per controlli, Emra Gasi, un ragazzo di 22 anni, nato a Napoli da genitori serbi, sempre vissuto in Italia, dal 2000 a San Donà di Piave, trovato in possesso della sola carta di identità e sprovvisto del permesso di soggiorno;
   successivamente al controllo, il ragazzo è stato convocato in questura e qui gli è stato notificato un decreto di espulsione dall'Italia per «aver violato le norme su ingresso e soggiorno in Italia»; secondo il decreto, il ragazzo deve essere immediatamente rimpatriato in Serbia, un Paese, però, dove non ha mai messo piede, essendo nato e vissuto sempre in Italia; un Paese di cui non conosce neppure la lingua e dove non ha nessuno;
   attualmente il ragazzo è rinchiuso in un Cie, a Bari; si trova lì dal 25 novembre, senza la possibilità di tornare a casa e con la minaccia di un rimpatrio immediato in un Paese a lui del tutto estraneo, con il quale il solo collegamento è l'origine dei genitori;
   i genitori di Emra Gasi sono profughi della ex Jugoslavia, fuggiti prima della guerra scoppiata nel 1991; finché il ragazzo è stato minorenne, era registrato sul permesso di soggiorno del padre che, come la madre e il fratello, ne aveva uno illimitato; al compimento della maggiore età il ragazzo avrebbe dovuto chiedere nuovi documenti;
   la legge italiana prevede che se un bambino è nato in Italia da genitori stranieri a 18 anni possa chiedere la cittadinanza se ha risieduto in maniera continuativa in territorio italiano. Nel suo caso, però, nessuno ha fatto la richiesta e Emra Gasi ha continuato a circolare con la sola carta di identità, convinto che fosse sufficiente dal momento che lui è e si sente un italiano, non avendo mai visto un Paese diverso dall'Italia e non parlando altra lingua che l'italiano;
   la mancata richiesta del nuovo documento è nata da una situazione familiare e personale di profondo disagio; nel periodo del compimento della maggiore età del ragazzo, il fratello si è ammalato di cancro, mentre Emra è diventato tossicodipendente; in più, di lì a poco, il padre del giovane è morto per un tumore mentre la madre è analfabeta;
   lo stesso ragazzo ha una serie di disturbi fisici (positivo all'epatite c), psicologici (una certificazione di handicap cognitivo) e anche alcune pendenze giudiziarie per danneggiamento e stalking;
   si tratta, con tutta evidenza, di una situazione di disagio sociale e di paradosso normativo, di equivoci e delle assurdità di una macchina burocratica che prima ha stretto la vicenda esistenziale di questo giovane in una morsa e adesso rischia di trascinarlo in un baratro –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra riportato e se non intenda garantire, nell'ambito delle sue competenze, un intervento urgente per evitare l'espulsione di un ragazzo che è italiano di fatto, che si trova in uno stato di limitazione della libertà senza motivo logico e non può essere rimpatriato in un Paese che non è la sua patria, un Paese dove non è mai stato e di cui non conosce neppure la lingua. (4-07161)


   BERRETTA, GRECO, GIULIETTI, TINO IANNUZZI e LODOLINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'anno 2004 è stato presentato il progetto della realizzazione della nuova questura di Catania da realizzarsi nel territorio di Librino viale Nitta angolo viale Bonaventura. Il progetto finanziato con fondi CIPE avrebbe avuto un costo di 31.000.000 + 30.000.000 per tre blocchi di edifici;
   nell'anno 2008 viene annunciato dall'allora prefetto Iurato l'avvio della procedura per i lavori di realizzazione del primo lotto finanziato con 31.000.000;
   nel 2010 il questore invia una nota ove annuncia l'avvio dei lavori di costruzione;
   la relazione effettuata dalla Cir Costruzioni di Ferrara, appaltatrice della progettazione esecutiva e realizzazione del primo stralcio della struttura certifica che il terreno sul quale dovrebbe sorgere il nuovo centro polifunzionale della polizia di Stato a Librino è contaminato gravemente dal cemento amianto;
   prima della recinzione del terreno, la relazione della società appaltatrice ha riscontrato che «l'area offriva accesso libero a tutti i mezzi che negli anni hanno abbandonato rifiuti di diverso genere»;
   il primo dato che emerge è la presenza di uno strato, profondo fino a circa due metri e mezzo, che comprende frammenti di cemento amianto misti a terra e residui di scarti vegetali. Una sorta di stratificazione di rifiuti speciali provenienti dal settore edile, e soprattutto lastre di ethernit, con una concentrazione anche di centinaia di chili per metro cubo;
   nella relazione si legge inoltre che alla profondità di due metri è stato trovato «miscuglio o scorie di cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche, contaminato da frammenti di manufatti in cemento amianto dello spessore di 0,50 m»; a 2,50 metri di profondità si legge che «nell'ex area di servizio sono presenti lastre in cemento amianto di circa 200 kg e sfalci di potatura»;
   nella relazione si legge ancora che ad un metro di profondità si riscontra la «presenza di notevoli frammenti di materiale da costruzione in cemento amianto per uno spessore di circa 0,30 metri, passante a sabbia con all'interno miscuglio o scorie di cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche e sabbia di colore nero dello spessore di 1,10 metri;
   come è noto tali materiali sono cancerogeni e profondamente lesivi e pericolosi per la salute dei cittadini;
   il quartiere di Librino è tra i più densamente popolati della città di Catania;
   tale concentrazione di materiale cancerogeno rappresenta un pericolo per la salute di migliaia di cittadini catanesi –:
   quali iniziative intendano prendere per accertare le responsabilità e le mancanze che hanno trasformato l'area che dovrebbe ospitare la cittadella della polizia di Catania in una discarica abusiva di materiale cancerogeno;
   quali iniziative vogliano intraprendere per realizzare una celere bonifica del territorio in oggetto per tutelare la salute dei cittadini e la salvaguardia di un progetto di pubblica utilità, peraltro già finanziato, come la cittadella giudiziaria che permetterebbe di ridurre i costi e liberare risorse umane per la sicurezza e la vigilanza del territorio stesso;
   quali iniziative intendono mettere in pratica per verificare che la presenza di tale discarica abusiva non abbia già prodotto effetti per la salute dei cittadini catanesi residenti a Librino. (4-07165)


   COSTANTINO e PALAZZOTTO. —Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il centro di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) «Sant'Anna» è situato a Isola Capo Rizzuto in provincia di Crotone all'interno di un'ex base dell'aeronautica militare; secondo la Misericordia, ente che attualmente gestisce il Centro, sono presenti 1169 persone richiedenti asilo provenienti, in prevalenza, da Pakistan, Gambia, Afghanistan e Mali;
   in data 22 novembre 2014, insieme a due attiviste dell'Associazione «La Kasbah» di Cosenza, è stata organizzata una visita nel CARA;
   all'entrata nel CARA, alle ore 11:30, le due attiviste sono state invitate ad attendere l'autorizzazione da parte del prefetto per più di un'ora, autorizzazione poi concessa solo in seguito alle ripetute sollecitazioni effettuate presso la prefettura di Crotone;
   la struttura, attiva dal 2003, si apre con un gabbiotto della polizia e si sviluppa su un'area estesa all'interno della quale si trova una struttura in muratura, campo, composta da piccoli edifici destinati ad ospitare donne e famiglie; altri due campi, il B e il C, anch'essi in muratura, il campo D che, essendo in fase di ristrutturazione, era chiuso, e l'area switch composta da container, composta di 100 alloggi da 4 posti suddivisi in 27 zone e infine il campo A, anch'esso adibito a zona container sin dalla nascita del CARA;
   la visita ha riguardato gli alloggi all'interno dei container, i bagni, l'infermeria e i padiglioni in cui i richiedenti asilo vengono trattenuti prima di essere sottoposti ad identificazione (sale di accoglienza A e B). In attesa dell'autorizzazione, sono stati visitati gli alloggi situati all'interno del campo B e una «sezione femminile»;
   dalla visita è emersa immediatamente la gravità riguardante la situazione relativa agli alloggi. I container del campo A erano allestiti con 10 materassi sudici, senza lenzuola e privi di fonti di riscaldamento, assolutamente lesivi della dignità delle persone. All'interno di alcuni container si trovavano delle pietre adibite a fornelli sui quali venivano riscaldati i pasti poi consumati, in alternativa freddi, per terra o sui letti;
   nei container, le cui dimensioni potrebbero, ad opinione degli interroganti, ospitare non più di due o tre persone, si dorme, si mangia, si trascorrono i giorni, le settimane e i mesi, in attesa dell'audizione in commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato;
   privi dei più elementari requisiti igienici risultano essere i bagni e le docce, situati all'esterno dei container: fatiscenti, sporchi, privi di carta igienica e di sapone. Dai rubinetti, molti dei quali rotti, scorreva un filo di acqua gelata mentre sui pavimenti ristagnavano enormi chiazze di acqua sporca. Alcuni bagni situati all'interno del campo B risultavano essere privi del tubo di scarico;
   all'esterno dei container situati nel campo A da un tubo esterno rotto si registrava la fuoriuscita di liquame a pochi centimetri da alcuni cavi elettrici. Tale situazione perdura, secondo quanto riferito da un operatore della «Misericordia», da diversi mesi;
   dai colloqui intrattenuti con un giovane medico presente all'interno dell'infermeria gli interroganti hanno appurato che i rifugiati non vengono sottoposti a controlli sanitari approfonditi. Le analisi del sangue vengono effettuate in maniera sporadica mentre per le emergenze si procede all'invio dei rifugiati presso l'azienda ospedaliera di Crotone. Coloro che risultano essere affetti da scabbia vengono sottoposti al trattamento topico e isolati all'interno di una piccola stanza per 12 ore. In seguito vengono rimandati nei loro container e sono costretti a dormire sugli stessi materassi dove il parassita della scabbia continua a riprodursi e a contagiare gli ospiti della struttura;
   ad opinione degli interroganti è estremamente grave il fatto che persone che hanno affrontato un viaggio lungo e difficile per arrivare in Italia, non possano usufruire di visite sanitarie specifiche volte ad accertarne il loro stato di salute. Gli esami relativi alla tubercolosi vengono effettuati solo su alcune persone ed esclusivamente quando i sintomi sono conclamati. Appare difficile comprendere il motivo per cui non venga effettuato un esame dell'espettorato, raggi al torace o l'esame di reazione Mantoux per quanto riguarda la diagnosi di tubercolosi o un semplice esame del sangue ai richiedenti asilo, anche in virtù del fatto che lo Stato eroga un finanziamento volto a garantire un'assistenza sanitaria adeguata e non di carattere emergenziale;
   l'area destinata all'accoglienza dei richiedenti asilo in attesa di identificazione, effettuata nell'ufficio di polizia scientifica adiacente, si compone di un padiglione suddiviso in due stanzoni comunicanti attraverso una porta blindata interna. Le stanze (Sale di accoglienza A e B) risultavano essere prive di riscaldamenti e, verosimilmente, adibite a contenere centinaia di persone, data la presenza di una grande quantità di materassini accatastati contro il muro. All'interno delle strutture si trovavano diverse dozzine di panche che, secondo quanto riferito dagli accompagnatori della «Misericordia», vengono utilizzate nel caso di un massiccio afflusso di rifugiati, i quali rimangono nella struttura anche per 48 ore consecutive. Nella struttura si notava la presenza di due soli piccoli bagni;
   al termine dell'ispezione all'interno dei padiglioni A e B veniva chiesto di poter visitare il centro di identificazione ed espulsione, attualmente dismesso e, pare, in fase di ristrutturazione. Tuttavia la visita non è stata possibile data l'impossibilità di reperire le chiavi per accedere alla struttura –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle condizioni in cui versa il centro di accoglienza per richiedenti asilo «Sant'Anna» a Isola Capo Rizzuto;
   quali iniziative, di competenza, abbia intrapreso e quali intenda adottare per far fronte alle carenze della struttura e per migliorare le condizioni di vita di persone che fuggono da contesti di miseria e guerra e che sono beneficiari di protezione e che spesso vengono trattenuti contro la propria volontà e in condizioni disumane;
   se non ritenga opportuno, alla luce delle gravi condizioni di vivibilità esposte in premessa, che gli interroganti ritengono inumane e degradanti, avviare le procedure per la chiusura del centro di accoglienza per richiedenti asilo «Sant'Anna» a Isola Capo Rizzuto, contrario, tra le altre cose, alle convenzioni internazionali sui diritti umani sottoscritte anche dal nostro Paese. (4-07167)


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 28 novembre 2014, la polizia è stata coinvolta nello sgombero di un edificio/appartamento delle case popolari di Milano occupato da un gruppo di aderenti ai centri sociali e da altri soggetti qualificabili genericamente come dei «senza-casa»;
   la normale attività di polizia è stata l'occasione, l'ennesima a giudizio dell'interrogante, per screditare i rappresentanti delle forze dell'ordine e, di rimando, l'autorità statale;
   sulla vicenda la Consap ha invia un comunicato agli organi di stampa che l'interrogante condivide completamente e che fa proprio;
   le immagini trasmesse da alcune televisioni mostrano una giovane donna di colore che insulta in maniera del tutto gratuita ed eccessiva il poliziotto chiamato a compiere il suo dovere di tutore dell'ordine e del comune vivere civile;
   il fatto che queste parole siano state pronunciate da uno straniero o da un italiano, dichiara Igor Gelarda della Consap, non ci deve riguardare. Il problema è che questa giovane è il simbolo, anche e soprattutto mediatico, di una Italia che ha perso ogni rispetto per l'autorità e per le forze dell'ordine; 
   non si può tollerare che qualcuno offenda impunemente in questo modo un uomo dello Stato, un rappresentante dello Stato. Lo Stato stesso. Il poliziotto lì, muto, costretto a sentirsi dire che non ha mai fatto nulla di sensato nella vita, che è un «servo» del potere e costretto, soprattutto a sentirsi dire (o augurare) che morirà infelice. E a fare da cornice, c'erano gli amici che rincaravano la dose delle offese dicendo loro che sono ignoranti, che sono senza dignità e che hanno tolto gli specchi da casa per vergogna di guardarsi in faccia e che il loro istruttore era il grande puffo –:
   se i partecipanti alla vile aggressione verbale siano stati identificati e denunciati all'autorità giudiziaria;
   se la procura della Repubblica di Milano abbia aperto un fascicolo d'indagine;
   se il Ministro interrogato intenda costituirsi parte civile nei confronti della ragazza e dei suoi amici che hanno oltraggiato dei servitori dello Stato. (4-07172)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ARLOTTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in relazione all'attuazione del decreto del presidente del Consiglio dei ministri di riorganizzazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, si apprende che nella prima riunione relativa alla riorganizzazione degli uffici territoriali, il Ministro interrogato abbia proceduto all'accorpamento di circa 30 uffici situati in diverse regioni;
   nell'ultima riunione con il capo di gabinetto del Miur, avvenuto il 2 dicembre 2014, si è appreso in particolare che nella Regione Emilia Romagna sono stati mantenuti gli accorpamenti relativi a Rimini/Forlì Cesena e Parma/Piacenza;
   la decisione assunta contrasta fortemente con il principio di «vicinanza» all'utenza del Ministero ovvero a tutti i soggetti che concorrono al mantenimento dell'istruzione pubblica in Italia dagli alunni, alle famiglie, ai docenti, al personale amministrativo delle istituzioni scolastiche;
   va ricordato infatti che i soggetti summenzionati si rivolgono all'ufficio statale sito nella provincia che amministra tale ambito, per una vasta serie di materie, come la gestione delle graduatorie provinciali del personale docente e ATA, la costituzione delle classi, la gestione degli esami di Stato, il contenzioso, che tra l'altro è articolato su tribunali del lavoro anch'essi provinciali, la mobilità del personale della scuola, le assegnazioni provvisorie, le verifiche e i controlli relativi all'edilizia scolastica e dal prossimo anno anche l'attuazione delle norme contenute ne «La Buona Scuola», fortemente volute da questo Governo e che dovranno essere attuate proprio dagli uffici istituiti in ambito provinciale;
   alla luce di quanto esposto appare indispensabile mantenere il presidio statale degli uffici territoriali del Miur, evitando il decremento di servizi offerti all'utenza di ambito provinciale –:
   in che modo il Ministro intenda attivarsi per continuare a garantire i servizi e il presidio degli uffici territoriali consentendo all'ufficio di Rimini, così come a quello di Parma, di mantenere il ruolo unico, peraltro attribuito dalla norma primaria ovvero dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di ufficio dirigenziale territoriale di ambito provinciale. (5-04224)


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   è da molto tempo che da più parti si sollecita l'attivazione dei TFA previsto dalle norme transitorie del regolamento sulla formazione iniziale, in modo da garantire, anche per strumento musicale, le stesse opportunità previste per gli altri insegnamenti afferenti all'AFAM ed in particolare per lo strumento musicale;
   la questione è diventata ancora più urgente con l'attivazione del percorso ordinario di abilitazione, ovvero il biennio di II livello seguito dal TFA. In concreto le procedure abilitanti sullo strumento musicale, pur in presenza di un regime transitorio che dovrebbe riconoscere validi i vecchi titoli così come la normativa preesistente faceva, consentendo l'attribuzione di incarichi a tempo determinato, stabilisce per questa classe di concorso una procedura abilitante allungata di due anni;
   ciò avviene perché è prevalsa una interpretazione secondo cui le norme transitorie sul TFA previste dall'articolo 15 del regolamento (decreto ministeriale n. 249 del 2010), non si applicherebbero allo strumento musicale. Si tratta di una interpretazione errata e fuorviante. Seppure il regolamento fa riferimento, nel comma 1, al solo decreto ministeriale n. 22 del 2005, già nel chiarimento del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca fornito con la nota 1065/11 si precisa che il riferimento è da intendersi anche al decreto ministeriale n. 39 del 1998 e alle sue successive modifiche e integrazioni;
   sicuramente tra le integrazioni del decreto ministeriale n. 39 del 1998 va annoverato il decreto ministeriale n. 201 del 1999 che istituisce la specifica classe di concorso di strumento musicale. Inoltre al comma 5 del medesimo articolo 15 viene fatto esplicito riferimento alle istituzioni AFAM per l'organizzazione dei TFA transitori;
   è chiaro che strumento musicale è una classe di concorso come le altre e deve essere trattata allo stesso modo sia nelle norme a regime (biennio di II livello + TFA) che in quelle transitorie (solo TFA);
   del resto lo stesso Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, si era espresso nella nota 206 del 25 gennaio 2013 per la non obbligatorietà del corso di secondo livello a indirizzo didattico, con accesso al normale TFA annuale. Tuttavia, per una errata e superficiale interpretazione, i soli aspiranti docenti di strumento musicale sono costretti ad affrontare un percorso triennale invece che quello annuale del solo TFA, dovendo quindi riacquisire un titolo di cui sono già in possesso essendo sia il diploma di vecchio ordinamento che il diploma di II livello (nello specifico strumento) già titoli di accesso per quella classe di concorso;
   questa situazione, dovuta ad una evidente disattenzione normativa, produce ora una grande danno a tanti lavoratori che, pur avendo già insegnato ed essendo spesso in costanza di servizio di insegnamento, vengono discriminati rispetto ad altri docenti nelle medesime condizioni –:
   quali iniziative si ritenga utile adottare al fine di rettificare le disposizioni che consentono l'accesso ai TFA in regime transitorio, riportando anche i docenti dello strumento musicale nell'ambito della normativa comune, quindi consentendo le procedure abilitanti per lo strumento musicale con un percorso annuale. (5-04229)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TRIPIEDI, COMINARDI, ALBERTI, CIPRINI e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 90 del 2014, all'articolo 1, ha abrogato l'articolo 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, l'articolo 72, commi 8, 9, 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e l'articolo 9, comma 31, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122;
   l'effetto di tale norma, fra gli altri, è stato quello di abolire la possibilità, per il personale della pubblica amministrazione e quindi anche per il personale della scuola, fra cui gli insegnanti che abbiano compiuto i 65 anni di età, di avvalersi di una proroga biennale del rapporto di lavoro previa istanza da presentare all'amministrazione di appartenenza;
   in particolare, l'articolo 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Prosecuzione del rapporto di lavoro) recitava: «È in facoltà dei dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di permanere in servizio, con effetto dalla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421, per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per essi previsti. In tal caso è data facoltà all'amministrazione, in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali, di trattenere in servizio il dipendente in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal dipendente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell'efficiente andamento dei servizi»;
   il decreto-legge n. 90 del 2014, al richiamato articolo 1, non solo ha abolito la possibilità della proroga biennale, ma ha reso tale abolizione retroattiva. Infatti, a termini del comma 2, «salvo quanto previsto dal comma 3, i trattenimenti in servizio in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto sono fatti salvi fino al 31 ottobre 2014 o fino alla loro scadenza se prevista in data anteriore. I trattenimenti in servizio disposti dalle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e non ancora efficaci alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge sono revocati». Il comma 3, poi, stabilisce, per quanto riguarda il personale della scuola, che i trattenimenti in servizio già disposti cessano alla data del 31 agosto 2014;
   con riferimento al personale della scuola, un numero consistente di insegnanti che avvalendosi dell'articolo 16 ed in ragione dell'interesse degli istituti di appartenenza ad utilizzare la professionalità e l'esperienza maturata avevano ottenuto la proroga biennale prima della emanazione del decreto-legge, si è visto, dall'oggi al domani, pensionato d'ufficio con ripercussioni negative, anche pesanti, sulla propria condizione economica e personale;
   alcuni di questi «revocati» hanno proposto azioni giudiziarie, soprattutto con riferimento alla portata retroattiva della norma, che si presta a profili di incostituzionalità, che incide su un diritto già riconosciuto e determina pregiudizi, anche gravi, di natura patrimoniale e non patrimoniale. È questo il caso di cinque insegnanti di scuole statali che hanno prestato servizio sino al giorno 1o settembre 2014, data in cui sono state costrette al collocamento in pensione, e che proprio per tale motivo hanno intentato ricorso presso il tribunale di Avezzano, con ordinanza nella causa civile n. 952/14 del R.G.A.C., rivendicando il loro diritto di proseguire il servizio professionale sino alla data del regolare termine corrispondente, ai sensi dell'articolo, 16 del decreto legislativo n. 503 del 1992 e successive modifiche, al 31 agosto 2016;
   in data 21 ottobre 2014, la sentenza del ricorso emessa dal Giudice del Lavoro, indicava che le ricorrenti avevano subìto illegittimità del collocamento in pensione d'ufficio con decorrenza dal 1o settembre 2014. Lo stesso Giudice disponeva l'ordine all'Amministrazione dello stesso istituto per cui stavano prestando servizio, di mantenere le ricorrenti in servizio sino al compimento dei 66 anni d'età. Inoltre, la sentenza dichiarava parzialmente compensate nella misura della metà le spese di lite e condannava il Ministero dell'Istruzione al pagamento di metà delle spese di parte ricorrente quantificate in 1.800 euro, oltre IVA, CPA e rimborso delle spese generali;
   nonostante la sentenza emessa, le insegnanti non sono ancora state riammesse in servizio –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa, per quali motivi non si sia proceduto alla riammissione delle insegnanti sopracitate al servizio sino al compimento dei 66 anni, come disposto dalla sentenza suddetta. (4-07147)


   CIVATI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   su Il Fatto Quotidiano del 28 novembre 2014, a pagina 11, a firma di Gianni Barbacetto, è stato pubblicato un articolo con il titolo «Il PRG disegnato dai corrotti diventa un titolo accademico»;
   nel pezzo del cronista si narra dell'esito di un concorso universitario per il ruolo di professore di seconda fascia presso il Politecnico di Milano, che sarebbe stato vinto da un candidato nel cui curriculum sarebbero presenti i lavori di progettazione del piano di governo del territorio di Desio (MB);
   in commissione di concorso sarebbe stato presente un professore ordinario, il quale a sua volta avrebbe concorso a redigere il piano di governo del territorio di Giussano (MB);
   secondo l'articolo, in sede di valutazione, il peso che è stato dato alla produzione di piani è stato molto maggiore rispetto al peso riservato ai titoli scientifici e bibliografici propriamente detti, tanto che un'altra candidata, la quale risultava possedere ottimi titoli scientifici e bibliografici, è rimasta esclusa;
   risulta, inoltre, che un provvedimento giudiziario abbia giudicato il piano di governo del territorio di Desio e Giussano come funzionali agli interessi di persone imputate di gravi reati contro la pubblica amministrazione. Tale provvedimento riguardava direttamente l'ex assessore regionale Massimo Ponzoni, e non i progettisti. Ai progettisti del piano di governo del territorio di Desio, però, il GIP dedicava parole non lusinghiere rispetto alla loro deontologia professionale;
   l'esito del concorso ha indotto un altro docente, il professor Arturo Lanzani, esimio professore del medesimo Politecnico, a rassegnare le dimissioni dalla commissione scientifica del dipartimento di architettura e studi urbani (Dastu), proprio in ragione della scarsa attenzione ai profili di rigore accademico e di civismo disciplinare che sono emersi nella vicenda. Di qui il titolo dell'articolo poc'anzi citato, che fa riferimento a una corruzione della professionalità, piegata alle esigenze delle imprese coinvolte nell'inchiesta –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quali siano – nell'ambito dei concorsi universitari – i consueti parametri ministeriali di valutazione dei titoli diversi dalle pubblicazioni scientifiche propriamente dette. (4-07156)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si apprende a mezzo stampa che l'esito del tavolo romano convocato dal Ministero dello sviluppo economico per cercare di riconvertire la Golden Lady è stato negativo;
   i responsabili dell'ex industria di calze non si sono presentati e non si sono visti neppure 3 dei 4 imprenditori che si erano detti interessati alla riconversione. Grande preoccupazione hanno espresso i rappresentanti sindacali per un tavolo rinviato per ben due volte, il 17 novembre e poi il 28 novembre, che non ha dato esito positivo;
   erano assenti anche i curatori fallimentari delle aziende Silda Invest e New Trade, le due precedenti realtà dei settori calzaturiero e tessile, che si erano impegnate ufficialmente nella riconversione, poi naufragata;
   la situazione è divenuta insostenibile e le mancate risposte circa un'auspicata e auspicabile riconversione pesano come un macigno su 350 lavoratori unitamente alle loro famiglie e su tutto il territorio, già stremato per le tante cessazioni di attività avvenute negli ultimi anni e dal continuo spopolamento delle zone interne;
   sono già circa 50 le lavoratrici e i lavoratori che sono già uscite dal percorso di mobilità e sono senza reddito; per altri la scadenza si avvicina inesorabile;
   la situazione a questo punto è davvero preoccupante per centinaia di operai che insieme ai sindacati confermano lo stato di mobilitazione pretendendo risposte certe sul loro futuro –:
   se non ritenga doveroso promuovere una urgentissima iniziativa con le parti sociali e gli enti locali per cercare soluzioni produttive e occupazionali e scongiurare questo dramma occupazionale.
(3-01203)

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   all'interrogante sono arrivate segnalazioni in merito ad un problema di ordine lavorativo che interessa 33 impiegati, e relativi nuclei familiari, di un centro di eccellenza della regione Campania, la sede di Telespazio Napoli (conosciuto anche come MARS Center), sita a Napoli in via E. Gianturco, azienda partecipata da Finmeccanica;
   la decisione, ufficialmente comunicata dalla direzione aziendale lo scorso 3 novembre 2014, prevede il trasferimento di tutti i lavoratori di Napoli presso la sede di Roma entro il 1o dicembre (poi rimandata all'esito del tavolo fissato il 15 dicembre), ed è stata motivata dalla volontà di «ridurre i costi legati alla gestione delle sedi sul territorio nazionale ed al contempo ottimizzare e migliorare la produttività»;
   come facilmente immaginabile, la comunicazione ha suscitato profonda amarezza e sorpresa in tutti i lavoratori della sede di Napoli, anche in considerazione del fatto che – secondo quanto segnalato al deputato interrogante – solo pochi mesi addietro l'amministratore delegato di Telespazio, in visita alla sede partenopea, aveva ufficialmente espresso a tutti i lavoratori importanti rassicurazioni sulla sede, sulle sue prospettive di sviluppo e sui livelli occupazionali. Inoltre, tale decisione di chiusura della sede non era mai stata contemplata in alcun piano industriale di Telespazio, incluso quello presentato ad inizio anno alle organizzazioni sindacali;
   la sede di Napoli nasce nel 2009, quando Telespazio incorpora per fusione il MARS, (Microgravity Advanced Research and user Support) Center il centro di ricerca nel campo della fisica dei fluidi e negli esperimenti in microgravità, fondato nel 1988 dal professor Luigi Napolitano, erede della tradizione aerospaziale dell'Università di Napoli Federico II;
   da allora, il MARS prima, e Telespazio poi, hanno conseguito negli anni risultati di eccellenza nel campo tecnico/scientifico su scala internazionale che hanno condotto, tra l'altro, alla realizzazione a Napoli dello FRC (Facility Responsible Center), uno dei pochi Centri al mondo dedicati al supporto delle operazioni scientifiche di esperimenti a bordo della Stazione spaziale internazionale, in collegamento e cooperazione con NASA e con l'Agenzia spaziale europea (ESA);
   tale sede è divenuta col tempo anche un importante polo di aggregazione per le altre realtà aerospaziali presenti sul territorio campano attraverso la preparazione e realizzazione di progetti congiunti. L'ultimo esempio, in ordine di tempo, è il progetto MISTRAL, afferente al DAC, distretto aerospaziale campano, presentato da Telespazio e che prevede investimenti per 11 milioni di euro finanziati con fondi della regione Campania e con la partecipazione del CIRA, di università, centri di ricerca e PMI attive nel settore aerospazio; ovviamente il progetto sarebbe messo in discussione se Telespazio lasciasse la Campania. Da non sottovalutare che tale scelta comporterebbe, ovviamente, anche la perdita di quella parte dei fondi PON/POR che la regione Campania assegna al comparto aerospaziale, fondi che richiedono una ricaduta sul territorio campano;
   un ulteriore esempio è il progetto Globe, che vanta un brevetto nazionale e due domande di brevetto internazionale, su cui la business unit afferente alla sede di Napoli sta lavorando perché essa costituisca l'obiettivo di un prossimo progetto spaziale, stante l'interesse riscontrato dall'Agenzia spaziale europea (ESA) e da quella nazionale (ASI), che ha finanziato l'ultima fase del progetto; purtroppo la direzione aziendale avrebbe dichiarato il 3 novembre (e ribadito il 24), nel corso della prima seduta dell'esame congiunto, che non intende neppure spostare le preziose infrastrutture presenti presso la sede napoletana (laboratorio di ottica e fluidodinamica, camera pulita, cappe chimiche ed a flusso laminare, oltre ad altre attrezzature specifiche), di fatto escludendo che in futuro le attività perse con la chiusura della sede possano essere di nuovo garantite;
   sempre secondo quanto segnalato al deputato interrogante, attualmente presso la sede di Napoli sono attivi progetti ed altri sono in corso di acquisizione, che subirebbero inevitabili ripercussioni negative da una chiusura del sito che non garantisca il prosieguo delle attività con il supporto delle necessarie infrastrutture;
   secondo quanto segnalato al deputato interrogante, è noto che sono state avanzate alla direzione aziendale offerte di ospitare in comodato d'uso le strutture della sede di Napoli presso altri siti campani, ma anche su questo punto non v’è stata alcuna risposta da parte del management aziendale;
   numerosi sono stati gli appelli da parte delle istituzioni tesi a richiedere all'azienda di riconsiderare l'idea della chiusura del sito; ne è un esempio una lettera del presidente della scuola politecnica e delle scienze di base della università degli studi Federico II;
   l'azione intrapresa può essere vista come l'ennesimo scippo che impoverisce e marginalizza un territorio già martoriato come quello campano perché va incidere su uno dei nodi di eccellenza (l'aerospazio) e costringe alla emigrazione nuclei familiari a più alto tasso di scolarizzazione –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto riferito in premessa e quale sia l'orientamento del Governo in merito;
   se i Ministri interrogati non ritengano di dover intervenire, per quanto di loro competenza, al fine di preservare i livelli occupazionali della regione Campania ed evitare il disperdersi di un patrimonio di conoscenza così importante. (4-07163)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il secondo comma dell'articolo 44 della Costituzione dispone che «la legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane»;
   la legislazione nazionale sulla montagna in cui si è tradotto il dettato costituzionale si è fondata sulla legge n. 991 del 1952 («Provvedimenti in favore dei territori montani»), successivamente modificata dalla legge n. 657 del 30 luglio 1957. Tale normativa aveva previsto che gli stessi provvedimenti in favore delle aree montane, potessero riguardare anche comuni con «analoghe condizioni economico-agrarie». Così il dettato costituzionale veniva interpretato facendo rientrare nel significato di «montagna» tutti i territori in condizioni svantaggiate;
   il tema dei «territori svantaggiati» ha interessato anche le politiche dell'Unione europea. Nel documento «Europa 2000+» (1995) si introduceva la categoria delle «aree rurali con difficoltà di accesso», corrispondenti a «molte aree collinari e montane, oltre alle isole minori»;
   negli ultimi vent'anni l'Unione europea ha però modificato l'originaria visione in negativo dei territori svantaggiati e ha cominciato a parlare di territori «diversi», che possono essere strategici in una prospettiva di sviluppo sostenibile, grazie alla loro valenza economica, ambientale, energetica e culturale (si veda ad esempio il Libro verde sulla coesione territoriale, 2008). Sono così maturate le premesse dell'attuale politica italiana delle «aree interne». Già il piano strategico nazionale (PSN) per la programmazione dei fondi comunitari 2007-2013 prevedeva interventi prioritari di sostegno allo sviluppo per tutte le regioni agrarie ISTAT che ricadono nelle zone altimetriche di montagna e collina;
   l'Unione europea ha ad ogni modo sempre tenuto in debita considerazione gli svantaggi naturali che si ripercuotono sugli agricoltori delle zone montane e sugli agricoltori delle zone caratterizzate da svantaggi naturali, diverse dalle zone montane, allo scopo prevedendo a carico del Fondo europeo per lo sviluppo rurale, la possibilità di erogare determinate indennità compensative. Con tali misure si è voluto sostenere il mantenimento delle aziende agricole in tali aree difficili al fine di ottenere una maggiore tutela del territorio, una conservazione della biodiversità e una tutela e diffusione di sistemi agro-forestali ad alto valore naturalistico;
   l'attuale disegno strategico dell'Unione europea si fonda su una coerente continuità di visione nell'evoluzione delle politiche di riequilibrio territoriale (ora dette di coesione territoriale), mantenendo fermo il principio del sostegno per i soggetti che operano nelle aree montane, in quelle collinare e più in generale nelle «aree interne» quali ambiti territoriali rappresentativi di quei territori che anche al di là delle caratteristiche intrinseche, risultano essere deprivati (lontani dai servizi, spopolati, con poche opportunità di lavoro) rispetto ad aree più prospere;
   per quanto riguarda le imposte patrimoniali, si ricorda che nel rispetto del dettato costituzionale di cui al predetto articolo 44 della Costituzione, la normativa sull'imposta comunale sugli immobili aveva previsto l'esenzione di tale imposta per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina delimitate ai sensi dell'articolo 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984;
   tale previsione è stata poi mantenuta operativa anche per quanto riguarda l'imposta municipale unica, prevedendo che «Con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, possono essere individuati i comuni nei quali si applica l'esenzione di cui alla lettera h) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, sulla base della altitudine riportata nell'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), nonché, eventualmente, anche sulla base della redditività dei terreni». Successivamente, con l'articolo 22, comma 2, del decreto-legge n. 66 del 2014, il predetto comma 5-bis dell'articolo 4 del decreto-legge n. 16 del 2012 è stato sostituito con la seguente previsione: «5-bis. Con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con i Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali, e dell'interno, sono individuati i comuni nei quali, a decorrere dall'anno di imposta 2014, si applica l'esenzione di cui alla lettera h) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, sulla base dell'altitudine riportata nell'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), diversificando tra terreni posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, iscritti nella previdenza agricola, e gli altri. Ai terreni a immutabile destinazione agro-silvo-pastorale a proprietà collettiva indivisibile e inusucapibile che, in base al predetto decreto, non ricadano in zone montane o di collina, è riconosciuta l'esenzione dall'IMU. Dalle disposizioni di cui al presente comma deve derivare un maggior gettito complessivo annuo non inferiore a 350 milioni di euro a decorrere dal medesimo anno 2014 (...)»;
   dato che tale decreto non è stato emanato in tempi utili per il versamento della prima rata dell'IMU a giugno 2014, i contribuenti hanno applicato le norme attualmente in vigore, quindi continuando a fare riferimento all'elenco allegato alla circolare n. 9 del 14 giugno 1993, così come previsto dalla circolare del Ministero dell'economia e delle finanze n. 3 del 2012, la quale ha chiarito che fino all'emanazione di detto decreto, l'esenzione in questione si rende applicabile per i terreni contenuti nell'elenco allegato alla circolare n. 9 del 14 giugno 1993, che stabiliva analoga esenzione ai fini ICI. I terreni situati in comuni montani o nelle aree collinari «sfavorite», identificante dall'articolo 15, della legge n. 984 del 1977 ed elencate ai fini ICI nella circolare n. 9 del 14 giugno 1993, sono stati esentati dall'imposta IMU, nel 2012 e 2013 in quanto continuavano a valere le esenzioni previste dal decreto legislativo n. 504 del 1992. Per tali immobili l'IMU non era dovuta né per il primo né per il secondo semestre 2013, qualunque fosse stata la qualifica del proprietario del fondo (circolare n.5/DF dell'11 marzo 2013);
   in questi giorni è stata pubblicata sul sito del dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze una bozza del decreto interministeriale di cui all'articolo 4, comma 5-bis, del decreto-legge n. 16 del 2012 secondo cui sarebbe applicato un criterio di esenzione dell'IMU per i terreni agricoli dei comuni montani basato su tre fasce altimetriche, certificate dall'ISTAT, cui gli stessi comuni devono rientrare. In particolare, rimarrebbero tutelati totalmente solo i comuni con un'altitudine superiore ai 600 metri, mentre l'esenzione parziale comprenderebbe i terreni agricoli posseduti da coltivatori diretti ed imprenditori agricoli professionali ubicati nei comuni tra i 281 e i 600 metri di altitudine; gli altri, i non montani, dovrebbero pagare un IMU completa su tutti i terreni;
   il decreto in esame è strutturato esclusivamente sulla base delle fasce altimetriche, determinate in base a criteri opinabili, considerato che il pagamento dell'IMU non è richiesto su terreni montani o collinari coltivati con produzioni agricole pregiate, in grado di assicurare buoni redditi, mentre è richiesto su terreni con colture poco redditizie solo perché collocate in pianura;
   il pagamento dell'IMU così come strutturato graverà particolarmente sulla piccola e dispersa proprietà non produttiva collocata in particolar modo sopra la fascia dei 282 metri;
   l'IMU in questione dovrebbe essere versata entro il 16 dicembre 2014;
   stando alle notizie in circolazione, nelle intenzioni del Governo, sarebbero esentati solo 1.578 comuni, altri 2.568 avrebbero un'esenzione parziale, limitata ai coltivatori diretti e agli imprenditori agricoli professionali. Negli altri comuni invece, pagherebbero tutti. Ove tale ipotesi fosse accertata, il Governo darebbe però un segnale ad avviso degli interpellanti contraddittorio ed incomprensibile, oltre che nei confronti dell'articolo 44 della Costituzione, anche rispetto ai principi sulla tutela delle aree interne previsti dal diritto europeo oltre che agli obiettivi che lo stesso Governo sta perseguendo con la propria azione politica, soprattutto per quanto riguarda l'equità fiscale, la certezza della quantificazione delle imposte, la lotta al dissesto idrogeologico ed il rafforzamento della coesione sociale;
   inoltre, l'eventuale cambiamento in corso d'opera e alla fine dell'anno delle regole fiscali riguardanti l'agricoltura, per altro in modo retroattivo e contro lo statuto del contribuente, costringerebbe i contribuenti ad una corsa contro il tempo per versare un'imposta mai pagata in precedenza per inconfutabili previsioni normative a carattere fondamentale;
   gli agricoltori, anche in quanto imprese, dovrebbero ad ogni modo poter preparare per tempo le proprie strategie imprenditoriali per fare fronte ai tributi previsti per l'anno di riferimento, mentre nel caso dell'ipotizzata IMU per i terreni montani ciò non sarebbe garantito, con indubbio aggravio sui redditi degli agricoltori e sulla sostenibilità delle imprese agricole che hanno previsto ed effettuato investimenti che a fine anno potrebbero rimanere privi di copertura –:
   quali informazioni il Governo possa fornire elementi, per quanto di competenza, in merito alla questione esposta in premessa;
   se ad ogni modo non si intendano assumere iniziative affinché venga prorogata la data di scadenza del pagamento della rata IMU in esame in modo che i contribuenti interessati possano fare fronte agli adempimenti previsti nel rispetto dei principi stabiliti dallo Statuto del contribuente e le amministrazioni locali possano adempiere a quanto previsto nel dettato normativo senza essere costrette ad affrontare situazioni di disavanzo nei bilanci, avendo già provveduto, entro il termine di scadenza del 30 novembre, a chiudere i relativi adempimenti contabili;
   se il Governo intenda attivarsi per confermare le tutele e le precedenti previsioni di esenzione fiscali previste dall'ordinamento in favore degli agricoltori delle aree interne, montane e collinari.
(2-00776) «Oliverio, Sani, Borghi, Mongiello, Antezza, Pagani, Mariano, Grassi, Dal Moro, Anzaldi, Carra, Burtone, Zanin, Covello, Iacono, Massa, Romanini, Rubinato, Ginefra, Montroni, Marrocu, Cenni, Taricco, Capone, Censore, Famiglietti, Blazina, Pierdomenico Martino, Battaglia, Ginoble, Fusilli, Peluffo, Greco, Gullo».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il posto Fisso del corpo di polizia forestale di Acquerino è l'unico posto di polizia per un tratto di circa 60 chilometri lungo la strada provinciale Pistoia – Riola, che attraversa trasversalmente l'Appennino dove sono presenti piccole borgate, ed è, a tutti gli effetti, un passo senza controllo e molto solitario;
   la struttura comprende l'unico centro didattico «in foresta» che può essere utilizzato quasi tutto l'anno, facilmente raggiungibile e accessibile da Pistoia e zone limitrofe, con annessa auletta didattica e laboratorio all'aperto, ed è meta di numerose visite guidate da parte delle scuole della provincia di Pistoia e di associazioni culturali, oltre a comprendere gli alloggi di servizio, che nella chiusura andrebbero persi;
   all'interno della riserva naturale biogenetica di Acquerino si trova un sito archeologico medievale sotto la tutela diretta della Soprintendenza ai beni culturali e della Provincia, visitato anch'esso da molte persone;
   il posto di Acquerino si trova nella parte «povera» e più disagiata dell'Appennino Pistoiese, per conseguenza, l'intento di chiudere la caserma della forestale appare, agli abitanti della zone, come un gesto di abbandono da parte dello Stato;
   si tratta di cittadini che hanno la volontà di continuare a far vivere una zona che i «grandi numeri» tenderebbero, al contrario, ad emarginare, una zona che per la sua bellezza e la relativa vicinanza ad una vasta parte di popolazione di pianura (Firenze, Prato, Pistoia ed anche Bologna), consente, soprattutto alle fasce meno abbienti della società, di poter fruire di un bene naturale «a basso costo», anche per questo la presenza del personale della Forestale ha una forte incidenza sociale;
   l'Acquerino è u porzione di territorio di pregio da valorizzare ulteriormente sia per la presenza dell'omonima riserva nazionale biogenetica e per i numerosi siti di interesse comunitario, sia come zona rilevante per la presenza della strada provinciale Pistoia – Riola, che attraversa un tratto tra i più delicati dal punto di vista idrogeologico, segnato dalla carenza di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria che ha già creato frane e smottamenti;
   oltre alla viabilità provinciale richiedono attenzione anche una rete di strade secondarie, sia esterne (strada per la Collina), sia interne alla riserva ma pur sempre di importanza strategica per dei posti così isolati –:
   quali misure intendano assumere per scongiurare la chiusura del posto fisso di Acquerino e per garantire la tutela dell'omonima riserva naturale biogenetica.
(5-04230)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PILI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con un anomalo quanto irrituale comunicato pubblicato sul sito del Ministero dell'economia e delle finanze è stato annunciato che con il decreto interministeriale 28 novembre 2014, in corso di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, è stata gravemente ridefinita l'applicazione dell'esenzione dall'IMU, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 4, comma 5-bis, del decreto-legge n. 16 del 2012, novellato dal decreto-legge n. 66 del 2014;
   in base a tale folle decreto interministeriale i soggetti obbligati al versamento per l'anno 2014 dell'IMU relativa ai terreni agricoli devono effettuarlo in un'unica rata entro il 16 dicembre 2014, a pochissimi giorni dalla pubblicazione del decreto stesso;
   oltre alla già contestata ulteriore vessazione per la quale il sottoscritto interrogante ha manifestato pubblicamente e con atti di sindacato ispettivo la totale contrarietà a partire dall'incostituzionalità del provvedimento si devono rilevare le gravissime conseguenze che si avrebbero nel comparto agricolo;
   l'articolo 3 dello statuto della regione autonoma della Sardegna dispone: «In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, la Regione ha potestà legislativa nelle seguenti materie: ... d) agricoltura e foreste; piccole bonifiche e opere di miglioramento agrario e fondiario»;
   il titolo III – finanze – demanio e patrimonio, all'articolo 7, dispone: «La regione ha una propria finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principi della solidarietà nazionale, nei modi stabiliti dagli articoli seguenti»;
   l'Unione europea con il regolamento (CE) n. 247/2006 recante misure specifiche nel settore dell'agricoltura a favore delle regioni ultraperiferiche dell'Unione ha indicato le seguenti strategie relative al settore agricolo e alle regioni insulari:
    «1) La particolare situazione geografica delle regioni ultraperiferiche, rispetto alle fonti di approvvigionamento di prodotti essenziali al consumo umano, alla trasformazione o in quanto fattori di produzione agricoli, impone a queste regioni costi aggiuntivi di trasporto. Una serie di fattori oggettivi connessi all'insularità e all'ultraperifericità impongono inoltre agli operatori e ai produttori di tali regioni vincoli supplementari che ostacolano pesantemente le loro attività. In taluni casi, operatori e produttori sono soggetti ad una doppia insularità. Tali svantaggi possono essere mitigati riducendo il prezzo dei suddetti prodotti essenziali. Risulta dunque opportuno, per garantire l'approvvigionamento delle regioni ultraperiferiche e per ovviare ai costi aggiuntivi dovuti alla lontananza, all'insularità e all'ultraperifericità, instaurare un regime specifico di approvvigionamento.
     2) A tal fine, in deroga all'articolo 23 del trattato, è opportuno esentare dai dazi le importazioni di taluni prodotti agricoli provenienti da paesi terzi. Per tener conto della loro origine e del trattamento doganale loro applicabile ai sensi delle disposizioni comunitarie, occorrerebbe equiparare ai prodotti importati direttamente, ai fini della concessione del regime specifico di approvvigionamento, i prodotti che sono stati oggetto di perfezionamento attivo o deposito doganale nel territorio doganale della Comunità.
     3) Per realizzare efficacemente l'obiettivo di ridurre i prezzi nelle regioni ultraperiferiche e di ovviare ai costi aggiuntivi dovuti alla lontananza, all'insularità e all'ultraperifericità, salvaguardando nel contempo la competitività dei prodotti comunitari, è opportuno concedere aiuti per la fornitura di prodotti comunitari nelle regioni ultraperiferiche. Tali aiuti dovrebbero tenere conto dei costi aggiuntivi di trasporto verso le regioni ultraperiferiche e dei prezzi praticati all'esportazione verso i paesi terzi nonché, nel caso di fattori di produzione agricoli e di prodotti destinati alla trasformazione, dei costi aggiuntivi dovuti all'insularità e all'ultraperifericità»;
   il decreto-legge n. 201 del 2011 recante «Disposizioni urgenti per la crescita l'equità e il consolidamento dei conti pubblici», convertito dalla legge n. 214 del 2011, prevede che l'imposta municipale unica (IMU), istituita dal decreto legislativo n. 23 del 2011, sia applicata a partire dal 2012;
   all'imposta (sostitutiva dell'ICI e dell'IRPEF sulla rendita catastale) risultano essere assoggettati sia i terreni agricoli, sia i fabbricati rurali;
   si tratta di una modifica sostanziale della fiscalità, applicata al settore primario, e, in particolare, ai beni funzionali all'esercizio dell'attività agricola, che vengono assimilati, in buona parte, a puro e semplice patrimonio;
   viene meno il regime di fiscalità speciale sino ad oggi riconosciuto al settore, in virtù dei ruoli che l'agricoltore svolge e dei beni prodotti dallo stesso, non limitando, tali ultimi, alla pur essenziale produzione di cibo. Si pensi, per esempio alla salvaguardia del territorio e del paesaggio: attività connaturata all'esercizio dell'agricoltura, di cui tutti i cittadini godono, ma che, certamente, non risulta remunerata dal mercato;
   questa tipologia di immobili, come d'altra parte i terreni, costituiscono gli strumenti di lavoro dell'agricoltore e non possono, come tali, essere considerati alla stregua di pura e semplice ricchezza accumulata;
   l'IMU va a colpire l'agricoltura in un suo punto debole, costituito dalla forte immobilizzazione di capitali a bassissima redditività;
   l'applicazione ai fabbricati rurali ad uso strumentale di un'aliquota ridotta allo 0,2 per cento, pur combinata con la facoltà riconosciuta ai comuni di ridurre dello 0,1 per cento detta aliquota, produrrà comunque effetti devastanti, in considerazione del fatto che, a base del calcolo vengono inseriti anche i terreni. Tanto si tradurrà in un aggravio considerevole per le aziende agricole;
   emerge una forte preoccupazione circa gli effetti che l'applicazione di questa nuova imposta possa avere su un settore strutturalmente fragile, dal punto di vista economico, ed alle prese con gli effetti di una crisi particolarmente grave;
   l'applicazione dell'IMU potrebbe, verosimilmente, accelerare il processo di dismissione del settore agricolo, che l'ultimo censimento ha fotografato in modo inequivocabilmente in declino. L'appesantimento tributario si pone in antitesi, anche, rispetto agli auspicati, e mai attuati, interventi di politica agraria nazionale indispensabili per lo sviluppo di questo comparto;
   ad essere colpite maggiormente saranno le aree a minor redditività (aree svantaggiate in genere come le regioni insulari), che spesso collimano con territori di particolare pregio ambientale e paesaggistico; l'abbandono dell'attività agricola, in tali casi, determinerebbe conseguenze devastanti ed irreversibili a danno dell'intera collettività (si pensi, in primis, alla compromissione degli equilibri idrogeologici);
   si tratta di un'imposta che avrà un impatto molto pesante sul settore agricolo, una nuova imposta che sconvolge anche il principio fondamentale che il valore dei fabbricati rurali deve essere visto in tutt'uno con la terra;
   il peso dell'IMU per le imprese agricole italiane, fra 1,3 miliardi di euro di nuove imposte e due/tre miliardi di euro per l'accatastamento dei fabbricati rurali, è prossimo al valore della politica agricola comune per il nostro Paese;
   si tratta di un'imposta le cui indicazioni attuative appaiono oggi discutibili e contraddittorie, anche rispetto alle posizioni assunte da gran parte dei Governi e dei parlamentari europei in ordine alla politica agricola comune, di cui si discute attualmente la riforma;
   l'Imu colpirà pesantemente terreni agricoli e fabbricati rurali, dalle stalle ai fienili fino ai capannoni necessari per proteggere trattori e attrezzi, andando di fatto a tassare quelli che sono a tutti gli effetti mezzi di produzione per le imprese agricole;
   questa nuova «patrimoniale agricola» si abbatte pesantemente sugli agricoltori, in quanto colpisce il «bene terra» in quanto tale, non riconoscendone più il carattere di ruralità e la funzione di bene strumentale (ed indispensabile) all'esercizio dell'attività di impresa;
   le competenze statutariamente attribuite alla regione Sardegna in materia di agricoltura e la disposizione che prevede un sistema fiscale coordinato e armonico rendono, ad avviso dell'interrogante, l'introduzione dell'Imu per le zone agricole una palese violazione delle peculiarità autonomistiche dello Statuto sardo e conseguentemente sono in contrasto le prerogative costituzionali;
   gli indirizzi comunitari relativamente alle politiche agricole nelle aree periferiche e insulari prescrivono l'esigenza di compensare e ridurre il gap insulare che si abbatte sulle produzioni agricole di questi territori;
   l'introduzione dell'Imu anche per le zone agricole rende di fatto sempre più oneroso il divario gestionale e mette ancor più fuori mercato le produzioni agricole delle regioni insulari, disattendendo le disposizioni comunitarie –:
   se non ritenga doveroso revocare il decreto richiamato in premessa e adottare iniziative tali da eliminare questo nuovo balzello sul mondo agricolo;
   se non ritenga di dover adottare immediate iniziative normative volte a escludere dalla disciplina di cui in premessa le regioni a statuto autonomo che hanno competenze esclusive per l'agricoltura e concorrenti sulla fiscalità;
   se non si ritenga alla luce delle precise indicazioni comunitarie, di dover assumere iniziative per esentare le regioni insulari e/o ultraperiferiche da un ulteriore aggravio che va a sommarsi al già pesantissimo divario legato proprio all'insularità;
   se non si ritenga di dover adottare iniziative normative che esentino dal pagamento dell'imposta i fabbricati rurali ad uso strumentale, con particolare riferimento a quelli dislocati in aree svantaggiate;
   se non ritenga necessario promuovere una revisione del meccanismo di calcolo relativo ai terreni condotti dagli agricoltori, in considerazione delle peculiarità del settore agricolo che, sino ad oggi, hanno determinato l'applicazione di specifiche regole fiscali;
   se non ritenga indispensabile e urgente l'immediata apertura di un confronto tra Governo e regioni, volto ad individuare criteri alternativi di applicazione dell'IMU senza pregiudicare la sussistenza del settore agricolo italiano.
(4-07159)


   BECHIS. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 novembre 2014 sul quotidiano la Repubblica è apparso un articolo dal titolo «Vino, l'ultima beffa “Ora la legge vieta di dire che il Barolo si fa in Piemonte”» a firma di Carlo Petrini di cui si riportano in seguito alcuni stralci:
  «(...) Per tutelare le denominazioni che portano il nome di una regione, si impedisce di indicare la zona delle bottiglie prodotte nelle stesse terre ma senza quel marchio: E adesso i produttori insorgono: «È una legge assurda, preferiamo farci multare» - il primo gennaio la giustizia italiana si ritroverà, di colpo, con ottocento nuovi casi su cui indagare. Quel giorno, i contadini della Federazione italiana vignaioli indipendenti attueranno una massiccia e clamorosa forma di disobbedienza civile. (...) Tutto comincia con un caso e una multa che ha colpito un'azienda vinicola. Le norme europee vietano di usare sull'etichetta la località di una denominazione di origine a chi non produce un vino che non ne abbia il diritto: se non produco nella zona del Barolo, da un vigneto iscritto all'albo, e non ho passato i controlli previsti, non posso usare il nome Barolo. La legge provvede anche a dirmi che se ho la cantina nel Comune di Barolo, ma non produco quel vino, ma per esempio Barbera d'Alba, posso comunque scrivere la parola Barolo (il nome del Comune) in piccolo, al massimo 3 millimetri di altezza, per non confondere il consumatore. Fin qui, tutto bene. Ma è nei dettagli che si manifesta il diavolo. Se io, infatti, sull'etichetta della mia Barbara d'Alba, che faccio a Barolo, posso scrivere in piccolo Barolo, quello che non posso specificare, per legge, è che la mia cantina è nelle Langhe, né che si trova in Piemonte. E sì, perché sia Langhe sia Piemonte sono nomi di altrettante Doc, e se io non produco i vini con quelle denominazioni, semplicemente non ho più il diritto di scrivere dove si trova la mia azienda: posso indicare (in piccolo) solo il Comune in cui si trova, ma non la Regione, né in senso geografico né politico.
  Come se non bastasse, ci sono anche le norme che regolano gli strumenti – brochure, siti internet, gli stessi cartoni che contengono le bottiglie per comunicare le caratteristiche del prodotto. Una interpretazione ottusa di queste regole fa sì che un produttore di una qualsiasi delle Doc più celebrate non possa dire al mondo dove si trova la propria azienda. Per star tranquillo, su internet ci si dovrà limitare a scrivere che la propria vigna è a Barolo, in un territorio tra il Mar Ligure e la Svizzera: perché anche la Valle d'Aosta è una Doc e guai ad usurparne il nome.
  Si parla tanto del vino come ambasciatore del Belpaese e poi, per una interpretazione assurda delle leggi, si vieta letteralmente a chi lavora la terra di promuovere il proprio territorio in modo franco e adeguato. (...) Questa colossale autodenuncia ha un obiettivo concreto: far intervenire il ministero per le Politiche agricole e il governo, perché l'applicazione delle norme dipende da funzionari che a loro rispondono» –:
   si il Governo sia a conoscenza di quanto esposto e cosa intenda fare per evitare una così stringente interpretazione della norma, che come denunciano i produttori di vino metterebbe a dura prova l'intero settore. (4-07177)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, GRILLO, DI VITA, MANTERO, BARONI e DALL'OSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni si stanno diffondendo, per difendere l'uso esclusivo di Lucentis, i risultati delle risposte a questionari raccolte telefonicamente da FederAnziani riguardo all'uso di Avastin per la degenerazione maculare senile;
   FederAnziani è una associazione senza fini di lucro che dichiara 3 milioni di aderenti ultrasessantacinquenni, che ha tra gli scopi quello di tutelare i diritti e di migliorare la qualità della vita degli anziani;
   FederAnziani promuove iniziative per affermare un nuovo stile di vita che conduca l'anziano verso una sana longevità, anche attraverso il finanziamento e la realizzazione di ricerche, studi, convegni ed il patrocinio di opere divulgative; sottopone all'opinione pubblica e alle autorità preposte le principali problematiche che riguardano il mondo della terza età;
   nell'organigramma e nel comitato scientifico di Federanziani compaiono diversi medici ma nessun oculista;
   sul totale dei rispondenti al questionario telefonico svolto da Federanziani si è riscontrato che ben il 17,8 per cento ha dichiarato di aver avuto reazioni avverse, tra cui gravissime emorragie per il 25 per cento (ma non viene assolutamente descritta la sede delle emorragie, che, se congiuntivali, ben sappiamo come siano di nessunissimo conto) perdita della vista per il 15 per cento;
   sembrerebbe che Federanziani con il suo questionario telefonico non abbia tenuto conto del fatto che:
    a) le terapie con anti VGEF solo nei casi più favorevoli sono accompagnate da un più o meno parziale e un più o meno rapido miglioramento della vista, mentre, nella maggioranza degli altri casi, ottengono il solo risultato di arrestare la progressione del fenomeno patologico, contribuendo così a conservare la condizione biologica oculare ed il residuo visivo posseduti dal paziente al momento dell'inizio del ciclo terapeutico;
    b) la mancata risposta alla terapia può anche essere dovuta ad un processo patologico ormai troppo avanzato per essere suscettibile di rallentamento;
    c) una parte significativa di pazienti, inoltre, può non ricevere alcun beneficio dalla terapia e progredire inesorabilmente verso il deterioramento della propria situazione biologica oculare e visiva;
    d) una percentuale di pazienti, infine, risulta essere resistente a qualsiasi trattamento, in quanto resistenti alla terapia per motivi di natura genetica;
   i rispondenti al questionario hanno dichiarato reazioni avverse non gravi di cui rossore, bruciore e fastidi sino al 60 per cento dei casi, fatto che sembrerebbe assolutamente normale, come scritto sulle note informative per le procedure di iniezione intravitreale di Bevacizumab (Avastin), che, unite al consenso informato, sono state messe a punto dalla Società oftalmologica italiana;
   sembrerebbe, quindi, che i dati raccolti via telefono da cittadini influenzati dalla loro malattia, non abbiano alcuna base scientifica né una corretta modalità di formulazione e di analisi delle risposte date –:
   se sia a conoscenza del questionario telefonico svolto da FederAnziani e dei risultati divulgati e se non ritenga di promuovere una campagna informativa per la divulgazione di informazioni con solide garanzie scientifiche, considerato che iniziative come quella di FederAnziani, ad avviso degli interroganti, finiscono per creare confusione. (5-04235)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 28 novembre 2014 il direttore generale dell'ASL NA 3 SUD, nel corso di una riunione, ha proposto la sospensione del contratto decentrato approvato da rappresentanze sindacali unitarie, organizzazioni sindacali e precedente direttore generale solo pochi mesi fa;
   tale approvazione era avvenuta in presenza anche dell'allora direttore amministrativo, attuale direttore generale;
   il precedente direttore generale ha comunicato tale importante decisione attraverso gli organi di stampa;
   le organizzazioni sindacali e le rappresentanze sindacali unitarie ritengono oggi tale marcia indietro improponibile e offensiva per i lavoratori;
   le organizzazioni sindacali hanno richiesto il dovuto pagamento per l'anno 2014 ed il pagamento residuo per gli anni 2012 e 2013 e anno 2014, ma la richiesta è stata rifiutata dal nuovo direttore;
   alla base del rifiuto vi sarebbe la mancanza dei dati di spesa per gli anni 2012 e 2013;
   in alternativa egli ha proposto un'offerta di circa 100 euro per dipendente;
   tale controproposta, a giudizio dell'interrogante di importo risibile è stata rifiutata dalle organizzazioni sindacali e dalla rappresentanza sindacale unitaria;
   le organizzazioni sindacali hanno già proclamato lo stato di agitazione di tutto il personale –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, per accertare con urgenza quali siano le ragioni, sul piano finanziario, che hanno portato a questi squilibri di fondi. (4-07162)


   SORIAL, ALBERTI e COMINARDI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   le città di Taranto e di Brescia sono tristemente accomunate dal fatto che in entrambe esiste da anni un'emergenza sanitaria e ambientale di contaminazione diffusa da diossina e da pcb (policlorobifenili), ma mentre a Taranto la legge è applicata rigorosamente e le zone inquinate sono interdette, a Brescia, dove le concentrazioni soglia sono molto al di sopra rispetto a Taranto, alcune zone pesantemente inquinate sono accessibili, con grave rischio per la popolazione residente;
   come è noto la concentrazione di soglia di contaminazione dei diversi inquinanti nei suoli sono stabilite attualmente dal decreto legislativo n. 152 del 2006 All. 5 titolo V parte quarta, in due tabelle A e B in relazione alla specifica destinazione del sito. Per PCB e DIOSSINE sono le seguenti:
    siti a uso verde pubblico; privato e residenziale: unità di misura PCB mg/kg 0,06; diossine ngTE/kg 10;
    siti ad uso commerciale; industriale: unità di misura PCB mg/kg 5; diossine ngTE/kg 100;
   le soglie di contaminazione previste per legge, sono state superate sia nel caso di Brescia che in quello di Taranto, per cui è necessaria una «analisi di rischio sanitario e ambientale» per «valutare gli effetti sulla salute umana derivanti dall'esposizione prolungata all'azione delle sostanze presenti»;
   i valori massimi riscontrati nei parchi di Taranto sottoposti a divieto di qualsiasi uso e transennati, fino a bonifica effettuata, per i PCB e per le DIOSSINE sono i seguenti:
    PCB mg/kg 0,283 e DIOSSINE ngTeq/kg 24,12;
   i valori massimi ad oggi riscontrati a Brescia nei parchi accessibili ai bambini per i PCB e per le DIOSSINE sono i seguenti:
    PCB mg/kg 0,4 e DIOSSINE ngTEQ/kg 80,8;
   l'analisi di rischio a Taranto ha portato alla chiusura delle aree verdi del quartiere Tamburi con l'ordinanza n. 45/2010, per far fronte a un «rischio sanitario non accettabile in caso di esposizione prolungata nel tempo, a seguito di contatto dermico ed ingestione accidentale», disposizione peraltro in vigore «fino all'ultimazione dei lavori di bonifica», mentre a Brescia, nei parchi con 0,400 mg/kg di Pcb possono entrare anche i bambini, sebbene con alcune limitazioni come il «divieto di scavo e asportazione del terreno», limiti considerati comunque quasi impossibili da far rispettare ai più piccoli;
   per quanto riguarda le diossine nel quartiere Tamburi, all'ombra dell'Ilva, sono vietate le aree verdi con 24,12 ngTEQ/kg (tossicità equivalente alla diossina di Seveso); mentre a Brescia l'ordinanza del sindaco, scritta sulla base di un parere della Asl, consente l'accesso nei parchi con una concentrazione di quasi quattro volte superiore: 80,8 ngTEQ/kg;
   a pochi giorni dal suo insediamento, il 24 luglio 2013, il sindaco di Brescia Del Bono, ha emesso l'ordinanza che ha dato il via libera all'accesso in aree con concentrazioni superiori ai limiti di legge per i Pcb e le diossine, zone contaminate che prima erano formalmente interdette con ordinanza «contingibile e urgente» reiterata ogni 6 mesi;
   a Brescia, dove le concentrazioni soglia sono molto al di sopra di quelle di Taranto, l'Asl avrebbe così deciso, a quanto consta agli interroganti senza analisi di rischio «sito-specifica», di dividere le zone inquinate in tre aree: la «zona blu», dove non ci sono pericoli; la «zona rossa», dove l'accesso è «interdetto a qualsiasi uso» (parchi di via Nullo, Passo Gavia, via Parenzo nord, via Sorbana nord, campo Calvesi), e quella «gialla» dove l'accesso è consentito «con limitazioni» (parchi di via Fura, via Livorno, via Parenzo sud, via Ercoliani, via Sorbana sud, via Cacciamali), e dove quindi giocano anche i bambini, pur essendoci però concentrazioni di Pcb e diossine da due a quattro volte superiori rispetto a quelle di Taranto;
   una serie di comitati ambientalisti bresciani insieme a Medicina democratica e al comitato Sos Scuola ha denunciato la situazione e chiesto al sindaco di Brescia Emilio Del Bono e alle autorità sanitarie «il rispetto della legge»;
   è noto che nella città di Brescia esiste da anni un'emergenza sanitaria e ambientale di contaminazione diffusa da pcb (policlorobifenili), che interessa vaste aree collocate nel comune di Brescia, limitrofe alla ex-fabbrica Caffaro, dove vivono più di 25 mila persone;
   nel corso della trasmissione di Rai Tre «PresaDiretta», trasmesso domenica 31 marzo 2013 è stato affrontato il tema dell'inquinamento di Brescia causato dallo stabilimento Caffaro, dal quale continuerebbero ad uscire significative quantità di pcb e altri pericolosi inquinanti, e sono stati riportati i risultati di una recente indagine condotta un epidemiologo di Mantova, dottor Paolo Ricci, su dati ufficiali dell'Istituto superiore di sanità, che dimostrano un significato aumento nella popolazione bresciana rispetto al resto del Nord Italia di tumori al fegato (+58 per cento), tumori al seno (+26 per cento), linfomi non-Hodgkin (+20 per cento), aumento che, secondo l'epidemiologo, sarebbe in stretta relazione con il forte inquinamento da PCB di cui sopra;
   per quanto riguarda le diossine, secondo i dati raccolti dal Comitato per l'ambiente Brescia sud, Brescia sarebbe la capitale mondiale di questo inquinamento: se la concentrazione media di diossine nel sangue a livello mondiale è di 13,2 picogrammi per grammo di grasso, nel sangue di chi risiede a Brescia il valore sale a 54, quattro volte la media mondiale, e il dato è ancora più preoccupante se si guarda a chi vive o ha vissuto nell'area Caffaro, perché queste persone hanno un valore di 82 picogrammi, mentre per chi ha consumato i generi alimentari che venivano prodotti nelle fattorie della Caffaro schizza addirittura a 419;
   l'esposizione ai PCB al di sopra dei limiti evidenziati dalla ricerca medico-scientifica e definiti dal legislatore, avrebbe effetti patogeni di vario tipo: alterazioni al funzionamento di fegato e pancreas, alterazioni a carico del sistema immunitario, fino al loro grave e riconosciuto effetto cancerogeno (IARC 2013);
   l'esposizione a diossine sarebbe correlata allo sviluppo di tumori (la TCDD o diossina Seveso, a linfomi, sarcomi, tumori a fegato, mammella, polmone, colon) nonché a disturbi riproduttivi, endometriosi, anomalie dello sviluppo cerebrale, diabete, malattie della tiroide, danni polmonari, metabolici, cardiovascolari, epatici, cutanei e deficit del sistema immunitario –:
   di quali elementi dispongano in relazione a quanto esposto in premessa e se il Governo non consideri urgente avviare una seria indagine epidemiologica, tramite l'Istituto superiore di sanità, volta a valutare con certezza le conseguenze sanitarie a cui è stata ed è soggetta la popolazione di Brescia ancora oggi a causa di questo apparentemente ingiustificato lassismo.
(4-07170)


   SANTELLI e OCCHIUTO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   al fine di favorire l'assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81, l'articolo 4, comma 8, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 convertito in legge 30 ottobre 2013, n. 125, prevederebbe che gli enti territoriali che hanno vuoti in organico relativamente alle qualifiche di cui all'articolo 16 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, e successive modificazioni e integrazioni, possano procedere, in deroga a quanto disposto all'articolo 12, comma 4, del decreto legislativo 1o dicembre 1997, n. 468, all'assunzione a tempo indeterminato, anche con contratti di lavoro a tempo parziale, dei soggetti collocati negli elenchi regionali indirizzando una specifica richiesta alla regione competente;
   l'articolo 1, comma 1, della legge regionale 13 gennaio 2014, n. 1, prevederebbe l'istituzione, ad opera del dipartimento regionale n. 10 lavoro, politiche della famiglia, pari opportunità, formazione professionale, cooperazione e volontariato della regione Calabria, dell'elenco regionale previsto dall'articolo 4, comma 8, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101;
   a decorrere dall'entrata in vigore della legge regionale 13 gennaio 2014, n. 1, e sino al 31 dicembre 2016, gli enti territoriali e le altre pubbliche amministrazioni potrebbero procedere alle assunzioni dei lavoratori di cui all'elenco regionale;
   l'articolo 3, comma 1, della legge regionale 13 gennaio 2014, n. 1, prevederebbe per la formazione degli elenchi regionali e per la relativa stabilizzazione dei lavoratori di cui all'articolo 1 della citata legge regionale l'obbligo di osservare i criteri e le modalità di cui al decreto legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125 ed alle circolari applicative della Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento della funzione pubblica;
   in data 24 gennaio 2014 la regione Calabria avrebbe pubblicato un avviso inerente all'apertura dei termini per la raccolta delle richieste di iscrizione negli elenchi regionali dei lavoratori di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81 ed alle leggi regionali nn. 15 del 2008, 28 del 2008 e 8 del 2010;
   ad oggi non risulterebbe pubblicato ufficialmente alcun elenco regionale ad opera del dipartimento n. 10 lavoro, politiche della famiglia, pari opportunità, formazione professionale, cooperazione e volontariato della regione Calabria;
   come risulta dagli organi di stampa, l'azienda sanitaria provinciale di Cosenza a firma del direttore generale dottore Gianfranco Scarpelli, prima dell'ultima scadenza elettorale regionale, avrebbe inviato ai potenziali iscritti agli elenchi regionali, mai ufficialmente pubblicati, delle lettere del sistema sanitario calabrese è sottoposto a commissariamento da parte del Governo ai fini dell'attuazione del piano di rientro dei disavanzi sanitari –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra evidenziati e quali eventuali iniziative, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi, intenda assumere al riguardo. (4-07173)


   BECHIS. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 novembre 2014 sul quotidiano la Repubblica sono apparsi due articoli uno dal titolo «Vite d'azzardo» a firma di GIANLUCA MORESCO e FABIO TONACCI di cui si riportano in seguito alcuni stralci:
    «(...) i ludopatici a grave rischio di dipendenza sono 250 mila persone su 16 milioni di italiani che tentano la fortuna (...) I ludopatici, quelli che sul piatto mettono macchine, case, carriere, famiglie, vite, oggi siedono sul divano di casa davanti al pc. Oppure nascondono il tablet dentro la ventiquattrore in ufficio. Usano lo smartphone (...) C’è un fenomeno che, in psicologia, descrive quello che gli sta succedendo: bus stop entrapment. Rincorre le perdite, persegue una strategia fallimentare. È un errore cognitivo, uno dei tanti, che turba le menti dei compulsivi e impedisce loro di staccare: sono convinti che la fortuna stia per arrivare, dunque non possono lasciare il tavolo o la slot proprio in quel momento. Ma la vincita, proprio come succede con gli autobus, spesso non arriva. L'ultimo studio Ipsad condotto dalla sezione di Epidemiologia del Cnr di Pisa (...) sostiene che i «giocatori problematici», cioè quelli che rischiano di sviluppare disturbi psicosomatici e dipendenze compulsive, sono l'1,6 per cento. Si tratta di 256 mila le persone sui 16 milioni di italiani che, almeno una volta, hanno affidato alla fortuna un po’ del loro denaro. Sono giovani, i problematici: il 78 per cento ha tra i 15 e i 34 anni, il resto tra i 45 e i 64 anni. (...) lo studio Ipsad sostiene che i «problematici» erano lo 0,6 per cento nel 2007 e l'1,3 nel 2010 (...) le sale sono perfidamente fatte apposta per spingere alla dissociazione. Non è un caso che non ci sia un orologio al muro, che le finestre siano oscurate, che sia l'unico luogo pubblico dove nessuno protesta se fumi, che girino hostess che servono da bere direttamente alle macchinette. (...) 3.472 Gratta e Vinci acquistati in Italia ogni secondo, 32.243 euro al minuto giocati alle slot, 70 milioni di euro al giorno puntati sul Bingo, 2,2 miliardi l'anno affidati all'estrazione del Lotto, 4 miliardi alle scommesse sportive, 10.229 punti sparsi sul territorio per i concorsi pronostico, 5657 spazi dedicati alla raccolta delle puntate sull'ippica, 7.059 attività dove piazzare almeno una scommessa sportiva, 33.624 ricevitorie del Lotto, 65.321 punti dove acquistare un tagliando della lotteria. Il principio è lo stesso che guidò Benny Binion alla creazione del Horsehoe di Las Vegas nei primi anni Cinquanta: “Costringi i turisti ad attraversare corridoi dove si punta ai giochi, prima o poi lasceranno un dollaro sul tavolo”. Corollario: riempi il web di casinò e poker online, e prima o poi qualcuno aprirà un conto».
    “Sulla Rete si vive una dimensione di assoluta privacy — dice Dalpiaz — non ci sono occhi critici che giudicano, pure i soldi sembrano virtuali. Con le carte di credito non si riesce a capire quanto si stia spendendo, ogni clic se ne vanno 5-10 euro”. La nuova frontiera per far sentire meno soli gli utenti sono i web croupier che, grazie alle microtelecamere, interagiscono direttamente col giocatore. A Riga, sul Baltico l'azienda internazionale che ha inventato il Live Casinò Online con sale in diretta streaming 24 ore su 24 (oltre 400 addetti alle puntate di tutte le nazionalità), usa la bellezza delle croupier in abito nero e scollatura per tenere incollati allo schermo i giocatori. (...) Alcune sono studiate apposta per i bambini, giocano alla roulette o alla slot senza vincite in denaro. Preparandosi, domani, a diventare i consumatori dell'azzardo» –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto e cosa intenda fare per contrastare il fenomeno della ludopatia;
   se non ritenga di adottare tutte le più opportune tutele al fine di proteggere i minori dai rischi legati alla ludopatia, insiti nelle applicazioni sviluppate per smartphone e tablet. (4-07178)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta orale:


   FAUTTILLI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, come modificato dalla legge di conversione 30 ottobre 2013, n. 125, recante «disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni, interviene in materia di trattamento economico dei dirigenti delle società partecipate;
   la norma prevede che nella regolamentazione del rapporto di lavoro di tali dirigenti, le società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, o dai loro enti strumentali – ad esclusione di quelle emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e delle società dalle stesse controllate – non possono inserire, in assenza di preventiva autorizzazione dei medesimi enti o amministrazioni, clausole contrattuali che al momento della cessazione del rapporto prevedano per i soggetti di cui sopra benefici economici superiori a quelli derivanti ordinariamente dal contratto collettivo di lavoro applicato;
   in particolare, dette clausole, inserite nei contratti in essere, sono nulle qualora siano state sottoscritte, per conto delle stesse società, in difetto dei prescritti poteri o deleghe in materia (comma 7-bis);
   come concepita la disposizione citata appare, anche a giudizio dell'ANCI, di complessa lettura in quanto non è chiaro il regime transitorio, ossia se ed in che termini la stessa trovi applicazione anche ai contratti in essere alla data di entrata in vigore della medesima –:
   se non ritenga di assumere iniziative per chiarire la portata del dettato normativo in questione che risulta dubbia nella sua interpretazione al fine di evitare inutili e costosi contenziosi per i cittadini per quanto riguarda i loro diritti già acquisiti;
   quante e quali siano le società interessate dalla norma citata. (3-01202)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BRAGA, BENAMATI, PELUFFO, MARIANI, BRATTI, ARLOTTI e BORGHI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   lo sviluppo di impianti di generazione elettrica da fonte rinnovabile risulta indispensabile per il raggiungimento degli obiettivi individuati dalla direttiva 2009/28/CE, recepita dal decreto-legge n. 28 del 2011 e dal decreto ministeriale 8 marzo 2013 «Strategia Energetica Nazionale»;
   a livello generale l'impiego di fonti rinnovabili che consentano di contribuire, in modo economicamente e tecnicamente sostenibile, alla copertura di parte dei fabbisogni elettrici della Nazione presenta numerose ricadute positive tra cui: il contenimento delle emissioni inquinanti sul territorio nazionale e la riduzione della dipendenza estera per l'approvvigionamento di energia, lo sviluppo di know-how tecnologico e di una filiera in grado di valorizzare le imprese italiane nel mercato internazionale;
   il decreto ministeriale 6 luglio 2012 attua in modo, efficace molti dei punti descritti, mediante lo strumento della «Tariffa Onnicomprensiva». Lo stesso decreto ministeriale anticipa inoltre parte degli indirizzi contenuti nelle linee guida europee di recente emanazione (comunicazione 2014/C 200, GUUE del 28 giugno 2014) relativamente ai meccanismi di competitive bidding e alla progressiva integrazione delle rinnovabili nel mercato elettrico;
   al fine di consentire uno sviluppo economicamente efficiente delle fonti rinnovabili è necessario pervenire ad una regolamentazione stabile del settore, che garantisca possibilità di programmazione e sostenibilità degli investimenti;
   a tale proposito si consideri che i tempi medi di autorizzazione di un impianto a fonte rinnovabile di media taglia (quantificabili in 3-4 anni nei casi più favorevoli) risultano sempre superiori rispetto all'orizzonte temporale relativo agli schemi di incentivazione. Nel momento in cui un soggetto intenda progettare un nuovo impianto e intraprendere il lungo e costoso processo autorizzativo non risultano generalmente definibili i rischi e i ricavi derivanti dalla realizzazione dell'impianto e, in definitiva, il piano economico dell'investimento;
   proprio a questo riguardo la situazione attuale conferma l'urgenza di un intervento in grado di definire univocamente le regole valide per i prossimi mesi e, più in generale, per i prossimi anni;
   in particolare si evidenzia che il decreto ministeriale 6 luglio 2012 individua, all'articolo 3, un limite massimo per il parametro di «costo indicativo cumulato annuo di tutte le tipologie di incentivo degli impianti a fonte rinnovabile, con esclusione di quelli fotovoltaici», pari a 5,8 miliardi di euro. Nulla viene definito sia in merito alle modalità mediante le quali può essere evitato il superamento della suddetta soglia, sia in merito alle modalità di calcolo del costo in oggetto, per il quale il GSE ha adottato la procedura di cui all'allegato A. Detta procedura è basata su un calcolo differenziale tra la tariffa assegnata a ciascun impianto e il PUN medio dell'anno precedente rispetto al momento del calcolo. È inoltre previsto che tutti gli impianti rientranti in posizione favorevole nei registri e nelle graduatorie d'asta già concluse contribuiscono alla definizione del costo indicativo cumulato pur non essendo gli impianti ancora in esercizio né, talvolta, economicamente realizzabili. A tal proposito si evidenzia che oggi risulta in esercizio il 54 per cento degli impianti ammessi mediante aste e registri nel 2012 e il 25 per cento di quelli ammessi nel 2013;
   nel complesso, la procedura di calcolo del costo indicativo cumulato attualmente adottata genera una duplice problematica:
    forte instabilità e imprevedibilità dell'andamento del costo in oggetto a seguito delle significative oscillazioni del PUN medio tra anni contigui;
    significativo scostamento tra il reale costo cumulato degli incentivi e il valore indicativo computato dal contatore del GSE;
   le problematiche evidenziate risultano particolarmente accentuate nella situazione attuale caratterizzata da un margine di soli 400 milioni di euro tra il costo indicativo cumulato annuo degli incentivi, calcolato da GSE, e il relativo valore limite. Si ritiene infatti che tale limite verrà verosimilmente raggiunto nei primi mesi del 2015 a seguito dell'aggiornamento del PUN di riferimento, pari a circa 51 euro per mwh per il 2014;
   le conseguenze dell'eventuale raggiungimento del tetto di spesa sono attualmente ignote e l'eventualità di una brusca interruzione del meccanismo incentivante avrebbe le seguenti conseguenze:
    a) impossibilità di accesso agli incentivi da parte dei numerosi impianti di piccola e piccolissima taglia che risultano attualmente in costruzione in prospettiva di un accesso diretto agli incentivi;
    b) impossibilità di estensione dell'attuale meccanismo di incentivazione all'anno 2015, cui conseguirebbe uno scenario di caos e incertezza totale per tutti gli impianti in fase di progetto, autorizzazione e costruzione;
    c) impossibilità di utilizzo delle risorse allocate, e di quelle che si renderanno disponibili nel primo semestre del 2015 a seguito dell'esaurimento del periodo di incentivazione per numerosi impianti beneficiari di certificati verdi e CIP6, nonostante sia stato attualmente ammesso a incentivo solo il 52 per cento del contingente di potenza previsto dal decreto ministeriale 6 luglio 2012 –:
   quali siano le azioni che questo Governo intenda attuare in relazione al successivo meccanismo di incentivazione in recepimento delle linee guida europee e quali siano i relativi tempi, considerando il grado di urgenza dei provvedimenti auspicati. (5-04223)


   GALPERTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la strategia «Europa 2020» (EU2020) sottolinea l'importanza della diffusione della banda larga come elemento del piano di crescita dell'UE per i prossimi sette anni e pone obiettivi ambiziosi per lo sviluppo della banda larga e ultra larga. Una delle sue iniziative faro, l'Agenda Digitale Europea (ADE), riconosce i vantaggi socioeconomici della banda larga, evidenziandone l'importanza per la competitività, l'inclusione sociale e l'occupazione;
   all'interno di questo quadro che innesta l'Agenda digitale italiana (ADI) che, al fine di favorire la crescita e la competitività dell'Italia, affida alla digitalizzazione della pubblica amministrazione il ruolo di propulsore fondamentale per lo sviluppo della domanda di servizi digitali nei prossimi anni, attraverso i progetti di Consolidamento Data Center e cloud computing, identità digitale (SPID), anagrafe popolazione residente, pagamenti e fatturazione elettronica, open data, fascicolo sanitario elettronico, scuola digitale e processo telematico che rappresentano gli assi portanti della «Strategia per la crescita digitale 2014-2020» pubblicata il 6 novembre 2014 dalla Presidenza del Consiglio dei ministri;
   appare evidente che l'obiettivo Horizon 2020, che il documento «Strategia italiana per la banda ultralarga» della PCM si pone di superare portando il 100 per cento della popolazione a 30Mbit/s e l'85 per cento a 100Mbit/s entro il 2020, deve necessariamente prevedere che la pubblica amministrazione si doti rapidamente di infrastrutture di comunicazione adeguate a svolgere il ruolo propulsivo suddetto al fine di soddisfare le elevatissime esigenze in termini di capacità di banda che in ottica evolutiva dei servizi si troverà a dover erogare;
   solo in questo modo l'Agenda digitale diventerà un'occasione di trasformazione essenziale per perseguire i grandi obiettivi della crescita, dell'occupazione, della qualità della vita, della rigenerazione democratica nel paese e rappresenterà un investimento pubblico che coinciderà immediatamente con una riforma strutturale del Paese;
   conseguentemente, anche per colmare il ritardo accumulato dall'Italia in tutte le classifiche europee relative alla digitalizzazione, come evidenziato dal recente «Digital Agenda Scoreboard», è necessario prevedere un maggiore impegno da parte della pubblica amministrazione per la digitalizzazione, l'interoperabilità e per garantire parità di accesso ai servizi da parte dei cittadini su tutto il territorio nazionale, con una disponibilità omogenea delle infrastrutture di comunicazione a banda ultra larga;
   inoltre, per quanto previsto nella strategia per la crescita digitale, l'accesso alla banda ultra larga di tutti gli edifici e uffici pubblici, mediante collegamenti simmetrici in fibra ottica ad elevata velocità, è anche a sostegno della diffusione di internet fra i cittadini che sono spesso utenza diffusa di questi luoghi, mediante numerosi e diffusi hot spot WiFi, soprattutto nei luoghi pubblici di maggiore frequentazione: ad esempio, ospedali, uffici comunali, ma anche in selezionate zone turistiche;
   dotare la pubblica amministrazione italiana di reti a banda ultralarga è anche la premessa per avere un giorno un'Italia più veloce, più agile, meno burocratica; di conseguenza, in considerazione della necessità di accelerare l'offerta di servizi digitali da parte della pubblica amministrazione e affinché le pubbliche amministrazioni, siano da traino per la diffusione della banda ultra larga definita dall'Agenda digitale europea –:
   se il Governo, al fine di potenziare gli effetti della «Strategia per la crescita digitale 2014-2020», non ritenga di adottare ogni misura idonea affinché le sedi delle pubbliche amministrazioni si dotino rapidamente di collegamenti simmetrici a banda ultralarga con velocità pari ad almeno 100Mbitis sin da subito presso le sedi ubicate nei capoluoghi di regione, nei prossimi sei mesi presso le sedi ubicate nei capoluoghi di provincia ed entro il 2015 presso le sedi ubicate nei comuni sopra i 40.000 abitanti, ciò al fine di assicurare uno sviluppo omogeneo sul territorio e garantire parità di accesso ai servizi da parte dei cittadini;
   se, a tal fine, l'Agenzia per l'Italia digitale intenda definire le azioni idonee a garantire il raggiungimento di tali obiettivi, utilizzando gli strumenti già disponibili e assicurandosi che le iniziative in corso siano adeguate a soddisfare le esigenze delle pubbliche amministrazioni che dovranno dotarsi dei suddetti collegamenti. (5-04225)


   BASSO, BARGERO, TULLO, CAROCCI, GIACOBBE, PASTORINO, TARANTO, MARIANI e MARCO MELONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo ILVA, attivo da oltre 100 anni nella produzione e trasformazione di acciaio, è composto da ILVA spa e da un insieme di società operative strutturalmente collegate e funzionali al processo produttivo della stessa ILVA spa. Il gruppo è presente in Italia e all'estero attraverso 24 unità produttive – Italia (17), Francia (4), Tunisia (2), Grecia (1) – e diversi centri servizi tutti fortemente integrati tra loro. I principali prodotti del gruppo sono acciai piani al carbonio, tubi saldati e lamiere. Nel 2013 il gruppo ha prodotto complessivamente 5,7 milioni di tonnellate di acciaio, a fronte di una autorizzazione alla produzione annua di 8 milioni di tonnellate. Il 25 per cento circa della produzione viene esportata all'estero;
   nel periodo gennaio-novembre 2013 ILVA spa si è attestata al 49 per cento della produzione totale italiana di laminati piani a caldo e al 6,5 per cento di quella europea;
   al 31 dicembre 2013 il gruppo ILVA impiega personale diretto per 16.200 unità con età media di circa 39 anni;
   dal 3 giugno 2013, con decreto-legge 61 del 2013, ILVA, spa è sottoposta a commissariamento straordinario;
   il 23 settembre 2014 il Ministro interrogato ha incontrato, insieme al commissario dell'ILVA Piero Gnudi, il ceo di Arcelor Mittal Europe, Aditya Mittal, gli amministratori delegati della Marcegaglia, Emma e Antonio Marcegaglia ed i rappresentanti di JP Morgan con i quali ha esaminato lo stato delle trattative in corso riguardanti lo stabilimento ILVA di Taranto;
   il 30 novembre 2014 il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha parlato di un possibile ritorno dell'azienda allo Stato, per una fase temporanea funzionale a rimettere a posto il gruppo siderurgico prima di tornare nuovamente sul mercato per cercare nuovi azionisti privati;
   l'Ilva potrebbe quindi finire in amministrazione straordinaria con la legge Marzano per essere divisa in new company e bad company, dove nella «new» potrebbero finire impianti, personale, attività e forse i debiti generati dall'attività industriale, nella «bad» tutta la parte del contenzioso ambientale con i relativi risarcimenti;
   il 2 dicembre 2014 i lavoratori dello stabilimento Ilva di Genova Cornigliano e di Novi Ligure, hanno denunciato il timore che parte degli stipendi di dicembre non siano pagati puntualmente, nonostante il pagamento da parte delle banche della seconda tranche del prestito ponte garantisca la liquidità necessaria per il pagamento di stipendi e tredicesime –:
   quali iniziative il Governo stia promuovendo per realizzare la possibilità di un transitorio intervento pubblico in grado di garantire la continuità produttiva e occupazionale del più grande gruppo siderurgico italiano;
   se risulti al Governo che parte degli stipendi dei lavoratori del mese di dicembre 2014 e di quelli successivi siano a rischio nonostante il gruppo Ilva abbia ottenuto il «prestito ponte» erogato proprio per realizzare gli investimenti per il risanamento ambientale e per garantire ai lavoratori continuità di reddito. (5-04227)


   FOLINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con delibera CIPE n. 87 del 3 agosto 2012 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana in data 2 novembre 2012 sono stati assegnati al territorio della regione Basilicata 41,72 milioni di euro per interventi nel settore ambientale ed in particolare per 10 interventi di bonifica delle acque di falda e dei suoli nei Siti inquinati di interesse nazionale di Tito e della Val Basento;
   in data 19 giugno 2013 veniva sottoscritto dalla regione Basilicata ed il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'Accordo quadro rafforzato per la definizione degli interventi di messa in sicurezza e di bonifica delle acque di falde e dei suoli nei siti inquinati di Tito e della Val Basento;
   detto Accordo prevedeva che le obbligazioni giuridicamente vincolanti relative agli interventi di bonifica da realizzare venissero sottoscritte entro il termine, oramai decorso, del 30 giugno 2014, salvo la revoca dei finanziamenti assegnati con delibera CIPE n. 87/2012;
   secondo quanto riferito in una nota inviata ai media locali dai sindacati lucani, ad oggi la regione Basilicata, impegnata nella redazione e definizione dei progetti di bonifica così come richiesto dall'Accordo quadro rafforzato, non avrebbe ancora formalizzato alcuna richiesta di proroga dei suddetti termini al Ministero dello sviluppo economico e quindi non sarebbe certa la disponibilità che le risorse finanziarie stanziate con delibera CIPE siano ancora disponibili –:
   se le risorse assegnate con delibera CIPE n. 87/2012 per un importo di 41,72 milioni di euro alla regione Basilicata per gli interventi di bonifica dei siti inquinati d'interesse nazionale di Tito e della Val Basento siano ancora disponibili e se risulti che gli atti finora compiuti siano conformi nella tempistica al citato accordo di programma. (5-04234)


   GALPERTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   risulta dai mezzi di comunicazione la circostanza secondo la quale la società ILVA sarebbe stata posta in vendita e che l'acquisizione vedrebbe interessate la società Arcelor Mittal (il più grosso produttore mondiale di coil) ed alcune società italiane;
   il Governo italiano darebbe, con il proprio intervento, un rilievo pubblico alla trattativa in corso, di fatto e di diritto non solo tra soggetti privati;
   l'Associazione di categoria Apindustria di Brescia ha sollevato alcune legittime questioni intorno alla cessione ormai in atto;
   anche il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, ha espresso pubblicamente parole di preoccupazione rispetto agli esiti della vicenda –:
   a che punto sia la trattativa «de quo» e quali siano le iniziative che il Governo ha assunto od intende assumere al riguardo;
   quali, al Governo, risultino essere i criteri, stante per l'appunto l'interesse pubblico sotteso, adottati dal venditore per la scelta dei partner industriali interessati ad eventuali cordate per partecipare all'acquisizione dell'Ilva;
   se sia stata predisposta un'indagine di mercato per valutare l'esistenza di eventuali realtà industriali italiane interessate ad intervenire e, ove ciò non sia avvenuto, se non si intenda provvedervi;
   se l'ipotetica acquisizione del colosso italiano dell'acciaio da parte di Arcelor Mittal ed altri risulti essere stata messa, al riparo da possibili contestazioni in sede europea per quanto attiene al rispetto della normativa antitrust, indirizzate a tutelare il mercato e la concorrenza ed ad evitare monopoli o situazioni comunque dominanti, atteso che Mittal dispone dei più importanti stabilimenti continentali;
   se si sia valutato che, in particolare, se per tale vendita ad Arcelor Mittal ed altri fosse previsto un intervento/finanziamento diretto od indiretto da parte dello Stato italiano, ciò potrebbe configurare violazione della normativa sopra citata in particolare degli articoli 2 e 3 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, ed, a tal proposito, quali approfondimenti siano in corso per evitare preventivamente eventuali azioni giudiziarie che potrebbero essere volte a ripristinare la tutela della par condicio tra i soggetti operanti nel settore;
   se non si ritenga di fornire ogni elemento utile sullo stato dell'arte.
(5-04236)

Interrogazione a risposta scritta:


   SBROLLINI e GINATO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la catena spagnola Nh Hotels ha annunciato la procedura di mobilità che interessa a livello nazionale complessivamente 48 unità, di cui 27 solo nella sede amministrativa di Valdagno (Vicenza);
   a Valdagno rimarranno attivi i posti di lavoro dei quadri e degli impiegati di livello più alto; verranno invece esternalizzate le altre mansioni;
   gli esuberi, dettati dall'esternalizzazione del settore amministrativo, rappresentano una vera e propria delocalizzazione, poiché risulta che l'attività sarà affidata a un fornitore che ha sedi in Portogallo e Filippine, a danno dei dipendenti italiani che hanno maturato esperienza e professionalità;
   si segnala che la catena Nh Hotels non è nuova all'esternalizzazione dei servizi e che in soli due anni si sono persi, in Italia, 450 posti di lavoro;
   l'area di Valdagno presenta già una forte sofferenza a causa della crisi dei settori industriali storici quali manifatturiero, meccanico e tessile, con una certa difficoltà ad attivare strategie per la riqualificazione e la ricollocazione nel mondo del lavoro. Ne consegue che la perdita di 27 lavoratori del settore terziario costituisce un ulteriore e grave impoverimento del territorio che va progressivamente incontro alla desertificazione;
   durante gli incontri svolti nelle scorse settimane tra proprietà e sindacati, non sono emersi cambi di posizione da parte della proprietà che ha invece rimarcato le proprie decisioni dettate da fattori di risparmio economico;
   la proprietà ha tuttavia avanzato una proposta di ricollocamento interno di 10 dipendenti di cui 2 della sede di Valdagno, proponendo a questi ultimi il trasferimento nella sede di Milano –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se non ritenga di intervenire a tutela dei lavoratori e delle loro famiglie;
   se e come il Ministro intenda intervenire per mettere in atto una strategia in grado di arginare il fenomeno di esternalizzazione in atto in Nh Hotels, con particolare riguardo alla sede di Valdagno, considerando anche che tale fenomeno non è da ritenersi un evento raro ma largamente praticato da numerose aziende a livello nazionale e che tale pratica comporta il disfacimento del know-how italiano nonché un ostacolo alla crescita imprenditoriale del nostro Paese.
(4-07153)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Liuzzi e altri n. 1-00686, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vignaroli.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Manzi e altri n. 7-00448, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 agosto 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Schirò.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Bossa e altri n. 2-00769, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Marchi.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Mariano n. 5-02232, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 febbraio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ventricelli.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fedriga n. 5-03197, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Allasia.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Mariastella Bianchi n. 5-04007, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bratti, Manfredi, Giovanna Sanna, Mazzoli, Terrosi, Bonaccorsi, Piccoli Nardelli, Tidei.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Liuzzi n. 1-00686, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 344 del 3 dicembre 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    la disciplina dell’«abbonamento alle radioaudizioni», che regola le modalità di calcolo, corresponsione ed esonero dal pagamento del canone di abbonamento al servizio pubblico radiotelevisivo, è dettata dal regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 giugno 1938, n. 880, che, in termini generali, all'articolo 1, prevede che è tenuto al pagamento del sopradetto canone di abbonamento «(...) chiunque detenga uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni»;
    la disciplina citata, oggetto di minime modifiche nel corso dei 76 anni di sua vigenza, prevede, allo stesso articolo che: «La presenza di un impianto aereo atto alla captazione o trasmissione di onde elettriche o di un dispositivo idoneo a sostituire l'impianto aereo, ovvero di linee interne per il funzionamento di apparecchi radioelettrici» pone a carico dei soggetti interessati una presunzione di possesso di un apparecchio atto alla ricezione delle radioaudizioni;
    nel corso degli anni si è molto discusso, tra i commentatori e in giurisprudenza, sulla natura giuridica del canone e sulla legittimità e gli ambiti della sua imposizione e con la sentenza 26 giugno 2002, n. 284, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della disciplina citata «(...) nella parte in cui collega (...) l'imposizione del canone (...) al semplice possesso dell'apparecchio, indipendentemente dalla effettiva fruizione dei servizi, e a favore del solo concessionario del “servizio pubblico” RAI-Radiotelevisione italiana e nella parte in cui prevede una disparità di trattamento fra chi riceve le trasmissioni televisive attraverso l'apparecchio televisivo e chi le riceve con altri mezzi tecnici, quali il computer con l'apposita scheda, oppure non le riceve affatto»;
    il giudice delle leggi in quell'occasione ha avuto modo di chiarire che tale imposizione risulta giustificata dalla funzione che dovrebbe essere svolta dal servizio pubblico radiotelevisivo, vale a dire «(...) il miglior soddisfacimento del diritto dei cittadini all'informazione e per la diffusione della cultura, col fine di ampliare la partecipazione dei cittadini e concorrere allo sviluppo sociale e culturale del Paese». Da qui gli obblighi della Rai ad assicurare un'informazione completa, di adeguato livello professionale e rigorosamente imparziale nel riflettere il dibattito fra i diversi orientamenti politici che si confrontano nel Paese, nonché di curare la specifica funzione di promozione culturale ad essa affidata e l'apertura dei programmi alle più significative realtà sociali e culturali;
    in tempi recenti, la legittimità dell'imposizione del sopradetto canone è tornata di attualità con riferimento alla possibile imposizione dello stesso nei confronti di possessori di apparecchi, diversi dai televisori, idonei, in ogni caso, a captare il segnale radiotelevisivo e con nota del 22 febbraio 2012, trasmessa dal Ministero dello sviluppo economico all'allora direttore dell'Agenzia delle entrate è stato chiarito che il possesso di un personal computer privo di un sintonizzatore, di un monitor per pc, di casse acustiche o di un videocitofono non legittima l'imposizione del canone, pure richiesto illegittimamente dalla Rai nei confronti di diversi cittadini e imprese, in quanto apparecchi non atti, né adattabili alla ricezione del segnale televisivo;
    nel corso del tempo sono state previste misure di esonero dal pagamento del canone per i cittadini ultra settantacinquenni con determinati requisiti reddituali, ad integrazione della disciplina generale di esonero dal pagamento del canone prevista dall'articolo 10 del regio decreto-legge citato;
    le procedure per ottenere la possibilità di essere esonerati dal pagamento del canone appaiono francamente anacronistiche: è richiesto il versamento di 5,16 euro per ogni apparecchio da chiudere in involucro, come prevede il regio decreto-legge; tale procedura consiste nella chiusura in appositi involucri di tutti gli apparecchi detenuti dal titolare del canone tv e dagli appartenenti al suo nucleo familiare presso qualsiasi luogo di loro residenza o dimora;
    le sopradette procedure per ottenere l'esonero appaiono particolarmente gravose ed inefficienti, in grado, quindi, di ostacolare in via di fatto l'esercizio di un diritto riconosciuto dalla legge;
    il sistema di imposizione del canone Rai, legato al possesso di un qualsiasi apparecchio atto o adattabile alla ricezione di un segnale televisivo, appare fortemente pregiudizievole per coloro i quali non usufruiscono dei servizi offerti dalla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, e, in ogni caso, non idoneo a scongiurare, né attenuare il rilevante fenomeno di evasione dal pagamento del canone;
    tale sistema di imposizione, fondandosi sul mero possesso di un bene o più beni di largo consumo e ormai accessibili pressoché a chiunque, non tiene nella minima considerazione la reale capacità contributiva dei cittadini obbligati al pagamento, non differenziando il canone dovuto tra chi ha i mezzi e le capacità per affrontare tale esborso e chi, al contrario, nel periodo di grave crisi che attraversa il Paese, non è in condizione di sostenere tale spesa,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative per modificare la disciplina vigente, svincolando l'obbligo di pagamento del canone Rai dal possesso di un apparecchio atto a ricevere il segnale televisivo;
   ad assumere ogni iniziativa volta ad allargare la platea dei soggetti esonerati dal pagamento del canone o, comunque, a prevedere forme di differenziazione nell'entità del canone dovuto in considerazione della capacità contributiva di ciascun cittadino.
(1-00686)
(Nuova formulazione) «Liuzzi, Nesci, Fico, Brescia, Dell'Orco, De Lorenzis, Nicola Bianchi, Paolo Nicolò Romano, Cristian Iannuzzi, Spessotto».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Pili n. 5-04186 del 30 novembre 2014.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Galperti n. 4-06637 del 29 ottobre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04236;
   interrogazione a risposta scritta Sarti n. 4-06959 del 20 novembre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04228.

ERRATA CORRIGE

  L'interrogazione a risposta in Commissione Liuzzi e altri n. 5-04200 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 344 del 3 dicembre 2014.

  Alla pagina 19468, prima colonna, dalla riga quarantaduesima alla riga quarantaseiesima, deve leggersi «LIUZZI, DE LORENZIS, CRISTIAN IANNUZZI, PETRAROLI, SPESSOTTO e TOFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:» e non come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ARLOTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, come modificato dall'articolo 2, comma 158, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, prevede che l'autorizzazione unica alla costruzione e all'esercizio degli impianti a fonti rinnovabili offshore è rilasciata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sentiti il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e previa concessione d'uso, del demanio marittimo da parte della competente autorità;
   con la circolare n. 40 serie II del 5 gennaio 2012 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – direzione generale per i porti «Razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative fonti energetiche rinnovabili – decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 Articolo 12 così modificato dall'articolo 2, comma 158, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Finanziaria 2008)» sono state predisposte le linee guida operative per favorire una razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative di impianti offshore di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili;
   tale circolare al fine di offrire le indicazioni operative necessarie agli enti destinatari, si sofferma tra l'altro sull'individuazione degli assensi da conseguire e degli enti da convocare nelle conferenze di servizi inerenti ai procedimenti di rilascio della concessione demanio marittima e dell'autorizzazione unica;
   ciò nonostante, come riconosce la risposta scritta data dal viceministro dello, sviluppo economico prof. De Vincenti  all'interrogazione n. 4-05350 del 2 luglio 2014 presentata dal sottoscritto, «non possono sottacersi le problematiche che riguardano i procedimenti per l'autorizzazione degli impianti eolici offshore. Le cause vanno indubbiamente ricercate nelle criticità ambientali e paesaggistiche che spesso sono legate a tali installazioni»;
   di fatto, accade che l'effetto semplificazione auspicato dalla citata circolare in realtà non si è verificato, e il MIBAC risulta fino ad oggi avere dato sempre parere negativo a tutte le domande presentate ed esaminate in sede di valutazione di impatto ambientale, parere spesso fondato sull'interposizione visiva degli impianti rispetto alle visuali paesaggistiche –:
   se per affrontare le problematiche evidenziate non si ritenga necessario promuovere un coinvolgimento pieno, oltre che del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (quale amministrazione procedente), del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, anche promuovendo un confronto istituzionale con le amministrazioni competenti a vario titolo sul piano autorizzativo;
   se non sia opportuno valutare, in sede di confronto, la possibilità di introdurre una forma di consultazione allargata sul modello del francese debat public e soprattutto un sistema che consenta di individuare ex ante le aree non compatibili (come peraltro già in vigore per l'eolico onshore e proposto dagli operatori del settore);
   se non si ritenga necessaria una revisione della suddetta circolare n. 40 del 2012. (4-05733)

  Risposta. — In riferimento all'atto parlamentare di sindacato ispettivo, indicato in oggetto, che evidenzia la necessità di promuovere un coinvolgimento pieno di tutte le amministrazioni centrali interessate per avviare un confronto istituzionale, volto a risolvere le problematiche relative alle autorizzazioni concernenti gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 12, comma 10 del decreto legislativo n. 387 del 2003, emanato in attuazione della direttiva 2001/77/CE, relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili, stabilisce che in conferenza unificata si approvino le linee guida per lo svolgimento del procedimento di autorizzazione alla costruzione e all'esercizio di impianti di produzione di elettricità da fonti rinnovabili. Le linee guida sono volte, in particolare, ad assicurare un corretto inserimento degli impianti nel paesaggio, con specifico riguardo agli impianti eolici. La norma in esame stabilisce che, in attuazione di tali linee guida, le regioni adeguino le rispettive discipline.
  L'articolo 12, sopra citato, dispone che le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi, sono di pubblica utilità e considerate indifferibili e urgenti, soggette ad autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o dalle province delegate dalla regione, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico artistico, che costituisce variante allo strumento urbanistico.
  Le linee guida tendono, dunque, ad assicurare il coordinamento tra i piani regionali di sviluppo energetico, quelli finalizzati alla tutela ambientale e i piani paesaggistici, per l'equilibrato contemperamento degli interessi coinvolti dalla installazione e dall'esercizio degli impianti.
  Si fa presente che le linee guida sono state esaminate dalla Conferenza unificata nella seduta dell'8 luglio 2010, coinvolgendo tutte le amministrazioni interessate, ossia oltre al Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  L'istruttoria ha considerato e tenuto in conto quanto richiesto dalle regioni, dagli enti locali e dall'autorità garante per la concorrenza ed il mercato, valutando altresì le osservazioni e i rilievi delle amministrazioni centrali sopra citate.
  Rispetto alla necessità di proporre alcune modifiche di ulteriore semplificazione si fa presente che la conferenza ha sottoposto alla valutazione dei Ministeri competenti alcune richieste provenienti dalle regioni volte a segnalare la necessità di un intervento normativo di razionalizzazione, per superare le criticità emerse nel corso del monitoraggio effettuato sui procedimenti che attengono all'autorizzazione, alla costruzione ed esercizio di impianti alimentati da fonti rinnovabili.
  L'ufficio di segreteria della conferenza, nel manifestare la propria disponibilità a discutere, con le amministrazioni centrali interessate, le problematiche che attengono al settore, evidenziate da alcune regioni, ha sottoposto anche al coordinamento interregionale competente in materia la valutazione relativa all'opportunità di avviare il confronto istituzionale sui temi in esame.
  Si sottolinea, infatti, che l'avvio dell’
iter istruttorio presso l'ufficio suddetto deve tenere conto, in via preliminare, delle volontà espresse dalle amministrazioni centrali e regionali direttamente coinvolte nel procedimento in esame, che non hanno manifestato, in modo coordinato, l'esigenza di procedere alla revisione della normativa di settore.
Il Ministro per gli affari regionali e le autonomieMaria Carmela Lanzetta.


   BARGERO e FIANO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   durante la campagna elettorale per il ballottaggio delle elezioni amministrative nel Comune di Casale Monferrato nella notte tra il 4 e il 5 giugno 2014 si sono verificati episodi spiacevoli essendo stati affissi ad alcuni palazzi della città materiali che invitando a votare il candidato di centrodestra, sindaco uscente, Giorgio Demezzi, contenevano elementi di incitamento al razzismo, contenenti la scritta: «Vuoi un siriano ospite a casa tua? Vota Titti Palazzetti», con un implicito riferimento alla drammatica vicenda dei profughi di Lampedusa –:
   se siano state avviate indagini in ordine all'episodio, che, ad avviso degli interroganti, nulla ha a che vedere con la normale campagna elettorale politica e che appare piuttosto come una forma di incitamento al razzismo e se non intendano assumere iniziative normative volte a rendere più rigorose le sanzioni rispetto a casi quali quello evidenziato in premessa.
(4-05053)

  Risposta. — Il materiale propagandistico citato nell'interrogazione in esame è stato rinvenuto il 5 giugno scorso a Casale Monferrato dal personale della polizia locale, su segnalazione della candidata alla carica di sindaco – poi eletta – Concetta Palazzetti.
  Quest'ultima ha poi sporto denuncia querela nei confronti di ignoti presso il locale commissariato di pubblica sicurezza, in relazione alla violazione delle norme sulla diffusione di materiale elettorale e per ogni ipotesi di reato ravvisabile nel gesto descritto.
  Le relative indagini, avviate dal commissariato in collaborazione con la polizia locale, sono tuttora in atto. In particolare, in assenza di testimonianze, sono in corso le acquisizioni di eventuali documenti provenienti da telecamere private di vigilanza, ubicate nei luoghi in cui sono stati rinvenuti i materiali.
  La questura di Alessandria ha precisato, comunque, che durante lo svolgimento del turno di ballottaggio, nel successivo fine settimana, non si è verificato alcun caso analogo.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   BUENO, MERLO, BORGHESE e PORTA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   nel 1946 il Ministro degli esteri del Brasile Joào Neves da Fontoura, giunto a Parigi per la Conferenza della Pace delle potenze vincitrici della guerra contro l'Italia (fra le quali vi era il Brasile) dichiarò in un'intervista, divenuta celebre rilasciata il 30 agosto al quotidiano Le Monde, che, nei riguardi dell'Italia prostrata, occorreva manifestare una solidarietà latina e, nello stesso tempo, lanciava l'idea della «ricostruzione del fronte latino»;
   dopo lunghe consultazioni a livello politico, nel 1951, sempre Neves da Fontoura, invitò per il 14 ottobre i paesi latini a Rio de Janeiro per un primo congresso mirante alla creazione di una «Unione Latina»;
   sempre per impulso del Brasile (cui si aggiunse la Spagna desiderosa di uscire dall'isolamento internazionale ove l'avevano confinata i paesi vincitori della guerra 1939-1945) si giunse al secondo congresso tenuto a Madrid nel 1954 e alla firma, il 15 maggio, del trattato istitutivo dell'Unione Latina quale ente di diritto internazionale e dotato di personalità giuridica internazionale;
   stati firmatari del Trattato di Madrid e Stati che aderirono in seguito sono in totale 39: dell'Europa: Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Romania, Moldavia, Repubblica di San Marino, Santa Sede, Ordine di Malta, Principato di Monaco, Principato di Andorra; dell'Africa: Angola, Mozambico, Capoverde, Senegal, Costa d'Avorio; dell'America Latina tutti i paesi di lingua spagnola e portoghese, compresa Cuba, Santo Domingo, Haiti; dell'Asia le Filippine e Timor Est;
   nel 1975 il III congresso, promosso dalla Francia, rilanciò l'Unione Latina con abbondante aumento dei contributi degli Stati membri e con la creazione di un Segretariato generale con sede a Parigi e con strutture proprie;
   iniziò così un'attività sempre crescente mirata alla difesa delle lingue neolatine, alla protezione e diffusione dei rispettivi patrimoni letterari, artistici, linguistici, al fomento di una cinematografia latina, alla tutela e diffusione del diritto romano e alla creazione di una terminologia neolatina;
   dopo 16 anni di una Segreteria generale gestita da un francese (Monsieur Rossillon) succedette un Segretario generale brasiliano per 4 anni (Ambasciatore Cavalcanti), un Segretario generale italiano per 8 anni (Ambasciatore Osio) e per 3 anni un Segretario generale spagnolo (Ambasciatore Dicenta);
   il Congresso straordinario del 26 giugno 2012 si è svolto secondo gli interroganti secondo modalità contrarie sia alle norme del diritto internazionale comune, sia a quelle del Trattato del 1954. Non vi fu alcuna consultazione preventiva fra i Governi dei Paesi membri, ma si giunse alle decisioni grazie ad una «intesa segreta» tra alcuni delegati (Francia, Italia e Spagna) che portarono al Congresso un «progetto di risoluzione» che ordinò, entro il giugno dello stesso anno, la dissoluzione del Segretariato Generale, l'azzeramento del bilancio e dei contributi annuali degli Stati membri, la chiusura degli uffici centrali e periferici nonché il licenziamento di tutto il personale;
   in sostanza sarebbe rimasto solo un segretario generale ad honorem, senza sede, senza un bilancio, senza personale e senza programmi. Si tiene a precisare che il segretario generale ad oggi non risulta ancora nominato;
   la risoluzione anzidetta è stata approvata di stretta misura: molti Paesi, colti di sorpresa, si sono astenuti non avendo avuto il tempo di consultare i rispettivi governi. Hanno protestato vivamente il Venezuela, Cuba, Ecuador, Senegal, Bolivia, Romania e Moldavia. Contro il diritto è stata vanificata un'organizzazione nota per le sue battaglie in difesa delle identità culturali dei suoi Paesi membri più esposti, per ragioni geografiche e di povertà, ai pericoli di una globalizzazione devastante;
   le attività dell'Unione Latina hanno mirato a proteggere e salvaguardare i patrimoni culturali dei Paesi membri diffondendo lo studio del diritto romano e della lingua latina, favorendo la creatività letteraria, l'editoria, il cinema e soprattutto la catalogazione dei beni culturali materiali e immateriali, formando catalogatori di beni culturali, non dimenticando che la catalogazione è il primo imprescindibile passo per la difesa delle rispettive radici culturali –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo per rilanciare l'Unione Latina e se non ritenga il caso di adoperarsi, con urgenza, al fine di nominare il Segretario generale che dal 2012, quando si è svolto l'ultimo Congresso, non è stato ancora designato. (4-04436)

  Risposta. — La chiusura concordata dell'Unione latina (di cui si riassumono di seguito le fasi salienti), la cessazione delle attività e la soppressione del Segretariato permanente dell'Organizzazione internazionale sono stati votati a maggioranza dal XXVI congresso dell'organizzazione, tenuto il 23 gennaio 2012. La decisione è stata indotta da ragioni di sostenibilità finanziaria e da considerazioni sulla limitata operatività dell'Unione latina, le cui attività istituzionali e programmatiche non hanno assicurato, in particolare negli ultimi anni prima della chiusura, la corretta corrispondenza tra gli elevati costi dell'organizzazione e i risultati da essa raggiunti.
  La questione della sostenibilità finanziaria dell'Unione latina si è posta a partire dal 2008, quando la Francia, primo contributore dell'organizzazione, ha deciso unilateralmente di decurtare il proprio contributo al bilancio passando dal 38 per cento al 22 per cento, evidenziando una preferenza a destinare maggiori risorse ad altre forme di diplomazia culturale (la rete della francofonia, la politica dell'Unione europea in ambito culturale, iniziative dell'Unesco), a svantaggio dell'Unione latina. A seguito del ridimensionamento francese, l'Italia è divenuta nel 2009 il primo contributore dell'organizzazione (34 per cento del bilancio, in termini assoluti 1,21 milioni di euro, incluso il contributo di 243.000 euro per il funzionamento dell'Ufficio periferico di Roma).
  In occasione del Consiglio esecutivo del febbraio 2009 il nuovo segretario generale spagnolo Dicenta, successore nella carica all'Ambasciatore Osio, ha preso atto delle difficoltà finanziarie dell'Unione latina ed ha esposto nelle sue linee programmatiche alcune indispensabili forme di razionalizzazione, anche alla luce del fatto che gran parte del
budget dell'organizzazione (87 per cento) era destinato alle spese di funzionamento piuttosto che ai programmi. L'azione riformatrice di Dicenta si è dimostrata efficace in una prima fase ma ha esaurito presto la propria spinta.
  Nel giugno 2009 il Brasile ha annunciato il dimezzamento del proprio contributo, da 400.000 a 200.000 euro. Nel settembre 2009 questo ministero, nel quadro di razionalizzazione dei finanziamenti concessi ad organizzazioni ed enti internazionali, ha dovuto procedere ad annunciare la riduzione del finanziamento italiano, a partire dal biennio 2011-2012, da 1,21 milioni a 500.000 euro. Il quadro finanziario dell'organizzazione è stato inoltre reso ancora più critico dai cronici ritardi nel pagamento delle quote da parte di molti membri dell'Unione latina, in particolare sudamericani.
  Nonostante i tentativi di razionalizzazione del segretario generale Dicenta, all'inizio del 2011 è stato certificato un
deficit finanziario nel bilancio dell'Unione latina di oltre un milione di euro. Alla fine del 2011 sono state rese note ulteriori diminuzioni, a partire dal 2012, dei contributi della Colombia e della Francia, a cui si è aggiunta anche la riduzione di quello dell'Italia (da 500.000 euro a 60.000).
  Su proposta dei sei maggiori contributori al bilancio dell'Unione latina (Brasile, Cile, Francia, Portogallo e Spagna, oltre all'Italia), il XXVI congresso del 23 gennaio 2012, alla presenza di 26 Stati membri su 36, ha adottato a maggioranza una risoluzione che ha impegnato il segretario generale ad utilizzare il
budget 2012 al fine esclusivo di liquidare il personale e le strutture. La medesima risoluzione ha previsto la chiusura del segretariato permanente e delle sue attività istituzionali. Romania, Uruguay, Ecuador, Cuba, Venezuela, Nicaragua e Guatemala, alcuni dei quali da lungo tempo insolventi verso l'organizzazione, hanno votato contro l'adozione della risoluzione.
  In quell'occasione si era anche concordato di affidare la cooperazione culturale tra gli Stati membri ad un
forum di collaborazione informale e senza oneri, mai realmente attivato, al quale avrebbero partecipato i rappresentanti permanenti accreditati presso l'Unesco, coordinati da un segretariato generale onorario.
  L'ultimo congresso dell'Unione latina del 18 gennaio 2013 ha certificato l'assenza di passivi di cassa e affidato per il 2013 il Segretariato
pro tempore alla Francia. In quell'occasione è stata riscontrata la generale preferenza ad arrestare del tutto le attività dell'Unione latina.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   CAPARINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia, nell'ambito delle politiche di cooperazione internazionale, partecipa, anche tramite osservatori, alle operazioni di monitoraggio elettorale nell'ambito d'azione dell'Unione europea e dell'Osce-Odhir;
   le missioni di osservazione elettorale dell'Osce-Oshir si svolgono prevalentemente nell'Europa dell'Est e in Asia, mentre le missioni EuropeAid promosse dall'Unità EODS (Election observation and democratic support) dell'Unione europea, nell'ambito della politica estera comunitaria della Commissione, coprono soprattutto Paesi in Africa e Sud America;
   ciascuna missione è composta da un core team e da Osservatori di lungo periodo (LTO) e di breve periodo (STO);
   i componenti del core team, la cui missione dura svariati mesi (generalmente da 3 a 6), percepiscono un compenso per l'attività svolta, mentre gli osservatori di lungo e breve periodo non percepiscono alcun compenso, e ad essi viene garantita solamente la copertura delle spese strettamente necessarie allo svolgimento della missione;
   i requisiti per partecipare alle missioni di breve durata sono: la laurea in materie giuridiche o umanistiche, l'ottima conoscenza della lingua inglese e, preferibilmente, un'esperienza come scrutatore elettorale e di lavoro all'estero, mentre per le missioni di lunga durata, oltre ai requisiti citati, serve la comprovata esperienza internazionale nel settore e la capacità di redigere testi e norme giuridiche;
   gli interessati a prendere parte alle missioni devono registrare il proprio curriculum vitae nella banca dati dei candidati a svolgere funzioni di osservatori elettorali per l'Unione europea così detto Roster unico europeo;
   gli osservatori di lungo e breve periodo non percepiscono alcuna retribuzione, neppure sotto forma di diaria o rimborso spese, pur trattandosi di persone altamente qualificate, ma svolgono le missioni assegnate in spirito di servizio, al fine di contribuire a migliorare e sviluppare le istituzioni democratiche e i diritti umani nei Paesi oggetto di missione;
   fino a quest'anno, gli osservatori di lungo periodo, e quelli di breve periodo, per le missioni organizzate in ambito Osce/Odhir, venivano scelti direttamente dall'ufficio VI DGAP del Ministero degli affari esteri, che provvedeva a corrispondere solo le spese necessarie alla missione, quali viaggio aereo, vitto e alloggio;
   la scelta dei candidati per le missioni Osce è passata direttamente all'ufficio dell'Odihr, l'Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell'Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione in Europa, con sede a Varsavia, che provvede altresì a corrispondere agli osservatori le spese strettamente necessarie a svolgere la missione;
   anche la preselezione dei candidati per i core team, che in precedenza veniva svolta al Ministero degli affari esteri, in occasione dell'imminente missione in Mozambico è stata avocata esclusivamente a Bruxelles;
   al Ministero degli affari esteri è rimasta la competenza sulla scelta degli osservatori per le missioni promosse dall'Unione europea, e quella sui corsi di training, che si svolgono periodicamente all'estero, soprattutto a Bruxelles, e sono finanziati dalla Commissione europea;
   appare necessario effettuare un'opportuna rotazione tra coloro che sono iscritti nell'apposito roster di candidati osservatori di breve e lungo periodo, e che avanzano al Ministero degli affari esteri la propria candidatura, in occasione di missioni di osservazione elettorale, al fine di contribuire alla loro formazione tramite esperienza sul campo;
   analoghe considerazioni possono essere fatte in merito;
   la selezione dei candidati per le missioni promosse nell'ambito della politica estera dell'Unione europea, così come per i training course, viene effettuata dal Focal Point MOE Unione europea dell'Unità PESC/PSDC della DGAP del Ministero degli affari esteri DGAP – ufficio diritti umani, dopo averne attentamente vagliato i curricula, assicurandosi che siano rispondenti ai requisiti richiesti;
   risulta all'interrogante che, nonostante il possesso dei requisiti richiesti, le ripetute domande di partecipazione di numerosi candidati vengono sistematicamente respinte (alcune di queste addirittura da svariati anni, assommandosi a decine i rifiuti che risulterebbero all'interrogante essere immotivati);
   così è stato anche ultimamente, quando si è conclusa la procedura di selezione per la missione elettorale Unione europea in Mozambico, ex colonia lusitana in Africa, dove il 15 ottobre 2014 si voterà per eleggere il Presidente e il Parlamento,
   risulta all'interrogante che non siano stati selezionati candidati di madrelingua portoghese, o comunque capaci di parlare portoghese e inglese, oltre che altre lingue romanze, in possesso di laurea (anche più di una) attenente gli ambiti richiesti, quali scienze politiche e relazioni internazionali, ancorché svolgenti dottorato di ricerca in Portogallo, e con notevole esperienza in materia elettorale e pregressa partecipazione a missioni di osservazione elettorale in ambito internazionale;
   alcuni aspiranti osservatori hanno lamentato che a ognuno di loro, l'Unità PESC/PSDC della DGAP del Ministero degli affari esteri ha fornito diverse risposte a giustificazione della mancata selezione per la missione in Mozambico;
   per ognuno di loro la Farnesina avrebbe trovato una spiegazione diversa: a chi non era madrelingua, avrebbe risposto che la mancata selezione era dovuta all'imperfetta conoscenza della lingua; a chi parla il portoghese come prima lingua, avrebbe risposto che manca di esperienza, mentre a chi possiede gli altri requisiti, sarebbe stato risposto che l'aver partecipato a uno dei corsi di formazione organizzati dalla Commissione europea costituiva requisito preferenziale, se non addirittura necessario;
   risultano altresì oscuri all'interrogante i criteri per recente selezione del training course riservato agli osservatori di lungo periodo, organizzato dall'Unità EODS (Election Observation and Democratic Support), che si svolgerà dal 22 al 26 settembre a Bruxelles;
   risulta altresì all'interrogante che, nonostante i requisiti, coloro che chiedono di partecipare ai corsi di formazione gratuiti organizzati dall'Unione europea, che si svolgono a Bruxelles, verrebbero puntualmente scartati, la maggior parte dei quali con la motivazione della «mancanza di esperienza», che pure non difetta a molti soggetti che si sono candidati per tali corsi;
   viene da domandarsi come si possa fare «esperienza», se non si viene selezionati per le missioni di osservazione elettorale, e se coloro che non usufruiscono dei corsi di formazione non vengono scelti per le missioni di osservazione elettorale –:
   quali criteri vengano adottati per da parte l'unità PESC/PSDC della DGAP del Ministero degli affari esteri per la selezione degli osservatori di lungo e breve periodo e per i training course, e i nominativi dei soggetti selezionati negli ultimi cinque anni come osservatore elettorale long term e short term nelle missioni Ue/EuropAid e Osce/Odhir, e per i corsi di formazione. (4-06213)

  Risposta. — L'attività di monitoraggio elettorale rappresenta sempre di più una componente rilevante della politica dell'Unione europea di numerose organizzazioni internazionali e regionali, tra cui l'Osce, con lo scopo ultimo della promozione dei diritti umani e della democratizzazione in tutto il mondo. L'Italia sostiene con convinzione tali iniziative, che vedono coinvolti un numero crescente di giovani che attraverso il monitoraggio elettorale, anche in un'ottica di arricchimento del bagaglio professionale, possono fornire assistenza tecnica nell'organizzazione delle elezioni e esercitare un'attenta verifica al momento del voto del rispetto delle procedure elettorali e degli standard internazionali in materia.
  Per quanto riguarda le missioni di osservazione elettorale dell'Unione europea (EOM), la selezione finale delle candidature è posta in essere dalle competenti istituzioni dell'Unione europea a Bruxelles (che si fa carico anche di ogni spesa relativa alle missioni), senza alcun nesso di prevedibilità tra preselezione e selezione. Il processo di preselezione è invece compito del Ministero degli affari esteri e della Cooperazione internazionale, attraverso l'unità PESC/PSDC. I requisiti di partecipazione a Missioni dell'Unione europea sono definiti con la Comunicazione della commissione europea n. 191 del 2000 e riportati nel sito internet del Maeci in cui è possibile reperire ogni informazione, compresa la partecipazione alle procedure ed i criteri adottati in sede di preselezione. In tale Comunicazione si precisa che tutti i candidati disponibili a partecipare alle missioni di monitoraggio elettorale dell'Unione europea (sia osservatori con incarico a breve termine, o STO, che osservatori con incarico a lungo termine, o LTO) dovrebbero rispondere ad alcuni criteri minimi, oggettivi e soggettivi. Tra i primi sono considerati soprattutto precedenti esperienze in materia di monitoraggio elettorale e/o altre esperienze o conoscenze pertinenti e formazione specifica, a livello nazionale e/o internazionale e la buona conoscenza delle lingue di lavoro della missione. Tra i secondi sono particolarmente valutate alcune competenze attitudinali (per esempio lavoro di gruppo, contesto multiculturale, capacità comunicative, indipendenza professionale e imparzialità, impegno manifestato a favore della democrazia e dei diritti umani, e altro).
  Per la selezione degli osservatori con incarico LTO, la comunicazione precisa che occorre inoltre tenere conto anche di altri criteri aggiuntivi, tra cui familiarità ed esperienza in materia di procedure e leggi elettorali (comprese, tra l'altro, le liste elettorali e le commissioni elettorali nazionali), non limitate a un'unica tradizione elettorale, conoscenze particolari in materia di diritti umani e processo di democratizzazione, conoscenze di base degli aspetti istituzionali dell'Unione europea, competenze analitiche e di formulazione.
  Esistono infine requisiti specifici riferiti alle singole missioni, definiti dai bandi relativi. In genere riguardano la conoscenza del paese e della sua situazione interna, la presenza di adeguate condizioni fisiche in caso di Paesi problematici, e altro.
  I candidati hanno un ruolo attivo essenziale nel processo di selezione, dovendo registrare il proprio curriculum vitae nella pertinente banca dati (cosiddetto roster unico europeo); monitorare regolarmente il sito del Maeci nel quale vengono pubblicizzate le missioni di osservazione elettorale dell'Unione europea attive e presentare la propria candidatura come STO o LTO, attraverso posta elettronica alla sopra citata unità PESC/PSDC (Maeci), indicando il proprio numero di registrazione nel Roster.
  La Farnesina, attraverso la stessa unità PESC/PSDC, effettua la preselezione dei candidati attraverso il vaglio attento dei CV/salvati dai candidati nel Roster dell'Unione europea assicurandosi che siano rispondenti ai requisiti richiesti, riservandosi di contattare personalmente i singoli richiedenti per verificare ed accertare le notizie fornite nonché, se ritenuto necessario, procedere ad un colloquio individuale.
  L'esperienza pluriennale dimostra come gran parte delle candidature siano presentate da candidati che non sono in possesso di uno o più requisiti identificati nei bandi delle relative missioni, con ciò rendendosi non preselezionabili (comunque non verrebbero selezionati a Bruxelles). Assai diffuso è inoltre il mancato aggiornamento dei curriculum vitae da parte degli interessati – dato necessario sia per la preselezione del Maeci sia per quella della Commissione in quanto si basano sulle informazioni contenute nel Roster – comportando ciò un indebolimento del profilo del candidato.

Verificato il rispetto di tutti i requisiti richiesti nel bando, nella preselezione si valutano aspetti ulteriori, quali pregressa conoscenza dell'area geografica, esperienza acquisita in altre missioni di osservazione elettorale, frequenza di corsi di formazione specifici, disponibilità nelle date di dispiegamento, rispetto delle pari opportunità e principio della rotazione. A tale proposito, i bandi delle varie missioni elettorali in genere prevedono la possibilità che gli Stati preselezionino, in aggiunta a candidati esperti, anche un principiante («newcomer», in genere come short term observer) e l'unità PESC/PSDC vi aderisce sempre, candidando giovani i cui requisiti sembrano sufficienti (esperienza a parte, naturalmente).
  Non risultano invece casi in cui le domande di partecipazione siano state sistematicamente respinte. Si fa notare che 107 posizioni STO selezionate appartengono a ben 71 candidati italiani diversi (per gli LTO, in cui l'esperienza fa premio su tutto il resto, 49 candidati diversi si sono aggiudicati 150 posizioni), a riprova dell'imparzialità delle procedure seguite.
  Si segnala inoltre che, nella consapevolezza dell'esistenza di un bacino potenziale più grande di quello di cui si è attualmente a conoscenza e al fine di contribuire alla creazione di un più vasto database di profili di candidati potenziali per le missioni PSDC, l'unità PESC/PSDC finanzia da due anni il distacco di un esperto (fornito attualmente dalla scuola Sant'Anna di Pisa) presso il SEAE, con il compito di lavorare alla realizzazione del progetto di banca dati unica europea chiamato «Goalkeeper».
  Per quanto concerne in particolare la Missione di osservazione elettorale in Mozambico citata dall'interrogante, l'unità suddetta ha ricevuto 18 candidature per posizioni STO e 6 candidature per posizioni LTO. Il relativo bando prevedeva tra gli altri, quali requisiti da possedere congiuntamente per la candidabilità di massimo 2 STO e 2 LTO, un livello eccellente di conoscenza della lingua portoghese ed inglese, scritta e parlata, ed almeno una esperienza pregressa di osservazione elettorale/core team (per STO anche eventualmente maturata in corsi di training o esperienze lavorative). In particolare il requisito linguistico, maggiormente restrittivo, risultava posseduto unicamente da 2 candidati sui 18 per STO, entrambi preselezionati dall'unità PESC/PSDC, e da 3 candidati sui 6 per LTO, anche questi preselezionati. Non risultano quindi compiute scelte discrezionali tra candidati pari titolati in qualsiasi modo opinabili.
  Per quanto concerne il corso di training EODS, citato nell'interrogazione l'unità ha ricevuto 19 candidature.
  Il bando prevedeva quali requisiti da possedere congiuntamente per la candidabilità di massimo 3 persone (anche per i corsi di training la selezione avviene a Bruxelles), tra gli altri l'assenza di pregressi corsi LTO, la laurea (preferibilmente pertinente), la partecipazione a minimo 1 e massimo 3 missioni LTO (o esperienza LTO pregressa in altre organizzazioni) e la padronanza fluente della lingua inglese, oltre almeno una tra francese, spagnolo e portoghese. Di questi 19, 13 non erano in possesso di uno o più requisiti richiesti dal bando. Dei 6 candidabili, uno non è stato candidato per laurea non pertinente (requisito indicato come preferenziale nel bando); uno perché si è ritenuto che avesse maturato una già sufficiente esperienza di formazione e che pertanto potesse presentare più utilmente candidature operative sul terreno; uno perché in possesso di un curriculum meno coerente con l'ambito di osservazione elettorale.
  Anche per quanto concerne i corsi EODS, si fa notare che i bandi relativi pongono condizioni di partecipazione che non trovano spesso riscontro adeguato nelle candidature sottoposte all'attenzione del Maeci, il cui operato è teso a individuare candidati dal profilo aderente ai requisiti non solo necessari ma anche preferenziali espressi dai bandi (inutile infatti sarebbe candidare elementi deboli rispetto ai loro concorrenti degli altri Paesi dell'Unione europea, sarebbero comunque eliminati a Bruxelles).
  Le 55 candidature italiane espresse negli ultimi 5 anni corrispondono a 39 candidati italiani diversi, a riprova del rispetto del ricambio dei nominativi proposti alla selezione operata da Bruxelles. In 16 casi le preselezioni hanno superato il vaglio a Bruxelles. Si precisa, inoltre, che la partecipazione a corsi di training non è in genere posta come requisito necessario per la quella a missioni di osservazione elettorale.
  Come richiesto dall'interrogante, si allegano infine gli elenchi nominativi dei candidati selezionati nelle missioni elettorali UE e OSCE e nei corsi di training EODS dell'ultimo quinquennio (Disponibile presso il Servizio Assemblea).
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   CARLONI, AMENDOLA, BOSSA, CAPOZZOLO, CHAOUKI, COCCIA, FAMIGLIETTI, SALVATORE PICCOLO, SGAMBATO e VALERIA VALENTE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 16 del decreto-legge n. 83 del 2012 – che reca disposizioni urgenti per la continuità dei servizi di trasporto – con i commi da 5 a 10 interviene in materia di trasporto ferroviario regionale campano, delineando una procedura di accertamento dei disavanzi e una conseguente procedura di definizione del piano di rientro, da realizzarsi nel termine di 5 anni, necessarie a riorganizzare e riqualificare il sistema di mobilità regionale su ferro della regione Campania;
   per l'attuazione delle misure relative alla razionalizzazione e al riordino delle società partecipate regionali, recate dal piano di stabilizzazione finanziaria della regione Campania, al fine di consentire l'efficace realizzazione del processo di separazione tra l'esercizio del trasporto ferroviario regionale e la proprietà, gestione e manutenzione della rete, salvaguardando i livelli essenziali delle prestazioni e la tutela dell'occupazione, nel citato articolo 16 comma 5 si dispone che il Commissario ad acta nominato ai sensi dell'articolo 14 del decreto-legge n. 78 del 2010 per il riordino delle società partecipate della regione Campania, provveda alle necessarie azioni di riorganizzazione, riqualificazione o potenziamento del sistema di mobilità regionale su ferro;
   il comma 6, per garantire la continuità dell'erogazione dei servizi di trasporto pubblico regionale, consente al commissario, nelle more dei tre mesi previsti per la predisposizione del piano di rientro, di adottare ogni atto necessario ad assicurare lo svolgimento della gestione del servizio da parte di un unico gestore a livello di ambito o bacino territoriale ottimale, coincidente con il territorio della regione, con il vincolo di garantire comunque il principio di separazione tra la gestione del servizio e la gestione e manutenzione delle infrastrutture;
   il comma 9 del medesimo articolo 16 ha previsto, per il finanziamento del piano di rientro, l'incremento automatico dell'addizionale regionale IRPEF e dell'IRAP, incremento fino ad allora previsto, ai sensi, da ultimo, del decreto-legge n. 78 del 2010, per il finanziamento del rientro dal disavanzo sanitario; per il finanziamento del piano di rientro, è stato previsto altresì l'utilizzo, nel limite di 200 milioni di euro per gli anni 2012 e 2013, delle risorse del fondo di sviluppo e coesione, assegnate alla regione Campania; per la medesima finalità, altre risorse sono state disposte dall'articolo 1, comma 9-bis del decreto-legge n. 174 del 2012, che ha istituito un fondo di rotazione per la concessione di anticipazioni alle regioni in situazione di squilibrio finanziario destinato, oltre che alle regioni in situazioni di deficit sanitario, anche al finanziamento del piano di rientro della regione Campania nel settore del trasporto regionale ferroviario nonché dall'articolo 11, comma 13, del decreto-legge n. 76 del 2013 che ha autorizzato l'utilizzo, per l'attuazione del piano di rientro dai debiti del settore del trasporto ferroviario regionale campanti, anche delle somme anticipate alla regione Campania ai sensi del decreto-legge n. 35 del 2010 (cosiddetto «debiti PA») per il pagamento dei debiti della pubbliche amministrazioni; l'articolo 13, comma 9-bis del decreto-legge n. 145 del 2013 (cosiddetto «destinazione Italia») ha destinato risorse, nel limite di 5 milioni di euro, per l'acquisto di materiale rotabile al fine di garantire la funzionalità del contratto di servizio ferroviario regionale nella regione Campania, per il biennio 2014-2015;
   nel contempo, per assicurare lo svolgimento delle attività di cui al citato comma 5 e l'efficienza e continuità del servizio di trasporto, il comma 7 ha disposto il blocco delle azioni esecutive e dei pignoramenti nei confronti delle società a partecipazione regionale esercenti il trasporto ferroviario regionale fino al 27 giugno 2013, termine successivamente prorogato dalla legge di stabilità a tutto il 2013; l'articolo 17, comma 5, del decreto-legge n. 16 del 2014 (cosiddetto «Salva Roma 3») ha prorogato fino al 30 giugno 2014 il blocco delle azioni esecutive, anche in considerazione della situazione del trasporto ferroviario regionale campano, nei confronti delle società a partecipazione regionale esercenti il trasporto ferroviario regionale, sulle somme anticipate alla regione Campania per il pagamento dei debiti dell'amministrazione regionale e destinate anche al piano di rientro nel settore del trasporto ferroviario regionale campano, sulle risorse derivanti dall'incremento dell'addizionale regionale IRPEF e IRAP che, a decorrere dal 2013, sono incrementate per finanziare il medesimo piano di rientro; sulle somme del fondo di rotazione per la concessione di anticipazioni alle regioni in situazione di squilibrio finanziario, espressamente destinato anche al finanziamento del piano di rientro della regione Campania nel settore del trasporto regionale ferroviario;
   tali disposizioni sono state adottate per garantire il fondamentale diritto degli utenti alla mobilità e la continuità dei servizi ferroviari nella, regione Campania;
   nel quadro della riorganizzazione del servizio, l'ente autonomo Volturno (EAV), con atto di fusione del 27 dicembre 2012, ha incorporato le 3 società esercenti il trasporto ferroviario – società Circumvesuviana, Metro Campania Nord-Est e Sepsa – partecipate dalla regione Campania – costituendo la società EAV Srl, esercente il trasporto ferroviario e su gomma nella regione Campania; la medesima società provvede alla realizzazione delle opere di manutenzione, ammodernamento e potenziamento della rete ferroviaria regionale e alla gestione del patrimonio infrastrutturale; l'EAV offre inoltre supporto alla regione nelle attività di pianificazione, progettazione, programmazione degli investimenti regionali nel campo della mobilità e del trasporto;
   il tavolo tecnico istituito presso il Ministero delle infrastrutture e i trasporti ai sensi dell'articolo 16, comma 8, del citato decreto-legge n. 83 del 2012, il 24 dicembre 2013 ha raggiunto l'accordo sul piano di rientro dal disavanzo e sul piano dei pagamenti, successivamente adottati dalla regione Campania con delibera di giunta n. 130 del 2 maggio 2014;
   il blocco delle procedure esecutive è un provvedimento anche a tutela dei creditori dell'Ente autonomo Volturno (EAV) che con atto di fusione del 27 dicembre 2012, ha incorporato le 3 società esercenti il trasporto ferroviario – società Circumvesuviana, Metro Campania Nord Est e Sepsa – partecipate dalla Regione Campania – costituendo la società EAV Srl, esercente il trasporto ferroviario e su gomma nella regione Campania; non potendo infatti quest'ultima garantire il pagamento di tutti i debiti scaduti, le azioni esecutive avrebbero – come conseguenza – il pignoramento delle somme necessarie all'attuazione del piano di rientro per un ammontare complessivamente superiore alle disponibilità, con il conseguente, inevitabile blocco del medesimo piano: un pregiudizio degli interessi dei creditori ben più grave – i crediti sarebbero, di fatto, inesigibili – della mera dilazione temporale derivante dal blocco delle procedure esecutive funzionale alla continuità del servizio e della gestione in vista del possibile obiettivo del riequilibrio finanziario;
   il tribunale di Napoli ha sentenziato la non assoggettabilità a fallimento dell'ente autonomo volturno, in quanto società in house della regione Campania assimilabile a un ente pubblico;
   anche nel caso in cui la sezione fallimentare cambi orientamento accogliendo un eventuale ricorso per il fallimento dell'ente, i creditori ne ricaverebbero un danno evidente, atteso che le procedure fallimentari consentono il ristoro dei creditori solo dopo molti anni e in percentuali minime rispetto ai crediti vantati;
   la Corte Costituzionale, con sentenza 186/13, si è pronunciata su una fattispecie analoga, valutando con favore la predisposizione di meccanismi diretti proprio all'effettiva soddisfazione dei crediti scaturenti da titoli esecutivi; parimenti, l'approvazione del piano dei pagamenti e il suo effettivo avvio, nelle ultime settimane, fa ritenere che non venga violato nemmeno l'articolo 6 par. 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, stipulata a Roma il 4 novembre 1950, che garantisce il giusto processo anche nella fase di attuazione concreta dei diritti, attesa la garanzia, con il piano di rientro, del soddisfacimento del diritto dei creditori a ottenere quanto di loro spettanza entro termini sicuramente ragionevoli e per intero, a differenza di quanto avverrebbe in caso di fallimento o con altra procedura concorsuale –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere nell'interesse pubblico, degli utenti del servizio di trasporto della regione Campania e degli stessi creditori dell'EAV, per accordare, anche mediante opportune iniziative legislative, una proroga del termine del 30 giugno 2014 di blocco delle azioni esecutive nei confronti di Ente autonomo volturno Srl almeno fino al 31 marzo 2015, allo scopo di conseguire l'obiettivo di garantire l'attuazione del piano di rientro elaborato dal Commissario ad acta e approvato dagli organi competenti. (4-06455)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Preliminarmente, si evidenzia che l'accordo di approvazione del piano di rientro dell'azienda ente autonomo Volturno di cui al decreto legge n. 83 del 2012 e relativa legge di conversione è stato stipulato in data 24 dicembre 2013 dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dal Ministero dell'economia e delle finanze e dal Presidente della Regione Campania ed è stato registrato dalla Corte dei conti il 26 febbraio 2014.
  Detta stipula permette al commissario di intraprendere le azioni efficientamento e razionalizzazione previste nel piano di rientro nonché di utilizzare le risorse nello stesso previste al fine di evitare l'acuirsi delle criticità che incidono sulla regolarità e sulla continuità del servizio di trasporto.
  Come è noto agli interroganti, l'articolo 16, comma 7, del decreto-legge n. 83 del 2012, prevedeva il divieto di intraprendere o proseguire azioni esecutive, anche concorsuali, nei confronti delle società a partecipazione regionale esercenti il trasporto ferroviario regionale nonché l'impignorabilità delle risorse destinate alla copertura del piano di rientro della Regione Campania per dodici mesi dall'entrata in vigore del decreto, successivamente prorogato, dall'articolo 17, comma 5, del decreto legge n. 16 del 2014, al 30 giugno 2014.
  Al fine di consentire l'efficace prosecuzione delle attività del piano di rientro relativo al trasporto pubblico locale della Regione Campania ed impedire la sottoposizione a vincolo pignoratizio di somme indispensabili per l'estinzione dei debiti societari e per l'erogazione del servizio pubblico, l'articolo 41, comma 5, del decreto legge n. 133 del 2014 (cosiddetto «sblocca Italia») di recente pubblicazione, ha ripristinato tale disposizione dall'entrata in vigore del decreto e fino al 31 dicembre 2015.
  Il medesimo comma 5, al fine di garantire la realizzazione delle misure previste nel citato piano di rientro, prevede, inoltre, che i pignoramenti eventualmente eseguiti non vincolano gli enti debitori e i terzi pignorati, i quali possono disporre delle somme per le finalità istituzionali delle società di trasporto pubblico locale.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   CATANIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   attualmente convergono su Bologna quattro tronchi autostradali: la Bologna-Milano (A1), la Bologna-Firenze (A1), la Bologna-Padova (A13) e la Bologna-Ancona (A14), collegati fra loro dal sistema tangenziale di Bologna;
   questa arteria di circa 22 chilometri che va da Casalecchio a San Lazzaro è costituita da un'autostrada a due corsie più quella di emergenza per ogni senso di marcia al centro, mentre all'esterno da altre due corsie più quella di emergenza complanari a traffico libero che raccordano tutte le strade radiali convergenti sul centro urbano. Dal 2007 la corsia di emergenza autostradale tra le uscite di S. Lazzaro e Borgo Panigale-Milano è stata allargata di 1,2 m e trasformata in «terza corsia dinamica» percorribile dal traffico in caso di necessità con segnalazione semaforica;
   per decongestionare questo nodo cruciale della rete viaria italiana (circa 180.000 veicoli al giorno nel 2002 secondo il piano territoriali di coordinamento provinciale della provincia di Bologna), il cui potenziamento è stato inserito tra gli interventi strategici di preminente interesse sia nazionale che regionale (delibera CIPE n. 121 del 21 dicembre 2001), sono state proposte negli anni diverse soluzioni che non hanno avuto seguito fino all'8 agosto 2002;
   in questa data è stato sottoscritto un accordo tra il Ministero delle infrastrutture, la regione Emilia Romagna, la provincia di Bologna ed il comune di Bologna che prevede la realizzazione di una nuova infrastruttura denominata «passante nord di Bologna», inserita in seguito nell'intesa generale quadro, sottoscritta il 19 dicembre 2003, tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la regione Emilia-Romagna;
   il progetto originario prevedeva un tracciato autostradale di 40 chilometri a tre corsie per senso di marcia su cui dirottare il traffico autostradale «di passaggio» all'interno di un corridoio a semianello nella pianura nord avente per estremi ad ovest Lavino di Mezzo e ad est Ponte Rizzoli. Si prevedeva, altresì, la cosiddetta «banalizzazione» del tratto autostradale complanare alla tangenziale, ossia l'eliminazione dell'autostrada dal centro della tangenziale e l'unione delle ex-corsie autostradali alle corsie esterne della tangenziale, ottenendo un'arteria di 5 corsie più emergenza per ogni senso di marcia dedicata unicamente al traffico locale;
   fin dall'inizio sono state sollevate da più parti aspre critiche sull'opera, per il suo pesante impatto ambientale, per l'aumento del consumo energetico dovuto all'aumento di percorrenza ed il conseguente incremento di emissioni inquinanti, per il consumo di territorio agricolo pregiato (oltre 700 ettari) e l'inibizione delle colture di qualità su un'area molto maggiore (8.000 ettari), nonché per il costo economico elevatissimo (circa 2 miliardi di euro). A fronte di tali elementi negativi l'opera avrebbe soltanto realizzato un allontanamento di traffico dalla città stimabile in circa il 20 per cento, introducendo oltretutto un pedaggio per il transito sulla tangenziale;
   lo scenario di traffico previsto dal progetto (+2,5 per cento annuo fino al 2025) appariva in contrasto con i dati reali, ed infatti successivamente, secondo i dati della Società Autostrade, si è verificata una riduzione, da 180.000 veicoli/giorno nel 2002 a 150.000 nel 2012;
   tutto il progetto risultava ispirato ad una visione obsoleta dello sviluppo socio-economico, basata sulla sensazione di una disponibilità illimitata di risorse e di territorio;
   nell'aprile 2004 è stato presentato un progetto alternativo da parte di un comitato di cittadini, che appariva in linea con tutti i principi di minimizzazione dell'impatto ambientale e del risparmio energetico, mediante il riuso e il miglioramento dell'esistente. Il progetto prevedeva di eliminare molti dei lati negativi dell'attuale asse tangenziale trasformandoli in risorse per la città, il tutto a costi e tempi di realizzazione pari a circa un terzo di quelli del passante nord;
   il progetto è stato respinto dalla provincia nell'ottobre 2004, come pure la richiesta di aprire un concorso di idee, e gli enti locali hanno continuato a perseguire il progetto del passante nord;
   per la realizzazione dell'opera è stata presa in considerazione la soluzione dell'affido diretto a Società Autostrade classificandola come «potenziamento di opera in concessione», ma l'affido diretto è risultato in contrasto con le norme europee sulla libera concorrenza, trattandosi in effetti di «nuova opera»;
   a seguito di ricorsi avanzati da Legambiente e dal Comitato per l'Alternativa al Passante Nord, l'Unione europea ha riconosciuto il passante nord come «nuova opera» bocciando per ben due volte l'affido diretto e minacciando l'apertura di una procedura di infrazione. Inoltre l'Unione europea ha precisato due condizioni imprescindibili anche per un eventuale «affido come gestore del bando di gara»: l'autostrada deve mantenersi al centro della tangenziale ed il passante deve configurarsi come mero «ausilio», con un tracciato il più possibile vicino all'arteria principale, cioè la tangenziale;
   dopo insistenti tentativi dei Governi succedutisi dal 2004 al 2010, nel 2010 il Governo pro tempore ha accettato le condizioni richieste dalla Unione europea che ha chiuso il fascicolo passante. La procedura di infrazione è stata archiviata a seguito di precisi impegni del Governo italiano sulla base dei quali sono stati individuati, da parte dell'Unione europea, alcuni elementi specifici comunicati con nota del 15 luglio 2010, e precisamente:
    il nuovo progetto verrà realizzato come strumento ausiliario per l'autostrada A14 (Bologna-Taranto), la cui sede e la cui natura rimangono immutate;
    la tariffa applicata sarà la stessa attualmente utilizzata dal concessionario su questa autostrada; la totalità delle attività necessarie alla realizzazione del passante sarà oggetto di procedure di aggiudicazione di appalti pubblici conformi alle regole europee applicabili;
    la data finale di efficacia della concessione attualmente in vigore non verrà modificata (31 dicembre 2038);
   anziché rinunciare ad un'opera che con il passare del tempo appariva sempre più insostenibile di fronte alla crescita della sensibilità verso il territorio, ai dati ufficiali sul calo del traffico, alla crisi economica e ad una valida ipotesi alternativa, si è cercato di portare comunque avanti il passante nord, modificandolo radicalmente per adeguarlo alle prescrizioni dell'Unione europea, finché si è arrivati alla presentazione di una «intesa» e dell'elaborato progettuale relativo (luglio-agosto 2012);
   il tracciato della bretella autostradale, nota come «passantino», viene ridotto a 32 chilometri è per adeguarlo alle prescrizioni dell'Unione europea si è rinunciato ad alcuni punti fondamentali e «irrinunciabili» del progetto 2004, come la «banalizzazione» della tangenziale e le tre corsie per la bretella autostradale che attraversa la pianura nord. L'autostrada rimane al centro della tangenziale, con alcuni accessi di dubbia funzionalità verso la complanare, ed il «passantino» ha solo due corsie;
   il 30 novembre 2012, termine stabilito dall'intesa di luglio, i sindaci hanno espresso il loro parere bocciando il passantino di 32 chilometri e proponendo un tracciato, sempre a due corsie, di 38 chilometri, molto simile a quello del 2004, noto come «passantino lungo». Provincia, regione, e comune di Bologna, pur avendo sottoscritto il progetto precedente, hanno cambiano opinione e hanno aderito all'ipotesi dei sindaci;
   Società Autostrade s.p.a, convinta della necessità del cosiddetto «passantino corto» e a sostegno delle proprie perplessità alla realizzazione del «passantino lungo» di 38 chilometri chiesto dai sindaci, ha presentato nel novembre 2012 uno studio molto dettagliato, con orizzonte temporale 2035, che nelle conclusioni sosteneva come la soluzione passante più «banalizzazione» non contribuisse né a migliorare le condizioni di deflusso autostradale della A14, né a migliorare le condizioni di deflusso sulle complanari;
   nel gennaio 2013 Società Autostrade ha svolto un approfondimento della proposta degli enti locali, sottolineando la mancanza di elementi necessari a garantire la fattibilità tecnico-economica dell'iniziativa, posizione poi ribadita nei mesi successivi;
   dalla risposta fornita dal Sottosegretario alle infrastrutture e ai trasporti pro tempore Rocco Girlanda il 19 luglio 2013 in Commissione VIII della Camera dei deputati all'interrogazione n. 5-00694 del 25 settembre 2013 si evince che il mancato inserimento del passante nord di Bologna tra gli impegni di investimento della concessionaria derivava anche dal fatto che sulla questione era in atto una procedura di infrazione da parte dell'Unione europea in merito all'affidamento diretto senza gara dell'opera alla concessionaria. In effetti, con nota del 6 febbraio 2013, la Commissione europea ha richiesto notizie e sviluppi sulla questione, ribadendo la necessità che la realizzazione del passante avvenga nel pieno rispetto di tutti gli elementi indicati nella nota del 15 luglio 2010;
   in tal senso, nella stessa risposta in Commissione VIII veniva affermato che proseguiva l'esame di tutte le possibili soluzioni, ivi compresa la cosiddetta «opzione 0», ossia la possibilità di non realizzare l'opera, assicurando inoltre che sarebbero state esaminate e valutate tutte le posizioni espresse, ivi compreso lo studio del progetto alternativo «Comitato per l'alternativa al Passante Nord»; tuttavia, allo stato attuale non risulta sia stato ascoltato alcun rappresentante del Comitato, né risulta valutato alcun progetto alternativo;
   il Governo pro tempore, attraverso la suddetta risposta del 25 settembre 2013 in Commissione VIII, affermava che durante un incontro svoltosi presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si era stabilito che Autostrade per l'Italia avrebbe sviluppato il progetto preliminare su una ulteriore alternativa di tracciato e che erano ancora in corso approfondimenti sul tracciato, al fine di individuare una soluzione condivisa;
   il passante nord nella più recente versione proposta risulta essere una bretella autostradale a sole due corsie, invece delle tre del progetto originario, con una lunghezza di 38 chilometri, al costo stimato di oltre 1.800 milioni di euro, che manterrà il tratto autostradale A14 al centro della tangenziale di Bologna, contrariamente a quanto proposto nel progetto del 2002; l'impatto ambientale del progetto in questione sarebbe devastante come il progetto del 2004 e impatterebbe su un territorio agricolo particolarmente pregiato, distruggendo fisicamente circa 700 ettari è danneggiandone altri 8.000, come si rileva dallo studio effettuato dalla provincia di Bologna nel novembre 2004. Nello specifico il territorio su cui insisterebbe il progetto in questione risulta già ampiamente compromesso dall'attività umana; secondo i dati del rapporto ISPRA del 2014, nel 2012 in Emilia Romagna ci sono valori compresi tra l'8 e il 10 per cento di suolo consumato –:
   quali opportune iniziative il Governo intenda intraprendere al fine di valutare alternative reali al progetto in questione;
   se non ritenga preferibile valutare il completamento delle opere bloccate da anni ed indispensabili per il territorio, come ad esempio quelle presentate dal suddetto Comitato per le alternative al Passante Nord, chiamate «piccole opere utili e veloci» che, ispirate alla filosofia di «intervenire sull'esistente», mediante il completamento di opere viarie minori ferme da decenni senza consumo di territorio, porterebbero i benefici attesi al quadrante nord di Bologna risparmiando risorse finanziarie e limitando il consumo energetico. (4-05198)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Nel corso dell'incontro del 22 gennaio 2014, a cui ho partecipato personalmente, e alla presenza del presidente della regione Emilia Romagna, del presidente della provincia di Bologna, dell'amministratore delegato della società Autostrade per l'Italia nonché del sindaco del comune di Bologna è stata confermata l'importanza della realizzazione del passante nord di Bologna quale infrastruttura d'interesse nazionale.
  Durante detto incontro, gli enti locali si sono impegnati a fornire le proprie valutazioni sulla nuova ipotesi di pedaggiamento presentata dalla società Autostrade per l'Italia ed, in generale, le parti si sono impegnate ad approfondire nell'ambito del tavolo tecnico gli aspetti tecnici, territoriali e ambientali del tracciato e della cosiddetta banalizzazione, ai fini dell'eventuale successivo avvio alla progettazione.
  In particolare, la soluzione di pedaggiamento avanzata da Autostrade per l'Italia, che è stata posta come condizione irrinunciabile, prevede un regime di esazione in grado di garantire un isointroito rispetto alle soluzioni precedentemente prospettate.
  Lo scorso 29 luglio, è stato sottoscritto l'accordo regolante gli aspetti relativi alla realizzazione dell'intervento del passante nord di Bologna e opere di banalizzazione dell'attuale tratto autostradale della A14 tra Borgo Panigale e San Lazzaro.
  Con il suddetto accordo la società Autostrade per l'Italia si è impegnata ad elaborarne la progettazione preliminare di tale intervento.
  Il 19 settembre scorso, il consiglio di amministrazione della società Autostrade per l'Italia ha approvato il citato accordo. In esso si prevede che, in caso di approvazione del progetto preliminare da parte di questo Ministero, la società Autostrade per l'Italia procederà all'elaborazione del progetto definitivo e dello studio di impatto ambientale dell'intera opera, ai fini della procedura di valutazione di impatto ambientale e della conferenza di servizi. In caso di esito positivo dell'iter approvativo questo dicastero, in qualità di concedente, stipulerà con la società Autostrade per l'Italia apposito atto aggiuntivo alla convenzione unica.
  Nel corso dell'iter saranno esaminate e valutate le esigenze manifestate dai territori interessati.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le «sentinelle in piedi» è una rete apartitica e aconfessionale nata per la difesa della libertà di espressione e la tutela della famiglia naturale fondata sull'unione tra uomo e donna;
   in particolare, nel nostro Paese le sentinelle in piedi contestano, civilmente e democraticamente, il disegno di legge Scalfarotto, il cui testo, presentato come necessario per fermare atti di violenza e aggressione nei confronti di persone con tendenze omosessuali, risulterebbe a giudizio dell'interrogante in concreto fortemente liberticida in quanto, non specificando cosa si intende per omofobia, lascia al giudice la facoltà di distinguere tra un episodio di discriminazione e una semplice opinione;
   come denunciato da queste persone, con questa legge chiunque faccia riferimento ad un modello di famiglia fondato sull'unione tra un uomo ed una donna, o sia contrario all'adozione di bambini da parte di coppie formate da persone dello stesso sesso, potrebbe essere denunciato e rischiare fino a un anno e sei mesi di carcere;
   negli ultimi mesi numerose sono le piazze italiane dove le sentinelle hanno portato in scena una manifestazione pacifica, ma decisa, incisiva, a sostegno della famiglia, di fronte ai luoghi di potere, in rigoroso silenzio, a due metri di distanza l'uno dall'altro, leggendo un libro in segno della formazione permanente di cui tutti hanno costantemente bisogno;
   su diversi organi di stampa si legge di violenti scontri avvenuti pochi giorni fa fra alcuni contestatori e le sentinelle in piedi, minacciate, accerchiate, aggredite con insulti e violenze e costrette, per paura, a lasciare le piazze scortate dalla polizia;
   si è trattato di un attacco vergognoso, oltretutto pianificato e organizzato, visto che si è svolto con le stesse modalità in tutta Italia, contro persone che inermi hanno cercato di portare a termine la loro pacifica manifestazione;
   l'elenco di questa violenza cieca e oscena è infinito: a Rovereto hanno aggredito addirittura un sacerdote, a Bologna hanno picchiato indiscriminatamente padri e madri di famiglia, mentre a Torino hanno tentato di non far svolgere la veglia con fumogeni e bestemmie ripetute al megafono;
   anche a Napoli la manifestazione del pacifico movimento è stata ostacolata dall'incivile e violento sit-in di protesta, non autorizzato, inscenato da oppositori della sinistra oltranzista, giovani che a suon di «L'omofobia non è libertà di espressione» sono insorti contro i «difensori della famiglia», creando un clima di forte tensione;
   in qualsiasi nazione libera la violenza deliberata e pianificata contro la manifestazione del pensiero, svolta addirittura in forma silenziosa, sarebbe stigmatizzata; nel nostro Paese questo non accade e, anzi, le sentinelle in piedi sono state in alcuni casi, additate come «ultracattoliche» e la stessa stampa e televisione italiane a giudizio dell'interrogante hanno scelto o di ignorare o di sottolineare con compiacimento;
   tali intollerabili episodi di violenza dovrebbero invece far riflettere su un livello di degrado della civiltà che oggi vede una sempre maggiore difficoltà della libertà ad essere praticata sull'intero territorio nazionale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare per contrastare questi preoccupanti atti di violenza e intolleranza al fine di garantire la libertà di espressione e di manifestazione;
   se l'autorità di pubblica sicurezza abbia fatto tutto il possibile per consentire il libero svolgimento di manifestazioni regolarmente autorizzate, in ossequio al diritto alla libertà di opinione, costituzionalmente tutelato all'articolo 21. (4-06340)

  Risposta. — Come ricordato nell'interrogazione in esame, il 5 ottobre 2014 le sentinelle in piedi hanno tenuto una fitta serie di presidi, complessivamente 50 in tutta Italia, in occasione dei quali si sono registrate 26 concomitanti contromanifestazioni, organizzate da aderenti alle realtà antagoniste, ai centri sociali e ad altre associazioni.
  In vista di tali appuntamenti, il dipartimento della pubblica sicurezza ha diramato due circolari di sensibilizzazione, con cui sono state impartite direttive alle autorità provinciali di pubblica sicurezza per la predisposizione di idonee misure, volte ad assicurare il regolare svolgimento delle manifestazioni.
  Inoltre, per l'attuazione dei servizi di ordine e sicurezza pubblica pianificati dalle questure per l'occasione, sono state assegnate aliquote di rinforzo dei reparti inquadrati, laddove le autorità provinciali di pubblica sicurezza ne abbiano fatto richiesta.
  Anche in virtù di tali misure, i presidi del 5 ottobre si sono svolti sostanzialmente senza problemi, salvo alcune criticità occorse in una decina di località, tra le quali figurano quelle citate nell'interrogazione.
  In particolare, per la manifestazione di Rovereto era stata predisposta la presenza di pattuglie della polizia e dei carabinieri, come avvenuto in passato in analoghe manifestazioni svoltesi nella medesima città senza turbative per l'ordine pubblico.
  Durante lo svolgimento dell'evento, una decina di anarchici, sopraggiunti alla spicciolata, hanno effettuato un lancio di uova contro i presenti, colpendo anche un sacerdote costretto al soccorso presso il locale ospedale.
  Il gruppo anarchico, inoltre, si è impossessato di una borsa contenente volantini da distribuire nel corso della manifestazione, dopo aver colpito il proprietario al naso, procurandogli lesioni.
  Le forze di polizia, immediatamente intervenute sul posto, dopo aver svolto indagini che hanno permesso di identificare gli autori sia dell'aggressione che dell'appropriazione della borsa – tutti appartenenti al locale movimento anarchico insurrezionalista – , hanno trasmesso la relativa informativa all'autorità giudiziaria.
  A Bologna circa 250 aderenti alle locali realtà antagoniste si sono diretti in corteo verso piazza Galvani, ove si erano radunati una quarantina di attivisti delle sentinelle, tra cui sette aderenti al movimento «Forza Nuova».
  Al termine dell'iniziativa mentre i partecipanti sono stati fatti defluire verso una via laterale, gli antagonisti, nel tentativo di venire a contatto con gli aderenti a «Forza Nuova», hanno lanciato anche oggetti sul cordone di polizia schierato tra gli opposti gruppi. Nella circostanza un operatore di polizia è stato colpito al volto con una cintura lanciata da un esponente dei centri sociali. Poco dopo, un gruppo di antagonisti, avendo notato tre attivisti di «Forza Nuova» salire a bordo di un taxi, si è avvicinato al veicolo, sferrando calci e pugni.
  Le attività di indagine svolte dalla questura hanno consentito di identificare e denunciare all'autorità giudiziaria 11 persone, tra esponenti dei centri sociali ed un militante di Forza Nuova, quali autori degli atti di violenza.
  A Torino, prima che l'iniziativa dei circa 120 sentinelle avesse inizio in piazza Carignano, circa 50 antagonisti, appartenenti al centro sociale Askatasuna ed alla Cavallerizza occupata, si sono radunati alla spicciolata, intenzionati a disturbare lo svolgimento dell'iniziativa. Gli stessi sono stati tenuti a debita distanza da un cordone delle forze dell'ordine.
  Successivamente, con l'inizio dell'evento, il numero dei contestatori è aumentato progressivamente fino a raggiungere le 400 unità. Nell'occasione, insieme agli antagonisti, si sono radunati individualità anarchiche, esponenti di Rifondazione comunista, militanti e iscritti di formazioni femministe nonché esponenti dei locali collettivi studenteschi, scandendo slogan ed invettive nei confronti delle «Sentinelle».
  I medesimi contestatori hanno tentato ripetutamente, senza esito, di aggirare o superare lo sbarramento delle transenne predisposto dal servizio di ordine, per poi successivamente allontanarsi dalla piazza.
  A Napoli, nel corso della manifestazione a cui hanno preso parte 40 aderenti alte sentinelle, aderenti al cosiddetto «Laboratorio Occupato Insurgencia» e l'associazione «Arcigay» hanno dato vita ad un corteo estemporaneo, durante il quale alcuni dei circa 60 partecipanti hanno lanciato uova ed oggetti all'indirizzo delle sentinelle medesime, senza arrecare danno alcuno.
  Questi i fatti, che consentono di affermare che le Forze di polizia impegnate nei servizi di ordine pubblico, ogni qualvolta se ne sia reso necessario l'intervento, sono riuscite a contenere prontamente gli effetti delle estemporanee iniziative di dissenso poste in essere dai contestatori.
  Con l'occasione si rappresenta, più in generale, che il mantenimento dell'ordine e della sicurezza durante le pubbliche manifestazioni, qualunque ne sia l'orientamento, costituisce uno degli impegni più delicati per le Forze di polizia, che operano attraverso sperimentati moduli operativi, consistenti nell'attivazione in via preventiva di opportuni canali informativi e nella predisposizione in loco di accurati servizi di ordine pubblico commisurati al livello di rischio atteso, fatte salve – all'occorrenza e ove possibile – successive integrazioni del dispositivo a manifestazione in corso.
  I fatti illeciti posti in essere nel corso degli eventi in questione, attentamente monitorati da operatori di polizia specializzati, vengono sottoposti, al termine delle relative indagini, alle valutazioni dell'autorità giudiziaria.
  Si assicura che a tale consolidato modus operandi le Forze di polizia si atterranno anche in futuro, in modo da garantire il sereno e regolare svolgimento di ogni iniziativa pacifica, che sia espressione della libertà di manifestazione del pensiero costituzionalmente garantita, comprese, ovviamente, quelle delle sentinelle in piedi.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   COLONNESE, FICO, SILVIA GIORDANO e LOREFICE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il parco Floridiana che si trova a Napoli nel quartiere Vomero, fu voluto nel 1815 da Ferdinando IV di Borbone che acquistò per la moglie Lucia Migliaccio, duchessa di Florida l'ampio appezzamento sulla collina del Vomero, dove si ergeva una imponente villa, che chiamò Floridiana. Nel 1817 inoltre il re acquistò altre proprietà confinanti che portarono ad avere un ingresso anche a via Chiaia. Tra il 1817 e il 1819 l'architetto Antonio Niccolini realizzò la villa in stile neoclassico e l'ampio parco in stile romantico. Villa Lucia e parte del parco furono venduti a privati, mentre nel 1919 lo Stato acquistò il resto del parco e villa Floridiana, dove vi espose la collezione di ceramiche ricevuta in donazione nel 1911 da Maria Spinelli di Scalea, che l'aveva ereditata dal duca di Martina, da cui il museo prende il nome;
   il parco è l'unico «polmone verde» del quartiere Vomero, nonché un'importante area verde dove gli abitanti del vomero, ma non solo, possono passeggiare e rilassarsi;
   il degrado del parco e della ottocentesca Villa Floridiana al Vomero, a cui i cittadini napoletani assistono quotidianamente, sono l'emblema dell'abbandono istituzionale riguardo i beni pubblici, culturali ed il verde urbano;
   già nel 2003 si era scongiurato il rischio di chiudere la Floridiana grazie all'intervento del comune di Napoli, che si accollò l'onere di un servizio temporaneo di manutenzione di alcune aree, evitando così la chiusura della struttura;
   il comune di Napoli era intervenuto con una convenzione del 2004 scaduta nel 2010;
   il comune di Napoli era anche intervenuto nel 2011 e nel 2012 evitandone la chiusura –:
   quali piani e quali spese siano state fatte dal Ministero sia in merito alla manutenzione ordinaria che in merito a eventi e manifestazioni straordinari, negli ultimi 10 anni;
   quali iniziative intenda porre in essere per garantire anche per il futuro la indefettibile fruizione gratuita del parco.
(4-05033)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale gli interroganti lamentano il degrado del parco Floridiana di Napoli e chiedono notizie in ordine alle iniziative poste in essere da questo ministero per assicurarne la manutenzione ordinaria e straordinaria, si comunica quanto segue.
  La carenza di risorse economiche ed umane di cui disponeva la competente soprintendenza per gestire il parco della Floridiana e la necessità di garantire la pubblica incolumità, messa in pericolo dalla urgente necessità di interventi di potatura su centinaia di alberi, hanno spinto gli uffici territoriali, previa autorizzazione del Ministero, a sottoscrivere, nel 2004, una convenzione con il comune di Napoli, con la quale, fatte salve alcune aree in cui insistevano emergenze architettoniche, la cui tutela restava affidata ovviamente alla amministrazione dei beni culturali, si affidavano all'amministrazione locale i servizi di manutenzione ordinaria e straordinaria del verde, nonché la sorveglianza del sito, che stava diventando ormai territorio incontrastato per atti di piccola criminalità.
  Alla scadenza della suddetta convenzione, tra il 2011 e il 2012, sono stati eseguiti ulteriori interventi di manutenzione da parte del comune, che ha concorso a mettere in sicurezza e a rendere fruibile al pubblico una parte del sito, seppur molto circoscritta.
  Nel mese di novembre del 2013, poi, è stata siglata un'ulteriore convenzione con l'amministrazione comunale, repertorio n. 3 del 20 novembre 2013, con gli stessi obiettivi della precedente, e tuttora permane l'apertura al pubblico di una piccola parte del parco.
  La competente soprintendenza, ancora oggi, non riesce a far fronte alle esigenze di gestione del parco, dovendo comunque garantire, prioritariamente, la fruibilità del museo Duca di Martina, ubicato al suo interno, e per il quale negli ultimi anni si sono manifestate condizioni di non fruibilità, sia per motivi di sicurezza ambientale e patrimoniale, che per carenza di personale di vigilanza ad esso assegnato.
  Si rappresenta, infine, che sino alla fine del mese di ottobre 2013, la competente soprintendenza ha provveduto alla manutenzione ordinaria dell'intero parco della Floridiana, che si estende per oltre 70.000 metri quadrati sostenendo una spesa annua pari a circa 75.000 euro.
  Con il rinnovo della citata convenzione con il comune di Napoli, allo scopo di rendere sempre maggiormente fruibile il parco e di valorizzare le capacità attrattive e di interesse turistico, sono stati individuati compiti specifici dell'amministrazione comunale e della soprintendenza.
  In particolare, il comune di Napoli si è impegnato ad assicurare:
   la sorveglianza all'interno del parco attraverso la «Napoli Servizi S.p.A.»;
   la manutenzione straordinaria e ordinaria delle alberature di medio, grande e grandissimo fusto dell'intero parco;
   la manutenzione straordinaria e ordinaria del verde orizzontale (cioè prati, arbusti, siepi ed alberi di basso fusto) dell'intero parco, anch'essa attraverso la «Napoli Servizi S.p.A.»;
   la pulizia ordinaria e straordinaria dell'intero parco, con particolare riferimento alla pulizia dei viali, alla loro manutenzione ordinaria e straordinaria, alla pulizia dei prati e del sottobosco, alla manutenzione delle panchine, dei cestini e di altri arredi del parco, allo svuotamento dei cestini ed allo smaltimento dei rifiuti secondo le normative vigenti in materia;
   la periodica derattizzazione e disinfestazione;
   la pulizia, la manutenzione ordinaria e straordinaria e il presidio dei bagni pubblici annessi alla palazzina Buonaurio, sempre a cura della «Napoli Servizi S.p.A.»;
   l'adozione di tutte le idonee opere di interdizione (esempio transenne) che si rendessero necessarie ai fini della salvaguardia della pubblica sicurezza.

  La Soprintendenza si è impegnata, invece, a garantire:
   la vigilanza e la tutela del museo «Duca di Martina»;
   la tutela e la manutenzione ordinaria e straordinaria di tutte le emergenze monumentali e architettoniche presenti nel parco (villa Floridiana, tempietto ionico, scalone belvedere, tomba di Moretta, grotta dei leoni e tratto di finta murazione antica presente lungo il viale principale, teatrino della verzura, serre, cancello e muro dell'emiciclo di via Cimarosa, palazzina Buonaurio);
   il presidio diurno, anche con l'ausilio di tornelli o altre strumentazioni meccaniche, dei corpi di guardia agli ingressi di via Cimarosa e di via Aniello Falcone fino ad un'ora prima del tramonto, secondo le vigenti normative;
   ogni necessaria collaborazione all'amministrazione comunale per la formulazione dei progetti di messa in sicurezza e di manutenzione ordinaria e straordinaria del parco;
   i pareri e le autorizzazioni necessarie per l'esecuzione degli interventi, facendo ricorso ad ogni possibile snellimento delle procedure in ordine ai tempi di emissione;
   la realizzazione di ulteriori interventi di manutenzione straordinaria del parco che si dovessero rendere necessari nel corso del periodo di vigenza della convenzione, compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   CRIPPA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 novembre 2013, durante l'audizione presso la Commissione attività produttive della Camera dei deputati sulla risoluzione n. 7-00023 del deputato Benamati sui rifiuti radioattivi, gli esponenti di Nucleco S.p.A., società del gruppo Sogin S.p.A. (interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze), hanno affermato che la stessa azienda è al momento impegnata nello smantellamento di alcuni sommergibili nucleari russi a spese italiane;
   il progetto summenzionato si inserisce nell'ambito dell'accordo di cooperazione internazionale del 2003 stipulato fra il Governo russo e quello italiano per lo smantellamento di sommergibili nucleari, la gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare irraggiato, definito nel quadro del progetto Global Partnership avviato in occasione della riunione del G8 nel 2002 a Kananaskis (Canada). L'accordo prevederebbe un impegno economico dell'Italia di 360 milioni di euro;
   secondo un'inchiesta de L'Espresso del 6 maggio 2010 a firma di Stefania Maurizi l'impegno economico internazionale, tra cui quello italiano, fu giustificato durante la firma degli accordi del 2003 in quanto «[...] la Russia di Eltsin era ancora in piena crisi economica [...]»;
   l'agenzia di stampa russa Ria Novosti del 1° gennaio 2011 titolata «Russian ship builder, Defence Ministry agree nuclear sub prices» riporta che «Nel 2010, la Russia ha lanciato un ambizioso programma di modernizzazione militare, investendo 20.000 miliardi di rubli (circa 730 miliardi di dollari) per i prossimi 10 anni»;
   l'agenzia Adnkronos del 28 luglio 2008 riportava la firma da parte di Fincantieri, controllata da Fintecna, finanziaria del Ministero dell'economia e delle finanze, di «un contratto per la costruzione negli stabilimenti liguri del gruppo di una nave destinata al trasporto di combustibile irraggiato e rifiuti radioattivi derivanti dallo smantellamento di sommergibili nucleari russi»;
   secondo un comunicato stampa congiunto di Fincantieri spa e Sogin spa datato 16 dicembre 2010 si apprende che: «È stata varata [...] “Rossita”, la nave per il trasporto di materiali radioattivi derivanti dallo smantellamento dei sommergibili nucleari russi [...] del valore di circa 70 milioni di euro [...]». Quest'ultima cifra rientrerebbe nell'impegno di spesa di 360 milioni di euro assunto dal Governo italiano;
   secondo l'articolo de L'Espresso sopracitato «Il contratto [per la costruzione della “Rossita”] è stato assegnato senza gara, con una dichiarazione di congruità del prezzo sottoscritta dalla Marina militare, principale cliente della stessa Fincantieri»;
   sempre dall'inchiesta giornalistica emerge che «L'Italia ha deciso di creare un comitato per sorvegliare l'operazione [lo smantellamento dei sommergibili russi]: una struttura che ha costi faraonici, poco meno di 3 milioni l'anno. Solo con gli stanziamenti per il suo mantenimento si sarebbero potuti togliere di mezzo altri tre vascelli nucleari»;
   sarebbe quantomeno inopportuno se i fondi necessari allo svolgimento delle operazioni di smantellamento provenissero dalle componenti A2 (copertura costi di smantellamento centrali nucleari e riprocessamento ciclo del combustibile nucleare) e MCT (Misure di Compensazione Territoriale) presenti sulle bollette energetiche;
   la componente MCT trova origine nella legge n. 868 del 2003 e fu istituita come misura compensativa per i territori che avrebbero dovuto ospitare centrali nucleari e impianti del ciclo del combustibile (articolo 4). Questa componente è stata introdotta nel sistema tariffario dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) con delibera n. 231 del 2004 attraverso il comma 298 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2005 (legge 311 del 2004), in cui il Governo, stabilisce che una parte del gettito di questa componente (70 per cento) entri nel bilancio dello Stato e solo il 30 per cento destinato a Sogin spa per lo svolgimento delle funzioni proprie –:
   se non sia il caso di rivalutare l'impegno dell'Italia in operazioni di questo tipo in Russia in quanto oggi appare chiaro che la crisi, che non poteva permettere investimenti alla stessa Russia fino a pochi anni fa, non risulterebbe essere ora così acuta considerando l'enorme cifra che sarebbe stata stanziata nel 2010 per il progetto di ammodernamento del proprio arsenale militare;
   da dove provengano i fondi stanziati per sovvenzionare le operazioni di smantellamento dei sommergibili nucleari russi e si possa escludere l'impiego delle componenti energetiche A2 e MCT;
   nel caso sia previsto tale impiego, se non si ritenga che si tratti di un utilizzo improprio dei fondi delle componenti A2 e MCT e, nel caso ciò si sia già verificato, se non si intenda trarne le dovute conseguenze quali la revoca degli incarichi di direzione;
   in caso negativo, se il Governo intenda chiarire da dove provengano le somme stanziate nell'ambito dell'accordo di cooperazione internazionale sottoscritto da Italia e Russia nel 2003;
   in base a quali criteri la costruzione della nave «Rossita» sarebbe stata affidata in via diretta a Fincantieri spa senza ricorrere a un regolare bando di gara.
(4-06727)

  Risposta. — Come ricordato dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione per quanto di competenza, il progetto Global Partnership è stato varato dal G8 in occasione della riunione di Kananaskis (Canada) del 2002, con lo scopo di supportare il disarmo nucleare e chimico in Russia.
  In tale contesto, il 5 novembre 2003 è stato sottoscritto tra Italia e Russia «l'accordo di cooperazione per lo smantellamento dei sottomarini a propulsione nucleare radiati dalla Marina militare russa e la gestione sicura dei residui radioattivi e del combustibile nucleare esaurito». L'accordo è stato ratificato dalla Duma russa nel giugno del 2005 e dal Parlamento italiano con la legge n. 160 del 2005, con la quale l'Italia si è impegnata a erogare fino a 360 milioni di euro in dieci anni per finanziarne le relative attività.
  In circa otto anni di lavoro sono stati firmati 46 contratti, 69 addenda contrattuali e un accordo esecutivo per un valore complessivo di 260 milioni di euro, già trasferiti a Sogin per effettuare i relativi pagamenti.
  È opportuno ribadire che i fondi allocati dall'Italia per il progetto hanno determinato significative ricadute economiche per le imprese italiane coinvolte, visto che una parte cospicua dei fondi finora impegnati è rimasta in Italia. I risultati finora raggiunti si misurano con quanto fatto dagli altri donatori internazionali della «Global Partnership» per il numero di sottomarini smantellati e per il contributo alla risoluzione dei problemi di sicurezza ambientale, di non proliferazione, di protezione dei lavoratori.
  Riassumendo brevemente i quesiti contenuti nell'atto in esame e al fine di rendere più puntuali le risposte del Governo, l'interrogante chiede, al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze e al Ministro degli affari esteri, di sapere:

   a) se non sia il caso di rivalutare l'impegno dell'Italia in operazioni di questo tipo in Russia in quanto oggi appare chiaro che la crisi, che non poteva permettere investimenti alla stessa Russia fino a pochi anni fa, non risulterebbe essere ora così acuta considerando l'enorme cifra che sarebbe stata stanziata nel 2010 per il progetto di ammodernamento del proprio arsenale militare;
   b) da dove provengano i fondi stanziati per sovvenzionare le operazioni di smantellamento dei sommergibili nucleari russi e si possa escludere l'impiego delle componenti energetiche A2 e MTC;
   c) nel caso sia previsto tale impiego, se non si ritenga che si tratti di utilizzo improprio dei fondi delle componenti A2 e MTC e, nel caso ciò si sia già verificato, se non s'intenda trarne le dovute conseguenze quali la revoca degli incarichi di direzione;
   d) in caso negativo, se il Governo intenda chiarire da dove provengano le somme stanziate nell'ambito dell'accordo di cooperazione internazionale sottoscritta da Italia e Russia nel 2003;
   e) in base a quali criteri la costruzione della nave «Rossita» sarebbe stata affidata in via diretta a Fincantieri spa senza ricorrere a un regolare bando di gara.

  Premesso quanto sopra, si rappresenta quanto segue.
  Relativamente al punto sub lettera
a), un eventuale ripensamento unilaterale da parte italiana in ordine al completamento del programma, comporterebbe la necessità di una rinegoziazione dell'accordo tra Italia e Federazione russa, che deve essere valutato in termini di opportunità politica. Ciò anche in relazione ad eventuali ulteriori attività che il nostro Paese potrebbe essere interessato a sviluppare con il partner russo. Si evidenzia inoltre che le conseguenze di un'eventuale sospensione non sarebbero solo bilaterali ma multilaterali, visto che l'Italia è parte di un programma che coinvolge altri Paesi. Peraltro appare utile rilevare che tutti gli altri Paesi interessati stanno continuando ad operare nelle attività già programmate.
  Sono, comunque, in corso di definizione interventi riguardanti le modalità di realizzazione, orientate ancora di più a contenere i costi di gestione, con particolare riferimento a quelle sostenute dalla Ugp (Unita di gestione progettuale), alla quale è demandato il compito di svolgere le attività tecnico-gestionali e la risoluzione delle questioni operative, riguardanti la realizzazione dei progetti nell'ambito dell'accordo (articolo 4, comma 2). Tali spese, erroneamente attribuite dalla riferita inchiesta giornalistica al «comitato», ammontano infatti a circa 3 milioni di euro l'anno.
  Diversamente il comitato, la cui costituzione è prevista dall'articolo 4 comma 1, dell'accordo, ha, tra l'altro, il compito di favorire la cooperazione, vigilare sulla realizzazione dell'Accordo stesso e sul rispetto delle disposizioni ivi stabilite, garantire il necessario controllo sull'andamento complessivo della collaborazione, approvare progetti, dirimere questioni, monitorare sull'attività di Ugp, etc. Allo scopo il comitato, composto da due rappresentanti per parte, si riunisce in genere due volte l'anno. Le spese per il funzionamento del comitato – marginali rispetto a quelle di Ugp – sono limitate principalmente alle esigenze logistiche degli incontri, alla redazione degli atti, al servizio di interpretariato.
  Quanto ai quesiti sub lettera
b), c) e d) si rappresenta che il combinato disposto degli articoli 1 e 3 della citata legge n. 160 del 2005 – con la quale, come detto, si è provveduto alla ratifica dell'accordo in parola – ha autorizzato a tale fine la spesa complessiva di euro 360 milioni per il periodo 2005-2013, di cui euro 8 milioni per l'anno 2005 ed euro 44 milioni annui a decorrere dal 2006, per consentire la partecipazione italiana all'accordo nel campo dello smantellamento dei sommergibili nucleari radiati dalla marina militare russa e della gestione sicura dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito.
  L'articolo 3, comma 2, della citata legge n. 160 del 2005 prevede inoltre che «All'onere di cui al comma 1 si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2005-2007, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2005, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri».
  Pertanto i fondi stanziati per le attività dell'Accordo non derivano da componenti tariffarie della bolletta elettrica.
  Quanto, infine, al quesito sub lettera
e) si fa presente che l'articolo 5 dell'accordo prevede che la realizzazione dei progetti avviene in base a contratti stipulati dal committente russo e dal fornitore principale scelto di comune accordo in base a una gara, conformemente alla legislazione, alle norme e alle regole della Federazione russa.
  Per la realizzazione della nave «Rossita», il lavoro è stato affidato direttamente a Fincantieri, per ragioni legate ad esigenze di urgenza, riservatezza e conservazione confidenziale dei documenti progettuali, competenza specifica, esperienza di collaborazione con imprese russe. Ciò con riferimento all'articolo 55 comma 6 della legge della Federazione russa del 21 luglio 2005, che contempla i casi di possibile assegnazione diretta. In ogni modo l'offerta è stata sottoposta da parte italiana ad un giudizio di congruità effettuato da Navarm – Direzione generale degli armamenti navali del Ministero della difesa –, che è il principale ente tecnico-finanziario della Marina militare e, pertanto, l'organo nazionale più autorevole in materia.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (Mattm), comunica, per quanto di competenza, che le risorse stanziate annualmente dal Cipe a valere sull'articolo 4, comma 1-
bis, della legge 24 dicembre 2003, n. 368 – «Disposizioni urgenti per la raccolta, lo smaltimento e lo stoccaggio, in condizioni di massima sicurezza, dei rifiuti radioattivi» – (così come modificata dall'articolo 7-ter della legge 27 febbraio 2009, n. 13) e trasferite dalla cassa conguaglio per il settore elettrico ai comuni e alle province nel cui territorio sono ospitate le centrali elettronucleari e le altre installazioni del ciclo del combustibile nucleare, sono state da sempre vincolate (a partire dall'annualità 2004) alla realizzazione di «interventi mirati all'adozione di misure di compensazione in campo ambientale».
  L'ultima delibera Cipe di riparto dei fondi in parola per l'annualità 2011 (delibera n. 41/2013) ha altresì individuato in maniera puntuale i settori ambientali oggetto di intervento (tutela delle risorse idriche, bonifica dei siti inquinati, gestione dei rifiuti, difesa e assetto del territorio, conservazione e valorizzazione delle aree naturali protette e tutela della biodiversità, difesa del mare e dell'ambiente costiero, prevenzione e protezione dall'inquinamento atmosferico, acustico ed elettromagnetico, interventi per lo sviluppo sostenibile).
  Alla luce di quanto evidenziato, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare esclude che i fondi per sovvenzionare gli interventi di smantellamento di sommergibili nucleari previsti dall'accordo internazionale sopra citato provengano da tale fonte di finanziamento.

Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   CRIPPA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1999, n. 162 recante «norme per l'attuazione della direttiva 95/16/CE sugli ascensori e di semplificazione dei procedimenti per la concessione del nulla osta per ascensori e montacarichi, oltre alla relativa licenza di esercizio» ha previsto che la manutenzione degli ascensori, dei montacarichi e degli apparecchi di sollevamento sia affidata a persone munite di certificato di abilitazione o a ditta specializzata ovvero ad un operatore comunitario dotato di specializzazione equivalente;
   ai sensi del già citato articolo 15, il certificato di abilitazione è rilasciato dal prefetto in seguito all'esito favorevole di una prova teorico-pratica, da sostenersi dinanzi ad apposita commissione esaminatrice ai sensi degli articoli 6, 7, 8, 9 e 10 del decreto del Presidente della Repubblica 24 dicembre 1951, n. 1767;
   in applicazione dell'articolo 12, comma 20, del decreto-legge del 6 luglio 2012, n. 95 relativamente agli organismi del Ministero dell'interno, durante l'adunanza della commissione speciale del 16 ottobre 2014, il Consiglio di Stato ha espresso un giudizio sfavorevole al mantenimento della Commissione per l'abilitazione alla manutenzione di ascensori e montacarichi, che ha il compito di effettuare le attività connesse allo svolgimento delle procedure concorsuali per il conseguimento del certificato di abilitazione alla manutenzione di ascensori e montacarichi in servizio privato, rilasciato dal prefetto;
   il Consiglio di Stato riterrebbe quindi che la Commissione abbia un costo di funzionamento non esiguo e apparrebbe priva di carattere di infungibilità;
   a seguito di tale parere la Commissione per l'abilitazione alla manutenzione di ascensori e montacarichi della provincia di Roma ha cessato la propria attività dal 31 dicembre 2013, pertanto non è possibile inoltrare istanze per sostenere l'esame di abilitazione;
   al caso della prefettura di Roma hanno fatto seguito anche quelle di Milano, Brescia, Varese, Novara, Perugia e Firenze, le quali hanno dichiarato l'inoperatività delle proprie commissioni per l'abilitazione, determinando di conseguenza il blocco degli esami di abilitazione;
   la medesima misura non sarebbe stata fatta propria da altre prefetture;
   parrebbe quindi vigere al momento un regime diverso in ciascuna prefettura d'Italia, a seconda dell'adeguamento o meno al parere del Consiglio di Stato;
   quanti hanno concluso l’iter necessario presso le prefetture sopracitate per poter accedere al concorso per l'abilitazione alla manutenzione ordinaria di ascensori e montacarichi si troverebbero quindi nell'impossibilità di ottenere il certificato di abilitazione per intraprendere la professione;
   inoltre, coloro i quali hanno concluso un periodo di 5 anni di apprendistato presso le ditte di ascensori e che hanno frequentato il corso di preparazione all'esame per l'abilitazione alla manutenzione ordinaria di ascensori e montacarichi non potrebbero essere assunti a tempo indeterminato, come previsto dal Contratto collettivo nazionale del lavoro, non potendo essere inquadrati nella qualifica acquisita per la mancanza del certificato di abilitazione;
   dal 1951 in Italia la manutenzione di tutto il sistema degli ascensori, dei montacarichi e degli apparecchi di sollevamento è obbligatoria e deve essere eseguita da persona munita di certificato di abilitazione operante o da ditte specializzate, ovvero da operatori comunitari dotati di specializzazione equivalente, che dovrebbero provvedere tramite personale abilitato al fine di garantire la sicurezza degli utenti;
   in Italia vi sarebbero attualmente circa 870.000 impianti in servizio per un totale di circa 100 milioni di corse al giorno;
   nonostante la crisi dell'edilizia abbia fatto registrare un calo delle nuove installazioni, nel settore ascensoristico il livello occupazionale risulterebbe essere in lieve crescita e la continua necessità di ricambio generazionale contribuirebbe quindi alla creazione di nuovi posti di lavoro per i giovani;
   su iniziativa di Confartigianato Ascensoristi, tramite un avviso comune datato 15 luglio 2014 e firmato da Confartigianato Ascensoristi, Casartigiani (Confederazione autonoma sindacati artigiani), FIOM-CGIL, FEM-CISL, UILM-UIL e CNA Installazione impianti, i sottoscrittori hanno denunciato la sopracitata impossibilità di ottenere il certificato di abilitazione alla manutenzione di ascensori e montacarichi in servizio privato –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione;
   se non ritengano, alla luce delle considerazioni svolte in premessa, che all'interruzione delle attività delle Commissione per l'abilitazione alla manutenzione di ascensori e montacarichi presso le prefetture debba fare immediatamente seguito l'indicazione di un altro organo o istituzione con medesime competenze e poteri per garantire il normale svolgimento del concorso di abilitazione;
   se non ritengano opportuno, in momento storico in cui la disoccupazione giovanile è ai massimi storici, garantire l'accesso al mercato del lavoro a quanti si sono impegnati a svolgere 5 anni di apprendistato e hanno frequentato corsi per la preparazione all'esame per l'abilitazione;
   se non ritengano che un simile vuoto e la soppressione della Commissione per l'abilitazione alla manutenzione di ascensori e montacarichi possa indurre a pensare che il certificato di abilitazione non sia più necessario allo svolgimento della professione;
   se non ritengano di assumere iniziative per sanare questo vuoto e evitare che l'attuazione del decreto-legge 6 luglio 2012 – «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini» – comporti invece un decurtamento dei diritti e delle opportunità di occupazione dei giovani aspiranti ascensoristi. (4-06728)

  Risposta. — Nell'atto di sindacato ispettivo in esame si premette che l'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1999, n. 162, recante «Norme per l'attuazione della direttiva 95/16/CE sugli ascensori e di semplificazione dei procedimenti per la concessione del nulla osta per ascensori e montacarichi, oltre alla relativa licenza di esercizio», ha previsto che la manutenzione degli ascensori, dei montacarichi e degli apparecchi di sollevamento sia affidata a persone munite di certificato di abilitazione.
  Tale certificato è stato, fino ad oggi, rilasciato dal prefetto in seguito all'esito favorevole di una prova teorico-pratica, da sostenersi dinanzi ad apposita commissione esaminatrice.
  La recente, definitiva soppressione di dette commissioni presso le prefetture, in attuazione dell'articolo 12, comma 20, del decreto-legge del 6 luglio 2012, n. 95 in funzione di esigenze di contenimento della spesa, ha determinato un sostanziale blocco delle attività di rilascio di tali abilitazioni presso molte prefetture.
  A tal riguardo il Ministero dell'interno, interrogato su quanto di competenza, comunica che in effetti, il citato decreto del Presidente della Repubblica n. 162 del 1999 e successive modifiche e integrazioni, adottato in recepimento della direttiva comunitaria 95/16/CE, all'articolo 15 stabilisce che «Il certificato di abilitazione è rilasciato dal prefetto, in seguito all'esito favorevole di una prova teorico-pratica, da sostenersi dinanzi ad apposita commissione esaminatrice ai sensi degli articoli 6, 7, 8, 9 e 10 del decreto del Presidente della Repubblica 24 dicembre 1951, n. 1767».
  In particolare, l'articolo 6 del predetto decreto del Presidente della Repubblica, definisce le procedure di nomina e la composizione della stessa commissione, prevedendo che «[...] La commissione di cui all'articolo 5 della legge 24 ottobre 1942, n. 1415 è nominata dal Prefetto ed è composta da quattro membri: un funzionario del Genio civile, uno dell'Ispettorato del lavoro, uno dell'Ispettorato della motorizzazione civile e dei trasporti in concessione, uno dell'Ente nazionale di propaganda per la prevenzione degli infortuni, designati dalle rispettive amministrazioni.
  Il funzionario del Genio civile ha le funzioni di presidente. [...]
  A ciascuno dei componenti della commissione esaminatrice spettano i compensi dovuti ai funzionari dello Stato che fanno parte di commissioni esaminatrici per pubblici concorsi».
  Nell'ambito di un più ampio intervento di
spending review, è stato adottato in materia il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito nella legge 7 agosto 2012. n. 135, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario.», con cui è stato previsto che «A decorrere dalla data di scadenza degli organismi collegiali operanti presso le pubbliche amministrazioni, in regime di proroga ai sensi dell'articolo 68, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, le attività svolte dagli organismi stessi sono definitivamente trasferite ai competenti uffici delle amministrazioni nell'ambito delle quali operano.»
  Tra i predetti organismi si è ritenuto di includere anche la commissione esaminatrice per il rilascio dei titoli di abilitazione per la manutenzione di ascensori e montacarichi.
  Stante la peculiarità della materia e, dunque, la necessaria competenza tecnica richiesta ai soggetti chiamati a valutare la sussistenza dei requisiti per il rilascio del certificato di abilitazione, anche in considerazione dei profili di sicurezza e di tutela della salute pubblica coinvolti, il Ministero dell'interno ha interessato il Consiglio di Stato in ordine alla possibilità di mantenimento in esercizio di detto organismo.
  L'organo di giustizia amministrativa, nell'ambito dell'adunanza della commissione speciale del 16 aprile 2014, ha espresso «Giudizio sfavorevole al mantenimento ... (della, n.d.r.) commissione per l'abilitazione alla manutenzione di ascensori e montacarichi (...), che ha il compito di effettuare le attività connesse allo svolgimento delle procedure concorsuali per il conseguimento del certificato di abilitazione alla manutenzione di ascensori e montacarichi in servizio privato, rilasciato dal Prefetto. Tale commissione, oltre ad avere un costo di funzionamento non esiguo, appare priva del carattere di infungibilità».
  Allo stato, dunque, la competenza in materia di rilascio dei certificati di abilitazione all'esercizio della professione di manutentore di ascensori e montacarichi è da intendersi attribuita alle prefetture, che prive, però, del supporto della Commissione, presentano oggettive difficoltà in ordine alle conoscenze tecniche necessarie per la verifica dell'idoneità dei candidati al conseguimento del titolo abilitativo.
  A conferma dell'attenzione nei confronti di tali difficoltà operative, si rappresenta che anche la X Commissione attività produttive, commercio e turismo della Camera dei deputati, nel parere espresso in data 22 ottobre 2014 sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica recante modifiche al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 162 del 1999, finalizzato a chiudere la procedura d'infrazione 2011/4064 per la corretta applicazione della direttiva 95/16/CE relativa agli ascensori, invita, tra l'altro, il Governo a valutare «l'opportunità di intervenire, nel primo provvedimento utile, e ad esempio in sede di recepimento della nuova direttiva europea in materia di sicurezza degli ascensori (direttiva 2014/33/UE), in relazione all'articolo 15, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 162 del 1999, al fine di garantire agli interessati l'opportunità di conseguire il certificato di abilitazione alla manutenzione di ascensori e montacarichi, necessari per svolgere la relativa attività, ripristinando la Commissione prefettizia già prevista dall'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 24 dicembre 1951, n. 1767, o individuando altro organo o istituzione con medesime competenze».
  In ogni caso, con riferimento ai singoli quesiti posti, preme far presente che:
   1) il Ministero dello sviluppo economico è sommariamente a conoscenza della situazione e ritiene necessario approfondirne tutti gli aspetti in un'apposita riunione con le altre amministrazioni interessate, già programmata in tempi brevi per mia iniziativa, quale Sottosegretario delegato;
   2) nella riunione citata, oltre a valutare tutte le possibili misure organizzative immediate e utili a porre rimedio alla grave criticità determinatasi, si potrà approfondire anche l'ipotesi di eventuali interventi in sede normativa volti a modificare o semplificare le modalità di conseguimento dell'abilitazione in questione e, ove occorra, l'assetto delle relative competenze;
   3) le soluzioni immediate e gli interventi a regime da individuare dovranno certamente tenere presente l'esigenza, in particolare in questo momento, di garantire l'accesso al mercato ai giovani ed a quanti comunque hanno svolto gli anni di apprendistato e frequentato corsi al fine di sostenere l'esame di abilitazione in questione;
   4) fino a nuovi interventi normativi in materia, che potrebbero eventualmente individuare anche casi di esenzione o altre semplificazioni, il predetto certificato di abilitazione rimane certamente necessario per svolgere l'attività di manutenzione in questione;
   5) un eventuale intervento normativo risolutivo del problema, ove ritenuto opportuno e necessario a seguito degli approfondimenti già programmati, potrà essere effettuato, come accennato in precedenza, in occasione delle prossime ulteriori modifiche al citato decreto del Presidente della Repubblica n. 162 del 1999, modifiche necessarie ai fini dell'attuazione della recente direttiva europea in materia di sicurezza degli ascensori (direttiva 2014/33/UE).

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoSimona Vicari.


   CURRÒ. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   con deliberazione 60/2012 del Comitato interministeriale per la programmazione economica del 30 aprile 2012, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 160 dell'11 luglio 2012 sono state assegnate risorse a interventi di rilevanza strategica regionale nel Mezzogiorno nei settori ambientali della depurazione delle acque e della bonifica di discariche dal Fondo per lo sviluppo e la coesione – Programmazione regionale;
   nella delibera de quo, è riportata la necessità di una maggiore efficacia nell'impiego delle risorse destinate all'ambiente, con particolare riferimento ad un piano straordinario di azione per la riduzione del dissesto idrogeologico nel Mezzogiorno, al superamento delle procedure di infrazione in atto nel settore idrico e alla bonifica dei siti inquinati di interesse nazionale;
   risulta infatti che la mancata conformità dei sistemi di raccolta e depurazione delle acque reflue urbane alle disposizioni della direttiva n. 91/271/CEE del 21 maggio 1991 concernente il trattamento delle acque reflue urbane ha comportato gravi criticità sul territorio nazionale con la conseguente attivazione di procedure di contenzioso e precontenzioso comunitario;
   nella citata delibera 60/2012 del Comitato interministeriale per la programmazione economica, si rappresenta che a seguito della ricognizione compiuta dall'Unità di verifica degli investimenti pubblici (UVER) del Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, quest'ultimo ha individuato 223 interventi idonei a superare le infrazioni negli agglomerati interessati dalle menzionate procedure di contenzioso e pre-contenzioso comunitario e ad assicurare l'ottimale offerta del servizio;
   con delibera assunta nella seduta del 17 dicembre 2013 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 75 del 31 marzo 2014, il CIPE ha disposto la proroga al 30 giugno 2014 del termine per l'assunzione delle obbligazioni giuridicamente vincolanti da parte delle amministrazioni destinatarie già stabilito al 31 dicembre 2013 dalla delibera dello stesso comitato n. 14/2013 – con riferimento agli interventi finanziati con le delibere n. 62/2011, n. 78/2011, n. 7/2012 e n. 60/2012 richiamate in premessa;
   il comune di Milazzo è stato informato, durante una riunione operativa che si è svolta nel mese di maggio 2014, presso il dipartimento regionale dell'acqua e dei rifiuti, che il CIPE ha disposto una nuova proroga al 31 dicembre 2014 che blocca l’iter per i comuni virtuosi;
   ad oggi, a causa di problemi di natura amministrativo-gestionale, i comuni che hanno rispettato il cronoprogramma dettato dal CIPE nella delibera 60/2012 si trovano nella condizione di non poter operare anche con il progetto già definitivo –:
   se il Governo intenda assumere iniziative rapide e solerti rispetto a questa situazione per far in modo che vengano emessi i decreti definitivi di finanziamento dei lavori relativi alla citata delibera CIPE 60/2012. (4-05145)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione a risposta scritta in oggetto, con la quale si chiede di conoscere se il Governo intenda assumere iniziative per pervenire alla emanazione di decreti definitivi di finanziamento dei lavori relativi alla delibera CIPE n. 60/2012, si rappresenta quanto segue.
  Con la delibera Cipe n. 60 del 30 aprile 2012 sono stati assegnati, a valere sul fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) – Programmazione regionale, significative risorse per il finanziamento di n. 223 interventi di rilevanza strategica regionale nel Mezzogiorno nei settori ambientali della depurazione delle acque e della bonifica di discariche, volti al superamento delle procedure di infrazione comunitaria. La medesima delibera fissava la scadenza del 30 giugno 2013, a pena di possibile revoca, per l'assunzione delle obbligazioni giuridicamente vincolanti (OGV) a valere sulle risorse assegnate.
  Successivamente, a seguito delle difficoltà rappresentate da alcune regioni nel riuscire a rispettare il suddetto termine, tale scadenza è stata dapprima prorogata al 31 dicembre 2013 con la delibera Cipe n. 14 dell'8 marzo 2013 e poi oggetto di ulteriore proroga al 30 giugno 2014 con la delibera Cipe n. 94 del 17 dicembre 2013. Con tale ultima delibera, oltre ad essere prevista la richiamata proroga, veniva disposto l'avvio di un monitoraggio sugli interventi finanziati da diverse delibere del Cipe, tra le quali era inclusa anche la delibera n. 60 del 2012.
  Da ultimo, sulla base degli esiti di tale ricognizione, il Cipe con la delibera n. 21 del 30 giugno 2014 ha disposto la revoca dei finanziamenti a valere sul fondo per lo sviluppo e la coesione per gli interventi senza assunzione di OGV, salvaguardando, invece, gli interventi finanziati dalla più volte citata delibera n. 60 del 2012 nei settori della «depurazione» e delle «bonifiche», oggetto della presente interrogazione e per i quali il termine per l'assunzione delle OGV è stato ulteriormente prorogato al 31 dicembre 2015.
  Pertanto, si ritiene opportuno evidenziare che le proroghe previste dal Cipe sono motivate dalla specifica attenzione riservata agli interventi di disinquinamento e bonifica oggetto di procedure di inflazione comunitaria e in alcun modo bloccano o impediscono l'avanzamento dell'iter, in generale, per i soggetti attuatori degli interventi e, nel caso specifico oggetto della presente interrogazione, per il comune di Milazzo.
  La finalità dei termini fissati dal Cipe per l'assunzione delle OGV è di accelerare e sollecitare il compimento di tutti gli atti procedurali di competenza sia regionale sia delle stazioni appaltanti per pervenire alla realizzazione delle opere finanziate.
  In relazione a detta impostazione, i competenti uffici del dipartimento per lo sviluppo e la coesione hanno richiamato le regioni coinvolte negli interventi in esame al rispetto delle predette scadenze mediante il compimento di tutti gli adempimenti a tal fine necessari.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriGraziano Delrio.


   D'ARIENZO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sindaco del comune di Torri del Benaco (VR), Stefano Nicotra è stato sospeso dall'incarico per un periodo di 18 mesi dalla prefettura di Verona in quanto condannato in primo grado alla pena di due anni, poi sospesa, per violazione dell'articolo 326 del codice penale;
   da informazioni acquisite sul territorio comunale interessato, emerge, al contrario, che il signor Nicotra proseguirebbe a frequentare quotidianamente la sede comunale, incontrare residenti, partecipare a riunioni e a svolgere azioni tipiche della funzione dalla quale risulta essere sospeso;
   sebbene non risulti un atto amministrativo a suo carico, parrebbe svolgere normalmente l'azione di indirizzo, stimolo e coordinamento verso i dipendenti e gli assessori, ovvero azioni che quotidianamente competono ad un sindaco nel pieno delle proprie funzioni;
   non si può escludere secondo l'interrogante l'utilizzo dei mezzi strumentali, telefono, fotocopiatrice, ecc... comunque presenti;
   quanto descritto, se corrispondesse al vero, potrebbe comportare una violazione della norma che ha stabilito la sospensione del pubblico amministratore condannato;
   l'interrogato ha segnalato l'evidenza agli uffici del Ministero sia con mail sia con conversazioni telefoniche al fine di comprendere gli obblighi in capo all'amministratore sospeso senza ottenere alcuna, risposta esaustiva –:
   a quali obblighi sia assoggettato un amministratore sospeso dalla carica dalla prefettura competente perché condannato;
   se la prefettura di Verona sia a conoscenza dei fatti in premessa e, qualora ne fosse a conoscenza, quali azioni abbia eventualmente posto in essere per evitare, nel caso quell'amministratore non potesse frequentare i locali comunali, lo svolgimento delle «attività tipiche» di un sindaco in carica, peraltro presso la stessa sede del comune; se i fatti in premessa siano conosciuti alle forze dell'ordine competenti per territorio;
   se tutto quanto sopra non sia noto, quali prescrizioni cogenti sia possibile impartire con riferimento a quanto affermato in premessa. (4-05655)

  Risposta. — Con sentenza pronunciata in data 16 maggio 2014, il tribunale di Verona ha condannato il signor Stefano Nicotra – eletto sindaco del comune di Torri del Benaco nella tornata elettorale del 25 maggio scorso – per il reato previsto dall'articolo 326 del codice penale.
  In conseguenza di ciò, il prefetto di Verona, con provvedimento di natura meramente ricognitiva del successivo 5 giugno, ha dichiarato la sussistenza nei confronti del sindaco della sospensione di diritto dalla carica ricoperta, ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 235 del 2012.
  Il 26 giugno l'interessato ha impugnato il provvedimento prefettizio dinanzi al TAR del Veneto, chiedendone l'annullamento previa sospensione dell'efficacia. Il ricorso cautelare è stato rigettato con ordinanza del 1o agosto.
  Avverso tale ordinanza, l'interessato ha prodotto ricorso al Consiglio di Stato, anch'esso rigettato con ordinanza del 6 novembre.
  D'altra parte, il signor Nicotra ha rivolto al prefetto una specifica istanza, al fine di conoscere quali fossero i limiti imposti alla sua attività politica per effetto della sospensione. In risposta, l'autorità provinciale ha chiarito che il provvedimento di rigore aveva determinato ipso iure l'interruzione temporanea di tutte le attività connesse alla carica di sindaco, con subentro del vicesindaco nelle relative funzioni.
  Tanto detto, si informa che il prefetto di Verona ha comunicato come non risultasse che il signor Nicotra, dopo la sospensione, avesse esercitato le funzioni pubbliche ed istituzionali di norma attribuite al sindaco all'interno della sede comunale, né vi fossero state segnalazioni in tal senso da parte di esponenti della minoranza del comune di Torri del Benaco o di privati cittadini.
  Successivamente, il prefetto ha ricevuto due esposti dell'interrogante contenenti entrambi la segnalazione che il signor Nicotra starebbe continuando a svolgere le funzioni proprie del sindaco.
  A seguito del primo esposto, datato 9 settembre, il prefetto ha provveduto a richiamare l'attenzione del vicesindaco di Torri del Benaco sulla corretta osservanza del provvedimento di sospensione.
  Il vicesindaco ha assicurato che il signor Nicotra, successivamente all'emissione del provvedimento prefettizio di sospensione, non aveva più svolto alcuna delle attività istituzionali connesse alla carica di sindaco né aveva partecipato alle riunioni di giunta o di consiglio comunale.
  Lo stesso ha dichiarato di svolgere in prima persona le funzioni proprie del sindaco sospeso, comprese quelle di indirizzo dei dipendenti, precisando, altresì, che, a decorrere dalla notifica del provvedimento di sospensione, il signor Nicotra non aveva più utilizzato uffici della sede municipale o beni strumentali di proprietà comunale, quali veicoli, apparecchiature elettroniche o strumenti informatici.
  Ha sottolineato, altresì, che il signor Nicotra si era talvolta recato presso la sede comunale, ma unicamente al fine di partecipare, in qualità di presidente del movimento civico «Futuro e Tradizione», ad alcune riunioni ed incontri a fini politici, alla presenza dello stesso vicesindaco o di altri esponenti del movimento, senza pertanto esercitare nessuna delle funzioni previste dall'articolo 50 del decreto legislativo n. 267 del 2000.
  A seguito del secondo esposto, datato 3 novembre, il prefetto ha invitato nuovamente il vicesindaco di Torri del Benaco a evitare che il signor Nicotra ponga in essere attività proprie del sindaco. Net contempo ha interessato il comandante provinciale dei Carabinieri, affinché disponga accertamenti al riguardo, appurando anche eventuali profili di responsabilità penale a carico del sindaco sospeso.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   D'ARIENZO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   con la legge n. 56 del 7 aprile 2004, è stata stabilita la ripartizione tra le rappresentanze di genere, tra gli altri, anche negli organi esecutivi degli enti locali;
   in particolare, l'articolo 1 comma 137, prevede che «Nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico»;
   presso il comune di Oppeano (Verona), con decreto di nomina della giunta comunale prot. n. 9015 del 5 giugno 2014, il sindaco ha nominato l'organo esecutivo in parola in cui la rappresentanza di genere femminile è inferiore al 40 per cento (tre uomini e una donna), come invece diversamente disposto dalla legge n. 56 del 2014;
   nel decreto di nomina citato in precedenza si legge: «Dato atto che non si rinvengono figure esterne al Consiglio Comunale in possesso di particolari competenze ed esperienza tecnica, amministrativa o professionale per l'assunzione delle deleghe assessorili ed al contempo idonee a rappresentare i valori programmatici con vincolo di fiduciarietà politica»;
   non sono note né specificate le modalità con cui si sostiene l'assunto né si fa riferimento alle eventuali azioni avviate per l'individuazione di figure esterne al Consiglio, sia in Oppeano che altrove;
   in questo modo si dichiara, inverosimilmente ed in parte anche in maniera offensiva, che nessuna donna sia in possesso delle caratteristiche di idoneità richieste dallo statuto;
   lo statuto comunale in vigore prevede all'articolo 23 comma 2 che: «gli assessori sono scelti normalmente tra i consiglieri; possono tuttavia essere nominati anche assessori esterni al Consiglio, purché dotati dei requisiti di compatibilità ed eleggibilità alla carica di consigliere comunale ed in possesso di particolari competenze ed esperienza tecnica, amministrativa o professionale»;
   ad integrazione, come è noto, sebbene per i comuni con popolazione fino ai 3.000 abitanti, non ci siano disposizioni e limiti precisi a garanzia delle pari opportunità, ma solo disposizioni di principio, dalla consolidata giurisprudenza amministrativa si evince chiaramente che le norme dettate dagli articoli 6, 46 e 47 del testo unico degli enti locali non devono essere considerate norme di valore programmatico ma precettive. Ciò anche nel rispetto dell'articolo 51 della Costituzione italiana che sancisce proprio il principio generale delle pari opportunità;
   non è accettabile nessuna giustificazione a supporto della scelta del sindaco di Oppeano (Verona) di derogare al dettato legislativo e statutario in ordine alla rappresentanza di genere nella composizione della giunta, atteso che la recente volontà del Parlamento è stata chiaramente diversa;
   il delicato tema investe la totalità degli enti locali in quanto chiunque potrebbe adombrare una motivazione risibile come quella del comune di Oppeano (Verona) per aggirare la norma e il sacrosanto principio in essa contenuto;
   il contesto in esame è oggetto di valutazione presso la prefettura di Verona interessata da alcuni consiglieri comunali della località in parola –:
   se non ritenga urgente intervenire chiarendo i termini del contesto e per affermare, se ce ne fosse ancora bisogno, i principi insuperabili dell'equilibrio tra le rappresentanze di genere e del rispetto della norma che ne tutela la previsione.
(4-05960)

  Risposta. — La questione della composizione delle giunte delle amministrazioni locali occupa un posto di rilievo nell'attuazione del principio delle pari opportunità nelle cariche elettive anche, e soprattutto, alla luce di una recente giurisprudenza amministrativa che si è espressa sul punto attraverso diverse ed univoche decisioni, imponendo ai sindaci e ai presidenti di provincia di procedere all'integrazione delle giunte costituite da soli uomini o da un numero carente di donne.
  Tale giurisprudenza è stata particolarmente rilevante per aver respinto le posizioni di chi riteneva le disposizioni contenute negli statuti comunali e provinciali come norme di mero valore programmatico e non precettivo e per aver configurato, d'altra parte, il rispetto del principio di pari opportunità come un obbligo gravante su chi nomina i componenti della giunta.
  Anche se è indubbio che la scelta dei componenti della giunta rientri in un ambito di notevole discrezionalità politica, quest'ultima non può arrivare a rendere ininfluente ciò che dispone l'articolo 51 della Costituzione, laddove garantisce sia alle donne che agli uomini la possibilità di accedere agli uffici pubblici in condizione di uguaglianza e laddove sancisce che le pari opportunità debbano essere promosse dalla Repubblica (ovvero anche dai comuni e dalle province) con «appositi provvedimenti».
  Il raggiungimento dell'obiettivo delle pari opportunità è altresì previsto dall'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo n. 267 del 2000, secondo il quale gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna e per garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del comune e della provincia.
  Lo stesso decreto legislativo n. 267 dispone, all'articolo 46, comma 2, che il sindaco e il presidente della provincia nominino i componenti della giunta, nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi.
  Si soggiunge che la legge 7 aprile 2014, n. 56, recante disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni, al comma 137 dell'articolo 1, ha previsto che nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3 mila abitanti, nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento.
  Il Ministero dell'interno, con circolare del 24 aprile 2014 ha fornito indicazioni applicative in ordine alla disposizione richiamata, sottolineando, altresì, la necessità che il sindaco, prima di nominare la giunta, in attuazione del principio di parità di genere, svolga un'attività istruttoria preordinata ad acquisire la disponibilità di persone appartenenti ad entrambi i generi. Nella circolare viene evidenziata, inoltre, l'esigenza che nell'atto di nomina della giunta, in cui risulti assente un genere, il sindaco renda adeguata motivazione circa le ragioni della mancata applicazione del principio di pari opportunità.
  Sulla questione il Consiglio di Stato, V Sezione, nella sentenza n. 3938 del 24 luglio 2014, ha chiarito che «l'interpretazione delle disposizione statutaria nel senso che occorre assicurare la presenza “di norma” di entrambi i sessi, non può che essere riferita ad un tendenziale equilibrio dei generi nella composizione della Giunta, nel senso che, di norma, la presenza in giunta di uomini e donne deve essere effettivamente equilibrata. Pertanto, il sindaco deve dare conto, per motivi obiettivi, di essere stato impossibilitato a garantire l'effettiva parità dei generi ossia la presenza di un numero di donne tendenzialmente pari a quello degli uomini nella Giunta, pena la violazione della citata norma statutaria, attuativa di una garanzia costituzionale, garantita anche a livello internazionale ...».
  In particolare, per quanto riguarda la vicenda del comune di Oppeano, la prefettura di Verona ha reso noto che i consiglieri di minoranza, con segnalazione del 16 giugno 2014, hanno lamentato il mancato rispetto della rappresentanza di genere nella composizione della giunta, che consta di cinque componenti compreso il sindaco, non essendo stato raggiunto il limite del 40 per cento, cioè due componenti, come previsto dal richiamato articolo 1, comma 137, della legge n. 56 del 2014.
  La prefettura ha investito della questione il sindaco il quale, nel fornire le proprie deduzioni in risposta alla segnalazione della minoranza, ha argomentato che i tentativi esperiti nei confronti delle consigliere comunali neo elette per il raggiungimento di una percentuale congrua, non hanno sortito il risultato auspicato, non avendo ottenuto una disponibilità sufficiente a soddisfare l'esigenza di equilibrio delle rappresentanze di genere.
  Anche la possibilità di nomina di un assessore esterno, prevista dallo statuto comunale, si è rivelata di problematica attuazione per la difficoltà di individuare una donna che riassumesse i necessari requisiti di disponibilità e competenza nelle materie oggetto di delega e nel contempo fosse idonea a rappresentare i valori programmatici con vincolo di fiduciarietà politica.
  Quanto all'adeguatezza della motivazione fornita dai sindaco circa le ragioni che non gli avrebbero consentito di nominare assessori di sesso femminile, si fa presente che l'ordinamento vigente, come noto, non prevede poteri di controllo di legittimità sugli atti degli enti locali in capo a organi di questa amministrazione.
  Gli eventuali vizi di legittimità degli atti adottati, pertanto, possono essere fatti valere solo nelle competenti sedi giurisdizionali o con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, secondo le consuete regole vigenti in materia.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   DA VILLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Venezia è autorizzato all'esercizio del gioco d'azzardo, in deroga ai divieti imposti dalle vigenti leggi penali, in forza del decreto del Ministero dell'interno, emanato il 30 luglio 1936, così come dei successivi decreti autorizzatori che, di volta in volta, hanno individuato le sedi idonee allo scopo;
   l'autorizzazione ministeriale risulta adottata in virtù del regio decreto-legge del 16 luglio 1936, n. 1404, convertito nella legge il 14 gennaio 1937, n. 62, che ha esteso al comune di Venezia le disposizioni del regio decreto-legge del 22 dicembre 1927, n. 2448, convertito nella legge 27 dicembre 1928, n. 3125, già recante analoghe disposizioni in favore del comune di San Remo;
   il regime derogatorio si giustifica, secondo il regio decreto-legge, in virtù della sussistenza di numerose ragioni (incremento turistico e di valuta estera, disincentivazione del flusso dei cittadini verso case da gioco nei Paesi di confine, sostegno dell'economia locale e regionale);
   la normativa antiriciclaggio e sulla «tracciabilità» dei pagamenti (decreto legislativo 21 novembre 2007 n. 231 e successive modificazioni) prevede, tra le altre cose, il divieto di trasferire somme in contanti oltre i 2.500 euro (dal 1° gennaio 2012 l'importo è ridotto a 1.000 euro) con l'obbligo conseguente dell'utilizzo di soli strumenti di pagamento attraverso i quali sia certa l'identificazione dei soggetti coinvolti nella transazione (assegni, bonifici, vaglia, moneta elettronica);
   la normativa succitata si applica, naturalmente, anche ai trasferimenti di denaro effettuati all'interno delle quattro case da gioco italiane (soldi vs fiches e viceversa);
   nel giornale locale La Nuova di Venezia, del 29 luglio 2014, v'era un articolo dal titolo «Casinò, 20 milioni di crediti verso clienti Vip» nel quale si raccontava, in particolare, la denuncia, da parte del sindacato USB, di alcuni spiacevoli fatti riguardanti la casa da gioco lagunare. Essa sarebbe frequentata spesso, stando all'articolo, da alcuni politici nazionali che giocherebbero «...utilizzando non la propria ma la carta di credito di altri per cambiare le fiches che si fanno poi pagare in contanti in caso di vincita, dalla Casa da Gioco anche se, quando essa è di un importo elevato dovrebbe essere erogata con bonifico o assegno». L'articolo prosegue poi affermando che il direttore generale della società gestrice, Vittorio Ravà, avrebbe risposto con un «no comment» alle domande del giornalista;
   poco più di un mese fa, la Casa da gioco veneziana è salita agli onori della cronaca per un altro caso similare: la procura dell'Aquila ha arrestato, per estorsione, l'imprenditore edile Alfonso di Tella, vicino al clan dei Casalesi. Ebbene, nella documentazione raccolta dalle Fiamme Gialle, si evince che l'arrestato, insieme ad altri membri di spicco del clan, fosse un assiduo frequentatore del casinò veneziano e che lì riuscisse a «lavare» denaro sporco tramite operazioni di cambio in palese violazione della normativa sopra ricordata;
   l'informativa della Guardia di finanza (La Repubblica, 26 giugno 2014) mostra come il clan sia riuscito a spendere oltre 13 milioni di euro, con almeno trecento ingressi a persona. E poi ancora si legge: «Di Tella intascava un'ingente quantitativo di denaro liquido e, per far questo, non poteva non godere della compiacenza dei responsabili della casa da gioco...»;
   il comune di Venezia è dotato di uno specifico servizio ispettivo comunale per il controllo dell'attività di gioco, anche rispetto al verificarsi illeciti penali ed amministrativi di cui alle norme sopra accennate. Accanto a ciò, l'amministrazione ha previsto, nella nuova convenzione con la società gestrice in house, un nucleo operativo di supporto presso la prefettura;
   il recente verificarsi di più casi di riciclaggio di denaro, da provenienza illecita, non può che destare forte preoccupazione, in considerazione anche del rilasciato parere assentivo di Codesto Ministero circa la possibile concessione a terzi privati della gestione del Casinò e, forse, un minor livello ancora di controllo –:
   se il Ministro interrogato fosse a conoscenza dei fatti in premessa e se e quali misure, nel rispetto dell'autonomia degli enti locali di cui all'articolo 114 della Costituzione, intenda attuare per far rispettare pienamente la normativa antiriciclaggio e sulla «tracciabilità» dei pagamenti nella casa da gioco veneziana;
   se ritenga applicabile alla società C.d.V.G. spa gestrice in house del casinò, le disposizioni del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, al pari di qualsiasi altra società;
   se, alla luce delle premesse di cui sopra, non si ritenga poi opportuno riconsiderare il decreto, prot. n. 17634 del 17 dicembre 2013, di autorizzazione dell’ «Affidamento in concessione a terzi del servizio di gestione della casa da gioco». (4-06545)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante ha posto una serie di quesiti riguardanti il casinò di Venezia, concludendo poi con la richiesta di valutare l'opportunità di riconsiderare il decreto ministeriale di autorizzazione all'affidamento in concessione a terzi del servizio di gestione della casa da gioco.
  Si rappresenta preliminarmente che le attività info-investigative e di monitoraggio del fenomeno del riciclaggio e del reimpiego dei proventi illeciti nel capoluogo veneto sono svolte prevalentemente dal nucleo di polizia tributaria del comando provinciale della guardia di finanza.
  In tale ambito, il predetto Nucleo ha effettuato attività di indagine sul conto di alcuni frequentatori del casinò, anche al fine di rilevare eventuali collegamenti con il crimine organizzato.
  Gli accertamenti eseguiti hanno consentito, tra l'altro, nel dicembre del 2012, di individuare un'associazione per delinquere composta da cittadini italiani e di origine cinese finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina ed allo sfruttamento della prostituzione, nonché al successivo reinvestimento dei proventi illeciti.
  Nei confronti del sodalizio criminale la guardia di finanza ha proceduto all'esecuzione di 14 misure cautelari ed al sequestro e confisca di beni mobili, immobili e valuta per un valore di oltre 20 milioni di euro.
  Il predetto nucleo di polizia tributaria ha sottoposto il casinò di Venezia anche a verifica fiscale e continua tuttora a monitorare l'attività svolta all'interno della casa da gioco.
  Per quanto riguarda le vicende relative all'imprenditore Alfonso Di Tella considerato attiguo al clan dei Casalesi, effettivamente, nel corso di indagini delegate dalla direzione distrettuale antimafia di L'Aquila alla guardia di finanza, attualmente coperte da segreto istruttorio, è emerso come, nel periodo compreso tra il 2004 e il marzo 2013, l'imprenditore impegnato nella ricostruzione post-sisma 2009 si sia recato presso il casinò di Venezia, effettuando 366 ingressi e un volume di giocate pari a 3 milioni 363 mila euro. Durante la permanenza nel casinò, il medesimo era solito incontrare altri soggetti attigui al predetto clan criminale, parimenti assidui frequentatori della casa da gioco.
  Si comunica inoltre che, in relazione alle prescrizioni previste dalla normativa sull'antiriciclaggio e sulla tracciabilità dei pagamenti, di cui al decreto legislativo n. 231 del 2007, è in corso l'istruttoria per l'adozione del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dell'interno, con il quale verranno adottate le specifiche tecniche inerenti alle modalità informatiche per l'identificazione e la registrazione dei clienti, alla tenuta dell'archivio informatico e alla loro efficacia per il contrasto al fenomeno del riciclaggio.
  Con riferimento alla richiesta dell'interrogante di riconsiderare il decreto ministeriale di autorizzazione dell'affidamento in concessione a terzi del servizio di gestione della casa da gioco, si premette che tale affidamento è stato deliberato dal consiglio comunale di Venezia nel settembre del 2013.
  Con decreto dell'11 dicembre 2013, il Ministero dell'interno ha rilasciato l'autorizzazione all'operazione, sulla base di una complessa e ponderata istruttoria supportata anche da un parere espresso dall'avvocatura generale dello Stato. Con lo stesso provvedimento è stata approvata una convenzione destinata a regolare i rapporti concessori, con la quale sono stati previsti specifiche prescrizioni e vincoli stringenti finalizzati ad evitare infiltrazioni della criminalità organizzata e a impedire il riciclaggio di proventi di attività criminali. In tal senso la convenzione, da un lato, individua specifici organi di vigilanza e controllo sull'attività del concessionario, quali l'Advisory Board e il servizio ispettivo comunale; dall'altro, prevede la stipula di un protocollo di legalità tra le parti interessate.
  Si informa, inoltre che, a completamento dell'apparato di vigilanza e controllo sulle attività del casinò, il Ministero dell'interno ha la facoltà di disporre, in qualunque momento, mirate verifiche e specifici controlli tramite la direzione investigativa antimafia nonché i gruppi investigativi delle forze di polizia. A tal fine, esso può avvalersi di un nucleo di supporto di recente istituito presso la Prefettura, con il compito di assistere il comune capoluogo nelle attività ispettive di propria competenza.
  Oltre che a controlli di legalità, l'attività del casinò è soggetta anche a verifica circa la consistenza dei proventi che affluiscono al bilancio comunale dall'esercizio del gioco. A tale compito è preposto un nucleo di valutazione costituito presso il Ministero dell'interno di cui potranno far parte anche rappresentanti del Ministero dell'economia e delle finanze e della guardia di finanza.
  Sulla scorta di quanto illustrato, si ritiene che il decreto ministeriale di autorizzazione contempli un dispositivo di controlli tali da garantire un'adeguata prevenzione dai rischi di infiltrazioni della criminalità organizzata e di riciclaggio dei proventi di attività criminali. A chiusura del sistema, è previsto anche che, ricorrendone i presupposti, il Ministero dell'interno possa revocare l'autorizzazione rilasciata.
  Si aggiunge, a riprova della congruità della scelta di autorizzare l'affidamento della gestione della casa da gioco a un soggetto terzo, che la procedura di gara aperta prescritta per la scelta del contraente, garantisce la massima partecipazione degli operatori economici, in attuazione dei principi di trasparenza, imparzialità e concorrenza.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   DI LELLO e PISICCHIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comma 4 dell'articolo 9 del decreto-legge n. 66 del 24 aprile 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89 del 2014 sostituisce il comma 3-bis dell'articolo 33 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;
   tale nuova formulazione del suddetto comma 3-bis dell'articolo 33 del codice dei contratti pubblici sancisce che «I Comuni non capoluogo di provincia procedono all'acquisizione di lavori, beni e servizi nell'ambito delle unioni dei comuni di cui all'articolo 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici anche delle province, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56. In alternativa, gli stessi comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.a. o da altro soggetto aggregatore di riferimento. L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture non rilascia il codice identificativo gara (CIG) ai comuni non capoluogo di provincia che procedano all'acquisizione di lavori, beni e servizi in violazione degli adempimenti previsti dal presente comma»;
   tale novella ha previsto come data di avvio delle nuove modalità di acquisto aggregato o congiunto il giorno 1° luglio 2014;
   tale fattispecie si differenzia considerevolmente da quella previgente, in quanto:
    a) risulta determinare l'obbligo di acquisizione di lavori, servizi e forniture mediante le particolari modalità a tutti i comuni non capoluogo di provincia (precedentemente riferito solo ai comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti);
    b) pur ampliando il novero dei soggetti ai quali i comuni possono fare riferimento per i loro processi di acquisizione di lavori, servizi e forniture, non replica la previsione derogatoria, che consentiva alle amministrazioni comunali di minori dimensioni di procedere comunque in modo autonomo all'acquisizione di lavori, servizi e forniture in amministrazione diretta o, mediante cottimo fiduciario, quando di valore inferiore a 40.000 euro, sulla base di quanto previsto dal secondo periodo del comma 8 e dal secondo periodo del comma 11 dell'articolo 125 del decreto legislativo n. 163 del 2006;
   la mancata previsione della deroga applicativa della disposizione data nel comma 3-bis dell'articolo 33 del codice dei contratti pubblici sulla base della nuova formulazione dettata dal comma 4 dell'articolo 9 del decreto in questione, inerente alla possibilità per i singoli comuni di procedere autonomamente ad acquisizione di lavori, servizi e forniture mediante amministrazione diretta o con cottimo fiduciario entro i 40.000 euro in base a quanto stabilito dal secondo periodo del comma 8 e dal secondo periodo del comma 11 dell'articolo 125 del decreto legislativo n. 163 del 2006, comporta per le amministrazioni comunali l'obbligo di acquisire lavori, beni o servizi mediante l'organismo individuato come gestore dei processi di acquisto (unione di comuni, centrale di committenza, stazione unica appaltante provinciale o ufficio comune organizzato con altra amministrazione comunale), e riguarda anche acquisizioni di modesto o di modestissimo importo;
   in merito alla nuova formulazione del comma 3-bis dell'articolo 33 del decreto legislativo n. 163 del 2006, dal momento che essa comprende significative realtà collocate su tutto il territorio nazionale e viste anche le difficoltà, sollevate da più parti, per un adeguamento organizzativo in così breve tempo, il Governo, in sede di conversione del decreto sopra citato si era impegnato, accogliendo un ordine del giorno, a chiarire, in via interpretativa, che i singoli comuni non capoluogo di provincia potessero continuare ad acquisire autonomamente lavori, servizi e forniture nei casi previsti secondo periodo del comma 8 e dal secondo periodo del comma 11 dell'articolo 125 del decreto legislativo n. 163 del 2006, entro la soglia (attualmente di 40.000 euro) nelle stesse disposizioni individuata;
   è noto che in molte province e regioni non si è a tutt'oggi proceduto alla costituzione delle centrali di committenza cui è fatto obbligo di aderire ai comuni che non hanno costituito le unioni in convenzione –:
   quali iniziative urgenti il Governo abbia intenzione di porre in essere al fine di rendere operativa quella deroga, dando corso agli impegni assunti in sede di conversione del decreto-legge di cui sopra, che altrimenti rischierebbe di paralizzare l'attività negoziale della maggioranza dei comuni italiani;
   quali iniziative urgenti il Governo intenda intraprendere al fine di consentire ai comuni con popolazioni inferiore a 30.000 abitanti di pervenire alla costituzione delle unioni di comuni nei tempi necessari non inferiori a 12 mesi.
(4-05547)

  Risposta. — Con riferimento all'atto parlamentare di sindacato ispettivo indicato in oggetto, si rappresenta quanto segue.
  Come evidenziato anche dagli onorevoli interroganti, il comma 4 dell'articolo 9 del decreto-legge n. 66, convertito dalla legge n. 89 del 2014, prevede che a partire dal 1o luglio 2014 i comuni non capoluogo di provincia procedano all'acquisizione di lavori, beni e servizi nell'ambito di unioni di comuni, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile avvalendosi dei competenti uffici delle province ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province. In alternativa la disposizione prescrive che gli stessi comuni possano acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip s.p.a. o da altro soggetto aggregatore e che l'autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture non rilasci il codice identificativo gara ai comuni non capoluogo di provincia che procedono in violazione delle nuove previsioni.
  La disposizione, dettata da esigenze di centralizzazione degli acquisti a fini di contenimento della spesa pubblica, ha modificato profondamente la normativa previgente estendendo a tutti i comuni non capoluogo di provincia quanto prima sostanzialmente previsto per quelli con meno di 5.000 abitanti e non confermando almeno espressamente la previsione derogatoria, di cui all'articolo 125 del codice dei contratti pubblici, che consentiva alle amministrazioni comunali di minori dimensioni di procedere comunque all'acquisizione in economia per valori inferiori a 40.000 euro. Al riguardo, per quanto di competenza, si rileva che sono pervenute al vertice politico ed agli uffici di questa amministrazione diverse segnalazioni relative alla problematicità e difficoltà attuativa, almeno nei termini previsti dal decreto 66, della previsione in esame.
  In particolare, i soggetti rappresentativi del livello comunale hanno espresso forte preoccupazione per gli effetti dell'applicazione della norma a partire dal 1o luglio, evidenziando come tale previsione stia provocando – a quanto riferito – un sostanziale blocco delle gare di appalto, con rischi di paralisi di attività già in parte avviate dai comuni e chiedendo una proroga dell'operatività del nuovo sistema, che al contempo chiarisca o comunque faccia salva la deroga prevista dall'articolo 125 del decreto legislativo 163/2006, cosiddetto «codice dei contratti pubblici», secondo periodo del comma 8 e secondo periodo del comma 11.
  Le preoccupazioni espresse dai soggetti rappresentativi dei comuni e le conseguenti richieste di intervento interpretativo e normativo appaiono, in verità, in linea generale condivisibili, ferme restando le esigenze di riduzione della spesa pubblica attraverso il progressivo accorpamento delle centrali di committenza.
  Del resto, come ricordato anche dagli onorevoli interroganti, in sede di conversione del decreto-legge 66 alla Camera, sono stati accolti vari ordini del giorno in materia, nel senso di una soluzione della problematica. In particolare, alcuni ordini del giorno hanno impegnato il Governo a prevedere espressamente varie tipologie di deroghe, mentre altri nel primo provvedimento legislativo utile una deroga nell'utilizzo delle nuove procedure per l'acquisizione di lavori, beni e servizi per importi inferiori a 5.000 euro ed a valutare deroghe.
  Nell'intesa sancita dalla conferenza Stato-Città ed autonomie locali, nella seduta del 10 luglio 2014 – convocata proprio in ragione dell'urgenza delle questioni poste dall'atto di sindacato ispettivo in riscontro – sono state assunte deliberazioni condivise in materia di centrale unica di committenza per i comuni non capoluogo di Provincia ai sensi dell'articolo 9, comma 4 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 convertito, con modificazioni dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, considerato che la norma risponde all'esigenza di razionalizzazione della spesa e di modernizzazione delle amministrazioni locali e che tuttavia l'applicazione, senza la necessaria preparazione, pone diverse problematiche.
  In particolare, è stato condiviso che l'implementazione della norma richieda un percorso di preparazione con il coinvolgimento non solo dei comuni ma anche degli altri soggetti coinvolti.
  Viene manifestata, quindi, l'esigenza di un intervento che posticipi l'entrata in vigore della norma al 1o gennaio 2015 per gli acquisti di beni e servizi e al 1o luglio 2015 per i lavori pubblici.
  In sede di conversione del decreto-legge n. 90/2014, è stato pertanto approvato l'emendamento n. 23.07, Mariani ed altri, che introduce un nuovo articolo 23-
ter del testo del decreto riformulato e sul quale si è avuto parere favorevole del Governo. Tale articolo, coerentemente con le esigenze prospettate dagli enti locali ed evidenziate anche dalla ricordata intesa in conferenza Stato-Città, da un lato pospone l'attuazione dell'articolo 9 comma 4 del decreto legislativo 66 al 1o gennaio 2015 per l'acquisizione di beni e servizi e al 1o luglio 2015 quanto all'acquisizione dei lavori, dall'altra, prevede che tutti i comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti, possano procedere autonomamente per acquisti di beni, servizi e lavori di valore inferiore ai 40.000 euro.
  Nelle more dell'approvazione della predetta norma, è stato inoltre avviato il percorso di attuazione del nuovo modello operativo al fine di assicurare la piena funzionalità delle amministrazioni, anche agevolando l'attribuzione, da parte dell'autorità nazionale dell'anticorruzione (ANAC), del codice identificativo gara (CIG) nei confronti dei comuni non capoluogo di provincia, che dal 1o luglio non abbiano potuto ricorrere alle acquisizioni di beni e servizi, a prescindere dalla tipologia e dal valore.

Il Ministro per gli affari regionali e le autonomieMaria Carmela Lanzetta.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto viene segnalato all'interrogante, in un Paese così devastato dal punto di vista idrogeologico, quale è l'Italia, i cittadini si trovano nell'impossibilità di assicurare gli immobili di proprietà contro le calamità naturali (terremoti, alluvioni, e altro);
   infatti, le compagnie assicurative attive e operanti in Italia rispondono negativamente a cittadini richiedenti copertura assicurativa contro catastrofi ambientali, adducendo come motivazione che il rischio di tale assicurazione è troppo alto;
   sempre secondo quanto viene segnalato all'interrogante, ciò sarebbe possibile in Francia secondo quanto disposto dall'articolo da L125-1 a L125-6 del Code des assurances;
   recentemente anche l'Unione europea ha predisposto un Libro verde sulle assicurazioni nell'ambito delle catastrofi naturali e di origine umana e, secondo quanto si legge sul sito web della Rappresentanza in Italia della Commissione europea, tale «Libro verde pone una serie di quesiti circa l'adeguatezza e la disponibilità delle assicurazioni contro le catastrofi. Lo scopo è di sensibilizzare le persone a questo tema e valutare se, per migliorare il mercato delle assicurazioni in questo settore, è utile o legittimo intervenire a livello di Unione europea. Più in generale, poi, questa iniziativa apporterà nuove conoscenze e concorrerà a fare dell'assicurazione uno strumento di gestione delle catastrofi, contribuendo in tal modo a forgiare una cultura condivisa della prevenzione e della mitigazione dei rischi di catastrofe»;
   occorre segnalare anche come sia significativo che sul sito web della compagnia assicurativa Lloyds si legge che «l'Italia è molto esposta agli eventi catastrofali; i costi per lo Stato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ammontano a circa 245 milioni di Euro. Le statistiche nel 2010 confermano che in Europa, l'Italia è il secondo Paese più esposto dopo la Grecia, per sinistri legati a terremoti e il sesto per quanto riguarda le inondazioni. A differenza di altri Paesi come il Belgio, la Danimarca, la Spagna, la Francia, l'Ungheria, la Romania, la Turchia e la Gran Bretagna, l'Italia non ha una soluzione definita in grado di coinvolgere l'industria assicurativa. Lo Stato continua a pagare per le ricostruzioni ma la situazione non è certamente sostenibile, specialmente in questo periodo storico di crisi finanziaria dove le risorse pubbliche sono limitate. Sono in corso discussioni da diversi anni. Prima del terremoto in Emilia Romagna il Governo italiano aveva previsto in uno specifico decreto legislativo un regime di assicurazione obbligatoria per gli edifici privati. Tale previsione è stata però cancellata dal testo definitivo della norma» –:
   se il Ministro interrogato non intenda farsi portatore di una doverosa iniziativa normativa finalizzata all'introduzione di un obbligo, per le compagnie assicuratrici attive sul territorio nazionale, di stipulare contratti di assicurazione anche con riferimento alle catastrofi naturali. (4-03320)

  Risposta. — Il tema delle assicurazioni contro i disastri ambientali è da tempo oggetto di ampi dibattiti nelle sedi istituzionali, soprattutto in considerazione del fatto che ancora oggi nel nostro Paese i danni conseguenti al verificarsi di calamità naturali sono quasi totalmente a carico dello Stato, con le possibili inefficienze che tale sistema può comportare.
  I tragici eventi da poco verificatisi nella città di Genova hanno fatto tristemente tornare alla ribalta il tema della copertura degli ingenti costi pubblici connessi alla gestione delle catastrofi naturali e della necessità di cambiare completamente approccio valorizzando e potenziando, in primo luogo, i controlli sistematici preventivi sugli edifici, attraverso misure di prevenzione più efficaci e assicurando la maggiore tempestività della realizzazione delle opere di ricostruzione.
  Dal punto di vista della sostenibilità economico-finanziaria degli interventi di copertura assicurativa, potrebbe essere opportuno, poi, valutare la fattibilità del passaggio dall'attuale modalità di copertura pubblica dell'intervento, fondata su un sistema di mutualizzazione
ex post dei danni (con effetti diretti e indiretti sulla tassazione), a un meccanismo di mutualizzazione ex ante, eventualmente basato su forme di compartecipazione e partenariato pubblico-privato al rischio assicurativo, in una logica di mercato.
  Data la gravità e la maggiore frequenza con cui le catastrofi naturali colpiscono il nostro Paese, occorre valutare, inoltre, l'avvio di un confronto tecnico con il mercato assicurativo e le istituzioni coinvolte nella tutela del territorio. In tal modo si potranno approfondire e analizzare i limiti di utilizzo di eventuali strumenti di incentivazione delle più diffuse forme assicurative su abitazioni ed imprese, al fine di ricercare la copertura più idonea alle molteplici esigenze degli assicurati e adeguarla alle peculiarità del territorio italiano.
  Al riguardo, il Ministero dello sviluppo economico è disponibile ad approfondire, anche insieme al Ministero dell'economia e delle finanze e agli altri dicasteri coinvolti, un possibile percorso che favorisca la diffusione sull'intero territorio nazionale delle coperture per danni catastrofali, promuovendo eventualmente la stipula di convenzioni quadro per predeterminare con certezza la copertura pubblica di una parte degli indennizzi, variabile in funzione delle diverse tipologie di edifici danneggiati, così da garantire la complessiva gestione del sistema di garanzia. L'intervento pubblico, in particolare, potrebbe essere maggiore nel caso delle abitazioni principali e degli immobili strumentali all'attività d'impresa, in un'ottica di tutela dei cittadini e del sistema produttivo italiano, al fine di preservare il rilancio delle attività e dell'economia nazionale.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoSimona Vicari.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   migliaia di operatori delle forze dell'ordine sono quotidianamente impegnati in servizi di accoglienza o gestione a vario titolo dei migranti. Inevitabilmente e loro malgrado, tali migranti provengono da zone del mondo dove esistono e resistono determinate malattie che qui in Italia erano state completamente debellate, come è il caso della tubercolosi; in effetti, secondo le statistiche dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l'incidenza della tubercolosi in Italia è in aumento, tant’è che pare si sia arrivati in media ad un morto al giorno a causa di tale patologia; secondo dati forniti dal sindacato di polizia CONSAP, ad oggi circa 40 poliziotti sono risultati positivi al test di Mantoux, ovvero il più comune test di verifica della presenza in un individuo di una infezione, anche latente, del micobatterio della tubercolosi;
   sempre secondo la denuncia della predetta organizzazione sindacale, i primi controlli medici sui migranti in arrivo sulle coste italiane sarebbero eccessivamente superficiali e non garantirebbero una adeguata profilassi a tutela degli operatori del settore e della pubblica incolumità onde evitare che dilaghino tra la popolazione, italiana epidemie presenti in zone del mondo da cui i migranti provengono, come nel caso dell'Ebola;
   occorre peraltro segnalare che, anche alla luce delle vicende delle ultime settimane, non è solo la tubercolosi l'agente di rischio a cui sono esposti gli operatori impegnati nell'accoglienza, ma anche altre patologie più o meno gravi e comunque non sempre curabili come il meningococco, l'Ebola o la scabbia; inoltre, un poliziotto infettato, oltre a patire danni personali, entra in contatto con la propria famiglia e i propri conoscenti, diventando a sua volta un involontario vettore di infezione;
   nelle ultime settimane il sindacato di polizia Consap ha lanciato una class action contro il Ministero dell'interno, dal momento che, secondo quanto sostenuto dalla medesima organizzazione, le forze di polizia impegnate nelle operazioni di accoglienza non erano coperte dalla protezione adeguata e prevista dalla normativa istitutiva dell'operazione cosiddetta Mare Nostrum;
   solo dopo le proteste del CONSAP, sembrerebbe che siano state migliorate le dotazioni in capo alle forze di polizia al fine di garantire una effettiva protezione degli operatori;
   l'azione collettiva posta in essere sta raccogliendo un crescente numero di adesioni –:
   quali provvedimenti intendano assumere i Ministri interrogati al fine di tutelare l'incolumità delle forze di polizia che entrano in contatto con soggetti potenzialmente a rischio, nonché al fine di tutelare la salute pubblica esposta a possibili rischi di epidemia, anche alla luce delle allarmanti notizie provenienti nelle ultime settimane dal continente africano.
(4-05909)

  Risposta. — Le problematiche sanitarie connesse ai flussi migratori sono da tempo all'attenzione delle Amministrazioni interessate.
  In particolare, Il Ministero della salute ha fornito precise indicazioni agli Uffici di sanità marittima aerea e di frontiera (Usmaf) che intervengono nelle primissime fasi dell'arrivo, nonché agli assessorati regionali alla sanità, che intervengono nelle fasi successive di permanenza degli stessi naufraghi nel territorio nazionale, per l'applicazione delle misure previste dal regolamento sanitario internazionale del 2005 e delle misure di sorveglianza e prevenzione appropriate.
  Al riguardo, il predetto Ministero ha emanato apposite linee guida sulla prevenzione del rischio biologico, sulla gestione delle misure di prevenzione per la tubercolosi e sul rischio biologico da virus ebola.
  Al fine di garantire un tempestivo ed efficace intervento in favore dei migranti è stato realizzato anche il progetto Sar, finanziato e approvato dalla Commissione europea, che assicura la prestazione di assistenza sanitaria da parte di personale medico e paramedico a bordo delle imbarcazioni della Guardia costiera e della Guardia di finanza impiegate nelle operazioni di soccorso nel Canale di Sicilia e sulla terraferma. Le attività svolte mirano ad assicurare interventi tempestivi ed efficaci già nella fase del soccorso in mare, consentendo di individuare possibili casi di particolare gravità, che richiedono il trasferimento immediato dei migranti presso gli ospedali collocati sulla terraferma.
  Con riferimento, invece, al rischio di contagio di malattie infettive cui sarebbe esposto il personale delle forze di polizia impegnato nell'operazione
Mare Nostrum, la direzione centrale di sanità del Dipartimento della pubblica sicurezza ha emanato più di una circolare sull'argomento, con l'indicazione delle misure operative di tutela e di profilassi da adottare.
  La stessa direzione centrale è in costante contatto con i medici della polizia di Stato delle sedi ove avvengono gli sbarchi e di quelle dove sono trasferiti i migranti, attivando puntuali e reciproci scambi sulle eventuali criticità di carattere sanitario.
  Inoltre, di fronte a potenziali rischi di natura biologica, i questori delle sedi nelle quali vengono trasferiti i migranti possono impiegare i medici della polizia di Stato per monitorare tempestivamente la situazione consentendo di attuare, laddove necessario, ogni misura di tutela nei confronti del personale, con particolare riguardo agli aspetti di informazione sanitaria, alla fornitura e al corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale.
  Tale procedura consente un adeguato contenimento del potenziale rischio biologico del personale impegnato in tali attività, al di là delle misure cautelative già adottate in termini di profilassi.
  È stata anche prevista la distribuzione, a scopo prudenziale, di un kit di protezione individuale al personale della polizia di Stato in servizio negli scali aeroportuali interessati da voli internazionali extra-Schengen. Tale strumentazione potrà anche essere distribuita in caso di effettiva esigenza a personale di altri uffici o reparti.
  Per la protezione della salute dei militari impegnati nelle operazioni di soccorso, anche la Marina militare ha avviato una serie di azioni volte alla prevenzione del rischio biologico, a tutela del personale sanitario e di assistenza. Le misure preventive sono di tipo organizzativo, collettivo e individuale, e si basano sulla predisposizione di corrette procedure di assistenza ai naufraghi, individuazione delle aree di bordo destinate all'accoglienza e all'eventuale isolamento, formazione del personale, copertura vaccinale e adozione di dispositivi di protezione individuale commisurati al livello di rischio.
  Oltre a tutelare la salute dei militari e di quanti operano nel contesto delle operazioni di soccorso in mare, il personale sanitario di bordo ha tra i propri compiti anche quello di prestare soccorso e le prime cure ai migranti recuperati. Tale qualificata assistenza si somma a quella di tipo volontario operante a bordo, al fine di garantire il massimo sforzo sanitario in condizioni di reale emergenza derivanti dal recupero in mare.
  La tutela della salute e della sicurezza a bordo prevede misure che sono anche di ordine collettivo e, pertanto, non solo indirizzate al personale militare, quali la disinfezione delle aree di accoglienza e la gestione delle misure di isolamento.
  Inoltre, nell'ambito del progetto
Praesidium – coordinato dal Ministero dell'interno e finanziato dalla Commissione europea – i migranti, fin dal momento dello sbarco sul territorio italiano, sono sottoposti a un triage medico da parte delle Aziende sanitarie locali, in collaborazione con la Croce rossa italiana.
  All'ingresso nei centri di accoglienza, è effettuato uno
screening diretto a verificare se sussistono patologie, o sospetti di patologie, che non consentono la permanenza nelle strutture e che richiedono invece il ricovero in ospedale. Durante la permanenza nei centri, agli immigrati è comunque assicurata l'assistenza sanitaria, con le modalità previste dall'accordo Stato-Regioni del dicembre 2012, in collegamento con le strutture del sistema sanitario della regione competente per territorio.
  Il vigente schema di capitolato d'appalto (decreto ministeriale 21 novembre 2008) dispone che l'assistenza sanitaria offerta nei centri governativi per l'immigrazione comprenda le seguenti prestazioni: visita d'ingresso e primo soccorso sanitario, espletato in apposito ambulatorio allestito all'interno della struttura, con presidio medico e personale sanitario e infermieristico; eventuali trasferimenti degli ospiti, qualora ne sussistano le esigenze, presso strutture ospedaliere esterne al centro; somministrazione di medicinali e di presidi sanitari necessari per il primo soccorso e per l'assistenza sanitaria ordinaria; tenuta di apposita scheda sanitaria per ciascun ospite. Nel caso in cui i medici dei centri prescrivano accertamenti diagnostici o esami clinici specifici, i migranti sono accompagnati presso i competenti presidi sanitari territoriali.
  Si sottolinea che i medici che effettuano lo
screening sanitario d'ingresso degli ospiti devono valutarne anche la condizione psico-sociale e la presenza di fattori di vulnerabilità (disturbi psicologici o psichiatrici, anche pregressi, vittime di abusi o tortura, dipendenza da sostanze o altro), per prescrivere eventuali terapie farmacologiche o colloqui psicologici di sostegno. Tutto il personale assunto dall'ente gestore e impegnato nei vari settori di attività deve essere in possesso dei requisiti professionali previsti dai contratti nazionali; in particolare, per quanto concerne il presidio medico-infermieristico, gli operatori devono possedere anche le abilitazioni professionali previste dalla legge.
  Infine, nell'ambito della recente revisione del capitolato, è stata data particolare attenzione all'aspetto sanitario, in un'ottica di razionalizzazione e miglioramento dei servizi resi. Infatti, l'esigenza di assicurare regole uniformi all'interno dei centri è stata avvertita anche sotto l'aspetto sanitario, ragion per è stato istituito un tavolo di lavoro con i principali
stakeholder in materia – Ministero della salute, Organizzazione mondiale della sanità, Croce rossa italiana, Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della povertà, Medici senza frontiere – al fine di individuare le maggiori criticità e i conseguenti interventi.
  Si assicura, dunque, che il Ministero dell'interno – di concerto con tutte le amministrazioni coinvolte – svolge ogni opportuna azione per assicurare una adeguata tutela della salute delle persone migranti che arrivano nel nostro paese, così come degli operatori che prestano il loro servizio durante le operazioni di sbarco e nei centri per l'immigrazione.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   MARCO DI MAIO e LATTUCA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la provincia di Forlì-Cesena ha inviato in data 5 luglio 2013 una richiesta in cui si domandava il rafforzamento dei presidi dei vigili del fuoco presenti nella provincia;
   nella realtà provinciale di Forlì-Cesena esistono delle richieste a cui non è stata data una risposta adeguata, esse riguardano:
    a) la riqualificazione della sede centrale di Forlì, che copre la città e i comuni limitrofi, con il passaggio da S2 a S3;
    b) l'elevazione della sede distaccata di Cesena da D2 a D3 poiché la squadra agisce fino al comune di Cesenatico compreso;
    c) la riqualificazione del distaccamento di Cesenatico da volontario a permanente in quanto la zona è coperta esclusivamente da vigili del fuoco volontari che diventano insufficienti nel periodo estivo quando la popolazione aumenta a causa dell'alto livello del flusso turistico;
    d) il passaggio del distaccamento di Bagno di Romagna da misto a permanenti;
   il comune di Bagno di Romagna ha inviato una comunicazione il 2 agosto 2013 in cui richiedeva il passaggio da distaccamento misto a distaccamento permanente del presidio presente a San Piero in Bagno (FC);
   detto presidio è presente fin dagli anni 90 e il comune di Bagno di Romagna negli anni si è fatto carico delle spese di affitto dei locali. Il distaccamento copre una superficie pari a 700 chilometri quadrati che per vastità e caratteristiche, richiede la presenza di un presidio permanente dei vigili del fuoco. Nella zona sono presenti svariate aree industriali e grandi impianti civili come l'autostrada E45 e la Diga di Ridracoli. Inoltre è un punto di riferimento per gli altri comuni della zona, in particolare per i comuni di Santa Sofia, Sarsina, Mercato Saraceno e Verghereto;
   sono stati ricollocati, in provincia e in zone limitrofe, 56 vigili del fuoco a causa della temporanea chiusura dello scalo aeroportuale di Forlì –:
   quale risposta intenda fornire alle questioni relative al territorio della provincia di Forlì-Cesena descritte in premessa;
   come intenda agire affinché si trovi risposta positiva alla richiesta di rivedere e rafforzare l'intera dislocazione e classificazione del Corpo dei vigili del fuoco sul territorio provinciale. (4-02435)

  Risposta. — Il comando provinciale dei vigili del fuoco di Forlì Cesena è articolato nelle seguenti sedi operative permanenti, miste e volontarie: la sede centrale a Forlì, due distaccamenti provinciali a Cesena e Rocca San Casciano, un distaccamento misto a Bagno di Romagna e quattro distaccamenti volontari a Cesenatico, Civitella di Romagna, Modigliana e Savignano.
  Il Ministero dell'interno ha esaminato con attenzione le istanze delle amministrazioni locali interessate, degli uffici territoriali del Corpo nazionale e delle organizzazioni sindacali di categoria provinciali e regionali, volte a ottenere il potenziamento del predetto dispositivo di soccorso attraverso l'assorbimento stabile nei totale dell'organico teorico provinciale di almeno una parte delle 60 unità operative (54 presenze effettive) precedentemente assegnate al distaccamento dell'aeroporto di Forlì, chiuso per effetto del declassamento di quello scalo a decorrere dal 15 maggio 2013.
  Tali istanze sono state prese in considerazione nell'ambito del progetto di riordino delle strutture centrali e territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco definito nell'aprile 2014 con riduzione di spesa.
  Il progetto, partendo dalle esigenze del territorio, ha ridefinito la mappatura delle sedi, riclassificandole in base ad indicatori riconducibili al rischio territoriale, alla popolazione, all'estensione territoriale, allo sviluppo industriale e commerciale e, di conseguenza, ne ha rimodulato l'organico.
  Per quanto riguarda la provincia di Forlì-Cesena, Il progetto prevede che la dotazione organica del personale operativo (vigili, capo squadra e capo reparto) del comando dei vigili del fuoco sia incrementata del 10 per cento, passando da 180 a 198 unità.
  L'incremento è distribuito tra i distaccamenti di Cesena e Bagno di Romagna, quest'ultimo trasformato da misto a permanente.
  Infine, con riferimento al distaccamento aeroportuale soppresso, si comunica che il personale che vi prestava servizio è stato ripartito in parte nella stessa provincia in parte presso altre sedi provinciali evidentemente in «sofferenza».
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   MANLIO DI STEFANO, DI BATTISTA, SPADONI, GRANDE, SCAGLIUSI, DEL GROSSO e SIBILIA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la Thailandia è al quinto posto tra i Paesi asiatici, dopo Cina, India, Giappone e Malesia, come numero di visitatori in Italia;
   per l'ambasciata italiana di Bangkok, fino al mese di febbraio 2013, la richiesta del visto d'ingresso in Italia necessitava dei seguenti documenti: passaporto valido, prenotazione hotel, garanzia della banca sulla condizione finanziaria della persona, assicurazione sanitaria, prenotazione dei voli di andata e ritorno e pagamento di circa 56 euro all'ambasciata;
   da marzo 2013, con l'insediamento del nuovo ambasciatore, dottor Francesco Saverio Nisio, della prenotazione e rilascio del visto se ne occupa un'agenzia privata, la VFS Gobal, che ne avrebbe decisamente inasprito la procedura. L'inasprimento sarebbe prevalentemente dovuto alla richiesta dell'ambasciata di una lista dei turisti da parte degli hotel che li ospiteranno con tanto di carta intestata, timbro e specifica del ruolo di colui che firma a conferma della prenotazione;
   atteso che non esiste nessuna norma che disciplini quest'ultimo passaggio, gli hotel rilasciano detta lista soltanto a titolo di cortesia e nei tempi che ritengono più consoni. Senza questa lista, l'ambasciata italiana non rilascia il visto;
   per quanto risulta agli interroganti da gennaio 2014 l'ambasciata richiederebbe, a completamento della documentazione di cui sopra, anche la scansione delle impronte digitali. Sempre a quanto consta agli interroganti, le impronte non verrebbero archiviate per cui un thailandese che dovesse andare in Italia quattro volte in un anno, sarebbe tenuto a rilasciare per quattro volte le proprie impronte digitali;
   dalle informazioni in possesso degli interroganti risulterebbe che presso l'ambasciata vi sia soltanto un addetto responsabile di questi servizi e che solo lui possa firmare e approvare il visto;
   tutto ciò non può che generare enormi ritardi per il rilascio del visto, affollamento presso l'ambasciata ma soprattutto la rinuncia da parte dei tour operator e degli stessi turisti (circa il 95 per cento di coloro che richiedono il visto) di scegliere il nostro Paese come destinazione della vacanza a favore di altri Paesi come la Francia, l'Inghilterra, la Germania o la Svizzera che prevedono il rilascio del visto in un tempo che oscilla dai 3 giorni a una settimana;
   ne consegue una grave perdita per l'Italia che, fino al 2012, incassava circa 76 milioni di euro all'anno dalle vacanze dei cittadini thailandesi e che permettevano,quindi, di dare lavoro a migliaia di persone e di risollevare l'economia di numerose regioni –:
   se sia a conoscenza delle questioni sollevate in premessa e come intenda far fronte ai disagi descritti presso l'ambasciata italiana di Bangkok;
   quali provvedimenti intenda adottare al fine di snellire la procedura del rilascio del visto presso la stessa ambasciata per consentire all'Italia di tenere il passo degli altri Stati europei che hanno firmato il trattato di Schengen. (4-04509)

  Risposta. — I visti per turismo rilasciati a richiedenti in Thailandia sono al quinto posto fra i Paesi dell'Asia, e si ritiene che vi siano ulteriori potenzialità di crescita. I visti turistici hanno rappresentato l'82,8 per cento degli oltre 25.000 visti emessi in Thailandia nel 2013, mentre nel primo trimestre di quest'anno, con 6.692 visti per turismo emessi a fronte dei 5.000 dello stesso periodo del 2013, si registra un incremento del 33,8 per cento. Proprio per tali ragioni, l'ambasciata d'Italia a Bangkok, in stretto coordinamento con il Ministero degli affari esteri, è impegnata da tempo per il costante miglioramento del servizio visti e per il suo potenziamento. A tal fine, già a dicembre 2011, a seguito di una gara internazionale, l'ambasciata aveva esternalizzato il servizio di raccolta delle domande alla società Vfs Global. La collaborazione con fornitori esterni di servizi rientra fra le misure espressamente previste in sede dell'Unione europea per velocizzare le procedure e i tempi di rilascio dei visti, specialmente a fronte di un elevato numero di richiedenti. Tutti i nostri principali uffici consolari, al pari degli altri partner Schengen, ricorrono ormai a questi fornitori di servizi. Non si è trattato pertanto di una decisione del nuovo capo missione, insediatosi a novembre 2013, ma di una decisione precedente.
  Il coinvolgimento della società Vfs global non ha peraltro inasprito le procedure per la trattazione dei visti, che restano sotto il pieno controllo dell'ambasciata. Le società esterne di servizi, come previsto dalla normativa Schengen, si limitano infatti ad accogliere il pubblico per la presentazione delle domande di visto, la raccolta della documentazione, l'acquisizione delle impronte digitali e la restituzione dei passaporti, senza incidere in alcun modo sul processo decisionale. Lo specifico riferimento da parte degli interroganti ai riscontri effettuati dall'ambasciata sulle prenotazioni alberghiere rientra fra le attività ordinarie di verifica delle condizioni di ingresso e valutazione del rischio previste dall'articolo 23 del codice europeo visti (Regolamento CE n. 810 del 2009), Tale controllo viene svolto in particolare per i viaggi di gruppo, al fine di verificare la corrispondenza tra i nominativi inclusi nel gruppo dei richiedenti e la prenotazione alberghiera. Si tratta peraltro di procedure uniformi concordate in sede dell'Unione europea fra Commissione europea e Stati membri, e applicate da tutte le stesse ambasciate dei paesi Schengen presenti in Thailandia.
  Le impronte digitali dei richiedenti vengono prelevate da novembre 2013 a seguito dell'avvio anche nei Paesi del sudest asiatico del Visa information system (Vis), espressamente previsto dai Regolamenti CE n. 810/2009 e n. 767/2008. È una misura che riguarda non solo l'Italia, ma tutti i partner Schengen. Quanto alla conservazione delle impronte, queste vengono automaticamente immagazzinate nel sistema informativo Schengen per 59 mesi dopo il prelievo. In tale lasso di tempo le impronte sono disponibili per tutti i partner Schengen, senza che il richiedente debba perciò depositarie nuovamente.
  Nonostante le menzionate procedure di controllo sulle prenotazioni e l'acquisizione delle impronte, i tempi medi di rilascio dei visti da parte dell'ambasciata italiana a Bangkok ammontano a 8 giorni, e spesso si resta al di sotto di una settimana. Sono tempi in linea a quelli dei principali paesi Schengen, e talvolta anche inferiori. Si ricorda che il codice europeo dei visti fissa in quindici giorni il termine massimo per la trattazione delle domande. Nonostante la diminuzione di organico del personale subìta dall'ambasciata italiana a Bangkok essa è riuscita a mantenersi in linea con i tempi di rilascio del visto di Francia e Germania.
  Tale riduzione di organico si inquadra nell'ampio processo di riduzione degli organici del Ministero degli affari esteri; dal 1o gennaio 2010 al 1o gennaio 2014 il personale di ruolo della Farnesina è infatti sceso da 4,572 a 4.103 (diminuzione del 10 per cento). Risalendo al 2007, le unità «perse» dalla Farnesina in termine di presenze effettive sono state addirittura oltre 1.000.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   MANLIO DI STEFANO, DEL GROSSO, DI BATTISTA, GRANDE, SCAGLIUSI, SIBILIA e SPADONI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   su segnalazione di alcuni cittadini iraniani che adesso vivono in Italia, gli interroganti hanno appreso di gravi problemi inerenti al rapporto che la gente iraniana ha con il consolato Italiano a Teheran in Iran;
   fino a qualche anno fa i cittadini iraniani potevano prenotare un appuntamento presso il consolato d'Italia mediante il sito internet del consolato stesso;
   oggi, stando alle segnalazioni pervenute, l'appuntamento viene fissato esclusivamente tramite una telefonata (dalle ore 7,30 alle ore 10,30);
   la linea telefonica risulta essere sempre occupata e, nello stesso tempo, da quanto riferito a voce agli interroganti, «sono apparse» alcune persone che stazionano davanti agli uffici del consolato, che avvicinano gli utenti in attesa e «vendono» loro gli appuntamenti in Consolato dietro cifre che variano a seconda dell'urgenza dell'utente; più è urgente la richiesta dell'utente e più è alto il prezzo degli appuntamenti;
   inoltre, sempre secondo queste segnalazioni, esisterebbero delle agenzie di viaggio che «garantiscono» l'acquisto del visto con annesso l'appuntamento in consolato e tutto questo dietro cifre da capogiro) –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   come intenda intervenire al fine di verificare le suddette segnalazioni da parte dei cittadini;
   come intenda procedere, laddove fossero confermate, per ripristinare una corretta procedura amministrativa;
   come intenda debellare eventuali azioni illecite che infangherebbero il nome e il prestigio dell'Italia nel mondo.
(4-06098)

  Risposta. — Nel corso del 2013 la sezione consolare della nostra ambasciata a Teheran ha trattato 28.633 domande di visto, rilasciando oltre 22.850 visti. È la seconda ambasciata a Teheran per numero di visti trattati, dopo quella della Germania (quest'ultima nello stesso anno ha trattato 41.785 domande).
  Fino all'ottobre 2012 l'ambasciata italiana si avvaleva, per il settore visti, della collaborazione di una società di «outsourcing», con particolare riguardo alla gestione degli appuntamenti e alla ricezione delle domande di visto. Tale servizio è stato interrotto con l'avvio in Iran del nuovo sistema europeo per i visti, il «Vis – Visa information system» che impone l'acquisizione delle impronte digitali dei richiedenti: la società privata non ha più potuto operare sul territorio iraniano a causa dell'impossibilità di importare nel Paese gli scanner (basati su tecnologia Usa, e inclusi nel regime sanzionatorio) per l'acquisizione delle impronte digitali.
  L'abolizione del servizio esterno ha comportato un notevolissimo aumento dalla mole di lavoro per l'ambasciata, che ha dovuto farvi fronte con il personale a disposizione. Per la gestione delle prenotazioni all'ufficio visti si è ricorsi, dall'ottobre 2012 alla fine del 2013, ad un apposito software, denominato «Prenota on line», elaborato dalla Farnesina e messo a disposizione di tutti gli uffici diplomatico-consolari.
  Dopo una iniziale buona operatività, agenzie e altri operatori iraniani hanno subissato il sistema di richieste, anche attraverso l'utilizzo di reti informatiche. Si sono ad un certo punto registrati veri e propri attacchi informatici da parte di hackers non identificati: non appena venivano rilasciati slot orari disponibili per appuntamenti sul «Prenota on line», essi venivano tutti occupati nel giro di qualche minuto.
  Tali attacchi hanno bloccato l'intero server del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale dedicato alla gestione del programma in tutto il mondo, imponendo lo spostamento del servizio per Teheran su un server ad hoc. I tentativi di bloccare utilizzi irregolari di tale programma (ad esempio attraverso l'adozione di un sistema di identificazione aleatorio – sistema Chapta) non hanno funzionato e il sistema è divenuto inutilizzabile per il pubblico.
  Ad inizio 2014 è stato quindi necessario attivare un sistema alternativo di prenotazioni che utilizza sia il canale telefonico (inizialmente attivo dalle ore 7,30 alle ore 10,30 di ogni giorno, dal lunedì al giovedì) sia quello delle richieste via mail. Inoltre l'ambasciata ha stabilito «corsie preferenziali», per le quali non è richiesto il preventivo appuntamento, dedicate alle domande di visto per affari, a quelle di chi dispone di un invito dall'Italia ed alle richieste di visti nazionali (di lungo soggiorno) per studio, lavoro e ricongiungimento familiare. Un accesso facilitato riguarda anche un limitato numero di agenzie di viaggio accreditate, che organizzano regolarmente gruppi verso il nostro paese.
  Lo strumento telefonico, prevalentemente destinato ai turisti individuali, dopo i primi mesi di buon funzionamento è stato recentemente fatto oggetto di numerosissime richieste da parte di agenzie e altri operatori iraniani, che intasano le linee telefoniche creando problemi ai singoli utenti.
  Inoltre negli ultimi mesi, anche in concomitanza con la stagione estiva, la nostra ambasciata è stata sottoposta ad una eccezionale pressione di richiedenti visto, probabilmente alimentata dalle prassi restrittiva avviata da altre ambasciate europee attive a Teheran, preoccupate per il crescente rischio di immigrazione clandestina diretta nei rispettivi paesi.
  La questione è stata discussa, da ultimo, in occasione delle consultazioni consolari fra Italia e Iran che si sono svolte a Teheran il 16 settembre 2014. Anche a seguito di ripetute segnalazioni e reclami da parte dell'utenza, l'ambasciata d'Italia, in coordinamento con la Farnesina e con le autorità iraniane, ha adottato alcune misure di prevenzione e controllo, allungando i tempi di operatività del centralino telefonico (adesso il servizio è infatti attivo fino alle ore 12:30), sottoponendo tutte le agenzie accreditate a verifiche per evitare abusi e fenomeni di «vendita degli appuntamenti» e invitando le autorità locali ad intervenire per contrastare le attività di impropria intermediazione che vengono segnalate negli spazi antistanti i locali consolari, rispetto alle quali l'ambasciata non ha alcuna possibilità di intervento autonomo.
  In tutte le sedi consolari è in corso di attuazione una strategia per la gestione dei rischi (risk management) connessi alla trattazione delle pratiche di visto. A Teheran, in particolare, sono stati avviati controlli in collaborazione con le autorità locali, per verificare la veridicità e la consistenza del fenomeno della «vendita degli appuntamenti». In nessun caso finora tali controlli hanno portato a raccogliere dati concreti in ordine a fatti, persone e circostanze, limitandosi le denunce ricevute a generiche accuse non supportate da elementi circostanziati.
  Sono poi state suggerite all'ambasciata una serie di misure atte a ridurre – pur nella difficile situazione di personale e di risorse finanziarie in cui essa versa – i rischi di cattiva gestione o di corruzione nel settore dei visti d'ingresso. Tra di esse il ricorso a nuovi strumenti di prenotazione degli appuntamenti on line, attraverso imprese esterne specializzate, seguendo le migliori prassi in uso da parte degli altri paesi Schengen a Teheran.
  Nelle prossime settimane è previsto rinvio in loco di una missione di valutazione e assistenza da parte di funzionari specializzati del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per una analisi accurata della situazione e la formulazione di raccomandazioni per il miglior funzionamento dell'ufficio consolare della nostra ambasciata. Quest'ultimo sarà a breve trasferito in una nuova struttura anche con l'obiettivo di migliorarne la funzionalità.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   FERRARA, AIRAUDO, DI SALVO, DURANTI, PAGLIA, AIELLO, LAVAGNO, PIRAS, LACQUANITI, NICCHI, RICCIATTI, MELILLA, CLAUDIO FAVA, QUARANTA e PANNARALE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la direzione aziendale di AnsaldoBreda nella giornata del 6 giugno 2013 ha formalmente comunicato alle organizzazioni sindacali la drammatica notizia della rescissione delle commesse del V250 da parte del Belgio e dell'Olanda. Da un comunicato diramato nella stessa giornata si apprende che le ragioni addotte dal cliente per giustificare una scelta che lo stesso management AnsaldoBreda giudica scorretta, inaccettabile e imprevista, sarebbero tutte di carattere tecnico, legate cioè alle presunte gravi carenze progettuali del treno;
   è inutile sottolineare l'impatto negativo, pesante e portatore di gravi ripercussioni che assume questa vicenda, sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista dell'immagine aziendale;
   non vi è da parte degli interroganti dubbio alcuno sulle storiche e consolidate capacità qualitative, produttive e professionali di AnsaldoBreda e delle sue maestranze, ma, ad avviso degli interroganti la scelta di rescindere il contratto da parte del Belgio e dell'Olanda è da considerarsi assolutamente pretestuosa, finalizzata ad escludere l'impresa italiana da un mercato che appare monopolizzato da Siemens;
   la situazione del settore civile di Finmeccanica rischia di precipitare a causa dell'assenza di politiche industriali del Governo Berlusconi prima e di Monti poi;
   si auspica che l'attuale Governo non prosegua sulla stessa strada, quando invece occorrerebbe un intervento deciso per rilanciare tutto il settore civile del Gruppo Finmeccanica, da AnsaldoBreda a Ansaldo STS, a Ansaldo Energia, a BredaMenarini, che rappresentano un vero patrimonio professionale, occupazionale e industriale per il nostro Paese, investendo su processi e prodotti e rilanciando la progettazione. I vertici di Finmeccanica devono bloccare immediatamente qualsiasi processo di depotenziamento e alienazione della tecnologia che si otterrebbe attraverso la cessione degli asset civili ai diretti concorrenti internazionali;
   focalizzare Finmeccanica al solo settore militare e della difesa, avrebbe, ad avviso degli interroganti, come unico risultato una forte penalizzazione per l'intero Gruppo Finmeccanica ed il Paese rimarrebbe privo di un patrimonio industriale strategico di primaria importanza;
   per un vero rilancio di Finmeccanica è necessario che il settore civile torni ad essere un punto di riferimento strategico per il Gruppo e per il Paese;
   vi è ad esempio la necessità che il Governo metta in atto politiche industriali volte a ricomporre la filiera del settore ferroviario;
   e, sotto tale profilo si segnala che, AnsaldoBreda nella costruzione dei treni, Ansaldo STS nel segnalamento e sistemi, Ansaldo Energia nella produzione di energia, turbine a gas e a vapore, generatori e centrali elettriche complete e BredaMenarini nella produzione di autobus, sono aziende di eccellenza e rappresentano nel mercato mondiale un settore in netta crescita e produttivo di utili;
   inoltre, si deve rilevare che il Ministero dell'economia e delle finanze rappresenta il principale azionista di Finmeccanica con una quota pari al 32,45 per cento della società e che tale partecipazione è soggetta alla disciplina dettata dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 settembre 1999, secondo cui tale quota non può scendere al di sotto della soglia minima del 30 per cento del capitale sociale. In buona sostanza, nessun altro azionista può detenere una quota del capitale di Finmeccanica superiore al 3 per cento senza l'approvazione del Ministero dell'economia e delle finanze –:
   quali azioni urgenti il Governo intenda assumere, in qualità di azionista di riferimento di Finmeccanica, affinché Finmeccanica stessa modifichi la propria strategia industriale attraverso investimenti ad anche con trasferimento di tecnologie dal militare al civile, fermando qualsiasi ipotesi di cessione degli asset civili, a partire da AnsaldoBreda, Ansaldo STS, Ansaldo Energia e BredaMenarini, così da garantire che le scelte della società vadano della direzione dello sviluppo e del rilancio produttivo dei settori e degli stabilimenti che rappresentano un'importantissima risorsa strategica per il Paese. (4-00915)


   FERRARA e AIRAUDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 1° agosto 2013, l'amministratore delegato di Finmeccanica, Alessandro Pansa, riguardo ad Ansaldo Breda, ha avanzato l'ipotesi della creazione di una bad company per le attività legate al trasporto regionale e i tram;
   nel corso di un solo anno, sul futuro di Ansaldo Breda, sono state prospettate da parte dei vertici di Finmeccanica le più svariate soluzioni: dalla vendita totale, alla ricerca di una partnership industriale, alla chiusura di alcuni stabilimenti;
   ad avviso degli interroganti, l'unica cosa che emerge con chiarezza è la troppa semplicità con cui si ritiene che il vero problema di Finmeccanica sia rappresentato da Ansaldo Breda, senza considerare le opportunità di mercato che proprio il trasporto regionale e le reti tramviarie possono avere nel mondo;
   il piano annunciato da Pansa durante la presentazione dei risultati semestrali agli analisti prevede, in sostanza, di dividere in due Ansaldo Breda per far confluire in una bad company tutti i contratti da lui definiti «più complicati» per lasciare nella «nuova entità» le attività legate all'alta velocità ferroviaria e al trasporto metropolitano. In sintesi, ad avviso degli interroganti l'unica iniziativa straordinaria che l'amministratore delegato di Finmeccanica riesce a mettere in campo per risolvere le inefficienze strutturali e congiunturali dell'azienda sarebbe quella dello spacchettamento con la conseguente volontà del management di disfarsi di un settore strategico per il nostro Paese, salvaguardandone soltanto una minima parte definita «buona»;
   sarebbe auspicabile che il Governo non favorisca la strada tracciata dall'attuale amministratore delegato di Finmeccanica, Alessandro Pansa che vorrebbe concentrare l'attività di Finmeccanica sui settori dell'aerospazio e difesa, quando invece occorrerebbe un intervento deciso per rilanciare tutto il settore civile del gruppo Finmeccanica, da AnsaldoBreda a Ansaldo STS, a Ansaldo Energia, a BredaMenarini, che rappresentano una ricchezza professionale, occupazionale e industriale per il nostro Paese, investendo quindi su processi e prodotti e rilanciando la progettazione;
   il Governo, dunque, dovrebbe bloccare immediatamente qualsiasi processo di depotenziamento e alienazione della tecnologia che si otterrebbe attraverso la cessione degli asset civili o la creazione di bad company;
   concentrare l'attività di Finmeccanica nel solo settore militare e della difesa, provocherebbe, ad avviso degli interroganti, una forte penalizzazione per l'intero gruppo Finmeccanica ed il Paese rimarrebbe privo di un patrimonio industriale strategico di primaria importanza;
   per rilanciare Finmeccanica è necessario che il settore civile torni ad essere un punto di riferimento strategico per il gruppo e per il Paese;
   vi è ad esempio la necessità che il Governo metta in atto politiche industriali volte a ricomporre la filiera del settore ferroviario e, AnsaldoBreda nella costruzione dei treni, Ansaldo STS nel segnalamento e sistemi, Ansaldo Energia nella produzione di energia, turbine a gas e a vapore, generatori e centrali elettriche complete e BredaMenarini nella produzione di autobus, sono aziende di eccellenza, rappresentando nel mercato mondiale un settore in netta crescita e produttivo di utili;
   esattamente un mese fa il Governo, nel rispondere ad una interpellanza urgente presentata dal Gruppo Sinistra Ecologia e Libertà, (n. 2-00125) ha sottolineato: a) che l'amministratore delegato nei mesi scorsi ha fatto un lavoro molto importante di riorganizzazione dell'azienda stessa nel suo insieme; b) che il presidente nominato, Gianni De Gennaro, è persona di altissima qualità ed esperienza; c) che la nomina dell'ambasciatore Minuto Rizzo risponde esattamente ai criteri necessari a Finmeccanica; d) che il Governo stava seguendo con grande attenzione il processo di riorganizzazione del gruppo, nonché la focalizzazione degli investimenti del stesso Gruppo su alcuni settori strategici tra cui anche quello civile;
   il Governo, peraltro, ha auspicato che qualsiasi decisione riguardante il perimetro di azione di Finmeccanica avvenga salvaguardando il radicamento direzionale e produttivo delle società controllate nel nostro Paese, e puntando soprattutto a salvaguardare la presenza territoriale degli impianti, le competenze, i livelli occupazionali, il know-how;
   purtroppo, i dubbi degli interroganti di allora sono addirittura aumentati, perché se le uniche soluzioni proposte dal nuovo vertice sono solo legate a politiche di dismissione e «spacchettamenti», il tema di capire chi faccia la politica industriale in quel gruppo rimane e nel nuovo assetto continua a non essercene traccia;
   vero è che ci sarebbe bisogno di una riorganizzazione profonda, a partire da Ansaldo Breda, ma il processo di riorganizzazione dovrebbe avvenire dentro una logica di mantenimento, di difesa e di sviluppo di queste aziende e, soprattutto, dentro il perimetro di Finmeccanica;
   peraltro, dalle parole dello stesso Pansa emerge come sia sempre più evidente il fatto di voler utilizzare la Ansaldo Sistemi e Segnalamento per liberarsi di Ansaldo Breda. Infatti, un'altra ipotesi avanzata è quella di mettere sui mercato anche Ansaldo STS, sperando che, chi è interessato a quell'azienda, possa acquistare anche Ansaldo Breda, operazione che, ad avviso degli interroganti, sarebbe sicuramente sbagliata –:
   quali azioni urgenti il Governo intenda assumere, in qualità di azionista di riferimento di Finmeccanica, affinché Finmeccanica stessa modifichi la propria strategia industriale attraverso investimenti e anche con trasferimento di tecnologie dal militare al civile, fermando qualsiasi ipotesi di cessione degli asset civili o di creazione di bad company, a partire da AnsaldoBreda, Ansaldo STS, Ansaldo Energia e BredaMenarini, così da garantire che le scelte della società vadano nella direzione dello sviluppo e del rilancio produttivo dei settori e degli stabilimenti che rappresentano un'importantissima risorsa strategica per il Paese e se il governo non intenda convocare immediatamente un tavolo di confronto per esaminare sin da subito la situazione del gruppo Finmeccanica e discutere sul futuro di AnsaldoBreda. (4-01605)

  Risposta. — Per quanto di competenza, si risponde congiuntamente alle interrogazioni in esame, riguardando la medesima problematica.
  Il consiglio di amministrazione di Finmeccanica ha deciso, sotto la conduzione del nuovo amministratore delegato, di intraprendere un processo di ristrutturazione. Il Governo ritenendo che il gruppo abbia un ruolo fondamentale per favorire una strategia di potenziamento della capacità competitiva del sistema produttivo italiano, guarda con grande attenzione alla strategia che Finmeccanica intende seguire e al suo piano industriale.
  Il piano industriale di Finmeccanica prevede la concentrazione delle attività in settori a elevata innovazione tecnologica, in particolare quelli dell'aerospazio, difesa e sicurezza. Si rileva come, all'interno di questo gruppo di settori, non sia presente solo il comparto militare, ma si abbia anche una presenza amplissima di produzioni per il settore civile. Basti pensare alle attività di Selex, alle attività di Telespazio, alle attività di Avio, alle attività di Aermacchi e così via. Il Governo ritiene che questi siano settori in cui sia assolutamente necessario rafforzare la presenza italiana e che Finmeccanica sia l'operatore chiave per questa operazione.
  Si è nella convinzione che Finmeccanica debba avere come missione principale quella di stare sui settori a tecnologia più avanzata, di sviluppare innovazione tecnologica di punta in tecnologie che, come dice la comunicazione della Commissione europea sulla politica industriale, sono tecnologie abilitanti, cioè tecnologie che hanno ricadute a catena su tutto il sistema economico e che, quindi, aprono nuove frontiere di competitività all'economia italiana.
  Per fare questa operazione strategica per la politica industriale italiana è necessario che Finmeccanica concentri le sue capacità manageriali nonché di ricerca e sviluppo in questi settori e concentri notevoli capacità finanziarie in questi comparti. C’è bisogno, pertanto, di un rafforzamento patrimoniale di Finmeccanica, di un suo riequilibrio patrimoniale che faciliti la raccolta di risorse finanziarie sui mercati e che, quindi, potenzi le capacità della stessa azienda di investire in tali settori.
  Pertanto, sono state seguite con interesse e sostegno le operazioni di dismissione di alcune aziende di Finmeccanica. La prima è stata Ansaldo Energia.
  La stessa cosa dovrà avvenire anche per il settore del trasporto ferroviario. Qui si è pensato fosse essenziale, come del resto Finmeccanica ha fatto, combinare insieme Ansaldo Sts, società leader nel segnalamento, e Ansaldo Breda, società del materiale rotabile che fa riscontrare da qualche anno risultati gestionali negativi.
  In molti casi, infatti, le gare a livello internazionale sono effettuate per la combinazione insieme di materiale rotabile e servizi di segnalamento: per questo motivo, l'unione tra Sts e Breda può essere virtuosa.
  Ma non basta questo; va anche individuato un interlocutore con forti capacità industriali, notevoli capacità finanziarie e posizionamento sui mercati internazionali in modo da consentire a STS e a Breda di aprirsi al mercato globale.
  Si potrà obbiettare che la Ansaldo STS è già una azienda di eccellenza, ma le proprie dimensioni oggi, non sembrano adeguate; c’è bisogno di una crescita dimensionale all'interno di un sistema di sinergie industriali.
  Breda ha bisogno, invece, di una profonda riorganizzazione, deve guadagnare efficienza e, quindi, diventare un'impresa che realmente è in grado di competere sui mercati internazionali. È necessario individuare un partner industriale capace di realizzare questo processo, che sappia condurre Ansaldo-Breda ai livelli di qualità e di efficienza che devono corrispondere a una forte presenza internazionale della stessa azienda.
  Di qui, la procedura avviata da Finmeccanica per individuare un interlocutore in grado di rilevare queste società in modo da aprire esattamente questa prospettiva. Voglio segnalare che i criteri fondamentali di valutazione per il Governo, nei confronti di questa operazione, saranno costituiti dal piano industriale che le società, in competizione fra loro nell'acquisizione di Ansaldo-STS e Ansaldo-Breda, presenteranno, dal più o meno marcato radicamento nella realtà produttiva italiana, dal permanere in Italia dell'attività di ricerca e di sviluppo e dell'attività di produzione, dalla capacità di aprire spazi di mercato internazionale ad Ansaldo-STS e Ansaldo-Breda. Questi sono i parametri su cui ragiona il Governo: naturalmente, Finmeccanica tiene conto anche di altri aspetti.
  In particolare, la holding terrà in considerazione, oltre al piano industriale, anche il valore di cessione.
  Le azioni che il Governo, infine, intende mettere in atto nel rapporto con Finmeccanica sono le normali azioni di indirizzo stabilite dalla normativa vigente, nel pieno rispetto, tuttavia e come d'altronde è necessario quando si è azionisti di riferimento di una grande impresa che sta e che compete sui mercati internazionali, dell'autonomia manageriale dell'azienda.
  Il rapporto tra il Governo e il management di Finmeccanica è, in conclusione, un rapporto di rispetto dell'autonomia e dei poteri reciproci. Il Governo ha un potere di indirizzo, il management è responsabile del modo in cui quegli indirizzi si traducono in azioni di mercato, in strategie industriali capaci di garantire la competitività a lungo termine delle aziende di Finmeccanica. È in questo ambito che l'interazione fra Governo e Finmeccanica è molto viva, come deve essere, ma dentro parametri che sono quelli di un corretto rapporto con un'impresa che si misura sui mercati.
Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   a Francoforte da quindici anni è attivo il progetto italo-tedesco di insegnamento bilingue «biLiS» che garantisce un percorso formativo dalla scuola elementare alla maturità per classi miste italo-tedesche e che coinvolge cinque scuole: tre elementari, un Gymnasium e una Realschule;
   il progetto negli ultimi anni ha subito fattori di tensione dovuti da un lato al progressivo ridimensionamento del sostegno assicurato in precedenza, dall'altro al costante arrivo di famiglie italiane che particolarmente in Germania cercano le occasioni di lavoro che non riescono a trovare nel nostro Paese;
   sulla situazione di Francoforte incombe inoltre il rischio della diminuzione del numero degli insegnanti del contingente scolastico assegnati al progetto bilingue;
   l'intreccio tra la diminuzione dei fondi e la limitazione del contingente sta mettendo il nostro Paese nella condizione di non poter più rispettare gli impegni contrattuali assunti con il Land dell'Assia, finanziatore per parte tedesca del medesimo progetto bilingue;
   questa evenienza, oltre a mettere a repentaglio il destino formativo di un gran numero di ragazzi, rischia di far regredire il positivo processo di integrazione e di scambio culturale che il progetto aveva favorito nel contesto di Francoforte –:
   se il Ministro non ritenga di assicurare anche per i prossimi anni al progetto «biLIS» le risorse necessarie per il suo svolgimento e per far fronte agli impegni assunti con le autorità scolastiche tedesche;
   se non ritenga di garantire anche per i prossimi anni scolastici la presenza di insegnanti italiani di ruolo necessari per la sopravvivenza e il positivo sviluppo del progetto. (4-03694)

  Risposta. — Il progetto «biLiS» riguarda un programma educativo bilingue, avviato sulla base del protocollo di collaborazione bilaterale per la sperimentazione di una «sezione di scuola elementare italo-tedesca di Francoforte sul Meno», firmato il 1° settembre 1997 dal Ministro della pubblica istruzione del Land Assia e dal Console Generale d'Italia a Francoforte allora in carica.
  Ai fini del rinnovo e dell'estensione dell'iniziativa presso altri istituti hanno fatto seguito il protocollo del 24 aprile 2002 e l'Accordo del 20 dicembre 2004. Da ultimo, con l'Intesa del 14 giugno 2010, il consolato generale a Francoforte e il Land Assia hanno convenuto sulla prosecuzione del modello bilingue presso le scuole elementari Muhlbergschule e Holzhausenschule e presso la scuola di livello secondario di primo e secondo grado Freiherr Von Stein di Francoforte sul Meno.
  Il vigente regolamento applicativo dell'Intesa impegna il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci) a mettere a disposizione «n. 4 docenti presso la scuola elementare Muhlbergschule, n. 2 docenti presso la scuola elementare Holzhausenschule e n. 4 docenti presso la scuola Freiherr Von Stein, di cui al massimo uno potrà essere sostituito con un contributo finanziario» (articolo 1.1).
  Con l'entrata in vigore della legge n. 135 del 2012 (cosiddetta «spending review») e la definizione di un nuovo limite massimo alle unità di contingente (624 e non più 1.400), il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha dovuto avviare una graduale riduzione del contingente del personale scolastico all'estero.
  In particolare nell'anno scolastico 2012/2013 è stato soppresso 1 dei 4 posti precedentemente in essere presso la scuola Frehierr Von Stein. A fronte di tale soppressione, nel rispetto dell'intesa del 2010, si è provveduto per l'anno scolastico 2013/2014 – su formale richiesta al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale della scuola interessata – all'assegnazione di un contributo finanziario di 21.000 euro per la conservazione della cattedra soppressa.
  Nell'anno scolastico 2014/2015 sono stati mantenuti 4 posti sulla scuola elementare Muhlbergschule (ripartiti in 3 posti presso la Muhlbergschule e 1 da condividere tra la Muhlbergschule e la Willermerschule, su richiesta del Consolato Generale a Francoforte) e 2 posti presso la scuola elementare Holzhausenschule. Il contingente della scuola Freiherr Von Stein è invece rimasto di 3 posti, in quanto l'istituto scolastico non ha presentato domanda al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale di contributo ad hoc per il finanziamento della 4a cattedra».
  Per quanto riguarda gli anni scolastici futuri, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministeri dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dell'economia e delle finanze è chiamato a dare ulteriore prosecuzione alla legge n. 135 del 2012 con l'obiettivo di raggiungere il numero massimo di personale all'estero pari a 624 unità (attualmente il contingente si attesta a 772 unità). La riduzione interesserà le scuole statali, paritarie, straniere, i lettorati, i corsi ex articolo 636 del decreto legislativo n. 297 del 1994, in tutto il mondo.
  Sebbene la riduzione del contingente e la conseguente necessità di razionalizzare la presenza scolastica all'estero comporteranno la necessità di rivedere le intese tecniche raggiunte prima del 2012, si cercherà di garantire la salvaguardia delle collaborazioni in atto, al fine di assicurare l'operatività del sistema scolastico italiano all'estero e nella consapevolezza del ruolo fondamentale che le nostre scuole e il nostro personale docente svolgono nell'azione di promozione dell'immagine dell'Italia nel mondo.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   a Wolfsburg è attiva da anni una scuola italo-tedesca che ha consentito di raccogliere e soddisfare le esigenze formative della numerosa comunità italiana e si è distinta per il proficuo livello didattico dimostrato nell'insegnamento bilingue;
   l'assetto didattico-organizzativo consolidatosi negli ultimi anni ha subito le negative conseguenze dei criteri adottati in applicazione delle misure di ridimensionamento del contingente scolastico inviato all'estero;
   a seguito della decisione di non reintegrare le cattedre rese vacanti dal rientro in Italia dei titolari, è stato già soppresso un posto dall'anno scolastico 2012-2013 e, se sarà applicato lo stesso criterio per il futuro, un secondo posto sui tre inizialmente previsti sarà a sua volta cancellato;
   dall'ultimo anno scolastico (2013-2014) la scuola bilingue di Wolfsburg, dalle classi elementari fino a quelle superiori, è stata investita da una acuta emergenza, dovuta al trasferimento nell'area di un gran numero di nuove famiglie italiane, che hanno rivolto a questa struttura una domanda formativa che la scuola non può pienamente soddisfare con un personale in diminuzione;
   in ogni classe si è dovuto conteggiare l'inserimento di non meno di cinque nuovi alunni appena arrivati dall'Italia, privi peraltro di ogni conoscenza del tedesco, senza la possibilità di essere affiancati da un insegnante italiano in quanto tutti gli operatori sono già impegnati a tempo pieno;
   finora solo la dedizione e il volontariato degli operatori hanno consentito di sopperire alle esigenze più impellenti, con la prospettiva che nemmeno questo apporto disinteressato possa bastare di fronte al continuo arrivo di altri ragazzi dall'Italia –:
   se non s'intenda per il prossimo anno scolastico rivedere secondo termini più realistici ed organici il criterio della eliminazione delle cattedre in base al rientro in Italia dei loro titolari e, più in generale, se di fronte all'incremento delle nuove mobilità degli italiani verso l'estero, non s'intenda riconsiderare in termini normativi il ridimensionamento del contingente scolastico;
   se il Ministero non intenda affermare, nella sostituzione degli insegnanti rientrati, una priorità per le scuole bilingue che rappresentano un modello didattico di primaria importanza e, nello stesso tempo, una soluzione indispensabile per fronteggiare le esigenze formative delle famiglie dei nuovi emigranti;
   se non intenda assicurare alla scuola italo-tedesca di Wolfsburg per l'anno scolastico 2014-2015 la copertura dei tre posti di insegnanti inviati da Roma indispensabili perché la scuola possa rispondere alla sua missione formativa in una comunità italiana tanto numerosa come quella di Wolfsburg. (4-03695)

  Risposta. — La graduale riduzione del contingente del personale scolastico italiano all'estero dalle 1.400 iniziali fino a 624 unità è stata prevista dall'entrata in vigore della legge n. 135 del 2012 (cosiddetta spending review), a partire dall'anno scolastico 2012/2013. Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI) per l'anno scolastico 2013/2014 è riuscito a modulare tale riduzione avvalendosi sia della possibilità di trasferimenti d'ufficio di personale già all'estero non in scadenza di mandato, sia con l'invio di personale dall'Italia in applicazione della legge n. 125 del 2013, per un numero limitato di posti. La normativa in questione consente, infatti, di conservare in contingente, senza variazione di spesa, un limitato numero di posti vacanti e disponibili sui quali assegnare unità di personale «per specificare ed insopprimibili esigenze didattiche o amministrative».
  Nel rispetto del dettato normativo della citata legge n. 135 del 2012, l'esperienza delle scuole bilingue è ritenuta particolarmente importante dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, che intende continuare ad avvalersi di tale strumento, al fine di garantire adeguate strutture educative, anche alla luce di una crescente domanda formativa.
  Per quanto concerne, in particolare, la scuola italo-tedesca di Wolfsburg, si precisa che nel 1992 è stato siglato il primo protocollo per l'avvio di una sperimentazione bilingue in una scuola elementare della località in questione. Grazie ad intese successive, la collaborazione è stata confermata ed ampliata anche alla scuola secondaria di I grado (dal 1997) e II grado (dal 2004), così da costituire il percorso formativo della «scuola unificata italo-tedesca di Wolfsburg».
  Il protocollo del 16 giugno 2010 ha permesso il proseguimento della sperimentazione bilingue presso la scuola «Leonardo da Vinci» e il liceo «Kreuzheide», fissando fino al 1o agosto 2012 l'impegno italiano ad inviare 2 docenti presso la scuola secondaria di I grado e 1 docente all'Istituto di II grado.
  Per effetto della legge n. 135 del 2012 è stata soppressa nell'anno scolastico 2012/2013 un'unità di contingente presso la «Leonardo Da Vinci». Si è, tuttavia, provveduto a compensare tale soppressione con l'assegnazione, nello stesso anno scolastico, di un contributo di 20.000 euro per il mantenimento della cattedra. Tale contributo è stato ridotto a 18.000 euro per l'anno scolastico 2013/2014 nel quale sono stati altresì conservati gli altri 2 posti: 1 sulla scuola secondaria di I grado e 1 sulla secondaria di II grado.
  Per l'anno scolastico 2014/2015 è stato mantenuto il contingente di 1 cattedra per la scuola secondaria di I grado e 1 per la scuola secondaria di II grado.
  Con riguardo alla scuola «Leonardo da Vinci» è in corso di valutazione la richiesta di contributo che dovrà essere erogato entro il corrente esercizio finanziario.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   GIGLI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 giugno 2014, sessione n. 26, il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha approvato con 26 voti a favore, 14 contrari e 6 astenuti una risoluzione volta alla protezione della famiglia;
   in particolare, si legge che la famiglia è «l'elemento naturale e fondamentale della società», «l'ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei bambini», e pertanto «deve ricevere la protezione e l'assistenza necessaria per poter assumere pienamente la propria responsabilità all'interno della comunità»;
   il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha inteso altresì esplicitare che tale risoluzione è stata prodotta:
    a) riaffermando gli obiettivi e i principi della Carta delle Nazioni Unite;
    b) ispirandosi della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo;
    c) richiamando le risoluzioni 244/82 dell'8 dicembre 1989 concernenti la proclamazione, la preparazione e la celebrazione dell'Anno internazionale della famiglia e dei suoi decimo e ventesimo anniversario;
    d) considerando che la preparazione e la celebrazione del ventesimo anniversario dell'Anno internazionale della famiglia sono una buona occasione per porre l'attenzione ancora una volta sui suoi obiettivi al fine di accrescere la cooperazione a ogni livello quanto alle questioni relative alla famiglia;
    e) riaffermando che incombe in primo luogo agli Stati di promuovere e proteggere i diritti dell'uomo e le libertà fondamentali di tutti gli esseri umani, in particolare delle donne, dei bambini e degli anziani;
    f) nella consapevolezza che spetta alla famiglia in primo luogo allevare e proteggere i bambini;
   tali valori, peraltro, sono pienamente rispondenti allo spirito della Costituzione e di conseguenza della normativa vigente;
   si legge difatti all'articolo 29, comma 1, della Carta fondamentale che «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio»;
   la Costituzione prevede anche misure positive volte alla tutela della famiglia tradizionale, in quanto all'articolo 31 è scritto che: «1. La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. 2. Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo»;
   nel corso della stessa sessione sono state respinte alcune proposte emendative, tra cui segnatamente una promossa dall'Uruguay, miranti ad allargare la protezione ad «altre tipologie di famiglie»;
   stante il chiarissimo dettato costituzionale, si deve tuttavia prender atto del voto sfavorevole del rappresentante italiano in merito alla risoluzione di cui sopra;
   la risoluzione del Consiglio per i diritti umani, infine, è di mera natura procedurale, quindi la sua conseguenza immediata sarà un dibattito sui modi di proteggere la famiglia e non implica alcun obbligo giuridico per gli Stati membri –:
   quali siano state le motivazioni che hanno portato il rappresentante del Governo italiano alla controversa presa di posizione riportata in premessa;
   quale voto il rappresentante del Governo italiano abbia espresso riguardo alle proposte emendative miranti ad allargare la protezione ad altre tipologie di famiglie;
   se nell'espressione del voto il rappresentante italiano abbia preventivamente condiviso la sua scelta con il Governo;
   posto che la presa di posizione italiana non appare all'interrogante in sintonia con il dettato costituzionale volto a valorizzare, in particolare al titolo II della parte prima, la «famiglia come società naturale fondata sul matrimonio» (articolo 29, comma 1). (4-05483)

  Risposta. — La risoluzione «protection of the family» è stata presentata quasi al termine della 26a sessione del consiglio diritti umani, conclusasi a Ginevra il 27 giugno 2014, da un gruppo trans-regionale di paesi. Si tratta di una risoluzione di natura procedurale (cioè non contenente impegni concreti di ordine giuridico sulla protezione della famiglia), che si limita a fissare lo svolgimento di un «panel discussion» sul tema in una prossima sessione del consiglio dei diritti umani.
  Nonostante la sua natura procedurale, il progetto di risoluzione si è da subito rivelato di difficile condivisione. Nel corso del negoziato si sono manifestate divergenze di posizioni tra paesi dell'Unione europea e altri paesi e, conseguentemente, l'Italia si è adoperata per il raggiungimento di una soluzione che fosse accettabile da entrambi gli schieramenti e allo stesso tempo salvaguardasse i punti fermi fissati dal nostro ordinamento interno, nella consapevolezza che una divisione nell'ambito del consiglio diritti umani avrebbe in ogni caso distratto ogni buona intenzione dall'obiettivo principale, ovvero la protezione della famiglia e di tutti i suoi componenti, in particolare le donne ed i bambini. Uno dei paesi presentatori della proposta di risoluzione ha tuttavia proposto una «
no action motion», istituto onusiano (peraltro rarissimamente utilizzato in consiglio diritti umani) volto ad impedire la presentazione (e conseguentemente il voto) di ogni proposta emendativa volta a migliorare o modificare una bozza di risoluzione. Tale azione è stata sostenuta da 22 delegazioni contro 20, di fatto non consentendo al nostro rappresentante a Ginevra di favorire un'intesa volta all'adozione consensuale di questa risoluzione.
  Di fronte a tale indisponibilità negoziale e al discutibile ricorso alla «
no action motion», i 9 Paesi dell'Unione europea che siedono in consiglio dei diritti umani (fra cui l'Italia) si sono trovati costretti a votare contro la risoluzione, anche come segno di disaccordo con le modalità con cui è stato condotto il negoziato. Ad essi si sono aggiunti altri importanti partner (Stati uniti, Giappone, Cile, Corea del sud, Montenegro).
  Nella delicata fase dell'inizio del semestre di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea l'Italia, per le ragioni sopra esposte, nella persona del nostro rappresentante a Ginevra, ha ritenuto opportuno attenersi al principio della solidarietà europea, principio che risulterà essenziale per sostenere alcune tra le più importanti iniziative dell'Unione europea alle Nazioni unite (queste sì di carattere sostanziale) come quelle sulla libertà di religione e la protezione delle minoranze religiose o quella sulla moratoria della pena di morte.
  In un'ottica di più ampio respiro, funzionale ai nostri interessi nazionali, mantenere unito il fronte Unione europea al Consiglio diritti umani era pertanto indispensabile per permettere all'Unione europea stessa di parlare con una voce sola nell'ambito della comunità internazionale. Ogni eventuale segnale di divisione sarebbe andato solo a detrimento della credibilità dell'Unione europea e dei suoi singoli membri.

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   IACONO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie riportate dalla stampa il Governo starebbe valutando una rimodulazione della quota di cofinanziamento nazionale per gli interventi sostenuti dai fondi strutturali e di investimento dell'Unione europea, rispetto a quanto indicato nell'accordo di partenariato relativo al periodo 2014-2020, trasmesso alla Commissione europea il 22 aprile 2014;
   l'accordo di partenariato prevede un cofinanziamento nazionale di 42,4 miliardi di cofinanziamento, a fronte di risorse stanziate dal bilancio europeo in favore dell'Italia pari a circa 43,8 miliardi di euro, di cui 32,2 miliardi dei fondi strutturali in senso stretto (Fondo europeo di sviluppo regionale – FESR e Fondo sociale europeo – FSE) e 10,4 miliardi di euro del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR);
   in particolare, il cofinanziamento statale includerebbe 24,5 miliardi di euro per gli interventi sostenuti dai fondi strutturali e 7,7 miliardi per quelli del FEASR, mentre a titolo di cofinanziamento di fonte regionale si prevedono 7,5 miliardi da destinare ai Programmi operativi regionali (POR) dei fondi strutturali e 2,7 miliardi per il FEASR;
   la previsione di una quota nazionale di cofinanziamento e la sua quantificazione rispondono a precisi obblighi posti regolamento (UE) n. 1303/2013, recante la disciplina generale applicabile ai fondi strutturali e di investimento dell'Unione europea. In particolare, secondo il regolamento ciascuno Stato membro è tenuto a contribuire agli interventi sostenuti dai fondi secondo le percentuali fissate da ciascun programma operativo in conformità alle regole specifiche di ciascun fondo per le categorie di regioni interessate;
   la rimodulazione del cofinanziamento statale, di cui non sono precisate l'entità e la modalità, sarebbe intesa, sempre secondo quanto riportato da notizie di stampa, alla riduzione in valori assoluti della quota di risorse nazionali destinata ai progetti sostenuti dai fondi strutturali con contestuale aumento, in termini percentuali, del contributo a carico del bilancio dell'Unione europea, che resterebbe immutato in valori assoluti;
   la rimodulazione sarebbe motivata dalla esigenza di ridurre migliorare i saldi di finanza pubblica, tenuto conto che gli stanziamenti destinati al cofinanziamento statale e regionale sono computati ai fini del rispetto delle soglie di indebitamento previste dal patto di stabilità e crescita;
   non appaiono tuttavia chiare le modalità e gli effetti della rimodulazione del cofinanziamento in questione. Ove esso consistesse in una riduzione delle sole risorse messe a disposizione dall'Italia nelle prime annualità della programmazione 2014-2020, con corrispondente aumento di quelle destinate agli anni seguenti, l'ammontare degli stanziamenti complessivi, europei e nazionali, rimarrebbe inalterato per il periodo in questione;
   ove invece si decurtasse l'importo complessivo del cofinanziamento indicato nell'accordo di partenariato, per effetto delle richiamate previsioni del Regolamento (UE) n. 1303/2013 l'Italia rinuncerebbe ad avvalersi di una quota consistente delle risorse ad esse assegnate nell'ambito della programmazione 2014-2020;
   la rinuncia ad utilizzare parte dei fondi europei già destinati all'Italia produrrebbe gravissimi effetti negativi a livello europeo e nazionale. Sotto il primo profilo, si registrerebbe un sensibile peggioramento del saldo netto negativo nei rapporti finanziari tra Italia e Unione europea, in quanto il contributo del Paese al bilancio europeo rimarrebbe inalterato a fronte di minori trasferimenti a titolo di fondi strutturali per interventi sul territorio nazionale. L'Italia inoltre riconoscerebbe la propria incapacità, sul piano finanziario e amministrativo ad avvalersi di uno strumento fondamentale della politica di coesione europea;
   sul piano nazionale, la riduzione delle risorse europee e nazionali destinate alla politica di coesione comporterebbe un gravissimo pregiudizio all'effettivo perseguimento di politiche di sviluppo soprattutto nelle regioni meno sviluppate (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), cui sono destinati circa 22 dei 32 miliardi di stanziamenti dei fondi strutturali –:
   se il Governo intenda rimodulare, rispetto agli stanziamenti previsti dalla legge di stabilità per il 2014 e alle indicazioni fornite nel progetto di accordo di partenariato 2014-2020, le risorse nazionali da destinare al cofinanziamento dei fondi strutturali e di investimento dell'Unione europea destinati all'Italia nel periodo in questione;
   se il Governo abbia valutato gli effetti che una riduzione del cofinanziamento nazionale produrrebbe sulla effettiva fruibilità da parte dell'Italia degli stanziamenti dei fondi strutturali e di investimento ad essa preassegnati e sul contributo netto dell'Italia al bilancio dell'Unione europea. (4-05830)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione a risposta scritta in oggetto, con la quale si chiede di conoscere quali siano gli intendimenti del Governo in ordine alla possibilità di procedere ad una rimodulazione della quota di cofinanziamento nazionale ai Fondi europei per la programmazione 2014-2020, si rappresenta quanto segue.
  La riduzione della quota di finanziamento nazionale ai fondi dell'Unione europea costituisce un'impostazione già utilizzata, a partire dal 2011, nel corso della programmazione 2007-2013 per far fronte ai gravi ritardi nell'attuazione dei programmi operativi causati dalla bassa capacità amministrativa riscontrata in talune amministrazioni, sia regionali sia centrali, che stava conducendo alla perdita di significative risorse per il nostro Paese. Mediante tale scelta, che ha comportato una riduzione complessiva delle risorse a disposizione delle amministrazioni in difficoltà, è stato possibile evitare il disimpegno automatico delle risorse comunitarie facendo conseguentemente aumentare il tasso di spesa rispetto alle risorse assegnate.
  La possibilità di operare analogamente per la nuova programmazione, vale a dire per il settennato che va dal 2014 al 2020, attraverso una riduzione della percentuale di cofinanziamento italiano dal 50 al 25 per cento scaturisce da una richiesta in tal senso pervenuta dalla Commissione europea e sollecitata dai suoi rappresentanti fin dai primi incontri per la definizione della nuova programmazione dei Fondi strutturali.
  Le disposizioni comunitarie (articolo 120 del regolamento Unione europea 1303/2013) stabiliscono che lo Stato membro partecipi al cofinanziamento degli interventi con proprie risorse, che per le regioni meno sviluppate dell'Italia corrispondono ad un tasso minimo del 20 per cento, al quale corrisponde un tasso di percentuale massimo di finanziamento comunitario dell'80 per cento del totale per gli interventi sul territorio interessato.
  In considerazione della richiamata richiesta della Commissione europea è stato avviato con le regioni un positivo confronto su questa impostazione, partendo da un'attenta valutazione della loro capacità di spesa, per poter in questo modo decidere a quali Amministrazioni lasciare intatta l'intera quota di cofinanziamento ed a quali operare la predetta riduzione. La conferma dell'intera percentuale di cofinanziamento a regioni con una capacità amministrativa ancora oggi bassa si tradurrebbe, infatti, in un inutile ed ingiustificato rischio di perdita di risorse.
  La preoccupazione manifestata nell'interrogazione in esame di una scelta effettuata dal Governo con il fine ultimo di ridurre le risorse del cofinanziamento per il miglioramento dei saldi di finanza pubblica o, in ogni caso, per destinarle ad altre finalità, non ha, a ben vedere, alcuna ragione di esistere. Tali risorse, infatti, verranno inserite in un apposito fondo, che non verrà in alcun caso destinato a scopi estranei alla politica di coesione.
  L'intenzione del Governo è di utilizzare le menzionate risorse per la realizzazione di progetti strategici da elaborare con il coinvolgimento delle regioni e delle amministrazioni competenti e che saranno affidati alla responsabilità di amministrazioni dotate di un livello adeguato di capacità amministrativa e tecnica, che consentirà il completamento degli interventi nei tempi programmati. Con il citato fondo, con il quale si darà luogo ad un'apposita programmazione parallela, verranno finanziati investimenti pubblici strategici e di più lungo periodo, sottraendoli alle più rigide regole temporali esistenti per i Fondi europei.
  La riduzione della quota di cofinanziamento nazionale non produrrà alcun effetto negativo sulla fruibilità da parte del nostro Paese degli stanziamenti di fondi comunitari assegnati per la programmazione 2014-2020 né modificherà l'importo del contributo netto al bilancio dell'Unione europea, restando invariate le risorse destinate all'Italia dall'Unione europea per il menzionato ciclo di programmazione.

Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriGraziano Delrio.


   LAVAGNO e PILOZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Acciai Speciali Terni spa, nota anche come AST, è una società italiana operante nel settore della metallurgia, siderurgia e informatica. È stata fondata il 10 marzo 1884 con il nome di Società degli Alti Forni, Fonderie e Acciaierie di Terni. Dal 2014 l'AST è controllata della ThyssenKrupp AG;
   con base a Terni e attraverso società controllate e partecipate in Italia e all'estero, l'azienda è specializzata nella lavorazione e distribuzione di acciai (inox, basso legati e al carbonio) destinati principalmente ai settori alimentari, edili, casalinghi, elettrodomestici, energetici e all'industrie di base, siderurgiche e meccaniche;
   l'Acciai Speciali Terni, ad oggi, si qualifica come gruppo industriale leader per l'impiantistica moderna e sofisticata, per le innovazioni tecnologiche e produttive e per la qualità dei propri processi e prodotti, classificandosi come uno dei maggiori poli siderurgici mondiali;
   durante la giornata di mercoledì 29 ottobre, ci sono stati momenti di tensione e scontri a Roma tra la polizia e le centinaia di operai dell'Acciaieria di Terni che manifestavano contro il piano industriale di ThyssenKrupp. I dimostranti hanno denunciato di essere stati manganellati dalle forze dell'ordine e quattro operai sono stati soccorsi, due dei quali risultano in ospedale con ferite alla testa;
   i manifestanti erano diretti al Ministero dello sviluppo economico, quando all'altezza di piazza Indipendenza sono stati bloccati dagli agenti della polizia in tenuta antisommossa. I manifestanti, che si stavano muovendo dal presidio sotto all'ambasciata tedesca sono stati respinti della polizia;
   la questura di Roma fa sapere che gli operai volevano andare verso la stazione Termini e occupare lo scalo romano, forzando il cordone delle forze di polizia e per questo motivo c’è stata una carica di contenimento. Tale informazione viene smentita dai manifestanti e dai rappresentanti sindacali;
   il Ministro dello sviluppo economico Federica Guidi, alla Camera ha dichiarato di essere «dispiaciuta e rammaricata sugli scontri di oggi con operai Ast. Il Governo ha garantito che entro questa sera verranno fatte tutte le verifiche ed è pronto a prendere anche eventuali misure. Esprimo l'auspicio che sia un caso unico, irripetibile. Episodi del genere non devono capitare» –:
   se il Ministro intenda fornire chiarimenti circa le motivazioni che hanno portato le forze di polizia a mutare così radicalmente il proprio atteggiamento nei confronti dei manifestanti rispetto ad analoghi casi verificatisi precedentemente e di approfondire nei dettagli la conoscenza degli avvenimenti e come intenda garantire il diritto a manifestare evitando che simili fatti si ripetano. (4-06672)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame l'interrogante pone una serie di quesiti concernenti i fatti che si sono verificati il 29 ottobre 2014 a Roma, in piazza dell'Indipendenza, durante una manifestazione delle maestranze della società Acciai Speciali Terni, nell'ambito della vertenza aperta con la proprietà ThyssenKrupp.
  Si premette che, nelle stesse ore in cui si svolgeva l'iniziativa in questione, a Roma erano contemporaneamente in corso: una manifestazione dei dipendenti della società Jabil di Marcianise, che ha visto la partecipazione di 250 lavoratori; quella dei dipendenti degli enti di ricerca di Roma; un'altra indetta dai lavoratori socialmente utili della Regione Lazio; e, infine, due presidi nei pressi di Montecitorio, pure determinati anch'essi da motivi occupazionali. Inoltre, erano in corso i lavori preparatori del servizio d'ordine della partita di calcio in programma la stessa sera allo stadio Olimpico.
  Punti di riferimento di gran parte di queste manifestazioni sono stati il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero dello sviluppo economico, che peraltro sono posti l'uno di fronte all'altro. Verso la sede di tali istituzioni si sono riversati cortei spontanei e presidi statici di manifestanti, circostanza che ha reso necessaria un'attività di doverosa regolamentazione, proprio per evitare ingorghi e confluenze improvvise che avrebbero potuto rendere particolarmente critiche le condizioni di agibilità del centro cittadino.
  Questo dato è particolarmente importante, in quanto si collega precisamente alla dinamica dei fatti che hanno riguardato la manifestazione relativa all'AST e ne spiega anche l'evoluzione.
  Quanto alla ricostruzione dei fatti, già dalle ore 9 della mattina si erano concentrati in piazza dell'Indipendenza circa 500 lavoratori dell'AST di Terni, allo scopo di essere ricevuti dall'ambasciatore di Germania, Stato di appartenenza del gruppo industriale Thyssen, a cui intendevano rivolgere una richiesta di interessamento.
  Poco dopo, una delegazione di lavoratori è stata ricevuta da diplomatici della legazione tedesca per circa un'ora. Al termine dell'incontro è seguito uno scarno comunicato dell'ambasciata giudicato insoddisfacente dai manifestanti. A questo punto è stata avanzata, da alcuni rappresentanti Fiom, la richiesta di poter dare vita ad un corteo in direzione della sede del Ministero dello sviluppo economico.
  Tale richiesta, tuttavia, non è stata immediatamente accolta, in considerazione del fatto che, presso quello stesso Ministero, erano già in corso, come sopra riportato, analoghe iniziative sindacali e che, dunque, l'afflusso di altri manifestanti avrebbe potuto determinare difficoltà di gestione dell'ordine pubblico.
  Peraltro, è subentrata anche la preoccupazione che alcuni manifestanti volessero in realtà dirigersi verso la vicina stazione Termini, atteso che tale voce era stata colta dai funzionari di polizia in servizio a piazza dell'Indipendenza.
  Un folto numero di manifestanti, dando vita ad un improvviso corteo, si è diretto verso via Solferino e, visto lo sbarramento opposto dalla polizia, ha poi deviato verso altre vie limitrofe che conducono, comunque, a piazza dei Cinquecento e, quindi, alla stazione Termini, rafforzando la preoccupazione che già era stata avvertita, cioè, che volessero dirigersi alla stazione.
  Al corteo è stato inutilmente intimato l'alt e, in breve, si è arrivati ad un concitato contatto fisico tra manifestanti e polizia, da cui è conseguito il ferimento di quattro manifestanti e di quattro operatori della polizia di Stato, un funzionario e tre agenti del reparto mobile, i quali tutti hanno riportato lesioni guaribili da un minimo di tre ad un massimo di quindici giorni.
  È poi sopraggiunto il segretario generale della Fiom, Landini, il cui intervento ha contribuito a riportare la calma tra i manifestanti. In seguito ha avuto avvio un breve negoziato per l'autorizzazione ad effettuare un corteo verso la sede del Ministero dello sviluppo economico, che si è concluso positivamente, con la definizione di un percorso concordato. Il corteo è quindi giunto, senza, incidenti, presso la sede di quel dicastero, dove il segretario della Fiom, unitamente ad una decina di delegati, è stato ricevuto dal Ministro Guidi che, frattanto, anche per la mediazione effettuata dalla questura, aveva dato la propria disponibilità all'incontro.
  I fatti ricostruiti sono stati oggetto di referto all'autorità giudiziaria, nel quale nessun manifestante è stato denunciato.
  Si informa che, per evitare che il difficile momento di crisi possa rappresentare l'involontaria fonte di conflitti e tensioni che rischierebbero di innescare pericolose derive, il Ministro dell'interno, nel corso dell'incontro avuto con i leader sindacali del settore metalmeccanico, nella serata del 29 ottobre, ha proposto che il Viminale possa ospitare tavoli di confronto con le organizzazioni dei lavoratori per affrontare, secondo un metodo di condivisione, le modalità di
governance di quelle manifestazioni che possono risultare più impegnative anche per l'ordine pubblico.
  Giova, inoltre, ricordare nel corso dell'informativa alle Camere resa il 30 ottobre 2014 sui fatti in questione, il Ministro dell'interno ha espresso la sua personale solidarietà ai lavoratori che hanno riportato ferite nel corso degli scontri, tanto quelli dell'AST quanto quelli della polizia di Stato.
  Concludendo, si assicura che, nella loro attività di mantenimento dell'ordine e della sicurezza durante le pubbliche manifestazioni, le forze di polizia operano attraverso sperimentati moduli operativi, costantemente ispirati a criteri di equilibrio e prudenza, in modo da garantire il diritto costituzionale della libera manifestazione del pensiero.
  L'efficacia di tale
modus operandi è dimostrato dalle migliaia di manifestazioni che ogni giorno si svolgono in Italia pacificamente grazie alla tutela assicurata dalle forze di polizia. Nel corso del 2014, si sono svolte sul territorio nazionale 5.934 manifestazioni di rilievo, di cui 2.350 vertenti su problematiche sindacali e occupazionali, la grande maggioranza delle quali ha avuto un corso assolutamente tranquillo.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   MAESTRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in diverse occasioni, negli ultimi mesi, le organizzazioni sindacali dei vigili del fuoco di Parma hanno segnalato il continuo verificarsi di guasti ai mezzi in dotazione al comando;
   in particolare, recentemente, è stata segnalata la non disponibilità di entrambe le autoscale a causa di una serie di guasti che hanno coinvolto gli unici due mezzi disponibili ed è risultata impossibile la sostituzione temporanea con mezzi provenienti da altri comandi;
   il comando dei vigili del fuoco di Parma ha ripetutamente avanzato la richiesta di fondi straordinari al dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile per fare fronte alle necessità di manutenzione straordinaria dei mezzi senza che la stessa venisse accolta;
   attualmente una sola delle due autoscale è operativa. Si tratta però di un mezzo risalente al 1974 e per il quale sono necessari frequenti interventi di manutenzione;
   in data 4 maggio 2014 un nuovo guasto ha interessato uno degli automezzi a disposizione del comando dei vigili del fuoco di Parma. Un'autopompa impegnata nel tragitto per un intervento di soccorso ha infatti subito un guasto al semiasse posteriore con il distacco parziale delle ruote, rendendo il mezzo del tutto incontrollabile da parte dell'autista;
   il guasto occorso all'automezzo, per la sua natura e per le circostanze in cui si è verificato, era tale da mettere in serio pericolo non solo l'incolumità degli operatori a bordo dello stesso ma anche quanti in quel momento si trovavano a transitare lungo la carreggiata stradale;
   le condizioni attuali dei mezzi, come dimostrano gli avvenimenti del 4 maggio 2014, sono tali da non garantire l'efficienza dell'indispensabile servizio fornito ogni giorno dal comando dei vigili del fuoco di Parma a tutela dell'incolumità pubblica e della sicurezza dei cittadini;
   in seguito all'incidente, l'autopompa risulta ancora attualmente inutilizzabile, circostanza tale da rendere difficoltoso garantire i servizi di soccorso –:
   quali misure si intendano adottare per garantire al comando dei vigili del fuoco di Parma la possibilità di riparare i mezzi non funzionanti e operare la necessaria manutenzione sui mezzi allo scopo di ripristinarne la piena operatività;
   quali provvedimenti si intendano adottare allo scopo di permettere al comando dei vigili del fuoco di Parma di sostituire i mezzi più antiquati le cui condizioni sono oggi tali da non garantire più la sicurezza degli operatori e la tempestività dell'indispensabile servizio svolto dagli stessi. (4-04731)

  Risposta. — I mezzi d'intervento a disposizione del Corpo nazionale dei vigili del fuoco sono soggetti a manutenzioni programmate, manutenzioni straordinarie e controlli periodici al fine di garantire l'assoluta sicurezza degli operatori e la massima efficacia nel soccorso. Per tale motivo, a rotazione, una percentuale dei mezzi viene posta temporaneamente fuori servizio.
  Il Comando provinciale dei vigili del fuoco di Parma dispone di due autoscale costruite una nel 1974 e l'altra nel 1996, quest'ultima riparata di recente.
  Voglio comunque assicurare che eventuali, future carenze di autoscale da parte del comando di Parma saranno fronteggiate dalla direzione regionale per l'Emilia-Romagna mediante un'opportuna ridislocazione dei mezzi nelle zone di competenza.
  Informo inoltre che, al fine di garantire una maggiore dotazione strumentale dei presidi sul territorio, è in corso la fornitura al dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile di 6 piattaforme aeree autocarrate e che è stato, inoltre, avviato il procedimento volto a bandire una gara per la fornitura di 10 autoscale. All'esito di tali procedure si procederà all'assegnazione dei mezzi, tenendo conto delle specifiche esigenze dei presidi presenti sul territorio nazionale e dunque anche del comando provinciale di Parma.
  Con riguardo al guasto dell'autopompa avvenuto il 4 maggio 2014, cui si fa riferimento nell'interrogazione, riferisco che il mezzo interessato è rimasto nella sede stradale, fino ad arrestarsi in condizioni di sicurezza, senza che vi sia stato alcun distacco parziale delle ruote o perdita di altri componenti del veicolo stesso.
  A seguito dell'avaria, l'automezzo è stato posto fuori servizio e il giorno seguente riparato presso un'officina autorizzata, con sostituzione dell'elemento danneggiato.
  Rappresento, infine, che il decreto-legge n. 119 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 146, ha autorizzato in favore del Ministero dell'interno la spesa di 2 milioni di euro per l'anno 2014, 4 milioni di euro per l'anno 2015 e 6 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2021, da destinare specificamente all'acquisto di automezzi per il soccorso tecnico urgente.
  Tale disposizione normativa consentirà di venire incontro, almeno in parte, alle esigenze di ammodernamento di mezzi e attrezzature del Corpo dei vigili del fuoco su tutto il territorio nazionale.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   MARCON, ZAN, PELLEGRINO, CLAUDIO FAVA e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nelle settimane scorse Gianfranco Bettin, già deputato della Repubblica e attualmente assessore all'ambiente del comune di Venezia, è stato oggetto, insieme ai familiari, di minacce di morte;
   il quotidiano Il Gazzettino del primo maggio 2013, in un articolo a firma Maurizio Dianese ha portato a conoscenza dell'opinione pubblica tali fatti;
   precisamente l'articolo riportava inquietanti episodi intimidatori, tra cui scritte intimidatorie, minacciosi allarmi notturni relativi a supposte violenze a danno della madre ammalata e ricoverata in ospedale e in ultimo il disegno di una bara sullo specchio dell'ascensore del condominio dove abita lo stesso;
   non è la prima volta che tali episodi accadono. Nel 1996, quand'era prosindaco di Venezia, fu oggetto della simulazione di una «esecuzione» (alcuni criminali lo sequestrarono e gli puntarono una pistola alla tempia premendo il grilletto, fortunatamente l'arma era scarica);
   gli interroganti ricordano che Bettin, a seguito di quell'episodio e delle sue ripetute prese di posizione contro la criminalità locale, è stato per anni, sotto scorta;
   gli interroganti sono altresì a conoscenza che le autorità locali (questura e Digos) sono allertate e in qualche modo attivate –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per tutelare la sicurezza di Gianfranco Bettin e dei suoi familiari;
   quali siano le direttive date e seguite concretamente dalle autorità locali per garantire la sua incolumità. (4-00360)


   MARCON. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la mattina del 17 aprile 2014, accompagnate da atti vandalici, sono ricomparse sul muro prospiciente il canale tra Murano e Burano, sull'isola di San Giacomo in Paludo a Venezia, scritte insultanti contro l'assessore Gianfranco Bettin e contro il nascente Parco della Laguna Nord. Oasi voluta dal comune di Venezia, la cui nascita è oggetto di discussioni e di attese da circa venti anni e la cui definitiva approvazione è prevista per fine aprile-primi di maggio, con il voto conclusivo del consiglio comunale;
   il succitato episodio si verifica per la seconda volta, poiché già nelle scorse settimane scritte analoghe erano comparse per poi essere cancellate;
   altrettanto significativo è il fatto che, oltre al danneggiamento materiale del muro sul quale sono comparse le scritte, i vandali abbiano divelto la targa dei Vas – Verdi ambiente società, associazione ambientalista che si occupa della tutela dell'isola, e distrutto un capanno;
   nei giorni scorsi, l'assessore Bettin ha ricevuto direttamente a casa intimazioni a non procedere con l'istituzione del Parco insieme a pesanti minacce di morte accompagnate da ulteriori minacce contro sua madre alla quale i persecutori hanno dichiarato «aperta la caccia». Fatti che l'assessore ha regolarmente provveduto a documentare e denunciare alla polizia di Stato e che evidenziano un netto salto di qualità della minaccia che non può e non deve assolutamente essere ignorato;
   ciò che si desume dall'intensificarsi di tali minacce e vandalismi è evidentemente il tentativo da parte di alcuni di ostacolare la realizzazione del Parco, il quale imporrebbe il rispetto di regole e tutele che rappresenterebbe un ostacolo per gli interessi che questi ultimi hanno sempre esercitato a scapito della laguna –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda intraprendere affinché i responsabili di questo grave episodio siano individuati nonché quali siano le direttive date e seguite concretamente dalle autorità locali di pubblica sicurezza per impedire che amministratori o associazioni che si occupano di tutela ambientale siano in futuro soggetti a minacce o intimidazioni di tal genere. (4-04672)

  Risposta. — Nei primi giorni di maggio del 2013, dapprima sulla stampa locale di Venezia e quindi sul quotidiano Il Manifesto, è stata riportata la notizia relativa ad alcune minacce rivolte nei confronti dell'ex deputato dei Verdi, Gianfranco Bettin, all'epoca assessore all'ambiente ed alle politiche giovanili del comune di Venezia.
  Il professor Bettin, noto per il suo impegno politico di denuncia dello spaccio di droga e dello sfruttamento della prostituzione nell'area di Marghera, era stato vittima, nel 1996, di un sequestro-lampo da parte di un malavitoso, rimasto sconosciuto, che simulò un'esecuzione prima di liberarlo.
  A seguito di quell'episodio, fu destinatario di un servizio di una scorta a richiesta fino al novembre del 2002 e quindi di una vigilanza generica radiocollegata all'abitazione, periodicamente soggetta ad intensificazione, a seguito del ritrovamento di lettere a contenuto minaccioso o semplicemente ingiurioso e di altri analoghi segnali di attenzione da parte di mai identificati malintenzionati.
  Pur in assenza di ulteriori minacce, la misura fu sempre prorogata fino a novembre 2009, quando venne nuovamente intensificata in seguito ad una lettera anonima, che aveva segnalato presunti piani delittuosi contro il politico da parte di elementi legati allo spaccio di stupefacenti.
  Il dispositivo di protezione, in assenza di concreti segnali di esposizione a pericolo, venne definitivamente revocato il 2 dicembre 2010.
  Successivamente il politico è stato nuovamente oggetto di numerosi episodi di intimidazione.
  In particolare, tra il 10 e l'11 aprile 2013, ignoti hanno tracciato una scritta minacciosa nel vano ascensore del condominio di residenza, mentre la notte successiva sono state pronunciate frasi intimidatorie al citofono dell'abitazione.
  Nella notte tra il 29 ed il 30 aprile successivo, sulla porta d'ingresso dell'appartamento di Gianfranco Bettin è stato tracciato con un pennarello il disegno di una bara, con le iniziali del destinatario, nonché l'indirizzo corrispondente a quello di residenza della madre.
  Le indagini condotte dalla questura, anche mediante servizi di vigilanza e con l'escussione di una persona indicata dal professor Bettin in sede di denuncia, sono confluite nel procedimento penale iscritto presso la procura della Repubblica di Venezia.
  Al riapparire dei predetti nuovi segnali di intimidazione, il prefetto di Venezia, su proposta dell'ufficio provinciale per la sicurezza personale, condivisa dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, ha immediatamente disposto la vigilanza generica radiocollegata all'abitazione dell'interessato, anche in considerazione della rinnovata visibilità delle sue iniziative politiche.
  Anche nell'anno in corso il professor Bettin ha subito intimidazioni. Nel gennaio 2014 è stata rinvenuta, da parte del personale addetto allo smistamento postale degli uffici di Venezia, una busta contenente una cartuccia ed una scritta minacciosa. Inoltre, nei primi mesi di aprile sono apparse scritte ingiuriose vergate sul muro di un edificio di Mestre, episodio di poco anteriore al ricevimento di un'altra lettera offensiva recapitata da ignoti nella cassetta postale dell'abitazione.
  Finora i responsabili delle intimidazioni non sono stati individuati. Proseguono comunque i servizi di vigilanza generica radiocollegata al domicilio dell'interessato, ulteriormente sensibilizzati a seguito degli ultimi episodi.
  Si soggiunge che da alcuni mesi non si sono più registrati episodi intimidatori ai danni del professor Bettin che, pur non ricoprendo più dal 13 giugno 2014 – come è noto – la carica di assessore, continua a svolgere attività politica con numerosi interventi sugli organi di informazione.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   MARTELLA, MOGNATO, MURER e ZOGGIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da alcune settimane l'assessore all'ambiente del comune di Venezia, Gianfranco Bettin, è oggetto di una escalation di pesanti intimidazioni;
   l'episodio più recente ed inquietante è una scritta sulla porta di casa con la quale è stata disegnata una bara ed una data, evidenti segnali di una minaccia di morte;
   oggetto di intimidazioni è anche la madre di Bettin, attualmente ricoverata in ospedale, con falsi allarmi notturni sulla possibilità che qualcuno sia in procinto di farle del male;
   Gianfranco Bettin, sociologo, già deputato ed amministratore pubblico, si è sempre occupato di temi legati alla legalità, alla lotta alla criminalità e all'ambiente, divenendo tra i più importanti protagonisti della società veneziana;
   circa le motivazioni delle minacce che in queste ore stanno emergendo attraverso il lavoro investigativo, le attenzioni sono concentrate sugli ambienti malavitosi, legati in particolare allo spaccio di droga, senza escludere la possibilità che si tratti di singoli individui, figure borderline –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione;
   quali iniziative intenda assumere, nell'ambito delle sue competenze per far luce sulla vicenda, e per agevolare l'accertamento dei fatti accaduti e l'individuazione dei responsabili. (4-00364)

  Risposta. — Nei primi giorni di maggio del 2013, dapprima sulla stampa locale di Venezia e quindi sul quotidiano Il Manifesto, è stata riportata la notizia relativa ad alcune minacce rivolte nei confronti dell'ex deputato dei Verdi, Gianfranco Bettin, all'epoca assessore all'ambiente ed alle politiche giovanili del comune di Venezia.
  Il professor Bettin, noto per il suo impegno politico di denuncia dello spaccio di droga e dello sfruttamento della prostituzione nell'area di Marghera, era stato vittima, nel 1996, di un sequestro-lampo da parte di un malavitoso, rimasto sconosciuto, che simulò un'esecuzione prima di liberarlo.
  A seguito di quell'episodio, fu destinatario di un servizio di una scorta a richiesta fino al novembre del 2002 e quindi di una vigilanza generica radiocollegata all'abitazione, periodicamente soggetta ad intensificazione, a seguito del ritrovamento di lettere a contenuto minaccioso o semplicemente ingiurioso e di altri analoghi segnali di attenzione da parte di mai identificati malintenzionati.
  Pur in assenza di ulteriori minacce, la misura fu sempre prorogata fino a novembre 2009, quando venne nuovamente intensificata in seguito ad una lettera anonima, che aveva segnalato presunti piani delittuosi contro il politico da parte di elementi legati allo spaccio di stupefacenti.
  Il dispositivo di protezione, in assenza di concreti segnali di esposizione a pericolo, venne definitivamente revocato il 2 dicembre 2010.
  Successivamente il politico è stato nuovamente oggetto di numerosi episodi di intimidazione.
  In particolare, tra il 10 e l'11 aprile 2013, ignoti hanno tracciato una scritta minacciosa nel vano ascensore del condominio di residenza, mentre la notte successiva sono state pronunciate frasi intimidatorie al citofono dell'abitazione.
  Nella notte tra il 29 ed il 30 aprile successivo, sulla porta d'ingresso dell'appartamento di Gianfranco Bettin è stato tracciato con un pennarello il disegno di una bara, con le iniziali del destinatario, nonché l'indirizzo corrispondente a quello di residenza della madre.
  Le indagini condotte dalla questura, anche mediante servizi di vigilanza e con l'escussione di una persona indicata dal professor Bettin in sede di denuncia, sono confluite nel procedimento penale iscritto presso la procura della Repubblica di Venezia.
  Al riapparire dei predetti nuovi segnali di intimidazione, il prefetto di Venezia, su proposta dell'ufficio provinciale per la sicurezza personale, condivisa dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, ha immediatamente disposto la vigilanza generica radiocollegata all'abitazione dell'interessato, anche in considerazione della rinnovata visibilità delle sue iniziative politiche.
  Anche nell'anno in corso il professor Bettin ha subito intimidazioni. Nel gennaio 2014 è stata rinvenuta, da parte del personale addetto allo smistamento postale degli uffici di Venezia, una busta contenente una cartuccia ed una scritta minacciosa. Inoltre, nei primi mesi di aprile sono apparse scritte ingiuriose vergate sul muro di un edificio di Mestre, episodio di poco anteriore al ricevimento di un'altra lettera offensiva recapitata da ignoti nella cassetta postale dell'abitazione.
  Finora i responsabili delle intimidazioni non sono stati individuati. Proseguono nel frattempo i servizi di vigilanza generica radiocollegata al domicilio dell'interessato, ulteriormente sensibilizzati a seguito degli ultimi episodi.
  Si soggiunge che da alcuni mesi non si sono più registrati episodi intimidatori ai danni del professor Bettin che, pur non ricoprendo più dal 13 giugno 2014 – come è noto – la carica di assessore, continua a svolgere attività politica con numerosi interventi sugli organi di informazione.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   un quotidiano nazionale ha riportato la notizia che il Ministero degli affari esteri starebbe progettando la ristrutturazione della cosiddetta Palazzina ex Civis, presso il Piazzale della Farnesina, al costo di 2.120.000 euro per destinarvi la istituenda Agenzia nazionale della cooperazione internazionale, recentemente prevista dalla nuova legge che disciplina le attività di cooperazione internazionale allo sviluppo della Repubblica italiana;
   dentro la Farnesina resterebbe in funzione la direzione generale per la cooperazione internazionale allo sviluppo, configurando così un doppione anche logistico e organizzativo;
   la Farnesina dispone di 1300 stanze, un totale di 6 chilometri di corridoi larghi almeno 3 metri, per oltre 720 mila metri cubi, come la Reggia di Caserta;
   sino a qualche anno fa alla Farnesina lavoravano 2.500 persone, ora ridotte a 1.800 –:
   se tale notizia corrisponda al vero, se, nel caso, non intenda risparmiare il costo di quella ristrutturazione e assumere iniziative per collocare l'Agenzia nazionale della cooperazione internazionale all'interno della Farnesina operando una scelta naturale e attenta alla esigenza di risparmio della spesa pubblica. (4-05804)

  Risposta. — In merito ai quesiti sollevati dall'interrogante, si segnala innanzitutto che la somma di 2.120.000 euro, necessaria per la ristrutturazione delle palazzine ex-Civis, corrisponde alla copertura finanziaria prevista dall'articolo 33 della legge di disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo (legge n. 125 del 2014).
  Il costo totale è stato stimato sulla base delle attuali quotazioni di mercato ricavate dal prezzario dell'edilizia Dei pubblicato dalla Camera di commercio di Roma, e riferite ad analoghe tipologie di ristrutturazione. I costi specifici sono dettagliati nella relazione tecnica allegata al disegno di legge sulla cooperazione. In essa si specifica che, poiché i locali che attualmente ospitano l'unità tecnica centrale della direzione generale della cooperazione allo sviluppo (Dgcs) non sono sufficienti per contenere le unità di personale che saranno in servizio presso la sede centrale dell'agenzia, le palazzine ex-Civis rappresentano la soluzione più idonea e di minor costo.
  Tali immobili, infatti, sono di proprietà demaniale e, conseguentemente, il loro utilizzo non comporta esborso di denaro pubblico (come nel caso si optasse per la locazione di uno o più immobili privati). Le palazzine sono situate nella stessa area utilizzata dall'unità tecnica centrale (a tutto vantaggio della logistica dell'istituenda agenzia nazionale per la cooperazione allo sviluppo) e le spese di ristrutturazione interverrebbero
una tantum, consentendo di valorizzare un bene demaniale al momento non utilizzato e soggetto a rapido deperimento. Si tratterebbe quindi di una riqualificazione di beni statali che costituisce piuttosto un investimento.
  In questo quadro, si ritiene infine che la scelta delle palazzine ex-Civis sia coerente con lo spirito e l'impostazione della legge di riforma della cooperazione, che tende a mantenere ben distinte le competenze dell'agenzia da quelle della predetta direzione (ubicata, come noto, presso la Farnesina), anche al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni di competenze e di responsabilità. Giova ricordare infatti che la legge attribuisce all'Agenzia il compito di svolgere attività di carattere tecnico-operativo mentre conferisce al Maeci, fra le altre cose, il compito di definire le
policies, anche nel supporto al viceministro, e svolgere attività di vigilanza nei confronti dell'Agenzia.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 5 ottobre 2014 si sono svolte in tutto il territorio nazionale le veglie delle «sentinelle in piedi» in Italia;
   le «sentinelle in piedi» si autodefiniscono «una resistenza di cittadini che vigila su quanto accade nella società e sulle azioni di chi legifera denunciando ogni occasione in cui si cerca di distruggere l'uomo e la civiltà», e manifestano leggendo un libro durante veglie pacifiche e silenziose in difesa della famiglia naturale e della vita;
   le cento veglie sono state sistematicamente «disturbate» da facinorosi con comportamenti violenti, provocatori e antidemocratici;
   in particolare, a Pisa la veglia è iniziata alle ore 18,00 col discorso del portavoce, subito coperto dalle urla di una cinquantina di contestatori, poco dopo aumentati a circa duecento, che hanno poi iniziato a occupare lo spazio delle sentinelle e a offendere individualmente le persone, mentre alcuni di loro venivano circondati da gruppetti di contestatori e fatti oggetto di gravi ingiurie, alle quali non hanno reagito, fino a quando l'intera area destinata alla veglia è occupata dai contestatori che intonano canti dal contenuto osceno. Alcuni bambini presenti alla veglia piangono spaventati, una donna incinta viene strattonata. Il banner delle sentinelle in piedi viene usato per esporre cartelli blasfemi;
   durante le azioni provocatorie le forze dell'ordine non sono intervenute, e dopo circa un'ora, anche sentito il parere degli agenti della Digos gli organizzatori hanno dovuto decidere di interrompere la veglia, lasciando la piazza scortati dalla polizia;
   gli organizzatori della veglia delle sentinelle in piedi di Pisa avevano consegnato già in data 2 ottobre 2014 al responsabile dell'ordine pubblico della questura di Pisa una richiesta scritta di presenza adeguata delle forze dell'ordine, motivata dai voci insistenti circolanti in città su contestazioni organizzate contro le manifestazioni delle Sentinelle;
   la mattina del 5 ottobre 2014, a poche ore dall'inizio della veglia, è stata notificata via e-mail alla questura di Pisa una minaccia esplicita verso la manifestazione, pervenuta sulla pagina Facebook «Sentinelle in Piedi Pisa»;
   in modo quasi analogo è andata la manifestazione delle sentinelle a Genova, dove un folto numero di persone dei centri sociali e dell'arcigay ha pesantemente e continuamente disturbato il regolare svolgersi della veglia, coprendo con cori ed urla il discorso iniziale del portavoce, ed inserendosi tra le fila delle sentinelle durante la lettura del libro disturbando la lettura, anche con cani, insultando e deridendo i veglianti, mimando scene erotiche e creando capannelli, arrivando addirittura a lanciare un fumogeno, poi spostato dalle forze dell'ordine, contro il bastone di una persona invalida che partecipava alla veglia;
   anche a Torino le sentinelle sono state oggetto di insulti pesantissimi, derisi, invitati a suicidarsi, chiamati fascisti, e gli è stato ingiunto di vergognarsi, con toni di una forte aggressività verbale davvero inaccettabile, tanto che un bambino di 10 anni si è sentito male ed è stato allontanato, mentre anche altri minori erano esposti alle contestazioni verbali;
   episodi analoghi si sono svolti anche a Rovereto, Napoli, Bologna, Trieste, Aosta, Parma e Milano –:
   per quali motivi, anche a fronte di conclamate minacce, non siano state intensificate le tutele delle forze dell'ordine in occasione delle manifestazioni di cui in premessa;
   quali iniziative o provvedimenti siano stati assunti nei confronti degli organizzatori e dei partecipanti delle azioni di cui in premessa, che si configurano come azioni violente premeditate, coordinate e finalizzate non solo ad impedire la libera espressione del pensiero ma anche a colpire fisicamente persone colpevoli solo di manifestare una legittima opinione;
   quali iniziative intenda assumere al fine di garantire in tutte le manifestazioni pacifiche e regolarmente autorizzate una presenza delle forze dell'ordine adeguata a garantire il regolare svolgimento delle stesse e l'incolumità dei partecipanti.
(4-06353)

  Risposta. — Come ricordato nell'interrogazione, il 5 ottobre 2014 le sentinelle in piedi hanno tenuto una fitta serie di presidi, complessivamente 50 in tutta Italia, in occasione dei quali si sono registrate 26 concomitanti contromanifestazioni, organizzate da aderenti alle realtà antagoniste, ai centri sociali e ad altre associazioni.
  In vista di tali appuntamenti, il dipartimento della pubblica sicurezza ha diramato due circolari di sensibilizzazione, con cui sono state impartite direttive alle autorità provinciali di pubblica sicurezza per la predisposizione di idonee misure, volte ad assicurare il regolare svolgimento delle manifestazioni.
  Inoltre, per l'attuazione dei servizi di ordine e sicurezza pubblica pianificati dalle questure per l'occasione, sono state assegnate aliquote di rinforzo dei reparti inquadrati, laddove le autorità provinciali di pubblica sicurezza ne abbiano fatto richiesta.
  Anche in virtù di tali misure, i presidi del 5 ottobre si sono svolti sostanzialmente senza problemi, salvo alcune criticità occorse in una decina di località, tra le quali figurano quelle citate nell'interrogazione.
  In particolare, il presidio delle sentinelle a Pisa ha avuto luogo in piazza dei Cavalieri, dove è stato predisposto un servizio di ordine pubblico affidato alla Digos della questura, successivamente integrato con altro personale delle Forze di polizia, al fine di evitare che la situazione degenerasse.
  Nel corso della manifestazione circa 250 giovani di opposta opinione hanno inscenato contestazioni con cori e schiamazzi.
  La situazione è stata attentamente monitorata dalle forze dell'ordine, ai fini dell'adozione delle eventuali misure a tutela dell'incolumità delle sentinelle.
  L'evento è stato oggetto di documentazione da parte della Polizia scientifica ed il relativo materiale e tuttora al vaglio della questura per l'identificazione dei contestatori ai fini del loro deferimento all'autorità giudiziaria per violenza privata e manifestazione non autorizzata.
  La manifestazione di Genova, si è svolta in piazza De Ferrari, ove hanno partecipato un centinaio di sentinelle. Anche in questa occasione si è registrata una contromanifestazione che si è svolta senza alcuna turbativa per l'ordine e la sicurezza pubblica grazie all'attenta e ravvicinata vigilanza svolta da personale della Digos e dei Reparti inquadrati.
  Durante l'evento, personale di polizia ha immediatamente rimosso un fumogeno che era stato poggiato a terra e acceso a breve distanza da alcune sentinelle.
  A Torino, prima che l'iniziativa dei circa 120 sentinelle avesse inizio in piazza Carignano, circa 50 antagonisti, appartenenti al centro sociale
askatasuna ed alla cavallerizza occupata, si sono radunati alla spicciolata, intenzionati a disturbare lo svolgimento dell'iniziativa. Gli stessi sono stati tenuti a debita distanza da un cordone delle forze dell'ordine.
  Successivamente, con l'inizio dell'evento, il numero dei contestatori è aumentato progressivamente fino a raggiungere le 400 unità. Nell'occasione, insieme agli antagonisti, si sono radunati individualità anarchiche, esponenti di rifondazione comunista, militanti e iscritti di formazioni femministe nonché esponenti dei locali collettivi studenteschi, scandendo
slogan ed invettive nei confronti delle «sentinelle».
  I medesimi contestatori hanno tentato ripetutamente, senza esito, di aggirare o superare lo sbarramento delle transenne predisposto dal servizio di ordine, per poi successivamente allontanarsi dalla piazza.
  Per la manifestazione di Rovereto era stata predisposta la presenza di pattuglie della Polizia e dei Carabinieri, come avvenuto in passato in analoghe manifestazioni svoltesi nella medesima città senza turbative per l'ordine pubblico.
  Durante lo svolgimento dell'evento, una decina di anarchici, sopraggiunti alla spicciolata, hanno effettuato un lancio di uova contro i presenti, colpendo anche un sacerdote costretto al soccorso presso il locale ospedale.
  Il gruppo anarchico, inoltre, si è impossessato di una borsa contenente volantini da distribuire nel corso della manifestazione, dopo aver colpito il proprietario al naso, procurandogli lesioni.
  Le forze di polizia, immediatamente intervenute sul posto, dopo aver svolto indagini che hanno permesso di identificare gli autori sia dell'aggressione che dell'appropriazione della borsa – tutti appartenenti al locale movimento anarchico insurrezionalista –, hanno trasmesso la relativa informativa all'autorità giudiziaria.
  A Bologna circa 250 aderenti alle locali realtà antagoniste si sono diretti in corteo verso piazza Galvani, ove si erano radunati una quarantina di attivisti delle sentinelle, tra cui sette aderenti al movimento «Forza Nuova».
  Al termine dell'iniziativa, mentre i partecipanti sono stati fatti defluire verso una via laterale, gli antagonisti, nel tentativo di venire a contatto con gli aderenti a «Forza Nuova», hanno lanciato anche oggetti sul cordone di polizia schierato tra gli opposti gruppi. Nella circostanza un operatore di polizia è stato colpito al volto con una cintura lanciata da un esponente dei centri sociali. Poco dopo, un gruppo di antagonisti, avendo notato tre attivisti di «Forza Nuova» salire a bordo di un taxi, si è avvicinato al veicolo, sferrando calci e pugni.
  Le attività di indagine svolte dalla questura hanno consentito di identificare e denunciare all'autorità giudiziaria 11 persone, tra esponenti dei centri sociali ed un militante di Forza Nuova, quali autori degli atti di violenza.
  A Trieste, la manifestazione del movimento «sentinelle in piedi», con la partecipazione di circa 150 persone, si è tenuta in piazza Unità d'Italia.
  Nella circostanza, circa quaranta soggetti appartenenti alle associazioni arcigay e arcilesbica, unitamente ad altri gruppi di estrema sinistra, hanno attuato un'estemporanea controiniziativa disturbando quella delle «Sentinelle in piedi», mediante l'utilizzo di strumenti musicali,
  Successivamente, gli aderenti alle «sentinelle in piedi», in fase di deflusso, sono stati fronteggiati dai contestatori, rendendo necessario l'intervento delle forze dell'ordine, per evitare che i due gruppi venissero a contatto. Dopo alcuni, accesi scambi verbali, la situazione si è tranquillizzata ed i manifestanti degli opposti gruppi hanno abbandonato la piazza.
  Questi i fatti, che consentono di affermare che le forze di polizia impegnate nei servizi di ordine pubblico, ogni qualvolta se ne sia reso necessario l'intervento, sono riuscite a contenere prontamente gli effetti delle estemporanee iniziative di dissenso poste in essere dai contestatori.
  Con l'occasione si rappresenta, più in generale, che il mantenimento dell'ordine e della sicurezza durante le pubbliche manifestazioni, qualunque ne sia l'orientamento, costituisce uno degli impegni più delicati per le forze di polizia, che operano attraverso sperimentati moduli operativi, consistenti nell'attivazione in via preventiva di opportuni canali informativi e nella predisposizione
in loco di accurati servizi di ordine pubblico commisurati al livello di rischio atteso, fatte salve – all'occorrenza e ove possibile – successive integrazioni del dispositivo a manifestazione in corso.
  I fatti illeciti posti in essere nel corso degli eventi in questione, attentamente monitorati da operatori di polizia specializzati, vengono sottoposti, al termine delle relative indagini, alle valutazioni dell'autorità giudiziaria.
  Si assicura che a tale consolidato
modus operandi le forze di polizia si atterranno anche in futuro, in modo da garantire il sereno e regolare svolgimento di ogni iniziativa pacifica, che sia espressione della libertà di manifestazione del pensiero costituzionalmente garantita, comprese, ovviamente, quelle delle sentinelle in piedi.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   MISIANI, GANDOLFI e GALPERTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in Italia il 70 per cento del soccorso sanitario è garantito dai volontari dell'Associazione nazionale pubbliche assistenze (ANPAS) e dalla Confederazione delle Misericordie d'Italia;
   la chiusura di molti presidi ospedalieri comporta un aumento della distanza tra utenti e ospedali e una crescente domanda di trasporto sanitario;
   è imminente la chiusura della convenzione di ANPAS e Misericordie con la società Autostrade per l'Italia per il rilascio gratuito di Telepass esenti per le ambulanze;
   la fine della convenzione complicherebbe notevolmente l'accesso al diritto all'esenzione del pedaggio autostradale per i mezzi delle associazioni di volontariato impegnati nell'emergenza;
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, informato alcuni mesi fa della questione e si era impegnato ad affrontare il problema del Telepass rapidamente. Da allora però la situazione non è mutata –:
   quali iniziative intenda assumere per garantire alle associazioni di volontariato l'accesso gratuito alla rete della società Autostrade per l'Italia nell'espletamento del lavoro di trasporto sanitario;
   se non ritenga opportuno promuovere le necessarie modifiche del codice della strada in relazione alla normativa sull'esenzione del pedaggio autostradale dei mezzi impegnati nel servizio sanitario nonché su materie quali la portata delle ambulanze, la definizione dei veicoli speciali, l'introduzione della patente di servizio per gli autisti soccorritori, il trasporto di familiari sui mezzi di soccorso.
(4-04293)

  Risposta. — Come è noto, l'esenzione dal pagamento del pedaggio autostradale in favore dei veicoli delle associazioni di volontariato è regolata dall'articolo 373 del decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992 (regolamento di esecuzione del Codice della strada) e dalla circolare interpretativa del Ministero dei lavori pubblici n. 3973 del 5 agosto 1997.
  In base a tali disposizioni l'esenzione del pedaggio veniva garantita a favore delle associazioni di volontariato operanti esclusivamente per il soccorso e il trasporto di emergenza.
  Tuttavia, dette associazioni hanno evidenziato che tali disposizioni costituivano ostacolo all'attività di trasporto malati non in emergenza per le quali è stato richiesto l'estensione dell'esenzione dal pagamento del pedaggio.
  Questo Ministero, al fine di venire incontro alle esigenze manifestate dalle citate associazioni, nonché di migliorare la regolamentazione dell'esenzione del pedaggio autostradale, il 18 settembre 2014 ha emanato la circolare n. 378 con la quale è stata modificata e integrata la precedente circolare n. 3973.
  In particolare, ferme restando le sopracitate disposizioni, la nuova circolare estende l'esenzione dal pagamento del pedaggio anche alle attività di trasporto malati effettuate a titolo completamente gratuito (né oggetto di rimborso né di fattura).
  Pertanto, resta dovuto il pagamento del pedaggio autostradale in tutti gli altri casi in cui l'attività di trasporto malati sia effettuata dietro pagamento di un corrispettivo o rimborso a qualsiasi titolo riconosciuto (corrispettivo o rimborso che si intende quindi sempre comprensivo del pedaggio).
  Si fa presente, inoltre, che la competente struttura di vigilanza sulle concessionarie autostradali di questo Dicastero, in data 2 ottobre 2014, con nota inviata a tutte le società concessionarie ha dettagliatamente declinato il concetto di «soccorso di emergenza» in cui si intendono ricomprese anche le attività, nell'ambito del servizio sanitario nazionale o servizio sanitario regionale e similari, di seguito elencate: servizio 118, trasporto organi, trasporto sangue ed emoderivati in condizioni di emergenza, trasporto sanitario assistito (medico o infermiere a bordo), trasporto neonatale/pediatrico, trasporto pazienti oncologici, trasporto pazienti dializzati che necessitano dell'utilizzo dell'ambulanza come da attestazione del centro dialitico.
  Resta naturalmente fermo il dettato normativo che riconosce l'esenzione del pedaggio ai veicoli delle associazioni di volontariato adibiti al soccorso nell'espletamento dello specifico servizio.
  Pertanto, la casistica sopra elencata riguarda transiti effettuati sui veicoli adibiti al soccorso, quali ambulanze di tipo «A» e/o veicoli muniti di specifica attestazione regionale o aziende sanitarie locali che certifichino l'utilizzo del mezzo per l'espletamento di attività di soccorso.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   NARDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le premesse e i fondamenti del piano di riordino del Corpo nazionale dei vigili del fuoco sono l'ottimizzazione delle risorse e l'economicità della manovra;
   nei giorni scorsi (8-9 aprile) è stato in discussione il progetto presentato dal Ministero dell'interno di riordino delle strutture centrali e territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e l'ambito di competenza del riordino coinvolge un ampio spettro di interventi che vanno dal mansionario dei Dirigenti, con relativa attribuzione dei poteri, fino alla definizione delle piante organiche nazionali;
   alcuni comandi vengono pesantemente ridimensionati dal sopracitato progetto di riordino benché non siano previsti ridimensionamenti e tagli all'organico nazionale, ma soltanto tagli di funzionamento;
   il progetto di riordino del Corpo nazionale dei vigili del fuoco non prevede tagli all'organico, ma prevede spostamenti di risorse umane a danno principalmente dei distaccamenti portuali, ed in particolar modo del distaccamento di Livorno, con il taglio del 50 per cento del personale;
   infatti il distaccamento labronico passerebbe con il riordino da 52 a 28 unità. Le unità ritenute in eccesso per Livorno verrebbero dirottate a comandi di altre regioni italiane, con la pesante aggravante della dismissione delle imbarcazioni di gradi dimensioni; questo mentre per le altri sedi si prevede un distaccamento di operatori all'interno dello stesso comando provinciale;
   il porto di Livorno, per la sua struttura, per il suo orientamento industriale e per le scelte strategiche di sviluppo già operate non può privarsi della presenza della motobarca serie 11 (cioè di grandi dimensioni) per la significativa presenza di aziende che fanno di Livorno un porto ad alto rischio (il riordino si è basato su dati statistici relativi all'anno 2012 quando ancora non insisteva sul territorio labronico il rigassificatore OLT e nuovi depositi di gas propano liquido), si ricordano:
    a) Costiero Gas, che scarica il GPL, il gas della strage di Viareggio, in serbatoi sotterranei di rilevanti dimensioni, tali da servire tutto il centro Italia;
    b) la raffineria Eni che tramite la Darsena Petroli scarica e carica i prodotti petroliferi;
    c) il nuovo Rigassificatore Olt, situato a 20 chilometri dalle coste livornesi proprio per la criticità della materia oggetto del processo industriale;
   per i rischi che conseguono non è accettabile che l'intervento dei vigili del fuoco avvenga tramite la disponibilità di un'imbarcazione privata, con costi maggiori, e con costi maggiori, e con l'impossibilità di avere a disposizione tutta l'attrezzatura necessaria, che solo il mezzo pubblico può garantire;
   tutti i piani di emergenza per queste aziende prevedono l'utilizzo della motobarca di grandi dimensioni. Questo orientamento industriale del porto di Livorno è comune a pochi porti in Italia, ma il taglio che viene operato su Livorno è il medesimo di quello agito su di uno scalo esclusivamente passeggeri;
   negli altri comandi il taglio del personale viene ridistribuito presso il comando provinciale, al fine di evitare gravi scompensi nell'organizzazione del servizio di soccorso,  a anche in questo caso il comando di Livorno viene nuovamente penalizzato in  misura superiore alle altre realtà italiane, perché il taglio del personale portuale non viene riassegnato al comando provinciale ma viene trasferito a favore di altri comandi;
   il personale del distaccamento porto di Livorno era presente in prima partenza in soccorso delle popolazioni colpite dagli eventi sismici dell'Abruzzo e dell'Emilia, permettendo il proseguimento della quotidiana attività di soccorso nel territorio livornese;
   come conseguenza di questo piano di riordino avremo che i servizi ad altissima specializzazione ed a rischio rilevante, che si erano consolidati a Livorno, rimarrebbero scoperti e la cittadinanza non avrebbe più la garanzia della propria sicurezza, offerta dal Comando nazionale dei vigili del fuoco;
   altro taglio si abbatterebbe sul nucleo sommozzatori ed acquatico (NSSA-sommozzatori). Il Nucleo rimarrebbe operativo solo di giorno con una riduzione di organico di 10 unità rispetto all'accordo del 2008;
   il NSSA di Livorno ha una statistica di interventi e salvataggi di persone che lo vede tra i più attivi su tutto il territorio nazionale, ed agisce su 300 chilometri di costa, i nuclei più vicini rimarrebbero Roma e Genova, visto che Grosseto e Viterbo, già ridotti a un solo turno, sono in osservazione per una imminente chiusura;
   il nucleo da anni è stato inserito nel piano SAR della locale capitaneria di porto, che lo ha anche inserito nel piano di emergenza per il soccorso ad aeromobile in mare sul corridoio di atterraggio/decollo dell'aeroporto Galilei di Pisa come unica forza di soccorso subacqueo del porto di Livorno;
   dal 2003 lavora in sinergia con il servizio portuale dei vigili del fuoco aumentando la risposta dei vigili del fuoco in ambito acquatico. L'incidenza di interventi con alta magnitudo e pericolo per la vita umana, seppur con minore frequenza, si ha soprattutto la notte e quindi la decisione di limitarlo al turno diurno risulta ancora più incomprensibile, come incomprensibile è tagliare del 50 per cento la forza di intervento subacqueo e acquatico del Comando livornese;
   la forza sommozzatori è una risorsa per l'intero territorio regionale, infatti lo stesso piano di riordino (allegato Q tabella 5.3), in contraddizione con quanto previsto, vede Livorno al decimo posto assoluto per il rischio acquatico severo, e tra le province di competenza ne vede un'altra a rischio severo e le altre tre a rischio ordinario, quindi nessuna a rischio lieve;
   i sommozzatori nel comando labronico hanno la possibilità di mantenere uno standard addestrativo di altissimo livello, con costi relativamente bassi, grazie alla dislocazione presso il distaccamento porto e alla vicinanza dei luoghi per effettuare gli addestramenti obbligatori, impegnando il personale in servizio per tempi brevi, a differenza dei comandi dislocati nell'entroterra che esigono costi maggiori per la formazione, anche a seguito delle maggiori distanze da coprire rispetto ai Comandi situati sulla costa;
   il NSSA non è solo un dispositivo del comando di Livorno ma lo è per tutta la regione Toscana, ed è doveroso chiedersi quale risposta saprà dare il Corpo dei vigili del fuoco in Toscana alle domande di soccorso, se il Piano di riordino stravolgerà il dispositivo;
   il ruolo del NSSA dei vigili del fuoco è decisivo nei soccorsi in acqua basti pensare alle tragiche del mare quali Concordia e Moby Prince. I sommozzatori dei vigili del fuoco fanno circa 170 interventi l'anno;
   il distaccamento di Portoferraio subirà fortemente le conseguenze del riordino, anche se in apparenza non viene modificata la sua categoria, D2. Da segnalare innanzitutto che nella prima stesura della bozza di riordino l'isola d'Elba veniva declassata a distaccamento misto permanente volontario, e solo a seguito delle vibranti proteste è stato riportato a sede permanente, D2, ma sempre senza l'ausilio del mezzo di supporto;
   gli accordi vigenti, tra comando provinciale ed organizzazioni sindacali, sono messi in forte discussione dalla significativa riduzione del personale che subirà il comando di Livorno, passando da 240 a 218 unità nelle nuove piante organiche;
   la categorizzazione D1 della pianta organica del 2008 corrisponde alla SD2 della nuova bozza. La categoria SD1 è una sede mista. Considerando che le due unità capo reparto, presso i distaccamenti territoriali sono inserite nei turni ad orario differenziato, non sono inquadrabili nel dispositivo di soccorso, di conseguenza il numero reale sarebbe 212 con un taglio reale di 28 unità e la cui prima conseguenza sarà l'impossibilità di garantire la presenza del mezzo di supporto presso il distaccamento di Portoferraio, e sarà impossibile garantire un adeguato livello di sicurezza nel Porto di Livorno;
   i piani d'evacuazione dei traghetti, inutile ricordare il caso della Nave Concordia, prevedono l'utilizzo di lance di media grandezza per la raccolta veloce dei passeggeri –:
   quali iniziative intenda intraprendere per mantenere i livelli occupazionali e garantire così la sicurezza e la professionalità dei soccorsi in un territorio in cui insistono strutture produttive ad alto rischio;
   quali siano i risparmi riducendo la presenza sul territorio dei vigili del fuoco e quali, di conseguenza, siano i costi per costituzione di strutture di protezione civile;
   quali siano i criteri di selezione del personale volontario o di protezione civile e se siano paragonabili ai criteri di selezione del personale permanente dei vigili del fuoco;
   quale sia il livello di efficienza che la nuova struttura di soccorso così delineata sia in grado di garantire. (4-04770)

  Risposta. — Il progetto di riordino delle strutture centrali e territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, predisposto a legislazione vigente e con riduzione di spesa, ha come obiettivo l'ottimizzazione delle risorse, il decentramento delle funzioni e la razionalizzazione del funzionamento delle strutture.
  Partendo dalle esigenze del territorio, il progetto ridefinisce la mappatura delle sedi (centrali e distaccate), riclassificandole in base ad indicatori riconducibili al rischio territoriale, alla popolazione, all'estensione territoriale, allo sviluppo industriale e commerciale.
  Nel progetto sono previsti, inoltre, strumenti di flessibilità demandati ai dirigenti locali.
  Infatti, ogni comandante provinciale, fermi restando gli organici complessivi a propria disposizione, potrebbe operare, nella sua qualità di responsabile territoriale dell'organizzazione del soccorso, una diversa distribuzione delle unità di personale tra i diversi distaccamenti della provincia.
  Inoltre, i direttori regionali, di concerto con i comandanti provinciali, possono istituire distretti sul territorio costituiti da più distaccamenti, associati e organizzati in modo da assicurare una maggiore flessibilità operativa.
  Riguardo al servizio antincendio portuale, nelle more dell'emanazione del regolamento di cui all'articolo 26, comma 5, del decreto legislativo n. 139 del 2006, il progetto prevede una revisione strutturale delle modalità di espletamento con il progressivo abbandono, senza sostituzione, delle unità navali di grandi dimensioni e l'attuazione di strategie di contrasto fondate sulla disponibilità di squadre operative addestrate ed equipaggiate per interventi su navi nonché su strutture ed infrastrutture portuali.
  La flotta navale dei vigili del fuoco sarà quindi costituita da unità di rapido intervento di limitate dimensioni abilitate alla navigazione in acque territoriali e aventi caratteristiche prestazionali idonee per supportare l'azione di contrasto di emergenze ragionevolmente ipotizzabili.
  Per eventuali emergenze che dovessero verificarsi in acque internazionali, ovvero in acque territoriali ma tali da richiedere un dispiegamento di risorse superiore a quello ordinariamente garantito, sarà previsto, previa definizione di accordi con la competente autorità marittima, l'imbarco di una o più squadre di intervento con le relative attrezzature su unità navali rese appositamente disponibili in base a pianificazioni di dettaglio sviluppate in ambito locale.
  La concreta e progressiva attuazione della suddetta strategia terrà conto dei processi di riqualificazione e mobilità del personale e, nel transitorio, il servizio portuale sarà assicurato attraverso:
   la scelta di aggregare all'equipaggio di condotta, disponibile presso ogni sede portuale, una squadra di intervento (
standard operativo 5 unità) per interventi di soccorso a bordo nave ed in ambito portuale;
   la revisione della classificazione delle sedi portuali in ragione di oggettivi indicatori di rischio (traffici merci pericolose e passeggeri) e della dotazione organica delle sedi portuali presso cui è assicurata la presenza di un numero di specialisti sufficiente a garantire, nei quattro turni, la composizione dell'equipaggio per la condotta delle unità navali dei Vigili del Fuoco nell'ambito delle acque territoriali (entro le 20 miglia);
   l'implementazione delle attività di
training del personale incaricato di far parte delle squadre per interventi di soccorso a bordo nave ed in ambito portuale;
   la definizione di accordi per l'eventuale imbarco di una o più squadre di intervento, che opereranno in modo conforme alle specifiche attuali, su unità navali rese disponibili dalla locale autorità marittima per lo svolgimento di operazioni di lotta antincendi, ovvero di soccorso tecnico di altro genere, qualora l'emergenza si verifichi in acque internazionali ovvero anche nelle acque territoriali, limitatamente ai casi di improvvisa indisponibilità di unità navali dei Vigili del Fuoco;
   il mantenimento in esercizio delle unità navali (45) che offrono adeguate garanzie di affidabilità e la conseguente alienazione delle unità navali vetuste (20) a gestione antieconomica e non strettamente necessarie per la copertura del servizio.

  Riguardo al servizio sommozzatori del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a rivisitazione del dispositivo prevede innanzitutto la revisione ed il completamento degli organici dei nuclei sommozzatori per assicurare la prestazione del servizio nei quattro turni nell'ambito di ciascuna regione ove il servizio è istituito; la previsione di un secondo nucleo nelle regioni a maggior rischio come la Toscana; la cessazione di nuclei che, per quanto decretati, non sono mai stati attivati; l'avvio a chiusura di alcuni nuclei minori con ridotta operatività; il mantenimento sotto osservazione di alcuni nuclei al fine di acquisire ulteriori elementi di valutazione circa il loro futuro; la presenza, nell'ambito di alcuni nuclei, di operatori abilitati a servizi speleo-subacquei di livello avanzato in modo da realizzare un dispositivo di risposta, rispondente ad una logica operativa di «task force»; l'autonomia dei direttori regionali di organizzare i servizi nel rispetto delle norme vigenti e delle anzidette indicazioni generali.
  Nello specifico, per il comando provinciale dei vigili del fuoco di Livorno, in coerenza con la strategia sopra descritta, il progetto di riordino prevede un organico di 190 unità, rispetto alla precedente dotazione di personale operativo non specialistico di 188 unità.
  Anche il distaccamento dei vigili del fuoco di Portoferraio viene lievemente potenziato, passando dalle precedenti 28 unità operative complessive a 30 unità, per tenere conto dell'insularità della sede.
  Quanto al servizio antincendio portuale, ne è previsto il mantenimento con la classificazione relativa ai porti di maggior complessità. Parimenti viene mantenuto il servizio sommozzatori, che ora si inserisce nel più completo dispositivo specialistico di soccorso della direzione regionale dei vigili del fuoco della Toscana.
  Nella regione Toscana, a differenza di altre regioni in cui si è passati da tre a due nuclei sommozzatori, si è ritenuto di dover mantenere, oltre che i due nuclei di Firenze (con servizio «h24») e Livorno (con servizio «h12»), anche il nucleo sommozzatori di Grosseto, con riserva di valutazioni successive circa il futuro di quest'ultimo, qualora dovessero sopraggiungere esigenze di razionalizzazione delle risorse.
  Con riferimento, infine, all'ulteriore quesito posto dall'interrogante, si fa presente che con il decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 2004 sono state dettate puntuali disposizioni in materia di reclutamento del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  In particolare, i volontari vengono iscritti a domanda in elenchi tenuti dai Comandi provinciali dopo la verifica in capo ai singoli aspiranti del possesso dei requisiti previsti dagli articoli 5 e 6 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 76. È da evidenziare che ai sensi dell'articolo 1, comma 3, di tale provvedimento, i vigili volontari non sono firmatari di contratto a tempo determinato e quindi non sono sottoposti alla disciplina contrattuale inerente al rapporto di impiego.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   NUTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 maggio 2014, il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, ha risposto all'atto di sindacato ispettivo n. 4-04679, presentato dall'interrogante, relativo allo stato in cui versano le centinaia di provvedimenti pendenti presso i vari Ministeri, necessari per l'attuazione di numerosi atti normativi da parte del Parlamento;
   nella lettera citata, nonostante ne fosse stata fatta esplicita richiesta nel citato atto di sindacato ispettivo, non si dà alcun riscontro certo sui tempi di emanazione delle centinaia di decreti attuativi ancora pendenti, salvo generiche rassicurazioni sul ruolo di stimolo e sollecitazione che svolgerà l'Ufficio per il programma di Governo nei confronti dei Ministeri interessati;
   inoltre, nella risposta all'atto di sindacato ispettivo, si assicura la massima trasparenza nel fornire dati relativi all'attività svolta dall'Ufficio per il programma di Governo in merito alla gestione di questa enorme mole di decreti attuativi delle leggi di riforma approvate dal Parlamento;
   tra le centinaia di decreti attuativi pendenti ve ne sono alcuni che sono necessari per destinare importanti risorse economiche: in questi casi i ritardi appaiono ancor più ingiustificati vista la disastrosa situazione in cui versa la nostra economia;
   a tal fine, si ricorda che già il Governo Monti e il Governo Letta, periodicamente pubblicarono dei report sul monitoraggio dei provvedimenti di attuazione delle leggi, dei quali l'ultimo risale al 31 dicembre 2013, mentre il governo Renzi ancora non ha reso pubblica alcuna informazione relativa a quanto fatto in merito fino ad oggi –:
   se siano in grado di fornire informazioni più dettagliate sui tempi di emanazione e di smaltimento della grande mole di decreti attuavi ancora pendenti presso i vari Ministeri;
   quali siano i decreti attuativi ancora pendenti che libereranno direttamente risorse economiche;
   se non ritengano che questi ritardi possano influire economicamente sui soggetti destinatari di tali provvedimenti e, in tal caso, in quale misura;
   se e quando potranno essere pubblicati i dati aggiornati relativi al monitoraggio dei provvedimenti di attuazione delle leggi. (4-05016)

  Risposta. — Si fa riferimento all'interrogazione in esame per comunicare che, alla data di insediamento del Governo il 22 febbraio 2014, i decreti attuativi ancora da adottare riferiti a provvedimenti legislativi degli esecutivi Monti e Letta, assommavano complessivamente a 889, numero così rilevante che il Governo ha ritenuto di avviare sollecitamente una serie di misure volte ad accelerare l'adozione di tali decreti, in particolare di quelli più direttamente collegati alla crescita sociale ed economica del paese. Pertanto, si è provveduto:
   alla riorganizzazione dell'ufficio per il programma di Governo che svolge una forte azione di monitoraggio, di coordinamento e di stimolo nei confronti dei ministeri;
   alla convocazione di una prima Conferenza dei capi di gabinetto, nel cui ambito è stato condiviso un programma di misure concrete coordinate;
   all'attivazione di specifici «tavoli tecnici» tra più ministeri per risolvere in modo contestuale le difficoltà attuative, accelerando notevolmente l’
iter attuativo.

  I dati più recenti, riferiti al 16 ottobre 2014, mostrano che lo stock dei decreti attuativi da adottare, riferiti agli esecutivi Monti e Letta, si è praticamente dimezzato ed oggi i provvedimenti sono 453 di cui 228 riferibili al Governo Monti e 225 al Governo Letta, con un tasso di attuazione pari rispettivamente al 67,5 per cento al 46,7 per cento.
  Per quanto riguarda l'esecutivo in carica, il tasso di attuazione dei provvedimenti con scadenza prevista entro il 6 ottobre è pari al 40,6 per cento superiore rispetto al tasso di attuazione dei primi 7 mesi e mezzo del Governo Letta che era del 28,6.
  L'andamento positivo che emerge da tali dati dimostra l'efficacia delle diverse misure attivate.
  I dati sopra riportati sono consultabili in appositi
report pubblicati sul sito del Governo e dell'ufficio per il programma di Governo e vengono mensilmente aggiornati. Lo stato di avanzamento dei decreti attuativi, infine, è rappresentato dal Presidente del Consiglio e dal Ministro delegato per il programma di Governo ad ogni riunione del Consiglio dei ministri.
  Peraltro, è opportuno anche rammentare che il disegno di legge delega per la riforma della pubblica amministrazione, in esame in prima Commissione Senato, prevede una specifica disposizione che fissa tempi rapidi e certi per l'acquisizione di concerti e pareri, proprio con l'obiettivo di semplificare e velocizzare l’
iter attuativo delle leggi di riforma.
Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il ParlamentoMaria Elena Boschi.


   NUTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi mesi numerosi articoli di stampa hanno rappresentato il grave stato in cui versa il parco macchine della Polizia di Stato: su circa 24 mila vetture, circa un terzo è in attesa di essere riparato da vari anni, mentre le rimanenti risultano essere in buona parte in uno stato precario o non più adatte per l'elevato chilometraggio percorso;
   inoltre, solo una parte minima di tutto il parco macchine della Polizia di Stato è stata assegnata alle squadre volanti, ovvero quei reparti che dovrebbero svolgere una funzione di controllo del territorio e pronto interventi;
   alcune città presentano situazioni paradossali, come ad esempio Catanzaro, città con elevata presenza della criminalità organizzata di tipo mafioso, dove il servizio della squadra volante viene assicurato da una sola autovettura per turno, mentre a Foggia, città con elevata attività criminale, anche mafiosa, le autovetture per turno sono solo 2; a Napoli, altra città che presenta numerosi problemi legati alla criminalità organizzata, su mille autovetture complessive, 300 sono in riparazione; in altre città molto grandi, come Milano e Torino, su circa 500 vetture disponibile, ve ne sono circa 170 in attesa di essere riparate;
   a Roma, vi sono circa una decina di auto per turno destinate alla squadra volanti, mentre vi sono addirittura 120 autovetture utilizzate per il servizio di scorta;
   oltre ai problemi sopra esposti, l'utilizzo delle autovetture della Polizia di Stato, così come di altri Corpi di polizia, è altamente condizionato dalla carenza di fondi destinati al rifornimento di carburante, così come alla revisione e alla copertura assicurativa dei mezzi medesimi –:
   se sia a conoscenza del grave stato in cui versa il parco autovetture della Polizia di Stato e in generale di tutti i Corpi di polizia;
   se intenda attivarsi, per le parti di propria competenza, al fine di garantire ulteriori fondi destinati all'acquisto di nuove autovetture destinate alla Polizia di Stato e, in generale, ai Corpi di polizia, ovvero alla loro manutenzione. (4-05132)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiedono chiarimenti e interventi in merito alla situazione di difficoltà in cui verserebbe il parco macchine della Polizia di Stato.
  Da alcuni anni, il dipartimento della pubblica sicurezza acquista le autovetture d'istituto con il cosiddetto «pacchetto di assistenza» compreso nel prezzo.
  Alla scadenza del «pacchetto di assistenza», gli interventi di manutenzione – sia ordinaria che straordinaria – sono sostenuti mediante l'utilizzo dei fondi che il citato dipartimento distribuisce alle questure per le esigenze connesse alla gestione dei veicoli in dotazione.
  Nelle more della disponibilità effettiva di tali somme, si è verificato – e può tornare a verificarsi – che i mezzi richiedenti significativi interventi di manutenzione siano rimasti fermi nelle officine o nelle rimesse della Polizia di Stato.
  Per risolvere il problema della manutenzione degli automezzi in dotazione alla Polizia di Stato, l'Amministrazione dell'interno si sta muovendo in una duplice direzione: da un lato, incrementando i fondi destinati alla manutenzione medesima, dall'altro, programmando l'acquisto di nuove autovetture – in particolare per lo svolgimento del servizio di volante per il controllo del territorio – in modo tale da realizzare, nel prossimo triennio, un ricambio degli automezzi che hanno il pacchetto manutentivo scaduto.
  Quanto all'aspetto manutentivo, si segnala che lo stanziamento iniziale di circa 34 milioni di euro è stato già incrementato di circa 2 milioni di euro e sono in corso le operazioni contabili necessarie ad un ulteriore incremento di 46 milioni di euro.
  Quanto al programmato ammodernamento del parco veicolare, si richiamano gli stanziamenti pluriennali previsti dall'articolo 8, comma 1, lettera
a), del decreto-legge n. 119 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 146 del 2014.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   PARISI e FAENZI. — Al Ministro dell'interno — Per sapere – premesso che:
   lo scorso sabato 21 giugno, durante lo svolgimento di una pacifica manifestazione svoltasi a Siena, organizzata dalla rete di resistenza apartitica, aconfessionale denominata: «Sentinelle in Piedi», per dimostrare la contrarietà alla proposta di legge a prima firma Scalfarotto approvata in prima lettura alla Camera dei deputati il 19 settembre 2013, presentata come necessaria per fermare atti di discriminazione nei confronti di persone omosessuali, sono accadute forme di contestazione intollerabili da parte di una trentina di individui non autorizzati, i quali con urla e frastuoni hanno impedito fisicamente lo svolgimento dell'ordinato raduno;
   gli interroganti evidenziano, come gli organizzatori, siano stati fra l'altro condizionati negativamente dal comportamento bizzarro e disordinato dell'amministrazione comunale senese, in considerazione dei continui e ripetuti cambiamenti dei luoghi pubblici ove manifestare, nonché dalle esagerate restrizioni e divieti imposti anche nel servizio di volantinaggio, annullando di fatto la libertà di manifestare civilmente e pacificamente contro una legge in fase di approvazione definitiva;
   l'intervento delle forze dell'ordine, che ha invitato i contestatori non autorizzati a lasciare la piazza alle «Sentinelle», che nel frattempo avevano già perso una ventina di minuti fra spostamento di piazza e liberazione della nuova area pubblica ad essi riservata, non è stato tuttavia sufficiente a rendere più serena la situazione;
   a giudizio degli interroganti, è stato utilizzato un «metro di misura» differente, se si valuta come mentre per i provocatori è stato consentito di proseguire ogni azione di disturbo e d'intralcio, interrompendo in più occasioni la quieta manifestazione, per gli organizzatori è stato invece impedito in modo remissivo di esprimere il proprio dissenso per un'iniziativa legislativa a loro giudizio, non condivisibile, per la quale è stata addirittura comminata una sanzione di 100 euro, per l'utilizzo del megafono;
   la suesposta vicenda a giudizio degli interroganti, desta sconcerto ed inquietudine se si valuta come le evidenti e ripetute forme di ostacolo ricevute dai manifestanti della rete «Sentinelle in Piedi», nella libertà di manifestare il proprio dissenso ad una proposta di legge che riguarda il complesso tema etico e sociale dell'omofobia, disattendono la disciplina della libertà di manifestazione del pensiero, riconosciuto dalla Costituzione;
   gli interroganti evidenziano in definitiva come le intenzioni pacifiche degli organizzatori della manifestazione, erano rivolte esclusivamente ad una serie di osservazioni critiche dell'impianto legislativo del provvedimento per il contrasto dell'omofobia e della transfobia, giudicato eccessivo, se si valutano le disposizioni contenute all'interno della medesima proposta di legge, anche con riferimento alle norme previste dal codice penale –:
   se intenda confermare quanto esposto in premessa e in caso affermativo, se non intenda, stigmatizzare quanto avvenuto nel corso della manifestazione del 21 giugno 2014 a Siena che, così come sostenuto dagli organizzatori, si è svolta senza che fossero rispettati gli adeguati livelli di sicurezza e di serenità;
   se non ritenga di dover verificare presso la questura di Siena le modalità con cui è stata organizzata la dimostrazione predisposta dai manifestanti della rete «Sentinelle in Piedi», in riferimento alle contestazioni e agli atteggiamenti ostili dei disturbatori, i quali con il comportamento dimostrato, hanno secondo gli interroganti indebitamente compromesso la libertà di manifestazione i cui principi sanciti dalla Costituzione, stabiliscono che ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per le proprie idee. (4-05323)

  Risposta. — La manifestazione oggetto dell'interrogazione in esame, organizzata dal movimento «Sentinelle in Piedi», si è svolta il 21 giugno 2014 in piazza Salimbeni, a Siena. Nella stessa giornata, il centro storico è stato attraversato da un flusso ininterrotto di senesi e turisti, attratti dalle numerose manifestazioni artistiche e culturali che si svolgevano contemporaneamente (concerti, eventi, flash mob, performance) in luoghi chiusi e all'aperto.
  Per quanto riguarda il luogo in cui si è tenuta la manifestazione, si precisa che nella richiesta di autorizzazione presentata dal rappresentante del movimento era stata proposta un'alternativa tra due piazze situate nel centro storico di Siena: piazza Salimbeni, che si presenta chiusa da tre lati con un proscenio sul corso principale, e piazza Tolomei, che è attraversata da più parti da un flusso veicolare e pedonale. Considerata la situazione logistica più adatta, l'amministrazione comunale ha autorizzato lo svolgimento della manifestazione in piazza Salimbeni.
  Quanto alle restrizioni e ai divieti imposti, si ricorda che la regolamentazione comunale – il cui rispetto nel centro storico è particolarmente rigoroso – prevede che non si possa occupare il suolo pubblico con totem, volantini e megafoni senza una espressa autorizzazione in deroga, che nel caso di specie non era stata richiesta.
  Sebbene, a distanza, si siano registrate alcune azioni di disturbo, con canti e vocìo – in un contesto di ininterrotto e massiccio flusso di pedoni –, il regolare svolgimento della manifestazione è stato garantito da un adeguato servizio di ordine pubblico, che ha impedito il verificarsi di episodi di tensione.
  Si assicura, in conclusione, che resta alto il livello di attenzione delle Forze di polizia su ogni iniziativa che sia espressione delle libertà di riunione e di manifestazione del pensiero, al fine di garantirne il sereno e regolare svolgimento attraverso l'attivazione, in via preventiva, di opportuni canali informativi e la predisposizione di accurati servizi di ordine pubblico.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   PASTORELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 373, comma 2, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, recante «Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada», e successive modifiche, dispone l'esenzione dal pagamento del pedaggio autostradale per «i veicoli con targa C.R.I., nonché i veicoli delle associazioni di volontariato e degli organismi similari non aventi scopo di lucro, adibiti al soccorso nell'espletamento del relativo specifico servizio e provvisti di apposito contrassegno approvato con decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione e del Ministro dei lavori pubblici»;
   la circolare ministeriale 5 agosto 1997, n. 3973, ha chiarito, conformemente al parere espresso dal Consiglio di Stato nell'adunanza generale del 17 maggio 1993, che l'esenzione è riconosciuta quando i veicoli siano immatricolati a nome di organizzazioni di volontariato legittimate ai sensi della legge 11 agosto 1991, n. 266 recante «legge-quadro sul volontariato», siano adibiti al soccorso con equipaggiamento ed attrezzature che ne identifichino con evidenza tale destinazione, siano impegnati nell'espletamento del relativo specifico servizio e siano muniti dell'apposito contrassegno;
   l'articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 43, recante «Attuazione della direttiva 2011/76/UE, che modifica la direttiva 1999/62/CE relativa alla tassazione a carico di autoveicoli pesanti adibiti al trasporto di merci su strada per l'uso di alcune infrastrutture», prevede che «Ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 373 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, e successive modificazioni, possono essere previste aliquote dei pedaggi ridotte, diritti di utenza ridotti o esoneri dall'obbligo di pagare il pedaggio o il diritto di utenza per (...) autoveicoli di pronto intervento, ivi compresi quelli effettuati mediante ambulanza per il trasporto ed il soccorso di feriti o malati»;
   la società Autostrade per l'Italia spa ha confermato la disdetta, a partire dal 1° luglio 2014, dell'accordo sottoscritto nel 1999, con ANPAS (Associazione nazionale pubbliche assistenze) e con la Confederazione nazionale delle misericordie d'Italia, per la fornitura di telepass esenti in comodato d'uso gratuito;
   i mezzi di soccorso sanitario delle associazioni di volontariato coprono il 70 per cento dei servizi di emergenza e trasporto di malati ed infermi sull'intero territorio nazionale;
   sull'argomento è stata approvata, lo scorso 4 giugno 2014, una risoluzione dalla IX Commissione trasporti della Camera, n. 8-00060, che impegna il Governo a «definire e rendere individuabili i veicoli adibiti al soccorso; a concedere telepass per l'esenzione del pedaggio autostradale in comodato d'uso gratuito senza aggravi burocratici ed organizzativi ai veicoli di soccorso delle associazioni di volontariato, modificando ed integrando le concessioni in essere su tutte le autostrade italiane, senza oneri per il bilancio dello Stato» –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia posto in essere o abbia intenzione di porre in essere al fine di garantire l'esenzione del pedaggio autostradale ai veicoli di soccorso delle associazioni di volontariato, alle associazioni di pubbliche assistenze e alle confederazioni delle misericordie dando così attuazione all'impegno assunto con la risoluzione di cui sopra. (4-05440)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame si fa presente quanto segue.
  Come è noto, l'esenzione dal pagamento del pedaggio autostradale in favore dei veicoli delle associazioni di volontariato è regolata dall'articolo 373 del decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992 (regolamento di esecuzione del codice della strada) e dalla circolare interpretativa del Ministero dei lavori pubblici n. 3973 del 5 agosto 1997.
  In base a tali disposizioni l'esenzione del pedaggio veniva garantita a favore delle associazioni di volontariato operanti esclusivamente per il soccorso e il trasporto di emergenza.
  Tuttavia, dette associazioni hanno evidenziato che tali disposizioni costituivano ostacolo all'attività di trasporto malati non in emergenza per le quali è stato richiesto l'estensione dell'esenzione dal pagamento del pedaggio.
  Questo Ministero, al fine di venire incontro alle esigenze manifestate dalle citate associazioni, nonché di migliorare la regolamentazione dell'esenzione del pedaggio autostradale, lo scorso 18 settembre, ha emanato la circolare n. 378 con la quale è stata modificata e integrata la precedente circolare n. 3973.
  In particolare, ferme restando le sopracitate disposizioni, la nuova circolare estende l'esenzione dal pagamento del pedaggio anche alle attività di trasporto malati effettuate a titolo completamente gratuito (né oggetto di rimborso né di fattura).
  Pertanto, resta dovuto il pagamento del pedaggio autostradale in tutti gli altri casi in cui l'attività di trasporto malati sia effettuata dietro pagamento di un corrispettivo o rimborso a qualsiasi titolo riconosciuto (corrispettivo o rimborso che si intende quindi sempre comprensivo del pedaggio).
  Si fa presente, inoltre, che la competente struttura di vigilanza sulle concessionarie autostradali di questo dicastero, in data 2 ottobre 2014, con nota inviata a tutte le società concessionarie ha dettagliatamente declinato il concetto di «soccorso di emergenza» in cui si intendono ricomprese anche le attività, nell'ambito del servizio sanitario nazionale o servizio sanitario regionale e similari, di seguito elencate: servizio 118, trasporto organi, trasporto sangue ed emoderivati in condizioni di emergenza, trasporto sanitario assistito (medico o infermiere a bordo), trasporto neonatale/pediatrico, trasporto pazienti oncologici, trasporto pazienti dializzati che necessitano dell'utilizzo dell'ambulanza come da attestazione del centro dialitico.
  Resta naturalmente fermo il dettato normativo che riconosce l'esenzione del pedaggio ai veicoli delle associazioni di volontariato adibiti al soccorso nell'espletamento dello specifico servizio.
  Pertanto, la casistica sopra elencata riguarda transiti effettuati sui veicoli adibiti al soccorso, quali ambulanze di tipo «A» e/o veicoli muniti di specifica attestazione regionale o aziende sanitarie locali che certifichino l'utilizzo del mezzo per l'espletamento di attività di soccorso.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Schlumberger ha presentato il 20 gennaio 2014 un'istanza di permesso di prospezione in mare proponendo, nel programma lavori, studi che possano portare, sempre secondo la relazione di accompagnamento, alla miglior comprensione della situazione geologica e della potenzialità geomineraria;
   il permesso di prospezione è un titolo minerario non esclusivo, rilasciato dal Ministero dello sviluppo economico su istanza della parte interessata che presenta il programma di ricerca che intende sviluppare, e riguarda aree di grandi dimensioni dislocate soprattutto in mare. All'interno dell'area del permesso di prospezione è possibile condurre solo ed esclusivamente ricerche geofisiche;
   l'area oggetto dell'istanza di permesso di prospezione è localizzata nel Mar di Sardegna, all'interno della zona marina «E». La zona interessata dall'istanza ricopre l'intera area oggetto di ampliamento, per una superficie di 20922 chilometri quadrati. Il lato più vicino alla costa è quello occidentale, che dista oltre 24 miglia nautiche dalle coste sarde (24.3 da Capo dell'Argentiera) e circa 33 miglia nautiche da Alghero;
   per l'acquisizione geofisica nell'area dell'istanza di permesso di prospezione «d 1 E.P-.SC» è previsto l'utilizzo della tecnologia air-gun, tipicamente utilizzata per i rilievi sismici marini;
   Schlumberger Italiana spa fa parte di Schlumberger Oilfield Services («Schlumberger»), la più grande compagnia al mondo di servizi per le società petrolifere, leader nella fornitura di servizi tecnologici e soluzioni all'industria petrolifera mondiale;
   le attività di ricerca di idrocarburi prevedono diverse fasi, ognuna delle quali legata ad un particolare impatto ambientale;
   nei documenti allegati alla richiesta di valutazione di impatto ambientale risulta totalmente omessa la dichiarazione relativa ad incidenti di natura nucleare accaduti in varie parti del mondo alla società richiedente nell'ambito delle fasi di perforazione e gestione di pozzi petroliferi in piattaforma;
   appare, invece, di rilevante importanza conoscere tutti i fatti o «incidenti» che risultano a conoscenza di diverse agenzie mondiali che si occupano della sicurezza nucleare e radioattiva;
   dal report della U.S. Nuclear regulatory commission – loss of control of Cesium-137 Well Logging Source Resulting in Radiation Exposures to Members of the Public – Region IV-Arlington, TX 76011-4005;
   il rapporto della U.S. Nuclear regulatory commission descrive gli eventi che si sono verificati in un impianto di perforazione nel Montana il 21 maggio 2002, che ha esposto a radiazioni non previste 31 lavoratori. Questi lavoratori non erano «radiationworkers», e sono stati quindi presi in considerazione dalla Nuclear regulatory commission;
   incidente ritenuto in violazione delle regole della commissione regolazione nucleare;
   è inclusa nel rapporto una dettagliata descrizione della sequenza degli eventi, la radice e la causa dell'evento, una descrizione dettagliata dei metodi utilizzati per valutare le dosi del lavoratore;
   il rapporto descrive le attività intraprese dalla US Nuclear regulatory commission di (NRC) Augmented squadra Inspection (AIT) in relazione a un incidente che coinvolge l'esposizione di un numero di membri del pubblico a dosi di radiazioni che in alcuni casi ha superato il limite di dose di NRC per i membri del pubblico;
   l'incidente è avvenuto in un impianto di perforazione nello Stato di Montana maggio 2002 ed è stato segnalato alla NRC. La società individuata come responsabile dell'incidente risulterebbe essere Schlumberger Technology Corporation (STC) del gruppo Schlumberger;
   la società Schlumberger è la stessa società concatenate alla Schlumberger Italiana che ha presentato il progetto per i mari della Sardegna;
   nel dossier americano che ripercorre l'evento nucleare dove sono rimaste coinvolte decine di persone sono riprodotte anche immagini eloquenti come il mezzo con il quale questa società trasporta materiale radioattivo funzionale alle proprie attività;
   il 28 febbraio del 1999, quattro lavoratori trivellatrice in un giacimento di carbone gas (CSG) sito ben vicino a Tara nel Queensland erano stati esposti a livelli che risulterebbero ancora segreti di radiazioni;
   avrebbero gestito un componente apparecchiature radioattivo sinistra al sito da parte dei lavoratori di un'altra compagnia petrolifera e di gas, Schlumberger. La sorgente di radiazione non è stata schermata e etichettata come previsto dal regolamento;
   materiale tracciante radioattivo risulta essere utilizzato da società di perforazione per misurare le proprietà di roccia e altri materiali in cui un pozzo viene perforato per determinare la presenza di acqua, gas o olio;
   secondo il documento di protezione dalle radiazioni e Agenzia per la sicurezza nucleare (ARPANSA) australiano, il direttorio nazionale per la protezione dalle radiazioni, i requisiti per la registrazione foro o logging ben comprendono: la licenza deve richiedere al licenziatario di rispettare il ARPANSA / NOHSC standard per limitare l'esposizione dei lavoratori alle radiazioni ionizzanti RPS1 (2002); la licenza deve richiedere al licenziatario di rispettare il codice di condotta per l'uso sicuro delle sorgenti radioattive sigillate in registrazione da foro (1989); e la licenza deve richiedere al licenziatario di assicurare la supervisione diretta di qualsiasi sito campo, mentre le sorgenti radioattive o apparecchi radiazioni sono in uso, per garantire che persone non autorizzate non entrano nel sito;
   la Schlumberger Oilfield UK plc ProsecutionOn il 6 dicembre 2010, è stata multata, 300.000 dollari a Aberdeen Sheriff Court per una violazione della Sezione 3 della salute e sicurezza sul lavoro a seguito di un incidente che si è verificato durante le operazioni di registrazione off-shore sulla ENSCO 101 perforazione nord-mare il 4 aprile 2008;
   nel caso richiamato una elevata attività di cesio-137 sorgente radioattiva ha visto quattordici lavoratori di diversi datori di lavoro messi a rischio di esposizione alle radiazioni –:
   se non ritenga di dover accertare e verificare le notizie relative a tali incidenti;
   se non ritenga di dover valutare l'esclusione della società dalla procedura per aver omesso questi elementi;
   se questa società abbia autorizzazioni nel nostro Paese per utilizzare tale materiale radioattivo. (4-05295)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame si rappresentano per quanto di competenza i seguenti elementi.
  La società Schlumberger italiana ha presentato, in data 20 gennaio 2014, istanza per un permesso di prospezione in mare («d 1 E.P-.SC») nella zona E, ovest della Sardegna.
  L'istanza è al momento in fase di istruttoria presso la commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie (da ora CIRM) organo consultivo del Ministero dello sviluppo economico, chiamata, dopo una prima verifica di accettabilità tecnico-amministrativa, ad emettere il proprio parere sui progetti presentati all'amministrazione.
  La CIRM è composta oltre che da rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico, anche da quelli di tutte le altre amministrazioni competenti, tra le quali il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, l'avvocatura dello Stato e le regioni coinvolte.
  La citata società, ha inoltre, presentato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, lo scorso 7 maggio, istanza per l'avvio della procedura di valutazione di impatto ambientale per il progetto di indagine geofisica «2D» nell'area dell'istanza di cui sopra, che è attualmente in fase di istruttoria tecnica presso la commissione di valutazione impatto ambientale.
  Laddove dovessero concludersi con esito positivo i suddetti procedimenti, il Ministero dello sviluppo economico procederà alla valutazione finale ai fini del rilascio, a titolo non esclusivo, del permesso di prospezione oggetto dell'istanza. Nell'ambito di tale procedimento di competenza del verrà valutata la capacità tecnica ed economica del soggetto richiedente, così come previsto dalla normativa applicabile.
  Si segnala che l'istanza depositata dalla società medesima non prevede l'utilizzo di materiali radioattivi per l'attività in programma. In generale, nell'attività di prospezione petrolifera non si impiegano materiali radioattivi. Tali materiali vengono normalmente utilizzati durante le fasi di esplorazione e produzione, al fine di verificare la tipologia delle formazioni geologiche attraversate e la corretta realizzazione dei pozzi in linea con il progetto autorizzato.
  Il loro impiego, è quindi, legato ad operazioni di perforazione di pozzi, per le quali è necessario avere un titolo minerario di ricerca o una concessione di coltivazione, nonché l'autorizzazione alla perforazione, ed è limitato in termini di intensità e di tempo, in quanto legato a specifiche e puntuali verifiche di pozzo. Si tratta di apparecchiature di dimensioni e potenza paragonabili, o inferiori, a quelle in uso per scopi medico-diagnostici e in ogni caso non impiegate nelle attività di prospezione geofisica in programma.
  Gli incidenti riportati non sono pertanto rilevanti ai fini dell'istanza presentata.
  In merito alla richiesta «di verificare e accertare gli incidenti occorsi alla società», si fa presente che il rapporto tecnico (NUREG 1794 «Loss of Control of Cesium-137 Well Logging Source Resulting in Radiation Exposures to Members of the Public» del 2004) descrive gli eventi verificatisi il 21 maggio del 2002, nel corso di una perforazione in Montana (USA), che ha portato all'esposizione non voluta di 31 lavoratori a radiazioni. Tali lavoratori non erano «professionalmente esposti e, pertanto, per essi vale il limite di dose previsto per la popolazione che, negli USA come in Italia, è pari a 1 mSv all'anno. Le dosi riscontrate dalla
nuclear regulatory commission (NRC) sono, per la maggior parte dei lavoratori esposti, al di sopra del limite consentito per la popolazione, ma ben al disotto del limite previsto per i lavoratori professionalmente esposti (50 mSv/anno). Come riportato nel rapporto tecnico, l'esposizione dei lavoratori in questione è relativamente bassa e non dovrebbe comportare alcun effetto clinico.
  L'incidente si è verificato a seguito di un errore nel trasferimento della sorgente sigillata, che conteneva 48 gigabecquerel di 137 Cs, dal pozzo al suo contenitore opportunamente schermato per il trasporto. La sorgente è stata quindi lasciata priva del suo schermo, finché i tecnici, accortisi dell'inconveniente, hanno recuperato la sorgente (due giorni dopo). In genere tali inconvenienti vengono invece rilevati immediatamente, ponendo gli operatori nelle condizioni di agire tempestivamente, senza conseguenze.
  La stima delle dosi ricevute dai lavoratori esposti, condotta dalla Schlumberger, si è rivelata estremamente conservativa: tali valori erano anche più di 10 volte superiori rispetto a quelli riscontrati dagli ispettori della NRC, compresi tra 0 e 10 millisievert. Molti valori di dose erano intorno o leggermente superiori al limite di dose previsto per la popolazione (1 mSv/anno).
  A seguito dell'incidente, la Schlumberger ha intrapreso una serie di azioni, quali il licenziamento di tre tecnici ritenuti responsabili della perdita di controllo della sorgente, l'invio di un rapporto tecnico sull'incidente a tutti gli impianti di trivellazione operanti negli USA e la modifica del programma di formazione dei tecnici.
  La società in questione è riconosciuta a livello internazionale come uno dei
leader mondiali nella fornitura di tecnologia, progetti e servizi ad alto contenuto tecnologico per la prospezione, ricerca ed estrazione di idrocarburi. Peraltro, le tecniche di controllo sui pozzi con uso di sorgenti di radiazioni ionizzanti sono tecniche di routine nell'industria petrolifera, che le società di servizi impiegano ripetutamente su uno stesso pozzo o su pozzi diversi in tutto il mondo. Gli incidenti a carico della società hanno carattere di eccezionalità ed hanno un'incidenza trascurabile in termini percentuali sulla scala dell'attività mondiale e sulla storia della società stessa.
  Ad ogni modo, spetta alle autorità di vigilanza del paese in cui si verifica l'incidente, ed in particolare quelle preposte alla tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori – eventualmente in collaborazione con l'autorità per la sicurezza nel settore nucleare – di espletare le necessarie indagini e di formulare le conseguenti valutazioni, anche al fine della eventuale contestazione di illeciti di rilevanza penale.
  Con riferimento, quindi, alla prima richiesta dell'interrogante, di accertare e verificare le notizie relative agli incidenti di cui trattasi, si fa presente che, come
supra evidenziato, trattasi di incidenti noti, sui quali vi sono informazioni pubblicamente disponibili e a seguito dei quali la società ha, peraltro, adottato opportuni provvedimenti, che verranno valutati nelle opportune sedi.
  Relativamente alla richiesta di valutare l'esclusione della società dalla procedura di valutazione impatto ambientale per aver omesso i riportati incidenti nella documentazione allegata alla richiesta, deve rilevarsi che non è previsto dalla normativa italiana l'obbligo di indicare gli incidenti occorsi a società diverse dalla società richiedente, benché appartenenti allo stesso gruppo, e relativi a tipologie di attività diverse da quelle oggetto di istanza. Si ribadisce, pertanto, quanto già precedentemente evidenziato circa la non rilevanza degli incidenti invocati ai fini della specifica istanza presentata.
  Ciò premesso, si rammenta, tuttavia, che è il Ministero dell'ambiente l'ente competente per il procedimento
de quo e ci si rimette pertanto alle valutazioni che tale dicastero effettuerà in tale sede.
  Relativamente all'ultimo quesito, se la società abbia autorizzazioni ad utilizzare materiali radioattivi nel nostro Paese, si precisa che l'impiego di tali materiali è soggetto per legge ad autorizzazione specifica emessa con decreto dirigenziale del Ministero dello sviluppo economico di concerto con i Ministeri degli interni, del lavoro, della salute e dell'ambiente, sentito il parere dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
  La normativa di riferimento è costituita dal decreto legislativo n. 230 del 1995 e successive modificazioni e integrazioni, che demanda il controllo dell'impiego di tali materiali, nell'ambito dei siti minerari, agli uffici territoriali (da ora Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse competenti e all'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Esistono norme specifiche per il trasporto e il deposito dei materiali radioattivi che richiedono ulteriori autorizzazioni rilasciate dagli enti competenti, che, a seconda del mezzo di trasporto utilizzato, coinvolgono oltre che il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dei trasporti, anche la Capitaneria di Porto, l'ENAC, ed altri.
  La Schlumberger Italiana spa è autorizzata in Italia all'impiego di sorgenti di radiazioni ionizzanti ai sensi dell'articolo 28 del decreto legislativo n. 230 del 1995 e successive modificazioni e integrazioni. Al momento la società non è titolare di permessi di ricerca o concessioni di coltivazione, ma svolge attività sui pozzi, come fornitore di altri soggetti operatori nelle attività di esplorazione e produzione in Italia.
  A questi scopi, così come richiesto dalla legge ed individuato e descritto nel documento di salute e sicurezza (da ora DSS) predisposto dalla società contrattista e nel DSS coordinato, predisposto dall'operatore dell'attività mineraria, vengono utilizzate tecnologie certificate e controllate, con elevati standard di sicurezza, risorse specializzate e opportunamente formate e strutture e dotazioni appropriate allo svolgimento di tali mansioni.
  Il DSS e tutta l'attività svolta all'interno del sito minerario sono soggetti al controllo territoriale dell'UNMIG competente, con particolare riferimento agli aspetti di tutela della salute e sicurezza, nonché ai controlli degli enti locali competenti e dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
  La disciplina italiana sul tema recepisce le direttive europee e risulta essere particolarmente stringente. In ogni caso la responsabilità per tutte le attività che si svolgono nell'ambito di un titolo minerario o di una concessione ricade sull'operatore titolare degli stessi, sia nei confronti dei lavoratori sia dei terzi sia della pubblica amministrazione.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoSimona Vicari.


   PLANGGER. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in occasione del vertice Unione europea Canada nell'ottobre 2008 venne stabilito di avviare trattative volte a concludere un ampio accordo economico e commerciale con il Canada;
   le trattative sono state aperte il 10 giugno 2009 e il 18 ottobre 2013 il Presidente della Commissione europea e il Primo Ministro canadese hanno firmato un accordo in linea di principio, lasciando poi ai funzionari il compito di elaborare i dettagli finali, che però ad oggi ancora non sono stati definiti; l'accordo dovrà poi essere ratificato anche da tutti gli Stati membri per entrare in vigore, dopo aver ottenuto il via libera del Parlamento europeo e del Consiglio;
   la base normativa per le trattative e la conclusione di trattati commerciali con Stati terzi è costituita, rispettivamente, dagli articoli 207 e 216 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE);
   posto che l'Unione europea ha competenza esclusiva per la politica commerciale, non è chiaro se il «Comprehensive Economic and Trade Agreement» sia un accordo commerciale misto oppure di esclusiva competenza dell'Unione europea, dal momento che si parla di accordo misto quando il testo riguarda sia competenze esclusive dell'Unione europea sia competenze esclusive degli Stati membri e di conseguenza necessiterebbe anche dell'approvazione degli Stati membri;
   il servizio giuridico del Consiglio, in un parere, ha considerato il «Comprehensive Economic and Trade Agreement» un accordo misto –:
   se il Governo possa chiarire che si tratta di un accordo misto oppure di esclusiva competenza dell'Unione europea e se intenda considerare la possibilità di chiedere alla Corte di giustizia dell'Unione europea un parere riguardo alla compatibilità del previsto accordo con i Trattati fondamentali dell'Unione europea.
(4-05993)

  Risposta. — L'Accordo di libero scambio Unione europea-Canada (Comprehensive economic and trade agreement - Ceta), mira alla più ampia liberalizzazione di linee tariffarie nella storia dei negoziati commerciali dell'Unione europea. Nel corso dell'ultimo vertice Unione europea-Canada, svoltosi il 26 settembre 2014 ad Ottawa, è stata annunciata la conclusione, sotto il profilo politico, dei negoziati per il Ceta, analogamente a quella per il correlato negoziato per un accordo quadro (Strategie partnership agreement - Spa).
  Come noto, il Ceta – il cui negoziato era stato avviato nel maggio 2009 – è un accordo mirante a facilitare le relazioni commerciali tra il Canada e l'Unione europea grazie ad una serie di misure innovative ed ambiziose che spaziano dalla liberalizzazione degli scambi alla facilitazione dell'accesso al government procurement, ovvero agli appalti pubblici, all'apertura del mercato dei servizi, all'offerta di condizioni favorevoli per gli investimenti ed alla protezione delle indicazioni geografiche.
  Nell'Accordo Ceta è di precipuo interesse per l'Italia il tema delle regole di origine, l'accesso al mercato degli appalti pubblici e, soprattutto, la protezione delle indicazioni geografiche (Iigg). L'intesa raggiunta su queste questioni può essere considerata soddisfacente anche per quanto riguarda le indicazioni geografiche, avendo ottenuto l'applicazione del principio di coesistenza dei marchi e l'accettazione della clausola di
grandfathering (esenzione) ed altri obblighi in termine di differenziazione con i marchi precedentemente registrati in Canada.
  Per l'Unione europea l'intesa raggiunta con il Canada è un risultato positivo di tutto rilevo, in quanto stabilisce un precedente importante per futuri negoziati commerciali multilaterali. Da parte italiana ci si può ritenere soddisfatti dei risultati raggiunti dal negoziato per questo accordo, che il paese ha sostenuto con convinzione, ritenendolo suscettibile di consolidare le relazioni tra Unione europea e Canada. Vi è quindi motivo di ritenere che l'attuazione del Ceta condurrà ad un considerevole, e positivo, aumento delle opportunità commerciali ed economiche, consentendo un migliore accesso reciproco ai mercati e più vantaggiose opportunità di investimento. Auspichiamo pertanto che le discussioni di carattere tecnico tuttora in corso – così come il lavoro di traduzione e di «ripulitura» linguistica dei testi – possa essere finalizzato velocemente. Conclusi i negoziati politici, infatti, la stesura del testo viene ora perfezionata in alcune discussioni di carattere tecnico che si stanno svolgendo nel competente comitato a Bruxelles (Cpc - Comitato di politica commerciale).
  Come ricordato dall'interrogante, tra le questioni ancora da chiarire vi è anche la natura dell'accordo, ovvero se esso sia da ritenersi «misto» o di esclusiva competenza dell'Unione. Il Consiglio è pressoché unanime nel ritenere l'accordo «misto». Da parte italiana si condivide tale valutazione – in quanto il Ceta tratta in misura rilevante questioni di competenza mista o esclusiva degli stati membri, quali la proprietà intellettuale, i trasporti, la sicurezza sul lavoro, gli investimenti – e sosterrà tale linea nelle sedi competenti. Indipendentemente dalla natura «mista» o di esclusiva competenza dell'Unione europea dell'accordo, la valutazione sull'opportunità di chiedere il parere della Corte di giustizia ai sensi dell'articolo 218 paragrafo 11 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (Tfue) potrà essere effettuata una volta noto il testo finale dell'accordo stesso.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   PRATAVIERA e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   «sentinelle in piedi» è un movimento di cittadini apartitico e organizzato spontaneamente che manifesta, in modo pacifico, e nel rispetto delle norme che regolano lo svolgimento di manifestazioni pubbliche la propria contrarietà alle iniziative legislative e amministrative (genitore 1 genitore 2, introduzione del reato d omofobia, riconoscimento pubblico delle unioni tra omosessuali, adozione per le coppie gay e altro) volte a far primeggiare la cosiddetta «cultura gender» a discapito della famiglia, nucleo fondamentale della società;
   le «sentinelle in piedi» si incontrano in una piazza o in un altro luogo pubblico e in silenzio leggono a bassa voce dei brani tratti da libri di noti scrittori. Questa forma di protesta è articolata in questi termini proprio al fine di sensibilizzare nel modo più pacifico possibile e senza arrecare alcun disturbo alla cittadinanza, più persone possibili su questi temi che dalla stragrande maggioranza dei partiti politici vengono derubricati sempre più alla sfera personale lasciando nella maggior parte dei casi libertà di coscienza ai propri eletti;
   queste manifestazioni hanno fin da subito esercitato un forte potere attrattivo e si sono diffuse senza una vera e propria organizzazione su tutto il territorio nazionale;
   è oramai da tempo che come denunciato da numerosi atti di sindacato ispettivo si registrano episodi violenti di contestazione da parte delle organizzazioni antagoniste nei confronti dei manifestanti delle «sentinelle in piedi»;
   queste manifestazioni se pur violente (insulti, ingiurie, vilipendio alla religione, lancio di oggetti) non erano mai degenerate in vero e proprio scontro fisico con il coinvolgimento delle forze dell'ordine, anche grazie all'estrema pazienza dimostrata dai manifestanti silenti;
   è preoccupante l’escalation di violenza che si sta registrando intorno a queste manifestazioni. È noto, infatti, ciò che è accaduto nella città di Bologna, dove i manifestanti sono stati fisicamente aggrediti dai gruppi antagonisti capeggiati dai centri sociali organizzati;
   è necessario riflettere anche sulle responsabilità oggettive che possono essere attribuite alla comunicazione di massa che, ad avviso degli interroganti, sta contribuendo, asservita al pensiero unico dominante, a travisare la realtà in modo fazioso e partigiano, da un lato non condannando gli atti violenti e dall'altro lato dando un'immagine negativa dei manifestanti pacifici definendoli: omofobi, nazisti, bigotti, clericali;
   a conferma di quanto detto, secondo gli interroganti, basta citare un estratto di un'articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano a firma, Sciltian Gastaldi, 6 ottobre 2014: «L'immagine di queste veglie rimanda a memorie davvero tristi: poche persone in piedi, immobili, a distanza di due metri una dall'altra, in silenzio. Fanno finta di leggere un libro, a volte tenuto alla rovescia. Osservano un atteggiamento marziale. I volti segnati da una cattiveria senza un vero perché. Inquadrati in modo assai severo dal loro servizio d'ordine, che si muove a scatti nervosi, con tanto di pettorine colorate. Un servizio d'ordine che ha imposto loro il silenzio: le “sentinelle” non hanno diritto a parlare con chicchessia, soprattutto con la stampa. I giornalisti sono dunque costretti a passare per i portavoce ufficiali, dovendo così rinunciare al proprio diritto di cronaca. Ecco che questi omofobi a piedi possono essere descritti come manipoli di cittadini disposti a sospendere i propri diritti di libera espressione al fine di impedire ad altri il diritto alla felicità. Del resto, già il nome di “sentinelle” individua nei partecipanti dei soldati che si arruolano per difendere un avamposto e ammazzare il nemico, non certo per stabilire un dialogo»;
   in un post pubblicato da una nota giornalista e opinionista molto conosciuta e seguita dalle giovani generazioni, Selvaggia Lucarelli, addirittura si inneggiava alla violenza, sostenendo che i centri sociali avevano fatto bene a prendere a calci le «sentinelle in piedi»;
   se è vero che la libertà di comunicazione e di informazione deve essere garantita sempre e comunque è impensabile che alcuni giornalisti, travisando la realtà in modo partigiano e in nome di una propria visione del mondo ideologizzata, possano impunemente fomentare reazioni violente;
   se la violenza dovesse degenerare, ad avviso degli interroganti, questi giornalisti potrebbero essere considerati i «mandanti morali» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare per garantire la libertà di manifestazione pacifica a tutti e per condannare atteggiamenti violenti, in particolar modo quando protetti dalla libertà di stampa, che sono finalizzati a fomentare l'odio. (4-06330)

  Risposta. — Il 5 ottobre 2014 le Sentinelle in piedi hanno tenuto una fitta serie di presidi, complessivamente 50 in tutta Italia, in occasione dei quali si sono registrate 26 concomitanti contromanifestazioni, organizzate da aderenti alle realtà antagoniste, ai centri sociali e ad altre associazioni.
  In vista di tali appuntamenti, il dipartimento della pubblica sicurezza ha diramato due circolari di sensibilizzazione, con cui sono state impartite direttive alle autorità provinciali di pubblica sicurezza per la predisposizione di idonee misure, volte ad assicurare il regolare svolgimento delle manifestazioni.
  Inoltre, per l'attuazione dei servizi di ordine e sicurezza pubblica pianificati dalle questure per l'occasione, sono state assegnate aliquote di rinforzo dei reparti inquadrati, laddove le autorità provinciali di pubblica sicurezza ne abbiano fatto richiesta.
  Anche in virtù di tali misure, i presidi del 5 ottobre 2014 si sono svolti sostanzialmente senza problemi, salvo alcune criticità occorse in una decina di località dove, in ogni caso, il pronto intervento delle forze di polizia impegnate nei servizi di ordine pubblico è valso a contenere gli effetti delle estemporanee iniziative di dissenso poste in essere dai contestatori.
  In particolare, per quanto riguarda la manifestazione di Bologna – espressamente menzionata nell'interrogazione – circa duecentocinquanta aderenti alle locali realtà antagoniste si sono diretti in corteo verso piazza Galvani, ove si erano radunati una quarantina di attivisti delle Sentinelle in piedi, tra cui sette aderenti al movimento Forza nuova.
  Al termine dell'iniziativa, mentre i partecipanti sono stati fatti defluire verso una via laterale, gli antagonisti, nel tentativo di venire a contatto con gli aderenti a Forza nuova, hanno lanciato anche oggetti sul cordone di polizia schierato tra gli opposti gruppi.
  Nella circostanza un operatore di polizia è stato colpito al volto con una cintura, lanciata da un esponente dei centri sociali. Poco dopo, un gruppo di antagonisti, avendo notato tre attivisti di Forza nuova salire a bordo di un taxi, si è avvicinato al veicolo sferrando calci e pugni.
  Le indagini svolte dalla questura hanno consentito di identificare e denunciare all'autorità giudiziaria undici persone, tra esponenti dei centri sociali e un militante di Forza nuova, quali autori degli atti di violenza.
  Tanto detto sulla manifestazione di Bologna, si rappresenta, più in generale, che il mantenimento dell'ordine e della sicurezza durante le pubbliche manifestazioni, qualunque ne sia l'orientamento, costituisce uno degli impegni più delicati per le forze di polizia, che operano attraverso sperimentati moduli operativi, consistenti nell'attivazione in via preventiva di opportuni canali informativi e nella predisposizione
in loco di accurati servizi di ordine pubblico commisurati al livello di rischio atteso, fatte salve – all'occorrenza e ove possibile – successive integrazioni del dispositivo a manifestazione in corso.
  I fatti illeciti posti in essere nel corso degli eventi in questione, attentamente monitorati da operatori di polizia specializzati, vengono sottoposti, al termine delle relative indagini, alle valutazioni dell'autorità giudiziaria.
  Si assicura che a tale consolidato
modus operandi le forze di polizia si atterranno anche in futuro, in modo da garantire il sereno e regolare svolgimento di ogni iniziativa pacifica, che sia espressione della libertà di manifestazione del pensiero costituzionalmente garantita, comprese, ovviamente, quelle delle Sentinelle in piedi.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   PRATAVIERA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SIMONETTI, GIAMMANCO, BIANCONI, PALESE, VALENTINI, OCCHIUTO, MOTTOLA, POLVERINI, MARGUERETTAZ, GIANCARLO GIORGETTI, MARTI, NIZZI, FUCCI, RIZZETTO e FEDRIGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi a Roma il Premier cinese Li Keqiang e il Presidente del Consiglio Renzi hanno raggiunto una ventina di intese tra Italia e Cina per un valore, di circa 8 miliardi di euro;
   la Cina per il nostro Paese è il secondo partner commerciale extraeuropeo dopo gli Stati Uniti per un volume di affari di circa 32 miliardi di euro (dato al 2013). Nel primo semestre del 2014 l’export verso la Cina è aumentato dell'8,3 per cento;
   l'alleanza più rilevante di questa serie di accordi è quella fra la Cassa depositi e prestiti e China development bank con lo scopo di rafforzare la collaborazione fra i due istituti, per effettuare operazioni congiunte per complessivi 3 miliardi di euro nei prossimi 5 anni. La Cassa depositi e prestiti e China development bank esploreranno opportunità in diverse aree di attività, inclusi progetti infrastrutturali, investimenti azionari diretti e finanziamenti per l’export. È stato sottoscritto un Memorandum of understanding per operazioni di investimento tra Fondo strategico italiano e China Investment Corporation (CIC International). È stato firmato inoltre un protocollo d'intesa anche tra Enel e Istituto finanziario Bank of China Ltd leader nel settore bancario cinese;
   tra gli accordi siglati vi è anche un contratto da 400 milioni di euro tra Finmeccanica AgustaWestland il gruppo cinese Beijing Automotive Industrial Corporation (Baic) per la fornitura di 50 elicotteri di vari modelli che verranno destinati a compiti di pubblica utilità. Tra M&G International e Anhui Guonzhen Group arrivano poi una joint venture da circa 325 mila dollari per la produzione di 235.000 litri all'anno di etanolo cellulosico di seconda generazione a partire da residui agricoli e una da 250 mila dollari per la costruzione di un impianto di co-generazione di energia e vapore. E ancora, tra MeinlBank/Sogeap, società gestione aeroporto di Parma, American Global Fund e Izp Technologies Group è stata concordata un'intesa da 40 milioni di euro per l'acquisizione della quota di maggioranza di Sogeap. Silversea Cruise e Icbc Financial Leasing collaboreranno per l'espansione della flotta di Silversea con finanziamenti per le nuove navi costruite da Fincantieri. Intesa Sanpaolo e Export-Import Bank of China hanno firmato un accordo strategico di collaborazione per lo scambio di prodotti meccanici, elettronici e tecnologici. Gli ultimi tre memorandum vedono come firmatari Invitalia e The Export Bank of China; Twe Sistema Italia e West Hope Dekang Group (800 milioni di euro per investimenti nel settore agricolo) e Machinery e Zhejiang Rifa (accordo per acquisto di azioni);
   il presidente cinese ha affermato: «intendiamo importare più prodotti Made in Italy di alta tecnologia e creatività»; inoltre, ha sottolineato l'importanza di «investimenti reciproci» e di «incoraggiare le collaborazioni tra piccole e medie imprese» che riguarderà anche gli scambi di prodotti enogastronomici;
   è nell'intenzione dei Governi italiano e cinese intensificare i rapporti commerciali, in quanto dovrebbero essere una fonte di garanzia di continuità di sviluppo per le aziende. Ma la Cina è anche il principale Paese di origine dei prodotti contraffatti con il 66,1 per cento dei prodotti sequestrati, a cui si deve aggiungere un 13,3 per cento proveniente da Hong Kong;
   l'industria del falso è ormai un fenomeno di prima grandezza nell'economia mondiale che coinvolge tutti i Paesi, siano essi produttori o consumatori di beni contraffatti. Il volume complessivo del commercio mondiale di merci contraffatte ammonta a più di 200 miliardi di euro l'anno;
   nel 2013 le autorità doganali dell'Unione europea hanno effettuato 86.854 sequestri per 35,9 milioni di prodotti sospettati di violazione dei diritti di proprietà intellettuale, con un valore delle merci intercettate pari a 768 milioni di euro;
   la contraffazione è operata essenzialmente da Paesi extraeuropei e l'Estremo Oriente è indicato come la fonte principale delle falsificazioni ai danni del made in Italy;
   il settore più esposto alla contraffazione è quello dei prodotti della moda (circa il 60 per cento del fenomeno), il resto riguarda giocattoli, prodotti enogastronomici, prodotti di design, orologeria, componentistica, audiovisivi e software. La maggior parte dei prodotti spesse volte non rispetta le norme per la tutela della salute e sicurezza, mettendo in serio pericolo la salute del consumatore;
   la contraffazione provoca un danno economico, oltre che alle imprese anche al made in Italy in termini di mancate vendite, perdita di immagine e di credibilità del marchio e delle qualità del prodotto italiano, oltre che di spese per la tutela dei diritti di proprietà intellettuale, riduzione della redditività degli investimenti in ricerca, innovazione e marketing;
   la contraffazione a tavola è quella più temuta dagli italiani: sei italiani su dieci, il 60 per cento, la considerano, a ragione, più grave delle frodi fiscali e degli scandali finanziari;
   il termine «contraffare» consiste essenzialmente nel dare un'apparenza ingannevole della genuinità di un prodotto che è composto da materie prime e sostanze, in tutto o in parte, diverse per quantità o qualità da quelle che normalmente concorrono a formarlo;
   una tipologia di contraffazione è quella relativa al marchio o all'indicazione di provenienza geografica o alla denominazione di origine che ha comportato la nascita del fenomeno dell’Italian sounding ovvero tutti quei prodotti che fanno riferimento all'Italia e che sono in massima parte prodotti imitativi (fake italian) e che presentano un mix di nomi italiani, luoghi, immagini, slogan, colori, chiaramente e inequivocabilmente afferenti all'Italia. L'indicazione fuorviante dell'italianità di alcuni prodotti sui mercati esteri con inganno dei consumatori sulla esatta provenienza dei beni rappresenta un danno ingente per l'economia del nostro Paese e per l’export del made in Italy;
   la contraffazione alimentare è un crimine particolarmente odioso perché si fonda soprattutto sull'inganno nei confronti di quanti, per la ridotta capacità di spesa, sono stati costretti a tagliare la spesa alimentare e a optare per alimenti economici con prezzi troppo bassi per essere prodotti autentici, con conseguenze economiche e sanitarie di rilievo per i consumatori e per i produttori;
   le contraffazioni nel settore agricolo e agroalimentare rappresentano un fenomeno preoccupante e, nonostante l'intensificarsi dei controlli, continuano a svilupparsi in maniera crescente e fanno perdere risorse al nostro Paese, risorse che creano indispensabili rapporti commerciali che sono fondamentali per l'economia del territorio;
   l’Italian sounding a livello mondiale ha un giro d'affari stimabile in circa 54-55 miliardi euro (pari a quasi 2 volte il fatturato dell’export alimentare, pari per il 2012 a poco meno di 32 miliardi di euro) ed è la principale causa di mancato guadagno per l’export italiano, perché consente ad alcune aziende di avere un vantaggio competitivo immeritato, producendo a prezzi più bassi e collocando il prodotto su fasce di prezzo più alte grazie al richiamo all'Italia o all'italianità –:
   quali iniziative intenda mettere in atto il Governo di concerto con quello cinese per contrastare il commercio internazionale dei prodotti contraffatti made in Italy nonché dell’Italian sounding. (4-06551)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  Per quanto riguarda i rapporti bilaterali Italia-Cina sulla contraffazione, se da un punto di vista politico il 16 ottobre scorso si è svolto a Milano a margine del vertice Asia-Europe Meeting un incontro tra il presidente Matteo Renzi e il premier cinese Li Keqiang (che ha manifestato il proprio impegno nei confronti dell'Italia affermando: «Dobbiamo tutelare i diritti di proprietà intellettuale. Solo così possiamo portare avanti la collaborazione con il vostro Paese») da un punto di vista operativo, già a ottobre 2013 (nell'ultima riunione del comitato governativo Italia-Cina a Roma), si è convenuto di costituire un nuovo gruppo di lavoro congiunto dedicato ai diritti proprietà industriale.
  Tale gruppo di lavoro sarà inserito nell'ambito dei lavori della commissione mista economico commerciale (che si riunisce periodicamente e alternativamente in Italia ed in Cina). Il Ministero dello sviluppo economico si è già attivato per definire i membri italiani del gruppo di lavoro, che vedrà anche il coinvolgimento delle principali associazioni rappresentative del settore privato.
  Il Ministero è altresì in procinto di proporre alla controparte cinese di tenere a Roma la prima riunione del gruppo di lavoro nel 2015. In tale occasione saranno discusse anche le tematiche connesse alla lotta alla contraffazione
on-line, off-line e all’Italian Sounding.
  In relazione al problema della contraffazione via internet in Cina, segnalo anche il recente memorandum of understanding stipulato tra il Ministero dello sviluppo economico e il gruppo alibaba a giugno 2014. Ancora, il Business Forum Italia Cina potrebbe essere un altro utile contesto in cui trattare di tali problematiche.
  Dal punto di vista dell'azione di politica commerciale italiana verso la Cina, il Ministero dello sviluppo economico ha istituito un
desk anticontraffazione e assistenza agli ostacoli al commercio presso gli uffici ICE di Pechino il cui compito è di assistere le imprese italiane in caso di contraffazione di prodotti made in Italy (oltre che sulle barriere non tariffarie).
  Per quanto riguarda gli accordi con il governo cinese si è provveduto a far inserire il maggior numero di denominazione di origine protetta italiane (27) nelle prime cento indicazioni geografiche che saranno protette in Cina ai sensi del futuro accordo settoriale sulle indicazioni geografiche dell'Unione europea con la Repubblica Popolare cinese (ancora in negoziazione ma avviato ad essere un punto fermo dell'attività di contrasto all'imitazione di nostri prodotti); altre sono state inserite nella seconda lista di altre cento indicazioni geografiche che saranno protette a quattro anni dalla stipula dell'accordo. Si noti che le denominazioni di origine protetta «grana padano» e «prosciutto di Parma» sono già inseriti nel progetto di tutela sperimentale di «10+10» indicazioni geografiche che sono protette anticipatamente prima della conclusione del negoziato.
  Colgo l'occasione per ricordare che il Ministero dello sviluppo economico, in stretta cooperazione con altri Dicasteri e ovviamente con la commissione europea (che negozia gli accordi), sta sviluppando una serie di rilevanti iniziative sul piano dei negoziati commerciali internazionali. Queste sono volte a stabilire – per mezzo degli accordi – il necessario quadro giuridico affinché l'accesso dei nostri prodotti ai mercati dei Paesi terzi sia permesso o semplificato, nonché tutelato da concorrenza sleale e contraffazione.
  In tale ambito, è necessario rilevare i risultati raggiunti per la protezione delle indicazioni geografiche oltre che grazie all'accordo con la Cina, tramite altri accordi dell'Unione europea e cioè con i trattati bilaterali in vigore fra Unione europea e la Corea del Sud, la Colombia e il Perù, nonché con sei paesi centroamericani (Costarica, Honduras, El Salvador, Guatemala, Nicaragua e Panama).
  Va soprattutto evidenziato l'accordo con il Canada il
Comprehensive Economic and Trade Agreement, dove si sono raggiunti risultati eccezionali che permetteranno alle nostre indicazioni geografiche di accedere ad un mercato importante in condizioni di coesistenza con i marchi locali preesistenti (e di tutela da futuri marchi usurpativi). Altri accordi da segnalare sono quelli con l'Ecuador, i Paesi dell'Africa del Sud (Economic partnership agreement-Southern-African Development Community) e con Singapore (tutti conclusi ma non ancora firmati). Nel quadro degli accordi settoriali nel campo delle indicazioni geografiche, sono già in vigore gli Accordi con USA, Australia, Cile sul vino.
  Sono in corso negoziati anche con il Mercosur, Bolivia, Vietnam, Tailandia, Giappone e con gli USA. Questi ultimi rappresentano due tappe fondamentali per migliorare l'accesso a mercati importantissimi per il nostro export sia per i nostri prodotti agroalimentari d'eccellenza che in generale per tutti i prodotti del
made in Italy.
  Sono, infine, da menzionare i negoziati multilaterali in corso presso l'organizzazione mondiale del commercio e l'organizzazione mondiale della proprietà intellettuale, riguardanti, rispettivamente, l'istituzione di un sistema di notifica e registrazione delle indicazioni geografiche e la revisione dell'Accordo di Lisbona del 1958 sulla protezione internazionale delle denominazioni di origine.
  Nei paesi con i quali invece, non vi sono accordi conclusi e si registrano le maggiori difficoltà commerciali da aprile scorso sono stati istituiti 5
desk anticontraffazione e assistenza agli ostacoli al commercio: (oltre che a Pechino, anche a Mosca, Istanbul, New York e Tokyo). Il loro scopo è fornire assistenza alle imprese italiane all'estero sia per la tutela della proprietà intellettuale che per problemi relativi alle barriere non tariffarie e alle procedure doganali. Il solo desk di Tokyo assiste le nostre imprese esclusivamente per problemi relativi ai prodotti agroalimentari.
  Devo peraltro ricordare che, in generale, il fenomeno dell’
Italian sounding si contrasta anche sul piano della comunicazione, della cultura e della promozione dei nostri marchi. Proprio ad educare il consumatore estero e a comunicare i caratteri di originalità e tradizione dei prodotti Made in Italy, soprattutto nell'agroalimentare, sono dirette le numerose iniziative promosse dall'Istituto per il commercio estero-agenzia sui mercati maggiormente interessati dal fenomeno. Tra queste iniziative mi limito a ricordare il piano promozionale che stiamo avviando negli Stati Uniti affinché le nostre imprese possano sfruttare al meglio l'occasione della futura conclusione dei negoziati Transatlantic Trade and investment partnership e guadagnino una sempre maggiore visibilità su quel mercato, soprattutto nei canali della grande distribuzione organizzata. Per la parte food, il programma USA si svolge in stretta collaborazione con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e i consorzi delle indicazioni geografiche. Infine, sempre sul piano promozionale con il Ministero dell'agricoltura si introdurrà un segno distintivo a supporto delle nostre denominazioni di origine controllata-denominazioni di origine protetta e indicazione geografica protetta-indicazione geografica tipica. Uno specifico piano di comunicazione sosterrà la diffusione internazionale del segno, per consentire la riconoscibilità dei prodotti italiani dalle numerose imitazioni.
  In conclusione numerose sono le iniziative governative, sia in cooperazione bilaterale con la controparte cinese ma anche a livello internazionale ed europeo, per tutelare e salvaguardare il
made in Italy dalla concorrenza sleale della contraffazione e dell’italian sounding così da salvaguardare non solo le attività produttive stesse ma anche i livelli occupazionali attuali.
Il Viceministro dello sviluppo economicoCarlo Calenda.


   REALACCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legislazione vigente sul tema dell'inquinamento acustico ha stabilito per gli enti gestori, gli obiettivi di bonifica acustica, indicando i tempi per raggiungerli e le modalità di accantonamento delle risorse finanziarie necessarie;
   ad oggi, come lamenta la «Federazione industrie prodotti impianti ed opere specialistiche per le costruzioni» (FINCO), mentre alcuni enti o soggetti concessionari hanno avviato, se pur con ritardo, le attività richieste, pare che RFI – Rete ferroviaria italiana, società del gruppo Ferrovie dello Stato italiane spa controllata al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, abbia disatteso obblighi di legge ed impegni assunti con la presentazione agli enti competenti dei piani di intervento per il risanamento acustico ed utilizzato risorse finanziarie già accantonate allo scopo per destinarle ad altre priorità. L'ammontare stimato relativo agli stanziamenti non più disponibili è dell'ordine di 700.000.000 euro;
   l'obbligo di procedere al piano di risanamento acustico per il principale ente gestore di infrastrutture ferroviaria è stabilito dal decreto 29 novembre 2000 recante «Criteri per la predisposizione, da parte delle società e degli enti gestori dei servizi pubblici di trasporto o delle relative infrastrutture, dei piani degli interventi di contenimento e abbattimento del rumore». L'obiettivo è il conseguimento graduale del pieno rispetto dei limiti di rumorosità ambientale stabiliti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 459 – 18 novembre 1998 «Regolamento recante norme di esecuzione dell'articolo 11 della legge 26 ottobre 1995, n. 447, in materia di inquinamento acustico derivante da traffico ferroviario»;
   l'articolo 5, comma 1, del citato decreto 29 novembre 2000 stabilisce che «gli oneri derivanti dall'attività di risanamento sono a carico delle società e degli enti gestori delle infrastrutture e dei trasporti che vi provvedono in conformità a quanto previsto dall'articolo 10, comma 5, della legge 26 ottobre 1995, n. 447 – legge quadro sull'inquinamento acustico»;
   sussiste perciò l'obbligo per Rete ferroviaria italiana di stanziare in via ordinaria una quota fissa non inferiore al 5 per cento dei fondi di bilancio previsti per le attività di manutenzione e di potenziamento delle infrastrutture stesse e per l'adozione di interventi di contenimento ed abbattimento del rumore –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della questione e se intendano per il tramite degli uffici competenti verificare il rispetto delle disposizioni di legge vigenti da parte di RFI in materia di bonifica acustica;
   se si intenda fornire elementi dettagliati sullo stato degli interventi di bonifica acustica relativi alla rete ferroviaria nazionale finora eseguiti. (4-00964)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni fornite dal gruppo ferrovie dello Stato.
  La legge quadro sull'inquinamento acustico n. 447 del 1995, all'articolo 10, comma 5, prevede che le società e gli enti gestori di servizi pubblici di trasporto o delle relative infrastrutture attuino piani di contenimento e di abbattimento del rumore nel caso del superamento dei valori limite, stabiliti per l'infrastruttura ferroviaria dal decreto del Presidente della Repubblica n. 459 del 1998, secondo le direttive emanate con il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM) del 29 novembre 2000.
  In base a tale decreto, entro 18 mesi dalla sua entrata in vigore: quindi entro il 5 agosto 2002, gli enti gestori dovevano individuare le aree in cui era stimato o rilevato il superamento dei limiti previsti (mappatura acustica) e trasmettere i relativi dati agli enti interessati (MATTM, regioni e comuni).
  Entro i successivi 18 mesi, e precisamente entro il 5 febbraio 2004, dovevano essere poi predisposti i piani di contenimento ed abbattimento del rumore (piano di risanamento acustico), da sottoporre all'approvazione degli enti locali competenti. Gli interventi di risanamento previsti devono essere realizzati in funzione delle priorità individuate, entro 15 anni dalla data della loro approvazione.
  Prima della realizzazione delle opere devono essere di norma sviluppate le fasi di progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva. In particolare, nell'ambito della redazione del progetto definitivo ed esecutivo vengono effettuati i rilievi di dettaglio (planimetrici, acustici, geognostici etc.) e tutti gli altri approfondimenti che la normativa di settore richiede per poter definire l'opera in tutti i suoi dettagli (posizione, dimensioni, materiali, accessi all'infrastruttura eccetera) e quindi affidare i lavori di realizzazione.
  Rete ferroviaria italiana (RFI) riferisce di aver trasmesso agli enti interessati nei termini previsti, la documentazione relativa alla mappatura acustica e al piano di risanamento articolato su un periodo di 15 anni, che prevede 9.025 interventi, di cui 5.760 barriere antirumore e 3.265 interventi diretti su ricettori. Per l'attuazione di detto piano è stato stimato, nel dicembre 2003, un costo complessivo di circa 6,8 miliardi di euro.
  Il piano di risanamento acustico è stato sottoposto all'approvazione del Ministero dell'ambiente e al benestare della conferenza unificata Stato-Regioni che, con l'intesa del 1o luglio 2004, ha approvato uno stralcio relativo agli interventi dei primi quattro anni, per un totale di 428 interventi, di cui 416 barriere antirumore e 12 interventi diretti su ricettori.
  Nell'agosto 2008 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha chiesto a Rete ferroviaria italiana la documentazione aggiornata del piano degli interventi di contenimento ed abbattimento del rumore al fine di avviare l’
iter approvativo del secondo stralcio di piano.
  Nel marzo 2009 Rete ferroviaria italiana ha trasmesso la suddetta documentazione al citato ministero e successivamente, su indicazione dello stesso, anche ai comuni e alle regioni. L'aggiornamento è stato effettuato sulla base delle segnalazioni pervenute da enti locali e da soggetti privati e sulla base delle attività svolte da Rete ferroviaria italiana in ottemperanza al decreto legislativo n. 194 del 2005 «Attuazione della direttiva 2002/49/CE relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale».
  A seguito di tale aggiornamento, il costo dell'attività di risanamento per i residui undici anni (valutato nel dicembre 2003 pari a circa 5 miliardi di euro) è stato stimato pari a circa 6,5 miliardi di euro con un incremento del 30 per cento. Tale incremento è conseguente sia all'inserimento di nuovi interventi, sia alla rivalutazione dei prezzi rispetto ai livelli tariffari adottati nel 2003.
  Attualmente, non è noto lo stato di avanzamento dell’
iter autorizzativo del secondo stralcio di piano avviato nel 2009.
  Con riferimento agli interventi dei primi quattro anni approvati dalla conferenza unificata, Rete ferroviaria italiana ogni anno, in base all'articolo 6, comma 1, del citato decreto ministeriale 29 novembre 2000, comunica al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e alle regioni interessate lo stato di avanzamento fisico e finanziario degli interventi, nonché l'entità dei fondi accantonati.
  Lo stato di avanzamento dei 428 interventi approvati è riportato nella tabella seguente:

   Stato di avanzamento degli interventi al 31 marzo 2014:
    1) Rinviato dalla regione in base all'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale 29 novembre 2000: 29;
    2) Sospeso perché già compreso in altri programmi o progetti: 34;
    3) In fase di avvio della progettazione: 10;
    4) In progettazione: 32;
    5) Sospeso perché risulta non necessario a valle della progettazione: 14;
    6) Progetto in fase di approvazione da parte degli enti locali: 232;
    7) Sospeso a valle del parere negativo espresso dagli enti locali: 32;
    8) In corso le attività propedeutiche alla realizzazione, a valle dell'approvazione da parte degli enti locali: 15;
    9) In realizzazione: 14;
    10) Ultimato: 16;
   Totale interventi del primo quadriennio di piano: 428.

  In relazione al finanziamento degli interventi del piano di contenimento e abbattimento del rumore ferroviario, si fa presente che esso è a carico dei fondi assegnati a RFI attraverso il contratto di programma.
  Come riportato nelle note annualmente inviate al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a partire dal 2005, tale strumento ha reso disponibili ingenti risorse che, tuttavia, in dipendenza dei ritardi approvativi dei progetti preliminari e definitivi predisposti dalla predetta Società, sono risultate utilizzabili solo in uno scenario di lungo termine. Conseguentemente, come convenuto con questo Ministero, a partire dal 2011 parte delle risorse previste per l'attuazione del piano sono state destinate ad interventi di manutenzione dell'infrastruttura di assoluta urgenza e senza copertura finanziaria e ad avviare il programma di adeguamento delle gallerie di cui al decreto ministeriale 28 ottobre 2005 «Sicurezza nelle gallerie ferroviarie».
  Attualmente l'entità dei fondi finalizzati all'attuazione del piano di risanamento acustico è di circa 176 milioni di euro. Di tali fondi finora sono stati impegnati, per la redazione, l'aggiornamento e il monitoraggio del piano medesimo, nonché per la progettazione e la realizzazione delle opere di mitigazione, 161 milioni di euro di cui circa 149 milioni di euro contabilizzati al 31 marzo 2014.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   REALACCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come sta accadendo recentemente per molti settori produttivi, anche per l'industria del cinema è arrivato il momento di accettare la sfida di una nuova consapevolezza nell'ambito della sostenibilità ambientale e nella riduzione delle emissione di CO2;
   un approccio che è in atto anche in altre e tra le più importanti industrie cinematografiche del mondo e che possiede un impatto rilevante, vista l'importanza del film come prodotto di un'industria culturale, in termini di comunicazione e di educazione culturale ai nuovi stili di vita rispettosi dell'ambiente, riducendo consumi ed emissioni;
   attraverso l'analisi di tutti i reparti tecnici che contribuiscono alla realizzazione di un film, sono stati individuati ambiti su cui è possibile intervenire per ridurre al minimo l'impatto ambientale di cose e persone. Utilizzando, ad esempio, tecnologie più moderne ed efficienti: generatori euro5, kit fotovoltaici, illuminazione a LED; parallelamente grazie ad un razionalizzazione dell'intero processo produttivo possono essere di gran lunga incrementate le performance ambientali dei consumi energetici, del trasporto delle merci e delle maestranze, del consumo di materiali, della gestione dei rifiuti e infine del catering su materiali bio compatibili;
   per comprendere la misura degli interventi possibili, secondo dati Edison – Tempesta Film, può essere considerata come base di analisi la produzione media italiana di circa due mesi di riprese. Analizzando i consumi elettrici si è stimato che ottimizzando il numero di gruppi elettrogeni utilizzati si ottiene un risparmio all'incirca del 19 per cento, passando da 19,43 t di CO2eq a 15,78 t di CO2eq. Ipotizzando poi di utilizzare corpi illuminanti più efficienti si può ottenere un'ulteriore riduzione dell'ordine del 10/15 per cento. E i generatori elettrici sono soltanto uno dei 38 indicatori di sostenibilità ambientale del protocollo. Se quindi tutte le produzioni seguissero le indicazioni del protocollo (in Italia si stimano 5.880 giorni di riprese ogni anno) si realizzerebbe una riduzione delle emissioni pari a 1.120 tonnellate di CO2, equivalenti a quelle relative all'illuminazione pubblica annuale di un comune di oltre 10.000 abitanti;
   le case di produzione cinematografiche inoltre attraverso una maggiore consapevolezza ambientale e un maggiore risparmio in termini di costi energetici possono essere agevolate anche nella ricerca di nuovi finanziatori dei film stessi –:
   se i Ministri interrogati intendano valutare forme di incentivazione fiscale per la produzione di film «sostenibili», il cui processo produttivo sia efficiente dal punto di vista energetico, stanti anche le importanti ricadute nello sviluppo tecnologico, nella riduzione dei consumi e di CO2 e i benefici indiretti in termini di educazione ambientale dello spettatore;
   se intendano altresì considerare la costituzione di un tavolo tecnico congiunto tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro per i beni e le attività culturali per l'elaborazione di «Linee Guida per la produzione di Film Sostenibili» e per l'individuazione dei criteri necessari per la qualifica di film sostenibile. (4-01708)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in oggetto, con la quale si chiedono valutazioni riguardo a «forme di incentivazione fiscale per la produzione di film “sostenibili”» e alla «costituzione di un tavolo tecnico congiunto», tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e questa amministrazione, «per l'elaborazione di “Linee Guida per la produzione di Film Sostenibili” e per l'individuazione dei criteri necessari per la qualifica di film sostenibile», si comunica quanto segue.
  Trova certamente condivisione l'esigenza, espressa dall'interrogante, di un impegno dell'industria cinematografica per l'utilizzo di tecnologie più moderne, efficienti ed efficaci sotto il profilo del risparmio energetico e della sostenibilità ambientale.
  Anche per questo settore produttivo, infatti, si impone la necessità di rivedere i processi produttivi, adottando modelli tecnologici più responsabili e realizzando prodotti che consumino e inquinino meno, preservando, così, l'ambiente e le risorse disponibili.
  A tale riguardo si fa presente come, presso la direzione generale per il cinema di questa amministrazione, operi la «commissione per la cinematografia – sezione consultiva per i film» (articolo 8 del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 28 e decreto ministeriale del 10 febbraio 2014), con il compito di valutare i progetti filmici ai fini dell'attribuzione della qualifica di interesse culturale e di un contributo economico.
  La qualifica di interesse culturale è riconosciuta a seguito di una procedura altamente selettiva e di tipo concorsuale, come previsto dal decreto legislativo sopra richiamato e dai relativi decreti attuativi, in particolare i due decreti ministeriali dell'8 febbraio 2013 recanti, il primo, «Modalità tecniche di sostegno alla produzione ed alla distribuzione cinematografica» e, il secondo, «Composizione ed attività della commissione per la cinematografia e valutazione dell'interesse culturale».
  La commissione, ricostituita con provvedimento del 25 luglio scorso, è composta di otto esperti, altamente qualificati: due di nomina della conferenza Stato, regioni e province autonome di Trento e Bolzano e sei di nomina ministeriale.
  Per la valutazione dell'interesse culturale dei film, la commissione si avvale di una serie di indicatori, raggruppati in tre categorie, che la commissione stessa adotta nella prima seduta utile di lavoro, insieme al regolamento di funzionamento e alle specifiche modalità di valutazione e votazione dei progetti filmici presentati ogni anno.
  La commissione, riunitasi dopo la ricostituzione, per la prima volta, l'11 settembre scorso, ha riconfermato, nell'ambito della categoria «Valore componenti tecniche e tecnologiche», l'indicatore dell'utilizzo di tecnologie finalizzate alla minimizzazione dell'impatto ambientale.
  I progetti filmici giudicati favorevolmente per l'interesse culturale, anche in virtù di tale elemento di valutazione, sono ammessi pure a fruire degli incentivi fiscali riconducibili al cosiddetto
tax credit.
  I «criteri per il riconoscimento dell'interesse culturale per l'anno 2014» e il «regolamento di funzionamento interno della commissione per la cinematografia – sezione consultiva per i film» sono pubblicati sul sito web della Direzione generale per il cinema, al seguente indirizzo: http://www.cinema.beniculturali.it/direzionegenerale/63/circolari/.
  Risulta, quindi, chiaro che già oggi, ai fini della corresponsione di finanziamenti pubblici per la realizzazione di film, il parametro della «sostenibilità» riveste un ruolo importante.
  In relazione alla costituzione di un tavolo tecnico congiunto tra questa amministrazione e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, «per l'elaborazione di “linee Guida per la produzione di film sostenibili” e per l'individuazione dei criteri necessari per la qualifica di film sostenibile», si rappresenta che lo scrivente Ministero si adopererà per valutare ogni possibile forma di collaborazione a riguardo.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   ROSATO e GREGORI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 1° gennaio 2010, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2010, n. 30, all'articolo 4, ha autorizzato il Ministero degli affari esteri, in deroga alle disposizioni riguardanti il blocco del turn over, a procedere all'assunzione di fino a 35 segretari di legazione in prova, attraverso un concorso annuo, per ciascuno degli anni compresi nel quinquennio 2010-2014;
   sulla base di questa previsione normativa, negli anni, quindi, il Ministero ha bandito concorsi nel 2010, nel 2011, nel 2012 e, da ultimo, nel 2013;
   il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, ha introdotto per le amministrazioni dello Stato, anche quelle ad ordinamento autonomo, l'obbligo – per procedere all'indizione di un nuovo bando di concorso – di verifica dell'avvenuta immissione in servizio di tutti i vincitori collocati nelle proprie graduatorie vigenti e dell'assenza di idonei collocati nelle graduatorie vigenti e approvate a partire dal 1° gennaio 2007;
   questa novella normativa che è motivata anche – ma non solo – da esigenze di contenimento della spesa, è tesa a modificare la modalità di assunzione nelle pubbliche amministrazioni dello Stato a prescindere dalla loro capacità assunzionale sia essa dettata dalla norma generale o da una norma di settore;
   il legislatore ha inteso porre fine all'annoso problema della pendenza delle graduatorie, al mancato scorrimento delle graduatorie e al mancato utilizzo dei candidati risultati idonei all'interno delle graduatorie stesse (per le quali si ricorda la validità per legge di almeno tre anni, prorogata con decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, sino al 31 dicembre 2016);
   la circolare n. 5, del 21 novembre 2013, del Dipartimento della funzione pubblica, sottolinea che la previsione normativa contenuta nel decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, si applica a tutte le amministrazioni dello Stato e al punto 3.1 precisa che sullo scorrimento delle graduatorie degli idonei, vigenti e approvate dal 1° gennaio 2007, «c’è un vincolo, previsto dal legislatore, allo scorrimento delle stesse rispetto all'avvio di nuove procedure concorsuali», esplicitando le sole esclusioni del comparto sanità e del comparto scuola;
   il combinato disposto, quindi, tra il decreto-legge 1° gennaio 2010, n. 1, e il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, autorizzerebbe il Ministero degli affari esteri a procedere all'assunzione di fino ad un massimo di 35 unità annue, attraverso lo scorrimento delle graduatorie vigenti;
    una simile interpretazione è riconosciuta dalla sentenza TAR Lazio (Sezione 2) n. 10375, del 3 dicembre 2013, che ha confermato come il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, sia applicabile indistintamente a tutte le amministrazioni, senza limitazioni di carattere oggettivo o soggettivo;
   il Ministero degli affari esteri, invece, disapplicando la normativa sullo scorrimento delle graduatorie ha bandito un nuovo concorso nell'anno 2014;
   il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, non ha escluso alcun Ministero o alcuna amministrazione dello Stato dall'obbligo di scorrimento delle graduatorie, né esiste una norma di legge che esclude il Ministero degli affari esteri dall'applicazione delle norme sul pubblico impiego; non si capisce, quindi, su quale fonte normativa la direzione per le risorse e l'innovazione abbia bandito un nuovo concorso in vigenza di graduatorie, peraltro recenti, per i medesimi profili professionali;
   il Ministero, va precisato, ha assunto un comportamento contraddittorio con dette graduatorie in quanto: a) nel 2011 ha bandito un concorso per 29 posti anziché i 35 massimo consentiti in quanto ha deciso di assumere la restante parte del contingente attraverso lo scorrimento della graduatoria dell'anno precedente, b) il Dis (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica) presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, su indicazione del Ministero degli affari esteri, ricorre a dette graduatorie per il reclutamento nell'ambito della collaborazione istituzionale –:
   se i Ministri interrogati ritengano che l'amministrazione abbia violato il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, bandendo un nuovo concorso in vigenza di più graduatorie esistenti per i medesimi profili professionali;
   visti i ricorsi avanzati avverso i concorsi indetti in vigenza di graduatorie precedenti e che vedono il Ministero degli affari esteri parte in causa in questi procedimenti, come il Ministro intenda intervenire in autotutela al fine di evitare che risulti violata una norma di legge.
(4-05670)

  Risposta. — L'interrogazione in esame offre lo spunto per confermare quanto la carriera diplomatica sia una carriera dello Stato retta da un ordinamento speciale («Ordinamento dell'amministrazione degli affari esteri» decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18 e successive modificazioni e integrazioni) in ragione, tra l'altro, delle specificità del percorso professionale e delle funzioni ricoperte dal personale diplomatico nel servizio all'estero.
  Il concorso bandito dal Ministero degli affari esteri per l'accesso alla carriera diplomatica è da sempre finalizzato alla selezione di funzionari con il più alto livello di preparazione ed aggiornamento, in ossequio al principio di massima efficienza ed efficacia dell'azione diplomatica della Farnesina.
  Per garantire il raggiungimento di tale obiettivo, il concorso si tiene in linea di principio con cadenza annuale. Per il periodo 2010-2014, tale cadenza è stata disposta dal decreto legislativo 1 del 2010 (convertito con modificazioni nella legge 5 marzo 2010, n. 30), che ha stabilito per il concorso diplomatico una deroga al regime generale del blocco del
turn-over.
  Solo in rarissime e specifiche occasioni l'amministrazione ha fatto ricorso all'assorbimento di idonei non vincitori di graduatorie vigenti, ad esempio nel 2010 per esigenze legate a sopravvenute e straordinarie necessità lavorative, visto che – è bene specificarlo – nell'anno precedente (2009) non si era tenuto alcun concorso diplomatico.
  Tale accadimento non rappresenterebbe un comportamento contraddittorio come indicato nell'interrogazione; è invece la piena dimostrazione della coerenza e della legittimità dell'azione del Maeci che, da sempre e tranne rarissime eccezioni come appunto quella del 2010, ha effettuato una scelta precisa in favore dell'indizione di nuovi concorsi per l'accesso alla carriera diplomatica.
  Medesime considerazioni vanno fatte riguardo la stipula della convenzione tra il Maeci e il Dis (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica) della Presidenza del Consiglio, citata nel testo dell'interrogazione. L'eventualità per quest'ultimo organismo di attingere, a fini di reclutamento, dalle graduatorie di idonei non vincitori di precedenti concorsi diplomatici è la naturale conseguenza della suddetta scelta del Ministero in favore dell'indizione di nuovi concorsi.
  Con l'intesa in questione, infatti, si sono volute creare le condizioni per gli idonei non vincitori di concorsi diplomatici conclusi, affinché un'altra branca dell'amministrazione potesse eventualmente manifestare interesse a fini di assunzione per detti idonei non vincitori che il Maeci non ha intenzione di assumere.
  Il
modus operandi concorsuale del Maeci è oggi legittimato in maniera inoppugnabile sia sotto il profilo legislativo che giurisprudenziale.
  Come ricordato dagli interroganti l'articolo 4.3 del decreto-legge n. 101 del 2013, convertito in legge 125 del 2013, tra le altre cose subordina l'avvio di nuove procedure concorsuali all'esistenza di una specifica autorizzazione.
  Nel caso dell'Amministrazione degli esteri tale autorizzazione esiste già e risiede nella normativa speciale di cui al decreto-legge 1 del 2010 che, come noto, in deroga al blocco del
turn-over nella pubblica amministrazione, legittima il Maeci non solo a bandire ma anche ad assumere segretari di legazione in prova per la carriera diplomatica sino ad un numero di 35 unità, annualmente, e per il quinquennio 2010-2014.
  In altre parole, la normativa del 2013 non ha aggiunto alcunché rispetto alle determinazioni del legislatore del 2010 sulla legittimità dell'indizione di nuovi concorsi da parte del Maeci.
  Anzi, il decreto-legge n. 103 del 2013 ne ha confermato i contenuti relativamente alla presenza di una previa, necessaria e speciale autorizzazione normativa per porre in essere un nuovo esercizio concorsuale.
  Non vi è quindi alcun combinato disposto tra il decreto-legge n. 101 del 2013 e la legge 1 del 2010, come inavvertitamente suggerito dagli interroganti, circa l'obbligo del Maeci di scorrere graduatorie vigenti di idonei non vincitori.
  Al contrario, se proprio un «combinato disposto» si volesse cercare, esso risiede nella conferma da parte del decreto-legge n. 101 del 2013 della piena legittimità del
modus operandi del Maeci e cioè quello di bandire nuovi concorsi per la carriera diplomatica sulla scorta dell'esistente, piena autorizzazione di cui alla legge n. 1 del 2010.
  In parallelo con il riscontro di tipo normativo, la legittimità dell'azione ministeriale è stata ribadita a più riprese anche dalla giustizia amministrativa che, oggi, attraverso le sue ripetute determinazioni ha oramai prodotto un orientamento consolidato a favore del Maeci.
  Il Consiglio di Stato (con l'Adunanza plenaria n. 14 del 2011, e successivamente con una sentenza del 2013 e due del 2014) e il tribunale amministrativo regionale (con sentenza del 2014) – nel quadro di una serie di determinazioni a favore del Ministero degli esteri relative a ricorsi (respinti) presentati da idonei non vincitori dei concorsi 2010, 2011 e 2012 – hanno ripetutamente confermato la specialità normativa del Maeci (non solo relativa al decreto-legge 1 del 2010 ma altresì dell'ordinamento stesso dell'Amministrazione degli esteri, decreto del Presidente della Repubblica 18 del 1967), legandola alle peculiarità proprie della carriera e dei meccanismi specifici di crescita professionale in essa previsti.
  Da notare che la suddetta specialità – che proprio ai sensi dell'Adunanza plenaria 14 del 2011 del Consiglio di Stato citata dagli interroganti impone al Maeci l'obbligo primario di bandire nuovi concorsi prima di un eventuale assorbimento di idonei non vincitori – è stata ribadita dalla giustizia amministrativa nel 2014 in occasione di tre pronunce: quindi successivamente all'entrata in vigore della legge n. 125 del 2013, a dimostrazione e riprova che con quest'ultima normativa non vi è stata alcuna novella sostanziale se non la conferma implicita della completa legittimità dell'azione dell'amministrazione (come, da ultimo, confermata in sede cautelare anche con riferimento alle impugnative presentate – e respinte – dagli idonei non vincitori del concorso 2013 avverso il concorso diplomatico 2014).
  Stante quanto sopra, il Ministero degli esteri e della cooperazione internazionale non ritiene di dover effettuare alcun intervento in autotutela, nella piena convinzione non solo di non aver violato in nessun modo il decreto-legge n. 101 del 2013, ma anzi di stare agendo in un quadro di assoluta legittimità e legittimazione normativa.

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   SCOTTO, FERRARA, AIRAUDO, PLACIDO e RICCIATTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la mattina del 29 ottobre 2014, a Roma, un reparto mobile della Polizia di Stato interveniva con gli sfollagente senza motivo contro alcune centinaia di lavoratori dell'AST di Terni che stavano facendo un corteo assolutamente pacifico verso il Ministero dello sviluppo economico;
   il corteo è stato interrotto violentemente dall'intervento degli operatori di polizia in piazza Indipendenza, mentre come riferito dal segretario nazionale Fim-Cisl Marco Bentivogli, presente alla manifestazione, non c'era nessun problema di ordine pubblico;
   ci sono stati feriti e contusi, tra i dirigenti nazionali della FIOM e tra i rappresentanti sindacali dei lavoratori di Terni, alcuni dei quali si sono dovuti fare medicare in ospedale. Lo stesso segretario generale della Fiom, Landini, è stato colpito;
   la manifestazione era stata indetta dalle organizzazioni sindacali per protestare contro la decisione della ThyssenKrupp di licenziare 537 dipendenti dell'acciaieria. I lavoratori della Acciai Speciali di Terni hanno prima manifestato davanti all'ambasciata della Repubblica Federale di Germania a Roma per contestare il piano industriale per lo stabilimento ThyssenKrupp di Terni, decidendo in seguito di spostare la loro protesta sotto la sede del Ministero dello sviluppo economico;
   di questi fatti nel pomeriggio dello stesso 29 ottobre 2014 è stata fornita in forma ufficiale e pubblica dalla questura di Roma una versione degli avvenimenti assolutamente falsa: l'intervento della polizia si giustificherebbe in quanto i manifestanti intendevano occupare i binari della stazione Termini;
   versione smentita sia dai rappresentanti sindacali, dai giornalisti e dai parlamentari presenti in loco. Inoltre è stata la stessa questura a diffondere un video nel quale appare chiaramente e senza ombra di dubbio che i manifestanti si stavano dirigendo nella direzione opposta rispetto a quello della stazione Termini –:
   chi nell'ambito della questura di Roma, si è assunto la responsabilità di diffondere di tali dichiarazioni che si sono rivelate false ed ha dato una rappresentazione di quanto è accaduto non corrispondente al vero;
   chi nell'ambito della questura di Roma abbia coordinato le operazioni di ordine pubblico sia in piazza Indipendenza che dalla sala operativa e/o Gabinetto del questore;
   quali provvedimenti urgenti, disciplinari ed amministrativi, intenda assumere il Ministro nei confronti dei responsabili di quanto è accaduto il 29 ottobre 2014 e del tentativo di diffondere una versione dei fatti non corrispondente al vero, affinché simili episodi non abbiamo più a ripetersi. (4-06683)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame l'interrogante pone una serie di quesiti concernenti i fatti che si sono verificati il 29 ottobre 2014 a Roma, in piazza dell'Indipendenza, durante una manifestazione delle maestranze della società Acciai Speciali Terni, nell'ambito della vertenza aperta con la proprietà ThyssenKrupp.
  Si premette che, nelle stesse ore in cui si svolgeva l'iniziativa in questione, a Roma erano contemporaneamente in corso: una manifestazione dei dipendenti della società Jabil di Marcianise, che ha visto la partecipazione di 250 lavoratori; quella dei dipendenti degli enti di ricerca di Roma; un'altra indetta dai lavoratori socialmente utili della Regione Lazio; e, infine, due presidi nei pressi di Montecitorio, pure determinati anch'essi da motivi occupazionali. Inoltre, erano in corso i lavori preparatori del servizio d'ordine della partita di calcio in programma la stessa sera allo stadio Olimpico.
  Punti di riferimento di gran parte di queste manifestazioni sono stati il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero dello sviluppo economico, che peraltro sono posti l'uno di fronte all'altro. Verso la sede di tali istituzioni si sono riversati cortei spontanei e presidi statici di manifestanti, circostanza che ha reso necessaria un'attività di doverosa regolamentazione, proprio per evitare ingorghi e confluenze improvvise che avrebbero potuto rendere particolarmente critiche le condizioni di agibilità del centro cittadino.
  Questo dato è particolarmente importante, in quanto si collega precisamente alla dinamica dei fatti che hanno riguardato la manifestazione relativa all'AST e ne spiega anche l'evoluzione.
  Quanto alla ricostruzione dei fatti, già dalle ore 9 della mattina si erano concentrati in piazza dell'Indipendenza circa 500 lavoratori dell'AST di Terni, allo scopo di essere ricevuti dall'ambasciatore di Germania, Stato di appartenenza del gruppo industriale Thyssen, a cui intendevano rivolgere una richiesta di interessamento.
  Poco dopo, una delegazione di lavoratori è stata ricevuta da diplomatici della legazione tedesca per circa un'ora. Al termine dell'incontro è seguito uno scarno comunicato dell'ambasciata giudicato insoddisfacente dai manifestanti. A questo punto è stata avanzata, da alcuni rappresentanti Fiom, la richiesta di poter dare vita ad un corteo in direzione della sede del Ministero dello sviluppo economico.
  Tale richiesta, tuttavia, non è stata immediatamente accolta, in considerazione del fatto che, presso quello stesso Ministero, erano già in corso, come sopra riportato, analoghe iniziative sindacali e che, dunque, l'afflusso di altri manifestanti avrebbe potuto determinare difficoltà di gestione dell'ordine pubblico.
  Peraltro, è subentrata anche la preoccupazione che alcuni manifestanti volessero in realtà dirigersi verso la vicina stazione Termini, atteso che tale voce era stata colta dai funzionari di polizia in servizio a piazza dell'Indipendenza.
  Un folto numero di manifestanti, dando vita ad un improvviso corteo, si è diretto verso via Solferino e, visto lo sbarramento opposto dalla polizia, ha poi deviato verso altre vie limitrofe che conducono, comunque, a piazza dei Cinquecento e, quindi, alla stazione Termini, rafforzando la preoccupazione che già era stata avvertita, cioè, che volessero dirigersi alla stazione.
  Al corteo è stato inutilmente intimato l'alt e, in breve, si è arrivati ad un concitato contatto fisico tra manifestanti e polizia, da cui è conseguito il ferimento di quattro manifestanti e di quattro operatori della Polizia di Stato, un funzionario e tre agenti del reparto mobile, i quali tutti hanno riportato lesioni guaribili da un minimo di tre ad un massimo di quindici giorni.
  È poi sopraggiunto il segretario generale della Fiom, Landini, il cui intervento ha contribuito a riportare la calma tra i manifestanti. In seguito ha avuto avvio un breve negoziato per l'autorizzazione ad effettuare un corteo verso la sede del Ministero dello sviluppo economico, che si è concluso positivamente, con la definizione di un percorso concordato. Il corteo è quindi giunto, senza incidenti, presso la sede di quel dicastero, dove il segretario della FIOM, unitamente ad una decina di delegati, è stato ricevuto dal ministro Guidi che, frattanto, anche per la mediazione effettuata dalla questura, aveva dato la propria disponibilità all'incontro.
  I fatti ricostruiti sono stati oggetto di referto all'autorità giudiziaria, nel quale nessun manifestante è stato denunciato.
  Si informa che, per evitare che il difficile momento di crisi possa rappresentare l'involontaria fonte di conflitti e tensioni che rischierebbero di innescare pericolose derive, il Ministro dell'interno, nel corso dell'incontro avuto con i leader sindacali del settore metalmeccanico, nella serata dello stesso 29 ottobre, ha proposto che il Viminale possa ospitare tavoli di confronto con le organizzazioni dei lavoratori per affrontare, secondo un metodo di condivisione, le modalità di
governance di quelle manifestazioni che possono risultare più impegnative anche per l'ordine pubblico.
  Giova, inoltre, ricordare nel corso dell'informativa alle Camere resa il 30 ottobre 2014 sui fatti in questione, il Ministro dell'interno ha espresso la sua personale solidarietà ai lavoratori che hanno riportato ferite nel corso degli scontri, tanto quelli dell'AST quanto quelli della polizia di Stato.
  Concludendo, si assicura che, nella loro attività di mantenimento dell'ordine e della sicurezza durante le pubbliche manifestazioni, le forze di polizia operano attraverso sperimentati moduli operativi, costantemente ispirati a criteri di equilibrio e prudenza, in modo da garantire il diritto costituzionale della libera manifestazione del pensiero.
  L'efficacia di tale
modus operandi è dimostrato dalle migliaia di manifestazioni che ogni giorno si svolgono in Italia pacificamente grazie alla tutela assicurata dalle forze di polizia. Nel corso del 2014, si sono svolte sul territorio nazionale 5.934 manifestazioni di rilievo, di cui 2.350 vertenti su problematiche sindacali e occupazionali, la grande maggioranza delle quali ha avuto un corso assolutamente tranquillo.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   SORIAL. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'Unicef ha lanciato in questi giorni un terribile allarme: quest'anno 30 milioni di bambini non andranno a scuola a causa di conflitti e crisi umanitarie che, da Gaza all'Ucraina, privano del diritto all'istruzione sempre più minori in tutto il mondo;
   in Liberia e in Sierra Leone si stima che l'ebola terrà più di 3,5 milioni di bambini lontano dalle scuole per gran parte dell'anno scolastico; in Ucraina 290 scuole, a causa dei recenti combattimenti, sono state distrutte o danneggiate, e nella Repubblica centrafricana dove, secondo una recente indagine, un edificio scolastico su tre è stato colpito da armi da fuoco, saccheggiato o occupato da gruppi armati; nel nord-est della Nigeria, studenti e insegnanti sono stati uccisi e rapiti, e più di 200 ragazze non sono state ancora liberate; a Gaza più di 100 scuole sono state utilizzate come rifugi da più di 300 mila persone; in Siria: circa 3 milioni di bambini, metà degli studenti siriani, non stanno frequentano in modo regolare;
   da Gaza alla Nigeria, sta crescendo dunque l'emergenza scuola con strutture bombardate, alunni rapiti, epidemie che allontanano gli studenti dall'istruzione e questo non fa che ipotecare anche il futuro di paesi che hanno già un presente così difficile, poiché senza una adeguata formazione scolastica i bambini di oggi difficilmente potranno dare vita a società civili, fiorenti e libere dalla guerra;
   «Per i bambini che vivono in situazioni di emergenza, l'istruzione è un'ancora di salvezza – ha spiegato la responsabile del programma istruzione dell'Unicef Josephine Bourne – perché continuare a garantire un'istruzione dà un senso di normalità ai bambini, può aiutarli a superare i traumi, ed è un investimento, non solo per loro, ma anche per le loro società» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di questa grave situazione e come intenda intervenire, per quanto di competenza, affinché i bambini coinvolti nei conflitti e nelle crisi umanitarie in atto vengano tutelati nei loro diritti fondamentali, tra i quali quello allo studio è chiaramente uno dei più importanti per il futuro delle loro giovani vite e dei Paesi di cui fanno parte. (4-06002)

  Risposta. — La comunità internazionale ha assunto nel corso degli ultimi anni un impegno crescente a favore della tutela e della promozione dei diritti del fanciullo consapevole dell'impatto dei conflitti armati e delle crisi umanitarie sui bambini ed il loro futuro.
  Già dal 1996 le Nazioni unite hanno previsto la creazione dell'Ufficio del rappresentante speciale del segretario generale per i bambini nei conflitti armati e nel 2005 è stato istituito un gruppo di lavoro
ad hoc del Consiglio di Sicurezza.
  La promozione e la protezione dei diritti dei bambini è naturalmente parte integrante della politica estera italiana, la quale condivide pienamente i principi contenuti nella Convenzione delle Nazioni unite sui diritti del fanciullo del 1989 e nel Protocollo opzionale concernente il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati, ratificato dall'Italia nel 2002.
  Tra gli sviluppi più recenti, nel marzo 2014 il Consiglio di sicurezza ha adottato all'unanimità la risoluzione 2143, focalizzata tra l'altro sul ruolo del
capacity building (ed in particolare il training dei peace-keepers) e sulla condanna dell'uso delle scuole sia come rifugio da cui muovere attacchi che come obiettivo militare. L'Italia, tra i paesi co-sponsor della risoluzione, ha ribadito nel corso del suo intervento al dibattito l'importanza dell'istruzione per i fanciulli, rimarcando che la chiusura o distruzione delle scuole, come anche il reclutamento, equivale alla negazione del diritto all'istruzione di cui ogni bambino deve godere incondizionatamente.
  Da menzionare ancora l'iniziativa di Unicef e Dpko (
Department of peacekeeping operations) «children, not soldiers», lanciata a marzo 2014 con l'obiettivo di porre fine, entro il 2016, al reclutamento e all'uso di bambini-soldato negli otto paesi inseriti dal Segretario generale in una apposita lista (Afghanistan, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Myanmar, Somalia, Sud Sudan, Sudan, Yemen). L'8 settembre 2014, in occasione di un nuovo dibattito presso il Consiglio di sicurezza, la rappresentante speciale per i bambini e i conflitti armati, Leila Zerrogui, ha evidenziato la gravità delle condizioni di un miliardo di bambini che vivono in zone di conflitto. Ha, d'altro canto, dato atto del successo dell'iniziativa Unicef (sostenuta dagli stessi otto Stati destinatari della campagna) e dei progressi registrati in alcuni Paesi, tra cui il Ciad, ora uscito dalla lista. Si tratta di elementi incoraggianti, che da un lato invitano a mantenere la pressione internazionale e, dall'altro, a sostenere l'impegno di quei Governi che hanno aderito con convinzione alla campagna.
  La Cooperazione allo sviluppo italiana promuove e realizza direttamente iniziative finalizzate al recupero e al reinserimento sociale dei minori ex-combattenti e vittime dei conflitti. Questi progetti favoriscono l'istruzione, l'educazione di base, il rientro assistito in famiglia e nelle comunità di appartenenza, il recupero delle disabilità fisiche e psichiche, la formazione professionale con forme di sostegno psicologico per superare i traumi e sviluppare l'autostima.
  In ottemperanza agli impegni assunti in sede internazionale, l'Italia si è inoltre impegnata per porre fine all'arruolamento illegale dei bambini, proseguendo la sua azione in favore dell'adozione non solo di interventi di recupero, ma anche di programmi sociali efficaci in grado di contrastare le cause che alimentano questo tragico fenomeno.
  La tutela dell'infanzia nelle situazioni di conflitto è una delle priorità del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea in campo umanitario. Si colloca in tale contesto il concreto sostegno finanziario al programma «
No Lost Generation», lanciato dall'Unicef per garantire il diritto all'istruzione a quasi 4 milioni di bambini, dentro e fuori la Siria, colpiti dalla crisi in corso. Vi hanno aderito circa 40 partner tra Agenzie internazionali, Governi e organizzazioni non governative. L'iniziativa, che ha ottenuto il sostegno del Segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, mira alla costruzione di ambienti protetti, dove i minori possano ricevere istruzione e assistenza psico-sanitaria, sottraendoli per quanto possibile ai rischi ed ai traumi del conflitto.
  I fondi – per un totale di circa 500.000 euro – sono stati utilizzati per sostenere gli interventi dell'Unicef nel campo rifugiati di Azraq in Giordania, al fine di garantire ai bambini l'accesso all'istruzione in spazi sicuri. In particolare, sono state allestite aule scolastiche e forniti
kit di materiali scolastici all'interno di due scuole che, a capienza completa, potranno accogliere circa 10.000 bambini ciascuna, garantendo altresì spazi per il gioco, attività socio-ricreative e di sostegno psicosociale.
  Nell'ambito della riunione informale del Cohafa (gruppo di lavoro del Consiglio dell'Unione europea per gli aiuti umanitari) del 2 ottobre 2014 a Roma, la Presidenza italiana ha ospitato inoltre la cerimonia conclusiva della campagna congiunta Echo – Unicef denominata «
Voices of Children in Emergencies», quale concreto impegno italiano al tema della protezione infantile. La campagna, ufficialmente lanciata il 15 maggio 2014, vede la collaborazione di sei Comitati nazionali Unicef di vari Paesi europei quali Grecia, Irlanda, Polonia, Slovenia, Spagna e la stessa Italia.
  Dal punto di vista finanziario, nel quadro delle risorse umanitarie destinate alla crisi siriana nel 2014 sul canale multilaterale – a valere sul
pledge complessivo dell'Italia per la crisi siriana, ufficializzato a Kuwait City e pari a 38 milioni di euro – sono stati già approvati contributi a favore dell'Unicef per un totale di 2 milioni di euro. L'impegno finanziario della cooperazione italiana a tutela dell'infanzia nelle situazioni di conflitto si estende anche alla Repubblica centroafricana, teatro di una sanguinosa guerra civile, dove si sta realizzando, in collaborazione con UNICEF, un progetto nel settore della protezione dell'infanzia del valore di 1 milione di euro. La prima tranche – per 400.000 euro – è intesa a realizzare interventi di prevenzione delle violenze di genere e attività di assistenza psicosociale ai minori, oltre che attività di formazione agli addetti ai servizi e di prevenzione del reclutamento di bambini soldato. La quota restante, pari a 600.000 euro, sostiene attività cruciali nel settore della protezione infantile e dell'istruzione.
  In sud-Sudan, sono sostenute attività di Unicef rivolte ai settori della nutrizione e della salute materno infantile. Nello specifico, è stato finanziato un progetto di 1 milione di euro per la realizzazione di terapie contro la malnutrizione acuta severa per i bambini sotto i 5 anni d'età e le donne malnutrite in gravidanza o in allattamento attraverso attività di
screening nei campi di sfollati interni. Nel settore della salute sono sostenuti i servizi di immunizzazione e vaccinazione (anche contro il colera) e gli interventi integrati «salva-vita» per il trattamento di comuni malattie dell'infanzia e per l'assistenza ostetrica d'emergenza di base.
  In Sudan, si ricorda l'intervento di 500.000 euro realizzato dall'Unicef per la somministrazione di cibo terapeutico a favore di 8.816 bambini colpiti da malnutrizione acuta in 6 località negli stati di Kassala e
red Sea.
  L'Italia è, inoltre, impegnata nei Paesi dell'Africa occidentale colpiti dall'emergenza ebola. È stato appena approvato un progetto del valore di 800.000 euro per la realizzazione, con il concorso delle 0ng italiane attive in Sierra Leone, di interventi sanitari di contrasto all'epidemia, di prevenzione e di educazione al rischio che riguarderanno anche l'infanzia.
  A Gaza nel 2013 la Farnesina ha approvato un contributo di 1 milione di euro a favore di Unrwa (
United nations relief and work agency for palestine refugees in the near est), per la realizzazione dell'iniziativa «Al Shouka preparatory Girls and Elementary Co-ed school», che si inserisce all'interno del progetto promosso da Unrwa intitolato: «Adotta una scuola». In particolare, il progetto sostiene l'istituto Al Shouka preparatory girls and elementary Co-ed school – nell'omonimo quartiere situato ad est di Rafa – che consta di 1.601 studenti i quali frequentano le lezioni in due turnazioni, quello mattutino e quello pomeridiano. Beneficiari dell'iniziativa sono gli stessi studenti, il personale docente e non docente e la struttura della scuola in termini di funzionamento e polo istituzionale sul territorio.
  Per il Libano l'iniziativa «Mosaic (Rafforzamento delle istituzioni libanesi e sostegno alle politiche di sviluppo locale con un
focus sulle fasce di popolazione più vulnerabili), finanziata con 2.240.000 euro, intende rafforzare le istituzioni libanesi e sostiene le politiche di sviluppo locale sulle tematiche relative alla fascia di popolazione minorile e giovanile, anche in connessione col conflitto siriano; tutte le attività sono svolte in stretta collaborazione con il locale Ministero degli affari sociali. In considerazione della grave emergenza sociale che scaturisce dal massiccio e continuato flusso di rifugiati siriani in Libano, nel corso del 2013 è stato deliberato il rifinanziamento dell'iniziativa per l'importo di ulteriori 400.000 euro. L'intervento intende fornire soluzioni concrete per alleviare l'emergenza educativa dei giovani siriani attraverso la creazione o il consolidamento di strutture denominate «Child frendly spaces», ampiamente utilizzate fin dal 1999 per assicurare «spazi sicuri», gestiti in maniera partecipativa e secondo codici di funzionamento informali ed adeguati agli specifici contesti, dove i ragazzi e le ragazze dai 4 ai 16 anni di età possono beneficiare di attività di supporto psicosociale, educativo e ludico. Ogni «Child friendly space» è in grado di fornire supporto educativo a circa 200 bambini e bambine di età diversa. Il programma Mosaic è svolto in sinergia con altre iniziative finanziate in Libano a favore dei minori rifugiati sul territorio nazionale. Tra queste si ricordano due contributi a favore dell'Unicef, rispettivamente di 300.000 e 500.000 euro che si inseriscono nell'ambito di un più ampio programma «Back to school», volto a facilitare l'inserimento scolastico dei minori. I contributi italiani intendono realizzare attività di protezione e assistenza sociale, attraverso il rafforzamento delle capacità operative e gestionali di 19 «Social development centers (SDC)», in collaborazione con il locale Ministero degli affari sociali.
  Per la Somalia si segnala il contributo di 1 milione di euro al programma Unicef «
Basic education for pastoralist enabling pastoralist children to realize their right to education», che fa parte del work plan del Governo somalo. L'iniziativa prevede l'istruzione di base per bambini tra i 6 e i 13 anni, nonché l'istruzione alternativa per i bambini che sono fuori dal circuito normale scolastico, come i pastori e gli sfollati. Il contributo italiano è orientato al Puntland e mira ad offrire a 4.000 bambini nomadi di tale regione, di cui almeno il 50 per cento bambine, un'istruzione primaria.
  Per il Senegal l'Italia è coinvolta in un progetto che contribuisce alla promozione dell'uguaglianza di genere attraverso l'eliminazione delle disparità d'accesso all'istruzione primaria e secondaria, sostenendo l'attuazione della politica di genere elaborata dal Governo del Senegal con un impegno finanziario di 4 milioni di euro totalmente finanziati dalla Farnesina.
  In Etiopia la cooperazione italiana sostiene dal 1999 l'Esdp (
Education sector development programme), inizialmente concepito in una prospettiva temporale di venti anni, ponendosi come finalità ultima quella di garantire la scolarità primaria universale entro il 2015 in linea con gli obiettivi del Millennio con un finanziamento complessivo a dono di 28,5 milioni di euro.
  Per il Mozambico il programma di sostegno al sistema dell'istruzione tecnico-professionale (Pretep), con finanziamento totale alle istituzioni mozambicane di oltre 4,5 milioni di euro, è nella sua fase conclusiva e sono allo studio nuove iniziative rivolte sempre a finanziare progetti in ambito scolastico.

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   SPADONI, SIBILIA e SCAGLIUSI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 13 luglio 1965, n. 932, è stato ratificato l'accordo, firmato a Parigi il 21 maggio 1962, per l'istituzione di un «Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Méditerranéennes – C.I.H.E.A.M – (Centro internazionale di alti studi agronomici mediterranei) cui hanno aderito la Francia, la Spagna, l'Italia, la Grecia, il Portogallo, la Turchia e l'ex-Jugoslavia;
   detto accordo consta di due protocolli addizionali (1 e 2) e un annesso titolato «Riserve dell'Italia concernente il protocollo addizionale n. 2» e indica espressamente e solamente quale unica sede del Centro menzionato la Sede del Segretariato, situata a Parigi;
   nell'allegato alla menzionata legge sono state, altresì, espresse chiare riserve circa i contenuti dell'accordo nel merito del diritto internazionale, dell'immunità di giurisdizione e in materia di tassazione del personale italiano operante a vario titolo presso l'istituto;
   ad oggi la Francia, facendo riferimento ai canoni del diritto internazionale, non ha stipulato accordi di sede con il segretariato del C.I.H.E.A.M. finalizzati all'attribuzione di titolo di extraterritorialità e di totale immunità del personale;
   il C.I.H.E.A.M., nell'ambito del suo mandato di centro di formazione per quadri impiegati nel settore agricolo, si avvale di quattro strutture specialistiche, in particolare: gli Istituti agronomici di Bari (Italia), Chania (Grecia), Montpellier (Francia) e Saragozza (Spagna);
   lo stesso sito del C.I.H.E.A.M., gestito dal segretariato parigino, conferma il suo carattere di istituzione intergovernativa;
   secondo l'articolo 7 del protocollo addizionale n. 2, firmato a Parigi il 21 maggio 1962, riguardante i privilegi e le immunità dei membri del segretariato del Centro, afferma che solo «il Segretario Generale, i Direttori degli Istituti e gli altri membri del Segretariato che occupano un impiego permanente all'interno del Segretariato» godono di tali immunità, ossia saranno esonerati da ogni imposta diretta sugli emolumenti e i trattamenti versati dal Centro;
   l'Istituto agronomico mediterraneo di Bari (IAMB) è un'istituzione a carattere scientifico ed educativo facente capo allo C.I.H.E.A.M. e, sulla base della normativa di riferimento, dovrebbe operare con fini di interesse pubblico, solo in materia di formazione complementare nelle materie agricole tecniche ed economiche, per favorire lo spirito della collaborazione internazionale tra i quadri dell'agricoltura dei Paesi mediterranei;
   nella parte finale «riserve per l'Italia» si afferma che «l'esenzione dalle imposte dirette sugli stipendi e gli emolumenti di cui al punto a) dell'articolo 7 del titolo II del protocollo addizionale n. 2 non si applica ai cittadini dello Stato in cui gli Istituti hanno la loro sede o persone che, al momento del reclutamento, già hanno la loro residenza abituale in detto Stato»;
   l'immunità dalla giurisdizione di esenzione e di espropriazione di cui agli articoli 2 e 3 del titolo I del protocollo aggiuntivo n. 2 si applica soltanto nella misura in cui i principi generali del diritto internazionale li accordano agli Stati esteri;
   durante la XIII legislatura è stato deciso di concedere al personale dello IAM di Bari, con l'approvazione della legge 26 maggio 2000, n. 159, relativa ai privilegi di extraterritorialità riconosciuti dalla Repubblica italiana agli organismi internazionali;
   detta istituzione, e il suo personale italiano, attualmente gode, dunque, di totale immunità e privilegi –:
   quali criteri e parametri sanciti dal diritto internazionale, siano alla base del riconoscimento allo IAM di Bari, e al personale in esso operante, dei diritti contemplati in materia di extraterritorialità e immunità che sono attualmente applicati;
   se gli altri istituti di Chania (Grecia), Montpellier (Francia) e Saragozza (Spagna) godono degli stessi privilegi e immunità. (4-03697)

  Risposta. — L'istituto economico mediterraneo di Bari ed il suo personale di nazionalità italiana sono destinatari di uno status previsto dalla legge n. 159 del 26 maggio 2000, che ratifica l'accordo complementare tra il Governo della Repubblica italiana ed il centro internazionale di alti studi agronomici mediterranei (C.I.H.E.A.M.) relativo ai privilegi e alle immunità del C.I.H.E.A.M. in Italia.
  Per quanto riguarda quelle relative alle immunità dell'Organizzazione, gli strumenti menzionati delineano una disciplina non dissimile da quella dettata in altri accordi dello stesso tipo. In particolare, il centro internazionale di alti studi agronomici mediterranei e l'istituto agronomo mediterraneo di Bari, emanazione del primo, si vedono riconosciuti le usuali immunità dalla giurisdizione di cognizione ed esecutiva e l'immunità degli archivi e da qualsiasi forma di perquisizione, requisizione, confisca ed esproprio, mentre l'immunità dalla giurisdizione civile viene esclusa in caso di azione per responsabilità civile. Sono altresì riconosciute all'istituto agronomo mediterraneo, in quanto istituzione: l'esenzione da qualsiasi tassazione diretta su averi, redditi ed altri beni (articolo 8 della citata legge n. 159 del 2000); l'esenzione da dazi doganali per l'importazione di merci destinate ad attività istituzionali (articolo 9); l'esenzione dal pagamento dell'IVA e di altre imposte indirette per acquisti rilevanti di beni e servizi connessi all'attività istituzionale ed all'esercizio delle sue funzioni (articolo 10); l'esenzione dal pagamento di dazi doganali sull'importazione di autoveicoli destinati ad uso ufficiale e l'esenzione dal pagamento delle tasse automobilistiche ed il diritto all'acquisto di un contingente di benzina o altri carburanti ed oli lubrificanti in esenzione da dazi, accise ed IVA (articolo 12).
  In relazione all'immunità del personale, il Direttore se straniero e non residente permanente in Italia, gode dell'immunità diplomatica così come delineata dall'articolo 31 della convenzione di Vienna del 1961, ossia dalla giurisdizione penale, civile e amministrativa e da ogni misura d'esecuzione, ed è esente dalla richiesta di permesso di soggiorno, unitamente ai familiari. Gode delle sole immunità funzionali se italiano o residente permanente in Italia. I membri del personale e gli esperti, se stranieri e non residenti permanenti Italia, godono di immunità funzionali e da ogni forma di misura cautelare restrittiva della libertà personale eccetto in caso di flagranza o di reato che comporti una pena detentiva non inferiore nel massimo a tre anni e, unitamente ai familiari, non hanno bisogno del permesso di soggiorno. Godono delle sole immunità funzionali se italiani o residenti permanenti in Italia. Per gli impiegati non sono previste particolari immunità. Dei 65 funzionari, 50 sono italiani. In tutti i casi di funzionari italiani sono state concesse carte d'identità con le sole immunità funzionali. Ciò vale anche per i funzionari apicali.
  Il personale dell'Istituto agronomo mediterraneo, che non sia cittadino italiano o che non fosse residente permanente al momento del reclutamento, ha diritto all'esenzione da ogni forma di tassazione diretta sui salari, emolumenti, indennità e pensioni ed all'importazione in franchigia doganale di mobili ed effetti personali, inclusa un'automobile usata o nuova o ad acquistarne una nuova in esenzione da IVA (articolo 14). Il Direttore, se non italiano o residente permanente al momento della nomina, gode anche dell'esenzione da ogni imposta indiretta (IVA, accise e dazi doganali) sugli acquisti per uso personale di beni e servizi, nonché l'imposta di registro (ad es. affitto abitazione), in quanto ha rango di capo missione. Per motivi funzionali gli sono concessi, altresì, targa CD e relativo contingente di benzina.
  Infine, per quanto attiene agli altri istituti agronomici, si fa presente quanto segue:
   1) Montpellier (Francia): sulla base del protocollo aggiuntivo n. 2 all'Accordo istitutivo del centro internazionale di alti studi agronomici mediterranei, tutto il personale dell'Istituto gode delle immunità funzionali, non può essere sottoposto a misure esecutive, beneficia dell'esenzione dal pagamento delle imposte dirette e di quelle indirette (solo in caso di acquisti importanti legati alle attività ufficiali dell'Istituto), nonché della facoltà di importazione esentasse dei propri beni all'arrivo in sede. I loro stipendi sono, altresì, esenti dalle ritenute fiscali. La sede dell'Istituto è, inoltre, inviolabile, così come i suoi archivi ovunque essi si trovino;
   2) La Canea (Grecia): l'accordo per la fondazione del centro internazionale di alti studi agronomici mediterranei a Creta è stato ratificato nel 1962 ed è stato reso operativo con la successiva legge n. 4443 del 1964. Questa conferisce al centro personalità legale ed immunità giuridica e finanziaria dallo Stato greco. Ciò comporta che l'Istituto, le cui pertinenze sono di proprietà dello Stato greco, è esente dal pagamento delle imposte dirette (ma non da quelle indirette). Per quanto riguarda il segretario generale, i direttori e gli altri membri del segretariato, i loro stipendi sono esenti dalle ritenute fiscali dello Stato greco. Inoltre, all'arrivo in Grecia, i membri del Segretariato beneficiano della facoltà di importazione dei loro beni esentasse;
   3) Saragozza (Spagna): non essendo in vigore (né è mai stato sollecitato dalla parte interessata) alcun accordo fra le Autorità spagnole e l'istituto agronomico di Saragozza, nessun privilegio o immunità è riconosciuto all'istituto medesimo.

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   TERROSI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il progetto di riordino dell'organizzazione del soccorso recentemente delineato dal dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, ha previsto, tra l'altro, l'avviamento a chiusura del nucleo sommozzatori di Viterbo;
   tale nucleo nacque nell'ormai lontano 1981 dalla tenace volontà di un gruppo di vigili del fuoco, fermamente convinti dell'opportunità di importare anche a Viterbo le esperienze di soccorso acquatico che il Corpo nazionale aveva acquisito fin dall'inizio degli anni Cinquanta;
   nel corso della sua ultratrentennale attività il nucleo sommozzatori di Viterbo ha rappresentato un presidio di soccorso di fondamentale importanza per tutto il territorio provinciale e per le limitrofe province di Terni e Perugia;
   molteplici sono stati, ogni anno, gli interventi di salvataggio portati a termine, in ogni stagione ed in ogni condizione climatica, lungo tutto il tratto costiero compreso tra la penisola dell'Argentario e Civitavecchia per 70 chilometri di costa, nei laghi di Vico, Bolsena, Mezzano, bacini artificiali come Alviano e Corbara, in tutte le acque interne (fiumi, cave, torrenti) e negli scenari alluvionali (quali quelli di Tarquinia e Montalto di Castro);
   nel corso degli anni, inoltre, i componenti del nucleo sommozzatori, attualmente costituito da sette unità oltre al coordinatore, hanno potuto maturare esperienze e professionalità del settore, acquisendo abilitazioni particolari (speleo sub, istruttori sommozzatori, operatori di sistemi filoguidati), e venendo per tale ragione richiesti anche per interventi di soccorso di eccezionale rilievo (tra i quali, negli ultimi anni, l'intervento conseguente al naufragio della Costa Concordia e delle imbarcazioni di migranti nel mare di Lampedusa);
   dalle prime informazioni si apprende che con l'ipotesi di progetto di riordino così come concepito, per gli interventi in ambiente subacqueo nella provincia di Viterbo sembra si dovrà fare riferimento ai nuclei di Roma o Firenze, con evidenti ripercussioni sulla rapidità, efficacia ed efficienza del soccorso;
   già nell'anno 2000 l'organico dei nuclei sommozzatori aveva subito una consistente riduzione a seguito di un vero riordino ministeriale avvenuto con decreto n. 23 del 20 dicembre 2001 su tutto il territorio nazionale, il quale ha ridotto l'organico da 640 unità (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 aprile 1997 Gazzetta Ufficiale n. 267) a soli 534 operatori, prevedendo tra l'altro l'attribuzione organica non più per comando provinciale ma per direzione regionale e interregionale;
   con il nuovo «riordino» il numero delle unità complessive attribuite ai comandi provinciali passerebbe a 510, realizzando un risparmio di spesa che, a parere dell'interrogante, sembra irrisorio a fronte di una consistente riduzione della sicurezza del territorio –:
   a quale stato di avanzamento sia giunto il piano operativo di riordino e quale sia la tempistica prevista per la eventuale cessazione dell'attività del nucleo sommozzatori attualmente operante nella provincia di Viterbo;
   quali iniziative intenda mettere in atto per garantire gli standard di sicurezza attualmente assicurati dal nucleo sommozzatori nella provincia di Viterbo, tenuto conto del fatto che il servizio di soccorso reso dal Corpo nazionale in questo ambito, ovvero in 12.068 chilometri quadrati, non è attualmente assicurato da nessuna altra amministrazione dello Stato. (4-04297)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede quali iniziative quest'Amministrazione intende attuare per garantire gli standard di sicurezza attualmente assicurati dal nucleo sommozzatori nella provincia di Viterbo, tenuto conto del fatto che il servizio di soccorso reso dal Corpo nazionale del vigili del fuoco in questo ambito, non è attualmente assicurato da nessuna altra amministrazione dello Stato.
  In proposito si fa presente che è stato predisposto recentemente un progetto di riordino delle strutture centrali e territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, finalizzato all'ottimizzazione delle risorse disponibili, al decentramento delle funzioni ed alla razionalizzazione del funzionamento delle strutture.
  Il progetto, partendo dalle esigenze del territorio, ha ridefinito la mappatura delle sedi (centrali e distaccate), riclassificandole in base ad indicatori riconducibili al rischio territoriale, alla popolazione, all'estensione territoriale, allo sviluppo industriale e commerciale, con conseguente rimodulazione dei singoli organici.
  Riguardo al servizio dei nuclei sommozzatori dei vigili del fuoco, la riorganizzazione costituisce, in particolare, il frutto di un attento studio dei dati e dei parametri relativi al settore specialistico, quali il rischio idraulico, le tipologie di interventi, nonché la distribuzione dei turni di servizio, in ragione dell'efficacia della risposta operativa alla domanda di soccorso tecnico nonché del servizio reso alla cittadinanza.
  Al riguardo, si precisa che il servizio svolto dai sommozzatori nel corso degli anni ha assunto connotazioni ben precise, che non richiedono una diffusione capillare sul territorio. La statistica degli interventi dimostra, infatti, che la stragrande quantità di questi consistono in ricerca e recupero di salme ovvero altri oggetti di interesse giudiziario, interventi che, palesemente, possono essere eseguiti con efficacia anche non nell'immediatezza, ma a distanza di qualche ora.
  Nell'ottica del progetto sopra descritto, è stato previsto che nei comandi capoluogo di regione il servizio sia prestato «h24» su quattro turni e in quelle regioni in cui sono presenti tre sedi operative sia effettuata una riduzione da tre a due nuclei.
  La rivisitazione del dispositivo di soccorso del servizio sommozzatori, pertanto, prevede:
   la revisione ed il completamento degli organici nei nuclei sommozzatori per assicurare la prestazione del servizio nei quattro turni nell'ambito di ciascuna regione ove il servizio è istituito;
   la previsione di un secondo nucleo sommozzatori nelle regioni a maggior rischio;
   la cessazione di nuclei che, per quanto decretati, non sono mai stati attivati;
   l'avvio a chiusura di alcuni nuclei minori con ridotta operatività;
   il mantenimento sotto osservazione di alcuni nuclei;
   la presenza, nell'ambito di alcuni nuclei, di operatori abilitati a servizi speleo-subacquei di livello avanzato in modo da realizzare un dispositivo di risposta rispondente ad una logica operativa di «
task force»;
   l'autonomia dei direttori regionali nell'organizzare i servizi, nel rispetto delle norme vigenti e delle anzidette indicazioni generali.

  Tanto detto in linea generale, si rappresenta, con riferimento specifico all'oggetto dell'interrogazione, che l'Amministrazione ha deciso di mantenere in attività il nucleo sommozzatori di Viterbo, con riserva di formulare valutazioni successive circa il suo futuro, qualora dovessero sopraggiungere esigenze di razionalizzazione delle risorse.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.