Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 24 novembre 2014

ATTI DI CONTROLLO

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
   in data 2 luglio 2014 la Camera dei deputati ha approvato a grandissima maggioranza una mozione unitaria che aveva come oggetto la tutela della libertà religiosa;
   la Dichiarazione universale dei diritti umani, all'articolo 18 stabilisce che: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti»;
   la mozione impegnava il governo su vari fronti e in particolare vale la pena ricordarne alcuni, anche perché nel tempo sono andati moltiplicandosi gli episodi di intolleranza con grave pregiudizio non solo per la libertà, ma anche per la vita delle persone. La mozione sollecitava il governo a denunciare ogni forma di persecuzione nei confronti delle minoranze religiose, in particolare quelle cristiane, nei contesti in cui sono maggiormente vulnerabili; a promuovere misure di prevenzione dell'intolleranza e di sostegno alle iniziative di promozione del dialogo interreligioso; a rafforzare le politiche per la cooperazione internazionale, specialmente nei Paesi in cui le minoranze religiose, in particolare, quelle cristiane sono pesantemente discriminate; ad adottare le opportune iniziative, anche in sede ONU, in materia di libertà religiosa, per monitorare gli episodi di persecuzione religiosa, impegnando i diversi Stati ad intervenire tempestivamente nella prevenzione dell'intolleranza e del fanatismo religioso; ad assumere iniziative presso il Governo del Pakistan per rafforzare il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e, in particolare, del diritto di libertà religiosa; infine ad assumere iniziative a sostegno delle minoranze religiose con particolare attenzione all'educazione;
   le persecuzioni contro i cristiani sono cresciute in modo esponenziale nella attuale situazione in Iraq e in altri Paesi del Medio Oriente dove il sedicente «Califfato» islamico marchia con una N come Nazareni le case dei cristiani, costretti a fuggire in massa. La lettera N da marchio d'infamia è diventata simbolo di una battaglia di libertà religiosa. Un marchio della vergogna non per chi lo subisce ma per gli jihadisti che lo impongono, come è avvenuto sulle case dei cristiani a Mosul: N come Nazareno, cioè cristiano;
   fino al 1990, anno della Prima Guerra del Golfo, i cristiani in Iraq erano circa 600.000, il 3,2 per cento della popolazione, stimata in 18 milioni. Con gli anni dell'embargo (1990-2003) inizia il calo: sono circa 554.000 nel 2003, così ripartiti: 370.000 caldei; 100.000 siriaci cattolici e ortodossi; 50.000 assiri; 20.000 armeni; 10.000 protestanti; 4.000 latini. Nel 2003, con l'occupazione dell'Iraq e l'inizio degli attentati contro chiese e clero, si accelerano l'esodo verso Nord e l'emigrazione all'estero. Nel 2010 i cristiani sono stimati attorno ai 400.000. Con l'occupazione di Mosul e di parte della Piana di Ninive, la presenza cristiana è a rischio estinzione. Oggi i cristiani sono stimati attorno ai 250.000, meno dell'1 per cento della popolazione;
   la polizia pachistana ha arrestato all'inizio di novembre 44 sospetti per la barbara uccisione di una coppia cristiana bruciata viva perché accusata di blasfemia. Oltre 460 persone sono state denunciate per aver partecipato al linciaggio avvenuto in una fornace di mattoni in un villaggio a circa 60 chilometri da Lahore dove i due coniugi di nome Shama e Shehzad lavoravano. Il governatore del Punjab, Shahbaz Sharif (fratello del premier Nawaz) ha deciso di formare una commissione di inchiesta per accelerare le indagini. Ha rafforzato la sicurezza nei quartieri dove vive la minoranza cristiana spesso perseguitata nel Paese mussulmano. Anche l'opposizione del Partito popolare pachistano (Ppp), il partito della famiglia Bhutto, ha condannato l'orrendo crimine. A gran voce si sente ripetere: l'Onu intervenga. C’è molta preoccupazione tra i cristiani del Pakistan che scenderanno in piazza a Lahore per manifestare il loro sdegno e chiedere giustizia e rispetto della legalità;
   il Ministro Gentiloni ha fermamente condannato l'efferata uccisione dei due cristiani bruciati vivi in Pakistan. «Un atto vergognoso che solleva profonda indignazione» ha detto il Ministro che esorta il Governo del Pakistan a fare tutto il possibile per assicurare immediatamente i colpevoli alla giustizia... L'Italia continuerà ad essere in prima linea in tutti consessi internazionali in difesa della libertà di religione e nel contrasto a ogni forma di discriminazione religiosa ha concluso il titolare della Farnesina. Era quanto chiedeva la mozione votata a luglio, a cui però non sono seguite, per adesso, azioni concrete;
   numerose organizzazioni cristiane e gruppi della società civile insieme a cittadini musulmani chiedono con urgenza un intervento dell'Onu per un esame obiettivo sulla legge di blasfemia, sulla sua strumentalizzazione e sulle sue conseguenze: urge una analisi attenta e neutrale. Se questa legge non sarà fermata e corretta vi saranno altri incidenti e tragedie come questa;
   «la difesa della libertà religiosa è la cartina di tornasole per verificare il rispetto di tutti gli altri diritti umani in un Paese». Così disse Giovanni Paolo II nell'ottobre del 2003 ai partecipanti all'assemblea parlamentare dell'Osce. Se in un Paese la libertà religiosa non è rispettata, difficilmente lo saranno gli altri diritti umani;
   in quella, come in molte altre occasioni, Wojtyla sottolineò «la dimensione internazionale del diritto alla libertà di religione e la sua importanza per la sicurezza e la stabilità della comunità delle nazioni», incoraggiandone la difesa e la promozione da parte dei singoli Stati e di altri organismi internazionali;
   oggi circa il 74 per cento della popolazione mondiale – quasi 5,3 miliardi di persone – vive in Paesi in cui la libertà religiosa è soggetta a più o meno gravi violazioni e limitazioni, che si traducono spesso in vere e proprie persecuzioni religiose. Sono 116 i Paesi nel mondo in cui si registrano violazioni della libertà religiosa;
   recenti studi dimostrano che circa i tre quarti dei casi di persecuzioni religiose nel mondo riguardano i cristiani. Sono almeno 500 milioni i cristiani che vivono in Paesi in cui subiscono persecuzione, mentre altri 208 milioni vivono in Paesi in cui sono discriminati a causa del proprio credo;
   anche il numero di cristiani uccisi ogni anno in ragione della propria fede è tristemente elevato. Le stime variano da 100 mila a poche migliaia. Non è tuttavia rilevante sapere se vi è un cristiano ucciso in odio alla fede ogni cinque minuti, oppure ogni giorno. È comunque troppo;
   tra i colpevoli di discriminazioni e persecuzioni ai danni di gruppi religiosi vi sono numerosi governi. «La libertà religiosa è qualcosa che non tutti i paesi hanno – ha ricordato Papa Francesco rientrando dal suo viaggio in Terra Santa – Alcuni esercitano un controllo, altri prendono misure che finiscono in una vera persecuzione. Ci sono martiri oggi, martiri cristiani, cattolici e non cattolici. In alcuni posti non puoi portare un crocifisso, avere una Bibbia, o insegnare il catechismo ai bambini. E io credo che in questo tempo ci siano più martiri che nei primi tempi della Chiesa»;
   in Corea del Nord la libertà religiosa è completamente negata. Il Governo controlla le attività religiose e chiunque partecipi ad attività religiose non autorizzate è arrestato e soggetto a torture o perfino esecuzioni. Migliaia di nordcoreani sono internati nei campi di lavoro per motivi religiosi – almeno 15 mila su un totale di 150 mila prigionieri – e se rifiutano di rinunciare alla loro fede, subiscono abusi perfino peggiori di quelli cui sono soggetti gli altri detenuti. Molto simile la situazione dell'Eritrea, nota non a caso come la Corea del Nord d'Africa, dove si contano dai 2 mila ai 3 mila prigionieri di coscienza arrestati a causa del loro credo religioso. Prigionieri che subiscono atroci torture e sono costretti a vivere in condizioni disumane;
   in Cina il controllo dello Stato sulle attività religiose è andato tristemente aumentando negli ultimi anni, così come il numero degli arresti di cristiani, buddisti e musulmani e la distruzione di edifici religiosi. Recentemente nella provincia di Zhejang oltre sessanta chiese sono state demolite o danneggiate. La Costituzione riconosce sulla carta la libertà di religione, ma autorizza le sole attività religiose «normali», senza tuttavia fornirne alcuna definizione. Chiunque partecipi a riunioni o manifestazioni religiose non «autorizzate» è arrestato e può subire torture e abusi. Stessa sorte è toccata ai numerosi cattolici che, per fedeltà al Papa, hanno rifiutato di aderire all'Associazione patriottica cattolica cinese;
   lo stretto controllo governativo limita in modo rilevante la libertà religiosa anche in altri Paesi asiatici, quali Laos, Vietnam, Malesia, Kazakhistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Vietnam;
   uno dei Paesi in cui la libertà religiosa è meno tutelata è senza dubbio il Pakistan. Qui lo strumento d'elezione per la discriminazione e la persecuzione delle minoranze religiose è la cosiddetta legge antiblasfemia – corrispondente ad alcuni articoli del codice penale pachistano – che punisce con la pena di morte chi insulta il Profeta Maometto e con il carcere a vita chi profana il Corano. In Pakistan sono detenute 36 delle 43 persone arrestate con l'accusa di blasfemia in tutto il mondo. 17 di queste sono state condannate alla pena capitale, mentre le altre stanno scontando una pena detentiva a vita. Senza contare le migliaia di omicidi extra-giudiziali compiuti a causa di tale norma. Ne sono un tragico esempio i due coniugi cristiani gettati vivi in una fornace il 4 novembre del 2014, a seguito di un'accusa di blasfemia;
   anche se tra gli accusati non mancano appartenenti alla maggioranza musulmana, i dati dimostrano come la legge – che non prevede l'onere della prova per chi accusa e si presta dunque facilmente ad un uso improprio – è soprattutto utilizzata per colpire le minoranze religiose. Nel 2013 su 32 casi registrati, 12 hanno riguardato imputati cristiani: si tratta del 40 per cento delle denunce, in un Paese in cui la minoranza cristiana rappresenta appena il 2 per cento della popolazione;
   un'altra piaga che colpisce le minoranze religiose del Pakistan è il rapimento e la conversione forzata all'Islam di adolescenti e bambine. Secondo i dati ufficiali, ogni anno circa 750 giovani cristiane e 250 indù sarebbero rapite e obbligate a convertirsi per contrarre matrimonio islamico. Ma dal momento che la percentuale dei crimini riportati è minima, si ritiene che i casi siano almeno il doppio;
   nei mesi scorsi il caso di Meriam Yahya Ibrahim Ishaq, la donna sudanese condannata a morte per apostasia, ha portato all'attenzione internazionale il dramma in atto nei Paesi in cui è vietato convertirsi dall'Islam ad altra religione. In 21 Paesi il reato di apostasia è regolato dal codice penale e alcuni di questi, tra cui Iran, Sudan, Arabia Saudita, Egitto, Somalia, Afghanistan, Qatar, Yemen, Pakistan e Mauritania contemplano la pena di morte per questo tipo di reato;
   gravi sono le violazioni alla libertà religiosa nei Paesi in cui la legge islamica è fonte di diritto, sia che questa venga applicata a tutti i cittadini – come ad esempio in Sudan – sia che sia fatta distinzione tra musulmani e non musulmani. In 17 dei 49 Paesi a maggioranza islamica, l'Islam è riconosciuto come religione di Stato. Un primato sancito dalla costituzione che implica molteplici conseguenze: dall'esclusione delle minoranze dalla pratica religiosa – è questo il caso dell'Arabia Saudita – fino a forme di tolleranza vincolate a rigidi controlli delle attività religiose;
   in Medio Oriente, in seguito alla cosiddetta Primavera Araba, abbiamo assistito ad un aumento della pressione di gruppi fondamentalisti ed una crescente ostilità nei confronti della minoranza cristiana. In Egitto nel solo 2013 sono stati distrutti o danneggiati oltre 200 tra chiese, edifici religiosi e attività gestite da cristiani;
   in alcune aree di diversi Paesi del mondo arabo – tra cui Egitto, Iraq e Siria – gli estremisti pretendono dai cristiani il pagamento della jizya, la tassa imposta ai non musulmani durante l'impero ottomano;
   la radicalizzazione dei gruppi fondamentalisti ha contribuito ad alimentare il massiccio esodo di cristiani dal Medio Oriente. Se appena un secolo fa essi rappresentavano circa il 20 per cento della popolazione mediorientale, oggi raggiungono a stento il 4 per cento. Tra i fattori che spingono i cristiani ad abbandonare il proprio Paese vi è la concezione, tradizionalmente diffusa nelle società islamiche, che i non musulmani siano cittadini di seconda classe. Tale concezione non di rado porta a gravi discriminazioni in ambito scolastico e lavorativo e perfino a disparità nell'applicazione della giustizia;
   uno dei Paesi simbolo delle difficoltà cristiane nell'area è senza dubbio l'Iraq, che negli ultimi 25 anni ha visto diminuire la propria comunità cristiana da un milione e mezzo di fedeli a poco più di 300mila. La conquista di vaste aree del Paese da parte dello Stato islamico rischia oggi di porre fine alla millenaria presenza cristiana. Più di 120 mila cristiani sono fuggiti nel Kurdistan iracheno ed ora versano in drammatiche condizioni, stipati nelle scuole, negli edifici abbandonati e condividendo in più famiglie uno stesso appartamento;
   anche in molte aree dell'Africa la pressione dei gruppi fondamentalisti islamici è andata fortemente aumentando, con gravi conseguenze per la popolazione locale e in particolar modo per i non musulmani. Caso emblematico è quello della Nigeria, dove dal 2009 ad oggi si sono intensificati gli attacchi della setta islamica Boko Haram. Nel Nord a maggioranza islamica i fondamentalisti hanno distrutto o danneggiato centinaia di chiese e ucciso migliaia di persone, oltre 2mila soltanto negli ultimi 12 mesi. Da una ricerca condotta nell'ottobre del 2012 è risultato che su 1201 cristiani uccisi in odio alla fede durante l'anno, ben 791 avevano trovato la morte in Nigeria. Dal 2001 all'ottobre 2013 nel Paese sono stati uccisi 32mila cristiani, di cui 12 mila tra il 2011 e l'ottobre 2013. Il governo è stato più volte accusato di non aver saputo reagire in maniera adeguata, anche a causa della dilagante corruzione che caratterizza l'apparato statale;
   la Cooperazione allo sviluppo è parte integrante della politica estera italiana ed è gestita dalla direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri. La Cooperazione italiana tiene conto di linee guida e impegni concordati nel più ampio contesto internazionale (Onu, Ue). In termini di priorità le iniziative sono focalizzate principalmente sul continente africano (Africa sub-sahariana), sui Paesi nei quali sono stati assunti importanti impegni internazionali (Afghanistan, Libano) nonché in aree nelle quali la presenza del nostro Paese ha radici profonde (America Latina, Medio Oriente e Mediterraneo). In termini di aree tematiche e settori le priorità sono: l'ambiente e beni comuni, con particolare attenzione allo sviluppo rurale, all'agricoltura biologica o convenzionale, alla ricerca di fonti alternative e rinnovabili; le politiche di genere e in particolare l’empowerment delle donne, accanto ai tradizionali interventi sulla salute e sull'educazione;
   la maggior parte delle organizzazioni internazionali offre a laureandi e neolaureati la possibilità di effettuare. Dall'acquisizione di una certa familiarità con l'ambiente delle organizzazioni internazionali, all'esercizio pratico delle attitudini di flessibilità e apertura mentale, alla continua pratica nelle lingue straniere. Il tirocinio, quindi, costituisce una prima reale opportunità per cominciare ad accumulare quell'esperienza lavorativa necessaria per una successiva occupazione più stabile nelle organizzazioni internazionali –:
   a conclusione del semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea, se non ritenga opportuno, nelle sedi istituzionali europee, richiedere l'istituzione di una giornata europea dei martiri cristiani per ricordare i cristiani del nostro tempo uccisi in odio alla fede;
   se non ritenga opportuno rendere il rispetto della libertà religiosa uno dei requisiti necessari alla concessione di aiuti a Paesi terzi, all'instaurazione con questi di relazioni di carattere economico, nonché infine ad esigere che parte degli aiuti destinati ad altri Paesi siano devoluti a progetti per la promozione delle minoranze religiose, con particolare attenzione all'educazione (esempio: borse di studio per appartenenti alle minoranze religiose);
   se non si ritenga utile organizzare con regolarità incontri tra rappresentanti del Governo ed esponenti delle minoranze religiose di diversi Paesi per acquisire informazioni dirette e poter realizzare interventi più efficaci;
   quali iniziative intenda porre in essere al fine di favorire periodi di tirocinio (stage) per giovani studenti o neolaureati all'interno di strutture internazionali, con molti vantaggi sul piano formativo, soprattutto nelle aree ad alta complessità socio-economica;
   quali iniziative intenda porre in essere al fine di valorizzare lo strumento della cooperazione internazionale allo sviluppo dell'Italia come contributo ai processi di pacificazione, tutela dei diritti e promozione della democrazia nei Paesi del Mediterraneo e in Medio Oriente, rafforzando le partnership con i Paesi del Mediterraneo per supportarne lo sviluppo economico e i diritti sociali;
   se non valuti opportuno favorire una visione condivisa e la collaborazione tra istituzioni e società civile per un'azione coordinata e coerente di cooperazione del «Sistema Italia» nel Mediterraneo e in Medio Oriente;
   quali strumenti ritenga utile porre in essere al fine di contribuire all'identificazione di strumenti operativi per potenziare la cooperazione italiana allo sviluppo in Mediterraneo e Medio Oriente (tra cui progetti di co-sviluppo, crediti e altro);
   quali iniziative, anche di natura normativa, intenda porre in essere al fine di agevolare, nei diversi livelli dell'istruzione, lo studio storico ed introduttivo di tutte le religioni, al fine di creare un contesto culturale finalizzato alla riduzione progressiva di ogni discriminazione, almeno in Italia.
(2-00757) «Binetti».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIMBRO, GARAVINI, LA MARCA, LOCATELLI, FITZGERALD NISSOLI, SCOTTO e TIDEI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la signora H. M. S., nata in Etiopia, è giunta in Italia nell'ottobre del 2002, con la figlia H. W. di quattro mesi, nata in Sudan dal precedente matrimonio in rito mussulmano con K. K. E., di origine sudanese;
   la signora H. M. S., stabilitasi in Italia, ha provveduto alla cura della propria figlia, lavorando come badante e, nel corso del 2003, ha provveduto anche al mantenimento del marito, nel frattempo giunto in Italia;
   dopo due anni circa la signora H. M. S. si è separata di comune accordo col marito; consensualmente, si è deciso che la figlia restasse presso l'abitazione materna, con possibilità per il padre di poterla incontrare liberamente;
   H. M. S. nel 2006 ha iniziato una relazione affettiva con uomo italiano; dalla loro unione, nel 2007, è nata una bambina, sorella di H. W.: si è andato pertanto a costituire un nuovo nucleo familiare;
   H. W. è nata in Sudan il 6 giugno 2002 ed è entrata in Italia all'età di quattro mesi; ha frequentato tre anni di scuola materna, cinque anni di scuola primaria, e il primo anno di scuola secondaria di primo grado; questo settembre avrebbe dovuto iniziare a frequentare il secondo. È stata battezzata nel 2008 ed ha preso i sacramenti della prima comunione e della cresima. Forti sono i vincoli affettivi familiari, in particolar modo con la sorella minore, e amicali, con le compagne di scuola e dell'oratorio;
   il 31 luglio 2014, col consenso della madre, la bambina si è recata in Sudan con il padre per le vacanze estive; la data prevista per il rientro sarebbe stata il 4 settembre 2014. Senonché, il padre della bambina ha comunicato telefonicamente la propria improvvisa ed unilaterale decisione: la bambina non avrebbe fatto ritorno in Italia, per restare a vivere e frequentare le scuole in Sudan;
   la signora H. M. S., a seguito del fatto, ha sporto denuncia di sottrazione di minori ai carabinieri di Saronno e si è successivamente recata a Roma presso le ambasciate del Sudan e dell'Etiopia;
   Croce rossa italiana e l'associazione «Avvocati per Niente», interpellati al fine di trovare una soluzione che permetta il rientro in Italia della bambina, non sono stati in grado, al momento, di formulare proposte concrete;
   i contatti telefonici tra la signora H. M. S. e la figlia sono diventati sempre più sporadici e difficoltosi; nel frattempo, la bambina ha contratto la malaria per ben due volte: ciò ha destato ulteriore preoccupazione riguardo al suo stato di salute psicofisico;
   la bambina, sentita telefonicamente dalla madre, ha manifestato un forte malessere ed una grande sofferenza per l'improvviso sradicamento dal proprio ambiente sociale e familiare –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro possa promuovere, sul piano diplomatico, al fine di favorire una mediazione che porti al rientro in Italia della minore nel tempo più rapido possibile, anche in considerazione del fatto che il perdurare della permanenza della bambina in Sudan, lontana dai propri affetti, potrebbe pregiudicare lo sviluppo psichico ed emotivo della stessa. (5-04118)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   tra i Comuni di Pernumia, Battaglia Terme e Due Carrare, in provincia di Padova, in prossimità di abitazioni e in zona di rischio idraulico poiché a pochi metri dal canale Vicenzone, nei capannoni di proprietà della ditta Cedro srl, sono stati abbandonati dal 2002, circa 52mila tonnellate di rifiuti tossici e nocivi, stoccati dall'azienda C.&C. S.p.A.;
   come si evince da alcuni articoli di stampa locale, da blog in internet come la Vespa.org e Orto sociale.org, nonché da un allarme lanciato da Legambiente Padova e del Veneto, la C&C è un'azienda che nasce nel 2002 per trasformare rifiuti industriali in materiale cementizio. L'attività si è de facto limitata a stoccare il materiale tossico e cancerogeno in modo inadeguato e non previsto dalla normativa vigente, in assenza della minima sicurezza, e a rivenderlo senza inertizzarlo. L'attività, a quanto si apprende dagli atti, continua fino al 2005, quando l'area viene posta, il 22 febbraio del 2005, sotto sequestro da parte della magistratura, a seguito di un'indagine riguardante un traffico illecito di rifiuti. I cittadini da subito, a causa della presenza di odori acri ed irritanti, e delle polveri che si sollevavano dalla C&C, segnalavano alle istituzioni competenti, che qualcosa di potenzialmente pericoloso stava succedendo all'interno e all'esterno dei capanni della ex fabbrica Magrini Galileo;
   con la lunga vicenda giudiziaria, che termina con la prescrizione il 25 giugno 2012, il processo si è chiuso senza risarcimento e senza condanne definitive. I cumuli di materiali altamente inquinanti, sono ad oggi ancora stoccati all'interno di capannoni che appaiono precari e non adeguati. Il rischio ambientale pare accertato, ed è peraltro reale per la probabile e facile, viste le sopra descritte caratteristiche inidonee del sito di stoccaggio, contaminazione dell'aria, del suolo e delle falde idriche;
   la questione della C.&C. di Pernumia, nel 2009, compie un passo avanti quando la regione Veneto inserisce la citata area nell'elenco dei siti inquinati e da bonificare e solo nel 2011 la stessa regione Veneto ha stanziato 500.000 euro per la messa in sicurezza e per attività di caratterizzazione, risorse occorse nel corso del 2013-2014 per rinforzare alcune strutture e tappare le numerose falle sul tetto e alle pareti. Ma, al primo evento meteorologico importante, la struttura ha evidenziato la sua estrema fragilità e: gravi rischi cui è esposta. Il fortunale del 13 ottobre 2014, che si è abbattuto nella bassa padovana, ha dimostrato la fragilità della struttura provocando falle su varie parti dell'edificio e del tetto, ora riparate dalla società «Consorzio Padova Sud». La violenza del vento del detto evento atmosferico ha acuito il rischio di dispersione delle polveri in un raggio di incalcolabile ampiezza –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della grave vicenda;
   se, per quanto di competenza ed anche per il tramite del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente e delle agenzie specializzate come l'ISPRA, intendano verificare la situazione di inquinamento delle acque e dell'aria nelle aree adiacenti allo stoccaggio nei capannoni della Cedro SrL nel comune di Pernumia. (4-07002)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la sentenza della Corte di Cassazione relativa al maxi processo cosiddetto «Eternit», emessa la scorsa settimana, che ha prosciolto tutti gli imputati del processo iniziato nel 2009, volto ad individuare i responsabili delle oltre tre mila vittime e centinaia di malati causati dal contatto con l'amianto utilizzato negli stabilimenti della multinazionale di Casale Monferrato, in provincia di Torino, ripropone il tema della difficile quanto complessa rivisitazione della normativa relativa al cosiddetto reato di prescrizione breve, in questo caso riferito al disastro ambientale;
   l'annullamento delle condanne e dei risarcimenti in favore delle parti civili ha infatti evidenziato le complicazioni croniche dell'intero sistema della giustizia italiana e le criticità derivanti dall'introduzione nel 2005 della revisione dei tempi che ha dimezzato i termini della prescrizione, vanificando spesso il lavoro investigativo e istruttorio dei magistrati e delle forze dell'ordine;
   l'interrogante evidenzia come la dolorosa vicenda Eternit e la decisione di procedere in via prioritaria a un intervento normativo per modificare la legge cosiddetta ex Cirielli, all'indomani della citata sentenza conclusasi con l'annullamento della condanna del magnate elvetico Stephan Schmidheinyset, probabilmente sospinta dall'indignazione trasversale che ha coinvolto la maggior parte delle forze politiche, risultino paradossali; si fa riferimento ad alcune dichiarazioni del Governo ed in particolare del Presidente del Consiglio dei ministri, il quale a tal proposito, ha dichiarato come occorra intervenire rapidamente per modificare il reato di prescrizione breve;
   a tal proposito l'interrogante rileva come in tema di riforma della prescrizione, il Presidente del Consiglio dei ministri, avesse sin dal mese di aprile 2014 manifestato l'intenzione d'intervenire in tal senso, annunciando il provvedimento lo scorso 29 agosto; in realtà, esso non è mai effettivamente giunto all'attenzione del Parlamento;
   la vicenda relativa alla sentenza Eternit, a giudizio dell'interrogante, dimostra quanto sia micidiale la normativa vigente e che urge a tal proposito modificarla in tempi rapidi, in particolare con riferimento alla legislazione in materia ambientale e di reati connessi –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e se intenda confermare l'intenzione del Governo, di assumere ogni iniziativa di competenza per avviare in tempi rapidi la riforma della prescrizione, il cui disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri il 29 agosto 2014, non è mai giunto all'attenzione del Parlamento. (4-06993)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   COSTANTINO e ZARATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la linea ferroviaria fonica è una linea di 472 chilometri a binario unico, non elettrificato nel tratto Sibari-Melito P.S., che collega Taranto a Reggio Calabria attraverso la costa ionica di Puglia, Basilicata e Calabria e servendo una popolazione pari a circa il 50 per cento di quella regionale calabrese;
   è gestita da RFI (Rete ferroviaria italiana) che la qualifica come «complementare»;
   RFI è una società del gruppo Ferrovie dello Stato a capitale interamente pubblico e di proprietà del Ministero dell'economia e delle finanze;
   il diritto alla mobilità è diritto garantito costituzionalmente e dalla Carta dei diritti dell'Unione europea;
   la linea venne costruita a semplice binario ed è rimasta tale fino ad oggi eccetto i due tratti terminali Taranto-Bivio Metaponto e Reggio Calabria-Melito Porto Salvo; è interamente attrezzata con BCA e SCMT ed è gestita con il sistema di comando centralizzato del traffico;
   è dotata di importanti collegamenti trasversali tra il versante ionico e quello tirrenico;
   la linea ionica è anche collegata al porto di Taranto, al porto di Crotone e a quello di Reggio Calabria;
   tra Reggio Calabria e Melito di Porto Salvo è stato attivato nel 2007 un servizio ferroviario suburbano, che prevede una corsa ogni 30 minuti;
   la linea è stata oggetto di recenti lavori di potenziamento tecnologico ed infrastrutturale nel primo decennio degli anni 2000 di importo complessivo pari ad almeno euro 12.630.000;
   altri 80 milioni di euro sono previsti per l'elettrificazione della linea tra Lamezia Terme e Catanzaro Lido;
   i lavori hanno riguardato, tra le altre, le stazioni di Crotone, di Caulonia, di Gioiosa Jonica, Riace, Ferruzzano;
   dalla fine del 2011 non vi sono più circolanti treni a lunga percorrenza, eccetto l’Intercity Reggio Calabria-Taranto istituito a giugno 2013 per intervento del Ministero della coesione territoriale e non collegando Bari a Villa S.G. è da subito apparso come collegamento monco rispetto alle esigenze di collegamento interregionale tra la Puglia, la Basilicata, la Calabria e la Sicilia. Inoltre, non vi sono più treni della divisione trasporto regionale effettuati con materiale rotabile diverso da ALN 668;
   l'assenza di treni a lunga percorrenza e di altro materiale ordinario della DTR è dovuta all'entrata in vigore della normativa ANSF che prevede l'obbligo di circolazione di materiale rotabile con «lateralizzazione» della chiusura porte o della presenza di personale supplementare sui treni circolanti;
   non è stato finora effettuato l'adeguamento tecnologico dei locomotori D445 unico materiale a trazione diesel atto a circolare sulla linea ferroviaria ionica e con realizzazione risalente alla fine degli anni ’80;
   il treno Intercity Taranto-Reggio Calabria è effettuato, unico caso in Italia, con materiale ordinario della divisione trasporto regionale trainato da una D445, in molti casi non disponibile e sostituito con automotrice leggera ALN 668 «littorina», materiale non idoneo ad un percorso di 472 chilometri e risalente nel migliore dei casi al 1987;
   il servizio lungo la linea è da anni oggetto di frequente critica documentata da parte di comitati e associazioni pendolari nonché di numerosi servizi giornalistici in cui è apparso evidente lo stato di degrado del servizio;
   è frequente l'assenza di armonizzazione e coordinamento tra gli orari dei diversi treni nelle stazioni nodo di rete come Reggio Calabria, Villa S. Giovanni, Catanzaro Lido e Crotone e tra i diversi vettori (treni, pullman, traghetti) nelle stazioni di interscambio;
   nel giugno 2011 è stata definitivamente isolata dal resto della linea la stazione di Reggio Calabria Marittima, di recente ristrutturazione e teoricamente funzionale al servizio metropolitano Melito P.S.-Villa S. Giovanni-Rosarno e alla prevista nuova stazione di Reggio Calabria Aeroporto poi inaugurata nel febbraio 2013;
   entro dicembre 2014 secondo programmi di gestione di RFI, una decina di stazioni (ma dovrebbero essere forse il doppio), verranno declassate a «fermate»;
   tecnicamente, tale declassamento consiste nella soppressione dei binari di precedenza ed incrocio e relativi apparati di segnalamento, che normalmente caratterizzano le stazioni ferroviarie, e che permettono di effettuare manovre dei convogli ferroviari, ed in particolare incroci tra treni marcianti in senso opposto, e precedenze, per esempio tra un treno più veloce che «supera» uno più lento;
   la riduzione del numero di stazioni, e relativa trasformazione in fermate sulla linea ionica si tradurrà in pesanti ripercussioni sul traffico ferroviario potenziale: si determineranno una riduzione di potenzialità (capacità di transito), allungamento dei tempi di interscambio per gli altri vettori coincidenti, ed un prevedibile allungamento dei tempi di viaggio in ragione delle maggiori distanze interstazione;
   le stazioni che subiranno il definitivo taglio e che rimarranno a singolo binario, saranno le seguenti: Marina di San Lorenzo (già trasformata in fermata), Bova Marina, Capo Spartivento, Ferruzzano, Ardore, Gioiosa Jonica, Caulonia, Riace, Squillace, Roccabernarda, Isola di Capo Rizzuto, Roseto Capo Spulico (già trasformata in fermata), Policoro-Tursi (già trasformata in fermata);
   la stazione di Crotone è già stata oggetto di riduzione a soli tre binari con soppressione del restante fascio binari esistente;
   è in atto una politica nazionale di right sizing, di RFI che si prefigura come una ulteriore pericolosa tappa verso lo smantellamento dell'intera linea ionica da Melito a Metaponto –:
   se il Governo non ritenga di intervenire con urgenza, per quanto di competenza, in relazione ad una situazione di possibile lesione del diritto alla mobilità dei cittadini e di possibile danno derivante dalla vanificazione di investimenti di recente realizzazione dovuta al mancato impiego di risorse correnti e di investimento atte all'adeguato sfruttamento della linea ferroviaria ionica con un livello di servizio di standard europeo e allo smantellamento, già effettuato e previsto, di parte fondamentale della linea che comporterà una sicura impossibilità futura di mantenimento ed innalzamento della qualità del servizio. (4-06997)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MURA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco ha sempre corrisposto con impegno straordinario, in termini qualitativi e quantitativi, alle attese dei cittadini in tutti i compiti di prevenzione, vigilanza e soccorso tecnico urgente ai quali esso è preposto per legge e per i quali si trova quotidianamente a intervenire su richiesta di soggetti pubblici e privati;
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco assicura servizi di sicurezza e tutela per il territorio, tra i quali su tutti spicca il servizio antincendio, ma anche servizi di protezione civile;
   l'attuale organigramma del Corpo dei vigili del fuoco è complessivamente composto da tre grandi gruppi: i permanenti, i discontinui e i volontari. Queste ultime due categorie, rientranti nel personale precario, ammontano a circa 65 mila unità;
   vista la carenza di personale permanente, sono proprio i vigili del fuoco discontinui e volontari che riescono, con le loro prestazioni, a completare le esigenze necessarie ai servizi e far sì che il Corpo dei vigili del fuoco continui a garantire lo svolgimento dei servizi;
   questo tipo di contratti però limita fortemente la forza lavoro e l'utilizzo completo del personale chiamato, che non può superare determinati giorni di lavoro, penalizzando pertanto l'organico dei vigili del fuoco;
   l'impiego di questo personale deve essere giustificato da reali esigenze emergenziali e straordinarie, evitando l'abuso del lavoro precario da parte delle pubbliche amministrazioni per l'espletamento di mansioni ordinarie;
   fino a oggi tutte le proposte di legge tese a stabilizzare i vigili del fuoco volontari e discontinui non hanno non hanno ricevuto l'approvazione da parte del Parlamento –:
   se non ritengano di assumere iniziative urgenti a favore dei vigili del fuoco con contratti precari, al fine di stabilizzarli a pieno titolo e a tempo indeterminato all'interno dell'organigramma del Corpo nazionale, di sanare le criticità relative alla mancanza di personale, di restituire sia ai diretti interessati che alle rispettive famiglie, maggiore sicurezza e serenità, unitamente a un importante risparmio in termini economici, per la pubblica amministrazione statale;
   se non ritengano opportuno, attraverso una procedura straordinaria, risolvere definitivamente il problema dei cosiddetti precari storici, i quali sono risultati carenti dei requisiti nelle precedenti procedure di stabilizzazione non per mancanza di professionalità, ma per motivi legati a specifiche realtà territoriali;
   se non ritengano urgente dare avvio a una sostanziale rivisitazione dell'utilizzo del personale volontario e discontinuo, che deve essere riservato ai distaccamenti previsti in una logica di supporto a quelli permanenti nella programmazione del Ministero dell'interno oppure nei comandi e nei distaccamenti permanenti. (5-04115)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il distaccamento dei vigili del fuoco di Cantù, in provincia di Como, è attualmente ospitato in un immobile in affitto, al canone annuo di 38 mila euro, che risulta ormai sotto sfratto esecutivo, con perfezionamento dell'operazione di sgombero previsto per il marzo 2015;
   il predetto distaccamento assicura il primo intervento di soccorso tecnico urgente in ben 15 comuni;
   per ospitare il distaccamento dei vigili del fuoco di Cantù sarebbe stato individuato un immobile alternativo, costruito nel 2008 e situato in via dei Caduti di Nassiriya, che tuttavia necessiterebbe di interventi di adeguamento impiantistico-strutturale di importo non inferiore ad 1,4 milioni di euro;
   il comune di Cantù non ha replicato alla richiesta di finanziare l'oneroso intervento di ristrutturazione;
   se non si troverà una soluzione, il distaccamento dei vigili del fuoco di Cantù sarà costretto a chiudere –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per assicurare la funzionalità del distaccamento dei vigili del fuoco di Cantù dopo la scadenza di marzo 2015, specialmente nel caso in cui le autorità comunali locali si confermassero indisponibili a sostenere i costi per la ristrutturazione dell'immobile individuato come alternativa a quello dal quale il presidio canturino del soccorso tecnico urgente sarà sfrattato. (4-06996)


   CATALANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come si legge su Trasportoeuropa del 20 novembre 2014, la procura di Catania ha concluso l'operazione Caronte con l'arresto di ventitré persone, fra i quali l'imprenditore dell'autotrasporto Vincenzo Ercolano, per associazione mafiosa o concorso esterno nella stessa;
   l'operazione Caronte è il risultato di indagini precedenti, che a loro volta scaturiscono dalla scoperta di un sistema di controllo dell'autotrasporto agro-alimentare che faceva capo al mercato ortofrutticolo di Fondi, cui si aggiungono oggi nuove accuse circa un intreccio d'interessi che coinvolge non solo l'autotrasporto, ma anche il traghettamento tra Sicilia e Calabria e la politica;
   l'articolo 29-bis del decreto-legge n. 133 del 2014, come convertito dalla legge n. 164 del 2014, modifica l'articolo 5 del decreto legislativo 22 dicembre 2000, n. 395, in materia di requisiti di onorabilità dei titolari delle imprese di autotrasporto, escludendo la sussistenza del predetto requisito in capo a chi «sia stata oggetto di un'informativa antimafia interdittiva ai sensi dell'articolo 91 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e successive modificazione»;
   il 29 ottobre 2014 il Governo ha accolto l'ordine del giorno 9/02629-AR/005, con il quale si è impegnato il Governo medesimo a «valutare, nel rispetto della normativa vigente, l'opportunità di prevedere, fra le modalità attraverso le quali i soggetti operanti nell'autotrasporto possono dimostrare il requisito di cui sopra, quella dell'iscrizione degli stessi nelle cosiddetta white list delle Prefetture, previste dall'articolo 1, commi da 52 a 57, del decreto legislativo n. 190 del 2012, e dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di attuazione del 18 aprile 2013 (pubblicato sulla GURI – Serie Generale n. 164 del 15 luglio 2013)» –:
   di quali notizie disponga il Governo in ordine alla penetrazione del fenomeno mafioso nel settore dell'autotrasporto;
   quali iniziative il Governo intenda adottare per permettere una rapida condivisione di dati tra le strutture dipendenti dal Ministero dell'interno e l'albo degli autotrasportatori. (4-07000)


   MAIETTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 novembre 2014 è stato pubblicato sul giornale on line Corriere di Latina.it, un articolo dal titolo «L'intervista al Questore De Matteis – Latina e gli affari criminali: “Ma quale camorra, il core business è il cambio di destinazione d'uso”;
   l'intervista, che spazia tra diversi argomenti che riguardano anche inchieste in corso, affronta, come primo argomento, lo stadio comunale di Latina “Francioni”, rispetto al quale il Questore afferma “qui ho trovato tanta di quella sciatteria che non immaginate, è questo che mi ha spinto a chiedere di spostare il derby”. Sciatteria ? “Sì, certo...”»;
   l'espressione utilizzata, che non appare certo riconducibile nell'alveo di un linguaggio che si addice ad un uomo delle istituzioni, sembra rendere evidenza a quello che appare come un aprioristico atteggiamento di contrarietà del questore nei confronti del comune di Latina;
   emerge dall'intervista una ricostruzione a giudizio dell'interrogante fuorviata laddove si dice che «Per ripristinare le condizioni di sicurezza della tribuna, dopo il sequestro avvenuto in estate, il comune e la società hanno fatto a scaricabarile per tutto il tempo. Il Latina Calcio dovrebbe provvedere alla manutenzione ordinaria, il comune a quella straordinaria. Nessuno ha proceduto e si è arrivati al derby...»;
   in realtà il questore è a conoscenza del fatto che la tribuna ospiti, alla quale si riferisce, è ancora in stato di sequestro, e che la realizzazione di qualsiasi lavoro e/o intervento deve scontare un iter preliminare di verifica e di autorizzazione che non dipende né dal comune, né dalla società calcistica, né da questioni che attengono alla competenza delle parti interessate, ma dall'autorità giudiziaria;
   non vi è mai stato alcun contrasto sulla competenza ad eseguire i lavori essendo lo stadio di proprietà del comune concesso in uso al Latina Calcio in base ad un contratto che ne disciplina i rapporti;
   proseguendo nell'intervista il questore afferma anche che «quello di Latina è l'unico stadio in Italia, tra Serie A e Serie B, che non abbia un settore ospiti. Mica è normale»;
   in realtà lo stadio di Latina ha un settore ospiti con una ricettività di 1500 posti, adeguato alle esigenze di un campionato di serie B;
   si tratta, infatti, dello stadio di una città che ha i requisiti per disputare un campionato di serie B, ma si è trovata improvvisamente proiettata nella serie A, ed è conforme alla normativa della Lega Calcio, come dalla stessa riscontrato con il rilascio delle licenze nazionali di cui al C.U – F.I.G.C. n. 143 del 6 maggio 2014; anche la commissione provinciale della vigilanza della prefettura di Latina ha certificato la sussistenza di condizioni di agibilità dello stadio con verbale di sopralluogo del 20 settembre 2014;
   più avanti nell'intervista si leggono affermazioni che secondo l'interrogante non possono ritenersi accettabili da un rappresentante delle istituzioni perché veicola un tipo di informazione non veritiera: «Non si stanno muovendo, nessuno si sta muovendo...»;
   il comune di Latina, all'indomani del sequestro della tribuna da parte dell'autorità giudiziaria, ha realizzato d'intesa con la società Latina Calcio un settore ospiti alternativo alla curva sequestrata per 570 posti a sedere;
   inoltre, d'intesa con l'autorità giudiziaria sono stati richiesti ed ottenuti accessi ai luoghi per eseguire carotaggi sul strutture di fondazione e prove di resistenza delle strutture metalliche delle tribune in sequestro al fine di rendere agibile tale settore;
   afferma il questore «Il problema finirà nuovamente sulle spalle delle forze dell'ordine con i problemi di ordine pubblico che si rinnoveranno tutte le volte che arriverà una tifoseria calda»;
   quello che viene indicato come il problema che preoccupa il questore in realtà sembra all'interrogante un falso problema dal momento che l'attuale disponibilità di posti per gli ospiti è di appena 570 pari a circa un terzo di quelli complessivamente disponibili nelle tribune in sequestro;
   è opportuno rilevare che la gestione dell'ordine pubblico durante eventi calcistici in una realtà che vede tale capacità ricettiva, significativamente ridotta, non può certo costituire rilevante fonte di preoccupazione rispetto alla gestione di incontri che vedono esponenzialmente aumentare il numero degli spettatori, con una tifoseria che non può certo qualificarsi «tranquilla»;
   le successive dichiarazioni del questore sull'urbanistica ad avviso dell'interrogante sono sorprendenti quanto ai contenuti e ai fatti richiamati, che apparentemente non hanno alcun collegamento con la città di Latina e presentano degli elementi di generalizzazione che sembrano finalizzati a confondere i luoghi e riportarli nella realtà di Latina che, per quanto la memoria conforti, nell'ultimo decennio non è stata mai interessata da fatti giudiziari eclatanti o significativi che hanno riguardato l'urbanistica;
   il questore afferma: «Mi creda, qui le cose peggiori non le ha fatte la camorra. Il vero core business a Latina è il cambio di destinazione d'uso. In questa città bisogna fare un lavoro serio di indagine, investire risorse per capire cosa è successo in questi anni. Quindi niente droga, niente omicidi, niente estorsioni: solo colletti bianchi. I fatti degli ultimi anni lo stanno a testimoniare... Mi raccontano dei villini sequestrati a Sabaudia, la storia dell'hotel di un signore che faceva l'amministratore pubblico, terreni agricoli che miracolosamente diventano edificabili. Veramente, è una cosa che non capisco...»;
   il questore riferendosi con queste dichiarazioni al comune capoluogo, richiama fatti che riguardano il comune di Sabaudia («villini sequestrati a Sabaudia» leggi «Villaggio del Parco» inchiesta risalente al 2002) ed il comune di Sperlonga («storia dell'hotel di un signore che faceva l'amministratore pubblico» inchiesta risalente al 2005) e non si comprende quale sia il nesso logico tra le datate inchieste citate ed il comune di Latina;
   afferma il questore: «Nell'opinione pubblica rimane una straordinaria attenzione verso reati tipici del casertano e tutto il resto viene accettato passivamente come fosse dovuto. Penso all'urbanistica, certo. Qualche tempo fa mi hanno mostrato le immagini sovrapposte di Latina e di Aprilia, di quindici anni fa e di come sono oggi. Ci sono milioni, dico milioni di metri cubi di cemento in più»;
   anche in questo caso non si comprende come la comparazione di immagini di luoghi a distanza di quindici anni possa costituire elemento di valutazione di presunti illeciti laddove non si individuano fattispecie concrete (che a dire del questore sarebbero sfuggite al controllo di regolarità da parte degli organi preposti) e non si valutino nell'ambito dello sviluppo urbanistico di due comuni rispetto alle previsioni degli strumenti di pianificazione generale;
   in conclusione dell'intervista, infine, il questore dichiara «Mi creda, il vero volto di questa provincia è facile da individuare ma difficile da accettare», formulando esplicitamente quello che all'interrogante appare un giudizio negativo sulla zona nella quale è chiamato ad operare;
   le dichiarazioni rese alla stampa dal questore di Latina non risultano accettabili in relazione al ruolo istituzionale ricoperto –:
   se sia informato dei fatti di cui in premessa e quali siano i suoi orientamenti in merito. (4-07001)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   VILLAROSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della prima alluvione che colpì Barcellona Pozzo di Gotto nel 2008, dopo un'esondazione del canale di scolo delle acque piovane sito in contrada Zigari, il plesso scolastico «Destra Longano» venne giudicato inagibile e abbandonato. La successiva alluvione nel novembre 2011 ha aggravato ulteriormente situazione;
   il comma 8-quater dell'articolo 18 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, così come modificato dalla legge di conversione 9 agosto 2013, n. 98, che prevede: «l'assegnazione agli enti locali è effettuata con decreto del Ministro dell'Istruzione, della Università e della Ricerca entro il 30 ottobre 2013 sulla base delle graduatorie presentate dalle regioni entro il 15 ottobre 2013. A tal fine, gli enti locali presentano alle regioni entro il 15 settembre 2013 progetti esecutivi immediatamente cantierabili di messa in sicurezza, ristrutturazione e manutenzione straordinaria degli edifici scolastici»;
   la tabella 1, allegata al citato decreto-legge n. 69 del 2013, ripartisce a livello regionale l'importo complessivo di 150 milioni di euro, ai fini della successiva assegnazione agli enti locali aventi titolo sulla base delle graduatorie presentate dalle regioni competenti;
   tali risorse sono finalizzate ad attuare misure urgenti in materia di riqualificazione e di messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali, con particolare riferimento a quelle in cui è stata censita la presenza di amianto, nonché di garantire il regolare svolgimento del servizio scolastico;
   sulla base dell'allegato 1 al decreto n. 69 del 2013 convertito dalla legge n. 98 del 2013, la regione Sicilia risulta assegnataria di un finanziamento di euro 16.000.000 per l'anno 2014;
   con il decreto dell'assessore regionale all'istruzione e alla formazione professionale n. 31/GAB del 4 settembre 2013, pubblicato sulla GURS n. 41 del 6 settembre 2013, è stata data attuazione ai commi 8-ter e 8-quater dell'articolo 18 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, così come convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, stabilendo le modalità di presentazione delle istanze e i criteri di valutazione delle stesse, al fine della predisposizione della graduatoria;
   il comune di Barcellona Pozzo di Gotto a seguito del comma su citato ha presentato alla regione Sicilia un progetto di ristrutturazione del plesso in questione. Il progetto è stato approvato dalla regione con DDG 4500 del 15 ottobre 2013 e prevede un finanziamento di 666.147,82 euro;
   con delibera di giunta n. 23 del 10 febbraio 2014, il comune di Barcellona Pozzo di Gotto ha approvato il progetto esecutivo;
   con determina dirigenziale del 14 maggio 2014, il comune di Barcellona Pozzo di Gotto ha affidato i lavori alla ditta aggiudicatrice dell'appalto la Tirrenia Appalti sas;
   il giornale messinese Gazzetta del Sud, giorno 21 novembre 2014 pubblica un articolo, a firma di Leonardo Orlando, dal quale si può apprendere la notizia che la ristrutturazione della scuola Destra Longano di Barcellona Pozzo di Gotto è bloccata, in quanto ancora non sono arrivati dal Ministero, i fondi previsti per il progetto. Sempre nello stesso articolo si apprende anche la notizia che l'affidamento dei lavori doveva avvenire entro il 28 febbraio 2014, quindi due mesi e mezzo prima dell'effettivo affidamento –:
   se il ritardo sull'affidamento dei lavori, così come riportato dall'articolo della Gazzetta del Sud, possa essere motivo valido per l'annullamento del finanziamento, nell'eventualità che quanto riportato dalla Gazzetta del Sud dovesse corrispondere a verità;
   se intenda comunicare il motivo per il quale non sono ancora stati accreditati i fondi, relativi al finanziamento per la ristrutturazione del plesso «Destra Longano» di Barcellona Pozzo di Gotto, necessari per pagare il primo stato di avanzamento dei lavori che sono stati infatti tempestivamente bloccati. (4-06994)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   gli enti vigilati dal Ministero delle politiche agricole e forestali sono l'Agea, Agenzia per le erogazioni in agricoltura, CRA – Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, EIPLI – Ente per lo sviluppo dell'irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia, Lucania ed Irpinia, Ente nazionale risi, INEA – istituto nazionale di economia agraria, ISMEA – istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare;
   in data 7 aprile 2013 sul quotidiano web Il Foglietto con articolo a firma di Flavia Scotto dal titolo «Al Cra nuovo direttore generale non cercasi» si descriveva come «Dall'11 dicembre scorso, il Consiglio nazionale per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (Cra) è senza direttore generale. Lo scandalo scoppiato al Ministero delle politiche agricole, che aveva determinato l'emissione di numerosi ordini di custodia cautelare, aveva investito anche il Cra, privandolo della figura del direttore generale, Giuseppe Ambrosio, per la sua attività svolta al Mipaaf prima di approdare in via Nazionale. Chi si aspettava che dopo l'inattesa uscita di scena di Ambrosio, l'ente presieduto da Giuseppe Alonzo provvedesse rapidamente ad avviare la procedura per la nomina di un nuovo direttore generale è rimasto deluso. Il consiglio di amministrazione, infatti, anziché provvedere alla emanazione di un bando pubblico, ha optato per la scelta di un facente funzioni, individuato ancora una volta (era già successo dopo il pensionamento di Giovanni Lo Piparo) in Ida Marandola. Solo che, a distanza di più di quattro mesi, non sembra esserci traccia né di un bando pubblico, né di un provvedimento formale da parte del cda per l'emanazione dello stesso. Eppure, lo statuto del Cra non sembra ammettere deroghe laddove all'articolo 13 statuisce che “Il Direttore generale è nominato dal Presidente, su conforme parere del Consiglio di amministrazione, tra esperti di elevata qualificazione professionale che, oltre ad aver conseguito esperienza nell'ambito della ricerca, abbiano maturato esperienza professionale nel campo del management di strutture complesse”. Ma di tale norma tutti sembrano essersene dimenticati, in un momento in cui l'ente – che si appresta a gestire la delicata fase della incorporazione dell'Inran – necessità di vertici nella pienezza dei poteri»;
   in data 23 aprile 2013, il quotidiano Il Foglietto con un'articolo a firma di Flavia Scotto dal titolo «Il Cra prima evoca il dissesto finanziario, poi ci ripensa» si descriveva come: «Lo scorso 8 gennaio Il Foglietto aveva raccontato la storia di un dipendente del Cra di Acireale, Angelo Pirillo, ora in pensione, al quale, il 1o settembre 2008, l'ente di ricerca, all'epoca presieduto da Romualdo Coviello e diretto da Giovanni Lo Piparo, in sede di inquadramento per tabella di equiparazione, aveva attribuito il profilo professionale di collaboratore di amministrazione di livello VI, a far data dal 31 dicembre 2005. A distanza di più di due mesi, e precisamente il 25 novembre 2008, la dirigenza del Cra ci ripensava e comunicava al dipendente di aver rettificato l'inquadramento precedentemente disposto e di avergli attribuito il profilo di “operatore di amministrazione” di VII livello, in quanto non in possesso del diploma di istruzione secondaria di II grado. Ritenendo illegittimo l'operato dell'ente, il dipendente si rivolgeva, con l'assistenza dei legali dell'Usi, al giudice del lavoro di Catania che, con sentenza n. 4076/2012, accertava il diritto dello stesso Pirillo di essere inquadrato nel profilo di collaboratore di amministrazione e, al contempo, condannava il Cra al pagamento delle spese processuali. A stretto giro, il Cra, ora presieduto da Giuseppe Alonzo e diretto come facente funzioni da Ida Marandola, impugnava la sentenza innanzi alla corte d'appello di Catania, chiedendo al contempo la sospensione degli effetti della medesima sentenza, sospensione che, come noto, per essere accolta richiede due requisiti: sia la sussistenza del fumus boni iuris che del danno grave e irreparabile, che deriverebbe dalla esecuzione della decisione del Tribunale. Per dimostrare tale ultimo requisito, il Cra affermava nel ricorso che, se avesse disposto l'inquadramento del Pirillo dal VII al VI livello, le casse dell'ente avrebbero subito un pregiudizio irreversibile “sotto il profilo degli ingenti oneri economici”. In pratica, il Cra, per colpa di Pirillo, avrebbe subito un tracollo finanziario. La reazione dei legali dell'ex dipendente non si faceva attendere e sfociava in una memoria depositata in corte di appello nella quale si evidenziava che il costo per l'inquadramento del Pirillo nel livello superiore difficilmente avrebbe superato qualche migliaio di euro, esborso che in alcun modo avrebbe potuto minare la solidità finanziaria di un ente che, bilancio di previsione alla mano, dovrebbe chiudere l'esercizio 2013 con un avanzo di amministrazione di oltre 82 milioni di euro. Resosi forse conto di aver esagerato, il Cra, all'udienza del 16 aprile 2014, comunicava alla Corte la decisione di rinunciare alla richiesta di sospensiva. Ora i dipendenti del Cra possono stare tranquilli, il loro stipendio è salvo, l'inquadramento di Angelo Pirillo nel VI livello non arrecherà più alcun danno grave e irreparabile alle floride finanze dell'ente di via Nazionale»;
   in data 22 maggio 2013 il settimanale l'Espresso con un articolo a firma di Domenico Lusi pubblicava il seguente articolo «Alemanno, l'ultima mangiatoia» in cui si descriveva come: «Chi controlla chi ? A vigilare sull'operato dell'Inea dovrebbe essere un Organismo di valutazione indipendente (Oiv) composto da tre membri. Anche qui la fondazione Nuova Italia è ben rappresentata. Dal 2009 due dei componenti dell'organo di controllo sono diretta espressione alemanniana. Fabrizio Pescatori è nel collegio dei revisori di Nuova Italia, mentre Ida Marandola è responsabile per la Pubblica amministrazione della fondazione. Marandola, che è la moglie di Francesco Biava, ex capo della segreteria di Alemanno quando era alle Politiche agricole ed ex parlamentare del Pdl, riveste anche un altro incarico nel principale ente di ricerca vigilato dal ministero, il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (Cra), dove è direttore generale facente funzioni e responsabile della Direzione affari giuridici»;
   in data 11 febbraio 2014 il quotidiano Il Foglietto con un articolo a firma di Flavia Scotto dal titolo «Depositate le motivazioni della condanna di Ambrosio, ex capo dipartimento del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ed ex direttore generale del Cra». Con sentenza n. 16365/2013, depositata lo scorso 14 gennaio, il Tribunale penale di Roma – sezione VIII (pres. Liotta, est. Squicciarini), ha motivato la condanna, in primo grado, dell'ex capo dipartimento del Mipaaf ed ex direttore generale del Cra, Giuseppe Ambrosio, alla pena di 3 anni e 6 mesi nonché alla pena accessoria dell'estinzione del rapporto di pubblico impiego, al pagamento delle spese processuali e al risarcimento a favore delle parti civili. Il processo, conclusosi il 9 ottobre 2013 con la lettura del dispositivo, ha visto sul banco degli imputati, oltre ad Ambrosio, all'epoca dei fatti capo dipartimento generale del ministero delle politiche agricole, altri dirigenti dello stesso dicastero, tra i quali anche la moglie dello stesso Ambrosio, Stefania Ricciardi, per la quale sono maturati i termini massimi di prescrizione del reato ascrittole. Non proprio incidenter tantum, visto che vi dedica ben 5 pagine (da 17 a 21), la sentenza tratta anche di un concorso bandito dal Cra nel 2005, quando però l'ente non era diretto da Giuseppe Ambrosio ma da Ida Marandola, «cui tuttavia non è stata elevata contestazione alcuna»;
   in data 9 settembre, 2014 sul sito del Notiziario settimanale on line dell'Usi-Ricerca, con un articolo a firma di Flavia Scotti dal titolo: «La Corte dei conti certifica il grave stato di salute dell'Inea» si descriveva come: «In attesa delle decisioni del governo sul futuro degli enti vigilati dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (Cra, Inea, Ismea, Agea, Isa, Sgfa srl, Isi srl, Sin e Agecontrol), che sembrano destinati a dar vita, a seguito di fusione, a un nuovo soggetto pubblico, da registrare la recente pubblicazione da parte della Corte dei conti della Relazione sulla gestione 2012 di uno di questi enti, l'Inea (Istituto nazionale di economia agraria), che ha la sede centrale a Roma ed è presente sul territorio nazionale con 19 uffici regionali. Il documento della magistratura contabile (per un totale di 40 pagine), più che una relazione si appalesa un vero e proprio atto di accusa nei confronti di un ente che viene addirittura definito «struttura sovradimensionata e rigida senza le caratteristiche di essenzialità e di flessibilità che dovrebbero connotare un istituto di ricerca» [...] È da evidenziare – scrivono i giudici – il cospicuo indebitamento nei confronti delle banche pari a euro 5.732.380 e l'azzeramento delle disponibilità liquide (euro 3.569.377 nel 2011) [...] Come per tutti gli enti di ricerca – prosegue la Corte – la specificità dell'attività svolta e la complessità della rendicontazione che caratterizzano le attività di ricerca possono, in qualche misura, comportare la formazione di residui attivi, la quale a sua volta determina problemi di liquidità e ritardi nei pagamenti dei fornitori rendendo necessario il ricorso alle anticipazioni bancarie per riuscire a chiudere i progetti e a rendicontarli»;
   in data 7 aprile 2014 sul quotidiano web Il Foglietto con un articolo a firma di Franco Mostacci, dal titolo «L'Organismo di valutazione, un lusso da 500 mila euro per gli enti di ricerca» si descriveva come «L'organismo indipendente di valutazione della performance (Oiv) è stato istituito con il decreto legislativo n. 150 del 2009, la ben nota riforma Brunetta della pubblica amministrazione. I membri dell'Oiv sono nominati per tre anni, rinnovabili una sola volta, dagli organi di vertice di ogni ente, acquisito il parere – non vincolante – dell'Autorità nazionale anticorruzione (Anac). Il nuovo organismo, che svolge un ruolo fondamentale per la valutazione dei dirigenti e delle strutture e per l'assolvimento degli obblighi di trasparenza e integrità, è costituito in forma monocratica o collegiale, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Date le premesse, ha destato non poco sconcerto, visitando il 4 aprile scorso la pagina “Amministrazione trasparente”, scoprire che gli enti pubblici di ricerca spendono complessivamente più di 500 mila euro l'anno per i compensi corrisposti ai componenti dell'Oiv. Gli importi non appaiono neanche adeguati alle dimensioni e alla complessità organizzativa dell'amministrazione stessa, visto che a spendere più di tutti è l'Inea con 157 mila euro, seguita dall'Istat con 60 mila euro, dal Cnr con 46 mila euro, dall'Isfol con 45 mila euro e dal Cra con 39 mila. [...] Su tutti spicca Ida Marandola, dirigente generale, facente funzioni di direttore generale del Cra (185 mila euro), ma anche membro dell'Oiv all'Inea, con un compenso di 45 mila euro l'anno»;
   in data 21 settembre 2014 il quotidiano la Repubblica un articolo a firma di Corrado Zunino dal titolo: «La casta della ricerca agricola, che stipendi» si descriveva come: «La castarella, nascosta, si aumenta le prebende alla faccia della spending review nazionale. Anche la castarella nascosta, in arretramento quantitativo in verità rispetto alle burocrazie fameliche delle stagioni passate, dovrebbe fare risparmio collettivo, ma riesce a girare le richieste di spending del Governo in aumenti di stipendio. Ecco il Cra, il più grande ente italiano di studio nell'agricoltura. [...] Il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura il 18 marzo 2013 ha inglobato l'Inran, ente controllore dell'alimentazione, soppresso dal Governo Monti per risparmi necessari a salvare il Paese. Il Cra non ha fatto altro che aprire una nuova branca, chiamarla Cra Nut (sta per nutrizione), affidargli una direttrice, Elena Orban, già dirigente di ricerca nella vecchia struttura e iniziare a lamentarsi con il Ministero dell'agricoltura, il controllore. Già, il presidente Giuseppe Alonzo a «Il Fatto alimentare» a operazione realizzata disse: «L'Inran ci è stato attribuito per legge, il Cra ha assorbito l'intero gruppo dei ricercatori e i precari che lavorano nell'istituto da lungo tempo. Il bilancio in rosso dell'istituto, però, presentava grosse lacune ed è necessario che il Ministero delle politiche agricole adegui il fondo destinato a noi per poter fare fronte al nuovo organico e garantire le ricerche in corso». In attesa che il ministero adeguasse il fondo, Alonzo si è adeguato lo stipendio. Già. L'Anpri, associazione che racchiude ricercatori scientifici e tecnologici, sindacato combattivo, nel frattempo ha segnalato che «l'intero gruppo dei ricercatori e i precari dell'ex Inran» non è stato assorbito sul serio. Il sindacato ha denunciato: «L'amministrazione del Cra continua a sostenere che non ci sono soldi per l'applicazione dello scorrimento delle graduatorie e per l'assunzione dei precari storici, ma i soldi per la dirigenza si è scoperto che ci sono». Il Consiglio di amministrazione del Cra con la delibera 10 del 2014 aveva infatti disposto un aumento del compenso spettante ai suoi quattro membri. Il presidente Alonzo, dopo neppure due stagioni di lavoro, era salito a 206.000 euro l'anno (la delibera non specifica partendo da quale quota). Lo stipendio dei tre consiglieri è stato «rideterminato» a 44.000 euro l'anno: sono Rita Clementi, vicepresidente, Francesco Adornato e Salvatore Tudisca. L'aumentino, perché Alonzo ha una sua generosità, è toccato anche al presidente del Collegio dei revisori dei conti (39.000 euro per lui, ora) e ai quattro componenti (32.000 euro a testa). Per tutti sono rimasti, ça va san dire, i gettoni di presenza. È interessante notare come le altre novanta delibere Cra dell'anno 2014 abbiano un titolo, il provvedimento dell'autoaumento «no». L'hanno gettato nel calderone dei «visto, considerato, si delibera» con il cifrato riferimento «Articolo 4, comma 6, decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 454». [...] Non è finita. Cinque delibere dopo è arrivato anche l'aumento per il direttore generale del Consiglio per la ricerca in agricoltura. Ida Mirandola da due anni e tre mesi – dai tempi dell'arresto del predecessore Giuseppe Ambrosio per corruzione – era una facente funzioni, e lo scorso marzo il cda le ha riconosciuto lo stipendio pieno: 277.000 euro complessivi, 97.0000 euro in più della precedente busta paga. Se gli aumenti del cda erano giustificati dai nuovi carichi di lavoro dovuti all'arrivo del personale dell'ex Inran, per il direttore generale non c’è stato bisogno di giustificare nulla: aumentone, pronta cassa. Quattro mesi dopo Alonzo e il suo cda si sono accorti che quella cifra violava i tetti massimi degli stipendi pubblici fissati dal governo Renzi – 240.000 euro – e frettolosamente lo hanno riportato «secundum legem»: 239.957,03 euro. In data 15 ottobre 2014, il quotidiano web Girodivite con un articolo a firma di Adriano Todaro si descriveva come «La direttora generale, che di nome fa Ida Marandola, invece, ha deciso di dare il buon esempio di contenimento della spesa, [...] e invece di 240 mila euro (il tetto previsto), ha tagliato mica male ed ora avrà una retribuzione lorda non di 240 mila euro ma bensì di 239.957,03 centesimi. [...] perderà 42 euro e 97 centesimi (lordi) all'anno [...] Sono ben 3 euro e 30 centesimi al mese in meno» –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti narrati e quali azioni intendano intraprendere, anche alla luce della relazione della Corte dei conti, che presenta una situazione di bilancio in rosso, generalizzata per tutti gli enti vigilati del Ministero delle politiche agricole e forestali;
   se non reputino anche alla luce di politiche volte alla spending review ed alla riorganizzazione di tali enti, opportuno vigilare anche sui ruoli ricoperti e sulle nomine in seno agli stessi, e se non siano necessari tutti gli opportuni controlli sugli enti vigilati dal Ministero delle politiche agricole e forestali, al fine di far cessare gli sprechi;
   se non reputino opportuno verificare, in merito alla vicenda della dottoressa Ida Marandola, se sussistano i presupposti per assumere provvedimenti a carico della stessa in conseguenza di quanto esposto in premessa con riferimento agli incarichi ricoperti, anche alla luce della sentenza che il tribunale di Roma – sezione VIII penale, ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo alla pubblica udienza in data 9 ottobre 2013, e gli atti dello svolgimento del processo, dove è stato condannato il signor Giuseppe Ambrosio e dove è descritto come, pur in assenza di condanne o provvedimenti a suo carico, la Marandola, sia stata coinvolta nell'agevolare l'assegnazione di ruoli all'interno del CRA;
   se non ritengano opportuno escludere nella maniera più assoluta la nomina di persone quali Ida Marandola e persone che hanno agito con comportamenti analoghi nell'organigramma del nuovo ente che va configurandosi dalla fusione di Inea e Cra. (5-04116)


   CANI e MARROCU. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione internazionale Iccat, riunitasi il 17 novembre 2014 a Genova, ha preso in considerazione la possibilità di un aumento del 20 per cento per il 2015 delle quote di tonno rosso pescabile in quanto il controllo scientifico in atto per il monitoraggio dello stock di tonno ne ha rilevato un leggero aumento presumibilmente dovuto ad un corrispondente aumento della temperatura del mare, avvenuta in questi anni a causa dei cambiamenti climatici;
   per quanto riguarda l'Italia si passerà dalle attuali 1.950 tonnellate alle oltre 2.300 tonnellate nel 2015;
   tenendo conto della realtà odierna, oltre alle previste misure contro la pesca illegale non dichiarata e non regolamentata, bisognerebbe considerare un riequilibrio di assegnazione delle quote di pesca in base alle tecniche adottate. Sino ad oggi il Governo italiano ha assegnato la ripartizione delle quote mediante il decreto del 13 maggio 2014 assegnando ben il 75 per cento alla pesca a circuizione (così dette tonnare volanti), il 13,5 per cento ai palangari, solo l'8 per cento alle tonnare fisse e oltre il 10 per cento alla pesca sportiva ed indiviso;
   appare necessario un riequilibrio della ripartizione delle suddette quote prevedendo una ripartizione che assegni il 30 per cento delle quote alle tonnare fisse, un 30 per cento alla pesca con i palangari, un 30 per cento per la circuizione e il 10 per cento per la pesca sportiva e indiviso. Questa nuova ripartizione contribuirebbe non poco a salvaguardare la specie e aumentarne così la popolazione, in quanto le tonnare fisse rappresentano la pesca ecologicamente più sostenibile e con forti tradizioni locali come nel caso di quelle di Portoscuso e Carloforte;
   un ulteriore aspetto da valutare è quello relativo all'aumento del peso della taglia del pescato attualmente stabilito in 30 chilogrammi ossia quando il tonno è all'inizio della sua maturità sessuale e della fase riproduttiva; è quindi necessario prevedere un parametro diverso per dare il giusto tempo al tonno di riprodursi naturalmente. In pratica, la piccola taglia del pescato determina il fatto che oltre il 90 per cento viene portato nelle gabbie ad ingrasso per soddisfare la richiesta del mercato che richiede taglie ben superiori –:
   se il Ministro interrogato intenda intervenire per riequilibrare la ripartizione delle quote prevedendone l'assegnazione del 30 per cento a ciascuna delle tipologie di pesca quali tonnare fisse, pesca con i palangari e circuizione ed il rimanente 10 per cento per la pesca sportiva e «indiviso»;
   se si intenda aumentare il peso della taglia minima del pescato oggi fissato in 30 chilogrammi. (5-04117)

Interrogazione a risposta scritta:


   PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'Ente parco nazionale della Sila ha predisposto in questi giorni un piano che prevede un taglio boschivo di pini laricio secolari e faggi proprio all'interno del parco, in località Macchia dell'Orso, tra i comuni di Mesoraca, Zagarise e Taverna, in piena riserva naturale dello Stato e zona 1 del parco nazionale in contrasto con la norma riguardante il parco, che stabilisce che, nella zona 1 «l'ambiente è conservato nella sua integrità e lasciato alla sua spontanea evoluzione...»;
   si tratta di un ormai rarissimo esempio di bosco secolare di pino laricio, in cui vivono il lupo, il gatto selvatico, il picchio nero, che nell'Italia meridionale è molto scarso e localizzato;
   questa consociazione vegetale tra un piano superiore di pini secolari e uno inferiore costituito da una densa formazione di faggi, costituisce un complesso di grande valore sul piano paesaggistico senza considerare che quegli stessi faggi aumentano la fertilità del terreno e contrastano efficacemente l'erosione del suolo;
   il bosco si trova a circa 1.500 metri sul livello del mare e quindi è facilmente suscettibile di danni da neve che chiaramente, una volta che la sua struttura venisse alterata da un taglio, diventerebbero assai più probabili e devastanti;
   l'area in questione è inserita nella rete di Natura 2000, in quanto zona di protezione speciale (ZPS) ai sensi della direttiva comunitaria 79/409/CEE sulla protezione degli uccelli selvatici, nonché sito di interesse comunitario ai sensi della direttiva habitat 92/43/CEE sulla protezione degli habitat naturali, cui è stata data attuazione dal decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 e successive modificazioni e integrazioni. Interventi contrastanti con tale regime di tutela potrebbero dar luogo da parte dell'Unione europea all'avvio di procedure di infrazione nei confronti dell'Italia. Si ricorda anche che la direzione generale ambiente della Unione europea, ha avviato una procedura EU-Pilot su tutte le regioni italiane, Calabria inclusa, sull'errata procedura di valutazione di incidenza e mancato raggiungimento degli obiettivi di conservazione nei siti Natura 2000;
   i presidenti di Italia Nostra, Marco Parini, dell'associazione ALTURA, Stefano Allavena, e dell'associazione Mediterranea per la Natura, Deborah Ricciardi, hanno inviato una lettera alle autorità competenti — tra cui il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare — direzione generale per la protezione della natura – in cui chiedono che «l'Ente Parco revochi il progetto e che il Corpo Forestale dello Stato, proprietario della Riserva Naturale, si opponga fermamente, stante il palese contrasto sia delle norme di tutela della Riserva dello Stato che delle direttive comunitarie, in considerazione del fatto che verrebbero meno gli obiettivi di conservazione dei siti Natura 2000»;
   l'Ente ha dato avvio al piano di taglio delle piante ed è paradossale che a proporre questo scempio sia proprio l'Ente parco nazionale, costituito per legge per assicurare l'integrità del territorio protetto e non per aggredirlo insensatamente;
   anche se il taglio venisse limitato alle piante di faggio, sottostanti ai pini adulti, nonché ai pini danneggiati, l'impatto sarebbe molto grave ed intollerabile in un'area protetta nella quale, come dice la legge, l'ambiente deve essere conservato nella sua integrità e lasciato alla sua spontanea evoluzione. Le piante danneggiate o morte costituiscono poi un ambiente di vita essenziale per diverse specie di animali e in particolare di uccelli per i quali costituiscono la risorsa alimentare, come il picchio nero, tra l'altro particolarmente protetto a livello nazionale e comunitario. Inoltre lo strato inferiore di faggi, che verrebbe completamente eliminato dal taglio, costituisce un importante elemento di biodiversità, poiché molte specie di animali, in particolare uccelli ed insetti, trovano rifugio e condizioni idonee di vita e di riproduzione negli strati inferiori della vegetazione. Tra questi, la rosalia alpina, coleottero protetto a livello comunitario, che si nutre solo ed esclusivamente di faggi marcescenti;
   l'interrogante ha presentato due atti di sindacato ispettivo n. 4-03942 e n. 4-06804, per giunta senza risposta, su vicende analoghe a denuncia dell'abbattimento incontrollato a cui si sta assistendo in Calabria in spregio alle normative nazionali e comunitarie –:
   se non si ritenga opportuno intervenire urgentemente al fine di salvaguardare gli alberi secolari del parco nazionale della Sila e, al contempo, evitare che l'inosservanza delle norme comunitarie possa comportare l'avvio di una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia con conseguente danno erariale;
   se la vicenda dell'abbattimento degli alberi esposta nelle premesse possa rientrare tra i casi motivati e improcrastinabili di cui all'articolo 7 della legge nazionale dell'ottobre 2013 e, nel caso contrario, quali iniziative di competenza intendano assumere al riguardo. (4-06995)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BARONI, LOREFICE, GRILLO, SILVIA GIORDANO, DI VITA, DALL'OSSO, MANTERO e CECCONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la tutela della salute è un diritto fondamentale dell'individuo e rappresenta un interesse della collettività, come sancito dall'articolo 32 della Costituzione Italiana;
   negli scaffali delle profumerie, delle farmacie, dei supermercati ci sono molti prodotti che riguardano l'igiene del corpo e assimilabili, questi prodotti, spesso lanciati dal marketing pubblicitario, nascondono degli additivi che non sono chiaramente leggibili sulle etichette, e che presumibilmente, in molti casi non sono adeguati al corpo di ogni persona, compromettendo il diritto alla salute sancito dall'articolo 32 della Costituzione;
   in merito, un articolo del Fatto Quotidiano ha indagato sull'impatto allergico a livello dermatologico; nell'articolo viene indicata la crescita delle allergie da contatto, dove emerge che in soli due anni le allergie sono aumentate del 19 per cento, per colpa dei conservanti che si possono trovare negli shampoo, nelle creme idratanti, nei deodoranti anti-perspiranti, nei gel da barba, nei lubrificanti per la persona, nei farmaci topici (da applicare sulla cute), nelle creme solari, nei prodotti per l'igiene dei bambini e nel dentifricio, e addirittura, altre volte vengono anche impiegati come additivi nei cibi e nei detersivi;
   uno dei principali conservanti presenti nei prodotti sopra citati utilizzati nella vita quotidiana di molti cittadini italiani denominati parabeni appartiene ad un gruppo di elementi chimici usati in molti cosmetici e farmaci in qualità di conservante. Questo composto e i suoi sali sono impiegati principalmente per le proprietà battericide e funghicide. I sei principali parabeni che si possono trovare nelle formulazioni in commercio sono methylparaben, ethylparaben, propylparaben, isobutylparaben, butylparaben, e benzylparaben. La loro efficacia come conservanti, combinata al loro basso costo, probabilmente spiega come mai siano così spesso usati. Tuttavia, l'utilizzo dei parabeni è diventato oggetto di controversia e alcuni sostengono la necessità di evitarne l'uso quotidiano, perché possono causare gli stati allergici e probabili malattie;
   oltre i parabeni, ci sono molte sostanze che si utilizzano ogni giorno come il cloridrato di alluminio (antiaspirante, deodorante, antitraspirante), alcool denaturato (solvente, lacca, deodoranti, detergenti), metelisotiazolinone (shampoo e balsamo, bagnoschiuma, reazioni allergiche), sles (balsamo per capelli, sapone liquido per le mani antiacaro) lyral (muschio di quercia, assoluta in detergenti, creme e oli) che potrebbero provocare delle allergie cutanee;
   di tale allergie secondo gli esperti della British association of dermatologists in due anni, dal 2010 al 2012, se ne sono registrate il dieci per cento in più. Secondo i dermatologi all'ospedale Bellaria di Bologna i pazienti aumentano per diversi motivi: si usano più prodotti nell'igiene quotidiana, mentre le sostanze negli ultimi tempi sono cambiate in quanto le aziende spesso scelgono ingredienti a basso costo ma irritanti e inoltre test iniziali vengono fatti solo su un piccolo campione e per brevi periodi;
   nonostante si faccia un uso minore di parabeni i sostituti non sono meno dannosi. Fra questi vi è il metilisotiazolinone (Kathon è il nome commerciale) che è estremamente allergizzante come anche il dibromodicianobutano;
   nella etichettatura della maggior parte dei prodotti cosmetici e dei profumi non vengono specificati i conservanti allergenici, tra cui il muschio di quercia assoluta (la base dei profumi da uomo), l'idrocitronella (contenuta in diversi oli essenziali naturali), il geraniolo, l'alcol cinnamico, l'eugeniolo, l'isoeugenolo e il lyral che è una fragranza sintetica; 
   da una intervista sul Fatto Quotidiano di un proprietario di un'azienda produttrice cosmetici per conto di piccoli e grandi marchi si è scoperto che il gel di aloe viene estratto dalla pianta attraverso l'acqua o altri solventi, tipo glicerina, olio di girasole o nocciolo, spacciando i prodotti al cento per cento di pura aloe, ma in realtà non e così. L'80 per cento dell'ingrediente è costituito dal solvente, che nell'etichetta andrebbe sommato alla quantità di acqua o di altro liquido già presente; di conseguenza, quello viene spacciato per essere l'ingrediente principale in realtà non supera mai l'uno per cento. I marchi famosi investono moltissimo nel packaging e il 40 per cento in pubblicità tutto a carico del cliente finale, stimando che il costo di produzione sia di 61 centesimi e il costo per il cittadino di 70/60 euro con una lievitazione di oltre 100 volte;
   secondo il CPNP (Cosmetic Products Notification Portal), regolamento europeo n. 1223/2009, il dossier di ogni cosmetico andrebbe inserito all'interno di un apposito registro valido per tutta l'Europa, ma, da come emerge dall'indagine del Fatto Quotidiano, questi inserimenti non vengono effettuati; inoltre, i produttori dovrebbero rispettare l'articolo 19 del medesimo regolamento in merito all'etichettatura, tenendo conto dell'inventario e della nomenclatura comune nella versione del 2006/257/CE; infine, si devono rispettare le principali novità introdotte dalla direttiva 2003/15/CE, recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 50 del 2005, e occorre tener conto della direttiva europea 2010/63/UE sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici recepita in Italia con la legge del 6 agosto 2013, n. 96 (legge di delegazione europea), direttiva che offre il quadro normativo volto alla graduale soppressione della sperimentazione sugli animali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se il Ministro interrogato intenda porre in essere costanti iniziative di controllo, anche sanzionatorie, nei confronti delle aziende che non rispettino le norme sulle etichettature, attraverso indagini e prelievi a campione dei prodotti in premessa, a garanzia della tutela della salute come diritto fondamentale dell'individuo e rappresentazione di un interesse della collettività, come sancito dall'articolo 32 della Costituzione italiana;
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario, per quanto di competenza, accertarsi che i soggetti preposti al controllo non abbiano contravvenuto agli obblighi disposti dalle leggi in premessa indicate. (5-04119)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAPONE. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende dalla nota diffusa sul sito del Governo, l'incontro svoltosi a Palazzo Chigi il 20 novembre 2014 alla presenza di autorevoli rappresentanti del Governo e di UnionCamere ha definito la traiettoria condivisa della riorganizzazione del sistema camerale;
   a conferma di ciò nelle settimane precedenti, con decreto 23 ottobre 2014, il Ministro dello sviluppo economico ha dato avvio al processo di costituzione della nuova camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Venezia, Rovigo Delta-Lagunare mediante accorpamento tra le camere di commercio di Venezia e Rovigo. Lo stesso si inquadra, sottolinea la nota pubblicata sul sito del Ministero dello sviluppo economico, «nel processo di autoriforma del sistema che coinvolge in attività di razionalizzazione dell'organizzazione e contenimento dei costi già molti altri enti Camerali su iniziativa dell'Unione italiana delle camere di commercio e costituisce nei fatti un'anticipazione di uno degli aspetti del processo di riforma avviato dal Governo con la previsione già operativa di progressiva riduzione del diritto annuale a carico delle imprese e con la proposta di una delega legislativa. La concreta anticipazione del processo di riforma da parte del sistema camerale consente di anticiparne gli effetti positivi ed anche avere indicazioni utili ai fini della definizione e successiva attuazione dello stesso processo di riforma legislativa»;
   seppure tali ultimi eventi significhino recisamente una nuova torsione nella strategia di riforma e riorganizzazione del sistema camerale, pur tuttavia tra i dipendenti delle stesse rimane forte la preoccupazione relativa ai futuri assetti delle camere di commercio e alla salvaguardia delle condizioni occupazionali;
   nello specifico si richiama l'attenzione in questa sede sulla situazione di un gruppo di 128 lavoratrici e lavoratori impiegati presso le camere di commercio I.A.A. di Puglia, Calabria e Basilicata, assunti alle dipendenze del Consorzio servizi avanzati – società consortile a responsabilità limitata – con sede legale a Taranto (in seguito «C.S.A.»), società del sistema camerale a totale partecipazione pubblica, dal momento che nel Consorzio figurano i seguenti enti pubblici: C.C.I.A.A. di Taranto, Bari, Lecce, Potenza, Foggia, Matera, Crotone, Brindisi, Reggio Calabria, Vibo Valentia, Avellino, Rete Camere società consortile e Tecnoservice Camere società consortile;
   innestato sul sistema delle camere di commercio da oltre un ventennio, il C.S.A. è ormai una realtà di rilevanza notevole sia per il numero dei dipendenti occupati sia per l'incidenza delle prestazioni erogate sull'esercizio delle funzioni e sul raggiungimento degli obiettivi delle camere di commercio. Attraverso i suoi dipendenti fornisce servizi essenziali al funzionamento degli enti consorziati e svolge attività strumentali al miglioramento qualitativo dei servizi erogati dalle camere di commercio consorziate, sopperendo all'insufficienza di risorse, anche umane, delle stesse. A buon diritto si può pertanto affermare che il CSA rappresenti una parte perfettamente integrata nel sistema delle camere di commercio e complementare rispetto alla parte prettamente pubblica;
   pur tuttavia le prospettive di riforma del sistema camerale e le iniziative assunte circa il dimezzamento del diritto annuale (tributo versato dalle imprese e sul quale di fatto si basa il sostentamento delle C.C.I.A.A.) hanno incrinato le prospettive della autonomia economico-finanziaria finanziaria delle camere di commercio aprendo un grande interrogativo sulla effettiva possibilità di mantenere e salvaguardare i servizi resi dal C.S.A. attraverso i suoi dipendenti;
   alla luce di tali determinazioni si prefigura uno scenario comunque critico che rischia di travolgere i lavoratori dipendenti del C.S.A. i quali, seppur rappresentando un capitale di professionalità, competenza ed esperienza consolidato negli anni e da sempre ad esclusiva e totale disposizione delle camere di commercio, rischiano forti discriminazioni nei diritti di godimento di garanzie e tutele, anche rispetto agli stessi colleghi dipendenti diretti del sistema camerale –:
   come il Governo intenda scongiurare il dramma occupazionale e l'emergenza sociale che si preannunciano per i dipendenti del CSA e anche per tutti i lavoratori delle società di sistema, in house e/o direttamente partecipate, che orbitano intorno alle realtà camerali. (5-04114)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'editoria televisiva privata locale ha rappresentato storicamente nel nostro Paese una pluralità di voci che hanno, in parte, garantito il pluralismo nell'informazione all'interno dei sistemi organizzativi più complessi e strutturati predisposti dagli operatori del settore, su scala nazionale;
   a tal fine, occorre rilevare come l'emittenza televisiva e radiofonica locale sia interessata da una gravissima crisi economica e finanziaria, dovuta a un insieme di fattori costituiti, tra i principali, oltre che dalla fase recessiva in cui si trova il Paese, anche dalla prevalenza di sistemi di oligopolio della comunicazione, che hanno determinato una riscossione marginale degli introiti pubblicitari per le imprese radiotelevisive locali (soltanto il 20 per cento), nonché dal passaggio al digitale terrestre, che ha causato una serie di difficoltà connesse alla mancata moltiplicazione della concorrenza, piuttosto che promuovere il rilancio del settore;
   nel Mezzogiorno ed in particolare in Sicilia, la crisi economica e di sistema del comparto delle emittenti radio televisive private sta manifestando i suoi effetti negativi sul tessuto socioeconomico isolano, con gravi ripercussioni sui livelli occupazionali e di conseguenza sugli scenari futuri delle imprese per la maggior parte di piccola e media dimensione, le quali, a loro volta, necessitano di essere sostenute, per promuovere adeguatamente i prodotti commerciali locali, in modo da stimolare i consumi e aumentare i fatturati ed il prodotto interno lordo;
   l'emittenza televisiva e radiofonica siciliana, negli ultimi anni, è stata infatti colpita da una significativa riduzione delle misure di sostegno legate all'editoria e dei contributi diretti, a causa anche delle decisioni, in particolare del Governo Monti, di ridurre i trasferimenti all'intero settore, attraverso il sistema delle riduzioni lineari, che hanno colpito indiscriminatamente tutti i destinatari;
   la riduzione delle misure di sostegno è arrivata in un momento di grande difficoltà per le televisioni locali dell'isola; le imprese del settore, per adeguare gli impianti alla tecnologia digitale terrestre, sono state costrette a realizzare cospicui investimenti, nonostante la crisi economica abbia fatto crollare gli introiti derivanti dal mercato pubblicitario;
   il passaggio alla tecnologia digitale terrestre ha determinato infatti rilevanti contrazioni negli ascolti delle televisioni locali, con ulteriori conseguenze negative sulla raccolta pubblicitaria;
   numerose emittenti televisive isolane hanno infatti cessato la propria attività d'informazione e, secondo quanto risulta dagli organi di stampa locali, se ne aggiungeranno prossimamente altre, causando l'inevitabile perdita di posti di lavoro per migliaia di persone, il cui numero si aggiunge a quello già esorbitante di lavoratori senza occupazione in Sicilia;
   l'interrogante evidenzia, a tal fine, che le recenti dichiarazioni di alcuni esponenti del Governo, relative a interventi di riforma nei riguardi dell'emittenza locale, finalizzati a sostenere il settore delle televisioni e delle radio locali, che fra l'altro, rappresentano un valido strumento in grado di stimolare la vendita e il consumo dei prodotti locali, costituiscono un segnale positivo e di notevole interesse; tali iniziative politiche e legislative, ove confermate, necessitano di essere sostenute in maniera bipartisan dalle forze politiche parlamentari;
   a parere dell'interrogante, inoltre, occorre analizzare in maniera più approfondita la crisi del sistema televisivo e radiofonico a livello locale ed in particolare quella che coinvolge la regione siciliana, le cui criticità si contraddistinguono rispetto a quelle delle altre realtà nazionali, in considerazione del fatto che gli effetti derivanti dalla crisi recessiva nel Paese si avvertono li in maniera più significativa necessitando di adeguate politiche di rilancio –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se intendano confermare gli interventi recentemente esposti volti a stabilire i contributi alle emittenze televisive locali, nell'ambito della riforma strutturale del cosiddetto «canone Rai», in grado di rilanciare il comparto interessato e restituire la dignità d'impresa a numerosi operatori economici del settore, con la possibilità di pianificare gli investimenti; 
   se, in considerazione della gravissima crisi che sta coinvolgendo da anni il sistema delle televisioni e delle radio private in Sicilia, non ritengano opportuno prevedere, compatibilmente con le risorse finanziarie a disposizione e dei vincoli di bilancio pubblico, iniziative ad hoc volte a sostenere il settore dell'emittenza televisiva siciliana, ed evitare di conseguenza, effetti nefasti in termini di pluralismo dell'informazione e di crescita relativa al prodotto interno lordo siciliano oltre che con riferimento ai livelli di aumento della disoccupazione. (4-06998)


   PASTORELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 giugno 2014 il consiglio di amministrazione della società cooperativa Cooperativa Edil-Strade Imolese Società Cooperativa — in sigla C.E.S.I. — approvava una relazione che evidenziava le grave criticità della società;
   nel 2013, infatti, nonostante l'adozione di un piano per il rilancio della società, si è verificata una significativa riduzione di nuove commesse private, con conseguente riduzione delle marginalità;
   le dismissioni effettuate dalla società in questione, delle società proprietarie di due centri commerciali allocati a Carini ed Eboli nel 2013 non ha peraltro, evitato perdite consistenti in capo al gruppo C.E.S.I.;
   a quanto consta all'interrogante, alla data del 1o luglio 2014, la C.E.S.I. versava in una grave, condizione di insolvenza, con un patrimonio netto negativo di euro 2.203.392,33, un attivo circolante di euro 886.633.234,00 a fronte di debiti a breve per euro 954.190.078,00;
   su istanza del 2 luglio 2014 formulata dalla Lega nazionale delle cooperative e mutue all'indirizzo all'autorità di vigilanza sugli enti cooperativi, il Ministero dello sviluppo economico, con decreto dell'8 luglio 2014, ammetteva la suddetta cooperativa alla procedura di liquidazione coatta amministrativa;
   tra le società sottoposte all'attività di direzione e coordinamento di C.E.S.I vi è anche la Società Outlet Soratte S.r.l. — Società Unipersonale, la quale gestisce la struttura ed i servizi di manutenzione dell'omonimo centro commerciale sito sul territorio del comune di Sant'Oreste;
   tale polo commerciale, con ben 66 negozi e 5 aziende di servizi operanti al suo interno, impiega circa 320 persone, mentre altrettante persone lavorano grazie all'indotto di questo, costituendo una delle principali risorse di quel territorio (comprendente i comuni di Sant'Oreste, Ponzano Romano, Stimigliano, Forano, Collevecchio, Selci ed altri della Bassa Sabina), sotto il profilo dell'offerta di lavoro;
   le difficoltà della società controllante C.E.S.I., a quanto consta all'interrogante, si stanno ripercuotendo sulla gestione ordinaria del centro commerciale Ponzano-Soratte condotta dalla Società Outlet Soratte, specie con riguardo al pagamento (e al rinnovo dei relativi contratti) delle aziende che svolgono servizi manutentivi ed igienico-sanitari presso detta struttura;
   la situazione, se portata all'estremo, costringerà le autorità competenti a far chiudere il centro commerciale non sussistendo le condizioni, previste dalla normativa vigente, per l'esercizio delle attività di commercio ivi presenti, con grave danno economico per i territori limitrofi;
   a tutt'oggi non si hanno notizie certe sulla complessa situazione societaria riguardante la C.E.S.I., e più in particolare la Società Outlet Soratte Srl, ponendo gli operatori economici interessati (tra cui anche piccole e medie imprese) in un grave stato di incertezza –:
   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato, per quanto di competenza, in merito ai fatti riferiti in premessa;
   se e come il Ministro intenda intervenire, per quanto di competenza, al fine di limitare le conseguenze negative per il tessuto economico della Bassa sabina, derivanti da una eventuale liquidazione o dismissione della Società Outlet Soratte Srl. (4-06999)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Burtone n. 5-02530, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 aprile 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bueno.

  L'interrogazione a risposta scritta Costantino e altri n. 4-06931, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Nicchi.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Cimbro e altri n. 5-04108, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Giuseppe Guerini, Sbrollini.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Fratoianni n. 1-00674, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 336 del 21 novembre 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    il 21 marzo del 1938 con regio decreto-legge n. 246 fu emanata la «Disciplina degli abbonamenti alle Radioaudizioni». Il regio decreto-legge afferma che: «...chiunque detenga uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento di un canone di abbonamento...» precisando anche che: «...la presenza di un impianto aereo atto alla captazione o trasmissione di onde elettriche o di un dispositivo idoneo a sostituire l'impianto aereo, ovvero di linee interne per il funzionamento di apparecchi radioelettrici, fa presumere la detenzione o l'utenza di un apparecchio radioricevente...»;
   oggi non è possibile non percepire tale norma e il pagamento del canone RAI, che ancora ne deriva, non solo come naturalmente datati, ma ancor di più bisognosi di un serio ripensamento in presenza della rete, dei social e dei personal media;
    è un canone con natura di prestazione tributaria uguale per tutti senza distinzioni di reddito, tra l'altro, neppure legato alla reale fruizione del servizio pubblico;
    per contro la RAI, da sempre ha mantenuto un profilo aggressivo nella gestione della riscossione del canone verso tutti i cittadini sospettati di detenere, a prescindere, un apparecchio o altri dispositivi atti o adattabili alla ricezione delle diffusioni radiofoniche e televisive, inviando in caso di presunte inadempienze, diffide, ingiunzioni di pagamento fino alla minaccia del fermo amministrativo dell'auto e al pignoramento dei beni e della quota parte della retribuzione;
    destano preoccupazioni le voci circa l'intenzione del Governo di presentare un disegno di legge con il quale ogni famiglia titolare di contratto per la fornitura di energia elettrica pagherà il canone RAI con la bolletta dei consumi e con la precisazione che il requisito non sarà più il possesso del televisore, ma di quello di qualsiasi device personale: computer, tablet o di smartphone. L'intestatario della bolletta della luce per non pagare il canone dovrà, o dovrebbe, pertanto, dimostrare di non avere alcun dispositivo che lo possa collegare con i canali del servizio pubblico,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per provvedere gradualmente, ma in tempi certi e definiti, al superamento dell'attuale impostazione del canone RAI, inserendo nella dichiarazione dei redditi la voce «canone Rai» rendendo quest'ultimo informato al principio di progressività in base alla capacità economica di ciascuno.
(1-00674)
(Nuova formulazione) «Fratoianni, Scotto, Giancarlo Giordano, Costantino».

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Rostellato n. 5-04102 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 336 del 21 novembre 2014. Alla pagina 19022, prima colonna, alla quarantatreesima riga, deve leggersi: «Battaglia Terme e Due Carrare convivono» e non «Battaglia Terme e Due Carrare convivono», come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   MASSIMILIANO BERNINI, ARTINI, ALBERTI, RIZZO, L'ABBATE, PARENTELA, GALLINELLA, BASILIO, PAOLO BERNINI e FRUSONE. — Al Ministro della difesa, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere — premesso che:
   attualmente sono circa 282 i vincitori e gli idonei di concorsi pubblici banditi dall'Amministrazione civile della difesa negli anni 2008-2009 e che risultano essere in attesa di assunzione. Le procedure concorsuali in parola sono quelle di seguito specificate:
    a) concorso su base circoscrizionale per 111 posti di funzionario di amministrazione, area funzionale C, posizione economica C1. Bandito con Gazzetta Ufficiale 4° Serie Speciale n. 59 del 27 luglio 2007, graduatoria di merito pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 24 del 25 marzo 2011. Tale procedura si è conclusa nel 2009 e i relativi cittadini risultati vincitori/idonei sono in attesa da 4 anni;
    b) concorso su base circoscrizionale per 9 posti di collaboratore bibliotecario, area funzionale C, posizione economica C1 bandito con Gazzetta Ufficiale 4° Serie Speciale n. 59 del 27 luglio 2007, graduatoria di merito pubblicata in data 8 aprile 2009, con i vincitori in attesa da 4 anni;
    c) concorso su base circoscrizionale per 63 posti di collaboratore tecnico, elettrotecnico ed elettromeccanico area funzionale C, posizione economica C1. Bandito con Gazzetta Ufficiale 4° Serie Speciale n. 59 del 27 luglio 2007, graduatoria di merito pubblicata in data 14 novembre 2008, con i vincitori in attesa da 5 anni;
    d) concorso su base circoscrizionale per 4 posti di funzionario tecnico, settore elettronico, optoelettronico e delle telecomunicazioni area funzionale C, posizione economica C2. Bandito con Gazzetta Ufficiale, 4° Serie Speciale n. 59 del 27 luglio 2007, graduatoria di merito pubblicata in data 15 dicembre 2008, con i vincitori in attesa da 5 anni;
    e) concorso su base circoscrizionale per 5 posti di ingegnere del settore elettrotecnico ed elettromeccanico, area funzionale C, posizione economica C2. Bandito in data 16 luglio 2007, graduatoria di merito pubblicata in data 28 novembre 2008 con un'attesa di 5 anni;
    f) concorso su base circoscrizionale per 30 posti di assistente tecnico del settore motoristico e meccanico, area funzionale B, posizione economica B3. Bandito con Gazzetta Ufficiale 4° Serie Speciale n. 59 del 27 luglio 2007, graduatoria di merito pubblicata in data 15 dicembre 2008 in attesa da 5 anni;
   considerato che la direzione generale del personale civile (Persociv) ha inoltrato alla funzione pubblica, già dal 2011 la richiesta di autorizzazione alla assunzione del personale risultato vincitore che, successivamente rimodulata sulla base delle risorse disponibili, riguarda:
    a) n. 208 assunzioni complessive, di cui n. 175 per la cosiddetta area 3° (riferite alla copertura dei posti messi a bando delle procedure da punti 1 a 4 specificati in premessa) per la copertura, nel numero esatto, di carenze nell'area risultanti alla data del 31 ottobre 2012 per effetto della rideterminazione delle dotazioni organiche avvenuta a seguito dei tagli imposti dallo spending review (decreto-legge n. 95 del 2012);
    b) n. 24 per la cosiddetta area 2° (riferite alla copertura dei posti messi a bando di cui al punto 6 specificato in premessa);
    c) n. 7 ripartite tra dirigenti, professori, vittime del terrorismo, e altri;
   sussistono gravissimi problemi dovuti allo progressiva perdita di professionalità a causo delle cessazioni dal servizio di personale civile della difesa e del mancato ripianamento delle carenze per effetto del blocco del turnover;
   tale situazione critica è avvertita, in particolare, negli arsenali e altri enti della cosiddetta area industriale, la cui presenza è stato ripetutamente giudicata come strategica ai fini della stessa missione istituzionale;
   il progressivo invecchiamento della forza lavoro civile dell'Amministrazione dello difesa (età media intorno ai 56 anni) lo rende ogni giorno sempre meno efficiente;
   gli elevati oneri sostenuti dalla pubblica amministrazione per esperire le citate procedure concorsuali potrebbero essere dispersi se non finalizzati al reclutamento dei vincitori/idonei dei relativi concorsi parte dei quali, a causa del lungo tempo di atteso delle assunzioni ormai trascorso, potrebbero aver rinunciato alle stesse –:
   quali iniziative nell'immediato si intendano porre in essere, o siano già state poste in essere, per ottenere da parte della funzione pubblica l'autorizzazione richiesta da Persociv ai fini dell'assunzione dei candidati risultati vincitori delle procedure in argomento. (4-01791)

  Risposta. — Con riferimento ai concorsi pubblici definiti negli anni 2008-2009, le n. 282 unità indicate dall'interrogante comprendono n. 199 vincitori in attesa di assunzione più n. 83 idonei non vincitori.
  Si conferma che la richiesta di autorizzazione alle assunzioni per l'anno 2011 è stata di complessive 208 unità di cui n. 175 relative a vincitori della III area funzionale, n. 24 relative a vincitori della II area funzionale e n. 9 (non 7) relative ad altre categorie.
  Il termine per il rilascio, da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri, dell'autorizzazione di cui si tratta è stato fissato al 31 dicembre 2014 ai sensi dell'articolo 1, comma 4, lettera b, del decreto-legge n. 150 del 2013 (cosiddetto «mille proroghe», convertito in legge 27 febbraio 2014, n. 15, che ha sostituito l'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito in legge 24 febbraio 2012, n. 14).
  La fase di istruzione della richiesta è tuttora in corso con la Presidenza del Consiglio, in particolare per la verifica delle unità che le norme vigenti in materia di blocco del turn-over consentono di poter effettivamente assumere e per superare le problematiche connesse all'eccedenza che tuttora si registra nella I e II area funzionale e che, finora, non ha permesso di procedere a nuove assunzioni in via ordinaria, ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito in legge n. 135 del 2012, e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 gennaio 2013, di rideterminazione delle dotazioni organiche del personale civile.
  Tali eccedenze non hanno consentito fino ad ora di procedere, in via ordinaria, a nuove assunzioni per effetto del divieto imposto dalla normativa vigente.
  Nelle more, un passo importante è stato compiuto con il decreto-legge 24 giugno 2014 n. 90, che all'articolo 3, comma 4-bis, promosso dal Dicastero, convertito in legge 11 agosto 2014 n. 114, ha autorizzato il Ministero della difesa, per l'anno 2014, ad assumere i 24 vincitori del concorso per assistente tecnico del settore motoristico e meccanico, inquadrati nella II area funzionale.
  Inoltre, l'Amministrazione ha provveduto all'assunzione, a decorrere dal 1o settembre 2014, di n. 6 dirigenti risultati vincitori del 5o corso-concorso selettivo di formazione dirigenziale bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione, ora Scuola nazionale dell'amministrazione.
  Coerentemente la Difesa – pur nel presente regime vincolato – si sta adoperando per favorire tutte le iniziative finalizzate a dar corso, in prospettiva, alle assunzioni dei restanti vincitori dei concorsi espletati.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   BRANDOLIN. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Selex ES, una società Finmeccanica, è leader internazionale nella realizzazione di sistemi per la difesa, l'aerospazio, la sicurezza e la protezione delle informazioni, delle infrastrutture e del territorio, nonché di soluzioni «smart» sostenibili;
   nello stabilimento Selex ES di Ronchi dei Legionari in Friuli Venezia Giulia, vengono prodotti gli aerei Falco: il primo velivolo senza pilota in Europa che ha ottenuto la certificazione Enac nel 2005; le caratteristiche dei Falco sono frutto di un lungo lavoro di ricerca partito nei primi anni 2000; infatti il Falco può essere pilotato sia in modalità manuale che automatica;
   il velivolo Falco attualmente è operativo presso 5 clienti internazionali, compreso l'ultimo contratto di servizio con le Nazioni Unite per attività di sorveglianza nell'ambito della missione di peacekeeping «Monusco» in Congo; 
   per questa operazione molti ambasciatori hanno avuto parole di elogio per il fondamentale aiuto dei «Falchi» italiani che hanno dato un contributo non solo alle operazioni dei soldati dell'ONU, ma anche ad altre agenzie: dall'appoggio dal cielo alla spedizione del Pam, al salvataggio di civili che stavano annegando nel lago Kiwu;
   persino il segretario generale dell'ONU, Ban Ki Moon ha voluto sottolineare la soddisfazione dell'ONU per il servizio che stanno dando i «Falchi» nell'ambito della missione «Monusco»;
   mentre i velivoli italiani vengono apprezzati e utilizzati all'estero, in Italia dove è in atto un colossale sbarco di migranti, che vede nell'operazione Mare Nostrum impiegati centinaia di droni, a quanto pare stranieri, dei «Falchi» non vi è traccia –:
   per quali motivi l'Aeronautica militare italiana preferisca utilizzare velivoli prodotti all'estero e non una eccellenza italiana cosa che contribuirebbe a mantenere posti di lavoro nello stabilimento di Ronchi dei Legionari, e non solo, che rischiano la cassa integrazione o il licenziamento. (4-05179)

  Risposta. — In relazione alla questione affrontata con l'atto in esame, occorre, preliminarmente, precisare che il sistema Falco dispone ad oggi soltanto di un'autorizzazione al volo sperimentale/prototipico rilasciato dall'Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac), che non ne consente l'utilizzo in operazioni reali sul territorio nazionale né il pilotaggio da parte di un pilota militare che non sia qualificato Sperimentatore di Volo.
  La normativa aeronautica (AER-P.2 del Segretariato generale della difesa-Direzione per l'armamento aereo e aeronavigabilità – Sgd Daaa), ispirata agli standard della Nato, prevede che gli aeromobili a pilotaggio remoto (Apr) rispondano ai requisiti di sicurezza previsti dalle prescrizioni del documento tecnico operativo (Dto) stipulato tra la Forza armata e l'Enac, in materia di utilizzo dei velivoli militari a pilotaggio remoto di peso superiore ai 20 kg nello spazio aereo di giurisdizione nazionale.
  Tale accordo è ispirato ai principi della sicurezza del volo (per quanto attiene le procedure operative, la scelta delle aree di lavoro, degli equipaggiamenti di bordo da adottare, la copertura radar e le limitazioni da imporre) ed ha lo scopo di salvaguardare la sicurezza della popolazione sorvolata, nonché dei responsabili e degli utilizzatori militari e civili del settore.
  In particolare, il Dto fa riferimento all'articolo 745 del codice della navigazione aerea che prevede per gli Apr:
   l'utilizzo di caratteristiche costruttive di tipo militare;
   la destinazione d'uso militare;
   l'ammissione alla navigazione;
   la certificazione e l'immatricolazione nei registri degli aeromobili militari da parte della citata Direzione armamento del segretariato generale della difesa.

  I velivoli Falco attualmente in produzione non possiedono tale certificazione e, pertanto, non possono essere immatricolati nei suddetti registri degli aeromobili militari: non possiedono, pertanto, i requisiti tecnico-normativi necessari per l'impiego da parte dell'Aeronautica militare.
  In ambito nazionale, i velivoli Falco sono utilizzati solo per scopi dimostrativi e di sviluppo dal personale sperimentatore della ditta costruttrice.
  In proposito, la ditta costruttrice, consapevole che il velivolo Falco non risponde ai requisiti di sicurezza richiesti dalla normativa nazionale, non ha ritenuto utile né intraprendere misure correttive per adeguare il velivolo alla citata normativa né avviare l’iter di certificazione.
  L'Aeronautica militare, tuttavia, nel mese di febbraio del corrente anno, ha esperito un tentativo per verificare la possibilità di un futuro impiego dei Falco, ad esempio in supporto alle unità navali coinvolte nell'operazione Mare Nostrum, con possibile decollo dall'aeroporto di Pantelleria, invitando la ditta Selex a presentare la documentazione necessaria alla certificazione militare del velivolo.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   CAPELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare Made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il Made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerata la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   gli allevamenti italiani di suini, presenti prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna, sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti e offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che, dietro questo sistema, ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   l'usurpazione del Made in Italy minaccia la solidità e provoca gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa;
   il codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
   la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione ed arreca danno al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale –:
   quali iniziative, anche di carattere normativo, il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere affinché le autorità di controllo e, in particolare, il Corpo forestale dello Stato, applichino, in modo corretto, la definizione precisa dell’effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis della legge 24 dicembre 2003, n. 350 sulla tutela del Made in Italy. (4-02772)


   CAPELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare Made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il Made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   gli allevamenti italiani di suini, presenti prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna, sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti e offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che dietro questo sistema ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   l'articolo 26, comma 2, lettera b) del Regolamento (CE) 25 ottobre 2011, n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, prevede che l'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza è obbligatoria per le carni dei codici della nomenclatura combinata (NC) elencati all'allegato XI del regolamento medesimo – tra le quali sono contemplate le carni di animali della specie suina, fresche, refrigerate o congelate – rinviando l'applicazione della norma a successivi atti di esecuzione da adottare entro il 13 dicembre 2013 –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di promuovere il rispetto, in sede europea del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal Regolamento 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento alle carne suine. (4-02779)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si riferisce quanto segue.
  La conoscenza del Paese di origine o del luogo di provenienza di un prodotto agroalimentare rappresenta un requisito imprescindibile per l'orientamento all'acquisto dei consumatori, a garanzia del diritto all'informazione e della possibilità di compiere scelte consapevoli.
  In aggiunta, soprattutto per il nostro Paese, si pone come fattore strategico per la tutela della nostra eccellenza produttiva, alla luce di una diffusa pratica contraffattiva e imitativa, che rappresenta un danno noto e ingente al potenziale economico, culturale e sociale del settore agroalimentare.
  Tenendo ben presenti tali considerazioni, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha sempre fortemente sostenuto, in sede europea, l'indicazione obbligatoria del Paese d'origine o del luogo di provenienza dei prodotti, concertando la posizione negoziale con il Dicastero della salute, al fine di difendere l'identità la competitività della produzione italiana sui mercati internazionali ed esteri e il diritto dei consumatori alla trasparenza delle informazioni sulla tracciabilità.
  Infatti, anche grazie all'impegno e al sostegno del nostro Paese, il 13 dicembre 2013 è stato emanato il regolamento di esecuzione della Commissione n. 1337 del 2013 che, oltre a stabilire i criteri di etichettatura per gli operatori del settore alimentare delle carni fresche, refrigerate o congelate di suino, ovino, caprino e di volatili, destinate alla commercializzazione, introduce la prescrizione relativa all'indicazione del Paese d'origine o luogo di provenienza ove gli animali sono stati allevati e macellati.
  In seguito, il Parlamento europeo, con risoluzione del 6 febbraio 2014, ha invitato la Commissione a ritirare il predetto regolamento di esecuzione e a redigerne una versione riveduta che preveda l'indicazione obbligatoria, sull'etichetta, del luogo di nascita nonché dei luoghi di allevamento e di macellazione dell'animale per le carni non trasformate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili, in conformità della legislazione vigente in materia di etichettatura di origine delle carni bovine (regolamento CE n. 1760 del 2000 – Titolo II).
  In ogni caso, la modifica al quadro normativo europeo di riferimento rappresenta un eccellente risultato per i consumatori, cui garantisce una maggiore conoscibilità dei prodotti attraverso le informazioni in etichetta, ma anche un importante passo avanti in favore delle più efficaci azioni che possono essere attuate a tutela del made in Italy.
  Invero, le variazioni apportate al testo originario proposto dalla Commissione (tra le quali il raddoppio del periodo minimo di allevamento per poter indicare in etichetta il Paese di allevamento dell'animale) hanno consentito di fare maggiore chiarezza sulle procedure da seguire per l'apposizione delle diciture in etichetta (anche per la carne suina, nelle varie fasi di commercializzazione) e di fornire al consumatore valide informazioni circa la realtà produttiva.
  Il predetto regolamento di esecuzione (che si applicherà dal 1o aprile 2015), oltre a concedere di integrare, su base volontaria e nel rispetto degli articoli 36 e 37 del regolamento n. 1169 del 2011, le informazioni sull'origine con ulteriori informazioni relative alla provenienza della carne (tra cui, un livello geografico più dettagliato), consente di utilizzare il termine «origine» solo nel caso di animali nati, allevati e macellati nello stesso Paese e dispone che l'indicazione del luogo di provenienza delle carni avvenga nel seguente modo:
   per tutte le specie: l'indicazione «origine Italia» può essere utilizzata solo se l'animale è nato, allevato e macellato in Italia;
   per gli ovini e i caprini: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale ha trascorso almeno gli ultimi 6 mesi in Italia ovvero viene macellato sotto i 6 mesi ed ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia;
   per il pollame: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale ha trascorso almeno l'ultimo mese in Italia, ovvero viene macellato sotto 1 mese di età ed ha trascorso l'intero periodo di ingrasso in Italia;
   per i suini; l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale viene macellato sopra i 6 mesi e ha trascorso almeno gli ultimi 4 mesi in Italia; se è entrato in Italia ad un peso inferiore ai 30 kg e macellato ad un peso superiore ai 80 kg e, infine, se l'animale viene macellato ad un peso inferiore agli 80 kg e ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia.

  È bene tuttavia ricordare che, a livello nazionale, oltre il 70 per cento dell'intera produzione suinicola italiana già produce carne nel rispetto delle disposizioni dei disciplinari delle denominazioni di origine protetta (Dop) e delle indicazioni geografiche protette (Igp).
  In particolare, i disciplinari dei prodotti della salumeria Dop e Igp italiani, approvati a livello europeo, impongono che i suini appartengano a determinate razze appositamente selezionate, vengano allevati in condizioni di benessere e secondo un programma alimentare studiato per le diverse fasi di allevamento. Peraltro, gli allevatori e i macelli aderenti ai circuiti delle produzioni Dop ed Igp sono controllati da Istituti, pubblici o privati, designati dal Ministero, che monitorano la certificazione dei capi suini destinati alla trasformazione in prodotti Dop e Igp, le movimentazioni degli animali verso altri allevamenti e/o macelli nonché le fasi di macellazione, trasformazione ed eventuale confezionamento.
  Peraltro, il circuito di questi prodotti di qualità include un insieme di operatori iscritti ad un sistema organizzato e controllato della produzione. In pratica, la provenienza della materia prima utilizzata viene tracciata seguendo il seguente percorso: allevamento in cui è nato il suino; allevamento che lo ha avviato al macello; macello; laboratorio di sezionamento e trasformazione.
  Nel dettaglio, l'allevamento di nascita appone sulla coscia dell'animale (entro il 30o giorno di vita) un timbro indelebile (tatuaggio) recante il proprio codice e il mese di nascita dell'animale. Successivamente, l'allevamento da cui i suini partono per il macello certifica, tramite la certificazione unificata di conformità (Cuc), gli animali della partita avviata alla macellazione, indicando i tatuaggi relativi all'allevamento di nascita dei suini, della partita nonché il tipo genetico prevalente. Detta certificazione è accompagnata da eventuali certificati relativi agli spostamenti dei suini in allevamenti diversi da quello di nascita. Il macello, tramite timbro indelebile impresso sulla cotenna, appone poi il proprio codice di identificazione su ogni coscia, dopo aver accertato i requisiti previsti dal disciplinare di produzione. Lo stagionatore, infine, identifica e registra l'inizio del processo di stagionatura. Nel caso dei prosciutti Dop di Parma e di San Daniele viene apposto sulle cosce un sigillo metallico prenumerato.
  Peraltro, presso gli stabilimenti di macellazione e lavorazione delle carni suine vengono garantiti i controlli ufficiali dei servizi veterinari delle aziende sanitarie locali che, nella verifica dell'applicazione dei regolamenti europei afferenti al pacchetto igiene (regolamenti n. 178 del 2002 e nn. 852, 853, 854 e 882 del 2004), esaminano anche gli aspetti relativi alla rintracciabilità dei prodotti così come disposto dall'articolo 18 del regolamento n. 178 del 2002.
  In ogni caso, è certo che la sicurezza e la qualità degli alimenti possono essere maggiormente garantite attraverso un elevato livello di collaborazione e coordinamento tra diverse amministrazioni. Tale principio è ben consolidato e su di esso si fonda la normativa europea vigente in materia. In particolare, il regolamento n. 882 del 2004 prevede che ciascun Paese membro predisponga un Piano di controllo nazionale che assicuri un approccio multidisciplinare per la pianificazione, lo svolgimento e la rendicontazione dei controlli ufficiali.
  A tal fine il Ministero della salute è il punto di raccordo nazionale per il Piano nazionale integrato (Pni) che nasce dall'intensa e proficua collaborazione con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, i nuclei del Comando dei Carabinieri (Nas, Nac e Noe), le capitanerie di porto, il Corpo forestale dello Stato e la Guardia di Finanza. Sia il Pni 2011-2014 che le relazioni annuali (ove sono raccolti i dati delle attività svolte dalle citate amministrazioni), sono pubblicati sul portale del Ministero della salute.
  Ricordo, inoltre, che l'articolo 8, comma 4, del decreto-legge 18 giugno 1986, n. 282 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 462 del 1986 stabilisce che presso il Ministero della salute è istituito l'elenco pubblico delle ditte commerciali e dei produttori che abbiano riportato condanne con sentenza passata in giudicato per reati di frode e di sofisticazione alimentare. Il Ministro della salute cura annualmente la pubblicazione, con riferimento alle condanne intervenute nell'anno precedente, nella Gazzetta Ufficiale e in almeno due quotidiani a diffusione nazionale.
  A tal riguardo, mi preme sottolineare l'intensa attività di controllo espletata dal Corpo forestale dello Stato sul territorio nazionale, finalizzata al contrasto del fenomeno del falso made in Italy e del cosiddetto italian sounding, ossia l'utilizzo fuorviante, sull'imballaggio dei prodotti agroalimentari, di etichette o simboli che esaltino l'italianità dei luoghi d'origine della materia prima, della ricetta e del marchio.
  L'obiettivo è quello di rendere conoscibili le filiere e la tracciabilità degli alimenti per il consumatore, basandosi sulla considerazione che i valori alimentari, territoriali, ambientali, culturali e di agro biodiversità rappresentano un bene collettivo dell'Italia come anche dell'Unione europea da individuare, pubblicizzare, valorizzare e difendere in modo differente e specifico rispetto agli altri settori manifatturieri, in ragione che l'alimento riguarda i valori di tutela per l'uomo.
  Nel corso del 2013, in particolare, il Corpo forestale dello Stato ha posto in essere un'attività sanzionatoria contro il falso made in Italy a tutela sia dei consumatori, che dei produttori onesti, penalizzati da una concorrenza sleale nel libero scambio delle proprie merci all'interno dall'Unione. I controlli eseguiti, oltre a costituire un efficace monitoraggio del made in Italy agroalimentare, hanno consentito il sequestro di circa 600 tonnellate di prodotti e la comunicazione di oltre 170 notizie di reato alla procura della Repubblica italiana, assicurando la repressione di tutte quelle condotte penalmente rilevanti che si siano poste in evidente contrasto con il leale svolgimento degli scambi commerciali e con la trasparenza informativa nei riguardi del consumatore.
  Vorrei poi ricordare che il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, all'articolo 3 (Interventi per il sostegno del made in Italy) prevede che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali svolga una consultazione pubblica tra i consumatori per valutare in quale misura, nelle informazioni relative ai prodotti alimentari, venga percepita come significativa l'indicazione relativa al luogo di origine o di provenienza dei prodotti alimentari e della materia prima agricola utilizzata nella preparazione o nella produzione degli stessi e quando l'omissione delle medesime indicazioni sia ritenuta ingannevole. I risultati delle consultazioni effettuate saranno resi pubblici e trasmessi alla Commissione europea.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   CATALANO e PISICCHIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la «variante di valico» è il nodo centrale del potenziamento del cosiddetto corridoio appenninico ed è rappresentata dalla tratta La Quercia-Aglio dell'Autostrada A1; essa fa parte del progetto a livello nazionale di potenziamento della tratta autostradale da Firenze a Bologna (125 chilometri) in particolare dell'attraversamento appenninico, previsto dal piano decennale della viabilità di grande comunicazione (approvato dal C.I.P.E. ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 531 del 12 agosto 1982);
   la variante di valico, la più grande infrastruttura stradale attualmente in costruzione in Europa, è un raddoppio autostradale pensato per rendere più fluido il collegamento su gomma tra Nord e Sud della penisola, riducendo i gravi inconvenienti del tracciato attuale, caratterizzato da forti pendenze e spesso di difficile agibilità nei mesi invernali, a causa di neve o condizioni atmosferiche avverse;
   come denunciato dagli, organi di stampa (e, fra i tanti, da Il Fatto Quotidiano, in propri articoli e inchieste del 25 ottobre 2011, 3 novembre 2011, 17 novembre 2011, 20 novembre 2011, 3 dicembre 2011, 1° gennaio 2012, 28 gennaio 2012, 22 febbraio 2012, 28 marzo 2012, 24 maggio 2012, 24 marzo 2013, 23 marzo 2014, 15 aprile 2014, 15 maggio 2014), sono emerse a più riprese, nel corso dei lavori, gravi criticità, relative anche all'assetto idrogeologico delle aree coinvolte, tali da determinare un possibile ulteriore allungamento dei tempi e incremento dei costi per la realizzazione delle opere;
   in particolare, nel 2011, in concomitanza degli scavi del tunnel Val di Sambro, una frana «sopita» ha ricominciato a muoversi, minacciando la vicina località di Ripoli-Santa Maria Maddalena;
   risulta agli interpellanti che i tecnici del Cnr e dell'Ispra, giunti sul luogo su invito del prefetto di Bologna, Angelo Tranfaglia, avrebbero imputato il risveglio della frana (di volume pari a due milioni di metri cubi di terra) ai lavori di cui sopra;
   la procura di Bologna ha aperto un fascicolo, contro ignoti, per disastro colposo, disposto numerose perizie tecniche e, infine, richiesto l'archiviazione (si veda Il Fatto Quotidiano del 22 luglio 2013), per la difficoltà a risalire a specifiche responsabilità individuali in ragione del complesso, ventennale iter di progettazione dei lavori; ciononostante, la consulenza tecnica ha sancito che «nelle diverse fasi progettuali non si è mai valutata la possibile interferenza tra lo scavo delle gallerie ed i movimenti del versante, sia quelli direttamente indotti dalla realizzazione dell'opera (subsidenza), sia quelli da attribuire alla riattivazione dei movimenti franosi già presenti all'inizio dei lavori anche se in fase di quiescenza, sia infine quelli eventualmente di nuova formazione» e che «la zona di Santa Maria Maddalena, al pari della zona precedente, presentava nel ventennio precedente i lavori velocità costanti di circa 2,7 mm/anno, valore stimato sulla base dell'analisi di immagini satellitari. I lavori di costruzione della galleria hanno impresso una generale accelerazione che ha fatto aumentare la velocità di spostamento di più di un ordine di grandezza»;
   nel frattempo, numerose famiglie di Ripoli hanno dovuto sgomberare, volontariamente o sulla base di ordinanze sindacali, le loro case, a causa dell'apertura di crepe e di scivolamenti dovuti allo smottamento del terreno;
   la frana minaccia anche il tracciato esistente dell'A1: in particolare viadotto Rio Piazza dell'autostrada del sole che collega Bologna a Firenze, nel tratto che passa sull'Appennino bolognese, ha iniziato a muoversi, tanto che nella primavera del 2012 la Società Autostrade ha aperto un nuovo cantiere sotto il viadotto per mettere in sicurezza i piloni (si veda Il Fatto Quotidiano del 24 maggio 2012);
   è invece degli ultimi mesi (si veda Il Fatto Quotidiano del 15 aprile 2014) la notizia che anche la galleria Sparvo, realizzata con modalità e macchinari che avrebbero dovuto evitare le complicazioni idrogeologiche che interessano la galleria Val di Sambro, ha subito danni a causa, ancora una volta, di una «frana lenta»: i rivestimenti in calcestruzzo della volta della canna nord sono saltati, per una lunghezza di 350 metri circa, e sono già stati individuati segnali premonitori di un analogo danneggiamento del rivestimento della corrispondente tratta della canna sud;
   risulta agli interpellanti, per quanto trapelato agli organi di stampa (si veda Il Fatto Quotidiano del 23 marzo 2014) che le ditte costruttrici abbiano inviato al Ministro interpellato, e a Mauro Coletta, commissario per la variante di valico e direttore della struttura di vigilanza sulle autostrade, una preoccupata missiva, nella quale ricordano di aver fatto presente fin dall'inizio ad Autostrade le proprie perplessità rispetto al progetto delle gallerie, proprio in virtù del rischio geologico; la società Autostrade, però, non avrebbe accolto tali osservazioni;
   risulta agli interpellanti che i costruttori, ritenendosi danneggiati e sostenendo di aver speso molto più del previsto, avrebbero chiesto ad Autostrade ulteriori 564 milioni di euro a titolo di «indennizzi e maggiori compensi»;
   la procura di Bologna ha recentemente aperto, in relazione alla galleria Sparvo, un fascicolo conoscitivo –:
   se quanto in premessa trovi conferma;
   quali siano, a oggi, i costi di realizzazione stimati per l'opera, e di quanto siano incrementati nel tempo;
   entro quale data la variante di valico sarà operativa;
   quali iniziative siano state intraprese, e a quale punto siano, per proteggere la popolazione delle zone interessate dalle frane;
   quale sia l'orientamento del Governo rispetto ai fatti di cui in premessa, e in particolare rispetto alla controversia contrattuale tra committente ed esecutore dei lavori;
   quali iniziative intenda il Governo assumere per individuare, nel limite dei propri poteri e nel rispetto delle competenze dell'autorità giudiziaria, le eventuali responsabilità tecniche, politiche e amministrative che hanno portato alla presente situazione. (4-06332)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, relativa alla realizzazione della variante di valico, inserita nel potenziamento della Autostrada Al Modena – Incisa, sono state chieste dettagliate informazioni alla competente struttura di vigilanza sulle concessionarie autostradali di questo Dicastero che ha comunicato quanto segue.
  L'intero potenziamento tra Modena e Incisa è di 166,5 km ed è suddiviso in 33 lotti; della tratta tra Sasso Marconi e Barberino di Mugello, di circa 59 km, fanno parte i 32 km in variante che costituiscono la vera variante di valico: lotti 5A, 5B, 6/7, 9/10/11, 12 e svincolo di Barberino e lotto 13.
  La necessità di suddividere l'intera tratta da adeguare in 33 lotti è scaturita dai diversi livelli tra lo stato progettuale e quello autorizzativo. Al 24 ottobre 2014, dei 33 lotti 24 sono conclusi, 8 sono in corso, di cui 2 pressoché ultimati, ed in fase di affidamento e precisamente in attesa della Via.
  La realizzazione della variante di valico è inserita nella prima convenzione tra Anas e la Società autostrade per l'Italia (Aspi) del 4 agosto 1997.
  La Variante ha seguito un iter approvativo durato più di venti anni: il primo progetto risale al 1992, nel corso del quale sono stati concertati il tracciato, le opere di cantiere e gli interventi di mitigazione e compensazione ambientali rivolti al territorio interessato dall'opera, con tutti gli enti interessati.
  Come è noto, la variante di valico attraversa un territorio, quello appenninico, molto delicato e vulnerabile dal punto di vista geologico e idrogeologico, caratterizzato da una peculiare morfologia, con aree geologiche particolarmente instabili.
  La galleria Val di Sambro, una galleria naturale di 3780 metri, è parte del lotto 5B. L'opera si inserisce in un territorio interessato da una vasta area in frana «quiescente» con all'interno una zona in frana «attiva» e con la presenza degli insediamenti abitativi delle frazioni di Ripoli e S. Maria Maddalena nel comune di San Benedetto Val di Sambro.
  Con il passaggio della galleria si è verificata la riattivazione del movimento franoso che ha reso necessarie alcune modifiche progettuali nonché una importante attività di monitoraggio geotecnico.
  Il piano di monitoraggio geotecnico è stato infatti integrato con uno specifico piano di monitoraggio integrativo di dettaglio, presentato e condiviso con l'Osservatorio ambientale, che restituisce i dati in tempo reale, attraverso un sito ftp, e li mette a disposizione di tutti gli enti interessati.
  Anche a seguito delle azioni del comitato di cittadini «Autosole», il prefetto di Bologna è intervenuto sul tema e ha richiesto un parere agli organi tecnici Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) e Irpi (Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica – CNR).
  Solo a seguito degli approfondimenti svolti e del loro parere, il prefetto, nel novembre 2011, ha dichiarato che «pericoli per la pubblica e privata incolumità non esistono. Sicuramente non esistono con caratteristiche di urgenza o immediatezza, ma non esistono nemmeno allo stato di avanzamento dei lavori in maniera diciamo prevedibile».
  È stato inoltre condiviso un protocollo d'intesa, tra regione Emilia Romagna, comune di San Benedetto Val di Sambro ed Aspi, nell'ambito del quale si è costituito un collegio di tecnici e di periti con il compito di acquisire le informazioni tempestive sulla eventuale presenza, consistenza e progressione delle lesioni che dovessero verificarsi durante l'esecuzione dei lavori di detta galleria, al fine di garantire la pubblica incolumità degli abitanti.
  Sostenuti da un capillare monitoraggio del versante e degli edifici, i lavori di scavo sono in via di conclusione senza aver generato particolari criticità.
  Al momento, si ha conferma che il disturbo al versante, dovuto al passaggio del fronte di scavo, si stabilizzerà una volta completata la galleria. Si ricorda al riguardo che la canna nord risulta già completamente forata e residuano 50 metri in canna sud per il completamento dello scavo.
  Inoltre, per quanto riguarda l'abitato di Santa Maria Maddalena, nel comune di Ripoli, la strumentazione presente nel versante ha consentito di attivare un importante sistema di monitoraggio, al fine di ricostruire un modello sempre più accurato dell'interazione tra gli scavi in sotterraneo e gli effetti in superficie.
  Per monitorare in modo completo l'intero versante, interessato dal centro abitato e dalla sovrastante autostrada attualmente in esercizio, nonché il settore di valle, in prossimità del tracciato delle gallerie in costruzione, sono state messe in opera diverse strumentazioni, sia profonde che superficiali, per la misurazione finalizzata al controllo delle soglie di attenzione/preallarme/allarme previste nel «Piano comunale di emergenza di protezione civile» (soglie maggiormente cautelative rispetto a quelle individuate nella letteratura tecnico/scientifica).
  Ad oggi, le risultanze strumentali confermano una chiara tendenza alla stabilizzazione del versante. Sono monitorati tutti gli edifici potenzialmente critici – circa centoquaranta – e per i quali è stato redatto il testimoniale di stato. Per novantuno edifici vengono eseguite misure in automatico e i restanti, per i quali non è possibile tale modalità a causa di ostacoli fisici che ne impediscono la lettura, sono soggetti a sopralluoghi, controlli e verifiche da parte dei tecnici incaricati.
  Per quanto riguarda le famiglie raggiunte da ordinanza di sgombero, si fa presente che la stessa si è resa necessaria per situazioni di danno pregresso, prevedendo la delocalizzazione a titolo cautelativo per dieci fabbricati, di cui quattro non abitati. Dette operazioni hanno interessato dodici nuclei familiari residenti. Con alcuni proprietari si sono già conclusi gli accordi per il riconoscimento dei danni, valutati dal collegio dei periti, altri sono in corso di definizione.
  Per tutte le famiglie delocalizzate in via cautelativa è stata prevista una sistemazione provvisoria alternativa e il pagamento di tutte le spese connesse o, a scelta, la corresponsione di un indennizzo mensile omnicomprensivo.
  In merito, poi, al viadotto Rio Piazza nel comune di Ripoli posizionato lungo l'autostrada A1 parallelamente alla variante e sulla cui stabilità gli abitanti hanno rappresentato preoccupazioni, si evidenzia che il viadotto ha una lunghezza complessiva di 304 metri in destra e di 236 metri in sinistra ed ha travi semplicemente appoggiate e consente all'impalcato, che ospita la sede stradale, di assecondare gli spostamenti senza incrementare le sollecitazioni sulle parti strutturali dello stesso.
  Dall'analisi dei dati di monitoraggio topografico effettuato sull'opera si è registrato uno spostamento massimo pari a 12,6 cm. Nel mese di luglio 2012, solo al fine preventivo, si è attuata una strategia di contrasto, in modo da consentire un più ampio movimento senza riflesso alcuno per la percorribilità e la sicurezza del viadotto stesso.
  Successivamente, nell'aprile 2013, è stato effettuato l'intervento di sollevamento e riposizionamento degli impalcati; ad ulteriore margine di sicurezza potranno essere realizzati, qualora necessari, ulteriori riposizionamenti.
  Ai fini di una ulteriore tutela del versante e delle opere in esso presenti, Aspi ha già realizzato la regimazione idraulica del Rio Piazza e redatto un progetto di «sistemazione idraulica del versante sia profonda che superficiale (pozzi profondi e dreni sub – orizzontali)» per il quale è in corso la verifica di assoggettabilità alla Via e la conferenza di servizi che si è riunita in prima seduta il 24 luglio 2014.
  Per quanto attiene alla Galleria Sparvo, nella giornata del 21 novembre 2013, si è evidenziato un distacco del calcestruzzo del copriferro del concio n. 884 alla progressiva 3+120 della galleria, con una conseguente deformazione del ferro di intradosso di armatura. Sono stati attivati rilievi topografici, geotecnici e strutturali atti a valutare l'estensione del fenomeno e il grado di sollecitazione dei conci di rivestimento definitivo.
  I fenomeni riscontrati sono da associare allo specifico contesto geologico, geomorfologico e geotecnico del settore di galleria interessato dal contatto intraformazionale tra le formazioni del Monte Venere e delle argille a palombini, contatto caratterizzato dalla presenza di un sovrascorrimento. L'evento è riconducibile, pertanto, ad un fenomeno di versante e tettonico, attivatosi nel settore della galleria.
  Le prove effettuate hanno consentito di evidenziare un notevole stato di sollecitazione dei rivestimenti, in particolare nel settore di galleria interessato dai passaggi strutturali. Sono stati individuati valori tensionali superiori rispetto a quanto ipotizzabile in fase progettuale, ma comunque sufficientemente lontani dai limiti di rottura dei conci. Il sistema di scavo adottato è quello che disturba meno l'ammasso da attraversare ed è stato effettuato con l'attrezzatura tecnologicamente più avanzata ad oggi disponibile.
  La soluzione progettuale prescelta per il ripristino della galleria prevede l'inserimento di un sistema di rinforzo, misto in acciaio e calcestruzzo, atto ad assorbire per intero l'attuale quadro tensionale del rivestimento esistente e l'evoluzione prevista delle sollecitazioni.
  I costi di realizzazione stimati nel 1997 per la variante di valico, quando Aspi assunse l'impegno a realizzare la variante di valico, inclusi gli interventi sul territorio, erano pari a 2.5 miliardi di euro, con una situazione autorizzativa non finalizzata e sulla base di una progettazione di massima e pertanto non ancora esecutiva.
  Ad oggi, i costi stimati ammontano a 3.9 miliardi di euro. Tutti i maggiori costi di intervento a termine di convenzione unica sono a totale carico di Aspi, pertanto tali somme non contribuiscono a generare aumento tariffario sulla rete in concessione. L'avanzamento dei lavori è, oggi, pari a circa il 95 per cento.
  In merito all'operatività della variante, si comunica che l'obiettivo è l'apertura al traffico entro l'autunno del 2015.
  Infine, con riferimento alla controversia tra il committente e l'impresa esecutrice dei lavori, si comunica che la stessa si riferisce ai lavori dei lotti 6-7 della variante di valico e ha trovato risoluzione attraverso la sottoscrizione di un atto transattivo tra le parti.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   COSTANTINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Serra San Bruno (Vibo Valentia) ha deciso di vendere gli alberi secolari. In tempi di crisi, l'amministrazione del sindaco Bruno Rosi ha deciso di non andare troppo per il sottile e di tagliare uno dei boschi più pregiati del territorio serrese;
   secondo una delibera comunale, il 25 marzo 2014 avrà luogo l'asta pubblica, con il sistema delle offerte segrete, per la vendita di materiale legnoso ottenuto dal taglio di tre lotti appartenenti al demanio comunale «Archiforo». Si tratta di boschi che si trovano nel cuore del Parco naturale regionale delle Serre, indicato «come sito di importanza comunitaria – zona di riserva generale orientata»;
   nel dettaglio, il bando di gara riguarda l'abbattimento di 2.603 piante di cui ben 1.090 esemplari di rarissimo abete bianco, conosciuto come il «principe dei boschi». Questi giganti della montagna saranno trasformati in legna per l'industria nel tentativo di risanare il deficit di bilancio, ma per il territorio significherà privarsi di un patrimonio più unico che raro;
   i boschi secolari delle Serre non sono nuovi a massicce operazioni di taglio. Solo negli ultimi 13 mesi sono stati abbattuti 9.291 alberi;
   lo stesso comandante regionale del Corpo forestale, Giuseppe Graziano, ha auspicato «un passo indietro» della giunta comunale: «I Patriarchi, capostipiti dei nostri boschi, rappresentano un patrimonio per la biodiversità e per le generazioni future che devono essere individuati e tutelati, e che rappresentano per la Calabria un patrimonio da rispettare, salvaguardare e godere» –:
   se non intenda chiarire se il previsto taglio del bosco dell'Achifòro sia compatibile con quanto previsto dalla legge n. 10 del 2013 e con il contributo economico comunitario ricevuto dal parco delle Serre per la valorizzazione del bosco;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative urgenti intenda intraprendere al fine di scongiurare il taglio degli alberi monumentali dell'area. (4-04155)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, riferisco che la tutela degli alberi monumentali è garantita dalla legge 14 gennaio 2013, n. 10, che all'articolo 7 «disposizioni per la tutela e la salvaguardia degli alberi monumentali, dei filari e delle alberate di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale» definisce, al comma 1, l'albero monumentale in maniera univoca e, al comma 4, stabilisce sanzioni amministrative per l'abbattimento o danneggiamento di alberi monumentali.
  Preciso che, l'attuazione delle disposizioni del citato articolo 7 è subordinata, secondo il comma 2 del medesimo articolo, all'emanazione, entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge stessa, di un decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali e il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo n. 281 del 1997, che individui i predetti principi e i criteri direttivi per il censimento degli alberi monumentali e che istituisca l'elenco degli alberi monumentali d'Italia.
  Tale decreto interministeriale, acquisito il parere favorevole della Conferenza unificata il 5 agosto 2014, è in corso di emanazione.
  Rilevo, infine che, la regione Calabria può, ai sensi della propria legge regionale 7 dicembre 2009, n. 47, recante «Tutela e valorizzazione degli alberi monumentali e della flora spontanea autoctona della Calabria», provvedere alla schedatura delle piante e all'attuazione delle misure di tutela previste per gli alberi censiti.
  Il Corpo forestale dello Stato è stato individuato quale ente gestore dell'elenco nazionale degli alberi monumentali.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   D'AGOSTINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della così detta terra dei fuochi, suscita una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare, universalmente riconosciuto come straordinaria leva competitiva «ad alto valore aggiunto» per lo sviluppo del Paese;
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltre modo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella regione;
   il fenomeno dell'inquinamento atmosferico, del suolo e delle acque, che interessa le zone comprese nella terra dei fuochi dovrà essere affrontato con azioni strategiche miranti, oltre che a sanare le situazioni di emergenza ambientale in agricoltura, anche a superare le criticità che hanno fatto crollare il mercato dei prodotti agricoli e agroalimentari, nel tentativo di recuperare il danno di immagine e di reputazione che l'intero settore ha accusato a livello campano;
   deve essere ricordato, infatti, che l'agroalimentare made in Italy registra un fatturato nazionale superiore ai 266 miliardi di euro, anche grazie e sopra tutto, alla produzione della regione Campania, e rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo;
   l'agricoltura italiana, con un totale di circa 820 mila aziende, rappresenta circa il 15 per cento del totale delle imprese attive italiane;
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale non è legato solo alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   nonostante le difficoltà in cui versa l'intera economia italiana ed il deciso rallentamento del prodotto interno lordo nazionale registrato nel corso degli ultimi anni, secondo i dati Istat relativi ai primi sette mesi dell'anno, nel 2013 l'Italia ha fatto segnare il record nel valore delle esportazioni agroalimentari, arrivato a 34 miliardi di euro;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari, la contraffazione e la pirateria, garantisce la solidità delle imprese agricole italiane e tutela l'immagine ed il valore del made in Italy;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   occorre ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
   il mercato interno, deve prevenire e contrastare l'usurpazione e la denigrazione del made in Italy, ponendosi come garante della qualità, della salubrità, delle caratteristiche e dell'origine dei prodotti alimentari italiani, in quanto elementi funzionali a garantire la salute ed il benessere dei consumatori ed il loro diritto ad una alimentazione sana, corretta e fondata su scelte di acquisto e di consumo consapevoli;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale — considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore — ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   l'usurpazione e la denigrazione del made in Italy minacciano la solidità e provocano gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa;
   il codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
   la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione ed arreca danno al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale –:
   quali determinazioni si intendano assumere in particolare, tramite il Corpo forestale dello Stato, per applicare la definizione precisa dell'effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis della legge 24 dicembre 2003, n. 350, sulla tutela del made in Italy, tenuto anche conto della necessità di ripristinare un dialogo di fiducia con i consumatori rispetto alla qualità e alla sicurezza dei prodotti agroalimentari. (4-02844)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si riferisce quanto segue.
  La conoscenza del Paese di origine o del luogo di provenienza di un prodotto agroalimentare rappresenta un requisito imprescindibile per l'orientamento all'acquisto dei consumatori, a garanzia del diritto all'informazione e della possibilità di compiere scelte consapevoli.
  In aggiunta, soprattutto per il nostro Paese, si pone come fattore strategico per la tutela della nostra eccellenza produttiva, alla luce di una diffusa pratica contraffattiva e imitativa, che rappresenta un danno noto e ingente al potenziale economico, culturale e sociale del settore agroalimentare.
  Tenendo ben presenti tali considerazioni, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha sempre fortemente sostenuto, in sede europea, l'indicazione obbligatoria del Paese d'origine o del luogo di provenienza dei prodotti, concertando la posizione negoziale con il Dicastero della salute, al fine di difendere l'identità la competitività della produzione italiana sui mercati internazionali ed esteri e il diritto dei consumatori alla trasparenza delle informazioni sulla tracciabilità.
  Infatti, anche grazie all'impegno e al sostegno del nostro Paese, il 13 dicembre 2013 è stato emanato il regolamento di esecuzione della Commissione n. 1337 del 2013 che, oltre a stabilire i criteri di etichettatura per gli operatori del settore alimentare delle carni fresche, refrigerate o congelate di suino, ovino, caprino e di volatili, destinate alla commercializzazione, introduce la prescrizione relativa all'indicazione del Paese d'origine o luogo di provenienza ove gli animali sono stati allevati e macellati.
  In seguito, il Parlamento europeo, con risoluzione del 6 febbraio 2014, ha invitato la Commissione a ritirare il predetto regolamento di esecuzione e a redigerne una versione riveduta che preveda l'indicazione obbligatoria, sull'etichetta, del luogo di nascita nonché dei luoghi di allevamento e di macellazione dell'animale per le carni non trasformate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili, in conformità della legislazione vigente in materia di etichettatura di origine delle carni bovine (regolamento CE n. 1760 del 2000 – Titolo II).
  In ogni caso, la modifica al quadro normativo europeo di riferimento rappresenta un eccellente risultato per i consumatori, cui garantisce una maggiore conoscibilità dei prodotti attraverso le informazioni in etichetta, ma anche un importante passo avanti in favore delle più efficaci azioni che possono essere attuate a tutela del made in Italy.
  Invero, le variazioni apportate al testo originario proposto dalla Commissione (tra le quali il raddoppio del periodo minimo di allevamento per poter indicare in etichetta il Paese di allevamento dell'animale) hanno consentito di fare maggiore chiarezza sulle procedure da seguire per l'apposizione delle diciture in etichetta (anche per la carne suina, nelle varie fasi di commercializzazione) e di fornire al consumatore valide informazioni circa la realtà produttiva.
  Il predetto regolamento di esecuzione (che si applicherà dal 1o aprile 2015), oltre a concedere di integrare, su base volontaria e nel rispetto degli articoli 36 e 37 del regolamento n. 1169 del 2011, le informazioni sull'origine con ulteriori informazioni relative alla provenienza della carne (tra cui, un livello geografico più dettagliato), consente di utilizzare il termine «origine» solo nel caso di animali nati, allevati e macellati nello stesso Paese e dispone che l'indicazione del luogo di provenienza delle carni, avvenga nel seguente modo;
   per tutte le specie: l'indicazione «origine Italia» può essere utilizzata solo se l'animale è nato, allevato e macellato in Italia;
   per gli ovini e i caprini: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale ha trascorso almeno gli ultimi 6 mesi in Italia ovvero viene macellato sotto i 6 mesi ed ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia;
   per il pollame: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale ha trascorso almeno l'ultimo mese in Italia, ovvero viene macellato sotto 1 mese di età ed ha trascorso l'intero periodo di ingrasso in Italia;
   per i suini: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale viene macellato sopra i 6 mesi e ha trascorso almeno gli ultimi 4 mesi in Italia; se è entrato in Italia ad un peso inferiore ai 30 kg e macellato ad un peso superiore ai 80 kg e, infine, se l'animale viene macellato ad un peso inferiore agli 80 kg e ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia.

  È bene tuttavia ricordare che, a livello nazionale, oltre il 70 per cento dell'intera produzione suinicola italiana già produce carne nel rispetto delle disposizioni dei Disciplinari delle denominazioni di origine protetta (Dop) e delle indicazioni ideografiche protette (Igp).
  In particolare, i disciplinari dei prodotti della salumeria Dop e Igp italiani, approvati a livello europeo, impongono che i suini appartengano a determinate razze appositamente selezionate, vengano allevati in condizioni di benessere e secondo un programma alimentare studiato per le diverse fasi di allevamento. Peraltro, gli allevatori e i macelli aderenti ai circuiti delle produzioni Dop ed Igp sono controllati dal istituti, pubblici o privati, designati dal Ministero, che monitorano la certificazione dei capi suini destinati alla trasformazione in prodotti Dop e Igp, le movimentazioni degli animali verso altri allevamenti e/o macelli nonché le fasi di macellazione, trasformazione ed eventuale confezionamento.
  Peraltro, il circuito di questi prodotti di qualità include un insieme di operatori iscritti ad un sistema organizzato e controllato della produzione. In pratica, la provenienza della materia prima utilizzata viene tracciata seguendo il seguente percorso: allevamento in cui è nato il suino; allevamento che lo ha avviato al macello; macello; laboratorio di sezionamento e trasformazione.
  Nel dettaglio, l'allevamento di nascita appone sulla coscia dell'animale (entro il 30o giorno di vita) un timbro indelebile (tatuaggio) recante il proprio codice e il mese di nascita dell'animale. Successivamente, l'allevamento da cui i suini partono per il macello certifica, tramite la certificazione unificata di conformità (Cuc), gli animali della partita avviata alla macellazione, indicando i tatuaggi relativi all'allevamento di nascita dei suini, della partita nonché il tipo genetico prevalente. Detta certificazione è accompagnata da eventuali certificati relativi agli spostamenti dei suini in allevamenti diversi da quello di nascita. Il macello, tramite timbro indelebile impresso sulla cotenna, appone poi il proprio codice di identificazione su ogni coscia, dopo aver accertato i requisiti previsti dal disciplinare di produzione. Lo stagionatore, infine, identifica e registra l'inizio del processo di stagionatura. Nel caso dei prosciutti Dop di Parma e di San Daniele viene apposto sulle cosce un sigillo metallico prenumerato.
  Peraltro, presso gli stabilimenti di macellazione e lavorazione delle carni suine vengono garantiti i controlli ufficiali dei servizi veterinari delle aziende sanitarie locali che, nella verifica dell'applicazione dei regolamenti europei afferenti al pacchetto igiene (regolamenti n. 178 del 2002 e nn. 852, 853, 854 e 882 del 2004), esaminano anche gli aspetti relativi alla rintracciabilità dei prodotti così come disposto dall'articolo 18 del regolamento n. 178 del 2002.
  In ogni caso, è certo che la sicurezza e la qualità degli alimenti possono essere maggiormente garantite attraverso un elevato livello di collaborazione e coordinamento tra diverse amministrazioni. Tale principio è ben consolidato e su di esso si fonda la normativa europea vigente in materia. In particolare, il regolamento n. 882 del 2004 prevede che ciascun Paese membro predisponga un Piano di controllo nazionale che assicuri un approccio multidisciplinare per la pianificazione, lo svolgimento e la rendicontazione dei controlli ufficiali.
  A tal fine, il Ministero della salute è il punto di raccordo nazionale per il Piano nazionale integrato (Pni) che nasce dall'intensa e proficua collaborazione con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, i nuclei del Comando dei Carabinieri (Nas, Nac e Noe), le capitanerie di porto, il Corpo forestale dello Stato e la Guardia di Finanza. Sia il Pni 2011-2014 che le Relazioni annuali (ove sono raccolti i dati delle attività svolte dalle citate amministrazioni), sono pubblicati sul portale del Ministero della salute.
  Ricordo, inoltre, che l'articolo 8, comma 4, del decreto-legge 18 giugno 1986, n. 282 convertito con modificazioni, dalla legge n. 462 del 1986 stabilisce che presso il Ministero della salute è istituito l'elenco pubblico delle ditte commerciali e dei produttori che abbiano riportato condanne con sentenza passata in giudicato per reati di frode e di sofisticazione alimentare. Il Ministro della salute ne cura annualmente la pubblicazione, con riferimento alle condanne intervenute nell'anno precedente, nella Gazzetta Ufficiale e in almeno due quotidiani a diffusione nazionale.
  A tal riguardo, mi preme sottolineare l'intensa attività di controllo espletata dal Corpo forestale dello Stato sul territorio nazionale, finalizzata al contrasto del fenomeno del falso made in Italy e del cosiddetto italian sounding, ossia l'utilizzo fuorviante, sull'imballaggio dei prodotti agroalimentari, di etichette o simboli che esaltino l'italianità dei luoghi d'origine della materia prima, della ricetta e del marchio.
  L'obiettivo è quello di rendere conoscibili le filiere e la tracciabilità degli alimenti per il consumatore, basandosi sulla considerazione che i valori alimentari, territoriali, ambientali, culturali e di agro biodiversità rappresentano un bene collettivo dell'Italia come anche dell'Unione europea da individuare, pubblicizzare, valorizzare e difendere in modo differente e specifico rispetto agli altri settori manifatturieri, in ragione che l'alimento riguarda i valori di tutela per l'uomo.
  Nel corso del 2013, in particolare, il Corpo forestale dello Stato ha posto in essere un'attività sanzionatoria contro il falso made in Italy a tutela sia dei consumatori, che dei produttori onesti, penalizzati da una concorrenza sleale nel libero scambio delle proprie merci all'interno dall'Unione. I controlli eseguiti, oltre a costituire un efficace monitoraggio del made in Italy agroalimentare, hanno consentito il sequestro di circa 600 tonnellate di prodotti e la comunicazione di oltre 170 notizie di reato alla procura della Repubblica italiana, assicurando la repressione di tutte quelle condotte penalmente rilevanti che si siano poste in evidente contrasto con il leale svolgimento degli scambi commerciali e con la trasparenza informativa nei riguardi del consumatore.
  Vorrei poi ricordare che il decreto-legge 24 giugno 2014, n.91, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, all'articolo 3 (Interventi per il sostegno del made in Italy) prevede che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali svolga una consultazione pubblica tra i consumatori per valutare in quale misura, nelle informazioni relative ai prodotti alimentari, venga percepita come significativa l'indicazione relativa al luogo di origine o di provenienza dei prodotti alimentari e della materia prima agricola utilizzata nella preparazione o nella produzione degli stessi e quando l'omissione delle medesime indicazioni sia ritenuta ingannevole. I risultati delle consultazioni effettuate saranno resi pubblici e trasmessi alla Commissione europea.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   GAGNARLI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'attività venatoria in Italia è regolata dalla legge n. 157 del 11 febbraio 1992, recentemente modificata dalla legge n. 97 del 6 agosto 2013, recante norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio;
   la legge europea 2013, approvata dalla Camera in via definitiva il 31 luglio 2013, tra gli altri contenuti, va a sanare la non corretta applicazione nell'ordinamento interno della direttiva 2009/147/CE (direttiva uccelli) con riferimento, prevalentemente, alla necessità di istituire le rotte di migrazione per tutte le specie dell'avifauna e all'introduzione di un meccanismo che renda più stringente l'adozione delle delibere sulla caccia in deroga, e più efficace il controllo di legittimità, attraverso l'adozione delle stesse delibere con atto amministrativo;
   l'Italia risulta essere quarto Paese europeo per numero di cacciatori e terzo come rapporto tra superficie e numero di cacciatori;
   a livello regionale, la Toscana aveva disciplinato la materia con la legge regionale n. 3 del 1994, volta a garantire una pressione venatoria sostenibile e un legame stretto tra il cacciatore e il territorio dove esercita il suo passatempo preferito; la norma sostanzialmente concedeva la possibilità di prelievi venatori solo tre giorni alla settimana, solo nel proprio territorio di residenza o in un «ambito territoriale» definito, limiti di carniere, specie particolarmente protette, pene severe e controlli rigidi;
   secondo fonti stampa on-line (http://www.greenreport.it) a seguito delle modifiche della normativa venatoria avvenute spesso in periodo elettorale, un po’ per volta, negli anni, in Toscana si è concesso troppo alla categoria dei cacciatori, in contrasto con le direttive europee di tutela delle specie protette: la situazione attuale permetterebbe ai cacciatori di esercitare in qualsiasi territorio, per cinque giorni alla settimana, con l'obbligo di annotare i capi abbattuti – per verificare che non vengano superati i limiti di carniere – ma solo «a fine giornata». Ai cacciatori scorretti, pertanto, basterebbe riporre nell'auto le prede più volte durante la battuta di caccia per far ripartire da zero il «conteggio», determinando inevitabilmente una caccia senza regole ed una pressione venatoria insostenibile, soprattutto nel delicatissimo periodo della migrazione;
   nella situazione attuale, per giunta, l'apparato sanzionatorio pare abbia perso molta della sua efficacia, in quanto tenderebbe a preservare le licenze di caccia ed il porto d'armi e renderebbe più semplice «pagare» per non aver annotato i numeri della giornata di caccia, piuttosto che essere sanzionati per aver abbattuto una dozzina di rapaci in una mattinata;
   a titolo di esempio, al Centro recupero uccelli marini e acquatici della LIPU di Livorno in sei giorni, dall'11 al 16 di ottobre – tra i quali due di «silenzio venatorio» – sono arrivati 5 rapaci: 3 sparvieri, 1 gheppio e 1 lodolaio – specie «particolarmente protette» il cui abbattimento è reato penale – con ferite da arma da fuoco e pallini piantati dappertutto; praticamente due rapaci ogni giorno di attività venatoria;
   ipotizzando – con ottimismo – che i rapaci ricoverati siano il 5 per cento di quelli abbattuti, si può stimare un abbattimento di circa quaranta rapaci al giorno, più di ottocento nel solo mese di ottobre e solo nel «bacino di utenza» del Centro recupero di Livorno –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della disomogeneità del quadro normativo regionale, specie in relazione a quanto previsto dalla legislazione nazionale in materia e del costante aumento del livello di rischio di incolumità fisica che può comportare il transito attraverso le campagne italiane, anche solo a titolo ricreativo, a causa dell'attuale disadeguamento della normativa venatoria di alcune regioni, tra cui la Toscana citata in premessa e quali iniziative di competenza si intendano assumere in merito. (4-02398)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione indicata in esame, faccio presente che la normativa di riferimento per la Regione Toscana è rappresentata dalla legge regionale 12 gennaio 1994, n. 3, e successive modifiche e integrazioni, dalla legge regionale 10 giugno 2002, n. 20 e dal regolamento di attuazione approvato con D.P.G.R. 33/r/2011.
  In particolare, l'articolo 1, comma 3, della richiamata legge regionale della Toscana n. 20 del 2002, che recepisce l'articolo 18, comma 6, della legge n. 157 del 1992, prevede che «Nel periodo dal 1o ottobre al 30 novembre di ogni anno, fermo restando il divieto di caccia nei giorni di martedì e venerdì, è consentito ad ogni cacciatore, per la caccia da appostamento alla selvaggina migratoria, di usufruire anche in modo continuativo delle giornate di caccia a propria disposizione per l'intera stagione venatoria».
  Ciò posto, preciso che la normativa regionale non prevede una facoltà di cacciare per 5 giorni alla settimana, bensì nel periodo indicato direttamente dalla legge nazionale.
  Per quanto concerne l'obbligo di segnare la selvaggina cacciata sul tesserino venatorio, l'articolo 6, comma 2, della legge regionale n. 20 del 2002 prevede che «Il cacciatore, all'inizio della giornata venatoria, deve marcare, con un segno (o) o (o), mediante penna indelebile di colore scuro, preferibilmente nero, gli appositi spazi del tesserino venatorio in corrispondenza della data della giornata di caccia e dell'ATC o istituto privato».
  Peraltro, il cacciatore deve indicare l'eventuale mobilità e la fruizione continuativa delle giornate di caccia alla selvaggina migratoria da appostamento e deve altresì, indicare, dopo l'abbattimento, ogni capo di selvaggina stanziale e di beccaccia; per la selvaggina migratoria invece, deve essere indicato negli appositi spazi al termine della giornata di caccia, il numero dei capi abbattuti.
  Evidenzio, altresì che il tesserino venatorio consente l'effettuazione di un numero complessivo di giornate pari a quelle a disposizione di ogni cacciatore per l'intera stagione venatoria (terza domenica di settembre – 31 gennaio).
  Mi preme sottolineare che la regola generale secondo cui la selvaggina migratoria abbattuta deve essere segnata sul tesserino venatorio, non è applicabile in caso di abbattimenti in deroga ex articolo 9 della direttiva 147/2009/CE a seguito dell'entrata in vigore della legge 6 agosto 2013, n. 97 (legge europea 2013), che con l'articolo 26, comma 2, ha sostituito l'articolo 19-bis, della legge n. 157 del 1992.
  Tuttavia, dopo l'approvazione dell'ultimo provvedimento di applicazione delle deroghe (deliberazione OR 712 del 26/08/2013), la Regione Toscana ha dotato i cacciatori autorizzati al prelievo in deroga di apposito tesserino per la segnatura dei capi «subito dopo l'abbattimento/recupero» (decreto dirigenziale n. 36114 del 11 settembre 2013).
  Preciso che, il quadro sanzionatorio di riferimento ed i soggetti abilitati ad esercitare il controllo sul territorio sono indicati direttamente nella legge regionale n. 3 del 1994, mentre il coordinamento della vigilanza venatoria ed in generale la funzione amministrativa relativa all'applicazione delle sanzioni sono affidati alla Provincia competente sul territorio. Pertanto, la norma regionale in esame, non appare in contrasto con la legge n. 157 del 1992.
  Infine informo che questo Ministero in accordo con i Ministeri dell'ambiente e; della tutela del territorio e del mare e dell'interno, la Conferenza Stato/regioni e l'Ispra, ha recentemente istituito un apposito gruppo di lavoro per predisporre eventuali modifiche alla citata legge n. 157 del 1992.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della così detta terra dei fuochi, suscita una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare, universalmente riconosciuto come straordinaria leva competitiva «ad alto valore aggiunto» per lo sviluppo del Paese;
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella regione;
   il fenomeno dell'inquinamento atmosferico, del suolo e delle acque, che interessa le zone comprese nella terra dei fuochi dovrà essere affrontato con azioni strategiche miranti, oltre che a sanare le situazioni di emergenza ambientale in agricoltura, anche a superare le criticità che hanno fatto crollare il mercato dei prodotti agricoli e agroalimentari, nel tentativo di recuperare il danno di immagine e di reputazione che l'intero settore ha accusato a livello campano;
   deve essere ricordato, infatti, che l'agroalimentare made in Italy registra un fatturato nazionale superiore ai 266 miliardi di euro, anche grazie e sopra tutto, alla produzione della regione Campania, e rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo;
   l'agricoltura italiana, con un totale di circa 820 mila aziende, rappresenta circa il 15 per cento del totale delle imprese attive italiane;
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale non è legato solo alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   nonostante le difficoltà in cui versa l'intera economia italiana ed il deciso rallentamento del prodotto interno lordo nazionale registrato nel corso degli ultimi anni, secondo i dati Istat relativi ai primi sette mesi dell'anno, nel 2013 l'Italia ha fatto segnare il record nel valore delle esportazioni agroalimentari, arrivato a 34 miliardi di euro;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari, la contraffazione e la pirateria, garantisce la solidità delle imprese agricole italiane e tutela l'immagine ed il valore del made in Italy;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   occorre ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
   il mercato interno deve prevenire e contrastare l'usurpazione e la denigrazione del made in Italy, ponendosi come garante della qualità, della salubrità, delle caratteristiche e dell'origine dei prodotti alimentari italiani, in quanto elementi funzionali a garantire la salute ed il benessere dei consumatori ed il loro diritto ad una alimentazione sana, corretta e fondata su scelte di acquisto e di consumo consapevoli;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   l'usurpazione e la denigrazione del made in Italy minacciano la solidità e provocano gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa;
   il codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
   la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione ed arreca danno al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale –:
   quali determinazioni si intendano assumere, in particolare tramite il Corpo forestale dello Stato, per applicare la definizione precisa dell'effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 sulla tutela del made in Italy, tenuto anche conto della necessità di ripristinare un dialogo di fiducia con i consumatori rispetto alla qualità e alla sicurezza dei prodotti agroalimentari. (4-02814)

  Risposta. — La conoscenza del Paese di origine o del luogo di provenienza di un prodotto agroalimentare rappresenta un requisito imprescindibile per l'orientamento all'acquisto dei consumatori, a garanzia del diritto all'informazione e della possibilità di compiere scelte consapevoli.
  In aggiunta, soprattutto per il nostro Paese, si pone come fattore strategico per la tutela della nostra eccellenza produttiva, alla luce di una diffusa pratica contraffattiva e imitativa, che rappresenta un danno noto e ingente al potenziale economico, culturale e sociale del settore agroalimentare.
  Tenendo ben presenti tali considerazioni, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha sempre fortemente sostenuto, in sede europea, l'indicazione obbligatoria del Paese d'origine o del luogo di provenienza dei prodotti, concertando la posizione negoziale con il Dicastero della salute, al fine di difendere l'identità la competitività della produzione italiana sui mercati internazionali ed esteri e il diritto dei consumatori alla trasparenza delle informazioni sulla tracciabilità.
  Infatti, anche grazie all'impegno e al sostegno del nostro Paese, il 13 dicembre 2013 è stato emanato il regolamento di esecuzione della Commissione n. 1337 del 2013 che, oltre a stabilire i criteri di etichettatura per gli operatori del settore alimentare delle carni fresche, refrigerate o congelate di suino, ovino, caprino e di volatili, destinate alla commercializzazione, introduce la prescrizione relativa all'indicazione del Paese d'origine o luogo di provenienza ove gli animali sono stati allevati e macellati.
  In seguito, il Parlamento europeo, con risoluzione del 6 febbraio 2014, ha invitato la Commissione a ritirare il predetto regolamento di esecuzione e a redigerne una versione riveduta che preveda l'indicazione obbligatoria, sull'etichetta, del luogo di nascita nonché dei luoghi di allevamento e di macellazione dell'animale per le carni non trasformate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili, in conformità della legislazione vigente in materia di etichettatura di origine delle carni bovine (regolamento CE n. 1760 del 2000 – Titolo II).
  In ogni caso, la modifica al quadro normativo europeo di riferimento rappresenta un eccellente risultato per i consumatori, cui garantisce una maggiore conoscibilità dei prodotti attraverso le informazioni in etichetta, ma anche un importante passo avanti in favore delle più efficaci azioni che possono essere attuate a tutela del made in Italy.
  Invero, le variazioni apportate al testo originario proposto dalla Commissione (tra le quali il raddoppio del periodo minimo di allevamento per poter indicare in etichetta il Paese di allevamento dell'animale) hanno consentito di fare maggiore chiarezza sulle procedure da seguire per l'apposizione delle diciture in etichetta (anche per la carne suina, nelle varie fasi di commercializzazione) e di fornire al consumatore valide informazioni circa la realtà produttiva.
  Il predetto regolamento di esecuzione (che si applicherà dal 1° aprile 2015), oltre a concedere di integrare, su base volontaria e nel rispetto degli articoli 36 e 37 del regolamento n. 1169 del 2011, le informazioni sull'origine con ulteriori informazioni relative alla provenienza della carne (tra cui, un livello geografico più dettagliato), consente di utilizzare il termine «origine» solo nel caso di animali nati, allevati e macellati nello stesso Paese e dispone che l'indicazione del luogo di provenienza delle carni avvenga nel seguente modo:
   per tutte le specie: l'indicazione «origine Italia» può essere utilizzata solo se l'animale è nato, allevato e macellato in Italia;
   per gli ovini e i caprini: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale ha trascorso almeno gli ultimi 6 mesi in Italia ovvero viene macellato sotto i 6 mesi ed ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia;
   per il pollame: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale ha trascorso almeno l'ultimo mese in Italia, ovvero viene macellato sotto 1 mese di età ed ha trascorso l'intero periodo di ingrasso in Italia;
   per i suini: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale viene macellato sopra i 6 mesi e ha trascorso almeno gli ultimi 4 mesi in Italia; se è entrato in Italia ad un peso inferiore ai 30 kg e macellato ad un peso superiore ai 80 kg e, infine, se l'animale viene macellato ad un peso inferiore agli 80 kg e ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia.

  È bene tuttavia ricordare che, a livello nazionale, oltre il 70 per cento dell'intera produzione suinicola italiana già produce carne nel rispetto delle disposizioni dei disciplinari delle denominazioni di origine protetta (Dop) e delle indicazioni geografiche protette (Igp).
  In particolare, i disciplinari dei prodotti della salumeria Dop e Igp italiani, approvati a livello europeo, impongono che i suini appartengano a determinate razze appositamente selezionate, vengano allevati in condizioni di benessere e secondo un programma alimentare studiato per le diverse fasi di allevamento. Peraltro, gli allevatori e i macelli aderenti ai circuiti delle produzioni Dop ed Igp sono controllati da istituti, pubblici o privati, designati dal Ministero, che monitorano la certificazione dei capi suini destinati alla trasformazione in prodotti Dop e Igp, le movimentazioni degli animali verso altri allevamenti e/o macelli nonché le fasi di macellazione, trasformazione ed eventuale confezionamento.
  Peraltro, il circuito di questi prodotti di qualità include un insieme di operatori iscritti ad un sistema organizzato e controllato della produzione. In pratica, la provenienza della materia prima utilizzata viene tracciata seguendo il seguente percorso: allevamento in cui è nato il suino; allevamento che lo ha avviato al macello; macello; laboratorio di sezionamento e trasformazione.
  Nel dettaglio, l'allevamento di nascita appone sulla coscia dell'animale (entro il 30o giorno di vita) un timbro indelebile (tatuaggio) recante il proprio codice e il mese di nascita dell'animale. Successivamente, l'allevamento da cui i partono per il macello certifica, tramite la certificazione unificata di conformità (Cuc), gli animali della partita avviata alla macellazione, indicando i tatuaggi relativi all'allevamento di nascita dei suini, della partita nonché il tipo genetico prevalente. Detta certificazione è accompagnata da eventuali certificati relativi agli spostamenti dei suini in allevamenti diversi da quello di nascita. Il macello, tramite timbro indelebile impresso sulla cotenna, appone poi il proprio codice di identificazione su ogni coscia, dopo aver accertato i requisiti previsti dal disciplinare di produzione. Lo stagionatore, infine, identifica e registra l'inizio del processo di stagionatura. Nel caso dei prosciutti Dop di Parma e di San Daniele viene apposto sulle cosce un sigillo metallico prenumerato.
  Peraltro, presso gli stabilimenti di macellazione e lavorazione delle carni suine vengono garantiti i controlli ufficiali dei servizi veterinari delle aziende sanitarie locali che, nella verifica dell'applicazione dei regolamenti europei afferenti al pacchetto igiene (regolamenti n. 178 del 2002 e nn. 852, 853, 854 e 882 del 2004), esaminano anche gli aspetti relativi alla rintracciabilità dei prodotti cos’ come disposto dall'articolo 18 del regolamento n. 178 del 2002.
  In ogni caso, è certo che la sicurezza e la qualità degli alimenti possono essere maggiormente garantite attraverso un elevato livello di collaborazione e coordinamento tra diverse Amministrazioni. Tale principio è ben consolidato e su di esso si fonda la normativa europea vigente in materia. In particolare, il regolamento n. 882 del 2004 prevede che ciascun Paese membro predisponga un Piano di controllo nazionale che assicuri un approccio multidisciplinare per la pianificazione, lo svolgimento e la rendicontazione dei controlli ufficiali.
  A tal fine, il Ministero della salute è il punto di raccordo nazionale per il Piano nazionale integrato (Pni) che nasce dall'intensa e proficua collaborazione con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, i nuclei del Comando dei Carabinieri (Nas, Nac e Noe), le Capitanerie di porto, il Corpo forestale dello Stato e la Guardia di Finanza. Sia il Pni 2011-2014 che le relazioni annuali (ove sono raccolti i dati delle attività svolte dalle citate amministrazioni), sono pubblicati sul portale del Ministero della salute.
  Ricordo, inoltre, che l'articolo 8, comma 4, del decreto-legge 18 giugno 1986, n. 282 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 462 del 1986 stabilisce che presso il Ministero della sanità è istituito l'elenco pubblico delle ditte commerciali e dei produttori che abbiano riportato condanne con sentenza passata in giudicato per reati di frode e di sofisticazione alimentare. Il Ministro della sanità ne cura annualmente la pubblicazione, con riferimento alle condanne intervenute nell'anno precedente, nella Gazzetta Ufficiale e in almeno due quotidiani a diffusione nazionale.
  A tal riguardo, mi preme sottolineare l'intensa attività di controllo espletata dal Corpo forestale dello Stato sul territorio nazionale, finalizzata al contrasto del fenomeno del falso made in Italy e del cosiddetto italian sounding, ossia l'utilizzo fuorviante, sull'imballaggio dei prodotti agroalimentari, di etichette o simboli che esaltino l'italianità dei luoghi d'origine della materia prima, della ricetta e del marchio.
  L'obiettivo è quello di rendere conoscibili le filiere e la tracciabilità degli alimenti per il consumatore, basandosi sulla considerazione che i valori alimentari, territoriali, ambientali, culturali e di agro biodiversità rappresentano un bene collettivo dell'Italia come anche dell'Unione europea da individuare, pubblicizzare, valorizzare e difendere in modo differente e specifico rispetto agli altri settori manifatturieri, in ragione che l'alimento riguarda i valori di tutela per l'uomo.
  Nel corso del 2013, in particolare, il Corpo forestale dello Stato ha posto in essere un'attività sanzionatoria contro il falso made in Italy a tutela sia dei consumatori, che dei produttori onesti, penalizzati da una concorrenza sleale nel libero scambio delle proprie merci all'interno dall'Unione. I controlli eseguiti, oltre a costituire un efficace monitoraggio del made in Italy agroalimentare, hanno consentito il sequestro di circa 600 tonnellate di prodotti e la comunicazione di oltre 170 notizie di reato alla Procura della Repubblica italiana, assicurando la repressione di tutte quelle condotte penalmente rilevanti che si siano poste in evidente contrasto con il leale svolgimento degli scambi commerciali e con la trasparenza informativa nei riguardi del consumatore.
  Vorrei poi ricordare che il decreto-legge 24 giugno 2014, n.91, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, all'articolo 3 (Interventi per il sostegno del made in Italy) prevede che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali svolga una consultazione pubblica tra i consumatori per valutare in quale misura, nelle informazioni relative ai prodotti alimentari, venga percepita come significativa l'indicazione relativa al luogo di origine o di provenienza dei prodotti alimentari e della materia prima agricola utilizzata nella preparazione o nella produzione degli stessi e quando l'omissione delle medesime indicazioni sia ritenuta ingannevole. I risultati delle consultazioni effettuate saranno resi pubblici e trasmessi alla Commissione europea.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della cosiddetta terra dei fuochi, suscita una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare, universalmente riconosciuto come straordinaria leva competitiva «ad alto valore aggiunto» per lo sviluppo del Paese;
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella Regione;
   il fenomeno dell'inquinamento atmosferico, del suolo e delle acque, che interessa le zone comprese nella terra dei fuochi dovrà essere affrontato con azioni strategiche miranti, oltre che a sanare le situazioni di emergenza ambientale in agricoltura, anche a superare le criticità che hanno fatto crollare il mercato dei prodotti agricoli e agroalimentari, nel tentativo di recuperare il danno di immagine e di reputazione che l'intero settore ha accusato a livello campano;
   deve essere ricordato, infatti, che l'agroalimentare made in Italy registra un fatturato nazionale superiore ai 266 miliardi di euro, anche grazie e sopra tutto, alla produzione della regione Campania, e rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo;
   l'agricoltura italiana, con un totale di circa 820 mila aziende, rappresenta circa il 15 per cento del totale delle imprese attive italiane;
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale non è legato solo alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   nonostante le difficoltà in cui versa l'intera economia italiana ed il deciso rallentamento del prodotto interno lordo nazionale registrato nel corso degli ultimi anni, secondo i dati Istat relativi ai primi sette mesi dell'anno, nel 2013 l'Italia ha fatto segnare il record nel valore delle esportazioni agroalimentari, arrivato a 34 miliardi di euro;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari, la contraffazione e la pirateria, garantisce la solidità delle imprese agricole italiane e tutela l'immagine ed il valore del made in Italy;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   occorre, allora, ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
   il mercato interno deve prevenire e contrastare l'usurpazione e la denigrazione del made in Italy, ponendosi come garante della qualità, della salubrità, delle caratteristiche e dell'origine dei prodotti alimentari italiani, in quanto elementi funzionali a garantire la salute ed il benessere dei consumatori ed il loro diritto ad una alimentazione sana, corretta e fondata su scelte di acquisto e di consumo consapevoli;
   l'omissione delle informazioni sull'origine di un prodotto agroalimentare ed una pubblicità che suggerisca un legame inesistente tra un prodotto ed un territorio aumentano in modo significativo il rischio di confusione;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono pregiudica l'immagine del patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   l'articolo 26, comma 2, lettera b), del regolamento (CE) 25 ottobre 2011, n. 1169 del 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, impone come obbligatoria l'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza per una serie di prodotti, fissando alla Commissione il termine del 13 dicembre 2013 per adottare le disposizioni di attuazione dell'obbligo –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio con l'estero al fine di prevenire le pratiche fraudolente o ingannevoli, ai danni del made in Italy o, comunque, ogni altro tipo di operazione o attività commerciali in grado di indurre in errore i consumatori e, ancora, la più ampia trasparenza delle informazioni relative ai prodotti alimentari ed ai relativi processi produttivi e l'effettiva rintracciabilità degli alimenti nazionali;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare in sede europea al fine di promuovere il rispetto del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal regolamento n. 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza;
   se i Ministri interrogati non intendano assumere iniziative per l'adozione di un sistema analogo a quello previsto dall'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine dei prodotti, nonché assicurare l'accesso ai relativi documenti da parte dei consumatori, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche. (4-02815)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si riferisce quanto segue.
  La conoscenza del Paese di origine o del luogo di provenienza di un prodotto agroalimentare rappresenta un requisito imprescindibile per l'orientamento all'acquisto dei consumatori, a garanzia del diritto all'informazione e della possibilità di compiere scelte consapevoli.
  In aggiunta, soprattutto per il nostro Paese, si pone come fattore strategico per la tutela della nostra eccellenza produttiva, alla luce di una diffusa pratica contraffattiva e imitativa, che rappresenta un danno noto e ingente al potenziale economico, culturale e sociale del settore agroalimentare.
  Tenendo ben presenti tali considerazioni, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha sempre fortemente sostenuto, in sede europea, l'indicazione obbligatoria del Paese d'origine o del luogo di provenienza dei prodotti, concertando la posizione negoziale con il Dicastero della salute, al fine di difendere l'identità la competitività della produzione italiana sui mercati internazionali ed esteri e il diritto dei consumatori alla trasparenza delle informazioni sulla tracciabilità.
  Infatti, anche grazie all'impegno e al sostegno del nostro Paese, il 13 dicembre 2013 è stato emanato il regolamento di esecuzione della Commissione n. 1337 del 2013 che, oltre a stabilire i criteri di etichettatura per gli operatori del settore alimentare delle carni fresche, refrigerate o congelate di suino, ovino, caprino e di volatili, destinate alla commercializzazione, introduce la prescrizione relativa all'indicazione del Paese d'origine o luogo di provenienza ove gli animali sono stati allevati e macellati.
  In seguito, il Parlamento europeo, con risoluzione del 6 febbraio 2014, ha invitato la Commissione a ritirare il predetto regolamento di esecuzione e a redigerne una versione riveduta che preveda l'indicazione obbligatoria, sull'etichetta, del luogo di nascita nonché dei luoghi di allevamento e di macellazione dell'animale per le carni non trasformate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili, in conformità della legislazione vigente in materia di etichettatura di origine delle carni bovine (regolamento CE n. 1760 del 2000 – Titolo II).
  In ogni caso, la modifica al quadro normativo europeo di riferimento rappresenta un eccellente risultato per i consumatori, cui garantisce una maggiore conoscibilità dei prodotti attraverso le informazioni in etichetta, ma anche un importante passo avanti in favore delle più efficaci azioni che possono essere attuate a tutela del made in Italy.
  Invero, le variazioni apportate al testo originario proposto dalla Commissione (tra le quali il raddoppio del periodo minimo di allevamento per poter indicare in etichetta il Paese di allevamento dell'animale) hanno consentito di fare maggiore chiarezza sulle procedure da seguire per l'apposizione delle diciture in etichetta (anche per la carne suina, nelle varie fasi di commercializzazione) e di fornire al consumatore valide informazioni circa la realtà produttiva.
  Il predetto regolamento di esecuzione (che si applicherà dal 1° aprile 2015), oltre a concedere di integrare, su base volontaria e nel rispetto degli articoli 36 e 37 del regolamento n. 1169 del 2011, le informazioni sull'origine con ulteriori informazioni relative alla provenienza della carne (tra cui, un livello geografico più dettagliato), consente di utilizzare il termine «origine» solo nel caso di animali nati, allevati e macellati nello stesso Paese e dispone che l'indicazione del luogo di provenienza delle carni avvenga nel seguente modo:
   per tutte le specie: l'indicazione «origine Italia» può essere utilizzata solo se l'animale è nato, allevato e macellato in Italia;
   per gli ovini e i caprini: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale ha trascorso almeno gli ultimi 6 mesi in Italia ovvero viene macellato sotto i 6 mesi ed ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia;
   per il pollame: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale ha trascorso almeno l'ultimo mese in Italia, ovvero viene macellato sotto 1 mese di età ed ha trascorso l'intero periodo di ingrasso in Italia;
   per i suini: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale viene macellato sopra i 6 mesi e ha trascorso almeno gli ultimi 4 mesi in Italia; se è entrato in Italia ad un peso inferiore ai 30 kg e macellato ad un peso superiore ai 80 kg e, infine, se l'animale viene macellato ad un peso inferiore agli 80 kg e ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia.

  È bene tuttavia ricordare che, a livello nazionale, oltre il 70 per cento dell'intera produzione suinicola italiana già produce carne nel rispetto delle disposizioni dei disciplinari delle denominazioni di origine protetta (Dop) e delle indicazioni geografiche protette (Igp).
  In particolare, i disciplinari dei prodotti della salumeria Dop e Igp italiani, approvati a livello europeo, impongono che i suini appartengano a determinate razze appositamente selezionate, vengano allevati in condizioni di benessere e secondo un programma alimentare studiato per le diverse fasi di allevamento. Peraltro, gli allevatori e i macelli aderenti ai circuiti delle produzioni Dop ed Igp sono controllati da istituti, pubblici o privati, designati dal Ministero, che monitorano la certificazione dei capi suini destinati alla trasformazione in prodotti Dop e Igp, le movimentazioni degli animali verso altri allevamenti e/o macelli nonché le fasi di macellazione, trasformazione ed eventuale confezionamento.
  Peraltro, il circuito di questi prodotti di qualità include un insieme di operatori iscritti ad un sistema organizzato e controllato della produzione. In pratica, la provenienza della materia prima utilizzata viene tracciata seguendo il seguente percorso: allevamento in cui è nato il suino; allevamento che lo ha avviato al macello; macello; laboratorio di sezionamento e trasformazione.
  Nel dettaglio, l'allevamento di nascita appone sulla coscia dell'animale (entro il 30o giorno di vita) un timbro indelebile (tatuaggio) recante il proprio codice e il mese di nascita dell'animale. Successivamente, l'allevamento da cui i partono per il macello certifica, tramite la certificazione unificata di conformità (Cuc), gli animali della partita avviata alla macellazione, indicando i tatuaggi relativi all'allevamento di nascita dei suini, della partita nonché il tipo genetico prevalente. Detta certificazione è accompagnata da eventuali certificati relativi agli spostamenti dei suini in allevamenti diversi da quello di nascita. Il macello, tramite timbro indelebile impresso sulla cotenna, appone poi il proprio codice di identificazione su ogni coscia, dopo aver accertato i requisiti previsti dal disciplinare di produzione. Lo stagionatore, infine, identifica e registra l'inizio del processo di stagionatura. Nel caso dei prosciutti Dop di Parma e di San Daniele viene apposto sulle cosce un sigillo metallico prenumerato.
  Peraltro, presso gli stabilimenti di macellazione e lavorazione delle carni suine vengono garantiti i controlli ufficiali dei servizi veterinari delle aziende sanitarie locali che, nella verifica dell'applicazione dei regolamenti europei afferenti al pacchetto igiene (regolamenti n. 178 del 2002 e nn. 852, 853, 854 e 882 del 2004), esaminano anche gli aspetti relativi alla rintracciabilità dei prodotti così come disposto dall'articolo 18 del regolamento n. 178 del 2002.
  In ogni caso, è certo che la sicurezza e la qualità degli alimenti possono essere maggiormente garantite attraverso un elevato livello di collaborazione e coordinamento tra diverse Amministrazioni. Tale principio è ben consolidato e su di esso si fonda la normativa europea vigente in materia. In particolare, il regolamento n. 882 del 2004 prevede che ciascun Paese membro predisponga un Piano di controllo nazionale che assicuri un approccio multidisciplinare per la pianificazione, lo svolgimento e la rendicontazione dei controlli ufficiali.
  A tal fine, il Ministero della salute è il punto di raccordo nazionale per il Piano nazionale integrato (Pni) che nasce dall'intensa e proficua collaborazione con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, i nuclei del Comando dei Carabinieri (Nas, Nac e Noe), le Capitanerie di porto, il Corpo forestale dello Stato e la Guardia di Finanza. Sia il Pni 2011-2014 che le relazioni annuali (ove sono raccolti i dati delle attività svolte dalle citate amministrazioni), sono pubblicati sul portale del Ministero della salute.
  Ricordo, inoltre, che l'articolo 8, comma 4, del decreto-legge 18 giugno 1986, n. 282 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 462 del 1986 stabilisce che presso il Ministero della sanità è istituito l'elenco pubblico delle ditte commerciali e dei produttori che abbiano riportato condanne con sentenza passata in giudicato per reati di frode e di sofisticazione alimentare. Il Ministro della sanità ne cura annualmente la pubblicazione, con riferimento alle condanne intervenute nell'anno precedente, nella Gazzetta Ufficiale e in almeno due quotidiani a diffusione nazionale.
  A tal riguardo, mi preme sottolineare l'intensa attività di controllo espletata dal Corpo forestale dello Stato sul territorio nazionale, finalizzata al contrasto del fenomeno del falso made in Italy e del cosiddetto italian sounding, ossia l'utilizzo fuorviante, sull'imballaggio dei prodotti agroalimentari, di etichette o simboli che esaltino l'italianità dei luoghi d'origine della materia prima, della ricetta e del marchio.
  L'obiettivo è quello di rendere conoscibili le filiere e la tracciabilità degli alimenti per il consumatore, basandosi sulla considerazione che i valori alimentari, territoriali, ambientali, culturali e di agro biodiversità rappresentano un bene collettivo dell'Italia come anche dell'Unione europea da individuare, pubblicizzare, valorizzare e difendere in modo differente e specifico rispetto agli altri settori manifatturieri, in ragione che l'alimento riguarda i valori di tutela per l'uomo.
  Nel corso del 2013, in particolare, il Corpo forestale dello Stato ha posto in essere un'attività sanzionatoria contro il falso made in Italy a tutela sia dei consumatori, che dei produttori onesti, penalizzati da una concorrenza sleale nel libero scambio delle proprie merci all'interno dall'Unione. I controlli eseguiti, oltre a costituire un efficace monitoraggio del made in Italy agroalimentare, hanno consentito il sequestro di circa 600 tonnellate di prodotti e la comunicazione di oltre 170 notizie di reato alla Procura della Repubblica italiana, assicurando la repressione di tutte quelle condotte penalmente rilevanti che si siano poste in evidente contrasto con il leale svolgimento degli scambi commerciali e con la trasparenza informativa nei riguardi del consumatore.
  Vorrei poi ricordare che il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, all'articolo 3 (Interventi per il sostegno del made in Italy) prevede che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali svolga una consultazione pubblica tra i consumatori per valutare in quale misura, nelle informazioni relative ai prodotti alimentari, venga percepita come significativa l'indicazione relativa al luogo di origine o di provenienza dei prodotti alimentari e della materia prima agricola utilizzata nella preparazione o nella produzione degli stessi e quando l'omissione delle medesime indicazioni sia ritenuta ingannevole. I risultati delle consultazioni effettuate saranno resi pubblici e trasmessi alla Commissione europea.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   GIANCARLO GIORDANO, SCOTTO, ZARATTI e PANNARALE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 29 agosto 2014 è stato firmato il decreto di convocazione dei comizi elettorali per eleggere il presidente e il consiglio provinciale di Avellino;
   il percorso di riordino delle province è segnato dalla legge 7 aprile 2014, n. 56 «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province sulle unioni e fusioni di comuni», in attesa della riforma del Titolo V della parte della seconda della Costituzione e delle relative norme di attuazione. La provincia diventa ente di area vasta di secondo livello, cambiando la modalità d'elezione degli organi, che non è più diretta ma diventa un'elezione di secondo livello. Le elezioni del consiglio e del presidente della provincia di Avellino si terranno giovedì 9 ottobre 2014 dalle 8 alle 20. Dall'attuazione della legge n. 56 del 2014 non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica;
   la Costituzione della Repubblica italiana nella parte prima al titolo IV articolo 48 garantisce la segretezza del voto «Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico». E dalla stessa fonte normativa legge 7 aprile 2014, n. 56 (articolo 1, comma 62 «Il presidente della provincia è eletto con voto diretto, libero e segreto.») il voto è libero e segreto. Tuttavia, le modalità di voto e le specifiche disposizioni disciplinanti la ponderazione di fatto smentiscono tali principi invalidando sia la libertà di voto (configurando un ipotetico vincolo di partito) sia la segretezza del voto;
   la provincia di Avellino è emblematica: solo il comune capoluogo appartiene alle fasce comprese tra i 30 mila e 100.000 abitanti e pertanto l'individuazione della scheda appare chiara e netta soprattutto perché nel caso dell'unico consigliere comunale appartenente al gruppo politico di SEL sarà facilissimo risalire al suo voto o meno per la stessa coalizione di liste civiche di riferimento –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo in rapporto al principio di cui all'articolo 48 della Costituzione, che sancisce la segretezza del voto in vista delle imminenti elezioni provinciali. (4-06502)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede al Governo di assicurare il rispetto dei principi di libertà e segretezza del voto in occasione delle elezioni dei presidenti delle province e dei consigli provinciali disciplinate dalla legge n. 56 del 2014. La richiesta è motivata dalla considerazione le modalità di voto e le specifiche disposizioni normative che disciplinano la ponderazione del voto medesimo sarebbero tali da compromettere i predetti principi, in particolare nella provincia di Avellino.
  Al riguardo va preliminarmente osservato che le innovazioni introdotte dalla legge n. 56 del 2014 sono frutto di scelte operate dal legislatore, allo scopo di riorganizzare e riformare gli ambiti territoriali in un'ottica di gestione ottimale e di razionalizzazione della spesa pubblica. In tale contesto, si è introdotto, come noto, un procedimento elettorale di secondo grado, che prevede l'elettorato attivo riservato ai soli amministratori comunali, i quali esprimono un voto che viene «ponderato» a seconda della fascia demografica di appartenenza del proprio comune. A tal fine, il voto viene espresso su schede di colore diverso in ragione della predetta fascia di appartenenza.
  Nel caso prospettato delle elezioni provinciali di Avellino, che si sono tenute il 9 ottobre 2014, effettivamente il comune capoluogo era l'unico a rientrare nella fascia compresa tra i 30 mila e i 100 mila abitanti, per cui gli aventi diritto al voto con la scheda di identico colore erano 33, cioè in numero pari agli amministratori di quel comune.
  In proposito, è da ritenere che tale numero, ancorché non elevato, non sia talmente ridotto da determinare in sede di scrutinio l'automatica riconoscibilità di ogni singolo voto. Pertanto, anche avendo a riferimento il caso specifico di Avellino, le disposizioni della legge n. 56 e la loro attuazione pratica non sembrano determinare la lesione dei principi della libertà e segretezza del voto.
  Si rileva infine che, terminate il 12 ottobre 2014 le elezioni di secondo grado per le province i cui organi scadono per fine mandato nel 2014, il Parlamento, prima dell'inizio dell'analoga tornata elettorale per l'anno 2015, potrà compiere le proprie valutazioni e scelte circa eventuali modifiche da apportare al procedimento elettorale in questione, come peraltro già avvenuto di recente con la legge n. 114 del 2014.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   LAFFRANCO, FABRIZIO DI STEFANO, MILANATO, GELMINI e FAENZI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, con un contributo di 53 miliardi di euro che proviene dal settore agricolo;
   in agricoltura sono presenti quasi un milione di imprese, ossia il 15 per cento del totale delle imprese italiane;
   il mercato agricolo ha una rilevante importanza non solo per l'economia nazionale, ma, altresì, per il patrimonio culturale ed ambientale, se si considera la percentuale di superficie coltivata, nonché l'ingente numero di lavoratori occupati nel settore;
   in Italia, gli allevamenti di suini – presenti, prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna – sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia nel 2012 ha importato dalla Germania il 52 per cento di suini vivi e carni suine, per un totale di 535.309 tonnellate;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari garantisce la solidità delle imprese agricole italiane;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che dietro questo sistema ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   la libera circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale del mercato interno, ma, sempre più spesso, la salute dei consumatori e la corretta e sana alimentazione appaiono compromesse da cibi anonimi, con scarse qualità nutrizionali, o addizionati e di origine per lo più sconosciuta;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   l'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, introduce un sistema al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine degli oli di oliva vergini, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche –:
   se il Ministro non intenda assicurare l'adozione, anche per le carni suine, di un sistema analogo a quello previsto per gli oli di oliva vergini dalla legge n. 9 del 2013 citata, per assicurare l'accessibilità delle informazioni e dei dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine delle carni suine e promuovere, a tale scopo, la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche;
   quali iniziative il Ministro intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di rendere noti e pubblici i riferimenti delle società eventualmente coinvolte in pratiche commerciali ingannevoli, fraudolente, o scorrette finalizzate ad immettere sui mercati finti prodotti made in Italy ed i dati dei traffici illeciti accertati. (4-02740)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si riferisce quanto segue.
  La conoscenza del Paese di origine o del luogo di provenienza di un prodotto agroalimentare rappresenta un requisito imprescindibile per l'orientamento all'acquisto dei consumatori, a garanzia del diritto all'informazione e della possibilità di compiere scelte consapevoli.
  In aggiunta, soprattutto per il nostro Paese, si pone come fattore strategico per la tutela della nostra eccellenza produttiva, alla luce di una diffusa pratica contraffattiva e imitativa, che rappresenta un danno noto e ingente al potenziale economico, culturale e sociale del settore agroalimentare.
  Tenendo ben presenti tali considerazioni, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha sempre fortemente sostenuto, in sede europea, l'indicazione obbligatoria del Paese d'origine o del luogo di provenienza dei prodotti, concertando la posizione negoziale con il Dicastero della salute, al fine di difendere l'identità la competitività della produzione italiana sui mercati internazionali ed esteri e il diritto dei consumatori alla trasparenza delle informazioni sulla tracciabilità.
  Infatti, anche grazie all'impegno e al sostegno del nostro Paese, il 13 dicembre 2013 è stato emanato il regolamento di esecuzione della Commissione n. 1337 del 2013 che, oltre a stabilire i criteri di etichettatura per gli operatori del settore alimentare delle carni fresche, refrigerate o congelate di suino, ovino, caprino e di volatili, destinate alla commercializzazione, introduce la prescrizione relativa all'indicazione del Paese d'origine o luogo di provenienza ove gli animali sono stati allevati e macellati.
  In seguito, il Parlamento europeo, con risoluzione del 6 febbraio 2014, ha invitato la Commissione a ritirare il predetto regolamento di esecuzione e a redigerne una versione riveduta che preveda l'indicazione obbligatoria, sull'etichetta, del luogo di nascita nonché dei luoghi di allevamento e di macellazione dell'animale per le carni non trasformate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili, in conformità della legislazione vigente in materia di etichettatura di origine delle carni bovine (regolamento CE n. 1760 del 2000 – Titolo II).
  In ogni caso, la modifica al quadro normativo europeo di riferimento rappresenta un eccellente risultato per i consumatori, cui garantisce una maggiore conoscibilità dei prodotti attraverso le informazioni in etichetta, ma anche un importante passo avanti in favore delle più efficaci azioni che possono essere attuate a tutela del made in Italy.
  Invero, le variazioni apportate al testo originario proposto dalla Commissione (tra le quali il raddoppio del periodo minimo di allevamento per poter indicare in etichetta il Paese di allevamento dell'animale) hanno consentito di fare maggiore chiarezza sulle procedure da seguire per l'apposizione delle diciture in etichetta (anche per la carne suina, nelle varie fasi di commercializzazione) e di fornire al consumatore valide informazioni circa la realtà produttiva.
  Il predetto regolamento di esecuzione (che si applicherà dal 1° aprile 2015), oltre a concedere di integrare, su base volontaria e nel rispetto degli articoli 36 e 37 del regolamento n. 1169 del 2011, le informazioni sull'origine con ulteriori informazioni relative alla provenienza della carne (tra cui, un livello geografico più dettagliato), consente di utilizzare il termine «origine» solo nel caso di animali nati, allevati e macellati nello stesso Paese e dispone che l'indicazione del luogo di provenienza delle carni avvenga nel seguente modo:
   per tutte le specie: l'indicazione «origine Italia» può essere utilizzata solo se l'animale è nato, allevato e macellato in Italia;
   per gli ovini e i caprini: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale ha trascorso almeno gli ultimi 6 mesi in Italia ovvero viene macellato sotto i 6 mesi ed ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia;
   per il pollame: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale ha trascorso almeno l'ultimo mese in Italia, ovvero viene macellato sotto 1 mese di età ed ha trascorso l'intero periodo di ingrasso in Italia;
   per i suini: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale viene macellato sopra i 6 mesi e ha trascorso almeno gli ultimi 4 mesi in Italia; se è entrato in Italia ad un peso inferiore ai 30 kg e macellato ad un peso superiore ai 80 kg e, infine, se l'animale viene macellato ad un peso inferiore agli 80 kg e ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia.

  È bene tuttavia ricordare che, a livello nazionale, oltre il 70 per cento dell'intera produzione suinicola italiana già produce carne nel rispetto delle disposizioni dei disciplinari delle denominazioni di origine protetta (Dop) e delle indicazioni geografiche protette (Igp).
  In particolare, i disciplinari dei prodotti della salumeria Dop e Igp italiani, approvati a livello europeo, impongono che i suini appartengano a determinate razze appositamente selezionate, vengano allevati in condizioni di benessere e secondo un programma alimentare studiato per le diverse fasi di allevamento. Peraltro, gli allevatori e i macelli aderenti ai circuiti delle produzioni Dop ed Igp sono controllati da istituti, pubblici o privati, designati dal Ministero, che monitorano la certificazione dei capi suini destinati alla trasformazione in prodotti Dop e Igp, le movimentazioni degli animali verso altri allevamenti e/o macelli nonché le fasi di macellazione, trasformazione ed eventuale confezionamento.
  Peraltro, il circuito di questi prodotti di qualità include un insieme di operatori iscritti ad un sistema organizzato e controllato della produzione. In pratica, la provenienza della materia prima utilizzata viene tracciata seguendo il seguente percorso: allevamento in cui è nato il suino; allevamento che lo ha avviato al macello; macello; laboratorio di sezionamento e trasformazione.
  Nel dettaglio, l'allevamento di nascita appone sulla coscia dell'animale (entro il 30o giorno di vita) un timbro indelebile (tatuaggio) recante il proprio codice e il mese di nascita dell'animale. Successivamente, l'allevamento da cui i partono per il macello certifica, tramite la certificazione unificata di conformità (Cuc), gli animali della partita avviata alla macellazione, indicando i tatuaggi relativi all'allevamento di nascita dei suini, della partita nonché il tipo genetico prevalente. Detta certificazione è accompagnata da eventuali certificati relativi agli spostamenti dei suini in allevamenti diversi da quello di nascita. Il macello, tramite timbro indelebile impresso sulla cotenna, appone poi il proprio codice di identificazione su ogni coscia, dopo aver accertato i requisiti previsti dal disciplinare di produzione. Lo stagionatore, infine, identifica e registra l'inizio del processo di stagionatura. Nel caso dei prosciutti Dop di Parma e di San Daniele viene apposto sulle cosce un sigillo metallico prenumerato.
  Peraltro, presso gli stabilimenti di macellazione e lavorazione delle carni suine vengono garantiti i controlli ufficiali dei servizi veterinari delle aziende sanitarie locali che, nella verifica dell'applicazione dei regolamenti europei afferenti al pacchetto igiene (regolamenti n. 178 del 2002 e nn. 852, 853, 854 e 882 del 2004), esaminano anche gli aspetti relativi alla rintracciabilità dei prodotti così come disposto dall'articolo 18 del regolamento n. 178 del 2002.
  In ogni caso, è certo che la sicurezza e la qualità degli alimenti possono essere maggiormente garantite attraverso un elevato livello di collaborazione e coordinamento tra diverse Amministrazioni. Tale principio è ben consolidato e su di esso si fonda la normativa europea vigente in materia. In particolare, il regolamento n. 882 del 2004 prevede che ciascun Paese membro predisponga un Piano di controllo nazionale che assicuri un approccio multidisciplinare per la pianificazione, lo svolgimento e la rendicontazione dei controlli ufficiali.
  A tal fine, il Ministero della salute è il punto di raccordo nazionale per il Piano nazionale integrato (Pni) che nasce dall'intensa e proficua collaborazione con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, i nuclei del Comando dei Carabinieri (Nas, Nac e Noe), le Capitanerie di porto, il Corpo forestale dello Stato e la Guardia di Finanza. Sia il Pni 2011-2014 che le relazioni annuali (ove sono raccolti i dati delle attività svolte dalle citate amministrazioni), sono pubblicati sul portale del Ministero della salute.
  Ricordo, inoltre, che l'articolo 8, comma 4, del decreto-legge 18 giugno 1986, n. 282 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 462 del 1986 stabilisce che presso il Ministero della sanità è istituito l'elenco pubblico delle ditte commerciali e dei produttori che abbiano riportato condanne con sentenza passata in giudicato per reati di frode e di sofisticazione alimentare. Il Ministro della sanità ne cura annualmente la pubblicazione, con riferimento alle condanne intervenute nell'anno precedente, nella Gazzetta Ufficiale e in almeno due quotidiani a diffusione nazionale.
  A tal riguardo, mi preme sottolineare l'intensa attività di controllo espletata dal Corpo forestale dello Stato sul territorio nazionale, finalizzata al contrasto del fenomeno del falso made in Italy e del cosiddetto italian sounding, ossia l'utilizzo fuorviante, sull'imballaggio dei prodotti agroalimentari, di etichette o simboli che esaltino l'italianità dei luoghi d'origine della materia prima, della ricetta e del marchio.
  L'obiettivo è quello di rendere conoscibili le filiere e la tracciabilità degli alimenti per il consumatore, basandosi sulla considerazione che i valori alimentari, territoriali, ambientali, culturali e di agro biodiversità rappresentano un bene collettivo dell'Italia come anche dell'Unione europea da individuare, pubblicizzare, valorizzare e difendere in modo differente e specifico rispetto agli altri settori manifatturieri, in ragione che l'alimento riguarda i valori di tutela per l'uomo.
  Nel corso del 2013, in particolare, il Corpo forestale dello Stato ha posto in essere un'attività sanzionatoria contro il falso made in Italy a tutela sia dei consumatori, che dei produttori onesti, penalizzati da una concorrenza sleale nel libero scambio delle proprie merci all'interno dall'Unione. I controlli eseguiti, oltre a costituire un efficace monitoraggio del made in Italy agroalimentare, hanno consentito il sequestro di circa 600 tonnellate di prodotti e la comunicazione di oltre 170 notizie di reato alla Procura della Repubblica italiana, assicurando la repressione di tutte quelle condotte penalmente rilevanti che si siano poste in evidente contrasto con il leale svolgimento degli scambi commerciali e con la trasparenza informativa nei riguardi del consumatore.
  Vorrei poi ricordare che il decreto-legge 24 giugno 2014, n.91, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, all'articolo 3 (Interventi per il sostegno del made in Italy) prevede che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali svolga una consultazione pubblica tra i consumatori per valutare in quale misura, nelle informazioni relative ai prodotti alimentari, venga percepita come significativa l'indicazione relativa al luogo di origine o di provenienza dei prodotti alimentari e della materia prima agricola utilizzata nella preparazione o nella produzione degli stessi e quando l'omissione delle medesime indicazioni sia ritenuta ingannevole. I risultati delle consultazioni effettuate saranno resi pubblici e trasmessi alla Commissione europea.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   LUPO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in Sicilia è attivo il Piano di sviluppo rurale 2007/2013 la cui dotazione finanziaria è di 2.173.000.000 euro, quasi pari al prodotto interno lordo agricolo annuo siciliano, corrispondente a circa 2.5 miliardi di euro;
   l'assessorato per le risorse agricole e alimentari della regione siciliana ed il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali hanno promosso in Sicilia una massiccia campagna pubblicitaria – dallo slogan «Coltiviamo Sviluppo» – riguardante i risultati conseguiti dal Piano di sviluppo rurale (PSR) 2007/2013, che trovano tuttavia scarso riscontro nel tessuto produttivo siciliano;
   la ricaduta economica del Piano di sviluppo rurale, infatti, non ha determinato risultati tangibili in termini di valore aggiunto. Il prodotto interno lordo agricolo regionale anzi nel periodo considerato, secondo i dati forniti dal servizio statistico della regione siciliana, sarebbe sceso di almeno l'1,5 per cento mediamente per anno; dunque lo slogan principale della campagna «Coltiviamo Sviluppo» appare, agli interroganti, del tutto inappropriato;
   la campagna pubblicitaria «Coltiviamo Sviluppo» è stata disposta con fondi le cui finalità sono quelle di favorire lo sviluppo rurale e non già la visibilità degli assessorati e dei Ministeri della Repubblica Italiana –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa, e se la dotazione finanziaria per lo sviluppo rurale possa essere utilizzata, come appare dai dati esposti, per attività di mera pubblicità istituzionale non supportata da reali risultati raggiunti;
   se sia a conoscenza di quale sia l'entità delle risorse investite nella campagna pubblicitaria «Coltiviamo Sviluppi»;
   quali siano i risultati e la gestione finanziaria del piano di sviluppo rurale della regione siciliana. (4-03210)

  Risposta. — In merito all'interrogazione in esame, evidenzio che il Programma di sviluppo rurale (Psr) Sicilia – 2007/2013, approvato con decisione della Commissione europea n. 2008/735/CE del 18 febbraio 2008 e successive modificazioni, adottato con deliberazione della Giunta regionale n. 48 del 19 febbraio 2008, prevede il dovere di garantire il rispetto degli obblighi in materia di informazione e pubblicità attuando un «piano di comunicazione» con l'obiettivo di informare circa le possibilità offerte dal programma, le condizioni per poter accedere ai finanziamenti, il ruolo svolto dalla Comunità nell'ambito del programma e i risultati ottenuti.
  Il regolamento del Consiglio (CE) n. 1698 del 20 settembre 2005, sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (Feasr), all'articolo 75 individua l'autorità di gestione del programma quale soggetto responsabile dell'efficace, efficiente e corretta gestione e attuazione del Psr e, a tal fine, garantisce il rispetto degli obblighi in materia di pubblicità di cui all'articolo 76 del medesimo regolamento.
  Per garantire un appropriato assolvimento degli adempimenti in materia di informazione e pubblicità del programma, l'autorità di gestione ha ritenuto necessario affidare ad una società esterna, dotata di adeguata professionalità ed esperienza, il servizio di informazione, pubblicità e marketing relativi al piano di comunicazione del Programma di sviluppo rurale Sicilia 2007/2013. A tal fine ha emanato un bando di gara d'appalto per l’«Affidamento dei servizi di informazione, pubblicità e marketing relativi al piano di comunicazione del Programma di sviluppo rurale Sicilia – 2007/2013», corredato da relativa documentazione, per un importo a base d'asta dell'appalto di euro 3.200.000,00 Iva esclusa, che è stato pubblicato, nella forma prevista dalla normativa vigente, sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea il 12 agosto 2010 (S155-2010/S239717), sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 97 del 23 agosto 2010, sulla Gazzetta Ufficiale della regione Sicilia n. 33 del 20 agosto 2010, sull'Albo pretorio del comune di Palermo; sul sito istituzionale del Psr Sicilia 2007-2013, sul sito dell'Assessorato regionale delle risorse agricole e alimentari e sulle seguenti testate: «Cronache Siciliane», «Il Sole 24 ore» il «Giornale di Sicilia», «La Sicilia» e il «Quotidiano di Sicilia».
  Il servizio è stato affidato nel 2011 alla Pomilio Blumm S.r.l, che ha presentato l'offerta economicamente più vantaggiosa, ai sensi dell'articolo 83 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, pari ad un importo di euro 2.497.899,00 esclusa Iva, con un ribasso sulla base d'asta pari al 21,94 per cento.
  Attraverso il Piano di comunicazione, dal 2011 ad oggi sono state realizzate attività che hanno consentito di informare i potenziali beneficiari e i territori interessati sulle opportunità offerte dal Programma, sulle condizioni per poter accedere ai finanziamenti e sulle modalità di partecipazione ai vari bandi emessi informando, altresì, sul ruolo svolto dalla Comunità europea e sui risultati conseguiti.
  Riguardo invece i risultati e la gestione finanziaria del Psr Sicilia, preciso che il Psr Sicilia 2007-2013 è finalizzato a mettere in atto interventi che possano contribuire in modo concreto allo sviluppo economico e sociale delle imprese agricole e rurali siciliane. Il Programma infatti ha l'obiettivo prioritario di sostenere lo sviluppo delle aree rurali della Sicilia, migliorare la competitività delle aziende, valorizzare il territorio a partire dalle potenzialità del settore agricolo, agro alimentare e forestale della nostra regione. L'uso integrato delle misure del Psr permette di ottimizzare l'utilizzo delle risorse finanziarie disponibili, attuando interventi ad ampio raggio che riguardano diverse tipologie di beneficiari.
  Sono state attivate tutte le 33 misure previste dal Programma con l'emissione di 76 bandi e, ad oggi, il Psr Sicilia 2007/2013 ha erogato sul territorio regionale risorse pubbliche per 1.391.361.438 euro, di cui euro 842.816.381 di quota Feasr, con una percentuale di attuazione del Programma in termini di spesa pubblica del 64 per cento in termini di quota FeasR del 66 per cento e somme impegnate corrispondenti al 93,70 per cento delle risorse pubbliche complessive in dotazione. Tali percentuali di attuazione sono in linea e in alcuni casi anche superiori alle performances registrate in altre realtà regionali i cui Psr sono caratterizzati da una rilevante dotazione finanziaria.
  Volendo descrivere solo alcuni interventi concreti che stanno dando risultati sia in termini di risposta dei territori e dei beneficiari interessati, sia in termini di incidenza sulle condizioni socio-economiche delle aziende agricole e dei territori rurali, si può evidenziare la misura n. 112 (pacchetto giovani) che ha permesso l'insediamento di oltre 1700 giovani agricoltori in nuove aziende agricole rese più moderne e competitive grazie all'utilizzo combinato di altre misure del programma. Il pacchetto giovani sta contribuendo a quella che ormai può essere descritta come una vera e propria inversione di tendenza dell'interesse e delle possibilità occupazionali nel settore agricolo per i giovani agricoltori siciliani, come un ritorno al settore primario da parte delle giovani generazioni. Preciso che l'insediamento dei giovani agricoltori è subordinato alla creazione di imprese agricole competitive sul mercato.
  Un discorso analogo si può fare per la misura la misura n. 121 del Psr che sostiene gli interventi rivolti all'ammodernamento delle aziende agricole dei principali settori produttivi siciliani; ad oggi, l'intera disponibilità della misura di circa 460 milioni di euro è stata totalmente impegnata, ed è già stato liquidato un importo di circa 256 milioni di euro a favore delle imprese agricole siciliane. Con gli interventi delle misura n. 121, destinata a rendere più competitive le aziende agricole siciliane (nuovi impianti, acquisto di macchine e attrezzature, impianti di irrigazione efficiente ecc.) si stanno creando condizioni di reale sviluppo del settore, con la possibilità di assicurare posti di lavoro e redditi adeguati agli operatori del settore, che considerato il difficile momento di congiuntura economica complessiva, possono rappresentare una vera e propria boccata di ossigeno per tutta l'economia regionale.
  Invece attraverso la misura n. 123 del Psr «Accrescimento del valore aggiunto dei prodotti agricoli e forestali», che prevede interventi a favore del settore agro alimentare, sono state impegnate risorse per circa 135 milioni di euro e già erogate risorse per circa 92 milioni di euro.
  Con la misura n. 125, «Miglioramento e sviluppo delle infrastrutture», sono stati già conclusi 23 progetti da associazioni di agricoltori per la realizzazione e il ripristino di circa 70 km di stradelle interpoderali. Tale misura contribuisce a migliorare le possibilità di collegamento delle aziende rendendo più agevole l'accesso alle aziende facilitandone i trasporti e la commercializzazione.
  Con l'attivazione dei pacchetti integrati di filiera (Pif) attraverso un intervento innovativo mirato rivolto ai vari attori delle principali filiere siciliane, sono in corso di erogazione circa 15 milioni di euro per rafforzare ed integrare le filiere produttive, favorire l'incremento del valore aggiunto delle produzioni, sostenere l'aggregazione e la cooperazione tra le imprese, migliorare l'efficienza dei canali commerciali (con conseguente riduzione del divario tra i prezzi alla produzione e quelli al consumo) ed ampliare gli sbocchi di mercato.
  Grande importanza è stata data nel Psr (e in particolare nell'Asse 2) alla tematica della valorizzazione dell'ambiente e dello spazio rurale, sostenendo la gestione del territorio attraverso interventi volti a promuovere la tutela e/o conservazione del paesaggio agro-forestale, l'equilibrio territoriale, la diffusione di pratiche agricole sostenibili, nonché le iniziative ambientali ed economiche che procurano benefici alle comunità rurali, attraverso l'attuazione di specifiche misure.
  La misura n. 214 «Pagamenti agroambientali», ha sostenuto in modo decisivo le imprese agricole e zootecniche siciliane che si sono impegnate a svolgere la loro attività nel rispetto dell'ambiente e del paesaggio, adottando metodi di coltivazione e di allevamento meno intensivi e con un uso limitato o assente di prodotti di sintesi. Complessivamente è stata quasi impegnata l'intera dotazione finanziaria di oltre 530 milioni di euro e sono stati erogati sul territorio circa 487 milioni di euro. Interventi mirati alla salvaguardia del territorio sono quelli previsti dell'azione 214/1G «Contrasto ai fenomeni di dissesto idrogeologico e recupero del paesaggio agrario tradizionale» dalla misura n. 216 Azione A2 «Investimenti non produttivi in aziende agricole associati alla misura n. 214/1G» (attivati tramite bando pubblico congiunto), che hanno l'obiettivo di salvaguardare il paesaggio agrario del versante ionico e tirrenico dei monti Peloritari e i monti Nebrodi, contrastare il dissesto idrogeologico, evitare il rischio di desertificazione e conservare le specie tipiche locali a rischio di estinzione, con la gestione dei terrazzamenti e/o ciglionamenti con tecniche a basso impatto ambientale in aree non meccanizzabili. Con la misura n. 216 sono stati erogati sul territorio circa 16 milioni di euro.
  Un progetto di particolare originalità, avviato attraverso la misura n. 227 del Psr, risulta l'itinerario turistico-religioso Santa Rosalia. Il percorso rurale naturalistico, attraverso le aree interne della Sicilia, particolarmente suggestive dal punto di vista paesaggistico, parte dall'eremo di monte Pellegrino e si conclude all'eremo di S. Stefano di Quisquina, consentendo la valorizzazione dei luoghi e dei comuni che attraversa con l'obiettivo di favorire anche la ripresa economica dei territori interessati.
  Particolarmente innovativi sono alcuni interventi previsti dall'asse III del Psr Sicilia 2007/2013, diretti a migliorare la qualità di vita nelle zone rurali ed a promuovere la diversificazione delle attività economiche, per creare e consolidare l'occupazione ed evitare lo spopolamento delle zone rurali. Si interviene sul mondo rurale in senso lato, in cui il settore agricolo, pur restando sempre importante, diventa uno degli aspetti su cui investire per migliorare le condizioni economiche e sociali complessive. Oltre al sostegno alla forme di diversificazione dei redditi aziendali già consolidate come l'agriturismo (che continua ad essere molto richiesto dagli operatori, come è testimoniato dall'erogazione di oltre 70 milioni di euro) si è cercato di intervenire sul miglioramento delle situazione socio-economica delle zone rurali attraverso forme di incentivazione di imprese attive nel settore dell'offerta turistica rurale, della didattica, dei prodotti tipici locali, e anche con il sostegno rivolto alla valorizzazione degli itinerari turistici, naturali e culturali tradizionali, delle testimonianze della cultura contadina. Sono stati già conclusi 146 progetti che contribuiscono ad aumentare la recettività turistica nelle aree rurali favorendo la diversificazione dei redditi agricoli. Inoltre grande importanza è stata data alle iniziative volte all'utilizzo delle energie da fonte rinnovabile ai fini delle diversificazione dei redditi delle aziende agricole e delle zone rurali. Le risorse finanziarie pubbliche complessivamente impegnate per tale tipo di interventi ammontano a circa 228 milioni di euro e la percentuale di attuazione dell'asse supera il 43 per cento con una spesa di oltre 98 milioni di euro già erogati nei territori rurali.
  Una delle iniziative strategiche più innovative che caratterizzano il Programma di sviluppo rurale (Psr) Sicilia 2007-2013 è quella di estendere l'accesso veloce ad Internet mediante la realizzazione delle opere pubbliche necessarie ad incrementare la struttura portante della banda larga in alcuni territori della nostra regione. E’ in corso la realizzazione di circa 595 km di rete in fibra ottica di ultima generazione attraverso 96 interventi distribuiti in 78 Comuni siciliani, con una riduzione del divario digitale regionale che dovrebbe passare dall'attuale 3,4 per cento all'1,9 per cento previsto alla fine dell'intervento.
  Dal quadro complessivo sopra delineato e dagli esempi riportati emerge come il Programma sta incidendo positivamente sulla realtà economica e sociale delle zone rurali della Sicilia. Naturalmente le ricadute degli interventi in termini di prodotto interno lordo agricolo regionale e di creazione di nuova occupazione stabile (misurate da specifici indicatori di impatto) necessitano di un congruo periodo di tempo per essere valutate in modo adeguato.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'accordo commerciale con il Marocco approvato dal Parlamento europeo il 16 febbraio 2012, prevede l'aumento delle quote di scambio per una serie di prodotti che potranno essere importati a tariffe doganali basse o pari a zero rappresenta una tappa verso un accordo di libero scambio;
   in particolare, l'accordo eliminerà immediatamente il 55 per cento delle tariffe doganali sui prodotti agricoli e di pesca marocchini (dal 33 per cento attuale) e il 70 per cento delle tariffe sui prodotti agricoli e di pesca dell'Unione europea in 10 anni (rispetto all'1 per cento attuale);
   il testo prevede, comunque, una serie di misure di salvaguardia, tra le quali la possibilità di un aumento moderato delle quote di scambio su alcuni prodotti considerati sensibili, la previsione della variabilità delle quote di scambio in base alla stagione per evitare distorsioni sul mercato Unione europea e l'obbligo dei prodotti marocchini di rispettare gli standard sanitari europei;
   la questione degli accordi commerciali tra l'Unione europea ed il Marocco dura ormai da alcuni anni, e già nel recente passato i produttori spagnoli e quelli italiani hanno energicamente contestato tali accordi, che, visti in un'ottica più ampia, vanno nella direzione di «più commodities marocchine in Europa in cambio di esportazione di macchine e servizi dall'Europa al paese magrebino»;
   l'accordo commerciale comporta forti criticità soprattutto con riferimento al settore ortofrutticolo del nostro Paese, danneggiando i produttori italiani ed in particolare quelli siciliani;
   ad oggi, tenendo conto dei volumi commercializzati, i prodotti marocchini che più di altri esercitano un impatto negativo sulla produzione ortofrutticola italiana sono il pomodoro da mensa e le arance;
   con riferimento al pomodoro da mensa, ad esempio, il calendario di commercializzazione del prodotto coincide con quello dei produttori siciliani e, di conseguenza, i principali mercati all'ingrosso italiani segnalano la presenza di prodotto marocchino, sempre nello stesso periodo, a prezzi molto più bassi di quelli riscontrati per il prodotto nazionale;
   l'aggressività delle politiche commerciali degli esportatori marocchini ha forti ripercussioni, in quanto un'offerta di prodotto estero a bassi livelli di prezzo tira giù anche il prezzo del prodotto made in Italy;
   il nuovo accordo commerciale tra Marocco e Unione europea determinerà un'ulteriore perdita di competitività del nostro prodotto sui mercati dei Paesi nordeuropei quali Germania, Austria e Regno Unito;
   a tali problematiche si aggiunge il fatto che all'atto dell'immissione dei prodotti marocchini nel nostro mercato, essi non vengono sottoposti a sufficienti controlli, essendo tale procedura eseguita esclusivamente con il metodo «a campione», e perciò non esiste un compiuto riscontro della loro rispondenza ai nostri parametri di sicurezza sanitaria –:
   quali opportuni provvedimenti intendano assumere con riferimento alle problematiche esposte in premessa al fine di tutelare sia la produzione ortofrutticola nazionale, sia la salute dei consumatori. (4-04878)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, riguardante alcune problematiche mercantili consequenziali all'applicazione dell'accordo commerciale Unione europea e Marocco nel settore ortofrutticolo, riferisco quanto segue.
  Premetto che la tematica sollevata dagli interroganti è conosciuta e seguita con attenzione dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, nell'ottica di tutelare il settore ortofrutticolo nazionale.
  Ciò premesso, in ordine all'evoluzione degli scambi commerciali di prodotti ortofrutticoli tra Marocco e Unione europea, dopo l'accordo siglato nel 2012, faccio presente che la Commissione europea, continuamente, effettua, anche su pressione dell'Italia, il monitoraggio necessario a verificare il rispetto del suddetto accordo commerciale, in particolare per quanto riguarda le importazioni di pomodoro, prodotto maggiormente interessato dalla liberalizzazione degli scambi.
  Sottolineo che la quasi totalità del pomodoro di origine marocchina viene sdoganato in Francia presso il mercato di Perpignan e da lì prosegue per le destinazioni del Centro e Nord Europa. Gli esiti del monitoraggio sono puntualmente comunicati agli Stati membri e dall'analisi delle informazioni finora ricevute risulta che, nel corso del 2013 e dei primi mesi del 2014, le importazioni sono avvenute nei limiti dei contingenti mensili fissati e che le quote addizionali sono state minime.
  In Italia le importazioni di pomodoro di origine marocchina sono poco rilevanti, tanto che gli effetti della concorrenza di tale prodotto sull'attività delle nostre aziende si avvertono principalmente sui mercati del Centro-Nord Europa, ove risulta necessario sostenere la competitività della filiera italiana.
  A tal proposito, ricordo che il regolamento (CE) n. 1234 del 2007 ed il regolamento (UE) n. 1308 del 2013 stabiliscono che i prodotti ortofrutticoli freschi, per poter essere commercializzati, devono essere di qualità sana, leale, mercantile e dotati di un'apposita indicazione del Paese di origine.
  L'applicazione di dette norme presuppone l'istituzione di un sistema di controlli effettuati sulla base di una analisi del rischio in tutte le fasi della commercializzazione, salvo per alcuni prodotti minori, che sono appositamente esentati.
  A livello nazionale, il tutto è disciplinato dal decreto ministeriale 3 agosto 2011, n. 5462 recante «Disposizioni nazionali in materia di controlli di conformità alle norme di commercializzazione applicabili nel settore degli ortofrutticoli freschi e delle banane, in attuazione del regolamento (CE) n. 1234 del 2007 del Consiglio e del regolamento (UE) di esecuzione n. 543 del 2011 della Commissione» e dalla circolare Agea Aciu n. 695 del 14 novembre 2011.
  Per quanto precede, un valido strumento per affrontare le questioni sopra esposte, può essere rappresentato dall'incentivazione dell'associazionismo nell'ambito dell'Organizzazione comune dei mercati (Ocm), attraverso il finanziamento di programmi di attività realizzati da organizzazioni di produttori ortofrutticoli riconosciute.
  Segnalo, infine, che nel settore ortofrutticolo, la normativa nazionale di applicazione dell'Ocm ha previsto il finanziamento di molteplici interventi a sostegno dei comparti sopra citati, comprese specifiche misure per prevenire ed affrontare situazioni di crisi. Inoltre l'Italia si è avvalsa della facoltà, prevista dallo stesso regolamento sull'Ocm, di erogare un aiuto nazionale aggiuntivo a quello europeo, a favore delle regioni dove il tasso di associazionismo è ancora basso, come la regione Sicilia, che beneficia di tale misura sin dal 2008.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   MOLTENI e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella mattina del 5 giugno 2013, a Bianco, in Calabria, sono sbarcati 121 stranieri di nazionalità afghana e siriana, tra cui 23 donne e 49 bambini e pare, dalle notizie di stampa, che due sono neonati, partoriti probabilmente a bordo della barca;
   il 60 per cento degli immigrati sbarcati a Bianco è composto da mamme e bambini, una proporzione allarmante e un campanello d'allarme;
   a seguito delle dichiarazioni del Ministro Kyenge sull'abrogazione del reato di clandestinità e l'introduzione dello ius soli nel nostro ordinamento, gli sbarchi sulle nostre coste sono aumentati, come attestano le sempre più frequenti notizie di cronaca;
   tali proposte non solo inviano messaggi sbagliati ma incoraggiano tutte quelle organizzazioni che prosperano sulla tratta degli esseri umani, particolarmente grave quando si tratta di minori e donne in stato di gravidanza;
   il Governo deve intervenire immediatamente con azioni decise onde garantire il rispetto della legalità e scoraggiare questo fenomeno, che mette a serio rischio la vita e l'incolumità delle persone, in particolare i minori e le donne in stato di gravidanza –:
   quali siano gli intendimenti del Governo e quali iniziative intenda porre in atto per combattere il fenomeno dell'immigrazione clandestina, con particolare riguardo ai minori coinvolti e alle donne in stato di gravidanza, quanti siano i minori sbarcati negli ultimi mesi dall'insediamento del Governo e quante donne in stato di gravidanza, quanti minori accompagnati da familiari o eventuali parentele con adulti residenti o presenti sul territorio nazionale e dove tali minori siano alloggiati. (4-00749)

  Risposta. — Il 5 giugno 2013, 126 migranti sono giunti sul litorale di Bianco (Reggio Calabria), a bordo di un'imbarcazione partita dalle coste della Turchia. Al termine delle attività di identificazione, è stato accertato che i migranti sbarcati – 45 uomini, 34 donne e 47 minori, di cui uno non accompagnato – erano di nazionalità siriana e afghana, tutti in fuga da situazioni di guerra o persecuzione. Dopo aver prestato i primi soccorsi, la questura di Reggio Calabria ha prontamente attivato le procedure per il loro collocamento nei centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara).
  Dal 29 aprile – data dell'insediamento del Governo – al 31 dicembre 2013, sono giunti via mare 8.056 minori, di cui 3.125 accompagnati e 4.931 non accompagnati. Nello stesso periodo, si stima che siano stati rilasciati circa 2.305 permessi di soggiorno per cure mediche, tra cui rientrano anche quelli concessi a donne in stato di gravidanza, considerate inespellibili ai sensi del Testo unico sull'immigrazione.
  Nel 2014, dal 1o gennaio al 30 settembre, sono giunti via mare 22.017 minori, di cui 10.510 accompagnati e 11.507 non accompagnati. Nello stesso periodo, i permessi di soggiorno rilasciati per cure mediche sono stati 3.510.
  Per quanto riguarda, più in generale, il sistema di accoglienza e protezione dei minori stranieri non accompagnati rintracciati sul territorio nazionale, le nuove modalità di accoglienza sono state individuate nella seduta della Conferenza unificata del 10 luglio 2014, durante la quale è stata sancita l'intesa tra Governo, regioni ed enti locali per l'attuazione del Piano operativo nazionale volto a fronteggiare il flusso straordinario di cittadini extracomunitari adulti, famiglie e minori stranieri non accompagnati.
  Con l'obiettivo di ricondurre a una governance di sistema la presa in carico dei minori stranieri non accompagnati, il Piano individua nuove modalità di accoglienza: una fase di prima accoglienza, da realizzare attraverso la costituzione di centri governativi ad alta specializzazione, e un'accoglienza di secondo livello, da realizzare nell'ambito delle strutture del Servizio di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar).
  Nelle more, al fine di fronteggiare l'attuale situazione di notevole afflusso di minori stranieri non accompagnati sulle coste italiane, l'intesa del 10 luglio 2014 ha affidato al Ministero dell'interno il coordinamento della costituzione di apposite strutture temporanee per la loro accoglienza, attivate dalle regioni sulla base di quanto convenuto nei tavoli di coordinamento regionali.
  Al tempo stesso, il Ministero dell'interno garantisce l'inserimento dei minori stranieri non accompagnati, anche non richiedenti asilo, nelle strutture dello Sprar (per i minori richiedenti asilo l'accoglienza nella rete dello Sprar era già stata disposta dall'articolo 26, comma 6, del decreto legislativo n. 25 del 2008), con il contestuale ampliamento dei posti.
  In attuazione di quanto sopra, con successive circolari del 23 e del 25 luglio scorso, il Ministero dell'interno ha fornito a tutti i soggetti coinvolti nelle attività di accoglienza dei minori (prefetture, Ministeri della giustizia e del lavoro, Unhcr, servizio centrale dello Sprar, conferenza delle regioni, Upi, Anci) le indicazioni operative necessarie per l'individuazione delle strutture temporanee di accoglienza e per l'ampliamento immediato dei posti nello Sprar.
  Al fine di procedere con tempestività, è stata inoltre costituita una struttura di missione per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, con il compito di fornire il necessario supporto tecnico e organizzativo al Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno.
  Nell'intesa del 10 luglio 2014 è stato altresì convenuto di sostenere gli interventi concordati con le risorse del Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (di cui all'articolo 23 del decreto-legge n. 95 del 2012), che per l'anno 2014 ammonta a 40 milioni di euro.
  Per quanto riguarda l'attività di contrasto dell'immigrazione irregolare, il Governo ritiene che il miglioramento della cooperazione con i Paesi terzi di origine e transito dei flussi sia un efficace deterrente di tale fenomeno. In tal senso, riconnette fondamentale importanza agli strumenti dei partenariati di mobilità, dei programmi di protezione regionale e dei processi regionali.
  In proposito, si informa che, in aggiunta ai partenariati con il Marocco e la Tunisia, già operativi, nel corrente mese di ottobre è stato firmato anche quello con la Giordania.
  Per quanto attiene ai processi regionali, un ulteriore impulso potrà venire dalla IV Conferenza ministeriale euro-africana su migrazione e sviluppo, nel quadro del «Processo di Rabat», che l'Italia ospiterà a Roma, il 27 novembre 2014.
  Il Governo italiano sta inoltre promuovendo l'avvio e lo sviluppo di un analogo dialogo sui temi migratori (in primis la lotta al traffico di esseri umani) con i Paesi dell'Africa orientale, nell'ambito del «Processo di Khartoum».
  Si segnala, infine, che il 1o novembre 2014 ha avuto inizio, sotto la regia unitaria di Frontex, l'operazione Triton con l'obiettivo precipuo di contrastare l'immigrazione clandestina e le attività di traffico e tratta degli esseri umani nel Mediterraneo centrale.
  L'operazione, anche in ragione del suo vasto raggio di azione, prevede un'ampia compartecipazione degli Stati membri, tra i quali anche l'Italia, alcuni dei quali concorreranno con assetti aerei o navali e il relativo personale, altri con propri esperti.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in via Turati 5 a Como, nel cuore della zona denominata Camerlata, è apparso decentemente un cartello in turco che indica l'ubicazione di una nuova moschea di cui si ignorava precedentemente l'esistenza;
   gli uffici del settore urbanistica del comune di Como, opportunamente sollecitati a chiarire se fosse stata concessa una qualche autorizzazione al riguardo, hanno confermato che non esistono al momento edifici con destinazione d'uso a moschea sul territorio comunale di competenza, anche se vi sono strutture private autorizzate ad ospitare associazioni culturali islamiche;
   non risultano essere state emanate neanche autorizzazioni ad effettuare lavori di adattamento del sito di via Turati 5 a Como, per cui sussiste anche un dubbio in merito alla effettiva agibilità dello stabile a quanto pare surrettiziamente adibito a moschea;
   qualora la destinazione d'uso dell'immobile di via Turati 5 a moschea fosse confermata in seguito alle necessarie verifiche, l'area comasca si delineerebbe come una zona ad alta intensità di insediamenti religiosi islamici, circostanza che dovrebbe suggerire una particolare sorveglianza, stante anche l'attuale clima internazionale, che è contrassegnato da una notevole riscossa dei movimenti terroristici a matrice jihadista in Libia, Siria ed Iraq –:
   se il Governo, nell'ambito dell'attività di monitoraggio sul fenomeno dell'associazionismo islamico finalizzata a prevenire il rischio di possibili infiltrazioni di matrice eversive, disponga di elementi sul centro di cui in premessa. (4-05124)

  Risposta. — In questi ultimi anni, la tematica dell'esercizio del culto in forma associata in luoghi idonei si è posta nei confronti di una pluralità di confessioni religiose diverse dalla quella cattolica, con particolare riferimento – come nel caso dell'interrogazione – al mondo musulmano.
  A tale proposito, il Comitato per l'islam italiano – istituito nel 2010 dall'allora Ministro dell'interno – ha evidenziato che i luoghi di culto devono fare riferimento esclusivo alla normativa nazionale, regionale e ai regolamenti locali in materia di procedure urbanistiche ed edilizie, norme di sicurezza, igiene e sanità (parere espresso nella seduta del 27 gennaio 2011). L'esercizio della libertà di religione, dunque, non consente di sottrarsi al rispetto delle norme urbanistiche in tema di destinazione d'uso del territorio.
  Nel parere citato, il Comitato si rivolge anche ai comuni, auspicando che all'interno dei piani regolatori siano previste apposite aree destinate al culto, diverse da quelle a destinazione residenziale, proprio al fine di garantire l'esercizio di un diritto costituzionalmente garantito.
  Il luogo di culto a cui si fa riferimento nell'interrogazione, denominato Lega dei centri culturali islamici di Como, ha sede in via Turati, a Como. Recentemente, sulla porta d'ingresso di tale sede è comparso un cartello con l'indicazione «Mescid – piano di sotto»; presumibilmente poiché l'associazione, proprietaria dell'intera palazzina dal novembre dello scorso anno, avrebbe adibito il piano seminterrato all'esercizio dei riti religiosi islamici.
  L'esposizione dell'indicazione «Mescid» (moschea) ha attirato l'attenzione dei cittadini residenti, che si sono attivati per verificarne la legittimità, sollevando la questione anche in sede di consiglio comunale. In seguito a tali richieste di chiarimento, l'assessore alla sicurezza ha precisato che il piano di governo del territorio del comune di Como non prevede luoghi «con destinazione d'uso a moschea», ma unicamente «strutture private per associazioni culturali islamiche».
  Tuttavia, le verifiche effettuate dai competenti organi comunali hanno evidenziato gravi irregolarità, tanto da indurre l'amministrazione a disporre l'immediata chiusura del centro islamico. Infatti, lo stabile non ha ancora ottenuto l'agibilità, in difetto di comunicazione del termine dei lavori di riqualificazione, che ha determinato l'avvio di una procedura sanzionatoria e la diffida all'utilizzo dei locali.
  Peraltro, l'attuale proprietà aveva ottenuto un cambio di destinazione d'uso dello stabile, da laboratorio a centro culturale, senza fare riferimento al suo utilizzo quale luogo di culto, benché l'indicazione affissa all'ingresso lo faccia presumere. Perciò sono state avviate ulteriori verifiche, che hanno consentito di accertare la presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività per interventi edili, ma non dei relativi seguiti.
  Di conseguenza, il 15 luglio 2014 il comune di Como ha notificato l'inagibilità del centro culturale al legale rappresentante dell'associazione Lega dei centri culturali islamici, a causa della realizzazione di manufatti non autorizzati.
  Si è comunque appreso che il titolo edilizio è tuttora valido e i lavori potranno concludersi entro il 15 febbraio 2015. L'uso dei locali resterà inibito sino al termine dei lavori e sarà consentito in concreto subordinatamente all'attestazione dell'agibilità degli ambienti per i quali è ammessa la destinazione d'uso a centro culturale.
  Infine, si assicura che le forze dell'ordine svolgono un accurato monitoraggio dei centri di aggregazione religiosa, nell'ambito delle attività finalizzate a prevenire il terrorismo internazionale di matrice religiosa.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   MONGIELLO, PETRINI, GIULIETTI, LODOLINI, MANZI, LUCIANO AGOSTINI, MORANI, MARCHETTI, CARRESCIA, DI GIOIA, CERA, BOBBA, ASCANI, SERENI, VERINI, FARAONE, NACCARATO, MIOTTO, NARDUOLO, CASELLATO, GULLO, RUBINATO, MORETTI, DE MENECH, MARCO DI MAIO, DONATI, SBROLLINI, BINI, CARRA, COLANINNO, MARTELLI, FABBRI e GRECO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare Made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il Made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma anche come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   gli allevamenti italiani di suini, presenti prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna, sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti e offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che dietro questo sistema ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   l'articolo 26, comma 2, lettera b) del regolamento (CE) 25 ottobre 2011, n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, prevede che l'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza è obbligatoria per le carni dei codici della nomenclatura combinata (NC) elencati all'allegato XI del regolamento medesimo – tra le quali sono contemplate le carni di animali della specie suina, fresche, refrigerate o congelate – rinviando l'applicazione della norma a successivi atti di esecuzione da adottare entro il 13 dicembre 2013 –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di assicurare il rispetto, del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal regolamento 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento alle carne suine. (4-02734)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, riferisco quanto segue.
  La conoscenza del Paese di origine o del luogo di provenienza di un prodotto agroalimentare rappresenta un requisito imprescindibile per l'orientamento all'acquisto dei consumatori, a garanzia del diritto all'informazione e della possibilità di compiere scelte consapevoli.
  Soprattutto per il nostro Paese, l'indicazione dell'origine è un fattore strategico per contrastare una diffusa pratica contraffattiva e imitativa delle nostre produzioni ed arginare il danno noto e ingente al potenziale economico del settore agroalimentare.
  Tenendo ben presenti tali considerazioni, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha sempre fortemente sostenuto, in sede europea, l'indicazione obbligatoria del Paese d'origine o del luogo di provenienza dei prodotti, concertando la posizione negoziale con il Dicastero della salute.
  Infatti, anche grazie all'impegno e al sostegno del nostro Paese, il 13 dicembre 2013 è stato emanato il regolamento di esecuzione della Commissione n. 1337 del 2013 che, oltre a stabilire i criteri di etichettatura per gli operatori del settore alimentare delle carni fresche, refrigerate o congelate di suino, ovino, caprino e di volatili, introduce la prescrizione relativa all'indicazione del Paese d'origine o luogo di provenienza ove gli animali sono stati allevati e macellati.
  In seguito, il Parlamento europeo, con risoluzione del 6 febbraio 2014, ha invitato la Commissione a ritirare il predetto regolamento di esecuzione e a redigerne una nuova versione che preveda l'indicazione obbligatoria in etichetta, del luogo di nascita nonché dei luoghi di allevamento e di macellazione dell'animale per le carni non trasformate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili, in conformità della legislazione vigente in materia di etichettatura di origine delle carni bovine (regolamento CE n. 1760 del 2000 – Titolo II).
  In ogni caso, la modifica al quadro normativo europeo di riferimento rappresenta un eccellente risultato per i consumatori, cui garantisce una maggiore conoscibilità dei prodotti attraverso le informazioni in etichetta, ma anche un importante passo avanti in favore delle più efficaci azioni che possono essere attuate a tutela del made in Italy.
  Invero, le variazioni apportate al testo originario proposto dalla Commissione (tra le quali il raddoppio del periodo minimo di allevamento per poter indicare in etichetta il Paese di allevamento dell'animale) hanno consentito di fare maggiore chiarezza sulle procedure da seguire per l'apposizione delle diciture in etichetta (anche per la carne suina, nelle varie fasi di commercializzazione) e di fornire al consumatore valide informazioni circa la realtà produttiva.
  Il predetto regolamento di esecuzione (che si applicherà dal 1o aprile 2015), oltre a concedere di integrare, su base volontaria e nel rispetto degli articoli 36 e 37 del regolamento n. 1169 del 2011, le informazioni sull'origine con ulteriori informazioni relative alla provenienza della carne (tra cui, un livello geografico più dettagliato), consente di utilizzare il termine «origine» solo nel caso di animali nati, allevati e macellati nello stesso Paese e dispone che l'indicazione del luogo di provenienza delle carni avvenga nel seguente modo:
   per tutte le specie: l'indicazione «origine Italia» può essere utilizzata solo se l'animale è nato, allevato e macellato in Italia;
   per gli ovini e i caprini: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale ha trascorso almeno gli ultimi 6 mesi in Italia ovvero viene macellato sotto i 6 mesi ed ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia;
   per il pollame: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale ha trascorso almeno l'ultimo mese in Italia, ovvero viene macellato sotto 1 mese di età ed ha trascorso l'intero periodo di ingrasso in Italia;
   per i suini: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale viene macellato sopra i 6 mesi e ha trascorso almeno gli ultimi 4 mesi in Italia; se è entrato in Italia ad un peso inferiore ai 30 kg e macellato ad un peso superiore ai 80 kg e, infine, se l'animale viene macellato ad un peso inferiore agli 80 kg e ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia.

  È bene ricordare che, a livello nazionale, oltre il 70 per cento dell'intera produzione suinicola italiana già produce carne rispetto delle disposizioni dei disciplinari delle denominazioni di parigine protetta (Dop) e delle indicazioni geografiche protette (Igp).
  In particolare, i disciplinari dei prodotti della salumeria DOP e IGP italiani, approvati a livello europeo, impongono che i suini appartengano a determinate razze appositamente selezionate, vengano allevati in condizioni di benessere e secondo un programma alimentare studiato per le diverse fasi di allevamento. Peraltro, gli allevatori e i macelli aderenti ai circuiti delle produzioni Dop ed Igp sono controllati da Istituti, pubblici o privati, designati dal Ministero, che monitorano la certificazione dei capi suini destinati alla trasformazione in prodotti Dop e Igp, le movimentazioni degli animali verso altri allevamenti e/o macelli nonché le fasi di macellazione, trasformazione ed eventuale confezionamento.
  Peraltro, il circuito di questi prodotti di qualità include un insieme di operatori iscritti ad un sistema organizzato e controllato della produzione. In pratica, la provenienza della materia prima utilizzata viene tracciata seguendo il seguente percorso: allevamento in cui è nato il suino; allevamento che lo ha avviato al macello; macello; laboratorio di sezionamento; industria di trasformazione.
  Nel dettaglio, l'allevamento di nascita appone sulla coscia dell'animale (entro il 30o giorno di vita) un timbro indelebile (tatuaggio) recante il proprio codice e il mese di nascita dell'animale. Successivamente, l'allevamento da cui i suini partono per il macello certifica, tramite la certificazione unificata di conformità (Cuc), gli animali della partita avviata alla macellazione, indicando i tatuaggi relativi all'allevamento di nascita dei suini, della partita nonché il tipo genetico prevalente. Detta certificazione è accompagnata da eventuali certificati relativi agli spostamenti dei suini in allevamenti diversi da quello di nascita. Il macello, tramite timbro indelebile impresso sulla cotenna, appone poi il proprio codice di identificazione su ogni coscia, dopo aver accertato i requisiti previsti dal disciplinare di produzione. Lo stagionatore, infine, identifica e registra l'inizio del processo di stagionatura. Nel caso dei prosciutti Dop di Parma e di San Daniele viene apposto sulle cosce un sigillo metallico numerato.
  Peraltro, presso gli stabilimenti di macellazione e lavorazione delle carni suine vengono garantiti i controlli ufficiali dei servizi veterinari delle aziende sanitarie locali che, nella verifica dell'applicazione dei regolamenti europei afferenti al pacchetto igiene (regolamenti n. 178 del 2002 e nn. 852, 853, 854 e 882 del 2004), esaminano anche agli aspetti relativi alla rintracciabilità dei prodotti così come disposto dall'articolo 18 del regolamento n. 178 del 2002.
  In ogni caso, è certo che la sicurezza e la qualità degli alimenti possono essere maggiormente garantite attraverso un elevato livello di collaborazione e coordinamento tra diverse amministrazioni. Tale principio è ben consolidato e su di esso si fonda la normativa europea vigente in materia. In particolare, il regolamento n. 882 del 2004 prevede che ciascun Paese membro predisponga un Piano di controllo nazionale che assicuri un approccio multidisciplinare per la pianificazione, lo svolgimento e la rendicontazione dei controlli ufficiali.
  A tal fine, il Ministero della salute è il punto di raccordo nazionale per il Piano nazionale integrato (Pni) che nasce dall'intensa e proficua collaborazione con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministero dell'ambiente, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, i nuclei del Comando dei Carabinieri (Nas, Nac e Noe), le Capitanerie di porto, il Corpo forestale dello Stato e la Guardia di Finanza. Sia il Pni 2011- 2014 che le Relazioni annuali (ove sono raccolti i dati delle attività svolte dalle citate amministrazioni), sono pubblicati sul portale del Ministero della salute.
  Ricordo, inoltre, che l'articolo 8, comma 4, del decreto-legge 18 giugno 1986, n. 282 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 462 del 1986 stabilisce che presso il Ministero della sanità è istituito l'elenco pubblico delle ditte commerciali e dei produttori che abbiano riportato condanne con sentenza passata in giudicato per reati di frode e di sofisticazione alimentare. Il Ministro della sanità ne cura annualmente la pubblicazione, con riferimento alle condanne intervenute nell'anno precedente, nella Gazzetta Ufficiale e in almeno due quotidiani a diffusione nazionale.
  A tal riguardo, mi preme sottolineare l'intensa attività di controllo espletata dal Corpo forestale dello Stato sul territorio nazionale, finalizzata al contrasto del fenomeno del falso made in Italy e del cosiddetto italian sounding, ossia l'utilizzo fuorviante, sull'imballaggio dei prodotti agroalimentari, di etichette o simboli che esaltino l'italianità dei luoghi d'origine della materia prima, della ricetta e del marchio.
  Nel corso del 2013, in particolare, il Corpo forestale dello Stato ha posto in essere un'attività sanzionatoria contro il falso made in Italy a tutela sia dei consumatori, che dei produttori onesti, penalizzati da una concorrenza sleale nel libero scambio delle proprie merci all'interno dall'Unione. I controlli eseguiti, oltre a costituire un efficace monitoraggio del made in Italy agroalimentare, hanno consentito il sequestro di circa 600 tonnellate di prodotti e la comunicazione di oltre 170 notizie di reato alla Procura della Repubblica italiana, assicurando la repressione di tutte quelle condotte penalmente rilevanti che si siano poste in evidente contrasto con il leale svolgimento degli scambi commerciali e con la trasparenza informativa nei riguardi del consumatore.
  Vorrei poi ricordare che il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, all'articolo 3 (Interventi per il sostegno del made in Italy) prevede che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali svolga una consultazione pubblica tra i consumatori per valutare in quale misura, nelle informazioni relative ai prodotti alimentari, venga percepita come significativa l'indicazione relativa al luogo di origine o di provenienza dei prodotti alimentari e della materia prima agricola utilizzata nella preparazione o nella produzione degli stessi e quando l'omissione delle medesime indicazioni sia ritenuta ingannevole. I risultati delle consultazioni effettuate saranno resi pubblici e trasmessi alla Commissione europea.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   PALAZZOTTO, DURANTI, PIRAS e SCOTTO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 9 novembre 2013 nel canale di Sicilia la Fregata Aliseo, impegnata nelle operazioni di pattugliamento nell'ambito dell'operazione «Mare Nostrum», ha intercettato un'imbarcazione con a bordo alcuni cosiddetti «scafisti». Al termine dell'operazione di inseguimento vengono arrestati 16 egiziani sospettati di aver trainato e sganciato a largo di Capo Passero una chiatta con a bordo 176 profughi siriani;
   il comandante della fregata, Massimiliano Siragusa, rispondendo alle domande di alcuni cronisti, precisa che la «nave madre» è stata intercettata ed è affondata, successivamente all'arresto dei presunti scafisti, a causa delle cattive condizioni meteorologiche unitamente alle precarie condizioni dello scafo;
   un video, registrato da un uomo dell'equipaggio e diffuso il 25 marzo 2014 in una conferenza stampa organizzata dal Partito per la tutela dei diritti dei militari, mostra che dalla fregata della Marina militare italiana sono partite più raffiche di mitra, dapprima fuori obiettivo a scopo deterrente e successivamente indirizzate alla poppa della scafo sotto la linea di galleggiamento;
   a seguito della diffusione del video la Marina militare in una nota ha ammesso che «sono stati sparati alcuni colpi (...) come ultima ratio per bloccare la fuga della nave madre e dopo aver acquisito l'assoluta certezza di non colpire l'equipaggio» –:
   se il Ministro abbia avviato o intenda avviare un'indagine per accertare lo svolgimento dei fatti in questione e le responsabilità della Marina militare nella diffusione di informazioni che non appaiono corrispondenti alla realtà dei fatti;
   quali siano le regole di ingaggio dell'operazione «Mare Nostrum» e se in tali regole rientri l'utilizzo delle armi da fuoco non a scopo deterrente ma in direzione degli scafi, al fine di fermare imbarcazioni sospette;
   se e quando, nell'ambito dell'operazione «Mare Nostrum» sia finora accaduto che navi militari italiane abbiano aperto il fuoco verso imbarcazioni civili. (4-04264)

  Risposta. — Le modalità con cui Nave Aliseo, il 9 novembre 2013, è intervenuta in acque internazionali, sono state comunicate all'autorità giudiziaria competente e confluite nel fascicolo della Direzione distrettuale antimafia presso la Procura di Catania, unitamente a tutti gli atti e agli elementi probatori utili a fornire una chiara e coerente rappresentazione dei fatti; la documentazione è stata depositata e messa a disposizione delle parti, a cura della stessa Procura.
  Va precisato che Nave Aliseo procedeva ad intercettare la cosiddetta «nave madre» (unità priva di bandiera che si sospettava avesse al traino un'unità più piccola, utilizzata per il traffico illecito di migranti via mare) solo dopo che gli elementi video-fotografici raccolti erano stati ritenuti sufficienti affinché, in accordo con la Procura distrettuale antimafia di Catania, il modus operandi dei due natanti potesse essere riconducibile alle attività di traffico di esseri umani condotte dalle associazioni criminali.
  Interveniva, intanto, anche Nave Stromboli per il soccorso dell'unità minore trasportante i migranti in pericolo di vita.
  Terminato l'inseguimento, i trafficanti di essere umani (13 adulti e 3 minori) venivano identificati dal personale della Polizia di Stato imbarcato su Nave Aliseo e consegnati all'autorità giudiziaria per l'adozione delle conseguenti misure cautelari; attualmente, è in corso a Catania il processo in Corte d'assise.
  La Procura di Catania, disposto il sequestro probatorio della nave madre e delegata Nave Aliseo per la relativa esecuzione, trasmetteva al giudice per le indagini preliminari il decreto di sequestro per la convalida.
  La Procura militare di Napoli, acquisita da Nave Aliseo e dal Comando in capo della squadra navale una relazione sull'accaduto e sugli atti di polizia giudiziaria prodotti nella circostanza, ha aperto un'inchiesta per accertare eventuali responsabilità penali.
  Per quanto concerne, invece, le «regole d'ingaggio dell'operazione Mare Nostrum», premesso che le stesse sono utilizzate in scenari di possibile contrapposizione militare, nell'ambito di questa operazione i comandanti delle unità della Marina militare si attengono alle regole di condotta sull'uso legittimo delle armi disciplinate dalle leggi dello Stato e a quelle del diritto internazionale.
  In concreto, tali norme prevedono l'uso legittimo delle armi allo scopo di vincere una resistenza, assumendo ogni possibile precauzione per non mettere a rischio la vita delle persone e intimando il fermo, dapprima con comunicazioni verbali, sonore e con segnali, manovre cinematiche e infine, quale extrema ratio, con l'uso delle armi improntato ai principi generali dell'uso della forza minima, ragionevole, necessaria e proporzionale.
  Nel caso di specie, atteso l'esito negativo della richiesta di visita da parte della nave madre che aveva opposto resistenza con manovre evasive pericolose, il Comando di bordo poneva in essere, in maniera graduale e con la massima cautela, le necessarie azioni per conseguire il fermo della nave e assicurare alla giustizia i trafficanti di esseri umani.
  Infine, «se e quando, nell'ambito dell'operazione Mare Nostrum sia accaduto che navi militari italiane abbiano aperto il fuoco verso imbarcazioni civili», si rende noto che il 12 gennaio 2014, a sud di Lampedusa e al largo della costa libica, a bordo di Nave San Marco è stato registrato l'impiego di armi da fuoco, di piccolo calibro-9mm, per una mera azione di «warning shot» (colpi di avvertimento): per l'esattezza, 9 colpi esplosi a proravia di un natante intento sospetto di traffico illegale di migranti e che rifiutava di cooperare.
  L'episodio, svolto in stretto coordinamento con la Procura di Siracusa, si è concluso con il fermo dello scafista senza necessità di ulteriori azioni di fuoco.
  Per completezza di informazione, si rappresenta che l'imbarcazione è poi risultata carica di migranti che venivano trasferiti a bordo di Nave San Marco.
Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   PASTORELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, con un contributo di 53 miliardi di euro che proviene dal settore agricolo;
   in agricoltura sono presenti quasi un milione di imprese, ossia il 15 per cento del totale delle imprese italiane;
   il mercato agricolo ha una rilevante importanza non solo per l'economia nazionale, ma, altresì, per il patrimonio culturale ed ambientale, se si considera la percentuale di superficie coltivata, nonché l'ingente numero di lavoratori occupati nel settore;
   in Italia, gli allevamenti di suini – presenti, prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna – sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia nel 2012 ha importato dalla Germania il 52 per cento di suini vivi e carni suine, per un totale di 535.309 tonnellate;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari garantisce la solidità delle imprese agricole italiane;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che dietro questo sistema ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   la libera circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale del mercato interno, ma, sempre più spesso, la salute dei consumatori e la corretta e sana alimentazione appaiono compromesse da cibi anonimi, con scarse qualità nutrizionali, o addizionati e di origine per lo più sconosciuta;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   l'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n.9, Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, introduce un sistema al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle Amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine degli oli di oliva vergini, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche –:
   se il Ministro non ritenga opportuno adottare, anche per le carni suine ad uso alimentare, di un sistema analogo a quello previsto per gli oli di oliva vergini dalla legge n. 9/2013 citata, per assicurare l'accessibilità da parte dei consumatori delle informazioni e dei dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine delle carni suine, nonché promuovere, a tale scopo, la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche;
   quali iniziative il Ministro intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di rendere noti e pubblici i riferimenti delle società eventualmente coinvolte in pratiche, commerciali ingannevoli, fraudolente, o scorrette finalizzate ad immettere sui mercati finti prodotti made in Italy ed i dati dei traffici illeciti accertati. (4-02794)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, riferisco quanto segue.
  La conoscenza del Paese di origine o del luogo di provenienza di un prodotto agroalimentare rappresenta un requisito imprescindibile per l'orientamento all'acquisto dei consumatori, a garanzia del diritto all'informazione e della possibilità di compiere scelte consapevoli.
  In aggiunta, soprattutto per il nostro Paese, si pone come fattore strategico per la tutela della nostra eccellenza produttiva, alla luce di una diffusa pratica contraffattiva e imitativa, che rappresenta un danno noto e ingente al potenziale economico, culturale e sociale del settore agroalimentare.
  Tenendo ben presenti tali considerazioni, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha sempre fortemente sostenuto, in sede europea, l'indicazione obbligatoria del Paese d'origine o del luogo di provenienza dei prodotti, concertando la posizione negoziale con il Dicastero della salute, al fine di difendere l'identità la competitività della produzione italiana sui mercati internazionali ed esteri e il diritto dei consumatori alla trasparenza delle informazioni sulla tracciabilità.
  Infatti, anche grazie all'impegno e al sostegno del nostro Paese, il 13 dicembre 2013 è stato emanato il regolamento di esecuzione della Commissione n. 1337 del 2013 che, oltre a stabilire i criteri di etichettatura per gli operatori del settore alimentare delle carni fresche, refrigerate o congelate di suino, ovino, caprino e di volatili, destinate alla commercializzazione, introduce la prescrizione relativa all'indicazione del Paese d'origine o luogo di provenienza ove gli animali sono stati allevati e macellati.
  In seguito, il Parlamento europeo, con risoluzione del 6 febbraio 2014, ha invitato la Commissione a ritirare il predetto regolamento di esecuzione e a redigerne una versione riveduta che preveda l'indicazione obbligatoria, sull'etichetta, del luogo di nascita nonché dei luoghi di allevamento e di macellazione dell'animale per le carni non trasformate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili, in conformità della legislazione vigente in materia di etichettatura di origine delle carni bovine (regolamento CE n. 1760 del 2000 – Titolo II).
  In ogni caso, la modifica al quadro normativo europeo di riferimento rappresenta un eccellente risultato per i consumatori, cui garantisce una maggiore conoscibilità dei prodotti attraverso le informazioni in etichetta, ma anche un importante passo avanti in favore delle più efficaci azioni che possono essere attuate a tutela del made in Italy.
  Invero, le variazioni apportate al testo originario proposto dalla Commissione (tra le quali il raddoppio del periodo minimo di allevamento per poter indicare in etichetta il Paese di allevamento dell'animale) hanno consentito di fare maggiore chiarezza sulle procedure da seguire per l'apposizione delle diciture in etichetta (anche per la carne suina, nelle varie fasi di commercializzazione) e di fornire al consumatore valide informazioni circa la realtà produttiva.
  Il predetto regolamento di esecuzione (che si applicherà dal 1o aprile 2015), oltre a concedere di integrare, su base volontaria e nel rispetto degli articoli 36 e 37 del regolamento n. 1169 del 2011, le informazioni sull'origine con ulteriori informazioni relative alla provenienza della carne (tra cui, un livello geografico più dettagliato), consente di utilizzare il termine «origine» solo nel caso di animali nati, allevati e macellati nello stesso Paese e dispone che l'indicazione del luogo di provenienza delle carni avvenga nel seguente modo;
   per tutte le specie: l'indicazione «origine Italia» può essere utilizzata solo se l'animale è nato, allevato e macellato in Italia;
   per gli ovini e i caprini: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale ha trascorso almeno gli ultimi 6 mesi in Italia ovvero viene macellato sotto i 6 mesi ed ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia;
   per il pollame: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale ha trascorso almeno l'ultimo mese in Italia, ovvero viene macellato sotto 1 mese di età ed ha trascorso l'intero periodo di ingrasso in Italia;
   per i suini: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale viene macellato sopra i 6 mesi e ha trascorso almeno gli ultimi 4 mesi in Italia; se è entrato in Italia ad un peso inferiore ai 30 kg e macellato ad un peso superiore ai 80 kg e, infine, se l'animale viene macellato ad un peso inferiore agli 80 kg e ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia.

  È bene tuttavia ricordare che, a livello nazionale, oltre il 70 per cento dell'intera produzione suinicola italiana già produce carne nel rispetto delle disposizioni dei disciplinari delle denominazioni di origine protetta (Dop) e delle indicazioni geografiche protette (Igp).
  In particolare, i disciplinari dei prodotti della salumeria Dop e Igp italiani, approvati a livello europeo, impongono che i suini appartengano a determinate razze appositamente selezionate, vengano allevati in condizioni di benessere e secondo un programma alimentare studiato per le diverse fasi di allevamento. Peraltro, gli allevatori e i macelli aderenti ai circuiti delle produzioni Dop ed Igp sono controllati da Istituti, pubblici o privati, designati dal Ministero, che monitorano la certificazione dei capi suini destinati alla trasformazione in prodotti Dop e Igp, le movimentazioni degli animali verso altri allevamenti e/o macelli nonché le fasi di macellazione, trasformazione ed eventuale confezionamento.
  Peraltro, il circuito di questi prodotti di qualità include un insieme di operatori iscritti ad un sistema organizzato e controllato della produzione. In pratica, la provenienza della materia prima utilizzata viene tracciata seguendo il seguente percorso; allevamento in cui è nato il suino; allevamento che lo ha avviato al macello; macello; laboratorio di sezionamento e trasformazione.
  Nel dettaglio, l'allevamento di nascita appone sulla coscia dell'animale (entro il 30o giorno di vita) un timbro indelebile (tatuaggio) recante il proprio codice e il mese di nascita dell'animale. Successivamente, l'allevamento da cui i suini partono per il macello certifica, tramite la certificazione unificata di conformità (Cuc), gli animali della partita avviata alla macellazione, indicando i tatuaggi relativi all'allevamento di nascita dei suini, della partita nonché il tipo genetico prevalente. Detta certificazione è accompagnata da eventuali certificati relativi agli spostamenti dei suini in allevamenti diversi da quello di nascita. Il macello, tramite timbro indelebile impresso sulla cotenna, appone poi il proprio codice di identificazione su ogni coscia, dopo aver accertato i requisiti previsti dal disciplinare di produzione. Lo stagionatore, infine, identifica e registra l'inizio del processo di stagionatura. Nel caso dei prosciutti Dop di Parma e di San Daniele viene apposto sulle cosce un sigillo metallico prenumerato.
  Peraltro, presso gli stabilimenti di macellazione e lavorazione delle carni suine vengono garantiti i controlli ufficiali dei servizi veterinari delle aziende sanitarie locali che, nella verifica dell'applicazione dei regolamenti europei afferenti al pacchetto igiene (regolamenti n. 178 del 2002 e nn. 852, 853, 854 e 882 del 2004), esaminano anche gli aspetti relativi alla rintracciabilità dei prodotti così come disposto dall'articolo 18 del regolamento n. 178 del 2002.
  In ogni caso, è certo che la sicurezza e la qualità degli alimenti possono essere maggiormente garantite attraverso un elevato livello di collaborazione e coordinamento tra diverse amministrazioni. Tale principio è ben consolidato e su di esso si fonda la normativa europea vigente in materia. In particolare, il regolamento n. 882 del 2004 prevede che ciascun Paese membro predisponga un Piano di controllo nazionale che assicuri un approccio multidisciplinare per la pianificazione, lo svolgimento e la rendicontazione dei controlli ufficiali.
  A tal fine, il Ministero della salute è il punto di raccordo nazionale per il Piano nazionale integrato (Pni) che nasce dall'intensa e proficua collaborazione con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, i nuclei del Comando dei Carabinieri (Nas, Nac e Noe), le capitanerie di porto, il Corpo forestale dello Stato e la Guardia di Finanza. Sia il Pni 2011-2014 che le relazioni annuali (ove sono raccolti i dati delle attività svolte dalle citate amministrazioni), sono pubblicati sul portale del Ministero della salute.
  Ricordo, infine, che l'articolo 8, comma 4, del decreto-legge 18 giugno 1986, n. 282 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 462 del 1986 stabilisce che presso il Ministero della salute è istituito l'elenco pubblico delle ditte commerciali e dei produttori che abbiano riportato condanne con sentenza in giudicato per reati di frode e di sofisticazione alimentare. Il Ministro della salute ne cura annualmente la pubblicazione, con riferimento alle condanne intervenute nell'anno precedente, nella Gazzetta Ufficiale e in almeno due quotidiani a diffusione nazionale.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   PIAZZONI, MIGLIORE, LAVAGNO, QUARANTA, LACQUANITI, MELILLA, ZAN, RICCIATTI, COSTANTINO, MATARRELLI, KRONBICHLER e NICCHI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le cronache recenti hanno dato ampio spazio ai numerosi sbarchi di migranti sulle coste italiane e al ruolo nel soccorrere oltre quarantamila persone e nel consegnare alla giustizia oltre duecento «scafisti» svolto dall'operazione «Mare Nostrum»;
   tra i migranti tratti in salvo un numero elevato è rappresentato da minori, molti dei quali non accompagnati. Secondo valutazioni diffuse dall'organizzazione Save the Children, dal 1° gennaio al 13 maggio 2014 sono sbarcati sulle coste italiane 5.583 minori, di cui ben 3.782 non accompagnati. I dati del Ministero dell'interno al 31 marzo riferiscono la presenza di 5.899 minori nelle comunità, ma di questi, sempre secondo Save the Children, circa 2.000 sarebbero già irreperibili;
   proprio i minori sono i soggetti più a rischio per le insidie e le difficoltà insite nel processo migratorio, ma soprattutto le principali vittime dello sfruttamento da parte delle organizzazioni criminali dedite al «trafficking». Risale al mese di maggio 2014 l'operazione di polizia che ha portato alla liberazione di 4 minori stranieri segregati in un appartamento a Priverno (provincia di Latina) e all'arresto dei loro aguzzini, operazione scattata a seguito di una segnalazione della direzione distrettuale antimafia di Milano;
   in recenti dichiarazioni il commissario del Governo per le persone scomparse Vittorio Piscitelli ha parlato della tematica in questione come un vero e proprio «buco nero» con molti scenari possibili, dai trafficanti di esseri umani, allo sfruttamento sessuale, al traffico d'organi;
   la problematica evidenziata trae origine da una gestione dell'accoglienza insufficiente, spesso con standard di qualità disomogenei e con un diffuso ritardo nella ricezione dei minori in comunità per mancanza di posti dovuta alla generale scarsezza di risorse a tal fine destinate. Nello specifico risulta essere particolarmente negativa l'assenza di un protocollo per l'identificazione dei minori allo sbarco, così come l'assenza di una procedura unica di identificazione che permetta una immediata tutela dell'interesse superiore del minore;
   quanto descritto in premessa delinea una situazione di reale emergenza, considerando come già allo stato attuale la percentuale di minori giunti in Italia negli ultimi mesi sia pari al venti per cento dei migranti sbarcati — praticamente uno su cinque — e ben i due terzi siano minori soli e non accompagnati –:
   quali dati siano in possesso del Ministro in relazione ai minori giunti in Italia negli ultimi mesi, in particolare riguardo ai minori non accompagnati, e quanti di loro risultino attualmente irreperibili;
   se non intenda adoperarsi per l'adozione di un protocollo per l'identificazione dei minori allo sbarco che sia in grado di tutelare immediatamente l'interesse superiore del minore e quali iniziative, anche normative, intenda adottare per la protezione, la tutela e l'accoglienza dei minori non accompagnati in Italia. (4-05072)

  Risposta. — Nel periodo dal 1o gennaio al 30 settembre 2014, sono giunti via mare in Italia 22.017 minori, di cui 10.510 accompagnati e 11.507 non accompagnati.
  Quanto a questi ultimi, il fenomeno dell'allontanamento da istituti o comunità – che risulta in gran parte sommerso – è divenuto consistente dall'inizio della «primavera araba»; ma già nel 2008, il 40 per cento del totale dei minori stranieri non accompagnati accolti nelle strutture di accoglienza si era reso irreperibile. In base ai dati forniti dal Commissario straordinario del governo per le persone scomparse, solo l'1,9 per cento di coloro che si allontanano dalle strutture di accoglienza viene ritrovato.
  A volte l'allontanamento avviene per l'inadeguatezza della struttura di accoglienza, ma in molti casi esso risponde alla volontà del minore di proseguire il proprio percorso migratorio verso i Paesi del Nord Europa in cui vivono familiari o amici.
  Per la realizzazione di tale progetto, il minore deve rendersi irreperibile prima della conclusione della procedura di identificazione, in modo da evitare il rischio, una volta raggiunto il paese europeo obiettivo finale del suo viaggio, di essere rimandato in Italia, sulla base del principio della competenza del Paese di primo ingresso, sancito dal regolamento Dublino.
  Per contrastare tale modus operandi, dal 1o gennaio 2014 sono state adottate apposite linee guida che impongono l'obbligatorietà della compilazione, da parte della polizia di frontiera, di una scheda che accompagna il minore straniero dal suo arrivo in Italia per l'intero percorso di inserimento, nonché l'invio telematico della stessa scheda al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che la condivide con il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno.
  Rimane comunque alto il rischio che il minore in fuga dalla struttura di accoglienza possa essere coinvolto in attività illecite, come sfruttamento, accattonaggio e lavoro nero. Per prevenire tale evenienza, l'ufficio del Commissario straordinario del governo per le persone scomparse ha da tempo avviato una serie di iniziative di approfondimento e collaborazione con altri enti, tra cui la Prefettura di Roma, per uno specifico protocollo d'intesa sui minori stranieri scomparsi.
  Per quanto riguarda, più in generale, il sistema di accoglienza e protezione dei minori stranieri non accompagnati rintracciati sul territorio nazionale, le nuove modalità di accoglienza sono state individuate nella seduta della conferenza unificata del 10 luglio 2014. In tale sede, è stata sancita l'intesa tra governo, regioni ed enti locali per l'attuazione del Piano operativo nazionale volto a fronteggiare il flusso straordinario di cittadini extracomunitari, tra i quali anche minori non accompagnati.
  Nell'intento di ricondurre la gestione di questa particolare tipologia di minori a una governance di sistema, il piano individua nuove modalità di accoglienza: una fase di prima accoglienza, da realizzare attraverso la costituzione di centri governativi ad alta specializzazione, e un'accoglienza di secondo livello, da realizzare nell'ambito delle strutture del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) gestite direttamente dagli enti locali attraverso le risorse finanziarie emesse a disposizione dal Ministero dell'interno.
  Nelle more, al fine di fronteggiare l'attuale situazione di notevole afflusso di minori stranieri non accompagnati sulle coste italiane, l'intesa del 10 luglio 2014 ha affidato al Ministero dell'interno il coordinamento della costituzione di apposite strutture temporanee per la loro accoglienza, attivate dalle regioni sulla base di quanto convenuto nei tavoli di coordinamento regionali.
  Al tempo stesso, il Ministero dell'interno garantisce l'inserimento dei minori stranieri non accompagnati, anche non richiedenti asilo, nelle strutture dello Sprar (per i minori richiedenti asilo l'accoglienza nella rete dello Sprar era già stata disposta dall'articolo 26, comma 6, del decreto legislativo n. 25 del 2008), con il contestuale ampliamento dei posti.
  In attuazione di quanto sopra, con successive circolari del 23 e del 25 luglio 2014 il Ministero dell'interno ha fornito a tutti i soggetti coinvolti nelle attività di accoglienza dei minori (prefetture, Ministeri della giustizia e del lavoro, Unhcr, servizio centrale dello Sprar, conferenza delle regioni, Upi, Anci) le indicazioni operative necessarie per l'individuazione delle strutture temporanee di accoglienza e per l'ampliamento immediato dei posti nello Sprar.
  Al fine di procedere con tempestività, è stata inoltre costituita una struttura di missione per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, con il compito di fornire il necessario supporto tecnico e organizzativo al Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno.
  Nell'intesa del 10 luglio 2014 è stato altresì convenuto di sostenere gli interventi concordati con le risorse del Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (di cui all'articolo 23 del decreto-legge n. 95 del 2012), che per l'anno 2014 ammonta a 40 milioni di euro.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   QUINTARELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 26, comma 2, lettera b) del Regolamento CE 25 ottobre 2011, n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, prevede che l'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza è obbligatoria per le carni dei codici della nomenclatura combinata (NC) elencati all'allegato XI del regolamento medesimo – tra le quali sono contemplate le carni di animali della specie suina, fresche, refrigerate o congelate – rinviando l'applicazione della norma a successivi atti di esecuzione da adottare entro il 13 dicembre 2013 –:
   quali iniziative abbia intrapreso finalizzate a garantire il rispetto, da parte della Commissione europea, del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal Regolamento 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento alle carne suine;
   se, nel caso di scadenza del suddetto termine senza l'adozione da parte della Commissione dei dovuti provvedimenti, non intenda provvedere comunque all'approvazione, a livello nazionale, di disposizioni di attuazione dell'obbligo imposto dal Regolamento n. 1169/2011/CE per assicurare il regolare funzionamento del mercato e contrastare il fenomeno della contraffazione. (4-06084)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, riferisco quanto segue.
  La conoscenza del Paese di origine o del luogo di provenienza di un prodotto agroalimentare rappresenta un requisito imprescindibile per l'orientamento all'acquisto dei consumatori, a garanzia del diritto all'informazione e della possibilità di compiere scelte consapevoli.
  Soprattutto per il nostro Paese, l'indicazione dell'origine è un fattore strategico per contrastare una diffusa pratica contraffattiva e imitativa delle nostre produzioni ed arginare il danno noto e ingente al potenziale economico del settore agroalimentare.
  Tenendo ben presenti tali considerazioni, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha sempre fortemente sostenuto, in sede europea, l'indicazione obbligatoria del Paese d'origine o del luogo di provenienza dei prodotti, concertando la posizione negoziale con il Dicastero della salute.
  Infatti, anche grazie all'impegno e al sostegno del nostro Paese, il 13 dicembre 2013 è stato emanato il regolamento di esecuzione della Commissione n. 1337 del 2013 che, oltre a stabilire i criteri di etichettatura per gli operatori del settore alimentare delle carni fresche, refrigerate o congelate di suino, ovino, caprino e di volatili, introduce la prescrizione relativa all'indicazione del Paese d'origine o luogo di provenienza ove gli animali sono stati allevati e macellati.
  In seguito, il Parlamento europeo, con risoluzione del 6 febbraio 2014, ha invitato la Commissione a ritirare il predetto regolamento di esecuzione e a redigerne una nuova versione che preveda l'indicazione obbligatoria in etichetta, del luogo di nascita nonché dei luoghi di allevamento e di macellazione dell'animale per le carni non trasformate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili, in conformità della legislazione vigente in materia di etichettatura di origine delle carni bovine regolamento CE n. 1760 del 2000 – Titolo II).
  In ogni caso, la modifica al quadro normativo europeo di riferimento rappresenta un eccellente risultato per i consumatori, cui garantisce una maggiore conoscibilità dei prodotti attraverso le informazioni in etichetta, ma anche un importante passo avanti in favore delle più efficaci azioni che possono essere attuate a tutela del made in Italy.
  Invero, le variazioni apportate al testo originario proposto dalla Commissione (tra le quali il raddoppio del periodo minimo di allevamento per poter indicare in etichetta il Paese di allevamento dell'animale) hanno consentito di fare maggiore chiarezza sulle procedure da seguire per l'apposizione delle diciture in etichetta (anche per la carne suina, nelle varie fasi di commercializzazione) e di fornire al consumatore valide informazioni circa la realtà produttiva.
  Il predetto regolamento di esecuzione (che si applicherà dal 1o aprile 2015), oltre a concedere di integrare, su base volontaria e nel rispetto degli articoli 36 e 37 del Regolamento n. 1169 del 2011, le informazioni sull'origine con ulteriori informazioni relative alla provenienza della carne (tra cui, un livello geografico più dettagliato), consente di utilizzare il termine «origine» solo nel caso di animali nati, allevati e macellati nello stesso Paese e dispone che l'indicazione del luogo di provenienza delle carni avvenga nel seguente modo:
   per tutte le specie: l'indicazione «origine Italia» può essere utilizzata solo se l'animale è nato, allevato e macellato in Italia;
   per gli ovini e i caprini: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale ha trascorso almeno gli ultimi 6 mesi in Italia ovvero viene macellato sotto i 6 mesi ed ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia;
   per il pollame: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale ha trascorso almeno l'ultimo mese in Italia, ovvero viene macellato sotto 1 mese di età ed ha trascorso l'intero periodo di ingrasso in Italia;
   per i suini: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l'animale viene macellato sopra i 6 mesi e ha trascorso almeno gli ultimi 4 mesi in Italia; se è entrato in Italia ad un peso inferiore ai 30 kg e macellato ad un peso superiore ai 80 kg e, infine, se l'animale viene macellato ad un peso inferiore agli 80 kg e ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia.

  È bene ricordare che, a livello nazionale, oltre il 70 per cento dell'intera produzione suinicola italiana già produce carne nel rispetto delle disposizioni dei disciplinari delle denominazioni di origine protetta (Dop) e delle indicazioni geografiche protette (Igp).
  In particolare, i disciplinari dei prodotti della salumeria Dop e Igp italiani, approvati a livello europeo, impongono che i suini appartengano a determinate razze appositamente selezionate, vengano allevati in condizioni di benessere e secondo un programma alimentare studiato per le diverse fasi di allevamento. Peraltro, gli allevatori e i macelli aderenti ai circuiti delle produzioni Dop ed Igp sono controllati da istituti, pubblici o privati, designati dal Ministero, che monitorano la certificazione dei capi suini destinati alla trasformazione in prodotti Dop e Igp, le movimentazioni degli animali verso altri allevamenti e/o macelli nonché le fasi di macellazione, trasformazione ed eventuale confezionamento.
  Peraltro, il circuito di questi prodotti di qualità include un insieme di operatori iscritti ad un sistema organizzato e controllato della produzione. In pratica, la provenienza della materia prima utilizzata viene tracciata seguendo il seguente percorso: allevamento in cui è nato il suino; allevamento che lo ha avviato al macello; macello; laboratorio di sezionamento; industria di trasformazione.
  Nel dettaglio, l'allevamento di nascita appone sulla coscia dell'animale (entro il 30o giorno di vita) un timbro indelebile (tatuaggio) recante il proprio codice e il mese di nascita dell'animale. Successivamente, l'allevamento da cui i suini partono per il macello certifica, tramite la certificazione unificata di conformità (Cuc), gli animali della partita avviata alla macellazione, indicando i tatuaggi relativi al l'allevamento di nascita dei suini, della partita nonché il tipo genetico prevalente. Detta certificazione è accompagnata da eventuali certificati relativi agli spostamenti dei suini in allevamenti diversi da quello di nascita. Il macello, tramite timbro indelebile impresso sulla cotenna, appone poi il proprio codice di identificazione su ogni coscia, dopo aver accertato i requisiti previsti dal disciplinare di produzione. Lo stagionatore, infine, identifica e registra l'inizio del processo di stagionatura. Nel caso dei prosciutti Dop di Parma e di San Daniele viene apposto sulle cosce un sigillo metallico numerato.
  Peraltro, presso gli stabilimenti di macellazione e lavorazione delle carni suine vengono garantiti i controlli ufficiali dei servizi veterinari delle aziende sanitarie locali, che, nella verifica dell'applicazione dei regolamenti europei afferenti al pacchetto igiene (regolamenti n. 178 del 2002 e nn. 852, 853, 854 e 882 del 2004), esaminano anche gli aspetti relativi alla rintracciabilità dei prodotti così come disposto dall'articolo 18 del regolamento n. 178 del 2002.
  In ogni caso, è certo che la sicurezza e la qualità degli alimenti possono essere maggiormente garantite attraverso un elevato livello di collaborazione e coordinamento tra diverse amministrazioni. Tale principio è ben consolidato e su di esso si fonda la normativa europea vigente in materia. In particolare, il regolamento n. 882 del 2004 prevede che ciascun Paese membro predisponga un piano di controllo nazionale che assicuri un approccio multidisciplinare per la pianificazione, lo svolgimento e la rendicontazione dei controlli ufficiali.
  A tal fine, il Ministero della salute è il punto di raccordo nazionale per il Piano nazionale integrato (Pni) che nasce dall'intensa e proficua collaborazione con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, l'agenzia delle dogane e dei monopoli, i nuclei del Comando dei Carabinieri (Nas, NAC e Noe), le capitanerie di porto, il Corpo forestale dello Stato e la Guardia di Finanza. Sia il Pni 2011-2014 che le relazioni annuali (ove sono raccolti i dati delle attività svolte dalle citate amministrazioni), sono pubblicati sul portale del Ministero della salute.
  Ricordo, inoltre, che l'articolo 8, comma 4, del decreto-legge 18 giugno 1986, n. 282 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 462 del 1986 stabilisce che presso il Ministero della salute è istituito l'elenco pubblico delle ditte commerciali e dei produttori che abbiano riportato condanne con sentenza fissata in giudicato per reati di frode e di sofisticazione alimentare. Il Ministro della salute ne cura annualmente la pubblicazione, con riferimento alle condanne intervenute nell'anno precedente, nella Gazzetta Ufficiale e in almeno due quotidiani a diffusione nazionale.
  A tal riguardo, mi preme sottolineare l'intensa attività di controllo espletata dal Corpo forestale dello Stato sul territorio nazionale, finalizzata al contrasto del fenomeno del falso made in Italy e del cosiddetto italian sounding, ossia l'utilizzo fuorviante, sull'imballaggio dei prodotti agroalimentari, di etichette o simboli che esamino l'italianità dei luoghi d'origine della materia prima, della ricetta e del marchio.
  Nel corso del 2013, in particolare, il Corpo forestale dello Stato ha posto in essere un'attività sanzionatoria contro il falso made in Italy a tutela sia dei consumatori, che dei produttori onesti, penalizzati da una concorrenza sleale nel libero scambio delle proprie merci all'interno dall'Unione. I controlli eseguiti, oltre a costituire un efficace monitoraggio del made in Italy agroalimentare, hanno consentito il sequestro di circa 600 tonnellate di prodotti e la comunicazione di oltre 170 notizie di reato alla procura della Repubblica italiana, assicurando la repressione di tutte quelle condotte penalmente rilevanti che si siano poste in evidente contrasto con il leale svolgimento degli scambi commerciali e con la trasparenza informativa nei riguardi del consumatore.
  Vorrei poi ricordare che il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, all'articolo 3 (Interventi per il sostegno del made in Italy) prevede che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali svolga una consultazione pubblica tra i consumatori per valutare in quale misura, nelle informazioni relative ai prodotti alimentari, venga percepita come significativa l'indicazione relativa al luogo di origine o di provenienza dei prodotti alimentari e della materia prima agricola utilizzata nella preparazione o nella produzione degli stessi e quando l'omissione delle medesime indicazioni sia ritenuta ingannevole. I risultati delle consultazioni effettuate saranno resi pubblici e trasmessi alla Commissione europea.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.