Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 21 novembre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il 21 marzo del 1938 con regio decreto-legge n. 246 fu emanata la «Disciplina degli abbonamenti alle Radioaudizioni». Il regio decreto-legge afferma che: «... chiunque detenga uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento di un canone di abbonamento...» precisando anche che: «... la presenza di un impianto aereo atto alla captazione o trasmissione di onde elettriche o di un dispositivo idoneo a sostituire l'impianto aereo, ovvero di linee interne per il funzionamento di apparecchi radioelettrici, fa presumere la detenzione o l'utenza di un apparecchio radioricevente...»;
   oggi non è possibile non percepire tale norma e il pagamento del canone RAI, che ancora ne deriva, non solo come naturalmente datati, ma ancor di più bisognosi di un serio ripensamento in presenza della rete, dei social e dei personal media;
   è un canone con natura di prestazione tributaria uguale per tutti senza distinzioni di reddito, tra l'altro, neppure legato alla reale fruizione del servizio pubblico;
   per contro la RAI, da sempre ha mantenuto un profilo aggressivo nella gestione della riscossione del canone verso tutti i cittadini sospettati di detenere, a prescindere, un apparecchio o altri dispositivi atti o adattabili alla ricezione delle diffusioni radiofoniche e televisive, inviando in caso di presunte inadempienze, diffide, ingiunzioni di pagamento fino alla minaccia del fermo amministrativo dell'auto e al pignoramento dei beni e della quota parte della retribuzione,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per provvedere gradualmente, ma in tempi certi e definiti, al superamento dell'attuale impostazione del canone RAI, inserendo nella dichiarazione dei redditi la voce «canone Rai» rendendo quest'ultimo informato al principio di progressività in base alla capacità economica di ciascuno.
(1-00674) «Fratoianni, Scotto, Giancarlo Giordano, Costantino».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ZACCAGNINI e FRANCO BORDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   le api, in quanto insetti dediti all'impollinazione, hanno una notevole importanza ecologica ed economica. Come diffuso da più organi di stampa il fenomeno della moria delle api è sempre più esteso e sembra inarrestabile. La mancanza di api, e di altri insetti dediti all'impollinazione, metterebbe a rischio almeno il 75 per cento delle colture; inoltre, dagli insetti che si dedicano all'impollinazione dipende anche la riproduzione delle piante selvatiche, fino al 90 per cento, così come tanti altri servizi ecosistemici, dinamiche olistiche e tutela e ricchezza degli habitat naturali;
   tra le criticità maggiori per la salute di questi insetti, vi sono la mancanza di dati sulle popolazioni nonché la difficoltà ad accorgersi del declino, l'aumento della produzione alimentare superiore alla crescita della popolazione globale di api domestiche, le differenze a seconda delle regioni, e, oltre a malattie e parassiti, le pratiche agricole industriali e i cambiamenti climatici hanno decisamente contribuito a creare tali criticità;
   alcuni pesticidi costituiscono un rischio diretto per gli insetti impollinatori, in particolare i neonicotinoidi, che rivestono il ruolo di veri e propri agenti killer;
   altri aspetti che mettono a serio rischio la vita delle api sono le malattie a cui sono esposte queste colonie di insetti che dopo la Varroa e dopo la storica «camola del miele», oggi vedono protagonisti nuovi parassiti che minacciano la produzione di miele. La diffusione in Italia è avvenuta attraverso l'importazione di api regine e delle loro «accompagnatrici», al fine di creare nuovi alveari o sostituire quelli non più produttivi. Lo spostamento di api «confezionate» da Paesi come gli Usa, il Sud Africa e la Cina, sta spostando anche il pericoloso coleottero Aethina Tumida che, da larva, scava gallerie nei favi e fa fermentare il miele con le sue deiezioni. In particolare, l’Aethina Tumida è un temuto parassita infestante delle colonie di api sociali (api mellifere, bombi e api senza pungiglione), i cui coleotteri adulti e larve si nutrono di miele, polline e, preferibilmente, della covata;
   fino ad oggi, nei Paesi europei non era stata mai segnalata la presenza di questo parassita. Le notifiche diffuse nel settembre 2014 dalla facoltà agraria dell'università di Reggio Calabria hanno riguardato la scoperta dell’Aethina Tumida localizzata nell'Italia meridionale;
   il porto di Reggio Calabria è stato il luogo tramite il quale è arrivata in Italia l’Aethina Tumida, il nuovo coleottero killer che può uccidere le api anche più della Varroa. Il coleottero non è specifico degli apiari ed in genere si muove sul fermentato e, quindi, sulla frutta marcescente. Si tratta di un insetto particolarmente resistente, in quanto è in grado di resistere agli acidi per più di 48 ore ed ha una capacità di sopravvivenza alla mancata nutrizione per ben 120 giorni;
   secondo gli esperti, il coleottero può diffondersi nel nostro Paese tramite il candito, un alimento comunemente usato per le api e, quindi, attraverso regine, pacchi d'api o favi infestati. Oltretutto, l’Aethina Tumida si riproduce nel terreno di fronte agli alveari, per cui è molto facile che il rischio di infestazione sia elevato dove si pratica il nomadismo. Considerato che la Calabria è una meta prescelta da molti apicoltori che praticano tale sistema di allevamento, è evidente che il rischio di diffusione del coleottero, oltre i confini regionali, è molto alto;
   altro aspetto particolarmente grave è che l’Aethina Tumida non solo colpisce le api, ma anche il polline e il miele portandolo a fermentazione –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali azioni intendano intraprendere, considerata la valutazione fatta dall'università di Reggio Calabria, la prima ad aver individuato la presenza dell’Aethina Tumida, la quale sottolinea come la zona in cui è stata individuato il parassita sia una zona di nomadismo apistico; se non sia necessario in questa fase attuare un monitoraggio puntuale su tutto il territorio italiano, poiché vi è il chiaro rischio che il fenomeno non si circoscriva alla sola regione Calabria;
   se non reputino opportuno un coordinamento maggiore fra Ministero della salute, Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e regioni, affinché si possano affrontare le problematiche inerenti moria delle api, con maggiore incisività e tempestività, individuando anche lo stanziamento di fondi ad hoc non solo per formare il personale in loco, ma anche al fine di consentire agli apicoltori la possibilità di ottenere un risarcimento per le perdite subite negli alveari;
   se il Governo non intenda convocare un tavolo tecnico interministeriale e con le regioni al fine di affrontare in modo congruo e immediato il problema esposto;
   se non sia opportuno intraprendere debite iniziative, specialmente nel semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, con cui migliorare le procedure di determinazione del rischio da molecole e preparati fitosanitari, per api e impollinatori, con la urgente implementazione dell'insieme dei test previsti dalle linee guida elaborate dall'EFSA;
   se non valuti necessario portare in seno alla Conferenza Stato-regioni la proposta di avviare, all'interno della rete rurale nazionale, una progettualità organica per la sperimentazione di nuove tecniche di allevamento più sostenibili e più rispettose delle api e dei loro bisogni a partire dal problema del sottodimensionamento degli alveari e, dunque, predisporre un piano di sperimentazione per l'apicoltura naturale, il tutto finalizzato allo sviluppo di famiglie naturalmente più forti e quindi più resilienti, dalle quali selezionare le migliori api regine;
   se sulla base del modello australiano, che mette in campo severe leggi sulla quarantena, si intendano assumere iniziative per vietare l'immissione nel territorio italiano ed europeo di vegetali ed alimenti provenienti da Paesi terzi;
   se i Ministri non considerino opportuno valutare anche la possibilità di assumere iniziative per vietare l'immissione e il commercio di api regine provenienti da Paesi terzi. (5-04098)


   MALISANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   diversi Stati europei (Spagna, Francia, Svezia, Portogallo, Norvegia, Belgio, Paesi Bassi) hanno adottato leggi che ammettono il matrimonio tra persone dello stesso sesso;
   la Corte di Strasburgo con la pronuncia nel caso Schalk e Kopf, depositata il 24 giugno 2010 ha ritenuto che l'articolo 12 (diritto di sposarsi) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo non impone l'obbligo agli Stati contraenti di concedere l'accesso al matrimonio a coppie dello stesso sesso;
   la Corte di Strasburgo ha però affermato per la prima volta, con chiarezza, che il rapporto di stabile convivenza tra persone dello stesso sesso rientra nella nozione di «vita familiare» ai sensi dell'articolo 8 CEDO (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali);
   per la Corte, quindi, le persone dello stesso sesso conviventi in stabile relazione di fatto sono titolari del diritto alla «vita familiare» ex articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo; nell'esercizio di tale diritto inviolabile possono adire il giudice per rivendicare, un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata;
   la sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 2010 – nella quale per la prima volta il giudice costituzionale ha affrontato la controversa questione delle unioni e dei matrimoni omosessuali nel nostro ordinamento – ha riconosciuto «un diritto fondamentale fondato sull'articolo 2 della Costituzione, che gode, come tale, degli attributi connessi di inviolabilità, assolutezza, indisponibilità»; conseguentemente, essa chiama «innanzitutto il legislatore» a dare a tale diritto «un contenuto organico»;
   la sentenza n. 4184 del 15 marzo 2012 della Corte di Cassazione – nell'affrontare la legittimità del rifiuto, opposto dall'ufficiale di stato civile italiano, di trascrivere nei registri dello stato civile il matrimonio contratto all'estero tra due cittadini italiani dello stesso sesso – ha ribadito l'indirizzo contrario alla trascrivibilità, ma nello stesso tempo afferma che l'intrascrivibilità non deriva dall'inesistenza del presupposto della diversità di sesso dei nubendi, ma dalla semplice inidoneità del matrimonio tra persone dello stesso sesso di spiegare effetti giuridici nel nostro ordinamento civile alla luce dell'attuale legislazione (dalla tesi dell'inesistenza dunque alla tesi dell'inefficacia);
   la sentenza della Corte costituzionale n. 170 depositata l'11 giugno 2014 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della normativa italiana che dispone la cessazione degli effetti del vincolo civile del matrimonio nel caso di cambi di sesso «nella parte in cui non prevede che la sentenza di rettificazione dell'attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che comporta lo scioglimento del matrimonio, consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, la cui disciplina rimane demandata alla discrezionalità di scelta del legislatore»;
   la decisione di numerosi sindaci di comuni italiani di trascrivere l'atto di un matrimonio celebrato all'estero tra persone dello stesso sesso – al di là della sua efficacia giuridica – si inserisce a pieno titolo nel quadro delle questioni fin qui descritte in campo europeo e nazionale, superando così un'esperienza pluriennale di sostanziale immobilismo che si scontra con il dovere di rispondere in tempi ragionevoli a una domanda diffusa di tutela giuridica di tali situazioni;
   negli scorsi mesi il Presidente del Consiglio si è dichiarato più volte favorevole al modello della «civil partnership» alla tedesca, mentre la circolare inviata dal Ministro dell'interno ai prefetti – con la quale si chiede di cancellare o annullare le trascrizioni effettuate dai comuni – non appare affatto in questo momento lo strumento più idoneo a risolvere il problema sorto –:
   se in attesa di una nuova regolamentazione del matrimonio o delle convivenze stabili, anche tra persone dello stesso sesso, non ritenga quanto mai opportuno il ritiro della circolare adottata. (5-04111)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TOFALO, PETRAROLI, BENEDETTI, SPESSOTTO, SIBILIA, DE LORENZIS, SILVIA GIORDANO e BUSTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   durante una dimostrazione di protesta pacifica a causa di chi intendeva effettuare pericolose trivellazioni esplorative al largo delle isole di Lanzarote e Fuerteventura, Isole Canarie, una ragazza italiana di 21 anni, attivista di Greenpeace, è rimasta ferita a seguito dello speronamento da parte di un gommone della Marina Militare spagnola, riportando una frattura ed alcuni tagli;
   nei documenti video si vede chiaramente come la Marina Militare spagnola non assuma un comportamento di avvicinamento e di abbordaggio al gommone dei pacifici dimostranti di Greenpaece, ma un diverso comportamento –:
   se i Ministri siano al corrente della vicenda riportata dal comunicato stampa del sito di greenpeace;
   se i Ministri intendano chiedere conto dell'azione della Marina militare spagnola che ha causato feriti italiani. (4-06979)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel febbraio 2013 il programma televisivo «Striscia la notizia» ha posto all'attenzione dell'opinione pubblica una serie di casi in cui l'indicizzazione delle rate di leasing dei clienti della banca Hypo Alpe-Adria-Bank Italia spa, che opera per lo più nel Nordest del Paese ed è affiliata alla austriaca Hypo Harnten, erano sbagliate a favore dell'istituto di credito erogatore;
   a seguito di questi servizi televisivi e dei successivi esposti, la procura della Repubblica di Udine ha avviato indagini per accertare le responsabilità penali a carico del gruppo di dirigenti dell'istituto che sarebbe responsabile della manomissione del software in uso alla banca per la fatturazione dei leasing, con l'obiettivo di incassare interessi superiori rispetto a quelli addebitabili secondo il contratto;
   al termine delle indagini, la guardia di finanza ha segnalato alla procura l'esistenza di un'associazione a delinquere composta da sette dirigenti della Hypo Alpe-Adria-Bank, attivamente impegnati a nascondere la frode in corso durante le verifiche previste in ambito bancario, civilistico e fiscale;
   i dirigenti incriminati avrebbero manipolato il tasso di indicizzazione legato all'Euribor – Euro Inter Bank Offered Rate, il tasso interbancario di offerta in euro – applicato a partire dal 2004 a oltre 54 mila contratti, consentendo all'istituto di ottenere in modo illecito oltre 72 milioni di euro con i contratti di leasing gestiti direttamente e circa 15 milioni di euro relativi ai contratti gestiti indirettamente dalla affiliata Hypo Leasing spa,
   la truffa si sostanziava con le fluttuazioni dell'Euribor: in caso di aumento del tasso, la banca addebitava al cliente una somma superiore del 150 per cento rispetto a quella prevista mentre in caso di riduzione del tasso, ai clienti era accreditato solo il 50 per cento di quanto dovuto;
   le accuse contestate, oltre alla frode, riguardano anche l'ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza – previsto dall'articolo 2638 del codice civile – svolte dalla banca d'Italia, a cui erano inviate comunicazioni periodiche con dati manipolati;
   le indagini coinvolgono anche in modo diretto la Hypo Alpe-Adria-Bank per la violazione delle norme previste in materia di responsabilità amministrativa da reato (decreto legislativo n. 231 del 2001) legate agli illeciti compiuti a proprio favore dai sette dirigenti indagati –:
   se s'intendano adottare iniziative normative urgenti, a garanzia e tutela dei consumatori, per implementare la disciplina dei controlli e evitare frodi e manipolazioni in materia bancaria che possano determinare situazioni come quelle summenzionate. (4-06985)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   L'ABBATE, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, LUPO, PARENTELA, GRANDE e SCAGLIUSI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 13 novembre 2014 il Parlamento europeo ha approvato l'accordo di associazione tra l'Unione europea e la Repubblica di Moldavia il cui principale obiettivo è la creazione di una zona di libero scambio «globale ed approfondito» al fine di rafforzare ulteriormente le relazioni economiche e politiche con Chisinau;
   l'accordo in parola si applica a tutto il territorio moldavo, compresa la regione separatista della Transnistria, il cui parlamento ha recentemente reiterato il suo appello a Mosca per poter aderire alla Federazione russa;
   la Russia continua a servirsi degli scambi commerciali come mezzo per destabilizzare il Paese, introducendo divieti all'importazione di prodotti provenienti dalla Moldavia ancorché in violazione degli impegni assunti in ambito OMC;
   la questione relativa alla regione della Transnistria, lungi dal giungere in tempi brevi ad una soluzione politica, rappresenta uno degli elementi più critici del processo di avvicinamento del Paese all'Ue e il pericolo che le ambizioni europee della Moldavia aumentino le tensioni già in atto con la Russia, suscita molte preoccupazioni;
   la Federazione russa non accoglie con favore i tentativi delle ex Repubbliche socialiste, molte delle quali intrattengono da tempo relazioni con l'Ue nell'ambito del partenariato orientale, di svincolarsi dalla sua orbita per avvicinarsi sempre più a Bruxelles e il rischio che si aprano nuovi scenari di crisi dopo quello ucraino è sempre più concreto;
   come noto, l'Unione europea è intervenuta nella crisi russo ucraina con decisioni solo formalmente di «politica estera» e utilizzando di fatto strumenti di politica commerciale quali l'imposizione di sanzioni in risposta delle quali il Cremlino ha adottato contromisure commerciali che hanno gravemente danneggiato la nostra economia, in particolare il settore primario, causando danni per milioni di euro peraltro solo parzialmente indennizzati dall'Esecutivo comunitario;
   alla luce delle vicende che hanno interessato l'Ucraina e la conseguente annessione unilaterale della Crimea alla Russia, e atteso che, mentre il primo ministro della Repubblica di Moldavia ha rilasciato una dichiarazione ufficiale sull'intenzione di presentare domanda di adesione nel 2015, la Transnistria già nel 2012 espresse il proprio interesse nei confronti di una possibile adesione all'Unione doganale euroasiatica, sarebbe opportuno che l'Unione europea rivedesse l'efficacia delle politiche di vicinato nei confronti dei Paesi dell'est Europa in considerazione di uno scenario geopolitico in continua evoluzione che non può essere gestito unicamente attraverso accordi di natura principalmente economica e strumenti di politica commerciale –:
   se non ritengano che la formalizzazione dell'accordo di associazione tra l'Unione europea e la Repubblica di Moldavia, considerando la persistente crisi ucraina e il ruolo svolto dalla Russia, oltre a ulteriormente destabilizzare la regione orientale, possa acuire le tensioni tra Russia e Ue e quali interventi intendano adottare, nelle opportune sedi europee, affinché eventuali decisioni di politica estera adottate a tutela dei partner orientali non comportino conseguenze economiche per il comparto primario nazionale. (5-04100)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta orale:


   MELILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'associazione internazionale Wilderness, con il sostegno dell'ANCI, ha avanzato la proposta di riconoscere le montagne dell'Appennino abruzzese come Patrimonio mondiale dell'umanità da parte dell'UNESCO;
   si tratta delle principali catene dell'Appennino, da tempo tutelate attraverso la istituzione dei Parchi nazionali dell'Abruzzo Lazio e Molise, del Gran Sasso Monti della Laga, della Majella-Morrone e del parco regionale del Sirente-Velino e di varie riserve e oasi nazionali e regionali;
   il valore paesaggistico, naturale, culturale e storico di queste montagne è universalmente riconosciuto dalle grandi istituzioni scientifiche, culturali, ambientaliste –:
   se non ritenga utile approfondire la proposta e sostenerla a livello internazionale affinché l'Unesco riconosca le montagne abruzzesi come Patrimonio mondiale dell'umanità. (3-01178)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   le Soprintendenze archivistiche, presenti in ogni regione, sono organi periferici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT) incaricati di tutelare e la vigilare gli archivi degli enti pubblici, territoriali e non, oltre agli archivi e ai singoli documenti di proprietà privata dichiarati di interesse culturale;
   tali enti svolgono anche attività di promozione e valorizzazione del patrimonio documentario, coordinandosi con la regione di riferimento, le autonomie locali e ulteriori soggetti, pubblici o privati, che operano per il raggiungimento di tali fini;
   il 16 luglio 2014 il Ministro interrogato ha preannunciato la riforma gestionale del proprio dicastero, in linea con le disposizioni previste dal decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, recante «disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106;
   la riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo prevede, oltre all'ammodernamento della struttura centrale e ad altre misure adottate in basi ai criteri di spending review, la semplificazione delle ramificazioni periferiche e l'accorpamento di numerose soprintendenze per i beni storico-artistici con quelle per i beni architettonici;
   da fonti giornalistiche si apprende che il decreto ministeriale di riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo prevederebbe l'accorpamento della soprintendenza archivistica per il Friuli Venezia Giulia con quella del Veneto e del Trentino Alto Adige, in favore di un unico istituto con sede a Venezia;
   le tre soprintendenze coinvolte operano in ambiti territoriali molto complessi, ricchi di documenti e tradizioni di rilievo. In particolare, la soprintendenza del Friuli Venezia Giulia, oltre a svolgere le funzioni summenzionate, collabora anche con le istituzioni ecclesiastiche per la tutela e la salvaguardia dei loro archivi;
   l'accorpamento prospettato minerebbe la reale efficacia delle soprintendenze coinvolte che garantiscono la consultazione di numerosi documenti di rilevante interesse, la vigilanza e il supporto tecnico alla reale salvaguardia del patrimonio culturale nazionale e regionale;
   l'eventuale fusione comporterebbe, inoltre, criticità non solo per la consultazione degli atti ma anche su qualsiasi autorizzazione o decisione relativa agli archivi coinvolti, visto che il nuovo istituto che avrebbe sede a Venezia dovrebbe gestire un ambito territoriale enorme – Veneto, Trentino e Friuli Venezia Giulia – minando qualsiasi autonomia delle scelte locali che, fondandosi sulla puntuale conoscenza delle esigenze esistenti, sono sicuramente cruciali per lo svolgimento delle funzioni fondamentali attribuite –:
   se corrisponda al vero che il Ministro interrogato intenda accorpare le soprintendenze summenzionate e, in caso affermativo, come s'intenda salvaguardare il patrimonio documentale di territori così diversi senza penalizzarli, consentendo una reale tutela e accesso ad atti di estremo interesse storico e culturale;
   se non si ritenga opportuno evitare l'accorpamento a tutela della specificità degli archivi coinvolti, evitando una grave restrizione dell'autonomia delle regioni interessate, autonomia culturale prima che statutaria. (5-04104)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRUGNEROTTO, COZZOLINO, BENEDETTI, ROSTELLATO, SPESSOTTO e D'INCÀ. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Cappella degli Scrovegni, racchiude uno dei massimi capolavori della pittura di Giotto, che per le sue qualità artistiche può essere considerato patrimonio dell'umanità intera;
   da tempo essa versa in una situazione di criticità idraulica e statica; infatti, già nel marzo 2012 il Comitato «opera per la sicurezza idraulica e statica della Cappella e del Cenobio di Giotto» denunciava a tutta l'opinione pubblica e alle autorità competenti lo stato di degrado del cenobio della cappella di Giotto, dovuto alla permanente presenza nella cripta stessa di acqua da risalita, con il pavimento costantemente invaso dall'acqua emergente dalla falda sottostante, nonché la precaria staticità per rischio sismico;
   l'urgenza di un intervento da parte delle autorità competenti si rende oggi sempre più necessaria; poiché le criticità denunciate in passato si sono puntualmente ripresentate a seguito di un evento atmosferico, verificatosi nel mese di ottobre 2014, caratterizzato da pioggia incessante e grandine, in conseguenza del quale il livello dell'acqua, all'interno della cripta-cenobio sottostante alla cappella di Giotto, si è alzato fino a sfiorare i 20 centimetri;
   ad oggi il rimedio attuato dal comune, consistente nell'impiego di un impianto di pompaggio, necessario per preservare la parte sotterranea alla Cappella dalle infiltrazioni, risulta essere poco efficace e risolutivo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle condizioni drammatiche in cui versa la Cappella che custodisce uno dei capolavori del ’300 italiano ed europeo;
   se non ritenga urgente assumere ogni iniziativa di competenza, anche sollecitando le soprintendenze competenti, al fine di mettere in sicurezza la cripta della cappella di Giotto, adottando soluzioni efficaci ed alternative ai rimedi finora usati, al fine di salvaguardare il monumento da ogni potenziale rischio di danneggiamento. (4-06977)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   BOLOGNESI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel corso del 2013 la società denominata «Eudaimon» che si definisce come «l'unica in Italia con proposta completa per il welfare-aziendale e soluzioni per agevolare la conciliazione fra vita-lavoro del personale» ha ricevuto dalla marina militare l'incarico di svolgere uno studio sulle problematiche che riguardano il benessere del personale e proporre delle soluzioni da attuare direttamente tramite servizi da affidare alla stessa società o indirettamente tramite terzi;
   in sostanza le attività da svolgere, verrebbero a sovrapporsi a ciò che già per legge (nuovo codice dell'ordinamento militare e T.U.O.M.) compete agli uffici benessere della forza armata e alle rappresentanze militari;
   l'articolo 1833 del decreto legislativo n. 66 del 2010, inserito nel libro sesto, titolo VI, in materia di assistenza morale, benessere e protezione sociale, prevede, che, le eventuali esternalizzazioni siano prioritariamente affidate ad organizzazioni costituite tra il personale dipendente, le associazioni d'arma, di categoria, e solo in ultima analisi a soggetti terzi;
   allo stato dei fatti non sembrano sussistere i presupposti per affidare questo genere di incarichi, nei fatti di consulenza e gestione esterna, a titolo oneroso, quando già ci sono degli uffici in grado di svolgere egregiamente all'interno dell'amministrazione il medesimo incarico;
   in risposta ad interrogazioni parlamentari presentate in passato emerge che la spesa per lo studio, ammonta ad alcune decine di migliaia di euro;
   risulta infine che i servizi che si intendono affidare a società esterne potrebbero includere anche le esigenze del personale della guardia costiera senza tener presente che in questo caso gli oneri dovrebbero essere imputati sui capitoli di competenza del Ministero delle infrastrutture e trasporti, che dovrebbe condividere l'iniziativa, e non sul Bilancio della Difesa né essere a carico dei capitoli della marina militare –:
   se il Ministro della difesa intenda fornire un quadro analitico dei servizi che la marina militare intende affidare all'esterno, corredato dei costi e dei benefici che fanno privilegiare l'esternalizzazione di tali attività assumendo nel contempo iniziative intese a sospendere le eventuali procedure di affidamento a terzi. (4-06980)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   il prossimo 23 novembre 2014 ricorre il 34mo anno dal terribile terremoto che nel 1980 devastò Irpinia e Lucania e che costò la vita a circa 3.000 persone;
   opera di ricostruzione ha sicuramente rappresentato una delle criticità più evidenti della storia, repubblicana anche in considerazione dei risultati della Commissione parlamentare d'inchiesta presieduta da presidente Scalfaro;
   ancora oggi risultano non liquidate risorse giacenti in favore dei comuni colpiti dal sisma e stanziate ai sensi della delibera CIPE n. 37 del 2006;
   si tratta di oltre 200 milioni di euro non ancora liquidati che sarebbero fondamentali per la chiusura del processo di ricostruzione sarebbero fondamentali per la chiusura della fase ricostruzione;
   lo sblocco di queste risorse, già presenti nel bilancio dello Stato e bloccate da meccanismi burocratici più volte denunciati dagli amministratori locali consentirebbero anche una boccata di ossigeno al comparto edilizio che negli ultimi anni soprattutto nei comprensori in questione ha visto crollare numero di imprese e lavoratori;
   con l'ordine del giorno, n. 9/1865-A/94, del 20 dicembre 2013, presentato dal primo firmatario del presente atto, ed accolto dal Governo, si impegnava l'Esecutivo pro tempore a sbloccare d'intesa con le amministrazioni interessate, le risorse giacenti ex lege n. 219 del 1981 finalizzate alla ricostruzione post sisma dei comuni irpini e lucani –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare per lo sblocco delle risorse di cui in premessa e per consentire la chiusura, definitiva, del processo di ricostruzione post sisma a 34 anni di distanza.
(2-00756) «Famiglietti, Martelli, Paris, Tartaglione, Giuliani, Carra, Folino, Villecco Calipari, Ragosta, Giorgis, Berlinghieri, Ferranti, Gasparini, Amendola, Scanu, Marroni, Mariano, Salvatore Piccolo, Palma, Crimì, La Marca, Covello, Magorno, Valiante, Carloni, Gianni Farina, Migliore, Capozzolo, Anzaldi, Coppola, Roberta Agostini, Epifani, Valeria Valente, Fedi, Battaglia, Ginefra».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIBAUDO e CULOTTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 22, comma 7-bis, del decreto-legge n. 91 del 2014, modificando l'articolo 37 del decreto-legge n. 66 del 2014, ha disposto una proroga del termine di presentazione dell'istanza di certificazione dei crediti, assistiti dalla garanzia dello Stato, vantati nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni;
   in forza di tale previsione tutti i soggetti e, soprattutto, le imprese, che hanno maturato, alla data del 31 dicembre 2013, crediti nei confronti della Pubblica Amministrazione, per servizi, somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali, hanno avuto a disposizione, per presentare l'istanza di certificazione, due mesi in più, dal momento che la scadenza del relativo termine è slittata dal 23 agosto al 31 ottobre 2014;
   ottenere la certificazione dei predetti crediti è particolarmente importante, in quanto consente di ottenere automaticamente la garanzia dello Stato su tali crediti, nonché di cedere immediatamente il credito a un istituto bancario abilitato;
   infatti, in base al comma 3 del citato articolo 37 del decreto-legge n. 66 del 2014, tutti i crediti nei confronti della Pubblica Amministrazione maturati entro la data del 31 dicembre 2013 che siano stati certificati entro il termine ultimo del 31 ottobre 2014, possono essere ceduti a una banca o a un intermediario finanziario, con la formula pro-soluto, e sono assistiti da una specifica garanzia dello Stato;
   tale garanzia dello Stato si applica dal momento dell'effettuazione delle operazioni di cessione pro-soluto dei crediti alla banca o all'intermediario autorizzato e rende la cessione del credito particolarmente appetibile sia per l'intermediario creditizio sia per il cedente, dal momento che consente l'applicazione di una percentuale di sconto particolarmente vantaggiosa, pari all'1,90 per cento per importi fino a 50.000 euro e all'1,60 per cento per importi oltre i 50.000 euro;
   nell'attuale contesto di crisi economica e finanziaria appare sempre più urgente ampliare la disponibilità di credito bancario in favore delle imprese, nonché assicurare il pagamento dei crediti vantati dalle imprese stesse nei confronti di comuni, province, regioni e altri istituzioni ed enti pubblici;
   emerge tuttavia come non tutte le banche e gli intermediari finanziari, fra cui le banche operanti in Sicilia riconducibili al gruppo Unicredit spa, si siano dimostrate disponibili a erogare credito in favore delle imprese che hanno ottenuto la certificazione dei propri crediti nei confronti della Pubblica Amministrazione e che si sono rivolte alle banche stesse per cedere i predetti crediti, come previsto dalla normativa vigente –:
   se abbia verificato, nell'ambito delle proprie competenze, il grado di adesione delle banche e degli altri intermediari creditizi abilitati alle richieste di cessione in loro favore di crediti certificati vantati nei confronti delle pubblica amministrazione assistiti dalla garanzia dello Stato, e quali iniziative abbia adottato o intenda adottare per incentivare gli intermediari creditizi ad accogliere le predette richieste di cessione dei crediti, in base a quanto previsto dalla normativa di cui all'articolo 37 del decreto-legge n. 66 del 2014.
(5-04099)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRACCARO e BUSINAROLO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 agosto 2014, il primo firmatario del presente atto, nell'esercizio delle funzioni attribuite dall'articolo 67 dell'ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975) ha visitato la casa circondariale di Trento situata in via Beccaria 13, Loc. Spini di Gardolo (Trento). Accompagnato dal personale del Corpo di polizia penitenziaria,  ha visitato, fra le altre, l'area sanitaria dove ha avuto luogo un colloquio con il personale infermieristico presente e con il medico distaccato del pronto soccorso cittadino. In tale circostanza è stata rimarcata l'opportunità di avere a disposizione in loco un apparecchio radiografico per poter consentire una più idonea e rapida attività diagnostica allo scopo di individuare traumi e patologie a danno dell'apparato scheletrico nonché per patologie dell'area toracica ed in particolare quelle insistenti sui campi polmonari;
   nella relazione al direttore della struttura del 14 aprile 2014 che fa seguito a precedenti relazioni del 2013, il responsabile del nucleo traduzioni e piantonamenti della casa circondariale di Trento riporta i dettagli delle traduzioni per il trimestre gennaio-marzo 2014 elencando il numero di servizi, il totale delle ore di servizio del personale impiegato inclusi gli straordinari e il totale del chilometraggio. Nella relazione si differenziano altresì le traduzioni presso gli organi giudiziari e i luoghi esterni di cura e diagnosi;
   nella relazione si evidenzia come il servizio di traduzione per i luoghi di cura richieda quasi il 50 per cento dell'impegno del nucleo e che tale impegno obblighi sovente un sottodimensionamento delle scorte, sia per visite sanitarie esterne che per traduzioni presso gli organi giudiziari, e determini una difficoltà nella programmazione dei servizi ordinari. Inoltre, si segnala che, nei casi in cui vi è un sospetto di contagio, gli operatori e i detenuti vengono inviati in visita esterna senza alcuna prevenzione che li tuteli. Ad esempio, in tali circostanze, le traduzioni verrebbero effettuate in assenza di semplici ed economici strumenti come mascherine e guanti, strumenti indispensabili ad evitare l'insorgere di ulteriori spiacevoli conseguenze –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per l'allestimento urgente di un apparecchio radiografico all'interno dell'area sanitaria della casa circondariale di Trento, nonché per garantire le esigenze di tutela della salute dei detenuti e del personale operante all'interno dell'istituto con riferimento alle traduzioni verso i luoghi di cura. (4-06976)


   BONAFEDE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   per alcuni anni le regioni, con la disponibilità del Ministero della giustizia, hanno indetto bandi di selezione al fine di inserire, per un periodo determinato, giovani laureati e laureandi nelle cancellerie dei tribunali e nelle corti di appello d'Italia, e tali progetti venivano finanziati con fondi europei;
   l'ausilio dei detti tirocinanti, considerate le croniche carenze organiche, si è rivelato di concreta utilità, tanto da giustificare le proroghe concesse con legge di stabilità nell'anno 2012 e 2013. In particolare, la legge di stabilità n. 147 del 2013 ha concesso un'ulteriore proroga a tutti i tirocinanti giustizia ed in particolare ai tirocinanti che prestarono servizio nei tribunali campani per effetto dei bandi relativi al POR (piano operativo regionale) Campania 2007-2013, fatta eccezione per quindici tirocinanti (impiegate in base al capitolo del medesimo piano «Percorsi integrati presso le sedi giudiziarie in Campania» D.G.R. n. 1012 del 30 dicembre 2010 – decreto dirigenziale n. 11 del 7 marzo 2011 «Operatori giudiziari competenti nelle procedure del tribunale per i Minori») che hanno prestato servizio presso il tribunale per i minorenni di Napoli, nonché vincitrici di bando di selezione indetto in conformità dello stesso progetto regionale campano che ha riguardato tutti gli altri tirocinanti campani considerati dal Ministero;
   il Ministero della giustizia, al fine di concedere ulteriore periodo di proroga, ha indetto un nuovo censimento teso a conteggiare i precari della giustizia, omettendo, anche in questa occasione di conteggiare le predette unità presso il tribunale dei minorenni di Napoli;
   lo stesso tribunale per i minorenni di Napoli – che si è avvalso della loro collaborazione – ha più volte lamentato tale discriminazione al Ministero della giustizia, precisando che le stesse si trovavano ad essere penalizzate esclusivamente per via di un problema organizza- tivo della regione Campania che ha fatto iniziare il loro percorso formativo con lieve ritardo rispetto alle analoghe esperienze formative campane –:
   se non ritenga di dover assumere iniziative per estendere tutte le disposizioni di proroga che già riguardano i precari della giustizia campani anche al contenuto gruppo di tirocinanti presso il tribunale dei minorenni di Napoli, anche in ragione del dispendio di fondi impiegati per la formazione delle stesse. (4-06983)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FREGOLENT. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane è stata inaugurata la seconda galleria del traforo autostradale del Frejus che collega l'Italia alla Francia attraverso le Valli di Susa (Torino) e Maurienne (Francia) sull'asse autostradale A32 Torino-Bardonecchia;
   la seconda galleria, lunga quasi 13 chilometri, è stata inizialmente progettata come un tunnel di sicurezza con un diametro di 5 metri riservato esclusivamente ai mezzi di soccorso e di manutenzione;
   successivamente, nel mese di ottobre del 2011, la commissione intergovernativa composta dai rappresentanti di Italia e Francia ha reso un parere favorevole al progetto di messa in circolazione della galleria di sicurezza, che è stata trasformata in una galleria per il transito dei veicoli;
   questa opera è parallela a quella già esistente. I due tunnel sono collegati da una interasse di 50 metri e da una serie di by-pass dove sono situati impianti e rifugi di emergenza;
   secondo quanto comunicato da Sitaf, la società committente dei lavori, «la galleria (che avrà un diametro finale di 8 metri) verrà aperta al traffico entro aprile 2019», con il completamento «dei fabbricati di esercizio sui piazzali d'imbocco e gli impianti di ventilazione, illuminazione, antincendio, raffrescamento e gestione»;
   le Alpi (territorio su cui insiste il raddoppio del Frejus), sistema naturale ricco di biodiversità europea, è la catena montuosa più popolata al mondo: sono 14 milioni le persone che vi abitano, distribuite in circa 6.100 comunità; 120 milioni i turisti che visitano le Alpi e; 150 milioni il numero di persone che le attraversano ogni anno. Proprio per promuovere lo sviluppo sostenibile dell'arco alpino, il 7 novembre 1991 a Salisburgo, Austria, Francia, Germania, Italia, Svizzera, Liechtenstein e Unione europea hanno firmato la «Convenzione delle Alpi», entrata in vigore il 6 marzo 1995;
   tale convenzione è stata recepita nell'ordinamento italiano con la legge n. 196 del 2012 («Ratifica ed esecuzione del Protocollo di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi del 1991 nell'ambito dei trasporti, fatto a Lucerna il 31 ottobre 2000»);
   le norme presenti nella legge sopraindicata dispongono l'adozione di una politica ambientale e dei trasporti tesa alla riduzione dell'impatto e dei rischi, anche attraverso una combinazione di strumenti economici e di interventi di pianificazione territoriale. In particolare è previsto:
    l'attuazione di una gestione razionale e sicura dei trasporti nel contesto di una rete di trasporti integrata, coordinata e transfrontaliera;
    la valutazione dell'impatto ambientale e l'analisi dei rischi nel caso di grandi costruzioni, trasformazioni sostanziali o potenziamento delle infrastrutture di trasporti esistenti;
    la promozione di sistemi di trasporto pubblico ecocompatibili e orientati agli utenti;
    il miglioramento dell'infrastruttura ferroviaria tramite la costruzione, lo sviluppo e l'ammodernamento di grandi assi transalpini, nonché un maggior utilizzo delle potenzialità della navigazione;
    l'astensione dalla costruzione di nuove strade di grande comunicazione per il trasporto transalpino, salvo che le esigenze di trasporto non possano essere diversamente soddisfatte;
    l'introduzione progressiva di sistemi di tassazione che permettano di coprire in modo equo i costi reali e che offrano incentivi finalizzati ad una riduzione dell'impatto ecologico e socio-economico;
   da quanto è emerso da organi di informazione e, a giudizio dell'interrogante, palesemente in contrasto con le linee guida della legge n. 196 del 2012, per quanto riguarda il traforo del Frejus «non è previsto, per il momento, un numero contingentato di transiti», né «l'applicazione di un sistema di tassazione» finalizzato ad una riduzione dell'impatto ecologico e socio-economico;
   è altrettanto palese come, senza una politica adeguata ed efficace di contenimento dei veicoli e di trasporto alternativo delle merci, il raddoppio del tunnel autostradale del Frejus incentiverà unicamente il trasporto su gomma rispetto alle altre modalità di spostamento;
   in altre nazioni, come Francia, Svizzera ed Austria, sono già applicate misure, coerentemente con quanto prevede la Convenzione delle Alpi, che indicano un limite massimo per i transiti giornalieri dei tir e prevedono l'applicazione di un pedaggio perequativo;
   rispetto a tale problematica Sitaf ha reso noto che, con l'apertura del raddoppio del tunnel del Frejus, «non aumenteranno i flussi di traffico» –:
   quali iniziative intenda mettere in campo il Governo affinché le norme previste dalla legge n. 196 del 2012 vengano applicate alla galleria autostradale del Frejus, una volta aperto al traffico il raddoppio autostradale;
   quali saranno i reali flussi di traffico sul territorio in seguito alla raddoppio del tunnel del Frejus;
   se tali proiezioni non impatteranno negativamente sullo sviluppo sociale ed economico locale e sul patrimonio ambientale, faunistico e paesaggistico del territorio. (5-04109)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con deliberazione n. 426 del 2 dicembre 2010 la giunta provinciale salernitana adottava il programma triennale dei lavori pubblici 2011/2013 e l'elenco annuale 2011 contenenti, tra gli altri, interventi di messa in sicurezza e potenziamento della rete viaria provinciale;
   in detto programma triennale, tra le priorità dell'amministrazione era compreso l'importante intervento denominato «Lavori di variante alla strada provinciale 360 in comune di Cava de’ Tirreni (via Vitale) e messa in sicurezza»;
   un milione e quattrocentocinquanta mila euro proveniente dalle economie da ribasso svincolate e mediante diverso utilizzo di mutui contratti con la Cassa depositi e prestiti, era la cifra stanziata dalla provincia di Salerno per la realizzazione di questa opera di grande valenza sociale per la comunità cavese: la messa in sicurezza e l'allargamento di via Vitale, strada di collegamento viario tra la frazione di Santa Lucia e le zone pedemontane sudorientali della vallata;
   il progetto, approvato con una procedura complessa, rappresenta, infatti, ancora oggi un intervento necessario per il miglioramento della qualità della viabilità in una zona importante per la connessione tra le periferie di Cava de’ Tirreni e ad elevato rischio frane e alluvioni, proprio al fine di mitigare i rischi;
   come troppo spesso accade nel nostro Paese, però, i lavori per la realizzazione della variante alla strada provinciale 360, iniziati nel mese di gennaio di quest'anno, si sono arrestati a causa delle norme, che l'interrogante giudica assurde e sciagurate che regolano il patto di stabilità e che impediscono alla provincia di liquidare alla ditta esecutrice le opere già eseguite;
   tale situazione appare ancora più insensata se si considera che i fondi sono addirittura in cassa, in quanto chiesti e ottenuti con mutuo alla cassa depositi e prestiti;
   il Governo Renzi avrebbe già dovuto adottare i necessari provvedimenti per allentare le illogiche rigidità e gli scellerati vincoli del patto di stabilità che bloccano l'attività amministrativa degli enti pubblici, ma anche lo sviluppo e l'economica del territorio, pregiudicando così irrimediabilmente l'esistenza del tessuto produttivo;
   oggi più e mai il Paese ha bisogno di atti concreti e non di demagogia spicciola, come quella ad avviso dell'interrogante portata avanti dall'attuale Governo –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, non intenda assumere iniziative normative per prevedere deroghe al patto di stabilità per questa opera e, in generale, per tutte le opere di mitigazione di rischio idrogeologico. (4-06988)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   i cittadini dei comuni di Pernumia, Battaglia Terme e Due Carare convivono dal 2005 con un grave rischio sanitario e ambientale, costituito dalla ex C&C, altrimenti nota come «la fabbrica dei veleni»;
   è un fatiscente edificio al centro di una nota e abnorme vicenda di traffico di rifiuti tossici, avvenuta ai piedi del Parco dei Colli Euganei, vicino alle rinomate stazioni termali di Battaglia Terme, Montegrotto Terme e Abano Terme. La storia è risaputa, e ha lasciato in eredità al territorio 52.000 tonnellate di rifiuti speciali pericolosi all'interno di capannoni fatiscenti, nelle immediate vicinanze di centri abitati, campagne produttive e di un corso d'acqua che porta le sue acque a ridosso della Laguna di Venezia;
   in seguito ad un processo per traffico di rifiuti tossici la struttura è stata prima sottoposta a sequestro e in seguito, dopo la revoca del sequestro, abbandonata a se stessa con il suo pericoloso contenuto;
   la struttura, nel 2009, è stata inserita dalla regione Veneto nell'elenco dei siti inquinati e da bonificare, ma solo nel 2011 la regione Veneto ha stanziato 500.000 euro per la messa in sicurezza e per attività di caratterizzazione, fondi spesi nel corso del 2013-2014 per rinforzare alcune strutture e tappare le numerose falle sul tetto e alle pareti. Ma, al primo evento meteorologico importante, la struttura ha evidenziato la sua estrema fragilità e i gravi rischi cui è esposta;
   l'evento atmosferico del 13 ottobre 2014 che si è abbattuto nella bassa padovana, ha colpito la struttura provocando falle sulle parti dell'edificio, smontando il portone e sollevando parzialmente il tetto. La violenza del vento incuneata nell'edificio, ha fatto disperdere le sue polveri in un raggio di incalcolabile ampiezza;
   la struttura è sottoposta anche ad altri rischi, dall'incendio (già verificatosi) al terremoto, all'alluvione, rischi che non sono affatto teorici e che più volte hanno fatto temere il verificarsi di una tragedia di immani proporzioni;
   l'andamento ciclico di eventi meteorologici eccezionali dimostra che i rischi, che da tempo i comitati e le associazioni denunciano, sono sempre più probabili e le conseguenze per la popolazione e l'ambiente sono imprevedibili e potenzialmente disastrose. Tutto questo non fa che aumentare l'allarme della popolazione che si sente sempre più minacciata –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   come intenda agire al fine di impedire rischi per l'incolumità pubblica dovuti alla mancata messa in sicurezza della struttura. (5-04102)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NESCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalla stampa, le cosche della `ndrangheta cosentina, lametina e crotonese avrebbero progettato un attentato nei confronti del pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, Pierpaolo Bruni;
   il quotidiano La Gazzetta del Sud racconta, nell'edizione del 18 novembre 2014, che «l'uomo, pur essendo recluso, sarebbe stato informato dai “compari” rimasti in libertà che il magistrato viaggia a bordo di una Bmw 320 blindata di colore grigio, protetto solo da due guardie del corpo. E che il punto ideale per colpirlo sarebbe una galleria posta lungo la superstrada che attraversa la Sila. Una galleria nei cui pressi vi sarebbero installate delle telecamere. Di più. Il detenuto avrebbe inoltre rivelato che il pm Bruni è da tempo pedinato e questa circostanza spiegherebbe la precisione delle informazioni assunte dalle cosche in merito al dispositivo di sicurezza messo in piedi per proteggerlo»;
   la questione è molto delicata perché dietro l'attentato ci potrebbero essere anche gli intrecci politico-mafiosi su cui il pm sta conducendo indagini. Come infatti ricostruisce Paolo Polichieni su Il Corriere della Calabria, «c’è il troncone mafia-politica dell'operazione “Vulpes”. Ci sono gli “omissis” che coprono i nomi di tre storici esponenti politici di primissimo piano di Cosenza. C’è il timore delle cosche di non poter procedere ad una riorganizzazione del proprio assetto verticistico, faticosamente raggiunto in quel di Cosenza dopo la bufera seguita alle rivelazioni del boss pentito Franco Pino. C’è un sacco di robaccia, insomma, nello scenario al quale lavorano febbrilmente in queste ore i carabinieri del Ros e del comando provinciale di Cosenza per venire a capo del progettato attentato in danno del pm Pierpaolo Bruni. Progetto che si porta dietro anche grande allarme per la sicurezza di un altro pubblico ministero della Dda catanzarese, assai esposto sul fronte cosentino: Vincenzo Luberto»;
   va ricordato infatti che il pubblico Ministero Pierpaolo Bruni sta conducendo delicate inchieste sui rapporti tra criminalità organizzata, politica e massoneria, nate in territorio calabrese ma da cui sta emergendo una rete criminale che coinvolge diverse regioni italiane, tra cui Lazio, Sicilia, Campania, Veneto e Lombardia;
   dalle indagini, ad esempio, è emerso un pericoloso intreccio tra massoneria e ’ndrangheta e, in particolare, tra la cosca dei Mancuso e la loggia massonica fondata da Paolo Coraci, mirante alla nomina di persone di fiducia in 15 enti tra cui, Finmeccanica e Poste italiane;
   secondo le ultime rivelazioni, inoltre, la rete criminale avrebbe messo gli occhi anche sui lavori post-terremoto a L'Aquila, tramite una ditta di costruzioni riconducibile secondo gli inquirenti appunto alla cosca della ’ndrangheta dei Mancuso-Tripodi;
   risultano coinvolti nell'inchiesta anche tanti esponenti della politica. In un articolo comparso il 23 maggio 2013 su Il Corriere della Sera a firma Carlo Macrì, si legge che «gli interessi del clan Tripodi partono dalla Calabria per raggiungere la Lombardia, e si diramano in Veneto e nella Capitale dove trovano l'appoggio di politici influenti come Vincenzo Maruccio, ex assessore dell'Idv nella giunta Marrazzo ed ex consigliere di minoranza con la giunta Polverini, e dell'ex vice presidente del consiglio regionale del Lazio Raffaele D'Ambrosio (Udc), pronti a trattare con i clan che in cambio di appalti s'impegnavano a raccogliere voti»;
   non è la prima volta che il magistrato Bruni è vittima di un attentato: nella notte tra il 16 e 17 marzo 2014 l'autovettura del padre del magistrato, parcheggiata in prossimità dell'abitazione di famiglia, è stata prima manomessa e poi spostata in una zona a rimozione forzata, per poi essere ritrovata bruciata nelle campagne di Isola Capo Rizzuto (Crotone);
   a riguardo l'interrogante ha già presentato un atto parlamentare (il n. 4-04322) a cui però nessuno dei due Ministri interrogati ha tuttora risposto –:
   se non ritengano di intervenire con la massima urgenza per fare luce sull'ennesimo atto intimidatorio di cui il dottor Bruni è stato vittima;
   se non ritengano, nell'ambito delle rispettive competenze, di aumentare le misure attualmente predisposte, per assicurare al magistrato e ai suoi familiari la massima protezione e sicurezza, affinché lo stesso svolga nelle migliori condizioni possibili il proprio delicatissimo lavoro. (4-06982)


   LUIGI DI MAIO, LOMBARDI, NESCI, CIPRINI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sindacato di polizia CONSAP segnala agli interroganti che, come già accaduto alcuni giorni fa, nella giornata di domenica 16 novembre 2014 un aereo che avrebbe dovuto trasportare migranti, circa 150 appena sbarcati a Pozzallo, è ripartito vuoto da Comiso;
   in questa occasione, la causa a quanto consta all'interroganti non sembrerebbe essere legata a motivi sanitari, ma ad un ritardo: pare, infatti, che la compilazione degli elenchi di questi profughi abbia impegnato più tempo del previsto, probabilmente a causa dell'alto numero dei migranti sbarcati, quasi 900 dalla stessa nave (si sta parlando del secondo sbarco più numeroso di quest'anno nel ragusano);
   una parte delle persone appena arrivate erano destinate a Palermo, altre a Messina e altre ancora Siracusa (al centro Umberto I). Una parte, invece, destinati all'aeroporto di Comiso, dove con due voli charter dovevano essere trasferiti nella penisola;
   il primo charter sarebbe partito normalmente, il secondo no. Nonostante i poliziotti del reparto mobile di Catania fossero arrivati all'aeroporto di Comiso attorno alle 18,30, con i tre pullman di migranti e l'aereo fosse ancora in pista, a causa del ritardo il velivolo non ha potuto attendere l'imbarco ed è decollato vuoto. È stato necessario attendere fino a sera un altro velivolo per completare il trasporto;
   non è ben chiaro come sia possibile che avvengano queste cose e soprattutto se questi viaggi a vuoto vengano pagati dai contribuenti;
   del resto, è evidente l'impegno delle forze di polizia che, nonostante le note carenze d'organico, riescono a gestire numeri del genere (quasi mille persone sbarcate in un solo giorno);
   tutto questo è una ragione in più di stress e malcontento per gli operatori dei reparti mobili, già provati per l'attività svolta;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto denunciato dagli interroganti;
   per quale ragione l'aereo sia partito vuoto e quali siano stati i costi a carico dello Stato;
   quali siano gli intendimenti del Ministro interrogato per facilitare le operazioni di gestione degli sbarchi. (4-06984)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie riportate su alcuni organi di stampa locali, nella giornata di giovedì 13 novembre 2014 si è verificato un gravissimo episodio di violenza nei confronti di militanti e simpatizzanti di Gioventù Nazionale a Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli;
   durante la «Festa Tricolore» organizzata nei pressi di una caffetteria del centro da «Gioventù Nazionale», ovvero il gruppo giovanile di FdI-An, e che dal volantino diffuso si prefiggeva di riscoprire «il senso di appartenenza alla tua patria ed alla tua città», un gruppo di estremisti di sinistra ha interrotto violentemente la manifestazione;
   come ha spiegato Ernesto Sica, coordinatore cittadino e dirigente nazionale di Gioventù Nazionale, «Si trattava di un evento ludico e non politico, a parte una raccolta firme»;
   stando alle prime ricostruzioni, alle 22 circa di giovedì sera, quando nella caffetteria erano presenti circa trenta persone, un corteo di numerosi estremisti, buona parte a volto coperto, è arrivato esponendo lo striscione «Fuori i fascisti dalla nostra città», ha cominciato ad inveire contro chi stava partecipando all'evento: «Fascisti, tornate nelle fogne», proseguendo poi con il lancio di oggetti;
   la situazione è degenerata da lì a poco, una bandiera italiana è stata data alle fiamme e si sarebbe passati anche alle aggressioni fisiche, «limitate, fortunatamente» a strattonamenti che avrebbero coinvolto lo stesso Sica e causato un malore alla titolare del locale;
   allentate dai residenti della zona e dai passanti, sul posto sono intervenuti gli agenti del commissariato di PS di Castellammare e i carabinieri della compagnia stabile;
   Sica ha raccontato che già nei giorni precedenti la manifestazione era stato avvicinato durante la sua attività di volantinaggio, al punto che, sul suo profilo Facebook aveva scritto che «qualcuno non vorrebbe che la nostra festa si celebrasse»;
   i militanti e simpatizzanti di Gioventù Nazionale temono adesso per la loro incolumità, così come le stesse autorità che temono l'ulteriore inasprimento del clima tra i giovani politicamente attivi a Castellammare, un tempo considerata «città rossa» e soprannominata addirittura la «Stalingrado del Sud»;
   dinanzi alla violenza che imperversa e penetra nella politica, le istituzioni non possono e non devono rimanere indifferenti;
   ancor più, in un quadro di pericoloso inasprimento del confronto politico, la violenza esercitata contro la libertà di pensiero e di espressione rende insicure le città e non si addice affatto al principio del rispetto della democrazia –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative di competenza ritenga opportuno adottare per contribuire all'identificazione degli aggressori;
   se le forze di polizia siano intervenute tempestivamente sul luogo degli scontri e abbiano operato correttamente, anche a tutela delle vittime degli atti intimidatori e di violenza. (4-06989)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIMBRO, CANI, CARRA, CHAOUKI, CIRACÌ, MARCO DI MAIO, GRASSI, GRIBAUDO, LAFORGIA, FITZGERALD NISSOLI, TARICCO, FAVA, MIGLIORE, MARIANI, PALMIZIO, PELLEGRINO, PRINA, ROCCHI, ZANIN e ZARDINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le mancate erogazioni dei fondi dovuti dal Ministero alle scuole italiane rischiano di compromettere il funzionamento stesso delle normali attività didattiche degli istituti;
   è esemplificativa al riguardo la situazione dell'Istituto di istruzione superiore «Bertrand Russell» di Garbagnate Milanese e Arese, da anni in attesa di ricevere i finanziamenti previsti dal Ministero, e mai corrisposti, per complessivi euro 212.529,39. L'istituto ha fatto fronte alle spese per il personale scolastico, per saldare quanto dovuto per legge dallo Stato, attingendo ad altri fondi, principalmente alle quote che gli alunni dell'istituto versano come contributo «volontario»;
   le richieste di saldo, soprattutto per le quote riguardanti i compensi per gli esami di Stato, sono state inviate periodicamente oltre che all'ufficio scolastico regionale per la Lombardia alla direzione generale per la politica finanziaria per il bilancio, anche per conoscenza al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca in carica al momento degli invii;
   su continua insistenza dei revisori dei conti, visto il tempo trascorso dal 2001, nel 2013 la scuola ha iniziato a radiare i primi residui attivi, utilizzando in parte i contributi che le famiglie versano annualmente per il potenziamento delle attrezzature, la gestione, la manutenzione e il rinnovo dei laboratori. In pratica, la presenza di disponibilità di cassa, dovuta ad entrate diverse, è stata utilizzata per sanare la mancata erogazione di fondi statali dovuti al personale per contratto;
   risanare un ammanco di euro 212.529,39 non è certo cosa indolore, soprattutto perché sono state sottratte risorse che avrebbero dovuto essere utilizzate per l'ammodernamento delle attrezzature e dei laboratori;
   i revisori dei conti chiedono la radiazione totale di tutti i rimanenti residui affermando che ormai lo Stato non salderà più i debiti verso le scuole;
   in un periodo di ristrettezza economica, dove i finanziamenti statali si fanno sempre più esigui e le famiglie fanno fatica a corrispondere il cosiddetto contributo volontario, l'accredito, almeno di una parte della somma dovuta, risulta assolutamente necessario per completare il percorso intrapreso dall'istituto; percorso che ha portato la scuola a livelli di eccellenza, con LIM installate in tutte le aule didattiche, dispositivi individuali per gli studenti di 13 classi, e tablet con software specifico per gli alunni DSA;
   il versamento della quota pari all'ammontare dei soli residui attivi per compensi agli esami di Stato, consentirebbe di rendere efficiente la rete dell'istituto (che ora regge il carico contemporaneo di 60 accessi, a fronte di 400 dispositivi presenti), il rinnovamento del laboratorio di informatica, ormai desueto, e l'impianto di un piccolo laboratorio di robotica –:
   quali iniziative intenda mettere in atto il Ministro al fine di corrispondere, almeno in parte, i fondi dovuti agli istituti scolastici italiani. (5-04108)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le modalità di fruizione del dottorato di ricerca, degli assegni di ricerca e delle borse di studio e connessi diritti alle assenze ed alla retribuzione sono stabilite e normate da numerose fonti legislative valide per tutti i lavoratori pubblici e, per il personale scolastico, contrattuali;
   negli anni, poi, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il dipartimento della funzione pubblica e gli uffici scolastici periferici hanno emanato circolari applicative e note esplicative per meglio definire i parametri e le caratteristiche di fruizione. Tali disposizioni riguardanti, nello specifico, il personale scolastico evidenziano gli effetti che la conseguente assenza dal servizio, causa dottorato, produce sul rapporto di lavoro a tempo indeterminato (personale di ruolo) ed a tempo determinato (personale supplente);
   tuttavia, per il personale docente assunto a tempo determinato si sono susseguite, nel corso degli anni, interpretazioni e condotte difformi sia da parte dei dirigenti scolastici che di alcuni uffici. In particolare, l'ufficio scolastico regionale Puglia e, di conseguenza, l'ambito territoriale (ex USP) di Bari, ritengono che il periodo della frequenza del dottorato, del post dottorato e dell'assegno di ricerca da parte del personale supplente non sia computabile ai fini giuridici: coloro che usufruiscono di congedo o aspettativa non si sono visti riconoscere il punteggio di servizio utile ai fini delle graduatorie. Su tale discussa questione sono intervenute diverse sentenze dei tribunali, aditi dai docenti supplenti in sede di contenzioso;
   di fatto l'ufficio scolastico regionale Puglia-ambito territoriale di Bari ha operato la cancellazione del punteggio di servizio dalle graduatorie ad esaurimento per coloro, dottorandi, borsisti ed assegnisti di ricerca, che hanno chiesto in questi anni l'aspettativa dalle supplenze annuali, supportati da sentenze favorevoli di primo grado (sentenza n. 4254/2014 pubbl. il 5 maggio 2014 R.G. n. 8300/2013 del tribunale di Bari; sentenza controversia n. 14381/2011 tribunale di Bari, dell'8 luglio 2013, sentenza depositata il 12 giugno 2013 R.G. n. 5010/2013 del tribunale di Bari sezione lavoro);
   l'ufficio scolastico regionale Puglia ambito territoriale di Bari ha fatto della discutibile nota di chiarimento inviata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca all'ufficio scolastico provinciale di Pisa (prot. n. 215 del 19 gennaio 2009), nella quale si sostiene, a giudizio dell'interrogante, senza alcun fondato presupposto giuridico, «che il periodo di congedo per dottorato senza retribuzione non è valutabile nell'ambito sia delle graduatorie ad esaurimento che in quelle d'istituto», un fondamentale riferimento normativo, su cui basa le sue ultime decisioni, che scaturiscono dalla nota regionale prot. 7163 del 9 agosto 2011 e negano il riconoscimento del punteggio di servizio ai docenti in congedo. La situazione e il punto di vista dell'ufficio scolastico regionale Puglia non risultano minimamente cambiati, nonostante lo stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sia nuovamente intervenuto sulla questione in una recentissima nota: con la nota prot. 2545 del 6 agosto 2014 inviata all'ufficio scolastico regionale Puglia e all'ufficio scolastico provinciale di Bari, il Ministero, di fatto, ribadisce che «il riconoscimento giuridico deve essere pieno, non solo ai fini della ricostruzione di carriera come sostenuto dall'ufficio scolastico regionale per la Puglia ma anche come attribuzione di punteggio nelle graduatorie ad esaurimento, attesa l'assenza di espresse limitazioni (riferite solo al profilo economico) al riconoscimento giuridico dell'attività di ricerca»;
   tuttavia, al di là delle note secondo l'interrogante contraddittorie inviate negli ultimi anni dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ci sarebbero sufficienti fonti normative per ritenere che il periodo di dottorato di ricerca sia valutabile ai fini dell'aggiornamento del punteggio nelle graduatorie ad esaurimento e nelle graduatorie di istituto, anche per i docenti con contratto a tempo determinato: la legge n. 476 del 13 agosto 1984 stabilisce che il pubblico dipendente ammesso ai corsi di dottorato di ricerca è collocato, a domanda, in congedo straordinario per motivi di studio senza assegni per il periodo di durata del corso ed usufruisce della borsa di studio ove ricorrano le condizioni richieste. La legge 28 dicembre 2001, n. 448, articolo 52 - comma 57, integra la precedente norma, aggiungendo che «in caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca senza borsa di studio o di rinuncia a questa, l'interessato in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento da parte dell'Amministrazione Pubblica presso la quale è instaurato il rapporto di lavoro». La legge 30 novembre 1989, n. 398 (Norme in materia di borse di studio universitarie), ha esteso quanto disposto dalla legge n. 476 anche ai titolari di borse di studio post-dottorato ed ai beneficiari di borse per i corsi di perfezionamento/scuole di specializzazione universitaria;
   il decreto legislativo n. 297 del 1994, all'articolo 453, comma 6, precisa che «il periodo trascorso nello svolgimento delle attività previste dal presente articolo è valido, a tutti gli effetti, come servizio d'istituto nella scuola»;
   un'ulteriore categoria di beneficiari di aspettativa è costituita dagli assegnisti di ricerca. Infatti, l'articolo 51 della legge n. 449 del 27 dicembre 1997 prevede esplicitamente la possibilità dell'aspettativa senza assegni per tutti i pubblici dipendenti vincitori di un assegno di ricerca;
   il contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto scuola vigente, all'articolo 19 («Ferie, permessi ed assenze del personale assunto a tempo determinato»), include nel diritto alla fruizione del congedo per dottorato il personale a tempo determinato, purché destinatario di contratto di durata annuale o fino al 30 giugno. Ne consegue che anche a tale tipologia di personale debbano essere applicate, nei limiti previsti dalla richiamata norma, le disposizioni riguardanti dottorandi e assegnisti di ricerca. Pertanto, anche al personale a tempo determinato vanno applicate le disposizioni suddette, relative al trattamento giuridico, previdenziale ed economico;
   nel 2003 lo stesso l'ufficio scolastico regionale Puglia, in risposta a numerosi quesiti posti dagli istituti scolastici della regione, ha emanato la nota prot. n. 8225 del 29 settembre 2003, in cui cita proprio la legge n. 448 del 2001 e ribadisce che il personale a tempo determinato ha gli stessi diritti in materia e che «in caso di ammissione ai corsi di dottorato di ricerca senza borsa di studio o di rinuncia a questa, l'interessato in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza. Affinché il contratto possa produrre gli effetti economici è quindi necessario che il rapporto di lavoro sia instaurato con l'assunzione in servizio. In mancanza di questa, il dipendente avrà diritto al solo riconoscimento giuridico» –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione sopra esposta;
   se il Ministro non ritenga doveroso e urgente intervenire e dirimere definitivamente la questione, affinché si ponga fine ad un'incertezza che molti giovani precari ricercatori (dottorandi, borsisti, assegnisti) stanno pagando sulla loro pelle in termini di mancato riconoscimento del punteggio nelle graduatorie ad esaurimento e di istituto, con notevoli danni personali e professionali. (4-06975)


   FIORONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il corso di laurea in «Teorie e tecniche dell'audiovisivo» presso l'Accademia di belle arti di Roma è stato istituito nel 2010;
   anche quest'anno gli studenti si sono regolarmente iscritti, entro il termine previsto, il 21 ottobre 2014, e che a seguito di bando pubblico le matricole vengono sottoposte prima dell'iscrizione a una selezione;
   in data 23 ottobre 2014 tutti gli iscritti sono stati convocati dalla direttrice dell'accademia, professoressa Tiziana D'Achille, per comunicazioni urgenti sul corso di laurea e che in quell'occasione è stato loro detto che il corso sarebbe stato soppresso;
   l'abolizione  sarebbe stata motivata dalla mancanza della firma del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, indispensabile per potere tenere aperto l'indirizzo di studio e che, sempre secondo la direttrice per poter ripristinare il corso la firma sarebbe dovuta arrivare entro 7 giorni dal 28 ottobre 2014;
   le iscrizioni necessarie per la frequenza erano state chiuse una settimana prima, il 21 ottobre 2014, risulta evidente che l'accademia aveva già proceduto all'accettazione di nuove matricole e all'iscrizione degli studenti del secondo e del terzo anno, con versamento della rata di iscrizione e delle altre tasse scolastiche;
   la direttrice nel corso della riunione ha invitato gli studenti a scegliere un altro indirizzo: arti multimediali;
   il piano di studio dei due corsi ha sia materie che esami molto diversi e i due corsi tendono alla formazione di due figure professionali profondamente differenti;
   agli studenti è stato dato tempo fino al 15 novembre per scegliere un nuovo corso di laurea –:
   per quali motivazioni abbia ritenuto di non firmare l'avvio dell'anno accademico 2014/2015 provocando quindi la conseguente soppressione del corso di laurea Teorie e tecniche dell'audovisivo;
   che cosa intenda fare a garanzia degli studenti gravemente danneggiati da una decisione che, alterando la fase finale del percorso formativo, crea agli stessi un danno grave e inaccettabile. (4-06992)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CAPARINI, PRATAVIERA e FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   gli assegni familiari sono una prestazione a sostegno delle famiglie di alcune categorie di lavoratori italiani, comunitari e extracomunitari lavoranti nel territorio italiano, il cui reddito familiare complessivo sia al di sotto dei limiti stabiliti annualmente dalla legge;
   secondo quanto specificato sul portale dell'Inps, coloro per i quali possono essere richiesti gli assegni sono, con riguardo agli extracomunitari, i familiari di cittadini stranieri residenti in Paesi con i quali esista una convenzione in materia di trattamenti di famiglia;
   desta pertanto sconcerto quanto stabilito lo scorso 19 novembre dal giudice di Brescia, Ignazio Onni, riguardo il caso di tre lavoratori stranieri (due cingalesi e un pakistano), titolari del permesso di lungo periodo e dipendenti dello stabilimento bresciano di Iveco, i quali, sospesi dal lavoro e trovatisi a dover mantenere moglie e figli con l'importo dell'ammortizzatore sociale, hanno deciso di far tornare in patria moglie e figli;
   il comune di Brescia, rilevando l'assenza dei bimbi nella scuola della città e temendo un'evasione dell'obbligo scolastico ha convocato i padri e nel frattempo ha trasmesso l'informazione all'Inps;
   l'ente previdenziale ha avviato un'azione di recupero delle rilevanti somme pagate come assegni familiari per tutto il periodo di permanenza nei Paesi d'origine (sembrerebbe in un caso oltre 6 mila euro);
   i lavoratori hanno fatto ricorso al giudice (assistiti dall'avvocato Alberto Guariso e con il sostegno della Camera del lavoro di Brescia e della Fondazione Piccini) chiedendo che venisse loro applicato, in forza della direttiva comunitaria 2009/103, lo stesso trattamento previsto per i cittadini italiani e comunitari per i quali l'Inps versa l'assegno familiare anche nel caso i figli o il coniuge risiedano all'estero;
   il giudice ha accolto la domanda rilevando che la tesi dell'Inps «è priva di conforto normativo» dal momento che la legge non richiede necessariamente, neppure per gli stranieri, la presenza dei familiari sul territorio nazionale;
   invero, recita il comma 3 dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 797 del 1955, e successive integrazioni e modificazioni, che «ai cittadini di nazionalità straniera che prestano lavoro retributivo alle dipendenze di altri sul territorio della Repubblica gli assegni familiari per le persone a carico che risiedono fuori del territorio della Repubblica spettano se dallo Stato di cui sono cittadini è riservato un trattamento di reciprocità nei confronti dei cittadini italiani»;
   la decisione del giudice bresciano, pertanto, risulta essere ad avviso degli interroganti — pur in assenza al momento delle motivazioni contenute nella sentenza — arbitraria, che finisce con incidere pesantemente non soltanto sui bilanci dell'Istituto previdenziale, ma anche su quello aziendale, dal momento che Iveco dovrà ora restituire tutte le somme che aveva trattenuto per conto dell'Inps –:
   se non ritenga di dover adottare con urgenza provvedimenti di propria competenza per un'interpretazione autentica della normativa relativa agli assegni familiari, al fine di circoscrivere e dettagliare i casi di spettanza ed evitare, di conseguenza, contenziosi e interpretazioni giurisprudenziali che possano mettere in ginocchio realtà lavorative e Inps. (5-04103)


   RIBAUDO e CULOTTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Ente di Previdenza dei Medici e degli Odontoiatri italiani (ENPAM) ha assunto, in forza del decreto-legge n. 509 del 1994, personalità giuridica di diritto privato e trasformato in fondazione;
   l'ENPAM ha lo scopo di assicurare il trattamento previdenziale ai propri iscritti, diritto costituzionalmente garantito;
   è compito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dell'economia e delle finanze vigilare sul rispetto di tale obbligo e sul buon andamento gestionale della Fondazione;
   ai sensi dell'articolo 10 dello statuto sono organi dell'ente;
    a) il Consiglio nazionale;
    b) il Consiglio di amministrazione;
    c) il Comitato esecutivo;
    d) il Presidente;
    e) il Collegio dei sindaci;
   con Deliberazione assunta nella riunione del Consiglio Nazionale del 26 novembre 2005 sono state fissate le indennità di carica e i gettoni di presenza dei componenti degli organi gestionali, che ammontano complessivamente a circa 5 milioni di euro per l'anno 2012;
   in particolare, con la citata Delibera, è stato stabilito che, oltre alle indennità fisse mensili, vanno assicurati:
    a) il rimborso a ciascun componente gli Organi statutari o componente di organi Collegiali, di tutte le spese di viaggio sostenute e documentate per l'utilizzo degli usuali mezzi di trasporto; inoltre, in caso di uso di mezzo di trasporto proprio, la liquidazione di un importo forfettario, pari a quanto previsto dalle tabelle ACI per chilometro, oltre il pedaggio autostradale;
    b) il riconoscimento, a decorrere dalla data della stessa delibera, ai partecipanti alle riunioni di organi collegiali e di commissioni consiliari, ivi compreso il direttore generale che partecipa con voto consultivo, di una medaglia di presenza giornaliera, non cumulabile, nella misura di euro 600,00;
    c) la liquidazione, a decorrere dalla data della delibera, a ciascun componente gli organi statutari o componente di organo collegiale, di una indennità di trasferta (cosiddetta diaria) nella misura di euro 450,00 per l'assenza dalla località di residenza fino a 12 ore e, per il tempo eccedente, di euro 450,00 per ogni 12 ore non frazionabili. L'indennità viene ridotta di un terzo o della metà se è chiesto il rimborso a piè di lista delle spese sostenute e documentate rispettivamente per il solo pernottamento o per il solo vitto, ovvero per entrambi;
   da quanto sopra emergerebbe come una sola partecipazione alle riunioni, anche di pochi minuti, da parte dei rispettivi componenti (ivi compreso il direttore Generale) ad organi collegiali o commissioni consiliari costi all'ente dagli euro 1.500 agli euro 2.000 per ciascun componente (comprensivi di: rimborso spese viaggio, vitto e alloggio, medaglia di presenza), oltre all'indennità fissa spettante relativa alla carica ricoperta;
   nel corso degli ultimi anni, in generale, si è registrato un aumento di spesa complessivo per quanto riguarda i compensi ai titolari degli organi collegiali (2002 costo euro 424.199; 2006 costo euro 3.793.662; 2011 costo euro 4.326.010);
   in particolare, il bilancio consuntivo 2013, approvato nella seduta del Consiglio nazionale del 27 giugno 2014, quantifica il trattamento economico relativo a tutti i componenti degli organi statutari o componenti di organi collegiali e di commissioni consiliari in complessivi euro 3.913.419;
   il Presidente e alcuni componenti il Consiglio di amministrazione ricoprono cariche in enti collaterali allo stesso ENPAM (ENPAM Real Estate srl e altri comitati consultivi di fondi di gestione ecc...), percependo compensi aggiuntivi di cui non si conoscono gli importi (nello specifico il presidente Alberto Oliveti risulterebbe anche presidente di tre comitati consultivi di fondi di gestione immobiliari riferibili alla fondazione ENPAM);
   conseguentemente, i vertici dell'ENPAM percepirebbero emolumenti di gran lunga superiori a quanto mediamente percepito dagli amministratori pubblici;
   a fronte delle ingenti somme impiegate per il funzionamento degli organi statutari di gestione, l'ENPAM assicura ai propri iscritti un ammontare medio delle pensioni rispettivamente come di seguito indicato:
    a) per i medici di base: 25.000 euro annui lordi;
    b) per i medici specialistici ambulatoriali: 38.000 euro annui lordi;
    c) mentre le pensioni minime legate alla semplice iscrizione sono pari a 2.250 euro annui lordi;
   in particolare, i giovani medici, ancorché disoccupati o con occupazioni precarie, sono tenuti a versare contributi previdenziali certamente onerosi in rapporto a redditi esigui ed incerti –:
   quale sia l'esatto ammontare dei compensi percepiti dal Presidente e dagli altri componenti che fanno parte degli organi statutari dell'ente e che contemporaneamente sono anche componenti di consiglio di amministrazione altri enti collegati ovvero di organi consultivi;
   se non si ritenga di dover intervenire per ridurre drasticamente le indennità di presenza giornaliera e di vitto e alloggio di cui in premessa che rappresentano una offesa e uno spreco rispetto agli esigui importi di pensione che di controverso lo stesso ente eroga ai propri iscritti, circa 200 euro mensili dopo al raggiungimento del 65o anno di età;
   se non si ritenga opportuno, considerati gli importi irrisori di pensione che vengono erogati, valutare la possibilità di rendere facoltativa e non più obbligatoria, l'iscrizione al suddetto ente da parte dei medici ospedalieri che già hanno una propria cassa previdenziale nell'assicurazione generale obbligatoria Inps/ex-Inpdap;
   quali iniziative intenda assumere il Governo volte alla riduzione delle suddette indennità applicando loro il principio di onnicomprensività ed adeguandole ai tetti introdotti per i dirigenti della pubblica amministrazione. (5-04106)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Sindacato nazionale agenti di assicurazione (SNA) ha sottoscritto un accordo con la Federazione sindacati industria, commercio e artigianato (Fesica Confsal) e con la Federazione italiana sindacati assistenza lavoratori stranieri (Fisals Confasal) relativo al contratto nazionale appalto assicurativo;
   proprio lo SNA definisce tale accordo «contratto nazionale» relativo al CCNL appalto, ovvero il contratto che regola il rapporto di lavoro dei lavoratori delle agenzie di assicurazione in gestione libera;
   la organizzazioni sindacali sono contrarie a tale accordo, in quanto ne ritengono i contenuti del tutto inadeguati rispetto alle esigenze della categoria e lontani da quelli espressi nei precedenti contratti;
   le segreterie nazionali delle organizzazioni sindacali hanno chiesto al Ministero del lavoro e delle politiche sociali di non riconoscere tale accordo, perché Fesica e Fisals sono, secondo il sindacato confederale, per nulla rappresentative e, tra l'altro, non si sono mai occupate dei problemi del settore;
   il 20 novembre 2014 è stato siglato il rinnovo del contratto nazionale appalto da parte di Fiba CISL, Fisac CGIL, Fna ed Uilca con le associazioni datoriali Anapa ed Unapass;
   questo rinnovo, raggiunto con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative delle lavoratrici e dei lavoratori del settore, è l'unico adatto ad avere piena rilevanza giuridica, perché è l'unico contratto che deriva da precedenti CCNL;
   vi è un problema più ampio relativo alle relazioni industriali ed alla rappresentatività: non sono accettabili modalità attraverso cui le controparti si scelgano quelli che all'interrogante appaiono interlocutori di comodo e non rappresentativi delle loro categorie di riferimento al fine di realizzare intese a proprio uso e consumo –:
   se non ritenga opportuno astenersi, almeno momentaneamente, dal riconoscere l'accordo firmato da SNA, Fesica e Fisals ed avviare una riflessione per capire se non sia più opportuno dare rilevanza giuridica al rinnovo del contratto collettivo nazionale del lavoro cui stanno lavorando Fiba CISL, Fisac CGIL, Fna ed Uilca con le associazioni datoriali Anapa ed Unapass. (4-06987)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


   ZACCAGNINI, FRANCO BORDO, DURANTI, MELILLA, PALAZZOTTO, PANNARALE, FRATOIANNI, SCOTTO, RICCIATTI, FERRARA, COSTANTINO, NICCHI e KRONBICHLER. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 ottobre 2014, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (Mipaaf), tramite un comunicato stampa, ha reso noto la firma del protocollo d'intesa del bando Terrevive fra: le regioni, i Comuni, l'Agenzia del demanio e Ismea, che prevede la vendita e l'affitto dei terreni demaniali improduttivi a privati e, in particolare, ai giovani, in riferimento alla seguente normativa: articolo 66, comma 1, del decreto-legge n. 1 del 24 gennaio 2012 convertito con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27; decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali del 20 maggio 2014, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 176 del 31 luglio 2014; decreto legislativo n. 185 del 21 aprile 2000. Terrevive è il decreto con cui il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, dà il via alla vendita e all'affitto di circa 5.500 ettari di terreni, destinandoli innanzitutto agli agricoltori under 40. Il decreto riguarda: 2.480 ettari di terreni appartenenti al demanio dello Stato, 2.148 ettari di terre in uso al Corpo forestale dello Stato, 882 ettari di terreni di proprietà del Centro per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (C.R.A.);
   come diramato da più organi di stampa, il sistema che verrà adottato è quello dell'asta on line, per i lotti di valore superiore ai 100 mila euro ci sarà l'asta pubblica. Al di sotto di 100 mila euro scatterà la «procedura negoziale» con pubblicazione degli elenchi su stampa, sito del demanio e delle politiche agricole e chi presenta la migliore offerta si aggiudicherà il lotto. Il 20 per cento dell'intero patrimonio da avviare sul mercato è riservato all'affitto. E in locazione andranno anche quei terreni che non riusciranno a trovare un acquirente;
   stando alla procedura di redazione dei bandi di dismissione delle terre pubbliche, così come redatta nel decreto «Terre Vive», essi prevedono l'aggiudicazione con asta al massimo rialzò l'eventuale diritto di prelazione, solo a parità di prezzo offerto, a favore di giovani imprenditori agricoli. Sempre esclusivamente a parità di prezzo offerto si può far valere il diritto di prelazione a favore di eventuali agricoltori che già svolgono la loro attività su dette aree; l'articolo 66 citato prevede, per effetto di un emendamento approvato in sede parlamentare, la riserva di una quota minima di almeno il 20 per cento dei terreni individuati da riservare all'affitto per i giovani imprenditori agricoli (comma 1);
   nell'articolo 2 del decreto ministeriale attuativo, si introduce, a giudizio degli interroganti in forma di dubbia legittimità, un criterio ulteriore non presente nella normativa approvata dal Parlamento, vale a dire che «In considerazione dell'eccezionalità della situazione economica e tenuto conto delle prioritarie esigenze di finanza pubblica, i terreni individuati negli elenchi allegati al presente decreto sono prioritariamente destinati all'alienazione»;
   ne consegue che nel decreto ministeriale e nei successivi bandi disposti dall'Agenzia del demanio non sussiste alcun elenco di terreni che saranno riservati e offerti in affitto ai giovani imprenditori agricoli, ma solo la generica indicazione che potranno essere offerti in tale forma i lotti rimasti eventualmente invenduti;
   inoltre appare, a parere degli interroganti, che nell'accesso ai beni provenienti dal Cra e dal Corpo forestale e nella loro dismissione tramite asta, non sia stato inserito nessun criterio di progettualità e/o specifica richiesta da parte del Governo, nella redazione dei bandi di dismissione delle terre pubbliche, circa il mantenimento delle coltivazioni e delle sperimentazioni che valorizzino la biodiversità agraria italiana;
   rispetto al tema dell'accesso alla terra da parte dei giovani, in una conferenza tenutasi a Bruxelles 27 e 28 febbraio 2013 da parte del Ceja «CONSEIL EUROPEEN DES JEUNES AGRICULTEURS», dal titolo «Promuovere l'occupazione giovanile in agricoltura per un'Europa più sostenibile» alla quale hanno partecipato più di 150 giovani agricoltori, lavoratori e datori d lavoro del comparto agricolo, responsabili delle politiche pubbliche, rappresentanti del mondo delle imprese e professionisti del settore della formazione, è emerso un ventaglio di raccomandazioni volto a incoraggiare i giovani ad affacciarsi al mondo agricolo/partendo dalla considerazione che il tasso di disoccupazione giovanile in Europa e elevato e che il settore agricolo offre considerevoli opportunità occupazionali ai giovani provenienti da qualsiasi ambiente, anche non agricolo;
   nell'ambito della conferenza di Bruxelles, si è giunti a darsi l'obiettivo secondo il quale, l'agricoltura deve affrontare la sfida demografica;
   dati alla mano in una ricerca del 2007: per ogni imprenditore agricolo al di sotto dei 35 anni, nell'Unione europea a 27, nove avevano superato i 55 anni;
   i giovani agricoltori gestiscono appena il 7,5 per cento di tutte le aziende dell'Unione europea, attraverso il programma di sviluppo rurale che si è dimostrato finora valido;
   i programmi di formazione sono riusciti a sostenere efficacemente i giovani che si affacciano all'attività agricola;
   il principale ostacolo che devono affrontare i giovani intenzionati ad esercitare la professione agricola è l'accesso alla terra e al credito;
   inoltre, in materia di accesso alla terra, il CEJA raccomanda di:
    a) sostenere nuovi modelli di collaborazione intergenerazionale attraverso forme di partenariato, sistemi di conduzione a mezzadria, leasing a lungo termine e altri accordi contrattuali;
    b) promuovere il concetto di pianificazione del pensionamento;
    c) incoraggiare le famiglie agricole ad avvalersi di intermediari competenti in materia di diritto successorio in tutti gli Stati membri dell'Unione europea, per affrontare la complessa questione del trasferimento della terra da una generazione all'altra, affinché possano essere assistite da un coordinatore esterno con una conoscenza approfondita del diritto di successione della terra in vigore nello Stato membro interessato;
    d) appoggiare una legislazione nazionale favorevole in materia di ereditarietà della terra per aumentarne la mobilità;
    e) favorire la creazione di gruppi di lavoro a livello europeo che esaminino tutti gli aspetti inerenti all'accesso alla terra e valutino la possibilità di realizzare forme di partenariato pubblico-privato in funzione del modello francese di regolazione dei mercati della terra, denominato SAFER;
   in materia di accesso al credito, il CEJA raccomanda i seguenti interventi:
    a) tassi di interesse agevolati sui prestiti concessi dalle banche ai giovani agricoltori, in considerazione del rischio minore al quale sono esposte;
    b) un accesso facilitato al credito da parte delle banche e della pubblica amministrazione, ad esempio, attraverso sovvenzioni, esenzioni/agevolazioni fiscali, prestiti, garanzie di Stato;
    c) misure intese a incoraggiare le banche commerciali a offrire servizi preferenziali ai giovani agricoltori attraverso potenziali incentivi forniti dallo Stato;
   nonostante le raccomandazioni del Ceja, il bando di accesso alla terra «Terre Vive», per le criticità esposte in premessa, e per il distacco dalle raccomandazioni del Ceja stesso, rischia non solo di non favorire l'accesso alla terra da parte dei giovani agricoltori, ma al contrario di escluderli ulteriormente, e al contempo di favorire coloro che dispongono di liquidità di denaro con il reale rischio di incentivare il riciclaggio di «denaro sporco» della criminalità organizzata –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti e quali azioni intendano intraprendere;
   se i Ministri non ritengano necessario e urgente intervenire nel procedimento attuativo in corso dell'iniziativa «Terrevive» per definire, fin d'ora, l'elenco dei terreni demaniali che saranno offerti in affitto nel rispetto delle indicazioni vincolanti contenute nell'articolo n. 66 del decreto-legge n. 1 del 2012;
   se non reputino opportuno, per quanto di competenza, prevedere criteri, prima della messa all'asta, che tengano conto dei terreni che operano colture di biodiversità agraria al fine di vincolarli e conservarli tali;
   se non ritengano penalizzante e di difficile accesso per i giovani imprenditori agricoli la vendita con asta al massimo rialzo e quali iniziative intendano conseguentemente assumere, per impedire che costoro siano di fatto estromessi dall'operazione facendo proprie le raccomandazioni del Ceja, creando in Italia un organismo simile a quello francese (sul modello delle SAFER o Sociétés d'aménagement foncier et d’établissement rural – «Società di utilizzazione del suolo e insediamento rurale») e tenendo conto che, nel 2010, le SAFER hanno acquistato 74.800 ettari di terra, per un valore di 791 milioni di euro, a fronte del fatto che, nel 2011, hanno accompagnato l'insediamento di 1.220 giovani agricoltori, 730 dei quali provenienti da un contesto non agricolo (il 60 per cento di tutti gli insediamenti del 2011), agendo come un intermediatore fondiario che valuta i progetti con offerta economica simile, con assegnazione prioritaria a quelli che operano con sistemi di prevenzione del dissesto idrogeologico;
   se non reputino opportuno prevedere che la quota del 20 per cento dei terreni da dare in affitto ai giovani venga inserita in una apposita lista al fine di consentire che lo spirito del decreto «Terre Vive» possa realmente produrre gli effetti socio-giuridici per i quali è stato emanato;
   se non ritengano opportuno e urgente attivare adeguate forme di controllo sugli acquirenti dei terreni demaniali per prevenire che si verifichino forme di infiltrazione della criminalità organizzata che, in alcune regioni, come risulta agli atti della Commissione d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali anche straniere, pratica sistematicamente l'acquisto di aziende e immobili agricoli come una delle forme privilegiate di riciclaggio dei proventi illeciti. (3-01177)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FOLINO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riferito dai media locali e dal sindaco di Pisticci (Matera), dai rilievi radiometrici effettuati l'8 ottobre 2014 dai tecnici dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente della Basilicata (Arpab) – per verificare lo stato radiologico dei luoghi e dei reflui provenienti dal Centro oli Vai d'Agri – in agro di Pisticci scalo (Matera) e Ferrandina (Matera) dove sono ubicati gli impianti di smaltimento dei reflui della società Tecnoparco, risulta una concentrazione di radioattività nove volte superiore a quella massima prevista per l'acqua potabile in base alla direttiva dell'Unione europea;
   a seguito di un incontro che si è svolto il 17 novembre 2014, presso la sede della regione Basilicata, l'Eni ha diffuso una nota nella quale si sostiene «che gli aspetti riguardanti la presenza di radionuclidi di origine naturale nel processo di estrazione d'idrocarburi sono gestiti rispettando completamente la normativa comunitaria e nazionale in materia (decreto legislativo n. 230 del 1995, la direttiva europea 96/29/EURATOM, il decreto legislativo n. 241 del 2000 per il controllo delle sorgenti naturali delle radiazioni)»;
   il 14 novembre 2014, l'Eni aveva diffuso una nota nella quale sosteneva che «durante lo svolgimento di controlli periodici programmati lungo il tracciato dell'oleodotto Viggiano-Taranto, in località San Basilio di Marconia» era «stata riscontrata sul terreno la presenza di una macchia oleosa, di dimensione inferiore a tre metri quadrati», e che era stata riscontrata sull'oleodotto «la manomissione della protezione esterna e la presenza di un foro dal diametro perfettamente regolare di 8 millimetri, di evidente origine dolosa»;
   l'Eni ha precisato, altresì che «l'oleodotto è stato immediatamente messo fuori servizio e sono state rapidamente avviate le attività di scavo e bonifica dell'area interessata, di dimensioni molto ridotte», e che «il tubo non presenta cedimenti strutturali e corrosioni, ma risulta danneggiato dall'esterno», precisando che sono in corso approfondimenti finalizzati ad accertare le cause dell'accaduto e che le autorità competenti ne sono state informate;
   l'associazione Legambiente ha espresso dubbi circa la ricostruzione dell'Eni sull'incidente all'oleodotto, osservando che «il foro trovato, che si trova a circa 2,50 cm di profondità, secondo la compagnia sarebbe stato volutamente provocato da qualcuno che nella notte avrebbe manualmente scavato fino a trovare il tubo per poi praticare un foro di 8 mm dopo aver rimosso parte della camicia»;
   il predetto scenario sarebbe alquanto improbabile, secondo l'associazione ambientalista, accorsa subito sul posto grazie alla presenza dei circoli di Matera e Pisticci, allertati da un agricoltore che, mentre stava lavorando sul terreno adiacente a quello in cui si è verificato l'incidente, ha avvertito il forte odore di idrocarburi proveniente dalla perdita;
   sembrano dunque assurde, alla luce di ciò, anche le affermazioni di Eni, secondo cui l'allarme sarebbe stato lanciato da alcuni dipendenti della compagnia durante ispezioni di routine dell'impianto, come anche riportato dal verbale dell'Arpab, arrivata però sul posto solo due giorni dopo l'incidente, ovvero domenica 16 novembre, e solo in seguito alle sollecitazioni degli stessi circoli della Legambiente di Matera e Pisticci;
   nella popolazione del Metapontino si è generato un forte allarme causato dall'insieme delle notizie che riguardano sia la rottura dell'oleodotto – considerate le analogie con un altro episodio verificatosi circa un anno fa in agro di Bernalda (Matera) – che l'attività di smaltimento dei reflui delle lavorazioni petrolifere svolte dalla società Tecnoparco, che opera in un'area dove è presente un centro abitato;
   sulla concentrazione di radioattività rilevata a Pisticci scalo le istituzioni locali e la regione Basilicata hanno chiesto il parere dell'Ispra e dell'Istituto superiore di sanità –:
   quali iniziative di competenza intendano adottare:
    a) per verificare la matrice dell'incidente occorso all'oleodotto Viggiano-Taranto e per mettere in atto le azioni necessarie ad assicurare che l'attività di questa infrastruttura strategica si svolga in un quadro di tutela della sicurezza dei cittadini e dell'ambiente:
    b) per verificare se la concentrazione di radioattività riscontrata nell'area di Pisticci scalo e Ferrandina ecceda i parametri previsti dalle leggi e dalle direttive europee e per mettere in atto le azioni necessarie per tutelare la salute pubblica e l'integrità dell'ambiente circostante. (5-04101)


   SEGONI, GRILLO, DAGA, ZOLEZZI, MANNINO, TERZONI, MICILLO, BUSTO, DE ROSA, SILVIA GIORDANO, BARONI, CECCONI, DALL'OSSO, DI VITA, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 settembre 2014 il dipartimento di prevenzione dell'ASL 12 di Viareggio ha ricevuto una comunicazione dell'università di Pisa — dipartimento di scienze della terra, in cui si segnalava la presenza di livelli di Tallio variabili da 1,7 a 10,1 μg/l nelle acque ad uso idropotabile dell'abitato di Valdicastello Carducci (Comune di Pietrasanta);
   la presenza di tallio è stata successivamente confermata anche dalla competente ASL e da GAIA, il gestore del servizio idrico: in base a tale riscontro, il sindaco stabiliva la non potabilità dell'acqua nella sola frazione di Val di Castello;
   il Tallio è stato preso in considerazione come metallo potenzialmente tossico dall'EPA (Agenzia statunitense per la protezione ambientale) che prevede un limite massimo di presenza nell'acqua potabile di 2 microgrammi per litro;
   già nel 2011 si erano riscontrati sforamenti dei limiti nello stesso comune, ed esattamente il 23 agosto e il 28 settembre. Dal momento che il tallio non rientra tra i parametri da ricercare per valutare i parametri di qualità e conformità dell'acqua per il consumo umano previsti dalla normativa vigente (decreto legislativo 31 del 2001), esso non viene ricercato routinariamente;
   nella tabella 1 allegata al decreto ministeriale Ambiente n. 471 del 25 ottobre 1999 relativo alla bonifica dei siti inquinati si fissa il limite di tallio nei suoli in 1 mg/Kg –1 per i siti ad uso residenziale, e il limite di 2 microgrammi/litro per le acque sotterranee. Non risultano agli interroganti valori limite fissati per l'acqua potabile;
   in base ad una relazione dell'ASL competente il decreto legislativo 31 del 2001 non include il tallio tra i parametri da ricercare al fine della valutazione della qualità ed idoneità dell'acqua destinata al consumo umano, né rientra tra i parametri espressamente indicati nello stesso decreto legislativo, che disciplina la qualità delle acque distribuite per uso umano, né tantomeno è trattato dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS o WHO) nelle sue linee guida sulla qualità dell'acqua potabile;
   da fonti di stampa si apprende che il 5 novembre 2014 la presenza di tallio è stata riscontrata anche nel centro del comune di Pietrasanta, con ampio superamento dei limiti di 2 microgrammi/litro, e due giorni dopo GAIA SpA ha rilevato il superamento dei limiti previsti per le acque sotterranee in altre zone della città –:
   se intenda attivarsi, con quali strumenti e in quali tempi, per stabilire un limite per il tallio, per quanto concerne le acque potabili, aggiungerlo tra i parametri da ricercare per valutare la potabilità dell'acqua e introdurre i criteri di monitoraggio di questo elemento. (5-04107)


   CARLONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Santobono Pausilipon comprende tre ospedali ed è l'unico polo Pediatrico di III livello della regione Campania e del Sud Italia e si articola in tre presidi ospedalieri: ospedale Santobono (polo delle emergenze complesse e dell'alta specialità pediatrica), ospedale Pausilipon (polo unico per le patologie oncologiche dell'età pediatrica) e l'ospedale SS. Annunziata (polo dell'assistenza riabilitativa, neuropsichiatrica);
   in queste settimane, questo assetto, appena consolidato, è stato rimesso in discussione con la stesura del nuovo piano ospedaliero ove si paventa la possibilità di una riattribuzione dell'edificio dell'ospedale SS. Annunziata all'ASL Na 1 per collocarvi attività ambulatoriali territoriali;
   l'ospedale SS. Annunziata è stato annesso a quest'azienda nel luglio 2011 poiché la regione ha ritenuto di ridimensionare i presidi ospedalieri dell'ASL NA 1, anche al fine di ridurre il debito, creando nel contempo un polo unico pediatrico con ampliamento dell'offerta assistenziale riabilitativa ospedaliera e cure palliative, come da decreto commissariale n. 49/2010;
   l'ospedale SS. Annunziata era uno dei presidi più improduttivi della ASL NA 1 con una produttività pari al 35 per cento, attualmente si sta compiendo un lavoro di riconversione e di ampliamento dell'offerta assistenziale, secondo i più innovativi modelli organizzativi degli ospedali pediatrici (si veda l'ospedale Bambin Gesù di Roma che ha organizzato l'assistenza su tre Poli, ospedale per acuti, ospedale per attività diurne, ospedale per riabilitazione), che è ancora in fase di completamento ad ha consentito in pochi anni di aumentare la produttività del presidio dal 35 per cento al 57 per cento;
   questa eventualità renderebbe impossibile per l'azienda Santobono continuare nell'attivazione di alcune importantissime funzioni quali:
    riabilitazione pediatrica ospedaliera con ricovero: fino a pochi mesi fa, non esisteva un’ offerta assistenziale ospedaliera riabilitativa pediatrica in Campania ed il 100 per cento dei bambini migravano fuori regione, con un costo per la regione Campania di circa tre milioni di euro l'anno; ora vengono curati all'Annunziata in un reparto dedicato (cod.56) e con apparecchiature di robotica di ultima generazione (lokomat ed armeo);
    è anche in corso un ampliamento dell'offerta riabilitativa in seguito all'assegnazione di risorse per la realizzazione degli obiettivi del piano sanitario nazionale sulla riabilitazione pediatrica — 2 milioni di euro – (con acquisto di altre attrezzature di robotica, ristrutturazione di locali ed arruolamento di personale con contratti a tempo determinato) che è già in fase avanzata di attuazione;
    neuropsichiatria infantile: bambini ed adolescenti con problemi neuropsichiatrici acuti, non trovano ad oggi risposta in regione perché mancano i posti letto pediatrici per acuti che possono essere attivati solo presso la nostra azienda e troverebbero idonea collocazione presso il presidio SS. Annunziata;
   l'eventuale passaggio dell'Annunziata all'ASL NA 1 comporterebbe notevolissime difficoltà amministrative oltreché un oneroso contenzioso, atteso che dopo tre anni di riassetto amministrativo, sono state indette ed assegnate numerose gare per servizi dei tre presidi (pulizia, manutenzione, guardiania, pasti, trasporti);
   per le criticità sopraesposte è, quindi, necessario lasciare assegnato all'azienda Santobono il presidio dell'Annunziata nonché prevedere non solo l'ampliamento presso il P.O. SS. Annunziata di 20 posti di riabilitazione pediatrica COD. 56, da aggiungersi ai 4 già attivi da oltre 1 anno e previsti nel, decreto 49/2010 e che sono già ampiamente insufficienti ma anche l'assegnazione all'azienda Santobono di 4 posti di degenza per neuropsichiatria infantile per ricoveri degli acuti nonché affidare, anche in collaborazione con i policlinici, alcuni trapianti pediatrici, in particolare il trapianto pediatrico di rene, per il quale migrano fuori regione il cento per cento dei bambini campani, pur essendo ampiamente disponibili le competenze per evitarlo attraverso l'attivazione di dipartimenti interaziendali –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopraesposti e se, per quanto di competenza e anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, non ritenga opportuno assumere iniziative sia al fine di garantire adeguati livelli di assistenza sanitaria, tutelando così il diritto alla salute come sancito dall'articolo 32 della Costituzione, sia al fine di salvaguardare una allocazione delle risorse economiche appropriata e priva di sprechi.
(5-04110)


   SILVIA GIORDANO, DI VITA, GRILLO, MANTERO, LOREFICE, BARONI, DALL'OSSO, CECCONI, COLONNESE e RUOCCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   16 ottobre 2014 l'Agenzia italiana del farmaco con il comunicato stampa n. 393, ha informato che nelle date del 26 settembre 2014 e 6 ottobre 2014, ha emesso i provvedimenti di ritiro del vaccino Meningitec, sospensione iniettabile in siringa preriempita AIC 035438062 della ditta Nuron Biotec. L'AIFA riferisce che «tale provvedimento è stato necessario, poiché la ditta Nuron Biotec ha segnalato la presenza di corpo estraneo color arancio rossastro identificato come ossido di ferro e acciaio inossidabile all'interno delle fiale del vaccino dei seguenti lotti G76673 scad. 09/2014; H20500 scad. 11/2014; H45452 scad. 02/2015; H45457 scad. 02/2015; H92709 scad. 02/2015; J55457 scad. 09/2016; J70483 scad. 09/2016; H99459 scad. 06/2015; H52269 scad. 06/2015; J01106; J01114». L'Aifa, inoltre, dispone che, nelle more del ritiro, i lotti non potranno essere utilizzati;
   dal 21 al 23 ottobre 2014, l'AIFA riunisce la commissione tecnico scientifica, al fine di analizzare i dati sulla sicurezza effettuata dall'ufficio di farmacovigilanza sulle segnalazioni di reazioni avverse riportate nella rete nazionale di farmacovigilanza, per i lotti ritirati di vaccino Meningitec e la documentazione fornita dall'azienda produttrice;
   la commissione tecnico scientifica ha dichiarato che «dai dati non emerge nessun segnale di sicurezza, né sono dimostrate reazioni avverse particolari ricollegabili allo specifico difetto di qualità che ha portato al ritiro cautelativo dei lotti in Italia»;
   secondo un articolo apparso il 17 ottobre 2014 sul sito www.iltempo.it, i genitori dei bambini che hanno ricevuto la somministrazione dei vaccini ritirati dal mercato non hanno ricevuto nessuna comunicazione da parte delle Asl sui rischi e sugli effetti del farmaco contaminato; le aziende sanitarie si sono limitate ad avvisare i genitori dei bambini, ai quali il vaccino contro la meningite era stato già iniettato, che il richiamo per la seconda dose risulta «indisponibile», senza ulteriori spiegazioni;
   secondo un articolo apparso sul sito www.autismovaccini.org, più di trenta famiglie, gran parte della regione Lazio, hanno avviato una causa giudiziaria poiché hanno accertato, dal numero del lotto apposto sul libretto sanitario dei propri figli, che questi ultimi hanno ricevuto la somministrazione dei lotti incriminati, anche in data successiva a quella del ritiro ufficiale;
   tenuto conto che le analisi effettuate dagli uffici dalla farmacovigilanza considerano solo gli effetti che si verificano al momento della somministrazione del vaccino e non sono stati approfonditi gli eventuali effetti dannosi che potrebbero verificarsi a distanza di tempo sottoponendo i bambini interessati a specifici test –:
   se sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   se possa confermare la circostanza che i lotti dei vaccini contaminati descritti in premessa siano stati, o meno, somministrati da parte di aziende sanitarie locali e quali;
   se abbia intrapreso azioni di monitoraggio al fine di verificare il numero di bambini a cui sono stati somministrati i lotti esposti in premessa, la quantità di metalli presenti nell'organismo dei soggetti vaccinati e l'eventuale insorgenza di danni lungolatenti;
   se intenda assumere iniziative affinché siano informati in modo esauriente e dettagliato i genitori dei bambini a cui sono stati somministrati i lotti di vaccino Meningitec contaminati da ossido di ferro e acciaio inossidabile;
   se sia al corrente di azioni intraprese a livello europeo dall'EMA in relazione ai lotti di vaccino di cui in premessa descritti e sull'eventuale attività di coordinamento e di scambio di informazioni intervenute in merito tra l'Agenzia europea e l'AIFA;
   se possa disegnare la mappa dei Paesi europei in cui detti lotti di vaccino siano stati distribuiti, dove siano già stati ritirati, e dove se ne attenda ancora il ritiro;
   se e quali eventuali profili di responsabilità ritenga possano ascriversi in capo all'EMA nella vicenda in premessa descritta;
   se e quali azioni il Ministero della salute o l'AIFA abbiano intrapreso affinché le aziende sanitarie locali fossero informate della contaminazione del vaccino Meningitec e se possa indicare il soggetto responsabile di tale procedimento. (5-04112)


   POLVERINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 13 ottobre 2014 l'Aifa con nota ufficiale pubblicata sul suo sito internet istituzionale, comunicava il «ritiro cautelativo» di alcuni lotti del vaccino Meningitec (Sospensione iniettabile in siringa pre-riempita AIC 035438062) della ditta Nuron Biotec in quanto segnalava presenza di «corpo estraneo color arancio rossastro identificato come ossido di ferro e acciaio inossidabile nelle fiale del vaccino»;
   in particolare, i lotti ritirati, allo stato attuale, risultano essere i seguenti:
    G76673 scad. 09/2014;
    H20500 scad. 11/2014;
    H45452 scad. 02/2015;
    H45457 scad. 02/2015;
    H92709 scad. 02/2015;
    J55457 scad. 09/2016;
    J70483 scad. 09/2016;
    H99459 scad. 06/2015;
    H52269 scad. 06/2015;
    J01106;
    J01114;
   una successiva riunione della Commissione tecnico scientifica dell'Aifa del 21/23 ottobre 2014 riteneva non emergessero «segnali di sicurezza ne dimostrazioni di reazioni avverse particolari allo specifico difetto di qualità» che aveva portato al ritiro cautelativo dei lotti in Italia e tuttavia detta valutazione si basava sulle «evidenze disponibili» non entrando nel merito degli effetti e dei danni lungo latenti e precisando, peraltro, che le eventuali reazioni avverse non sarebbero state comunque distinguibili da quelle usuali;
   i dovuti controlli sono stati affidati alla stessa casa farmaceutica produttrice evidenziando ad avviso dell'interrogante possibili «conflitti di interesse», essendoci coincidenza tra «soggetto controllore» e «soggetto controllato»;
   il provvedimento di ritiro suddetto era stato emesso dall'Aifa nei giorni 26 settembre 2014 e 6 ottobre 2014, ma comunicato all'utenza con gravissimo ritardo;
   vista la mancanza di controlli effettuati da organi terzi, allo stato attuale non è ancora possibile conoscere la reale natura e l'entità della contaminazione;
   ad oggi non è possibile escludere la possibilità che i bambini vaccinati con i lotti contaminati possano aver ricevuto un danno che possa presentarsi solo in futuro, visto che la quasi totalità dei danni sono di tipo lungo latente, correlandosi a problematiche neurologiche, immunitarie, autoimmuni e altro che possono rimanere silenti per giorni, mesi e persino anni;
   non tutte le ASL si sono attivate per informare l'utenza circa l'avvenuto ritiro del vaccino ed in particolare questo non sarebbe avvenuto nel caso della Asl RMF. Infatti, la quasi totalità dei soggetti vaccinati nei mesi scorsi con i predetti lotti di Meningitec non è stata ancora informata sull'accaduto né tantomeno è stato predisposto un protocollo di monitoraggio dello stato di salute dei bambini vaccinati;
   né il Ministero, né l'AIFA, a quanto è dato sapere, hanno ritenuto opportuno sinora verificare la natura e l'entità della contaminazione, quanti e quali lotti siano stati effettivamente contaminati e dove tali dosi siano state precisamente distribuite e soprattutto i nominativi dei bambini ai quali detti lotti siano stati somministrati;
   già in passato, in più casi, sono stati sottoposti a ritiro altri prodotti vaccinali, come ad esempio è accaduto, nell'ottobre 2012, per alcuni lotti di vaccino esavalente Infanrix Hexa, in ben 19 Paesi, per «rischio di contaminazione batterica pericolosa». Questo evidenzia come ci siano state e continuino ad esserci gravissime ed imperdonabili carenze in ordine ai protocolli di sicurezza sui vaccini nonostante vengano dichiarati come prodotti assolutamente sicuri e monitorati –:
   se non ritenga opportuno programmare accertamenti in grado di verificare l'entità della contaminazione e la possibilità che altri lotti, non ancora ritirati, siano stati esposti agli stessi rischi di contaminazione e fare in modo che gli esiti dei predetti controlli vengano resi pubblici e soprattutto eseguiti da organi terzi e non direttamente coinvolti;
   se intenda esaminare e comunicare presso quali aziende sanitarie locali i lotti vaccinali siano stati distribuiti e quante dosi di detti lotti siano state realmente somministrate ai bambini, comunicando anche e specialmente ai genitori interessati i nominativi dei soggetti interessati;
   se non ritenga giusto verificare e comunicare se e quante dosi del vaccino siano state somministrate in seguito al ritiro dei lotti ed i motivi che hanno reso possibile tale errore;
   quali iniziative il Ministro intenda adottare per predisporre ed intensificare protocolli di controllo e sicurezza prima che i prodotti escano dalla casa farmaceutica per evitare che situazioni come quella in questione possano ripetersi;
   se non consideri urgente e opportuno che venga predisposto un protocollo di monitoraggio della salute dei soggetti vaccinati con i suddetti lotti in modo da prevedere una serie di controlli ematochimici fissati con l'ausilio di medici pediatrici e specialisti in materia. (5-04113)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZANIN, TERROSI, PRINA, TARICCO, ROMANINI e COVA. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la coltivazione della canapa ad uso industriale, come noto, sta tornando nuovamente ad interessare il mondo economico e produttivo del nostro paese ed in particolare il mondo agricolo;
   in tutto il Paese si stanno muovendo investitori italiani e stranieri per valutare le capacità produttive delle campagne e si sta cercando di comprendere come reimpiantare una filiera fortemente penalizzata dallo storico abbandono della coltura, con conseguente deindustrializzazione del processo di trasformazione della canapa, a motivo dell'errato convincimento di molti che la pianta di canapa industriale sia uguale alla pianta di canapa utilizzata per fini illeciti;
   le cultivar di canapa ammesse ed utilizzate nell'ambito dell'Unione europea devono avere un livello di principio attivo (THC), pari o inferiore allo 0,2 per cento. Considerando che il livello di thc per ottenere un effetto psicotropo deve essere almeno del 4 per cento, siamo ben al di sotto di un livello di prudenziale sicurezza. I capisaldi della normativa vigente in materia sia a livello internazionale, comunitario e nazionale sono:
    la legge 5 giugno 1974, n. 412 di ratifica ed esecuzione della convenzione unica sugli stupefacenti, adottata a New York il 30 marzo 1961 e del protocollo di emendamento, adottato a Ginevra il 25 marzo 1972 (Gazzetta Ufficiale n. 236 del 10 settembre 1974) che all'articolo 28 comma 2 stabilisce che: «La presente convenzione non verrà applicata alla coltivazione della pianta di cannabis fatta a scopi esclusivamente industriali (fibre e semi) o di orticoltura, si stabilisce una chiara e netta distinzione tra piante da droga e non da droga»;
   il TFUE (Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) che nell'allegato I elenca alla lettera a) i prodotti agricoli cui si applicano le disposizioni del medesimo Trattato, tra cui la canapa greggia, macerata, stigliata, pettinata o altrimenti preparata, ma non filata;
   il medesimo allegato I del Trattato, alla lettera b), elenca i prodotti alimentari definendo i medesimi come «i prodotti di cui all'articolo 2 del regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002»;
    più specificamente, l'articolo 2 del regolamento (CE) n. 178/2002 definisce alimento (o prodotto alimentare, o derrata alimentare) qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito, da esseri umani. Dunque non solo la pianta da industria non può essere considerata nel novero delle sostanze stupefacenti, ma è considerata a buon titolo un prodotto agricolo, essendo per altro iscritte le varietà di canapa ammesse alla coltivazione negli appositi registri della comunità europea, ma anche un prodotto di cui si possa prevedere ragionevolmente che possa essere ingerito da esseri umani, quindi un prodotto alimentare;
    sul piano nazionale anche l'articolo 26 decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (testo unico Stupefacenti) così come recentemente modificato dalla legge di conversione n. 79/2014, all'ultimo comma stabilisce l'illiceità della coltivazione di cannabis «ad eccezione della canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali, diversi da quelli di cui all'articolo 27, consentiti dalla normativa dell'Unione europea»;
   dal combinato disposto della normativa internazionale e comunitaria sin qui citata, si evince chiaramente che la canapa ad uso industriale da un lato non è una sostanza stupefacente, dall'altro è destinata alla produzione non solo di fibre ma anche di prodotti agricoli ed alimentari;
   è dunque fondamentale definire che cosa si possa intendere per prodotti che ragionevolmente possono essere ingeriti. Al riguardo, per ottenere una chiave interpretativa valida a livello giuridico, non si può che rinviare ai numerosi studi medico-scientifici che nel corso degli anni sono stati condotti sugli effetti dei prodotti a base di canapa destinati all'alimentazione umana;
   in particolare, per restare sul piano nazionale, l'Istituto superiore di sanità ha emanato in data 16 luglio 2008 il parere prot. 66527/CNQARA/All. 22 in risposta al foglio n. 18652-P del 12 dicembre 2007 in cui veniva affrontato proprio il tema della presenza del thc negli alimenti a base di canapa. Tale parere contiene riferimenti a vari studi condotti in materia da altri Paesi per ritenere che «da un punto di vista strettamente farmacologico i valori trovati non sono ritenuti idonei a provocare effetti stupefacenti e/o psicotropi»;
   sulla scorta dei consumi giornalieri forniti dall'EFSA rielaborati con i dati dell'INRAN (Concise european food consumption database in exposure assesment) del marzo 2008, l'Istituto aveva anche elaborato delle indicazioni circa i limiti massimi di thc per i singoli alimenti a base di canapa;
   stando inoltre alla definizione contenuta nel decreto legislativo 24 marzo 2011, n. 50 che modifica l'articolo n. 70 della legge 309 del 1990 è difficile anche poter considerare la pianta di canapa un precursore di droghe:

  «Art. 70 – (Precursori di droghe). – 1. Ai fini del presente articolo si intende per:
    a) sostanze suscettibili di impiego per la produzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, di seguito denominate «sostanze classificate o precursori di droghe»: tutte le sostanze individuate e classificate nelle categorie 1, 2 e 3 dell'allegato I al regolamento (CE) n. 273 del 2004 e dell'allegato al regolamento (CE) n. 111 del 2005, compresi miscele e prodotti naturali contenenti tali sostanze. Sono esclusi medicinali, preparati farmaceutici, miscele, prodotti naturali e altri preparati contenenti sostanze classificate, composti in modo tale da non poter essere facilmente utilizzati o estratti con mezzi di facile applicazione o economici»;
   pertanto, stante i limiti quantitativi di THC contenuto nelle piante di canapa industriale, perché dall'estrazione del principio attivo si possa produrre un effetto intossicante per l'uomo sarebbe necessario procurarsi un'elevatissima quantità di materiale vegetale, difficilmente reperibile sul mercato, sottoporre la stessa ad un trattamento industriale che renderebbe antieconomico e assolutamente non percorribile il fine illecito per tramite della canapa industriale;
   la problematica principale che gli operatori del settore si trovano ad affrontare è rappresentata dall'assenza di una legislazione nazionale specifica in materia di canapa industriale che determini con certezza i limiti entro cui è possibile operare, evitando così le differenze applicative che si verificano nella prassi abituale quantomeno a livello di controlli;
   questa situazione di vuoto normativo determina un'ingiustificata ed ingiustificabile disparità di trattamento non solo di fatto tra gli agricoltori di zone diverse dell'Italia ma anche, e soprattutto, tra gli operatori italiani rispetto alle realtà presenti in altri Paesi dell'Unione europea che, al contrario, godendo da tempo di una disciplina certa ed incentivante, hanno già realizzato ed affermato modelli produttivi industriali. Le conseguenze sono evidenti: non potendo far affidamento sulla presenza di precisi limiti legislativi, le imprese italiane operanti nel settore non sono poste in condizione di essere competitive sul mercato non solo nazionale ma anche internazionale al pari di quelle presenti all'interno dell'Unione europea;
   questo è il periodo in cui si decidono i piani di coltivazione e rotazione colturale per l'anno a venire, ovvero si stabilisce la produzione agricola e, di conseguenza, la possibilità o meno di far partire una filiera ed un indotto agroindustriale; che, in sostanza, è questo il momento in cui vengono effettuate le prenotazioni dei semi da coltivare, allocando importanti risorse aziendali e pianificando l'impegno economico e produttivo per l'anno a venire;
   vengono inoltre venduti in Italia da operatori italiani (principalmente attraverso il mercato elettronico) prodotti a base di canapa contenenti innocue tracce di THC, come ad esempio the e tisane ed altri preparati alimentari, la cui produzione avviene in paesi (Germania e Repubblica Ceca tra tutti) che hanno stabilito per legge dei limiti di THC negli alimenti. Questo non può che urtare detrimento alla capacità produttiva e competitiva sul mercato europeo di aziende agricole e commerciali italiane, che hanno i mezzi produttivi per primeggiare in termini qualitativi e quantitativi su un mercato in forte espansione ma che sono di fatto bloccate da una totale mancanza di chiarezza e di raccordo tra le varie norme;
   dallo sviluppo della filiera produttiva della canapa si potrebbero generare positive conseguenze dal punto di vista occupazionale, dal momento che numerose preparazioni alimentari prevedono l'utilizzo di manodopera, determinando un ingresso nel mercato del lavoro per periodi anche più lunghi rispetto alla stagionalità dei raccolti. Inoltre si potrebbe rendere necessario utilizzare, o attrezzare laboratori di trasformazione alimentare ad hoc, determinando un impulso al commercio dei prodotti ma anche rivitalizzando l'indotto del comparto delle forniture per laboratorio alimentare, o determinando l'occupazione di nuove figure professionali dedicate;
   in realtà i limiti di THC negli alimenti risultano già determinati dall'Istituto superiore di sanità sin dal 2008 (allegato 1), ma che poi sono inspiegabilmente rimasti «lettera morta» in quanto non riportati neppure nella circolare del Ministero della salute del 22 maggio 2009 avente ad oggetto soltanto i prodotti a base di semi di canapa, senza alcune menzione a quelli a base di infiorescenza;
   sono in corso di esame in XIII Commissione agricoltura della Camera dei deputati alcune proposte di legge che affrontano i temi fin qui esposti, ma che, a causa del protrarsi degli iter procedimentali, rischieranno di vedere la luce quando le decisioni aziendali saranno già prese, causando quindi un ritardo nell'ingresso sul mercato di prodotti agroalimentari a base di canapa industriale di produzione e qualità italiane, causando un ulteriore danno all'economia agricola italiana per la mancata possibilità di competere sui mercati europei –:
   se non si ritenga assolutamente urgente – entro fine anno 2014 – stabilire con chiarezza il limite massimo di THC presente negli alimenti prodotti con derivati della canapa industriale, prendendo come spunto i suggerimenti dell'Istituto superiore di sanità;
   se non si ravveda l'opportunità di adottare un'apposita, chiara e precisa iniziativa normativa, che riconosca che tutti i prodotti derivati dalla canapa industriale, senza distinzione tra prodotti a base di semi o a base di infiorescenze, non sono da considerarsi stupefacenti, in quanto benché contenenti tracce di THC il quantitativo di principio attivo negli stessi presente non è di misura tale da provocare effetti stupefacenti e/o psicotropi, come peraltro già affermato da anni dagli stessi ISS e Ministero della salute, consentendo, di conseguenza, l'immissione sul mercato di prodotti derivanti da canapa industriale certificata e tracciata diversi dalla fibra o dal seme. (4-06981)


   NESCI. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 novembre 2014, il consigliere comunale del Movimento 5 stelle di Corigliano Calabro (Cosenza) Francesco Sapia ha presentato un'interrogazione consiliare da cui emerge il rischio che l'Azienda sanitaria di Cosenza avrebbe continuato a somministrare un vaccino contro il meningococco sierogruppo C, nonostante sia stato ritirato dal mercato poiché contaminato. Nello specifico, il vaccino utilizzato – si legge nell'atto comunale – sarebbe il Meningitec, in sospensione iniettabile in siringa preriempita AIC 035438062;
   tale farmaco è stato ritirato lo scorso 30 settembre 2014 a causa di una contaminazione di alcuni lotti con ruggine e acciaio ossidato, dovuta a difetti nelle apparecchiature di fabbricazione;
   come denunciato da Sapia, dell'avvenuto ritiro a Corigliano dei lotti contaminati pare che l'Asp di Cosenza e le altre Autorità preposte non abbiano dato notizia, il che desta legittima preoccupazione;
   nella risposta del sindaco Giuseppe Geraci all'atto succitato, si legge che «appresa dai media la notizia dello stato di allarme per il ritiro del vaccino contro il Meningococco C da parte dell'ASP di Cosenza, immediatamente ho preso contatti ed informato la prefettura di Cosenza, tramite il Capo di Gabinetto dott.ssa Greco e successivamente [...] ho investito del caso direttamente S.E. il prefetto e l'Ill.mo Procuratore della Repubblica di Castrovillari»;
   stando a quanto si legge su Il Quotidiano della Calabria del 20 novembre 2014, «se a Catanzaro la Procura della Repubblica si è già mossa ad ottobre, spedendo gli ispettori della sezione di Polizia giudiziaria del Nisa a sequestrare centinaia di fiale sospette, che si trovavano nella disponibilità di Asp, farmacie e altre strutture sanitarie abilitate a somministrare il medicinale in questione sul territorio, nel cosentino c’è ancora chi reclama analoga iniziativa da parte dell'autorità giudiziaria competente»;
   gli interroganti ritengono che, al di là di un fascicolo aperto contro ignoti dal sostituto procuratore della Repubblica di Catanzaro, Paolo Petrolo, per il reato di «commercio o somministrazione di medicinali guasti o imperfetti», si debbano attivare tutte le Autorità di competenza;
   l'Agenzia italiana del farmaco ha provveduto a ritirare prontamente il farmaco dal mercato, sulla scia di una segnalazione ricevuta dallo stesso produttore Nuron Biotec BV, «senza però – si legge ancora nel summenzionato articolo – fornire spiegazioni neanche ai sanitari preposti a somministrare il vaccino» e senza «specificare i rischi e gli effetti che tale contaminazione potrebbe avere sui pazienti ai quali è stata somministrata la prima dose, neonati compresi, tra gennaio 2013 e settembre 2014»;
   la questione, peraltro, riguarderebbe non solo il singolo caso di Corigliano Calabro, ma sarebbe molto più estesa e critica. Secondo quanto si legge nell'articolo di Cinzia Marchegiani pubblicato su L'Osservatorio d'Italia, «più di trenta famiglie, in gran parte della regione Lazio, si sono rivolte all'avvocato Roberto Mastalia, chiedendo di essere tutelate legalmente poiché hanno accertato, dal numero del lotto apposto sul libretto sanitario dei propri figli (che deve essere obbligatorio per legge) che i propri figli hanno ricevuto la somministrazione dei lotti incriminati ed alcuni di essi addirittura l'inoculo è avvenuto in data successiva a quella del ritiro ufficiale»;
   nell'articolo si sottolinea ancora che gli avvocati hanno inoltrato importanti considerazioni non solo all'Aifa, ma anche al Ministero della salute e all’European medicines agency, «contestando le modalità di trasparenza e rassicurazioni esercitate nei confronti in questo caso di malasanità». Nello specifico i legali contestano che i bambini delle famiglie ricorrenti sono stati vaccinati con i suddetti lotti anche dopo il ritiro cautelativo e inoltre «c’è un genitore che ritiene che sia stato somministrato al proprio figlio un lotto vaccinale recante una strana colorazione arancione peraltro non inserito tra quelli sottoposti a ritiro e per tale motivo ritengono necessario un ulteriore e serio approfondimento» –:
   se i Ministri interrogati non ritengano, nell'ambito delle rispettive competenze di fornire trasparenti informazioni sulla somministrazione dei lotti di cui in premessa, sul ritiro degli stessi e sui rischi per la salute;
   quali provvedimenti il Ministro della salute intenda adottare a tutela della salute dei cittadini interessati. (4-06990)


   NICCHI, MATARRELLI, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda ospedaliera San Camillo Forlanini, è una delle più importanti aziende ospedaliere di Roma;
   delle strutture dell'Azienda, fa parte l'unità operativa shock e trauma, la cui attività è volta a prendere in carico il paziente adulto critico instabile; alla gestione del traumatizzato grave; all'assistenza anestesiologica-rianimatoria per i pazienti critici, garantendo la presa in carico dei pazienti e la continuità assistenziale. Accanto a questo, svolge altresì attività di gestione del paziente vittima di trauma grave e di competenza rianimatoria, attività anestesiologica in pronto soccorso; attività anestesiologica per le camere operatorie del Dipartimento Emergenza Accettazione (DEA); gestione delle emergenze intra-ospedaliere San Camillo; attività a supporto delle altre Unità Operative del presidio ospedaliero San Camillo per quanto riguarda: assistenza anestesiologica alle procedure fuori camera operatoria, assistenza durante esami diagnostici, consulenze e terapia antalgica, e altro;
   l'unità operativa shock e trauma dell'Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini, e riconosciuta come una delle eccellenze della sanità italiana;
   negli ultimi 15 anni l'unità operativa shock e trauma, diretta dal dottor Giuseppe Nardi, è stata uno dei punti di assoluta eccellenza della nostra sanità. Una squadra di operatori conosciuta e apprezzata da tutti coloro che operano nel settore dell'Emergenza, capace di ottenere risultati clinici e scientifici di altissimo livello e che rappresenta un modello per tutti;
   per motivi burocratici, la direzione della struttura è stata assegnata ad altri e l'unità operativa shock e trauma, «fiore all'occhiello» della sanità pubblica, non compare neppure più nella proposta di nuovo alto aziendale;
   in questi giorni si stanno raccogliendo le firme di un appello indirizzato al Ministro della salute, al presidente della regione Lazio, e al Presidente del Consiglio, per chiedere che siano difese le eccellenze e per salvare l'unità operativa shock e trauma dell'azienda ospedaliera San Camillo Forlanini –:
   di quali elementi disponga, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dei disavanzi sanitari, sul caso di cui in premessa e quali risposte intenda dare, per quanto di competenza, all'appello sopra citato.
(4-06991)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAPONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 2 dicembre del 2010 presso il Ministero dello sviluppo economico, alla presenza di rappresentanti dello stesso, dei rappresentanti della British American Tobacco, delle sigle sindacali Fai Cisl, Flai Cgil, Uila Uil assistite dalle Rsu dello stabilimento di Lecce, di Roma, e della Field Force, veniva siglato un accordo secondo cui BAT Italia confermava la «necessità di procedere alla cessazione delle attività produttive di sigarette presso il sito di Lecce con migrazione di volumi produttivi verso altri siti», contestualmente manifestando la volontà «di favorire nuove iniziative imprenditoriali in loco per offrire al personale dello stabilimento di Lecce la possibilità di essere riconvocato nelle stesse che si svilupperanno nel sito o comunque nel territorio salentino»;
   alla luce di quanto affermato, e dei Piani industriali presentati in un incontro precedente svoltosi il 12 novembre 2010, secondo quanto contenuto nel verbale di accordo presso il ministero dello sviluppo economico, le parti convenivano di fa cessare a far data dal 31 dicembre 2010 le attività di lavorazione del tabacco e di produzione delle sigarette presso lo Stabilimento di Lecce. Alla stessa data avrebbero avuto inizio gli ammortizzatori sociali e/o le attività di formazione destinate alla riconversione dei lavoratori e alla loro ricollocazione presso altre aziende;
   in un comunicato stampa diffuso dal Ministero dello sviluppo economico, e datato 2 dicembre 2010, si può infatti leggere: «... si pone fine, in questo modo, alla fase di crisi societaria scaturita dalla decisione della multinazionale British American Tobacco di cessare le attività di produzione delle sigarette» e ancora: «grazie a questo risultato importanti realtà industriali e di servizi potranno insediarsi già dai prossimi mesi nel sito leccese, garantendo i livelli occupazionali e produttivi ai dipendenti della Manifettura Tabacchi e a quelli delle pmi dell'indotto. Sono quattro le società che subentreranno nell'attuale insediamento: la Iacobucci Hf Electronics, la Korus, la Call Gest, e la Hds Fm. L'accordo raggiunto consentirà di garantire un futuro produttivo e occupazionale a oltre 400 lavoratori di un'importante area del Mezzogiorno»;
   se si dovessero commisurare i toni così ottimistici della suddetta comunicazione alla parabola successivamente e in questi quattro anni vissuta dai lavoratori, si potrebbe dire che la realtà delle cose suona come un vero e proprio schiaffo ma soprattutto come un danno di dimensioni enormi ai lavoratori e al territorio salentino;
   raccontata e denunciata, prima di questo, in altri atti parlamentari, questa vicenda sembrava tuttavia mantenere una lievissima apertura di possibilità, da ultimo, per i circa 160 lavoratori di Iacobucci Mk. Con esito positivo, infatti, e dopo moltissimi nulla di fatto, pareva essersi concluso l'incontro interlocutorio con le aziende coinvolte nel Piano di riconversione svoltosi il 15 ottobre 2014. Alla luce delle decisioni assunte, a quello sarebbero seguiti altri due confronti: il 22 ottobre 2014, alle 15, sempre al Ministero dello sviluppo economico, con Ip Korus per verificare lo stato dell'arte relativamente ai lavoratori collocati in cassa integrazione e con all'attivo zero giornate di lavoro, e i progetti dell'azienda per il futuro. Successivamente, l'11 novembre 2014, l'incontro con Iacobucci per la presa d'atto dei piano industriale della stessa;
   di fatto, gli incontri calendarizzati hanno avuto tutt'altro esito da quello sperato. Come si apprende dalla stampa: «le Rsu hanno appreso dall'amministratore Filippo Piccone che i lavoratori Ip Korus rischiano il licenziamento entro dicembre. L'azienda ha annunciato di ritirarsi da Lecce senza aver mai montato un macchinario e senza aver mai ottenuto l'agibilità». Successivamente, nell'incontro svoltosi l'11 novembre 2014 con i responsabili di Iacobucci, azienda che avrebbe dovuto, vale la pena ricordarlo, operare nel settore dei complementi d'arredo per aerei, la stessa, come si apprende sempre da notizie stampa, «si è presentata al tavolo del Ministero dello sviluppo economico senza il Piano industriale richiesto venti giorni fa. Tra le mani del liquidatore Gianluca Ippoliti solo un calcolo dei costi di produzione. Nessuna certezza. Nemmeno i suoi 161, ad oggi, hanno quindi una reale prospettiva. E tra 8 mesi scadrà, per tutti, la cassa integrazione straordinaria, anticamera del licenziamento». E ancora: «Davanti alla drammaticità del caso il Ministro dello sviluppo economico ha dettato una sorta di aut aut all'azienda frusinate in liquidazione da agosto, con la riconvocazione per il 24 novembre prossimo di un altro tavolo di verifica al quale Iacobucci Mk dovrà chiarire, una volta per tutte, se e come è in grado di proseguire»;
   dinanzi a quello che appare come un vero e proprio bollettino di guerra, stridono non poco notizie e titoli stampa sui programmi di investimento in Italia proprio da parte di British American Tobacco. In una nota pubblicata il 19 maggio 2014 sul sito della Società, si legge ad esempio: «British American Tobacco investe sull'Italia. 65 milioni di euro nella filiera. Rinnovato l'impegno per l'acquisto di tabacco italiano a sostegno delle 53 mila famiglie di produttori che operano nel settore». Più specificamente British American Tobacco, secondo quanto dichiarato dal presidente e amministratore delegato BAT Italia nel corso di un incontro a Verona, «ha assicurato il rinnovo del suo impegno verso la filiera, impegnandosi nell'acquisto di 4 milioni e mezzo di kg di tabacco italiano all'anno per il triennio 2014/2016, per un volume di affari pari a circa 65 milioni di euro in tre anni»;
   in un articolo sul Sole24Ore del 3 ottobre 2014 da notizia della conferenza stampa di presentazione del «Piano quinquennale di investimenti in Italia, di oltre 1 miliardo di euro, spalmato in 5 anni, definito “serio, solido, e importante”». Il Piano viene due giorni dopo presentato nella sede di Assolombarda. Si parla di un investimento in «macchinari di produzione, trasformazione e packaging, per cui si prevedono commesse da 650 milioni di euro, da destinare poi agli impianti Bat in tutto il mondo». Infine, in un articolo del 22 ottobre 2014 pubblicato sul settimanale Panorama, si conferma la disponibilità di BAT per investimenti in Italia pari ad oltre 1 miliardo di euro. Nello stesso articolo, l'amministratore delegato di BAT Italia Marc Lundeberg afferma: «Crediamo fortemente che l'Italia sia in grado di generare per il nostro gruppo un notevole valore a livello mondiale», annunciando anche l'interesse della stessa BAT a entrare nel mercato italiano, una volta stabilita la regolamentazione, con prodotti del tabacco di nuova generazione;
   tale rilevantissima disponibilità di Bat ad investire e reinvestire in Italia non può naturalmente che essere accolta con soddisfazione. Purtuttavia tali progetti stridono alquanto non solo con quanto affermato nelle motivazioni di chiusura della sede produttiva leccese che, vale ribadirlo, al momento dello smantellamento presentava bilanci in attivo, ma anche con la evidente diaspora nella forza lavoro in attivo verso rivoli alternativi ai quali Bat Italia ha comunque assicurato risorse ingentissime finalizzate alla formazione e ricollocazione dei lavoratori –:
   se il Ministro non ritenga necessario intervenire per acclarare che fine abbiano fatto le risorse che Bat Italia ha destinato alle aziende coinvolte nell'Accordo sopra citato per ricollocare i lavoratori salentini, dato gli stessi ad oggi sono tutti collocatiu in regime di ammortizzatori sociali;
   che cosa intenda fare il Ministro interrogato alla luce di quanto sopra esposto e soprattutto dei nuovi progetti di investimento che la multinazionale Bat ha dichiarato di avere per il territorio italiano per richiamare fattivamente la stessa alle sue responsabilità nei confronti dei lavoratori salentini oggi per i quali si prospetta una riconversione che nei fatti non è mai avvenuta e nei confronti di un territorio spoliato di una rilevantissima realtà produttiva. (5-04105)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PIRAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con una recente lettera del sindaco di Villamassargia Franco Porcu, inoltrata al Presidente del Consiglio dei ministri a nome dei 23 sindaci del Sulcis Iglesiente, si rappresenta ancora una volta la condizione di violentissima crisi economica e sociale che attraversa questo territorio, considerato – cifre alla mano – fra i più poveri e depressi del Paese;
   la sola crisi del polo industriale sulcitano, nato in seguito alla fine della secolare produzione mineraria, ha prodotto negli ultimi anni la perdita di 8 mila buste paga e – a cascata – il progressivo impoverimento di tutti i comparti che da quelle buste paga traevano ampia parte del loro reddito;
   la durezza delle cifre mette in luce, meglio di ogni altra considerazione, la durezza della condizione materiale nella quale vive la comunità locale. Un dato su tutti quello della disoccupazione giovanile, nella fascia che va dai 18 ai 35 anni, che si attesta intorno al 55 per cento, descrive in estrema sintesi quanto accade, senza considerare il peso che grava sulla generazione precedente, una sacca enorme di lavoratori over 40 che hanno perso il lavoro e non trovano alternative;
   il cosiddetto  «piano Sulcis» – protocollo d'intesa fra Ministero dello sviluppo economico, regione Sardegna, enti locali ed ex provincia – rappresentava una prima inversione di tendenza che aveva generato speranze nel territorio, in particolar modo per il fatto che in esso si tracciava, oltre a una linea di intervento immediato sulla crisi, una prospettiva di sviluppo nuova e una visione unitaria ed integrata dello stesso;
   elementi centrali del «piano» erano:
    allentamento del patto di stabilità;
    risorse ai comuni per opere di riqualificazione, bonifica e messa in sicurezza del territorio e dei centri urbani;
    direttive per l'impiego delle risorse bloccate per bonifiche delle aree inquinate dalla produzione mineraria e industriale;
    opere infrastrutturali: viabilità, portualità e per lo sviluppo del sistema turistico;
    opere necessarie per lo sviluppo agricolo: irrigazione ed approvvigionamento idrico;
    fiscalità di vantaggio per le piccole e medie impresse del territorio e zona franca;
    bando 99 IDEAS, gestito da Invitalia;
    attivazione di una cabina di regia per la gestione del piano che coinvolgesse direttamente anche gli enti locali;
   allo stato attuale solamente una minima parte del piano è divenuta operativa e una delle note dolenti rappresentate dai sindaci è precisamente il ritardo attraverso il quale si sviluppano le misure previste, oltre alla sostanziale esclusione degli enti locali dalle azioni intraprese;
   Invitalia non ha più una sede in Sardegna, per cui si trova a gestire una parte del piano sopra citato in una posizione distante dal territorio;
   la distanza determinatasi fra gli impegni assunti in sede di intesa istituzionale e gli effettivi risultati conseguiti rischiano di minare ulteriormente la fiducia nelle istituzioni democratiche –:
   se il Ministro ritenga ancora valido il protocollo d'intesa a suo tempo sottoscritto, denominato «piano Sulcis», ed i provvedimenti in esso contenuti;
   se non ritenga, a fronte delle gravissime condizioni in cui versa il territorio, di imprimere un'accelerazione che vada nel senso della effettiva operatività del Piano;
   se non ritenga necessario costruire le condizioni per un più stabile coinvolgimento degli enti locali;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per insediare in Sardegna una sede di Invitalia che consenta – anche per quanto attiene al progetto 99 IDEAS – una gestione più direttamente collegata con il territorio. (4-06978)


   CAPARINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie di stampa sembrerebbe che il colosso euro asiatico Arcelor Mittal, in cordata con la società italiana Marcegaglia, sia interessato all'acquisizione dell'Ilva, che evidentemente è in vendita;
   il gruppo franco indiano e quello italiano hanno infatti inviato una lettera al commissario straordinario dell'Ilva, Piero Gnudi, formalizzando il loro interesse nei confronti della società, senza tuttavia dar seguito alla trattativa con la presentazione di una vera e propria offerta di acquisto;
   il gruppo Arcelor Mittal è il più grande produttore mondiale di acciaio e dispone di importanti stabilimenti in tutta Europa;
   l'eventuale acquisizione dell'Ilva da parte del gruppo Arcelor Mittal, in partecipazione con la società Marcegaglia a giudizio dell'interrogante, porrebbe queste ultime in una posizione privilegiata rispetto ad altre società che operano nel settore;
   sarebbe utile capire, ai fini di una maggiore trasparenza nel prosieguo delle trattative, se vi possa essere un intervento da parte dello Stato –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, in modo che l'eventuale acquisizione dell'Ilva da parte del gruppo Arcelor Mittal, con la probabile partecipazione della società italiana Marcegaglia, avvenga nel rispetto della normativa antitrust, a tutela della libera concorrenza di mercato, senza che risultino danneggiate dall'operazione le altre imprese che operano nel settore. (4-06986)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Binetti e altri n. 1-00483, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Adornato, D'Alia.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Mannino e Di Benedetto n. 4-06896, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Lombardi.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Zaccagnini n. 5-04097, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Duranti, Melilla, Palazzotto, Pannarale, Fratoianni, Scotto, Ricciatti, Ferrara, Costantino, Nicchi, Kronbichler».

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Binetti n. 1-00483, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 239 del 4 giugno 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    in data 2 luglio 2014 la Camera dei Deputati ha approvato a grandissima maggioranza una mozione unitaria che aveva come oggetto la tutela della libertà religiosa: la mozione impegnava il governo su vari fronti e in particolare vale la pena ricordarne alcuni, anche perché nel tempo sono andati moltiplicandosi gli episodi di intolleranza con grave pregiudizio non solo per la libertà, ma anche per la vita delle persone. La mozione sollecitava il governo a denunciare ogni forma di persecuzione nei confronti delle minoranze religiose, in particolare quelle cristiane, nei contesti in cui sono maggiormente vulnerabili; a promuovere misure di prevenzione dell'intolleranza e di sostegno alle iniziative di promozione del dialogo interreligioso; a rafforzare le politiche per la cooperazione internazionale, specialmente nei Paesi in cui le minoranze religiose, in particolare, quelle cristiane sono pesantemente discriminate; ad adottare le opportune iniziative, anche in sede ONU, in materia di libertà religiosa, per monitorare gli episodi di persecuzione religiosa, impegnando i diversi Stati ad intervenire tempestivamente nella prevenzione dell'intolleranza e del fanatismo religioso; ad assumere iniziative presso il Governo del Pakistan per rafforzare il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e, in particolare, del diritto di libertà religiosa; infine ad assumere iniziative a sostegno delle minoranze religiose con particolare attenzione all'educazione;
    le persecuzioni contro i cristiani sono cresciute in modo esponenziale nella attuale situazione in Iraq e in altri Paesi del Medio Oriente dove il sedicente «Califfato» islamico marchia con una N come Nazareni le case dei cristiani, costretti a fuggire in massa. La lettera N da marchio d'infamia è diventata simbolo di una battaglia di libertà religiosa. Un marchio della vergogna non per chi lo subisce ma per gli jihadisti che lo impongono, come è avvenuto sulle case dei cristiani a Mosul: N come Nazareno, cioè cristiano;
    fino al 1990, anno della Prima Guerra del Golfo, i cristiani in Iraq erano circa 600.000, il 3,2 per cento della popolazione, stimata in 18 milioni. Con gli anni dell'embargo (1990-2003) inizia il calo: sono circa 554.000 nel 2003, così ripartiti: 370.000 caldei; 100.000 siriaci cattolici e ortodossi; 50.000 assiri; 20.000 armeni; 10.000 protestanti; 4.000 latini. Nel 2003, con l'occupazione dell'Iraq e l'inizio degli attentati contro chiese e clero, si accelerano l'esodo verso Nord e l'emigrazione all'estero. Nel 2010 i cristiani sono stimati attorno ai 400.000. Con l'occupazione di Mosul e di parte della Piana di Ninive, la presenza cristiana è a rischio estinzione. Oggi i cristiani sono stimati attorno ai 250.000, meno dell'1 per cento della popolazione;
    «la difesa della libertà religiosa è la cartina di tornasole per verificare il rispetto di tutti gli altri diritti umani in un Paese». Così disse Giovanni Paolo II nell'ottobre del 2003 ai partecipanti all'assemblea parlamentare dell'Osce. Se in un Paese la libertà religiosa non è rispettata, difficilmente lo saranno gli altri diritti umani; in quella, come in molte altre occasioni, Papa Wojtyla sottolineò «la dimensione internazionale del diritto alla libertà di religione e la sua importanza per la sicurezza e la stabilità della comunità delle nazioni», incoraggiandone la difesa e la promozione da parte dei singoli Stati e di altri organismi internazionali;
    oggi circa il 74 per cento della popolazione mondiale – quasi 5,3 miliardi di persone – vive in Paesi in cui la libertà religiosa è soggetta a più o meno gravi violazioni e limitazioni, che si traducono spesso in vere e proprie persecuzioni religiose. Recenti studi dimostrano che circa i tre quarti dei casi di persecuzioni religiose nel mondo riguardano i cristiani. Sono almeno 500 milioni i cristiani che vivono in Paesi in cui subiscono persecuzione, mentre altri 208 milioni vivono in Paesi in cui sono discriminati a causa del proprio credo;
    anche il numero di cristiani uccisi ogni anno in ragione della propria fede è tristemente elevato. Le stime variano da 100 mila a poche migliaia. Non è tuttavia rilevante sapere se vi è un cristiano ucciso in odio alla fede ogni cinque minuti, oppure ogni giorno. È comunque troppo;
    tra i colpevoli di discriminazioni e persecuzioni ai danni di gruppi religiosi vi sono numerosi governi. «La libertà religiosa è qualcosa che non tutti i paesi hanno – ha ricordato Papa Francesco rientrando dal suo viaggio in Terra Santa – Alcuni esercitano un controllo, altri prendono misure che finiscono in una vera persecuzione. Ci sono martiri oggi, martiri cristiani, cattolici e non cattolici. In alcuni posti non puoi portare un crocifisso, avere una Bibbia, o insegnare il catechismo ai bambini. E io credo che in questo tempo ci siano più martiri che nei primi tempi della Chiesa»;
    in Corea del Nord la libertà religiosa è completamente negata. Il governo controlla le attività religiose e chiunque partecipi ad attività religiose non autorizzate è arrestato e soggetto a torture o perfino esecuzioni. Migliaia di nordcoreani sono internati nei campi di lavoro per motivi religiosi – almeno 15 mila su un totale di 150 mila prigionieri – e se rifiutano di rinunciare alla loro fede, subiscono abusi perfino peggiori di quelli cui sono soggetti gli altri detenuti. Molto simile la situazione dell'Eritrea, nota non a caso come la Corea del Nord d'Africa, dove si contano dai 2 mila ai 3 mila prigionieri di coscienza arrestati a causa del loro credo religioso. Prigionieri che subiscono atroci torture e sono costretti a vivere in condizioni disumane;
    in Cina il controllo dello Stato sulle attività religiose è andato tristemente aumentando negli ultimi anni, così come il numero degli arresti di cristiani, buddisti e musulmani e la distruzione di edifici religiosi. Recentemente nella provincia di Zhejang oltre sessanta chiese sono state demolite o danneggiate. La Costituzione riconosce sulla carta la libertà di religione, ma autorizza le sole attività religiose «normali», senza tuttavia fornirne alcuna definizione. Chiunque partecipi a riunioni o manifestazioni religiose non «autorizzate» è arrestato e può subire torture e abusi. Stessa sorte è toccata ai numerosi cattolici che, per fedeltà al Papa, hanno rifiutato di aderire all'Associazione Patriottica Cattolica Cinese;
    lo stretto controllo governativo limita in modo rilevante la libertà religiosa anche in altri Paesi asiatici, quali Laos, Vietnam, Malesia, Kazakhistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Vietnam;
    uno dei Paesi in cui la libertà religiosa è meno tutelata è senza dubbio il Pakistan. – Qui lo strumento d'elezione per la discriminazione e la persecuzione delle minoranze religiose è la cosiddetta legge anti-blasfemia – corrispondente ad alcuni articoli del codice penale pachistano – che punisce con la pena di morte chi insulta il profeta Maometto e con il carcere a vita chi profana il Corano. In Pakistan sono detenute 36 delle 43 persone arrestate con l'accusa di blasfemia in tutto il mondo. 17 di queste sono state condannate alla pena capitale, mentre le altre stanno scontando una pena detentiva a vita. Senza contare le migliaia di omicidi extra-giudiziali compiuti a causa di tale norma;
    anche se tra gli accusati non mancano appartenenti alla maggioranza musulmana, i dati dimostrano come la legge – che non prevede l'onere della prova per chi accusa e si presta dunque facilmente ad un uso improprio – è soprattutto utilizzata per colpire le minoranze religiose. Nel 2013 su 32 casi registrati, 12 hanno riguardato imputati cristiani: si tratta del 40 per cento delle denunce, in un Paese in cui la minoranza cristiana rappresenta appena il 2 per cento della popolazione;
    un'altra piaga che colpisce le minoranze religiose del Pakistan è il rapimento e la conversione forzata all'Islam di adolescenti e bambine. Secondo i dati ufficiali, ogni anno circa 750 giovani cristiane e 250 indù sarebbero rapite e obbligate a convertirsi per contrarre matrimonio islamico. Ma dal momento che la percentuale dei crimini riportati è minima, si ritiene che i casi siano almeno il doppio;
    in questi giorni il caso di Meriam Yahya Ibrahim Ishaq, la donna sudanese condannata a morte per apostasia, ha portato all'attenzione internazionale il dramma in atto nei Paesi in cui è vietato convertirsi dall'Islam ad altra religione. In 21 Paesi il reato di apostasia è regolato dal codice penale e alcuni di questi, tra cui Iran, Sudan, Arabia Saudita, Egitto, Somalia, Afghanistan, Qatar, Yemen, Pakistan e Mauritania contemplano la pena di morte per questo tipo di reato;
    gravi sono le violazioni alla libertà religiosa nei Paesi in cui la legge islamica è fonte di diritto, sia che questa venga applicata a tutti i cittadini – come ad esempio in Sudan – sia che sia fatta distinzione tra musulmani e non musulmani. In 17 dei 49 Paesi a maggioranza islamica, l'Islam è riconosciuto come religione di Stato. Un primato sancito dalla costituzione che implica molteplici conseguenze: dall'esclusione delle minoranze dalla pratica religiosa – è questo il caso dell'Arabia Saudita – fino a forme di tolleranza vincolate a rigidi controlli delle attività religiose;
    in Medio Oriente, in seguito alla cosiddetta Primavera araba, abbiamo assistito ad un aumento della pressione di gruppi fondamentalisti ed una crescente ostilità nei confronti della minoranza cristiana. In Egitto nel solo 2013 sono stati distrutti o danneggiati oltre 200 tra chiese, edifici religiosi e attività gestite da cristiani; in alcune aree di diversi Paesi del mondo arabo – tra cui Egitto, Iraq e Siria – gli estremisti pretendono dai cristiani il pagamento della jizya, la tassa imposta ai non musulmani durante l'impero ottomano;
    la radicalizzazione dei gruppi fondamentalisti ha contribuito ad alimentare il massiccio esodo di cristiani dal Medio Oriente. Se appena un secolo fa essi rappresentavano circa il 20 per cento della popolazione mediorientale, oggi raggiungono a stento il 4 per cento. Tra i fattori che spingono i cristiani ad abbandonare il proprio Paese vi è la concezione, tradizionalmente diffusa nelle società islamiche, che i non musulmani siano cittadini di seconda classe. Tale concezione non di rado porta a gravi discriminazioni in ambito scolastico e lavorativo e perfino a disparità nell'applicazione della giustizia;
    uno dei Paesi simbolo delle difficoltà cristiane nell'area è senza dubbio l'Iraq, che negli ultimi 25 anni ha visto diminuire la propria comunità cristiana da un milione e mezzo di fedeli a poco più di 300 mila;
    anche in molte aree dell'Africa la pressione dei gruppi fondamentalisti islamici è andata fortemente aumentando, con gravi conseguenze per la popolazione locale e in particolar modo per i non musulmani. Caso emblematico è quello della Nigeria, dove dal 2009 ad oggi si sono intensificati gli attacchi della setta islamica Boko Haram. – Nel Nord a maggioranza islamica i fondamentalisti hanno distrutto o danneggiato centinaia di chiese e ucciso migliaia di persone, oltre 2 mila soltanto negli ultimi 12 mesi. Da una ricerca condotta nell'ottobre del 2012 è risultato che su 1201 cristiani uccisi in odio alla fede durante l'anno, ben 791 avevano trovato la morte in Nigeria. Il Governo è stato più volte accusato dì non aver saputo reagire in maniera adeguata, anche a causa della dilagante corruzione che caratterizza l'apparato statale;
    molti dei Paesi citati sono firmatari della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, la quale esige dai Paesi firmatari il rispetto di diritti civili e politici, incluso quello alla libertà religiosa;
    la Dichiarazione universale dei diritti umani, all'articolo 18 stabilisce che: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti»,

impegna il Governo:

   a promuovere, specie in occasione del semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea, l'istituzione di una giornata europea dei martiri cristiani per ricordare i tanti cristiani del nostro tempo uccisi in odio alla fede;
   a rendere il rispetto della libertà religiosa uno dei requisiti necessari alla concessione di aiuti a Paesi terzi e all'instaurazione con questi di relazioni di carattere economico;
   ad organizzare con regolarità incontri tra rappresentanti del Governo ed esponenti delle minoranze religiose di diversi Paesi per acquisire informazioni dirette e poter realizzare interventi più efficaci;
   ad inserire il tema del rispetto della libertà religiosa nell'agenda di incontri tra il Presidente del Consiglio dei ministri ed il Ministro degli affari esteri ed i loro omologhi di altri Paesi, specie se in questi Paesi tale diritto non è pienamente garantito;
   ad assumere iniziative affinché parte degli aiuti destinati ad altri Paesi siano devoluti a progetti per la promozione delle minoranze religiose, con particolare attenzione all'educazione (esempio borse di studio per appartenenti alle minoranze religiose);
   a richiedere che nei Paesi partner una quota dei posti nel pubblico impiego sia riservata alle minoranze religiose e che venga introdotto, nei diversi livelli dell'istruzione, lo studio storico ed introduttivo delle religioni cui appartengono le minoranze religiose.
(1-00483)
(nuova formulazione) «Binetti, Cesa, Buttiglione, Gigli, Fauttilli, Calabrò, De Mita, Cera, Preziosi, Pagano, Sberna, Piepoli, Fitzgerald Nissoli, Fucci, Bueno, Adornato, D'Alia».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Piras n. 1-00673, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 335 del 20 novembre 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    Meridiana è un vettore strategico per il trasporto aereo nazionale ed in particolare per la Sardegna, il primo vettore privato della storia dell'aviazione civile italiana, che ha storicamente accompagnato lo sviluppo dell'Isola. Tuttora, essa riveste un ruolo cruciale per il territorio e per l'afflusso turistico e gestisce in regime di continuità territoriale le principali tratte per Olbia;
    Meridiana è un'azienda che dà lavoro a migliaia di persone e che negli anni più recenti ha operato una serie di attività di ristrutturazione volte ad abbattere il costo del lavoro, con particolare riferimento all'assorbimento del gruppo AirItaly ed al ruolo che tale azienda opera in tal senso;
    nonostante tutti i dati in possesso mostrino un attivo nei bilanci della compagnia e le recenti rilevazioni sui principali scali sardi ove opera la compagnia mostrino un incremento del numero dei passeggeri, con quello Olbia in particolare che registra un +9 per cento rispetto all'anno precedente, la compagnia ha annunciato la procedura di mobilità per 1.634 lavoratori – quasi 900 sardi ed altre centinaia di lavoratori operanti a Verona, Roma ed altre città – dopo quattro anni di cassa integrazione, senza che in alcuna maniera questa fase abbia portato a una riorganizzazione della compagnia che tenesse in considerazione la forza lavoro coinvolta;
    all'atto della rilevazione da parte di Meridiana AirItaly era una compagnia sull'orlo del fallimento, caratterizzata tuttavia dalla presenza di lavoratori più giovani rispetto a quelli della compagnia acquirente, quindi tendenzialmente meno «costosi»;
    nella fase successiva l'attività di Meridiana si è caratterizzata per il progressivo trasferimento ad AirItaly della gestione delle tratte aeree da una parte e per il progressivo disimpegno della flotta della casa madre dall'altra, determinando un esubero di fatto di lavoratori solamente nella parte riferibile a Meridiana;
    il rapporto fra Meridiana e Air Italy si configura ad avviso del firmatario del presente atto di indirizzo come un vero e proprio dualismo aziendale, con un travaso di attività dalla prima sulla seconda (esempio: gestione voli) e con Meridiana che interviene sui costi sostenuti dalla seconda e, ciò nonostante, la lista da cui si attingono i nominativi sui quali insiste la procedura di mobilità riguarda solo la prima delle due compagnie;
    tale controverso atteggiamento risulta oggi essere oggetto di una indagine della procura di Tempio Pausania, orientata a delineare i profili del rapporto esistente fra Meridiana e AirItaly;
    Meridiana è un vettore privato che gestisce rotte in concessione pubblica ed una parte del servizio è operato in regime di «continuità territoriale», perciò sovvenzionato attraverso risorse pubbliche, in un settore che – ad ogni evidenza – non solo presenta intrinsecamente un connotato di fondamentale servizio pubblico ma che allude direttamente all'effettiva esigibilità del diritto alla mobilità dei sardi;
    tale natura pubblicistica del servizio operato e di una gran parte delle risorse economiche incamerate dalla compagnia giustifica non solamente un forte interessamento del Governo ma altresì un necessario e perentorio richiamo della proprietà e della direzione aziendale a un principio di responsabilità sociale e – quindi – a una attenzione maggiore nei confronti di centinaia di lavoratori che nel corso di decenni di lavoro hanno maturato competenze, professionalità e una affidabilità che in alcuna maniera può essere messa in discussione e – tanto meno – sprecata, se l'intenzione dell'Azienda è quella di continuare ad operare nei cieli nazionali;
    in data 18 novembre 2014 l'azienda ha dato notizia pubblica dell'avvenuta dimissione dell'amministratore delegato Scaramella «per motivi personali» ed immediatamente della sua sostituzione con una nuova struttura manageriale, che si è affrettata, nella sua prima dichiarazione pubblica a confermare gli esuberi già previsti, quindi una linea netta di continuità con l'amministrazione precedente;
    nessuna novità registrata sulla questione posta dalle rappresentanze dei lavoratori Meridiana sulla cosiddetta «lista unica», ovvero sulla possibilità che i licenziamenti non colpiscano solamente da una parte;
    questo nonostante le rappresentanze dei lavoratori si siano rese disponibili, sul tavolo della trattativa, a qualsiasi soluzione di carattere reddituale e di mutamento della condizione lavorativa potesse consentire di scongiurare i licenziamenti, ivi compresa quella dell'accettazione delle medesime condizioni attualmente previste per i dipendenti provenienti da AirItaly;
    una conclusione negativa della vertenza rappresenterebbe un ulteriore grave danno occupazionale per il Paese nel suo complesso ed in particolare per una regione come la Sardegna, già violentemente colpita dalla crisi economica, dalla rapidissima deindustrializzazione, da tassi di disoccupazione elevatissimi, da una condizione sociale drammatica che rischia di minare definitivamente la comunità sarda e la tenuta di una soglia minima di convivenza civile;
    si tratta di 119 mila disoccupati, 130 mila sfiduciati, 16 mila lavoratori in mobilità, un tasso di disoccupazione giovanile che supera abbondantemente la metà della base occupazionale, un tasso di inattività fra le fasce più giovani che sfiora il 75 per cento, decine di migliaia di persone precipitate sotto la soglia di povertà, tassi di emigrazione che tornano a diventare preoccupanti come fu nel secondo dopoguerra. Una crisi strutturale che ha varcato le soglie della condizione materiale per investire quella psicologica di una popolazione ormai in ginocchio;
    i lavoratori di Meridiana sono stati capaci, nell'organizzare una marcia per il lavoro che ha attraversato – in maniera pacifica e civile – tutta la Sardegna e che si è conclusa il 17 novembre 2014 a Cagliari, di rappresentare uno stato di crisi ed una «vertenza unica», che è quella di un'isola che non ha mai visto risolversi i gap strutturali che ne minano alle fondamenta le grandi potenzialità e che continuano nel XXI secolo ad inquadrare lo status di insularità come un pregiudizio insormontabile alla costruzione di un progetto di sviluppo ordinato, duraturo, insediato nelle vocazioni locali;
    i due grandi temi dell'energia e dei trasporti (aereo, marittimo, ferroviario, viario) continuano ad essere le grandi «irrisolte» per la Sardegna, i due grandi massi che limitano e soffocano lo sviluppo di una economia solida e vitale, che senza un sostegno ed un investimento pubblico alla crescita costringono l'isola in una condizione di marginalità, impoverimento, sottosviluppo;
    in questo senso la «questione sarda» va valutata come fatto di rilevanza nazionale, con le sue condizioni di assoluta specificità rispetto alla questione meridionale e rispetto alla più generale crisi del Paese, che merita perciò una trattazione separata, un progetto di rinascita e sviluppo ad hoc un concorso di forze di tipo nuovo fra lo Stato, la regione, le forze politiche, sociali ed economiche e che coinvolga in primo luogo l'Unione europea,

impegna il Governo:

   ad operare affinché la vertenza Meridiana si risolva con la massima garanzia di mantenimento dei livelli occupazionali esistenti limitando comunque al minimo possibile i licenziamenti;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza per far valere presso la proprietà dell'azienda il principio inderogabile del vincolo solidaristico e della responsabilità sociale contenuti nella Costituzione della Repubblica italiana;
   ad impedire la dispersione di una forza lavoro come quella di Meridiana che presenta profili di eccellenza;
   ad inaugurare un tavolo sulla «questione sarda» che metta in campo un necessario ed urgente piano per la rinascita economica e sociale della Sardegna.
(1-00673)
(nuova formulazione) «Piras, Scotto, Palazzotto».

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in commissione De Lorenzis n. 7-00526, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 332 del 14 novembre 2014.

   La VIII e IX Commissione,
   premesso che:
    la politica di coesione territoriale, trae fondamento dalla Costituzione Italiana la quale dichiara all'articolo 119, quinto comma, che «Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.» restando pertanto coerente con l'articolo 3, secondo comma, che recita «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»;
    la politica di coesione territoriale, è altresì fondata nel Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea il quale all'articolo 174, stabilisce che essa ha lo scopo di promuovere uno «sviluppo armonico» incrementando le opportunità di relazione umana, sociale ed economica dei cittadini, indipendentemente dal luogo in cui vivono e che tale obiettivo viene perseguito promuovendo quantità e qualità dei servizi pubblici fondamentali in modo che tengano in adeguato conto le specifiche esigenze e le caratteristiche dei diversi territori;
    per quanto concerne il settore trasporti, la Commissione europea, il 28 marzo 2011, ha delineato strategia Trasporti 2050, volta ad incrementare la mobilità, favorire la crescita e l'occupazione e rimuovere gli ostacoli nelle aree di maggiore flusso: tale libro bianco stabilisce ambiziosi obiettivi da raggiungere entro il 2050 al fine di rendere l'Unione europea un leader mondiale in materia di trasporto sostenibile;
    al punto 40, il su citato libro bianco prevede, tra l'altro, che sia triplicata, entro il 2030, in tutti gli Stati membri, sia funzionante una fitta rete ferroviaria: si prevede infine che entro il 2050 la maggior parte del trasporto di passeggeri sulle medie distanze debba avvenire per ferrovia;
    il settore dei trasporti riveste un ruolo fondamentale in termini civili e sociali, essendo volto al soddisfacimento di interessi pubblici di carattere generale: in particolare, la mobilità su ferro risulta essenziale non soltanto per garantire un servizio ai cittadini passeggeri ed un celere trasporto di merci, ma soprattutto quale strumento di coesione territoriale, crescita e competitività;
    un sistema di trasporto pubblico ferroviario efficiente, inoltre, come peraltro sottolineato in importanti documenti europei sopra citati, rappresenta un obiettivo prioritario per la realizzazione di politiche tese alla promozione di uno sviluppo sostenibile dal punto di vista ambientale, nonché potenzialmente fattore di crescita economica e di progresso sociale;
    la provincia di Lecce è già la più stradalizzata d'Italia (1,5 chilometri per 1 Kmq di territorio), che a sua volta è la prima in Europa (1,0 chilometri per 1 Kmq);
    nel Salento l'ultima opera ferroviaria risale a 101 anni fa è stata realizzata nel 1913: da allora non solo non ne sono state costruite altre, ma le linee non hanno beneficiato di alcun ammodernamento e addirittura, da alcuni anni, sono state ridotte le corse ed il servizio è sospeso nei giorni festivi e la domenica;
    il decreto-legge n. 133 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014 all'articolo 3, comma 6, prevede che le risorse revocate in caso di mancato rispetto dei termini, di cui al comma 2, lettere a), b) e c) dello stesso articolo, per l'appaltabilità e la cantierabilità delle opere, vadano a confluire nel «Fondo infrastrutture ferroviarie e stradali» istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di cui all'articolo 32, comma 1, del decreto-legge n. 98 del 2011;
    nel testo relativo alla conversione in legge del predetto decreto-legge, all'articolo 3, comma 6, è stata aggiunta la lettera d-bis), la quale prescrive che tali risorse siano impiegate anche per l'elettrificazione della tratta ferroviaria Martina Franca-Lecce-Otranto-Gagliano del Capo;
    la suddetta tratta ferroviaria è di competenza della società Ferrovie del Sud Est e servizi automobilistici, società di proprietà del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e che la sua elettrificazione è un'opera individuata come finanziabile e immediatamente cantierabile ai sensi del già citato articolo 3, comma 6, lettera d-bis), del testo relativo alla conversione in legge del decreto-legge 133 del 2014;
    l'area di Otranto, quella di Martina Franca, di Lecce e del Capo di Leuca presentano caratteristiche molto favorevoli per poter incrementare notevolmente il turismo e contano per questa ragione nei mesi estivi incrementi esponenziali della popolazione;
    si prevede la realizzazione dell'Opera strategica di interesse nazionale denominata «Ammodernamento della strada statale 275» (CUP: F32C04000070002), relativa alla costruzione di un asse viario tra i centri abitati di Maglie e Santa Maria di Leuca, in provincia di Lecce;
    a seguito dell'approvazione del progetto preliminare con delibera CIPE n. 92/2004, l'Anas ha affidato la progettazione al Sisri di Lecce (consorzio per lo sviluppo industriale e dei servizi reali alle imprese), ai sensi dell'articolo 36, comma 4, della legge 5 ottobre 1991, n. 317, con convenzione stipulata in data 30 gennaio 2002 e successivo atto integrativo del 21 gennaio 2005;
    il consorzio Sisri avrebbe stipulato nel febbraio 2002 la convenzione con la ProSal srl (Progettazioni Salentine), società di professionisti con capitale sociale 10.400,00 di euro, senza aver effettuato un bando di gara e quindi, in affidamento diretto, conferiva alla ProSal srl l'incarico di progettazione senza alcuna forma di pubblicità nonché in violazione della normativa di derivazione comunitaria e statale in materia di progettazione di opere pubbliche;
    la ditta ProSal risulterebbe carente delle necessarie abilitazioni di legge in materia geologica, geo-idrologica, paesaggistica, archeologica, ambientale: a conferma, le tavole progettuali presentate da ProSal non risulterebbero firmate, ma ciò nonostante il progetto preliminare e quello definitivo risultano approvati dal Cipe rispettivamente con le deliberazioni n. 92 del 20 dicembre 2004 e n. 76 del 31 luglio 2009;
    non si comprende, pertanto, in quale sede siano state effettuate le normali procedure di verifica dei requisiti di competenza e delle necessarie abilitazioni di legge in materia geologica, geo-idrologica, paesaggistica, archeologica, ambientale delle aziende coinvolte, situazione che si è creata in mancanza di procedure di verifica dei requisiti soggettivi e oggettivi dei professionisti componenti la società privata e all'interno di quantomeno inconsueti rapporti contrattuali trilaterali tra Anas, consorzio Sisri e ProSal;
    Anas, con nota prot. n. 3006/2005, autorizzava il pagamento degli oneri di progettazione in favore del consorzio Sisri di Lecce per complessivi 1.021.935,62 euro di cui 567.742,01 euro, quale prima tranche (0,5 per cento dell'importo lavori pari a 113.548.401,82 euro) e 454.193,61 euro per attività cartografiche ed indagini geognostiche ed ambientali (0,4 per cento dell'importo di 113.548.401,82 euro) richieste alla ProSal, sebbene non risultasse essere in possesso dei requisiti e delle abilitazioni di legge;
    con deliberazione n. 83/2005 il Sisri di Lecce conferiva a beneficio di ProSal, la somma di 1.021.935,62 euro per attività di progettazione e studi geognostici e ambientali;
    il Consorzio Sisri di Lecce, con deliberazione n. 157/2009, trasmetteva ad Anas la fattura ricevuta da ProSal n. 13/2009 ed emetteva a sua volta fattura all'Anas per l'importo di 3.372.154,66 euro, come saldo di progettazione definitiva, incassando da Anas la detta somma e girandola a sua volta a ProSal;
    la subappaltatrice ProSal avrebbe quindi ricevuto senza titolo ingenti somme di danaro pubblico per prestazioni progettuali specialistiche (in materia geologica, idrogeologica, ambientale, archeologica, paesaggistica, e altro) dalla stessa difficilmente eseguibili, vista la sua originaria carenza di titoli abilitativi;
    con delibera n. 247/2010, il consiglio di amministrazione del consorzio Sisri, premesso «[...] Il raccordo tra il Consorzio, l'ANAS e la PRO.SAL. Progettazioni Salentine srl [...]», autorizzava l'emissione nei confronti di Anas di fattura pro forma in acconto per la sola parte relativa alla progettazione nella misura di 2.366.326,11 euro;
    il presidente di Anas, con disposizione cdgt/dcp ba/up/8 prot. n. 0043101-p del 28 Marzo 2011, autorizzava l'accreditamento dell'ulteriore importo di 1.933.272,97 euro per il pagamento del progetto definitivo;
    Anas, tramite il consorzio Sisri, ad avviso dell'interrogante sembrerebbe aver arrecato vantaggio patrimoniale alla ditta ProSal, pur nella consapevolezza della mancanza in capo a quest'ultima dei requisiti di legge, per progettazione e realizzazione di un'opera stradale di valore pari a oltre 287 milioni di euro, destinata altresì ad attraversare 15 territori comunali con altissimo impatto sugli assetti idraulici, idrogeologici, geomorfologici, ambientali del territorio e con molteplici interferenze con beni archeologici;
    nei territori dei comuni di Tricase e Alessano, situati in corrispondenza del tracciato della futura strada statale 275 «Maglie-Leuca», sono state scoperte di recente dagli uomini della Guardia di finanza alcune discariche e depositi di rifiuti in esercizio tra gli anni ottanta e novanta, attualmente esaurite e mai bonificate, ricoperte solamente da terriccio, nelle quali potrebbe essere stato smaltito illecitamente anche materiale pericoloso; l'intervento della guardia di finanza è giunto dopo l'apertura di un fascicolo da parte della procura di Lecce, a seguito di una segnalazione della Corte dei conti che sta svolgendo indagini di natura contabile sulla strada statale 275;
    da diverso tempo alcuni comitati cittadini, approfondendo la documentazione inerente i lavori per la strada statale 275, constatando diversi aspetti da cui scaturiscono legittimi e giustificati dubbi e perplessità in merito all'assegnazione ed esecuzione dell'opera, nonché per diversi problemi ambientali, chiedono l'azzeramento definitivo dell'intero progetto, in quanto apertamente viziato sin dalle sue origini, in quanto conferito come incarico in sub appalto senza gara a soggetto privo di titoli;
    a detta dell'interrogante, la scoperta delle discariche di cui sopra, da una parte confermano la carenza di titoli del soggetto titolare del subappalto relativo alla progettazione, Prosal s.r.l., e, per altro verso, la totale carenza di valutazioni idrogeologiche in fase di progettazione preliminare e definitiva;
    il Consiglio di Stato si è pronunciato con sentenza del 3 luglio 2014 n. 3344 in merito al ricorso presentato dalla società Salvatore Matarrese spa contro Rti-Consorzio cooperative Costruzioni di Produzione e Anas spa;
    la strada statale è inserita tra le opere previste nella cosiddetta «legge obiettivo», assumendo quindi il carattere di opera di interesse nazionale;
    il Codice del processo amministrativo stabilisce che non si possano annullare i contratti d'appalto relativi ad opere di interesse nazionale;
    nell'ipotesi che Anas confermi l'accordo già firmato e che il Consiglio di Stato non ha potuto depennare, ci sarà un esborso cospicuo per il risarcimento alla Matarrese nella misura di 10 milioni di euro a carico della collettività;
    nell'ipotesi in cui Anas, come previsto dalla sentenza del Consiglio di Stato, in relazione alla macroscopicità delle illegittimità rilevate, faccia luogo ad eventuale annullamento in autotutela dell'aggiudicazione ed alla conseguente risoluzione del contratto, l'offerta dell'impresa Matarrese risulta di circa 20 milioni di euro superiore a quella dell'accordo firmato con CCC;
    da fonti di stampa si apprende di incontri riservati a Roma tra la ditta Matarrese e vertici della società del Ministero dell'economia e delle finanze che lasciano presumere l'annullamento del contratto, come dichiarato dal legale difensore del gruppo barese, poiché oggetto dell'appalto non era solo l'offerta economica ma anche la progettazione esecutiva; nel medesimo articolo di stampa si dichiara che la ditta vincitrice dell'appalto CCC ha tardivamente depositato il progetto esecutivo e che pertanto non è stato approvato; ancora si suppone che in virtù delle illegittimità rilevate che potrebbero riguardare anche il computo metrico che ha condizionato il sostanzioso ribasso d'asta, il progetto esecutivo potrebbe non essere approvato;
    l'assolvimento degli obblighi previdenziali e assistenziali, è una caratteristica richiesta dalla normativa vigente, fin dalla presentazione dell'offerta e per tutta la durata della procedura, e il gruppo Matarrese, come emerso il 9 ottobre da un'ordinanza del Tar di Lecce, non possiede tale indispensabile requisito;
    in una delibera della regione Puglia del 2007, è stato chiesto ad Anas la valutazione economica di un progetto alternativo che consisterebbe nella messa in sicurezza dell'esistente e la realizzazione di una strada a 4 corsie soltanto fino al comune di Montesano e che a tale richiesta Anas ha risposto dichiarando che per tali interventi sarebbe sufficiente una dotazione di 111 milioni di euro;
    la regione Puglia ha finanziato il progetto oggetto di contenzioso per circa 152 milioni;
    per giungere al Capo di Leuca, è già realizzata la strada statale 274 da Gallipoli,

impegnano il Governo:

   ad assumere iniziative per cancellare questa opera tra quelle di interesse nazionale come previsto dalla legge n. 433 del 2001 cosiddetta «legge obiettivo»;
   a revocare le risorse impegnate per questa opera e non ancora spese;
   a non istituire un commissario straordinario per il completamento e la realizzazione dell'opera medesima;
   a non assumere iniziative normative, che deroghino alla disciplina esistente, con la finalità della realizzazione dell'opera;
   a intraprendere tutte le iniziative al fine di operare riallocare le risorse economiche previste per la progettazione e realizzazione dell'opera, del Cipe e della regione, al fine di assegnarle per l'ammodernamento, il potenziamento e l'elettrificazione della tratta ferroviaria Martina Franca-Lecce-Otranto-Gagliano del Capo e del relativo servizio, giacché essa rappresenta un'opera utile per la collettività, auspicata dalla cittadinanza e sostenibile dal punto di vista ambientale alla messa in sicurezza dell'esistente e alla realizzazione di una strada a 4 corsie soltanto fino al comune di Montesano;
   ad assumere iniziative normative dirette a individuare e destinare adeguate risorse perché si possa giungere ad affrontare in via subordinata la problematica delle discariche abusive sul territorio nazionale anche al fine di non incorrere in sanzioni da parte dell'Unione europea in merito al mancato rispetto della normativa in tema di smaltimento dei rifiuti.
(7-00526)
«De Lorenzis, Mannino, Petraroli, Brescia, Nicola Bianchi, Spessotto, Cristian Iannuzzi».

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.
%

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta D'Incà n. 4-06780, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 326 del 6 novembre 2014.

   D'INCÀ, ROSTELLATO, BUSINAROLO, SPESSOTTO, COZZOLINO e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 12 e 13 giugno 2011 con l'approvazione, a larga maggioranza, dei referendum per l'acqua bene comune le italiane e gli italiani hanno espresso chiaramente, con il proprio voto, la volontà di sottrarre la gestione dell'acqua e tutti i servizi pubblici a logiche di mercato e di profitto e di mantenerla sotto il controllo pubblico;
   l'indirizzo del Governo però, sottolineato di recente ed in diverse occasioni, esprime la necessità di mettere in campo realtà di valore nazionale nel settore delle aziende multiutilities e delle società partecipate;
   tale processo potrebbe subire una netta accelerazione a causa delle intenzioni del Governo, volte a facilitare le aggregazioni delle ex municipalizzate attraverso incentivi per quegli enti che dismettono quote, consentendo l'utilizzo dei proventi delle vendite delle partecipazioni al di fuori del patto di stabilità. Ciò indurrebbe gli enti locali a vendere, o svendere, le proprie azioni consegnando, o regalando, quote anche di maggioranza ai privati in cambio della possibilità di spendere per il comune il ricavato;
   l'indirizzo annunciato dal Governo è condiviso da alcuni sindaci di importanti capoluoghi di regione del nord tra cui Fassino e Pisapia, che stante le dichiarazioni su vari organi di stampa, prefigurano la nascita della cosiddetta «multiutility del nord» fusione tra A2A, la società dei servizi che opera in Lombardia detenuta a maggioranza dai comuni di Milano e Brescia, e Iren, definendola un «obiettivo strategico» per far crescere e sviluppare delle forme di cooperazione e di alleanza. Tale progetto contribuirebbe a rafforzare ancora di più grandi società come A2A e Iren che dovranno avere sempre di più avere la forza e la capacità di una presenza sul mercato nazionale e internazionale, prefigurandone inoltre la necessità della quotazione in borsa;
   infatti Piero Fassino attuale sindaco di Torino e anche presidente dell'Anci, l'Associazione nazionale dei comuni italiani, quando parla di società partecipate dagli enti locali dice, – in un'intervista al quotidiano La Stampa, di fine agosto – è, che per lui la strada è quella della Borsa, perché «solo così le si costringerà a razionalizzarsi e a ristrutturarsi per presentarsi con i conti in ordine e, una volta quotate, attingere dal mercato quei capitali che servono loro per la propria attività»;
   l'innesco di un tale processo, mediante l'apertura al mercato dei capitali, porterebbe ad una finanziarizzazione sempre più spinta della società che gestiscono servizi pubblici locali, che sarebbero esposte ai rischi e alle regole del mercato e all'ingresso dei privati nella gestione delle stesse, contravvenendo così all'esito della consultazione referendaria del 2011;
   per contro anche i risultati della gestione di alcune società partecipate totalmente dagli enti territoriali presentano della criticità importanti, così come riportato dall'indagine sui risultati della gestione delle società partecipate dagli enti territoriali svolto dalla Corte dei conti, a livello centrale e territoriale, per la verifica del rispetto degli equilibri di bilancio degli enti proprietari. L'indagine svolta dalla Sezione delle autonomie della Corte dei conti ha esaminato gli organismi censiti nella banca dati SIQUEL della Corte dei conti nei loro dati di bilancio, che sono posti in relazione con i flussi finanziari erogati dai soggetti pubblici partecipanti e/o controllanti. La gestione finanziaria dimostra una netta prevalenza dei debiti sui crediti, in tutti gli organismi oggetto della indagine;
   a titolo di esempio, la regione Veneto ha dato attuazione alla normativa nazionale sul servizio idrico integrato individuando otto ambiti territoriali ottimali ed un nono ambito, l'ATO Lemene, di carattere interregionale (legge regionale 27 marzo 1998, n. 5 sostituita dalla legge regionale 27 aprile 2012, n. 17);
   la gestione diretta del servizio idrico integrato, nei comuni che compongono l'ATO Alto Veneto nella provincia di Belluno, è affidato dal 1o gennaio 2004 alla società BIM GSP di Belluno. Partecipano al capitale sociale, in quote paritetiche, i 67 comuni della provincia di Belluno appartenenti al Bacino imbrifero montano del Piave. Il capitale sociale è interamente composto da n. 4.020 azioni ordinarie, del valore nominale unitario di euro 500;
   dall'ultimo bilancio societario depositato, l'ente BIM GSP di Belluno risulta avere al 31 dicembre 2012 un debito di circa 89 milioni di euro nei confronti di banche e fornitori, dovuto ad errate valutazioni sui quantitativi di acqua consumata che hanno portato alla redazione di piani industriali sbagliati;
   tale situazione emerge pubblicamente nel 2011, quando BIM GSP rinvia l'approvazione del bilancio poiché «ha un'esposizione di 50 milioni di euro dei quali pressoché nessun amministratore locale era a conoscenza»;
   con l'approvazione da parte di AEEG (delibera n. 506/2013/R/idr del 07/11/2013) del Piano Tariffario 2012-2013 e relativo Piano Economico Finanziario, BIM GSP ha incrementato del 29,4 per cento gli importi unitari del piano tariffario 2013, richiedendo retroattivamente in bolletta il conguaglio 2013, oltre ad applicare l'anticipo sui consumi futuri, a partire dal 1o gennaio 2014. Questo per «coprire integralmente i costi di gestione e recuperare i costi sostenuti dal gestore per investimenti e servizi già effettuati in assenza di adeguata tariffa (da comunicazione di BIM GSP in bolletta);
   moltissime utenze, soprattutto attività alberghiere, si sono viste recapitare bollette con importi anche doppi rispetto gli anni precedenti –:
   se e come intendano orientare le scelte di politica economica generale, nell'ambito dei settori delicati della gestione dei servizi pubblici locali;
   se non ritengano opportuno valutare con attenzione le criticità emerse rispetto alla creazione di grandi società partecipate operanti nel settore delle public utilities in considerazione del sempre più diffuso aumento delle tariffe;
   se, in generale ed a tutela degli utenti, non intendano assumere un'iniziativa normativa che imponga che oggetto del pagamento dei servizi idrico, elettrico e del gas possano essere solo consumi effettivi e non consumi stimati o presunti al fine di evitare situazioni di potenziale abuso che, come nel caso descritto in premessa, appaiono gravemente pregiudizievoli per i cittadini. (4-06780)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta immediata in Commissione Ribaudo n. 5-04082 del 19 novembre 2014.