Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 19 novembre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il 20 novembre si celebra in tutto il mondo la Giornata internazionale dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza;
    la data ricorda il giorno in cui l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò, nel 1989, la Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza. Essa indica gli obblighi agli Stati e alla comunità internazionale nei confronti dell'infanzia;
    sono oltre 190 i Paesi nel mondo che hanno ratificato la Convenzione. In Italia la sua ratifica è avvenuta il 27 maggio 1991 con la legge n. 176;
    nonostante vi sia un generale consenso sull'importanza dei loro diritti, ancora oggi molti bambini e adolescenti, anche nel nostro Paese, sono vittime di discriminazione, esclusione sociale, privazioni materiali e di opportunità;
    il 1o luglio 2014 è iniziato il semestre italiano di presidenza, del Consiglio dell'Unione europea. Tra gli obiettivi prioritari della presidenza, accanto a misure a favore della crescita e dell'occupazione, vi è l'impegno a promuovere un ruolo più attivo dell'Unione nei settori in cui l'iniziativa europea possa creare valore aggiunto, come ad esempio nella tutela dei diritti fondamentali e nelle politiche di asilo e migratorie;
    la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha da poco concluso un'indagine conoscitiva – avviata nel 2013 – sulla povertà e il disagio minorile in Italia. L'indagine ha evidenziato che – accanto ad indicatori diretti per rilevare il tasso di povertà minorile nei Paesi ricchi, quali il reddito familiare – sarebbe necessario utilizzare altri indici relativi alla privazione materiale dei bambini, come la possibilità di fare almeno un pasto proteico al giorno, la mancanza di indumenti nuovi o libri da leggere, la possibilità di fare sport o altre attività ricreative:
    con specifico riferimento all'attuale riduzione dei fondi per le politiche dell'infanzia, durante le audizioni svolte in sede di indagine è stato evidenziato che tali tagli determineranno ripercussioni in futuro in termini di salute, devianza e offerta di studio, con costi a carico dell'intera società. Ne deriva la necessità di prevedere proposte concrete in grado di sopperire a tali decurtazioni attraverso un migliore utilizzo delle risorse già dedicate all'infanzia;
    il 28 ottobre 2014 è stato presentato a Roma il Rapporto Unicef Innocenti report Card 12, dal significativo titolo Children of the recession: the impact of the economic crisis on child well-being in rich countries che indeterminato la condizione dei bambini nei Paesi ricchi dell'Unione europea. Il rapporto rileva che milioni di bambini sono stati direttamente colpiti dalla recessione (in misura maggiore rispetto ad altri gruppi vulnerabili, come ad esempio gli anziani) e molti ne subiranno conseguenze per il resto della vita. Il rapporto evidenzia, inoltre, che con la recessione sono andati perduti anni di potenziali progressi con conseguente aumento dell'alienazione sociale e della riduzione della crescita della popolazione. Tali conseguenze sono già evidenti in Europa dove la piaga dei bambini colpiti riflette l'aumento della diseguaglianza all'interno degli stati e fra uno stato e l'altro;
    l'aumento del divario dovuto alle diseguaglianze minaccia la realizzazione dei progetti di convergenza dell'Unione europea, come ad esempio la strategia europea 2020 che prevede di «far uscire almeno 20 milioni di persone dalla povertà e dall'esclusione sociale e di aumentare l'occupazione fino al 75 per cento;
    la gravità della crisi e la portata della recessione evidenziano che ormai i soli indicatori economici non bastano a rilevare la complessità della realtà sociale e la reale portata dell'impatto sulle persone, in particolare sui minori;
    in Italia manca una cornice di riferimento per le linee strategiche fondamentali e per gli impegni concreti del Governo. Le politiche socio-educative attuali sono ancora carenti e frammentarie;
    le politiche per l'infanzia si affrontano non con la monetizzazione dei bisogni ma con la costruzione di una rete di servizi;
    un recente rapporto di Save The Children (ottobre 2014) relativo alla consultazione pubblica sulla strategia Europa 2020 della Commissione europea affronta il tema della povertà minorile e l'esclusione sociale in Europa. Il rapporto evidenzia che quasi 27 milioni di bambini sono a rischio di povertà o esclusione sociale (Stati membri dell'Unione europee Islanda, Norvegia e Svizzera);
    nei 28 Stati membri dell'Unione europea, il 28 per cento della popolazione totale di meno di 18 anni risulta a rischio di povertà o di esclusione sociale (la quota del rischio di povertà e di esclusione sociale è più alta tra i bambini rispetto agli adulti nella maggior parte dei paesi Europei), 20,8 per cento dei bambini vive in famiglie con un reddito inferiore al 60 per cento, della media nazionale, il 9 per cento in famiglie con bassissima intensità di lavoro, e l'11,8 per cento, in famiglie indigenti;
    i membri del G8, tra cui l'Italia e la Francia, che hanno un PIL pro capite compreso tra euro 24.000 e euro 29.000, registrano da un quinto a un terzo dei loro bambini a rischio di povertà o esclusione sociale;
    la crisi finanziaria ed economica iniziata nel 2008 ha gravemente colpito i bambini in tutta Europa. Anche in Paesi che hanno registrato tassi di crescita del PIL positivi nel 2010/11, come l'Austria, Belgio, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Francia, Lettonia, Lituania, Malta, Slovenia e Svezia, non si è verificata una diminuzione della povertà minorile. Uno dei motivi principali è che molti paesi europei, dopo aver intrapreso politiche volte a stimolare la spesa pubblica nel 2008 hanno iniziato a ridurre le spese tagliando i trasferimenti sociali, compresi i regimi di sostegno al reddito per i minori e dei servizi essenziali di sanità e di assistenza all'infanzia. Questa situazione è aggravata anche dalla crescente disoccupazione, soprattutto di lunga durata, con un calo del reddito disponibile;
    la povertà minorile non si limita alla privazione di beni materiali ma implica che i bambini e gli adolescenti coinvolti non sono in grado di acquisire competenze e capacità atte a far sviluppare appieno le loro potenzialità e talenti. Ciò costituisce per il futuro di un Paese un reale rischio di impoverimento generale: una strategia di sviluppo realmente vincente per l'intero Paese, dovrebbe basarsi proprio sulla protezione di tutti i minori dalla povertà;
    la povertà minorile, quale quella educativa (vale a dire il non accesso alle «opportunità formative») si riferisce, soprattutto, all'accesso e alla qualità dei servizi di istruzione, unitamente ai risultati di apprendimento;
    in particolare, i primi anni, dalla nascita alla scuola dell'obbligo, rappresentano un periodo cruciale per lo sviluppo del bambino, in quanto è in questo arco di vita che iniziano a formarsi le capacità e le competenze che accompagneranno gli individui per tutta la vita;
    gli obiettivi di Barcellona fissati dall'UE miravano a raggiungere il 33 per cento di copertura per i servizi all'infanzia al di sotto dei 3 anni entro il 2010, e il 90 cento di copertura a partire dall'età di 3 anni fino alla scuola dell'obbligo, ma sono risultati lontani dall'essere stati raggiunti dalla maggior parte dei paesi Europei. Nel 2012 nei 28 Stati membri dell'UE, la media di accesso in termini di cura all'infanzia e all'educazione primaria al di sotto dei 3 anni è stata del 28 per cento, mentre per i bambini a partire dall'età di 3 fino alla scuola dell'obbligo ha raggiunto l'83 per cento. I bambini iscritti alle scuole per l'infanzia e alla scuola dell'obbligo primaria generalmente hanno meno probabilità di abbandonare la scuola e di poter ottenere migliori prestazioni scolastiche e acquisire maggiori competenze;
    il tasso di abbandono scolastico precoce riguarda la popolazione di età compresa tra 18-24 anni che ha raggiunto un grado di istruzione secondaria inferiore e non prosegue in altri cicli di studio o in altra formazione;
    servizi educativi insufficienti e risultati di apprendimento influenzano negativamente le future opportunità di lavoro. Ciò è particolarmente preoccupante se si considera che la percentuale di giovedì disoccupati di età compresa tra 15-24 anni ha raggiunto nel 2013 il 23,3 per cento di media nell'Unione europea, con punte di oltre il 50 per cento in Spagna e in Grecia (che rappresentano i risultati più bassi dei dati PISA tra i paesi OCSE). Inoltre, la percentuale di giovani che non sono presenti in programmi istruzione né di formazione (NEET) è stata del 13,2 per cento nel 2012;
    anche se la strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, mira a sottrarre almeno 20 milioni di persone dal rischio di povertà o di esclusione sociale entro il 2020, riducendo l'abbandono scolastico a meno del 10 per cento e assicurare il 75 per cento del lavoro, attualmente l'area UE si sta allontanando dal raggiungimento di questi obiettivi, in particolare per quanto riguarda i bambini e ragazzi. Si tratta di una questione urgente, come evidenziato nel rapporto annuale di crescita del 2014 della Commissione europea: è a rischio perdita di fattori importanti per il suo futuro potenziale economico, culturale e sociale, dal momento che è durante l'infanzia che si formano le competenze cognitive e socio-emozionali di un individuo. La povertà durante i primi anni potrebbe avere effetti negativi che possono durare per tutta la vita;
    il semestre europeo, per quanto attiene al meccanismo di monitoraggio delle azioni di implementazione della strategia Europa 2020, è stato incentrato sugli squilibri economici presenti in tutta l'Unione, vale a dire sull'indagine annuale di crescita. Sebbene il meccanismo sia stato arricchito con l'impiego e gli indicatori sociali inseriti nel quadro di controllo integrato nella relazione annuale comune sull'occupazione 2013, l'indagine non è ancora in grado di registrare compiutamente la specificità multi-dimensionale e la complessità della povertà minorile e dell'esclusione sociale in termini di ricaduta negativa sul futuro sviluppo umano e socio-economico dell'Europa e sulla limitazione dell'efficacia delle risposte politiche agli obiettivi di Europa 2020, con particolare riguardo alla povertà;
    il rapporto di Save the Children individua tre principali lacune nell'attuale meccanismo di monitoraggio Europa 2020, che potrebbero essere meglio affrontate nella seconda metà del periodo, per fronteggiare i maggiori squilibri costituiti dalla povertà, dalla mancata istruzione e dall'accesso all'occupazione;
    a ciò va aggiunta l'aggravante che le voci di bambini non sono ascoltate. Secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, i bambini hanno il diritto di essere ascoltati e di partecipare alle decisioni che li riguardano, anche fornendo importanti informazioni che potrebbero avere un ruolo determinante da svolgere nell'informare la politica e influenzare misure concrete per la lotta alla povertà infantile e per l'esclusione sociale. Tuttavia, l'attuale sistema di monitoraggio Europa 2020 non ha ancora preso in considerazione meccanismi di partecipazione attiva dei bambini e degli adolescenti;
    il 20 febbraio 2013, la Commissione europea ha adottato la raccomandazione «Investire nei bambini: rompere il circolo vizioso dello svantaggio», che contiene una serie di indicatori che rappresentano una solida base per la valutazione della povertà infantile e l'esclusione sociale in modo multidimensionale, tra cui la povertà educativa. La raccomandazione costituisce uno strumento fondamentale ed un contributo importante per la lotta alla povertà infantile in Europa e, soprattutto pone i diritti dell'infanzia, l'interesse superiore del bambino, le pari opportunità e il sostegno ai più svantaggiati al centro della lotta contro la povertà infantile. Con i suoi tre pilastri interconnessi – garantire l'accesso a risorse adeguate, l'accesso a servizi di qualità a prezzi accessibili, e la partecipazione dei bambini – la raccomandazione ha la funzione di incentivo per un'azione concreta e solida in Europa;
    in questo senso risulta quanto mai opportuno adottare indicatori solitamente trascurati ma altrettanto importanti dal punto di vista dello sviluppo del bambino, come ad esempio il tempo libero, le attività culturali, l'impegno civile, la qualità di relazioni familiari e sociali, lo status socioeconomico, l'ambiente familiare, la disabilità, e la collocazione geografica. Inoltre, vanno individuati nuovi indicatori progettati e selezionati attraverso la partecipazione attiva dei bambini e dei giovani, che devono essere consultati al momento di pianificare, sviluppare e attuare politiche e durante i processi di monitoraggio e valutazione delle politiche;
    l'indice di povertà educativa è stato sviluppato in Italia da Save the Children, con il contributo di eminenti studiosi italiani. L'Indice mira a misurare la povertà educativa come la mancanza di opportunità per i bambini nell'acquisire quelle competenze e capacità che consentano loro di raggiungere il loro pieno potenziale, imparando così a conoscere, a essere, a stare insieme e a fare. L'indice, nel primo anno, ha valutato in particolare la mancanza di accessibilità e servizi educativi «di qualità», «a scuola» e nell'ambiente «di apprendimento» «, per bambini dai 3 anni ai 17 anni, nelle regioni italiane. I 14 indicatori che fanno parte dell'Indice, sono stati selezionati in base ai dati messi a disposizione dal Ministero italiano della pubblica istruzione, dall'Istituto nazionale di statistica, e grazie anche alle consultazioni pubbliche con bambini e ragazzi provenienti da tutto il Paese;
    sebbene l'indice sia un primo esperimento da potenziare nei prossimi anni, con riferimento alle opportunità socio-emotive, potrebbe già fornire un valido esempio su come costruire le misurazioni della povertà infantile e l'esclusione sociale, in modo partecipativo, attraverso la consultazione dei bambini e dei giovani; guardando la povertà al di là della privazione materiale, nel suo carattere multidimensionale, alla stregua delle considerazioni sull'accessibilità, sulla qualità dei servizi, e sui gradienti geografici,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative atte ad incentivare il raggiungimento degli obiettivi previsti da Europa 2020 in tema di povertà infantile e di esclusione sociale in Europa, anche attraverso l'utilizzo di indicatori innovativi in grado di misurare il reale discostamento dai parametri prefissati nel medio periodo e capaci di valutare la percezione dell'infanzia rispetto al tema della povertà e dell'esclusione;
   a predisporre una cabina di regia – con il coinvolgimento del Garante nazionale per l'infanzia e l'osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza – per coordinare specifiche politiche per l'infanzia anche al fine di evitare una frammentazione delle responsabilità e data la molteplicità di aspetti che il mondo dell'infanzia comporta. Ciò anche in ragione del fatto che il rispetto e l'applicazione dei principi fissati dalla convenzione ONU fanno capo al Governo centrale;
   a superare la carenza di un sistema di raccolta di dati e informazioni finalizzata al monitoraggio della condizione minorile, quale fondamentale strumento di valutazione e programmazione delle politiche per l'infanzia e l'adolescenza, affinché detti dati siano effettivamente rappresentativi, uniformi e comparabili fra le varie regioni italiane;
   a predisporre misure volte a colmare le differenze tra Nord e Sud d'Italia nella copertura dei servizi di assistenza omogenea rispetto alle regioni del centro nord, superando le sperequazioni ed assicurando in tal modo un sistema educativo ed un welfare adeguato, moderno ed inclusivo;
   a prevedere ulteriori interventi, anche di tipo fiscale, per il sostegno alle famiglie in condizione di povertà estrema;
   ad individuare e ad assumere iniziative per allocare risorse per finanziare progetti di sostegno ed incentivazione allo studio da rivolgere ai ragazzi che si trovano in situazioni familiari a rischio di esclusione sociale;
   a prevedere misure in grado di garantire ai bambini e agli adolescenti il diritto di accesso a tutti i servizi, in particolare a titolo gratuito alle famiglie e ai bambini in condizioni di povertà certificata, in primo luogo quelli collegati all'istruzione (nidi, scuola primaria a tempo pieno/prolungato), al servizio mensa scolastico e ad attività pedagogiche, sportive e ricreative;
   a realizzare campagne di sensibilizzazione, nazionali e locali, al fine di combattere e superare i residui atteggiamenti di chiusura e di resistenza alla dimensione internazionale della scuola italiana, favorendo così l'inclusione e l'integrazione di tutti i minori stranieri che frequentano le scuole nel nostro Paese;
   a dare piena attuazione alla Convenzione di Lanzarote garantendo in particolare alle bambine, in Italia e nel mondo, un adeguato sistema di istruzione, salute e protezione da violenze ad abusi;
   a promuovere ed incentivare – durante il semestre italiano di presidenza del Consiglio dell'Unione, Europea – un approccio comunitario alla lotta alla povertà infantile e all'esclusione sociale incentrato sui diritti dei minori in conformità con gli impegni sanciti dalla Convenzione sull'Infanzia, nonché a promuovere valutazioni omogenee nell'ambito dei Paesi dell'Unione europea sull'impatto della recessione sui minori;
   a rinnovare gli impegni assunti con la ratifica della Convenzione ONU il 27 maggio 1991 con la legge n. 176 del 1991, con particolare riguardo all'esclusione sociale.
(1-00671) «Zampa, Iori, Lenzi, Antezza, Marzano, Gullo, D'Incecco, Zanin, Scuvera, Carloni, Sbrollini, Piccione».


   La Camera,
   premesso che:
    il regio decreto-legge 21 febbraio 1938 n. 246, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 giugno 1938, n. 880, all'articolo 1, prevede che: «Chiunque detenga uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento». Si tratta di un'imposta sulla detenzione dell'apparecchio e pertanto il canone deve essere pagato indipendentemente dall'uso del televisore o dalla scelta delle emittenti televisive; il canone Rai viene, da sempre percepito dai cittadini come un'imposta ingiusta, uguale per tutti gli utenti, con un importo pari a euro 113,50, piuttosto che essere proporzionalmente stabilita in base all'effettiva capacità contributiva;
    il sito internet www.abbonamenti. rai.it riporta le disposizioni di legge in base alle quali è possibile, per i cittadini, procedere alla disdetta del canone tv; l'articolo 10 del citato regio decreto-legge prevede che gli utenti possano disdire l'abbonamento al canone tv in caso di cessione o alienazione dell'apparecchio (rottamazione, furto o incendio) oppure in caso, di suggellamento di tutti gli apparecchi tv detenuti; il suggellamento consiste nel rendere inutilizzabili, generalmente mediante chiusura in appositi involucri, tutti gli apparecchi detenuti dal titolare del canone tv e dagli appartenenti al suo nucleo familiare presso qualsiasi luogo di loro residenza o dimora;
    la disdetta del canone tv diventa realmente operativa, in caso di suggellamento, con il versamento, di euro 5,16 per ogni apparecchio da suggellare, all'Agenzia dell'entrate di Torino e, per tutti gli altri casi, dopo che lo sportello SAT (sportello abbonati tv) avrà trasmesso, a coloro che hanno disdetto il canone Rai il modulo che perfeziona la procedura;
    l'articolo 1, comma 132, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008) stabilisce che: «a decorrere dall'anno 2008, per i soggetti di età pari o superiore a 75 anni e con un reddito proprio e del coniuge non superiore complessivamente a euro 516,46 per tredici mensilità, senza conviventi, è abolito il pagamento del canone di abbonamento alle radioaudizioni esclusivamente per l'apparecchio televisivo ubicato nel luogo di residenza»;
    i firmatari del presente atto di indirizzo hanno raccolto le segnalazioni di migliaia di cittadini, che nonostante la richiesta di esonero o disdetta del canone tv per la propria abitazione, come previsto dalla legge e come riportato anche sul sito internet Rai, si sono visti recapitare dalla Rai richieste di pagamento o addirittura diffide, in quanto considerati utenti morosi;
    l'articolo 17 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, prevede che le società e le imprese, nella relativa dichiarazione dei redditi, debbano indicare il numero di abbonamento speciale alla radio o alla televisione e la categoria di appartenenza, ai fini della verifica del pagamento del canone di abbonamento radiotelevisivo speciale;
    da alcuni mesi, in seguito all'ennesima massiccia campagna nei confronti delle imprese, la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo ha inviato ai titolari di aziende e attività commerciali, migliaia di bollettini esigendo il pagamento del canone speciale per la detenzione di uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive al di fuori dall'ambito familiare, indipendentemente dall'uso al quale gli stessi vengono adibiti, ivi compresi gli impianti di videosorveglianza; l'importo dei bollettini precompilati inviati a tappeto dalla Rai, per il pagamento del canone speciale, dovuto per gli apparecchi detenuti nei pubblici esercizi commerciali varia a seconda della tipologia dell'impresa, da un minimo di 200 ad un massimo di 6.000 euro all'anno;
    l'invio dei bollettini, a quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo, è stato effettuato dalla Rai senza alcuna verifica preventiva circa l'effettivo possesso di un apparecchio per cui è dovuto il pagamento del canone, speciale, ma sulla base di una mera presunzione;
    con nota del 22 febbraio 2012 il Ministero dello sviluppo economico – dipartimento per le Comunicazioni ha precisato che cosa debba intendersi per «apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni», ai fini dell'insorgere dell'obbligo di pagare il canone radiotelevisivo ai sensi della normativa vigente, senza tuttavia contribuire a chiarire in maniera definitiva la questione del canone speciale,

impegna il Governo

a prevedere l'emanazione di una nota esplicativa che chiarisca in maniera inequivocabile tutti i criteri in base ai quali i cittadini possono ottenere l'esenzione dal pagamento del canone Rai esclusivamente per l'apparecchio televisivo sito nel luogo di residenza, nonché a definire le domande di esonero e disdetta del canone ancora pendenti dal 2008 al 2013.
(1-00672) «Brunetta, Palese».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni III e XI,
   premesso che:
    in un mondo globalizzato e aperto ai flussi migratori si impone l'internazionalizzazione degli schemi di protezione sociale;
    la Commissione europea con la sua comunicazione del 30 marzo 2012 dedicata a «La dimensione esterna del coordinamento in materia di sicurezza sociale nell'Unione europea» ha richiamato l'attenzione degli Stati membri sull'importanza di una strategia comune dell'Unione europea in materia di coordinamento dei regimi di protezione sociale, anche con riguardo ai lavoratori provenienti da Paesi terzi;
    la cooperazione tra gli Stati in materia di protezione sociale si manifesta tradizionalmente mediante la stipula di apposite convenzioni bilaterali che consentono l'esportabilità delle prestazioni, la totalizzazione dei contributi e il godimento della pensione, anche da parte del lavoratore straniero rimpatriato prima di aver raggiunto l'età pensionabile;
    la stipula degli accordi bilaterali in tema di diritti pensionistici mira a raggiungere una parità sostanziale tra lavoratori italiani e stranieri, rimuovendo gli ostacoli che si frappongono ai danni degli stranieri nel godimento delle prestazioni previdenziali per le quali essi hanno nondimeno pagato regolarmente i contributi previsti dalla legge;
    si riscontra tuttavia una chiusura negli ultimi anni da parte dell'Italia alla stipula di ulteriori convenzioni bilaterali con i Paesi da cui maggiormente provengono i lavoratori extracomunitari. L'ultima di tali convenzioni, stipulata con la Tunisia, risale al 1987. Con il Senegal invece si è giunti alla redazione di testi condivisi, senza tuttavia arrivare alla stipula definitiva;
    benché i lavoratori senegalesi abbiano alle spalle una storia di insediamento tra le più lunghe nel nostro Paese, essi sono dunque privi ancora oggi di strumenti di tutela dei diritti previdenziali acquisiti;
    nei giorni dell'11 e 12 dicembre 2013 si è tenuta a Dakar una tavola rotonda dal titolo «Costruire un ponte tra Italia e Senegal per la tutela del lavoratore migrante» a cui hanno partecipato rappresentati del Ministero del lavoro e degli esteri senegalesi, del Ministero dell'interno italiano, dell'ente di previdenza senegalese IPRES, dell'università «Roma Tre», dell'università di Dakar «Cheikh Anta Diop», delle associazioni italiane «Progetto Diritti onlus» e «Roma-Dakar», dell'associazione senegalese «Doxandem» e dell'INCA-CGIL; all'esito della conferenza è stata fortemente e unanimemente ribadita da tutti i partecipanti l'importanza degli accordi bilaterali per la creazione di un contesto migratorio consapevole e sicuro;
    l'assenza di convenzioni bilaterali con i Paesi di nuova immigrazione equivale a condannare tante persone, che hanno lavorato regolarmente a pagato giustamente i contributi, a non poter riscuotere le prestazioni maturate. Si tratta di una politica cinica e inaccettabile, soprattutto per un Paese come l'Italia che è riuscito invece ad ottenere simili accordi con tutti gli Stati in cui i nostri connazionali sono emigrati;
    la situazione descritta appare ancora più paradossale se si osserva il regime molto più avanzato istituito dai regolamenti comunitari, secondo i quali i lavoratori di Paesi terzi che hanno circolato sul territorio dell'Unione europea possono beneficiare della totalizzazione dei contributi, anche se l'Italia non ha stipulato una convenzione in tal senso con i Paesi di origine;
    in questa situazione il diritto alla pensione rischia di rimanere un miraggio per i lavoratori stranieri (e senegalesi in particolare), per lo meno per coloro che sono orientati al rientro e che sono animati da un progetto migratorio di natura circolare; l'impossibilità di godere la pensione finisce per incentivare il lavoro nero e lascia inoltre il lavoratore migrante privo di qualsiasi supporto materiale nel momento in cui decide di intraprendere quel difficile cammino di ritorno nel Paese di origine, che spesso consiste in una vera e propria «migrazione all'incontrario»;
    in data 27 maggio 2014 diversi parlamentari della Camera hanno presentato al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale l'interpellanza n. 2-00555, con la quale è stata sollecitata l'adozione rapida di un accordo bilaterale con il Senegal. Con la detta interpellanza si chiedeva ai Ministri indicati di riferire in merito allo stato «dei rapporti tra la delegazione italiana e quella senegalese nella stipula di una convenzione in tema di sicurezza sociale e se sia intenzione del Governo e, in caso di risposta affermativa, con quali tempi, modalità e contenuti, riprendere i contatti con il Senegal per l'adozione di un accordo bilaterale»;
    nella seduta del 5 giugno 2014 il Sottosegretario al lavoro e alle politiche sociali Massimo Cassano rispondeva in Aula all'interpellanza, confermando la validità dello strumento delle convenzioni bilaterali in quanto teso a «rimuovere gli ostacoli che potrebbero precludere ai lavoratori migranti il pieno godimento dei diritti previdenziali»;
    il Governo dunque, pur manifestando l'esigenza di tenere conto degli effetti finanziari derivanti dall'adozione di tale tipologia di accordi, manifestava il proprio interesse alla tematica in questione anzi ricordava l'impegno profuso dal Ministero degli affari esteri nel favorire il rientro in Patria dei migranti senegalesi con programmi specifici di accesso al credito e di sviluppo del settore privato;
    rimane comunque ineludibile il dato di fatto secondo cui i lavoratori senegalesi (e stranieri in generale) contribuiscono alle entrate dell'Inps versando i contributi, ma quasi mai riescono a raggiungere la pensione perché solitamente rientrano nel Paese di origine prima di aver raggiunto l'età prescritta o l'ammontare minimo dei versamenti previsti dalla legge. Questa situazione, secondo i dati elaborati dall’European Migration Network – Italia nella pubblicazione dell'aprile 2014 (a cura del Ministero dell'interno) dal titolo «Immigrati e sicurezza sociale», determina il fatto che gli immigrati pagano ogni anno 7 miliardi di euro di contributi ma non ricevono quasi nulla in termini di pensione. Benché gli stranieri nel nostro Paese rappresentino circa il 13 per cento della forza lavoro, percepiscono solo lo 0,2 per cento delle pensioni complessivamente pagate dall'Inps;
    per correggere questo disequilibrio, almeno per quel che riguardo la comunità senegalese in Italia, appare necessaria la riattivazione di quello strumento che sin dai primi anni del Novecento ha sempre accompagnato i processi migratori: quello della stipula di accordi bilaterali tra Paesi di emigrazione e Paesi di destinazione,

impegnano il Governo:

   a riprendere i rapporti con il Senegal per la stipula di una convenzione bilaterale in tema di sicurezza sociale;
   a fare in modo che nella detta convenzione venga garantita nello specifico l'esportabilità delle prestazioni, la totalizzazione dei contributi e il godimento della pensione, anche da parte del lavoratore straniero rimpatriato prima di aver raggiunto l'età pensionabile;
   a fissare, nel corpo della detta convenzione, l'età in cui sia consentito, in caso di rientro in Senegal, il godimento dei diritti previdenziali acquisiti, tenuto conto che l'aspettativa di vita media in Senegal ad oggi raggiunge a stento l'età di 63 anni (fonte United Nations Development Programme);
   ad assumere iniziative per l'avvio di un'interlocuzione anche tra l'INPS e l'ente omologo senegalese IPRES al fine di affrontare, coordinare e risolvere le problematiche scaturenti dalle diverse tradizioni giuridiche dei due Paesi, ad esempio in tema di poligamia o di differente periodicità nell'erogazione delle prestazioni;
   ad avviare i colloqui con la delegazione senegalese, anche al fine di valorizzare i programmi esistenti di supporto all'imprenditoria dei lavoratori senegalesi migranti con progetti di rientro in Senegal;
   a valorizzare, nel contesto dell'auspicata stipula della detta convenzione, il ruolo e il contributo della diaspora senegalese in Italia nella cooperazione internazionale tra Italia e Senegal;
   a predisporre un piano integrato di sostegno al rientro volontario e consapevole dei migranti senegalesi che faccia leva, oltre che sul migliore godimento dei diritti previdenziali, sulla valorizzazione delle competenze dei migranti e sul ruolo di supporto delle associazioni senegalesi operanti in Italia e in Senegal;
   a convocare, nel contesto del rinnovato impegno a favore della stipula della convenzione bilaterale, un'assise internazionale di studio e di promozione del ruolo della diaspora senegalese nel rafforzamento del rapporto di cooperazione e di amicizia tra Italia e Senegal.
(7-00534) «Palazzotto, Airaudo, Placido».


   Le Commissioni VIII e X,
   premesso che:
    in questi ultimi anni sono considerevolmente aumentate le richieste di nuovi permessi per produrre elettricità da risorse geotermiche. Il Piano di azione italiano per le rinnovabili (PAN), prevede per questa fonte un notevole sviluppo, e fissa obiettivi importanti al 2020 per la geotermia nel settore elettrico: aumenti della capacità stimati in circa 170 megawatt, dal 2010 al 2020, e della produzione annua di circa 1.100 GWh;
    nel nostro Paese la produzione geotermoelettrica ha avuto, dal 1990 al 2010, un aumento del 65 per cento circa passando da 3.222 GWh/anno a 5.343 GWh/anno, contribuendo a ridurre la dipendenza energetica nazionale dall'estero e a contenere le emissioni di gas serra;
    con l'obiettivo di promuovere la ricerca e lo sviluppo di nuove centrali geotermoelettriche a ridotto impatto ambientale, il decreto legislativo n. 22 del 2010, come modificato dal decreto legislativo n. 28 del 2011 ha definito di interesse nazionale i fluidi geotermici a media ed alta entalpia finalizzati alla sperimentazione, su tutto il territorio nazionale, di impianti pilota con reiniezione del fluido geotermico nelle stesse formazioni di provenienza e comunque con emissioni nulle e con potenza nominale installata non superiore a 5 megawatt altresì per ciascuna centrale. L'autorità competente per il conferimento dei relativi titoli minerari è il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che sono tenuti ad acquisire l'intesa con la regione interessata;
    il decreto-legge 83 del 2013 ha quindi inserito (articolo 38-ter) l'energia geotermica tra le fonti energetiche strategiche. Successivamente, con l'articolo 41, comma 7-bis, del decreto-legge 69 del 2013, si è stabilito che gli impianti geotermici pilota sono di competenza statale. I progetti geotermici pilota sono quindi sottoposti alla valutazione di impatto ambientale di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
    detta legge ha inoltre previsto per gli stessi impianti la loro esclusione dall'applicazione del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 (di recepimento della direttiva 96/82/CE, cosiddetta «Direttiva Seveso»), producendo legittime preoccupazioni rispetto alla loro sicurezza nelle operazioni di trivellazione ed esercizio, con particolare riferimento alla prevenzione di incidenti rilevanti connessi a determinate sostanze pericolose;
    per quanto concerne gli incentivi, il decreto ministeriale del 6 luglio 2012, relativo all'incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili diverse dalla solare fotovoltaica, ha previsto specifici incentivi per gli impianti geotermici ad autorizzazione regionale assoggettati alla doppia fase di ricerca e concessione, mentre il medesimo decreto ha previsto degli incentivi maggiori (oltre che a un iter autorizzativo più semplificato) per gli impianti pilota sperimentali di potenza fino a 5 megawatt;
    contestualmente allo sviluppo dell'utilizzo della risorsa geotermica, si sono sempre più sollevate perplessità sugli impatti negativi legati alle procedure connesse ad alcune tipologie di sfruttamento geotermico per la produzione di energia elettrica: impatti sulla salute, depauperamento delle risorse idriche, rischi di sismicità indotta e innescata, subsidenza e, in genere, inquinamento ambientale. E ciò ha acuito le preoccupazioni e le perplessità da parte delle regioni e delle comunità interessate da progetti pilota per la geotermia, relativamente all'impatto che i relativi impianti potrebbero avere sull'assetto geologico e ambientale del loro territorio;
    ricordiamo che il 10 aprile 2014, sulla rivista scientifica specializzata Science, si sono messi in evidenza i risultati della relazione della suddetta commissione tecnico-scientifica ICHESE (International commission on hidrocarbons, exploration and seismicity in Emilia region) istituita dal dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri su richiesta del presidente della regione Emilia, con il compito di valutare i possibili collegamenti tra la produzione di idrocarburi e i terremoti del 20 e 29 maggio 2012 e comunque con l'aumento della sismicità nel territorio dell'Emilia Romagna;
    la commissione internazionale ICHESE ha consegnato il rapporto il 13 febbraio 2014. Il 17 febbraio 2014 il dipartimento ha trasmesso il rapporto alla regione e, nella relazione conclusiva, si legge come: «...non si può escludere che le attività estrattive effettuate nel giacimento in località Cavone di Mirandola (Modena) possano avere innescato il sisma del 20 maggio 2012, il cui epicentro si trova a 20 chilometri di distanza, anche in relazione all'incremento delle attività estrattive nel pozzo a partire dall'aprile 2011. Variazioni di sforzi e pressioni all'interno della crosta terrestre, dovute sia all'estrazione di greggio che all'iniezione di fluidi pressurizzati per facilitarne l'uscita, possono non essere stati sufficienti a produrre un terremoto così violento, ma è possibile che la faglia responsabile dell'evento del 20 maggio 2012 si trovasse già vicina al punto di scivolamento, e che le variazioni prodotte dall'uomo nella crosta, benché estremamente piccole, siano state sufficienti per “innescare” il terremoto»;
    è importante sottolineare come, secondo le raccomandazioni della Commissione ICHESE, le attività di sfruttamento di idrocarburi e dell'energia geotermica, devono essere accompagnate da reti di monitoraggio ad alta tecnologia, finalizzate a seguire l'evoluzione nel tempo di tre aspetti fondamentali: l'attività microsismica, le deformazioni del suolo, la pressione di poro;
    a seguito di dette raccomandazioni, la Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie (CIRM) del Ministero dello sviluppo economico, ha istituito il 27 febbraio 2014, un gruppo di lavoro per la definizione di linee guida per i monitoraggi microsismici, delle deformazioni del suolo e delle pressioni di poro in presenza di attività di sfruttamento del sottosuolo;
    un ulteriore gruppo di lavoro è stato costituito, in ambito ISPRA, dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per definire dettagliatamente lo stato della sismicità indotta e provocata dall'attività antropica nel nostro Paese;
    la Rete nazionale no geotermia elettrica speculativa e inquinante con una nota al Governo del 28 aprile 2014, ha sollecitato la richiesta di un provvedimento di moratoria sospensivo di tutte le procedure in atto relative a permessi di sfruttamento geotermico sia di tipo binario (in modo specifico quelli definiti «pilota» in quanto autorizzati sulla base di conoscenze di bibliografia; con iter amministrativi semplificati, e con incentivi maggiori rispetto agli altri impianti binari), che utilizzanti tecnologia «flash» come quella per gli impianti di ENEL Green Power dell'Amiata;
    nella geotermia tradizionale e convenzionale si usa il cosiddetto ciclo flash, che disperde in atmosfera gran parte dell'acqua calda o dei vapori intercettati in profondità. Solo una parte di quest'acqua viene reimmessa dopo essere stata recuperata. La situazione ambientale è relativamente sostenibile se il ciclo flash viene usato in aree dove dal profondo della terra non emergono CO2 e inquinanti. Se invece, come per esempio in Amiata, dai pozzi insieme all'acqua emergono gas e sostanze inquinanti, oltre a una elevata quantità di CO2, la crisi ambientale rischia di diventare inevitabile;
    le tecnologie cosiddette «flash», lo dimostrano i dati sanitari del Monte Amiata, sono così inquinanti da aver trasformato la montagna amiatina in uno dei siti inquinati del nostro Paese;
    ciascuna centrale geotermica emette nell'atmosfera, oltre a vapore di acqua e anidride carbonica, vapori di mercurio, arsenico, acido solfidrico, ammoniaca ed altri inquinanti provocando gravi danni all'ambiente e alla salute degli abitanti interessati;
    peraltro, proprio riguarda l'Amiata, il serbatoio geotermico, dal quale sono estratte migliaia di tonnellate di vapore, è ad acqua dominante. La produzione di energia comporta un consumo di milioni di metri cubi di acqua proveniente anche dagli acquiferi superficiali oltre che da quelli termali e geotermici. I serbatoi geotermici perdono vigore nel tempo e nell'arco di un decennio la portata iniziale si riduce di circa il 30 per cento, fino a mettere il pozzo di estrazione fuori produzione;
    in data 6 novembre 2013 dal sito del quotidiano Il Tirreno un articolo a firma di Francesca Ferri riportava la seguente notizia — «Il “caso geotermia” in Amiata entra nei lavori del 27o congresso dell'Associazione italiana di epidemiologia, a Roma, e lascia il segno. I partecipanti — scienziati e ricercatori di varie università e istituti di ricerca — non sono rimasti indifferenti ai dati relativi alle sostanze inquinanti rilasciate in atmosfera dalle cinque centrali amiatine e certificate dall'Arpat [...] né alle 54 relazioni, certificate dallo studio epidemiologico dell'Agenzia regionale di sanità (Ars) della Toscana tra incrementi di malattie e concentrazioni crescenti degli inquinanti prodotti dalle centrali»;
    il territorio italiano, e in particolare Toscana, Umbria e Lazio è ricco di riserve di calore sotterraneo: 45 sono i permessi di ricerca concessi, e circa altrettante le domande arrivate al Ministero dello sviluppo economico. Proprio nella zona geografica alla convergenza di queste tre regioni, diversi comuni fra cui Orvieto, Acquapendente e Montefiascone, si sono attivati per bloccare il progetto di una centrale geotermica a Castel Giorgio, a nord est del lago di Bolsena. Di mezzo ci sono la sicurezza di una falda acquifera e la stabilità di interi paesi costruiti sul tufo;
    tra le numerose richieste di permessi di ricerca, molte riguardano proprio territori laziali, come la provincia di Viterbo, che presentano problemi sanitari e ambientali legati alla presenza di arsenico nelle falde idropotabili, con il rischio che le eventuali trivellazioni in profondità possano portare a un incremento dei fluidi a elevato contenuto di arsenico;
    va comunque evidenziato come accanto alla tecnica del ciclo flash, dannosa per la salute e l'ambiente, esiste la tecnica del ciclo binario. Il ciclo binario abbinato alla reimmissione totale dei fluidi e dei gas è decisamente meno invasivo, e ha contribuito a determinare lo sviluppo internazionale della geotermia;
    in ambito sia europeo che italiano il fenomeno geotermico è finora stato approcciato con eccessiva generalizzazione e non tiene conto delle singole realtà, come dimostra il caso Amiata suesposto,

impegnano il Governo:

   a favorire e sostenere l'uso della risorsa geotermica solo laddove compatibile con la piena tutela, e salvaguardia ambientale e sanitaria, approfondendo le criticità e gli impatti delle varie tecnologie ed adeguando la normativa in modo conseguente, avviando a tal fine una mappatura del territorio nazionale e individuando le zone di esclusione dove gli impianti geotermici presentano rischi eccessivi o comunque si presentano fortemente impattanti e quindi non sostenibili;
   ad assumere iniziative per rivedere gli attuali meccanismi incentivanti garantiti al geotermico, in quanto fonte rinnovabile, al fine di confermare detti incentivi solo qualora la produzione di energia non comporta consumo di acqua proveniente dagli acquiferi superficiali oltre che da quelli termali e geotermici;
   a prevedere una moratoria sui progetti pilota di impianti geotermici e delle procedure autorizzative in atto relative allo sfruttamento geotermico e più in generale a permessi di trivellazione, in attesa almeno delle conclusioni del gruppo di lavoro istituito per la definizione di linee guida per i monitoraggi microsismici, delle deformazioni del suolo e delle pressioni di poro in presenza di attività di sfruttamento del sottosuolo, come richiesti nelle raccomandazioni della Commissione ICHESE esposte in premessa;
   ad assumere le opportune iniziative normative, volte ad assegnare alle regioni interessate la competenza in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA), anche per gli impianti geotermici pilota;
   ad assumere iniziative per rivedere le modificazioni apportate al decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, che ha disposto, per gli impianti geotermici pilota, l'esclusione dall'applicazione del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 (di recepimento della cosiddetta «direttiva Seveso»), concernente il controllo dei rischi da incidente rilevante che coinvolgano sostanze pericolose;
   a favorire lo sviluppo e la diffusione della geotermia a bassa entalpia, ossia ad impianti che sfruttano il calore a piccole profondità, per l'importante contributo che può dare alla riduzione del fabbisogno energetico del patrimonio edilizio italiano.
(7-00529) «Pellegrino, Zaccagnini, Ricciatti, Zaratti, Ferrara, Nicchi».


   L'VIII e la X Commissione,
   premesso che:
    alla geotermia non possono essere attribuite valutazioni univoche e valide, in termini di sostenibilità e rinnovabilità, per ogni casistica, essendo un'attività che richiede di essere collocata in aree industriali ed è fortemente condizionata dalle riserve idriche, dalle caratteristiche geochimiche del sottosuolo, dall'assetto geo-tettonico e dalle tecnologie usate; le generalizzazioni, comunemente riscontrate in ambito normativo europeo e italiano, sulla energia geotermica non sono rispettose della realtà scientifica, della difesa della salute, del paesaggio e dell'ambiente;
    il decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22 che abroga le precedenti disposizioni in materia fissate dalla legge 9 dicembre 1986, n. 896, semplifica le procedure d'assegnazione in concessione delle risorse geotermiche e le regole per ottenerne le autorizzazioni, con lo scopo di facilitare l'uso della geotermia a fini energetici e di ridurre le emissioni di anidride carbonica;
    il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, al fine di promuovere la ricerca e lo sviluppo di nuove centrali geotermoelettriche sperimentali, ha agevolato la possibilità di installare su tutto il territorio nazionale impianti pilota, con potenza nominale installata non superiore a 5 MWe, sancendo che l'autorità competente per il conferimento dei relativi titoli minerari fosse il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con la regione interessata;
    il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, «recante misure urgenti per la crescita del Paese», ha disposto l'inserimento dell'energia geotermica tra le fonti energetiche strategiche;
    il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, recante «disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», ha stabilito che gli impianti geotermici pilota sono di competenza statale e che pertanto sono sottoposti alla valutazione di impatto ambientale di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e ha, inoltre, stabilito (per gli stessi impianti) l'esclusione dalle previsioni della «direttiva Seveso» (direttiva 96/82/CE), generando preoccupazioni rispetto alla loro sicurezza nelle operazioni di esercizio, con particolare riferimento alla prevenzione di incidenti connessi alla presenza di sostanze pericolose;
    il decreto ministeriale 6 luglio 2012, in attuazione all'articolo 24 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, introduce una incentivazione «base» per gli impianti geotermici ad autorizzazione regionale assoggettati alla doppia fase di ricerca e poi concessione, ma introducendo una incentivazione maggiore per gli impianti pilota sperimentali di potenza fino a 5 megawatt (per una potenza complessiva fino a 50 megawatt), ponendo una condizione paradossale in cui impianti di maggiore potenza, sperimentali e potenzialmente pericolosi, hanno un iter autorizzativo semplificato e un incentivo maggiorato;
    l'evoluzione della normativa in materia di geotermia, non ha tenuto conto del parallelo sviluppo delle conoscenze scientifiche, che in recentissimi studi (a titolo di esempio non esaustivo si citano i lavori Ichese, Basosi, Borgia, Mucciarelli, Margottini e Valentini) hanno dimostrato l'impatto negativo che certe tecniche connesse alla coltivazione geotermica possono avere sul territorio (anche in termini di sismicità indotta), sull'ambiente e sulla salute pubblica; soltanto in Amiata (Toscana) le attività connesse allo sfruttamento geotermico rilasciano nell'atmosfera circa 2700 tonnellate di acido solforico, 28,97 chili di arsenico, 2460 tonnellate di ammonio, 889 chili di mercurio, 11,01 tonnellate di acido borico e 655.248 tonnellate di anidride carbonica all'anno, un quantitativo, quest'ultimo, paragonabile ad una centrale alimentata da combustibili fossili;
    nelle aree sede di centrali geotermoelettriche, oltre al danno paesaggistico (presenza di strutture esteticamente sgradevoli in aree di interesse naturalistico), si sono verificati casi di danno ambientale e sanitario, connessi all'avvelenamento di importantissime falde idriche potabili che forniscono acqua ad aree limitrofe o distanti e l'immissione di inquinanti tossici nell'atmosfera con conseguente aumento del tasso di mortalità e morbilità fino al 13 per cento nelle popolazioni residenti;
    i danni ambientali e sanitari maggiori sono documentati per impianti che impiegano le ormai antiquate tecnologie flash (scarico di gas e vapori in atmosfera) e per impianti a tecnologia binaria (con reimmissione dei vapori nel sottosuolo) che coinvolgono falde idropotabili (normalmente in collegamento con le falde geotermiche attraverso fratture nelle rocce o camini vulcanici);
    nelle aree sede di tali centrali, non è mai stata effettuata alcuna valutazione riguardante gli impatti sull'economia locale, non è mai stato pubblicato un bilancio idrico e spesso non è stata effettuata, o quantomeno resa pubblica, alcuna valutazione di rischio idrologico, idrogeologico o sismico;
    nonostante negli ultimi anni in Italia siano aumentate esponenzialmente le domande di autorizzazione alla ricerca per lo sfruttamento della risorsa geotermica, non esiste, ad oggi, una zonazione del territorio nazionale che evidenzi le aree di compatibilità in cui possano con ragionevole certezza essere esclusi rischi di sismicità indotta o provocata, di potenziale inquinamento delle falde idropotabili e di inquinamento atmosferico ed acustico, né esiste alcuna forma di tutela per le aree di pregio paesaggistico o di interesse architettonico, culturale e naturalistico: infatti non esistono ancora i nuovi «indirizzi e linee guida», né è stata effettuata alcuna revisione del quadro normativo resosi necessaria per la geotermia elettrica; quindi non possono essere fornite valutazioni scientifiche certe alle istanze di perforazione del sottosuolo in corso di approvazione;
    le stesse regioni Lombardia ed Emilia-Romagna, con atti rispettivamente del 20 marzo 2014 e 23 aprile 2014, hanno deliberato, in via cautelativa, una moratoria per tutte le attività concernenti la perforazione del sottosuolo, in attesa della definizione di «Indirizzi e Linee Guida» la cui stesura è stata affidata dal Governo ad un gruppo di lavoro recentemente costituito;

impegnano il Governo

   a predisporre attraverso i previsti «indirizzi e linee guida» e la revisione del quadro normativo per la geotermia elettrica una «zonazione» del territorio su basi geologiche, sismotettoniche ed idrogeologiche per identificare le aree che, già individuate dagli strumenti urbanistici come idonee per insediamenti industriali, siano adatte ad ospitare insediamenti geotermici e le aree in cui vietare il rilascio di concessioni di ricerca e la realizzazione di impianti geotermici al fine di evitare potenziali fonti di inquinamento ambientale e pericoli per la salute dei cittadini residenti in tali aree;
   ad assumere iniziative per introdurre dei vincoli alle concessioni di ricerca e alla realizzazione di impianti geotermici in base alla vicinanza di aree di produzioni agricole di qualità;
   a subordinare il rilascio di concessioni ad una valutazione di impatto economico sulle attività produttive locali e alla stesura del bilancio idrico;
   ad adottare una moratoria sugli impianti geotermici, sulle trivellazioni profonde e sui progetti di impianti geotermici, ad eccezione di quelli finalizzati unicamente all'utilizzo diretto del calore, almeno fino alla emanazione da parte del Governo degli «indirizzi e linee guida» e del quadro normativo, che permettano di valutare il rischio ambientale e sismico connesso alle attività antropiche effettuate in profondità, con particolare riferimento agli impianti geotermici pilota attualmente in fase di valutazione di impatto ambientale presso Castel Giorgio (Umbria) e Montenero (Toscana) e agli impianti «flash» in Amiata (Toscana);
   ad assumere iniziative per inserire nella regolamentazione, con opportune penali, l'obbligo della sigillatura del pozzo atta ad evitare la possibilità di scambio tra falde idriche diverse e l'obbligo di evitare il depauperamento della risorsa idrica di falda e di superficie sia in termini quantitativi che qualitativi;
   a considerare nelle linee guida richiamate in premessa, oltre al concetto di rinnovabilità delle fonti energetiche, anche il concetto di sostenibilità ambientale, con particolare riferimento al chimismo dei fluidi e delle falde;
   a valutare la possibilità di riconsiderare – anche in sede europea – la classificazione delle fonti energetiche effettivamente rinnovabili e meritevoli di incentivazione pubblica, con particolare riferimento alla possibilità di non annoverare più tra esse lo sfruttamento delle acque sotterranee riscaldate da gradienti di temperatura ma solo lo sfruttamento diretto del calore ivi presente;
   a concedere la qualifica di impianto pilota solo ad impianti per cui il contributo di innovazione e sperimentazione sia attestato da specifico brevetto nazionale per il quale venga dimostrato, sulla base di documentate evidenze tecnico-scientifiche, l'impiego di tecniche di coltivazione, di uso diretto del calore o di trasformazione del calore endogeno in energia elettrica migliori in termini ambientali aspetto alle tecniche standard;
   ad assumere iniziative dirette a rivedere la norma contenuta nella legge 9 agosto 2013, n. 98 richiamata in premessa per includere di nuovo le previsioni della «direttiva Seveso» nelle operazioni di trivellazione ed esercizio degli impianti geotermici pilota, con particolare riferimento alla prevenzione di incidenti rilevanti ed all'assenza ex lege dei requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione territoriale, con riferimento alla destinazione e utilizzazione dei suoli che tengano conto della necessità di mantenere le opportune distanze tra stabilimenti e zone residenziali o frequentate dal pubblico;
   ad assumere iniziative dirette ad armonizzare i diversi regimi di incentivazione attualmente vigenti per gli impianti geotermici pilota e quelli ad autorizzazione regionale utilizzanti le stesse tecnologie;
   ad assumere iniziative dirette a subordinare il rilascio delle concessioni alla stipula di una polizza fidejussoria a garanzia di eventuali danni all'ambiente, alla salute pubblica e alle attività produttive circostanti;
   a prevedere nella fase prerealizzativa un pieno coinvolgimento delle amministrazioni e delle popolazione locali nel processo decisionale favorendo l'eventuale applicazione del principio di precauzione;
   ad assumere iniziative normative affinché siano favoriti processi secondo cui le amministrazioni comunali coinvolte possano entrare nella compagine societaria al fine di mantenere un controllo pubblico sugli impianti;
   ad assumere iniziative normative affinché per gli impianti già a regime e per quelli che eventualmente verranno realizzati sia previsto (pena la sospensione della concessione) un sistema di controlli ambientali effettuati dalla competente Agenzia Regionale per la Protezione ambientale, a spese del concessionario, volti a verificare (pena la sospensione della concessione) che le acque destinate al consumo umano soddisfino i requisiti del decreto legislativo n. 31 del 2001, che le altre matrici ambientali non risultino contaminate e che la sismicità non aumenti significativamente prevedendo anche che i risultati dei controlli e dei monitoraggi supplementari siano divulgati al pubblico entro 15 giorni per il tramite dei siti WEB del gestore, dell'autorità ambito e dell'agenzia ambientale competente per quel territorio.
(7-00530) «Segoni, Daga, Zolezzi, Vallascas, Da Villa, De Rosa, Busto, Mannino, Terzoni, Micillo, Massimiliano Bernini, Artini, Crippa, Prodani, Della Valle, Fantinati, Mucci, Tofalo».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    ai sensi dell'articolo 11.4 della direttiva sui rifiuti 2008/98/CE, entro il 31 dicembre 2014 al più tardi, la Commissione europea dovrà esaminare le misure e gli obiettivi di riciclo di cui al paragrafo 2, al fine di, se necessario, rafforzare gli obiettivi e di considerare la fissazione di obiettivi di riciclo per altre tipologie di rifiuti;
    la direttiva rifiuti 2008/98/CE definisce «Rigenerazione degli oli usati» qualsiasi operazione di riciclo ove gli oli base possono essere prodotti da raffinazione degli oli usati, in particolare rimuovendo contaminanti, prodotti di ossidazione e additivi. È un dato di fatto che i lubrificanti contengono l'85 per cento, di olio e il 15 per cento di additivi. Attraverso l'uso del lubrificante, il 15 per cento di additivi si consuma mentre il 85 per cento di olio non deperisce ed è perfettamente riutilizzabile;
    il pacchetto della Commissione europea «Verso un'economia circolare» pubblicato il 2 luglio 2014 comprende la proposta di revisione della direttiva sui rifiuti 2008/98/EC. La direttiva del Consiglio 75/439/EEC del 16 giugno 1975 sullo smaltimento degli oli usati è stata abrogata con la direttiva rifiuti 2008/98/EC, che è diventata la legislazione di riferimento sullo smaltimento degli oli usati;
    la consultazione pubblica condotta dalla Commissione europea per la revisione della direttiva ha mostrato un chiaro supporto per l'introduzione di target addizionali per le varie tipologie di rifiuti industriali. Più dell'86 per cento di tutte le autorità pubbliche che hanno partecipato alla consultazione si è mostrato favorevole all'introduzione di tipologie di rifiuti aggiuntivi, che indicherebbe un forte sostegno per target addizionali per gli oli usati negli Stati membri;
    la revisione della direttiva sui rifiuti rappresenta un elemento importante per il raggiungimento degli obiettivi relativi all'utilizzo efficiente delle risorse fissati dall'Unione europea. La piattaforma Resource Efficiency dell'Unione europea è un'iniziativa tesa ad esplorare nuovi percorsi per una transizione verso un'economia che permetta un utilizzo più efficiente delle risorse;
    come sottolineato nella piattaforma, «la Commissione dovrebbe riesaminare gli obiettivi europei di gestione e prevenzione dei rifiuti, e incoraggiare gli Stati membri a passare ad un'economia circolare con adeguata raccolta e trattamento, riciclo di alta qualità, graduale eliminazione delle discariche e riduzione dei rifiuti residui al minimo;»;
    allo stesso modo, il 7o Programma d'azione ambientale prevede che la corretta attuazione della legislazione europea sui rifiuti e la rigorosa applicazione della «gerarchia dei rifiuti» è un presupposto per trasformare i rifiuti in risorsa;
    la riraffinazione degli oli usati è un eccellente esempio di utilizzo efficiente delle risorse per quanto riguarda una tipologia di rifiuti pericolosi. Sistemi di raccolta per gli oli usati sono in vigore nella maggior parte degli Stati membri e la riraffinazione è tecnicamente fattibile e altamente sviluppata in numerosi paesi. Inoltre, gli oli usati possono essere riciclati numero illimitato di volte senza che l'olio di base prodotto perda in qualità;
    il riciclo dell'olio usato riduce il peso ambientale della produzione primaria di lubrificanti. Se paragonata alla produzione primaria di lubrificanti da greggio, l'olio riciclato risparmia fino al 30 per cento dell'energia necessaria per la produzione di basi lubrificanti;
    la Commissione europea ha delineato nel suo Programma d'azione ambientale per il 2020 che il recupero di energia dovrebbe essere limitato a prodotti non riciclabili, che possono essere supportati con obiettivi di riciclo. I moderni lubrificanti riraffinati soddisfano standard elevati in termini di basso contenuto di zolfo, di fosforo e di polinucleari aromatici;
    gli oli lubrificanti usati rappresentano la mole più grande di rifiuti pericolosi liquidi non acquosi al mondo. Gli obiettivi di riciclo si traducono in più alti tassi di raccolta, che riducono i potenziali gravi rischi per la salute umana e l'ambiente, derivanti da sversamenti illegali in acqua, suolo o combustione incontrollata. Gli sversamenti illegali di oli usati nell'acqua possono avere impatti negativi sull'ambiente – alcune stime indicano che un gallone (circa 4 litri) di olio sversato nell'acqua può contaminare fino ad un milione di galloni di acqua pulita;
    promuovere con l'aiuto di target, il riciclo degli oli usati favorirebbe gli obiettivi dell'Unione europea per la riduzione di emissioni di CO2. A questo proposito l'industria della rigenerazione degli oli usati ha il grande potenziale di essere complementare ad altre iniziative di riduzione di CO2. L'aumento di percentuali di riciclo sostenute da obiettivi di riciclo, secondo alcune stime, farebbe risparmiare annualmente fino a 247 milioni di tonnellate di CO2 per tutte le tipologie di rifiuti;
   ulteriori risparmi di CO2 potrebbero anche derivare dalle industrie energivore che attualmente usano oli usati per la combustione. In aggiunta, la riraffinazione di oli usati contribuisce al risparmio energetico. Ad esempio in Italia l'88 per cento degli oli usati sono riraffinati, mentre il 12 per cento, considerato non rigenerabile, viene indirizzato verso la combustione controllata nei cementifici – in questo modo sono stati risparmiati 1,5 miliardi di euro sulla bolletta energetica (ad esempio sulle importazioni di petrolio). Stime indicano che il riciclo dell'olio usato può far risparmiare fino a 10 milioni di barili di petrolio annualmente;
   il riciclo dell'olio usato è una parte importante della produzione indipendente di lubrificanti, che rappresenta un terzo in volume del totale del mercato europeo dei lubrificanti. Gli obiettivi di riciclo aiutano a mantenere in equilibrio il mercato degli oli e dei lubrificanti, poiché la riraffinazione può contribuire fino al 30 per cento del mercato dei lubrificanti in Europa;
    la sicurezza delle risorse fossili da Paesi terzi necessaria per la produzione di lubrificanti primari rappresenta una forte preoccupazione data la domanda crescente di energia da parte dei mercati emergenti come Cina e India. Stabilendo target di riciclo vincolanti, l'industria del riciclo può contribuire ad assicurare un'offerta di oli base necessari per la crescita economica europea del futuro e per un'industria europea competitiva,

impegna il Governo

a sostenere, nell'ambito dei negoziati relativi alla modifica della direttiva 2008/98/CE, l'introduzione di target vincolanti per la raccolta e il riciclo di olio usato con l'obiettivo di aumentare le percentuali di riciclo al 2030.
(7-00532) «Mariani, Realacci, Braga, Borghi, Bratti».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    nell'ambito delle politiche dell'Unione europea dirette a sostenere e a promuovere il settore agricolo e lo sviluppo rurale, particolare importanza riveste il regolamento (UE) n. 1305/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013, relativo al sostegno allo sviluppo rurale da parte del fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), che abroga il regolamento (CE) n. 1698/2005 del Consiglio;
    la politica comunitaria in favore dello sviluppo rurale integra i pagamenti diretti e le misure di mercato della politica agricola comune, contribuendo, così, al conseguimento degli obiettivi di politica agricola enunciati dal trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE);
    la politica di sviluppo rurale dell'Unione europea, fa, inoltre, propri i principali obiettivi strategici enunciati nella comunicazione della Commissione del 3 marzo 2010, intitolata «Europa 2020. Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva» (Strategia Europa 2020);
    secondo le premesse recate dal regolamento in questione, lo sviluppo rurale rientra tra quegli obiettivi che meglio possono essere perseguiti, a livello di Unione europea, in considerazione dei legami tra lo sviluppo rurale e gli altri strumenti della politica agricola comune, delle ampie disparità esistenti tra le varie zone rurali e delle limitate risorse finanziarie di cui dispongono gli stessi Stati membri;
    per garantire lo sviluppo sostenibile delle zone rurali, il regolamento in esame fa perno su un numero limitato di obiettivi essenziali, quali quelli concernenti: il trasferimento di conoscenze e l'innovazione nel settore agricolo, forestale e nelle zone rurali; il potenziamento in tutte le regioni della redditività e della competitività delle aziende agricole; la promozione di tecnologie innovative per le aziende agricole; la gestione sostenibile delle foreste; l'organizzazione della filiera agroalimentare, compresa la trasformazione e la commercializzazione di prodotti agricoli; il benessere degli animali; la gestione dei rischi inerenti all'agricoltura; la salvaguardia, il ripristino e la valorizzazione degli ecosistemi connessi all'agricoltura e alle foreste, ivi inclusa la biodiversità; la promozione dell'uso efficiente delle risorse e il passaggio a un'economia a basse emissioni di carbonio nel settore agroalimentare e forestale; l'inclusione sociale, la riduzione della povertà e lo sviluppo economico nelle zone rurali;
    ai fini dell'intervento dell'Unione europea nei programmi di sviluppo rurale presentati dagli Stati membri, finanziati per il tramite del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), il regolamento sul sostegno allo sviluppo rurale prevede un procedimento di approvazione dei medesimi programmi da parte della Commissione che si snoda lungo una precisa procedura di elaborazione, di analisi e di proposta di richiesta economica. Innanzitutto, l’iter di valutazione prevede differenti modalità di presentazione dei programmi di sviluppo rurale da parte degli Stati membri. È, infatti, stabilito che uno Stato membro possa presentare un unico programma nazionale per l'insieme del suo territorio o una serie di programmi regionali. In alternativa, è possibile presentare, in casi debitamente motivati, un programma nazionale e una serie di programmi regionali; in tal caso, le misure e le tipologie di intervento devono essere programmate a livello nazionale o regionale, garantendo la coerenza tra le strategie;
    nell'ambito delle priorità perseguite dal regolamento in esame (sei priorità con annesse specifiche sottomisure trasversali), i programmi presentati dagli Stati membri possono riguardare anche meno delle citate sei priorità (ad ogni modo per non meno di quattro), solo se tale scelta è giustificata in base all'analisi della situazione in termini di punti di forza e di debolezza, opportunità e rischi («analisi SWOT») e a una valutazione ex ante. Quando, infine, uno Stato membro decide di presentare un programma nazionale e una serie di programmi regionali, quello nazionale potrà riguardare anche un numero inferiore di quattro priorità;
    nel quadro così definito lo Stato italiano ha deciso di predisporre un proprio programma nazionale di sviluppo rurale, orientandolo su tre priorità: prevenzione e gestione dei rischi aziendali; sostegno per le infrastrutture irrigue; interventi per la cooperazione e il miglioramento genetico e della biodiversità animale;
    in particolare, la misura relativa alla prevenzione e gestione dei rischi aziendali integra quanto previsto in ambito di politica agricola comune. Dal 2010, infatti, gli strumenti di gestione del rischio, in particolare le assicurazioni agevolate, sono entrati a far parte integrante della politica agricola comune, nell'ambito dell'articolo 68 e dell'Organizzazione comune di mercato vino; l'inserimento delle assicurazioni non è stato un evento occasionale, ma solo l'inizio di un processo destinato a crescere, in considerazione del ruolo fondamentale attribuito alla gestione del rischio per la tutela del reddito degli agricoltori. Con un sostegno rafforzato, la nuova politica agricola comune, attraverso le assicurazioni agevolate ed i fondi comuni di mutualizzazione, mira a coprire un numero più ampio di eventi (avversità atmosferiche; fitopatie o infestazioni parassitarie; epizoozie; emergenze ambientali; perdite di reddito), disponendo, quindi, di nuovi strumenti per far fronte alla particolare volatilità dei prezzi ed alle frequenti avversità climatiche;
    trattandosi di un programma di interventi che potrebbe avere impatti significativi sull'ambiente, così come disposto dalla direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001 e come previsto altresì dalla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, la stessa proposta di programma nazionale è stata sottoposta alla prevista procedura di valutazione ambientale strategica in maniera da garantire che dalla sua attuazione si consegua un elevato livello di protezione dell'ambiente e si contribuisca alla sua integrazione con considerazioni ambientali già nelle fasi della sua elaborazione, della sua adozione e della sua approvazione, assicurando che sia coerente e contribuisca alle condizioni per uno sviluppo sostenibile,

impegna il Governo:

   a presentare ai competenti organi parlamentari, la proposta di programma di sviluppo rurale nazionale (PSRN) elaborato ai sensi dell'articolo 6 del regolamento (UE) n. 1305/201 e a tenere conto delle indicazioni formulate in tali sedi ai fini dell'approvazione definitiva del programma stesso e dei documenti che compongono l'intero programma di sviluppo rurale nazionale individuando per ogni intervento programmato la relativa dotazione finanziaria e le modalità di avanzamento dell'intervento, al fine di evitare ritardi nell'attuazione delle misure suscettibili di avere gravi conseguenze, soprattutto sulle misure di gestione del rischio e della biodiversità animale;
   a chiarire se la specifica misura dei piani di sviluppo regionale «Misura 17.1 – Premio assicurativo per il raccolto, gli animali e le piante» che prevede contributi per il pagamento dei premi di assicurazione del raccolto, degli animali e delle piante per le perdite causate da avversità atmosferiche, epizoozie, fitopatie o infestazioni parassitarie ed emergenze ambientali, sia dotata di risorse finanziarie sufficienti a rispondere alla crescente domanda assicurativa degli agricoltori, in virtù della maggiore frequenza delle avversità atmosferiche, conseguenti ai cambiamenti climatici;
   ad individuare le modalità operative per il riconoscimento e la concreta operatività dei fondi di mutualizzazione, vista la loro portata innovativa e le limitatissime esperienze in atto, individuando, altresì, gli interventi necessari per assicurare il coordinamento tra tutti gli attori della politica di gestione del rischio: Ministero, regioni, consorzi di difesa, Ismea e compagnie di assicurazione;
   ad incentivare opere di riassetto idrogeologico di fiumi e torrenti a rischio di esondazione operate dalle aziende agricole con l'intento di ampliare le attività svolte dalle aziende agricole e di migliorare la sicurezza del territorio e rendere noti gli investimenti che possono essere attuati tramite il piano di sviluppo rurale nazionale;
   ad individuare adeguate risorse finanziarie per la costruzione di invasi artificiali all'interno delle aziende agricole o su terreni demaniali da utilizzare nel caso di incendi e per l'irrigazione durante la stagione estiva, al fine di evitare elevate perdite produttive;
   a prevedere specifiche misure a favore della zootecnia e per il miglioramento delle razze equine ai fini del rilancio del comparto ippico nazionale;
   a chiarire le modalità di attuazione della misura sulla biodiversità animale e l'efficacia delle politiche poste in essere per rispondere alle molteplici esigenze di gestione e controllo della genetica animale, con particolare riguardo agli indirizzi per valorizzare il patrimonio genetico, anche con progetti di salvaguardia di razze in via di estinzione, e alla efficacia delle politiche poste in essere per facilitare la registrazione ai libri genealogici e ai registri anagrafici consentendo una maggiore trasparenza e fruibilità dei dati raccolti per incentivare il miglioramento genetico della specie.
(7-00531) «Oliverio, Fiorio, Mongiello, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Carra, Cenni, Cova, Dal Moro, Covello, Marrocu, Palma, Prina, Romanini, Taricco, Tentori, Terrosi, Venittelli, Zanin».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
   il patrimonio forestale nazionale rappresenta un bene economico-sociale di elevato interesse pubblico ed è parte costituente delle risorse ambientali e naturali del Paese ma anche del suo patrimonio storico-culturale, identitario ed economico;
    la materia forestale è un tema d'interesse strategico per l'Italia e trasversale a diverse politiche (economica, ambientale, sociale, culturale), in considerazione anche degli impegni internazionali sottoscritti dal Governo italiano e gli obblighi e le indicazioni comunitarie in materia ambientale e di sviluppo sostenibile che hanno influenzato e che influenzeranno le scelte politiche del nostro Paese;
    come noto, grazie all'inventario nazionale delle foreste e dei serbatoi di carbonio (INFC 2005), il patrimonio forestale nazionale copre oggi il 34 per cento della superficie nazionale, per un totale di oltre 10,5 milioni di ettari. Rispetto al secondo dopoguerra la superficie si è triplicata a discapito di aree agricole e pascolive abbandonate e si continua a registrare un trend positivo con un incremento di oltre 60 mila ettari annui nei soli ultimi 20 anni;
    di questa superficie, il 63 per cento è di proprietà privata e il 32 per cento di proprietà pubblica e in particolare, di questa quota il 66 per cento è in carico ai comuni, mentre il 24 per cento è la proprietà delle regioni e dello Stato;
    l'80 per cento della risorsa bosco è ubicata nelle aree rurali e interne del paese, con problemi complessivi di sviluppo;
    l'86,6 per cento della superficie forestale nazionale è sottoposta a forme di regolamentazione vincolistica (vincolo idrogeologico, paesaggistico) e più del 25 per cento in aree sottoposte a tutela ambientale (parchi, riserve e Rete natura 2000);
    appena il 15,7 per cento dei boschi italiani è regolamentato da strumenti di pianificazione della gestione e si registra un abbandono colturale per oltre il 60 per cento dei boschi nazionali;
    a causa dei frequenti quanto repentini cambiamenti delle condizioni climatiche si assiste a un progressivo intensificarsi dei fenomeni di dissesto e instabilità dei versanti (su 712.000 frane censite in Europa nel 2012, 486.000 ricadono nel territorio italiano e di cui oltre l'80 per cento è localizzato nei territori montani), con gravi problemi di sicurezza, incolumità pubblica e di tutela e mantenimento degli equilibri ecologici;
    secondo i dati forniti dall'Osservatorio foreste INEA la strategia forestale nazionale definita dal Programma Quadro per il settore forestale (approvato in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano il 18 dicembre 2008), rimane ancora inattuata, in particolare a causa della sovrapposizione di competenze e ruoli istituzionali a livello nazionale, regionale e locale che oltre a generare incertezze, contenziosi e appesantimento negli iter burocratici costituiscono un limite, con conseguente immobilismo nella gestione selvicolturale, per la tutela e valorizzazione del patrimonio forestale nazionale a svantaggio delle politiche di sviluppo, di gestione e tutela e conservazione del territorio;
    l'attuale legislazione in materia forestale risulta strettamente legata alle normative vincolistiche di tutela e salvaguardia di altri interessi strettamente pubblici (ambiente, cultura e paesaggio, difesa del suolo, e altro) tendendo, a differenza del resto d'Europa, a limitare le attività di gestione del patrimonio forestale, pubblico e privato;
    gli interventi normativi internazionali, paneuropei e comunitari ribadiscono che la tutela e valorizzazione della risorsa forestale, in particolare in un contesto storicamente antropizzato come quello italiano, sia strettamente collegata a una attiva e sostenibile gestione (in contrapposizione all'abbandono delle attività colturali), strumento fondamentale a garantire nel medio lungo periodo, l'interesse dell'individuo e della collettività, la sicurezza e il presidio del territorio, la salvaguardia del paesaggio e della biodiversità, il contrasto dei fenomeni di abbandono e di declino demografico, il sostegno e il rilancio dei processi di sviluppo socioeconomico locale e del sistema Paese;
    i «Servigi senza prezzo o esternalità positive», che definiscono la multifunzionalità del patrimonio forestale (servizi ricreativi, sociali, culturali e ambientali), sono sempre più riconosciuti e richiesti dalla società moderna ma strettamente collegati alle attività di gestione; inoltre i prodotti forestali e le attività connesse alla gestione e utilizzazione agiscono positivamente sullo sviluppo d'importanti settori economici (costruzioni, pannelli, industria cartaria, riciclo, energia, commercio, agricoltura);
    attualmente sono disponibili annualmente 32,5 milioni di metri cubi di biomasse forestali ma solamente 6,3 (dato Eurostat 2012) vengono effettivamente utilizzati dall'industria del legno e dell'energia. L'utilizzazione delle risorse forestali in Italia si assesta, ufficialmente su una media del 30-35 per cento dell'incremento annuo, valore che rimane molto inferiore alla media europea del 65 per cento;
    l'industria italiana di lavorazione del legno, primo esportatore in Europa e secondo nel mondo in termini di fatturato, importa oltre 80 per cento delle materie prime dall'estero ed in particolare da Paesi in cui i criteri della gestione forestale sostenibile non vengono attuati (in Italia sono stati recepiti dalla normativa nazionale con il decreto legislativo n. 227 del 2001). Inoltre l'Italia è il primo importatore al mondo di biomasse legnose ad uso energetico;
    la filiera foresta-legno si articola in Italia con oltre 125.000 imprese per un totale di circa 620 mila occupati e trova nella gestione forestale la sua base produttiva;
    il patrimonio forestale italiano rappresenta un'economia non delocalizzabile e i settori economici a esso collegato presentano importanti potenzialità, anche nell'ambito della green economy, produttive, occupazionali e di sviluppo in particolare per le aree montane e rurali, senza trascurare i benefici ambientali che una gestione attiva garantisce a tutta la società. Concetto ribadito anche dalla Strategia forestale europea del 2013 (COM(2013)659 final del 20 settembre 2013);
    è di tutta evidenza che il settore forestale e quello del legno italiano non esprimono pienamente le rispettive potenzialità, con gravi conseguenze anche per la salvaguardia dell'ambiente e il presidio del territorio;
    il 2011 è stato l'Anno internazionale delle foreste e l'obiettivo fissato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite che lo ha istituito è quello di sostenere l'impegno verso la gestione sostenibile del patrimonio boschivo a beneficio delle generazioni attuali e future partendo dalla promozione della comunicazione e dell'informazione rispetto agli importanti ruoli che proprio le foreste svolgono;
    nella gestione attiva del territorio l'agricoltura nei campi e la selvicoltura nelle foreste rivestono un ruolo fondamentale per il mantenimento della stabilità ambientale in ambito di biodiversità, ciclo dell'acqua, assetto idrogeologico, fissazione dell'anidride carbonica e prevenzione dei fenomeni di riscaldamento globale, bisogna considerare l'aspetto legato all'economia e al ruolo chiave che la loro gestione potrebbe avere per lo sviluppo di molte aree rurali, intendendo con la parola «gestione forestale» non solo l'utilizzazione della risorsa legno ma anche e soprattutto la valorizzazione dei prodotti non legnosi, produzione di servizi e sviluppo di attività turistiche, ricreative e culturali;
    le foreste accolgono una platea di fruitori in costante aumento e con esigenze diversificate e spesso poco conciliabili, circostanza che richiede l'attivazione urgente di politiche concrete in grado di mediare tra gli interessi produttivi, le necessità ambientali e le esigenze sociali legate al patrimonio forestale; è indispensabile trovare la sintesi tra offerta di prodotti e servizi in grado, da una parte di soddisfare le richieste di approvvigionamento di materia prima e prodotti forestali per le filiere industriali, e dall'altra di garantire la conservazione degli ecosistemi e la loro fruibilità turistica;
    le esigenze ambientali e le necessità produttive stanno alla base della «Gestione Forestale Sostenibile» (GSF), un concetto che ha ricevuto l'ufficialità nel 1992 in occasione della conferenza di Rio de Janeiro e che è stato poi sviluppato nelle Conferenze ministeriale sulla protezione delle foreste in Europa e pianamente recepito e integrato nella normativa nazionale e regionale con il decreto legislativo 227 del 2001;
    nel 2007 con la quinta Conferenza tenutasi a Vienna è stata ribadita la necessità di intraprendere politiche in grado di far conciliare le funzioni economiche e sociali delle foreste con l'esigenza di salvaguardarne le valenze ecologiche, ponendo particolare attenzione sul fondamentale ruolo svolto nella lotta al cambiamento climatico;
    nel 2011 si è svolta a Oslo l'ultima Conferenza internazionale con la quale si è dato mandato a un Comitato intergovernativo di negoziato (INC) di disciplinare la protezione e la gestione sostenibile delle foreste europee attraverso una convenzione giuridicamente vincolante;
    il 20 settembre 2013 la Commissione europea ha presentato la nuova strategia dell'UE per le foreste. Il documento rappresenta la concretizzazione del percorso sopra descritto riconoscendo l'importanza delle foreste e della loro gestione non solo per lo sviluppo rurale ma anche per l'ambiente e la biodiversità, per le industrie forestali, la bioenergia e la lotta contro i cambiamenti climatici. La strategia allarga lo sguardo al di fuori delle foreste prendendo in esame gli effetti positivi che una corretta gestione forestale può far ricadere sul tessuto sociale locale. Punto di partenza della strategia è l'istituzione di un sistema di informazione forestale e la raccolta di dati armonizzati a livello europeo sulle foreste. Per questo motivo all'interno del documento vengono elencati una serie di impegni di cui ogni Stato membro deve farsi carico;
    nel nostro Paese l'attuazione di un indirizzo politico unitario e integrato della gestione delle proprietà forestali (pubbliche, private e collettive) risulta particolarmente difficile, posto che la complessa struttura della nozione ambientale e paesaggistica hanno comportato, nell'evoluzione della disciplina giuridica nazionale, una controversa articolazione della normativa per la sua stessa tutela, conservazione e valorizzazione;
    l'attuale base normativa risulta oggi inadeguata rispetto alle nuove normative comunitarie e alle sempre più crescenti necessità economiche ed esigenze sociali, oltre che insufficiente a garantire un'efficace e diffusa attuazione sul territorio nazionale delle azioni necessarie all'adempimento degli indirizzi e delle linee d'intervento europee e degli impegni internazionali in materia ambientale, energetica e climatica assunti dal nostro Paese;
    le politiche forestali sono demandate alle regioni le quali hanno legiferato esclusivamente in base alle caratteristiche peculiari dei diversi territori e delle diverse realtà che compongono il quadro del mondo forestale italiano;
    manca una politica unitaria nazionale in grado di armonizzare le attività di gestione sul territorio, valorizzare l'economia forestale italiana e presentare a livello comunitario una posizione unica che rappresenti l'intero Paese;
    il ruolo del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (in coordinamento con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare), rimane quello di elaborare linee di programmazione e di indirizzo politico in materia forestale per questioni di valenza nazionale e sovranazionale, nonché quello di rappresentare l'Italia nelle preposte sedi comunitarie e internazionali e curare il raccordo delle misure stabilite in tali consessi a scala nazionale; il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali rappresenta infatti l'Italia in ambito europeo (nel Gruppo di lavoro Foreste del Consiglio, nel Comitato permanente forestale della commissione, nel comitato FLEGT/timber regulation e nei vari altri gruppi di lavoro tematici afferenti alle DDGG Agricoltura, Ambiente e Eurostat) e internazionale (iniziative promosse dall'UNECE nei Gruppi di esperti sugli incendi, sul monitoraggio forestale, sul legno, e altro, dalla FAO nel COFO, Sylva mediterranea, ecc., e nel MCPFE-Forest Europe); a livello operativo, per svolgere questi ruoli, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali si avvale oggi di valide competenze interne, seppur frammentate in diverse direzioni ministeriali, e del supporto scientifico e tecnico degli enti vigilati (in particolare dell'Osservatorio foreste dell'INEA e del CRA), di consulenti esterni e del Corpo forestale dello Stato;
    considerando gli impegni in essere e prossimi in cui la materia forestale ha già e acquisterà sempre più rilevanza e trasversalità, l'opportunità di valorizzare le competenze e le funzioni oggi disarticolate e non riconosciute, costituisce un investimento operativo che ha la potenzialità di migliorare l'efficienza, la competitività, la sicurezza e la rappresentatività del Paese,

impegna il Governo

ad attivare presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali un ufficio permanente di coordinamento forestale, oggi mancante, che rappresenti l'unico punto di riferimento e di indirizzo per le politiche forestali nazionali nel rispetto delle competenze e dei ruoli che la Costituzione definisce circa i rapporti fra Stato e regioni, e svolga in modo continuativo le funzioni di coordinamento istituzionale e inter-istituzionale per le amministrazioni nazionali e regionali competenti in materia di politica e programmazione forestale, nonché di raccordo per tutte le iniziative internazionali e comunitarie in materia forestale, anche al fine di assicurare la presenza costante e qualificata dell'Italia in tali sedi, facendo sì che tale ufficio, senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato, possa avvalersi delle competenze e del personale presente nelle strutture interne ed esterne al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (come l'Osservatorio foreste dell'INEA, il CRA e il CFS) anche a mezzo di apposite convenzioni e accordi di programma al fine di assicurare così piena efficacia e aggiornamento alla strategia forestale nazionale definita dal Programma quadro per il settore forestale, dando in tal modo reale seguito agli impegni internazionali sottoscritti dal Governo italiano e degli obblighi e indicazioni comunitarie in materia ambientale e di sviluppo sostenibile in rapporto alle indicazioni con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e le regioni.
(7-00533) «Massimiliano Bernini, Terzoni, Benedetti, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Micillo, Segoni, Zolezzi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   davanti al ripetersi delle recenti drammatiche alluvioni, il Piemonte, la Liguria la Toscana il Lazio e l'Umbria sono i territori nei quali continuano a registrarsi gravi eventi di frana che hanno causato vittime e ingenti danni a centri abitati e a infrastrutture di comunicazione e continuano a verificarsi allagamenti e danni incalcolabili al patrimonio abitativo e alle attività produttive;
   i dati dell'Ispra fotografano una situazione di grave pericolo: la popolazione esposta a frane in Italia supera il milione e quella esposta ad alluvioni supera i 6 milioni, in un territorio che ha un suolo fragile dal punto di vista geologico e idrografico, la cui struttura orografica è per il 75 per cento collinare-montana; dai dati risultanti dal progetto IFFI-Inventario dei fenomeni franosi in Italia, emerge un quadro di dettaglio del dissesto da frane, che ammonta a quasi 500 mila frane, per un'area interessata di oltre 21 mila chilometri quadrati, pari al 7 per cento dell'intero territorio nazionale; ogni anno avvengono tra le 1000 e le 2000 frane, con il 10 per cento di queste «pericolose» che possono causare vittime, feriti e danni a edifici e infrastrutture;
   secondo i dati forniti dalla Coldiretti si stima in almeno 10 milioni di euro i danni subiti in questi ultimi giorni nelle aree agricole delle regioni settentrionali, le quali subiscono ingenti danni che richiedono urgenti misure di sostegno per il comparto agricolo;
   nella giornata del 13 ottobre 2014 decine di comuni della provincia di Alessandria sono stati messi in ginocchio da una precipitazione violentissima che ha provocato l'esondazione del sistema idrico minore, provocando danni stimati per 50 milioni di euro e pregiudicando il sistema viario; in alcune valli del tortonese, oltre a danni a strutture private e produttive, sono pregiudicati anche i raccolti agricoli; a Gavi si registrano diversi sfollati a causa di una frana che minaccia il paese; le ultime piogge hanno messo a dura prova anche il sistema idraulico del casalese, risultando pertanto assolutamente necessario dichiarare lo stato di emergenza e predisporre risorse immediate per mettere in sicurezza il sistema viario ed idraulico della provincia di Alessandria;
   resta alta l'allerta sulla piena del Po, mentre in Lombardia i livelli dei laghi continuano ad essere elevati, con esondazioni dei laghi Maggiore, di Como, di Pusiano e di Varese, mentre restano elevati timori ancora per il Seveso e il Lambro;
   nella provincia di Savona è stata colpita tutta la costa e l'immediato entroterra, producendo danni significativi all'economia agricola nella piana di Albenga, oltre ai danni, comuni alle altre zone, alle attività commerciali ed artigianali in tutte le situazioni di esondazione o allagamenti per la pioggia;
   tra il 9 e il 10 ottobre 2014 la città di Genova è stata colpita da violente precipitazioni che hanno causato l'esondazione di corsi d'acqua quali il Bisagno, il Fereggiano, lo Sturla e lo Scrivia, causando danni enormi alla collettività e una vittima; mentre appena tre anni fa lo stesso fenomeno aveva causato sei vittime, altro che danni gravissimi per le infrastrutture, gli edifici e le attività produttive e commerciali;
   la regione Piemonte ha già chiesto al Governo la dichiarazione dello stato di emergenza e ad oggi, secondo le fonti della protezione civile di Alessandria, ci sono ancora 54 sfollati;
   sicuramente nelle situazioni in cui si sono realizzate per tempo le opere di pulizia e allargamento dell'alveo dei fiumi, è stata possibile una significativa riduzione del danno, i comuni hanno pertanto la necessità inderogabile di procedere alla riqualificazione e manutenzione del reticolo idrografico principale e secondario, mentre ai consorzi di bonifica è affidato il compito del mantenimento in esercizio degli impianti, di pulizia e manutenzione di canali di scolo e irrigui;
   è ormai consolidata l'idea che ci siano più fattori correlati a queste tragedie: il cambiamento del clima, la predisposizione del territorio, la pianificazione territoriale carente, la mancanza della cultura della prevenzione del rischio, ma sicuramente tra i più rilevanti sono la progressiva impermeabilizzazione del suolo e la costruzione di edifici in zone a rischio; le conseguenze di tale complessità sono un punto prioritario dell'agenda politica del Governo sin dal suo insediamento, avendo dichiarato che la messa in sicurezza del territorio è la prima grande opera pubblica da realizzare;
   dall'inventario dei fenomeni franosi in Italia, risulta che i dati sulle frane sono da aggiornare; tale inventario è di fondamentale importanza per la programmazione di interventi di difesa del suolo, per la progettazione delle reti infrastrutturali e per la gestione delle emergenze e per la pianificazione territoriale;
   la «Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche», istituita il 25 maggio 2014 presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha il compito specifico di imprimere un'accelerazione all'attuazione degli interventi di messa in sicurezza del territorio e di supportare la nuova programmazione delle risorse per il ciclo 2014-2020;
   il decreto-legge n. 91 del 201, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 116 del 2014, ha reso ordinaria l'attribuzione ai presidenti di regione di funzioni per gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico e, contemporaneamente, ha avviato un procedimento di ricognizione dello stato di attuazione di tutti gli interventi finanziati anche in data antecedente al 2009 per procedere alla revoca delle risorse economiche non ancora utilizzate con l'obiettivo di canalizzare le stesse su interventi altrettanto urgenti ma immediatamente cantierabili;
   il piano per la mitigazione del rischio alluvioni, redatto dalla struttura di missione per 14 aree metropolitane, prevede investimenti per oltre 1 miliardo di euro e mediante l'attività di ricognizione e riprogrammazione svolta dalla stessa struttura di missione è stato già possibile sbloccare un residuo di risorse provenienti dalla programmazione 2007-2013 dei fondi strutturali pari a 110 milioni di euro –:
   se si intendano assumere iniziative affinché le spese sostenute dai comuni, dalle province e dalle regioni nei territori per i quali sia stata dichiarato lo stato di emergenza, per gli interventi di ripristino delle infrastrutture, delle attività produttive e commerciali e del patrimonio residenziale, nonché le opere di prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico, sia di tipo strutturale che per la riqualificazione e la manutenzione, siano escluse dal patto di stabilità interno;
   se si intendano definire, tramite un'apposita iniziativa normativa, tempi certi e modalità per semplificare le procedure amministrative e per la concessione di finanziamenti urgenti, sia a soggetti pubblici che privati (famiglie, imprese, associazioni e altro), per il risarcimento dei danni effettivamente subiti e per l'erogazione dei contributi per il ripristino e la riparazione dei luoghi, al fine di riprendere le normali condizioni di vita e dell'attività economica e produttiva, per tutte le situazioni per le quali sia intervenuta la dichiarazione dello stato di emergenza;
   se si intendano assumere tutte le più idonee iniziative per consentire l'aggiornamento dell'IFFI-Inventario dei fenomeni franosi in Italia quale strumento di supporto per la pianificazione della prevenzione e di programmazione territoriale.
(2-00750) «Bargero, Tullo, Basso, Carocci, Giacobbe, Fiorio, Borghi, Bratti, Mariani, Taricco, Carnevali, Manciulli, Garofani, Pierdomenico Martino, Bini, Bonavitacola, D'Ottavio, Baruffi, Gribaudo, Casellato, Losacco, Damiano, Benamati, Giorgio Piccolo, Peluffo, Portas, Tino Iannuzzi, Mognato, Guerra, Marchetti, Giulietti, Ginato, Causi, Boccadutri, Giampaolo Galli, Bazoli, Bruno Bossio, Massa, Carra, Colaninno, Senaldi, Patriarca, Fioroni, Coccia, Impegno, Cani, Marco Di Maio».
(Presentata il 18 novembre 2014)


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   sono circa 700 milioni di euro i danni stimati con ponti crollati e strade dissestate, 82 comuni colpiti, 19 vittime, 2.700 sfollati e 500 persone evacuate a seguito dell'alluvione che ha colpito la regione Sardegna nel mese di novembre 2013;
   migliaia di aziende si trovano sul lastrico;
   il Governo Letta e poi quello Renzi, con varie dichiarazioni, avevano annunciato sin dai giorni dopo la tragedia uno stanziamento di 200 milioni di euro;
   secondo il report regionale del 20 ottobre 2014, solo per il patrimonio pubblico, il fabbisogno ammonta a 495.675.526,23 euro (30.502.338,59 euro per primi interventi urgenti, 206.017.815,77 euro per interventi urgenti e/o di ripristino e 259.155.371,87 euro per interventi strutturali di riduzione del rischio residuo);
   si susseguono da ormai un anno esatto le dichiarazioni di esponenti del Governo con le quali vengono annunciate risorse finanziarie per ristorare i danni conseguenti alla drammatica alluvione del 18 novembre del 2013;
   è dei giorni scorsi una dichiarazione di Erasmo D'Angelis, responsabile nazionale della struttura contro il rischio idrogeologico di Palazzo Chigi, che ha annunciato: «il Governo stanzierà a livello nazionale sei miliardi di euro nei prossimi cinque anni dal ciclo europeo di investimenti. La Sardegna ne chiederà circa 500 milioni e noi faremo tutto il possibile perché l'Isola è nel nostro cuore. La vicenda di Olbia – sottolinea D'Angelis, ricordando la drammatica alluvione del 2013 – dimostra che bisogna dire basta alle perdite di tempo. E con lo ‘Sblocca Italia’, ormai legge, i cantieri che salvano le vite umane non si possono più fermare e saranno non stop»;
   per l'alluvione che il 18 novembre 2013 ha devastato la Sardegna i danni ammontano a 659,2 milioni di euro, mentre i fondi statali stanziati sono di appena 20 milioni di euro;
   le risorse che l'Anas avrebbe dovuto destinare ai danni della viabilità primaria statale e provinciale risultano marginali e del tutto insufficienti;
   la maggior parte dei cantieri avviati risultano in grave ritardo;
   ad un anno dalla tragica alluvione che ha colpito la Sardegna, si veda il caso emblematico della connessione dei centri abitati di Onanì e Bitti con l'arteria stradale rimasta preclusa e devastata come nel 2013;
   un abbandono che si tocca con mano in ogni angolo del cuore della Sardegna;
   nessuno stanziamento concreto e quei pochi interventi che si vedono hanno tempi biblici;
   in queste zone il pericolo è maggiore del 2013 e niente è stato fatto, nemmeno la minima pulizia dell'alveo dei fiumi;
   la Sardegna continua ad essere l'unica regione dove gli eventi calamitosi non vengono risarciti e le opere distrutte non ricostruite, se non marginalmente e con una lentezza incredibile;
   una devastazione senza precedenti che segnò la vita di 19 persone e che fece registrare danni stimati al ribasso per oltre 700 milioni di euro;
   dopo un anno esatto dall'alluvione sarebbe corretto incidere nell'unico modo possibile e cioè con un intervento finanziario sull'alluvione da inserire in un provvedimento contingibile e urgente che preveda due elementi sostanziali:
    a) l'esclusione dal patto di stabilità di tutti gli stanziamenti per opere e interventi legati all'evento alluvionale del 18 novembre 2013, compresi i fondi avuti dai comuni con erogazioni liberali e donazioni di cittadini privati ed imprese finalizzate a fronteggiare i danni dell'eccezionale evento alluvionale del 18 novembre 2013;
    b) uno stanziamento di 200.000.000 euro per il 2015, 2016 e 2017 per la ricostruzione e il risarcimento dei danni da destinare alla regione Sardegna;
   in aggiunta a quanto sopra, sarebbe inoltre doveroso intervenire con apposito e adeguato stanziamento che ponga rimedio, sia sull'aspetto temporale che economico, al mancato rispetto degli impegni nei confronti della regione Sardegna relativamente ai drammatici eventi del 2013 –:
   se non si ritenga di dover con immediatezza escludere, con adeguata iniziativa normativa, gli stanziamenti e gli interventi legati ai danni provocati dall'alluvione dai vincoli del patto di stabilità sia per la regione che per gli enti locali e tutti i soggetti istituzionali e stazioni appaltanti chiamate ad eseguire le apposite opere;
   se non si ritenga, proprio per i ritardi sin qui accumulati, di dover dare attuazione a tutti questi interventi prevedendo l'esecuzione degli stessi con lavori da eseguirsi su tre turni e con operatività sette giorni su sette;
   se non si ritenga di dover prevedere misure di sgravio fiscale per quelle categorie duramente colpite dall'alluvione, compresa la dilazione dei pagamenti delle stesse cartelle esattoriali.
(2-00753) «Pili, Pisicchio».
(Presentata il 18 novembre 2014)

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   ai trattamenti di dati personali effettuati anche per ragioni di giustizia presso gli uffici giudiziari, di ogni ordine e grado, si applicano le disposizioni del decreto legislativo n. 196 del 2003, che impongono tra l'altro l'adozione di specifiche misure di sicurezza per minimizzare i rischi di distruzione o perdita, anche accidentale, dei dati personali e di accessi abusivi ai sistemi;
   con provvedimento del 13 settembre 2012 il Garante per la protezione dei dati personali ha deliberato di esaminare il tema della sicurezza dei dati trattati – anche mediante la polizia giudiziaria o soggetti terzi – nell'ambito dell'attività di intercettazione (telefonica, ambientale, telematica) ivi incluse le intercettazioni preventive. Tema già affrontato, del resto, con specifici provvedimenti rivolti ai soli gestori di servizi di comunicazione elettronica, relativamente ai dati da costoro raccolti su mandato dell'autorità giudiziaria;
   l'accertamento condotto a campione su alcune procure della Repubblica, alle quali sono stati rivolti specifici quesiti, ha rivelato una notevole disomogeneità rispetto alle misure di sicurezza adottate;
   proprio al fine di superare tale disomogeneità, con provvedimento del 18 luglio 2013, il Garante ha prescritto, a tutte le procure della Repubblica, l'adozione di talune cautele per elevare lo standard di garanzia dei dati personali trattati nell'ambito dell'attività di intercettazione;
   le prescrizioni rese concernono, in particolare, misure di sicurezza di ordine tecnico-organizzativo volte a ridurre la vulnerabilità e i rischi di accessi abusivi ai sistemi. Si tratta di misure sicurezza attive (relative cioè alla fase di interscambio con i gestori e alla remotizzazione degli ascolti) e passive (inerenti la fase «statica» della protezione dei locali e dei sistemi);
   il termine per l'adozione delle suddette misure, inizialmente fissato per il febbraio 2015, è stato quindi differito sino al 30 giugno dello stesso anno, anche in considerazione delle difficoltà rappresentate nell'attuazione del provvedimento;
   qualora non venisse garantito l'adempimento delle suddette prescrizioni nel termine indicato (con le conseguenze, anche di ordine sanzionatorio, suscettibili di derivarne), si protrarrebbe una condizione di insufficiente sicurezza dei dati (anche sensibili e giudiziari) trattati, per fini di intercettazione, dalle procure, così vanificando anche quelle garanzie assicurate dagli accorgimenti adottati dagli operatori telefonici, su prescrizione del Garante;
   l'eventuale inadempimento del provvedimento del Garante protrarrebbe peraltro quella condizione di forte disomogeneità riscontrata nel livello di sicurezza proprio di ciascun ufficio giudiziario. E questo comporterebbe, soprattutto, il protrarsi della disparità di trattamento che ne consegue per i cittadini, la cui riservatezza finisce con l'essere diversamente garantita in ragione della specifica procura che conduca le indagini –:
   se sia noto quale sia, attualmente, lo stato di attuazione del provvedimento del Garante nelle varie procure della Repubblica;
   quali iniziative urgenti di competenza intenda il Governo adottare, al fine di elevare lo standard di garanzia dei dati trattati per fini di giustizia e se, in particolare, non ritenga necessario prevedere appositi stanziamenti per dotare gli uffici giudiziari delle misure di sicurezza indispensabili a garantire la riservatezza dei dati trattati.
(2-00754) «Giachetti».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CAPARINI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si apprende la notizia che il 31 ottobre 2014 la direzione del dipartimento editoria ed informazione della Presidenza del Consiglio ha comunicato che, allo stato attuale, non è in grado di precisare l'entità delle risorse destinate all'editoria relativamente al 2013, nonostante nel luglio scorso fossero disponibili 57 milioni di euro;
   le imprese interessate hanno già approvato i bilanci per il 2013 prevedendo alle voce «contributi statali» l'importo in base agli stanziamenti «promessi» dal Governo. Se le previsioni non fossero rispettate, come sembra, nei bilanci 2014 le imprese saranno costrette a iscrivere in bilancio le sopravvenienze passive e molte di esse, inevitabilmente, dovranno avviare le procedure fallimentari;
   negli ultimi 24 mesi sono già state 32 le testate che hanno chiuso la loro attività e se si concretizzerà l'ipotesi di una riduzione significativa degli stanziamenti previsti saranno a rischio, per la fine dell'anno, ulteriori 100 testate, tra periodici e quotidiani, con la conseguente perdita del posto di lavoro per 3.000 dipendenti diretti nonché per i 16.500 dell'indotto – fatto di tipografie, distributori, edicolanti eccetera – e con un danno per le casse dello Stato di gran lunga superiore a quello del risparmio ottenuto, basti pensare alle ripercussioni in termini di cassa integrazione, mobilità e indennità di disoccupazione;
   l'informazione dell'editoria cooperativistica, del non-profit e della stampa cattolica è garantita da tante piccole aziende che sono portatrici dell'informazione locale, specialistica e sociale e non influenzata dai poteri economici e finanziari. Il pluralismo di informazione e la differenza del pensiero sono valori da tutelare e sostenere, che sono garantiti dai princìpi costituzionali e da quelli fondanti dell'Unione europea;
   il finanziamento pubblico al comparto è passato in meno di 10 anni da circa 500 milioni di euro agli attuali 55,9 milioni di euro;
   sono in media circa 15 milioni i lettori di quotidiani e periodici ai quali sarà negato il diritto ad una informazione libera da condizionamenti e sarebbero circa 7.600 le pagine in meno scritte al giorno, con un valore della produzione di 287 milioni. Inoltre, circa 20 milioni di euro vengono versati dalle imprese del comparto tra tasse, ritenute e contributi previdenziali, che con la chiusura delle attività verrebbero a mancare;
   nel 2008 la spesa italiana di sostegno diretto o indiretto al settore ammontava a 12,05 euro pro capite all'anno. Nel 2012 tale spesa è stata ridotta a 6,74 euro e nel 2013 la previsione di spesa si è ridotta di un ulteriore 20 per cento scendendo a poco più di 5 euro/anno. Il nostro Paese è tra gli ultimi in Europa per sostegno all'editoria, infatti, in Finlandia il sostegno ammonta 1.307 euro/anno pro capite, in Francia 18,77, in Gran Bretagna 11,68 e in Germania 6,51 –:
   quali provvedimenti urgenti intendano adottare, ognuno per le proprie competenze, per reperire le risorse necessarie per il fondo per l'editoria al fine di sostenere il comparto garantendo così il pluralismo dell'informazione nonché salvaguardare l'occupazione. (5-04067)


   LOREFICE, TRIPIEDI, SILVIA GIORDANO, GRILLO, DI VITA, DALL'OSSO, CECCONI, MANTERO, DADONE, SPADONI e COZZOLINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   sono circa cinquemila le donne che lavorano nelle serre della provincia siciliana di Ragusa. Vivono segregate in campagna, spesso con i figli piccoli e nel totale isolamento subiscono ogni genere di violenza sessuale. Una realtà fatta di aborti, «festini» e ipocrisia, dove tutti sanno e nessuno parla;
   da un'inchiesta de L'Espresso è emerso che donne e ragazze rumene, anche minorenni, vengono sfruttate nelle campagne di Vittoria. Oltre a lavorare nelle strutture serricole, sono vittime di abusi e soprusi da parte dei loro «padroni»;
   già tre anni fa il sacerdote Don Beniamino Sacco aveva denunciato fenomeni di sfruttamento delle donne rumene, riuscendo a far arrestare un padrone sfruttatore, e per questo è stato minacciato;
   i carabinieri di Vittoria sono andati a controllare le aziende agricole, magazzini e serre, nei comuni di Vittoria e Acate con gli obiettivi di contrastare il fenomeno del lavoro nero ed appurare l'esistenza di forme di schiavitù e di sfruttamento sessuale delle donne, specie rumene. Tutte le informazioni acquisite sono ora al vaglio degli inquirenti che proseguiranno i controlli, al fine di contrastare efficacemente questo triste fenomeno di schiavismo incontrollato che potrebbe scaturire in allarme sociale;
   tutte le donne lavoratrici sono state opportunamente intervistate, mantenendo l'anonimato, in merito all'eventuale esistenza di situazioni di schiavismo sessuale, o di qualsiasi altra forma di assoggettamento psicologico o sfruttamento;
   l'attività ispettiva dei Carabinieri si è, altresì, concentrata sui luoghi di utilizzo comune dei lavoratori, come gli spogliatoi e i servizi igienici collegati, al fine di riscontrare eventuali condizioni di degrado;
   fenomeni come questi possono essere collocati nell'ambito della tratta di esseri umani in quanto si assiste alla mercificazione della persona umana, alla sopraffazione della sua dignità e dei suoi diritti fondamentali;
   donne e bambini sono solitamente i soggetti più esposti a questa forma contemporanea di schiavitù, basata specialmente sullo sfruttamento sessuale. Le vittime sono private di ogni diritto fondamentale, non dispongono di uno status giuridico e sono ridotte, attraverso minacce e maltrattamenti, a una condizione di estrema dipendenza dai loro aguzzini;
   il decreto-legge sul contrasto alla violenza di genere (decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119) ha previsto all'articolo 5 l'adozione di un piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, con lo scopo di affrontare in modo organico e in sinergia con i principali attori coinvolti a livello sia centrale che territoriale il fenomeno della violenza contro le donne. Il bilancio proposto è di 439.477 milioni di euro per il periodo 2014-2020;
   allo stato il piano non risulta essere stato adottato. Secondo quanto riferito dal rappresentante del Governo in risposta a diversi atti di sindacato ispettivo presentati sul tema, l'elaborazione del piano è stata affidata ad una task force interistituzionale, che riunisce tutti i Ministeri interessati (dipartimento delle pari opportunità, giustizia, interno, salute, istruzione, esteri, difesa, economia e finanze, lavoro, sviluppo economico) e i rappresentanti delle autonomie territoriali e del mondo dell'associazionismo, coordinata dal dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio. Attesa la complessità delle azioni che si intendono perseguire con il piano, il Governo ha indicato il mese di ottobre 2014 quale termine di riferimento per l'adozione dello stesso;
   quasi tutte le regioni risulta abbiano adottato leggi per il contrasto alla violenza di genere;
   con il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 24 sulla «Prevenzione e repressione della tratta di esseri umani e protezione delle vittime» è stata data attuazione alla direttiva 2011/36/UE, relativa alla prevenzione e alla repressione della tratta di esseri umani e alla protezione delle vittime, che sostituisce la decisione quadro 2002/629/GAI. Il decreto legislativo prevede l'adozione di uno specifico provvedimento in materia di accertamento dell'età per i minori vittime di tratta (articolo 4) oltre alla definizione del programma di emersione, assistenza e integrazione sociale (articolo 8), entrambi entro 6 mesi dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 24 del 2014. L'articolo 9 prevede, infine, l'adozione di un Piano nazionale d'azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani, finalizzato a definire strategie pluriennali di intervento per la prevenzione e il contrasto al fenomeno, nonché azioni finalizzate alla sensibilizzazione, alla prevenzione sociale, all'emersione e all'integrazione sociale delle vittime –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti suesposti e, se eventualmente, intenda assumere iniziative per appurare lo stato effettivo delle cose;
   se non intenda vigilare affinché le vittime siano fornite di assistenza ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 228 del 2003 modificato dal decreto legislativo n. 24 del 2014 «Misure contro la tratta di persone», sostegno ai sensi degli articoli 600 e 601 del codice penale e adeguate forme di protezione come previsto dalla direttiva 2011/36/UE;
   se non ritenga opportuno promuovere l'istituzione del registro dei lavoratori stagionali quale strumento di contrasto al lavoro nero e allo sfruttamento;
   se non intenda promuovere campagne informative volte a divulgare servizi già esistenti e promossi dal dipartimento delle pari opportunità come il numero verde 800-290-290, operativo h24, gratuito e anonimo, che consente di entrare in contatto con personale specializzato multilingue, fornendo informazioni dettagliate sulla legislazione e sui servizi garantiti alle persone trafficate/sfruttate in Italia e, su richiesta, indirizza queste ultime verso i servizi socio-assistenziali messi a disposizione nell'ambito dei programmi ex articolo 13 della legge 228 del 2003 ed ex articolo 18 del decreto legislativo 286 del 1998, servizio, altresì, rivolto ai cittadini che vogliano segnalare situazioni di sfruttamento, nonché agli operatori del settore, al fine di agevolare il lavoro di rete a livello nazionale;
   se abbia adottato il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere ai sensi dell'articolo 5 del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119;
   se sia stato adottato il piano nazionale d'azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani, finalizzato a definire strategie pluriennali di intervento per la prevenzione e il contrasto al fenomeno, nonché azioni finalizzate alla sensibilizzazione, alla prevenzione sociale, all'emersione e all'integrazione sociale delle vittime, previsto dall'articolo 9 del decreto legislativo n. 24 del 2014;
   se sappia riferire quali regioni non abbiano ancora adottato leggi per il contrasto alla violenza di genere. (5-04072)


   VERINI, FIANO, RAMPI e QUARTAPELLE PROCOPIO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nel 2009 è stato creato il fondo perpetuo della Fondazione Auschwitz-Birkenau, con la finalità di preservare la struttura di Auschwitz-Birkenau e contribuire alla conoscenza dei crimini che vi erano stati perpetrati, visitata da più di un milione di persone l'anno, dal rischio, concreto, della chiusura del complesso, composto da 155 edifici e 300 rovine su un'estensione di 200 ettari, nel sud della Polonia;
   i campi di Auschwitz rappresentarono un perno della cosiddetta «soluzione finale», il genocidio di ebrei perpetrato dai nazisti e dai loro alleati, costato la vita a oltre sei milioni di persone: dal 1979 il luogo è patrimonio dell'umanità dell'Unesco ed è visitabile. Vi facevano parte anche il campo di sterminio di Birkenau, quello «di lavoro» di Monowitz e altri 45 «sottocampi»;
   il costo del memoriale dell'Olocausto era, fino ad allora, per motivi geografici (il campo di sterminio fu installato dalla Germania nazista nel sud della Polonia) ricaduto pressoché interamente sulla Polonia, poiché Auschwitz rientra nei suoi confini: il Governo polacco lanciò un appello: «Ogni nazione ha il dovere inalienabile di proteggere questo luogo»;
   Wladyslaw Bartoszewski, sopravvissuto e responsabile del Consiglio internazionale di Auschwitz, ha lanciato per questo la raccolta fondi internazionale chiamata appunto fondo perpetuo per raggiungere la cifra di 120 milioni di euro;
   finora il Fondo è stato alimentato da 31 Paesi e sono stati raccolti 102 milioni di euro. Il maggior contributore è stata la Germania con la metà (60 milioni) di quanto richiesto;
   l'Unione europea ha versato 4 milioni, la città di Parigi 310 mila euro: all'appello, ad oggi, tra i grandi Paesi dell'Unione europea manca ancora l'Italia;
   il prossimo 27 gennaio ricorrerà il 70esimo anniversario della liberazione del lager;
   il Governo ha mostrato e mostra sensibilità nei confronti della tutela della memoria e della difesa di valori che stanno alla base della convivenza civile e democratica –:
   quali azioni il Governo abbia intrapreso per garantire il contributo italiano a tale fondo per preservare un luogo fondamentale per la memoria collettiva, assurto, storicamente, a simbolo dell'Olocausto, cui i viaggi della memoria hanno dato una nuova vita, grazie al generoso sacrificio dei sopravvissuti, coinvolgendo migliaia di giovani ragazze e ragazzi.
(5-04074)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Calabria, come le altre regioni del Mezzogiorno, è inserita nell'Obiettivo convergenza ed ha potuto contare di ingenti risorse legati ai fondi strutturali europei;
   com’è noto anche da svariati articoli apparsi sulla stampa, nonché dalle dichiarazioni dei Ministri del lavoro e dei Presidenti del Consiglio che si sono alternati negli ultimi anni, sembra generalizzata l'incapacità delle suddette regioni a sfruttare a pieno le dette risorse disponibili, tanto che, per evitare che vengano perse, l'Esecutivo in carica ha provveduto a prevedere all'interno del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, il cosiddetto Sblocca Italia, nell'articolo 12 il potere sostitutivo nell'utilizzo dei fondi europei;
   anche i passati Esecutivi, tuttavia, hanno tentato di risolvere la problematica, facendo, tra l'altro affidamento a società in house affinché potessero erogare servizi di consulenza alle amministrazioni, e specialmente alle regioni, per addivenire ad un pieno utilizzo delle risorse messe a disposizione dai suddetti fondi;
   Italia Lavoro spa, società in house del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si è vista attribuire, con il decreto interministeriale del Ministro del tesoro e del lavoro del 21 maggio 1998, il ruolo di organo tecnico specifico per fornire supporto agli enti locali al fine di attuare interventi di politiche attive per il lavoro ai sensi dell'articolo 1, comma 5, del decreto legislativo n. 468 del 1997;
   in particolare, il decreto interministeriale stabilisce che Italia Lavoro spa è la società di cui si avvale il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per fornire una assistenza tecnica sistematica alle regioni, supportandole nella programmazione degli interventi di politica attiva del lavoro, attraverso la complementarietà delle risorse e la definizione delle azioni di potenziamento e qualificazione dei servizi per il lavoro;
   Formez PA, centro servizi, assistenza, studi e formazione per l'ammodernamento della pubblica amministrazione, opera a livello nazionale e risponde al dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri e fornisce, tra l'altro, assistenza tecnica per l'attuazione delle politiche comunitarie, con particolare riferimento ai fondi strutturali europei;
   la Calabria, secondo quanto reso noto dal Ministero per la coesione territoriale, ha superato in extremis il target di spesa, cui era tenuta per non vedersi decurtare i fondi a disposizione: avrebbe impiegato il 52,7 per cento delle risorse programmate, a fronte di un obiettivo minimo di spesa per il 2013 pari al 48,5 per cento;
   alla fine del 2012, a quanto emerge dai dati aggiornati alla fine dell'anno e validati dal dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica (Dps) e dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali relativi alla spesa certificata, che misura lo stato di attuazione della politica di coesione per il complesso delle regioni italiane la spesa era ferma al 37 per cento;
   al di là della scarsa capacità di programmazione, alcune notizie di stampa lascerebbero emergere dubbi anche sulla qualità della progettazione messa in campo dalla regione Calabria;
   con decreto dirigenziale n. 14428 del 19 ottobre 2010, è stato approvato l'Atto Programmatico di indirizzo 2011 della Commissione regionale per l'emersione del lavoro non regolare, con il quale «sono previsti interventi mirati alla realizzazione di programmi di occupazione e di sviluppo locale» (progetto sperimentale «Lavori regolari – Avviso Pubblico»);
   con decreto dirigenziale n. 8138 del 6 luglio 2011, è stato approvato il progetto sperimentale «lavori regolari – avviso pubblico», che «ha tra i suoi obiettivi principali la selezione e la formazione di figure professionali atte a promuovere e sostenere processi di emersione e sviluppo locale, garantendo opportunità di reinserimento lavorativo nel sistema delle imprese anche attraverso l'attivazione di Fondi di Garanzia e la copertura degli interessi passivi maturati su eventuali prestiti»; in particolare, secondo quanto previsto dal POR Calabria FSE 2007-2013, la formazione è implementata su un percorso integrato innovativo di due anni, incentrato sulla previsione di una Dote (max euro 15.400,00) per gli agenti selezionati con procedura di evidenza pubblica da spendere sia in programmi di formazione, sia come integrazione del reddito, e di un incentivo per l'impresa/datore di lavoro che avrà aderito alla manifestazione d'interesse e che deciderà di assumere l'agente, in forma di bonus occupazionale, ovvero per l'agente stesso che, alla fine del percorso formativo, deciderà di avviare un'attività di lavoro autonomo, in forma di prestito d'onore (max euro 20.000,00) e di microcredito (max euro 25.000,00) (Progetto Sperimentale «Lavori Regolari – Avviso Pubblico»);
   coerentemente con il progetto, le agevolazioni devono essere erogate dalla Fondazione FIELD, ente in house della regione Calabria, ai candidati in graduatoria in posizione utile fino alla concorrenza delle risorse disponibili (euro 11.180.000), previa sottoscrizione da parte del destinatario di un atto di adesione ed obbligo – che «definisce i rapporti tra la Fondazione e l'Agente per la partecipazione al percorso integrato identificato nell'ambito del progetto «Lavori Regolari» (Progetto «Lavori Regolari» – Atto di Adesione ed Obbligo) – e sotto il controllo finanziario e procedurale dell'amministrazione regionale;
   con decreto dirigenziale n. 14201 del 14 novembre 2011, è stato approvato il progetto sperimentale «Lavori Regolari – Manifestazione d'Interesse»;
   con decreto dirigenziale n. 13920 del 4 ottobre 2012, è stata pubblicata la graduatoria finale di cui al suddetto Avviso;
   con decreto dirigenziale n. 17130 del 12 dicembre 2013, prima, e con decreto dirigenziale n. 3264 del 24 marzo 2014, poi, è stato pubblicato l'elenco delle aziende/datori di lavoro interessati ad assumere gli agenti;
   nonostante il regolare esaurimento del percorso integrato innovativo di due anni, l'azienda resta un sogno e i pagamenti tardano ad arrivare per i 200 giovani «ex disoccupati» senza stipendio e senza lavoro; infatti, ad oggi in azienda ancora non è entrato nessuno, né per lo stage né per l'assunzione, per tutto il 2013 gli agenti hanno ricevuto meno di 1.900 euro, a gennaio è arrivato il secondo bonifico di 5.800 euro e mancano 7.700 euro; sicché, «gli agenti per l'emersione del lavoro non regolare sono costretti a lavorare in nero per tirare a campare» (Il paradosso degli «Agenti per l'emersione». Devono stanare il nero, ma così lo alimentano, in Corriere della Calabria, 1o aprile 2014);
   come a far presagire ciò, la firma del progetto è arrivata nel giorno delle dimissioni di Domenico Barile da presidente della FIELD, indagato per truffa e un anno dopo arrestato per il reato di peculato per un ammanco di 500.000 euro nelle casse della Fondazione; (Ammanco alla Field, Barile chiede di patteggiare. L'ex presidente pronto a scontare 4 anni di carcere, in Il Quotidiano della Calabria, 3 giugno 2014) –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se la regione Calabria o la Fondazione Field si avvalgano o si siano avvalse, specie per la progettazione del Progetto Sperimentale approvato con decreto dirigenziale n. 8138 del 6 luglio 2011, dell'opera di società statali come Formez pubblica amministrazione o Italia Lavoro spa;
   se il Governo valuti opportuna l'applicazione del potere sostitutivo nell'utilizzo dei Fondi europei previsto dall'articolo 12 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, ove siano riscontrabili, come nel caso calabrese, un impiego dei fondi europei inferiore al 60 per cento o eventi di tipo doloso atti a sottrarre le risorse dei suddetti fondi dal loro lecito utilizzo.
(4-06914)


   NESCI e PETRAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Saipem spa, acronimo di Società anonima italiana perforazioni e montaggi, fa parte del gruppo Eni;
   nata nel 1956, con un volume d'affari di estremo rilievo, la società in parola fornisce servizi petroliferi, dalle infrastrutture per i giacimenti di idrocarburi alle perforazioni, dall'attivazione di pozzi petroliferi alla costruzione di oleodotti;
   all'attività di Saipem concorrono società controllate e di collaborazione, che determinano un indotto molto importante;
   in Italia il gruppo è operativo a Milano San Donato, a Fano e a Vibo Valentia, con operatori di altissimo livello e specializzazione professionale;
   il centro progettazione di Vibo Valentia nacque nel 1970 su iniziativa Snamprogetti, società di ingegneria del Gruppo-Eni nel quadro di un rilancio degli investimenti nel Sud da parte del Ministero delle PP.SS. (Partecipazioni Statali);
   l'avviamento avvenne tramite formazione diretta di tanti giovani locali, diplomati e alcuni laureati, da parte di tecnici esperti venuti da Milano;
   l'organico del centro di Vibo Valentia è oggi di circa 180 dipendenti, la maggior parte dei quali è di giovani laureati, quasi tutti calabresi;
   il centro ha una funzione importante non solo per l'economia del territorio, di cui è rimasta la realtà industriale più grande, ma per tutto il Mezzogiorno, con positive ricadute sull'indotto (studi di ingegneria, fornitori di manufatti e apparecchiature, grandi imprese di costruzione meccanica, di manutenzione et coetera);
   l'intera provincia di Vibo Valentia è in una condizione di profonda difficoltà economica e sociale, che l'odierna interrogante rappresentò in una lettera del giugno scorso alla Presidenza del Consiglio dei ministri e ai Ministri dell'interno, della funzione pubblica e per gli affari regionali, come in una precedente missiva indirizzata al Capo dello Stato e in numerose interrogazioni parlamentari a propria firma;
   dallo scorso luglio si sono moltiplicate indiscrezioni circa la possibile cessione del gruppo Saipem da parte del principale azionista Eni, che possiede circa il 43 per cento delle azioni;
   le riferite indiscrezioni sono state poi confermate, nell'agosto ultimo scorso, dall'amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni;
   come riportato in altro atto di sindacato ispettivo, n. 4-06544 a firma della deputata Lara Ricciatti, «già il 22 luglio 2014, il quotidiano La Repubblica, tra gli altri, segnalava come diversi rumors riferissero di un mandato in questa direzione affidato alla banca d'affari statunitense Goldman Sachs, con conseguente sondaggio tra potenziali compratori, come i russi di Rosneft ma soprattutto i gruppi norvegesi Subsea 7 e Seadrill; la direzione di Eni verso il probabile disimpegno da Saipem sembrerebbe avere la finalità di spostare sempre più il focus della società sulle operazioni cosiddette upstream, ovvero a più elevato ritorno economico»;
   il Wall Street Journal del 21 luglio 2014 ipotizzava addirittura una possibile revisione delle attività di raffinazione;
   a quanto sopra si aggiunge che la società Saipem, con ripetute difficoltà in borsa, è stata toccata anche da indagini giudiziarie, di cui molto di recente si sono occupate testate nazionali, per esempio il sito de Il Corriere della Sera a proposito di corruzioni internazionali contestate dalla procura di Milano all'Eni, nell'ambito delle quali compare l'evocazione di un interesse di politici italiani, tra cui Massimo D'Alema;
   per quanto riassunto, la cessione di Saipem potrebbe servire al gruppo Eni ad orientarsi verso attività più remunerative, subordinando l'approvvigionamento energetico, che per l'interrogante dovrebbe essere preminente, anche perché il primo azionista è il popolo italiano, tramite il Ministero dell'economia e delle finanze, che a sua vota controlla la Cassa depositi e prestiti;
   il fatto che Eni possieda la maggioranza di Saipem permette di mantenere sotto controllo italiano l'altissimo – e strategico – know how della medesima;
   la possibile cessione di Saipem potrebbe compromettere la sopravvivenza della stessa società;
   tra le indicazioni strategiche del gruppo Eni vi è anche la riduzione della sua presenza in Europa;
   il Governo ribadisce spesso la necessità e l'obiettivo di aumentare i livelli occupazionali e rilanciare l'economia mediante la leva dello sviluppo di attività ad alto tasso di innovazione e know how;
   se fosse realizzata, la vendita di Saipem si porrebbe in contraddizione con i ricordati intenti dell'esecutivo e priverebbe l'Italia di una realtà aziendale con know how d'eccellenza, colpendo duramente i livelli occupazionali di territorio già provato duramente dalla crisi economica e desertificando un indotto qualificato, che a traino di Saipem ha costruito a sua volta professionalità di livello altissimo;
   come riportato dalla stampa, che ha riassunto le preoccupazioni dei sindacati anche sul territorio vibonese, espresse per esempio dal sindacalista Pino Grasso della Filtem-Cgil su Il Quotidiano della Calabria del 16 novembre 2014 in questo periodo sono in programma degli scioperi nelle sedi italiane di Saipem;
   la cessione di Saipem da parte di Eni è pertanto, secondo gli interroganti, contraria agli interessi generali del Paese –:
   quali iniziative intendano assumere per salvaguardare i livelli occupazionali e il know how dell'azienda in cessione;
   se non ritengano opportuno intervenire – per evitare l'accentuazione di una crisi economica che sta devastando l'Italia e in particolare l'area di Vibo Valentia, pure dominata da interessi e organizzazioni di tipo mafioso – attraverso gli strumenti dell'ordinamento, facendo valere nel gruppo Eni i legittimi interessi dell'azionista di maggioranza – il Paese tutto – esercitati per il tramite del Ministero dell'economia e delle finanze.
(4-06918)


   GRIMOLDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   i drammatici eventi di questi giorni dovuti al maltempo che ha colpito il Paese hanno messo in luce come sempre l'encomiabile contributo dei volontari della protezione civile e di tutti i corpi impegnanti nelle opere di soccorso alle popolazioni colpite;
   le aree colpite hanno interessato gran parte del Paese, il che ha comportato il pieno dispiegamento di uomini e mezzi;
   da segnalazioni risulta che al Cie di Roma (Centro intervento emergenze della Croce rossa) di via Ramazzini, sono presenti e pronte a partire per le zone alluvionate d'Italia due cucine da campo (per un totale di 5000 pasti al giorno), un escavatore da 2250 quintali con pala meccanica che può essere utilizzata per pulire i letti dei fiumi, più una ruspa, un Bobcat (i piccoli escavatori) un carro gru, svariati mezzi 4x4, tensostrutture per mense ed altre strutture;
   tali mezzi, che sarebbero stati utilissimi nelle zone colpite non vengono fatti partire e ciò risulta incomprensibile, essendo la Cri inquadrata nel sistema di protezione civile nazionale –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri sia a conoscenza della situazione e intenda fare luce sul mancato impiego dei mezzi verificando, se i continui tagli ai bilanci della Croce rossa, non vadano ad inficiare le possibilità di intervento in caso di calamità. (4-06922)


   NIZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 18 novembre 2013 la Regione Sardegna fu colpita da un'alluvione senza precedenti, che fece finire sotto il fango e l'acqua gran parte del suo territorio;
   il bilancio del cosiddetto «ciclone Cleopatra» fu di 18 morti e di circa 2700 persone sfollate, soprattutto nelle città di Olbia, Uras e Bitti, che sono state le zone più colpite dal disastro;
   per la sola città di Olbia furono stimati danni sia alle cose pubbliche, che ai privati per circa 500 milioni di euro, un dato su tutti, 2500 auto distrutte, 3000 abitazioni danneggiate e molte rese inabitabili, ad oggi, nonostante la forte solidarietà regionale e nazionale, molte famiglie vivono ancora in condizioni di emergenza;
   all'epoca dei fatti il Governo Letta promise alla popolazione interventi immediati, non solo per il primo soccorso ma anche per la ricostruzione del territorio, stanziando una prima trance di 20 milioni e, al contempo, promettendo sia l'arrivo di altri 200 milioni, sia una deroga al patto di stabilità per la regione e per i comuni più colpiti dall'alluvione;
   a distanza di un anno, nella sola Olbia ci sono ancora molte strade chiuse, ponti inagibili e argini che rappresentano ancora un grande pericolo per la incolumità della popolazione e, non a caso, dei 650 milioni di euro calcolati per la ricostruzione di tutto il territorio regionale, circa 120 milioni sono necessari solo per rimettere in sicurezza la città di Olbia;
   dopo le recenti alluvioni nel nord Italia e in particolare in Liguria, il Governo ha annunciato uno stanziamento nella legge di stabilità per aumentare il fondo emergenze, lo sforamento del patto di stabilità per consentire gli interventi urgenti di messa in sicurezza dei territori colpiti e un tavolo a Palazzo Chigi tra, la struttura di missione contro il dissesto idrogeologico, le regioni, i comuni e le autorità di bacino, per realizzare un cronoprogramma dei lavori per la messa in sicurezza delle aree metropolitane;
   l'80 per cento dei comuni della regione Sardegna sono a rischio idrogeologico elevato e circa 280 chilometri quadrati del territorio rappresentano superfici a rischio di inondazione. Nello specifico, si possono contare ben 1523 frane censite che ricoprono una superficie complessiva di circa 1471 chilometri quadrati, i ponti stradali che in caso di eventi meteorologici intensi potrebbero essere causa di inondazioni sono 337, mentre 15 ponti ferroviari, 128 edifici costruiti in aree di pertinenza fluviale, 44 strutture fognarie, 31 opere di difesa del suolo, non sono più efficienti o non sono correttamente manutenute –:
   se non ritenga opportuno attivare immediatamente delle procedure per la messa in sicurezza almeno dei territori sardi che sono già stati colpiti dall'alluvione dello scorso anno, soprattutto nella città di Olbia posto che, alle condizioni attuali e in caso di forti piogge, vi è la possibilità di mettere in pericolo l'incolumità dei cittadini, non essendo ad oggi stato fatto nessuno degli interventi strutturali necessari;
   quali iniziative intenda mettere in atto per sbloccare i fondi statali che solo lo scorso anno erano stati promessi ai cittadini sardi vittime dell'alluvione per la ricostruzione del loro territorio, compresa la deroga al patto di stabilità per i comuni che hanno riportato maggiori danni e che sono ancora a rischio calamità;
   se ritenga opportuno inserire come priorità nel cronoprogramma del tavolo di lavoro tra la struttura di missione contro i disastri idrogeologici della Presidenza del Consigli dei ministri, le regioni, i comuni e le autorità di bacino, (fortemente voluto dal Governo), la messa in sicurezza dei territori che già sono stati colpiti da alluvioni, stanziando in via prioritaria a quei territori adeguate risorse finanziare;
   se allo stato attuale non ritenga di dover appurare le cause che in dodici mesi hanno impedito, o hanno causato l'impedimento, degli interventi principali per la sicurezza pubblica della città di Olbia e dei territori sardi maggiormente colpiti dall'alluvione, rischiando di provocare un'altra tragedia umana. (4-06923)


   RAMPELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 16 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, recante «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», ha disposto la trasformazione di ENIT in ente pubblico economico e la liquidazione di Promuovi Italia spa prevedendo che non ne derivassero nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica;
   il primo comma del citato articolo indica quali finalità di detta trasformazione il conseguimento di risparmi della spesa pubblica, il miglioramento della promozione dell'immagine unitaria dell'offerta turistica nazionale e favorire la commercializzazione, «anche in occasione della Presidenza italiana del semestre europeo e di EXPO 2015»;
   in particolare, il nuovo ente pubblico economico, come testualmente prevede il «decreto Franceschini» (decreto-legge n. 83 del 2014), nel perseguimento della missione di promozione del turismo, interviene per individuare, organizzare, promuovere e «commercializzare» i servizi turistici e culturali e per «favorire la commercializzazione» dei «prodotti enogastronomici, tipici e artigianali» in Italia e all'estero, con particolare riferimento agli investimenti nei mezzi digitali, nella piattaforma tecnologica e nella rete internet attraverso il potenziamento del portale italia.it;
   come chiaramente prevede il comma 4 dell'articolo 16, fino all'insediamento degli organi dell'ente trasformato e al fine di accelerare il processo di trasformazione, l'attività di ENIT prosegue nel regime giuridico vigente e le funzioni dell'organo collegiale di amministrazione sono svolte da un commissario straordinario, nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, entro il 30 giugno 2014;
   in attuazione di tale previsione il Presidente del Consiglio dei ministri, con proprio decreto del 16 giugno 2014, ha nominato, su proposta del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Cristiano Radaelli commissario straordinario dell'ENIT — Agenzia nazionale del turismo fino all'insediamento degli organi ordinari dell'ente;
   entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 83 del 2014, il commissario straordinario Radaelli deve provvedere all'adozione del nuovo Statuto dell'ENIT, da approvare con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, e, sentite le organizzazioni sindacali, adottare un piano di riorganizzazione del personale, individuando, compatibilmente con le disponibilità di bilancio, sulla base di requisiti oggettivi e in considerazione dei nuovi compiti dell'ENIT e anche della prioritaria esigenza di migliorare la digitalizzazione del settore turistico e delle attività promo-commerciali, la dotazione organica dell'ente, nonché le unità di personale in servizio presso Enit e Promuovi Italia spa da assegnare all'Enit come trasformata;
   il piano, inoltre, deve prevedere la riorganizzazione, anche tramite soppressione di sedi, della rete estera di Enit;
   a quanto consta all'interrogante a distanza di meno di un mese dalla scadenza prevista per la trasformazione il commissario non ha ancora né sottoposto all'approvazione dell'autorità vigilante la nuova organizzazione, la nuova dotazione organica e le procedure per il passaggio del personale Enit e di Promuovitalia nell'ente trasformato, né ha sottoposto al Presidente del Consiglio il nuovo statuto dell'ente, senza il quale non si potrà procedere alla nomina dei nuovi organi, ed alla decadenza dello stesso commissario straordinario, e non si potrà porre fine all'attuale regime giuridico di Enit;
   le organizzazioni sindacali Confederali hanno pubblicamente manifestato la loro seria preoccupazione per la inconsistenza delle comunicazioni ricevute dal commissario e soprattutto per la vuotezza dei contenuti in relazione ai dettami del decreto Franceschini, non ultimo per il fatto che l’iter di approvazione degli atti — peraltro non ancora predisposti neanche in bozza – richiede un tempo tecnico molto lungo e complesso dopo la mera adozione da parte del commissario straordinario (essendo ovviamente necessaria l'approvazione da parte dell'autorità vigilante di concerto con il Ministero della semplificazione e della pubblica amministrazione ed il Ministero dell'economia e delle finanze, ed anche il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per la approvazione del nuovo statuto);
   è di tutta evidenza che detta situazione di stallo pone Enit e la promozione del turismo dell'Italia all'estero in un inutile ed improduttivo «fermo» delle attività, a svantaggio di Expo 2015 e degli operatori turistici privati e pubblici, e a tutto vantaggio dei competitor esteri, soprattutto europei;
   inoltre, il commissario straordinario dell'ENIT ha interrotto la campagna pubblicitaria che costituiva il principale investimento promozionale di quest'anno per l'Italia all'estero, non ha utilizzato l'avanzo di amministrazione del 2013 (l'assestamento di bilancio per regolamento va deliberato entro il 31 luglio, ma quest'anno ancora non è stata adottata alcuna deliberazione), che dovrebbe permettere nuove azioni promozionali, e sta richiamando in Italia i dirigenti dall'estero, frenando l'azione della rete estera ENIT e recando un grave pregiudizio all'economia del Paese, come tra l'altro chiaramente evidenziato con allarme da parte degli Ambasciatori d'Italia dove Enit è presente nel mondo;
   sembrerebbe, infine, che il commissario abbia affidato con sua deliberazione un incarico di consulenza legale di quattromila euro lorde allo studio legale De Feo, in spregio alle norme sulle consulenze negli enti pubblici che prevedono che l'Enit per acquisire pareri tecnici e legali possa e debba affidarsi ai Ministeri competenti ed alla Avvocatura Generale dello Stato;
   la legge richiede al commissario di organizzare un ente pubblico economico e pertanto la nuova organizzazione dovrà basarsi su forme prevalenti di autofinanziamento, diversamente, sarebbe una mancata risposta a quanto il Parlamento ha richiesto con il decreto-legge 83 del 2014, il cui punto centrale non è meramente consegnare atti e documenti entro il 28 novembre 2014, ma creare un ente nuovo destinato precipuamente alla commercializzazione;
   è oramai del tutto evidente che i ritardi accumulati da Radaeili, stanno incidendo ad avviso dell'interrogante negativamente sulle attività dell'Enit e sul turismo italiano;
   l'inadeguatezza del ruolo svolto nell'attuale gestione commissariale dell'ENIT, dimostra una chiara disapplicazione delle norme vigenti e getta sconforto e smarrimento tra gli imprenditori turistici, sempre più preoccupati per i rischi che derivano dallo smantellamento della rete operativa dell'Enit;
   il commissario Radaelli è un ingegnere nucleare, manager nel settore delle telecomunicazioni e vice presidente idi Anitec, l'Associazione che rappresenta le imprese fornitrici di prodotti e servizi di telecomunicazione, IT e elettronica di consumo, e vice presidente di Confindustria digitale, oltre ad essere membro dell’executive board del Digital Europe che rappresenta a livello europeo l'industria dell'ICT, e non appare chiaro in base a quali competenze sia stato destinato al suo incarico in Enit –:
   con quali procedure, in base a quali requisiti e da chi sia stato selezionato l'attuale commissario straordinario dell'Enit, quale sia il suo compenso, e se siano state effettuate le opportune verifiche in merito alla possibile incompatibilità tra i diversi incarichi ricoperti dal commissario;
   se si intendano adottare le iniziative di competenza al fine di accertare sia se l'attuale gestione dell'Enit, e in particolare lo smantellamento della sua rete estera, non si stia risolvendo in un danno economico al Paese, anche in considerazione delle numerose preoccupazioni in tal senso rappresentate dagli ambasciatori, sia se l'impiego dei fondi da parte del commissario risponda a criteri di economicità ed efficienza, come prescritto dalle normative vigenti. (4-06938)


   GIANLUCA PINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio di Rimini e Riccione sono in corso i lavori per la realizzazione del TRC, trasporto rapido costiero su gomma, in affiancamento alla linea ferroviaria esistente, per una lunghezza di circa 10 chilometri;
   l'opera rientra nel programma delle infrastrutture strategiche della legge obiettivo, ex legge n. 443 del 2001, approvato con delibera CIPE 21 dicembre 2001, n. 121 (Gazzetta Ufficiale n. 51 del 2002 S.O.); tale programma, infatti, all'allegato 1, include la voce «Costa romagnola metropolitana» per un importo complessivo di 2,582 milioni di euro e all'allegato 2, nella parte relativa alla Regione Emilia Romagna, tra le «Metropolitane», include il «Sistema di trasporto a guida vincolata nell'area metropolitana della costa romagnola Ravenna-Rimini-Cattolica»;
   con la delibera 20 dicembre 2004, n. 86, (Gazzetta Ufficiale n. 109 del 2005), il CIPE ha approvato, con prescrizioni, il progetto preliminare del «Trasporto rapido costiero (TRC) Rimini Fiera-Cattolica – 1o stralcio funzionale tratta Rimini FS-Riccione FS», individuando nell'Agenzia TRAM il soggetto aggiudicatore;
   successivamente, con delibera 29 marzo 2006, n. 93, il CIPE ha approvato, con le prescrizioni proposte dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, anche ai fini dell'attestazione della compatibilità ambientale dell'opera e della dichiarazione di pubblica utilità, il progetto definitivo del «Trasporto rapido costiero (TRC) Rimini Fiera – Cattolica: 1o stralcio funzionale tratta Rimini FS – Riccione FS»;
   le prescrizioni del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, cui è condizionata l'approvazione del suddetto progetto, sono riportate nell'allegato 1, che forma parte integrante della delibera CIPE, e devono essere assolte nella redazione del progetto esecutivo;
   con la stessa delibera CIPE è stato altresì approvato il programma delle interferenze, predisposto ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 190/2002; gli immobili di cui è posta l'espropriazione sono indicati negli elaborati del progetto definitivo da D.ESP.01 a D.ESP.14;
   nelle clausole finali è previsto che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti provvederà ad assicurare, per conto del Comitato (CIPE), la conservazione dei documenti componenti il progetto definitivo e che «il soggetto aggiudicatore provvederà, prima dell'inizio dei lavori, a fornire assicurazioni al predetto Ministero sull'avvenuto recepimento, nel progetto esecutivo, delle prescrizioni riportate nel menzionato allegato: il citato Ministero procederà, a sua volta, a dare comunicazione al riguardo alla Segreteria di questo Comitato»;
   inoltre è previsto che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti «provvederà a svolgere le attività di supporto intese a consentire a questo Comitato di espletare i compiti di vigilanza sulla realizzazione delle opere ad esso assegnati dalla normativa citata in premessa, tenendo conto delle indicazioni di cui alla delibera n. 63 del 2003», con la quale il CIPE ha formulato, tra l'altro, indicazioni di ordine procedurale riguardo alle attività di supporto che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è chiamato a svolgere ai fini della vigilanza sull'esecuzione degli interventi inclusi nel 1o programma delle infrastrutture strategiche;
   l'analisi accurata del progetto definitivo approvato dal CIPE, evidenzia come lo stesso non possedesse in realtà i requisiti prescritti dagli strumenti normativi che disciplinano la materia. Infatti, detto progetto, contempla edifici a cavallo della fascia di intervento, parzialmente al di fuori della stessa, relativamente ai quali non vi è traccia degli adempimenti ex articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207;
   in relazione alle demolizioni previste, il progetto non poteva definirsi «definitivo», atteso, che nelle tavole D.TRA. non viene data una indicazione precisa, ma una vaga traccia delle opere da demolire. La legenda recita testualmente: «opere/alberature interessate da demolizione». Appare addirittura pleonastico evidenziare che un fabbricato relativamente al quale è prevista la demolizione di un balcone è a tutti gli effetti «un fabbricato interessato da demolizioni», ma una dicitura di questo tipo, non consente di capire cosa sia esattamente da demolire, il che confligge con i requisiti di legge del «progetto definitivo»;
   atteso che la ratio degli strumenti disciplinatori in materia di opere pubbliche che prevedono espropri, snoda la propria architettura attraverso l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio, la dichiarazione di pubblica utilità e l'emissione dei decreti di esproprio nell'ambito della fascia dichiarata di pubblica utilità con l'approvazione del progetto definitivo, sarebbe incomprensibile e nemmeno ipotizzabile demolire fabbricati o loro porzioni al di fuori di detta fascia. Prima l'ente attuatore deve eseguire gli espropri (che trasferiscono la proprietà), poi una volta acquisiti gli immobili ne dispone per le finalità di interesse pubblico, quindi anche demolendoli, ma certamente non possono essere effettuate demolizioni sulle proprietà al di fuori della fascia di intervento, sulla quale era stato preventivamente apposto il vincolo preordinato all'esproprio;
   bisogna quindi interrogarsi sul perché il CIPE abbia approvato un progetto definitivo che contempla campiture di opere/alberature interessate da demolizione anche oltre il limite di tale fascia;
   le demolizioni per la realizzazione del TRC avrebbero dovuto arrestarsi al limite del tracciato definito di pubblica utilità e relativamente ai fabbricati a cavallo, il progetto definitivo – ex articolo 26 comma 1 lettera c) del decreto del Presidente della Repubblica 210/2007 – avrebbe dovuto contenere, nell'ambito della relazione sulle strutture, i criteri diverifica da adottare per soddisfare i requisiti di sicurezza previsti dalla normativa tecnica vigente, per la costruzione delle nuove opere o per gli interventi sulle opere esistenti. Per tali ultimi interventi la relazione sulle strutture è integrata da una specifica relazione inerente la valutazione dello stato di fatto dell'immobile;
   resta quindi un mistero il fatto che pur in presenza di tali difformità dai disposti di legge, il CIPE abbia ugualmente approvato il progetto definitivo del TRC, disponendo un finanziamento di più di euro 90.000.000,00;
   il progetto definitivo del TRC insomma, prevedeva la demolizione totale di fabbricati non integralmente ricadenti nel corridoio deliberato in sede di approvazione CIPE, sulla base della quale era stata deliberata apposita variante di P.R.G., nonostante la giurisprudenza maturata su casi analoghi abbia dichiarato illegittima qualsivoglia demolizione prevista oltre al limite del corridoio, poiché esso coincide anche con il limite entro e solo entro il quale è possibile espropriare;
   oltre alle demolizioni fuorilegge, il progetto esecutivo elaborato successivamente, contemplerebbe quelle che all'interrogante appaiono gravi incongruità rispetto al limite di corridoio approvato dal CIPE. Vi sono almeno n. 6 punti del tracciato: Fermata Lagomaggio; Viale Madrid tra Viale Copenaghen e Viale Atene; Fermata Cavalieri Vittorio Veneto; Fermata Pascoli; Prolungamento sottopasso pedonale Aleardi; Fermata Angeloni relativamente ai quali il progetto esecutivo esorbita e sfora dai limiti deliberati dal CIPE;
   ciò in conseguenza di quelli che apparrebbero evidenti errori contenuti nel progetto definitivo. Si legge infatti nella relazione generale, a giustificazione di tali sforamenti: «Tuttavia sia la larghezza delle banchine (1,50 m) che la corsia centrale (2,60 m) risultavano essere insufficienti, le prime perché di dimensione tale da non permettere la collocazione di alcun oggetto lungo banchina (che avrebbe creato ostacoli al transito dei portatori di degli handicap), la seconda perché rendeva impossibile il transito dei mezzi, il cui fabbisogno minimo risulta essere pari a 3,50 m»;
   tali rilevanti modifiche al tracciato, rivestono chiaramente carattere di rilevanza sotto il profilo localizzativo ai sensi dell'articolo 169, comma 3, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (codice degli appalti) e pertanto, ai sensi del comma 3 dello stesso articolo, non essendo contenute nell'ambito del corridoio individuato in sede di approvazione del progetto ai fini urbanistici, l'approvazione della relativa perizia di variante, avrebbe dovuto seguire la procedura prevista all'articolo 165 dello stesso decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (progettazione preliminare);
   a causa di tutte queste inesattezze e contrasti con il quadro normativo disciplinatorio, è stato anche formulato ricorso al T.A.R. di Bologna affinché venisse dichiarata l'illegittimità del progetto esecutivo T.R.C. L'Agenzia Mobilità, ancor prima dell'emanazione del giudizio di merito, che avrebbe potuto essere pronunciato a situazione compromessa, ha inviato i primi «Decreti di occupazione temporanea» delle aree al di fuori del tracciato deliberato, sulle quali insistevano porzioni di fabbricato «non espropriate» e che l'Agenzia Mobilità intendeva comunque demolire;
   primo ed eclatante è stato il caso della proprietà Walter Moretti, il quale, ha immediatamente impugnato lo specifico decreto di occupazione temporanea, evidenziando come lo stesso fosse illegittimo, in quanto finalizzato alla demolizione di una parte di fabbricato, posto al di fuori del tracciato autorizzato dal C.I.P.E. che sanciva i limiti dell'intervento; è stata presentata altresì istanza di «sospensione dell'esecuzione del provvedimento» in relazione al grave ed irreparabile danno che si sarebbe determinato con l'abbattimento della porzione di edificio in questione posta al di fuori del corridoio destinato al T.R.C., prima del giudizio di merito;
   su questa istanza, il T.A.R. di Bologna si pronunciò in data 12 settembre 2013, con specifica Ordinanza n. 00676/2013 REG. RIC, specificando, tra l'altro, che gli atti impugnati non consentono demolizioni di alcunché sia insistente sulla superficie occupata temporaneamente per tre mesi ex articolo 49 decreto del Presidente della Repubblica 327/01 e che pertanto è inibita qualunque demolizione di manufatti o loro porzioni sull'area temporaneamente occupata;
   pertanto, dalla pronuncia del T.A.R. di Bologna, risulta chiaro il divieto di demolizione nelle aree oggetto di occupazione temporanea. Non potendo demolire niente in tale area, non si sarebbe potuto demolire nemmeno la porzione di fabbricato legittimamente espropriata, in assenza delle previsioni progettuali delle opere necessarie a mantenere in essere in sicurezza la porzione residua di fabbricato;
   d'altra parte se è vero che vige il principio generale secondo il quale il pubblico interesse prevale su quello privato, vale altresì il principio secondo il quale il privato non può essere mutilato oltre allo strettamente necessario;
   pertanto, le demolizioni dovrebbero essere effettuate esclusivamente entro i limiti dell'esproprio, come dal corridoio approvato dal CIPE, in quanto il decreto di esproprio parimenti ad una usuale compravendita trasferisce le proprietà, mentre sulla restante porzione di fabbricati, esterni al tracciato autorizzato, l'Agenzia Mobilità non aveva alcun diritto reale che consentisse azioni di demolizione; anzi, l'Agenzia Mobilità era obbligata di mettere in sicurezza la parte dei fabbricati non demoliti;
   invece, l'Agenzia Mobilità sta proseguendo sulla strada delle demolizioni di interi fabbricati, anche al di fuori del limite del corridoio autorizzato (avanzando la tesi di un ipotetico diritto di’ superficie sulle aree esorbitanti dalla fascia deliberata dal CIPE in relazione ai contenuti progettuali intrinsechi), non solo per quanto concerne il caso della proprietà Moretti sopraccitato ma anche per tutti i restanti e numerosi fabbricati situati a scavalco del limite autorizzato;
   in relazione, alla gravità degli eventi, hanno fatto seguito alcuni esposti inviati alla procura della Repubblica presso il tribunale di Rimini; la posizione assunta dal procuratore ritiene che i manufatti da demolire siano quelli previsti nel progetto definitivo approvato dal CIPE nel 2006, anche se il progetto definitivo non conteneva né le superfici dei fabbricati da demolire né l'esatta indicazioni delle parti da demolire;
   attualmente le demolizioni proseguono, anche perché il T.A.R. di Bologna ha rigettato tutti successivi ricorsi avversi le occupazioni temporanee dei singoli interessati, nonostante fossero qualitativamente identici a quello della proprietà Moretti sopraccitato, rimandando tutto al merito del ricorso principale;
   tale comportamento dell'Agenzia Mobilità, che avanza con demolizioni discutibili di edifici e con l'abbattimento di alberi e proprietà private anche al di fuori dei limiti di intervento, crea sconcerto tra la popolazione che denuncia le deficienze intrinseche e le insensatezze del progetto che risulta di difficile realizzazione e non credibile, anche per l'allungamento dei tempi e dei costi;
   il 30 ottobre scorso è apparsa sui giornali la notizia che il TAR dell'Emilia Romagna, con la sentenza numero 767/2014, ha rigettato il ricorso del comune di Riccione contro il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la regione Emilia Romagna, il comune e la provincia di Rimini ed Agenzia della Mobilità per l'annullamento del verbale con cui il Comitato di Coordinamento nella seduta del 2 luglio scorso dichiarava irricevibili le proposte di varianti al TRC avanzate dal comune di Riccione e quindi riteneva non proponibili le stesse in quanto portanti modifiche sostanziali al progetto approvato dal CIPE ed in corso di esecuzione;
   l'amministrazione comunale di Riccione ha comunicato sui giornali l'intenzione di percorrere ogni ulteriore e possibile strada per la ricerca di una soluzione, condivisa, in grado di preservare la città, il suo territorio, la sua armonia urbana e tutta la sua economia da un intervento che ne potrebbe pregiudicare la sostenibilità;
   è evidente quindi l'opposizione di gran parte della popolazione che giudica l'opera costosa, inutile e persino dannosa per l'ambiente –:
   se il Ministro nell'ambito delle proprie competenze in materia di supporto alla vigilanza sull'esecuzione degli interventi che dovrebbe svolgere il CIPE, intenda approfondire la situazione che si sta creando con i lavori in corso per l'esecuzione degli interventi connessi alla TRC di Rimini-Riccione e verificare l'effettiva liceità del progetto definitivo TRC approvato dal CIPE in relazione a tutto quanto suesposto;
   se nell'ambito delle norme che disciplinano la materia, risulti ammissibile demolire fabbricati o loro porzioni oltre il limite dell'area definita di interesse pubblico (sulla quale era stato preventivamente apposto il vincolo preordinato all'esproprio) quindi fabbricati o loro porzioni non espropriati;
   se un presunto diritto di superficie, del quale peraltro a quanto consta all'interrogante non si troverebbe traccia nei pubblici registri immobiliari, sulle aree al di fuori dei limiti di esproprio, possa consentire demolizioni sulle predette aree;
   se il Ministro, nel caso sia ravvisata la fondatezza degli argomenti esposti e la conseguente illiceità del progetto definitivo del TRC approvato dal CIPE, intenda disporre le verifiche propedeutiche all'annullamento degli atti di approvazione del progetto stesso adoperandosi per il successivo annullamento e la revoca del finanziamento erogato, determinando altresì le rispettive personali responsabilità. (4-06941)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata:


   PELLEGRINO, ZARATTI, QUARANTA, SCOTTO, AIRAUDO, DURANTI, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DANIELE FARINA, FERRARA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, MATARRELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PIRAS, PLACIDO, RICCIATTI, SANNICANDRO e ZACCAGNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il nostro Paese sta franando. Quello che sta avvenendo in questi giorni, in questi ultimi mesi, con fenomeni alluvionali e calamitosi che stanno colpendo – ormai senza soluzione di continuità – il territorio, dimostrano in maniera impressionante come gli effetti conseguenti ai cambiamenti climatici in atto sono ormai tali che gli eventi anomali ed estremi, per durata e intensità, hanno subito un aumento esponenziale;
   le piogge di questi giorni nella sola Liguria hanno provocato danni per un miliardo di euro, oltre a vittime e feriti;
   nei soli primi sei mesi del 2014 si è assistito a quattordici frane e inondazioni, con 9 morti, 12 feriti e 4.856 persone evacuate;
   i sempre più frequenti fenomeni meteorologici mettono in luce drammaticamente l'estrema fragilità del territorio e la necessità di una sua ormai improcrastinabile messa in sicurezza complessiva, contestualmente a una sostenibile e nuova pianificazione urbanistica e del territorio. A questo si aggiunga il crescente grado di erosione costiera, che interessa oltre 540 chilometri lineari dei litorali italiani in cui sono direttamente coinvolti beni esposti;
   circa il 10 per cento della superficie nazionale è ad alta criticità idrogeologica, mezzo milione sono le frane in movimento e oltre 6.600 sono i comuni interessati. Inoltre il 44 per cento del territorio è a elevato rischio sismico;
   il fabbisogno necessario per la realizzazione degli interventi per la sistemazione complessiva delle situazioni di dissesto su tutto il territorio nazionale è stimato in circa 40 miliardi di euro;
   si continuano, invece, a rincorrere le emergenze e le calamità e a contare i danni e troppo spesso purtroppo le numerose vittime, stanziando ogni volta ingenti risorse economiche necessarie per ricostruire le aree colpite;
   la mancata opera di manutenzione e di mitigazione del rischio idrogeologico costa – secondo il rapporto Ance-Cresme – non meno di 3,5 miliardi di euro l'anno. Mettere in sicurezza il territorio costerebbe annualmente assai meno. Come ha sottolineato Salvatore Settis, «l'opera di prevenzione, nei tempi lunghi, non è solo un investimento, è un risparmio»;
   l'avvio urgente di un piano pluriennale per la messa in sicurezza del territorio del Paese non solo avrebbe una straordinaria valenza e un reale interesse pubblico, ma rappresenterebbe la vera «grande opera» strategica di cui il Paese ha prioritariamente bisogno. Le risorse da impegnare affinché siano realmente spendibili dagli enti territoriali devono stare fuori dal patto di stabilità;
   è importante che il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Graziano Delrio, abbia dichiarato che «il Governo è impegnato per abbattere più del 70 per cento del patto di stabilità» e che «contro il dissesto idrogeologico sbloccheremo entro il 2015 tutti i fondi che erano bloccati». Decisione certamente importante ma evidentemente insufficiente. Le risorse esistenti devono essere certamente sbloccate, ma è indispensabile stanziare nuove e più ingenti risorse –:
   se, al di là degli interventi urgenti volti a fronteggiare l'emergenza nei territori colpiti dalle alluvioni e della dichiarata positiva intenzione di rendere spendibili entro il 2015 tutti i fondi che erano bloccati, non si ritenga improcrastinabile assumere iniziative per stanziare nuove, ulteriori ed indispensabili risorse al fine di consentire finalmente, e fin da subito, l'avvio di un piano straordinario per la messa in sicurezza del territorio nazionale. (3-01166)
(Presentata il 18 novembre 2014)


   SQUERI e PALESE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il dissesto idrogeologico, che continua a colpire il territorio di alcune delle regioni, rende sempre più urgente un intervento tempestivo ed efficace per cercare di prevenire situazioni di disastro ambientale e il punto essenziale, a prescindere dalle risorse a disposizione, è la drammatica lentezza con cui si avviano i lavori per far fronte alla situazione di emergenza;
   per le opere importanti e strategiche come quelle legate al dissesto idrogeologico e al risanamento dello stesso urge l'inizio immediato dei lavori, a prescindere anche dai tempi necessari previsti dall'Unione europea, dal momento che gli eventi che prima potevano accadere una volta ogni cento anni ora si verificano con una frequenza sempre più ravvicinata e, essendo assolutamente naturali, è necessario agire sul territorio tenendo conto che non si è più di fronte ad un'eccezionalità;
   si sono verificate ultimamente alluvioni anche in Lombardia e in particolare a Milano, dove, a causa dell'innalzamento della falda, è stata sospesa la circolazione dei treni di due linee della metropolitana, che durante il picco del maltempo hanno subito la chiusura di alcune stazioni. Nella città sono stati, inoltre, chiusi alcuni sottopassaggi, che, nonostante il lavoro di ore dell'Atm con diverse idrovore, sono rimasti inagibili a causa del livello dell'acqua presente in galleria;
   i cittadini milanesi si sono messi a lavoro per ripulire le strade e le cantine, ma sono stati particolarmente complessi gli interventi tra i quartieri Isola e Garibaldi, dove si è dovuto far fronte ad un altissimo volume di acqua, in aree con pochi sbocchi per il deflusso, portando all'evacuazione dalle abitazioni e alla sistemazione temporanea di alcuni abitanti;
   anche se l'esondazione del Seveso è rientrata e le squadre di vigili del fuoco, polizia locale e protezione civile hanno lavorato senza sosta per riaprire le numerose vie della città chiuse per la pioggia, la situazione è ancora difficoltosa e non sono stati quantificati i danni;
   nel resto della regione Lombardia sono a rischio anche le province di Lecco, Sondrio, Como e Varese dove l'allerta idrogeologica è considerata «elevata», dal momento che si teme per i possibili estesi allagamenti che potrebbero verificarsi se il fiume Lambro uscisse nuovamente dagli argini;
   gravi disagi si sono già verificati in provincia di Varese dove hanno già perso la vita due persone, nel bresciano e nel bergamasco, a Pavia, mentre nel cremonese e nel mantovano il Po è in piena;
   si teme anche per il Piemonte dove, dopo l'Orba, il rio Lovassina e il Grue, in provincia di Alessandria è esondato anche il Lemme a causa delle forti piogge che stanno interessando ormai da diverse ore tutta la provincia e, in particolare, si teme per il Bormida, visto che per precauzione è stato chiuso il ponte tra la città e Spinetta e sono state evacuate le aree golenali –:
   quali siano i tempi in cui il Governo intende attivarsi per evitare il ripetersi di disastri ambientali così gravi e quali siano le iniziative poste in atto e gli ulteriori interventi urgenti che il Governo intende approvare al fine di affrontare l'emergenza di tutte le zone del Paese che nell'ultimo mese sono state fortemente danneggiate da fenomeni alluvionali.
(3-01167)
(Presentata il 18 novembre 2014)


   BUSTO, SEGONI, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI, VIGNAROLI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 novembre 2014, si è appreso da fonti giornalistiche che la procura di Roma ha depositato la chiusura delle indagini preliminari nei confronti di Antonio Agostini per abuso d'ufficio e turbativa d'asta nella gestione dei fondi europei per la ricerca assegnati al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   i reati contestati si riferiscono al periodo compreso tra il 2009 e il 2012, anni in cui Agostini ricopriva la carica di direttore generale della ricerca presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   il 6 ottobre 2014 il Governo, su indicazione del Ministro interrogato, ha proposto Agostini come presidente dell'Isin, Ispettorato nazionale per la sicurezza e la radio protezione;
   tale nomina, in base al decreto legislativo n. 45 del 2014 di attuazione della direttiva 2011/70/Euratom, prevede la scelta di una figura di indiscussa moralità e comprovata esperienza nel settore, requisiti di cui a giudizio degli interroganti Agostini è sprovvisto;
   erano in corso già dal 2012 indagini sulla gestione dei fondi amministrati da Agostini – iniziate su segnalazione di un'inchiesta giornalistica della testata Il Fatto Quotidiano – da parte di alcuni ispettori del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, della Corte dei conti e della procura di Roma;
   il 5 novembre 2014 è stato pubblicato un rapporto degli ispettori della Ragioneria dello Stato in merito alla vicenda della cattiva gestione dei fondi legati ad Agostini;
   il 6 novembre 2014 le commissioni hanno approvato la candidatura di Agostini, nonostante le forti opposizioni del MoVimento 5 Stelle;
   secondo una nota della Ragioneria generale dello Stato, scaturita da un'inchiesta del Ministero dell'economia e delle finanze, il dottor Agostini era stato giudicato «inadeguato a gestire programmi così complessi (...), con profili di illegittimità suscettibili di determinare una configurazione di danno erariale e circostanze penalmente rilevanti»;
   durante l'audizione del dottor Agostini nelle Commissioni ambiente, territorio e lavori pubblici ed attività produttive, commercio e turismo sono stati richiesti gli atti delle indagini interne avviate dal Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca; gli atti richiesti non sono stati forniti, poiché sarebbero stati trasmessi alla magistratura;
   il Movimento 5 Stelle ha dato seguito coerente alle proprie rimostranze, presentando un atto di sindacato ispettivo all'attuale Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Stefania Giannini, in cui si evidenziava come il precedente Ministro non abbia preso provvedimenti adatti nonostante il rapporto degli ispettori del Ministero dell'economia e delle finanze, trasmesso nel mese di ottobre 2013 al precedente responsabile del dicastero –:
   se il Ministro interrogato non ritenga che, oltre a quella che agli interroganti appare l'evidente mancanza di competenza specifica ed alle perplessità emerse in merito al suo operato, l'iscrizione del dottor Agostini nel registro degli indagati rappresenti una ragione sufficiente per sospendere il relativo procedimento di nomina, anche alla luce dei requisiti di indiscussa moralità richiesti dal decreto legislativo n. 45 del 2014 che ha dato attuazione alla citata direttiva Euratom.
(3-01168)
(Presentata il 18 novembre 2014)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, SEGONI, TERZONI, VIGNAROLI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (di seguito «ISPRA»), è stato istituito con decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, della legge n. 133 del 2008;
   l'ISPRA è ente pubblico di ricerca, dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, autonomia tecnica, scientifica, organizzativa, finanziaria, gestionale, amministrativa, patrimoniale e contabile;
   l'ISPRA è sottoposto alla vigilanza del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si avvale dell'Istituto nell'esercizio delle proprie attribuzioni, impartendo le direttive generali per il perseguimento dei compiti istituzionali;
   l'ISPRA ha recentemente pubblicato, anche per il 2014, il Rapporto Rifiuti Urbani, giunto alla sua sedicesima edizione, frutto di una complessa attività di raccolta, analisi ed elaborazione di dati da parte del Servizio Rifiuti dell'ISPRA, in attuazione di uno specifico compito istituzionale previsto dall'articolo 189 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   il Rapporto Rifiuti Urbani – Edizione 2014 fornisce i dati, relativi all'anno 2013, sulla produzione, raccolta differenziata e gestione dei rifiuti urbani, a livello nazionale, regionale e provinciale e sull’import/export;
   sui dati in tema di gestione dei rifiuti di imballaggio, il Rapporto Rifiuti Urbani – Edizione 2014 si è avvalso della collaborazione del Conai, del Corepla, e dei Consorzi di Filiera e nello specifico, per quanto riguarda la gestione degli imballaggi in plastica il Rapporto Rifiuti Urbani – Edizione 2014 ha riportato i seguenti dati:
    a) quantità riciclata (aree pubbliche e private): 789.000 tonnellate;
    b) quantità bruciate: 753.000 tonnellate;
    c) totale (riciclo + recupero energetico): 1.542.000 tonnellate;
    d) riciclo da aree pubbliche: 414.000 tonnellate;
    e) riciclo da aree private: 375.000 tonnellate;
   dalla relazione Corepla sulla gestione 2013, vengono invece, riportati i seguenti dati:
    a) quantità riciclata (aree pubbliche e private) 789.072 tonnellate;
    b) quantità bruciate: 752.554 tonnellate;
    c) totale (riciclo + recupero energetico): 1.541.626 tonnellate;
    d) riciclo di aree pubbliche 429.132 tonnellate
    e) riciclo da aree private 359.940 tonnellate –:
   se sia a conoscenza del fatto che i dati in termini di gestione dei rifiuti di imballaggio in plastica contenuti nel Rapporto Rifiuti Urbani – Edizione 2014 sono sensibilmente diversi da quelli contenuti nella Relazione sulla gestione 2013 presentata da Corepla, e che i dati Mud differiscono da quelli della predetta relazione;
   se sia a conoscenza del fatto che, sulla base degli elementi conoscitivi forniti dal Corepla, il Rapporto Rifiuti Urbani – Edizione 2014 nella tabella 3.17, non risulterebbe che siano stati esportati rifiuti plastici con codice Cer 191204, ma esclusivamente rifiuti plastici con codice Cer 150102;
   se sia a conoscenza della quantità di rifiuti plastici con codice Cer 191204 che – dopo aver subito un trattamento presso piattaforme italiane – risultano essere stati esportati dall'Italia;
   se abbia mai confrontato i dati pubblicati nei Rapporti Rifiuti Urbani con quelli in possesso alla Agenzia delle dogane sulla base della documentazione doganale presentata dagli esportatori di rifiuti. (5-04076)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BUSINAROLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, a seguito di segnalazione pervenuta da un cittadino, è stata rilevata la presenza di un cumulo di rifiuti di varia origine abbandonati in una strada secondaria nei pressi di due parcheggi nella zona industriale di Concamarise (VR);
   a seguito degli accertamenti effettuati dagli agenti della polizia municipale di Bovolone (VR) e anche alla presenza del sindaco Zuliani, intervenuti immediatamente sul posto, si riscontrava la presenza di diversi metri cubi di rifiuti di natura diversa, ovvero di sacchetti di umido, di secco, nonché di plastica e carta;
   a seguito di ulteriori controlli è emerso che, tra i rifiuti maleodoranti, vi erano anche lettere indirizzate a persone residenti a Roma e, addirittura, documenti provenienti dalla questura di Roma e dal Ministero dell'interno, oltre ad un bidoncino dell'umido di Ama (l'azienda municipalizzata capitolina);
   a seguito dell'episodio la polizia municipale ha inoltrato alla procura competente una informativa sul ritrovamento del materiale abbandonato, rimarcando che restano ancora ignoti gli autori del deposito abusivo di materiale;
   quanto sopra descritto evidenzia la gravità di un fenomeno particolarmente diffuso, quello cioè della gestione illecita dei rifiuti, per cui occorre prevedere un maggiore e più capillare controllo dell'attività di smaltimento, per evitare il rischio di danno ambientale e per tutelare la salute pubblica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative urgenti intenda assumere, anche per il tramite del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, dirette a verificare lo stato dei luoghi, la rintracciabilità dei rifiuti ed anche allo scopo di tutelare le popolazioni dai rischi di inquinamento da danno ambientale. (4-06908)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende dalla stampa locale di Anagni dei giorni scorsi, nella zona di Cangiano, nei pressi del quartiere periferico di San Bartolomeo, il 30 ottobre 2014 sono state effettuate operazioni di scavo condotte dai vigili del fuoco di Frosinone e dal Corpo forestale dello Stato, per dissotterrare rifiuti tossici depositati all'interno di fusti seppelliti nell'area; tutta l'area è stata transennata e non è stato consentito a nessuno di entrare nella zona coinvolta;
   si tratta di una zona che era in origine una cava di pozzolana, chiusa successivamente con l'esaurimento del materiale. Da quanto si apprende dalla stampa, sembra che 4-5 anni fa il sito abbia cambiato destinatario e gli scavi potrebbero essere sollecitati dalla nuova proprietà della zona che avrebbe notato qualcosa di strano nel terreno;
   la zona sembra che sia stata sequestrata 10 anni fa dalla Guardia di finanza in quanto sono stati trovati interrati parecchi fusti di materiale inquinante. Circa un anno fa sarebbe stato operato il dissequestro dell'area, ma le operazioni di bonifica sarebbero ancora da fare;
   nonostante non ci siano ancora conferme in merito, molti dei residenti della zona cominciano ad essere seriamente preoccupati e temono che gli scavi del 30 ottobre possano essere solo l'inizio di una nuova stagione di operazioni di disseppellimento di veleni, collegati con l'interramento dei fusti di cui al sequestro dell'area di 10 anni fa;
   sembra che non sia stato trovato nessun tipo di materiale pericoloso interrato; sono stati comunque prelevati campioni di acqua e di terreno dalla zona con lo scopo di farli analizzare; tuttavia, l'allarme della popolazione è giustificato anche per la vicinanza dell'area di soli 100 metri dal quartiere residenziale;
   non risultano ancora comunicazioni ufficiali da parte delle forze dell'ordine in merito ai risultati dell'indagine ambientale, anche perché sembra che gli scavi non siano ancora terminati –:
   se il Governo intenda indagare e approfondire le ragioni e gli esiti degli scavi effettuati il 30 ottobre 2014 ad Anagni, nella zona di Cangiano, nei pressi del quartiere periferico di San Bartolomeo, allo scopo di garantire le giuste informazioni alla popolazione che risulta allarmata anche per il ritrovamento in passato di parecchi fusti di materiale inquinante seppelliti nella stessa area.
(4-06920)


   MARIANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il servizio ambiente della amministrazione provinciale di Lucca ha manifestato al Parlamento alcune preoccupazioni circa l'applicazione della normativa in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA) a seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, in particolare, per la parte inerente, alla verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale;
   secondo l'interpretazione dell'amministrazione provinciale di Lucca, tale disposizione ha reso inapplicabili le soglie dimensionali che stabilivano l'ordine di grandezza oltre la quale era necessaria la procedura di verifica di valutazione di impatto ambientale conseguentemente tutte le categorie progettuali presenti nell'allegato IV dovrebbero essere sottoposte alla procedura di verifica indistintamente dalle dimensioni;
   l'eliminazione, seppure transitoriamente, delle soglie dimensionali la valutazione di impatto ambientale rischia, secondo l'amministrazione provinciale di Lucca, non solo di ingolfare il lavoro degli uffici competenti, ma anche di bloccare l'iter delle richieste al vaglio delle amministrazioni, almeno fino a quando il decreto interministeriale previsto dal citato comma 1, lettera c) detterà alle regioni e alle province autonome, le modalità di adeguamento dei criteri e delle soglie alle specifiche situazioni ambientali e territoriali;
   nello specifico, l'articolo 15, comma 1, lettera c), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 ha introdotto nuove disposizioni sostitutive di quelle recate dall'articolo 23 della legge 6 agosto 2013 n. 97, al fine di pervenire ad un recepimento della direttiva 2011/92/UE capace di superare in maniera definitiva le censure mosse dalla Commissione europea nell'ambito della procedura di infrazione 2009/2086, avviata, principalmente, per non conformità delle norme nazionali che disciplinano la verifica di assoggettabilità a VIA (screening) con l'articolo 4, paragrafi 2 e 3, della direttiva medesima;
   al fine di superare le criticità sollevate dalla Commissione europea nell'ambito della procedura di infrazione, l'articolo 23 della legge n. 97 del 2013 ha introdotto nuove disposizioni, senza intervenire direttamente sulle norme del codice dell'ambiente, prevedendo una procedura in due fasi per definire, da parte delle regioni, le soglie e i criteri per l'assoggettamento alla procedura di screening, sulla base delle linee guida definite, nella prima delle due fasi, a livello statale;
   le disposizioni dettate dall'articolo 15 comma 1, lettere c) e d) del decreto-legge n. 91 del 2014, sostituiscono la disciplina di cui all'articolo 23 della legge n. 97 del 2013, con una procedura che prevede un'unica fase, delegificando l'individuazione delle soglie e dei criteri, che viene direttamente demandata ad un decreto interministeriale adottato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per i profili connessi ai progetti all'infrastrutture di rilevanza strategica, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni e previo parere delle competenti commissioni parlamentari;
   la lettera c) del comma 1 incide direttamente sul codice dell'ambiente integrando il disposto dell'articolo 6, comma 7, lettera c), del decreto legislativo n. 152 del 2006 prevedendo che, per i progetti elencati nell'allegato IV, parte seconda, siano emanate, con il citato decreto interministeriale, disposizioni volte a definire i criteri e le soglie per ciascuna tipologia di progetto prevista nell'allegato IV per l'assoggettamento alla procedura di screening, sulla base dei criteri stabiliti nell'allegato V;
   la successiva lettera d) riscrive il comma 9 dell'articolo 6 del codice dell'ambiente, stabilendo che le soglie fissate dal decreto interministeriale non sono da considerarsi sostitutive bensì integrative di quelle attualmente previste dall'Allegato IV, parte seconda, del medesimo codice;
   le nuove disposizioni contengono, inoltre, due norme transitorie:
    a) la prima, alla lettera c) del comma 1 stabilisce che, in attesa dell'entrata in vigore del decreto interministeriale in questione, lo screening è effettuato caso per caso, sulla base dei criteri stabiliti I all'allegato V del Codice dell'ambiente;
    b) la seconda, contenuta nel comma 3 dell'articolo 15, riguarda l'applicazione delle disposizioni dell'articolo 6, comma 8, del codice dell'ambiente, relative al dimezzamento delle soglie dimensionali per particolari progetti (di cui agli allegati III e IV) ricadenti all'interno di aree naturali protette o relativi agli elettrodotti facenti parte della rete elettrica di trasmissione nazionale. Tali disposizioni continuano ad applicarsi, ma solamente fino all'entrata in vigore del decreto interministeriale;
   prima dell'entrata in vigore delle modifiche introdotte dal decreto-legge n. 91 del 2014, la verifica di impatto ambientale era svolta sulla base di un elenco di progetti, allegato al decreto legislativo n. 152 del 2006, recepito dalla regione Toscana con la legge n. 10 del 2010, che prevedeva determinate soglie dimensionali al di sotto delle quali la normativa in materia di VIA non si applicava;
   l'amministrazione provinciale di Lucca, in data 25 luglio 2014, ha chiesto alla regione Toscana alcuni chiarimenti sulla materia oggetto della presente interrogazione e, in particolare, di fornire un indirizzo unitario al quale potessero uniformarsi le province toscane in attesa dell'emanazione del citato decreto interministeriale, proponendo un approccio procedimentale che prevedeva di valutare i progetti presentati dalle imprese «caso per caso», in modo tale da poter escludere le piccole attività con situazioni di evidente irrilevanza sotto il profilo dell'impatto ambientale, in quanto le disposizioni transitorie recate dall'articolo 15, comma 1, lettera c) del decreto-legge n. 91 del 2014, hanno reso inapplicabili le soglie dimensionali che stabilivano l'ordine di grandezza oltre la quale era necessaria la procedura di verifica di V.I.A.; conseguentemente tutte le categorie progettuali individuate nell'allegato IV al decreto legislativo n. 152 del 2006, indistintamente dalle dimensioni, devono essere sottoposte alla procedura di verifica di impianto ambientale;
   la regione Toscana ha risposto, in primo luogo, che non compete all'amministrazione regionale dettare agli enti locali indirizzi di carattere interpretativo della normativa statale in esame e che la disciplina transitoria contenuta all'articolo 15, comma 1, lettera c) del decreto-legge n. 91 del 2014 prevede che, nelle more dell'entrata in vigore del più volte citato decreto interministeriale con il quale si individueranno i criteri e le soglie da applicare all'assoggettamento alla procedura di screening dei progetti di cui all'allegato IV, alla parte seconda del decreto legislativo n. 52 del 2006, la procedura di cui all'articolo 20, che disciplina la verifica di assoggettabilità a VIA, «è effettuata caso per caso sulla base dei criteri di cui all'allegato V»;
   secondo la regione Toscana ciò implica che:
    le soglie previste dal citato allegato IV e dagli allegati B1, B2 e B3 della legge regionale n. 10 del 2010, non sono più applicabili;
    nella fase transitoria, la procedura di assoggettabilità a VIA è effettuata unicamente con l'approccio «caso per caso» vale a dire su ogni progetto elencato nell'allegato IV sulla base dei criteri di cui all'allegato V, senza possibilità di ricorso agli automatismi determinati dall'applicazione delle soglie già stabilite dalla normativa statale e regionale e che, nella fase a regime, le soglie indicate dal decreto interministeriale non saranno sostitutive ma integrative di quelle attualmente stabilite dall'allegato IV;
    ogni diversa interpretazione che conduca, nella vigenza della fase transitoria, a escludere l'attivazione della proce- dura di assoggettabilità per uno o più progetti appartenenti all'elenco di cui all'allegato IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, contrasta con le finalità della norma in questione, che è proprio quella di superare, anche nell'immediato, le censure della Commissione europea riguardo alle modalità non corrette di determinazione di soglie da parte del legislatore nazionale e che ha portato alla procedura di infrazione;
   alla luce di quanto sopra esposto, secondo la regione Toscana, la proposta di operare una selezione dei progetti volta a escludere la verifica di assoggettabilità alla VIA non può essere considerata praticabile;
   la complessità della procedura e il numero di soggetti coinvolti, non fanno ben sperare riguardo al rispetto dei tempi di emanazione del decreto interministeriale di cui all'articolo 15 comma 1, lettere c), mentre la situazione sopra descritta starebbe determinando un notevole aggravio temporale dei procedimenti e maggiori oneri per le imprese, anche nei casi di piccole attività di evidente irrilevanza sotto il profilo di impatto ambientale –:
   se in relazione alle descritte modifiche in materia normative in materia di valutazione di impatto ambientale per la parte inerente alla verifica di assoggettabilità delle opere di cui all'articolo 6, comma 7, lettera c), del decreto legislativo n. 152 del 2006, sia corretta l'interpretazione secondo la quale, nelle more dell'approvazione del decreto interministeriale, non sono più applicabili le soglie previste dall'Allegato IV, parte seconda del codice dell'ambiente e se, conseguentemente, tutte le categorie progettuali ricomprese in detto Allegato IV, indistintamente dalle dimensioni, debbano essere sottoposte alla procedura di impatto ambientale. (4-06940)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MANZI, MALISANI, NARDUOLO e RAMPI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse su alcuni quotidiani, anche locali, si apprende che il Museo nazionale d'arte orientale, istituito nel 1957 con decreto del Presidente della Repubblica ed intitolato al suo fondatore Giuseppe Tucci, sta per essere trasferito dalla sua sede storica di Palazzo Brancaccio, nel quartiere Esquilino a Roma, all'Eur, in una zona più decentrata della capitale;
   la notizia del trasferimento, giustificata come risparmio di spesa, desta molte preoccupazioni tra i cittadini e gli operatori del settore, in quanto si teme che la diversa e nuova collocazione scelta, possa vanificare i rilevanti sforzi fino ad oggi compiuti per la promozione del museo sia da parte di tutto il personale che in esso opera, sia da parte di enti ed individui che nel museo hanno investito ingenti risorse culturali ed economiche;
   tale struttura raccoglie la collezione, unica al mondo, del Tucci, uno dei massimi orientalisti del novecento, che fu: esploratore, etnologo, accademico, archeologo, famoso per le sue memorabili spedizioni in Tibet e in Nepal, in territori ancora in gran parte inesplorati e per le sue campagne di scavo in Pakistan ed in Afganistan;
   di tale collezione fanno parte circa 25.000 reperti archeologici ed opere d'arte asiatica, a cui si aggiungono i circa 2.000 donati dalla moglie dell'artista, autore anche di volumi sulla cultura tibetana, indiana, nepalese, sul buddismo e l'induismo, di numerose opere sulle religioni in italiano ed inglese, di vari scritti sulla filosofia e cultura orientale e di traduzioni di opere sanscrite, tibetane, cinesi e indiane;
   essendo posto, attualmente tra le grandi destinazioni turistiche della capitale e un crescente numero di soluzioni alberghiere, il Museo Nazionale d'Arte Orientale è venuto a configurarsi, per le sue collezioni di archeologia e arte asiatica, esposte a rotazione, come meta ricorrente dell'utenza cittadina e dei turisti, spesso ed inizialmente attratti dall'opulenza del Palazzo Brancaccio che ospita il museo;
   il trapianto in un contesto periferico metterebbe a rischio la fruibilità di tale patrimonio culturale, declassando la storia ed il valore della collezione del grande artista Tucci e delle altre opere che la struttura museale ospita –:
   se il Ministro interrogato alla luce dei tagli imposti dalla spending review ritenga opportuno valutare il trasferimento del Museo Nazionale d'Arte Orientale in altra sede, comunque centrale, di proprietà dello Stato, così da coniugare le esigenze di economicità con quelle, giuste, di visibilità e visitabilità dei luoghi e delle prestigiose opere di cui la struttura museale si fregia. (5-04061)


   ALBINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la sempre più stringente crisi economica e la conseguente spending review cui sono costretti i Governi europei colpisce ancor più settori «deboli» come la cultura e i servizi culturali;
   i tagli sempre più corposi alla cultura rendono ogni giorno più difficile gestire il patrimonio culturale nel nostro Paese e, una delle conseguenze, ad esempio, è la decimazione dei contratti temporanei del personale impiegato in musei e biblioteche, riducendo così a poche ore l'accesso al pubblico;
   le drastiche riduzioni delle spese per nuovi investimenti in materiale renderanno rapidamente obsolete le offerte di libri, DVD, riviste, e altro con la conseguente disaffezione degli utenti, già attratti dal facile accesso via internet ad un'enorme varietà di documenti;
   nemmeno biblioteche come la Biblioteca nazionale centrale di Firenze, la cui ricchezza di materiali e l'altissimo numero di utenti, sono al riparo dei tagli che si sono abbattuti sugli altri istituti;
   la Biblioteca nazionale centrale di Firenze ha origine nel 1714 dalla biblioteca privata di Antonio Magliabechi, costituita da circa 30.000 volumi, aperta per la prima volta al pubblico nel 1747 con il nome di Magliabechiana; la Biblioteca venne unificata nel 1861 con la grande Biblioteca Palatina ed assunse il nome di Biblioteca nazionale e dal 1885 l'appellativo di centrale. Dal 1870 riceve per diritto di stampa una copia di tutto quello che viene pubblicato in Italia;
   la Biblioteca ha oggi sede in edificio opera dell'architetto Vincenzo Mazzei, uno dei rari esempi di edilizia bibliotecaria, che fa parte dell'area monumentale del complesso di Santa Croce;
   la Biblioteca nazionale centrale di Firenze sede pilota nella creazione del servizio bibliotecario nazionale (SBN) che ha come obiettivo l'automazione dei servizi bibliotecari e la costruzione di un indice nazionale delle raccolte librarie possedute dalle biblioteche italiane;
   la Biblioteca, che dispone di un patrimonio di 6.000.000 volumi a stampa, 120.000 testate di periodici di cui 15.000 in corso, 4.000 incunaboli, 25.000 manoscritti, 29.000 edizioni del XVI secolo e oltre 1.000.000 di autografi, è una delle più importanti biblioteche italiane, nonché l'unica che possa documentare nella sua interezza lo svolgersi della vita culturale della Nazione;
   anche per la Biblioteca nazionale di Firenze i servizi sono seriamente messi a rischio per mancanza di risorse economiche, di personale e di spazi adeguati –:
   cosa intenda fare il Governo per garantire una revisione dei tagli di spese a questo settore e la tutela del patrimonio culturale ed artistico del nostro Paese;
   se il Governo non intenda contribuire, d'intesa con il comune di Firenze, il Demanio e la proprietà dell'immobile, la società Fintecna, a rendere concreta l'ipotesi di utilizzare una parte già individuata della Manifattura Tabacchi per creare la grande Emeroteca Nazionale, che raccoglierebbe le raccolte di giornali e riviste della Biblioteca nazionale di Firenze più quelle che la Presidenza del Consiglio vorrebbe destinare, risolvendo così, almeno in parte una delle conseguenze dei tagli di spesa alla cultura di cui è vittima anche la Biblioteca nazionale. (5-04073)

Interrogazione a risposta scritta:


   REALACCI. —Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nell'atto di sindacato ispettivo n. 4/04271 l'interrogante lamentava, in merito al concorso di idee bandito dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – sopraintendenza per i beni archeologici di Roma, per un progetto di copertura dell’Auditorium di Adriano in piazza Venezia, il fatto che, «il 25 febbraio 2014 la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma con un mero avviso, reperibile al link http://archeoroma.beniculturali.it, sospese, “nelle more dell'approfondimento e delle valutazioni in merito ad alcune questioni postesi relativamente alla composizione della Commissione di Gara” la sopraddetta procedura di gara “fino a nuova disposizione”»;
   tale procedura di bando e successiva sospensione, peraltro senza l'indicazione di uno spazio temporale certo per avere notizie dello stesso, apparve all'interrogante alquanto anomala;
   con risposta del 7 agosto 2014 pubblicata nell'allegato B della seduta 281 del resoconto della Camera dei deputati il Ministro così rispondeva: «[...] Per quanto sopra esposto, e in via preventiva, la soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma ha ritenuto opportuno rivolgere all'avvocatura dello Stato uno specifico quesito, relativo alla conformità delle designazioni ricevute sia rispetto alle disposizioni del bando, in quanto lex specialis, che all'articolo 84 del codice, al fine di non incorrere in violazioni della normativa che si configurerebbero quale vizio demolitorio dell'intera procedura che è, invece, interesse di questa Amministrazione condurre e concludere con la massima celerità e regolarità possibili. Inoltre, in attesa del parere dell'avvocatura, la soprintendenza ha sospeso la procedura, con il noto avviso del 25 febbraio 2014. Il parere dell'avvocatura, pervenuto all'Amministrazione il 1o agosto, richiama in primo luogo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato in materia di bandi di concorso, secondo la quale «Il bando, costituendo la lex specialis del concorso indetto per l'accesso al pubblico impiego, deve essere interpretato in termini strettamente letterali, con la conseguenza che le regole in esso contenute vincolano rigidamente l'operato dell'Amministrazione pubblica, obbligata alla loro applicazione senza alcun margine di discrezionalità». Con riferimento al bando in questione, l'avvocatura osserva che appare «aderente alla previsione del bando la nomina soli funzionari e non dirigenti della Direzione Generale Antichità del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio-MiBAC, tanto più che la qualifica dirigenziale non necessariamente postula quella di funzionario». Tali considerazioni – prosegue l'avvocatura – valgono «a maggior ragione ... in relazione alla circostanza che due dei nominati rivestono funzioni apicali nei relativi uffici. Detta circostanza potrebbe, infatti, ingenerare problematiche in ordine alla successiva attività amministrativa», alla luce di quanto disposto dall'articolo 84, comma 4, del decreto legislativo n. 163 del 2006 esattamente richiamato dalla soprintendenza. Alla luce del parere reso dall'avvocatura, e nella piena consapevolezza del disagio determinato fra i concorrenti e nell'opinione pubblica dal lungo tempo trascorso dall'avvio della procedura, questa Amministrazione procederà quindi con la massima celerità alla costituzione della commissione giudicatrice in conformità a quanto indicato nel parere stesso»;
   ad oggi a quanto risulta non è stata ancora costituita, benché sia stata ribadita la questione di «massima celerità» per il bando, la commissione giudicatrice –:
   se il Ministro sia a conoscenza della vicenda e intenda, per il tramite degli uffici competenti, chiarire con la massima celerità la ragione del ritardo nella costituzione delle sopraccitata necessaria commissione giudicatrice e assumere le iniziative di competenza per la nomina; se non intenda verificare quanto accaduto ad inizio anno, nell’iter del predetto bando presso la Soprintendenza per i beni archeologici di Roma. (4-06939)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, CIPRINI, COMINARDI, CHIMIENTI, PAOLO BERNINI, BALDASSARRE e ALBERTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 ottobre 2014, veniva pubblicata sul quotidiano on line grnet.it, la notizia riguardante la spedizione di quattro militari della compagnia SOC (Servizio Onori Capitale) facenti capo alla Brigata di Marina San Marco, alla «USMC Silent Drill School» di Washington D.C., allo scopo di perfezionare il loro modo di marciare. L'iniziativa, voluta dallo Stato Maggiore della Marina, comporta la frequenza del corso di addestramento della durata di sette settimane, presumibilmente da dicembre 2014 a gennaio 2015, riservato a militari rispondenti ad idonee caratteristiche marziali, altamente motivati ed in possesso dei requisiti linguistici previsti;
   all'interno dello stesso articolo vi è un video che riporta il tipo di abilità che andrebbero ad acquisire i militari inviati, che consisterebbe anche nel maneggiare le armi a puro scopo di esibizione;
   a giudizio degli interroganti, appare poco utile tale forma di addestramento al solo scopo esibizionistico, soprattutto in considerazione del fatto che sia stato imposto un periodo di spending review al Paese, compreso il comparto difesa –:
   nello specifico, in cosa consisterebbe e cosa prevedrebbe il corso di perfezionamento sopracitato e quale sia la necessità di favorire tale formazione;
   quale sia l'ammontare complessivo del costo del corso di formazione e da che capitoli di bilancio verranno prelevati i fondi necessari;
   se sia intenzione del Ministro interrogato, per quanto nelle sue possibilità, impedire l'iniziativa sopracitata riguardante l'invio di militari presso la suddetta «USMC Silent Drill School» di Washington, in considerazione del periodo di spending review, che non esclude il comparto difesa, imposto al Paese. (5-04070)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAVAGNO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'assistenza spirituale alle forze armate dello Stato operata dai cappellani militari è disciplinata fin dal Concordato del 1929 e resi esecutivi dalla legge 27 maggio 1929, n. 810, e successive modificazioni, e dalla legge 1o giugno 1961, n. 512, «Stato giuridico, avanzamento e trattamento economico del personale dell'assistenza spirituale alla Forze armate dello Stato»;
   secondo quanto previsto dall'articolo 1546 del codice dell'ordinamento militare (decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66), ai cappellani militari viene riconosciuto da subito un alto grado militare;
   sono circa 170 i cappellani militari inquadrati nell'esercito italiano con gradi che vanno dal capitano al generale. Il loro status militare è disciplinato dal Concordato del 1984, e prevede che i cappellani militari non portino armi, ma siano membri a tutti gli effetti dell'esercito italiano con il compito di fornire «assistenza spirituale» ai militari;
   i cappellani militari sono assimilati al rango di ufficiale e di questo ne indossano i gradi e ne percepiscono lo stipendio con un costo per le casse dello Stato italiano che nel 2014 ammonta a 6.3 milioni di euro e, a questi, vanno aggiunti altri 8.5 milioni di euro all'anno per il mantenimento della struttura dell'Ordinariato e il pagamento delle pensioni degli ex cappellani;
   la grave crisi economica e la necessità di ridurre il debito contratto dal nostro Paese ha imposto di tagliare o di ottimizzare le spese di tutti i settori delle P.A., risparmi a cui non sono state esenti le Forze armate, ma non sembrano intaccare i cappellani militari –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se intenda rivedere, in un'ottica di risparmio generale, quanto previsto sui cappellani militari al fine di rendere meno gravoso sul bilancio dello Stato italiano il servizio dell'assistenza spirituale delle Forze armate.
(4-06906)


   LOMBARDI e FRUSONE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia, sulla scorta dei principi costituzionali di garanzia della dignità umana e di tutela del lavoratore, da tempo ha adottato una legislazione all'avanguardia per quanto riguarda la prevenzione e la repressione del mobbing;
   si riconosce che l'Esercito italiano, pur avendo utilizzato da tempo politiche di prevenzione e di monitoraggio, è per sua stessa natura fortemente sensibile a fenomeni di mobbing, sia perché struttura fortemente gerarchizzata sia, ancor più, perché il vincolo di gerarchia a giudizio dell'interrogante viene talvolta – ancora oggi – interpretato in maniera arbitraria da una gerarchia ancorata troppo spesso a schemi di un passato remoto, portata a confondere la responsabilità verso il sottoposto in «sudditanza» del sottoposto;
   a riprova di ciò è sufficiente verificare l'abnorme contenzioso pendente nei vari gradi di giudizio collegato all'ambito lavorativo (per trasferimenti, promozioni, punizioni, malattie, concorsi e altro) con costi per l'erario inaccettabili;
   anche la gestione dei concorsi sta rivelando la inadeguatezza della gestione delle risorse umane da parte dell'Esercito italiano: per esempio lo scorso anno, nonostante oltre 8.000 candidati, non si è riusciti a coprire tutti i posti disponibili messi a concorso per l'Accademia di Modena e quest'anno, sempre per l'Accademia di Modena, al termine di un lungo percorso selettivo fatto di quiz preselettivi, commissioni mediche, colloqui psicologici, prove ginniche, prove scritte e orali di cultura, si è ritenuto di complicare ulteriormente il già lungo e costoso iter (per ogni prova vi sono commissioni, oneri per l'utilizzo delle strutture, straordinari e missioni per i commissari, costi per gli immancabili contenziosi e altro) con un tirocinio che a fronte di circa 150 ragazzi ammessi per i 121 posti disponibili ha visto alla fine dei 30 giorni di tirocinio 17 inidonei e circa 50 ragazzi ritirati per motivi «non chiari», con ulteriori aggravi di costi e dubbi sull'efficacia di un concorso che presenta inaccettabili ridondanze (in Accademia, infatti, si ripetono valutazioni psicologiche oppure i test di educazione fisica, e altro);
   si ritiene, in particolare, che quest'ultimo concorso, con una graduatoria finale di uscita dal tirocinio che per quasi il 50 per cento è stata completamente stravolta rispetto alla graduatoria di entrata ponga alcuni interrogativi: ad avviso dell'interrogante o non ha funzionato la fase concorsuale non individuando i candidati idonei «all'altezza» o non ha funzionato il tirocinio che si è mosso su criteri di valutazione che appaiono in forte distonia con i principi adottati nelle fasi precedenti al tirocinio. Risulta, difatti, che è la prima volta che ad un tirocinio si verifica una così accentuata discrasia tra la graduatoria di inizio e quella di fine tirocinio;
   in un momento economicamente così travagliato per la nostra Repubblica non si può accettare che si sprechino risorse per ammettere al passaggio finale di un concorso un così elevato numero di candidati che, per quasi un anno, sono stati selezionati e testati constatando poi che una elevata percentuale è inidonea o rinuncia al concorso: il risultato è, in ogni caso, quello che all'interrogante appare un inaccettabile spreco di fondi pubblici perché la Forza armata non riesce a saper gestire, nei suoi vertici, lo strumento concorsuale;
   tale situazione pone il fondato timore che non sia stato ancora sufficientemente metabolizzato, specie tra alcune alte «gerarchie» dell'Esercito italiano, il concetto di «servizio pubblico» e di «buona amministrazione» che i pubblici amministratori devono garantire secondo gli specifici compiti e attribuzioni –:
   se il Ministro non intenda verificare l'efficacia e i costi dei concorsi per allievi ufficiali per l'Accademia militare degli ultimi anni, verificando le ragioni delle inefficienze delle procedure concorsuali, ivi inclusi i costi del contenzioso amministrativo che è stato generato;
   se non ritenga il Ministro di informare la magistratura contabile per una più approfondita e obiettiva valutazione di tutti i costi frutto di ogni inefficienza;
   se non ritenga, infine, il Ministro di avviare una totale e, soprattutto, definitiva rivisitazione delle procedure concorsuali che garantisca il minore costo per lo Stato e la massima efficienza sotto il profilo selettivo. (4-06934)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata:


   LIBRANDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   tra il 2010 e il 2011 il Governo italiano ha varato tre decreti-legge, poi convertiti dal Parlamento, contenenti misure di limitazione dell'uso del contante nelle transazioni finanziarie, portando il tetto ai pagamenti cash da 12.500 a 5.000 a luglio 2010, poi a 2.500 nel settembre 2011 e infine a 1.000 euro nel dicembre 2011, sanzionando ogni infrazione con il pagamento di una somma che va dall'1 al 40 per cento dell'importo trasferito (a partire da un minimo di 3.000 euro);
   il regime di restrizioni all'uso del contante vigente in Italia non trova equivalenti tra i principali Paesi dell'Unione europea: la Germania, prima economia europea, non impone limiti nell'uso del contante, nonostante l'economia sommersa incida in Germania del 10 per cento sul prodotto interno lordo; anche nei Paesi Bassi non è previsto nessun vincolo, mentre altrove vigono limiti all'uso del contante meno restrittivi rispetto all'Italia, come i 2.500 euro in Spagna, i 3.000 euro in Francia, l'equivalente di 13.400 euro in Danimarca e i 15.000 euro in Slovenia;
   una delle maggiori conseguenze negative della limitazione riguarda i consumi dei turisti stranieri in Italia, molti dei quali abituati per costume ad un utilizzo significativo del contante, soprattutto in settori molto caratteristici del made in Italy;
   la previsione di una deroga al tetto per l'uso del contante da parte dei cittadini residenti in Paesi non membri dell'Unione europea e dello spazio economico europeo è, infatti, inibita dalle severe regole burocratiche a cui è condizionata, in particolare, la rinuncia da parte dell'acquirente del suo diritto alla riservatezza;
   anche per i cittadini italiani e comunitari, sottoposti senza deroghe al tetto dei 1.000 euro, cioè ad un livello di spesa che molto spesso riguarda acquisti della quotidianità, la disciplina del limite all'uso del contante rappresenta una forte compressione della sfera di privacy, perché l'obbligo di utilizzo di strumenti alternativi di pagamento per transazioni superiori ai 1.000 euro comporta il tracciamento dei dati personali rispetto alle scelte e ai gusti personali, alle condizioni di salute, alla natura e alla ragione dei pagamenti effettuati, ai luoghi visitati;
   per i cittadini meno avvezzi all'utilizzo di strumenti elettronici di pagamento – in particolare, i più anziani – le limitazioni rappresentano un disagio operativo non sempre e non da tutti risolvibile con l'aiuto di familiari e amici;
   se la riduzione della soglia sull'uso del contante puntava a fare emergere gli illeciti di evasione fiscale, non sembra che siano stati considerati alcuni aspetti: innanzitutto, il fenomeno evasivo oggigiorno non è mai isolato, ma al contrario viene effettuato su filiere molto lunghe che iniziano e si concludono «senza fattura», trovando comunque in qualche modo come «ovviare» ai limiti imposti; in secondo luogo, per i grandi fenomeni di riciclaggio di denaro, gli strumenti elettronici e la sofisticazione informatica sono spesso fattori facilitanti e non inibenti il crimine;
   l'esistenza dei limiti all'uso del contante comporta un sussidio forzoso degli esercenti commerciali e dei consumatori a vantaggio degli istituti finanziari, a cui è stata di fatto ceduta una fetta importante della gestione di una delle funzioni pubbliche primarie, quale la moneta;
   gli ultimi dati sui consumi diffusi dall'Istat registrano un calo generalizzato: dal 2007 a oggi la contrazione del potere di acquisto degli italiani ha causato un danno annuo stimato da Confcommercio in 80 miliardi di euro; la contrazione dei consumi ha penalizzato la tanto attesa ripresa dell'economia, facendo dell'Italia l'unica tra le grandi economie italiane a non aver ripreso a crescere: le stime diffuse dall'Ocse a metà settembre 2014 dichiarano l'Italia in recessione anche per il 2014, con un tasso di crescita del prodotto interno lordo stimato al - 0,4 per cento (dopo il -1,8 per cento del 2013); secondo l'Ocse e le principali agenzie di analisi internazionali, nel 2015 si assisterà a una flebile ripresa di circa lo 0,1 per cento –:
   se siano stati valutati gli effetti sui consumi italiani e stranieri nel Paese provocati dalle norme che limitano l'uso del contante e se si intenda, anche attraverso iniziative di natura normativa, modificare la disciplina italiana nella direzione di una maggiore sintonia con quella vigente negli altri Paesi dell'Unione europea. (3-01169)
(Presentata il 18 novembre 2014)


   PAGANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le società partecipate dal Ministero dell'economia e delle finanze rappresentano da sempre, nella realtà italiana, per le loro dimensioni, le loro capacità di investimento e di finanziamento dell'economia reale e il loro ruolo di naturale catalizzatore dell'innovazione nei mercati di riferimento, un volano positivo per l'intera economia del Paese;
   la Banca del Mezzogiorno - Mediocredito centrale s.p.a., partecipata totalmente da Poste italiane s.p.a., è attualmente una vera e propria banca, che esercita l'attività bancaria senza alcun limite, in esercizio dell'autorizzazione bancaria che è stata rilasciata dalla Banca d'Italia. Il solo limite di operatività prevalente a favore delle regioni centro-meridionali è previsto dallo statuto della banca e, quindi, può essere rimosso in qualsiasi momento, per estendere il flusso di finanziamento all'intera realtà economica del Paese;
   le previsioni di legge «speciali» fatte adottare in materia dal Ministro pro tempore Tremonti non sono mai state applicate; i cosiddetti «titoli per l'economia meridionale», obbligazioni agevolate fiscalmente, che sarebbero dovuti servire per finanziare l'operatività della banca, non sono mai stati emessi. La banca ha un patrimonio di circa 400 milioni di euro e opera senza alcuna agevolazione statale in regime di piena concorrenza sul libero mercato, finanziandosi, come le altre banche, in autonomia sul mercato interbancario e tramite l'emissione di proprie obbligazioni;
   l'erogato di crediti a favore della clientela è pari a circa 1,3 miliardi di euro, in progressivo netto aumento; gli utili negli ultimi 3 anni sono pari a 51,4 milioni di euro. È la migliore banca del sistema bancario italiano operante in regime di mercato per ratios patrimoniali e indici di stabilità finanziaria (tier 1 al 38 per cento), margine di intermediazione, roe (al 10 per cento), cost/income (al 38,6 per cento);
   la banca gestisce anche il fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese (90.000 finanziamenti garantiti nel corso del 2014 per circa 13 miliardi di euro) e si è aggiudicata anche la gestione del fondo crescita sostenibile per l'erogazione di finanziamenti agevolati per ricerca e sviluppo;
   da notizie di stampa si apprende la supposta volontà di Poste italiane s.p.a. di cederne la partecipazione, in quanto l'attività della banca non rientrerebbe nel nuovo piano strategico del gruppo. Si apprende inoltre, sempre da notizie di stampa, della supposta intenzione di cedere la proprietà della banca alla società Invitalia s.p.a., anch'essa interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   in tal caso, tuttavia, si cadrebbe innanzitutto nell'incompatibilità tra l'attività propria di Invitalia s.p.a., consistente nell'erogazione di una serie di agevolazioni finanziarie pubbliche alle imprese, e l'erogazione alle medesime imprese di credito in regime di libero mercato da parte di una banca a quel punto appartenente allo stesso gruppo societario, anche tenuto conto che competente per l'eventuale autorizzazione sarebbe oramai la Banca centrale europea. Problematici sarebbero poi i profili di integrazione nella struttura del gruppo Invitalia, avente tutt'altra mission e obiettivi assolutamente diversi;
   risulterebbe, quindi, preferibile un'azione strategica che, al contrario, consentisse la piena valorizzazione dell'operatività della banca, sia in termini di progressiva e sempre maggiore erogazione di credito all'economia reale, sia in termini di entrate finanziarie per l'erario: ad esempio, Poste italiane s.p.a. potrebbe cedere la banca sul mercato oppure, preferibilmente, il Ministero dell'economia e delle finanze potrebbe decidere di quotare le azioni della banca su un mercato regolamentato e poi di cedere al pubblico una parte del pacchetto azionario, anche conservando il controllo;
   una tale azione strategica potrebbe consentire un rilevante incasso per l'erario, dopo aver posto in essere le azioni già previste dall'attuale piano industriale per valorizzare gli asset della banca (costante crescita sia delle attività creditizie dedicate allo sviluppo delle imprese con crediti per oltre 3 miliardi di euro, sia dei finanziamenti agevolati alle piccole e medie imprese per oltre 50 miliardi di euro), mantenendo nel contempo anche una finalizzazione della sua operatività per scopi di interesse pubblico che il Governo potrà decidere, da inserire come disposizioni nello statuto della banca –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intrapreso ovvero abbia intenzione di intraprendere per valorizzare gli asset della banca al servizio di interessi di natura generale e di supporto allo sviluppo del sistema imprenditoriale, sia in termini di maggiori entrate finanziarie per l'erario sia in termini di finalizzazione della sua operatività a scopi di interesse pubblico, consistenti nello specifico in un flusso progressivamente sempre maggiore di credito all'economia del Paese. (3-01170)
(Presentata il 18 novembre 2014)


   GUIDESI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA, RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   si stanno susseguendo nel Nord del Paese una serie di tragici eventi meteorologici ed alluvionali che hanno colpito ripetutamente le stesse aree, provocando vittime, devastazione, disperazione, fermo e danni alle attività produttive e agli strumenti di produzione, per superare i quali al momento non è possibile nemmeno prevedere un orizzonte temporale;
   dall'inizio di ottobre 2014 le regioni Liguria, Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Veneto e Friuli Venezia Giulia sono state colpite da eccezionali precipitazioni atmosferiche che stanno proseguendo anche in questi stessi giorni, piogge insistenti e torrenziali, allagamenti, fiumi straripati e laghi esondati, frane, fango, che hanno provocato vittime, sfollati, scuole chiuse e l'intervento di centinaia di volontari in tutti i territori colpiti;
   il Governo, al di là delle promesse, ha adottato al momento, concretamente, solo i provvedimenti «minimi» per venire incontro alla drammatica situazione degli operatori che hanno perso tutto e non sono in grado al momento di ricominciare, sospendendo solo i versamenti tributari, solo fino al 20 dicembre 2014, solo limitatamente ad una ristretta lista di comuni colpiti all'inizio di ottobre 2014;
   è notizia riportata dalla stampa di questi giorni che Equitalia stia recapitando cartelle esattoriali per migliaia di euro a cittadini ed imprese dei territori colpiti da calamità naturali; importi insostenibili proprio perché afferenti ai periodi immediatamente precedenti gli eventi avversi e che, senza una piena ripresa dell'attività economica, non possono essere sostenuti; tra le richieste più alte, ci sono quelle provenienti dall'Inps per versamenti contributivi –:
   se, e con quali modalità e tempistiche, il Governo intenda assumere iniziative volte a prevedere, per le persone fisiche e giuridiche aventi residenza nei territori delle regioni citate in premessa, che abbiano subito danni a seguito degli eccezionali eventi atmosferici verificatisi nel corso dell'anno 2014, tali da determinare un serio impedimento allo svolgimento dell'attività economica, un'esenzione triennale dai versamenti fiscali e contributivi e la cancellazione di tutte le cartelle di pagamento emesse da agenti della riscossione, prevedendo, altresì, la creazione di un corrispondente fondo statale atto a compensare i mancati versamenti contributivi di cui sopra. (3-01171)
(Presentata il 18 novembre 2014)


   CAUSI, BONIFAZI, CAPOZZOLO, CARBONE, CARELLA, COLANINNO, DE MARIA, MARCO DI MAIO, FRAGOMELI, FREGOLENT, GINATO, GITTI, GUTGELD, LODOLINI, MORETTO, PASTORINO, PELILLO, PETRINI, RIBAUDO, SANGA, ZOGGIA, MARTELLA e ROSATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   le difformità nella legislazione fiscale fra le diverse giurisdizioni nazionali sono alla base di rilevanti e perduranti distorsioni che influenzano le scelte localizzative delle imprese, e quindi dell'occupazione, e le direzioni dei flussi di capitale;
   tali distorsioni sono state una delle cause della crisi finanziaria del 2008/2009, spingendo i Governi ad avviare una serie di progetti per la modifica delle regole fiscali internazionali, affidando in questa direzione compiti specifici all'Ocse e al G20;
   nel recente vertice australiano del G20 lo stato di attuazione di questi progetti è stato sottoposto a valutazione, in particolare per ciò che riguarda: stabilire principi coerenti a livello internazionale per la tassazione dei redditi d'impresa e per ridurre i fenomeni elusivi ed evasivi correlati agli arbitraggi fra diverse giurisdizioni; acquisire standard internazionali comuni e condivisi in materia di trasparenza dei flussi finanziari e di interscambio di informazioni; riorganizzare i metodi e gli strumenti tributari alle nuove forme organizzative e tecnologiche determinate dall'economia digitale;
   il percorso di innovazione delle regole internazionali in materia resta tuttavia lento e incerto e le conclusioni dei più recenti vertici internazionali sono difficili da valutare con riguardo all'impatto effettivo a breve termine, salvo per ciò che riguarda i nuovi accordi finalmente firmati in materia di standard automatici di trasmissione delle informazioni (common reporting standards);
   anche all'interno dell'Unione europea i progressi verso l'armonizzazione fiscale segnano il passo e restano indietro al confronto con altri settori in cui, anche per la spinta della crisi, la costruzione comunitaria ha fatto qualche passo avanti (unione bancaria, nuovo meccanismo di vigilanza unica, qualche primo accenno a meccanismi di coordinamento delle politiche fiscali);
   le regole europee consentono arbitraggi sia in materia di tributi sia in quella del diritto societario, come ha mostrato alla pubblica opinione italiana il caso della Fiat-Fca;
   la potenziale dimensione distorsiva degli arbitraggi fiscali intraeuropei è emersa in modo preoccupante nel caso del Lussemburgo e dell'applicazione di ruling favorevoli con l'obiettivo di attrarre le scelte di localizzazione societaria a danno di altri Paesi dell'Unione europea;
   la concorrenza fiscale fra Stati è dannosa per la crescita economica e per la sua qualità e robustezza, in particolare all'interno di un'area come quella europea dove vige la libera circolazione dei beni e delle persone, nonché, per la maggioranza dei Paesi, anche una moneta unica –:
   con quali atti e quali iniziative il Governo intenda perseguire un ruolo attivo, propositivo e trainante a livello internazionale ed europeo per ridurre la concorrenza fiscale fra Stati, aumentare la trasparenza delle transazioni finanziarie internazionali e combattere le forme di elusione ed evasione delle grandi imprese multinazionali, in particolare nel settore dell'economia digitale. (3-01172)
(Presentata il 18 novembre 2014)


   FAUTTILLI e PIEPOLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'approvazione dello statuto dei diritti del contribuente avrebbe dovuto rappresentare un momento cruciale al fine di impostare finalmente il rapporto tra fisco e cittadini su basi di certezza, trasparenza e reciproco rispetto;
   a quattordici anni dall'emanazione si deve, però, constatare l'inosservanza di alcuni dei principi cardine dello statuto, in particolare quello relativo al divieto di applicazione retroattiva di norme fiscali;
   l'articolo 3 dello statuto dei diritti del contribuente prevede che le «disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo»;
   il legislatore può, però, derogare in ogni caso all'articolo 3 con legge ordinaria; pertanto, la portata dello statuto viene sostanzialmente vanificata e resiste esclusivamente in quanto norma di principio;
   secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, la legittimità di qualsiasi imposta retroattiva deve essere, però, valutata alla luce del principio della capacità contributiva. Pertanto, quando la retroattività di una nuova imposta non viola il legame con l'articolo 53 della Carta costituzionale, il prelievo è legittimo, con buona pace della pianificazione dei flussi finanziari operata dai contribuenti;
   molte proposte di legge presentate in questa e nelle passate legislature mirano ad elevare lo statuto dei diritti del contribuente al rango di norma costituzionale, proprio perché molti parlamentari sono consci della criticità in merito alla possibilità di derogare a tale importante strumento per via legislativa;
   la stessa Commissione europea, nell'ambito delle misure delineate nel piano di azione per rafforzare la lotta all'evasione e all'elusione fiscale nel dicembre del 2012, ha proposto un «codice europeo dei diritti del contribuente»;
   alcuni recenti studi economici dimostrano come esista un preciso collegamento tra l'evasione fiscale ed il cattivo rapporto tra Stato e contribuenti: per un contenimento del fenomeno e per una equa distribuzione del carico tributario, bisognerebbe non soltanto minimizzare il costo ed il numero degli adempimenti, ma risultare trasparenti, corretti e imparziali nelle procedure e nel trattamento generale delle legittime aspettative dei contribuenti –:
   se non ritenga necessario dare piena attuazione ai principi dello statuto del contribuente, a partire dall'irretroattività delle misure fiscali, al fine di mantenere nella pratica un corretto rapporto con il contribuente, quale presupposto per l'esercizio efficace del potere impositivo e per rafforzare la lotta all'evasione ed all'elusione fiscale. (3-01173)
(Presentata il 18 novembre 2014)


   DI GIOIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio di Stato ha annullato, con sentenza pronunciata il 4 giugno 2014, il concorso per quattro posti di dirigenza bandito nel luglio del 2010 dall'allora amministrazione provinciale di Foggia, accogliendo il ricorso di uno dei partecipanti che aveva denunciato, tra l'altro, vizi inerenti alla composizione della commissione, ai punteggi assegnati alle prove scritte e alle modalità di svolgimento di quelle orali;
   la causa risiede nell'incompatibilità a rivestire il ruolo di componente della commissione per Micky de Finis (dirigente dell'ente e contestualmente dirigente del sindacato Direl); secondo i giudici, sarebbe stato violato «il principio di imparzialità» che devono avere le commissioni giudicatrici di concorsi pubblici;
   un altro concorso, per un posto di dirigente del settore contabile, sarebbe a rischio di annullamento, in base alla relazione dell'ispettore del Ministero dell'economia e delle finanze, che sui concorsi aveva fatto dei rilievi;
   nel mese di settembre 2014 il commissario straordinario della provincia di Foggia, dottor Fabio Costantini, ha coperto i settori rimasti sguarniti dopo l'annullamento del concorso, affidando ad interim, in aggiunta agli incarichi di cui sono titolari, anche gli incarichi rimasti vacanti;
   tra questi vi è il dirigente dell'ente che avrebbe determinato l'annullamento del concorso;
   nel decreto si precisa che i dirigenti non avranno modifiche economiche, fatta salva la possibile valutazione in sede di attribuzione della retribuzione di risultato;
   a ciò si aggiungono gli esiti dell'ispezione del Ministero dell'economia e delle finanze alla provincia di Foggia, che in una lunga relazione ha fatto emergere che vi sarebbe stato un danno allo Stato di circa un milione e 300 mila euro e che vi sarebbero state forti anomalie nelle consulenze, negli incarichi e nelle assunzioni che avrebbero determinato dei bilanci falsati;
   all'interrogante risulta, inoltre, che alcuni dirigenti della provincia, con contratti full-time con questo ente, avrebbero stipulato convenzioni con altri enti pubblici e che si sarebbe del tutto esaurito il cosiddetto «fondo incentivante» per i dirigenti, mentre non sarebbe stato definito in alcun modo quello riguardante il resto del personale;
   tutto ciò sembrerebbe indicare il perseguimento di politiche discriminatorie e poco trasparenti in un ente che già dovrebbe essere sotto osservazione per quanto sino ad oggi operato –:
   se sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali ulteriori iniziative di competenza intenda assumere in relazione a quanto descritto in premessa, alla luce anche dei risultati dell'ispezione già effettuata dal Ministero dell'economia e delle finanze, posto che la provincia di Foggia è destinata a ricoprire, in base alla legge 7 aprile 2014, n. 56, un ruolo di secondo livello ma non per questo meno importante. (3-01174)
(Presentata il 18 novembre 2014)


   RAMPELLI e CORSARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le cartelle esattoriali per il mancato versamento di tasse, tributi locali e contributi previdenziali che lo Stato deve ancora incassare ammontano ad un importo complessivo di circa 530 miliardi di euro;
   in base al «Rapporto sulla realizzazione delle strategie di contrasto all'evasione fiscale, sui risultati conseguiti nel 2013 e nell'anno in corso, nonché su quelli attesi, con riferimento sia al recupero di gettito derivante da accertamento all'evasione che a quello attribuibile alla maggiore propensione all'adempimento da parte dei contribuenti (articolo 6 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66)», pubblicato dal Ministero dell'economia e delle finanze nel mese di luglio 2014, nel 2013 l'attività di recupero dell'evasione «ha comportato riscossioni per complessivi 13,1 miliardi di euro, migliorando il risultato del 2012, nonostante vi sia stata una leggera flessione della riscossione coattiva»;
   l'80 per cento delle somme ancora da incassare sono di competenza dell'erario, mentre il resto va suddiviso tra Inps, Inail, comuni ed altri enti;
   alle cifre mancanti ma quantomeno accertate si sommano poi i dati relativi all'evasione fiscale vera e propria, stimata in una media di circa 120 miliardi di euro l'anno, equivalenti al 18 per cento del prodotto interno lordo;
   l'evasione, oltre a generare un fenomeno di iniquità sociale che deriva dall'aumento del livello della pressione fiscale per i contribuenti che adempiono ai propri doveri fiscali, comporta effetti economici negativi molto rilevanti, sia determinando effetti distorsivi sull'allocazione delle risorse, sia interferendo con il normale funzionamento del mercato;
   nel contrasto all'evasione ed elusione fiscale deve essere profuso il massimo impegno –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito ai temi di cui in premessa, al fine di massimizzare le risorse incassate e destinarle all'abbattimento del debito pubblico. (3-01175)
(Presentata il 18 novembre 2014)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   RIBAUDO e CULOTTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 22, comma 7-bis, del decreto-legge n. 91 del 2014, modificando l'articolo 37 del decreto-legge n. 66 del 2014, ha disposto una proroga del termine di presentazione dell'istanza di certificazione dei crediti, assistiti dalla garanzia dello Stato, vantati nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni;
   in forza di tale previsione tutti i soggetti e, soprattutto, le imprese, che hanno maturato, alla data del 31 dicembre 2013, crediti nei confronti della Pubblica Amministrazione, per servizi, somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali, hanno avuto a disposizione, per presentare l'istanza di certificazione, due mesi in più, dal momento che la scadenza del relativo termine è slittata dal 23 agosto al 31 ottobre 2014;
   ottenere la certificazione dei predetti crediti è particolarmente importante, in quanto consente di ottenere automaticamente la garanzia dello Stato su tali crediti, nonché di cedere immediatamente il credito a un istituto bancario abilitato;
   infatti, in base al comma 3 del citato articolo 37 del decreto-legge n. 66 del 2014, tutti i crediti nei confronti della Pubblica Amministrazione maturati entro la data del 31 dicembre 2013 che siano stati certificati entro il termine ultimo del 31 ottobre 2014, possono essere ceduti a una banca o a un intermediario finanziario, con la formula pro-soluto, e sono assistiti da una specifica garanzia dello Stato;
   tale garanzia dello Stato si applica dal momento dell'effettuazione delle operazioni di cessione pro-soluto dei crediti alla banca o all'intermediario autorizzato e rende la cessione del credito particolarmente appetibile sia per l'intermediario creditizio sia per il cedente, dal momento che consente l'applicazione di una percentuale di sconto particolarmente vantaggiosa, pari all'1,90 per cento per importi fino a 50.000 euro e all'1,60 per cento per importi oltre i 50.000 euro;
   nell'attuale contesto di crisi economica e finanziaria appare sempre più urgente ampliare la disponibilità di credito bancario in favore delle imprese, nonché assicurare il pagamento dei crediti vantati dalle imprese stesse nei confronti di comuni, province, regioni e altri istituzioni ed enti pubblici;
   emerge tuttavia come non tutte le banche e gli intermediari finanziari, fra cui le banche operanti in Sicilia riconducibili al gruppo Unicredit spa, si siano dimostrate disponibili a erogare credito in favore delle imprese che hanno ottenuto la certificazione dei propri crediti nei confronti della Pubblica Amministrazione e che si sono rivolte alle banche stesse per cedere i predetti crediti, come previsto dalla normativa vigente –:
   se abbia verificato, nell'ambito delle proprie competenze, il grado di adesione delle banche e degli altri intermediari creditizi abilitati alle richieste di cessione in loro favore di crediti certificati vantati nei confronti delle pubblica amministrazione assistiti dalla garanzia dello Stato, e quali iniziative abbia adottato o intenda adottare per incentivare gli intermediari creditizi ad accogliere le predette richieste di cessione dei crediti, in base a quanto previsto dalla normativa di cui all'articolo 37 del decreto-legge n. 66 del 2014.
(5-04082)


   FRANCESCO SAVERIO ROMANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), dispone che è dovuto il contributo unificato di iscrizione a ruolo, per ciascun grado di giudizio, anche per quanto riguarda il processo tributario, secondo gli importi previsti dal successivo articolo 13 e salvo quanto previsto dall'articolo 10 del citato decreto del Presidente della Repubblica;
   l'articolo 14 del citato decreto del Presidente della Repubblica ha definito i soggetti obbligati al pagamento del contributo unificato ed ha stabilito le modalità di determinazione del valore delle liti: in particolare, prima delle modificazioni introdotte dal comma 598 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, l'articolo 14, comma 3-bis stabiliva che, nei processi tributari, il valore della lite, determinato ai, sensi del comma 5 dell'articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, dovesse risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni del ricorso, anche nell'ipotesi di prenotazione a debito;
   tale valore doveva essere calcolato in base al tributo, pertanto, ciò che rilevava era, non già il valore del singolo atto impugnato, bensì il valore della lite, valore che ai sensi dell'articolo 10 c.p.c., è dato dalla somma delle domande, ovvero dei tributi indicati nei vari atti cumulativamente impugnati (si veda sentenza n. 120/1/13 della Commissione tributaria provinciale di Campobasso). Il valore della causa, in caso di pluralità di domande proposte nello stesso processo contro la medesima parte, era determinato, quindi, dalla somma delle stesse;
   il Ministero dell'economia e delle finanze, con direttiva 14 dicembre 2012, n. 2/DGT, in risposta a molteplici quesiti in tema di contributo unificato nel processo tributario, stabiliva che, nel caso in cui con un unico ricorso risultassero impugnati più atti di accertamento (ricorso cumulativo oggettivo), «in base a quanto disposto dal comma 5 dell'articolo 12 del decreto legislativo), n. 546 del 1992 per valore della lite si intende l'importo del tributo al netto degli interessi, e delle eventuali sanzioni irrogate con l'atto impugnato. Soltanto nel caso in cui siano impugnati gli atti di irrogazione delle sanzioni il valore della lite è dato dalla loro somma. Tenuto conto che la norma collega il valore della lite al singolo atto impugnato, in caso di un unico ricorso avverso più atti, si ritiene che il calcolo del contributo unificato debba essere effettuato con riferimento ai valori dei singoli atti e non sulla somma di detti valori»;
   tale interpretazione veniva tuttavia disattesa dalla maggioranza delle Commissioni tributarie provinciali (si veda, fra le altre, la sentenza n. 120 gennaio 2013 del 18 luglio 2013 della Commissione provinciale tributaria di Campobasso);
   il comma 598, dell'articolo 1, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), con il preciso scopo di aumentare le entrate per l'erario, ha disposto che il comma 3-bis dell'articolo 14 del citato decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, fosse modificato nel senso di precisare che il valore della lite venga determinato «per ciascun atto impugnato anche in appello»; dopo l'introduzione del contributo unificato anche al processo tributario in base al valore (a scaglioni) delle controversie, il legislatore è intervenuto quindi precisando il criterio per la determinazione del valore della controversia ai fini del contributo unificato, dovuto per ciascun atto impugnato, in primo grado come in appello, avallando con fonte di rango primario quanto precedentemente stabilito dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   prima dell'introduzione della citata modifica normativa, per controversie di valore superiore a de 200.000 euro, era dovuto un contributo di 1.500 euro, come previsto dalla tabella del testo unico delle spese di giustizia, aggiunto dal decreto-legge n. 98 del 2011, articolo 13, comma 6-quater: a mero titolo di esempio, accade che un'impresa di San Donà di Piave, dopo avere pagato un contributo unificato massimo di 1.500 euro per 24 cartelle, si veda ora notificare un'ingiunzione di pagamento di integrazione di 26.440 euro che, se non regolarizzata entro 30 giorni, viene raddoppiata a 49.880 euro (più spese di notifica);
   questo continuo ed incessante aumento dei costi per accedere ai gradi di giudizio (uniti ai noti tempi biblici dei processi) sono divenuti tali da scoraggiare cittadini ed imprenditori medi dal chiedere giustizia e difendere i propri diritti;
   le finalità che hanno portato all'introduzione del contributo unificato erano volte all'eliminazione dell'eccesso di incombenze inerenti al procedimento e alla razionalizzazione e alla semplificazione del regime impositivo connesso all'esercizio dell'attività giurisdizionale;
   la norma introdotta dalla legge di stabilità 2014 ha palesemente lo scopo di privilegiare il recupero di somme anziché il principio di economia degli atti processuali, venendo a ledere nella sua massima espressione il diritto di difesa ed il diritto di uguaglianza, sfavorendo l'accesso alla giustizia ai soggetti deboli, penalizzando soprattutto le liti di piccolo importo, ma caratterizzati da una pluralità di atti impugnati –:
   quali iniziative, anche di carattere normativo, intenda adottare per rimuovere le criticità esposte, che a giudizio dell'interrogante sono di ulteriore ostacolo per cittadini ed imprese all'accesso alla giustizia tributaria e per ricondurre il contributo unificato alle finalità che portarono alla sua introduzione. (5-04083)


   VILLAROSA, BARBANTI, RUOCCO e PESCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 maggio 2014 viene presentata, all'assemblea ordinaria dei partecipanti, la relazione annuale di Banca d'Italia: da questo importante documento si viene a conoscenza dell'ammontare degli elevatissimi stipendi dei dirigenti della Banca d'Italia;
   il Direttore generale percepisce 450.000 euro l'anno, ognuno dei tre vicedirettori generali 315.000 euro, un funzionario generale 130.000 euro ed il Governatore ben 495.000 euro. Per quanto riguarda i compensi per organi collegiali centrali e periferici, gli emolumenti attribuiti al complesso dei consiglieri superiori, sono pari a 371.020 euro per il collegio sindacale e 137.430 euro per il direttorio;
   nel complesso, il piccolo «esercito» di oltre 7.000 persone alle dipendenze della Banca d'Italia, costa ogni anno 1,2 miliardi di euro, infatti la Banca d'Italia, nelle sue 58 filiali, dispone di 606 dirigenti, 1.449 funzionari, 1.317 coadiutori, 3.697 dipendenti;
   nel 2013 l'ammontare totale degli stipendi (599 milioni di euro), sommati agli oneri (155 milioni di euro), altre spese per il personale (47 milioni di euro) è stato di 801 milioni di euro, cui si aggiungono pensioni e indennità di fine rapporto (293 milioni), adeguamento contributi ed altri oneri (63 milioni), spese amministrazione (441 milioni di euro), per un totale, sommando anche gli ammortamenti delle immobilizzazioni materiali ed immateriali e la voce generica «altre spese», di 1,8 miliardi di euro alla voce spese ed oneri diversi;
   da un articolo, di wallstreetitalia del 15 ottobre 2014, si apprende la notizia che il Governatore Visco stia per consegnare, ai dirigenti di Banca d'Italia, carte di credito «aziendali» con un tetto di spesa da 7.500 fino a 10.000 euro mensili per ogni carta e, quindi, per ogni dirigente, tale novità è avvalorata dalla presenza di documenti relativi alla gara di appalto indetta da «Palazzo Koch» che cerca un fornitore per le circa 1.000 carte «aziendali» destinate ai dirigenti;
   il Governatore Visco spesso esprime la sua opinione sui temi della disoccupazione, tagli alla spesa sociale, pensioni e tutto ciò che riguarda e preoccupa la cittadinanza in questo particolare periodo storico, ma mai, sembra, abbia cercato di arginare i privilegi e l'ingente utilizzo delle risorse economiche dell'Istituzione da lui governata;
   agli interroganti appare altresì non congruo e non attuale l'ammontare degli emolumenti poco sopra indicati che collidono palesemente con la situazione socio-economica e socio-politica attualmente riscontrabile nel nostro Paese;
   l'articolo 13 del decreto-legge n. 66 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89 del 2014, nello stabilire un limite massimo alle retribuzioni nella pubblica amministrazione, recita esplicitamente che: «la Banca d'Italia, nella sua autonomia organizzativa e finanziaria, adegua il suo ordinamento ai principi di cui al presente articolo –:
   se risulti al Governo come si sia proceduto all'attuazione di quanto disposto ai sensi dell'articolo 13, comma 5, del decreto-legge n. 66 del 2014. (5-04084)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con gli atti di sindacato ispettivo n. 4-05583 e n. 5-02590 l'interrogante richiamava l'attenzione del Governo sulla scelta di grandi gruppi italiani, come Fiat e Gtech, di delocalizzare le proprie attività al fine di trarne considerevoli vantaggi fiscali in Paesi, come Paesi Bassi e Regno Unito, che da tempo oramai praticano apertamente una politica di cosiddetto «dumping fiscale», tanto da aver calamitato entro i propri confini le sedi legali di imprese con attività reale ovvero profitti raccolti in altri Paesi dell'Unione;
   nella stessa sede l'interrogante chiedeva al Governo di compiere una puntuale valutazione del reale impatto fiscale delle suddette operazioni societarie e di verificarne la compatibilità con la normativa europea;
   negli ultimi tempi sotto la lente della Commissione Europea sono ricadute, per sospetti aiuti di Stato, le autorità fiscali dell'Irlanda e del Lussemburgo, accusate di aver favorito rispettivamente la società Apple e la società Fiat, per mezzo della sua società Fiat Finance and Trade che si occupa di finanziamento e tesoreria del gruppo, accordando loro, al fine di trattenerle e garantirsi i loro investimenti, un trattamento fiscale che non rispetta il principio di piena concorrenza;
   è notizia di questi giorni che nel frattempo la Fiat avrebbe perfezionato il trasferimento della sua sede legale a Londra, mentre il colosso del gioco Gtech (ex Lottomatica) avrebbe, a sua volta concluso l'operazione di fusione nella newco britannica Georgia Worldwide plc;
   con riferimento a quest'ultima, nonostante abbia esplicitato i fini fiscali dell'operazione di delocalizzazione, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, senza indire una nuova gara pubblica, avrebbe addirittura prorogato fino al 2016 alla stessa società le concessioni governative sui giochi tra i quali la gestione dei «Gratta e vinci» –:
   a quali risultati abbia portato il suddetto monitoraggio del Governo e soprattutto cosa abbia intenzione di fare in questo momento di crisi anche sul fronte delle entrate tributarie (al netto dell'IVA, che pagano o consumatori), per evitare che grandi imprese italiane, come quelle in premessa, eludano il fisco italiano.
(5-04085)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MORANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Banca d'Italia detiene un sistema di raccolta dei dati inerenti le esposizioni bancarie dei clienti per affidamenti oltre una certa soglia e di coloro che risultano incapaci di far fronte ai debiti verso il sistema bancario per qualsiasi tipo di finanziamento;
   queste informazioni sono rese disponibili agli istituti di credito per la valutazione dell'affidabilità dei richiedenti prestiti di qualsiasi genere escludendo così coloro che vengono ritenuti «cattivi pagatori»;
   per inadempimenti di lieve entità, in Italia operano altri sistemi di rilevazione centralizzata dei rischi di natura privata chiamati «Sistemi di informazioni creditizie» (SIC) e il loro funzionamento è disciplinato dal codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti (nella Gazzetta Ufficiale 23 dicembre 2004, n. 300) emanato ai sensi dell'articolo 117 del testo unico sulla Privacy (decreto legislativo n. 196 del 2003);
   accade spesso che il cliente della banca dopo aver sanato tutti i debiti con il soggetto finanziario si veda continuare a negare l'accesso al credito per effetto della persistenza della segnalazione nelle banche dati;
   per la Centrale rischi della Banca d'Italia gli intermediari finanziari possono consultare le informazioni al massimo per gli ultimi 36 mesi, tuttavia le informazioni storiche presenti negli archivi della centrale dei rischi non vengono cancellate e possono essere consultate dagli intermediari che vi aderiscono, anche se con precise limitazioni;
   con l'acuirsi della crisi economica degli ultimi anni si è registrato un notevole incremento delle segnalazioni pregiudizievoli tra l'altro anche di soci di aziende fallite o in concordato, di garanti di società in contestazione giudiziaria con il sistema bancario e altro;
   gli effetti pregiudizievoli di tali segnalazioni sembrerebbero coinvolgere almeno 30 milioni di persone, escluse da ogni forma di finanziamento bancario: carte di credito; apertura di un conto corrente; mutui e altro;
   ciò precluderebbe a tali soggetti ogni possibilità di avviare un'attività di commercio e/o artigianale, pregiudicando le politiche di sviluppo messe in atto dall'attuale Governo e rallentando la ripresa economica e occupazionale del Paese –:
   se il Ministero sia a conoscenza del numero delle segnalazioni presso le centrali dei rischi operanti in Italia che, attualmente precludono l'accesso al credito per milioni di soggetti;
   se non intenda adottare iniziative normative che prevedano che una volta definiti, anche giudizialmente, i rapporti con il sistema bancario da parte dei debitori siano obbligatoriamente cancellate tutte le segnalazioni sia sulle centrali rischi pubbliche sia su quelle private.
(5-04087)

Interrogazione a risposta scritta:


   LATRONICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da quattro anni è chiuso il complesso turistico «Villaggio Metaponto» (ex Club Med) di Marina di Pisticci in provincia di Matera con la tragica conseguenza che le famiglie dei circa 150 lavoratori stagionali che vi prestavano servizio, sono da allora senza alcuna fonte di reddito e con nessuna speranza di altri sbocchi lavorativi;
   a quanto pare non si intravede nessuna prospettiva di progetti di riapertura e rilancio da parte del complesso turistico;
   l'unica certezza sono le ingenti risorse di denaro pubblico utilizzate per il rifacimento degli impianti idrici ed elettrici ultimati ed abbandonati;
   è evidente che il protrarsi di tale situazione comporterebbe un'ingiustificata spesa di risorse pubbliche che ammontano a 5 milioni di euro che in un momento di crisi non sono poca cosa;
   l'auspicio degli ex lavoratori, ora disoccupati, è quello di poter finalmente tornare al lavoro in una storica struttura del turismo metapontino che ha sempre saputo offrire pacchetti interessanti;
   il sindaco del comune di Pisticci ha sollecitato la proprietà a presentare un cronoprogramma certo, dichiarandosi disponibile ad ogni forma di sostegno ritenuto utile per favorire la prosecuzione dei necessari lavori di ristrutturazione del complesso turistico e consentirne la riapertura;
   a tal proposito nell'agosto scorso ha promosso un incontro tra l'amministratore delegato di Italia turismo e il direttore generale del dipartimento programmazione e finanze della Presidenza della giunta regionale della Basilicata;
   ma ad oggi non si addiviene ad una soluzione per individuare un investitore con relativo piano di rilancio della struttura, seppur Italia Turismo spa è stata sollecitata a dare una risposta a questa situazione;
   l'investimento continua a rappresentare, per la comunità di Pisticci e l'intero territorio, un'occasione di crescita –:
   se siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   quali iniziative intendano adottare, nell'ambito della propria competenza, al fine di riaprire e rilanciare il villaggio turistico di Marina di Pisticci che rappresenta un polo d'attrazione fondamentale per il turismo in Basilicata. (4-06907)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   GIACHETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal Quotidiano Nazionale del 2 novembre 2014 in un articolo a firma di Paola Pioppi, venerdì 31 ottobre un altro detenuto, Maurizio Riunno, si è impiccato nel carcere Bassone di Como; un caso simile si era verificato il 12 ottobre 2014 nello stesso carcere quando a suicidarsi era stato un trentenne cileno;
   Maurizio Riunno, padre di tre bambini in tenera età, aveva 28 anni e, secondo quanto riportato nel succitato articolo, si trovava in carcere da una decina di giorni accusato di sequestro di persona insieme ad altre quattro persone;
   dopo il suo arresto – si legge nell'articolo di Paola Pioppi – era stato portato in osservazione, quattro celle presidiate da un agente, dove confluiscono i detenuti che hanno motivi di incompatibilità con gli altri. In questo caso si trattava di esigenze giudiziarie legate alle indagini ancora in corso, per le quali la procura aveva disposto il divieto di contatto tra i vari indagati. Venerdì pomeriggio verso le 16 gli agenti lo hanno trovato esanime, impiccato con le lenzuola della sua branda. Non aveva avuto contatti con nessun altro, se non l'agente che, a intervalli ravvicinati, controllava le sue condizioni in cella. Ciononostante, è riuscito a realizzare il suo intento;
   il giorno stesso del decesso, sempre secondo le notizie di stampa, è stato subito avvisato il magistrato di turno della procura di Como, chiamato a valutare l'eventuale necessità di disporre accertamenti ulteriori, al di là dell'autopsia, atto dovuto in questi casi;
   il 7 novembre 2014, i familiari di Maurizio Riunno si sono messi in contatto con la segretaria di Radicali italiani Rita Bernardini, facendo presente di avere grossi dubbi sugli intenti suicidari del loro congiunto; in particolare, la compagna ha scritto in una email «Conosco bene il mio compagno e so che non avrebbe mai fatto un gesto del genere. Da qui cominciano poi tutti gli altri nostri interrogativi, perché Maurizio ha passato dieci giorni in cella che loro chiamano «osservazione», ma a testimonianza di altre persone, amici di Maurizio, che si erano trovati proprio dove stava Maurizio era in isolamento [...] Comunque la sera verso le 21.00 ho telefonato al carcere, perché ero fuori di me e soprattutto distrutta e ho chiesto come era successo, come l'avevano trovato, a che ora è successo e come mai lì non c'era nessuno a tenere d'occhio Maurizio, visto che loro, come già anticipato prima, la cella in cui si trovava la chiamano «cella di osservazione». Comunque mi è stato risposto che l'hanno trovato intorno alle 16.00/16.30 e già qui la mia prima domanda, perché ci hanno avvisato solo alle 19.00? E cioè tre ore dopo? A me hanno riferito che l'hanno trovato attaccato al lenzuolo e il lenzuolo attaccato alla brandina, ma all'avvocato è stato detto che invece era stato trovato attaccato alla finestra, e ovviamente l'altra domanda esce spontanea, dov'era? Alla domanda invece se lì non c'era nessuno a «osservare» Maurizio mi è stato risposto con queste testuali parole, neanche comprensibili: «sì c'era la guardia, poi non so si è distratta, poi sono tornati in gruppo, per cercare di farlo tornare indietro, ma non ci sono riusciti», e ovviamente la mia domanda è stata, ma tra la guardia che si è distratta e tra che poi sono tornati in gruppo, cosa c’è in mezzo? L'autopsia poi ha confermato che la morte è avvenuta per asfissia, dicono inoltre che non sono state trovate altre lesioni, ma noi ci siamo fatti forza e prima dell'autopsia abbiamo fatto delle foto e aveva un occhio nero, una spalla violacea (la spalla destra) [...]graffi sulle mani, graffi sul collo, ma purtroppo non abbiamo potuto vedere il resto del corpo in quanto ci hanno vietato di assistere all'autopsia e/o di poterlo vestire. [...]In più io ho ricevuto da lui come ultima lettera la lettera del 30/10, che vi manderò in allegato, così vedrete e leggerete se può sembrare qualcuno che ha intenzione o pensa di fare un gesto così grave: in più quando sono andata a ritirare gli effetti personali di Maurizio ho letto la lista e nella lista mancavano le lettere che gli avevo spedito, ho chiesto e mi è stato risposto che cinque lettere in entrata, le mie e una lettera in uscita, quella sicuramente del 31/10 erano state sequestrate dalla Procura, ma io senza ancora averla potuta leggere sono convinta che sia uguale identica a quella del 30/10» –:
   quali informazioni e chiarimenti intenda fornire su quanto rappresentato in premessa;
   se, indipendentemente dalle iniziative della magistratura, non ritenga di dover accertare i motivi che avrebbero spinto Maurizio Riunno al suicidio anche al fine di verificare se, con riferimento ad esso, non siano ravvisabili eventuali profili di responsabilità disciplinari in capo al personale penitenziario;
   se le telecamere abbiano ripreso i momenti drammatici dell'atto suicidario e le modalità e i tempi del successivo soccorso;
   se Maurizio Riunno abbia avuto colloqui con lo psicologo del carcere, considerate le problematiche che possono manifestarsi in condizioni di isolamento;
   se risulti se il personale sanitario abbia annotato particolari disturbi psichici del detenuto e se lo stesso fosse sottoposto a qualche terapia farmacologica;
   quali fossero e siano le condizioni di igiene e sanità delle celle del reparto di «osservazione»;
   quante ore siano passate dal decesso di Maurizio Riunno al momento in cui i familiari sono stati informati del drammatico evento;
   in quale luogo della cella Maurizio Riunno abbia messo in atto il gesto suicidario e quanto tempo sia passato prima dell'arrivo dei soccorsi e se fosse ancora vivo quando li ha ricevuti;
   quanti siano gli psicologi in servizio presso il carcere Bassone di Como, quale copertura d'orario garantiscano e, in particolare, quanti colloqui e di quale durata media riescano a fare in un mese;
   come sia organizzato, di quale personale e di quale attrezzature disponga il presidio sanitario del carcere di Como; in particolare, quale servizio venga assicurato dal punto di vista psichiatrico;
   quali siano state le modalità in cui si è verificato il suicidio del detenuto cileno, avvenuto il 12 ottobre 2014 sempre nel carcere Bassone di Como;
   quanti siano i decessi che si sono verificati nel 2014 negli istituti penitenziari italiani e quanti fra essi siano stati i suicidi;
   se si ritenga necessaria e indifferibile, proprio per garantire i diritti fondamentali delle persone, la creazione di un «osservatorio» per il monitoraggio delle morti in carcere, osservatorio in cui siano presenti anche le associazioni per i diritti dei detenuti;
   cosa si attenda e quali siano i motivi per i quali non è ancora avvenuta la nomina del Garante nazionale delle persone private della libertà. (4-06936)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   GRIMOLDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la realizzazione delle linee metropolitane di Milano e Monza rientra nel programma delle infrastrutture strategiche, di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443 (cosiddetta «legge obiettivo»), e l'intervento «Monza metropolitana» è stato incluso già nel Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF) 2004-2007;
   in questi ultimi anni i lavori per le linee metropolitane di Milano hanno fatto passi in avanti; il prolungamento verso Nord della MM1 da Sesto FS a Monza Bettola (interscambio futuro con la MM5) si configura come polo di interscambio tra mezzo pubblico e privato, grazie alle vicinanze delle autostrade A4, A52 (Tangenziale Nord) e della superstrada SS 36, con una stima di 15 mila passeggeri all'ora; la conclusione dei lavori si attende per il 2015, in tempo per l'Expo 2015;
   la nuova linea metropolitana MM5, linea lilla, è in corso di realizzazione, sono già in funzione le prime stazioni tra Zara e Bignami, più due nuove stazioni Isola e Garibaldi, e anche per essa si attende il completamento per la fine del 2015; sono stati già previsti due prolungamenti in entrambe le direzioni della linea M5: uno verso Ovest in direzione di Settimo Milanese e uno verso Nord fino a Monza Bettola, dove avverrebbe l'interscambio con la linea MM1; ed è già stato ipotizzato anche il prolungamento della linea MM5 fino a Monza Lissone-Muggiò;
   come riportato anche nella delibera CIPE del 29 settembre 2004, tali interventi formano oggetto di protocollo d'intesa sottoscritto già dal 9 marzo 1999, tra regione Lombardia, provincia di Milano, comuni di Cinisello Balsamo, Milano, Monza e Sesto S. Giovanni per il potenziamento e lo sviluppo del sistema integrato di trasporto sulla direttrice Milano-Monza, con specifico riferimento anche alla realizzazione di una nuova infrastruttura (metropolitana leggera) di collegamento tra Milano e l’hinterland nord lungo l'asse della linea 5;
   le opere rientrano in un disegno generale inteso alla realizzazione di nuove infrastrutture su ferro idonee ad assicurare uno sviluppo territoriale ambientalmente sostenibile dell'area nord di Milano, caratterizzata da un elevatissimo livello di urbanizzazione, e mirano in particolare a contribuire a fronteggiare la nuova domanda di mobilità generata e attratta dall'area stessa, limitando il ricorso al mezzo individuale;
   infatti, i collegamenti fra Milano e Monza, rispettivamente prima e terza città della Lombardia, sono assolutamente carenti ed insufficienti; la provincia di Monza e l'area metropolitana milanese soffrono di gravissimi problemi di inquinamento dovuti all'eccessivo utilizzo di autovetture ed alla mancanza cronica di mezzi di spostamento alternativi, in un'area tra quelle più popolate d'Europa;
   il prolungamento delle linee metropolitane dalla periferia sud di Monza (stazione di Bettola) verso i quartieri nord di Monza permetterebbe ai cittadini monzesi di utilizzare un mezzo di trasporto pubblico efficiente e veloce per raggiungere Milano e per gli stessi collegamenti infracittadini –:
   se il Ministro intenda promuovere tra i programmi del Governo di finanziamento delle infrastrutture strategiche per il Paese il finanziamento dello studio di fattibilità del prolungamento della metropolitana di Milano M5 da Bignami a Monza, Lissone-Muggiò, per garantire l'avvio dell’iter progettuale per la realizzazione di un'opera importantissima per lo sviluppo del sistema integrato di trasporto dell'area milanese. (5-04078)


   DAGA, DE LORENZIS, PETRAROLI, LIUZZI, CRISTIAN IANNUZZI, SEGONI, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI, VIGNAROLI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) n. 121 del 2001, il comune di Roma ha — con deliberazione di giunta n. 113 del 2003 — disposto la realizzazione della Metro C, individuando nella Servizi operativi per la mobilità srl (SOM) il soggetto idoneo a gestire la procedura per l'affidamento dei lavori, acquisendola interamente con deliberazione n. 94 del 2004 e denominandola «Roma metropolitane srl»;
   «Roma Metropolitane Srl» ha quindi indetto la gara per i lavori. La gara è stata vinta in data 28 febbraio 2006 dal gruppo Astaldi, che costituitosi nella società Metro C scpa è infine subentrato come contraente generale. Da subito il contraente ha posto riserve, fino a giungere allo schema di accordo transattivo del 2011, poi ratificato dal CIPE con delibera n. 127 del 2012;
   Roma metropolitane e Metro C hanno stilato e firmato in data 9 settembre 2013, senza il consenso degli enti co-finanziatori, un «atto attuativo» con numerose varianti, inoltre l'atto attuativo ha riconosciuto al contraente generale, per ogni mese o frazione di mese, maggiori oneri per il differimento dei termini di ultimazione di ciascuna fase funzionale a causa di varianti, prescrizioni in corso d'opera, modifiche normative e/o di metodologia costruttiva o ritardo nel rilascio delle prescritte autorizzazioni, nonché il riconoscimento a Metro C della percentuale del 3,75 per cento quale compensazione degli oneri diretti e indiretti inerenti la funzione di contraente generale;
   con nota protocollo n. 30504 del 24 settembre 2013 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha dichiarato che la richiesta di Roma Metropolitane srl circa l'utilizzo delle somme a disposizione per il pagamento del lodo parziale e per le incombenze aggiuntive, formulata attraverso la predisposizione di apposito quadro economico, costituirebbe domanda di ulteriore transazione tra le parti e che pertanto, nelle more di una valutazione in merito, qualsiasi iniziativa assunta da Roma Metropolitane srl impegna esclusivamente la sua responsabilità;
   in data 13 novembre 2013, con deliberazione n. 396, la giunta capitolina ha provveduto a tracciare il primo modello di governance dei rapporti tra Roma Capitale e Roma Metropolitane srl effettuando una nuova ripartizione delle competenze e, in particolare, attribuendo al dipartimento mobilità e trasporti, la competenza a procedere alla liquidazione degli importi contrattuali, precedentemente attribuita alla ragioneria generale;

nella determinazione direttoriale n. 1132 del 2013 il dipartimento mobilità e trasporti di Roma Capitale ha osservato che l'atto attuativo della delibera CIPE n. 127 del 2012 ha ridefinito le obbligazioni del contraente generale Metro C, limitando le stesse alla sola esecuzione dei lavori senza alcun riferimento all'apertura all'esercizio delle tratte, così come invece previsto nell'atto transitivo del 2011, diversamente da quanto previsto dalla stessa delibera CIPE n. 127 del 2012 e ad avviso degli interroganti in contrasto con quanto evidenziato dal ragioniere generale con nota n. 74624 del 12 luglio 2013, l'atto attuativo ha previsto il pagamento per i lavori già eseguiti in ciascuna fase funzionale per un totale di euro 65.370.495,23 IVA esclusa;
   in ogni caso, l'atto attuativo in questione costituirebbe il terzo accordo e, per ciò stesso, inammissibile ai sensi dell'articolo 240 codice appalti, ovvero se riconducibile all'articolo 239, quale transazione, deve ritenersi privo del prescritto parere dell'avvocatura, capitolina, non essendosi questa di fatto compiutamente espressa, come sopra dimostrato e comunque, almeno apparentemente, non appare in linea con le prescrizioni di cui all'articolo 240 codice appalti;
   tutte le modifiche apportate dalle perizie di variante quadro economico dell'opera, sono state recepite direttamente dalla ragioneria generale che, in deroga a quanto previsto nella convenzione stipulata tra Roma Capitale e Roma Metropolitane srl, approvata con atto del consiglio comunale n. 1 del 2005, ha ritenuto di procedere ugualmente alle relative liquidazioni approvando di fatto le suddette varianti, in nome e per conto dell'amministrazione capitolina;
   secondo l'interrogante visto il protrarsi, dal 2006, di lavori di interesse pubblico, la continua modifica dei tracciati delle tratte, con i relativi costi annessi e la pendenza di un contenzioso (arbitrato) che ha portato ulteriori costi e incertezze in merito all'appalto in questione, possono aver prodotto un danno alle risorse pubbliche, in contrasto sia con le leggi che regolano la contabilità dello Stato, sia il comportamento «del buon padre di famiglia» che si richiede a chi determina e gestisce ingenti e rilevanti opere e progetti finanziati con risorse dei contribuenti —:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali eventuali iniziative intenda adottare soprattutto in merito a quello che agli interroganti appare un probabile danno per le finanze pubbliche tenuto conto che l'opera in premessa viene finanziata, costantemente, ancora oggi tramite decreti-legge e se sia stato rispettato, in merito all'atto attuativo del 9 settembre 2013, quanto previsto dagli articoli 239 e 240 del codice degli appalti in materia di contenzioso. (5-04079)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   un bando di gara (codice gara ADL 1/11) relativo ad «affidamento in concessione delle attività di progettazione, realizzazione e gestione dell'intervento: Corridoio Intermodale Roma – Latina e collegamento Cisterna – Valmontone) è stato inviato da Autostrade del Lazio spa (in seguito, «ADL» o «Concedente») per la pubblicazione alla Gazzetta Ufficiale dell'unione europea in data 16 dicembre 2011;
   gli inviti a presentare offerta sono stati diramati con nota prot. ADL 0000184-P in data 10 aprile 2014;
   il termine per la presentazione delle offerte, dapprima fissato con la lettera d'invito al 16 settembre 2014, è stato poi posticipato al 27 novembre 2014 con successiva nota prot. ADL 0000344-P del 24 luglio 2014;
   dalla lettura congiunta dei documenti di gara, dei quesiti inviati e dalle risposte fornite dalla stazione appaltante, si rilevano alcune problematiche;
   prima di tutto, non risultano ancora rilasciate tutte le autorizzazioni CIPE relative agli interventi oggetto di concessione;
   infatti, con lettera prot. ADL-0000359-P del 1o agosto 2014 ADL ha comunicato, in risposta ad un quesito, che «per le prescrizioni presenti nelle delibere CIPE di approvazione, al fine di uno sviluppo adeguato delle attività di progettazione esecutiva e del conseguimento delle relative autorizzazioni, l'esecuzione della tratta A12-Tor de’ Cenci dovrà essere posticipata, fermo restando, come da progetto approvato ed autorizzato al CIPE, che la tratta dovrà essere realizzata ed aperta al traffico contestualmente all'apertura della tratta Tor de’ Cenci-Latina. Infatti, il nodo di Tor de’ Cenci, dovrà assumere all'entrata in esercizio dell'infrastruttura la sua configurazione finale»;
   eventuali prescrizioni emesse in sede approvativa, post gara, potrebbero comportare modifiche del progetto e quindi falsare completamente l'esito della procedura concorsuale: potrebbero infatti essere modificati elementi progettuali cui sia stato riconosciuto un punteggio decisivo per l'esito (positivo o negativo) della procedura e, quindi, l'aggiudicazione della concessione;
   l'eventuale imposizione di prescrizioni in fase approvativa comporterebbe inoltre oneri e situazioni non previsti in sede di gara, con necessità di modificare il tracciato e gli studi già adottati, e con conseguente necessità di procedere a nuove progettazioni in variante per le tratte interessate, e quindi di redigere un nuovo piano economico finanziario;
   tra l'altro, mentre con la citata lettera e con la lettera d'invito la stazione appaltante aveva prescritto tassativamente che i due lotti autostradali Roma-Latina e Tor de’ Cenci-A12 avrebbero dovuto essere aperti al traffico contemporaneamente, con successiva lettera prot. ADL-0000463-P dell'11 novembre 2014 ha dichiarato che «qualora i nuovi adempimenti, comunque, lo consentano, risulta possibile, a discrezione dei concorrenti, presentare un'offerta che preveda l'apertura della sola tratta A12-Tor de’ Cenci prima della restante tratta»;
   in tal modo, e contraddittoriamente, la stazione appaltante concede la possibilità di aprire al traffico i due lotti separatamente, e di anticipare l'apertura proprio del lotto per il quale, come sopra, non sono state ancora rilasciate tutte le autorizzazioni necessarie, così modificando (a pochi giorni dal termine fissato per la presentazione delle offerte) le originarie previsioni poste a base di gara;
   secondariamente, risulta impossibile ridurre la cauzione provvisoria ad avvenuta sottoscrizione della convenzione per le tratte A12-Tor de’ Cenci e Tor de’ Cenci-Latina;
   con la citata lettera prot. ADL-0000359-P del 1o agosto 2014 ADL ha comunicato che, anche dopo la sottoscrizione della convenzione ed intervenuta l'efficacia per le tratte attualmente finanziate, l'importo della cauzione provvisoria a garanzia della mancata sottoscrizione del contratto di concessione per fatto dell'aggiudicatario non potrà essere ridotto in modo da commisurarla al 2 per cento dell'importo complessivo degli investimenti relativi al solo collegamento Cisterna-Valmontone, il cui affidamento sarà formalizzato con successivo atto aggiuntivo condizionatamente al reperimento delle risorse economiche necessarie da parte della stazione appaltante;
   in particolare, secondo la stazione appaltante, «come previsto dalle delibere CIPE relative all'intervento in oggetto e dagli atti posti a base di gara la procedura di gara è unica e riguarda la realizzazione di un sistema autostradale costituito da due assi: il collegamento Roma-Latina e collegamento Cisterna-Valmontone. Infatti l'importo della cauzione provvisoria è previsto pari al 2 per cento dell'importo complessivo della concessione. In caso di aggiudicazione, la stessa rimarrà vincolata entro i tre anni successivi alla data di efficacia della convenzione relativa al primo stralcio e fino alla stipula degli atti aggiuntivi, poiché laddove vengano reperiti i finanziamenti pubblici per la realizzazione del collegamento Cisterna-Valmontone l'aggiudicatario concessionario sarà obbligato a sottoscrivere uno o più atti aggiuntivi alla convenzione, pena la decadenza della concessione, ai sensi dell'articolo 9 della Convenzione posta a base di gara»;
   risulta all'interrogante che tale previsione comporti l'impossibilità di ottenere il rilascio della cauzione provvisoria, poiché diverse compagnie assicurative hanno dichiarato di non ritenere corretta la mancata riduzione della cauzione provvisoria dopo la stipula del contratto di concessione per il collegamento Roma-Latina e, quindi, di non intendere rilasciare alcuna polizza fideiussoria per la concessione;
   la terza e ultima problematica riguarda il possibile utilizzo delle misure previste dall'articolo 18 della legge 12 novembre 2011 n. 183 (Finanziamento delle infrastrutture tramite defiscalizzazione), possibilità prevista dal bando di gara (a pagina 6), ma poi annullata nella lettera d'invito (pagina 44) che si riserva di valutare successivamente l'opportunità dell'uso di tali misure;
   l'interrogante dubita della possibilità giuridica di modificare, tramite la lettera d'invito, chiare previsioni del bando di gara originario, andando così a incidere su elementi qualificanti dell'offerta e determinando un elemento di incertezza nella procedura di gara, con la conseguente probabilità di contenzioso giudiziale;
   a seguito della soppressione del Ministero dei lavori pubblici, previsto dal decreto legislativo n. 300 del 1999 con conseguente accorpamento al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, a quest'ultimo compete l'alta vigilanza sull'attività di ANAS, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, decreto legislativo 26 febbraio 1994, n. 143 –:
   di quali notizie sia in possesso il Governo;
   se quanto premesso corrisponda al vero;
   se il Governo abbia il potere di intervenire al fine dell'annullamento della procedura di gara e del suo riavvio, dopo che siano state concesse tutte le autorizzazioni prescritte e correggendo le altre problematiche evidenziate in premessa;
   se il Governo ritenga opportuno intervenire direttamente o, in difetto dei necessari poteri, sensibilizzare ANAS rispetto alle problematiche qui evidenziate. (5-04054)


   AGOSTINELLI, BUSINAROLO, FERRARESI e COLLETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro interrogato ha nominato un Comitato per predisporre il piano strategico nazionale della portualità della logistica, in attuazione dell'articolo 29, comma 1, del decreto-legge 133 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2014;
   «Al fine di migliorare la competitività del sistema portuale e logistico, di agevolare la crescita dei traffici delle merci e delle persone e la promozione dell'intermodalità nel traffico merci, anche in relazione alla razionalizzazione, al riassetto e all'accorpamento delle Autorità portuali esistenti, da effettuare ai sensi della legge n. 84 del 1994 è adottato, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, previa (deliberazione del Consiglio dei ministri, il piano strategico nazionale della portualità e della logistica. Lo schema del decreto recante il piano di cui al presente comma è tra messo alle Camere ai fini dell'acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari. Il parere è espresso entro trenta giorni dalla data di assegnazione, decorsi i quali il decreto può essere comunque emanato.»;
   il comitato, già convocato per il 19 novembre 2014 è composto da: Simona Camerano, Antonio Cancian, Piero Casadio, Gianluca Comin, Rodolfo De Dominicis, Nereo Marcucci, Pasqualino Monti, Francesca Moraci, Giampaolo Polichetti, e Marco Simonetti, Michele Ruggeri, Raffaele Tiscar, Stefano Zunarelli, Enrico Puija e Enrico Seta. Tra i componenti figurano personalità provenienti dalla Banca d'Italia (Casadio), un ex parlamentare del Nuovo Centro destra (On. Cancian), un rappresentante della Cassa depositi e prestiti (Camerano), componente del CdA di Terna (a sua volta socio di Italiadecide, (Fondazione presieduta dall'On. Violante), un imprenditore specializzato in comunicazioni (Comin) consulente e membro Comitato di presidenza di Italiadecide. È stato portavoce del Ministro Costa Governo Prodi, poi Enrico Bondi Montedison, Marco Tronchetti Provera Telecom. Infine in Enel con Paolo Scaroni e Fulvio Conti. Inoltre vi figurano manager di gruppo privati come Grimaldi Group (Polichetti), Compagnia Italiana di Navigazione (Ruggeri), CONTSHIP Italia (Simonetti);
   personalità che sono portatrici di interessi particolari e che ad avviso degli interroganti possono trovarsi in conflitto di interessi rispetto alla pianificazione della portualità e della logistica che deve rispondere ad interessi generali e di lungo periodo. Nel comitato non figurano i rappresentanti delle regioni italiane benché si tratti di materia oggetto di legislazione concorrente tra Stato e regioni né i rappresentanti dei lavoratori che operano nei porti e quelli riguardanti la sicurezza della navigazione ivi compreso il comando generale delle capitanerie di porto –:
   per quali motivi e con quali criteri siano stati scelti i predetti nominativi e se intenda integrare il comitato con i rappresentanti dei lavoratori e delle imprese portuali che lavorano effettivamente nei porti e nei servizi portuali e nella sicurezza della navigazione e della vita umana in mare. (5-04080)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   secondo quanto segnalato da fonti sindacali, giovedì 6 novembre 2014 si è tenuto presso il dipartimento della pubblica sicurezza l'incontro per la chiusura preannunciata la scorsa primavera di 267 uffici di polizia;
   nelle intenzioni del dipartimento, infatti, le chiusure dovranno avvenire entro i primi mesi del 2015;
   secondo la segnalazione, per quanto riguarda le specialità della polizia di Stato e le unità speciali, le novità annunciate in quella sede sono assolutamente negative: infatti, il tentativo di far passare la manovra per un progetto di rimodulazione finalizzato al miglioramento dei servizi non trova alcun riscontro oggettivo se non quello di segno opposto che palesa una chiara, evidente e netta sforbiciata nello sterile spirito della spending review;
   creare squadre di personale esterno alla specialità, significherà creare una nuova eventuale struttura esterna a quella preposta, ma da essa non coordinata ed indipendente, con duplicazione di competenza per materia: significa, pertanto, spendere di più e non essere efficienti;
   non essendo possibile aumentare ulteriormente la pressione fiscale, si è scelto di tagliare in un servizio essenziale quale quello della sicurezza, ossia una delle esigenze primarie di una comunità; va segnalata la chiusura di ben 67 uffici della polizia ferroviaria (Polfer) trasformati in «punto appoggio», cioè in uffici senza organico, ai quali il personale di scorta potrà appoggiarsi durante la permanenza in stazione in attesa di riprendere il treno per la nuova scorta;
   per il resto del tempo saranno uffici completamente chiusi, dove resterà solo l'insegna «polizia» e la possibilità di suonare ad un citofono al quale risponderà un operatore della centrale operativa a decine chilometri di distanza;
   oltre a smantellare la polizia di Stato, la scure del Governo si abbatterà anche su carabinieri e Guardia di finanza, con tagli alla logistica e al personale;
   nelle segnalazioni sindacali ricevute dagli interpellanti viene fatto qualche esempio circa alcune assurdità del progetto;
   in riferimento alla polizia di frontiera, balza agli occhi la soppressione dell'ufficio di Gioia Tauro (Reggio Calabria) in uno dei porti commerciali più importanti del Mediterraneo ai fini criminali;
   sempre in Calabria, a Villa San Giovanni (Reggio Calabria), la sezione della polizia ferroviaria è stata declassata a semplice posto Polfer, senza considerare che si tratta di una cittadina in cui passano tutti i treni da e per la Sicilia, i quali vengono imbarcati sulle navi traghetto, che tutte le tifoserie passano da quel centro e che tutte le manifestazioni sociali vengono organizzate strategicamente per bloccare gli spostamenti sullo stretto; ciò, secondo quanto sostenuto dalla segnalazione ricevuta dagli interpellanti, sarebbe testimoniato da tutti i telex predisposti in quelle occasioni e le relative statistiche predisposte periodicamente per le innumerevoli riunioni del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica costituiscono una prova incontrovertibile;
   la polizia di Stato, come tutti i settori della pubblica amministrazione, patisce una carenza di organico di circa 18.000 unità e un riordino del settore si rende sempre più necessario;
   nonostante la consapevolezza degli sprechi perpetrati in ordine alle strutture a disposizione delle forze dell'ordine, si ritiene che il disegno del Governo non vada assolutamente nella direzione giusta, poiché la sicurezza non è un costo, ma dovrebbe essere un investimento –:
   se il Ministro interpellato non ritenga opportuno riferire quali siano i dettagli della riforma che intende attuare in materia di pubblica sicurezza;
   se il Ministro interpellato non reputi urgente adottare tutte le misure necessarie per rivedere un progetto tanto pericoloso da rischiare di minare definitivamente la sicurezza sociale nel nostro Paese.
(2-00749) «Lombardi, Luigi Di Maio, Nesci, Cozzolino, Dadone, Nuti, Fraccaro, Toninelli, Dieni, D'Ambrosio, Alberti, Artini, Barbanti, Basilio, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Brescia, Cancelleri, Corda, De Lorenzis, Del Grosso, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Manlio Di Stefano, D'Uva, Frusone, Luigi Gallo, Grande, Cristian Iannuzzi, Liuzzi, Marzana».
(Presentata il 18 novembre 2014)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

I Commissione:


   FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 1o novembre 2014, Massimilla Conti, consigliera comunale a Motta Visconti, in provincia di Milano, avrebbe postato sulla sua pagina facebook parole di inaudita violenza, e forse senza precedenti da parte di un rappresentante delle istituzioni, nei confronti delle etnie rom e sinti, definendo non solo in maniera diretta ed esplicita i Rom come «più portati a commettere certi reati», ma invocando la necessità dei «forni», e dichiarandosi «disposta a mettere a disposizione il forno della sua taverna»;
   risulta da tempo accertato, anche se troppo spesso dimenticato, che durante la seconda guerra mondiale centinaia di migliaia di rom e sinti morirono nei campi di stermino tedeschi o in quelli istituiti nei Paesi loro alleati;
   particolarmente atroce fu la morte di tantissimi bambini delle etnie rom e sinti, che furono tra i preferiti del dottor Mengele per i suoi esperimenti di eugenetica, mentre le cronache dell'epoca riportano racconti su come tra il 1o e 2 agosto del 1944 i circa 3.500 prigionieri dello Zigeunerlager – ossia il campo per gli zingari presente ad Auschwitz – siano stati tutti gasati e poi bruciati nei forni crematori; solo a Birkenau morirono circa 23.000 Rom e Sinti, dei quali circa 14.000 di stenti e malattie, e i restanti gasati, mentre si stima che complessivamente lo sterminio dei Rom durante la seconda guerra mondiale, il cosiddetto Porraimos, abbia comportato la morte di un numero di persone appartenenti a queste etnie compreso tra i 250.000 e 500.000;
   occorre peraltro ricordare che la stessa Unione europea nell'aprile del 2011 si è dotata di una cosiddetta cornice comunitaria per le strategie di integrazione nazionale dei rom, uno strumento che ha previsto per tutti gli Stati membri dell'Unione europea un impegno senza precedenti in materia di promozione dell'inclusione delle comunità Rom nei rispettivi territori nazionali;
   le dichiarazioni della consigliera Massimilla Conti, pertanto, oltre ad essere inammissibili su un piano etico e politico, perché rievocano attraverso il riferimento ai «forni crematori per i rom» una delle pagine storiche più nere e inaccettabili del secolo, appaiono gravemente lesive sia dei principali strumenti giuridici internazionali ed europei, sia delle disposizioni della legge n. 205 del 25 giugno 1993, e successive modificazioni, cosiddetta legge Mancino, che non solo vieta e punisce la propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ma prevede la reclusione da sei mesi a quattro anni per chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;
   tali dichiarazioni sono ancor più gravi alla luce di quelle funzioni pubbliche che la consigliera comunale è chiamata ad esercitare, e che secondo quanto previsto dall'articolo 54, comma 2, della Costituzione, ha «il dovere di adempierle con disciplina ed onore» –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto sopra esposto e se non intenda assumere iniziative normative volte a implementare le sanzioni per esternazioni apertamente xenofobe, razziste e istigatrici alla violenza, qualora provengano da persone che esercitano una funzione pubblica o ricoprono incarichi istituzionali come nel caso della consigliera comunale di cui in premessa. (5-04062)


   DADONE e COZZOLINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 2011, n. 235, sono organi dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC), il direttore, il consiglio direttivo e il collegio dei revisori;
   l'attuale direttore dell'Agenzia, il prefetto Umberto Postiglione, ricopre tale incarico dal 18 giugno 2014. Ai sensi del predetto decreto del Presidente della Repubblica n. 235 del 2011 e del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (cosiddetto, codice antimafia) ha tra gli altri compiti quello di presiedere il Consiglio direttivo;
   il consiglio direttivo è composto da un magistrato designato dal Ministro della giustizia; un magistrato designato dal procuratore nazionale antimafia; due qualificati esperti in materia di gestioni aziendali e patrimoniali designati, di concerto, dal Ministro dell'interno e dal Ministro dell'economia e delle finanze;
   ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 2011, n. 234, il consiglio direttivo approva entro il 31 ottobre di ciascun anno una relazione programmatica che costituisce il documento preliminare per la predisposizione del bilancio pluriennale e per l'approvazione della direttiva sulla azione amministrativa dell'Agenzia e del bilancio di previsione;
   la relazione programmatica di cui sopra è adottata «tenendo conto degli atti di indirizzo emananti dal Ministero dell'Interno e sulla base delle proposta formulate dal Direttore, la relazione pro-grammatica contenente le linee strategiche, le politiche e i programmi delle attività che l'Agenzia intende intraprendere o sviluppare in un arco temporale, di norma, non inferiore ad un triennio»;
   ai sensi dell'articolo 112 del codice antimafia, il direttore dell'Agenzia oltre ad assumere la rappresentanza legale, «provvede all'attuazione degli indirizzi e delle linee guida fissate dal Consiglio direttivo in materia di amministrazione, assegnazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati e presenta al consiglio direttivo il bilancio preventivo e il conto consuntivo»;
   al 2 novembre 2014, il consiglio direttivo non risulta ancora nominato, nonostante da tre giorni siano scaduti i termini per la presentazione della relazione programmatica di cui sopra;
   la scarsa e preoccupante inefficienza operativa e organizzativa dell'Agenzia, probabilmente dovuta anche all'assenza di organi adeguati, è stata sottolineata a mezzo stampa in numerosi casi recenti e in particolare dall'Associazione Addiopizzo che oltre a richiamare la mancata nomina ha denunciato «il totale fallimento politico, gestionale ed organizzativo dell'organo che nel nostro Paese dovrebbe presiedere all'amministrazione dell'immenso patrimonio sottratto alla mafia»;
   coerente con tale valutazione appare ad esempio la mancanza, almeno fino ad ora, della relazione semestrale che ai sensi dello stesso codice antimafia il direttore dell'Agenzia dovrebbe svolgere al Parlamento. L'ultima risale al marzo 2014 –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere tempestivamente al fine di ridurre i disagi provocati dai ritardi e dalle mancanze registrate finora, al fine di rendere davvero efficace l'attività dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
(5-04063)


   GIGLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 novembre 2014 in 105 piazze d'Italia sono avvenute manifestazioni di protesta sociale;
   tali manifestazioni aumentano d'intensità e numero in maniera impressionante nella città di Roma: il Corriere della Sera parla di almeno quattro mobilitazioni ogni giorno;
   gli agenti di polizia, stando ad autorevoli fonti di stampa, dichiarano di essere «bersagli di una rabbia cieca», mentre i questori hanno deciso di aumentare il numero di presidi fissi e di vigilanze mobili;
   i sindacati di polizia, in generale, stigmatizzano le carenze normative che non garantirebbero una frenata a questa radicalizzazione sempre più evidente dello scontro politico, entro la quale le forze dell'ordine tutte si trasformano in bersaglio mobile della rabbia diffusa;
   già nel novembre 2012 il Ministro pro tempore Cancellieri aveva dichiarato la sua apertura alla proposta dell'arresto differito anche per le manifestazioni di piazza, applicando le norme per gli stadi di cui alla vigente normativa;
   tale è la proposta delle associazioni interessate, volta a garantire la possibilità di «bloccare chi causa scontri e incidenti anche a 48 ore di distanza», finalizzata a creare un deterrente dotato di una certa consistenza anche per le manifestazioni di piazza –:
   se il Ministro intenda porre in essere urgenti iniziative, anche di natura normativa, quali potrebbero essere quelle già esemplificate in premessa, al fine di creare un tessuto normativo finalizzato a fornire alle forze dell'ordine strumenti dotati di reale deterrenza. (5-04064)


   INVERNIZZI e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la quantificazione della presenza dei Nomadi, Rom, Sinti e Caminanti nel nostro Paese permane incerta, poiché mai censita ufficialmente dalle competenti autorità nazionali;
   è egualmente sconosciuto, ed oggetto di controversia, il numero dei campi allestiti nel nostro Paese per ospitare i Nomadi, Rom, Sinti e Caminanti delle diverse estrazioni geografiche;
   sono conseguentemente ignote tanto le effettive dimensioni del fenomeno quanto la fondatezza dell'allarme sociale che ad avviso degli interroganti sta determinando, anche in relazione ad alcuni recenti fatti di cronaca –:
   quali siano i dati in possesso del Governo relativamente al numero dei Nomadi, Rom, Sinti e Caminanti presenti nel nostro Paese, al numero dei campi allestiti per ospitarli, al numero di questi ultimi costruiti legalmente, alla loro distribuzione geografica ed alla tipologia di chi ne finanzia le spese. (5-04065)


   QUARANTA, COSTANTINO, DANIELE FARINA e SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 novembre 2014 la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio il processo di appello che vedeva accusato di falsa testimonianza Francesco Colucci, l'ex questore di Genova ai tempi del G8 del 2001, che il 16 dicembre 2013 era stato invece condannato a 2 anni e otto mesi. Il processo è da rifare ma non ce ne sarà il tempo visto che la prescrizione matura l'11 novembre 2014.
   Colucci era stato accusato di falsa testimonianza nel processo per quanto accaduto alla scuola Diaz e condannato per avere cercato di coprire i vertici della polizia e Gianni De Gennaro, l'allora capo della polizia durante il G8 a sua volta accusato e poi assolto il 22 novembre 2012, insieme a Spartaco Mortola, capo della Digos di Genova, dall'accusa di istigazione alla falsa testimonianza nei confronti di Colucci;
   durante la sua requisitoria, il procuratore generale della Corte di Cassazione Enrico Delehaye ha espresso «profondo disagio» e ancora ha affermato: «Sono fermamente convinto che quello che è accaduto al G8 è stata una vergogna nazionale al pari di quello che succede nei paesi del Sudamerica e nel Burkina Faso» (fonte: popoffquotidiano.it);
   la Corte di Cassazione, con sentenza n. 38085 in data 5 luglio 2012 confermava la gravità dei fatti accaduti durante l'irruzione alla scuola Diaz nel corso del quale si è verificato il pestaggio di 60 manifestanti e l'arresto di 90 attivisti no global: «L'assoluta gravità – si legge nella sentenza – sta nel fatto che le violenze, generalizzate in tutti gli ambienti della scuola, si sono scatenate contro persone all'evidenza inermi, alcune dormienti, altre già in atteggiamento di sottomissione con le mani alzate e, spesso, con la loro posizione seduta in manifesta attesa di disposizioni». E ancora: «Si è trattato di violenza non giustificata e punitiva, vendicativa e diretta all'umiliazione e alla sofferenza fisica e mentale delle vittime»;
   oggi l'ex questore Colucci è un pensionato che non dovrà essere riprocessato per via della prescrizione, i massimi vertici della polizia dell'epoca sono stati assolti e i funzionari di polizia condannati per i fatti della Diaz e di Bolzaneto non sono mai stati rimossi, al massimo sono stati spostati e poi reintegrati in servizio  –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato a fronte di quanto esposto in premessa e se, in particolare, non ritenga opportuno fare chiarezza, anche con una commissione d'inchiesta ministeriale, sulle responsabilità di chi ricopriva ruoli apicali durante il G8.
(5-04066)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIMONETTI e FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva del Ministero dell'interno, emanata il 28 luglio 2014, ha adeguato la disposizione normativa in materia di controllo dell'acquisizione e dell'uso delle armi, alle nuove tecnologie, prevedendo la denuncia di detenzione attraverso posta certificata alla questura competente; introducendo un limite del numero dei colpi nei caricatori o nei serbatoi (un massimo di 5 per le armi lunghe, di 15 per quelle corte) e affidando al Banco nazionale di prova (che ha già in carico la classificazione delle comuni armi da sparo) tutta la valutazione degli strumenti, con la possibilità di escludere quelli che potrebbero recare danno alle persone;
   nella fattispecie, le armi ad uso scenico andranno punzonate dal Banco di prova, fatte salve quella già valutate in passato;
   tale verifica si sarebbe dovuta fare, a spese dell'interessato, entro un anno dall'entrata in vigore della direttiva, ovvero entro il 4 novembre 2014. Pertanto tutte le armi di scena regolarmente registrate, che ad oggi non avessero ancora ricevuto verifica dal Banco di prova, sarebbero da considerarsi «comuni» o «da guerra» e non demilitarizzate, con risvolti gravissimi sulle ditte di armaioli, che sarebbero potuti andare incontro al sequestro del materiale fino all'arresto;
   evidentemente l'immediata conseguenza dell'entrata in vigore di questa norma sarebbe stata quella di una assoluta paralisi di tutte le produzioni cinematografiche e fiction che utilizzano armi. Non si sarebbero perciò potute girare più scene d'azione e sarebbe stato possibile girare solo film e serie tv senza l'uso di armi di scena. Una soluzione insostenibile, sia dal punto di vista creativo che economico;
   a seguito delle vivaci proteste delle associazioni dei produttori, che da venerdì scorso si erano visti negare la possibilità di usare armi di scena per qualsiasi tipo di film, lunedì scorso il Consiglio dei ministri, su iniziativa del Ministro dell'interno, ha prorogato, fino al 31 dicembre 2015, i termini di scadenza per l'adeguamento tecnico delle armi di scena sui set cinematografici da parte delle ditte fornitrici;
   già tre anni fa, alcuni titolari di ditte di armi per il cinema, ditte storiche di Roma, subirono arresti e sequestri, fino alla scarcerazione, per poi essere prosciolti da ogni accusa. Durante uno dei controlli, ai quali queste aziende sono regolarmente sottoposte, venne stabilito che una modifica non era a norma, pur essendo stata punzonata. Oggi come allora, le armi di scena sono, invece, perfettamente sicure, in linea con i parametri europei e vengono tracciate con delle matricole. Le nuove prescrizioni sono onerose e impraticabili e si corre il rischio di essere arrestati, pur trattandosi di armi totalmente inoffensive –:
   se il Ministro interrogato intenda aprire un tavolo tecnico che affronti in tempi rapidi le questioni legate alla normativa esistente, per facilitare le procedure di attuazione, così da contemperare le giuste necessità di sicurezza con le altrettanto giuste esigenze artistiche e di competitività delle produzioni di cinema e televisione. (4-06905)


   ARLOTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i dati del Ministero dell'interno sui reati denunciati, riportati dall'annuale rapporto pubblicato dal Sole 24Ore (edizione del 16 novembre 2014), pongono la provincia di Rimini al penultimo posto nella graduatoria dei territori italiani in cui nel 2013, si è registrato il maggior numero di reati in rapporto alla popolazione;
   lo stesso quotidiano economico spiega come la provincia di Rimini debba questa posizione statistica a precisi fattori, ovvero al mancato calcolo della «correzione turistica» fra residenti all'anagrafe (335 mila) e presenze effettive (oltre 15 milioni di presenze turistiche presenze registrate nel 2013 sul territorio provinciale), e a un territorio che è «fonte di reddito» e attrae maggiormente anche i malintenzionati;
   le presenze registrate nelle sole strutture ricettive ammontano ad oltre 15.000.000 con una media mensile di circa 1.300.000 persone, con picchi nei mesi di luglio e agosto sino a 4.500.000/4.700.000 unità;
   il divario tra popolazione residente e presenze non sussiste solo durante il periodo estivo ma anche durante il periodo compreso tra settembre e maggio causa il processo di destagionalizzazione dell'offerta turistica riminese, unitamente alla presenza di importanti opere, strutture e manifestazioni (fiera di Rimini, il palacongressi di Rimini, i centri congressi di Riccione, Bellaria e Cattolica, Notte Rosa, MotoGP);
   tali massicce presenze si riverberano evidentemente sulla delittuosità e come confermato anche recentemente nel rapporto del presidente della corte d'appello di Bologna, la provincia di Rimini occupa la terza posizione — in Emilia Romagna — per numero di procedimenti penali aperti e la prima posizione per il rischio di infiltrazione di associazioni criminali di stampo mafioso come peraltro confermato nella relazione Dia presentata nel febbraio di quest'anno;
   in relazione a tali fattori di rischio la provincia di Rimini è stata inserita nel progetto «mappatura criminalità organizzata» che consente il censimento delle organizzazioni criminali e dei soggetti ad esse collegati;
   la situazione attuale degli organici delle forze di polizia non considera tali peculiarità che caratterizzano la provincia di Rimini e la determinazione della pianta organica — avvenuta nella provincia di Rimini all'atto dell'istituzione con decreto ministeriale del 1996 — è tuttora commisurata al mero dato demografico della popolazione residente;
   ogni anno vengono definiti gli organici dei rinforzi estivi che vengono inviati sul territorio riminese, con conseguenti oneri aggiuntivi per l'amministrazione: nel 2014 sono state aggregate 60 unità in più (300 contro le 240 del 2013) che hanno di fatto iniziato l'attività dal 6 luglio per terminare all'inizio di settembre;
   lo studio per la revisione dei presidi e degli uffici della Polizia di Stato illustrato dal vice capo vicario della polizia Alessandro Marangoni, che prevede un'articolata razionalizzazione delle risorse e dei presidi su tutto il territorio nazionale in considerazione della conclamata carenza degli organici, priva Rimini dei presidi di Polizia nautica e Polizia postale;
   la dotazione organica di Rimini da tempo appare non più adeguata a far fronte efficacemente alle multiformi esigenze che caratterizzano questa provincia sotto il profilo dell'ordine e della sicurezza pubblica, e le istituzioni locali hanno più volte manifestato l'esigenza di avere sul territorio una presenza strutturale di forze dell'ordine adeguata alle peculiarità turistiche e alle reali necessità di prevenzione e contrasto della criminalità piccola e organizzata, dell'abusivismo commerciale, della prostituzione –:
   se non ritenga necessario rivedere — anche nel contesto dell'attuale riorganizzazione dei presidi sul territorio — gli attuali criteri di determinazione delle dotazioni organiche delle forze di polizia, rendendoli strutturali e più rispondenti sia per durata della presenza sia per consistenza degli organici alle effettive esigenze dei territori;
   se intenda valutare in sede di determinazione dei contingenti da inviare per il periodo estivo le peculiarità della provincia di Rimini, e pertanto di anticiparne l'invio almeno da metà del mese di giugno e stabilirne la presenza fino al 15 settembre, tenuto anche conto che il contingente di 30 militari assegnato alla suddetta provincia per il concorso nei servizi di perlustrazione e pattugliamento è stato convogliato in Campania facendo venir meno un importante apporto ai servizi di controllo del territorio. (4-06909)


   NACCARATO, CAMANI, MIOTTO e NARDUOLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   venerdì 14 novembre, a Padova, durante lo svolgimento di una manifestazione, un gruppo di circa 30 persone ha aggredito il personale della polizia di Stato in servizio di ordine pubblico;
   la manifestazione, promossa da diverse sigle del mondo antagonista e dai sindacati di base, era autorizzata da piazza Antenore fino a piazza Mazzini;
   verso la conclusione del percorso, all'altezza di palazzo Maldura, il corteo si è fermato e alcuni manifestanti hanno deciso di deviare dal percorso autorizzato e di recarsi in via Beato Pellegrino per «sanzionare» la sede provinciale del Partito Democratico, indicato come responsabile delle scelte del Governo sulle politiche del lavoro e della scuola, e individuato, pertanto, come un obiettivo da colpire con azioni violente;
   un gruppo di manifestanti, composto da circa 30 persone, molte delle quali con il volto travisato da cappucci e sciarpe e attrezzato con scudi in materiale rigido utilizzati come oggetti offensivi, ha attaccato gli agenti di polizia situati all'ingresso di via Beato Pellegrino;
   l'aggressione è stata accompagnata e supportata da alcune persone, protette in mezzo ai manifestanti, che hanno lanciato pietre, bottiglie e fumogeni contro il personale delle forze dell'ordine;
   l'aggressione ha provocato il ferimento di quattro agenti del reparto mobile, di un funzionario della questura e del capo della squadra mobile, dottor Marco Calì, che è stato colpito con un calcio al volto da uno degli assalitori;
   l'attacco contro gli agenti di polizia e la violenza subita dal capo della squadra mobile, ripresi da immagini fotografiche pubblicate dagli organi di informazione locale, testimoniano in modo inequivocabile la brutalità e la volontà aggressiva del gruppo antagonista;
   soltanto la professionalità e le capacità dei dirigenti e degli agenti della polizia in servizio, che sono riusciti a contenere e respingere l'attacco, hanno evitato conseguenze e danni più gravi per le persone presenti e per la cittadinanza;
   l'aggressione e l'uso della violenza da parte del gruppo antagonista hanno suscitato timori e paura in città;
   nella stessa giornata del 14 novembre 2014 in altre città italiane i gruppi antagonisti hanno promosso manifestazioni che, in alcuni casi, si sono caratterizzate per iniziative violente contro sedi istituzionali, come a Roma, a Pisa e a Bologna, contro sedi del Partito Democratico, come a Bergamo e a Genova, e per le aggressioni contro le forze dell'ordine come a Padova, a Milano e a Rimini;
   le modalità operative e gli strumenti utilizzati dagli aggressori destano preoccupazione e allarme particolari perché indicano la premeditazione e la conseguente organizzazione di un attacco violento verso le forze dell'ordine con la finalità di dimostrare volontà di contrapposizione offensiva nel sostenere lo scontro con la polizia e di ottenere clamore e visibilità sul piano mediatico;
   alcune delle persone presenti alla manifestazione di Padova sono state protagoniste, nel recente passato, di analoghe aggressioni violente contro le forze dell'ordine e altri cittadini, come ad esempio in occasione del 14 novembre 2012 presso la stazione ferroviaria di Padova, dove furono feriti tre agenti e in occasione del pestaggio di una persona presso il Centro culturale San Gaetano il 18 dicembre 2012;
   per i descritti episodi e per altri analoghi fatti precedenti sono in corso i relativi procedimenti di fronte all'autorità giudiziaria;
   la ripetizione di simili azioni indica la presenza a Padova di un gruppo di persone che organizza e mette in pratica l'uso della violenza per egemonizzare e radicalizzare i movimenti di protesta, per intimidire le forze politiche e la cittadinanza e per creare un clima favorevole alla diffusione e alla legittimazione di pratiche illegali contro le istituzioni diffondendo un senso di impunità per i reati commessi –:
   se sia al corrente dei fatti sopra esposti;
   quali concrete misure di sua competenza intenda assumere per favorire l'individuazione dei responsabili dell'aggressione del 14 novembre e per prevenire e contrastare il ripetersi di simili episodi ad opera di persone appartenenti a gruppi antagonisti che a Padova ricorrono alla violenza in modo organizzato e sistematico;
   quali concreti interventi intenda adottare per potenziare gli strumenti e i mezzi a disposizione delle forze dell'ordine di Padova. (4-06911)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sembrerebbe che il Governo stia formalizzando il provvedimento per la soppressione del compartimento regionale della polizia stradale della Basilicata;
   la soppressione del compartimento rientra nel piano di riorganizzazione dei presidi di polizia elaborato dal dipartimento della pubblica sicurezza in applicazione della spending review, e dovrebbe comportare il passaggio del territorio di competenza della polizia stradale della Basilicata nella giurisdizione del compartimento polizia stradale della Campania, con sede a Napoli;
   l'accorpamento del compartimento regionale della polizia stradale della Basilicata a quello campano si configura come un grave danno nei confronti della stessa regione, spogliata di un presidio indispensabile per il controllo del territorio, per la sicurezza dei cittadini e per il contrasto alle organizzazioni criminali;
   inoltre, la recente proclamazione di Matera Capitale europea della cultura 2019, rende ancora più indispensabile il controllo della rete viaria regionale, in considerazione del previsto aumento dei flussi turistici;
   l'attuale organizzazione della polizia stradale della Basilicata non grava in alcun modo sulla spesa pubblica in quanto ubicata in edifici demaniali;
   anche i sindacati di polizia hanno espresso forti preoccupazioni per i danni all'operatività derivanti dalla soppressione di uffici che si sono spesso rivelati decisivi per garantire la sicurezza sulle strade e dei trasporti –:
   quali siano stati i criteri seguiti nella stesura del piano di riorganizzazione dei presidi di polizia, e se non ritenga opportuno riconsiderare la soppressione del compartimento di polizia stradale della Basilicata. (4-06912)


   MINNUCCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   domenica 16 novembre durante la partita di calcio di terza divisione tra il Magliano Romano e l'Asd Ardita del quartiere San Paolo di Roma, un gruppo di circa 40 persone incappucciate e armate di manici di piccone, bastoni e spranghe ha aggredito i tifosi dell'Asd Ardita;
   i motivi dell'aggressione sembrano essere a sfondo politico, visto che gli aggressori sono tutti riconducibili ad ambienti di estrema destra e neofascisti, mentre i tifosi dell'Asd Ardita, sebbene non lo abbiano mai enunciato pubblicamente, sembrano avere simpatie politiche opposte;
   da tale aggressione di stampo neofascista ben 6 tifosi dell'Asd Ardita – di cui uno in modo grave – sono rimasti feriti;
   i responsabili fermati ed arrestati dalla Digos sembrano essere tutti ragazzi già noti alle forze dell'ordine locali per episodi simili –:
   quali misure intenda assumere il Ministero dell'interno per evitare il ripetersi di tali episodi che esasperano le tensioni sociali ed inquinano eventi ed esperienze sportive lodevoli alle quali partecipano numerosi cittadini e famiglie e quali iniziative ritenga di dovere adottare al fine di comunicare con ancora più forza la condanna di tali episodi e dimostrare la vicinanza dello Stato, promuovendo ad esempio un incontro con la società Asd Ardita, i tifosi feriti e le loro famiglie. (4-06915)


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la domenica sportiva del 16 novembre 2014 è stata oltraggiata da un odioso episodio di aggressione in occasione di una partita di calcio di terza categoria a Magliano Romano, in provincia di Roma; detto episodio è avvenuto ai danni dei tifosi della Ardita San Paolo, squadra romana, da parte di alcune decine di elementi con passamontagna armati di spranghe e mazze, successivamente allontanatisi dopo alcuni minuti di raid;
   il quotidiano on line TusciaWeb del 17 novembre scrive così dell'episodio: «Ieri pomeriggio i carabinieri avrebbero fatto visita a nove arrestati per il raid con spranghe e bastoni allo stadio di Magliano Romano. Ma per ora gli aggressori sono tutti di Viterbo e provincia, tra i 18 e i 32 anni; disoccupati la maggior parte. Gli altri sono camerieri, commessi, operai. Gravitano tutti nell'ambiente dell'estrema destra. Più di qualcuno è un volto già noto, come l'ex candidato sindaco di Viterbo Diego Gaglini. O vecchie conoscenze delle forze dell'ordine, tra cui Roberto Spolverini ed Erwin di Maulo»;
   di Ervin di Maulo che risulta ben noto alle cronache viterbesi, L'Unità del 2 settembre 2008 scriveva: «Il blitz della Digos e della squadra mobile di Viterbo è scattato all'alba. Tra le case da perquisire c’è quella di Ervin Di Maulo, 26 anni, militante di estrema destra, già denunciato più volte per violenze. Gli agenti sanno che ha preso parte al raid nazifascista compiuto la notte del 3 settembre scorso durante la festa di Santa Rosa e finito in uno scontro con un gruppo di sinistra, probabilmente anarchici. Che sempre lui, due giorni dopo, ha aggredito a bottigliate un altro ragazzo di sinistra. Ci sono testimoni, immagini fotografiche contro Di Maulo. Nella sua abitazione la polizia ha trovato un manganello, uno sfollagente, un coltello con una lama da dieci centimetri, magliette e libri nazifascisti. Il ventiseienne è stato arrestato con l'accusa di rissa aggravata, violenza e danneggiamento»;
   sulla sua pagina Facebook Di Maulo si autodefinisce: «Militante politico di CasaPound Italia dal 2008. Candidato al consiglio comunale di Viterbo»;
   il quotidiano on line viterbonews24 il 18 novembre 2014 scrive: «C’è anche Diego Gaglini, 26 anni, residente a Vitorchiano, candidato sindaco di Viterbo per Casapound alle ultime elezioni comunali, tra i nove giovani arrestati dai carabinieri di Civita Castellana e Bracciano dopo il raid compiuto domenica mattina allo stadio di Magliano Romano. Con lui c'erano Ervin Di Maulo, 32 anni, e Roberto Spolverini, 28 anni, due «autorità» in materia di aggressioni neofasciste. Di Maulo era già finito in manette nel novembre 2011 per aver picchiato a sangue, con la complicità di tre minorenni, due ragazzi nel centro storico di Viterbo. Dal marzo scorso, inoltre, Di Maulo, insieme con altre 5 persone, era stato sottoposto a Daspo»;
   il 6 agosto 2014 il noto blog «Osservatoriorepressione» dà la notizia: «E così il 6 agosto viene aggredito un ragazzo maggiorenne, che chiameremo Dante, proditoriamente con una bottiglia di birra in faccia che gli crea lesioni da suturare con punti e una poltiglia in bocca di frammenti di denti. L'unica colpa di Dante è stata quella di indossare una maglietta della squadra di calcio romana “Ardita San Paolo”, che si richiama ai valori dello sport popolare antifascista del quartiere San Paolo. A quanto pare in Italia bisogna nascondere di essere antifascista, sennò i camerati si inquietano. C’è stato un intervento di militari della Stazione dei Carabinieri di Santa Severa che avrebbero fermato l'aggressore fascista. Dato che la lesione a Dante è sotto i 20 giorni non è scattato l'arresto: ma i camerati arrivati da Roma, in auto d'urgenza e di rinforzo come ai tempi degli anni 80 di Alibrandi, hanno cinto “d'assedio” famelici la Stazione dei carabinieri di Santa Severa... L'aggressore di Dante ha detto di essere di Casapound mentre lo massacrava con una bottiglia.»; la notizia trova riscontro anche su la Repubblica on line sempre del 6 agosto 2014: «Stava giocando a biliardino in un locale di Santa Severa quando è stato aggredito da un giovane perché “dell'opposta fazione politica”. È accaduto dopo la mezzanotte di ieri. Sul posto sono intervenuti i carabinieri di Santa Severa allertati da una segnalazione. A quanto si è appreso, il 21 enne avrebbe riferito ai militari di essere stato avvicinato da un 18 enne, “attirato” dalla sua maglietta dell'Ardita San Paolo, associazione sportiva ritenuta di area vicina ad ambienti di sinistra. Il 18 enne quindi, sempre secondo il racconto della vittima, gli avrebbe tirato contro con violenza una bottiglia, motivando il gesto con una sua asserita partecipazione al movimento Casapound. Soccorso e portato all'ospedale di Civitavecchia, il 21 enne ha riportato ferite al volto, al labbro e rottura di alcuni denti. Dieci giorni la prognosi stabilita dai medici. Identificato il 18 enne, ora i militari attendono che la vittima presenti denuncia. È infatti necessaria una querela di parte per procedere nei casi di lesioni giudicate guaribili in meno di venti giorni» –:
   se sia stata accertata la matrice dell'aggressione ai danni del tifoso dell'Ardita a Magliano Romano, anche in considerazione del clima di provocazioni e strumentalizzazioni di piazza, a partire dagli episodi di Tor Sapienza;
   come intenda tutelare la libertà sportiva della squadra di calcio Ardita San Paolo di Roma e dei suoi tifosi dalle aggressioni neofasciste. (4-06926)


   MIGLIORE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel 2012 il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ha modificato i criteri di aggiudicazione dei bandi di gara previsti per i contratti per la gestione dei centri di identificazione ed espulsione (CIE), centri di soccorso e prima assistenza, centri di accoglienza e centri di accoglienza per richiedenti asilo, scegliendo l'opzione del prezzo più basso rispetto a quella dell'offerta economicamente più vantaggiosa, con base d'asta di 30 euro al giorno per persona;
   dal sito istituzionale della prefettura di Roma, si apprende che è stata indetta la gara per la gestione del centro di identificazione ed espulsione di Roma – Ponte Galeria con il criterio del prezzo a massimo ribasso;
   a causa della incongruità della base d'asta, che sarà ulteriormente inferiore per le offerte che i partecipanti presenteranno, si potrebbero verificare scenari critici, sia per coloro che sono ospitati, che per i lavoratori;
   il bando di gara per la gestione di tutti i servizi di accoglienza, avendo per oggetto i servizi alla persona, anche in base alla legislazione vigente non può risultare al massimo ribasso. La qualità del servizio rischia di non raggiungere il limite minimo per il rispetto della dignità delle persone straniere, ospitate nei Centri di identificazione ed espulsione –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno, alla luce di quanto detto in premessa, procedere ad una valutazione della legittimità delle procedure e verificare la motivazione di un bando di gara al massimo ribasso;
   se intenda adottare iniziative al fine di evitare che il bando della prefettura, e in particolare il ricorso al criterio del massimo ribasso, possa determinare gravi pregiudizi alla tutela dei diritti fondamentali dei cittadini stranieri ospitati nei centri. (4-06928)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è stato intrapreso un complesso processo di ridimensionamento e ristrutturazione dei presidi delle forze dell'ordine sul territorio nazionale, che sta implicando la chiusura di oltre duecento tra stazioni e distaccamenti di varia consistenza proprio mentre aumentano le minacce alla sicurezza ed all'ordine pubblico nel Paese;
   tra i siti colpiti dai provvedimenti di chiusura adottati dal dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno vi è il posto di polizia ferroviaria di San Benedetto Val di Sambro, località interessata dagli attentati condotti contro il treno Italicus ed il Rapido 904;
   la polizia ferroviaria svolge un ruolo decisivo nel contrasto al terrorismo, al quale ha pagato nel corso degli anni un pesante tributo di sangue, e ricade sotto la sua responsabilità anche la protezione del traffico ferroviario sulle linee ad alta velocità, bersaglio potenziale di eclatanti azioni eversive;
   il perfezionamento del provvedimento di chiusura priverebbe di sorveglianza l'intera tratta Firenze-Bologna –:
   se il Governo non intenda rivedere il disegno di ristrutturazione concernente la presenza territoriale delle forze dell'ordine elaborato dal dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, cancellando i provvedimenti di chiusura a carico della polizia ferroviaria, in particolare quello concernente il suo presidio a San Benedetto Val di Sambro, e salvaguardando il mantenimento di tutti gli altri presidi di sicurezza fondamentali per garantire l'ordine pubblico sul territorio. (4-06929)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è competenza del Ministero dell'interno e dei suoi uffici territoriali monitorare la trasparenza e la professionalità dei soggetti che hanno in affidamento la gestione dei centri dedicati ai richiedenti asilo politico, secondo le varie categorie: prime istanze, «dublinati» e minori non accompagnati;
   si apprende dagli organi di stampa che la cooperativa sociale «Un sorriso onlus» ha in gestione, oltre al centro di Tor Sapienza di Roma, anche progetti collegati agli scali di Venezia e Milano, nello specifico un centro per categorie ordinarie e vulnerabili nel comune di Cuveglio in provincia di Varese;
    si apprende sempre dalla stampa che sul progetto di Cuveglio sarebbero stati riscontrati casi di mala gestio;
   è fondamentale il coordinamento e la concertazione con gli enti locali coinvolti, al fine di scongiurare episodi di violenza e disordine pubblico –:
   se gli enti locali siano stati coinvolti nella progettazione tramite protocollo d'intesa o lettera di sostegno o altre manifestazioni esplicite della volontà pubblica;
   se siano state verificate la presenza e le congrue competenze del personale coinvolto nelle strutture gestite dalla cooperativa «Un sorriso onlus»;
   quale sia la rendicontazione delle spese di gestione e l'importo di quelle riservate agli utenti. (4-06935)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   intorno alle 8,30 della giornata di lunedì 17 novembre a Napoli presso la sede dell'istituto bancario Deutsche Bank di via Mascagni nel quartiere del Vomero è stato rinvenuto un ordigno inesploso con la cosiddetta «miccia» fumante;
   da fonti di stampa si apprende che tale ordigno era composto di 1,2 chilogrammi di esplosivo e da una miccia a lenta combustione di oltre 70 centimetri;
   l'eventuale esplosione dell'ordigno avrebbe potuto avere effetti letteralmente devastanti, visto anche il passaggio di cittadini molto intenso nelle prime ore del mattino e la grande vicinanza con il 38o circolo didattico sito a meno di 300 metri dalla banca e all'interno del quale si trovano classi di scuola elementare e media inferiore;
   sempre secondo quanto si apprende da fonti di stampa, le forze di polizia starebbero battendo più o meno quattro piste: rapina con scassinamento del bancomat (per quanto l'ordigno non sia stato collocato nell'immediata vicinanza del bancomat stesso), eversione armata, gesto eclatante di qualcuno che si è visto rifiutare la richiesta di apertura di una linea di credito, criminalità organizzata;
   sempre nella stessa zona, lo scorso 9 novembre si sarebbe verificato un altro fatto inquietante e che sta allarmando la comunità della zona: l'esplosione di alcuni colpi di armi da fuoco contro le vetrine dei negozi di via Recco e via Mezinger;
   alla luce di questi allarmanti fatti, la il consiglio della 5a municipalità del comune di Napoli si è convocato in seduta straordinaria, invitando anche le autorità (prefetto, questore, sindaco, comandante provinciale dei carabinieri), nessuna delle quali a quanto consta all'interrogante si sarebbe presentata all'appuntamento sollecitato dall'istituzione di prossimità;
   nella mattinata di martedì 18 novembre 2014 nella città si sono verificati altri due allarmi bomba poi rivelatisi infondati: nel primo caso una telefonata anonima giunta alla redazione di un importante quotidiano partenopeo avrebbe annunciato la presenza di un ordigno alla mostra d'Oltremare (in concomitanza con lo svolgimento delle prove selettive di un concorso pubblico); anche nel secondo caso, una telefonata anonima giunta in questura avrebbe segnalato la presenza di un ordigno nella sede del consiglio regionale della Campania; entrambe le «segnalazioni» si sarebbero rivelate infondate e le forze dell'ordine sarebbero alla ricerca di eventuali elementi, nonché di collegamenti con quanto avvenuto nei giorni scorsi nella città di Napoli;
   risulta di tutta evidenza come i fatti descritti delineino una gravissima escalation di violenza che starebbe colpendo nelle ultime settimane il centro del capoluogo partenopeo –:
   quali siano le informazioni in possesso del Ministro interrogato e se non ritenga che lo Stato debba intervenire con la massima radicalità al fine di stroncare questa pericolosa e inquietante escalation di violenza che sta coinvolgendo la città di Napoli. (4-06937)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   in data 8 ottobre 2014 il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi trasmetteva alla Camera dei deputati il curriculum vitae del dottor Antonio Agostini che riportava tra le diverse competenze ed esperienze una laurea in giurisprudenza, l'abilitazione alla professione forense, il servizio come ufficiale dei carabinieri fino al 1992, e la successiva carriera alla Presidenza del Consiglio dei ministri (dal 1996 con qualifica e funzioni dirigenziali) «con esperienze in affari strategici e responsabilità operative, a livello nazionale e internazionale, nel campo della controproliferazione e controllo all’export di armamenti, beni e materiali strategici», nonché l'incarico, in posizione di fuori ruolo, di segretario generale e di segretario del consiglio di amministrazione dell'Agenzia spaziale italiana;
   nel corso della seduta del 28 ottobre 2014 delle Commissioni riunite (VIII e X), il collega onorevole Filiberto Zaratti sollevava dubbi sulla compatibilità del profilo del dottor Antonio Agostini rispetto a quanto stabilito dall'articolo 6 del decreto legislativo n. 45 del 4 marzo 2014, che al comma 5 prevede che «il Direttore è scelto tra persone di indiscussa moralità e indipendenza, di comprovata e documentata esperienza e professionalità ed elevata qualificazione e competenza nei settori della sicurezza nucleare, della radioprotezione, della tutela dell'ambiente e sulla valutazione di progetti complessi e di difesa contro gli eventi estremi naturali o incidentali [..,]»;
   in data 4 novembre 2014 la testata Il Fatto Quotidiano ha pubblicato in esclusiva un rapporto redatto dagli ispettori del Ministero dell'economia e delle finanze a seguito di una indagine interna svolta sull'operato del dottor Antonio Agostini, nel periodo di direzione espletato al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dove emerge che l'odierno candidato all'ISIN sarebbe stato: «inadeguato a gestire programmi così complessi (...), con profili di illegittimità suscettibili di determinare una configurazione di danno erariale e circostanze penalmente rilevanti»;
   il rapporto degli ispettori del Ministero dell'economia e delle finanze, che oggi sarebbe – da quanto si apprende – all'attenzione della procura della Repubblica di Roma, della Corte dei conti e dell'Ufficio europeo per la lotta antifrode, è stato elaborato nel corso di sei mesi di indagini a partire dal novembre 2011, su impulso dell'allora titolare del dicastero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro pro tempore Profumo, per verificare le notizie su un presunto sistema deviato di assegnazione delle risorse comunitarie per la ricerca e lo sviluppo gestito dalla direzione generale che faceva capo allo stesso dottor Agostini; nello specifico l'articolo riferisce di come la gestione di quei fondi per la ricerca «è stata connotata da “procedure opache”, “scarsi controlli”, “valutazioni inesistenti”, “conflitti d'interesse” che hanno permesso di attribuire centinaia di milioni di euro a chi non ne aveva i titoli: società sprovviste in partenza dei requisiti di ammissibilità, spesso sull'orlo del fallimento, anche grazie a sistemi di controllo affidati agli amici degli amici. Alcune società beneficiarie, conferma il rapporto, “non avevano neppure un'attività, una sede o personale”. Altre erano state bocciate in sede di valutazione finanziaria, molti progetti finanziati non avevano superato il controllo preliminare di valutazione tecnica»;
   diversi elementi che se fossero confermati metterebbero definitivamente in discussione la compatibilità del candidato all'ISIN non solo sotto il profilo della competenza ma anche della «indiscussa moralità», richiesta espressamente dal decreto legislativo n. 4 del 2014 già citato; nell'articolo di stampa si legge, inoltre, che detto rapporto, «trasmesso fin dall'ottobre 2013 dal Ministro Carrozza alla Procura di Roma e poi alla Corte dei conti è stato ignorato dal Governo, deliberatamente o meno. Fatto sta che neppure il Ministro Stefania Giannini ha alzato un dito quando è balenata la nomina di Agostini, anche se aveva il dossier tra le mani e ancora in carico i programmi Pon 2007-2013 le cui attività si chiuderanno del tutto nel 2016. Circostanze che aprono ora interrogativi su chi davvero abbia fatto pressioni per quel nome, chi l'abbia protetto finora fino alla promozione all'incarico di segretario generale del Ministero dell'ambiente. E in ultimo alla proposta per la presidenza dell'Isin» –:
   se il Ministro interpellato non fosse a conoscenza del suddetto rapporto redatto dagli ispettori del Ministero dell'economia e delle finanze e trasmesso sin dall'ottobre 2014 al precedente responsabile del dicastero e quali chiarimenti intenda fornire in ordine a tale vicenda.
(2-00751) «Scotto, Ricciatti, Zaratti, Pellegrino, Pannarale».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   al comma 2 dell'articolo 15 del decreto-legge n. 104 del 12 settembre 2013, convertito dalla legge n. 128 dell'8 novembre 2013, si pone quale obiettivo quello di assicurare continuità al sostegno degli alunni con disabilità attraverso l'incremento dell'organico di diritto fino alla concorrenza del 90 per cento dell'organico di fatto nel 2014-2015 e del 100 per cento nel 2015-2016, determinato in base ai posti complessivamente attivati nell'anno scolastico 2006/2007 e cioè 90.032 su base nazionale;
   l'organico di fatto attribuito alla provincia di Bari nell'ultimo triennio è stato pari a 2.949, come si evince dalle note dell'ufficio scolastico regionale n. 4853 dell'11 luglio 2013 e n. 7899 del 23 luglio 2014. Tale organico di fatto era costituito da 2387 cattedre in organico di diritto e da 562 cattedre aggiuntive, come risulta dal citato decreto dell'Ufficio scolastico regionale Puglia n. 7899 del 23 luglio 2014;
   dei 562 posti aggiuntivi, 542 erano in capo alla scuola secondaria di secondo grado, numero che si ottiene sottraendo dal numero dell'organico di fatto, 983, come da nota 19 luglio 2013 dell'ufficio scolastico provinciale di Bari, il numero delle cattedre in organico di diritto, ovvero 441, come da decreto dell'ufficio scolastico regionale dell'11 aprile 2014 PROT. n. AOODRPU. 4089;
   nell'anno scolastico 2013/2014, alla scuola secondaria di secondo grado della provincia di Bari venivano assegnate 983 cattedre consolidate, di cui 441 di diritto e 542 aggiuntive, mentre agli altri ordini di scuola venivano complessivamente assegnate 1966 cattedre, di cui 1946 in organico di diritto e 20 aggiuntive, con un evidente squilibrio nel riparto nei vari ordini dell'organico di diritto. Di fatto, mentre per la scuola superiore il rapporto di 441 posti di diritto su 983 posti complessivi dell'organico di fatto, porta al 45 per cento circa di copertura, negli altri ordini si è già raggiunto quasi il 10 per cento, considerando complessivamente il rapporto di 1946 posti di diritto su 1966 di organico di fatto;
   in data 11 aprile 2014 l'ufficio scolastico Regionale della Puglia con proprio decreto n. 4089 ripartiva in questo modo l'incremento dell'organico di diritto attribuito alla provincia di Bari per complessivi 355 posti: 36 alla scuola dell'infanzia, 89 alla primaria, 53 alla secondaria di primo grado ed, infine, 177 alla scuola secondaria di secondo grado, portando i nuovi organici di diritto a 293 cattedre all'infanzia, che con 510 alunni ha un rapporto di un docente per 1,74 alunni (al di sopra della media voluta dalla norma); 1030 cattedre alla primaria per 1785 alunni con un rapporto di un docente per 1,74 alunni; 801 alla secondaria di primo grado per 1404 alunni con un rapporto di un docente per 1,75 alunni, ed infine portando a 618 le cattedre per la secondaria superiore per complessivi 1858 alunni con un rapporto di un docente per 3 alunni;
   il provveditore agli studi di Bari con propria nota del 25 luglio 2014, sulla base del citato decreto 7899 dell'ufficio scolastico regionale Puglia, comunicava che le cattedre in organico di fatto delle scuole secondarie superiore non erano più 983, come nel precedente anno scolastico, ma 818, tagliando circa 160 cattedre. Una decisione poco comprensibile se si considera che nella provincia di Bari le iscrizioni degli alunni con disabilità alle scuole secondarie superiori siano aumentate di circa 100 unità, da 1838 (A.S. 2013/14) a 1952 (A.S. 2014/15). Inoltre, il rapporto fra organico di diritto e organico di fatto, pur con la diminuzione di quest'ultimo, non rispetta i parametri imposti dal decreto-legge n. 104 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 128 del 2013 visto che si raggiunge la copertura del 75 per cento circa, invece del 90 per cento per l'anno 2014-2015;
   l'ufficio scolastico provinciale di Bari ha convocato il giorno 11, 12 e 15 settembre 2014 i docenti delle aree AD01, AD02, AD03 e AD04 e ha pubblicato in data 10 settembre le disponibilità delle cattedre per queste aree; da tali disponibilità si evince che le cattedre in prima convocazione risultano essere 223 + 90 spezzoni orari circa, a fronte di numeri ben diversi per l'anno scolastico 2013/14, ovvero 553 + 81 spezzoni circa in prima convocazione;
   appare chiaro come sarà necessario assegnare ulteriori cattedre per rispettare i rapporti docente/alunni, secondo le normative vigenti, e che queste saranno assegnate con il meccanismo della deroga, creando disagi e ingiustizie, non solo per gli alunni diversamente abili e le loro famiglie, costretti molte volte anche a restare a casa per qualche settimana, ma anche per i docenti precari che dovranno attendere le deroghe per vedere riconosciuto quello che è in realtà un posto consolidato –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione su esposta;
   se il Ministro non ritenga che si sia verificata una condizione contraria a quanto stabilito dal decreto-legge n. 104 del 2013;
   se il Ministro non ritenga che questa situazione richieda un intervento immediato per garantire la continuità didattica per gli alunni diversamente abili delle scuole secondarie di secondo grado;
   se il Ministro non ritenga doveroso intervenire per approfondire e fare luce sulle cause che hanno portato al taglio dell'organico di fatto per le scuole superiori di secondo grado della provincia di Bari, a fronte di un aumento della popolazione studentesca.
(2-00752) «Scotto, Pannarale, Fratoianni».

Interrogazione a risposta orale:


   GIULIETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   è apparsa su tutti i quotidiani nazionali e regionali la notizia che in una scuola della provincia di Perugia uno studente di 14 anni sarebbe stato prima offeso con frasi omofobe e poi picchiato dal suo insegnante;
   se i fatti dovessero essere confermati si tratterebbe di un episodio gravissimo e inaccettabile soprattutto perché avvenuto all'interno di una scuola, il luogo preposto alla formazione, all'educazione, al rispetto delle diversità e alla condanna di ogni forma di violenza –:
   quali iniziative intenda mettere in atto per far luce al più presto su quanto accaduto e, ove i fatti riportati in questi giorni dalla stampa nazionale dovessero rivelarsi esatti, quali misure intenda prendere per condannare qualsiasi forma di discriminazione e di intolleranza e per promuovere la cultura del rispetto reciproco. (3-01165)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARTELLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con l'entrata in vigore delle graduatorie definitive degli insegnanti si stanno verificando una serie di disservizi pratici in ambito scolastico;
   solo in Veneto, secondo i dati dell'ufficio scolastico regionale, ben 1552 sono stati gli insegnanti che hanno cambiato classe;
   un cambiamento che arriva in ritardo, dopo due mesi dall'inizio dell'anno scolastico, e che crea non pochi problemi sia sotto il profilo dell'organizzazione scolastica sia per quanto riguarda la didattica e il rapporto instaurato con gli alunni in questa metà di quadrimestre;
   il quadro si complica anche in considerazione del turn over che sta riguardando gli insegnanti di sostegno e in questo caso parliamo, solo per quanto riguarda il Veneto, di circa 2300 docenti interessati dal cambio in relazione alle graduatorie definitive;
   per i ragazzi con difficoltà e disabilità vi sono, inoltre, aspetti maggiormente problematici proprio per la specificità del rapporto che si instaura tra il docente e l'alunno creando un effettivo disagio per le scuole e notevoli disservizi per le famiglie;
   di fatto, in questi casi, è come se l'anno scolastico iniziasse nuovamente nel mese di novembre;
   il Governo punta molto sulla scuola e si appresta, dopo un'ampia consultazione, a varare provvedimenti intesi a rafforzare il sistema scolastico e l'offerta formativa;
   le organizzazioni sindacali hanno avanzato una serie di proposte finalizzate a superare questo tipo di gap burocratico che sta incidendo in maniera rilevante sul funzionamento scolastico –:
   se e quali iniziative, in considerazione delle difficoltà rappresentate in premessa, intenda promuovere, anche in vista delle prossime iniziative normative, per evitare il verificarsi di tali situazioni di disagio per insegnanti alunni e famiglie. (5-04052)


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 3 novembre 2014 si è costituito il Coordinamento nazionale conferenze AFAM, composto dai presidenti eletti delle conferenze ufficialmente costituite e riconosciute dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con decreti ministeriali n. 143 del 2012, n. 13 del 2013, n. 90 del 2013, n. 261 del 2013 e n. 570 del 2013;
   nel documento che formalizza tale costituzione sono indicati i nominativi di coloro che ne fanno parte e i rispettivi livelli di rappresentanza, dai quali sono esclusi totalmente i presidenti degli ex istituti musicali pareggiati, che non hanno mai avuto né formale né informale riconoscimento all'interno della Conferenza dei presidenti degli ex conservatori di musica, pur avendo la rappresentanza legale degli istituti che presiedono con notevoli responsabilità amministrative e finanziarie non previste negli ex conservatori;
   al tempo stesso il coordinamento nazionale conferenze AFAM dichiara nel documento che «ritiene urgente mettere in essere un progetto organico di sviluppo dell'intero sistema AFAM nazionale, coerente con le caratteristiche dei sistemi superiori europei della formazione» e promuove, meritoriamente e conseguentemente, l'organizzazione di gruppi di studio per sintetizzare proposte per l'intero sistema;
   poiché del sistema AFAM fanno parte, sulla base della legge n. 508 del 1999, anche gli ex istituti musicali pareggiati e considerato che la stessa legge trasforma questi Istituti, insieme agli ex conservatori, in Istituti superiori di studi musicali, il comitato eletto non parrebbe completamente idoneo a proporre soluzioni che richiedono conoscenza completa di tutte le istituzioni, della loro offerta formativa, della qualità delle risposte offerte in rapporto ai bisogni degli allievi e delle realtà e potenzialità territoriali -:
   se ritenga il nuovo Coordinamento nazionale conferenze AFAM rappresentativo dell'intero sistema;
   e altresì se intenda sanare con tempestività tale situazione ed evitare che all'interno del sistema si creino conflitti ed esasperazioni che finirebbero per non giovare allo stesso sistema della formazione superiore in campo musicale al fine di non marginalizzare gli ex istituti musicali pareggiati. (5-04053)


   ASCANI, CAROCCI, COCCIA, COSCIA, CRIMÌ, D'OTTAVIO, GHIZZONI, MALISANI, MALPEZZI, MANZI, NARDUOLO, PICCOLI NARDELLI, RAMPI, SGAMBATO, VENTRICELLI, VERINI, ZAMPA e SERENI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a seguito del programma promosso dal Consiglio d'Europa «Combattere le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere», per l'attuazione e l'implementazione della raccomandazione del Comitato dei ministri CM/REC (2010)5, è stata elaborata la Strategia nazionale per la prevenzione ed il contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere finalizzata alla realizzazione di un piano triennale di azioni pilota (2013-2015), integrate e multidisciplinari, volte alla prevenzione e al contrasto delle discriminazioni in tale ambito;
   in allegato alla raccomandazione CM/REC(2010)5 al punto VI – Istruzione si specifica che tenendo nel debito conto l'interesse superiore del fanciullo, gli Stati membri dovrebbero adottare le misure legislative o di altro tipo appropriate, destinate al personale insegnante e agli allievi, al fine di garantire l'effettivo godimento del diritto all'istruzione, senza discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere; ciò comprende in particolare il rispetto del diritto dei bambini e dei giovani all'educazione in un ambiente scolastico sicuro, al riparo dalla violenza, dalle angherie, dall'esclusione sociale o da altre forme di trattamenti discriminatori e degradanti legati all'orientamento sessuale o all'identità di genere. In particolare, tenendo nel debito conto l'interesse superiore del fanciullo, dovrebbero a tale scopo essere adottate misure appropriate a ogni livello per promuovere la tolleranza e il mutuo rispetto a scuola, a prescindere dall'orientamento sessuale o dall'identità di genere. Tali misure dovrebbero comprendere la comunicazione di informazioni oggettive sull'orientamento sessuale e l'identità di genere, per esempio nei programmi scolastici e nel materiale didattico, nonché la fornitura agli alunni e agli studenti delle informazioni, della protezione e del sostegno necessari per consentire loro di vivere secondo il proprio orientamento sessuale e la propria identità di genere. Gli Stati membri potrebbero inoltre predisporre e attuare politiche scolastiche e piani d'azione per promuovere l'uguaglianza e la sicurezza e garantire l'accesso a formazioni adeguate o a supporti e strumenti pedagogici appropriati per combattere la discriminazione. Tali misure dovrebbero tenere conto del diritto dei genitori di curare l'educazione dei propri figli;
   ai fini della sensibilizzazione sulle tematiche LGBT il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca, in occasione della Giornata internazionale contro l'omofobia, il 10 maggio 2012 ha emanato una specifica circolare rivolta a tutti gli istituti scolastici, con la quale si ricorda il ruolo della scuola nella costruzione di una comunità inclusiva che riconosce le differenze e il ruolo di contrasto di ogni forma di discriminazione, compresa l'omofobia, sottolineando in particolare come la scuola debba cimentarsi ogni giorno con la costruzione di una comunità inclusiva che riconosce le diversità di ciascuno. È, infatti – ad un tempo – la prima comunità formativa dei futuri cittadini e un luogo importantissimo per la crescita e la costruzione dell'identità di ciascuna persona e come questa debba favorire la costruzione dell'identità sociale e personale da parte dei bambini e dei ragazzi, il che comporta anche la scoperta del proprio orientamento sessuale. Il loro ruolo nell'accompagnare e sostenere queste fasi non sempre facili della crescita risulta decisivo, anche grazie alla capacità di interagire positivamente con le famiglie;
   il dipartimento per le pari opportunità in data 30 gennaio 2013 ha siglato un apposito protocollo di intesa con il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca al fine di favorire l'educazione delle nuove generazioni al rispetto dell'altro, al rifiuto di ogni forma di violenza o discriminazione, al valore civico dell'inclusione sociale;
   importanti testate giornalistiche locali e nazionali nelle scorse giornate hanno riportato la notizia di un episodio di presunta violenza a sfondo omofobo avvenuto la settimana scorsa presso l'istituto alberghiero di Assisi (Perugia) da parte di un docente nei confronti di un alunno –:
   se il Ministro interrogato non ritenga urgente intervenire con propri mezzi al fine di fare luce su ciò che è realmente accaduto presso l'istituto assisano garantendo l'effettivo godimento del diritto all'istruzione, senza discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere in linea con raccomandazione del Comitato dei ministri CM/REC (2010)5;
   quale posizione il Ministro intenda prendere al fine di sensibilizzare la pubblica opinione su tematiche di tale attualità ed importanza. (5-04056)


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel documento programmatico «La Buona Scuola», si prevede, per la prima volta in Italia, un piano di assunzioni su tutti i posti vacanti e sul costituendo organico funzionale;
   pur recependo l'importanza di questa proposta riteniamo che essa, proprio per il suo carattere di straordinarietà determinerà conseguenze mai viste prima sia nel meccanismo della mobilità, sia sull'organico di diritto che sull'organico funzionale;
   il vincolo di permanenza dei docenti per cinque anni nella provincia di immissione in ruolo è stato ridotto a tre anni nel 2013. Con quanto invece previsto nel documento de «La Buona Scuola», appare evidente il rischio che venga nuovamente violato il diritto dei lavoratori a trasferirsi e quindi vengano negati i ricongiungimenti parentali;
   l'immissione in ruolo di tutti gli aspiranti inseriti nelle graduatorie ad esaurimento, prevista dal piano del Governo, potrebbe provocare la saturazione di tutti i posti disponibili, compresi quelli destinati alla mobilità annuale, ossia: trasferimenti provinciali ed interprovinciali e assegnazioni provvisorie, pertanto il personale docente di ruolo che svolge la propria professione lontano dalla propria famiglia, ancora una volta le viene negata la possibilità di ricongiungimento;
   qualunque meccanismo di realizzazione del piano deve prevedere la tutela del diritto alla mobilità considerato che tale condizione interessa decine di migliaia di docenti, i loro figli, spesso in giovane età e i loro familiari –:
   se non sia opportuno valutare che il piano straordinario di assunzioni vada subordinato, in fase di realizzazione, a un piano straordinario che elimini definitivamente il vincolo nella mobilità. (5-04057)


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel giro di pochi anni le risorse messe a disposizione dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per la retribuzione delle ore svolte per l'avviamento alla pratica sportiva dai docenti di educazione fisica nella scuola sono passati dagli originari 60 milioni agli attuali 14,5 circa, quindi meno di un quarto;
   l'ultimo Accordo ARAN–OO.SS. del 7 agosto 2014 prevede il recupero dello scatto d'anzianità del 2012 e le organizzazioni sindacali sono riuscite a preservare ed in generale, ad aumentare le varie voci del MOF 2014-2015 (FIS, Funzioni strumentali, Incarichi specifici, IDEI, eccetera), ad eccezione del fondo per l'avviamento alla pratica sportiva, ulteriormente decurtato di circa 5 milioni rispetto al già esiguo fondo dell'anno precedente;
   ciò perché il 30 per cento circa delle scuole non partecipa all'attività sportiva, ma ad esse viene ugualmente assegnato a monte il fondo per l'attività sportiva, generando così delle rilevanti economie, che paradossalmente hanno indotto la gran parte delle stesse organizzazioni sindacali a giustificare i progressivi tagli operati ogni anno e a decidere di aggiungere tali economie al fondo per l'avviamento alla pratica sportiva dell'anno successivo, ma di destinarle ad altri capitoli di spesa, aventi nulla a che vedere con tale attività;
   l'accordo tra il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e organizzazioni sindacali del 1o ottobre 2014, stabilisce che circa 7,7 milioni di economie pregresse provenienti dall'avviamento alla pratica sportiva, vengano in gran parte ed in via prioritaria dirottate alla copertura delle posizioni economiche del personale ATA con la conseguenza che per il corrente anno scolastico, il totale ripartito per tutte le classi in organico di diritto è pari a euro 75,57 a classe (a fronte dei 106 euro dell'anno precedente), per un totale a docente di circa euro 680 lordo stato (equivalenti a circa 350 netti), pari ad una media di 15 ore a docente, ovvero meno di due ore all'anno per classe;
   si considera tale impegno di orario richiesto insufficiente a garantire un'adeguata preparazione per poter partecipare all'attività agonistica così come prevista dai campionati studenteschi, mettendo gli alunni a rischio infortuni e non permettendo un continuato coinvolgimento degli stessi nel corso dell'intero anno in attività più promozionali, come ad esempio classi in gioco;
   inoltre anche i fondi destinati agli uffici territoriali di educazione fisica sono stati drasticamente ridotti, ciò con grave ripercussione su tutta l'attività dei campionati studenteschi tenuto conto di quanto previsto nella Legge di stabilità 2015 che prevede l'eliminazione dei Coordinatori provinciali di Educazione fisica e dei relativi Uffici. Infatti, il recente Accordo CONI-MIUR sulla nuova «governante» dello sport scolastico prevede una struttura paritetica composta da MIUR–CONI–CIP, in cui di fatto il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca cede al CONI una importante funzione istituzionale della scuola, appare chiara l'intenzione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di disimpegnarsi sempre più dal gestire e finanziare in prima persona tale fondamentale attività scolastica;
   tutto ciò risulta peraltro in controtendenza con l'importanza che viene data in generale all'attività motoria e sportiva scolastica nel «Piano Renzi» della «cosiddetta» Buona scuola. In esso inoltre si preannuncia l'intenzione, come da sempre chiesto dalle associazioni di categoria dei docenti di scienze motorie, di inserire due ore di educazione fisica settimanale nella scuola primaria svolte direttamente dai docenti di educazione fisica regolarmente assunti in organico a tempo indeterminato che a sua volta risulta in contrasto con quanto previsto nel piano per la scuola primaria dal recente Accordo MIUR-CONI, in cui si prevede la diffusione del docente di educazione fisica «tutor», con contratto di prestazione d'opera, coordinatore degli insegnanti di scuola primaria per l'attività motoria e con impegno diretto in classe per una sola ora a mese –:
   se il Ministro non intenda adoperarsi urgentemente per organizzare e finanziare adeguatamente, in ogni grado di scuola, sia l'attività motoria curriculare per almeno due ore settimanali sia prevedere, che l'avviamento alla attività sportiva scolastica sia esclusivamente sotto il totale controllo del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e quindi ad esclusivo appannaggio di docenti di scienze motorie regolarmente assunti e remunerati anche al fine di non disperdere le poche risorse economiche messe a disposizione di suddetta attività scolastica. (5-04060)


   MALPEZZI, MARZANO, FIANO, COMINELLI, BRAGA, GASPARINI e CINZIA MARIA FONTANA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse recentemente sulla stampa si apprende che 6.102 insegnanti di religione della diocesi ambrosiana abbiano ricevuto dalla Curia di Milano una richiesta scritta per avere la segnalazione dei colleghi e dei progetti che nella loro scuola trattano con gli alunni temi legati all'omosessualità e all'identità di genere;
   la lettera, riservata, è stata messa online sul portale a cui accedono solo i professori di religione con una password. A quanto pare, appena in Curia è arrivata la notizia che il contenuto della missiva stava per diventare pubblico, il testo della lettera è scomparso dal sito con la precisazione che si trattava solo di «un'indagine informale»;
   tuttavia, alcuni docenti di religione l'avevano già stampata e inviata al quotidiano La Repubblica;
   «cari colleghi – si legge nella lettera scritta dal responsabile di settore della Diocesi, don Gian Battista Rota – come sapete in tempi recenti gli alunni di alcune scuole italiane sono stati destinatari di una vasta campagna tesa a delegittimare la differenza sessuale affermando un'idea di libertà che abilita a scegliere indifferentemente il proprio genere e il proprio orientamento sessuale»;
   «per valutare in modo più preciso la situazione e l'effettiva diffusione dell'ideologia del «gender» – scrive la Curia – vorremmo avere una percezione più precisa del numero delle scuole coinvolte, sia di quelle in cui sono state effettivamente attuate iniziative in questo senso, sia di quelle in cui sono state solo proposte»;
   «per questo chiederemmo a tutti i docenti nelle cui scuole si è discusso di progetti di questo argomento di riportarne il nome nella seguente tabella, se possibile entro la fine della settimana». La Curia conferma quella che definisce «indagine informale mirata a conoscere i progetti scolastici relativi al tema della differenza di genere»;
   appare difficile comprendere quali le ragioni per cui la Curia abbia interferito in iniziative culturali proposte dalle scuole su temi di attualità e interesse anche per i ragazzi;
   questa, infatti, rappresenta un'ingerenza ingiustificabile nei programmi e nella formazione scolastica che fomenta pericolosi episodi discriminatori in una fase in cui si acuiscono comportamenti ostili nei confronti di persone con orientamenti sessuali diversi –:
   come si intenda intervenire per fare chiarezza su questa vicenda e quali progetti si intendano realizzare per sostenere e promuovere percorsi didattici nelle scuole di ogni ordine e grado sul tema delle identità di genere. (5-04069)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le scuole dell'infanzia paritarie della Fism (Federazione italiana scuole materne) rimarranno chiuse il 20 e 21 novembre. È la decisione assunta dalla Fism del Veneto che gestisce il 60 per cento delle scuole dell'infanzia del Veneto (che in totale sono 1.047 e accolgono 90 mila bambini, di cui 81.600 nell'infanzia, 7.100 negli asili nido e 1.400 nelle sezioni primavera). La Fism è di ispirazione cristiana e nella provincia di Verona gestisce 189 scuole, con circa 17 mila bambini, il 70 per cento del servizio scolastico all'infanzia nella provincia;
   in una lettera ai genitori dei bambini la Fism Verona illustra in maniera dettagliata la decisione assunta di tenere chiuse le scuole nei due giorni e le relative motivazioni, ricordando che il Parlamento, 14 anni fa, ha approvato la legge n. 62 del 10 marzo 2000 sulla parità scolastica, in forza della quale la scuola paritaria svolge un servizio pubblico all'interno del sistema integrato nazionale dell'istruzione, ma le scuole paritarie non possono sopravvivere senza i contributi dello Stato;
   la Conferenza Stato-regioni, pur avendo espresso parere positivo per erogare 195 milioni (circa 20 euro al mese per bambino), il finanziamento non sarà nella disponibilità delle scuole prima di marzo-aprile 2015, ma la Federazione teme anche un'ulteriore riduzione dei contributi statali alle paritarie, di 20 milioni sul bilancio 2015;
   la regione non ha ancora deliberato il contributo ordinario del 2014 alle scuole dell'infanzia, non ha ancora saldato il contributo ai nidi del 2013 e quello straordinario alle scuole dell'infanzia per lo stesso anno, inoltre nulla si sa del contributo ai nidi per il 2014;
   numerose amministrazioni comunali, riferisce ancora la lettera della Fism, hanno già comunicato, approfittando della natura tecnicamente non obbligatoria del contributo, la riduzione del contributo per il 2015 a causa della criticità dei bilanci comunali;
   le conseguenze sono che mancano 45 euro al mese per bambino e da tre mesi il personale scolastico è senza stipendio –:
   se il Ministero intenda procedere, con la massima sollecitudine, a trasferire alla regione Veneto i finanziamenti per le scuole paritarie, per l'anno in corso e anche quelli residuali per l'anno 2013, al fine di adempiere all'impegno preso con le scuole dell'infanzia paritarie, le quali in assenza di detti trasferimenti non possono, in nessun modo, assicurare quel servizio scolastico necessario a tutti gli alunni della regione Veneto. (4-06910)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   negli scorsi giorni è uscita la quindicesima edizione di «Ecosistema Scuola», quella del 2014;
   si tratta di una indagine di Legambiente sullo stato di salute di 500 edifici scolastici campani, frequentati da circa 120 mila studenti e suddivisi nei diversi capoluoghi di provincia della regione;
   i risultati sono a dir poco spaventosi: l'83,2 per cento delle scuole analizzate si trova in zone a rischio idrogeologico, il 91 per cento delle scuole è situata in aree a rischio sismico e l'81 per cento degli istituti vive il rischio vulcanico;
   se è vero che sono già stati avviati i monitoraggi sulle condizioni di rischio legate alla presenza di amianto nelle strutture scolastiche prese in considerazione, bisogna sottolineare come invece sia ancora troppo basso l'impegno di monitoraggio per quanto concerne la presenza di emittenti radio-televisive presenti in prossimità degli edifici (solo il 50 per cento), per non parlare poi di quello relativo al radon (ancora al 25 per cento);
   il servizio di scuolabus è previsto solo dall'8,8 per cento degli istituti considerati;
   nella classifica nazionale redatta da Legambiente bisogna scendere al ventisettesimo posto per trovare la prima città campana, e cioè Benevento, mentre Napoli, seppur prima tra le grandi città del sud, è solo trentanovesima;
   le altre province campane sono ancora più indietro;
   il 50 per cento delle scuole campane è stato costruito prima dell'entrata in vigore della normativa antisismica del 1974, ed il 31,6 per cento delle strutture necessita di interventi urgenti di manutenzione;
   solo l'11 per cento degli edifici risulta costruito secondo criteri antisismici, e solamente nel 26,9 per cento dei casi è stata effettuata la verifica di vulnerabilità antisismica, a fronte del già citato 91 per cento di edifici posti in aree a rischio sismico;
   è estremamente bassa la media annua per singolo edificio degli investimenti per la manutenzione straordinaria degli ultimi 5 anni, con 9.500 euro investiti per ogni edificio scolastico a fronte di una media nazionale che supera i 24.000 euro;
   lo stesso discorso vale anche per la manutenzione ordinaria, con 965 euro contro i quasi 7.000 euro della media nazionale;
   l'indagine su Napoli riguarda 408 edifici scolastici, per una popolazione scolastica di 96 mila studenti;
   solo nel 28 per cento dei casi è stata eseguita la verifica di vulnerabilità sismica, e solo 14 edifici sono stati realizzati secondo criteri antisismici;
   solo il 44 per cento degli edifici possiede il certificato prevenzione incendi;
   meno della metà degli edifici sono in possesso di scale di sicurezza, e poco più della metà quelli che hanno i requisiti richiesti dalla normativa in materia di accessibilità;
   solo 160 edifici scolastici sono dotati di giardini e area verde fruibile, e addirittura solo 34 sono dotati di biblioteche per ragazzi;
   solo tre edifici utilizzano fonti rinnovabili, mentre il 100 per cento degli edifici scolastici ha una rete wifi. Salerno si assesta a metà classifica al 50esimo posto;
   secondo il direttore di Legambiente Campania la messa in sicurezza e la riqualificazione energetica degli edifici scolastici devono essere uno degli obiettivi prioritari di questa regione e un'occasione dalla quale partire per creare un altro sviluppo, per contribuire alla rigenerazione urbana, ma soprattutto per far uscire l'edilizia scolastica italiana dall'attuale stato di emergenza in cui si trova;
   intervenire sugli edifici scolastici e sulla loro manutenzione sarebbe estremamente importante;
   i fatti narrati sono riportati, tra l'altro, nell'articolo pubblicato dall'edizione locale di Repubblica il 13 novembre 2014 dal titolo «Scuola, Legambiente accusa: il 91 per cento degli istituti è in area a rischio sismico» –:
   quali misure intenda il Governo assumere per migliorare tali condizioni;
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative normative perché i prossimi finanziamenti erogati alle amministrazioni locali possano essere indirizzati a progetti che uniscano messa in sicurezza ed abbattimento dei consumi energetici. (4-06921)


   CIRACÌ e MARTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dalle linee guida prospettate dal testo «la buona scuola» si evince la probabilità per cui entro un anno verrà bandito un concorso per il reclutamento del nuovo personale docente, a cui potranno partecipare a pieno titolo tutti coloro che siano in possesso dell'abilitazione nella propria classe di concorso, che abbiano conseguito il TFA del primo e secondo ciclo a seguito di concorsi come previsto dal decreto ministeriale 10 settembre 2010, n. 249, e che saranno, invece, esclusi tutti i docenti di strumento musicale immatricolati nell'anno accademico 2013/2014 al biennio di II livello ad indirizzo didattico A077 propedeutico per l'anno di TFA, come previsto dal suddetto decreto ministeriale;
   i docenti esclusi non risulteranno abilitati entro il 2015 a causa della durata triennale del loro percorso formativo, nettamente differente dall’iter annuale riservato invece alle altre classi di concorso. Per questa ragione gli abilitati in strumento musicale nel 2016, previa frequenza del TFA post biennio di II livello ad indirizzo didattico A077, potranno partecipare solo nel 2020 al concorso che sarà probabilmente bandito, con un ritardo che graverà sulla credibilità delle politiche del Ministero;
   l'ammissione al suddetto biennio «quasi abilitante» (come il Governo stesso lo definisce nelle linee di riforma della Scuola) è avvenuta per mezzo di una durissima prova selettiva (appositamente indicata nelle linee generali dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con decreto ministeriale n. 194 dell'11 novembre 2011) con la quale si dava accesso ad un numero ristrettissimo di posti, ripartiti in un altrettanto ristretto numero di conservatori, in ottemperanza alle indicazioni annuali del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca fornite mediante decreto ministeriale sulla base della «programmazione regionale degli organici e del conseguente fabbisogno di personale docente nelle scuole» (decreto ministeriale del 10 settembre 2010, n. 249, articolo 5, comma 2);
   ad oggi i laureati e i laureandi del biennio formazione docenti (rispettivamente gli immatricolati negli anni accademici 2012/13 e 2013/14) rappresentano in Italia gli unici futuri docenti che stanno svolgendo, o hanno svolto, un percorso abilitante in linea con il programma del Governo in materia –:
   perché, data la natura ministeriale, non si sia ancora proceduto al riconoscimento del valore concorsuale all'esame di ammissione ai bienni di II livello ad indirizzo didattico A077 e perché venga disattesa la corrispondenza tra i posti banditi dai conservatori per l'ammissione e il reale fabbisogno di docenti a livello regionale (decreto ministeriale del 10 settembre 2010, n. 249, articolo 5, comma 2);
   se intenda intervenire affinché vengano valorizzati gli anni di studio e l'impegno profuso, parallelamente alla rinuncia di qualsiasi altra prospettiva universitaria e/o professionale (causa incompatibilità con qualsiasi altro corso universitario, decreto ministeriale 10 settembre 2010, n. 249, articolo 3, comma 6) permettendo ai laureati e laureandi del biennio di formazione di entrare di diritto nell'organico docente e di accedere al piano di assunzione straordinario previsto dal Governo;
   quali provvedimenti intenda adottare per sanare tale situazione. (4-06930)


   COSTANTINO, RICCIATTI, PANNARALE e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   circa una settimana fa, come riportato dal Giornale dell'Umbria, uno studente delle scuole superiori di Perugia, di cui non è ancora noto il nome, è stato picchiato e offeso da un suo docente perché si sarebbe difeso dall'insulto pronunciato proprio dal docente: «Essere gay è una brutta malattia», come hanno testimoniato i compagni di classe del ragazzo vittima dell'aggressione;
   durante la lezione, il professore si sarebbe avvicinato al ragazzo dicendogli «Essere gay è una brutta malattia». Il ragazzo avrebbe chiesto: «sta parlando con me ?», i testimoni riportano la risposta del professore: «certo che dico a te, è brutto essere gay. Tu ne sai qualcosa», e quando il ragazzo si è difeso rispondendo «Sicuramente, da quando conosco lei», il professore ha reagito colpendo il ragazzo con due calci alle gambe allo studente, sferrando due pugni alla spalla e prendendolo per il collo, stringendolo con forza. Interviene a quel punto il compagno di banco «Professore lo lasci, non vede che lo sta strozzando ?». Lasciando la presa il professore avrebbe risposto «Non ti permettere mai più di prendermi in giro»;
   lo studente in un primo momento vuole tenere per sé l'accaduto, ma quando la voce si sparge per l'istituto e viene visto palesemente zoppicare, la coordinatrice di classe decide di chiarire immediatamente l'episodio;
   lo studente riporta ai suoi familiari l'avvenimento, viene portato in nosocomio, in quanto minorenne, dove gli viene riscontrato un grosso ematoma alla coscia, e dopo la segnalazione obbligatoria dell'ospedale i genitori si sono recati alla polizia per denunciare l'accaduto;
   sempre dal Giornale dell'Umbria si evince che i genitori del ragazzo sono preoccupati soprattutto per il fatto che il figlio ha problemi di salute e di apprendimento, situazione già precedentemente segnalata alla scuola e all'ufficio scolastico e nota a tutti i docenti, perciò l'episodio di violenza potrebbe averlo segnato maggiormente. Fra l'altro il ragazzo soffre di una patologia ossea che in caso di colpi produce effetti da tenere sotto controllo;
   il ragazzo è stato in via cautelativa spostato in un'altra sezione affinché non incontri il professore, ma non risultano misure a carico del suddetto docente;
   i genitori si sono affidati ad un legale e hanno depositato una querela –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'accaduto e come ritenga agire, qualora la versione dello studente e dei testimoni fosse confermata, nei confronti di un docente che non sarebbe evidentemente in grado di svolgere il delicato ruolo di educatore e insegnante, tra le cui prerogative ci dovrebbe essere la promozione di una cultura di rispetto e uguaglianza, in un periodo in cui l'omofobia fa vittime soprattutto tra i più giovani e le più giovani e la scuola riveste una funzione fondamentale nel percorso di crescita e di accettazione delle differenze, nonostante il ritardo del sistema scolastico italiano che non si è ancora dotato di percorsi di educazione sentimentale e alle differenze nei propri programmi scolastici in maniera strutturata. (4-06931)


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende dalla stampa, in particolare dal Corriere della Sera del 18 novembre 2014, l'11 novembre 2014, nell'Istituto alberghiero di Assisi (Perugia) durante la lezione di «accoglienza turistica» svolta nella classe prima, uno studente di 14 anni sarebbe stato insultato e poi picchiato dal professore presente, riportando, come da referto medico rilasciato dal locale ospedale, lividi da ematoma guaribili non prima di cinque giorni;
   l'episodio è stato denunciato dallo stesso studente interessato con la testimonianza di ben tre suoi compagni di classe che hanno potuto confermare che, nel mentre era in corso la lezione il professore titolare dell'ora di insegnamento lo ha prima insultato con frasi omofobe e successivamente picchiato;
   è opportuno attendere gli accertamenti in corso, quelli amministrativi avviati dalla dirigente scolastica dell'istituto interessato di concerto con il competente ufficio scolastico provinciale e quelli che sta espletando la polizia di Stato dietro apposita denuncia presentata dal legale della famiglia dello studente;
   è altrettanto doveroso richiamare l'attenzione sulla recrudescenza del fenomeno dell'omofobia in ambito scolastico; alla lotta unitaria delle istituzioni e della società civile a questo fenomeno certamente non giova ad avviso dell'interrogante la campagna promossa da ambienti conservatori sostenuta dalle gerarchie ecclesiastiche cattoliche nonché da ambienti culturali e politici che sono parte integrante di questa maggioranza di Governo, attraverso la quale si intende perpetuare una ossessiva persecuzione delle scuole pubbliche che annoverano nella loro offerta culturale ed educativa l'insegnamento dei diritti civili e della opportunità di genere –:
   quali iniziative il Ministro intenda intraprendere per fare celermente chiarezza sul grave episodio succitato;
   quali iniziative consequenziali, anche di prevenzione, intenda assumere sia nella fattispecie che rispetto al diffondersi dei fenomeni di intolleranza omofoba in ambito scolastico;
   quali iniziative intenda promuovere perché la scuola del nostro Paese sia affrancata da condizionamenti di ogni sorta nell'espletare il legittimo insegnamento dei diritti civili e delle opportunità di genere, sostenendo i liberi e innovativi percorsi formativi di educazione alla salute e di riconoscimento dei conflitti emotivi, sociali e comportamentali degli individui, come richiamato anche da specifici atti fondamentali dell'O.N.U. e dell'Unione europea. (4-06932)


   ZAN, LACQUANITI e LAVAGNO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la curia di Milano ha inviato a 6.102 insegnanti di religione del milanese una circolare, a firma di don Gian Battista Rota, per ottenere la segnalazione dei colleghi e dei progetti che nella scuola trattano con gli alunni temi legati all'omosessualità e all'identità di genere;
   nella circolare si legge inoltre che «in tempi recenti gli alunni di alcune scuole italiane sono stati destinatari di una vasta campagna tesa a delegittimare la differenza sessuale affermando un'idea di libertà che abilita a scegliere indifferentemente il proprio genere e il proprio orientamento sessuale. (...) Per questo chiederemmo a tutti i docenti nelle cui scuole si è discusso di progetti di questo argomento di riportarne il nome nella seguente tabella, se possibile entro la fine della settimana», come si legge nei vari articoli di stampa, come quello pubblicato su La Repubblica, edizione di Milano, del 13 novembre 2014;
   una successiva precisazione della Curia ambrosiana, a firma di don Gian Battista Rota, afferma: «La comunicazione mandata sabato 8 novembre agli insegnanti di religione della Diocesi di Milano da un collaboratore del Servizio Insegnamento Religione Cattolica è formulata in modo inappropriato e di questo chiediamo scusa. L'intento originario era esclusivamente quello di conoscere dagli insegnanti di religione il loro bisogno di adeguata formazione per presentare, dentro la società plurale, la visione cristiana della sessualità in modo corretto e rispettoso di tutti» –:
   se il Direttore generale scolastico della Lombardia fosse a conoscenza di tale indagine e quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare posto che l'iniziativa adottata dalla curia di Milano, si configura secondo gli interroganti, come richiesta indebita che lede l'autonomia scolastica, mette a rischio il principio supremo di laicità dello Stato e mira a mettere in soggezione la libertà dei singoli docenti;
   quali iniziative il Ministro intenda attuare per porre fine all'ondata di omofobia e autoritarismo confessionale che si sta imponendo sempre di più nel mondo dell'istruzione scolastica del nostro Paese e per garantire il prosieguo in ambiente scolastico della strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere. (4-06933)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GHIZZONI, GNECCHI, DI SALVO, INCERTI, GRIBAUDO, IACONO, BARUFFI, D'OTTAVIO, MARIANI, ROCCHI, MALPEZZI, GIACOBBE, CAROCCI, BOSSA, MANZI, PES, SGAMBATO, CINZIA MARIA FONTANA, CASATI, MAESTRI, PICCIONE, COCCIA, CASELLATO, TERROSI, MORETTO, RAMPI, NARDUOLO, MALISANI e ALBANELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la riforma pensionistica nota come riforma Fornero, introdotta dal decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, non ha tenuto conto della specificità del comparto scuola nel quale, l'accesso al pensionamento è concesso un solo giorno all'anno, il 1° settembre, in considerazione della continuità didattica che deve essere garantita agli studenti;
   più specificatamente, l'articolo 1, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 351 del 1998, vincola la cessazione del servizio nel comparto scuola «all'inizio dell'anno scolastico o accademico successivo alla data in cui la domanda è stata presentata»; al contempo, l'articolo 59 della legge n. 449 del 1997, tuttora vigente, dispone che per «il personale del comparto scuola resta fermo, ai fini dell'accesso al trattamento pensionistico, che la cessazione del servizio ha effetto dall'inizio dell'anno scolastico e accademico con decorrenza dalla stessa data del relativo trattamento economico nel caso di prevista maturazione del requisito entro il 31 dicembre dell'anno». Inoltre, a normativa Fornero vigente, anche nella circolare n. 2 dell'8 marzo 2012 del dipartimento Funzione Pubblica al punto 6) si fa riferimento alla particolarità del comparto scuola, affermando espressamente che rimane ferma la vigenza degli specifici termini di cessazione dal servizio stabiliti in relazione all'inizio dell'anno scolastico per le esigenze di servizio;
   l'assenza di una disposizione riferita alla specificità della scuola nella riforma Fornero, che non era mai mancata nella normativa pensionistica precedente, ha prodotto effetti negativi su circa 4.000 lavoratori del comparto scuola, tra docenti e personale ATA – noti come «Quota96Scuola» – che avrebbero maturato i requisiti per il pensionamento nel corso dell'anno scolastico 2011/2012 e che avrebbero quindi avuto diritto alla quiescenza a far data dal 1o settembre 2012, ma che invece sono rimasti e restano in servizio;
   dal gennaio 2012 sul pensionamento di questo personale sono intervenuti diversi gruppi parlamentari con atti di sindacato ispettivo, proposte di legge ed emendamenti a testi in esame delle Camere che però non hanno conseguito esito positivo, poiché i diversi governi, succedutisi nel frattempo, non hanno convenuto sulle coperture finanziarie individuate dai parlamentari per dare soluzione alla questione;
   con la sentenza numero 31595 del 3 novembre 2014, il giudice del lavoro del tribunale di Salerno, dottoressa Ippolita Laudati, ha accolto il ricorso di 42 docenti salernitani appartenenti alla suddetta platea dei «Quota96Scuola», accertando e dichiarando «il diritto dei ricorrenti tutti ad esser collocati in quiescenza alla data del 1o settembre 2012». Nella sentenza, il giudice fonda il proprio pronunciamento proprio sulla richiamata specificità della scuola «laddove il decreto del Presidente della Repubblica n. 358 del 1998 stabilisce una sfasatura tra data di maturazione del diritto e data di collocamento a riposo che coincide con la fine dell'anno scolastico, ossia il 31 agosto 2012 nel caso di specie». Al contempo egli ravvede una incongruenza insita nella citata circolare n. 2 dell'8 marzo 2012 del dipartimento della funzione pubblica che «non sembra invece preoccuparsi dei problemi relativi ad eventuali sfasature temporali tra il momento in cui si verificano i fatti costitutivi del diritto (età-anzianità contributiva) e il termine dal quale si può far valere tale diritto (cessando di fatto la prestazione lavorativa). La circolare della quale si sta discorrendo distingue la data di maturazione del diritto dai termini di cessazione dei servizio, ossia distingue i fatti costitutivi del diritto a pensione dal momento afferente la decorrenza. Dunque, se la legge nuova non si occupa della decorrenza, avendo presente come discrimen il momento di maturazione dei requisiti di età/anzianità, il termine di decorrenza è regolato dalla vecchia normativa... Poiché per evitare un disservizio e garantire la continuità didattica al docente viene “imposto” di continuare a lavorare fino al 31 agosto 2012, appare irragionevole che proprio in forza di questa esigenza egli subisca gli effetti (negativi o positivi poco importa) di leggi successive che modificato il suo diritto già acquisito e non ancora esercitato»;
   ad analoghe considerazioni era giunto nel 2012 il giudice dottoressa Baroncini del tribunale di Roma, collocando in quiescenza due docenti in deroga alla vigente riforma Fornero, senza che il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca proponesse specifico ricorso in appello;
   altri giudici del lavoro si sono espressi differentemente da quelli di Roma e Salerno: in taluni casi hanno respinto la richiesta dei ricorrenti; in altri si sono dichiarati incompetenti per materia e hanno rinviato alla Corte dei Conti; in altri, ancora, hanno rinviato alla Corte costituzionale per eventuali profili di incostituzionalità. La detta Corte si è espressa sull'inammissibilità del ricorso per la sua formulazione: conseguentemente, due ricorsi sono stati ripresentati (da parte dei tribunali di Siena e Ragusa) e sono in attesa di sentenza della Corte stessa. Si ricorda, inoltre, che inizialmente era stato presentato ricorso anche al Tar del Lazio e che anch'esso aveva dichiarato la sua incompetenza, dando così inizio alla serie di rinvii alle varie giurisdizioni – a cui si è fatto accenno – che di fatto, dopo tre anni, privano dei cittadini anche del diritto della certezza di una sentenza, positiva o negativa che sia;
   le sentenze di Roma e Salerno sanciscono liceità, correttezza, validità e fondatezza della aspettativa del personale della scuola denominato «Quota96Scuola» che, in presenza di requisiti economici, professionali, giuridici ed anagrafici identici e speculari a quelli dei colleghi mandati in pensione dal giudice del lavoro ritengono di dover ottenere una estensione degli effetti delle sentenze richiamate;
   l'incertezza nell'individuazione del giudice naturale così come l'eccessiva alternanza di sentenze opposte tra loro e la collocazione in pensione da tre anni di due docenti in esecuzione di sentenza, nonché la mancata approvazione di una soluzione politica – attesa da tre anni ma mai conseguita nonostante le iniziative parlamentari e i pronunciamenti dei diversi governi in favore di una risoluzione alla questione – esprimono una situazione di grave pregiudizio al diritto dei cittadini di avere un «giusto processo», testimoniando una disparità di trattamento tra lavoratori con identici titoli e medesimi diritti al pensionamento, ed accentuano il senso di distacco dalle Istituzioni, le quali creano aspettative senza poi assumere adeguate decisioni in merito;
   riconoscere e garantire la specificità della scuola in relazione ai requisiti per il pensionamento come descritto in premessa, consentirebbe di incrementare le immissioni in ruolo di personale giovane, riducendo il precariato e contrastando un'anomalia propria dell'Italia, che risulta essere il Paese dell'Unione europea con la percentuale più alta di insegnanti ultra cinquantenni e quella più bassa di insegnanti al di sotto dei 30 anni;
   la «finestra fissa» per il pensionamento dei lavoratori della scuola è stata dettata dalla salvaguardia della qualità e continuità del servizio scolastico e per questo non un privilegio di pochi ma un'esigenza legata ad un bene comune: l'istruzione dei nostri alunni;
   uno Stato che si dica affidabile e credibile agli occhi dei cittadini non può non provvedere alla correzione di errori che pesano sulla vita delle persone  –:
   quali iniziative o atti il Governo intenda assumere – concretamente e con la sollecitudine dovuta dopo tre anni di attesa – in ordine ai lavoratori della scuola della cosiddetta «quota 96», per risolvere le problematiche interpretative e applicative della riforma Fornero e per sanare la diseguaglianza di trattamento generata dalle sentenze di Roma, che hanno concesso il pensionamento già a due docenti – mentre quella di Salerno, se passasse in giudicato, lo concederebbe ad altri 42 ricorrenti al fine di non creare ulteriore pregiudizio al principio di uguaglianza nel diritto nonché alla dignità umana e professionale dei lavoratori coinvolti.
(5-04059)


   BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con interrogazione a risposta in commissione n. 5-01773 pubblicata in data 20 dicembre 2013, l'interrogante esponeva le criticità che emergevano dalla relazione annuale della Corte dei conti «Determinazione e relazione della Sezione del Controllo sugli enti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) per l'esercizio 2012» con particolare riguardo alle aree professionali e al coordinamento legale;
   dalla suddetta relazione emergeva che: «L'auspicabile superamento della fase emergenziale renderebbe, infatti, ineludibile una approfondita analisi dei costi e benefici e una definitiva scelta sul ripristino di una adeguata dotazione dell'avvocatura interna (...)» e altresì: «(...) si impone pertanto una accurata verifica sui costi e benefici dell'attuale assetto, comparando gli oneri delle prestazioni esternalizzate rispetto a quelle interne (...)»;
   da un articolo di ItaliaOggi pubblicato in data 10 novembre 2014, si apprende che «INPS cerca avvocati domicilia tari» e si legge che: «Inps a caccia di avvocati. Da lunedì 10 novembre parte infatti la nuova procedura per acquisire la disponibilità di avvocati esterni, come procuratori domiciliatari e/o sostituti di udienza.»;
   a parere dell'interrogante ci sarebbero notevoli criticità su questa procedura indetta da Inps, soprattutto alla luce della relazione della Corte dei conti che rilevava la necessità di una attenta analisi dei costi e benefici e auspicava una scelta definitiva sul ripristino di una adeguata dotazione dell'avvocatura interna;
   alla luce dell'articolo suddetto nel quale si apprende che INPS sarebbe a «caccia di avvocati», si deduce che tale «valutazione sui costi e benefici e definitiva scelta» sia stata fatta dall'Istituto stesso –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti;
   se il Ministro interrogato possa verificare che tale decisione sia stata presa da INPS a seguito di una attenta valutazione dei costi e benefici – come richiamato dalla stessa Corte dei conti – e se la scelta di cercare nuove figure di avvocati domiciliatari sia dovuta o meno a tale analisi;
   se il Ministro interrogato intenda porre in essere ogni iniziativa di sua competenza al fine di esaminare le suddette criticità al fine di evitare ogni possibile sperpero di denaro pubblico avendo come obiettivo quello della riorganizzazione di tutte le aree professionali – con specifico riguardo al coordinamento legale – all'interno dell'Istituto;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'organizzazione che intende porre in essere il nuovo commissario straordinario Tiziano Treu insieme al direttore generale Mauro Noni in merito alle suddette tematiche con particolare riguardo alle criticità su esposte dalla stessa Corte dei conti. (5-04068)


   BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 novembre 2014 è stato nominato vicepresidente di Equitalia l'attuale direttore generale di INPS Mauro Nori;
   come si evince da un articolo del 15 novembre 2014 di italiaoggi.it, «Nori dopo aver fatto la guerra all'ex presidente Antonio Mastrapasqua sembra aver imparato il gusto per la collezione di incarichi.» e altresì: «(...) un palpabile conflitto di interesse tra azionista (INPS) e società partecipata (Equitalia). (...) Chi ha indicato Nori per INPS ? Nori stesso, che in quanto direttore generale di INPS istruisce ogni pratica che riguarda l'Istituto. E anche se avesse delegato il suo vicario a firmare l'atto di designazione avrebbe usato una logora foglia di fico !» e ancora: «Ogni atto di Equitalia deliberato dal cda in cui siede Nori come vicepresidente dovrà essere coerente con le indicazioni dell'azionista INPS dove Nori è il direttore generale, cioè colui che redige ogni proposta di deliberazione ! Forse il magistrato della Corte dei conti, Gemma Tramonte, delegato al controllo dell'Inps dovrebbe chiedersi se non ci sia proprio un evidente conflitto di interessi. E la stessa presidente del collegio dei sindaci, Daniela Carlà avrebbe titolo per eccepire sulla legittimità della nomina»;
   a parere dell'interrogante emergono numerose criticità per i fatti su esposti che meritano sicuramente maggiore attenzioni da parte del Ministro interrogato, considerato che «A fine anno scade proprio il mandato (rinnovabile) del direttore generale. Nori si è preparato così un doppio paracadute.» – come riportato dall'articolo suddetto;
   come ricordato dall'articolo suddetto e come denunciato più volte dallo stesso interrogante durante lo scandalo che ha portato alle dimissioni l'ex presidente INPS Antonio Mastrapasqua, vi erano state già in passato criticità per nomine di soggetti che rivestivano incarichi di rilievo contemporaneamente in INPS e Equitalia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti;
   se il Ministro interrogato abbia valutato con attenzione le attuali condizioni della nomina del direttore generale di INPS, Mauro Nori, a vicepresidente di Equitalia anche alla luce della quota di partecipazione posseduta dallo stesso INPS nei confronti di Equitalia (49 per cento);
   se il Ministro interrogato non rilevi profili di criticità nella nomina di Mauro Nori e nel caso quali azioni intenda porre in essere al fine di evitare possibili situazioni di conflitto di interesse, anche alla luce delle passate vicende che hanno coinvolto Antonio Mastrapasqua mentre rivestiva contemporaneamente il ruolo di presidente INPS e vicepresidente di Equitalia. (5-04071)


   MUCCI. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto trattato nella puntata di Report andata in onda il 16 novembre 2014 Raitre vi sarebbe la presenza di scorie tossiche nel terreno sottostante la sede di Bologna, in viale Berti Pichat, della società Hera;
   a quanto è dato di sapere la vicenda è al centro di un'inchiesta della procura, nata in seguito a due denunce risalenti a prima dell'estate. La prima, a quanto si apprende, accusa la multiutility e arriva dal titolare della società Cogefer, Corrado Sallustro, in trattativa da lungo tempo e poi in contenzioso con Hera sull'acquisto di un lotto di terreno nell'area, per edificarlo. La seconda riguarda Tomaso Tommasi, presidente di Hera al quale sarebbero contestati reati ambientali;
   una nota del gruppo Hera dichiara che «l'inquinamento del sottosuolo di viale Berti Pichat risale principalmente alla lavorazione del carbon coke che vi è stata svolta dalla fine del 1800 agli anni ’60. Hera, subentrata successivamente nella proprietà dell'area di Viale Berti Pichat, pur non essendo il soggetto responsabile dell'inquinamento, si è fatta carico di risanare a suo completo onere le porzioni di sito inquinate, identificandone tipologia ed estensione, e individuando gli interventi più appropriati per il suo completo risanamento ambientale»;
   il sindaco di Bologna Virginio Merola sulla questione è intervenuto affermando che «esiste un programma di bonifica, il cui accordo è stato siglato nel 2008 che prevede il completamento di tutta l'opera di bonifica nel 2018» e che «da 10 anni sono in corso attività di monitoraggio di acqua e aria da soggetti terzi in collaborazione con Ausl, Arpa e relazioni semestrali di Asl e Arpa che ci dicono che non ci sono pericolosità», spiegando che viene «costantemente escluso qualsiasi profilo di rischio» –:
   di quanti elementi dispongano in relazione a quanto esposto in premessa e se l'area della sede di Bologna della società Hera in viale Berti Pichat sia pienamente a norma e costantemente monitorata, di concerto con le autorità competenti, per tutto quello che riguarda il profilo della salute e sicurezza delle persone che lavorano nell'area. (5-04081)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dal 2011 è iniziata l'occupazione abusiva dei negozi sfitti di proprietà dell'INPS in via Flavio Stilicone, all'interno dei quali sono stati effettuati lavori di ristrutturazione edilizia senza relativa autorizzazione;
   gli inquilini abusivi possiedono regolare certificato di residenza rilasciato dall'ex X municipio, in base all'articolo 5 del decreto-legge del 9 febbraio 2012 e della circolare n. 11666 del 27 gennaio 2012 del dipartimento XIII; da questi ultimi documenti risulta che l'iscrizione anagrafica è condizionata unicamente alla verifica della presenza abituale del cittadino nel luogo dichiarato, purché il locale sia fornito di luce elettrica, acqua corrente, suppellettili e sufficiente areazione; così come ribadito dal  dirigente della U.O.A. dottor Michele Luciano nella missiva indirizzata all'ufficio dell'assemblea capitolina commissione assembleare speciale per la sicurezza urbana del 27 dicembre 2012 prot. n. 128508;
   l'energia elettrica è ottenuta per mezzo di manomissione delle cassette ACEA, dimostrabile attraverso le numerose denunce in merito e come riscontrato direttamente dall'ACEA quando, per effettuare i lavori di potenziamento della rete elettrica di zona, ha trovato decine di allacci abusivi;
   i locali occupati, non avendo l'allaccio diretto per l'erogazione del gas, utilizzano dei bomboloni in locali non censiti come abitazioni, con rischi di fughe di gas pericolose per i condomini e per gli stessi occupanti abusivi, tra cui si evidenzia la presenza di bambini;
   i condomini denunciano lo svolgimento di attività illecita all'interno di alcuni dei locali occupati; in particolare, spaccio di droga nei locali lato strada (così come dimostrato dall'arresto e dalla condanna per droga di due degli occupanti abusivi avvenuta i primi di giugno del 2013), prostituzione nei locali interrati e un business illegale legato alle occupazioni abusive dove vengono richiesti circa 6000 euro per ogni apertura delle serrande dei negozi da occupare e un canone mensile a coloro che abitano nei negozi e si trovano in condizioni di emergenza abitativa;
   tutte attività illecite confermate nel corso dell'audizione avuta in Campidoglio, in commissione politiche sociali;
   i residenti degli alloggi di proprietà dell'INPS, che dal 2005 hanno comprato gli appartamenti in seguito alle dismissioni, vedono ora minacciata la sicurezza e il decoro del quartiere e di fatto svalutati dal punto di vista economico gli immobili, il cui riscatto ha invece implicato numerosi sacrifici da parte degli acquirenti;
   ad oggi sono stati fatti tre esposti alla procura, due alla polizia municipale per abusi edilizi (5 aprile 2013 e 8 marzo 2013), denunce all'INPS, rilievi dello stato di fatto e della pericolosità urbana delle cucine allacciate nei seminterrati, impianti elettrici artigianali, oltre a numerosi interventi delle forze dell'ordine e dei vigili del fuoco;
   i residenti denunciano continue minacce verso chi tenta di segnalare e risolvere la situazione di irregolarità;
   il problema dell'emergenza abitativa, nel caso specifico, viene a scontrarsi con il problema della sicurezza dei cittadini e con quello dell'infiltrazione di attività criminali nel territorio;
   le stesse famiglie occupanti vivono in condizioni di precaria sicurezza, dovuta alla presenza di bomboloni del gas allacciati alle cucine nei seminterrati e alle cucine al piano terra senza canne fumarie e agli impianti elettrici non a norma;
   le famiglie che hanno occupato abusivamente i negozi INPS per problemi di emergenza abitativa si trovano a dover pagare l'affitto a chi di questo problema ha fatto speculazione e attività illecita; e si trovano, inoltre, a dover vivere costantemente a contatto con coloro che hanno fatto dei locali occupati luoghi per svolgere attività illegali (spaccio di droga, prostituzione, gioco d'azzardo);
   l'allora presidente della commissione consiliare speciale per la sicurezza urbana del Comune di Roma, Fabrizio Santori, ha chiesto con missiva del 20 novembre 2012 al comandante del X gruppo della polizia locale di Roma Capitale, al commissariato di pubblica sicurezza-sezione Tuscolano, alla stazione carabinieri di Cinecittà maggiori controlli nei locali di via Stilicone, a seguito di numerose segnalazioni pervenute alla commissione da parte dei cittadini intimoriti dalla situazione di illegalità presente nel territorio;
   lo stesso presidente ha chiesto all'INPS con missive del 17 dicembre 2012 l'elenco completo di tutte le attività sinora svolte al fine di ripristinare la legittimità relativamente all'occupazione degli immobili commerciali ubicati in via Flavio Stilicone n. 154-156-158;
   contestualmente ha richiesto un intervento volto ad accertare il corretto utilizzo dell'intero primo piano sottostrada del plesso condominiale situato al civico 148 della medesima via, atteso che tale struttura è stata oggetto di sopralluogo dello studio tecnico «Giancarlo Patassini», dal quale sono emerse numerose problematiche che metterebbero a rischio la sicurezza di tutti i cittadini residenti nel suddetto immobile;
   con lettera del 15 ottobre 2013 i condomini di via Flavio Stilicone, n. 148, hanno diffidato tutti gli enti in indirizzo, tra cui il VII municipio nella persona della presidente Fantino, ad adoperarsi per quanto di competenza al ripristino dello stato di sicurezza, del decoro e delle condizioni igienico-sanitarie del condominio di via Flavio Stilicone n. 148;
   tuttavia, la situazione si è andata ulteriormente aggravando con l'occupazione di altri negozi in viale San Giovanni Bosco nn. 12, 14 e 16;
   la tensione e il malcontento tra gli abitanti della zona hanno raggiunto limiti di pericolosità sociale;
   i locali abusivamente occupati sono di proprietà dell'INPS e per essi l'ente paga i ratei condominiali con i fondi della collettività, mentre dal loro regolare affitto potrebbe ricavare degli utili;
   l'INPS, con missiva del 12 marzo 2013, ha sollecitato la società di gestione SOVIGEST S.p.A. a provvedere con urgenza ad attivare tutte le azioni di tutela della proprietà per lo sgombero delle unità occupate, senza però ottenere alcun risultato;
   il patrimonio immobiliare di proprietà dell'Istituto previdenziale, non solo non risulta essere redditizio, ma determina invece rilevanti perdite economiche, dovute, ad esempio, a situazioni come quella qui rappresentata –:
   se siano a conoscenza della situazione descritta in premessa;
   se non ritengano del tutto lacunosi e insufficienti i controlli effettuati sul patrimonio immobiliare di proprietà dell'Inps;
   quali misure intendano adottare per ripristinare una situazione di legalità in relazione ai fatti descritti;
   se i commissariati di polizia interpellati dalla commissione consiliare speciale per la sicurezza urbana del comune di Roma nel 2012 abbiano provveduto a monitorare la situazione di illegalità dilagata nei locali interessati di via Stilicone e quali risultati abbiano eventualmente raggiunto;
   quali iniziative intendano adottare perché l'INPS renda effettivamente produttivo il patrimonio di cui dispone per evitare di sperperare soldi pubblici.
(4-06913)


   MINNUCCI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a causa dell'assorbimento dell'INPDAP e del suo relativo disavanzo, l'INPS si è visto ridurre il proprio patrimonio di circa 20 miliardi, situazione aggravata, peraltro, dall'ulteriore disavanzo economico d'esercizio dovuto all'instaurarsi di due gestioni;
   nello stesso momento, l'istituto previdenziale avrebbe attuato una serie di cambiamenti nelle direttive e nelle sue politiche interne al fine di ridurre in modo drastico i casi in cui concedere, o rinnovare negli anni a seguire, l'assegno ordinario di invalidità, previsto per gli invalidi così come identificati dalla legge;
   l'articolo 1 della legge n. 222 del 1984, infatti, al primo comma recita: «si considera invalido, ai fini del conseguimento del diritto ad assegno nell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti ed autonomi gestita dall'Istituto nazionale della previdenza sociale, l'assicurato la cui capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle sue attitudini, sia ridotta in modo permanente a causa di infermità o difetto fisico o mentale a meno di un terzo»;
   il comma 7, inoltre, chiarisce che «l'assegno è riconosciuto per un periodo di tre anni ed è confermabile per periodi della stessa durata, su domanda del titolare dell'assegno, qualora permangono le condizioni che diedero luogo alla liquidazione della prestazione stessa, tenuto conto anche dell'eventuale attività lavorativa svolta»;
   nonostante il dettato normativo, però, in molti casi sarebbero stati negati o revocati i predetti assegni, come è successo al cittadino G. A. il quale, a causa di una pancreatite acuta cronica diagnosticata nel lontano 1985 ha visto progressivamente peggiorare le sue condizioni fisiche, con l'insorgere di ulteriori patologie (obesità, diabete, insufficienza renale, osteoartrosi diffusa, sindrome depressiva con associata nevrosi ansiosa, solo per citarne alcune...), che gli hanno impedito definitivamente nel 2010 di continuare a poter svolgere qualsiasi attività lavorativa;
   in quell'anno, infatti, al predetto veniva concesso l'assegno ordinario di invalidità (num. identificativo 7091/002/18987419), essendo peraltro stato riconosciuto allo stesso un'invalidità civile del 75 per cento nel 2007, con anche la conseguente iscrizione del suo nominativo presso le liste di collocamento speciale per invalidi della provincia di Roma;
   nel 2013, però, dopo un iter per il rinnovo lungo e farraginoso, al sig. G. A. veniva revocato l'assegno, sulla base del mancato riconoscimento della pancreatite cronica da parte del medico INPS, nonostante fosse stata riscontrata nel 2010;
   la particolarità del caso, infatti, risiede nel fatto che tale patologia è considerata dalla scienza medica come una malattia non guaribile e a decorso ingravescente, e pertanto sarebbe dovuta essere diagnosticata sicuramente anche nel 2013;
   non solo, tutto ciò accadeva nonostante nello stesso periodo il signor G.A. fosse stato sottoposto a visita presso la Commissione invalidi civili, nella quale era presente anche un medico INPS come previsto per legge, che in data 30 aprile 2014 aveva aumentato la percentuale di invalidità, già riscontrata nella misura del 75 per cento, al 90 per cento (domanda n. 3930590407149);
   è evidente pertanto, nella predetta fattispecie, una conflittualità tra le due procedure, tanto che il predetto cittadino ha avviato una battaglia legale nei confronti dell'INPS in merito;
   nel frattempo, però, lo stesso si trova a far fronte ad uno stato di completa indigenza in cui si trova, attualmente superato solo grazie all'aiuto di amici, parenti, e di un'associazione di volontariato, nonché grazie alla grande sensibilità dimostrata dal suo padrone di casa, creditore di ben quindici mensilità –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione patrimoniale attuale dell'INPS, nonché se sia a conoscenza delle direttive e delle politiche interne al predetto Istituto relativamente ai parametri ed alle modalità legate al riconoscimento delle invalidità e all'assegnazione dei cosiddetti assegni ordinari di invalidità;
   quali siano le iniziative che intenda assumere in merito e, nello specifico, relativamente al mancato riconoscimento, qualora identificato come illegittimo, ad opera degli organi INPS preposti, dell'invalidità sia nella fattispecie concreta sopra descritta, sia in casi analoghi. (4-06919)


   PAGLIA. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a Bologna, in viale Berti Pichat, ha una delle sue sedi la società Hera spa, quotata alla Borsa di Milano e partecipata maggioritariamente da comuni emiliano romagnoli, fra cui quello di Bologna, che risulta essere il maggior detentore unico di azioni;
   tale sito ha ospitato per oltre un secolo un gasometro, dove si svolgevano attività di distillazione di carbon fossile, ed è stato inglobato nel capitale di Hera spa all'atto della costituzione, essendo precedentemente proprietà della municipalizzata bolognese inglobata;
   il sito è riconosciuto come inquinato da molti anni, tanto che già nel 2007 le spese di risanamento venivano quantificate da comune e società in 8 milioni di euro;
   il sito ospita quotidianamente oltre 700 lavoratori ed è ubicato in una zona centrale e densamente abitata della città;
   secondo una relazione della stessa Hera spa, divulgata dalla trasmissione Report, è già in possesso dei partecipanti alla conferenza dei servizi tenutasi a partire dal 2007, le condizioni di insalubrità dell'area sarebbero tali da sconsigliare la permanenza continuativa dei lavoratori in alcuni ambienti per più di due ore giornaliere;
   si tratterebbe infatti di un'alta concentrazione di cianuri e altre sostanze altamente tossiche e potenzialmente cancerogene, soprattutto in caso di esposizione continuata, la cui presenza è dimostrata nel 2008 da scavi che a 2 metri di profondità avrebbero verificato la presenza di almeno 1.500 tonnellate del materiale già evidenziato;
   risulta all'interrogante che ad oggi la società non parrebbe garantire condizioni di lavoro prive di ogni possibile rischio;
   non è noto se l'amministrazione di Bologna, abbia agito per pretendere avvio e completamento dei lavori di bonifica, in qualità di garante della salute pubblica o di azionista di riferimento della società;
   si sottolinea che il livello degli utili distribuiti negli ultimi anni da Hera spa, pari solo per il 2014 a euro 128 milioni, con rendimento del 5,5 per cento sarebbe assolutamente compatibili con investimenti del livello di quelli necessari;
   si fa presente che sulla vicenda è aperta un'inchiesta della procura, a seguito delle denunce della società Cogefer, che avrebbe rilevato parte del terreno contaminato, salvo poi recedere dal contratto dopo aver verificato la presenza di sostanze inquinanti;
   contro la stessa Cogefer, a seguito della denuncia, Hera spa ha presentato un esposto per diffamazione –:
   quali iniziative si intendano intraprendere, al fine di garantire il diritto alla salute pubblica e dei lavoratori e se non intenda assumere iniziative, anche per il tramite dell'ispettorato del lavoro. (4-06942)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


   LOSACCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Coldiretti Puglia ha denunciato inviando una lettera al Prefetto di Bari un fenomeno molto grave che sta interessando il comparto olivicolo pugliese;
   vengono segnalati da parte dei produttori raid criminali con i quali vengono raccolte 60 chili di olive in meno di mezz'ora di tempo con conseguente furto anche delle attrezzature;
   il combinato disposto del calo della produzione e dell'aumento dei prezzi ha destato l'interesse da parte vere organizzazioni criminali che agiscono in questo periodo nelle campagne pugliesi ed in particolare nel barese;
   il prezzo medio al litro ha raggiunto i 7 euro: il più alto degli ultimi 15 anni;
   addirittura si è giunti sempre più spesso a rivolgersi ad istituti di vigilanza privata per scortare cisterne di olio extravergine –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare per contrastare tale fenomeno, anche in sede di comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, e per evitare che interessi speculativi pervadano un comparto strategico dell'economia pugliese. (3-01176)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GAGNARLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   tra i dati registrati, quello riferito all'entità dello spreco alimentare mondiale è indubbiamente il più allarmante. Secondo i risultati dello Global food losses and food waste (perdita e spreco di cibo a livello mondiale), commissionato dalla Fao all'Istituto svedese per il cibo e la biotecnologia (SIK), nonostante la crisi, 1,3 miliardi di tonnellate di cibo viene sprecato ogni anno; lo spreco annuale dei Paesi ricchi, pari a circa 222 milioni di tonnellate, è pari all'intera produzione alimentare netta dell'area subsahariana e impone una riflessione non solo in considerazione dell'impatto economico ed ambientale, ma anche e soprattutto per la portata etica e sociale dei suoi effetti;
   a livello europeo, la quantità di cibo sprecato ogni anno ammonta a 89 milioni di tonnellate, 180 chilogrammi pro capite, il 42 per cento nell'uso domestico, il 39 per cento nella fase di produzione, il 14 per cento nella fase di ristorazione, il 5 per cento nella fase di vendita all'ingrosso ed al dettaglio. In Italia, nonostante gli effetti della crisi economica ed il calo dei consumi alimentari, la Coldiretti stima che annualmente si spreca cibo per circa 37 miliardi di euro, quindi circa il 31 per cento del prodotto interno lordo finirebbe nella spazzatura;
   in data 3 giugno 2014 la Camera dei deputati ha approvato la mozione n. 1-00482, in cui si impegna il Governo ad una serie di azioni volte a contenere l'enorme problematica dello spreco alimentare;
   nell'ambito di EXPO 2015 ci sarà senz'altro spazio per approfondire l'argomento ed informare circa le azioni di contrasto a questo annoso problema planetario. Intanto, dal 22 al 30 novembre 2014, ricorre la sesta edizione della settimana europea per la riduzione dei rifiuti (SERR 2014), il cui tema principale di questa edizione sarà appunto la lotta allo spreco alimentare;
   anche la grande distribuzione alimentare deve fare la sua parte nel provare a ridurre al minimo le perdite di prodotti alimentari, ad esempio evitando che frutta e verdura sana venga scartata per ragioni unicamente estetiche;
   in un articolo de «Il fatto alimentare» del 1o luglio 2014 si legge che: «Per combattere il caro vita e lo spreco alimentare, che ha una delle sue cause nella diffusa convinzione di supermercati e consumatori che la perfetta forma di frutta e verdura corrisponda a una migliore qualità, la catena francese Intermarché ha deciso di mettere in vendita, a prezzi scontati del 30 per cento, anche quelli dalle forme più strane o di dimensioni inadeguate o eccessive, che rappresentano il 40 per cento della produzione in Francia e che solitamente, al momento della raccolta, finiscono tra i rifiuti»;
   nei primi due giorni dell'iniziativa della catena francese è stata venduta una quantità di frutta e verdura pari a 1,2 tonnellate per ogni negozio Intermarché, grazie anche a una campagna di comunicazione, denominata "Les Fruits & Légumes Moches" –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno avviare un monitoraggio sul territorio nazionale, al fine di identificare eventuali iniziative contro lo spreco alimentare messe in atto dalla grande distribuzione organizzata sul territorio italiano, simili alla campagna «Les Fruits & Légumes Moches», al fine di incentivarne la diffusione, anche attraverso apposite campagne pubblicitarie di sensibilizzazione dei consumatori. (4-06916)


   MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI e SIBILIA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto appreso da molte fonti di stampa, nell'organismo pagatore AGEA così come nella società controllata SIN spa, si sono verificati casi definiti di «parentopoli»;
   a quanto consta agli interroganti all'interno della società SIN spa, il rapporto fra dirigenti e dipendenti sarebbe di circa uno su nove;
   molti dei dirigenti di AGEA gestiscono da diversi anni i medesimi settori, soprattutto quelli più soggetti a maggior rischi di frodi come lo sviluppo rurale, ufficio monocratico e organismo pagatore;
   secondo quanto appreso da molte fonti di stampa, vi sono frequenti frodi nel settore con un aumento notevole negli ultimi periodi;
   nonostante la costante riduzione di fondi per gestire l'AGEA, con delibera n. 1 del 2 settembre 2013 il commissario straordinario ha deliberato l'assunzione di tre dirigenti ripescati nell'ultimo concorso utile –:
   se sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
   quali azioni intenda avviare per evitare possibili ulteriori frodi;
   se intenda, nei limiti delle proprie competenze, avviare una verifica per accertare eventuali irregolarità riguardo alle assunzioni nelle società AGEA e SIN spa definite da molti organi di informazione come casi di «parentopoli». (4-06924)


   MASSIMILIANO BERNINI, PARENTELA e TOFALO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende da alcune fonti di stampa, alcuni Centri assistenza agricola (CAA) risultano fare capo ad alcune fra le più importanti organizzazioni sindacali del settore agricolo come la Coldiretti, la Cia e la Confagricoltura;
   le suddette organizzazioni sindacali risultano detenere quote della società Almaviva spa, capogruppo del raggruppamento temporaneo d'imprese e partner di Agea nella società SIN spa;
   la cooperativa «Agrifuturo soc coop agr.l» che risulta essersi aggiudicata una gara per «la gestione del SIAN – Servizio Informativo Agricolo Nazionale e per i controlli di campo per l'AGEA» risulta avere con la «CAA Canapa srl», società che si occupa di «Assistenza ai produttori nella presentazione delle domande di premio e delle dichiarazioni nei seguenti settori», diversi punti in comune come il collegio degli agrotecnici e agrotecnici laureati; risulta inoltre che alcuni soggetti che hanno ruoli dirigenziali nelle suddette società, ricoprono contestualmente incarichi direttivi nei relativi collegi;
   da quanto è riscontrabile dagli elementi pubblicati relativamente ai dirigenti della società SIN spa, si evince che questi provengono totalmente e direttamente dalle società che detengono le quote minoritarie del gruppo privato;
   come si può riscontrare dai documenti e informazioni di dominio pubblico la società Agriconsulting spa, facente parte del gruppo privato di SIN spa, contestualmente alla fornitura esclusiva dei servizi e prestazioni professionali nel settore dei finanziamenti in agricoltura, esegue consulenze milionarie nello stesso specifico settore per innumerevoli enti pubblici –:
   se intenda acclarare quanto esposto in premessa, in modo particolare se la partecipazione nell'ente deputato alla funzione di controllo di uno o più enti incaricati dell'istruzione delle pratiche relative all'erogazione di aiuti, contributi e premi finanziati dal FEAGA e FEASR (soggetti controllati), abbia ingenerato nel periodo 2008-2016, facilitazioni di quest'ultimi;
   quali misure intenda adottare affinché, allo scadere del contratto del socio privato SIN spa previsto per il 2016, non si verifichino simili conflitti d'interesse con le società aggiudicatarie della funzione di controllo. (4-06925)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GAGNARLI e GALLINELLA. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la febbre catarrale, meglio nota come «blue tongue» o «lingua blu», è una malattia infettiva che colpisce i ruminanti, in particolare gli ovini, compromettendone gravemente, e spesso in maniera irreparabile, la salute, a causa di gravi lesioni a carico della mucosa oronasale con la comparsa di febbre elevata;
   esistono ben 24 sierotipi diversi del virus trasmesso da alcuni insetti; attualmente in Italia sono presenti 6 sierotipi responsabili delle maggiori epidemie che hanno caratterizzato le Regioni italiane, specie quelle a maggiore vocazione zootecnica, negli ultimi 14 anni;
   dal 2000, data di comparsa della prima epidemia di blue tongue sostenuta dal sierotipo 2, si è assistito ad una progressiva diffusione di altri sierotipi virali. Il sierotipo di più frequente isolamento a partire dal 2012 è risultato il BTV1 che a partire dalla regione Sardegna ha progressivamente interessato tutte le regioni del centro sud Italia;
   dal 2012 al settembre 2014 i focolai attivi — secondo quanto riportato dai dati del Ministero della salute — sono passati da 18 a oltre 550, interessando inizialmente tre regioni e arrivando oggi a colpire: Abruzzo, Basilicata, Calabria (dove si registra il maggior numero di casi), Campania, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana e Umbria;
   nella prima metà di settembre 2014 è stato, infatti, invocato lo «stato di crisi» in Abruzzo e Molise. In Calabria si fotografa una situazione preoccupante con centinaia di focolai attivi;
   il centro studi malattie esotiche (cesme) dell'istituto zooprofilattico Abruzzo e Molise, sta effettuando ulteriori test diagnostici per identificare i sierotipi presenti, con patogenicità variabile, diversa distribuzione geografica e differenti specie di culicoides coinvolti nella diffusione della malattia. Negli ovini la malattia può evolvere in varie forme, pertanto si consiglia agli allevatori in presenza del minimo sospetto, di rivolgersi direttamente ai servizi veterinari territoriali;
   in Toscana, la sezione di Arezzo dell'istituto zooprofilattico sperimentale Lazio e Toscana, conferma che sono in atto gli approfondimenti diagnostici previsti dalla normativa in vigore. In particolare sono stati eseguiti gli esami anatomopatologici in animali deceduti, in grado di monitorare efficacemente la diffusione dell'infezione;
   è evidente che gli allevatori italiani di ovini stanno subendo dei danni gravissimi, con perdite di migliaia di capi (sia per morte naturale che per necessario abbattimento) e impossibilità di spostare gli animali in zone «sane» del Paese a causa della ovvie restrizioni alla movimentazione ribadite dal Ministero della salute;
   ad oggi il principale strumento in grado di contenere i danni provocati dalla malattia e limitare la circolazione virale all'interno del territorio nazionale e comunitario è il vaccino, nella nuova formulazione di ceppo virale inattivato, con caratteristiche di efficacia ed innocuità che lo distinguono dal precedente presidio immunizzante;
   tuttavia, nell'anno in corso la campagna vaccinale è stata gestita e coordinata su base regionale, con conseguente frammentazione delle strategie di impiego di questa risorsa, condizionata anche dalla limitata disponibilità in commercio del vaccino stesso. La mancanza di un'azione coordinata a livello centrale e omogeneamente distribuita all'interno dei territori coinvolti ha provocato, a parere degli interroganti, la diffusione del virus su ampia scala;
   ad oggi nel nostro Paese, secondo quanto si apprende dall'ultima revisione del dispositivo dirigenziale n. 5662 — P — del 14 marzo 2014 del Ministero della salute, l'unico vaccino disponibile è quello per il sierotipo virale BTV1, mentre non esistono scorte disponibili per gli altri sierotipi dai quali una grossa fetta della popolazione ovina italiana risulta affetta;
   a partire dal 2010, inoltre, il ricorso alla vaccinazione in Italia è divenuto facoltativo, come risolta dalla relazione al piano integrato annuale 2012, nel capitolo sulle malattie infettive animali, e questo ha comportato naturalmente la riduzione dei livelli di immunità dei capi sensibili;
   in data 25 settembre 2014, è stata depositata una interrogazione (5/03649) a prima firma Filippo Gallinella, alla quale purtroppo non si è ancora ricevuta risposta –:
   se non si ritenga opportuno, per quanto esposto in premessa, prevedere una gestione centrale da parte del Governo dell'emergenza blue tongue, verificare l'attuale disponibilità di scorte di vaccino per il sierotipo BTV1, far fronte alla mancanza di vaccini per gli altri ceppi del virus blue tongue oramai diffusi nel nostro Paese. (5-04058)


   COLONNESE, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, GRILLO, LUIGI GALLO, LUIGI DI MAIO, SIBILIA, TOFALO e MICILLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia ha il triste primato di essere il Paese europeo con maggiori parti cesarei: degli oltre 491.00 parti che avvengono ogni anno, più di 154.000 sono portati a termine con il taglio cesareo. Recenti stime dimostrano che questa pratica presenta un fattore di rischio di mortalità della madre da 2 a 4 volte superiore rispetto a quello naturale, ciononostante i parti effettuati mediante taglio cesareo risultano in costante aumento nel nostro Paese;
   nel 2011 nessuna regione italiana sembra rispettare i parametri dell'Organizzazione mondiale della sanità, che prevede il limite massimo della percentuale dei cesarei rispetto alla totalità dei parti non superiore al 20 per cento. Quando il numero di cesarei supera il 20 per cento significa che all'interno del sistema sanitario vi sono dei problemi o delle inefficienze;
   la regione con più alto tasso di parti cesarei è la Campania che nel 2011 registrava una percentuale di cesarei del 62,41, seguita da Sicilia con 50,6 per cento e Puglia 46,12. Si evidenzia che la Campania ha innalzato la sua percentuale di parti cesarei a partire dal 1992, coincidente all'anno vengono introdotti i ROD (Raggruppamenti omogenei di diagnosi) con i decreti-legge 502 del 1992 e 517 del 1993. Le province che effettuano maggiormente parti cesarei sono Napoli (65,16 su 100 parti totali) e Salerno (65,84 su 100 parti totali);
   nel 2013 in Campania il tasso di parti cesarei era di 61,45, in Sicilia di 44,84 per cento e in Puglia 44,59. Non si sono evidenziati rilevanti miglioramenti rispetto alla situazione presente in Italia nel 2011;
   in Lombardia nel 2005 mediante un'educazione al parto molto accurata, una buona assistenza ostetrica e reparto di patologia neonatale adiacente alla sala parto, si sono ottenuti buoni risultati portando la media dei cesarei nelle medie europee. Ciò è stato possibile anche modificando il Diagnosis related group, il tariffario che stabilisce i rimborsi alla struttura sanitaria da parte del sistema sanitario nazionale. La modifica ha concesso di «pagare» il cesareo quanto lo spontaneo (mentre normalmente in Italia il primo vale assai più del secondo);
   nel nostro Paese la percentuale di parti cesarei è più che triplicata da poco più dell'11,2 per cento nel 1980 a circa il 37,57 per cento nel 2011;
   si ipotizza il reato di truffa nei confronti dello Stato quando una struttura ospedaliera o convenzionata pratica un parto cesareo non necessario, guadagnando 2.457 euro invece dei 1.139 del parto naturale. Diversi studi hanno messo evidenziato possibili comportamenti opportunistici da parte delle aziende sanitarie che possono ottenere, a parità di risultato clinico, rimborsi più elevati mediante l'uso di protocolli alternativi. Pertanto sarebbe opportuno trovare il sistema di diminuire la frequenza dei parti effettuati con taglio cesareo e ridurre le forte differenze regionali attualmente esistenti;
   il Ministero della salute ha fissato le linee guida per l'umanizzazione del parto e per un maggiore impegno verso il parto fisiologico, «Taglio cesareo: una scelta appropriata e consapevole», nella speranza di contenere in tal modo l'eccessivo ricorso ai parti effettuati medianti taglio cesareo. Tuttavia queste raccomandazioni non bastano, è necessario, piuttosto, un riorientamento complessivo del sistema, un approccio integrato in cui le misure di programmazione sanitaria a livello nazionale e regionale sappiano coniugarsi con l'implementazione di iniziative di educazione e di protocolli clinico-organizzativi a livello locale –:
   cosa intenda fare il Governo, per quanto di competenza, al fine di affidare nuovamente alle ostetriche la conduzione del parto e contestualmente per introdurre, nei limiti di competenza, misure volte ad incoraggiare in tutte le regioni italiane l'equiparazione del costo del parto cesareo con quello spontaneo;
   come intenda realizzare, per quanto di competenza, l'approccio integrato fra misure di programmazione sanitaria a livello nazionale e regionale di cui in premessa, finalizzato a contenere l'eccessivo ricorso ai parti chirurgici. (5-04075)


   LOREFICE, SCAGLIUSI, GRILLO, SILVIA GIORDANO, BARONI, MANTERO, DI VITA, DALL'OSSO e CECCONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i virus, Ebola e Marburg sono virus correlati che causano febbri emorragiche, malattie caratterizzate da emorragie gravi, insufficienza d'organi e, in molti casi, la morte. Entrambi sono endemici in Africa, dove si sono verificati focolai sporadici per decenni. Vivono in ospiti di origine animale, e gli esseri umani possono contrarre il virus da animali infetti. Dopo la trasmissione iniziale, il virus può diffondersi da persona a persona attraverso il contatto con i fluidi corporei o aghi contaminati. Non esistono farmaci per la cura della infezione virale e curare le complicanze risulta molto difficile tanto che in Africa vi sono zone con mortalità post infettiva dell'80 per cento. Esiste solo una terapia di supporto e trattamento per le complicazioni, e gli scienziati si stanno avvicinando allo sviluppo di vaccini per queste malattie mortali. Comunque anche i vaccini non terapeutici saranno disponibili non prima di 12 mesi;
   il virus di Marburg è stato identificato nel 1967 quando 31 persone si sono ammalate in Germania e Jugoslavia. L'origine della malattia è stata fatta risalire dalle scimmie da laboratorio importate dall'Uganda; la più recente epidemia risale al 2012;
   l'Uganda ha una storia di febbri emorragiche, tra cui un focolaio di Ebola nel 2000 che ha ucciso 224 persone in poche settimane;
   il 10 ottobre 2014 l'Organizzazione mondiale della sanità con un comunicato ha dichiarato di aver ricevuto dal Ministero della sanità dell'Uganda la notifica di un caso confermato di malattia da virus Marburg (MVD) a Kampala;
   il caso riguardava un operatore sanitario che ha manifestato i sintomi della malattia 1'11 settembre, mentre lavorava al Mengo Hospital a Kampala, il quale accusava febbre, mal di testa, dolori addominali, vomito e diarrea;
   l'operatore sanitario moriva il 28 settembre 2014 e campione prelevatogli ed esaminato dall’Uganda Research Institute (UVR) è risultato positivo al virus Marburg;
   tre giorni dopo caso fatale di febbre emorragica di Marburg, 99 persone, 60 delle quali operatori sanitari, sono state messe in quarantena in quattro luoghi diversi dell'Africa orientale;
   l'OMS in data 10 ottobre ha identificato e monitora tuttora 146 persone con sintomi e segni compatibili con MVD;
   l'OMS raccomanda che la malattia da virus Marburg è grave e altamente mortale. È uno dei più importanti agenti patogeni noti e ha un periodo di incubazione di 21 giorni. Può causare grandi epidemie, proprio come l'epidemia da virus Ebola che è in corso in Africa occidentale;
   l'OMS, Medici senza frontiere (MSF) e i Centri statunitensi per il controllo delle malattie (CDC) stanno sostenendo le autorità ugandesi nelle indagini e nelle operazioni di reazione, nella creazione di un'attività di isolamento e trattamento, nel posizionamento di attrezzature di protezione individuale (DPI), e stanno mettendo a disposizione operatori sanitari formati per il controllo delle infezioni e per la prevenzione;
   il Governo del Kenya ha dato l'allarme di diffusione del virus Marburg sul proprio territorio dopo che sono stati segnalati due casi mortali al Ministero della salute. Allo stesso tempo il Governo ha invitato i kenioti a rimanere vigili ed evitare il contatto con chiunque provenga dall'Uganda. Ha altresì messo in allerta tutti i posti di frontiera tra Kenya e Uganda per ridurre il rischio di diffusione del medesimo virus;
   il Ministero della sanità ugandese attualmente ha spostato in quarantena 80 operatori sanitari e ha lanciato un appello istruendo i cittadini su come lavarsi le mani con sapone più volte al giorno;
   l'OMS sconsiglia qualsiasi viaggio in Uganda sulla base delle informazioni attuali disponibili su questa epidemia –:
   se ad oggi l'allarme lanciato dalle competenti autorità ugandesi e keniote sia ancora valido e, in caso di mantenimento dell'allerta, se sia stato predisposto per i passeggeri in arrivo via aerea dal Kenia, dall'Uganda, dalla Somalia e dal Sud Sudan un cordone sanitario con i controlli simili a quelli cui sono sottoposti i passeggeri provenienti dall'Africa occidentale attraverso ampia disposizione agli organi di polizia e di sanità presenti negli aeroporti e nei porti nazionali per attuare controlli accurati sui rispettivi vettori provenienti da tali Paesi;
   se sia stato trasmesso opportuno avviso della presenza del virus Marburg alle compagnie aeree, alle agenzie turistiche italiane, ai lavoratori italiani e ai viaggiatori italiani che sono già presenti o che si recheranno in tali territori sia per lavoro che per turismo. (5-04077)


   MURER. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 marzo 2014 la Commissione XII della Camera, avendo proceduto ai sensi dell'articolo 124 del regolamento, all'esame della Relazione sullo stato di attuazione delle norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria della gravidanza, contenente i dati preliminari dell'anno 2012 ed i dati definitivi dell'anno 2011, presentata ai sensi dell'articolo 16 della legge n. 194 del 1978 approvò, dopo un ampio dibattito la risoluzione conclusiva 8-00038;
   tra i vari impegni vi era quello a riferire alle Commissioni parlamentari competenti sulle iniziative adottate dal Ministero medesimo in attuazione degli impegni assunti l'11 giugno 2013 alla Camera e contenuti nelle mozioni approvate, ed a predisporre, nei limiti delle proprie competenze, tutte le iniziative necessarie affinché nell'organizzazione dei sistemi sanitari regionali si potesse attuare il quarto comma dell'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, nella parte in cui si prevede l'obbligo di controllare e garantire l'attuazione del diritto della donna alla scelta libera e consapevole anche attraverso una diversa mobilità del personale, garantendo la presenza di un'adeguata rete dei servizi sul territorio in ogni regione; nonché quello ad attivarsi affinché su tutto il territorio nazionale l'interruzione di gravidanza farmacologica fosse garantita omogeneamente, nell'appropriatezza clinica;
   nonostante siano passati otto mesi dall'approvazione della risoluzione e, i dati per il 2013 evidenziano un meno 4,2 per cento di aborti rispetto all'anno prima di cui 7.855 pari ad una media nazionale dell'8,5 per cento, sono aborti farmacologici con la RU 486, non è stato dato alcun riscontro dell'impegno assunto;
   a tutt'oggi si riscontra un tasso medio di obiezione di coscienza da parte dei medici pari a 69,9 per cento con punte oltre l'80 per cento nel sud Italia: 90,3 per cento Molise; 89,4 per cento Basilicata; 64,5 per cento Sicilia; 81 per cento Lazio e una stima da parte dell'Istituto superiore di sanità di aborti clandestini tra i 10 e i 15.000 nel 2013 –:
   a che punto siano i lavori del tavolo tecnico con le regioni per il monitoraggio sullo stato di attuazione delle norme per la tutela della maternità e per l'interruzione volontaria di gravidanza;
   quali iniziative il Ministro, nel rispetto delle competenze regionali in materia sanitaria, abbia attivato per:
    a) garantire il diritto della donna ad una scelta libera e consapevole in materia di interruzione di gravidanza;
    b) garantire che su tutto il territorio nazionale l'interruzione di gravidanza farmacologica sia omogenea nell'appropriatezza clinica;
    c) promuovere la diffusione su tutto il territorio nazionale del progetto coordinato dalla regione Toscana, in accordo con altre 10 regioni, riguardante la prevenzione delle interruzioni volontarie di gravidanza tra le donne straniere, promosso in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità e l'Università degli studi La Sapienza;
    d) valorizzare la visita post-interruzione volontaria di gravidanza, da effettuarsi preferibilmente presso il consultorio nella sua funzione di counselling per la procreazione responsabile ed a prevenzione degli aborti ripetuti;
    e) promuovere nelle sedi scolastiche, in collaborazione con le associazioni dei genitori e con i consultori territoriali, attività di informazione ed educazione alla salute sessuale e riproduttiva, all'affettività, alla maternità e paternità consapevole;
    f) assumere iniziative, anche normative, che favoriscono la piena conoscenza del percorso di accesso al servizio da parte dell'utente e i presidi ospedalieri nei quali viene effettuata l'interruzione volontaria di gravidanza, determinando un bacino di utenza ragionevole. (5-04086)

Interrogazione a risposta scritta:


   COMINARDI, ALBERTI, BASILIO e SORIAL. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella provincia di Brescia persiste da anni un'emergenza sanitaria ed ambientale dovuta ad un'elevata concentrazione di inquinanti;
   in data 3 agosto 2013, appariva sul quotidiano brescia.corriere.it, la notizia che secondo l'Osservatorio epidemiologico dell'Asl di Brescia, nella provincia i tumori sono la prima causa di mortalità, pari al 34 per cento dei decessi complessivi;
   su tutti i 12 distretti sanitari (esclusa la Valcamonica), lo studio mostra come, a livello provinciale, il distretto sanitario di Monte Orfano, che comprende una buona fetta di Franciacorta (da Adro ad Erbusco e da Palazzolo a Pontoglio) registra un più 4,7 per cento, per tutti i tumori, un eccesso del 4,5 per cento anche per i distretti di Brescia Ovest (da Castegnato a Castelmella, da Rodengo Saiano ad Ospitaletto) e per quello di Brescia città;
   in data 14 maggio 2014, secondo un articolo del Fattoquotidiano.it che riprendeva il rapporto «Sentieri» dell'Istituto superiore di sanità e dell'AIRTUM (Associazione italiana registro tumori), vi sarebbe una correlazione diretta tra Pcb, diossine, i veleni dell'industria chimica «Caffaro» che hanno devastato il territorio e l'aumento delle neoplasie nella città di Brescia;
   sempre nello stesso articolo l'epidemiologo Paolo Ricci, responsabile dell'Osservatorio, dopo aver firmato insieme ad altri ricercatori il terzo rapporto dello studio Sentieri ha chiesto le dimissioni dei vertici Asl di Brescia per aver negato le conseguenze sanitarie dell'inquinamento da diossine;
   in data 14 novembre 2014 compariva sulla testata on line Bresciaoggi.it, un articolo riguardante l'ordinanza sindacale emanata dal comune di Brescia nel 2013 a seguito delle indicazioni dell'Asl, e reiterata nel 2014, che consente di calpestare terreni con l'erba dove si superano i limiti di presenza di Pcb e diossina, «senza che sia stata compiuta l'analisi di rischio» come dichiarato dallo storico ambientalista bresciano, Marino Ruzzenenti, che ha inoltre condannato «il negazionismo dell'Asl bresciana, la cui offensiva si sta intensificando, nonostante non esista in Italia un luogo più avvelenato di Brescia, peggio della Terra dei fuochi, peggio di Taranto»;
   a giudizio dell'interrogante, nonostante gli studi succedutisi negli anni sulle incidenze tumorali, è preoccupante che ancor oggi non vi sia rilievo delle ragioni che determinano tali patologie –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti riportati in premessa e se intendano proporre soluzioni, per quanto di loro competenza, al fine di difendere il diritto alla salute dei cittadini come sancito dall'articolo 32 della Costituzione, intervenendo su questa preoccupante emergenza sanitaria, anche attraverso un'indagine epidemiologica da parte dell'Istituto superiore di sanità. (4-06927)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SCUVERA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 6 giugno la multinazionale farmaceutica Merck aveva annunciato la chiusura dello stabilimento produttivo di Pavia entro il 31 dicembre 2014, con conseguente crisi occupazionale che coinvolgerebbe circa 270 lavoratori dipendenti e 150 dell'indotto;
   si era, manifestato un acquirente per il suddetto stabilimento pavese, ossia Zambon Pharma con cui, il 29 agosto 2014, Merck aveva anche raggiunto un accordo;
   si è appreso che tale trattativa, fondamentale per il territorio, è improvvisamente e inaspettatamente fallita, per divergenze economiche;
   riemerge una grande preoccupazione per la continuità produttiva dello stabilimento pavese, che rappresenta un'eccellenza del territorio, e per la salvaguardia dei posti di lavoro, oggi di nuovo a rischio –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario convocare immediatamente un tavolo di crisi con le istituzioni territoriali e i vertici di Merck e Zambon Pharma per trovare una soluzione affinché si salvaguardi la continuità produttiva e l'occupazione sul territorio pavese. (5-04055)

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO e SIBILIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il presente atto di sindacato ispettivo nasce da una denuncia effettuata dal coordinamento, regionale di ACU non-profit, associazione di tutela dei consumatori ed utenti, inoltrata all'interrogante;
   il 19 settembre 2013 il Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con decreto n. 239/EL-300/194/2013 ha «approvato il progetto definitivo per la costruzione ed esercizio, da parte della Società TERNA S.p.A. del Sistema [...] “FLUMERI SANC” ed opere di connessione alla RTN in Comune di Flumeri (AV)»;
   tale progetto prevede la realizzazione nel comune di Flumeri (AV) di un impianto di accumulo elettrochimico dell'energia per applicazioni stazionarie, denominato FLUMERI SANC;
   l'impianto è costituito da un sistema sperimentale di conversione bidirezionale dell'energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili, da connettere alla rete elettrica nazionale;
   in particolare, l'apparato impiega delle batterie sperimentali non convenzionali, dove i poli (anodo e catodo) di ciascuna cella, separati da una membrana in ceramica porosa, sono costituiti rispettivamente da Na (Sodio, ma allo stato fuso) e da S (Zolfo allo stato fuso) talché, per il loro corretto funzionamento, ciascuna cella deve operare ad una temperatura media di circa 350o C in modo da mantenere i composti chimici dei due poli, continuativamente allo stato liquido;
   per le criticità intrinseche del sistema, per taluni aspetti procedurali e per il suo valore economico, che più innanzi verranno dettagliate, l'Associazione ACU, al fine di garantire e salvaguardare l'interesse collettivo, dei cittadini e dei propri associati della sede di Flumeri, ma più in generale della collettività ha inteso sottoporre all'attenzione della giustizia le contraddizioni che sono emerse già in fase di analisi e studio, svolto dal proprio comitato tecnico scientifico, sulla documentazione relativa alla citata centrale «Flumeri-SANC»;
   a seguito dell'esame documentale, composto dall'insieme degli atti progettuali, progressivamente depositati dal concessionario presso il comune di Flumeri, sono emerse carenze da ritenersi fondamentali;
   in particolare, emergono seri dubbi circa il rispetto della normativa sulla sicurezza per la tutela della salute pubblica: grossi dubbi emergono circa il rispetto della normativa vigente in materia, con particolare riferimento ai limiti di sostanze tossiche impiegate;
   inoltre, vengono sollevati pesanti dubbi circa:
    a) carenza ed insufficienza documentale dei contenuti tecnico-progettuali ed assenza o elusione delle validazioni indipendenti ed oggettive sulle caratteristiche delle tecnologie prescelte;
    b) elusione dei vincoli normativi comunitari sulla protezione dai rischi ed omessa applicazione del principio di precauzione a tutela della salute, della sicurezza e degli ecosistemi;
    c) impiego improprio ed oneroso delle risorse economiche pubbliche, finalizzato alla realizzazione di opere tecnologiche non pertinenti e non coerenti con lo scopo societario ed il pubblico interesse;
    d) omessa validazione ed appropriatezza dei costi in relazione ai benefici consistenti e durevoli come presupposto imprescindibile nelle opere di interesse collettivo;
    e) elusione della partecipazione dei portatori di interesse dalle procedure di analisi e valutazione degli impatti locali e generali, nonché assenza di trasparenza sulle finalità strategiche dell'opera;
    f) abuso delle prerogative derivanti dalla concessione, dove senza previsione espressa, si riscontra che viene estesa a soggetti terzi con probabili finalità elusive delle responsabilità connesse allo status di titolare;
    g) elusione dei vincoli connessi all'articolo 8 della «Seveso III» in relazione alla reale situazione dei volumi di materiali pericolosi utilizzati nell'esercizio del SANC. Anche in rapporto all'alta sismicità dei siti;
    h) approccio negligente, se non anche omissivo, in rapporto all'utilizzo di dati, fatti, distanze, migliori tecnologie disponibili, situazioni e condizioni geo-ambientali, connessi alle finalità progettuali ed autorizzative;
   quelli evidenziati dall'Associazione ACU sono dei dubbi molto pesanti che evidenziano seri rischi per l'incolumità dell'ambiente circostante e, di conseguenza, per i cittadini residenti nelle zone circostanti;
   infine, occorre sottolineare l'importo complessivo di un'opera come quella di Flumeri che, come sottolineato, nel radiale di 30 chilometri è replicata ben tre volte, essendo i relativi progetti perfette fotocopie, incluse le carenze e le criticità. Si tratta di un'opera estremamente costosa, che si sostanzia di una recinzione; due tettoie lamierate, un paio di container (elegantemente chiamati «shelter») e un certo numero di batterie connesse a 150/300 metri di linea elettrica ad alta tensione. È pertanto oggettivamente evidente la sproporzione tra cifre ed impianti, tra cifre e quota di manutenzione (il ricambio settennale di 31 milioni di batterie) che poi a regime, moltiplicata per tre, diventa una cifra esorbitante;
   se si comparano queste cifre con il «beneficio ottenibile», queste diventano del tutto sproporzionate, non solo per quanto riguarda il rapporto tra quantità di energia accumulabile rispetto a quella producibile/prodotta ma non utilizzata; ma anche in relazione al fatto di realizzare, un'opera non solo impattante e onerosa in sé, ma anche fatta esclusivamente nell'interesse dei produttori del mercato libero: la solita modalità di fare impresa privatizzando gli utili e pubblicizzando oneri e costi –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non ritengano di dover rivalutare la decisione che ha condotto all'approvazione del progetto definitivo per la costruzione ed esercizio, da parte della società TERNA spa del sistema «FLUMERI SANC» ed opere di connessione alla RTN in comune di Flumeri (AV). (4-06917)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Giancarlo Giordano n. 5-00631, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Piccoli Nardelli.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Bossa n. 5-00677, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Piccoli Nardelli.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Caparini e altri n. 5-02028, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 gennaio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Attaguile.

  L'interrogazione a risposta scritta Agostinelli n. 4-04321, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 aprile 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: De Lorenzis, Liuzzi.

  L'interrogazione a risposta scritta Petraroli n. 4-06838, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Agostinelli, Della Valle, Manlio Di Stefano, Caso, Sibilia, Carinelli.

  L'interrogazione a risposta scritta Ricciatti ed altri n. 4-06879, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Daniele Farina, Sannicandro.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Villarosa n. 4-06628 del 28 ottobre 2014;
   interrogazione a risposta scritta Ricciatti n. 4-06761 del 5 novembre 2014;
   interrogazione a risposta scritta Quaranta n. 4-06839 del 12 novembre 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione De Lorenzis n. 5-04024 del 12 novembre 2014;

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richieste dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Albini n. 4-05397 del 4 luglio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04073;
   interrogazione a risposta in Commissione Mariani n. 5-03645 del 25 settembre 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-06940;
   interrogazione a risposta orale Vezzali n. 3-01160 del 12 novembre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04053.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BASILIO, CORDA, ARTINI, PAOLO BERNINI, FRUSONE, RIZZO e ALBERTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 881 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, disciplina le disposizioni per il personale militare deceduto o che ha contratto infermità inabilitanti al servizio militare nel corso di missioni internazionali e prevede al comma 4: «Fino alla definizione dei procedimenti medico-legali riguardanti il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, al personale (...) è corrisposto il trattamento economico continuativo nella misura intera»;
   sul sito www.forzearmate.org in data 12 agosto 2013 è stato pubblicato il carteggio, tra il maresciallo in congedo della Marina militare Giovanni Pilloni e il Ministero della difesa, da cui si evince:
    a) la presentazione di tre istanze, datate 8 giugno 2004, 23 gennaio 2012 e 14 febbraio 2012, per il riconoscimento da causa di servizio delle infermità sofferte;
    b) la definizione dell'istanza del 2004, con il parere del comitato di verifica per le cause di servizio n. 28554/2005 (reso nell'adunanza n. 271/2007 del 15 ottobre 2007) e il decreto del Ministero della difesa – direzione generale delle pensioni militari III Reparto 8° divisione 2a sezione n. 1713/D del 29 ottobre 2007, in cui è riportato: «può riconoscersi dipendente da fatti di servizio, in quanto dalla relazione dell'Amministrazione e dalla documentazione in atti, nel caso di specie, risultano sussistere nello svolgimento degli incarichi assegnati, condizioni estreme quali elevata tensione emotiva, continuata e prolungata iper vigilanza in costante pericolo di vita nell'ambito di missioni svolte in teatro bellico, di assoluta eccezionalità e con alto rischio personale e collettivo. Considerato che l'insieme delle circostanze sopra riportate potrebbero essere idonee a realizzare una condizione di stress tale da compromettere le difese immunitarie, il cui deficit può favorire l'evoluzione di una neoplasia allo stadio pre-clinico, è plausibile ritenere che il servizio abbia potuto svolgere un ruolo concausale efficiente e determinante nell'insorgenza e/o slatentizzazione del processo neoplastico»;
    c) la mancata definizione dei procedimenti medico-legali delle istanze del 2012;
    d) il verbale BL/S n. 213 del 26 marzo 2012 della commissione medica ospedaliera decreto ministeriale M.L. di Taranto, in merito alla sola idoneità, in cui è riportato: «a decorrere dal 26.3.2012 è stato giudicato permanentemente non idoneo al servizio M.M. incondizionato, non idoneo alla riserva, da porre in congedo assoluto, idoneo all'impiego nelle corrispondenti aree funzionali del personale civile del Ministero della Difesa ai sensi della legge 266/1999»;
    e) la domanda, inviata con raccomandata n. 05228649995-8 del 28 aprile 2012, per ottenere: «la corresponsione del trattamento economico continuativo nella misura intera fino alla definizione dei procedimenti medico-legali riguardanti il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio ai sensi dell'articolo 881, comma 4, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66»;
    f) le risposte inviate, dal Ministero della difesa – direzione generale per il personale militare, la prima con la nota prot. n. 0153015 del 28 maggio 2013 della 10a divisione, in cui è riportato: «in assenza di ulteriori successivi provvedimenti giuridici modificativi della Sua posizione di stato, non risulta possibile accogliere la sua istanza»; la seconda con la nota prot n. 0183465 del 28 giugno 2013 della 5a divisione, in cui è riportato: «la S.V chiede una modifica della posizione di stato (da congedo assoluto ad aspettativa) (...) al riguardo si comunica che questa Direzione Generale ritiene corretta la posizione di stato della S.V.»;
    g) la laconicità, nonché la mancanza di comunicazione, delle direzioni generali in merito l'applicazione del comma 4 in parola, a seguito dell'infausta conclusione del procedimento dell'inidoneità al servizio militare antecedente la conclusione dei procedimenti medico-legali inerenti al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle infermità sofferte –:
   se i fatti narrati dal maresciallo sul sito web corrispondano al vero e nel caso affermativo quali iniziative intenda adottare per porvi rimedio;
   quanti militari – idonei e inidonei – siano destinatari di questo peculiare trattamento economico descritto al comma 4 della norma in premessa;
   se non ritenga di assumere urgenti iniziative per non disattendere la volontà del legislatore nelle ipotesi in cui il procedimento dell'idoneità incondizionata al servizio militare si concluda prima del procedimento per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle infermità sofferte. (4-02191)

  Risposta. — Il sottufficiale richiamato nell'atto, giudicato permanentemente inidoneo al servizio incondizionato per infermità, a decorrere dal 26 marzo è stato posto in congedo assoluto, ai sensi dell'articolo 929, comma 1, lettera a), del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, con contestuale promozione al grado di primo maresciallo (articolo 1077, comma 2, del codice stesso) e diritto alla percezione degli emolumenti pensionistici.
  In merito alla mancata corresponsione, nei confronti del militare, del trattamento economico continuativo nella misura intera, dal collocamento in quiescenza fino alla definizione dei procedimenti medico-legali per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, in relazione al disposto dell'articolo 881, comma 4, del decreto legislativo n. 66 del 2010, si specifica che l'istanza, avanzata in tal senso dall'interessato il 28 aprile 2012, non è stata accolta, in quanto, a quella data, il militare si trovava in congedo assoluto.
  La norma riguarda, infatti, il personale in servizio permanente affetto da infermità – che non comportano inidoneità permanente al servizio militare – contratte nel corso di missioni internazionali.
  Per quel che concerne, poi, il numero dei militari destinatari del trattamento economico, di cui al menzionato articolo 881, comma 4, del Codice dell'ordinamento militare, a seguito di una attenta analisi effettuata dagli Stati Maggiori di Forza armata e dal comando generale dell'arma dei carabinieri, è risultato che nell'anno 2013 hanno beneficiato di tale previsione 34 militari dell'esercito italiano, 7 della marina militare e 13 dell'aeronautica militare; per quanto riguarda, invece, l'arma dei carabinieri, nessun militare ne ha beneficiato.
  Con riferimento all'ultimo quesito, si precisa che nella specifica materia, il decreto legislativo 28 gennaio 2014, n. 8, ha recentemente modificato il codice.
  In particolare, all'articolo 881, comma 1, del codice, è stata introdotta una maggiore tutela per il personale militare in ferma volontaria che, non essendo in servizio permanente, non può usufruire, concluso il periodo massimo di licenza di convalescenza (45 giorni), dell'istituto dell'aspettativa per infermità.
  La previgente disciplina, infatti, ponendo quale condizione risolutiva dell'eventuale rafferma la «definizione della pratica medico-legale riguardante il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio», di fatto escludeva dal beneficio della permanenza in servizio coloro per i quali veniva immediatamente espresso il giudizio medico-legale sulla dipendenza da causa di servizio, con la conseguenza che l'interessato potesse perdere il titolo alla permanenza in servizio mentre era ancora pendente il giudizio d'idoneità.
  La novella, invece, rinvia le decisioni in merito alla permanenza in servizio al momento della definizione anche della posizione medico-legale riguardante l'idoneità.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   FRANCO BORDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è il primo produttore europeo di riso, la coltivazione è concentrata principalmente nelle regioni Piemonte e Lombardia, nel triangolo Vercelli, Novara, Pavia. Viene inoltre coltivato in provincia di Mantova ed in Emilia-Romagna in particolare nel basso Ferrarese, in Veneto nella bassa Veronese, in Sardegna nella valle del Tirso e in Calabria nella Piana di Sibari;
   nelle principali province risicole, le organizzazioni agricole, Confagricoltura e CIA con l'adesione delle industrie risiere (AIRI) e delle riserie artigiane (Confartigianato) e Coldiretti sono in stato di agitazione con manifestazioni di vario tipo;
   le manifestazioni hanno lo scopo di richiamare l'attenzione del Governo e delle istituzioni, sul grave problema dell'aumento delle importazioni di riso estero proveniente da agricolture dai costi di produzione decisamente inferiori a quelli europei, infatti nell'ultima campagna di commercializzazione, nell'Unione europea queste importazioni sono aumentate di 100 mila tonnellate, di cui 84 mila provenienti dai Paesi meno avanzati (PMA) e quindi a dazio zero;
   questa situazione si sta riverberando in modo sostanziale sui prezzi di mercato, in specie quelli delle varietà di riso «Lungo B» (indica), quelle che maggiormente e più direttamente subiscono la concorrenza dei risi di importazione in particolare dalla Cambogia. I prezzi sono notevolmente scesi, passando dai 26 euro al quintale dello scorso febbraio, agli attuali 22,5 euro al quintale, cifra che a denuncia dei produttori è insufficiente a coprire i costi di produzione, pur comprendendo l'aiuto diretto proveniente dalla PAC (Politica agricola comunitaria);
   nel 2009-2010 le importazioni di riso coltivato provenienti dai Paesi meno sviluppati (PMS) sono triplicate rispetto al 2008. Nel 2012-2013 tali importazioni hanno superato quelle della Thailandia, che per anni era stata il principale esportatore di riso verso l'Unione europea. Nei primi sette mesi del 2013, su un totale di circa 169.000 tonnellate di importazioni dai PMS, 161.000 tonnellate provenivano dalla Cambogia (il 95 per cento del totale importato dai PMS), di cui 41.000 tonnellate erano già state confezionate;
   la risicoltura italiana rischia di essere fortemente ridimensionata, mettendo in pericolo un vasto territorio e tutta la filiera del comparto, con gravi ripercussioni economiche ed occupazionali, va inoltre riconosciuta la valenza ambientale delle coltivazioni di riso e la loro importanza vitale per il regime delle acque superficiali e sotterranee dell'intera pianura padana. Una risicoltura ridimensionata, esplicherebbe i suoi effetti anche sui consorzi irrigui e sul territorio, in quanto i risicoltori non avrebbero più interesse a mantenere quella rete irrigua che, fino ad oggi, ha salvaguardato il territorio da dissesti idrogeologici e da alluvioni che con sempre maggiore frequenza si manifestano in altre zone;
   ad oggi non si conoscono i dati precisi né sulle importazione, né sulle caratteristiche sanitarie del riso che viene importato;
   in data 1° luglio 2014 il sottoscritto ha depositato un testo di risoluzione in XIII Commissione agricoltura circa l'importazione di prodotti che presentano criticità in merito alla sicurezza alimentare, cui si propone di impegnare il Governo: «a rimuovere il segreto e a rendere pubblici i flussi commerciali delle materie prime provenienti dall'estero, al fine di far conoscere ai consumatori italiani i nomi delle aziende che usano ingredienti stranieri che, in verità, dopo la trasformazione vengono venduti come prodotti made in Italy; ad assumere, nel semestre di presidenza italiana, dell'Unione europea iniziative volte a garantire un reale principio di reciprocità con i Paesi terzi con cui sono in essere, e con cui si faranno, accordi commerciali di scambio di prodotti agroalimentari, al fine di applicare gli stessi elevati standard di sicurezza e controlli alimentari con lo scopo di raggiungere, realmente, gli obiettivi prefissati nel “VII Programma d'azione europeo per l'ambiente” – “Vivere bene entro i limiti del nostro Pianeta” – e dagli altri strumenti di politica ambientale dell'Unione europea; a far sì che il sistema dei controlli sulla sicurezza alimentare attivo in Italia possa trovare un'applicazione di reciprocità all'interno dell'Unione europea, a fronte del fatto che i livelli massimi di residui presenti negli agroalimenti dei Paesi comunitari è risultato nove volte superiore al livello italiano»;
   il Regolamento (UE) 978/2012 stabilisce che, a partire dal 1° gennaio 2014, in presenza di aumenti delle importazioni di prodotti esenti da dazi e provenienti da Paesi meno sviluppati che possano «causare o rischiare di causare gravi difficoltà», «i normali dazi della tariffa doganale comune possono essere ripristinati per detto prodotto» (clausola di salvaguardia, articolo 20 del regolamento (CE) n. 738/2008). Il regolamento specifica che se esistono sufficienti elementi provanti al riguardo, «la Commissione avvia un'inchiesta per determinare se è necessario ristabilire i normali dazi della tariffa doganale comune», inoltre il regolamento (UE) 1083/2013 consente l'apertura d'ufficio dell'inchiesta da parte della Commissione qualora vi siano «elementi di prova sufficienti a dimostrare che sono soddisfatte le condizioni di istituzione della misura di salvaguardia di cui all'articolo 22, paragrafo 1, del regolamento del Sistema delle preferenze generalizzate (SPG) –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere in merito alla necessità di assicurare che la Commissione europea si pronunci per l'attivazione della clausola di salvaguardia ai sensi del regolamento EU 978/2012 per istituire un limite quantitativo alle importazioni di riso provenienti dai PMS;
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per tutelare la filiera risicola italiana e i Consumatori italiani evitando distorsioni del mercato del riso e garantendo i necessari controlli sulla qualità e sulla sicurezza sanitaria del riso importato;
   quali iniziative di competenza nel rispetto della normativa europea il Ministro interrogato intenda assumere per rendere obbligatoria in etichetta l'indicazione dell'origine territoriale del riso;
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per rendere pubblici e trasparenti i dati relativi alle importazioni, al fine di garantire la tracciabilità delle produzioni;
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per giungere ad accordi di filiera che tengano conto dei reali costi di produzione, della qualità e dei metodi di coltivazione, per addivenire ad una situazione economicamente sostenibile per tutti gli attori coinvolti nella filiera. (4-05591)

  Risposta. — Con riguardo alla problematica rappresentata, concernente la produzione del riso, riferisco che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, già a partire dall'agosto 2013, ha rappresentato in sede di comitato di gestione cereali, le difficoltà di mercato che si delineavano a causa dell'incremento registrato nell'ultimo periodo di importazione di riso lavorato dai Paesi meno avanzati (PMA) e in particolare dalla Cambogia.
  A tutt'oggi, si conferma il trend evolutivo delle importazioni evidenziato dall'interrogante e anche recentemente rappresentato dalla delegazione italiana nelle competenti sedi europee e ai vari livelli istituzionali.
  Evidenzio che, al fine di trovare ogni confacente soluzione alla problematica su esposta, abbiamo lavorato di concerto con il Ministero dello sviluppo economico e la filiera circa l'elaborazione di un documento tecnico che dimostri il peggioramento costante dello stato «commerciale» della produzione risicola nazionale.
  Ciò premesso, evidenzio che il dossier «richiesta della clausola di salvaguardia» per le importazioni di riso dalla Cambogia è stato inoltrato, per il tramite della rappresentanza italiana presso la Unione europea, alla Commissione europea - DG TRADE.
  Le procedure europee prevedono, nella fattispecie, che la Commissione, nei successivi trenta giorni, provvederà ad attivare l'indagine conoscitiva.
  Inoltre, ho chiesto la massima attenzione e un mirato supporto soprattutto alla filiera del riso, sostenendo l'iniziativa anche attraverso il coinvolgimento delle rispettive Federazioni europee di settore.
  Preciso, altresì che, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, fermo restando l'impegno a portare avanti tutte le azioni previste dalla regolamentazione europea per sostenere la produzione italiana del riso, ritiene opportuno coinvolgere anche gli altri Stati membri produttori interessati, quali la Grecia e la Spagna, sollecitandoli a presentare un dossier simile a quello italiano.
  Per ultimo, rilevo, che stante il perdurare della situazione, l'attività del Ministero sarà finalizzata a seguire le ripercussioni che potrebbero derivare dalla diminuzione delle superfici e dalla riduzione dei prezzi per le aziende risicole.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   CIRIELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati), equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della terra dei fuochi, suscita una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca al nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, al settore agroalimentare, universalmente riconosciuto come straordinaria leva competitiva «ad alto valore aggiunto» per lo sviluppo del Paese;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali, infatti, non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella regione;
   il fenomeno dell'inquinamento atmosferico, del suolo e delle acque, che interessa le zone comprese nella terra dei fuochi dovrà essere affrontato con azioni strategiche miranti, oltre che a sanare le situazioni di emergenza ambientale in agricoltura, anche a superare le criticità che hanno fatto crollare il mercato dei prodotti agricoli e agroalimentari, nel tentativo di recuperare il danno di immagine e di reputazione che l'intero settore ha accusato a livello campano;
   deve essere ricordato, infatti, che l'agroalimentare made in Italy registra un fatturato nazionale superiore ai 266 miliardi di euro, anche grazie e soprattutto alla produzione della Regione Campania, e rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo;
   l'agricoltura italiana, con un totale di circa 820 mila aziende, rappresenta circa il 15 per cento del totale delle imprese attive italiane;
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale non è legato solo alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   nonostante le difficoltà in cui versa l'intera economia italiana ed il deciso rallentamento del PIL nazionale registrato nel corso degli ultimi anni, secondo i dati Istat relativi ai primi sette mesi dell'anno, nel 2013 l'Italia ha fatto segnare il record nel valore delle esportazioni agroalimentari, arrivato a 34 miliardi di euro;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari, la contraffazione e la pirateria, garantisce la solidità delle imprese agricole italiane e tutela l'immagine ed il valore del Made in Italy;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   occorre ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
   il mercato interno deve prevenire e contrastare l'usurpazione e la denigrazione del made in Italy, ponendosi come garante della qualità, della salubrità, delle caratteristiche e dell'origine dei prodotti alimentari italiani, in quanto elementi funzionali a garantire la salute ed il benessere dei consumatori ed il loro diritto ad una alimentazione sana, corretta e fondata su scelte di acquisto e di consumo consapevoli;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   l'usurpazione e la denigrazione del made in Italy minacciano la solidità e provocano gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa;
   il codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute, alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti, ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera, all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà, all'educazione al consumo, alla trasparenza e all'equità nei rapporti contrattuali;
   la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che, in realtà, non possiedono costituisce una vera e propria aggressione ed arreca danno al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la gravità degli stessi, quali determinazioni intenda assumere, in particolare, tramite il Corpo forestale dello Stato, al fine di applicare la definizione precisa dell'effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis della legge 24 dicembre 2003, n. 350 sulla tutela del made in Italy, tenuto anche conto della necessità di ripristinare un dialogo di fiducia con i consumatori rispetto alla qualità e alla sicurezza dei prodotti agroalimentari. (4-02975)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione, mi preme evidenziare che il corpo forestale dello Stato, per quanto di competenza, ha avviato un'intensa attività di controlli e indagini sull'intero territorio nazionale, finalizzati alla tutela dei prodotti del made in Italy agroalimentare e del diritto di riconoscibilità di queste produzioni da parte del consumatore, con riguardo, in particolare, alla materia prima agroalimentare.
  Ricordo che il regolamento del Parlamento europeo e del consiglio del 25 ottobre 2011, n. 1169, «fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori», attribuisce un ruolo di rilievo alla indicazione dell'origine e della provenienza di un determinato prodotto per non indurre in errore il consumatore.
  Al fine di migliorare la tutela dei prodotti di origine italiana, la legge 24 dicembre 2003, n. 350, e successive modificazioni e integrazioni, ha riformato gli indirizzi precedenti, prevedendo, all'articolo 4, comma 49, il divieto di dichiarare un'indicazione di provenienza falsa o fallace, anche attraverso «l'uso di segni, figure, o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana».
  A tale riguardo, il corpo forestale dello Stato ha verificato migliaia di prodotti, appartenenti a tutte le filiere alimentari (tra cui anche diversi tipi di prosciutti crudi stagionati, prodotti lattiero caseari, paste, olio, olive, grappe, paste), che appongono la dicitura
made in Italy o richiamano esplicitamente tale origine con segni o quant'altro possa indurre in inganno il consumatore.
  I citati controlli sono stati estesi anche ai fenomeni di contraffazione, laddove, oltre il richiamo con
claim nazionali è stata, altresì, accertata un'etichettatura specifica, che attestava falsamente l'origine della materia prima italiana, e addirittura casi in cui sia la materia prima che la trasformazione sono stati realizzati in Stati esteri, al contrario di quanto sostenuto in etichetta (sequestro effettuato in Puglia).
  Il corpo forestale dello Stato ha effettuato un'intensa attività investigativa sul territorio nazionale, finalizzata al contrasto del fenomeno del falso
made in Italy e del cosiddetto Italian sounding, ossia l'utilizzo fuorviante sull'imballaggio dei prodotti agroalimentari di etichette, simboli che esaltino l'italianità dei luoghi d'origine della materia prima, della ricetta e del marchio.
  In particolare, il corpo forestale dello Stato, tra le autorità di controllo in materia di tutela del
made in Italy, ha agito anche sulla scorta di norme penali che attengono alla necessità di assicurare il corretto svolgimento del commercio e di tutelare l'ordine economico contro gli inganni tesi al consumatore, configurabili come fattispecie di reato di cui agli articoli 515 e 517 del codice penale.
  Sono stati controllati 902 esercizi commerciali in tutta Italia, il cui esito ha portato alla notifica di 122 sanzioni amministrative a carico dei distributori e delle ditte produttrici, per un importo totale di oltre 300.000,00 euro e sono state redatte 15 comunicazioni di notizie di reato.
  Le attività di cui sopra, hanno condotto, altresì, al sequestro di circa 592 tonnellate di prodotti. In particolare, nella Piana di Gioia Tauro, sono state poste sotto sequestro 510 tonnellate di succo d'arancia conservato in sacchetti e fusti proveniente dal Brasile ed etichettato successivamente con origine Calabria – Italia, mentre nella provincia di Bari, sono state sequestrate 80 tonnellate di pasta. Altri sequestri sono stati operati in varie località nazionali, Rieti, Latina, Grosseto, concernenti prosciutti e altri prodotti insaccati.
  Contestualmente alla campagna relativa alla tutela del
made in Italy, inoltre, sono stati verificati altri aspetti del settore agroalimentare, quali quelli connessi alla sicurezza dei prodotti a denominazione protetta, ovvero all'igiene degli alimenti e alla salute dei cittadini.
  Sul piano operativo le due principali casistiche riscontrate dal corpo forestale dello Stato hanno riguardato prodotti agroalimentari di diverso genere che, pur riportando in etichetta evidenti richiami che ne accentuano l'italianità sono risultati poi realizzati all'estero o realizzati in Italia con materia prima di origine estera.
  Ritengo che queste azioni, insieme ad altri strumenti cogenti come la tracciabilità e l'obbligo d'indicazione dell'origine dei prodotti, in conformità alle normative europee, possano contribuire a rendere maggiormente efficace l'azione svolta degli organi di controllo e tutelare in maggior misura i consumatori e gli operatori di settore. Peraltro, unitamente ad un rafforzamento degli strumenti normativi e deterrenti (sistemi sanzionatori più stringenti) e all'implementazione e interconnessione delle banche dati, sarà più agevole individuare gli operatori più a «rischio» e rendere maggiormente efficace l'azione degli organi di controllo nell'intero comparto agroalimentare.
  In tema di controlli, mi è doveroso, altresì, riferire circa il ruolo dell'ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (Icqrf), organo tecnico di controllo ufficiale del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, che è impegnato costantemente per garantire il rispetto delle regole nelle diverse fasi della filiera produttiva, al fine di salvaguardare i consumatori dall'eventuale commercializzazione di alimenti contraffatti.
  Ed è proprio per l'importanza che il settore agroalimentare riveste per l'economia nazionale che in questi ultimi anni, l'ispettorato ha posto particolare attenzione alle produzioni di qualità più rappresentative del
made in Italy (formaggi, vini, olio d'oliva, pasta, frutta, salumi, conserve vegetali, eccetera) ivi comprese le produzioni tutelate DOP e IGP.
  Sul punto, preciso che il decreto ministeriale 14 ottobre 2013, attuativo del regolamento del Parlamento europeo e del consiglio n. 1151 del 2012 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari «Pacchetto qualità», all'articolo 16 (protezione
ex officio) ha individuato l'ispettorato (Icqrf) quale autorità nazionale incaricata di adottare le misure per prevenire o far cessare l'uso illegale delle denominazioni tutelate DOP-IGP prodotte o commercializzate in Italia.
  Rilevo, inoltre, che in base al citato decreto ministeriale, l'ispettorato provvede ad attivare le autorità competenti degli altri stati membri per far cessare l'uso illegale delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette italiane sul territorio dell'Unione europea.
  Nell'ambito del sistema di protezione
ex officio, l'ispettorato ha già avviato diverse segnalazioni e ha ottenuto risultati positivi in quanto i prodotti oggetto di segnalazione sono stati prontamente ritirati dal mercato, grazie anche alla collaborazione delle corrispondenti autorità di controllo estere.
  Segnalo, infine, che la Commissione europea ha inviato una richiesta di informazione all'Italia, nel quadro del sistema Eu Pilot (5938/13/SNCO), avente per oggetto una denuncia per presunta violazione del diritto europeo, risultante da una prassi amministrativa posta in essere da autorità italiane preposte ai controlli alimentari e la presunta incompatibilità di determinate disposizioni legislative italiane.
  Al riguardo, faccio presente che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali dopo una riunione con le Amministrazioni coinvolte, ha inviato una memoria in proposito. La questione è al momento al vaglio della Commissione europea.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   DI GIOIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le organizzazioni sindacali e i lavoratori della centrale termoelettrica di Fiume Santo (Sassari) sono in stato di agitazione, con varie forme di lotta, da molti mesi;
   dopo aver dato vita a varie forme di protesta, ultima della quale è stata l'invasione pacifica del palazzetto dello sport Palaserradimigni, dove si stava disputando una partita di pallacanestro, adesso i lavoratori hanno deciso l'occupazione del parco fotovoltaico;
   le forme di protesta sono dovute al fatto che l'Azienda E.On, multinazionale tedesca che gestisce il sito, ha deciso, nonostante il fatto che abbia registrato nel 2012, 78 milioni di euro di utili, di attuare una drastica riduzione degli appalti, cosa che comporterebbe il taglio di decine di posti di lavoro tra le imprese che operano, quotidianamente, all'interno della centrale in oggetto;
   a ciò si aggiunge la decisione, da parte dell'azienda, di non costruire il nuovo impianto a carbone, già autorizzato dal Governo, impedendo, di fatto, il risanamento ambientale di un territorio, già fortemente penalizzato dalla presenza di due obsoleti gruppi ad olio combustibile che dovrebbero contemporaneamente essere demoliti;
   nel 2011 occorse, a dimostrazione di ciò, un incidente presso l'impianto portuale della società E.On, che provocò la fuoriuscita di una grossa quantità di olio combustibile destinato alla centrale termoelettrica di Fiume Santo, che produsse un gravissimo inquinamento del golfo dell'Asinara;
   sino ad adesso, stante il mancato avvio dei lavori della nuova centrale elettrica, si è proceduto in deroga, attraverso decreti prefettizi, alle norme vigenti in materia di inquinamento, al fine di evitare un black-out in Sardegna;
   appare del tutto evidente che tale situazione, in una delle aree più belle dell'isola, non può essere più accettata;
   tale assurda situazione non può essere ulteriormente sopportata ed è necessario attivarsi, a tutti i livelli, al fine di non smobilitare un'esperienza produttiva nell'isola che può rappresentare un elemento centrale in termini di ripresa dello sviluppo economico, ambientale e sociale, nell'intero territorio di Porto Torres e della provincia di Sassari –:
   se s'intenda arrivare ad una rapida convocazione degli attuali proprietari della centrale di Fiume Santo, attraverso un tavolo di consultazione che veda anche la presenza delle organizzazioni sindacali e degli enti locali, affinché siano rispettati gli impegni, sino ad adesso assunti con la regione e le istituzioni locali, sull'avvio dei lavori di costruzione del nuovo gruppo di produzione di energia elettrica ambientalmente compatibile;
   come s'intenda agire, in caso di ulteriori ritardi dal parte di E.On, affinché sia garantita la realizzazione della nuova centrale elettrica che porterebbe al mantenimento degli attuali livelli occupazionali. (4-00066)

  Risposta. — La società E.ON produzione s.p.a. è titolare della centrale termoelettrica di Fiume Santo, ubicata nel comune di Sassari (Sassari), caratterizzata da una potenza complessiva di circa 960/megawatt elettrico, costituita da 4 sezioni termoelettriche: le sezioni nn. 1 e 2 alimentate ad olio combustibile da 160 megawatt elettrico ciascuna, e le sezioni nn. 3 e 4 a carbone da 320 megawatt elettrico ciascuna.
  In ottemperanza alle disposizioni dell'autorizzazione integrata ambientale vigente le succitate due sezioni alimentate ad olio combustibile – sezioni nn. 1 e 2 – sono state messe definitivamente fuori servizio a partire dal 1o gennaio 2014 e dovranno essere successivamente smantellate, secondo un piano di demolizione predisposto dalla società.
  La società E.On produzione spa è stata inoltre autorizzata dal Ministero dello sviluppo economico, con provvedimento del 4 ottobre 2010, alla realizzazione presso la centrale di Fiume Santo di una nuova sezione a carbone (410 megawatt elettrici, 858 megawatt termici), in sostituzione delle esistenti unità n. 1 e n. 2.
  Pertanto, a seguito della nuova realizzazione, il futuro assetto della centrale sarà caratterizzato da una potenza elettrica complessiva di circa 1050 megawatt elettrici, alimentato a carbone.
  In base alle tempistiche disposte con il menzionato decreto autorizzativo, la società E.On avrebbe dovuto avviare i lavori di realizzazione della nuova sezione a carbone entro il 4 marzo 2012. Successivamente la medesima società ha chiesto due proroghe dei termini di avvio dei lavori, per motivazioni connesse alla necessità di tempi più ampi per la bonifica ambientale. Il Ministero, valutate le motivazioni della società, in osservanza alla vigente normativa in materia, ha concesso due proroghe dei termini (decreto n. 55/01/2012 PR del 25 gennaio 2012 e decreto n. 55/05/2013 PR del 4 settembre 2013) e, pertanto, stante l'attuale situazione, la scadenza per l'avvio dei lavori è attualmente posticipata al 4 dicembre 2014.
  Pertanto, relativamente al «cessato interesse» riferito dall'interrogante alla realizzazione del gruppo a carbone, si fa presente che ad oggi la società E.On non ha comunicato l'intenzione di rinunciare all'investimento, ma ha solamente rappresentato la necessità di avere bisogno di tempi più ampi di realizzazione, per motivazioni di carattere tecnico-ambientale attinenti la realizzazione di lavori di bonifica dell'area, propedeutici all'avvio del cantiere in parola.
  Si fa presente, ad ogni buon conto, che prima di concedere le succitate proroghe, il Ministero dello sviluppo economico ha avviato un confronto con il Ministero dell'ambiente, che ha confermato la fondatezza della motivazioni addotte dalla società nelle istanze di proroga, nonché è stata anche avviata un'attività istruttoria finalizzata a verificare la possibilità di avviare i lavori di costruzione della nuova sezione a carbone contestualmente ai lavori di bonifica.
  A tal fine infatti è stata chiesta la presentazione, da parte della società E.On, di un piano stralcio compatibile con il progetto di bonifica dell'intero sito, in modo da poter eventualmente svincolare la realizzazione del nuovo gruppo a carbone dall'intera bonifica del sito.
  La società E.On ha provveduto a presentare al Ministero dell'ambiente – divisione bonifiche e risanamento, nonché agli enti locali coinvolti, il suddetto piano stralcio con nota del 24 dicembre 2013, in linea con le tempistiche prescritte all'articolo 2 del decreto di proroga n. 55/05/2013 PR del 4 settembre 2013).
  Ad oggi non risulta acquisita in merito alcuna determinazione da parte del dicastero dell'ambiente.
  Non si ritiene, infine, che sussistano le condizioni per procedere adesso ad una sollecitazione nei confronti della società E.On alla realizzazione immediata del progetto. Ciò sia in quanto risulta persistere l'esigenza dell'intervento propedeutico di bonifica del sito, sia perché l'onere economico dell'investimento, e con esso i benefici che ne possono conseguire, rientrano nella sfera esclusiva di competenza del soggetto proponente.
  Sull'argomento resta comunque alta l'attenzione di questo Ministero, interessato alla realizzazione dell'iniziativa autorizzata, nonché ad un confronto con la E.On produzione s.p.a. ai fini del mantenimento dei livelli occupazionali nel sito di Fiume Santo.

Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   DI LELLO, DI GIOIA, LOCATELLI e PASTORELLI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   lo Stato è responsabile dell'integrità fisica di qualunque cittadino, italiano o straniero, che viene arrestato in via cautelare a seguito di controlli o accertamenti;
   in Italia i casi di morti in carcere a seguito di arresti sono fin troppo spesso presenti nelle cronache nere dei quotidiani;
   già in passato i casi di Uva, Cucchi e Aldrovandi hanno portato a conoscenza dell'opinione pubblica le violenze accertate che hanno subito in carcere o in caserma all'atto del loro arresto, in un momento dunque in cui erano completamente indifesi e impossibilitati a qualunque reazione, le cui conseguenze hanno condotto alla morte dei tre soggetti;
   il 6 giugno 2013 i Carabinieri della stazione di Santo Stefano al Mare (Imperia) arrestano l'immigrato tunisino Bohli Kayes a seguito di un'operazione antidroga, trovandogli in dosso qualche grammo di eroina e cocaina;
   durante tale operazione Kayes, che sarebbe caduto a terra in conseguenza a una tentata fuga, cerca di divincolarsi dai carabinieri provocando una colluttazione a seguito della quale i militari riescono a bloccarlo con una forte stretta al torace che gli ha impedito di respirare;
   non risulta ancora accertato se il tunisino si è sentito male già nel tragitto verso la caserma o solo al momento del suo arrivo presso la stazione dei Carabinieri, ma la relazione del medico legale conferma che il decesso è stato causato per pressioni sul torace e altre parti del corpo comportando la morte per arresto cardiocircolatorio neurogenico secondario ad asfissia violenta da inibizione dell'espansione della gabbia toracica –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere il Governo affinché: a) venga fatta chiarezza su questo decesso, indipendentemente dalla colpevolezza del cittadino tunisino, le cui responsabilità devono essere accertate nelle opportune sedi; b) le morti, e più in generale le violenze in carcere, a seguito di arresti o controlli non si abbiano più a verificare secondo il principio che la integrità fisica e psicologica del fermato è responsabilità dello Stato che opera per mano delle forze dell'ordine a tutela del cittadino. (4-01666)

  Risposta. — La sera del 5 giugno 2013, in Riva Ligure, personale in servizio presso la stazione carabinieri di Santo Stefano al Mare ha tratto in arresto un tunisino di 36 anni, trovato in possesso di un involucro contenente circa 100 grammi di sostanza stupefacente.
  Durante le fasi del suo accompagnamento presso la sede della menzionata stazione, l'arrestato ha accusato un malore ed è, purtroppo, deceduto nonostante l'intervento di personale del « 118».
  Successivamente, è stato effettuato l'esame autoptico, il cui esito è stato reso noto dal procuratore della Repubblica di Sanremo nel corso di una conferenza stampa che ha avuto luogo il 6 agosto 2013.
  Lo stesso procuratore ha dichiarato che il decesso del tunisino è attribuibile a un
arresto cardiocircolatorio neurogenico secondario ad asfissia violenta da inibizione dell'espansione della gabbia toracica.
  L'autorità inquirente ha, pertanto, instaurato un procedimento penale per omicidio colposo a carico dei tre militari che hanno proceduto all'arresto.
  Le indagini preliminari si sono concluse con la richiesta, da parte della procura della Repubblica presso il tribunale di Imperia, di rinvio a giudizio, accolta dal giudice per l'udienza preliminare del tribunale d'Imperia che ha fissato l'udienza preliminare il prossimo 28 novembre.
  In attesa della definizione del procedimento penale, i militari sono stati trasferiti presso altri reparti.
  Si rappresenta, inoltre, che già da tempo le Forze di polizia investono cospicue risorse nell'addestramento e nella formazione del proprio personale, al fine di fronteggiare al meglio quelle situazioni nelle quali potrebbe essere messa in pericolo l'incolumità del reo e/o, più in generale, la salute pubblica, evitando che possano in futuro verificarsi simili eventi.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   FAUTTILLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale — considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore — ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   gli allevamenti italiani di suini, presenti prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna, sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti e offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che, dietro questo sistema, ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   l'usurpazione del made in Italy minaccia la solidità e provoca gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicari, di qualità e di origine certa;
   il codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
   la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione ed arreca danno al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale –:
   quali determinazioni intenda assumere alle autorità di controllo e, in particolare, al Corpo forestale dello Stato, per applicare la definizione precisa dell'effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis della legge 24 dicembre 2003, n. 350 sulla tutela del made in Italy. (4-05409)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione, preciso che il corpo forestale dello Stato, per quanto di competenza, ha avviato un'intensa attività di controlli e indagini sull'intero territorio nazionale, finalizzati alla tutela dei prodotti del made in Italy agroalimentare e del diritto di riconoscibilità di queste produzioni da parte del consumatore, con riguardo, in particolare, alla materia prima agroalimentare.
  Ricordo che il Regolamento del Parlamento europeo e del consiglio del 25 ottobre 2011, n. 1169, «fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori», attribuisce un ruolo di rilievo alla indicazione dell'origine e della provenienza di un determinato prodotto per non indurre in errore il consumatore.
  Al fine di migliorare la tutela dei prodotti di origine italiana, la legge 24 dicembre 2003, n. 350, e successive modificazioni e integrazioni, ha riformato gli indirizzi precedenti, prevedendo, all'articolo 4, comma 49, il divieto di dichiarare un'indicazione di provenienza falsa o fallace, anche attraverso «l'uso di segni, figure, o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana».
  A tale riguardo, il corpo forestale di Stato ha verificato migliaia di prodotti, appartenenti a tutte le filiere alimentari (tra cui anche diversi tipi di prosciutti crudi stagionati, prodotti lattiero caseari, paste, olio, olive, grappe, paste), che appongono la dicitura
made in Italy o richiamano esplicitamente tale origine con segni o quant'altro possa indurre in inganno il consumatore.
  I citati controlli sono stati estesi anche ai fenomeni di contraffazione, laddove, oltre il richiamo con
claims nazionali è stata, altresì, accertata un'etichettatura specifica, che attestava falsamente l'origine della materia prima italiana, e addirittura casi in cui sia la materia prima che la trasformazione sono stati realizzati in stati esteri, al contrario di quanto sostenuto in etichetta (sequestro effettuato in Puglia).
  Il corpo forestale dello Stato ha effettuato un'intensa attività investigativa sul territorio nazionale, finalizzata al contrasto del fenomeno del falso
made in Italy e del cosiddetto italian sounding, ossia l'utilizzo fuorviarne sull'imballaggio dei prodotti agroalimentari di etichette, simboli che esaltino l'italianità dei luoghi d'origine della materia prima, della ricetta e del marchio.
  In particolare, il corpo forestale dello Stato, tra le autorità di controllo in materia di tutela del
made in Italy, ha agito anche sulla scorta di norme penali che attengono alla necessità di assicurare il corretto svolgimento del commercio e di tutelare l'ordine economico contro gli inganni tesi al consumatore, configurabili come fattispecie di reato di cui agli articoli 515 e 517 del codice penale.
  Sono stati controllati 902 esercizi commerciali in tutta Italia, il cui esito ha portato alla notifica di 122 sanzioni amministrative a carico dei distributori e delle ditte produttrici, per un importo totale di oltre 300.000,00 euro e sono state redatte 15 comunicazioni di notizie di reato.
  Le attività di cui sopra, hanno condotto, altresì, al sequestro di circa 592 tonnellate di prodotti. In particolare, nella Piana di Gioia Tauro, sono state poste sotto sequestro 510 tonnellate di succo d'arancia conservato in sacchetti e fusti proveniente dal Brasile ed etichettato successivamente con origine Calabria – Italia, mentre nella provincia di Bari, sono state sequestrate 80 tonnellate di pasta. Altri sequestri sono stati operati in varie località nazionali, Rieti, Latina, Grosseto, concernenti prosciutti e altri prodotti insaccati.
  Contestualmente alla campagna relativa alla tutela del
made in Italy, inoltre, sono stati verificati altri aspetti del settore agroalimentare, quali quelli connessi alla sicurezza dei prodotti a denominazione protetta, ovvero all'igiene degli alimenti e alla salute dei cittadini.
  Sul piano operativo le due principali casistiche riscontrate dal Corpo forestale dello Stato hanno riguardato prodotti agroalimentari di diverso genere che, pur riportando in etichetta evidenti richiami che ne accentuano l'italianità sono risultati poi realizzati all'estero o realizzati in Italia con materia prima di origine estera.
  Ritengo che queste azioni, insieme ad altri strumenti cogenti come la tracciabilità e l'obbligo d'indicazione dell'origine dei prodotti, in conformità alle normative europee, possano contribuire a rendere maggiormente efficace l'azione svolta degli organi di controllo e tutelare in maggior misura i consumatori e gli operatori di settore. Peraltro, unitamente ad un rafforzamento degli strumenti normativi e deterrenti (sistemi sanzionatori più stringenti) e all'implementazione e interconnessione delle banche dati, sarà più agevole individuare gli operatori più a «rischio» e rendere maggiormente efficace l'azione degli organi di controllo nell'intero comparto agroalimentare.
  In tema di controlli, mi è doveroso, altresì, riferire circa il ruolo dell'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (Icqrf), organo tecnico di controllo ufficiale del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, che è impegnato costantemente per garantire il rispetto delle regole nelle diverse fasi della filiera produttiva, al fine di salvaguardare i consumatori dall'eventuale commercializzazione di alimenti contraffatti.
  Ed è proprio per l'importanza che il settore agroalimentare riveste per l'economia nazionale che in questi ultimi anni, l'ispettorato ha posto particolare attenzione alle produzioni di qualità più rappresentative del
made in Italy (formaggi, vini, olio d'oliva, pasta, frutta, salumi, conserve vegetali, eccetera) ivi comprese le produzioni tutelate DOP e IGP.
  Sul punto, preciso che il decreto ministeriale 14 ottobre 2013, attuativo del Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1151 del 2012 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari «Pacchetto qualità», all'articolo 16 (protezione
ex officio) ha individuato l'ispettorato (Icqrf) quale autorità nazionale incaricata di adottare le misure per prevenire o far cessare l'uso illegale delle denominazioni tutelate DOP-IGP prodotte o commercializzate in Italia.
  Rilevo, inoltre, che in base al citato decreto ministeriale, l'ispettorato provvede ad attivare le autorità competenti degli altri stati membri per far cessare l'uso illegale delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette italiane sul territorio dell'Unione europea.
  Nell'ambito del sistema di protezione
ex officio, l'ispettorato ha già avviato diverse segnalazioni ed ha ottenuto risultati positivi in quanto i prodotti oggetto di segnalazione sono stati prontamente ritirati dal mercato, grazie anche alla collaborazione delle corrispondenti autorità di controllo estere.
  Segnalo, infine, che la Commissione europea ha inviato una richiesta di informazione all'Italia, nel quadro del sistema Eu Pilot (5938/13/SNCO), avente per oggetto una denuncia per presunta violazione del diritto europeo, risultante da una prassi amministrativa posta in essere da autorità italiane preposte ai controlli alimentari e la presunta incompatibilità di determinate disposizioni legislative italiane.
  Al riguardo, faccio presente che il Ministero, dopo una riunione con le Amministrazioni coinvolte, ha inviato una memoria in proposito. La questione è al momento al vaglio della Commissione europea.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   FUCCI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 24 aprile 1963 riconosce due figure: console di carriera e console onorario;
   il console di carriera è cittadino dello Stato inviante o rappresentato e si limita ad occuparsi di compiti che gli vengono affidati nella sede in cui egli viene inviato;
   il console onorario invece è un cittadino prescelto nello Stato in cui esso risiede e oltre a poter svolgere la propria funzione consolare, può anche dedicarsi alla propria attività di carattere professionale e imprenditoriale;
   spesso il console onorario, per svolgere l'attività consolare, si avvale di collaboratori che sono dipendenti della sua attività professionale o imprenditoriale;
   il consolato onorario non possiede partita iva, né percepisce compensi o redditi svolgendo l'attività interamente a proprie spese;
   i consolati onorari in Italia sono molto attivi nelle attività diplomatiche, di integrazione sociale e culturale, oltre che nel disbrigo di pratiche commerciali, amministrative, giudiziarie e di assistenza ai cittadini e studenti stranieri nel nostro Paese;
   i consoli onorari, per espletare le proprie funzioni, hanno un ufficio dedicato alle attività del consolato;
   i consoli onorari vorrebbero assumere personale per espletare le diverse funzioni di cui sopra, ma la legge italiana in materia di lavoro non consente loro di farlo;
   la legge italiana consente soltanto alle persone fisiche, come il console onorario, che non possiedono partita iva, di assumere personale con le seguenti qualifiche dama di compagnia, badante, autista, maggiordomo, amministratrice del patrimonio personale, ma non la qualifica di segretario/addetto stampa, giornalista, impiegato, funzionario, mediatore culturale del console onorario –:
   se e quali iniziative di competenza intendano assumere per rivedere la normativa in materia di lavoro e trovare così una soluzione sia per i consoli onorari sia per i lavoratori. (4-05686)

  Risposta. — In Italia sono accreditati numerosi consoli onorari stranieri ammessi a godere, ai sensi della convenzione di Vienna del 1963, di taluni privilegi e immunità. La concessione dell'autorizzazione all'apertura di uffici consolari per l'esercizio delle funzioni consolari onorarie è disciplinata da una circolare ministeriale del 2010, che codifica la prassi maturata nel tempo. Tale circolare stabilisce, fra l'altro, che «non possono essere autorizzate nomine di funzionari consolari in aggiunta al titolare dell'ufficio consolare onorario». Ciò non toglie, ovviamente, che il Console onorario possa avvalersi di collaboratori che siano già dipendenti della propria attività principale, senza che gli stessi siano ammessi a godere di privilegi o immunità.
  La disciplina in vigore in Italia per i consoli onorari stranieri è analoga a quella prevista per i consoli onorari italiani nel mondo. Per essi, infatti, è previsto che trattandosi di persone estranee all'amministrazione, ai sensi dell'articolo 203 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, quest'ultima sia in posizione di totale estraneità organizzativa della struttura dell'ufficio onorario, che spetta unicamente al suo titolare. Ai funzionari onorari compete quindi ogni valutazione in merito all'opportunità di avvalersi di collaboratori, che saranno in caso assunti, diretti e retribuiti di propria iniziativa e a proprio carico, rimanendo con ciò escluso ogni coinvolgimento del ministero rispetto a tale gestione.
  Si precisa infine che la normativa internazionale alla quale l'Italia si attiene prevede che l’
iter di nomina a console onorario venga aperto direttamente dallo Stato di invio e dalla sede diplomatica che lo rappresenta nello Stato di residenza. In nessun caso il console onorario può corrispondere direttamente con il Ministero degli esteri dello Stato di residenza. Compete dunque alle autorità dello Stato di invio e non a quelle dello Stato di residenza rispondere alle esigenze organizzative che attengano allo svolgimento delle attività del console onorario, ivi compresa la sfera della regolamentazione del lavoro proprio o di suoi collaboratori.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   GALLINELLA, GAGNARLI, L'ABBATE, PARENTELA, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI e LUPO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   dal quanto si apprende da diverse fonti stampa, il Parlamento europeo ha approvato nuove misure per bloccare l'accesso di piante, animali o insetti esotici invasivi nell'Ue oppure per limitare il danno ecologico ed economico causato dalle specie che sono già entrate e si sono diffuse. Il testo dovrà ora essere approvato formalmente del Consiglio;
   le specie invasive causano danni economici stimati in oltre 12 miliardi di euro all'anno nell'Ue dato che la loro diffusione non si ferma ai confini nazionali, la cooperazione tra gli Stati membri è cruciale per affrontare più efficacemente il problema;
   a titolo di esempio si potrebbe portare il caso dell'introduzione della zanzara tigre asiatica (Aedes albopictus), che può diffondere malattie tropicali, entrata nell'Ue attraverso il commercio di pneumatici usati, oppure del Punteruolo rosso delle palme (Rhynchophorus ferrugineus), che sta distruggendo il patrimonio palmizio italiano, introdotto in palme infetta provenienti presumibilmente dal nord africa senza certificato fitosanitario, o ancora il cinipide del castagno (Dryocosmus kuriphilus Yasumatsu) importato dalla Cina attraverso marze infette e che ha messo in ginocchio la castanicoltura italiana, o, infine, il calabrone asiatico che ha devastato gli alveari in Francia ed è stato segnalato in alcune regioni del nord Italia;
   diverse specie non autoctone sono inoltre introdotte nel nostro Paese anche a scopo venatorio, al fine di attuare il ripopolamento delle specie cacciabili. Ciò altera inevitabilmente e spesso in maniera irreversibile la biodiversità del territorio;
   l'atto approvato a Strasburgo richiede agli Stati membri di accertare le vie d'accesso e la diffusione di specie esotiche invasive e di istituire sistemi di sorveglianza e piani di azione che permetterebbero una intensificazione dei controlli alle frontiere;
   per le specie esotiche invasive già diffuse all'interno degli Stati membri, gli stessi dovranno invece elaborare appositi Piani di gestione;
   la lista di piante considerate di «rilevanza per l'Unione» contiene specie esotiche che non possono essere introdotte, trasportate, immesse sul mercato, conservate, cresciute o rilasciate nell'ambiente. Durante i negoziati, il Consiglio ha accettato la richiesta del Parlamento di non limitare l'elenco delle specie esotiche invasive a sole 50 specie come proposto originariamente: questo elenco sarà quindi aperto ed includerà specie prioritarie, quelle che sono un problema emergente e quelle che causano danni più significativi;
   i deputati europei hanno inoltre inserito disposizioni per tener conto di specie esotiche invasive che sono d'interesse per un singolo Stato membro, mentre le specie autoctone di una sola parte dell'Ue dovranno essere prese in considerazione attraverso una maggiore cooperazione regionale tra gli Stati membri, facilitata dalla Commissione;
   gli Stati membri dovranno inoltre delineare adeguate sanzioni contro le violazioni delle nuove regole –:
   quali siano le iniziative che il Governo intende adottare, in attesa della definitiva approvazione della normativa Ue, per bloccare l'accesso di piante, animali o insetti esotici invasivi nell'Ue o per limitare il danno ecologico ed economico causato dalle specie che sono già entrate e si sono diffuse;
   se esistano già programmi per l'accertamento delle vie d'accesso e della diffusione delle specie esotiche invasive, sistemi di sorveglianza, piani di azione e piani di gestione di cui si parla nella misura approvata dal Parlamento europeo;
   se, a tutela della biodiversità nazionale, intenda assumere iniziative volte a vietare ogni ulteriore introduzione per fini venatori di esemplari animali non autoctoni su tutto il territorio nazionale. (4-05256)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, preciso che la tematica evidenziata riguarda una fenomenologia di rilevanza europeistica, ed esattamente alla «proposta di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio recante disposizioni volte a prevenire e a gestire l'introduzione e la diffusione delle specie esotiche invasive» [COM (2013) 620 definitivo], già all'attenzione della IX commissione permanente (agricoltura) del Senato della Repubblica (da ultimo: seduta n. 20 dell'8 ottobre 2013).
  Ciò posto, la materia affrontata risulta riferirsi, seppur in termini di parallelismo tutelare, alla sorveglianza concretamente offerta – sia a livello internazionale che di Unione europea – dalla Convenzione di Washington del 1973 (cosiddetta «Cites») che disciplina il commercio di specie animali e vegetali in via di estinzione, anche mediante il controllo delle importazioni ed esportazioni tra i paesi che vi hanno aderito, assicurando, peraltro, indirettamente, la «sostenibilità qualitativa» dei livelli ecologici delle specie autoctone.
  A tale ultimo riguardo, tengo a precisare che sin dall'entrata in vigore in Italia della Convenzione di Washington, il Corpo forestale dello Stato, in collaborazione con gli altri organismi internazionali (ad esempio Interpol, Europol, eccetera) e in stretto raccordo con gli altri organi nazionali di
enforcement (ad esempio agenzia delle dogane), ha svolto e continua a tutt'oggi a svolgere, numerose attività di controllo e di indagine, presso porti ed aeroporti, oltreché su tutto il territorio nazionale, al fine di garantire la corretta ed efficace applicazione della normativa in materia, prevenendo e contrastando la commissione di condotte illecite.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   SILVIA GIORDANO, BARONI, CECCONI, DALL'OSSO, DI VITA, GRILLO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sarebbe morto per asfissia, in seguito a una procedura di arresto troppo violenta da parte dei carabinieri: Bohli Kayes, l'immigrato tunisino di 35 anni, che ha perso la vita, il 6 giugno 2013, a Riva Ligure, poco dopo la sua cattura, avvenuta al culmine di un'operazione antidroga;
   il referto dell'autopsia, eseguita dalla dottoressa Simona Del Vecchio, responsabile del servizio di medicina legale di Imperia, parla di: «arresto cardiocircolatorio neurogenico, secondario ad un'asfissia violenta da inibizione dell'espansione della gabbia toracica»;
   l'ipotesi che fa il medico legale è che nel momento dell'arresto o del trasporto in auto, dal luogo dell'arresto alla caserma, sia stato in qualche modo impedito a Bohli Kayes di respirare e di espandere la cassa toracica e questo ha determinato, in un individuo che già era in carenza di ossigeno perché proveniva da una violenta colluttazione, un debito di ossigeno notevole questo il commento del procuratore di Sanremo, Roberto Cavallone, titolare delle indagini;
   i tre carabinieri che procedettero all'arresto di Kayes rimangono indagati per omicidio colposo;
   a detta del procuratore di Sanremo, Roberto Cavallaro, in questa vicenda c’è una grossa responsabilità delle istituzioni dello Stato per la morte di questo cittadino tunisino, perché al di là di quello che poteva aver commesso, la vita è sacra e quando un cittadino, italiano o straniero, è nella disponibilità delle istituzioni, la sua integrità fisica deve essere assolutamente tutelata;
   il consolato tunisino in Italia ha chiesto copia del referto medico –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato per quanto di competenza, in merito ai fatti citati in premessa;
   quali iniziative intenda intraprendere affinché come affermato dal Procuratore di Sanremo Roberto Cavallaro, sia garantita e tutelata l'integrità fisica di qualsiasi cittadino italiano o straniero, che sia nelle disponibilità delle istituzioni. (4-01683)

  Risposta. — La sera del 5 giugno 2013, in Riva Ligure, personale in servizio presso la stazione carabinieri di Santo Stefano al Mare ha tratto in arresto un tunisino di 36 anni, trovato in possesso di un involucro contenente circa 100 grammi di sostanza stupefacente.
  Durante le fasi del suo accompagnamento presso la sede della menzionata fazione, l'arrestato ha accusato un malore ed è, purtroppo, deceduto nonostante l'intervento di personale del «118».
  Successivamente, è stato effettuato l'esame autoptico, il cui esito è stato reso noto dal procuratore della Repubblica di Sanremo nel corso di una conferenza stampa che ha avuto luogo il 6 agosto 2013.
  Lo stesso procuratore ha dichiarato che il decesso del tunisino è attribuibile a un «arresto cardiocircolatorio neurogenico secondario ad asfissia violenta da inibizione dell'espansione della gabbia toracica».
  L'autorità inquirente ha, pertanto, instaurato un procedimento penale per
omicidio colposo a carico dei tre militari che hanno proceduto all'arresto.
  Le indagini preliminari si sono concluse con la richiesta, da parte della procura della Repubblica presso il tribunale di Imperia, di rinvio a giudizio, accolta dal giudice per l'udienza preliminare del tribunale d'Imperia che ha fissato l'udienza preliminare il prossimo 28 novembre.
  In attesa della definizione del procedimento penale, i militari sono stati trasferiti presso altri reparti.
  Riguardo, poi, alle iniziative da porre in essere per salvaguardare l'integrità fisica «di qualsiasi cittadino italiano o straniero, che sia nelle disponibilità delle istituzioni», già da tempo, le forze di polizia investono cospicue risorse nell'addestramento e nella formazione del proprio personale, al fine di fronteggiare al meglio quelle situazioni nelle quali potrebbe essere messa in pericolo l'incolumità del reo e/o, più in generale, la salute pubblica, evitando che possano in futuro verificarsi simili eventi.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   LAFFRANCO, FABRIZIO DI STEFANO, MILANATO e FAENZI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   gli allevamenti italiani di suini, presenti prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna, sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti e offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che, dietro questo sistema, ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   l'usurpazione del made in Italy minaccia la solidità e provoca gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa;
   il Codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
   la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione ed arreca danno al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale –:
   quali direttive intenda impartire all'Autorità di controllo e, in particolare, al Corpo forestale dello Stato, per applicare la definizione precisa dell'effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis della legge 24 dicembre 2003, n. 350, sulla tutela del made in Italy. (4-02742)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in oggetto, concernente l'indicazione dell'effettiva origine degli alimenti al fine di tutelare il Made in Italy nel settore agroalimentare, evidenzio quanto segue.
  La conoscenza del Paese di origine o del luogo di provenienza di un prodotto agroalimentare rappresenta, al pari della sicurezza igienico-sanitaria, un requisito imprescindibile per l'orientamento all'acquisto dei consumatori, a garanzia del diritto all'informazione e della possibilità di compiere scelte consapevoli.
  Per altro, la tutela dell'identità territoriale dei prodotti alimentari, soprattutto per il nostro Paese, si pone come fattore strategico in virtù della riconosciuta capacità di trasformazione degli alimenti in prodotti di eccellenza ricercati in tutto il mondo e alla luce di una diffusa e ormai nota pratica contraffattiva, che rappresenta un danno ingente al potenziale economico, ambientale, culturale e sociale del settore.
  Tenendo ben presenti tali considerazioni, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha sempre fortemente sostenuto, in sede europea, l'indicazione obbligatoria del Paese d'origine o del luogo di provenienza dei prodotti, concertando la posizione negoziale con il Dicastero della salute, al fine di difendere la competitività della produzione italiana sui mercati internazionali ed esteri e il diritto dei consumatori alla trasparenza delle informazioni sulla tracciabilità.
  Infatti, anche grazie al sostegno del nostro Paese, il 13 dicembre 2013 è stato emanato il regolamento di esecuzione della Commissione n. 1337 del 2013 che, oltre a stabilire i criteri di etichettatura per gli operatori del settore alimentare delle carni fresche, refrigerate o congelate di suino, ovino, caprino e di volatili, destinate alla commercializzazione, introduce la prescrizione relativa all'indicazione del Paese d'origine o luogo di provenienza ove gli animali sono stati allevati e macellati.
  Occorre tuttavia far presente che il Parlamento europeo, con risoluzione del 6 febbraio 2014, ha invitato la Commissione a ritirare il predetto regolamento di esecuzione e a redigerne una versione riveduta che preveda l'indicazione obbligatoria, sull'etichetta, del luogo di nascita nonché dei luoghi di allevamento e di macellazione dell'animale per le carni non trasformate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili, in conformità della legislazione vigente in materia di etichettatura di origine delle carni bovine (regolamento CE n. 1760 del 2000 – Titolo II).
  In ogni caso, la modifica al quadro normativo europeo di riferimento rappresenta un eccellente risultato per i consumatori, cui garantisce una maggiore conoscibilità dei prodotti attraverso le informazioni in etichetta, ma anche un importante passo avanti in favore delle più efficaci azioni che possono essere attuate a tutela del Made in Italy.
  Invero, le variazioni apportate al testo originario proposto dalla Commissione (tra le quali il raddoppio del periodo minimo di allevamento per poter indicare in etichetta il Paese di allevamento dell'animale) hanno consentito di fare maggiore chiarezza sulle procedure da seguire per l'apposizione delle diciture in etichetta (anche per la carne suina, nelle varie fasi di commercializzazione) e di fornire al consumatore valide informazioni circa la realtà produttiva.
  Il predetto regolamento di esecuzione (che si applicherà dal 1o aprile 2015), oltre a concedere di integrare, su base volontaria e nel rispetto degli articoli 36 e 37 del regolamento n. 1169 del 2011, le informazioni sull'origine con ulteriori informazioni relative alla provenienza della carne (tra cui, un livello geografico più dettagliato), consente di utilizzare il termine «origine» solo nel caso di animali nati, allevati e macellati nello stesso Paese e dispone che l'indicazione del luogo di provenienza delle carni avvenga nel seguente modo:
   per tutte le specie: l'indicazione «ORIGINE ITALIA» può essere utilizzata solo se l'animale è nato, allevato e macellato in Italia;
   per gli ovini e i caprini: l'indicazione «ALLEVATO IN ITALIA» può essere utilizzata solo se l'animale ha trascorso almeno gli ultimi 6 mesi in Italia ovvero viene macellato sotto i 6 mesi ed ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia;
   per il pollame; l'indicazione «ALLEVATO IN ITALIA» può essere utilizzata solo se l'animale ha trascorso almeno l'ultimo mese in Italia, ovvero viene macellato sotto 1 mese di età ed ha trascorso l'intero periodo di ingrasso in Italia;
   per i suini: l'indicazione «ALLEVATO IN ITALIA» può essere utilizzata solo se l'animale viene macellato sopra i 6 mesi e ha trascorso almeno gli ultimi 4 mesi in Italia; se è entrato in Italia ad un peso inferiore ai 30 chilogrammi macellato ad un peso superiore agli 80 chilogrammi e, infine, se l'animale viene macellato ad un peso inferiore agli 80 chilogrammi e ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia.

  È bene tuttavia ricordare che, a livello nazionale, oltre il 70 per cento dell'intera produzione suinicola italiana già produce carne rispetto delle disposizioni dei disciplinari delle denominazioni di origine protetta (DOP) e delle indicazioni geografiche protette (IGP).
  In particolare, i disciplinari dei prodotti della salumeria DOP e IGP italiani, approvati a livello europeo, impongono che i suini appartengano a determinate razze appositamente selezionate, vengano allevati in condizioni di benessere e secondo un programma alimentare studiato per le diverse fasi di allevamento. Peraltro, gli allevatori e i macelli aderenti ai circuiti delle produzioni DOP ed IGP sono controllati da istituti, pubblici o privati, designati dal Ministero, che monitorano la certificazione dei capi suini destinati alla trasformazione in prodotti DOP e IGP, le movimentazioni degli animali verso altri allevamenti e/o macelli nonché le fasi di macellazione, trasformazione ed eventuale confezionamento.
  Peraltro, il circuito di questi prodotti di qualità include un insieme di operatori iscritti ad un sistema organizzato e controllato della produzione. In pratica, la provenienza della materia prima utilizzata viene tracciata seguendo il seguente percorso; allevamento in cui è nato il suino; allevamento che lo ha avviato al macello, macello; laboratorio di sezionamento e trasformazione.
  In ogni caso, è certo che la sicurezza e la qualità degli alimenti possono essere maggiormente garantite attraverso un elevato livello di collaborazione e coordinamento tra diverse amministrazioni. Tale principio è ben consolidato e su di esso si fonda la normativa europea vigente in materia. In particolare, il regolamento n. 882 del 2004 prevede che ciascun Paese membro predisponga un Piano di controllo nazionale che assicuri un approccio multidisciplinare per la pianificazione, lo svolgimento e la rendicontazione dei controlli ufficiali.
  A tal fine, il Ministero della salute è il punto di raccordo nazionale per il Piano Nazionale Integrato (PNT) che nasce dall'intensa e proficua collaborazione con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministero dell'ambiente, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, i Nuclei del comando dei Carabinieri (NAS, NAC e NOE), le Capitanerie di porto, il Corpo forestale dello Stato e la Guardia di finanza. Sia il PNI 2011-2014 che le relazioni annuali (ove sono raccolti i dati delle attività svolte dalle citate amministrazioni), sono pubblicati sul portale del Ministero della salute.
  A tal riguardo, mi preme sottolineare l'intensa attività di controllo espletata dal Corpo forestale dello Stato sul territorio nazionale, finalizzata al contrasto del fenomeno del falso Made in Italy e del cosiddetto italian sounding, ossia l'utilizzo fuorviante, sull'imballaggio dei prodotti agroalimentari, di etichette o simboli che esaltino l'italianità dei luoghi d'origine della materia prima, della ricetta e del marchio.
  Nel corso del 2013, in particolare, il Corpo forestale dello Stato ha posto in essere un'attività sanzionatoria contro il falso Made in Italy a tutela sia dei consumatori, che dei produttori onesti, penalizzati da una concorrenza sleale nel libero scambio delle proprie merci all'interno dall'unione. I controlli eseguiti, oltre a costituire un efficace monitoraggio del Made in Italy agroalimentare, hanno consentito il sequestro di circa 600 tonnellate di prodotti e la comunicazione di oltre 170 notizie di reato alla procura della Repubblica italiana, assicurando la repressione di tutte quelle condotte penalmente rilevanti che si siano poste in evidente contrasto con il leale svolgimento degli scambi commerciali e con la trasparenza informativa nei riguardi del consumatore.
  Vorrei poi ricordare che l'articolo 3 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, nell'intento di fornire, tra l'altro, maggiore tutela all'identità territoriale dei prodotti alimentari, prevede che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali svolga una consultazione pubblica tra i consumatori per valutare in quale misura, nelle informazioni relative ai prodotti alimentari, venga percepita come significativa l'indicazione relativa al luogo di origine o di provenienza dei prodotti alimentari e della materia prima agricola utilizzata nella preparazione o nella produzione degli stessi e quando l'omissione delle medesime indicazioni sia ritenuta ingannevole. I risultati delle consultazioni effettuate saranno resi pubblici e trasmessi alla Commissione europea.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   LATRONICO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   le copiose e violente precipitazioni che in questi giorni si stanno abbattendo in Basilicata e Puglia stanno provocando gravi danni all'agricoltura, colpendo aree agricole, numerosi allevamenti zootecnici, strade rurali e la viabilità interpoderale;
   i nubifragi hanno aggravato in maniera significativa il già delicato e precario equilibrio idrogeologico del territorio, contribuendo ad acuire il rischio di dissesto idrogeologico di aree in precedenza classificate ad alto rischio e per le quali sono stati programmati interventi di messa in sicurezza, purtroppo mai avviati per la mancanza di risorse finanziarie adeguate;
   le organizzazioni sindacali territoriali e professionali della Basilicata sono impegnate a monitorare la situazione per verificare la possibilità di attivare le misure previste in caso di calamità nelle zone più colpite;
   il metapontino è una delle aree a vocazione agricola più importante non solo della Basilicata ma del Paese, dove si pratica una agricoltura di qualità e di eccellenza con produzioni rinomate che vedono impegnate aziende importanti che danno occupazione;
   questi ulteriori avvenimenti calamitosi non fanno che aggravare le condizioni in cui operano le tantissime aziende agricole che si sono già esposte con le banche e sono a rischio cessazione dell'attività –:
   se il Ministro non ritenga di doversi attivare con la massima sollecitudine per dotare di adeguati finanziamenti l'opera di risanamento del territorio, delle infrastrutture e delle attività produttive;
   se si intenda predisporre un articolato piano di gestione del rischio agricolo contro le avversità atmosferiche al fine di stabilizzare il reddito delle aziende agricole e di sfruttare pienamente le misure previste nel nuovo regolamento sullo sviluppo rurale 2014-2020. (4-05238)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione indicata in oggetto, specifico quanto segue.
  In via preliminare evidenzio che, gli interventi compensativi
ex post del Fondo di solidarietà nazionale per il sostegno alle imprese agricole colpite da avversità atmosferiche eccezionali, saranno attivati solo nel caso in cui le avversità e le colture colpite non siano comprese nel piano assicurativo annuale per la copertura dei rischi con polizze assicurative agevolate.
  Infatti, il decreto legislativo n. 102 del 2004, nel testo modificato dal decreto legislativo n. 82 del 2008, stabilisce che per i danni assicurabili con polizze agevolate non sono attivabili gli interventi compensativi del fondo.
  Ciò posto, si tenga presente che gli agricoltori hanno comunque a disposizione la possibilità di stipulare polizze assicurative agevolate per le quali è assicurato un sostegno pubblico fino al 80 per cento delle tariffe, garantito da fondi comunitari e nazionali.
  Rilevo, altresì, che un'ulteriore condizione per l'attivazione degli interventi compensativi
ex post, è la presenza di una incidenza di danno sulla produzione lorda vendibile superiore al 30 per cento.
  A tal proposito, colgo l'occasione per informare interrogante che ai sensi della vigente normativa, a favore delle aziende agricole danneggiate possono essere concessi i seguenti aiuti:
   contributi in conto capitale fino all'80 per cento del danno sulla produzione lorda vendibile ordinaria;
   prestiti ad ammortamento quinquennale per le maggiori esigenze di conduzione aziendale nell'anno in cui si è verificato l'evento ed in quello successivo;
   proroga delle rate delle operazioni di credito in scadenza nell'anno in cui si è verificato l'evento calamitoso;
   contributi in conto capitale per il ripristino delle strutture aziendali e la ricostituzione delle scorte eventualmente compromesse o distrutte;
   compatibilmente con le esigenze primarie delle imprese agricole, potranno essere adottate anche misure tese a ripristinare le infrastrutture connesse all'attività in parola, tra cui quelle irrigue e di bonifica, con onere della spesa a carico del fondo di solidarietà nazionale.

  A tale proposito, faccio presente che ad oggi non risulta pervenuta presso i competenti uffici del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali alcuna richiesta formale d'intervento, ma posso assicurare che il Ministero delle politiche europee alimentari e forestali provvederà all'istruttoria di competenza per l'emissione dei decreti di declaratoria, qualora perverranno eventuali proposte regionali nei termini e con le modalità prescritte dal decreto legislativo n. 102 del 2004, così come modificato dal decreto legislativo n. 82 del 2008.
  Per quanto precede, credo sia utile riflettere sull'opportunità di attuare ulteriori strumenti di intervento come, ad esempio, le assicurazioni agevolate, che verosimilmente risulterebbero più adeguate per fronteggiare calamità naturali come quella segnalata dall'interrogante.
  Sul punto, rilevo, infine che, nell'ambito della programmazione comunitaria 2014- 2020, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali risulta impegnato a predisporre un programma nazionale di sviluppo rurale nel quale è prevista un'apposita misura, gestione dei rischi, finalizzata ad incentivare l'adozione da parte degli agricoltori degli strumenti
ex ante, come l'assicurazione o i fondi di mutualità, sicuramente più adeguati a rispondere alle necessità delle imprese colpite da eventi eccezionali come quello segnalato, rispetto a tradizionali strumenti compensativi ex post.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   MATARRESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la provincia di Bari, nei giorni compresi tra il 14 e il 17 giugno 2014, è stata duramente colpita da un violento nubifragio. In particolare, il territorio pugliese è stato interessato da forti ed abbondanti precipitazioni con rilevanti e pericolose grandinate, con chicchi dal diametro di 3-4 centimetri che hanno messo in pericolo di vita gli automobilisti o chi percorreva la strada a piedi, che hanno causato danni ai settori dell'agricoltura, della viabilità, dell'edilizia pubblica e privata, delle infrastrutture, delle reti idriche e fognarie e che hanno determinato smottamenti e fenomeni di dissesto idrogeologico;
   l'intensità delle precipitazioni ha causato cedimenti di alcuni manti stradali, allagamenti, frane e smottamenti, caduta di alberi, danni alle automobili, accumulo di detriti ingombranti con conseguenti blocchi delle strade, danni strutturali alle imprese del territorio, soprattutto quelle agricole, danneggiamenti delle infrastrutture stradali con conseguenti blocchi alla circolazione veicolare e relativa compromissione della pubblica incolumità;
   secondo la Coldiretti Puglia, pioggia, grandine e vento avrebbero danneggiato in maniera irreparabile vigneti, uliveti e frutteti, compromettendo i raccolti;
   i comuni maggiormente colpiti da questi fenomeni metereologici avversi sono Acquaviva delle Fonti, Bitetto, Sannicandro di Bari, Adelfia, Bitritto, Grumo Appula, Palo del colle, Binetto, Cesano delle Murge, Modugno e Bitonto;
    i sindaci dei predetti comuni e le associazioni di categoria hanno inviato una missiva ai rappresentanti del Governo, del Parlamento, della regione Puglia e dei partiti richiedendo la risoluzione della problematica, sia dal punto di vista della prevenzione che dal punto di vista dell'indennizzo dei danni subiti –:
   se non si intenda dichiarare lo stato di calamità naturale per i terreni agricoli dei comuni della provincia di Bari colpiti dai violenti e pericolosi nubifragi di questi giorni;
   se il Governo non intenda assumere iniziative per attivare misure specifiche dirette ad indennizzare gli agricoltori che hanno subito la distruzione delle colture;
   se non si intendano assumere iniziative anche normative per concedere, ai sensi della normativa vigente, a favore delle aziende agricole danneggiate i seguenti aiuti: contributi in conto capitale fino all'80 per cento del danno sulla produzione lorda vendibile ordinaria; prestiti ad ammortamento quinquennale per le maggiori esigenze di conduzione aziendale nell'anno in cui si è verificato l'evento ed in quello successivo; proroga delle rate delle operazioni di credito in scadenza nell'anno in cui si è verificato l'evento atmosferico calamitoso;
   se non ritenga di considerare l'opportunità di far fronte a lavori urgenti di prevenzione, di mitigazione del rischio e di messa in sicurezza dei territori che hanno subito danni causati da fenomeni di dissesto idrogeologico utilizzando le risorse previste dal comma 111 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2014, legge 27 dicembre 2013, n. 147, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 302 del 27 dicembre 2013. (4-05280)

  Risposta. — In via preliminare evidenzio che, gli interventi compensativi ex post del fondo di solidarietà nazionale per il sostegno alle imprese agricole colpite da avversità atmosferiche eccezionali, saranno attivati solo nel caso in cui le avversità e le colture colpite non siano comprese nel piano assicurativo annuale per la copertura dei rischi con polizze assicurative agevolate.
  Infatti, il decreto legislativo n. 102 del 2004, nel testo modificato dal decreto legislativo n. 82 del 2008, stabilisce che per i danni assicurabili con polizze agevolate non sono attivabili gli interventi compensativi del fondo.
  Ciò posto, si tenga presente che gli agricoltori hanno comunque a disposizione la possibilità di stipulare polizze assicurative agevolate per le quali è assicurato un sostegno pubblico fino al 80 per cento delle tariffe, garantito da fondi comunitari e nazionali.
  Rilevo, altresì, che un'ulteriore condizione per l'attivazione degli interventi compensativi
ex post, è la presenza di una incidenza di danno sulla produzione lorda vendibile superiore al 30 per cento.
  A tal proposito, colgo l'occasione per informare l'interrogante che ai sensi della vigente normativa, a favore delle aziende danneggiate possono essere concessi i seguenti aiuti:
   contributi in conto capitale fino all'80 per cento del danno sulla produzione lorda vendibile ordinaria;
   prestiti ad ammortamento quinquennale per le maggiori esigenze di conduzione aziendale nell'anno in cui si è verificato l'evento ed in quello successivo;
   proroga delle rate delle operazioni di credito in scadenza nell'anno in cui si è verificato l'evento calamitoso;
   contributi in conto capitale per il ripristino delle strutture aziendali e la ricostituzione delle scorte eventualmente compromesse o distrutte;

  Compatibilmente con le esigenze primarie delle imprese agricole, potranno essere adottate anche misure tese a ripristinare le infrastrutture connesse all'attività in parola, tra cui quelle irrigue e di bonifica, con onere della spesa a carico del fondo di solidarietà nazionale.
  A tale proposito, faccio presente che ad oggi non risulta pervenuta presso i competenti uffici del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali alcuna richiesta formale d'intervento, ma posso assicurare che questo Ministero provvederà all'istruttoria di competenza per l'emissione dei decreti di declaratoria, qualora perverranno eventuali proposte regionali nei termini e con le modalità prescritte dal decreto legislativo n. 102 del 2004, così come modificato dal decreto legislativo n. 82 del 2008.
  Per quanto precede, credo sia utile riflettere sull'opportunità di attuare ulteriori strumenti di intervento come, ad esempio, le assicurazioni agevolate, che verosimilmente risulterebbero più adeguate per fronteggiare calamità naturali come quella segnalata dall'interrogante.
  Sul punto, rilevo, infine che, nell'ambito della programmazione comunitaria 2014 - 2020, il Ministero risulta impegnato a predisporre un programma nazionale di sviluppo rurale nel quale è prevista un'apposita misura, gestione dei rischi, finalizzata ad incentivare l'adozione da parte degli agricoltori degli strumenti
ex ante, come l'assicurazione o i fondi di mutualità, sicuramente più adeguati a rispondere alle necessità delle imprese colpite da eventi eccezionali come quello segnalato, rispetto a tradizionali strumenti compensativi ex post.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   NARDUOLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   tra la fine di aprile ed i primi di maggio più di una ventina di comuni del Veneto meridionale all'incrocio tra le province di Padova, Rovigo, Verona e Vicenza (la regione ne ha individuato esattamente 22) sono stati interessati da eccezionali precipitazioni piovose;
   solo dal 27 al 30 aprile (le precipitazioni sono poi continuate intervallate da qualche giorno di tregua) in questa zona sono caduti mediamente 300 millimetri di pioggia, mentre in condizioni normali in un anno cadono complessivamente circa 850 millimetri di pioggia;
   comuni come Este, Montagnana, Solesino, Sant'Elena, Villa Estense, Granze, Stanghella, Anguillara Veneta, Megliadino San Vitale, Santa Margherita d'Adige, Piacenza d'Adige, Ponso, Merlara – solo per citarne alcuni – sono stati letteralmente «allagati» e in alcuni di essi è stato indispensabile l'intervento della protezione civile per liberare alcune abitazioni o raggiungere zone rimaste isolate e non raggiungibili con i normali mezzi;
   questa zona è stata già parzialmente colpita dai vasti allagamenti di fine gennaio ed inizio febbraio, e le più recenti esondazioni sono state provocate – oltre che dall'eccezionalità delle precipitazioni – anche dall'impossibilità da parte dei consorzi di bonifica di svolgere la normale attività di «pompaggio» con le idrovore, riversando l'acqua principalmente nel fiume Fratta-Gorzone, che in queste condizioni non è più in grado di assorbire l'acqua dei canali secondari e terziari senza mettere a repentaglio la sicurezza degli argini;
   il territorio interessato (circa duemila ettari) è coltivato con diverse colture che vanno dai cereali (mais, frumento, soia, eccetera), a frutta (mele, pere e pesche), orticoltura di qualità come pomodori e zucchine oltre alla barbabietola da zucchero;
   le precipitazioni eccezionali e l'esondazione dei canali hanno letteralmente trasformato in «lagune» grandi estensioni di terreno agricolo per più di una decina di giorni e le eccezionali grandinate avvenute negli stessi giorni hanno messo a rischio il raccolto di vigneti (zona doc Merlara) e frutteti, provocando ingentissimi danni alle aziende agricole e, di conseguenza, a centinaia di famiglie che vivono di questa economia;
   le associazioni dei coltivatori stimano in almeno due milioni di euro i danni provocati da quest'ultima alluvione e si parla solo dei terreni coltivati a seminativo –:
   se il Ministro sia a completa conoscenza dei danni provocati dagli eventi alluvionali di fine aprile ed inizio maggio e quali iniziative straordinarie sotto il profilo finanziario intenda assumere, per quanto di competenza, per un rimborso degli enormi danni subiti in particolare dagli agricoltori e dagli allevatori della zona. (4-04766)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione indicata in oggetto, specifico quanto segue.
  In via preliminare evidenzio che, gli interventi compensativi
ex post del Fondo di solidarietà nazionale per il sostegno alle imprese agricole colpite da avversità atmosferiche eccezionali, saranno attivati solo nel caso in cui le avversità e le colture colpite non siano comprese nel piano assicurativo annuale per la copertura dei rischi con polizze assicurative agevolate.
  Infatti, il decreto legislativo n. 102 del 2004, nel testo modificato dal decreto legislativo n. 82 del 2008, stabilisce che per i danni assicurabili con polizze agevolate non sono attivabili gli interventi compensativi del Fondo.
  Ciò posto, si tenga presente che gli agricoltori hanno comunque a disposizione la possibilità di stipulare polizze assicurative agevolate per le quali è assicurato un sostegno pubblico fino al 80 per cento delle tariffe, garantito da fondi comunitari e nazionali.
  Rilevo, altresì, che un'ulteriore condizione per l'attivazione degli interventi compensativi
ex post, è la presenza di una incidenza di danno sulla produzione lorda vendibile superiore al 30 per cento.
  A tal proposito, colgo l'occasione per informare l'interrogante che ai sensi della vigente normativa, a favore delle aziende danneggiate possono essere concessi i seguenti aiuti:
   contributi in conto capitale fino all'80 per cento del danno sulla produzione lorda vendibile ordinaria;
   prestiti ad ammortamento quinquennale per le maggiori esigenze di conduzione aziendale nell'anno in cui si è verificato l'evento ed in quello successivo;
   proroga delle rate delle operazioni di credito in scadenza nell'anno in cui si è verificato l'evento calamitoso;
   contributi in conto capitale per il ripristino delle strutture aziendali e la ricostituzione delle scorte eventualmente compromesse o distrutte;

  Compatibilmente con le esigenze primarie delle imprese agricole, potranno essere adottate anche misure tese a ripristinare le infrastrutture connesse all'attività in parola, tra cui quelle irrigue e di bonifica, con onere della spesa a carico del Fondo di solidarietà nazionale.
  Ciò premesso, faccio presente che la pertinente domanda presentata dalla regione Veneto è stata già istruita dagli uffici del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, secondo le modalità prescritte dal decreto legislativo n. 102 del 2004, così come modificato dal decreto legislativo n. 82 del 2008, e l'emissione del relativo decreto di declaratoria è in fase di perfezionamento.
  In ogni caso, ritengo sia utile riflettere sull'opportunità di attuare ulteriori strumenti di intervento come, ad esempio, le assicurazioni agevolate che, verosimilmente, risulterebbero più adeguate per fronteggiare calamità naturali come quella segnalata dall'interrogante.
  Sul punto, rilevo, infine che, nell'ambito della programmazione comunitaria 2014- 2020, il Ministero è impegnato a predisporre un programma nazionale di sviluppo rurale nel quale è prevista un'apposita misura, gestione dei rischi, finalizzata ad incentivare l'adozione da parte degli agricoltori degli strumenti
ex ante, come l'assicurazione o i fondi di mutualità, sicuramente più adeguati a rispondere alle necessità delle imprese colpite da eventi eccezionali come quello segnalato, rispetto a tradizionali strumenti compensativi ex post.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Gazzetta del Sud del 31 marzo 2014 riporta che in località Trentacapilli, nel comune di Pizzo, territorio ad alta valenza agricola, i residenti da qualche settimana sono particolarmente preoccupati dalla presenza di branchi di cinghiali che si avvicinano fino alle zone periferiche dell'abitato che stanno causando ingenti danni alle colture agricole e agli allevamenti di animali da pascolo;
   terreni coltivati con grande cura sono fatti oggetto di una continua devastazione con grande sconforto dei proprietari, le cui lamentele e denunce sono cadute nel vuoto;
   molte sono state le segnalazioni inviate al dipartimento caccia e forestazione della provincia, anche se a tutt'oggi non risultano avere avuto effetti positivi;
   i danni arrecati all'agricoltura dalla fauna selvatica negli anni hanno raggiunto notevoli dimensioni impattando negativamente sulle attività economiche delle imprese agricole e zootecniche;
   la fauna selvatica, e in particolare i cinghiali, in queste comunità risulta notevolmente diffusa determinando un pericolo non solo per gli equilibri dell'ecosistema, ma anche per la popolazione che vede pregiudicata la propria tranquillità;
   l'adozione dei necessari ed adeguati provvedimenti eviterebbe anche la possibilità che si manifestino tra i proprietari episodi anche violenti guidati solo dalla rabbia –:
   se il Ministro interrogato, per quanto di competenza, intenda adottare al più presto adeguate iniziative anche normative volte a prevedere indennizzi per il danno subito dagli agricoltori e dagli allevatori in casi come quelli di cui in premessa, interessati da tale problematica, in considerazione anche del fatto che molte famiglie traggono la loro unica fonte di sostentamento dalla coltivazione dei terreni e dall'allevamento del bestiame;
   se i fatti esposti in premessa non consiglino l'opportunità di promuovere iniziative per quanto di competenza tese ad offrire garanzie di sicurezza ai cittadini e di salvaguardia delle attività economiche del settore agricolo e zootecnico, garantendo un giusto equilibrio tra la presenza della fauna selvatica protetta e quella degli allevatori che attraverso la loro opera sostengono le proprie famiglie e conservano e valorizzano il territorio. (4-04642)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in oggetto, faccio presente che il problema dei crescenti danni all'agricoltura causati dalla fauna selvatica e dagli ungulati selvatici è un argomento più volte affrontato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali di concerto con i rappresentati delle regioni, nel corso di tavoli tecnici in cui sono state definite le priorità per un necessario aggiornamento del quadro normativo.
  In tal senso, questo Ministero con decreto ministeriale n. 7445 del 4 aprile 2014, ha istituito un Tavolo di confronto con il compito di esaminare le principali criticità della legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante «norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio».
  Difatti, la prima riunione si è tenuta il 13 maggio 2014, presso la sede del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, a cui hanno partecipato anche rappresentanti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero dell'interno e corpo forestale dello Stato.
  Nel corso della riunione tecnica sono state valutate, anche con l'ausilio tecnico- scientifico dell'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), delle ipotesi di modifiche della succitata legge, al fine di superare le rilevate criticità, con riferimento, in particolare ai periodi e alle modalità di prelievo in selezione nonché alla gestione venatoria del cinghiale.
  La criticità della suddetta legge è stata, poi, affrontata nella seconda riunione del tavolo di confronto, il 2 luglio scorso, nel corso della quale è stata definita ed approvata una proposta di modifica della stessa, con riferimento alla gestione venatoria degli ungulati selvatici, circa i periodi e le modalità di prelievo in selezione, modalità di gestione venatoria del cinghiale e gestione delle specie alloctone.
  Riferisco inoltre, che relativamente ad alcune delle precitate problematiche si è fornita adeguata soluzione con il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116. In particolare quella della gestione delle specie alloctone e quella del prelievo in selezione degli ungulati sui terreni coperti in tutto o nella maggior parte di neve.
  Pertanto, è in corso di predisposizione una bozza di decreto e di una dettagliata relazione illustrativa da trasmettere per il parere alla conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome.
  Per quanto concerne, invece, l'applicazione di misure finanziarie compensative dei danni causati agli agricoltori dalla fauna selvatica, faccio presente che attualmente, nell'ambito del regolamento per lo sviluppo rurale, tale tipologia di intervento non è prevista.
  Invero, nell'ambito delle trattative sulla riforma degli orientamenti sugli aiuti di Stato in agricoltura, la Commissione europea ha mostrato un'apertura verso la possibilità che gli Stati membri concedano aiuti volti a compensare i danni subiti da fauna selvatica protetta.
  In proposito, segnalo che la delegazione italiana ha chiesto che questa tipologia di aiuti venga consentita in relazione ai danni causati da tutta la fauna selvatica e non soltanto dalla fauna selvatica protetta. Il negoziato è tutt'ora aperto e dovrebbe chiudersi nell'anno in corso.
  Riferisco, infine, che l'attività di accertamento, valutazione ed eventuale risarcimento dei danni provocati da fauna selvatica ivi compresi i cinghiali, come anche i piani di abbattimento, rientra nei compiti trasferiti alle regioni dalla normativa vigente in materia e non vedono alcun coinvolgimento tecnico-operativo del corpo forestale dello Stato.
  Preciso, infine che il corpo forestale dello Stato svolge esclusivamente attività di vigilanza nel rispetto delle eventuali prescrizioni contenute nei piani di contenimento delle singole specie.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   PANNARALE, DURANTI, FRATOIANNI, ZAN e ZARATTI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Parco nazionale dell'Alta Murgia, area naturale protetta situata in Puglia, nelle province di Bari e di Barletta, Andria e Trani, è stato istituito con decreto del Presidente della Repubblica del 10 marzo 2004 («istituzione del Parco nazionale dell'Alta Murgia»);
   tale parco, è un ente autonomo regolato dalla legge n. 394 del 1991 (gli organi del parco sono: il consiglio direttivo, la giunta esecutiva, il collegio dei revisori dei conti, la comunità del parco);
   nel gennaio 1993, i comuni interessati deliberano la propria adesione al progetto di istituzione del parco — Altamura, Andria, Bitonto, Cassano delle Murge, Corato, Gravina in Puglia, Grumo Appula, Minervino Murge, Poggiorsini, Ruvo di Puglia, Santeramo in Colle, Spinazzola, Toritto — per un totale di oltre 450.000 abitanti;
   il 14 ottobre 1993 la conferenza dei servizi costituisce un comitato tecnico che dovrà elaborare una proposta di perimetrazione e le relative norme provvisorie di salvaguardia;
   il 24 novembre 1993 la suddetta conferenza dei servizi approva all'unanimità la proposta di perimetrazione del comitato tecnico e avvia l’iter amministrativo per l'istituzione del parco;
   nel marzo 1997 si approva la legge quadro regionale sulle aree protette pugliesi (legge regionale n. 19 del 1997) nella quale si prevede l'istituzione del parco regionale dell'Alta Murgia;
   nel dicembre 1998 la Camera dei deputati approva in via definitiva il disegno di legge «Nuovi interventi in campo ambientale» (legge n. 426 del 1998) che prevede l'istituzione del parco nazionale dell'Alta Murgia;
   nel 1999 viene presentata la bozza di perimetrazione del parco nazionale dell'Alta Murgia elaborata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   l'11 novembre 2002 viene sancito l'accordo preliminare tra i comuni interessati, la regione Puglia e il Ministero per la perimetrazione e per le norme transitorie di salvaguardia;
   nel 2003 la regione Puglia approva definitivamente con delibera di giunta regionale la perimetrazione del Parco;
   il parco ha un'estensione di circa 68.077 ettari, suddivisa in tre zone a tutela differenziata così ripartite: zona 1 — di rilevante interesse naturalistico, paesaggistico e storico-culturale, caratterizzata da prevalente paesaggio «steppico» e rupicolo; zona 2 — di valore naturalistico, paesaggistico e storico culturale, caratterizzata da prevalente paesaggio agricolo; zona 3 — di connessione ecologica e di promozione di attività economiche compatibili con le finalità del parco. In tale zona sono comprese le aree interessate da accordi di programma, ai sensi delle norme regionali in materia;
   l'area ha sia una forte valenza paesaggistica grazie alla presenza di fenomeni carsici che hanno modellato il calcare della zona rendendo possibili originali architetture rurali, sia un rilevante valore culturale per la presenza di numerose testimonianze preistoriche come il prezioso ritrovamento dell'Uomo di Altamura;
   la sorveglianza del parco è affidata al Corpo forestale dello Stato, organizzato nel coordinamento territoriale per l'ambiente cui fanno capo 3 comandi stazione forestali;
   flora e fauna sono costantemente monitorati. Di tutta l'area dell'Alta Murgia, 11.000 ettari sono costituiti da residui di bosco ad alto fusto (ivi compresi impianti artificiali di conifere) e ceduo. La fascia delle steppe a stipa, presente ad un'altitudine di circa 500 metri, caratterizza la Murgia Alta e rappresenta l'ultimo esempio di pseudo-steppa mediterranea presente nell'Italia peninsulare ed uno dei più importanti del Mediterraneo. Accertata la presenza di donnole, faine, lepri, roditori, volpi e, dopo la reintroduzione di alcune coppie di cinghiali che si sono rapidamente moltiplicati, si è potuto assistere al riaffacciarsi di lupi generalmente provenienti dalla vicina Lucania e, addirittura, dall'Abruzzo;
   nel parco nazionale dell'Alta Murgia sono presenti poligoni militari estesi per circa il 30 per cento del territorio, come da delibera regionale n. 400 del 23 febbraio 1983, che aveva approvato la delibera di giunta regionale n. 9116 del 20 settembre 1982, con la quale si destina a poligoni militari permanenti un'area complessiva di circa 15.000 ettari;
   nel territorio esistono già altre numerose installazioni ad uso militare;
   gli accordi relativi alla possibilità di utilizzare una parte del territorio del parco per effettuare esercitazioni militari sono antecedenti all'istituzione del parco stesso, regolati tra le stesse autorità militari e la regione Puglia;
   tali esercitazioni prevedono un impatto ambientale pericoloso per la zona, così come riportato da diversi studi scientifici. Infatti le esplosioni prodotte dalle simulazioni di guerra rilasciano nano particelle di metalli pesanti nell'aria e sul terreno, determinando il conseguente inquinamento della falda acquifera e l'aumento dell'incidenza di gravi malattie, fra cui formazioni tumorali, a causa della penetrazione delle stesse nei tessuti umani e animali;
   l'utilizzo a scopi militari dell'area è in contrasto con le politiche regionali pugliesi di tutela e di promozione del territorio, messe in atto dal Governo Vendola fin dal 2005, tra le quali, come esempio più recente, la DGR n. 1 dell'11 gennaio 2010 «Approvazione della proposta di Piano paesaggistico territoriale della Regione Puglia»;
   da diversi anni le cittadine e i cittadini pugliesi si sono espressi in maniera inequivocabile contro le installazioni militari nella regione;
   il presidente dell'ente parco Cesare Veronico, ha espresso massima contrarietà alla prosecuzione delle operazioni militari nelle aeree protette, dichiarando «proprio nelle ore in cui l'Alta Murgia intraprende ufficialmente il percorso per il conseguimento della Carta europea per il Turismo Sostenibile, prendo atto con rammarico della prosecuzione delle attività militari. Questo Parco deve essere percepito come un luogo di pace e di serena convivenza» –:
   quali siano i criteri generali sulla base dei quali si continui ad utilizzare a scopi militari alcune aree di grande valore ambientale, elencate nella legge quadro sulle aree protette (legge n. 394 del 1991, articolo 34), in cui l'Alta Murgia è stata inserita insieme ad altre zone del territorio italiano;
   se, alla luce di quanto illustrato in premessa, non sia opportuno sospendere le esercitazioni in corso, e procedere ad una smilitarizzazione dell'area interessata poiché, come già riportato, le operazioni militari effettuate prevedono conseguenze devastanti sul territorio e per la salute della popolazione. (4-01057)

  Risposta. — È indispensabile per il Paese mantenere elevato il livello di addestramento e di efficacia delle nostre Forze armate, fondamentale per la difesa della sovranità nazionale e per gli impegni internazionali cui siamo chiamati a dare il contributo per la pace e la stabilità.
  L'addestramento «sul campo» costituisce un metodo irrinunciabile per preparare al meglio il personale militare, garantendo la possibilità di acquisire la capacità di operare secondo un adeguato livello di sicurezza, grazie all'utilizzo di aree che consentono di originare situazioni operative quanto più vicine a quelle reali.
  Questa esigenza primaria deve, però, essere coniugata con la tutela e la salvaguardia dell'ambiente e del territorio circostante.
  In tale ambito, s'inquadra il ruolo svolto dai comitati misti paritetici (Co.Mi.Pa), istituiti ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 898 del 1976, riassettato nell'articolo 322 del decreto legislativo n. 66 del 2010: le attività da svolgere nei poligoni vengono valutate e approvate anche contestualizzandole da un punto di vista ambientale.
  Inoltre, già dal 2005, la difesa ha avviato una serie d'iniziative per controllare e censire il materiale utilizzato presso i poligoni, tra cui l'istituzione di «comitati per la tutela ambientale» e un affinamento dei «disciplinari ambientali» che prevedono il monitoraggio di tutte le componenti ambientali (acqua, aria, suolo, flora e fauna), il censimento dei materiali impiegati, le misurazioni per la verifica dei livelli d'inquinamento a cura di enti specializzati.
  La presenza di poligoni militari nel parco nazionale dell'Alta Murgia non deve essere considerata motivo preclusivo per un'equilibrata convivenza, ma una potenziale opportunità per il territorio di realizzare progetti e concrete iniziative all'interno delle aree interessate, come convenuto nel Protocollo di Intesa tra la difesa e la regione Puglia, sottoscritto lo scorso 19 giugno, al termine dei lavori della « 2a conferenza nazionale sulle servitù militari», tenutasi a Roma – dopo circa trent'anni dallo svolgimento della prima – nei giorni 18 e 19 giugno scorsi.
  Tra i punti fondamentali della conferenza, l'istituzione di tavoli tecnici difesa/singole regioni, operanti nell'ambito dei comitati misti paritetici, per l'esame delle situazioni e degli assetti regionali – militari e civili – e per lo studio di percorsi condivisi di efficientamento e di ottimizzazione delle attività, nonché l'istituzione, presso ogni poligono militare, di osservatori permanenti per il monitoraggio ambientale e la possibilità di estendere il periodo di sospensione delle attività addestrative dal 1o giugno al 30 settembre.
  Con riferimento ai «criteri sulla base dei quali si continui ad utilizzare a scopi militari alcune aree di grande valore ambientale», si osserva che il tasso di utilizzo dei poligoni che insistono nell'Alta Murgia risulta già sensibilmente diminuito rispetto ad altre aree analoghe presenti nella stessa regione o in ambito nazionale, a testimonianza di come, nel corso degli anni, sia stata avviata una progressiva riduzione delle attività militari.
  Non è da escludere, nel futuro, che le crescenti innovazioni tecnologiche riescano a migliorare l'impiego di sistemi virtuali di simulazioni sempre più aderenti alla realtà, consentendo affinamenti nei programmi di addestramento con conseguenti riduzioni di esercitazioni a fuoco sul territorio.
  Corre l'obbligo di osservare, tuttavia, che le limitazioni alle attività addestrative previste nel periodo da giugno a settembre, unitamente al divieto d'ingresso nelle zone di rimboschimento e di transito con mezzi pesanti/cingolati lungo le carrarecce esistenti, confermano come la tutela dell'ambiente sia un aspetto cui la difesa pone particolare e doverosa attenzione, oltre a testimoniare la volontà di individuare soluzioni che possano contemperare le esigenze addestrative con il rispetto della flora e della fauna, anche nell'ottica di prevenire eventuali incendi.
  Quanto, invece, all'opportunità di «sospendere le esercitazioni in corso e procedere ad una smilitarizzazione dell'area ... poiché le operazioni militari effettuate prevedono conseguenze devastanti sul territorio e per la salute della popolazione», fermo restando che l'amministrazione continuerà ad adottare ampie misure preventive, sia a livello ambientale che individuale, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche ed epidemiologiche non è dimostrata alcuna correlazione causale tra le polveri sottili che assumono la forma di nano particelle con presenza di metalli pesanti e lo sviluppo di patologie neoplastiche.
  Anche la 3a commissione parlamentare d'inchiesta istituita sulla materia, nell'ambito della relazione finale – approvata nella seduta del 9 gennaio 2013 – ha confermato quanto già riportato dalle precedenti commissioni, circa l'impossibilità di stabilire con certezza un nesso causale tra l'esposizione a uranio impoverito/nanoparticelle e l'insorgenza di neoplasie maligne, sottolineando la necessità di adottare un principio di multifattorialità causale, laddove esistano dubbi sulla casualità unica, estendendo, quindi, l'analisi all'esposizione potenziale che il militare potrebbe avere avuto a più fattori, ambientali e operativi, virtualmente lesivi.
  Sulla base della documentazione raccolta e delle risultanze delle audizioni condotte nello svolgimento del proprio mandato, la commissione ha, altresì, evidenziato che nelle aree interessate da attività esercitative e addestrative o nei pressi di esse, non è stata registrata la presenza di contaminazione da uranio impoverito, come residuo di manufatti ad uso militare, né sono state trovate tracce di esso nelle numerose analisi effettuate, anche con strumentazioni sofisticate, sui tessuti patologici di militari affetti da neoplasie o da altre malattie invalidanti.
  Questo conferma quanto asserito in varie circostanze e con assoluta certezza dalla difesa, ovvero che le nostre forze armate non dispongono né hanno mai fatto uso di armamenti all'uranio impoverito.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   REALACCI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la cloaca massima dell'antica Roma è una delle più antiche condotte fognarie. Il nome, Cloaca Maxima, in latino, significa letteralmente «la fogna più grande» e rappresenta un unicum nel patrimonio archeologico mondiale: è infatti l'unica opera idraulica del mondo antico, se ben tenuta, ancora perfettamente funzionante;
   fu costruita alla fine del VI secolo a.C. al tempo degli ultimi re di Roma, anche se il re che ne ufficializzò la costruzione fu Tarquinio Prisco. La Cloaca Massima usufruiva dell'esperienza sviluppata dall'ingegneria etrusca, con l'utilizzo dell'arco a volta che la rendeva più stabile e duratura nel tempo. Fu una delle prime grandi opere di urbanizzazione della Roma imperiale;
   la cloaca massima fu accuratamente mantenuta in buono stato per tutta l'età imperiale. Si ha notizia di regolari ispezioni e lavori di drenaggio e spurgo ad esempio, opera di Agrippa nel 33 a.C. Le indagini archeologiche rivelano tracce di interventi di epoche diverse, con diversi materiali e tecniche costruttive. Si hanno notizie certe del suo funzionamento anche molto tempo dopo la data tradizionale della caduta dell'impero romano nel V secolo d.C;
   come lamenta il FAI, Fondo ambiente italiano, ma anche un articolo apparso su La Repubblica l'8 novembre 2012, a minare lo stato di salute del complesso archeologico e funzionante ancora oggi, è lo stato di degrado causato dalla scarsa manutenzione. Fasce di cavi elettrici dismessi e detriti di varia natura che creano un «effetto diga», allacci non autorizzati, scarichi di acque melmose e sfaldamenti in più punti delle strutture delle volte, sono tutti fenomeni che mettono in serio pericolo la tenuta della cloaca. E le ultime recenti ed abbondanti piogge ne hanno svelato tutta la debolezza. Va ricordato che anche nell'alluvione del 20 ottobre 2011 che ha fatto esondare la fogna allagando per oltre due metri d'acqua Colosseo e Foro romano, la situazione di questa condotta aveva mostrato la sua attuale fragilità;
   uno studio su questa opera grandiosa di ingegneria idraulica, ad opera dell'Istituto nazionale di studi romani, rivela come «la Cloaca sia inadeguata di fronte al carico delle acque e soggetta a diffusi intasamenti. Il rischio di inondazioni, allagamenti e smottamenti delle strutture portanti è troppo alto per poter essere tollerato. Per questo è stato avviato nell'ultimo anno una revisione del sistema fognario nell'area archeologica centrale, mettendo in evidenza tutte le criticità e per queste ragioni è stata elaborata per la Cloaca Massima una mappa dei rischi» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dello stato della cloaca maxima e quali iniziative urgenti intenda assumere per mettere in sicurezza un bene archeologico, non solo di notevole interesse storico, ma anche di estrema utilità per la sicurezza idraulica di Roma e se non ritenga opportuno rendere fruibile turisticamente alcuni tratti di questo complesso archeologico, cosicché possano essere reperite risorse per un suo adeguato mantenimento. (4-00012)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in oggetto, relativa a quanto denunciato dal fondo ambiente italiano e dal quotidiano La Repubblica in ordine allo stato di degrado in cui versa la Cloaca Massima, si comunica quanto segue.
  In conseguenza dell'alluvione del 20 ottobre 2011 che ha provocato, tra l'altro, l'allagamento del foro romano con acque nere tracimate dalla Cloaca Massima per l'altezza di 1,50 metri, con grave pericolo per i monumenti archeologici dell'area centrale, la soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma (SSBAR) ha intrapreso controlli e verifiche per individuare le cause di tale esondazione e i rischi reali conseguenti.
  In particolare, in data 13 aprile 2012, si è provveduto a convocare una riunione con l'amministrazione comunale di Roma Capitale – Dipartimento XII – per gli accertamenti del caso. Dall'azione di ricerca e controllo avviata è emersa una condizione di elevatissimo rischio della Cloaca Massima per cedimenti strutturali, reflussi d'acqua, ostruzioni derivanti dalla scarsa manutenzione dell'impianto, presenza di enormi fasci di cavi elettrici abbandonati e in molti punti immersi nell'acqua, che costituiscono importanti ostruzioni della sezione d'uso della fognatura, nonché di scarichi abusivi di acque nere.
  È stata, quindi, elaborata dalla citata soprintendenza, con l'ausilio di ingegneri idraulici consulenti specialisti esterni e la collaborazione dell'Acea ATO2, la Mappa del rischio n. 1, inviata, con nota n. 24609 del 2 agosto 2012, all'amministrazione comunale di Roma Capitale – dipartimento XII – per sollecitare un piano di interventi e di eliminazione dei rischi. Questo documento, che consiste in una planimetria, redatta grazie all'assemblaggio di diversi rilievi, con evidenziazione dei tratti di maggiore problematicità sia dal punto di vista della capacità di flusso che sotto l'aspetto della conservazione del monumento, costituisce lo strumento di riferimento per avviare un piano generale di intervento per la sicurezza dei monumenti archeologici e delle aree urbane corrispondenti.
  Successivamente, in data 27 aprile 2012, la società Acea (Direzione servizi U.O. manutenzione fognature unità lavori fognature) trasmetteva alla soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma la nota n. 3991 con cui declinava ogni responsabilità relativamente ai cavi rinvenuti nel corso dei sopralluoghi. La SSBAR concordava con il XII Dipartimento di Roma Capitale che spettava a detto dipartimento verificare la consistenza e lo stato dei cavi esistenti e che tale controllo era urgente.
  In data 12 novembre 2012, la società Acea comunicava, con nota n. 7767, l'avvio dell'intervento di pulizia straordinaria sul tronco di valle della Cloaca Massima (area prossima allo sbocco nelle vicinanze dell'Arco di Giano), previsto a partire dal 14 novembre 2012.
  In data 16 novembre 2012, con nota n. 37895, la citata soprintendenza sollecitava Roma Capitale – Dipartimento XII – alla realizzazione del piano di interventi e di eliminazione dei rischi già richiesto con la citata nota del 2 agosto 2012, anche in considerazione del prevedibile peggioramento delle condizioni atmosferiche che avrebbe certamente aggravato la situazione di elevato pericolo già evidenziata. Successivamente, congiuntamente ai competenti uffici di Roma Capitale, sono state portate a termine le procedure necessarie per rimuovere i cavi elettrici presenti nei condotti.
  Nel contempo la citata soprintendenza ha portato avanti interventi a carattere d'urgenza di restauro e ripristino della fognatura antica sottostante la via Sacra, che convoglia all'interno della Cloaca Massima le acque che scendono dall'altura di Velia e del Palatino. I relativi lavori sono tuttora in corso. La medesima soprintendenza ha, inoltre, autorizzato il progetto di restauro di un tratto della Cloaca Massima pericolante, presente nell'area dell'Arco di Giano. Le avverse condizioni meterologiche registrate negli ultimi mesi hanno però rallentato le operazioni di rimozione dei sedimenti già avviate.
  Il comune di Roma Capitale, con nota del 7 luglio 2014, su sollecitazione di questo Ministero, ha comunicato di aver concertato attività finalizzate alla manutenzione nonché alla ricostruzione dei condotti che presentano maggiori problemi, come, ad esempio, il tratto a sezione ridotta esistente sotto il foro romano, evitando l'andata in carico del condotto e la fuoriuscita delle acque nell'area archeologica. A tutt'oggi si rileva che i cavi presenti nel ramo fognario sottostante la via Sacra non sono stati ancora rimossi e quindi l'intervento urgente di restauro ad opera della SSBAR non può procedere.
  Nella succitata nota viene precisato che, nel febbraio 2012, è stato possibile avviare un programma interdisciplinare di controllo, bonifica e manutenzione della rete fognaria sottostante le aree archeologiche dei fori imperiali e del foro romano, esteso in seguito al lungo segmento del collettore che prosegue sotto Via di San Teodoro fino al Velabro e al Tevere.
  Una relazione tecnica sullo stato di funzionalità e sulle anomalie di flusso dei diversi tratti della Cloaca Massima e del sistema delle affluenze, antiche e moderne, che interessano tutta l'area archeologica dei fori imperiali, del foro romano e delle pendici del Palatino, ha evidenziato situazioni di pericolo per lo stato di conservazione. La soprintendenza capitolina con la SSBAR ha richiesto al XII Dipartimento di avviare una verifica diffusa dei punti di confluenza delle reti idrauliche per verificarne il corretto funzionamento e la relativa capacità di smaltimento. A tutt'oggi tale verifica non è stata trasmessa alla soprintendenza.
  In particolare, un ostacolo al deflusso delle acque rappresentato da circa 4 chilometri di cavi elettrici ha comportato l'intervento di rimozione di tutti i cavi nella Cloaca Massima da parte di Acea Ato2, ultimato con successo tra gennaio e febbraio 2014. Con questo intervento si è ottenuto l'abbassamento del livello dell'acqua di circa 1 metro.
  Per alcuni crolli, lesioni riscontrate e dissesti strutturali si è richiesto il sopralluogo della commissione stabili pericolanti.
  La presenza di detriti e/o sedimenti che riducevano notevolmente la portata del collettore ha reso necessari interventi di bonifica mediante parziale svuotamento dei condotti; questa complessa operazione ha preso avvio dal tratto terminale conservato sottostante l'Arco di Giano al Velabro; con la rimozione di circa 500 mc di sedimento si è assicurato un serio miglioramento delle condizioni di flusso nella zona del Velabro e si è liberato parzialmente il condotto a sezione ridotta presente sotto il foro romano.
  Nell'ambito dei lavori di recupero è stato prontamente eseguito, sempre da parte di Acea Ato2, sotto la guida di un esperto restauratore con il benestare della soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma, un intervento di restauro sulla volta di un tratto della Cloaca sottostante il Giano del Velabro.
  Attualmente la sovrintendenza di Roma Capitale sta elaborando, sulla base della citata Mappa, un'ulteriore relazione tecnica per individuare soluzioni da adottare a tutela e bonifica della Cloaca Massima, che la competente soprintendenza archeologica dovrà esaminare ed approvare ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
  Per quanto riguarda lo studio di carattere scientifico dell'antica opera idraulica, il responsabile dell'ufficio monumenti Roma centro della sovrintendenza di Roma capitale, in collaborazione con l'associazione Roma sotterranea, ha condotto in questi anni una intensa attività di studio e divulgazione sul monumento, sia a mezzo conferenze e lezioni universitarie, sia con pubblicazioni su riviste archeologiche specializzate.
  Alla luce di quanto sopra, in data 7 novembre 2012 si svolgeva un convegno presso l'istituto di studi romani, condotto direttamente dagli uffici competenti, in cui venivano nuovamente affrontate le problematiche sopra riportate, anche in relazione alla natura di monumento archeologico del sito in argomento.
  Tutto ciò premesso, si ritiene che lo stato di criticità in cui versa tuttora la Cloaca Massima renda indispensabile e non più procrastinabile affrontare un intervento di generale messa in sicurezza e bonifica di tutti i fattori di degrado rilevati nelle aree ispezionabili, ma presumibilmente presenti anche nelle aree attualmente non raggiungibili. In particolare, occorre studiare e prevedere un piano annuale di manutenzioni con le quali proseguire la rimozione dei detriti che creano ostruzione allo scorrimento dell'acqua e impedimento al deflusso nella Cloaca Massima dal condotto passante sotto il foro romano e intervenire per la rimozione dei cavi presenti al di sotto della via Sacra per consentire alla soprintendenza archeologica di Roma la prosecuzione delle opere urgenti di restauro del condotto antico. Per tali interventi, indispensabili per un risanamento dei tratti del condotto così gravemente a rischio, la soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma ritiene indispensabile un investimento pari a circa 1.000.000,00 di euro.
  Alla luce della vicenda sopra esposta, ricostruita in base agli elementi ricevuti dai competenti uffici, si assicura l'impegno di questo Ministero nel continuare a seguire la predetta questione fino alla sua completa risoluzione, esercitando anche, se del caso, funzioni di impulso presso tutti i soggetti istituzionali coinvolti.

Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoDario Franceschini.


   REALACCI, OLIVERIO, MAGORNO e COVELLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con decreto del 5 aprile 2013 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24 aprile 2013 ha decretato «la compatibilità ambientale e l'Autorizzazione integrata ambientale al successivo esercizio relativo alla Centrale a carbone di Saline Ioniche, in comune di Montebello Jonico (RC), e opere connesse» in attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 giugno 2012. Questi due atti fanno seguito al parere (n. 559) espresso dalla commissione VIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 21 ottobre 2010;
   il 4 marzo 2014, presso la capitaneria di porto di Reggio Calabria, si è svolta la seconda ed ultima sessione della conferenza di servizi, la prima risale al 12 dicembre 2013, in merito alla richiesta di concessione di durata cinquantennale di una vasta area del demanio marittimo di pertinenza al porto di Saline, avanzata dalla SEI allo scopo di realizzare e gestire un terminale marino a servizio della centrale a carbone nonostante le numerose opposizioni di liberi cittadini, associazioni ambientaliste, enti locali, tra cui quella rilevante della regione Calabria. Il 10 giugno 2014 il Ministero dello sviluppo economico ha trasmesso ai comuni reggini interessati la comunicazione dell'avvio del procedimento relativo all'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio e/o imposizione di servitù sulle aree interessate dalle opere connesse. Nella comunicazione è evidenziato che sono state individuate anche le aree oggetto di occupazione temporanea ai fini della cantierizzazione che interessano il territorio del comune di Montebello Jonico. Il Ministero dello sviluppo economico non ha ancora emesso l'autorizzazione unica prevista dalla legge n. 55 del 2002;
   il progetto SEI – saline energie ioniche – di una nuova centrale a carbone da 1.320 megawatt prevede un investimento di circa un miliardo di euro. Sono azionisti della società SEI s.p.a. il gruppo svizzero a partecipazione pubblica (Canton dei Grigioni) Repower A.G. (57,5 per cento), la multiutility italiana Hera (20 per cento), la società d'ingegneria Foster Wheeler Italiana S.r.l. (15 per cento), Apri Sviluppo S.p.A. (7,5 per cento). Va poi precisato che, a seguito del referendum popolare del 22 settembre 2013, mediante il quale il Canton dei Grigioni della Svizzera ha stabilito che non sarà più possibile per le aziende svizzere a partecipazione pubblica investire in centrali a carbone anche al di fuori dei confini nazionali, la citata società Repower AG, ha ufficializzato l'uscita dal progetto Saline Ioniche. Il consiglio di amministrazione della Repower ha annunciato dopo il referendum che lo farà «in modo ordinato rispettando tutti gli impegni contrattuali assunti, al più tardi entro la fine del 2015». Vista la scarsa appetibilità del progetto ribadita della predetta azienda svizzera, è poi assai improbabile che ci siano società interessate ad acquistare le azioni Repower. Sussiste pertanto il rischio che si autorizzi un investimento di sicuro e forte impatto ambientale ma incerto nel suo successo e vetusto da un punto di vista industriale, alimentandolo a carbone;
   nel report di gestione 2013 della società svizzera Repower AG si legge inoltre: «Non si intravede più alcuna possibilità di trarre guadagno dal terreno acquistato per la centrale a carbone e quindi si è proceduto a una svalutazione del fondo che sta in relazione al Progetto Saline Joniche». «Il portafoglio progetti – si legge ancora nel report –, svalutato per un ammontare di 21 milioni di franchi, subisce l'influsso delle voci seguenti: svalutazione di un terreno in relazione al Progetto Saline Joniche (13,3 milioni di franchi). Attualmente la determinazione del fair value è soggetta a incertezza. A causa del contesto di mercato che desta insicurezza e della prospettiva di prezzi dell'energia bassi anche per il futuro, osservatori esterni valuterebbero come bassa la possibilità che il progetto venga realizzato e questo verrebbe considerato nella determinazione di un prezzo d'acquisto, con la conseguenza che non attribuirebbero alcun valore materiale al progetto»;
   la regione Calabria ha da sempre espresso in numerosi atti e decisioni ufficiali una chiara contrarietà al progetto (già il 17 settembre 2008 alla prima conferenza di servizi al Ministero dello sviluppo economico). Anche in seguito ha sempre negato l'intesa (delibera 686 del 6 ottobre 2008) e lo ha fatto con pronunciamenti unanimi di assemblee ed esecutivi di opposto orientamento politico e di rappresentanti istituzionali di tutti i partiti. La posizione ad oggi è rimasta immutata. Tant’è che, nella recente seduta del 26 giugno 2014 il consiglio regionale ha votato all'unanimità la mozione con cui impegna la giunta regionale ad esprimere il proprio fermo e motivato dissenso e la negativa intesa, anche nella fase successiva al decreto VIA e in occasione della conferenza di servizi;
   è utile ricordare che la produzione, il trasporto e la distribuzione d'energia integrano una materia di potestà legislativa costituzionalmente concorrente. A questo riguardo la richiamata sentenza della Corte Costituzionale n. 6 del 13 gennaio 2004 ha riconosciuto la necessità di un'intesa «in senso forte» tra Stato centrale e regioni; quindi il parere è essenziale e indispensabile ai fini del rilascio dell'autorizzazione unica, «il cui mancato raggiungimento costituisce un ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento»;
   sull’iter autorizzativo del progetto di centrale a carbone a Saline Joniche ad oggi pendono ancora, anche in forza dei pareri contrari del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e dell'ente regionale, diversi ricorsi al tribunale amministrativo del Lazio e si è in attesa di sentenza definitiva;
   come ricorda Legambiente in un puntuale dossier trasmesso al Ministro dello sviluppo economico la regione Calabria, con delibera della giunta regionale n. 98 del 9 febbraio 2005, stabilì, in accordo a quanto contenuto nel piano energetico ambientale regionale ed alla luce della notevole quantità di energia prodotta eccedente i fabbisogni regionali, ritenendo che la regione con le intese rilasciate abbia già adeguatamente aderito al sistema Paese, che «... la regione non fornirà alcuna ulteriore intesa in sede di conferenza di servizi indette dal Ministero delle Attività Produttive e dal Ministero dell'Ambiente, per la realizzazione di centrali termoelettriche sul territorio regionale, ritenendosi sufficiente il numero delle cinque autorizzazioni già rilasciate da parte del Ministero delle Attività Produttive». Sono infatti già cinque le centrali termoelettriche per la produzione di energia elettrica da ciclo combinato a gas naturale da 800 megawatt ciascuna autorizzata sul territorio regionale: sono localizzate nei comuni di Altomonte, Pianopoli, Simeri Crichi, Rizziconi e Scandale. C’è da osservare che quasi tutte queste centrali sono attualmente in grave sofferenza per via delle condizioni nuove di eccedenza, di costi e di altre variabili del mercato dell'energia. La Calabria produce molta più energia di quanta ne consumi: dai dati TERNA relativi al 2012 la Calabria produce 10.979,4 Gwh a fronte di un fabbisogno di 6.452,3 GWh con un surplus del 70,2 per cento. Il saldo positivo è ulteriormente aumentato nel corso del 2013 e in questi mesi del 2014 grazie anche all'incremento del contributo delle fonti rinnovabili. Non si vede quindi la necessità di prevedere ulteriori grandi centrali elettriche sia sul territorio calabrese che sul resto del territorio nazionale;
   le legittime e necessarie esigenze di sviluppo economico ed occupazionale del territorio reggino non possono però ad avviso degli interroganti fare da scudo al rischio di infiltrazioni criminali mafiose sul progetto di centrale a carbone a Montebello Jonico considerato che insiste in un territorio ad alta densità criminale. Potrebbe infatti avvenire quello che è accaduto in passato: a testimoniarlo svariate condanne giudiziarie passate in giudicato per attività interessate dalla ’ndrangheta nella stessa area in occasione della realizzazione della Liquichimica e delle OGR Grandi riparazioni –:
   se il Governo sia a conoscenza della questione;
   se si intenda valutare, anche a fronte della notevole eccedenza di produzione energetica del Paese, l'opportunità di revocare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore senatore professore Mario Monti del 15 giugno 2012, che sanciva la contrastata compatibilità ambientale e autorizzava all'esercizio il progetto a carbone della S.E.I. s.p.a., considerando il fatto che a breve sarà necessario procedere alla chiusura di vari impianti di produzione elettrica a partire da quelli meno efficienti e più inquinanti, come quelli alimentati a carbone che emettono grandi quantità di CO2 in atmosfera;
   se il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, non intenda verificare la possibilità di istituire, per quanto di competenza e di concerto con l'amministrazione regionale della Calabria, un tavolo tecnico interministeriale per implementare, anche con fondi comunitari, un piano di rilancio e sviluppo sostenibile centrato sulla valorizzazione integrata delle risorse ambientali e culturali locali per migliorare la qualità della vita e attrarre nuovi investimenti e flussi di visitatori e turisti nell'area Grecanica, con interventi come: riqualificazione del porto a scopo turistico, bonifica degli insediamenti produttivi abbandonati, waterfront, piano di sviluppo delle microfiliere produttive, filiere agricole di qualità a partire da quella del bergamotto, interventi di riqualificazione dei borghi a fini turistici. (4-05632)

  Risposta. — A seguito del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica) è stata disposta, tra l'altro, la liberalizzazione della produzione di energia elettrica nel nostro Paese.
  Le centrali termoelettriche sono considerate, ai sensi della normativa vigente in materia (legge n. 55 del 2002), «opere private di pubblica utilità». Gli operatori del settore realizzano sul territorio nazionale unità produttive con finanziamenti propri. Ciascuna unità produttiva è pertanto gestita con una logica imprenditoriale, facente capo a strategie aziendali, valutazioni a breve, medio e lungo termine, analisi di possibili scenari domanda-offerta, eccetera.
  In particolare, la scelta della tipologia d'impianto, nonché la relativa localizzazione, è lasciata alle ragioni d'opportunità del soggetto privato proponente l'iniziativa.
  Allo Stato e, nello specifico, al Ministero dello sviluppo economico compete l'eventuale rilascio delle autorizzazioni alla realizzazione di tali impianti, a fronte di un esito favorevole del procedimento sviluppato.
  Ciò premesso, si fa presente che le autorizzazioni alla realizzazione degli impianti di potenza superiore a 300 megawatt termici sono rilasciate a seguito di un procedimento «unico» complesso, attivato su istanza di parte e condotto ai sensi della legge n. 55 del 2002 e secondo i dettami della legge n. 241 del 1990 cioè attraverso il modulo procedimentale della conferenza di servizi.
  Pertanto, a seguito della presentazione dell'istanza da parte della SEI s.p.a., il Ministero dello sviluppo economico ha avviato il procedimento finalizzato all'eventuale rilascio del provvedimento autorizzativo ed ha indetto e convocato la seduta di apertura della menzionata conferenza di servizi, con lo scopo di presentare il progetto a tutte le amministrazioni ed enti interessati, nonché raccogliere le preliminari posizioni in merito all'iniziativa in parola.
  A seguito della suddetta prima riunione, in considerazione del fatto che ai sensi della legge n. 55 del 2002 la pronuncia favorevole di compatibilità ambientale è condizione indispensabile per il rilascio dell'autorizzazione, il Ministero dello sviluppo economico è rimasto in attesa della determinazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in merito alla valutazione d'impatto ambientale.
  Nel caso del procedimento in parola, a fronte del parere negativo espresso dal Ministero per i beni e le attività culturali rispetto al parere favorevole della Commissione tecnica VIA/VAS, il Ministero per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare ha richiesto l'attivazione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri della procedura prevista dall'articolo 5, comma 2, lettera
c-bis della legge n. 400 del 1988. In particolare, tale disposizione consente di deferire al Consiglio dei ministri, ai fini di una complessiva valutazione ed armonizzazione degli interessi pubblici coinvolti, la decisione di questioni sulle quali siano emerse valutazioni contrastanti tra le amministrazioni a diverso titolo competenti, in ordine alla definizione di atti e provvedimenti.
  Nel caso di specie la Presidenza del Consiglio dei ministri ha risolto positivamente il contrasto tra il Dicastero dell'ambiente e il Ministero per i beni e le attività culturali, condividendo il parere favorevole espresso dalla commissione tecnica VIA/VAS, ed ha emanato il 15 giugno 2012 il decreto con cui si sancisce la compatibilità ambientale del progetto in parola.
  Tale valutazione favorevole è stata, tra l'altro, successivamente ribadita dal Ministero dell'ambiente che, con il decreto n. 115 del 5 aprile 2013, ha rilasciato il provvedimento di V.I.A./A.I.A. relativamente al progetto presentato dalla SEI s.p.a. Sul punto si evidenzia che la Presidenza del Consiglio dei ministri, nonché il Dicastero dell'ambiente, non hanno solo valutato positivamente, dal punto di vista ambientale, la documentazione progettuale presentata, ma hanno disposto anche un consistente quadro prescrittivo costituito da 59 prescrizioni.
  Tra l'altro, si fa presente che alcune delle prescrizioni imposte sono da ottemperare in fase istruttoria, prima del rilascio dell'intesa regionale e, quindi, del provvedimento autorizzativo.
  Pertanto, considerato che la procedura di V.I.A./A.I.A. si è conclusa favorevolmente, ad oggi il Ministero dello sviluppo economico è in attesa, per procedere alla convocazione della riunione conclusiva della conferenza di servizi, dell'ottemperanza di una prescrizione propedeutica al rilascio dell'intesa regionale, nonché della conclusione della fase endoprocedimentale
ex decreto del Presidente della Repubblica n. 27 del 2001 attinente l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio.
  Inoltre, restano da acquisire e valutare le posizioni delle varie amministrazioni ed enti coinvolti.
  Relativamente alla posizione dell'amministrazione regionale, si fa presente che l'autorizzazione è rilasciata d'intesa con la Regione che, secondo l'interpretazione data dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 6 del 13 gennaio 2004, è da intendersi imprescindibile per il rilascio dell'autorizzazione unica. Al riguardo, si evidenzia che il comma 30 dell'articolo 27 della legge 23 luglio 2009, n. 99, ha modificato la legge n. 55 del 2002, prevedendo alla disposizione originaria dell'articolo 1, comma 2, che «... l'eventuale rifiuto regionale dell'intesa deve essere espresso con provvedimento motivato, che deve specificatamente tenere conto delle risultanze dell'istruttoria ed esporre in modo chiaro e dettagliato le ragioni del dissenso dalla proposta ministeriale d'intesa...».
  Pertanto, si precisa che il Ministero dello sviluppo economico procederà alla formulazione della proposta ministeriale di intesa alla regione Calabria solo a seguito della eventuale conclusione favorevole della conferenza di servizi, una volta concluso l’
iter istruttorio condotto ai sensi della citata legge n. 55 del 2002, non rilevando, pertanto, un'eventuale determinazione regionale resa precedentemente.
  Alla luce del sopra riportato contesto normativo, appare evidente che la Regione con un eventuale rifiuto al rilascio dell'intesa può determinare il diniego al rilascio dell'autorizzazione stessa.
  La normativa vigente non attribuisce pertanto al Ministero dello sviluppo economico la facoltà di decidere autonomamente sull'esito del procedimento, bensì spetta al medesimo osservare le determinazioni della conferenza di servizi, con particolare riguardo ai pareri espressi dagli enti interessati nonché, alla conclusione dell’
iter istruttorio, proporre eventualmente alla regione Calabria il rilascio dell'intesa.
  In merito alla già rappresentata posizione contraria della regione Calabria, si fa presente che la programmazione energetica regionale non costituisce
ex se un vincolo per l'amministrazione centrale ma può diventarlo se è alla base della pronuncia della regione sull'Intesa.
  Per quanto attiene le problematiche di carattere societario conseguenti al referendum svoltosi nel Canton dei Grigioni e al possibile ritiro della Repower s.p.a. dall'iniziativa, si fa presente che al momento la Società continua a coltivare il progetto e l'istanza di autorizzazione.
  In relazione alle possibili interferenze della malavita organizzata dell'area interessata dall'iniziativa, la SEI spa ha avviato un confronto con la prefettura di Reggio Calabria, proponendo la sottoscrizione di un «Protocollo di legalità», funzionale alla prevenzione di eventuali fenomeni di infiltrazione della criminalità organizzata nei futuri lavori di costruzione della centrale.

Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   REALACCI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto interministeriale del 5 dicembre 2013, concertato con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, stabilisce le modalità di incentivazione per il biometano immesso nella rete dei gasdotti, in particolare nel caso dell'uso del biometano come metano per autotrazione e per il suo uso in impianti di cogenerazione ad alto rendimento, con la finalità di promuovere lo sviluppo di tale risorsa energetica;
   come lamentano numerosi soggetti interessati del comparto biometano, in particolare il coordinamento Free – Fonti rinnovabili ed efficienza energetica – tale disposizione non risulta aver ancora trovato attuazione;
   appare necessario rendere pubblico il valore dei cosiddetti certificati di immissione al consumo dei biocarburanti. Al valore di tali certificati è infatti legato il livello di incentivazione del biometano impiegato come carburante per autotrazione –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano assumere ogni iniziativa perché tale disciplina trovi pronta attuazione. (4-06162)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in oggetto si rappresenta quanto segue.
  L'interrogante evidenzia come numerosi soggetti interessati del comparto biometano, ed in particolare il coordinamento Free – Fonti rinnovabili ed efficienza energetica – lamentano che, malgrado il decreto interministeriale del 5 dicembre 2013, concertato con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, stabilisca le modalità di incentivazione per il biometano immesso nella rete dei gasdotti, in particolare nel caso dell'uso del biometano come metano per autotrazione e per il suo uso in impianti di cogenerazione ad alto rendimento, con la finalità di promuovere lo sviluppo di tale risorsa energetica, tale disposizione non risulta aver ancora trovato attuazione.
  Inoltre si sottolinea come sia necessario rendere pubblico il valore dei cosiddetti certificati di immissione al consumo dei biocarburanti essendo il valore di tali certificati legato al livello di incentivazione del biometano impiegato come carburante per autotrazione.
  Nel merito della prima questione sollevata si rileva che il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, all'articolo 21 «Incentivazione del biometano immesso nella rete del gas naturale» aveva già individuato le modalità di incentivazione per il biometano ovvero:

   a) mediante il rilascio degli incentivi per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, nel caso in cui sia immesso in rete ed utilizzato, nel rispetto delle regole per il trasporto e lo stoccaggio del gas naturale, in impianti di cogenerazione ad alto rendimento;
   b) mediante il rilascio di certificati di immissione in consumo qualora il biometano sia immesso in rete e usato per i trasporti;
   c) mediante uno specifico incentivo, di durata e valore da definire con un decreto del Ministro dello sviluppo economico qualora sia immesso nella rete del gas naturale.

  Di conseguenza il citato decreto interministeriale 5 dicembre 2013, ha definito nel dettaglio le sopra citate modalità di utilizzo del biometano e l'entità degli specifici incentivi. Tali disposizioni sono riportate:
    all'articolo 3 (Incentivazione del biometano immesso nelle reti di trasporto e distribuzione del gas naturale);
    all'articolo 4 (Biometano utilizzato nei trasporti previa immissione nella rete del gas naturale);
    all'articolo 5 (Biometano utilizzato in impianti di cogenerazione ad alto rendimento).

  Per quanto riguarda in particolare le modalità di incentivazione relative all'utilizzo del biometano nei trasporti tramite i certificati di immissione in consumo di biocarburanti, si evidenzia che non è prevista in nessuna disposizione legislativa l'obbligo e neppure la possibilità di rendere pubblico il valore di tali certificati in quanto, come noto, tale valore si forma dall'incontro dinamico della domanda e dell'offerta. Esso dipende, in altri termini, dall'andamento del mercato di tali certificati a cui partecipano i soggetti che hanno l'obbligo di miscelazione (coloro che immettono in consumo benzina e gasolio per i trasporti e che hanno l'obbligo di immettere in consumo una quota percentuale di biocarburanti: al 2014 tale quota è di 4,5 per cento ed i produttori di biocarburanti, compresi i produttori di biometano. Come avviene per i mercati di tutte le commodities, di conseguenza in caso di scarsità il loro valore aumenta e in caso di abbondanza diminuisce).
  Un valore massimo di riferimento, per detti certificati, può essere quello della sanzione che i soggetti che immettono in consumo benzina e gasolio devono pagare qualora non rispettino l'obbligo di miscelazione prima detto: normalmente il valore dei certificati dovrebbe attestarsi intorno ai 450-500 euro al certificato (che corrisponde 10 giga calorie), poiché la sanzione è di circa 600 euro a certificato, con un meccanismo di crescita a seconda se la mancanza sia minima o totale.

Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   SCAGLIUSI, SIBILIA, DE LORENZIS, SPADONI, DA VILLA, RIZZO, BASILIO, MANLIO DI STEFANO e L'ABBATE. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme (Ordine di Malta) è una delle più antiche istituzioni della civiltà occidentale e cristiana. Presente in Palestina attorno al 1050, è un Ordine religioso laicale, tradizionalmente militare, cavalleresco e nobiliare;
   nel 1834 (persa l'isola di Malta), si stabilì a Roma dove ha le sue sedi: il Palazzo di Malta, in via dei Condotti (dove risiede il Gran Maestro e si riuniscono gli organi di Governo) e la Villa Malta sull'Aventino (presso cui hanno sede il Gran Priorato di Roma, l'ambasciata dell'Ordine presso la Santa Sede e l'ambasciata dell'Ordine presso lo Stato italiano). Tali sedi, hanno ottenuto il diritto di extraterritorialità nel 1869 e lo conservano a tutt'oggi;
   oggi, l'Ordine è dedito ad opere assistenziali, funzione assai nobile ma non tale da giustificare il possesso della personalità giuridica (che normalmente viene escluso per la stessa Croce Rossa internazionale);
   il Sovrano Ordine, che conserva le prerogative di un ente indipendente e sovrano, ha un proprio ordinamento giuridico, produce francobolli e monete come pure passaporti internazionalmente validi e dà vita ad enti pubblici melitensi dotati di autonoma personalità giuridica;
   l'attribuzione del requisito della personalità all'Ordine di Malta, in verità, sarebbe innocua se essa non fornisse, sempre in Italia, il pretesto per il riconoscimento di tutte le immunità diplomatiche (inviolabilità personale e domiciliare, immunità dalla giurisdizione penale e civile ed immunità fiscale per le imposte dirette e personali) che spettano agli Stati stranieri e ai loro organi. Soprattutto essa ha consentito all'Ordine di sottrarsi alla giurisdizione civile italiana per le controversie relative ai rapporti con i propri dipendenti, nonché al fisco, in relazione ai beni (ivi compresi i fondi agricoli) posseduti in Italia;
   nell'ambito di ogni ordinamento giuridico territoriale di ciascuno Stato, l'associazione corrispondente emanata dallo SMOM riceve un particolare trattamento che dipende, sostanzialmente, dal tipo di rapporti esistenti tra lo quello Stato ed il governo Giovannita;
   l'associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Militare Ordine di Malta è fondata nel 1877. È emanazione ed espressione dell'Ordine di Malta;
   come riportato in un articolo del Messaggero del 28 gennaio 1997, già il 26 gennaio 1997 il Ministro degli affari esteri pro tempore Lamberto Dini veniva messo sotto inchiesta insieme ad un gruppo di diplomatici della Farnesina dall'allora procuratore della Repubblica Raffaele Montaldi per aver consentito ai Cavalieri di Malta un'eccessiva libertà di manovra nel settore previdenziale, in quello sanitario e in quello fiscale, tra gli altri. Solo all'Inps, sempre secondo la stessa fonte, non sarebbero stati pagati contributi per ben cinquanta miliardi di lire per il periodo che va dal 1982 al 1994;
   secondo indiscrezioni riportate nello stesso articolo di cui sopra, sarebbero emerse gravi irregolarità nella concessione dei permessi delle usl per il poliambulatorio romano di via Bocca di Leone; infatti, anche in questo nosocomio si sarebbero verificate irregolarità nel versamento dei contributi previdenziali per i dipendenti;
   come riportato da un articolo online di Repubblica.it del 24 dicembre 2011, il pubblico ministero Giovanni Bombardini accusava Gian Antioco Chiavari, membro dell'Ordine di Malta preposto all'ufficio Ministero delle finanze e del bilancio, Bruno Giovanni, tenente della direzione investigativa antimafia e Giuseppe Iannucci, militare della Guardia di finanza, di reati che vanno dall'accesso abusivo dei sistemi informatici, al trattamento dei dati personali fino alla violazione del segreto d'ufficio;
   qualche anno fa, Bobo Craxi rivelò che i maltesi potevano aiutare suo padre Bettino, prima di morire in latitanza: «Ringrazio Andreotti perché si prodigò per far rientrare in patria mio padre: tentò di fargli avere un passaporto dell'Ordine dei Cavalieri di Malta e ne parlò con Ciampi»;
   il patrono è il cardinale Paolo Sardi, un porporato di primissimo livello. I Cavalieri, che «difendono la fede», sono invincibili perché a volte sono religiosi, a volte sono laici, a volte sono entrambe le cose;
   su un articolo de Il Fatto Quotidiano online, datato 13 luglio 2013, si apprende che la guardia costiera abbia donato all'ordine di Malta una motovedetta in disuso –:
   se il Governo sia al corrente di eventuali inadempienze dell'Ordine di Malta in materia di previdenza, sanità e fisco, settori nei quali in passato ha goduto di ampia libertà, come pienamente indicato in premessa;
   quali iniziative il Governo intenda adottare per evitare che l'Ordine di Malta possa emettere passaporti validi in campo internazionale e godere di tutte le immunità diplomatiche;
   se relativamente al Palazzo di Malta e alla Villa Malta sull'Aventino, il Governo non ritenga opportuno rivedere il diritto di extraterritorialità, concesso 145 anni fa, alla luce degli eventi descritti in premessa. (4-05585)

  Risposta. — Il sovrano militare ordine di Malta (SMOM) è un'associazione sorta a fini militari e di assistenza sanitaria sin dal XIV secolo. Inizialmente dotata di una vera e propria sovranità territoriale su Rodi e Malta – che venne successivamente persa alla fine del XVIII secolo –, essa ha proseguito la sua attività nei settore dell'assistenza sanitaria, trasferendo la sua sede a Roma e mantenendo rapporti diplomatici con molti Stati (l'ordine di Malta ha anche ottenuto la qualifica di osservatore alle Nazioni unite). L'esigenza di preservare la soggettività giuridica internazionale di tale ente, anche dopo la perdita della sovranità territoriale, è stata giustificata dall'esigenza di garantire il perseguimento dei suoi fini istituzionali (secondo caratteristiche e privilegi in linea di principio assimilabili a quelli riconosciuti agli Stati), in quanto considerati essenziali dalla comunità internazionale, sia pure nei limiti delle sue più circoscritte esigenze funzionali.
  In tal senso si è espressa da tempo la giurisprudenza italiana, allorché ha affermato: «la moderna teorica dei soggetti di diritta internazionale annovera quegli enti o collettività la cui composizione prescinde dalle nazionalità che concorrono a costituirla e che perseguono scopi trascendenti, per il loro carattere universale, i confini territoriali di un singolo Stato. Ad esse, pertanto, non è possibile negare la limitata capacità di agire internazionalmente nell'ambito e per l'attuazione degli scopi che sono loro propri e ovvia conseguenza di tale capacità è la loro personalità giuridica che ne costituisce il necessario e naturale presupposto» (Cassazione 13 marzo 1935, n. 940).
  Tali principi sono stati ribaditi dalla giurisprudenza italiana in varie occasioni, allorché non si è avuta esitazione nel riconoscere la «qualità di soggetto internazionale» dello SMOM, caratterizzandola e limitandola negli effetti, con la precisazione che: «si tratta di una forma particolare di soggettività internazionale, avente carattere funzionale, nel senso che opera esclusivamente per il raggiungimento delle sue finalità istituzionali di assistenza sanitaria ed ospedaliera» (Cassasione, 5 novembre 1991 n. 11788), Pertanto, i privilegi relativi alla personalità giuridica internazionale dello SMOM riguardano solamente gli atti, i beni e le persone che ne sono organi, in quanto siano rilevanti per il perseguimento dei valori universali che la tradizione e la pratica del diritto internazionale attribuisce allo SMOM.
  In materia di riconoscimento delle immunità, con riferimento sia all'ente nel suo complesso sia agli organi ed enti attraverso i quali si compone la sua struttura, particolare rilievo assume la seguente pronuncia della Corte di Cassazione: «la giurisprudenza di questa Corte è costante nel riconoscere la posizione di soggetto di diritto internazionale mantenuta nell'ordinamento giuridico italiano dal Sovrano Militare Ordine di Malta, con la conseguente immunità dalla giurisdizione del giudice italiano» (Cassazione, sezioni unite, 18 marzo 1999, n. 150).
  In virtù di tale pronuncia, l'ordine è rimasto effettivamente per un certo periodo non assoggettato alla giurisdizione civile italiana, estesa anche agli enti di diritto pubblico dell'ordine quali l'ACISMOM (Associazione dei cavalieri italiani del sovrano militare ordine di Malta), anche per le controversie relative ai rapporti di lavoro con i propri dipendenti. Un'inversione di tendenza, relativamente ai rapporti di lavoro, si è avuta con alcune decisioni della Cassazione a sezioni unite (si veda, ad esempio, Cassazione sezioni unite, ord. del 12 novembre 2003, n. 17087).
  Sul piano della collaborazione nel settore sanitario, si è pervenuti il 21 dicembre 2000 alla firma di un accordo in materia sanitaria che disciplina lo statuto ufficiale delle relazioni fra il Servizio sanitario nazionale italiano e le strutture medico-ospedaliere dell'ordine. Al pari dell'analogo accordo con la Santa Sede per l'ospedale Bambin Gesù (ratificato in data 18 maggio 1995), esso colma una lacuna legislativa, rispondendo al dettato dell'articolo 4 n. 13 del decreto legislativo n. 502 del 1992 («Riforma sanitaria»), che prevede la stipula di apposite intese con la Santa Sede e il sovrano militare ordine di Malta, in relazione alle strutture sanitarie da essi gestite. L'accordo è stato ratificato con legge 9 giugno 2003, n. 157, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale n. 153 del 4 luglio 2003.
  Quanto al primo quesito posto dall'interrogante, non risultano a questo Ministero degli affari esteri informazioni circa recenti inadempienze dell'ordine di Malta in materia di previdenza, di sanità e fisco. Non risultano qui in particolare esposti, segnalazioni a richieste pendenti di cittadini italiani che si assumano a vario titolo danneggiati dall'ordine. Non risultano neppure problematiche pendenti, relative all'applicazione del citato accordo in materia sanitaria.
  Circa il secondo quesito – come il Governo intenda «evitare che l'Ordine di Malta possa emettere passaporti validi in campo internazionale e godere di tutte e immunità diplomatiche», si rammenta che a presenza dello SMOM sul territorio italiano era regolata dallo scambio di note Apor-Pella dell'11 gennaio 1960, «accordo di sede» che riconosceva prerogative sovrane alla persona del capo dell'ordine nell'esercizio delle sue funzioni di governo. Il 17 maggio 2012 è stato firmato l'accordo per la regolamentazione dei reciproci rapporti bilaterali con un protocollo aggiuntivo, entrato in vigore l'11 ottobre 2012. Tale accordo non modifica il quadro giuridico di riferimento, configurandosi come un atto meramente ricognitivo dello stato delle relazioni bilaterali tra l'Italia e il sovrano militare ordine di Malta. Sotto il profilo sostanziale, infatti, l'accordo non stabilisce diritti nuovi in capo allo SMOM, ma rappresenta esclusivamente una ricognizione delle proprietà, dei privilegi e delle immunità già riconosciuti dall'Italia sulla base del diritto internazionale generale nonché della giurisprudenza della suprema Corte di Cassazione, riassumendo in un unico testo l'insieme della presenza dello SMOM in Italia, che ormai intrattiene regolari rapporti con 106 Paesi. Essendo previsto il diritto di legazione in capo all'ordine, che dispone di una propria rete di ambasciate, i passaporti diplomatici vengono rilasciati in favore dei capi di missioni diplomatiche dell'ordine e loro collaboratori diplomatici, consorti e figli minori. Tali documenti non vengono rilasciati a beneficio personale degli interessati, bensì – in base alle circolari interne dello SMOM – al fine di consentire loro di svolgere le proprie mansioni in piena autonomia, e devono essere utilizzati esclusivamente per l'identificazione e gli spostamenti legati al ruolo diplomatico ed alle funzioni dei rappresentanti dell'ordine.
  Analoghe considerazioni circa il carattere ricognitivo dell'accordo del 2012 valgono anche per il terzo quesito, «se relativamente al Palazzo di Malta e alla Villa Malta sull'Aventino, il Governo non ritenga opportuno rivedere il diritto di extraterritorialità, concesso 145 anni fa, alla luce degli eventi descritti in premessa». I due immobili che ospitano la sede dell'ordine a Roma godono delle immunità che il diritto internazionale riconosce alle sedi degli agenti diplomatici esteri. Tali immunità sono funzionali all'utilizzo degli immobili, per il perseguimento degli scopi istituzionali dell'ordine stesso.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   SPADONI, MANLIO DI STEFANO, DI BATTISTA, SIBILIA, GRANDE, SCAGLIUSI e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge n. 286 del 2003, i Comites sono organi di rappresentanza degli italiani all'estero nei rapporti con le rappresentanze diplomatico-consolari;
   tali comitati contribuiscono a individuare le esigenze di sviluppo sociale, culturale e civile della comunità di riferimento e promuovono, in collaborazione con l'autorità consolare, con le regioni e con le autonomie locali, con enti, associazioni e comitati operanti nell'ambito della circoscrizione consolare, opportune iniziative nelle materie attinenti a: vita sociale e culturale, con particolare riguardo alla partecipazione dei giovani; pari opportunità; assistenza sociale e scolastica; formazione professionale; settore ricreativo, sport e tempo libero;
   essi, inoltre, sono chiamati a cooperare con l'autorità consolare nella tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini italiani residenti nella circoscrizione consolare;
   ai sensi dell'articolo 2 (compiti e funzioni del Comitato) della medesima legge, «l'autorità consolare e il Comitato assicurano un regolare flusso di informazioni circa le attività promosse nell'ambito della circoscrizione consolare dallo Stato italiano, dalle regioni, dalle province autonome e dagli altri enti territoriali italiani, nonché da altre istituzioni e organismi»;
   i comitati devono redigere una relazione annuale sulle attività svolte, da allegare al rendiconto consuntivo, e una relazione annuale programmatica, da allegare al bilancio preventivo;
   ai sensi dell'articolo 3 (bilancio del Comitato), comma 9, della suddetta legge i bilanci del Comitato sono pubblici;
   allo stato attuale non esiste un sito ufficiale del Comites venezuelano di Caracas;
   al 31 dicembre 2012 (dati A.I.R.E.) gli italiani residenti in Venezuela sono 116.329 –:
   se sia a conoscenza della mancanza di un sito web del Comitato in questione;
   in che modo l'autorità consolare e il Comitato assicurino un regolare flusso di informazioni circa le attività promosse;
   quali siano le modalità per reperire direttamente i bilanci, essendo pubblici;
   quale sia l'ammontare relativo all'ultimo quinquennio dei finanziamenti annuali disposti dal Ministero degli affari esteri e da altre amministrazioni italiane e agli eventuali contributi dei privati destinati al Comites di Caracas e in quali attività siano stati utilizzati. (4-06102)

  Risposta. — La normativa che disciplina l'attività dei Comitati degli Italiani residenti all'estero – Comites (legge 23 ottobre 2003, n. 286 e successivo regolamento di attuazione decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 2003, n. 395) non prevede l'obbligo per gli stessi di disporre di un proprio sito web. Da quanto appreso dal nostro consolato generale a Caracas, il Comites di Caracas disponeva di un sito web fino al 31 dicembre 2013, data in cui è scaduto il contratto che aveva con il servizio di «hosting». In ragione dell'approssimarsi del rinnovo dei Comites (come noto, le elezioni si svolgeranno il 19 dicembre 2014), è stato deciso di lasciare la decisione sull'opportunità di rinnovare la spesa per la gestione del sito al nuovo Comites che verrà eletto.
  Il consolato generale pubblicizza presso la comunità italiana di riferimento residente (che contava al 31 dicembre 2013 circa 120.736 connazionali) le proprie attività e diffonde le informazioni di interesse della comunità italiana e di origine italiana attraverso il sito
web del consolato, gli account Facebook e Twitter, e le mailing-list che fanno capo ad associazioni, patronati, centri italo-venezuelani, oltre che singoli connazionali (circa 16.000 indirizzi e-mail sono ricompresi in tali liste). Per la pubblicizzazione di informazioni sulle proprie attività presso la comunità italiana di riferimento, il Comites utilizza canali propri nell'ambito della sua autonomia. Il consolato generale diffonde inoltre informazioni relative all'attività del Comites di Caracas ogni qualvolta questi lo richieda.
  Oltre che al consolato generale in Caracas, i bilanci, il cui carattere di pubblicità è sancito dall'articolo 3, comma 9, della legge n. 286 del 2003, sono disponibili presso la sede dello stesso Comites di Caracas.
  I finanziamenti erogati dal Ministero degli affari esteri e la cooperazione internazionale in favore del Comites di Caracas, negli ultimi 5 anni, sono stati pari a: 2010: euro 28.518; 2011: euro 30.000; 2012: euro 20.000; 2013: euro 29.240; 2014: euro 0. Per l'anno in corso non verrà erogato alcun finanziamento data la presenza di un saldo attivo che permette di coprire interamente il contributo inizialmente programmato pari a euro 19.720.
  Non risulta dall'esame dei relativi bilanci che il Comites di Caracas abbia ricevuto contributi da terzi (privati e pubblici). È invece successo in passato che, nelle more dell'erogazione del contributo ministeriale (peraltro destinato alle sole spese di funzionamento) gli stessi membri Comites siano intervenuti per far fronte alle spese correnti con fondi personali.
  I membri del Comites di Caracas svolgono la loro attività prestando attenzione, come previsto dall'articolo 1 della legge n. 286 del 2003, alle esigenze della comunità italiana e a veicolare le rispettive istanze alle autorità consolari di riferimento. Essi hanno frequentemente visitato le scuole italiane e gli enti di assistenza. Si segnala in particolare che nel 2011 il consolato generale a Caracas ha concluso, su iniziativa del Comites, una convenzione con una rete di cliniche che ha consentito in questi anni di prestare assistenza ad un considerevole numero di connazionali con operazioni chirurgiche e visite specialistiche, servizi diventati molto costosi nell'attuale contesto del Venezuela.
  Tale sistema, in vigore tutt'oggi, è molto apprezzato dalla comunità italiana e risulta molto più efficace rispetto al sistema precedente.
  Nel 2013 il Comites ha coadiuvato il consolato generale a Caracas e alcuni vice consoli onorari nel promuovere e organizzare incontri con i connazionali residenti in Venezuela, con l'obiettivo di fornire loro informazioni aggiornate sugli strumenti di assistenza e sulla normativa riguardante la cittadinanza.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.