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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 12 novembre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la crisi in Italia risulta più profonda rispetto ai principali paesi europei e incide in particolar modo sulla produzione, sui consumi, sull'attività delle piccole e medio imprese di cui è ricco il territorio italiano;
    in particolare in Umbria i fenomeni negativi legati alla crisi hanno avuto ricadute ancora più complesse;
    infatti, ancora è in fase di contrazione la dinamica della produzione industriale dopo l'ampio (ridimensionamento subito già nel precedente trimestre 2014. Il sistema manifatturiero regionale ha subito una caduta di produzione non da poco risultando investito dalla materializzazione degli effetti del peggioramento del profilo ciclico con forti criticità riguardo alla dinamica dei consumi, all'accumulazione di capitale e all'accesso al credito;
    la fase di ridimensionamento della produzione industriale nel territorio regionale ha avuto una forte accentuazione nel 2011/2012, accompagnata da un fatturato che si contrae ulteriormente;
    secondo il Rapporto «L'economia in Umbria» della Banca d'Italia del giugno 2014: «Nel 2013 l'attività economica in Umbria si è ulteriormente contratta; secondo le stime di Prometeia il prodotto regionale è diminuito in termini reali dell'1,9 per cento, dopo il calo del 10,6 registrato dall'Istat nel quinquennio precedente»;
    «è rimasta particolarmente critica la situazione delle costruzioni, che dall'inizio della crisi hanno perso circa un quinto del valore aggiunto e degli occupati. Nel comparto residenziale sono diminuite sia le compravendite sia le quotazioni reali degli immobili. Il volume di attività in opere pubbliche è rimasto contenuto. I servizi hanno continuato a risentire negativamente della flessione dei consumi, connessa a quella del reddito disponibile delle famiglie. Il calo delle vendite è stato più marcato per i piccoli esercizi commerciali. Nel turismo, caratterizzato dalla diffusione di esercizi extralberghieri di piccole dimensioni, il lieve incremento delle presenze straniere non ha compensato la significativa riduzione di quelle italiane»;
    in base alla «Rilevazione sulle forze di lavoro» dell'Istat, nel 2013 è proseguito il calo dell'occupazione (-1,1 per cento, corrispondente a quasi 4.000 unità) e delle ore lavorate (-1,8 per cento). La mancata riduzione degli occupati nelle costruzioni (-14,1 per cento) e nell'industria in senso stretto (-5,6) è stata solo in parte compensata dalla crescita nei servizi e nell'agricoltura;
    la quota di occupati è scesa soprattutto tra i giovani (15-34 anni), dal 49,5 al 46,9 per cento, oltre dodici punti in meno rispetto al 2008;
    inoltre nel 2013 si sono contratti i finanziamenti alla economia regionale. Per quelli al settore produttivo il calo si è esteso alle imprese di media e grande dimensione e a quella dei servizi;
    sulla dinamica del credito hanno influito sia una domanda di prestiti ancora debole sia un atteggiamento dal lato dell'offerta che è rimasto restrittivo, soprattutto in termini di condizioni applicate;
    in tale contesto non stupisce anche l'indagine condotta a livello nazionale da Fondazione Impresa e pubblicata su «Il Sole 24 Ore» del 30 giugno 2014 che – sorprendentemente – colloca l'Umbria, insieme alla Sicilia, tra le regioni a più alto disagio imprenditoriale a causa soprattutto dei tassi di interesse praticati alle imprese fino a 5 addetti e dal credit crunch alle piccole aziende;
    anche i più recenti dati non mostrano segni di ripresa;
    i dati emersi dall'ultima rilevazione del secondo trimestre 2014 dell'Osservatorio economico dell'Umbria di Unioncamere Umbria segnalano il rafforzarsi di una tendenza pesantemente negativa;
    secondo l'indagine congiunturale sulle imprese manifatturiere dell'Umbria del secondo trimestre 2014, «Dopo l'inattesa battuta d'arresto accusata nei primi tre mesi del 2014, il sistema manifatturiero umbro fa registrare nel secondo trimestre un ulteriore inasprimento della fase recessiva attestato da un'eloquente contrazione (-1,7 per cento) dei volumi produttivi rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Un risultato determinato da un andamento negativo che ha investito tutti i settori produttivi e tutte le classi dimensionali in cui sono articolate le 400 imprese facenti parte del campione dell'indagine svolta da Unioncamere Umbria. Il calo della produzione, che supera di poco quello rilevato per il Centro Italia (-1,3 per cento), assume una valenza ancor più significativa se si considera che a livello nazionale si è registrata nello stesso periodo una sostanziale stabilità (+0,2 per cento) da ascriversi unicamente alle imprese con oltre 50 dipendenti che hanno chiuso il 2o trimestre con incrementi dell'1,1 per cento della produzione e dell'1,4 per cento del fatturato;
    l'arretramento quantitativo della produzione nei confronti del secondo trimestre 2013 trova puntuale conferma anche nei giudizi qualitativi espressi dagli imprenditori intervistati che hanno visto prevalere nettamente le segnalazioni di diminuzione della produzione (30 per cento) rispetto a quelle di aumento (14 per cento);
    osservando le valutazioni fornite dalle imprese rispetto al 1o trimestre 2014 emerge una situazione di sostanziale stabilità a riprova che la crisi è tornata ad acutizzarsi in questa prima parte dell'anno dopo una lunga sequenza di trimestri i cui risultati sembravano presagire un'imminente uscita dalla fase recessiva;
    anche le previsioni per il trimestre successivo sembrano far prevalere un diffuso senso di pessimismo soprattutto da parte delle imprese di minori dimensioni. In questo caso le risultanze dell'indagine condotta a livello regionale sembrano decisamente più in linea con quelle registrate per l'intero territorio nazionale»;
    le considerazioni svolte in merito all'andamento della produzione sembrano sostanzialmente corrispondenti con gli indicatori elaborati per il fatturato. Il risultato del primo trimestre 2014 fa rilevare un arretramento del -2,2 per cento dei volumi del fatturato rispetto allo stesso trimestre dell'anno precedente;
    come per la produzione e il fatturato anche per gli ordinativi il segno negativo caratterizza tutti i settori produttivi e tutte le classi dimensionali;
    il comparto delle industrie alimentari, che si era segnalato come il settore con la migliore dinamica per la lunga serie di risultati positivi, accusa un brusco stop in termini produttivi con un calo del 2,1 per cento rispetto al corrispondente trimestre del 2013, mentre a livello nazionale il compatto fa registrare una situazione di stazionarietà;
    secondo l'indagine anche per il compatto delle industrie tessili, dell'abbigliamento e delle calzature rimane in campo negativo il risultato fatto registrare dal settore della moda sia in termini produttivi (-0,7 per cento) che di fatturato (-1,0 per cento) anche se permane il segno più per quanto concerne il mercato estero;
    per il settore del legno e del mobile viene confermato lo stato di difficoltà presente da ormai parecchi trimestri. Il calo produttivo è dell'1,4 per cento cui si accompagna una diminuzione del fatturato totale (-1,5 per cento) e degli ordinativi (-1,8 per cento);
    anche il comparto delle industrie chimiche, petrolifere e delle materie plastiche, nel secondo trimestre 2014 registra flessioni in termini produttivi (-2,4 per cento), di fatturato (-2,6 per cento) e di ordinativi (-4,8 per cento);
    «pressoché stagnante nei primi tre mesi del 2014» — viene definito – l'andamento delle industrie dei metalli caratterizzate da leggeri arretramenti sia della produzione (-0,5 per cento) che del fatturato (0,3 per cento) rispetto al secondo trimestre 2013;
    «decisamente pesante il bilancio dal settore delle industrie elettriche ed elettroniche nel secondo trimestre 2014 rispetto all'analogo periodo 2013»: anche per questo comparto si registra una contrazione delle attività produttive e una caduta del fatturato molto marcata (-11,3 per cento);
    infine il settore delle industrie meccaniche e dei mezzi di trasporto, dopo un periodo abbastanza positivo, vede ritornare in campo negativo il dato trimestrale relativo alla produzione (-1,8 per cento), al fatturato (-3,5 per cento) e agli ordinativi (-1,4 per cento) rispetto al corrispondente periodo dell'anno precedente;
    in ordine all'andamento delle imprese commerciali, l'indagine rileva che anche in Umbria le difficoltà delle famiglie si sono tradotte, inevitabilmente, in una ulteriore riduzione delle attività delle imprese commerciali tra aprile e giugno scorso: ammonta a -3,3 per cento la variazione negativa delle vendite rispetto allo stesso periodo dello scorso anno;
    questi in sintesi sono i rilevamenti della indagine di UNIONCAMERE Umbria;
    infine dal 2008 al 2013, certifica l'Istat, è aumentata del 15 per cento la percentuale di umbri con bassi stipendi, che sono diventati il 10 per cento del totale dei lavoratori in regione, mentre cinque anni prima erano «solo» l'8,7 per cento;
    anche il recentissimo aggiornamento congiunturale di Banca d'Italia del 6 novembre 2014 sull'Economia dell'Umbria rivela che la disoccupazione ha raggiunto un nuovo massimo (11,5 per cento) con una diminuzione degli occupati del 1,7 per cento;
    i dati e le ricerche statistiche rispecchiamo la realtà: c’è dunque il rischio concreto della scomparsa della produzione manifatturiera della regione: solo per citare le aziende maggiori — che erano considerate sicure per produzioni e occupazioni – che hanno subito la crisi oppure per le quali ci sono tavoli di crisi già aperti alla regione o al Governo, vi sono: 1) ex Merloni spa (in amministrazione straordinaria dal 2012): con l'esaurimento della cassa integrazione per circa 1400 dipendenti e un accordo di programma che non decolla per vicende giudiziarie, la crisi della ex Antonio Merloni è diventata fonte di altissimi costi sociali in termini di perdite occupazionali; 2) Sangemini spa e ora Sangemini Fruit i cui dipendenti vivo in una forte incertezza occupazionale; 3) polo chimico temano (Basell, Meraklon, Treofan): l'intero polo accusa difficoltà; 4) per la SGL Carbon di Nami (TR) un solo pretendente (la Morex Italia) si è fatto avanti per l'acquisto dell'azienda ma le produzioni sono ferme con preoccupanti prospettive di licenziamenti; 5) alla Trafomec spa di Tavernelle (PG) soltanto il 50 per cento degli addetti è stato riassorbito dalla nuova società e persistono ancora molte incertezze sul futuro occupazionale; 6) all'ex Pozzi di Spoleto (settore dell'automotive), ora in amministrazione controllata, sono 300 i lavoratori in cassa integrazione; 7) la Grifolatte di Perugia e Liomatic spa hanno comunicato l'apertura di procedure di mobilità; 8) la società Margaritelli spa, dopo un dura vertenza, e lo stabilimento di San Sisto di Perugia della Perugina Nestlé recentemente hanno fatto ricorso ai contratti di solidarietà; 9) procedure di mobilità anche all'azienda FBM Fornaci Briziarelli Marsciano spa; 10) la Firema Trasporti spa ha un distaccamento a Spello il cui personale si è ridotto a 30 dipendenti che a rotazione sono in cassa integrazione; 11) l'Electrosys nell'orvietano si trova in concordato e sono a forte rischio occupazionale 55 famiglie e non ultima la vicenda ancora aperta della Acciaieria 4 speciali Temi – AST – che ricopre un ruolo strategico nel panorama nazionale ed europeo nella produzione di acciai speciali e che da sola produce il 15 per cento del PIL umbro, occupando fra manodopera e indotto circa 5 mila lavoratori costituendo un imprescindibile pilastro economico per l'intera regione e per il centro Italia;
    in totale sono 165 le vertenze aperte in Umbria dalla Thyssen Krupp-Ast alla ex Merloni;
    la crisi economica evidenzia ogni giorno di più l'esigenza di una rinnovata e prioritaria attenzione ai problemi dell'occupazione, del lavoro, dei redditi e dell'impresa;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'attuale politica governativa, per molti aspetti sembra non abbia ancora una strategia indirizzata al miglioramento e all'innovazione del contesto, con un evidente vuoto d'iniziativa che emerge come grave di fronte a una crisi che colpisce il territorio dispiegando effetti drammatici, anche se talvolta meno visibili a causa della frammentazione del tessuto imprenditoriale;
    a fronte di questa situazione il Governo non può limitarsi ad elargire contributi e/o sgravi «a pioggia» senza un disegno e una visione di politica industriale e di governo dello sviluppo;
    anche tutte le Pubbliche amministrazioni sono e devono essere direttamente coinvolte e sono chiamate a fare la loro parte in termini di tempi e risposta della giustizia, procedure per l'apertura di imprese, semplificazione della fiscalità (riduzione della burocrazia e pressione fiscale), e altro;
    recentemente — ad esempio – è stata denunciata la difficoltà degli uffici giudiziari umbri, in particolare del tribunale di Perugia la cui grave carenza di personale ha raggiunto livelli di assoluta emergenza;
    occorre, da una parte, rimuovere le zavorre che frenano la ripresa e lo sviluppo del territorio umbro: 1) credit crunch; 2) caro-energia; 3) isolamento delle imprese umbre; 4) tempi di risposta della giustizia; 5) carenza di idonee infrastrutture (collegamenti, logistica); 6) frammentazione del tessuto economico e dall'altra parte, promuovere e premiare le imprese che creano reti favorendone l'investimento nella ricerca, nel Made in Italy, qualità dei materiali, sviluppo di nuovi prodotti anche in campo ambientale, nei servizi o brevetti anche con la collaborazione dell'università e dei centri di ricerca e nel turismo ambientale;
    eppure l'Umbria può contare di distretti altamente produttivi e qualificanti e può vantare poli di importanza fondamentale nella ricerca e di sicura attrattività quali ad esempio — tra gli altri – il polo chimico e dell'acciaio di Terni, l'università degli studi di Perugia e l'università per stranieri;
    anche nel settore del turismo l'Umbria si pone come meta preferita grazie al suo patrimonio storico, culturale ed ambientale e il settore non sembra registrare «perdite», anzi le presenze di turisti nel 2014 secondo il rapporto congiunturale di Banca d'Italia sono tornate ad aumentare dell'1,1 per cento;
    secondo il Rapporto Greenitaly, realizzato da Unioncamere e Symbola, l'Umbria è la regione dove le 6.690 imprese green registrano l'incidenza più elevata sul totale delle imprese regionali pari al 27,6 per cento e i dati del sistema informativo excelsior mettono in evidenza che investire nell'eco-efficienza innesca esternalità positive anche sul fronte occupazionale;
    è necessario combattere anche l'idea che i settori manifatturieri tradizionali, come la meccanica, la siderurgia, la chimica ma anche l'artigianato targato Made in Italy siano ormai obsoleti;
    il Governo invece sembra volere vedere tutta la crisi come l'effetto di una gestione irresponsabile dei conti pubblici, e questo non solo esclude la possibilità di stimoli di bilancio efficaci, ma azzoppa l'investimento quantitativo;
    è fondamentale che lo Stato intervenga per stimolare la ricerca, l'innovazione, lo sviluppo e la creazione di reti e distretti di impresa con investimenti mirati ed intelligenti basati su una visione del futuro del territorio volto a ridurre – da una parte – il gap economico-finanziario ed infrastrutturale ma anche l'isolamento del territorio e delle imprese umbre e – dall'altra – premiare le imprese che condividono progetti innovativi, obiettivi produttivi o nuovi brevetti applicati alla produzione con la collaborazione delle Università e dei centri di ricerca e valorizzare il patrimonio ambientale e culturale del territorio in termini di turismo ambientale;
    è necessario mettere in atto un intervento organico e incisivo per rilanciare, riqualificare ed innovare il sistema manifatturiero e industriale e valorizzare il patrimonio ambientale e culturale che rappresenta la «spina dorsale» dell'Umbria, quale condizione fondamentale per riaprire una prospettiva espansiva all'apparato industriale dell'Umbria e contribuire al sostegno di quello dell'intero Paese,

impegna il Governo:

   ad assumere le necessarie iniziative finalizzate al rilancio delle attività economiche e alla re-industrializzazione del territorio umbro favorendo la crescita dell'occupazione e adottando tutti gli strumenti previsti al fine di valorizzare e promuovere il patrimonio di competenze produttive ed imprenditoriali presenti nel territorio nonché lo sviluppo dei fattori di integrazione dei siti produttivi ed in particolare del sito chimico e siderurgico temano tutelandone il valore di asset strategico nazionale che ricoprono per l'economia umbra e italiana;
   a costruire strumenti – anche in collaborazione con la regione Umbria e gli enti locali – che assicurino ai lavoratori la stabilità e la continuità lavorativa anche con gli eventuali necessari periodi di ammortizzatori sociali e il puntuale pagamento dei sussidi dovuti, nonché adeguati percorsi formativi di aggiornamento, qualificazione e riconversione professionale proiettati verso la ripresa produttiva e lavorativa;
   ad assumere le necessarie iniziative volte alla promozione di «incubatori di impresa» per la creazione e lo sviluppo di nuove imprese o «start up» innovative anche in campo ambientale ed ecosostenibile e della cosiddetta green economy nella quale l'Umbria ha maturato importanti esperienze e qualità professionali;
   a promuovere politiche di coordinamento per la creazione di «reti» tra imprese basate sulla logica della collaborazione e della condivisione degli obiettivi produttivi e di progetti innovativi anche con il coinvolgimento delle istituzioni regionali, locali, le università e i centri di ricerca;
   a promuovere una innovazione estesa premiando le imprese del territorio che creano reti e sinergie di gruppo finalizzate alla innovazione e allo sviluppo di prodotti e servizi anche espressivi del Made in Italy e favorendone l'investimento nella ricerca, qualità dei materiali, sviluppo di nuovi prodotti, servizi o nuovi brevetti applicati alla produzione anche con la collaborazione dell'università e dei centri di ricerca creando un contesto favorevole allo sviluppo economico ed alla crescita dell'occupazione;
   a farsi promotore di politiche in grado di favorire la creazione di distretti industriali e/o artigianali che abbiano come scopo l'abbattimento dei costi di produzione e dei costi energetici tramite la condivisione dei costi delle infrastrutture anche sollecitando lo sviluppo di progetti di condivisione a tal scopo finalizzati;
   a promuovere ed assumere iniziative volte alla valorizzazione e sostegno del turismo e del patrimonio ambientale e storico culturale dell'Umbria quale fonte di sviluppo e crescita occupazionale;
   a potenziare i collegamenti con opere infrastrutturali (strade) e i legami con le regioni confinanti per favorire un sistema a rete più competitivo ed efficace per le imprese umbre;
   a ridurre il gap produttivo e/o competitivo di cui soffrono le imprese umbre creando un contesto favorevole alla imprenditoria finalizzato ad eliminare e ridurre i disagi: a) potenziando le reti e la collaborazione tra le imprese anche con la promozione di cluster d'innovazione; b) potenziando l'organico degli uffici delle cancellerie dei tribunali umbri e in particolare del tribunale di Perugia favorendo processi di mobilità ciel personale dalla regione, provincia ed enti locali agli uffici giudiziari che soffrono carenze di organico; c) promuovendo politiche di accesso al credito e un sistema creditizio e finanziario che sia in grado di accompagnare e sostenere la crescita dimensionale, l'innovazione e l'internazionalizzazione delle imprese del territorio umbro che condividono tra loro un progetto o una ricerca innovativa volto alla realizzazione di nuovi prodotti o servizi;
   ad attivare ogni iniziativa utile e tutti gli strumenti di politica industriale e – anche in collaborazione con la regione Umbria – i nuovi fondi della programmazione comunitaria del nuovo settennio (2014-2020) previsti dal Fondo sociale europeo (FSE) e dal Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) legati alla innovazione di prodotti e di processo;
   farsi promotore, unitamente alla regione Umbria, di ogni strumento di agevolazione a favore delle imprese e reti d'impresa del territorio umbro che affidano attività di ricerca e sviluppo di prodotti innovativi a università, enti pubblici di ricerca o organismi di ricerca ovvero per le imprese che realizzano direttamente investimenti in ricerca e sviluppo;
   ad assumere politiche in grado di favorire la localizzazione delle attività produttive nelle aree del territorio dell'Umbria, rafforzando così il tessuto produttivo e favorendo i processi di agglomerazione produttiva.
(1-00662) «Ciprini, Gallinella, Luigi Di Maio, Rizzetto, Bechis, Baldassarre, Vallascas, Da Villa, Cominardi, Chimienti».


   La Camera,
   premesso che:
    le telecomunicazioni rappresentano un motore fondamentale di sviluppo poiché aumentano la produttività delle imprese e della pubblica amministrazione. Gli investimenti in banda ultra larga sono dunque strategici per il sistema Paese;
    lo sviluppo delle reti fisse a banda larga e ultra larga costituisce un passaggio cruciale per dotare il Paese di quelle infrastrutture che rappresentano la base per dare un forte impulso al processo di digitalizzazione, nonché un fattore determinante di rilancio dell'economia, della competitività e della crescita;
    il settore delle telecomunicazioni in Italia è stato pienamente liberalizzato sin dal 1998 e risulta oggi caratterizzato da un elevato livello di concorrenzialità ed è regolamentato a livello sia europeo sia nazionale;
    a livello nazionale le società proprietarie di reti, a vario titolo, si stanno fortemente impegnando nello sviluppo delle infrastrutture di rete, come confermato dall'importante piano di investimenti di Telecom per il triennio 2014-2016, che vale complessivamente 9 miliardi di euro, di cui 3,4 miliardi di euro dedicati allo sviluppo di reti e servizi innovativi sia per quanto riguarda la fibra che il 4G;
    a novembre 2013 Vodafone ha annunciato il programma «Spring» che prevede investimenti per 3,6 miliardi di euro in due anni al fine di raddoppiare le risorse per lo sviluppo dei collegamenti a banda ultra larga, mobile e fissa. Più nello specifico Vodafone intende sviluppare infrastrutture e piattaforme evolute e accelerare gli investimenti, oltre che sulle reti mobili 3G e 4G, anche nella rete fissa in fibra ottica, arrivando a coprire le 150 principali città con la rete Fttc (Fibre to the home), con l'obiettivo di raggiungere entro il 2016 almeno 6 milioni e mezzo di famiglie, pari a un quarto della popolazione italiana;
    allo stesso modo Fastweb spa, società a socio unico soggetta all'attività di direzione e coordinamento di Swisscom AG, ha sviluppato una rete nazionale in fibra ottica che si estende per 35.000 chilometri e raggiunge circa il 50 per cento della popolazione italiana, di cui il 10 per cento direttamente in tecnologia fiber to the home, il collegamento in fibra ottica fino a casa del cliente, offrendo servizi a banda ultra larga fino a 100 megabit al secondo;
    dal 1995 opera in Italia anche Albacom spa, nata come progetto delle società British Telecom (BT) e Banca nazionale del lavoro (Bnl), il cui capitale sociale è stato interamente acquisito alla fine del 2004 da British Telecom e il 4 febbraio 2005 la compagnia ha modificato la denominazione sociale in BT Albacom spa;
    nel 2006 in BT Albacom confluiscono le attività di Atlanet spa, acquisita da British Telecom nel mese di marzo, e la società ha assunto la sua attuale ragione sociale, BT Italia spa;
    BT Italia è il principale fornitore in Italia di servizi e soluzioni integrate di comunicazione e IT interamente dedicato alle imprese, dalle multinazionali alle piccole e medie imprese e professionisti, e alla pubblica amministrazione, gestendo una base clienti di circa 150.000 aziende e una rete in fibra ottica di oltre 14.000 chilometri;
    opera in Italia, e in particolare in Lombardia e Liguria, anche Metroweb, che nell'area metropolitana di Milano gestisce una rete in fibra ottica di 7.254 chilometri di cavi, pari a 324.000 chilometri di fibre ottiche, coprendo un'area di oltre 2,7 milioni di abitanti;
    una visione liberale dell'economia promuove la piena trasparenza, competitività e libera concorrenza nel mercato tutelando al contempo l'impresa privata;
    è necessaria un'azione di regia da parte del Governo affinché, grazie ad una cooperazione tra settore pubblico e privato, l'Italia colmi il digital divide che la separa dagli altri Paesi ad economia avanzata. Per cercare di risolvere il problema del digital divide sono fondamentali gli investimenti sia sulla rete mobile che sulla rete fissa;
    il digital divide va considerato come esistente non solo sui megabit necessari alla connessione base, ma anche all'accesso veloce a Internet;
    è dunque necessaria un'efficace azione di Governo volta, da un lato, a creare le condizioni per favorire gli investimenti e, dall'altro, ad attuare iniziative di stimolo ed impulso che favoriscano la domanda di servizi digitali anche a fronte del fatto che il livello di alfabetizzazione digitale del Paese risulta basso, come scarso risulta ancora il numero degli utilizzatori di Internet ed il tasso di diffusione dei pc nelle famiglie;
    il ritardo accumulato dal Paese deriva anche da una governance sull'Agenda digitale estremamente farraginosa, poco trasparente, con evidenti sovrapposizioni di ruoli e carenza nell'individuazione degli obiettivi e delle azioni necessarie al loro raggiungimento;
    come riportato anche dalla recente ricerca dell'Osservatorio agenda digitale della School of management del Politecnico di Milano, infatti, ad oggi sono stati adottati solo 18 dei 53 provvedimenti attuativi, tra regolamenti e regole tecniche, previsti per il raggiungimento degli obiettivi dell'Agenda digitale, e su alcuni di questi sono stati accumulati oltre 600 giorni di ritardo,

impegna il Governo:

   ad elaborare una visione strategica nazionale per il settore delle telecomunicazioni tale da soddisfare la funzione di interesse generale dell'infrastruttura di telecomunicazioni e fornire il quadro di riferimento per gli operatori, con la possibilità di prevedere forme di societarizzazione interna ovvero aperta a tutti gli operatori per la gestione della rete di accesso, ove la sola concorrenza non sia in grado di perseguire l'interesse generale;
   ad attivarsi con e nelle istituzioni dell'Unione europea affinché sia possibile escludere gli investimenti pubblici, diretti a colmare il digital divide, dal patto di stabilità;
   ad attivarsi affinché i fondi strutturali europei siano impiegati a sostegno degli interventi necessari a sviluppare la banda ultra larga su rete fissa e in fibra, wi-fi e mobile, anche nelle aree a fallimento di mercato;
   a valutare le strategie più efficaci e praticabili atte a consentire lo sviluppo dell'infrastruttura di rete e della relativa governance in modo da assicurare la piena concorrenza tra operatori;
   a promuovere ogni iniziativa volta alla massima diffusione dell'utilizzo delle tecnologie digitali e alla sperimentazione dei relativi vantaggi, attuando politiche volte a diffondere l'uso di Internet tra i cittadini, anche attraverso la sensibilizzazione delle fasce della popolazione che attualmente non fanno uso di servizi on-line;
   a rivedere la governance dell'Agenda digitale, in modo da chiarire univocamente obiettivi, ruoli ed azioni, nonché a provvedere alla celere adozione dei decreti attuativi necessari all'implementazione della stessa.
(1-00663) «Bergamini, Palese».


   La Camera,
   premesso che:
    sia le istituzioni sovranazionali che i Governi nazionali riconoscono all'evoluzione delle infrastrutture di nuova generazione e al conseguente sviluppo dei servizi in rete un ruolo fondamentale per garantire una crescita inclusiva, sostenibile e duratura dei singoli Paesi e, sotto tale profilo, l'anno 2011 ha rappresentato uno snodo importante caratterizzato dalla definizione degli ambiziosi obiettivi comunitari dell'agenda digitale europea (COM(2010)245) per il prossimo decennio, ma anche dagli indirizzi regolamentari per la realizzazione delle reti di accesso di nuova generazione e dal lancio delle prime offerte a 100 megabit al secondo anche in Italia;
    le reti di accesso di nuova generazione sono reti di accesso cablate costituite, in tutto o in parte, da elementi ottici e in grado di fornire servizi d'accesso a banda larga con caratteristiche più avanzate (quale una maggiore capacità di trasmissione) rispetto a quelli forniti tramite le reti in rame esistenti;
    dette reti, definite anche come delle vere e proprie «autostrade informatiche» per veicolare il traffico dati a grande velocità, in sicurezza e senza strozzature, secondo quanto emerge dal secondo rapporto dell'Osservatorio I-Com sulle reti di nuova generazione, rappresentano non solo uno strumento di sviluppo e crescita dell'economia, ma anche e soprattutto una modalità di investimento per evitare il cosiddetto «sotto-sviluppo» dei Paesi;
    non a caso, proprio sulle reti di nuova generazione, si sono indirizzati importanti investimenti sia di carattere pubblico che privato nei principali Paesi del mondo e, in particolare, negli Stati Uniti, in Cina, in Corea, in India e in Australia;
    anche i Paesi europei a più elevato tasso di digitalizzazione quali il Regno Unito, l'Olanda e le economie scandinave hanno investito sulle reti di accesso di nuova generazione, anche se in modo più limitato di altre realtà internazionali;
    ciononostante, numerosi studi di caratura nazionale e internazionale dimostrano come le reti di nuova generazione (fisse e mobili) possono promuovere la crescita almeno di un 1 punto di prodotto interno lordo ogni 10 per cento aggiuntivo di diffusione della banda larga e, al contempo, generare importanti risparmi che, a regime, per l'Italia corrisponderebbero a quasi 40 miliardi di euro all'anno. Sul punto, si segnala come la Banca Mondiale stimi, infatti, in 1,21 per cento l'impatto per i Paesi ad alto reddito di prodotto interno lordo aggiuntivo per ogni 10 per cento di diffusione della banda larga (Qiang e Rosotto, «Economic impacts of broadband», in Information and Communication for Development 2009: Extending Reach and Increasing Impact, Word Bank). Con riferimento specifico all'Italia, inoltre, il Progetto Italia digitale 2010 di Confindustria quantifica i risparmi grazie al: telelavoro (in 2 miliardi di euro); e-learning (in 1,4 miliardi di euro); e-government e impresa digitale (in 16 miliardi di euro); e-health (in 8,6 miliardi di euro); giustizia e sicurezza digitale (in 0,5 miliardi di euro); gestione energetica intelligente (in 9,5 miliardi di euro). Analoghe considerazioni sono contenute nel rapporto Oecd (2009) Network developments in support of innovation and user needs – Directorate for science, technology and industry;
    come si evince della lettura del secondo rapporto dell'Osservatorio I-Com sulle reti di nuova generazione, molti Governi hanno implementato strategie volte alla diminuzione degli ingenti costi di costruzione delle infrastrutture e a fornire, conseguentemente, incentivi sufficienti ad attrarre l'investimento privato in zone di mercato altrimenti escluse. Solitamente tali interventi sono successivi a un preliminare processo di stima della domanda potenziale e possono avere scala nazionale o, più frequentemente, essere associati a politiche regionali settoriali, indirizzate a specifiche aree geografiche, in cui il costo di fornitura privata del servizio richiesto è troppo elevato per il livello di domanda identificata;
    tra i meccanismi di investimento implementati a livello europeo e internazionale, uno dei metodi per canalizzare l'intervento pubblico in modo efficiente consiste:
     a) nel progettare forme di partenariato, dal momento che esse permettono di controllare più facilmente i flussi di investimento pubblico e, al contempo, di valersi dell'esperienza e della professionalità del settore privato. Un famoso modello di partenariato pubblico-privato è quello adottato per il progetto Amsterdam Citynet, anche se il modello si è evoluto discostandosi dall'assetto iniziale, con la drastica riduzione della componente pubblica, in seguito al trasferimento di parte della proprietà alle società private KPN e Reggefiber;
     b) nell'avviare prestiti di lungo periodo per gli operatori e programmi nazionali di finanziamento. I programmi di finanziamento vengono adottati per sostenere gli investimenti degli operatori e per agevolare la diffusione della banda larga attraverso incentivi all'entrata sul mercato. Nella maggior parte dei casi, i finanziamenti sono diretti a sovvenzionare soggetti privati, come nel caso dei programmi di finanziamento statunitensi «Rural Broadband Access Loan» e «Guarantees Program», nei quali il Governo si impegnava a concedere garanzie e prestiti agli operatori a tassi agevolati;
     c) nel riconoscimento di incentivi fiscali. Tale tipologia di intervento serve a promuovere gli investimenti in ricerca e sviluppo, in modo tale che gli operatori che investono sia in nuove reti che, in alcuni casi, in nuovi contenuti abbiano incentivi sufficienti a creare ulteriore innovazione. In tale tipologia di intervento rientrano diverse agevolazioni fiscali, che variano a seconda della legislazione del Paese prescelto, e che comprendono il credito di imposta (Usa) e i sussidi elargiti agli operatori di business (Canada). Gli incentivi fiscali sono particolarmente diffusi in Danimarca e negli Stati Uniti, dove sono stati introdotti per agevolare gli investimenti dei nuovi operatori (Usa) e per sussidiare indirettamente i dipendenti di quelle imprese che adottano sistemi di gestione dei dati supportati dalle reti di prossima generazione (Danimarca);
     d) nell'adottare strategie di abbattimento dei costi amministrativi legati ai processi di creazione dell'infrastruttura e nell'agevolare gli investimenti in nuovi rami di business;
     e) nell'adottare politiche di condivisione delle infrastrutture. La ratio di tali politiche è legata al fatto che i costi delle opere civili costituiscono di gran lunga la componente dominante dei costi di realizzazione delle reti di prossima generazione in fibra ottica. In particolare, il Giappone ha utilizzato le reti elettriche esistenti per lo sviluppo della fibra ottica, arrivando a risparmiare il 23 per cento dei costi di implementazione. La Francia, invece, ha deciso di condividere la fibra nelle aree urbane, a Parigi in particolare, aprendo il suo sistema di fognatura ai concorrenti, evitando in tal modo gran parte dei costi di ingegneria civile. Nel mese di agosto del 2008, il legislatore francese ha poi approvato una legge che impone ai costruttori dei nuovi edifici di distribuire la fibra di tutto l'edificio e di renderla disponibile a tutti gli operatori concorrenti su base non discriminatoria;
     f) nell'adottare iniziative per assicurare un utilizzo efficiente dello spettro radio. Lo sviluppo del mercato della banda larga dipenderà in misura consistente dallo sviluppo di reti di tipo wireless, come ha ribadito la Commissione europea nella comunicazione sul futuro della banda larga in Europa del 20 settembre 2010;
     g) nell'implementare il cosiddetto mapping territoriale. Un altro tipo di intervento che, ad oggi, è relativamente poco diffuso è la mappatura delle zone scoperte, ossia quel procedimento di identificazione delle aree territoriali effettivamente escluse dall'accesso a servizi a banda larga mediante un catasto delle infrastrutture;
    al riguardo, le analisi condotte dall'Osservatorio I-Com sulle reti di nuova generazione hanno evidenziato come non tutte le tipologie di politiche pubbliche a sostegno della diffusione della banda larga e delle reti di nuova generazione sembrano esercitare un effetto positivo sulla diffusione delle linee a banda larga;
    infatti, mentre l'implementazione di forme di partenariato pubblico-privato (sia con proprietà pubblica che privata della rete) risulta avere un effetto positivo e statisticamente significativo sul grado di penetrazione della banda larga sul territorio nazionale, così come la realizzazione di programmi di finanziamento e prestiti di lungo periodo per gli operatori, altre politiche quali la mappatura del territorio o il riconoscimento di incentivi fiscali sembrano esercitare un effetto debole e statisticamente non significativo;
    in ogni caso, si ritiene che la questione del finanziamento e degli investimenti in banda larga e reti di nuova generazione appaia troppo importante dal punto di vista economico e sociale per essere lasciata solo nelle mani degli investitori privati, la cui disponibilità all'investimento in tempi rapidi potrebbe essere limitata dagli elevati costi di realizzazione delle nuove reti e, soprattutto, dall'incertezza circa la capacità di ottenere adeguati ritorni dall'investimento;
    l'Italia, peraltro, presenta un numero di «analfabeti digitali» (definito come numero di cittadini che non hanno mai utilizzato Internet) fra i più alti d'Europa e questo fenomeno – che frena la crescita economica e la diffusione della cultura delle informazioni, pregiudicando in modo irreversibile il futuro delle prossime generazioni – nel breve e nel medio periodo, di fatto, potrà essere efficacemente contrastato solo attraverso una forte politica di investimenti pubblici da parte dello Stato;
    con il termine Agenda digitale si intendono un insieme di specifiche politiche pubbliche volte al potenziamento delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione;
    l'Agenda digitale europea è stata presentata dalla Commissione europea nel maggio 2010 – comunicazione «Un'agenda digitale europea» (COM(2010)245) – con lo scopo di sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione per favorire l'innovazione, la crescita economica e la competitività;
    non a caso l'Agenda digitale europea rappresenta una delle sette «iniziative faro» della Strategia per la crescita «Europa 2020», proponendo di realizzare un mercato unico digitale, di garantire un internet «veloce» e «superveloce» accessibile a tutti e a prezzi competitivi, attraverso reti di nuova generazione, di favorire gli investimenti privati e raddoppiare le spese pubbliche nelle sviluppo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione;
    il 20 settembre 2010, la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure di attuazione dell'Agenda digitale, tra le quali la comunicazione (COM(2010)472) che indica l'obiettivo di assicurare entro il 2020 l'accesso ad Internet a tutti i cittadini con una velocità di connessione superiore a 30 megabit al secondo (banda ultra larga) e per almeno il 50 per cento delle famiglie con velocità superiore a 100 megabit al secondo;
    la promozione di reti di banda larga è, infatti, ritenuta di importanza centrale al fine del superamento del cosiddetto digital divide e con il termine «banda larga», nella teoria dei segnali, vengono indicati i metodi che consentono a due o più segnali di condividere la stessa linea di trasmissione. Esso è però divenuto con il tempo sinonimo di «alta velocità» di connessione alla rete Internet e di trasmissione ed è, pertanto, un concetto relativo e in evoluzione con l'avanzamento tecnologico. L'attuale sviluppo tecnologico indica generalmente come «banda larga» le connessioni in Europa superiori a 2 megabit al secondo;
    il Piano nazionale per la banda larga, coordinato dal Ministero dello sviluppo economico, mira all'eliminazione del digital divide in tutto il Paese, in particolare tramite l'eliminazione del deficit infrastrutturale presente in oltre 6 mila località del Paese ed i cui costi di sviluppo non possono essere sostenuti dal mercato;
    l'Agenda digitale europea fa riferimento anche alla banda «ultra larga», termine con il quale sono generalmente indicate velocità di connessione superiori a 30 megabit al secondo e che possono raggiungere anche i 100 megabit al secondo;
    sullo stato di diffusione della banda larga in Italia fornisce informazioni utili il rapporto «Raggiungere gli obiettivi Europei 2020 della banda larga in Italia: prospettive e sfide» presentato il 30 gennaio 2014 da Francesco Caio, nella sua qualità di commissario per l'attuazione dell'Agenda digitale, ai sensi del decreto-legge n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013;
    il rapporto contiene un'analisi dei piani di investimento dei gestori italiani di telecomunicazioni. Nel rapporto si evidenzia un moderato ottimismo, purché gli operatori continuino ad investire, l'evoluzione tecnologica sia conforme alle attese e vi sia un coordinamento per l'attuazione tra operatori, regolatore e comuni. Per quanto riguarda l'obiettivo della copertura a 30 megabit al secondo per il 100 per cento della popolazione, le prime stime indicano una copertura raggiungibile al 2020 del 70 per cento con piani di dettaglio che arrivano al più fino al 2016-2017 con coperture al 50 per cento. Si ritiene che il raggiungimento completo degli obiettivi dell'Unione europea richieda ulteriori azioni complesse di tipo finanziario e di coordinamento tra i soggetti in campo, con un forte impegno e monitoraggio della Presidenza del Consiglio dei ministri;
    inoltre, la Commissione europea ha autorizzato con decisione COM(2012)9833 del 18 dicembre 2012 il progetto nazionale italiano per la banda ultra larga, che sarà gestito nell'ambito di appositi accordi con le regioni. In questo quadro, sono stati emessi a febbraio 2013 i bandi nazionali per 900 milioni di euro per l'azzeramento del digital divide nonché per accelerare lo sviluppo della banda ultra larga;
    con il Documento di economia e finanza 2014-2016 l'attuale Governo si è impegnato al raggiungimento degli obiettivi europei al 2020 di garantire al 100 per cento dei cittadini servizi di connettività ad almeno 30 megabit al secondo e incentivando, al contempo, la sottoscrizione di servizi oltre i 100 megabit al secondo per la metà della popolazione;
    la IX Commissione (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei deputati, il 16 aprile 2014, ha espresso parere favorevole al Documento di economia e finanza 2014-2016 evidenziando, tra le altre cose, la priorità di sostenere adeguatamente la piena attuazione dei piani nazionali della banda larga e della banda ultra larga ed operare per il conseguimento degli obiettivi previsti dall'Agenda digitale europea;
    purtuttavia, si deve evidenziare che con riferimento allo stato di attuazione dell'Agenda digitale italiana di cui ai decreti-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012 e n. 69 del 2013, per quanto risulta ai firmatari del presente atto di indirizzo è stato rilevato che dei 55 adempimenti considerati dalla normativa vigente ne sono stati adottati solo 17 (per gli adempimenti non ancora adottati in 21 casi risulta già scaduto il termine per provvedere; rispetto alla ricognizione precedente sono state prese in considerazione le misure dell'articolo 13 del decreto-legge n. 69 del 2013, nonché ulteriori disposizioni del decreto-legge n. 179 del 2012 in precedenza non considerate ma comunque collegate all'attuazione dell'Agenda digitale);
    si segnala altresì che non risulta mai utilizzata la procedura prevista dall'articolo 13, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del decreto-legge n. 69 del 2013, in base alla quale, per accelerare l'adozione dei provvedimenti attuativi previsti da quattordici specifiche disposizioni del decreto-legge n. 179 del 2012 si consente, per i regolamenti governativi, la loro adozione su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e non dei ministri proponenti previsti (comma 2-bis) e per i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e per i decreti ministeriali la loro adozione su proposta del Presidente del Consiglio anche in assenza del concerto dei Ministri previsti (comma 2-ter e 2-quater); infatti, tutti i provvedimenti attuativi in questione risultano ancora da adottare, fatta eccezione per due casi, nei quali si è però utilizzata la procedura ordinaria (si tratta nello specifico del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 agosto 2013, n. 109, attuativo dell'articolo 2, comma 1, e del decreto ministeriale 9 agosto 2013, n. 165, attuativo dell'articolo 14, comma 2-bis);
    eppure la rilevanza strategica dell'Agenda digitale, in un momento cruciale per il nostro Paese, imporrebbe la priorità di intervenire con urgenza sull'Agenda digitale. Una compiuta dematerializzazione consentirebbe, infatti, di ottenere risparmi pari a 43 miliardi di euro l'anno, di cui 4 miliardi di euro l'anno di soli risparmi per gli approvvigionamenti, 15 miliardi di euro l'anno di risparmi legati all'aumento di produttività del personale, 24 miliardi di euro l'anno di risparmi sui «costi di relazione» tra pubblica amministrazione e imprese, grazie a uno snellimento della burocrazia, come dimostrano i dati dell'Osservatorio fatturazione elettronica e dematerializzazione del Politecnico di Milano;
    recentemente, è stata, altresì, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 9 settembre 2014, n. 209, la delibera del comitato interministeriale per la programmazione economica relativa all'approvazione della proposta di accordo di partenariato nell'ambito della programmazione dei fondi strutturali e di investimento europei 2014-2020;
    è stata approvata con delibera del 18 aprile 2014 del Comitato interministeriale per la programmazione economica, la proposta di accordo di partenariato che stabilisce la strategia di impiego di fondi strutturali e di investimento europei per il periodo 2014-2020. Undici gli obiettivi tematici (OT) previsti dal regolamento (UE) n. 1303/2013: OT1: rafforzare la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l'innovazione; OT2: migliorare l'accesso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, nonché l'impiego e la qualità delle medesime; OT3: promuovere la competitività delle piccole e medie imprese, il settore agricolo e il settore della pesca e dell'acquacoltura; OT4: sostenere la transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio in tutti i settori; OT5: promuovere l'adattamento al cambiamento climatico, la prevenzione e la gestione dei rischi; OT6: tutelare l'ambiente e promuovere l'uso efficiente delle risorse; OT7: promuovere sistemi di trasporto sostenibili ed eliminare le strozzature nelle principali infrastrutture di rete; OT8: promuovere l'occupazione sostenibile e di qualità e sostenere la mobilità dei lavoratori; OT9: promuovere l'inclusione sociale, combattere la povertà e ogni forma di discriminazione; OT10: investire nell'istruzione, formazione e formazione professionale, per le competenze e l'apprendimento permanente; OT11: rafforzare la capacità delle amministrazioni pubbliche e degli stakeholder e promuovere un'amministrazione pubblica efficiente;
    l'importo complessivo da ripartire tra gli obiettivi tematici è di 41.548,4 milioni di euro per il periodo di programmazione 2014-2020. Nella delibera sono allegate alcune tavole con cui viene dettagliata la ripartizione già disponibile del Fondo europeo di sviluppo regionale e del Fondo sociale europeo, pari a complessivi 31.118,7 milioni di euro, articolata per obiettivo tematico rispettivamente a favore delle regioni più sviluppate, delle regioni in transizione e delle regioni meno sviluppate. Nelle successive fasi di negoziazione formale con la Commissione europea e di attuazione dell'accordo di partenariato ci si impegna a tener conto delle esigenze che già sono sorte in fase istruttoria al fine di ottimizzare e garantire l'efficace realizzazione dei programmi, nel rispetto del principio della proficua gestione delle risorse;
    come, tuttavia, emerge da una recente inchiesta condotta dal Corriere delle Comunicazioni, tutte le regioni del nostro Paese hanno deliberato in tema di digitalizzazione e sono molte quelle che si sono dotate di agende digitali, reti di nuova generazione, cloud e razionalizzazione dell'esistente: i pilastri, in buona sostanza, sui cui poggia buona parte dei piani;
    lo scenario che ne emerge è sorprendente: le regioni sono molto più avanti di quanto si creda in materia di digitalizzazione e non mancano i progetti (di cui moltissimi già portati a termine) votati a rafforzare l'erogazione di servizi innovativi a cittadini e imprese che fanno leva su tecnologie di ultima generazione; il cloud, considerato dai più uno strumento per razionalizzare l’hardware; aumentare la capacità di storage e abbattere i costi in nome dell'efficienza e della spending review;
    fra le priorità anche la dematerializzazione e anche in questo caso a guidare i progetti c’è il duplice obiettivo di efficientare la macchina pubblica ottenendo un sensibile risparmio sulle spese vive, che non guasta in tempi di crisi;
    da evidenziare il rafforzamento degli investimenti in connettività e in particolare in banda larga per consentire l'erogazione di servizi evoluti e spingere l'attuazione di progetti digitali legati in particolare a sanità e scuola, ma anche a sostenere i distretti produttivi e a favorirne crescita e sviluppo in chiave di globalizzazione;
    da Nord a Sud, le agende regionali si somigliano molto; le differenze si misurano per lo più in termini di risorse disponibili e, quindi, di capacità attuativa delle iniziative sulla carta. Il patto di stabilità, da un lato, e l'incapacità di sfruttare appieno i fondi europei, dall'altro, rappresentano i grandi ostacoli sul cammino;
    le agende digitali regionali ci sono, dunque, ma ancora non si comprende come potranno integrarsi nel grande progetto nazionale. Attuare un'agenda digitale nazionale, quando ci sono già 21 agende locali, potrebbe determinare il rischio di una frammentazione che può inficiare l'attuazione stessa dei progetti a causa di annose questioni quali la mancanza di standard e di interoperabilità e la duplicazione delle iniziative, per non parlare del pericolo di ritrovarsi un'Italia digitale eternamente a macchia di leopardo;
    strettamente legata alla capacità del nostro Paese di centrare pienamente gli obiettivi dell'Agenda digitale europea è senza alcun dubbio l'annosa questione relativa alla necessità di garantire il controllo nazionale dell'infrastruttura di rete;
    come noto e costantemente rilevato da precedenti atti di indirizzo e di sindacato ispettivo presentati dal gruppo parlamentare Sinistra Ecologia Libertà, nel 2013, il nostro Paese ha dovuto assistere inerme alla dolorosa cessione, di fatto, ad investitori stranieri di una delle società che per anni ha rappresentato l'eccellenza nel mondo delle telecomunicazioni, ovverosia Telecom;
    con riferimento a Telecom spa, in data 4 dicembre 2013, la IX Commissione (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei deputati ha approvato la risoluzione n. 8-00029 concernente la situazione della società, nell'ambito della quale ha impegnato il Governo «ad adottare le iniziative consentite affinché siano garantiti i principi di equità e non discriminazione nell'accesso alla rete di telecomunicazioni da parte degli operatori, e, nel caso in cui si proceda alla costituzione di una società della rete, affinché la governance e gli assetti siano tali da assicurare che la gestione di una risorsa strategica per il Paese sia effettuata in modo rispondente a finalità di interesse generale»;
    purtuttavia, durante le audizioni svolte presso la IX Commissione (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei deputati, il sindacato Slc-Cgl aveva ribadito che senza uno strumento che potesse rimettere in discussione gli accordi che facevano diventare Telefonica controllore di fatto di Telecom Italia dal 1o gennaio 2014, ogni discussione sugli investimenti in infrastrutture necessari a rimuovere il gap tecnologico del nostro Paese sarebbe avvenuto fuori tempo massimo e che sarebbe stato necessario promuovere il decreto sull'offerta pubblica d'acquisto, avviando successivamente con Telefonica un negoziato che, partendo da un aumento di capitale a cui far partecipare investitori come Cassa depositi e prestiti, fondi pensione, assicurazioni vita, fosse in grado di produrre uno sforzo significativo per la costruzione della rete di nuova generazione;
    detto sindacato ha, inoltre, chiesto ai membri della IX Commissione di farsi promotori di una mozione con cui impegnare il Governo, tra le altre cose, a modificare la legge sull'offerta pubblica d'acquisto sulla scorta di quanto realizzato già dal Senato della Repubblica con la mozione n. 1-00160 approvata dall'Assemblea del Senato della Repubblica, a prima firma del presidente Mucchetti e cofirmata dai senatori del gruppo parlamentare Sinistra Ecologia Libertà, ove si chiedeva al Governo di attivarsi al fine di introdurre, con la massima urgenza, anche attraverso l'adozione di un apposito decreto-legge, le necessarie modifiche al Testo unico della finanza, in modo da: a) rafforzare i poteri di controllo della Consob nell'accertamento dell'esistenza di situazioni di controllo di fatto da parte di soci singoli o in concerto tra loro, in linea con le decisioni già assunte dalla Consob stessa in casi analoghi; b) aggiungere alla soglia fissa del 30 per cento, già prevista per l'offerta pubblica d'acquisto obbligatoria, una seconda soglia legata all'accertata situazione di controllo di fatto;
    a questo impegno, purtroppo, non si è dato mai seguito, nonostante fosse stato assunto analogamente anche alla Camera dei deputati in occasione della presentazione successiva di mozioni orientate in tal senso da parte di diversi gruppi parlamentari,

impegna il Governo:

   a valutare con particolare attenzione, alla luce di quanto previsto dalla normativa nazionale ed europea, l'opportunità di accelerare le procedure di scorporo, ovvero di separazione societaria della infrastruttura della rete di telecomunicazione al fine di rimuovere il gap tecnologico del nostro Paese, mediante la costituzione di una società della rete a maggioranza pubblica che possa prevedere soprattutto il coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti;
   a valutare l'opportunità di adottare le più opportune iniziative, avendo riguardo ai risultati delle esperienze maturate nel contesto europeo e internazionale richiamate in premessa, tese a favorire gli investimenti pubblici e privati nelle reti di nuova generazione;
   a valutare l'opportunità di dare seguito agli impegni richiamati dalla citata mozione n. 1-00160 approvata al Senato della Repubblica in materia di modifiche alla legislazione sull'offerta pubblica di acquisto, a prima firma del presidente Mucchetti e cofirmata dai senatori del gruppo parlamentare Sinistra Ecologia Libertà, per le ragioni espresse in premessa, ove si impegnava, tra l'altro, il Governo pro tempore ad attivarsi al fine di introdurre, con la massima urgenza, anche attraverso l'adozione di un apposito decreto-legge, le necessarie modifiche al testo unico della finanza, in modo da: rafforzare i poteri di controllo della Consob nell'accertamento dell'esistenza di situazioni di controllo di fatto da parte di soci singoli o in concerto tra loro, in linea con le decisioni già assunte dalla Consob stessa in casi analoghi; aggiungere alla soglia fissa del 30 per cento, già prevista per l'offerta pubblica d'acquisto obbligatoria, una seconda soglia legata all'accertata situazione di controllo di fatto;
   a valutare l'opportunità di affrontare in modo deciso l'intera materia relativa all'attuazione dell'Agenda digitale, eventualmente intervenendo con un'iniziativa normativa ad hoc, così da dare finalmente esecuzione ad una serie di procedure di rilevanza essenziale per lo sviluppo e la competitività del nostro Paese;
   a valutare l'opportunità di informare quanto prima il Parlamento circa l'ammontare preciso e complessivo delle risorse che saranno destinate alla banda larga e ultra-larga, nonché al piano nazionale per l'attuazione dell'Agenda digitale italiana, chiarendo la strategia complessiva da adottare al fine, da un lato, di non sottovalutare il ruolo che le regioni possono avere in termini di competenze e di conoscenza delle specifiche realtà territoriali ma anche, dall'altro, di evitare inutili «doppioni» e ridondanze che rischierebbero di rallentare i progetti e di non assicurare un efficace impiego delle risorse disponibili.
(1-00664) «Quaranta, Scotto, Franco Bordo, Ricciatti, Ferrara, Airaudo, Placido, Paglia, Melilla, Marcon, Duranti, Piras, Fratoianni, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Matarrelli, Nicchi, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini».

Risoluzione in Commissione:


   La IX Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 9, comma 10-bis, del decreto-legge n. 91 del 2014 (cosiddetto decreto competitività), dapprima proposto e poi soppresso dallo stesso Governo, introduceva l'obbligo di sostituzione delle lampade ad incandescenza dei semafori con lampade a basso consumo energetico e di dotare i semafori di lampade con marcatura CE e attacco normalizzato E27;
    l'ordine del giorno 9/02568-AR/107, presentato da IANNUZZI Cristian nella seduta del 6 agosto 2014, accolto dall'Esecutivo, ha impegnato il Governo a valutare la possibilità di introdurre, attraverso ulteriori iniziative normative, l'obbligo di sostituzione delle lampade ad incandescenza dei semafori con lampade a basso consumo energetico e di dotare i semafori di lampade con marcatura CE e attacco normalizzato E27 che assicurino l'accensione istantanea;
   la diffusione di lampade a basso consumo energetico, in particolare di quelle realizzate con tecnologia a LED, comporta vantaggi considerevoli in termini di riduzione dei consumi ed aumento della sicurezza. La possibilità di funzionamento anche a bassissima tensione consente di avere impianti a batteria alimentati da pannelli solari in modo da svincolare completamente i consumi destinati alla regolazione della viabilità cittadina dalla rete elettrica nazionale e passare quindi a fonti rinnovabili. Le lampade a LED consentono di risparmiare fino all'80 per cento di energia elettrica a parità di luce emessa, rispetto ad una normale lampada ad incandescenza, assicurando un'accensione istantanea al massimo della loro luminosità;
   si pensi, per quanto riguarda la manutenzione, che i LED hanno una durata 10 volte superiore alle lampade tradizionali ed essendo costituiti da più sorgenti luminose e non da un solo filamento, continuano a funzionare regolarmente anche con un elemento danneggiato. Considerando che statisticamente ogni due anni il filamento di una lampada ad incandescenza si brucia, l'impossibilità di fulminarsi dei LED, mantenendo sempre «vivo» il segnale luminoso, aumenta la sicurezza della circolazione ed evita interventi d'emergenza;
   l'impiego tuttora di lampade incandescenti nei semafori è altamente inefficiente, in quanto c’è una significativa dispersione di energia in forma di calore e la luce prodotta è bianca quindi deve passare per i filtri (verde, rosso e arancione) che dissipano ulteriore energia. La luce delle lampade a LED è prodotta già nel colore necessario ed ha una visibilità nettamente superiore anche nelle giornate molto luminose ed in quelle con scarsa visibilità come in presenza di nebbia;
   tale soluzione è attualmente adottata in molte città estere, specialmente in Germania, Giappone, Svizzera, Gran Bretagna e Usa. In Italia i semafori a LED hanno sostituito in molte città i semafori tradizionali, con evidenti vantaggi in termini di risparmio e minore manutenzione;
   si calcola che, con la drastica diminuzione del prezzo delle lampade semaforiche a LED avvenuto negli ultimi anni, l'ammortamento della spesa iniziale potrebbe avvenire in tempi brevissimi, tra i 2 e i 3 anni; tra l'altro, le lampade ad incandescenza costano sempre di più visto che sono state ritirate dal mercato e ne viene ancora prodotto un solo tipo da 100 watt adatto per i semafori,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni ulteriore iniziativa per introdurre l'obbligo di sostituzione delle lampade ad incandescenza dei semafori con lampade realizzate con tecnologia a LED, con marcatura CE e attacco normalizzato E27 che assicurino l'accensione istantanea;
   ad assumere iniziative per stanziare le relative risorse a favore degli enti locali impossibilitati a provvedere a tale sostituzione in ragione dei vincoli di spesa imposti dal patto di stabilità interno;
   ad eseguire una ricognizione annuale del numero di impianti semaforici sostituiti.
(7-00522) «Cristian Iannuzzi, Petraroli, De Lorenzis, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano, Nicola Bianchi, Dell'Orco».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   FRUSONE, ARTINI, TOFALO, BASILIO, RIZZO, CORDA e PAOLO BERNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 7 novembre 2014 il Presidente del Consiglio dei ministri è giunto all'aeroporto di Villanova di Albenga a bordo di un velivolo Falcon LX per inaugurare uno stabilimento di Piaggio Aerospace;
   secondo fonti di stampa il velivolo, immatricolato I-DIEM, apparterrebbe alla Compagnia aeronautica italiana (CAI) di base sull'aeroporto di Ciampino, la quale farebbe capo ai servizi d sicurezza;
   la Presidenza del Consiglio, per lo svolgimento delle sue attività istituzionali, dispone degli aeromobili del 31o Stormo TS, sempre basato sull'aeroporto di Ciampino, che comprendono sette velivoli Falcon, 3 velivoli Airbus 319CJ, 2 elicotteri VH-139, oltre ad altri due elicotteri dello stesso tipo già appartenenti alla Protezione Civile;
   l'utilizzo degli aerei dello Stormo è notevolmente diminuito in tempi recenti a seguito delle misure di risparmio e razionalizzazione, tanto che, secondo quanto risulta dal sito del Servizio voli di stato della Presidenza del Consiglio, nel mese di settembre 2014 sono stati effettuati solo 13 voli per esigenze governative e umanitarie, al punto che il precedente Governo Letta aveva annunciato la vendita di uno degli Airbus, cessione che tuttavia non risulta essere stata ancora effettuata;
   risulta pertanto agli interroganti alquanto anomalo l'utilizzo di un velivolo normalmente adibito ad altre attività, certamente diverse dai voli per ragioni di rappresentanza –:
   per quale ragione il Presidente del Consiglio dei ministri il giorno 7 novembre 2014 sia giunto all'aeroporto di Albenga-Villanova a bordo di un velivolo della Compagnia aeronautica italiana (CAI) immatricolato I-DIEM, anziché su un velivolo del 31o Stormo, istituzionalmente adibito a questo tipo di trasporti;
   quale sia stato l'aeroporto di decollo e la rotta seguita;
   se sia usuale per il Presidente del Consiglio dei ministri utilizzare aerei della CAI anziché quelli del 31o Stormo;
   se altri Ministri abbiano utilizzato tali velivoli per trasporti non legati a ragioni di sicurezza nazionale e come tale eventuale uso sia compatibile con l'applicazione delle normative per i voli di Stato e con le relative norme sulla trasparenza. (3-01162)

Interrogazione a risposta scritta:


   QUARANTA, COSTANTINO, DANIELE FARINA e SCOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 6 novembre 2014 la Cassazione ha annullato con rinvio il processo di appello che vedeva accusato di falsa testimonianza Francesco Colucci, l'ex questore di Genova ai tempi del G8 del 2001, che il 16 dicembre 2013 era stato invece condannato a 2 anni e otto mesi. Il processo è da rifare ma non ce ne sarà il tempo visto che la prescrizione matura l'11 novembre;
   Colucci era stato accusato di falsa testimonianza nel processo per quanto accaduto alla scuola Diaz e condannato per avere cercato di coprire i vertici della polizia e Gianni De Gennaro, l'allora capo della polizia durante il G8 a sua volta accusato e poi assolto il 22 novembre 2012, insieme a Spartaco Mortola, capo della Digos di Genova, dall'accusa di istigazione alla falsa testimonianza nei confronti di Colucci;
   durante la sua requisitoria, il procuratore generale della Cassazione Enrico Delehaye ha espresso «profondo disagio» e ancora ha affermato: «Sono fermamente convinto che quello che è accaduto al G8 è stata una vergogna nazionale al pari di quello che succede nei paesi del Sudamerica e nel Burkina Faso» (fonte: popoffquotidiano.it);
   la Corte di cassazione, con sentenza n. 38085 in data 5 luglio 2012 confermava la gravità dei fatti accaduti durante l'irruzione alla scuola Diaz nel corso del quale si è verificato il pestaggio di 60 manifestanti e l'arresto di 90 attivisti no global: «L'assoluta gravità – si legge nella sentenza – sta nel fatto che le violenze, generalizzate in tutti gli ambienti della scuola, si sono scatenate contro persone all'evidenza inermi, alcune dormienti, altre già in atteggiamento di sottomissione con le mani alzate e, spesso, con la loro posizione seduta in manifesta attesa di disposizioni». E ancora: «Si è trattato di violenza non giustificata e punitiva, vendicativa e diretta all'umiliazione e alla sofferenza fisica e mentale delle vittime»;
   oggi l'ex questore Colucci è un pensionato che non dovrà essere riprocessato per via della prescrizione, i massimi vertici della polizia dell'epoca sono stati assolti e i funzionari di polizia condannati per i fatti della Diaz e di Bolzaneto non sono mai stati rimossi, al massimo sono stati spostati e poi reintegrati in servizio –:
   quali azioni intendano assumere i Ministri interrogati a fronte di quanto esposto in premessa che vede da parte della magistratura sentenze che descrivono comportamenti gravissimi delle forze dell'ordine e nessuna conseguenza nei confronti degli autori;
   se non ritengano opportuno fare chiarezza, anche con una commissione d'inchiesta ministeriale, sulle responsabilità politiche di chi ricopriva ruoli apicali durante il G8. (4-06839)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta orale:


   CAUSIN. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende dagli organi di stampa il sindaco del comune di Padova Massimo Bitonci, ha rifiutato di ricevere il console generale del Regno del Marocco per il Triveneto, Ahmed El Khdar;
   il sindaco Bitonci ha giustificato così la sua indisponibilità: «Non voglio discutere di centri islamici. A Padova non siamo disponibili. Come per la Kyenge, queste sono solo provocazioni. E io non ho tempo da perdere, ci sono molte cose da fare in città»;
   a Verona, dove ha sede il consolato del Marocco, i rapporti tra il sindaco leghista della città scaligera Tosi ed il console Ahmed El Khdar sono cordiali;
   in Veneto c’è una delle più grandi comunità marocchine rispetto a tutto il territorio italiano;
   il Regno del Marocco è l'unica nazione dell'area MENA (middle eastnorth africa) dove ci sono istituzioni democratiche, impegno per i diritti civili, rispetto per le altre religioni, impegno sul campo contro i fondamentalismi islamici, accoglienza per le imprese europee, molte delle quali sono italiane e venete, collaborazione internazionale nella lotta alla criminalità –:
   se l'incresciosa situazione descritta in premessa abbia avuto o possa avere ripercussioni sui rapporti politico-diplomatici tra Italia e Marocco. (3-01161)

Interrogazione a risposta scritta:


   MURA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nel 2015 ricorrerà il centesimo anniversario del genocidio del popolo armeno, il primo del secolo scorso, nel quale persero la vita, per mano dei turchi dell'impero ottomano, circa un milione e mezzo di persone;
   ancora oggi, a distanza di quasi un secolo, la Turchia continua a negare l'esistenza di quel crimine contro l'umanità e persegue una politica repressiva nei confronti di chiunque parli espressamente di «genocidio» per indicare la pulizia etnica nei confronti dei cristiani armeni;
   anche Papa Francesco si è pronunciato contro questa tragedia, definendo lo sterminio degli armeni il «primo genocidio del XX secolo»;
   in quell'occasione la Turchia ha espresso per via diplomatica il proprio disappunto per la posizione assunta dal Pontefice;
   in data 25 ottobre a Cagliari, nell'ambito del II Meeting internazionale delle politiche del Mediterraneo, organizzato dal Centro italo arabo Assadakah, si è svolto un convegno dal titolo: «Verso il Centenario del genocidio armeno: 2015 anno della memoria» al quale hanno partecipato, tra gli altri, l'ambasciatore della Repubblica armena in Italia, Sargis Ghazaryan, e il sindaco di Cagliari Massimo Zedda;
   nel corso del convegno, il sindaco della città sarda ha rivelato di aver ricevuto una nota riservata dell'ambasciata turca in Italia che lo invitata a non prendere parte al convegno commemorativo di questo crimine certificato dalla storia, ritenendo la sua presenza non opportuna;
   la notizia è stata riportata anche dagli organi di stampa;
   l'ambasciatore della Repubblica armena in Italia, Sargis Ghazaryan, ha confermato che le pressioni della Turchia per via diplomatica non rappresentano un'eccezione in Italia e sono in linea con una politica che nega l'esistenza del genocidio e le responsabilità dei turchi ottomani nello sterminio dei cristiani armeni;
   a quanto consta all'interrogante alcuni prefetti italiani avrebbero ricevuto note di protesta per il comportamento tenuto dalle autorità turche in occasione di eventi pubblici che commemorano il genocidio del popolo armeno –:
   se abbia notizia delle iniziative intraprese dall'ambasciata turca in Italia in occasione degli eventi commemorativi del genocidio del popolo armeno;
   se non ritenga grave l'ingerenza delle autorità turche, per via diplomatica, negli affari che riguardano la libera espressione di cittadini nella Repubblica italiana;
   se non ritenga opportuno presentare formale protesta nei confronti del Governo turco per l'atteggiamento tenuto dall'ambasciata turca in Italia nei confronti del sindaco di Cagliari in occasione di un importante convegno sul genocidio armeno;
   quali iniziative intenda intraprendere per impedire che in futuro si possano ripetere i fatti sopra menzionati tesi a nascondere l'esistenza del genocidio del popolo turco e la responsabilità, certificata dalla storia, dei turchi dell'impero ottomano nello sterminio degli armeni.
(4-06840)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   MANFREDI e VALERIA VALENTE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il settore dei servizi idrici integrati è stato oggetto negli ultimi anni di importanti interventi di riforma. In particolare, la legge 23 dicembre 2009, n. 191, ha soppresso le autorità d'ambito territoriale di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006, demandando alle regioni la ridefinizione del sistema delle attribuzioni;
   in proposito, va rilevato che, secondo l'articolo 3-bis del decreto-legge n. 138 del 2011, spetta alle regioni organizzare lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica definendo il perimetro degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio istituendo o designando gli enti di governo degli stessi; lo stesso articolo prevede che, decorsi inutilmente i termini prescritti, il Governo può esercitare i poteri sostitutivi di cui all'articolo 8 della legge n. 131 del 2003;
   l'articolo 13 del decreto-legge n. 150 del 2013 stabilisce, inoltre, che la mancata istituzione o designazione dell'ente di governo dell'ambito territoriale ottimale ovvero la mancata deliberazione dell'affidamento entro il termine del 30 giugno 2014, comportano l'esercizio dei poteri sostitutivi da parte del prefetto, le cui spese sono a carico dell'ente inadempiente, che provvede agli adempimenti necessari al completamento della procedura di affidamento;
   nella regione Campania, a quanto consta agli interroganti, non si è provveduto a definire una nuova disciplina dei servizi idrici entro i termini previsti dalla normativa vigente e, nelle more dell'approvazione della nuova disciplina regionale, è stato quindi disposto il commissariamento delle autorità d'ambito esistenti;
   sostanzialmente, è stato mantenuto in vita un sistema di organizzazione e di funzionamento del servizio idrico integrato che avrebbe dovuto essere invece oggetto di una profonda rivisitazione; negli ultimi mesi, oltretutto si susseguono scelte e interventi che stanno allarmando notevolmente l'utenza, come è accaduto con la definizione da parte del commissario straordinario dell'ATO 3 Campania di un nuovo piano tariffario destinato a innalzare in modo consistente i costi per i cittadini;
   ad aggravare la situazione è il fatto che la società Gori, incaricata di gestire il servizio idrico integrato dell'ambito territoriale ottimale sarnese vesuviano n. 3, ha richiesto agli utenti di 76 comuni delle province di Napoli e Salerno il pagamento di fatture relative a partite ante 2012;
   i cittadini e molti sindaci dei comuni interessati sono insorti contro questa richiesta della Gori che considerano vessatoria, sia perché la delibera dell'ATO 3 risulta in contrasto con il principio di irretroattività degli atti amministrativi che impedisce di incidere unilateralmente e con effetto «ex ante» sulle situazioni soggettive, sia perché risulta che la Gori e l'ente d'ambito siano oggetto di indagini da parte dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico per irregolarità nella determinazione delle tariffe pregresse, in quanto si sospetta che siano stati inseriti costi sovradimensionati rispetto al reale con il surplus della quota per il servizio depurazione a carico di centinaia di migliaia di utenti non asserviti all'impianto –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione alla situazione sopra descritta e se non ritenga opportuno verificare la sussistenza dei presupposti per esercitare i poteri sostitutivi di cui in premessa, al fine di evitare il protrarsi di una gestione inaccettabile del servizio idrico che danneggia fortemente la popolazione dei comuni campani interessati. (5-04020)


   DAGA, SEGONI, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI, VIGNAROLI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 5 novembre alcuni cittadini nel Comune di Fiumicino hanno segnalato un'ingente fuoriuscita di cherosene dalle tubature dell'oleodotto Eni, in un'area compresa tra Maccarese e Palidoro e non distante dalla sede locale dell'Ospedale Pediatrico Bambin Gesù;
   tale fuoriuscita di carburante, secondo un rapporto ufficiale della società Eni, sarebbe stata conseguenza di danni causati alle tubature durante un tentativo di furto del combustibile destinato all'aeroporto di Fiumicino;
   in prossimità dell'area in oggetto si trova l'oasi WWF di Macchiagrande e la riserva naturale statale del litorale romano nella quale vi sono zone di alto valore naturalistico, tra cui tre siti Habitat Natura 2000 e aree IBA (Important Birds Area), e che i sistemi idrici, le connessioni ecologiche, le risorse trofiche, le specie presenti (animali e vegetali) sono elementi in continua interazione e vitale connessione tra il sito di interesse comunitario, la zona di protezione speciale e la Riserva naturale statale del litorale romano, i quali svolgono un ruolo di fondamentale importanza per le specie che si trovano in questo ambito territoriale nelle loro diverse fasi del ciclo biologico;
   il danno ecologico causato dal cherosene è attualmente estremamente rilevante e destinato a peggiorare nelle prossime ore se si considera che il combustibile, riversatosi nel Rio Tre Cannelle e da qui nel fiume Arrone e nel Rio Palidoro, ha già contaminato decine di ettari di terreno destinato all'agricoltura e si è già riversato nel mar Tirreno dove sta causando un disastro ambientale di immani proporzioni a carico della flora e della fauna locale;
   secondo dichiarazioni della Lipu onlus: «... sono centinaia gli animali trovati morti, impregnati di idrocarburi, nei canali di Maccarese e del Villaggio dei Pescatori. Moltissimi aironi, cormorani, anatre, così come decine e decine di pesci, che galleggiano morti nei canali...», che «l'area è vastissima ed è presumibile che le vittime saranno ancora di più» e che «... l'area è straordinariamente importante per le sue produzioni agricole di qualità, ma anche di assoluto valore naturalistico, anche perché zona di sosta di uccelli migratori, che in questo periodo svernano lungo il litorale romano e si cibano di pesci e altri piccoli animali nei canali di Maccarese»;
   la sostanza inquinante si sta diffondendo anche nella rete dei canali di irrigazione, ponendo a grave rischio di contaminazione persino altre aree agricole limitrofe con conseguente alterazione dei prodotti alimentari ivi prodotti e, quindi, con pericolo per la salute dei consumatori;
   già nel febbraio 2014, sempre in prossimità dell'area in oggetto, si è verificata un altro grave disastro ambientale causato dalla fuoriuscita di rifiuti speciali ospedalieri dall'inceneritore di Ponte Malnome di proprietà dell'azienda Ama e dalla fuoriuscita di idrocarburi provenienti da una raffineria locale;
   sono evidenti gli enormi danni già arrecati al sistema idrico, alle falde acquifere e alla catena alimentare dell'area in oggetto, nonostante l'intenso lavoro portato avanti in questi giorni dai volontari del WWF e della Lipu –:
   quali azioni intenda intraprendere per limitare ulteriormente i danni in un'area di così rilevante valore ecologico ed agricolo e quali strumenti immediati intenda utilizzare perché si proceda alla bonifica ambientale delle zone già oggetto di disastro. (5-04021)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARIASTELLA BIANCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   uno sversamento di cherosene da un serbatoio di carburante dell'ENI avvenuto il 6 novembre 2014 a nord del comune di Fiumicino ha contaminato il Rio Tre Cannelle e, da Palidoro a Maccarese, la rete interna di canali agricoli e di bonifica che irrigano i campi e che confluiscono nel fiume Arrone fino alla sua foce presso il Villaggio dei pescatori di Fregene. Un disastro ambientale ed ecologico che sta avendo un impatto devastante per l'ecosistema della riserva e delle oasi naturalistiche del litorale romano e per le aree coltivate;
   l'onda di cherosene ha inquinato decine di ettari di terreni agricoli e le aree naturalistiche della zona, facendo strage di animali e specie protette. Oltre alla moria di pesci lungo i canali della zona numerosi altri animali, tra cui testuggini, gallinelle d'acqua, germani reali, garzette, nutrie, sono stati trovati morti nelle perlustrazioni dei volontari del Wwf e della Lipu nei canali di Maccarese. Il carburante finito nei corsi d'acqua ha infatti intaccato la catena alimentare: i predatori che si nutrono dei pesci o degli animali morti ingerendo a loro volta quantità letali di carburante;
   c’è molta preoccupazione anche per la falda acquifera della zona che potrebbe essere stata raggiunta dal combustibile filtrato dal terreno; inoltre, l'ondata di maltempo prevista per i prossimi giorni potrebbe aumentare la portata del danno. Un innalzamento delle acque, infatti, potrebbe spargere ulteriormente il cherosene nelle zone circostanti aumentando il raggio dell'area colpita, oltre a far defluire le carcasse degli animali e il cherosene anche verso il mare;
   l'allarme è scattato in ogni caso anche negli altri comuni costieri del litorale romano, poiché chiazze oleose trasportate dalle correnti marine sarebbero già arrivate a Ladispoli e Cerveteri. L'Eni ha diminuito la pressione d'esercizio sulla linea per ridurre la fuoriuscita di cherosene. Al momento si sta operando per chiudere la perdita, nel frattempo sono state posizionate panne galleggianti per assorbire il carburante sversato nell'Arrone;
   a quanto risulta, rimane qualche incertezza sulla causa che ha provocato la fuoriuscita di cherosene originata dal deposito dell'Eni collocato a monte del corso d'acqua, vicino allo svincolo dell'autostrada. La fuoriuscita che ha prodotto l'imponente contaminazione è stata causata da un tentativo di furto di carburante finito male, come segnalato anche dalla stessa società Eni. Alcuni organi di stampa hanno paventato, però, un possibile guasto dell'oleodotto, che da Civitavecchia arriva a Fiumicino, viste le grandi proporzioni del danno –:
   quali iniziative di competenza si intendano assumere, con somma urgenza, al fine di verificare la situazione ambientale dei luoghi e l'impatto che lo sversamento di carburante avuto sulle aree agricole e sulle oasi naturalistiche della zona del litorale romano nonché la loro eventuale compromissione, in particolare nell'area del fiume Arrone e nella zona di costa adiacente alla sua foce;
   se il Governo non ritenga necessario verificare l'entità della fuoriuscita di cherosene dall'impianto ed assumere iniziative per far luce sulle cause che hanno permesso il determinarsi di un così grave incidente;
   se non si ritenga opportuno verificare se siano state attivate tutte le necessarie procedure di controllo e sicurezza dell'impianto e quali misure ed azioni siano state attivate o siano da attivare in futuro per il ripristino ambientale e la messa in sicurezza dei siti interessati, oltre che per dare sostegno alle comunità colpite da questo disastro ambientale. (5-04007)


   ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 6 novembre 2014 la società ENI ha reso noto, mediante comunicato alla stampa, la fuoriuscita in località Palidoro nel comune di Fiumicino (Roma) di kerosene Jet A-1 per aviogetti, dall'oleodotto Civitavecchia-Pantano;
   la perdita di kerosene sarebbe stata causata da un tentativo compiuto da ignoti di effrazione per sottrarre il carburante dalla condotta che parte da Civitavecchia e arriva a Fiumicino come dichiarato dallo stesso sindaco della città aeroportuale e confermato dalla stessa società ENI;
   lo sversamento di greggio, altamente infiammabile ed inquinante, ha interessato il fiume Arrone e il Rio Palidoro, il corso d'acqua che sfocia direttamente nella costa a nord della Capitale e gran parte della rete capillare dei canali agricoli e di bonifica, con gravissimi ed ingenti danni ambientali alla fauna ittica ed all'intero ecosistema faunistico protetto della riserva naturale di Maccarese;
   centinaia di carcasse di uccelli morti, pesci e nutrie sono stati rinvenute nelle ore successive sulle spiagge e ai piedi dei canali e dei corsi d'acqua, tanto che al fine di scongiurare qualsiasi rischio alla salute e igiene pubblica, con un'ordinanza sindacale è stato disposto il divieto di utilizzo delle acque del fiume Arrone, lungo tutto il tratto che dal casello di Fregene dell'autostrada A12 Roma-Civitavecchia arriva alla foce e del Rio Palidoro dall'altezza dell'attraversamento della medesima arteria e fino alla foce;
   fortissima è la preoccupazione che i gravissimi danni riscontrati nell'immediato succedersi dell'evento siano solo l'inizio di un disastro e di un dissesto ancor più ampio, con possibile compromissione a più livelli della catena alimentare –:
   se il Governo sia già in grado di valutare e riferire sulle esatte circostanze che hanno determinato il gravissimo disastro ambientale prodotto dallo sversamento di kerosene descritto in premessa, quali siano state le misure adottate dalla società Eni per contenere e bloccare immediatamente la fuoriuscita del carburante e quali azioni, per quanto di competenza, intenda assumere il Governo perché siano adottate immediate misure per eliminare gli effetti dannosi già prodotti o potenziali e si possa prevenire il pericolo di ulteriore danno all'ambiente e all'intero sistema agricolo del territorio. (5-04008)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE LORENZIS, DELL'ORCO, NICOLA BIANCHI, PETRAROLI, LIUZZI e CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 2007/2/CE del 14 marzo 2007 (cosiddetta «Direttiva Inspire») ha istituito un'infrastruttura per l'informazione territoriale nell'ambito dell'Unione europea denominata Inspire al fine di migliorare la qualità, l'organizzazione, l'accessibilità e la condivisione delle informazioni territoriali, in modo da assistere le autorità preposte a una più puntuale definizione delle politiche e delle attività che possono avere un impatto diretto o indiretto sull'ambiente e da consentire ai cittadini interessati di accedere alle informazioni territoriali e ai relativi servizi;
   l'articolo 11 della direttiva Inspire ha previsto che gli Stati membri, entro il mese di novembre 2011, avrebbero dovuto istituire e gestire una rete per la prestazione di una serie di servizi per i set di dati territoriali e i servizi ad essi relativi tra i quali i servizi di ricerca che secondo quanto previsto dalla lettera a) del primo comma del citato articolo consentono «[..] di cercare i set di dati territoriali e i servizi ad essi relativi in base al contenuto dei metadati corrispondenti e di visualizzare il contenuto dei metadati»;
   i suddetti servizi, secondo quanto previsto dalla disposizioni attuative della direttiva Inspire, devono essere inseriti in un registro apposito in modo tale che possano essere interrogati e resi disponibili attraverso il portale europeo di Inspire accessibile al sito web www.inspiregeoportal.ec.europa.eu;
   la Direttiva Inspire è stata recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 32 che all'articolo 3 comma 2 designa il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare quale autorità nazionale competente nell'implementazione di quanto previsto dalla direttiva Inspira e dal relativo decreto di recepimento, mentre all'articolo 5 comma 1 prevede che il repertorio nazionale dei dati territoriali previsto dall'articolo 59 del Codice dell'amministrazione digitale (decreto legislativo n. 82 del 2005 e successive modificazioni) costituisce il catalogo nazionale dei metadati relativi ai set di dati territoriali e ai servizi ad essi relativi;
   nel quadro descritto risulta all'interrogante, anche sulla base di quanto emerso da una campagna sul tema condotta on line dalla comunità geomatìca italiana (http://aborruso.githubio/it4insp/) che ad oggi, l'Italia e il Ministero competente non abbiano ancora implementato e integrato nel portale europeo i richiamati servizi;
   la suddetta circostanza veniva denunciata in un'interrogazione a risposta scritta (atto Camera 4-05391) a firma dell'interrogante del 4 luglio 2014 cui ad oggi non è stata fornita alcuna risposta;
   la denunciata mancata implementazione delle disposizioni della richiamata direttiva è stata di recente confermata da un rapporto diffuso dall'Agenzia europea per l'Ambiente recante una «Mid-term evaluation report on INSPIRE implementation» (http://www.eea.europa.eu/publications/midterm-evaluation-report-on-inspire-implementation);
   dal richiamato rapporto emerge come l'Italia sia uno dei 6 Paesi europei (insieme a Bulgaria, Cipro, Ungheria, Malta e Lituania) a non aver integrato nel portale europeo neanche un servizio di ricerca;
   tale operazione, oltre che essere richiesta dalla disciplina europea, da un lato produrrebbe degli effetti virtuosi in quanto tesa a dare visibilità alle informazioni territoriali esistenti in Italia incentivando la realizzazione di servizi innovativi da parte di pubbliche amministrazioni e soggetti privati e, dall'altro risulterebbe estremamente semplice considerando che il nostro Paese ha da anni implementato un catalogo di metadati (RNDT – Repertorio nazionale dei dati territoriali) così come previsto dal Codice dell'Amministrazione digitale –:
   entro quale termine il Ministro interrogato intenda ottemperare all'obbligo di implementazione e integrazione nel portale europeo dei servizi descritti in premessa come richiesto dalla direttiva Inspire e dal relativo decreto di recepimento della stessa. (4-06834)


   PETRAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il cromo è definito un metallo pesante. Esso è presente in natura in vari stati di ossidazione, i più comuni del cromo sono +2, +3 e +6, di cui +3 è il più stabile; gli stati +4 e +5 sono relativamente rari. I composti del cromo +6 (cromo esavalente) sono potenti ossidanti, e gli effetti tossici e cancerogeni del cromo esavalente sono principalmente imputati a questa caratteristica, rendendolo fortemente aggressivo nei confronti dei sistemi biologici. Lo IARC (International Agency for Research on Cancer) classifica il cromo esavalente come cancerogeno certo per l'uomo. Nelle falde acquifere il limite massimo di presenza consentito di cromo esavalente è pari a 5 microgrammi litro (decreto legislativo n. 152 del 2006). Il superamento di tale limite risulta nocivo per la salute dell'uomo;
   nel «rapporto annuale 2012 del settembre 2013» sviluppato dall'ARPA (Agenzia regionale per la protezione ambientale), sullo stato delle acque sotterranee della provincia di Milano, si elencano una serie di aree, nel comune di Milano, i cui valori di cromo esavalente superano i limiti tabellari del decreto legislativo n. 152 del 2006. (http://ita.arpalombardia.it);
   alcuni casi evidenti presenti nel rapporto ARPA riguardano la centrale dell'acqua di Armi ove la concentrazione di cromo esavalente è pari a 185 microgrammi/l; nel quartiere di Trenno, dove è stato previsto uno sbarramento idraulico, essa è pari a 1500 microgrammi al litro; nella falda freatica di via Bazzi il valore di cromo 6 arriva a 9600 microgrammi al litro, valore circa 2000 volte superiore a quello di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006;
   in tale area è in corso un'analisi del rischio da parte di ARPA per valutare l'inquinamento del terreno, al monitoraggio partecipano anche due società esterne, ATI Tecno e Natura. I risultati dovrebbero essere noti entro la fine dell'anno 2014;
   l'alta concentrazione di cromo esavalente in via Bazzi è dovuta al passato industriale: era attiva un'azienda galvanica che realizzava cromature, cadmiature, nichelature e stagnature. Le prime notifiche in comune di inquinamento procurato da tale stabilimento risalgono al 1994, ma è nell'estate del 2005 che si sono verificati sversamenti di importanti quantità di cromo esavalente e di nichel sia nei pozzetti di scarico all'interno dell'edificio, sia nelle fognature. Tali sversamenti hanno danneggiato il depuratore di San Rocco con conseguente compromissione della falda freatica che si trova a circa 8 metri sottostante l'edificio;
   l'inquinamento ha arrecato un potenziale pericolo per la falda più profonda utilizzata per l'acqua da potabilizzare, mettendo in serio rischio la salute pubblica come stabilito dalla sentenza del tribunale di Milano del dicembre 2008;
   visto il serio rischio di inquinamento il servizio piani di bonifica del comune di Milano ha emesso in data 9 agosto 2005 e 30 settembre 2005 alcuni provvedimenti ordinatori relativi alla messa in sicurezza dell'area e della falda. Tali provvedimenti non furono, però, mai ottemperati, come dichiarato dal settore bonifiche del comune in un documento prodotto il 23 luglio 2014;
   occorre inoltre ricordare che in data 29 agosto 2007 e 28 settembre 2007, nell'area di via Bazzi avvennero ancora due importanti incidenti che hanno provocato lo sversamento di cromo esavalente causando l'aggravamento ambientale in un luogo che non è stato sufficientemente sorvegliato e sigillato. Successivamente a tali eventi nel 2007 venne dato incarico ad AMSA (Azienda milanese servizi ambientali) di realizzare uno sbarramento idraulico costituito da due pozzi per il contenimento della contaminazione riscontrata nelle acque di falda;
   tale sbarramento idraulico, realizzato nel 2008, non è ancora entrato in funzione perché non è stato dotato di un impianto di depurazione. Il comune di Milano contestualmente avviò diverse azioni di bonifica, quali lo svuotamento delle vasche in superficie e interrate rilevando una contaminazione diffusa da cromo esavalente;
   nel frattempo venne condannato il titolare signor Frisinghelli con sentenza del tribunale sezione X penale in data 19 dicembre 2008 mettendolo in relazione al disastro ambientale avvenuto;
   osservata l'inerzia del signor Frisinghelli ad agire il comune diede incarico in data 6 ottobre 2010 alla NCE di Brescia, dopo selezione pubblica, per realizzare il piano di caratterizzazione. Quest'ultimo venne approvato alla conferenza di servizi (ARPA provincia e comune) del 16 novembre 2011; in seguito a questa venne fatta una gara per assegnare ed eseguire il piano di caratterizzazione, e vennero scelte due in ATI Tecno e Natura; in data 13 aprile 2012 è stato sottoscritto il contratto;
   ARPA in data 9 novembre 2012 ha chiesto di aggiungere e analizzare anche gli IPA (idrocarburi policiclici aromatici) nei terreni. Tutte le analisi della falda e dei terreni si sono concluse a dicembre 2013;
   in data 7 febbraio 2014 una nuova conferenza di servizi convocata ha considerato tutti i documenti ma non ha approvato l'analisi del rischio; inoltre, ARPA ha richiesto ulteriori analisi secondo la metodica prevista dall'articolo 9 del decreto ministeriale 5 febbraio 1998 e secondo le nuove normative legate alla legge n. 98 del 9 agosto 2013, articolo 41, che riguardano l'analisi dei terreni. In data 28 aprile 2014 la Tecno ha protocollato una revisione del documento dell'analisi di rischio;
   in data 4 luglio 2014 l'ufficio settore bonifiche del comune ha chiesto ad ARPA un preventivo per i costi del contraddittorio per la validazione dei risultati dei test di cessione e ha richiesto gli ultimi prelievi in campo da effettuarsi entro la fine luglio;
   le ultime analisi dei terreni sono state ultimate nel settembre 2014, e verrà convocata una nuova conferenza dei servizi e verrà definito il quadro completo di compromissione sui suoli e sulla falda e verrà definita la reale entità dei rischi associati;
   terminate le ultime analisi di ARPA, il comune farà partire i primi lavori di messa in sicurezza e/o bonifica della falda e dei terreni;
   occorre segnalare la forte apprensione tra i cittadini della zona per il fatto che ci sia una scuola pubblica l'Istituto «G. Agnesi» nei pressi dell'ex Galvanica di via Bazzi, 12, in un luogo contaminato da cromo esavalente –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto in premessa e se, in necessario raccordo con le istituzioni locali, s'intenda avviare un'azione di monitoraggio a tutela della salute pubblica da parte del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente.
(4-06838)


   NESCI, PARENTELA e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-03106, presentata il 9 gennaio 2014 dalla prima firmataria del presente atto e dai colleghi M5S Paolo Parentela e Stefano Vignaroli nella seduta della Camera n. 248 e ad oggi ancora in attesa di risposta, si illustrava la vicenda relativa alla «Marlane», ex stabilimento tessile, ubicato nel comune di Praia a Mare (Cosenza), del gruppo Marzotto, noto alle cronache giornalistiche come «la fabbrica dei veleni», ciò per via di una lunghissima inchiesta giudiziaria finalizzata ad accertare il nesso causale, e quindi le singole responsabilità penali, tra l'uso produttivo di sostanze tossiche e i casi di tumori alla vescica, ai polmoni, all'utero e al seno di varie decine di operai, morti od ammalati;
   nel succitato atto parlamentare si ricostruiva tutta la storia dell'impianto, a partire dal 1969 quando i muri dello stabilimento furono abbattuti, trasformando la fabbrica in un unico ambiente di lavoro, con i fumi saturi di agenti di coloritura inalati giornalmente dagli operai, fino al 2004, anno della definitiva dismissione, dell'azienda;
   nel 1999 la procura di Paola aprì un'inchiesta, sviluppatasi in tre procedimenti (il secondo datato 2006, il terzo 2007), poi unificati in unico fascicolo;
   dalle testimonianze raccolte dagli inquirenti, si veniva a conoscenza che dei coloranti utilizzati per la tingitura dei tessuti venivano sversati a mano, su indicazione dei dirigenti dell'impianto, in vasche aperte e talvolta anche in mare o interrati in buche presso il capannone, successivamente ricoperte;
   secondo le ricostruzioni della procura di Paola, tali sversamenti illeciti, cui gli operai non potevano sottrarsi, pena la perdita del lavoro, avvenivano solitamente il sabato, quando lo stabilimento era chiuso;
   il lavoro d'indagine della procura di Paola, nato sulla base di esposti dei lavoratori, ha evidenziato come la causa di alcune morti poteva derivare anche, oltre alle ammine coloranti, dalle polveri d'amianto prodotte dai sistemi frenanti dei macchinari;
   nello scorso luglio è apparsa sul sito Internet del quotidiano La Gazzetta del Sud la notizia dell'esistenza di una perizia degli esperti nominati dal tribunale di Paola che conferma che a Praia a Mare c’è stato disastro ambientale per l'attività di «Marlane»;
   secondo quanto scritto da giornalista Matteo Cava sull'edizione del 20 ottobre 2014 de Il Quotidiano della Calabria (pagina 11), tra gli atti processuali depositati dai legali della cittadina di Praia a Mare Amalia e Domenico Monci vi sarebbe un cd audio da cui emergerebbe il tentativo da parte di due ex dirigenti dell'azienda di ottenere false testimonianze in sede processuale da ex dipendenti in cambio di trentamila euro, tanto che i suddetti legali presenteranno anche un atto di esposto e contestuale denuncia-querela sul «tentativo di condizionare le testimonianze sul processo Marlane»;
   gli avvocati, secondo quanto riporta l'articolista, chiederanno «l'apertura di un'indagine finalizzata ad accertare la sussistenza di fatti a rilevanza penale nella registrazione contenuta nel Cd audio», «visto lo sconcertante tenore delle rivelazioni contenute [...] che lascerebbe supporre il tentativo di induzione a false dichiarazioni in sede processuale»;
   la questione, a parere dell'interrogante, è di una gravità inaudita, considerando la delicatezza del procedimento che vede coinvolti ben 13 individui tra manager, soci e dirigenti d'azienda, nonché l'allora sindaco di Praia a Mare, Carlo Lo Monaco, le cui relative ipotesi di reato vanno dall'omicidio colposo plurimo aggravato all'omissione di cautele sul lavoro, a lesioni gravissime e disastro ambientale;
   l'organico del tribunale di Paola, secondo i dati riportati sul sito del Consiglio superiore della magistratura, risulta scoperto per 5 posti su 25 che sarebbero previsti (il 20 per cento. Un dato che inevitabilmente fa riflettere se si pensa che l'inchiesta nasce, come precisato poc'anzi, nel 1999 (15 anni fa) ed oggi siamo quasi alle conclusioni della fase dibattimentale;
   come ricordato anche nella summenzionata interrogazione parlamentare, organi di stampa riportano la notizia secondo la quale gli ex stabilimenti della Marlane siano in vista nuovi finanziamenti, che sarebbero di 70-80 milioni di euro, per trasformare l'area in enorme parco divertimenti con darsena per 500 posti per barca, alberghi, villaggi e centri commerciali;
   la cittadina di Praia raggiunge nel periodo estivo circa 50.000 presenze e le spiagge sono poco distanti dalla fabbrica, pertanto interventi edilizi nell'area Marlane, altamente inquinata, appaiono fuori di ogni ragione prima che inopportuni –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti;
   quali iniziative di competenza intendano assumere anche richiedendo uno studio dell'Istituto superiore di sanità sulle condizioni di salute della popolazione interessata. (4-06842)


   SEGONI, DAGA, BUSTO, MANNINO, ZOLEZZI e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'acqua è un bene essenziale ed insostituibile per la vita e, pertanto, la disponibilità e l'accesso all'acqua potabile e all'acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni collettivi costituiscono un diritto inviolabile dell'uomo, un diritto universale, indivisibile, che si può annoverare fra quelli di cui all'articolo 2 della Costituzione;
   la direttiva 98/83/CE del Consiglio, del 3 novembre 1998 prevede che in caso di inosservanza dei valori di parametro, lo Stato membro interessato provvede affinché vengano tempestivamente adottati i provvedimenti correttivi necessari per ripristinare la qualità delle acque. Indipendentemente dal rispetto o meno dei valori di parametro, gli Stati membri provvedono affinché la fornitura di acque destinate al consumo umano, che rappresentano un potenziale pericolo per la salute umana, sia vietata o ne sia limitato l'uso e prendono qualsiasi altro provvedimento necessario. I consumatori vengono informati di tali misure;
   da metà anni ’80 nell'area della pianura di Scarlino sono presenti materiali contaminati in un'area di proprietà prima ENI, poi, a seguito della privatizzazione, della Nuova Solmine (ceneri di Pirite) oggetto di bonifica, prodotti dalla trasformazione dei minerali metallici derivati dalle attività minerarie, come riportato nel report ARPAT «Definizione dei Valori di Fondo per alcuni parametri nelle Acque Sotterranee dei Siti in Bonifica della Pianura di Scarlino, Grosseto (2003-2012)» del gennaio 2014;
   la Relazione Conclusiva Aprile 2011 di A. Donati e A. Biondi commissionata dal comune di Scarlino e dalla provincia di Grosseto, evidenzia che le falde idriche (prima falda tra 2 e 18 metri e seconda falda 20 e 50 metri) della Pianura di Scarlino presentano un vasto inquinamento da arsenico e di altri inquinanti come manganese, ferro e solfati;
   tale responso risulta confermato successivamente anche dallo stesso documento ARPAT citato in precedenza, specificando che le concentrazioni di arsenico raggiungono valori fino a 680 volte superiori al limite di legge, con l'aggiunta che anche a monte dell'area interessata dalla bonifica se ne riscontrano valori fino a 156 volte superiori;
   i lavori di bonifica dei suddetti siti, consistenti nella cinturazione e messa in sicurezza dei luoghi in cui sono state collocate le ceneri di pirite, effettuati da Nuova Solmine, oggi proprietaria dei siti, hanno avuto inizio nel luglio 2003 e sono finiti nell'ottobre 2006 (All. al Protocollo ARPAT N.33923 – GR 72 relazione fine monitoraggio 2013), mentre ad oggi non sono stati previsti o prescritti altri lavori di bonifica sui suddetti siti;
   dopo 5 anni dal completamento della messa in sicurezza, l'ARPAT ha eseguito il controllo previsto dalla legge e ha certificato l'esito negativo dei lavori eseguiti, indicando la necessità di ulteriori interventi, che tuttavia non sono stati ancora prescritti o ordinati;
   nell'ottobre 2013, nel proporre un piano di bonifica ulteriore, la ditta AMBIENTE s.c. Ingegneria Ambientale certifica il persistere di elevate anomalie di arsenico in falda e le riporta nella relazione al comune di Scarlino –:
   quali azioni intenda intraprendere il Ministero per quanto di competenza una efficace tutela delle risorse idriche e della filiera alimentare della piana di Scarlino;
   se risulti al Ministero se le analisi siano state pubblicate secondo quanto previsto da decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, di attuazione della direttiva 2003/4/CE, per l'accesso alle informazioni ambientali che non richiede l'obbligo della motivazione, come confermato dall'articolo 3-sexies del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e secondo quanto previsto dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, «Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni» che ha introdotto l'istituto dell'accesso civico che consente a tutti i cittadini senza limiti di legittimazione e senza obbligo di motivazione di accedere a documenti, informazioni e dati per i quali sia previsto l'obbligo di pubblicazione;
   se ritenga il Ministro di acquisire elementi in relazione all'informazione resa ai cittadini, rispetto a questi dati;
   se la task force istituita dal Ministero con il decreto ministeriale n. 358 del 13 dicembre 2013 dovrà occuparsi anche del monitoraggio dell'effettiva realizzazione degli investimenti necessari sia sul fronte della depurazione sia sul fronte delle infrastrutture per la distribuzione della risorsa. (4-06843)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MANNINO, FRACCARO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI, CANCELLERI, CURRÒ, DI BENEDETTO, DI VITA, D'UVA, GRILLO, LOREFICE, LUPO, MARZANA, NUTI, RIZZO e VILLAROSA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge 12 settembre 2014 n. 133, all'articolo 25, è stata apportata l'ennesima modifica all'articolo 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio che regola il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica;
   l'articolo 25, al comma 3 del decreto-legge n. 133 del 2014 dispone la soppressione del primo e del secondo periodo del comma 9 dell'articolo 146 e la riscrittura del terzo periodo, in base al quale l'amministrazione competente (la regione ovvero l'ente subdelegato) – una volta decorsi 60 giorni dalla ricezione della documentazione relativa alla domanda di autorizzazione da parte del soprintendente, senza che quest'ultimo abbia espresso il parere prescritto – provvede sulla stessa domanda di autorizzazione;
   in base allo stesso articolo 146 del Codice dei beni culturali, al comma 5, il parere del Soprintendente – all'esito dell'approvazione delle prescrizioni d'uso relative ai beni paesaggistici oggetto delle dichiarazioni di notevole interesse pubblico effettuate dalla regione ovvero di quelli individuati dal piano paesaggistico nonché dell'accertamento, da parte dello stesso Ministero, dell'avvenuto adeguamento dei piani urbanistico-territoriali alle stesse prescrizioni – assume natura obbligatoria non vincolante, e viene reso entro il termine di 45 giorni dalla ricezione degli atti, decorsi i quali l'amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione;
   la riformulazione dell'articolo 146 comma 9 del Codice dei beni culturali e del paesaggio – operata con il richiamato articolo 25 comma 3 del decreto-legge n. 133 del 2014 – punta a sancire la prescindibilità del parere dei soprintendenti in tutti i casi, annullando di fatto la differenza tra il regime normativo vigente nel casi, di cui al comma 5, nei quali il parere del soprintendente ha natura obbligatoria e non vincolante, e quello che trova applicazione nei casi restanti, ossia quando non sono state ancora approvate le prescrizioni e i piani paesaggistici e non è stata verificato, da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali, l'effettivo adeguamento rispetto a quest'ultimi dei piani urbanistico-territoriali;
   ad esito della riformulazione del comma 9 dell'articolo 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, disposta dall'articolo 25 del decreto legge n. 133 del 2014, lo stesso articolo 146, infatti, dispone che nei casi nei quali il parere del soprintendente ha natura obbligatoria non vincolante, l'amministrazione competente adotta la decisione rispetto alla domanda di autorizzazione, dopo 45 giorni dalla ricezione dei documenti da parte del Soprintendente, nei casi nei quali quest'ultimo non abbia reso il parere prescritto, mentre negli altri casi – e dunque quando il parere del Soprintendente dovrebbe restare obbligatorio e vincolante – l'amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione, in modo analogo, solo dopo 60 giorni;
   lo statuto della regione siciliana, all'articolo 14, stabilisce che l'Assemblea regionale ha la legislazione esclusiva, tra le altre materie, su turismo, vigilanza alberghiera e tutela del paesaggio e conservazione delle antichità e delle opere artistiche;
   con decreto del Presidente della Repubblica 30 agosto 1975 n. 637 (di seguito decreto del Presidente della Repubblica n.637/1975) sono state dettate le norme di attuazione dello statuto della Regione Siciliana in materia di tutela del paesaggio e di antichità e belle arti, stabilendo che «l'amministrazione regionale esercita nel territorio della regione tutte le attribuzioni delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato in materia di antichità, opere artistiche e musei, nonché di tutela del paesaggio»;
   con lo stesso decreto del Presidente della Repubblica n. 637 del 105, è stato stabilito che tutti gli atti previsti dalle leggi 1o giugno 1939, n. 1089 e 29 giugno 1939, n. 1497 – successivamente confluite nel Codice dei beni culturali e del paesaggio – e da ogni altra disposizione comunque concernente le materie indicate al punto precedente sono adottati dall'amministrazione regionale, e che la stessa amministrazione ha però l'obbligo di darne comunicazione bimestrale per conoscenza al Ministero allora denominato per i beni culturali ed ambientali, ora all'attuale Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   l'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 637 del 1975 ha stabilito, a questo scopo, che gli uffici periferici del Ministero per i beni culturali e ambientali allora esistenti nel territorio della regione siciliana, competenti in materia di protezione dei beni culturali e del paesaggio, passassero alle dipendenze della medesima regione Siciliana ed entrassero a far parte integrante della sua organizzazione amministrativa;
   le soprintendenze statali – trasferite per effetto del decreto del Presidente della Repubblica 637 del 1975 all'interno della regione siciliana — sono state sostituite, in base alla legge regione siciliana 1o agosto 1977 n. 80, dalle soprintendenze uniche per i beni culturali ed ambientali che integrano le competenze spettanti alla soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio e quelle per i beni archeologici;
   il ruolo del soprintendente – che in base al citato articolo 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio è tenuto a partecipare al procedimento finalizzato al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica con le modalità descritte nello stesso articolo – è particolarmente delicato e rilevante al fine di garantire una corretta e autonoma valutazione degli effetti sui beni paesaggistici indotti dagli interventi di trasformazione urbanistico-edilizia;
   ciò è garantito anche dal fatto che lo stesso soprintendente sia funzionalmente dipendente da un soggetto – il Ministero dei beni e delle attività culturali – terzo rispetto all'amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica che è, di norma, la regione ovvero un ente subdelegato da quest'ultima;
   in Sicilia, a differenza di quanto accade nelle regioni ordinarie, le soprintendenze per i beni culturali ed ambientali sono funzionalmente dipendenti dalla regione e dunque dalla stessa amministrazione competente rispetto al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, alla quale – come è noto – sono attribuite anche competenze relative all'urbanistica e più in generale all'uso e alla trasformazione del territorio;
   è, dunque, particolarmente necessario verificare e valutare quali effetti possa avere in Sicilia una disposizione normativa, come quella introdotta con l'articolo 25 del decreto-legge n. 133 del 2014, in base alla quale l'amministrazione competente (e dunque la Regione ovvero l'ente subdelegato) adotta la determinazione conclusiva sulla domanda di autorizzazione presentata, in mancanza del parere del soprintendente, in tutti i casi nei quali quest'ultimo non pervenga entro 60 giorni a decorrere dalla ricezione della documentazione relativa alla domanda di autorizzazione;
   in sede di conversione in legge del decreto 12 settembre 2014 n. 133, il Governo ha accolto l'ordine del giorno n. 149 del deputato Fraccaro, con il quale la Camera impegna lo stesso Governo ad assicurare la regolare pubblicazione in una sezione del sito web del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo delle comunicazioni bimestrali della regione siciliana –:
   se – nel rispetto delle prerogative costituzionalmente garantite della regione siciliana in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio – intenda assicurare un esame più attento delle comunicazioni bimestrali degli atti e dei provvedimenti in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio, di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 637 del 1975, che la stessa regione siciliana è tenuta a trasmettere al Ministero, alla luce delle modifiche al procedimento per il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, apportate con l'articolo 25 del decreto legge n. 133 del 2014;
   se, e con quale tempistica, intenda dare le disposizioni necessarie affinché le comunicazioni bimestrali di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 637 del 1975 trasmesse dalla regione siciliana vengano rese pubbliche anche attraverso il sito web del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   se, sempre nel rispetto delle citate prerogative costituzionalmente garantite della regione siciliana sulla base delle comunicazioni bimestrali, di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 637 del 1975, intenda prendere in esame i risultati dell'applicazione dell'articolo 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio – che presuppone l'esistenza di un'amministrazione regionale competente e di un soggetto terzo (il soprintendente) con il compito di esprimere il proprio parere sulla proposta di provvedimento trasmessa dalla citata amministrazione competente – in una realtà amministrativa, come quella siciliana, all'interno della quale la soprintendenza dipende funzionalmente dalla stessa amministrazione regionale. (5-04022)

Interrogazione a risposta scritta:


   SEGONI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, ZOLEZZI, MICILLO, DAGA e MANNINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'amministrazione provinciale di Siena ha rilasciato il 10 giugno 2014, al numero di protocollo 1565, la «Autorizzazione Unica Ambientale» per la realizzazione di un impianto a Biomasse per la produzione di Energia elettrica di 0,999 Mwe, della Renovo Energy spa società di Mantova, nel comune di Monticiano (SI), all'altezza della strada statale n. 73 Senese Aretina. Tale autorizzazione è stata rilasciata in assenza di VIA;
   il giorno 20 giugno 2014 presso la sede del comune di Monticiano si è riunita la conferenza dei servizi in seno alla delibera comunale avente per oggetto la realizzazione dell'impianto suddetto. I pareri e i nulla osta acquisiti dalla conferenza, determinavano la favorevole conclusione del procedimento. Nelle varie prescrizioni acquisite, la soprintendenza per i beni archeologici della Toscana – MIBAC, segnalava la necessità, prima dell'avvio degli scavi per la realizzazione dell'elettrodotto di connessione con la rete generica, di eseguire adeguati saggi archeologici, verosimilmente per approfondire la natura storico sedimentaria del territorio di Monticiano;
   non è stata fatta da parte degli amministratori locali, nessuna assemblea pubblica né consiglio comunale dedicato all'argomento prima della conclusione dell’iter autorizzativo, nonostante la legge regionale n. 46 del 2013 tal capo III stabilisca le modalità con le quali eseguire percorsi partecipativi. Solamente il 13 settembre 2014, due mesi e mezzo dopo l'approvazione della conferenza dei servizi (20 giugno) il comune di Monticiano organizza una conferenza aperta al pubblico intitolata: «la filiera bosco legno energia»;
   il Consiglio di Stato ha confermato che «Ogni normativa contrastante con la normativa comunitaria in materia ambientale che impone la VIA quale provvedimento volto a valutare la compatibilità degli insediamenti produttivi con le esigenze di tutela dell'ecosistema doveva pertanto essere disapplicata». Ogni legge interna (statale o regionale) in contrasto con la direttiva comunitaria, andava cioè disapplicata dagli enti e dai soggetti preposti (funzionari e/o amministratori);
   le modifiche sostanziali di un impianto sono equiparate a nuovo impianto (sentenza TAR Veneto sez. III, 18 Giugno 2014, n. 863), pertanto a maggior ragione doveva essere fatta la Valutazione d'Impatto Ambientale;
   l'impianto verrà realizzato a ridosso del perimetro dell'area dell'alta Val di Merse identificata come zona SIC (siti di importanza comunitaria – codice alfanumerico IT5190006) incastrandosi al suo interno per essere cinta su tre lati. Si fa presente come sia intervenuta nel tempo una riperimetrazione dell'area vincolata evidentemente strumentale non tanto alla tutela dell'ambiente ma alla realizzazione degli immobili attualmente presenti. Nel sito di importanza comunitaria Alta Val di Merse e nel sito d'importanza comunitaria Bassa Val di Merse è compresa la riserva naturale e la riserva biogenetica di Tocchi istituita con decreto del Ministero dell'agricoltura e foreste 13 luglio 1977 e decreto ministeriale 28 aprile 1980;
   l'Ufficio per la biodiversità del Corpo forestale dello stato considera queste aree di importanza strategica perché «legata alla presenza di habitat, di fitocenosi di specie rare e di valore ecologico e biogeografico sia per la Toscana sia per il territorio nazionale»: pertanto la realizzazione dell'impianto mette a serio repentaglio la tutela della migrazione degli uccelli e delle specie selvatiche nell'ambito delle aree SIC (un sito di interesse comunitario che contribuisce in modo significativo a mantenere o a ripristinare un tipo di habitat) che per il loro pregio florofaunistico creano una rete di flussi migratori che sarebbe inevitabilmente compromessa dalla realizzazione dell'impianto, venendo meno agli obiettivi perseguiti dalla direttiva citata;
   la presenza di importanti vincoli monumentali architettonici di interesse culturale quali l'abbazia di San Galgano nel comune di Chiusdino, distante appena due chilometri dell'impianto, e alcuni singolari monumenti nel comune di Monticiano, distante dall'impianto appena un chilometro, tra cui emergono per importante valore storico monumentale un tratto di Mura medievali e un fabbricato risalente al XIV – XV secolo, vincolati secondo legge n. 364 del 1909, articolo 5, e la Chiesa della Parrocchia di Santi Giusti e Clemente vincolati secondo l'articolo 12, decreto legislativo n. 42 del 2004, rendono il territorio particolarmente sensibile ad eventuali azioni antropiche discordanti con il patrimonio storico del luogo;
   da quanto disposto con decreto ministeriale 26 maggio 1972, viene identificata la zona circostante l'abbazia di San Galgano sita nel comune di Chiusdino quale bene paesaggistico secondo quanto disposto dall'articolo 143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 del codice dei beni culturali e del paesaggio, per la quale lo stesso comune di Chiusdino ha richiesto l'inserimento nel patrimonio UNESCO. Quest'area di notevole pregio paesaggistico dista all'incirca un chilometro dalla nuova centrale a biomasse –:
   quali azioni il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda adottare alla luce di eventuali accertamenti tecnici effettuati sullo stato di conservazione degli ambienti naturali in relazione al rispetto dell'articolo 3 della direttiva 92/43/CEE ovvero, all'occorrenza, il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente degli habitat delle specie migratorie, alla luce della realizzazione dell'impianto;
   se il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo non ritenga di dover sostenere la procedura avviata dal comune di Chiusdino per la richiesta di ammissione dell'Abbazia di San Galgano nel patrimonio UNESCO e contestualmente richiedere l'assistenza prevista dall'articolo 19 della Convenzione sulla Protezione del Patrimonio Mondiale, culturale e naturale dell'Umanità;
   se il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, ai sensi del decreto del Ministro dell'interno del 28 aprile 2006, alla luce del rischio di un danno al patrimonio paesaggistico monumentale e archeologico potenzialmente presente nell'area di localizzazione dell'impianto, non ritenga opportuno disporre verifiche e controlli da parte del personale appartenente al Comando carabinieri per la tutela del patrimonio culturale;
   se il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo non ritenga, in virtù dei beni paesaggistici diffusi considerata l'importanza e la singolarità del territorio di Monticiano–Chiusdino per le sue valenze monumentali e paesaggistiche, avviare il procedimento di verifica di interesse culturale, ai sensi degli articoli 10, 12 e 13 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. (4-06844)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel corso del seminario sulla lotta all'evasione che si è svolto il 6 novembre presso la Commissione finanze alla Camera, il direttore dell'Agenzia delle entrate ha delineato le nuove strategie da applicare per il prossimo futuro per il contrasto all'evasione fiscale;
   nel corso dell'audizione è emersa la necessità sia di favorire la semplificazione degli adempimenti e la conseguente correttezza dei comportamenti fiscali, sia di modernizzare gli attuali studi di settore, in funzione del rafforzamento della «compliance» e di una diversa e moderna relazione tra Fisco e contribuenti per ricostruire un rapporto di fiducia; tra le possibili riforme rientrerebbe anche la disciplina dell'abuso del diritto, ritenuta necessaria per dare maggiori certezze al sistema tributario e alle imprese;
   al fine di garantire il contrasto dei fenomeni evasivi ed elusivi più complessi, l'Agenzia delle entrate ha auspicato la concreta possibilità di utilizzo delle informazioni di natura creditizia, finanziaria e assicurativa in possesso di autorità ed enti che svolgono attività di controllo e di vigilanza;
   in tale quadro si rende prioritario incentivare l'uso di strumenti tracciabili per effettuare pagamenti in ogni ambito, con un'attenzione particolare proprio alle attività che si rivolgono al consumatore finale in modo da rafforzare le funzioni di selezione dei contribuenti da sottoporre a controllo sulla base di significativi indici di maggior rischio di evasione;
   il Direttore dell'Agenzia delle entrate ha sottolineato inoltre che la diffusione della tracciabilità, oltre ad essere un deterrente all'evasione, può comportare concreti vantaggi ai cittadini per la riduzione dei rischi e degli oneri connessi all'uso del contante;
   nell'ambito dell'attuazione dell'articolo 9 della legge delega fiscale di cui alla legge 11 marzo 2014, n. 23, che prevede il rafforzamento dell'attività conoscitiva e di controllo e la completa tracciabilità delle operazioni, secondo quanto dichiarato dal direttore dell'Agenzia delle entrate, sarà necessario l'abbandono di alcuni strumenti, risultati inefficaci (come i misuratori fiscali e le ricevute fiscali), attraverso l'estensione del meccanismo della cosiddetta fatturazione elettronica, ora operativa solo nei confronti della pubblica amministrazione, anche ai rapporti tra le imprese, con il vantaggio di minori oneri per le imprese ed il progressivo abbandono di controlli massivi sul territorio da parte dell'Amministrazione finanziaria;
   è stata anche avanzata l'ipotesi di un diretto collegamento telematico fra i registratori di cassa delle imprese della distribuzione e l'amministrazione fiscale, con conseguente superamento della natura fiscale dello scontrino;
   di queste ipotesi, nei giorni successivi, la stampa ha ampiamente parlato, anche diffondendo l'informazione che il Governo starebbe già selezionando le piattaforme tecnologiche per i nuovi collegamenti telematici dei registratori di cassa –:
   se quest'ultima notizia risponda al vero e, se la risposta è positiva, quali siano le nuove tecnologie sottoposte al vaglio dell'implementazione e come si intenda assicurare la possibilità di un trasparente confronto concorrenziale fra i diversi sistemi oggi esistenti sul mercato. (5-04016)


   RUOCCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 414, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), ha reintrodotto, il delitto di omesso versamento di ritenute certificate, già disciplinato dall'articolo 2, comma 3, dell'abrogata legge 7 agosto 1982, n. 516, di conversione del decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429, aggiungendo l'articolo 10-bis al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74; in particolare, la disposizione in esame stabilisce che «è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d'imposta»;
   il comma 7 dell'articolo 35 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, ha introdotto invece il delitto di omesso versamento di IVA aggiungendo l'articolo 10-ter al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, secondo il quale «la disposizione di cui all'articolo 10-bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo»;
   il decreto-legge n. 463 del 1983 convertito dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, all'articolo 2, commi 1 e 1-bis, punisce inoltre il datore di lavoro che non abbia adempiuto l'obbligo di pagamento all'Inps dei contributi a carico dipendenti dovuti con riferimento alla retribuzione dei propri dipendenti;
   nel tessuto economico italiano, considerata soprattutto l'attuale congiuntura economica, esistono numerose imprese che versano in una condizione di carenza di liquidità tale da non riuscire a provvedere regolarmente ai pagamenti dovuti e, dunque, in una condizione idonea ad integrare, almeno in astratto, i reati di omesso versamento di ritenute certificate, omesso versamento di IVA e di omesso pagamento dei contributi a carico dei dipendenti sono molteplici;
   in altre parole, le norme in esame sembrano perseguire penalmente proprio quegli imprenditori che dichiarano e assolvono tutti gli adempimenti tributari normativamente prescritti e che, paradossalmente, proprio in virtù di una spontanea certificazione, vengono individuati più facilmente; a dispetto di coloro, invece, che omettono dolosamente tale certificazione e che rischiano di rimanere impuniti;
   tale problematica non è nuova al diritto penale tributario: in alcuni casi, infatti, i giudici di merito hanno giustificato la condotta omissiva sanzionata dalle norme in commento evidenziando la non volontarietà della condotta e, quindi, giustificando l'inadempimento dell'obbligo con la carenza momentanea di liquidità (v. GIP, Tribunale di Milano, Giudice Domanico, 19 settembre 2012, che ha ritenuto come debba applicarsi la causa di non punibilità della forza maggiore, idonea ad escludere, il dolo in un caso ove si era allegato che il mancato pagamento delle ritenute operate era stato causato da una crisi di liquidità derivante dal mancato versamento da parte di pubbliche amministrazioni di ingenti crediti vantati dalla società contribuente; GUP del Tribunale di Milano, giudice Castelli, 14 aprile 2012/7 gennaio 2013, con la quale è stata pronunciata sentenza di assoluzione in un caso ove la società si era trovata in un'improvvisa crisi di liquidità per il mancato versamento da parte di un ente pubblico della somma di 1.700.000 euro; situazione alla quale l'imputato aveva tentato di porre rimedio, cercando di percorrere tutte le strade possibili per riuscire a recuperare liquidità per pagare i debiti tributari e che, tuttavia, lo aveva portato a versare il dovuto a titolo di IVA solo dopo la scadenza del termine fissato dall'articolo 10-ter attraverso la rateizzazione del dovuto; in modo analogo GUP del Tribunale di Firenze, 27 luglio/10 agosto 2012, n. 1141, con riferimento ad un'omissione IVA ex articolo 10-ter in un caso di impossibilità derivante dal mancato pagamento da parte di debitori aziendali di somme rilevanti; tuttavia, tale orientamento giurisprudenziale, avallato dalla dottrina maggioritaria, non è univoco ed ha trovato numerose smentite in altrettante pronunce di segno contrario della giurisprudenza di legittimità;
   quali iniziative, anche normative, intenda adottare per quanto di competenza, al fine di risolvere il conflitto tra le disposizioni in esame e tutelare la categoria di imprenditori che, pur di garantire la continuità dell'impresa e il tasso occupazionale, nonché, pur adempiendo di atto alle prescrizioni normativamente richieste in tema di dichiarazione e certificazione dei redditi omettono il versamento dei tributi dovuti incorrendo paradossalmente nei reati di omesso versamento di ritenute certificate, omesso versamento di IVA e di omesso pagamento dei contributi a carico dei dipendenti. (5-04017)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da un rapporto del Commissario alla spending review dottor Carlo Cottarelli e consegnato lo scorso 18 marzo al Governo, emerge che la riscossione delle entrate fiscali costi allo Stato ben 400 milioni di sole provvigioni bancarie;
   anche se tecnicamente potrebbe essere considerato una semplice partita di giro, il percorso delle tasse incassate dagli istituti di credito che a loro volta le girano alla Banca d'Italia, alla quale è stata affidata per legge la tesoreria centrale, e da questa al Tesoro, comprende vari passaggi;
   lo stesso dottor Cottarelli avrebbe sostenuto che, se il Ministero delle finanze aprisse direttamente conti correnti con gli istituti di credito, saltando il passaggio a Bankitalia, potrebbe risparmiare quei fatidici 400 milioni di inutili provvigioni, tanto più, argomenta nel documento, considerando «la richiesta della Banca centrale europea di trasferire i depositi pubblici verso le banche commerciali»;
   i rapporti tra lo Stato e la Banca d'Italia in tale materia sono regolati da apposite convenzioni la cui durata è fissata in vent'anni, tacitamente rinnovabile per altri venti, a meno che le parti non recedano almeno cinque anni prima della scadenza;
   lo Stato remunera il servizio d'incasso alla Banca d'Italia riconoscendole, già da una quindicina di anni, un aggio pari a 800 milioni di euro (1.600 miliardi delle vecchie lire), importo al quale corre sommare la provvigione che viene corrisposta alle Poste italiane per le riscossioni di carattere erariale (come i pagamenti all'Inps o le spese di giustizia) e pari ad altri 200 milioni, oltre al costo dei versamenti postali a carico dei contribuenti: totale, un miliardo;
   paradossalmente, mentre le banche pagano un interesse, sia pur minimo, sulle somme depositate dai privati cittadini, lo Stato al contrario paga a chi ha in deposito il suo denaro una cifra vicina a 150 miliardi l'anno –:
   alla luce di quanto premesso, se i suddetti dati risultino corretti e quali siano le ragioni che ostano alla ricerca di soluzioni differenti che comportino risparmi di spesa per lo Stato in relazione al sistema di riscossione delle entrate, stante anche il fatto che la Banca d'Italia ha recentemente aumentato i dividendi pagati a soci privati. (5-04018)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MURA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'amministratore delegato di Poste italiane s.p.a., Francesco Caio, in data 5 novembre 2014 è stato ascoltato in audizione alla Commissione industria del Senato sulla situazione del settore postale e sulle prospettive di Poste italiane s.p.a.;
   in tale sede ha dichiarato che dei 13 mila sportelli in questo momento dislocati sul territorio nazionale, Poste italiane s.p.a. ha avviato una richiesta di autorizzazione per la chiusura di circa 5-6000 sportelli;
   l'ipotesi di chiusura di Poste s.p.a. come riportano gli organi di stampa, sarebbe già stata condivisa con l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;
   la razionalizzazione della rete di sportelli postali dà luogo, ad avviso dell'interrogante, a una palese violazione del principio di territorialità e nasce da valutazioni di pura natura economico-gestionale e non tiene in minimo conto quello che è l'indispensabile ruolo svolto dall'azienda per milioni di cittadini: garantire il servizio postale universale;
   la chiusura degli sportelli colpirà soprattutto i piccoli comuni, soprattutto quelli che si trovano nelle aree svantaggiate, in zone montane e in territori in via di spopolamento, causando un gravissimo danno ai cittadini, già penalizzati da scelte che hanno costretto i comuni a ridimensionare fortemente i servizi essenziali per la popolazione;
   l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, su precisa sollecitazione del Consiglio di Stato, ha adottato la delibera n. 342/14/CONS con la quale sono stati modificati i criteri di distribuzione degli uffici di Poste Italiane;
   con suddetta delibera è stato introdotto il divieto di chiusura di uffici postali situati in comuni rurali che rientrano anche nella categoria dei comuni montani. Sono esclusi dall'ambito di applicazione del divieto i comuni nei quali siano presenti più di due uffici postali e il rapporto abitanti per ufficio postale sia inferiore a 800;
   la delibera n. 342/14/CONS inoltre stabilisce: «Gli uffici postali presidio unico di Comuni, ossia con popolazione residente inferiore a 500 abitanti, ove sia presente entro 3 chilometri un ufficio limitrofo aperto almeno tre giorni a settimana, osservano un'apertura al pubblico non inferiore a due giorni e dodici ore settimanali, garantendo un coordinamento con gli orari di apertura del suddetto ufficio limitrofo, in modo da assicurare la più ampia accessibilità del servizio»;
   l'autorità ha inoltre precisato che «gli interventi di chiusura e di rimodulazione oraria degli uffici postali devono essere comunicati da Poste Italiane ai Sindaci dei Comuni interessati, ovvero alla competente articolazione decentrata dell'Amministrazione comunale, con congruo anticipo, almeno 60 giorni prima della data prevista di attuazione dell'intervento» –:
   quali siano i criteri secondo i quali circa 6000 sportelli postali saranno chiusi su tutto il territorio nazionale da Poste italiane s.p.a.;
   quali iniziative il Governo intenda assumere affinché Poste s.p.a. possa assicurare a tutti i cittadini, su scala nazionale, il servizio postale universale;
   se non si ritenga che tale chiusura comporti una palese violazione del principio di territorialità e che non tenga conto dell'indispensabile ruolo svolto dall'azienda per milioni di cittadini italiani;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per impedire la chiusura degli sportelli postali nei piccoli comuni, in particolari quelli situati nelle aree svantaggiate, in zone montane e in territori in via di spopolamento;
   se non ritenga opportuno convocare un tavolo di confronto tra Poste Italiane s.p.a. e l'Associazione nazionale sindaci italiani (ANCI) affinché la razionalizzazione della rete di sportelli postali non vada a colpire ulteriormente i piccoli comuni, già penalizzati da scelte che hanno costretto il forte ridimensionamento dei servizi essenziali per i cittadini. (5-04012)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRANCESCO SAVERIO ROMANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), dispone che è dovuto il contributo unificato di iscrizione a ruolo, per ciascun grado di giudizio, nel processo civile, compresa la procedura concorsuale e di volontaria giurisdizione, nel processo amministrativo e nel processo tributario, secondo gli importi previsti dal successivo articolo 13 e salvo quanto previsto dall'articolo 10 del citato decreto del Presidente della Repubblica;
   l'articolo 14 del citato decreto del Presidente della Repubblica ha definito i soggetti obbligati al pagamento del contributo unificato ed ha stabilito le modalità di determinazione del valore delle liti. In particolare, prima delle modificazioni introdotte dal comma 598 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, l'articolo 14, comma 3-bis stabiliva che, nei processi tributari, il valore della lite, determinato ai, sensi del comma 5 dell'articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, dovesse risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni del ricorso, anche nell'ipotesi di prenotazione a debito;
   tale valore doveva essere calcolato in base al tributo, pertanto, ciò che rilevava era, non già il valore del singolo atto impugnato, bensì il valore della lite, valore che ex articolo n. 10 del codice di procedura civile è dato dalla somma delle domande, ovvero dei tributi indicati nei vari atti cumulativamente impugnati (si veda sentenza n. 120/1/13 della Commissione tributaria provinciale di Campobasso). Il valore della causa, in caso di pluralità di domande proposte nello stesso processo contro la medesima parte, era determinato, quindi, dalla somma delle stesse;
   il Ministero dell'economia e delle finanze, con direttiva 14 dicembre 2012, n. 2/DGT, in risposta a molteplici quesiti in terna di contributo unificato nel processo tributario, stabiliva che, nel caso in cui con un unico ricorso risultassero impugnati più atti di accertamento (ricorso cumulativo oggettivo), «in base a quanto disposto dal comma 5 dell'articolo 112 del decreto legislativo n. 546/1992 per valore della lite si intende l'importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l'atto impugnato. Soltanto nel caso in cui siano impugnati gli atti di irrogazione delle sanzioni il valore della lite è dato dalla loro somma. Tenuto conto che la norma collega il valore della lite al singolo atto impugnato, in caso di un unico ricorso avverso più atti, si ritiene che il calcolo del contributo unificato debba essere effettuato con riferimento ai valori dei singoli atti e non sulla somma di detti valori»;
   tale interpretazione veniva tuttavia disattesa dalla maggioranza delle commissioni tributarie provinciali (si veda, fra le altre, la sentenza n. 120/1/2013 del 18 luglio 2013 della Commissione provinciale tributaria di Campobasso);
   il comma 598, dell'articolo 1, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), con il preciso scopo di aumentare le entrate per l'erario, ha disposto che il comma 3-bis dell'articolo 14 del citato decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, fosse modificato nel senso di precisare che il valore della lite venga determinato «per ciascun atto impugnato anche in appello». Dopo l'introduzione del contributo unificato anche al processo tributario in base al valore (a scaglioni) delle controversie, il legislatore è intervenuto quindi precisando il criterio per la determinazione del valore della controversia ai fini del contributo unificato, dovuto per ciascun atto impugnato, in primo grado come in appello, avallando con fonte di rango primario quanto precedentemente stabilito dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   prima dell'introduzione della citata modifica normativa per controversie di valore superiore a 200.00.000 euro, era dovuto un contributo 1.500 euro, come previsto dalla tabella del testo unico delle spese di giustizia, aggiunto dal decreto-legge n. 98 del 2011, articolo 13, comma 6-quater. A mero titolo di esempio, accade che un'impresa di San Donà di Piave, dopo avere pagato un contributo unificato massimo di 1.500 euro per 24 cartelle, si veda ora notificare un'ingiunzione di pagamento di integrazione di 26.440 euro che, se non regolarizzata entro 30 giorni, viene raddoppiata a 49.880 euro (più spese di notifica);
   questo continuo ed incessante aumento dei costi per accedere ai gradi di giudizio (uniti ai noti tempi biblici dei processi) sono divenuti tali da scoraggiare cittadini ed imprenditori medi dal chiedere giustizia e difendere i propri diritti;
   le finalità che hanno portato all'introduzione del contributo unificato erano volte all'eliminazione dell'eccesso di incombenze inerenti al procedimento e alla razionalizzazione e alla semplificazione del regime impositivo connesso all'esercizio dell'attività giurisdizionale;
   la norma introdotta dalla legge di stabilità 2014 ha palesemente lo scopo di privilegiare il recupero di somme anziché il principio di economia degli atti processuali, venendo a ledere nella sua massima espressione il diritto di difesa ed il diritto di uguaglianza, sfavorendo l'accesso alla giustizia ai soggetti deboli, penalizzando soprattutto le liti di piccolo importo, ma caratterizzati da una pluralità di atti impugnati –:
   quali iniziative, anche di carattere normativo, il Governo intenda adottare per rimuovere le criticità esposte, che a giudizio dell'interrogante sono di ulteriore ostacolo per cittadini ed imprese all'accesso alla giustizia e per ricondurre in contributo unificato alle finalità che portarono al sua introduzione. (4-06829)


   GUIDESI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA, RONDINI, SIMONETTI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON e CAPARINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che;
   il sisma che ha colpito il 20 e 29 maggio 2012 l'Emilia ha colpito profondamente il territorio interessato, lasciando un profondo segno nel tessuto sociale ed economico; il terremoto è stato soprattutto una tragedia umana: muoiono a causa delle scosse 28 persone, cui si aggiungerà un volontario deceduto nella fase di ricostruzione, con oltre 300 feriti;
   l'area colpita è enorme e densamente popolata: 33 comuni nell'area del cratere, 59 quelli interessati complessivamente da eventi sismici, 550 mila persone direttamente coinvolte, quasi un milione nell'intera area e 270 mila addetti tra agricoltura, industria e servizi. La zona colpita è ad alta industrializzazione, con un'agricoltura importante e di altissimo livello, un altissimo tasso di occupazione; nell'area del cratere si produce circa il 2 per cento del prodotto interno lordo nazionale;
   i maggiori danni sono stati subiti alle abitazioni e dalle attività produttive, con conseguenze disastrose sul rischio chiusura e disoccupazione per attività già messe a dura prova dalla crisi economica;
   in risposta alla calamità derivante dall'evento sismico il Governo pro tempore ha adottato il decreto-legge n.  74 del 2012 che circoscriveva il suo ambito di applicazione inizialmente ai territori dei comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo colpiti dagli eventi sismici dei giorni 20 e 29 maggio 2012, per i quali era stato disposto il differimento dei termini per l'adempimento degli obblighi tributari con il decreto ministeriale economia e delle finanze del 1o giugno 2012 (articolo 1, comma 1). Tutte le misure valevano fino alla fine del 2012;
   in seguito, l'articolo 67-septies del decreto-legge n. 83 del 2012 ha esteso l'applicabilità delle disposizioni al territorio dei comuni di Ferrara e Mantova, nonché – ove risulti l'esistenza del nesso di causalità tra danni e i suindicati eventi sismici – di ulteriori comuni indicati nella norma;
   in considerazione dell'entità dei danni subiti e al fine di favorire il processo di ricostruzione e la ripresa economica nei territori interessati lo stato di emergenza è stato prorogato fino al 31 maggio 2013 e poi, con il decreto-legge n. 43 del 2013, fino al 31 dicembre 2014;
   i pagamenti dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria sono stati sospesi in un primo momento fino al 30 settembre 2012 (decreto ministeriale 1o giugno 2012); successivamente la sospensione è stata prorogata fino al 30 novembre (articolo 8, comma 1, del decreto-legge n. 174 del 2012 e decreto ministeriale 24 agosto 2012). Il decreto-legge n. 174 del 2012, infine, ha previsto che i pagamenti suddetti fossero effettuati entro il 20 dicembre 2012, senza applicazione di sanzioni e interessi;
   in seguito, con il decreto-legge n. 4 del 2014, limitatamente ai territori che hanno subito l'evento alluvionale del 17-19 gennaio 2014 nei medesimi territori colpiti dal sisma del 20 e 29 maggio 2012 (agli eventi atmosferici avvenuti dal 30 gennaio al 18 febbraio 2014 nei territori della regione Veneto), sono stati ulteriormente sospesi i termini dei versamenti e degli adempimenti tributari, compresi quelli contributivi, e quelli derivanti da cartelle di pagamento emesse dagli agenti della riscossione, scadenti nel periodo compreso tra il 17 gennaio 2014 ed il 31 ottobre 2014;
   il 28 ottobre 2014 il direttore dell'Agenzia delle entrate ha immediatamente provveduto a firmare un provvedimento volto a prevedere le modalità di ripresa immediata di versamenti e adempimenti per tutti i territori beneficiati dalla sospensione, senza alcuna dilazione;
   da ultimo, dal 10 al 14 ottobre 2014 nelle regioni Liguria, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Veneto e Friuli Venezia Giulia sono state colpite da eccezionali precipitazioni atmosferiche e, in alcune zone dell'Emilia Romagna, dallo sciame sismico registrato il 16-17 ottobre;
   il Presidente del Consiglio, in una conferenza stampa del 15 ottobre 2014, ha assunto l'impegno poi riportato nel comunicato del Consiglio dei ministri, di questo tenore: «In seguito alle calamità alluvionali che hanno colpito molte zone del Paese, e tutt'ora in corso, il Consiglio dei Ministri ha chiesto al Ministro dell'Economia e delle Finanze Pietro Carlo Padoan di disporre il differimento dei termini del versamento dei tributi statali nelle zone interessate nelle regioni Liguria, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Veneto, Friuli Venezia Giulia. Il decreto individua i comuni nei quali, da domani 16 ottobre, i cittadini e le imprese potranno rinviare i pagamenti di imposte e tributi statali (Iva e altro), da effettuare entro la fine dell'anno»;
   il 21 ottobre il Ministro dell'economia e delle finanze ha firmato un decreto che dispone la sospensione dei versamenti e degli adempimenti tributari nelle zone colpite dall'alluvione verificatasi tra il 10 e il 14 ottobre 2014, ma tale sospensione riguarda solo un ridotto numero di comuni e si applica solo dal 10 ottobre al 20 dicembre 2014;
   tale sospensione però, a differenza di quanto stabilito in passato e proprio nel 2012 in favore dell'Emilia Romagna, non ha riguardato anche gli adempimenti contributivi, creando false attese negli imprenditori già sconvolti dalle alluvioni e ponendo le condizioni perché si ritrovino in seguito a pagare il dovuto con interessi e sanzioni;
   è notizia di questi giorni che Equitalia stia recapitando cartelle esattoriali per migliaia di euro a cittadini ed imprese dei territori colpiti dal sisma e/o dalle successive calamità naturali; importi insostenibili proprio perché afferenti ai periodi immediatamente precedenti al sisma e che senza una piena ripresa dell'attività economica, non possono essere sostenuti; tra le richieste più alte, quelle provenienti dall'INPS, che esige contributi non pagati a partire dal 2013, quindi in piena ricostruzione;
   è necessario prevedere, non solo con provvedimenti improvvisati sull'onda delle calamità, ma con carattere di certezza, un quadro giuridico stabile di riferimento che comprenda tutte le agevolazioni riconosciute quando si verifica una calamità, prevedendo anche che, alla fine del periodo di sospensione i pagamenti ormai accumulatisi possano essere automaticamente dilazionati senza oneri –:
   se il Governo intenda o meno assumere iniziative per prorogare la sospensione del versamento degli adempimenti tributari nelle aree, come quella di Genova, colpite dagli eccezionali eventi atmosferici del 10-14 ottobre 2014, estendendola anche a quelli contributivi;
   se il Governo intenda mettere a punto un sistema di dilazionamento o cancellazione delle cartelle di pagamento emesse dagli agenti della riscossione nel corso del 2014 nei confronti dei soggetti (persone fisiche o giuridiche) aventi la loro residenza o sede legale nei territori colpiti dal sisma del 20 e 29 maggio 2012 e/o dai successivi eventi calamitosi ed alluvionali nel territorio della regione Emilia Romagna;
   se il Governo intenda assumere iniziative per mettere a punto un sistema normativo ad hoc per le situazioni conseguenti a calamità naturali, che comprenda anche l'istituzione di zone franche nei territori colpiti da calamità naturali.
(4-06832)


   CANCELLERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal 1965 il polo petrolchimico di Gela, sovrasta la vita della cittadina siciliana, che con il suo groviglio di tubi è diventato un cancro di fuoco e cemento che inquina l'aria, l'acqua, la terra, il mare, e a Gela come a Taranto, si muore di tumore più della media nazionale;
   da fonti giornalistiche si apprende che lo stabilimento di Gela diventerà la Green Rafinery e della volontà dell'ENI di riconvertire gli stabilimenti di Gela per la trasformazione dell'olio di palma in biodiesel;
   le coltivazioni della palma da olio sono la prima causa di disboscamento delle foreste dell'Indonesia. Habitat naturali di tigri ed oranghi che vengono distrutti da incendi finalizzati a «ripulire» centinaia di ettari da destinare a colture intensive di palme. Il fumo provocato dagli incendio, arriva ad appestare l'aria rendendola irrespirabile da Sumatra a Singapore e persino in Malesia. Alcune ricerche riportate dalla BBC hanno dimostrato che, il fumo proveniente dagli incendi delle foreste del Sumatra, ha portato ad ammalarsi almeno 20 milioni di persone;
   si potrebbe ricavare biodiesel dagli oli esausti, praticamente materia prima a costo zero e a chilometro zero, oppure si potrebbero coltivare in Sicilia tutti quei vegetali da cui si ricavano carburanti, come la canapa (biodiesel ed etanolo di canapa) o la colza. Si potrebbero sfruttare anche gli escrementi degli animali o il compost da cui ricavare metano, oltre che ad usufruire in maniera più efficiente dell'energia solare e di quella eolica;
   e il Ministero dell'economia e delle finanze ha il controllo di fatto in Eni spa in forza della partecipazione detenuta sia direttamente sia indirettamente tramite Cassa depositi e prestiti spa (CDP spa), per un totale del 30,10 per cento –:
   se i Ministri interrogati vista anche la percentuale che è in possesso dello stato, non ritengano necessario intervenire per far sì che l'Eni trovi altre soluzioni per mantenere vivo lo stabilimento di Gela.
(4-06833)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MURA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto penitenziario E. Scalas situato presso il comune di Uta, dovrebbe sostituire il vecchio carcere di Buoncammino, ubicato nella città di Cagliari;
   il nuovo carcere ha 542 posti, di cui 92 per il regime speciale del 41-bis. La struttura è costata complessivamente 92 milioni di euro;
   per il completamento del nuovo istituto penitenziario, realizzato dal provveditorato interregionale per le opere pubbliche per il Lazio, la Sardegna e l'Abruzzo, sono stati assegnati dal piano carceri 3 milioni di euro, in particolare per gli allacci alla rete pubblica;
   per rendere funzionante l'istituto sono state assegnate ulteriori risorse per circa 500 mila euro per l'arredo delle stanze detentive, con l'utilizzo di manodopera dei detenuti;
   la struttura è in costruzione da diversi anni e ancora oggi non si sa quando sarà inaugurata;
   negli anni i motivi dei ritardi sono stati fondamentalmente due: l'inadeguatezza del numero degli operai per un'opera così imponente e i ritardi nei pagamenti degli stipendi che hanno causato lunghe pause ai lavori;
   nell'estate scorsa era stata fissata nel 31 ottobre la data di apertura, che poi è slittata al mese di marzo del 2015;
   in data 3 novembre 2014 l'interrogante ha compiuto un sopralluogo presso il nuovo istituto penitenziario, dal quale risulta evidente il mancato completamento dei lavori previsti (parcheggi, recinzioni, rifiniture interne e area per il regime speciale del 41-bis) –:
   quale sia la data di inizio e fine lavori prevista nel crono programma dei lavori approvato dai soggetti competenti;
   quale sia l'esatta denominazione dell'associazione temporanea di imprese (ATI), e dei singoli soggetti associati, che si è aggiudicata i lavori di realizzazione dell'istituto penitenziario;
   quale sia l'articolazione del lavoro da realizzare;
   quali siano le dimensioni e il numero di posti dell'istituto penitenziario;
   quali siano le risorse assegnate dallo Stato per la realizzazione e la messa in funzione dell'istituto penitenziario;
   quale sia il costo dell'opera a base d'asta;
   quale sia il costo dell'opera effettivo a seguito delle perizie di variante approvate dai soggetti competenti;
   quale sia lo stato di avanzamento dell'opera rispetto alla conclusione dei lavori e quali siano le parti di opera concluse e quali, quelle, da concludere;
   se rispetto alle opere eventualmente concluse, siano stati fatti i collaudi e resi i nullaosta previsti dalla legge;
   se si sia provveduto, o quando si intenda provvedere, a garantire la cartellonistica e l'illuminazione stradale;
   se sia già intervenuto il provvedimento di consegna dell'opera al Ministero della giustizia. (5-04019)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRANCESCO SAVERIO ROMANO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 26 giugno 2014, n. 92, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 117 ha introdotto misure relative alla situazione carceraria. In particolare, sono stati previsti rimedi di tipo risarcitorio in favore di detenuti e internati che siano stati sottoposti a condizioni di detenzione inumani o degradanti, in violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU);
   con la sentenza-pilota Torreggiani del gennaio 2013, la CEDU ha accertato, nei casi esaminati, la violazione dell'articolo 3 della Convenzione a causa della cronica situazione di sovraffollamento delle carceri, in cui i ricorrenti si sono trovati. La Corte ha quindi ordinato alle autorità italiane di predisporre, nel termine di un anno, le misure preventive e compensative necessarie e quelle in grado di garantire una riparazione effettiva delle violazioni della Convenzione risultanti dal sovraffollamento carcerario in Italia;
   in particolare, l'articolo 1 del decreto-legge inserisce nell'ordinamento penitenziario l'articolo 35-ter attraverso il quale si attivano a favore di detenuti rimedi risarcitori per la violazione dell'articolo 3 della Convenzione EDU. Alle competenze del magistrato di sorveglianza si aggiunge la possibilità di adottare provvedimenti di natura risarcitoria e si stabilisce che – quando l'attuale e grave pregiudizio all'esercizio dei diritti del detenuto consista in condizioni di detenzione inumane e degradanti – il magistrato di sorveglianza, su istanza del detenuto (o del difensore munito di procura speciale), deve «compensare» il detenuto con l'abbuono di un giorno di pena residua per ogni 10 giorni durante i quali vi è stata la violazione;
   il magistrato di sorveglianza liquida il richiedente con una somma di 8 euro per ogni giorno trascorso in carcere in «condizioni inumane e degradanti» quando il residuo di pena da espiare non permette l'attuazione integrale della citata detrazione percentuale o qualora il periodo detentivo trascorso in violazione dell'articolo 3 CEDU sia stato inferiore a 15 giorni. Analogo risarcimento è previsto in favore di chi abbia subito detto pregiudizio in regime di custodia cautelare non computabile nella determinazione della pena ovvero abbia ormai espiato la pena della detenzione;
   l'azione relativa va proposta entro 6 mesi dalla cessazione della custodia o della detenzione, davanti al tribunale del distretto di residenza, che decide in composizione monocratica in camera di consiglio con decreto non reclamabile;
   il provvedimento detta delle disposizioni transitorie riguardanti coloro che, alla data di entrata in vigore del decreto-legge, abbiano già espiato la pena detentiva o che non si trovino più in custodia cautelare in carcere. In tali casi, entro sei mesi da tale data, va proposta l'azione per il risarcimento davanti al tribunale del distretto di residenza. I detenuti che abbiano già avanzato ricorso alla Corte europea per violazione dell'articolo 3 CEDU, entro sei mesi a far data dal 28 giugno 2014, se non è intervenuta decisione sulla ricevibilità del ricorso, possono fare domanda di risarcimento ai sensi del nuovo articolo 35-ter dell'ordinamento penitenziario;
   con tale provvedimento il Governo italiano ha ottenuto dal Consiglio dei ministri europeo un rinvio di una sentenza definitiva, anche se, visti i deludenti risultati di questi primi mesi di applicazione della norma, una condanna – con annesse salatissime multe – pare solamente ritardata;
   la scelta compiuta dal Governo di stabilire la somma risarcitoria in 8 euro per giorno, oltre ad apparire più volta a non gravare eccessivamente sulle finanze dello Stato, è apparsa fin da subito assai discutibile, in quanto non viene prevista alcuna possibilità di graduare il risarcimento in ragione della gravità del pregiudizio eventualmente accertato. Ciò potrebbe esporre la norma stessa a problemi sia di compatibilità costituzionale, sia di rispetto dei vincoli comunitari sotto il profilo dell'effettività della tutela;
   occorre evidenziare come oggi la Magistratura di sorveglianza risulti inadeguata persino a rispondere alle istanze di ordinaria amministrazione avanzate dalla popolazione detenuta e che questo provvedimento, seppur mosso da buone intenzioni, rischia di paralizzarne definitivamente l'attività. I tempi delle decisioni si preannunciano pertanto lunghissimi, ben lontani dall'esigenza di provvedere con immediatezza a risolvere una situazione di imminente problematicità;
   secondo quanto a conoscenza dell'interrogante si evidenzia una difformità nell'applicazione della nuova normativa da parte della magistratura di sorveglianza. In particolare, vengono segnalati molteplici casi di rigetto delle istanze, per una ritenuta inammissibilità, sia con riferimento a detenzioni pregresse, sia a quelle che si protraggono in diversi istituti, motivate da un'interpretazione della norma che, di fatto, limiterebbe la competenza del magistrato di sorveglianza nell'applicazione del rimedio risarcitorio voluto dal legislatore, «in quanto la lesione accertata, per fondare una pronuncia di addebito a carico dell'amministrazione penitenziaria suscettibile di risarcimento, deve consistere in un pregiudizio «attuale e grave» della posizione soggettiva del soggetto detenuto o internato»;
   tale interpretazione rischia di inficiare l'intera ratio della norma lasciando il detenuto privo di qualsiasi tutela effettiva e, contestualmente, non consentirebbe di ottemperare a quanto stabilito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo;
   parallelamente, la magistratura di sorveglianza lamenta la complessità dell'istruttoria per ogni singolo caso: dalla raccolta dei dati relativi alla metratura della cella per ogni periodo di detenzione, al numero effettivo dei detenuti presenti nella cella stessa, dalle condizioni igieniche alle attività di lavoro svolte. Tali difficoltà risultano ancora maggiori nei casi in cui sia necessario ricostruire le condizioni di precedenti carcerazioni –:
   quali iniziative di carattere normativo intenda intraprendere il Governo al fine di chiarire in modo univoco le competenze della magistratura di sorveglianza in merito all'applicazione del nuovo articolo 35-ter dell'ordinamento penitenziario sia per la detenzione in essere al momento della presentazione dell'istanza, sia per i periodi di detenzione pregressi;
   quali iniziative il Ministero intenda adottare, in stretta coordinazione con il, dipartimento amministrazione penitenziaria, al fine di dare la massima informazione sulle nuove possibilità offerte dalla nuova normativa fra la popolazione detenuta al fine di facilitare la presentazione delle domande;
   quali iniziative si intendano mettere in essere, per quanto di competenza, per potenziare gli uffici della magistratura di sorveglianza onde evitarne la definitiva paralisi dell'attività. (4-06830)


   PILI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'11 novembre 2014 nel turno tra le 13 e le 19 un agente penitenziario è stato gravemente aggredito nel carcere di Massama-Oristano;
   l'agente è stato trasportato urgentemente al pronto soccorso;
   responsabile dell'aggressione risulta un ergastolano pericolosissimo della Sacra Corona Unita responsabile di efferati omicidi;
   il gravissimo fatto è accaduto in uno dei tre bracci di massima sicurezza del carcere di Oristano;
   il fatto, in relazione al quale non risulta alcuna comunicazione ufficiale, avalla le denunce che da settimane l'interrogante si vede costretto a fare sulla gravissima situazione che si registra nel carcere di Massama per quelle che all'interrogante appaiono le gravissime responsabilità del provveditore del dipartimento penitenziario della Sardegna che sta gestendo le carceri sarde in modo assolutamente inaccettabile;
   la pericolosità dei detenuti e la presenza di un solo agente per braccio stanno provocando un pericolo senza precedenti che mette ripetutamente a rischio gli stessi operatori della sicurezza;
   non si conoscono le condizioni dell'agente che dovrebbe essere ancora al pronto soccorso dell'ospedale di Oristano;
   il provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria, ad avviso dell'interrogante, si dovrebbe dimettere per il totale fallimento della gestione delle carceri sarde che sta mettendo a repentaglio la vita stessa degli agenti;
   la situazione delle carceri sarde risulta essere esplosiva, secondo l'interrogante, proprio per il comportamento del provveditore che con un atto unilaterale e gravissimo ha spostato il personale dalle carceri operative verso un carcere chiuso come quello di Uta che non potrà essere in alcun modo aperto proprio perché è ancora un cantiere e, a quanto risulta all'interrogante, non esisterebbe nessuna autorizzazione;
   la trasformazione a giudizio dell'interrogante subdola e vergognosa del carcere di Oristano-Massama in un carcere di massima sicurezza sta portando ad una situazione insostenibile proprio per l'inadeguatezza dell'organizzazione sia del personale che delle stesse strutture;
   non è un caso che l'autore della grave aggressione, per quanto risulta all'interrogante, ergastolano appartenente alla Sacra Corona Unita stia scontando una condanna all'ergastolo per omicidio avvenuto nella cruenta guerra di mala fra clan della Sacra Corona Unita che insanguinò il Nord Salento negli anni dal 1999 al 2001;
   nella stessa giornata dell'11 novembre in sintonia con l'atto di sindacato ispettivo dell'interrogante Salvatore Argiolas dirigente nazionale Ugl Penitenziari e Fabrizio Piu segretario provinciale Ugl penitenziari hanno denunciato con una comunicazione formale al prefetto di Oristano la drammatica criticità della situazione di invivibilità e della mancanza di sicurezza dell'istituto per il personale ivi operante;
   le segnalazioni, oggetto di un precedente atto di sindacato ispettivo, e quelle delle organizzazioni sindacali indirizzate agli uffici interni dell'amministrazione penitenziaria, a tutti i livelli, sono rimaste inascoltate;
   la struttura penitenziaria è, secondo gli operatori penitenziari, oramai completamente al collasso e con un gravissimo rischio di sommosse;
   nella comunicazione formale al prefetto l'organizzazione sindacale denuncia quanto segue:
    la mancanza di risorse umane condiziona il mantenimento dell'ordine, della sicurezza e della disciplina interna dell'istituto;
    alle poche unità di polizia penitenziaria vengono affidati oneri e responsabilità molto esigenti che vanno al di là di qualsiasi ragionevole logica professionale e di sicurezza personale;
    il personale è abbandonato a se stesso e sfruttato in modo a giudizio dell'interrogante vergognoso dall'amministrazione penitenziaria, che appare totalmente indifferente alle problematiche sollevate dall'UGL e da altre organizzazioni sindacali;
    la natura stessa del lavoro della polizia penitenziaria richiede oltre alle competenze professionali, la certezza di avere piante organiche adeguate che possano affrontare quotidianamente le attività d'istituto e le varie esigenze della popolazione detenuta;
   la casa reclusione di Oristano è una polveriera pronta ad esplodere da un momento all'altro, soprattutto con l'arrivo della nuova tipologia di detenuti ad alta sicurezza, tra cui elementi di primo piano nel panorama criminale dell'intero Paese;
   la decisione, secondo l'interrogante del tutto inaccettabile, dell'amministrazione di aumentare la capacità ricettiva in ogni singola cella, sistemando in celle doppie, 3 detenuti in 9 metri quadri circa, sta causando tensioni tra la stessa popolazione detenuta costretta a convivere in spazi angusti, alimentando proteste e lamentele quotidiane;
   in mezzo a questo disagio il personale operante deve sobbarcarsi l'onere di affrontare situazioni altamente estenuanti;
   numerosi incarichi vengono affidati ad un solo operatore che si sobbarca tutto il carico di lavoro senza avere la necessaria serenità e la certezza di contare sull'appoggio dei sistemi di sicurezza interna;
   a quanto consta all'interrogante il complesso penitenziario presenta avarie nei tantissimi strumenti elettronici e tecnologici presenti che determinano insicurezza della struttura e del personale operante;
   la sala regia cerniera di sicurezza dell'Istituto presenterebbe sistemi di sicurezza mal funzionanti;
   il block-house risulterebbe non sorvegliato nei turni di maggior rischio (pomeridiani, serali e notturni) e negli orari di massima movimentazione di persone e mezzi vi presterebbe servizio un solo agente;
   presso la portineria e la porta carraia vi sarebbe un solo operatore di servizio e non si disporrebbe di telecamere all'avanguardia che permettano di vedere le persone che accedono ed escono dall'istituto di pena;
   secondo le organizzazioni sindacali tutto ciò è intollerabile;
   con tutte queste deficienze strutturali e di organico, l'amministrazione ritiene comunque sussistere l'idoneità dell'Istituto di Oristano-Massama a assicurare la detenzione speciale di detenuti a regime dell'alta sicurezza (appartenenti alle organizzazioni criminali camorra, mafia e ’ndrangheta) in aggiunta alle sezioni ordinarie comuni;
   tutto questo nonostante sia perfettamente conscia che la sorveglianza, ossia l'incarico di assicurare ordine e disciplina all'interno delle sezioni viene spesso «garantito» da un solo operatore (spesso un appartenente al ruolo agente-assistenti) che si addossa tutto il carico di lavoro a rischio e pericolo della propria integrità fisica;
   all'interno dei reparti detentivi il problema dell'aumento sconsiderato della popolazione detenuta è particolarmente sentita;
   le attività intramurarie, ricreative e corsi scolastici, il più delle volte si svolgono senza la continua presenza di un operatore di polizia;
   il nucleo traduzioni e piantonamenti risente anch'esso la mancanza di risorse tanto che assicura il proprio servizio sotto scorta e con mezzi obsoleti;
   le traduzioni sono aumentate a dismisura e i detenuti tradotti sono per la maggior parte a disposizione dell'autorità giudiziaria fuori sede, nella penisola;
   si registrano turni massacranti che aumentano lo stress dovuto all'eccessivo carico di lavoro al punto che molte volte si è costretti al riposo medico per un recupero psicofisico, visto e considerato che l'amministrazione, per quanto risulta all'interrogante non riesce neanche a garantire i diritti soggettivi del personale;
   la polizia penitenziaria è costretta a svolgere anche compiti amministrativi-contabili per far funzionare l'attività amministrativa;
   si tratta di una struttura stressata dalle notevoli difficoltà organizzative e operative, ampiamente denunciate che rimangono nell'indifferenza del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, del provveditore regionale e della stessa direzione dell'istituto;
   la drammaticità della situazione sopra rappresentata ed il silenzio ad ogni livello della stessa amministrazione penitenziaria, specie in Sardegna, nonostante le oramai innumerevoli sollecitazioni dell'UGL Polizia Penitenziaria, spesso sfociate anche in interventi parlamentari di denuncia della situazione riscontrata, devono essere affrontati con urgenza prima che sia troppo tardi –:
   se non ritenga di dover rimuovere il provveditore della Sardegna per la gravissima gestione delle carceri sarde già abbondantemente denunciate nei mesi scorsi;
   se non intenda risolvere questa gravissima situazione con l'assegnazione alla Sardegna di non meno di 1000 nuovi agenti in grado di gestire le strutture vecchie e nuove;
   se non intenda bloccare l'arrivo in Sardegna di detenuta ad alta sicurezza. (4-06846)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CATALANO, TACCONI e FURNARI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1 comma 10-bis, del decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 detto «Sblocca Italia», convertito, con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, prevede che: «al fine di rendere cantierabili nel breve termine opere di interesse pubblico nazionale o europeo nel settore ferroviario, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti redige il Piano di ammodernamento dell'infrastruttura ferroviaria, con il quale individua, secondo criteri di convenienza economica per il sistema-Paese, le linee ferroviarie da ammodernare, anche tramite l'impiego dei fondi della Connecting Europe Facility, sia per il settore delle merci sia per il trasporto dei passeggeri. Il Piano è redatto in collaborazione con le associazioni di categoria del settore ed è tempestivamente reso pubblico nel rispetto delle disposizioni del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.»;
   si apprende da fonti di stampa (notizia del 11 novembre 2014 sul sito internet di Italia Oggi), che, come dichiarato dall'amministratore delegato di Fs, Michele Elia, a margine di un'audizione al Senato, Rfi avrebbe chiesto alla Banca europea per gli investimenti un prestito di 950 milioni di euro per la manutenzione straordinaria della rete ferroviaria –:
   come il Governo intenda procedere per adempiere alle disposizioni previste dall'articolo 1, comma 10-bis, del decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 detto «Sblocca Italia»;
   in riferimento alle dichiarazioni di Rfi di quali informazioni disponga il Governo, nello specifico:
    a) se sia a conoscenza di quale tipo di finanziamento abbia richiesto Rfi alla Banca europea degli investimenti, e se esso rientri in quelli legati alla connecting europe facility;
    b) a quali tratte si riferisca la manutenzione straordinaria;
    c) se tali interventi programmati siano stati segnalati per tempo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   se il Governo stia valutando l'inclusione delle opere di cui sopra nel prossimo piano di ammodernamento dell'infrastruttura ferroviaria. (5-04011)


   MANNINO, GRANDE, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, SEGONI, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, vengono introdotte ulteriori modifiche al Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (di seguito al decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001) che prevedono, tra le altre cose, l'estensione della gamma degli interventi riconducibili alla definizione di «manutenzione straordinaria» e una correlata modifica a quella relativa agli interventi di ristrutturazione edilizia;
   con il citato decreto-legge n. 133 del 2014, viene modificato, altresì, l'articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 per ribadire che sono realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività anche le varianti ai permessi di costruire nel caso in cui — ove riguardino immobili sottoposti a tutela in base al codice dei beni culturali e del paesaggio – non prevedono modifiche alla sagoma degli stessi immobili;
   all'articolo 17 comma 1, lettera m), punto 2, è stato inserito all'interno dello stesso articolo 22, il comma 2-bis, in base al quale sono realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività e comunicate a fine lavori con attestazione del professionista, le varianti a permessi di costruire che con configurano una variazione essenziale, a condizione che siano conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie, e siano attuate dopo l'acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di settore;
   in base a quanto stabilito dall'articolo 32 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 rubricato «Determinazione delle variazioni essenziali» – fermo restando il rinvio alla legislazione regionale in materia – l'essenzialità ricorre esclusivamente quando si verifica un aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato, e dunque può non essere considerata essenziale una variazione della sagoma dell'immobile, che non determina un aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio;
   con un precedente decreto-legge – il n. 69 del 2013 convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 – e stato stabilito non solo che sono realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività le varianti ai permessi di costruire relativi ad interventi su immobili vincolati in base al codice dei beni culturali e del paesaggio, se non comportino modifica della sagoma, ma anche che i comuni avevano il compito di individuare con una propria deliberazione — entro il 30 giugno 2014 le aree comprese all'interno delle zone territoriali omogenee «A» rispetto alle quali escludere la possibilità di presentare varianti ai permessi di costruire mediante la presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività;
   con riferimento a quest'ultima disposizione l'articolo 23-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 — inserito con il citato decreto-legge n. 69 del 2013 — ha stabilito altresì che, decorso il termine del 30 giugno 2014 e in mancanza di intervento sostitutivo della regione ai sensi della normativa vigente, la deliberazione richiamata nel punto precedente avrebbe dovuto essere adottata da un commissario nominato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
   per effetto delle modifiche all'articolo 22 commi 1 e 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 introdotte successivamente dai decreti-legge n. 69 del 2013 e il n. 133 del 2014, sono realizzabili mediante SCIA le varianti ai permessi di costruire relativi a immobili vincolati in base al codice dei beni culturali, a condizione che non modifichino la sagoma dell'immobile;
   in base al nuovo comma 2-bis dello stesso articolo 22 contenuto nel decreto-legge n. 133 del 2014, invece, sono realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività – per giunta comunicata a fine lavori – le varianti ai permessi di costruire, purché non configurino una variazione essenziale e siano attuate dopo l'acquisizione delle autorizzazioni paesaggistiche e di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico, e dunque senza escludere espressamente né gli immobili sottoposti a tutela in base al codice dei beni culturali e del paesaggio né quelli ubicati all'interno delle aree comprese nelle zone territoriali omogenee «A», delimitate dai comuni in base al citato articolo 23-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001;
   con l'intenzione di introdurre semplificazioni normative finalizzate a favorire il rilancio del comparto dell'edilizia, il Governo in carica, sulla scia di quelli che lo hanno preceduto, intende apportare le ennesime modifiche al corpo normativo vigente, senza verificare gli esiti e gli effetti delle modifiche approvate in precedenza, e senza prevedere gli adeguati raccordi con le norme vigenti come dimostrato dal contenuto dell'articolo 17 comma 1, lettera m) del decreto-legge n. 133 del 2014 richiamato sopra — con il solo risultato di rendere ancor più confuso, incerto e di difficile applicazione il sistema normativo vigente;
   in sede di conversione in legge del decreto 12 settembre 2014, n. 133, il Governo ha accolto l'ordine del giorno n. 153 della deputata Marta Grande, con il quale la Camera ha impegnato lo stesso Governo a valutare l'opportunità di armonizzare il contenuto dell'articolo 22 comma 2-bis con le richiamate disposizioni contenute nell'articolo 22 comma 2 e nell'articolo 23-bis comma 4 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 –:
   se abbia completate le verifiche idonee a individuare la modalità più opportune per procedere alla necessaria revisione degli articoli novellati con il decreto-legge n. 133 del 2014 e in particolare del nuovo comma 2-bis dell'articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 che non tiene conto delle specifiche disposizioni, contenute rispettivamente nell'articolo 22 comma 2 e nell'articolo 23-bis comma 4, relative all'utilizzabilità della segnalazione certificata attività per le varianti ai permessi di costruire che interessano immobili vincolati in base al codice dei beni culturali e del paesaggio e quelli che si trovano all'interno delle zone territoriali omogenee «A»;
   se e in quali casi i comuni abbiano provveduto, entro il termine previsto dall'articolo 23-bis comma 4, a delimitare le aree comprese all'interno delle zone territoriali omogenee «A» rispetto alle quali non è possibile realizzare interventi di demolizione e ricostruzione comportanti la ricostruzione di un edificio che conserva la volumetria — e non necessariamente la sagoma — dell'edificio preesistente ovvero presentare varianti ai permessi di costruire, mediante la presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività;
   se e in quali casi e con quale modalità le regioni abbiano adottato gli interventi sostitutivi previsti dall'articolo 23-bis comma 34 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, ovvero il Governo abbia provveduto, come disposto dallo stesso articolo, a nominare i commissari ad acta per procedere all'adozione, in caso di inerzia dei comuni, della deliberazione con la quale delimitare le aree rispetto alle quali non è possibile applicare la disciplina normativa introdotta con il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69.
(5-04014)


   DE LORENZIS, PETRAROLI, LIUZZI e CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) n. 121 del 2001, il comune di Roma ha – con deliberazione di giunta n. 113 del 2003 – disposto la realizzazione della Metro C, individuando nella Servizi operativi per la mobilità srl (SOM) il soggetto idoneo a gestire la procedura per l'affidamento dei lavori, acquisendola interamente con deliberazione n. 94 del 2004 e denominandola «Roma metropolitane srl»;
   «Roma Metropolitane Srl» ha quindi indetto la gara per i lavori. La gara è stata vinta in data 28 febbraio 2006 dal gruppo Astaldi, che costituitosi nella società Metro C scpa è infine subentrato come contraente generale. Da subito il contraente ha posto riserve, fino a giungere allo schema di accordo transattivo del 2011, poi ratificato dal CIPE con delibera n. 127 del 2012;
   Roma metropolitane e Metro C hanno stilato e firmato in data 9 settembre 2013, senza il consenso degli enti co-finanziatori, un «atto attuativo» con numerose varianti, inoltre l'atto attuativo ha riconosciuto al contraente generale, per ogni mese o frazione di mese, maggiori oneri per il differimento dei termini di ultimazione di ciascuna fase funzionale a causa di varianti, prescrizioni in corso d'opera, modifiche normative e/o di metodologia costruttiva o ritardo nel rilascio delle prescritte autorizzazioni, nonché il riconoscimento a Metro C della percentuale del 3,75 per cento quale compensazione degli oneri diretti ed indiretti inerenti la funzione di contraente generale;
   con nota protocollo n. 30504 del 24 settembre 2013 il Ministero dell'infrastrutture e dei trasporti ha dichiarato che la richiesta di Roma Metropolitane. Srl circa l'utilizzo delle somme a disposizione per il pagamento del lodo parziale e per le incombenze aggiuntive, formulata attraverso la predisposizione di apposito quadro economico, costituirebbe domanda di ulteriore transazione tra le parti e che pertanto, nelle more di una valutazione in merito, qualsiasi iniziativa assunta da Roma Metropolitane srl impegna esclusivamente la sua responsabilità;
   in data 13 novembre 2013, con deliberazione n. 396, la giunta capitolina ha provveduto a tracciare il primo modello di governance dei rapporti tra Roma Capitale e Roma Metropolitane srl effettuando una nuova ripartizione delle competenze e, in particolare, attribuendo al dipartimento mobilità e trasporti, la competenza a procedere alla liquidazione degli importi contrattuali, precedentemente attribuita alla ragioneria generale;
   nella Det. Dir. n. 1132 del 2013 il dipartimento mobilità e trasporti di Roma Capitale ha osservato che l'atto attuativo della delibera CIPE n. 127 del 2012 ha ridefinito le obbligazioni del contraente generale Metro C, limitando le stesse alla sola esecuzione dei lavori senza alcun riferimento all'apertura all'esercizio delle tratte, così come invece previsto nell'atto transitivo del 2011, diversamente da quanto previsto dalla stessa delibera CIPE n. 127 del 2012 e ad avviso degli interroganti in contrasto con quanto evidenziato dal ragioniere generale con nota n. 74624 del 12 luglio 2013, l'atto attuativo ha previsto il pagamento per i lavori già eseguiti in ciascuna fase funzionale per un totale di euro 65.370.495,23 IVA esclusa;
   in ogni caso, l'atto attuativo in questione costituirebbe il terzo accordo e, per ciò stesso, inammissibile ai sensi dell'articolo 240 codice appalti, ovvero se riconducibile all'articolo 239, quale transazione, deve ritenersi privo del prescritto parere dell'avvocatura, capitolina, non essendosi questa di fatto compiutamente espressa, come sopra dimostrato e comunque, almeno apparentemente, non appare in linea con le prescrizioni di cui all'articolo 240 codice appalti;
   tutte le modifiche apportate dalle perizie di variante quadro economico dell'opera, sono state recepite direttamente dalla ragioneria generale che, in deroga a quanto prevista nella convenzione stipulata tra Roma Capitale e Roma Metropolitane Srl, approvata con atto del consiglio comunale n. 1 del 2005, ha ritenuto di procedere ugualmente alle relative liquidazioni approvando di fatto le suddette varianti, in nome e per conto dell'amministrazione capitolina;
   secondo l'interrogante visto il protrarsi, dal 2006, di lavori di interesse pubblico, la continua modifica dei tracciati delle tratte, con i relativi costi annessi e la pendenza di un contenzioso (arbitrato) che ha portato ulteriori costi ed incertezze in merito all'appalto in questione, possono aver prodotto un danno alle risorse pubbliche, in contrasto sia con le leggi che regolano la contabilità dello Stato, sia il comportamento «del buon padre di famiglia» che si richiede a chi determina e gestisce ingenti e rilevanti opere e progetti finanziati con risorse dei contribuenti –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali eventuali iniziative intenda adottare soprattutto in merito a quello che agli interroganti appare un probabile danno per le finanze pubbliche tenuto conto che l'opera in oggetto viene finanziata, costantemente, ancora oggi tramite decreti-legge;
   se sia stato rispettato in merito all'atto attuativo del 9 settembre 2013, il dettato del codice degli appalti in riferimento all'articolo 240 del suddetto codice, ovvero se riconducibile all'articolo 239 quale transazione tra le parti in caso di contenzioso. (5-04024)

Interrogazione a risposta scritta:


   CAPEZZONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto Internazionale di Rimini-San Marino, «Federico Fellini», sta attraversando da anni un periodo di grave crisi dovuta al fallimento, nel 2013, della società Aeradria gestrice dello scalo;
   l'aeroporto serve anche la vicina Repubblica di San Marino, essendo situato a pochi chilometri dal confine sammarinese;
   si tratta del secondo aeroporto della regione, per numero annuo di passeggeri, dopo quello di Bologna e si colloca tra i primi in Italia grazie, in particolare, al traffico proveniente dalla Russia;
   la società pubblica Aeradria, (inizialmente s.r.l, successivamente società per azioni) ha gestito lo scalo fino al 26 novembre 2013, data in cui il tribunale di Rimini ne ha dichiarato il fallimento. Dal 27 novembre 2013 al 31 ottobre 2014 la gestione è stata affidata ad un curatore fallimentare, termine poi prorogato al 31 ottobre 2014;
   comune e provincia di Rimini e regione Emilia Romagna detenevano la maggioranza assoluta del capitale sociale di Aeradria così suddivisa: 33,92 per cento provincia di Rimini, 16,65 per cento comune di Rimini e 7,02 per cento regione Emilia Romagna;
   dal 1962 al 1997 la società Aeradria ha accumulato un avanzo d'esercizio di circa 10 milioni di euro, per poi, nei successivi 15 anni, accumulare un debito di circa 58 milioni di euro nel 2013, che ha costretto alla consegna dei libri in tribunale;
   il 7 maggio 2014 ENAC pubblica il «Bando di gara-Settori speciali» per l'affidamento della concessione di gestione totale dell'aeroporto di Rimini. Il termine per la consegna delle offerte veniva fissato per il 14 luglio 2014;
   il successivo 19 maggio veniva pubblicato il «disciplinare di gara», che definiva la durata trentennale della concessione di gestione totale dello scalo aeroportuale di Rimini, a decorrere dalla data di efficacia del decreto di affidamento della concessione adottato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Il termine previsto per la presentazione delle offerte, inizialmente fissato per 14 giugno 2014, veniva in data 2 luglio riportato al 14 luglio, come da bando di gara;
   stranamente nel bando di gara, fra i requisiti richiesti ai fini del punteggio non è stata inserita l’«esperienza aeroportuale»;
   il 18 luglio, la commissione di gara, nominata con provvedimento del direttore generale dell'ENAC, ha indetto una seduta pubblica per l'apertura delle buste, alla quale hanno partecipato i rappresentanti dei quattro raggruppamenti/imprese che avevano presentato un'offerta. I lavori della commissione si sono svolti in seduta riservata il 24 luglio e in seduta pubblica il 30 luglio;
   al termine della procedura concorsuale, la società AiRiminum, una cordata di imprenditori locali guidati da un commercialista, è risultata vincitrice della gara con il massimo punteggio previsto;
   il 13 ottobre in una riunione presso ENAC alla presenza del prefetto di Rimini, del curatore fallimentare e dei rappresentanti di AiRiminum, l'ente dell'aviazione civile ha inizialmente proposto la nomina di un suo commissario per la gestione della fase transitoria (due/tre mesi) e ha chiesto alla società vincitrice di accollarsi le spese di gestione fino all'assegnazione definitiva, prevista per il 6 novembre. Dieci giorni dopo ENAC ritirava la proposta fatta, in quanto il tribunale non ha concesso un'ulteriore proroga del curatore fallimentare;
   Enac e il prefetto di Rimini hanno quindi comunicato la chiusura ai voli commerciali dello scalo romagnolo a partire dal 1o novembre 2014, per permettere alla cordata AiRiminum di subentrare ad Aeradria. Da novembre, i voli sono stati spostati all'aeroporto Raffaello Sanzio di Ancona;
   il 31 ottobre ENAC ha declassato l'aeroporto «Fellini» a scalo minore e nominato un suo commissario, consentendo così la ripresa del traffico aereo ai soli voli dell'aviazione generale (aerei con peso massimo inferiore alle 6 tonnellate; non più di 10 persone trasportate) e aerotaxi che, tuttavia, risultano essere insignificanti per l'aeroporto di Rimini (il traffico nel 2013 per queste tipologie ha registrato 570 passeggeri in arrivo);
   sull'esito del bando di gara si apre ora anche la probabile fase dei ricorsi al giudice amministrativo da parte delle società sconfitte (Novaport Italia, Sovereign Group e Consorzio sviluppo aeroporto). Il 3 novembre, infatti, Enac ha loro inviato una parte degli atti del concorso, che sono ora al vaglio dei legali per verificare se vi siano i presupposti giuridici per eventuali contenziosi. Secondo due gruppi sarebbero, infatti, numerose le irregolarità, a partire dal deposito della cauzione al momento della presentazione delle offerte (non firmato da AiRiminum), per arrivare alle modalità del sopralluogo, obbligo di legge per evitare contestazioni sul bene oggetto del bando di gara;
   ulteriori chiarimenti si stanno attendendo anche in merito all'aumento di capitale da parte di AiRiminum, che doveva essere completato entro il 30 ottobre 2014. La cordata sostiene di aver versato per intero la quota di 3 milioni e 98 mila euro e che un disguido burocratico avrebbe bloccato la comunicazione ad ENAC;
   l'apertura di contenziosi dinnanzi al TAR causerebbe un inevitabile prolungamento del blocco della normale attività aeroportuale ben oltre i due/tre mesi preventivati, con il rischio di compromettere, in un periodo di crisi, l'economia di un'area come quella riminese, per il cui comparto turistico l'aeroporto rimane un'infrastruttura strategica –:
   se sia a conoscenza delle motivazioni che hanno portato ENAC a non applicare prima della definitiva cessazione della gestione commissariale, quanto previsto dall'articolo 13 (revoca e decadenza) del decreto 12 novembre 1997, n. 521, e/o dall'articolo 15 dello schema di convenzione (già operante in altri scali) «Revoca per sopraggiunte ragioni d'interesse pubblico» per proporre la nomina di un suo commissario per la gestione operativa dell'aeroporto, fino all'affidamento della gestione totale;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda mettere in campo, nel dovuto rispetto per le prerogative di autonomia di Enac e delle disposizioni vigenti, al fine di riaprire con urgenza l'aeroporto di Rimini anche all'aviazione commerciale.
(4-06836)

INTERNO

Interrogazione a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la provincia di Como ed il territorio comunale di Cantù in particolare sono da mesi oggetto di un'offensiva della criminalità senza precedenti;
   in questo contesto, si segnala il tentativo di rapina compiuto il 6 novembre 2014 ai danni di un fruttivendolo nella piazza centrale della frazione di Vighizzolo in Cantù, antistante la chiesa locale, conclusosi con il ferimento dell'esercente, colpito a sprangate dagli aggressori ai quali aveva legittimamente tentato di resistere;
   è in intensificazione costante lo spaccio di stupefacenti, così come risultano in aumento anche gli episodi criminosi nei quali si registra l'uso di armi da fuoco, come quello avvenuto nella piazza principale canturina tra il Teatro San Teodoro e piazza Garibaldi nei pressi di Via Corbetta, con alcuni spari che hanno mandato in frantumi una finestra;
   sono numerosi altresì gli episodi di violenza e risse causate da immigrati, spesso e volentieri ubriachi e molesti nei confronti della popolazione locale, che hanno subìto negli ultimi mesi una accelerazione preoccupante culminata nell'aggressione patita da un parroco canturino ad opera di un immigrato;
   aumentano inoltre gli efferati omicidi attribuibili alle infiltrazioni della criminalità organizzata, che hanno visto il territorio del canturino, del marianese e dell'olgiatese come epicentri, circostanza che ha dettato la segnalazione alla Commissione nazionale antimafia della necessità di un suo tempestivo e urgente intervento, alla luce dei sanguinosi fatti di cronaca avvenuti nell'ultimo periodo nel territorio comasco;
   a rendere ancor più problematico il mantenimento dell'ordine pubblico e della sicurezza nel territorio comasco e canturino contribuisce anche il moltiplicarsi dei luoghi di culto islamici – come la moschea in via di realizzazione a Cantù – che accresce significativamente i fattori di rischio nella gestione della sicurezza pubblica;
   occorre inoltre tener conto delle tensioni derivanti dall'afflusso sul territorio comasco di centinaia di profughi/clandestini conseguente alla disastrosa operazione nazionale MARE NOSTRUM, di fatto un incentivo all’«invasione» del nostro Paese, che prosegue, seppure a ranghi ridotti, malgrado l'avvio della missione europea TRITON;
   al contenimento dell'emergenza in atto potrebbe risultare utile un significativo potenziamento della dotazione di organico delle forze dell'ordine nel territorio provinciale comasco;
   potrebbe esercitare altresì un'utile funzione deterrente anche la presenza di un quantificato numero di militari appartenenti alle Forze armate –:
   in che modo il Governo intenda far fronte all'emergenza sicurezza in atto nella provincia comasca e se, in particolare, non si ritenga indispensabile potenziare i locali dispositivi delle forze dell'ordine, accrescere la vigilanza sugli assi di comunicazione che collegano l'area comasca al milanese e disporre a scopo deterrente anche lo schieramento nella medesima zona di un contingente delle Forze armate. (4-06841)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 3 novembre 2014 si è costituito il Coordinamento nazionale conferenze AFAM, composto dai presidenti eletti delle conferenze ufficialmente costituite e riconosciute dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con decreti ministeriali n. 143 del 2012, n. 13 del 2013, n. 90 del 2013, n. 261 del 2013 e n. 570 del 2013;
   nel documento che formalizza tale costituzione sono indicati i nominativi di coloro che ne fanno parte e i rispettivi livelli di rappresentanza, dai quali sono esclusi totalmente i presidenti degli ex istituti musicali pareggiati, che non hanno mai avuto né formale né informale riconoscimento all'interno della Conferenza dei presidenti degli ex conservatori di musica, pur avendo la rappresentanza legale degli istituti che presiedono con notevoli responsabilità amministrative e finanziarie non previste negli ex conservatori;
   al tempo stesso il coordinamento nazionale conferenze AFAM dichiara nel documento che «ritiene urgente mettere in essere un progetto organico di sviluppo dell'intero sistema AFAM nazionale, coerente con le caratteristiche dei sistemi superiori europei della formazione» e promuove, meritoriamente e conseguentemente, l'organizzazione di gruppi di studio per sintetizzare proposte per l'intero sistema;
   poiché del sistema AFAM fanno parte, sulla base della legge n. 508 del 1999, anche gli ex istituti musicali pareggiati e considerato che la stessa legge trasforma questi Istituti, insieme agli ex conservatori, in Istituti superiori di studi musicali, il comitato eletto non parrebbe completamente idoneo a proporre soluzioni che richiedono conoscenza completa di tutte le istituzioni, della loro offerta formativa, della qualità delle risposte offerte in rapporto ai bisogni degli allievi e delle realtà e potenzialità territoriali -:
   se ritenga il nuovo Coordinamento nazionale conferenze AFAM rappresentativo dell'intero sistema;
   e altresì se intenda sanare con tempestività tale situazione ed evitare che all'interno del sistema si creino conflitti ed esasperazioni che finirebbero per non giovare allo stesso sistema della formazione superiore in campo musicale al fine di non marginalizzare gli ex istituti musicali pareggiati. (3-01160)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Progetto sperimentale di alfabetizzazione motoria avviato dal 2009, prevedeva l'educazione motoria nella scuola primaria per mezzo di esperti, ed era basato sulla collaborazione Coni – Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca al fine di valorizzare i processi educativi e formativi delle giovani generazioni;
   nel gennaio 2013 erano 2.600 gli esperti che hanno collaborato presso 3.000 plessi scolastici italiani, 26.000 le classi che hanno beneficiato di tale progetto per un totale di 520.000 alunni e 780.000 ore;
   l'erogazione dei compensi destinati agli esperti coinvolti nel progetto, venivano suddivisi quota parte tra Coni e Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ma gli accordi stipulati non sono stati rispettati, o quanto meno non lo sono stati da entrambe le parti –:
   quali siano gli ostacoli che ad oggi non consentono il pagamento da parte dell'ente erogatore, ossia il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, agli esperti di alfabetizzazione motoria coinvolti nel progetto, nell'anno scolastico 2013/2014 e quali siano in tempi previsti per l'erogazione di tali compensi.
(5-04013)

Interrogazione a risposta scritta:


   MARCOLIN e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   gli asili parrocchiali della provincia di Treviso, per la prima volta nella storia, sono pronti a scioperare, secondo quanto dichiarato dalla Fism (Federazione italiana scuole materne) che in provincia di Treviso riunisce ben 277 scuole dell'infanzia paritarie;
   questa forte reazione è la risposta all'ormai cronico ritardo nel versamento dei contributi dovuti dalla regione Veneto e dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca alle scuole d'infanzia paritarie, per gli anni 2013 e 2014, che ha lasciato letteralmente a secco le casse di queste ultime;
   nei giorni scorsi per decidere le iniziative da porre in essere e i tempi della protesta, i parroci presidenti delle scuole paritarie trevigiane, gli amministratori, i segretari, i componenti dei comitati di gestione, le insegnanti tra le quali anche alcune religiose, si sono riuniti nel corso di un'assemblea straordinaria nella Chiesa Votiva e al termine di questa alle 159 scuole presenti è stato chiesto di esprimere attraverso il voto la forma di protesta da mettere in atto, entro dicembre: un'occupazione simbolica della sala del consiglio regionale oppure una protesta nei consigli comunali; tra le opzioni previste c’è anche la «serrata» per un giorno degli asili da parte dei gestori, con il rischio di un'incriminazione per sospensione di pubblico servizio. In 155 hanno votato e in 135 hanno detto per la prima volta si allo sciopero del personale della scuola paritaria;
   oggi i rappresentanti della Fism incontrano l'assessore ai servizi sociali della regione Veneto, Davide Bendinelli, domani invece sarà la volta dei sindacati per tutelare i dipendenti. Poi seguiranno le comunicazioni alle autorità civili e religiose: il prefetto e il vescovo;
   la protesta sarà generalizzata e verrà attuata in ogni provincia del Veneto;
   la scuola dell'infanzia paritaria, equiparata alla pubblica visto che aiuta lo Stato a fornire un servizio scolastico in maniera più efficiente e capillare, lo è solo formalmente, perché, di fatto, reclama di esser riconosciuta come paritaria anche nei conti, visto che nei bilanci di ogni singola scuola mancano almeno 50 mila euro, il che significa che vengono a mancare almeno 50, 60 euro che dovrebbero esser invece garantiti per ogni alunno, cosa che si traduce in tre mesi di stipendio in meno per le maestre;
   per far quadrare i conti non resta che rivolgersi ai genitori, aumentando le rette di almeno 50 euro a famiglia; l'alternativa è chiudere i battenti;
   l'entità dei contributi che dovrebbero essere trasferiti dalla regione alle scuole dell'infanzia paritarie del Veneto ammonta a 21 milioni di euro all'anno, sbloccati dal patto di stabilità, ma fino ad ora sono stati erogati solo 17 milioni e mezzo per il 2013, più soltanto 4 milioni e mezzo come anticipo per il 2014; tale cifra non consente assolutamente di pagare il servizio offerto e gli stipendi alle maestre, che sono dovuti da alcuni mesi: questo è quanto denunciato da don Carlo Velludo, parroco di Santa Maria del Sile e presidente di 18 scuole materne paritarie di Treviso, città che rivendica il diritto di ricevere uguale finanziamento, visto che 17.719 piccoli alunni trevigiani, dai 3 ai 6 anni tutti i giorni entrano in classe in un asilo paritario e in media le famiglie, per la retta mensile, pagano 175 euro. Il parroco per effetto dei ritardi dei contributi dovuti è stato costretto ad attingere alle risorse finanziarie della sua parrocchia che ha anticipato 200 mila euro –:
   se il Ministro intenda procedere, con la massima sollecitudine, a trasferire alla regione Veneto i finanziamenti per le scuole paritarie, per l'anno in corso e anche quelli residuali per l'anno 2013, al fine di adempiere all'impegno preso con le scuole, dell'infanzia paritarie, le quali in assenza di detti trasferimenti non possono, in nessun modo, assicurare quel servizio scolastico necessario a tutti gli alunni della regione Veneto. (4-06831)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COPPOLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   al personale dipendente della società Poste italiane spetta, per il servizio prestato al momento dell'assunzione fino al 28 febbraio 1998 — data della trasformazione dell'ente Poste italiane in società per azioni — l'indennità di buonuscita di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 1973;
   l'indennità di buonuscita è calcolata, in base all'articolo 3 del citato decreto del Presidente della Repubblica, per tutti i dipendenti pubblici avendo a riferimento l'ultima retribuzione percepita dal lavoratore prima della sua collocazione in quiescenza;
   il calcolo dell'indennità di buonuscita, avendo a riferimento l'ultima retribuzione percepita, ne garantisce la sua costante rivalutazione per effetto degli aumenti contrattuali e degli avanzamenti di carriera dei lavoratori; per i lavoratori postelegrafonici, l'articolo 53, comma 6, della legge n. 449 del 1997 (legge finanziaria 1998) stabilisce che «a decorrere dalla data di trasformazione dell'Ente poste italiane in società per azioni al personale dipendente dalla società medesima spettano il trattamento di fine rapporto di cui all'articolo 2120 del codice civile e, per il periodo lavorativo antecedente, l'indennità di buonuscita maturata, calcolata secondo la normativa vigente prima della data di cui all'alinea del presente comma»;
   la cifra complessiva destinata alle predette liquidazioni è confluita in un fondo chiuso presso l'Ipost, affidato a una gestione commissariale denominata «Gestione commissariale fondo buonuscita per i lavoratori di Poste Italiane»;
   l'Ipost ha quindi provveduto alla liquidazione dell'indennità di buonuscita sino al 31 maggio 2010, data di soppressione di detto ente e di trasferimento delle sue funzioni all'INPS; detta liquidazione viene però effettuata in base all'interpretazione letterale del comma 6 di cui sopra, facendo riferimento alla retribuzione percepita al 28 febbraio 1998, data di trasformazione dell'ente in società per azioni; il sopra citato sistema di calcolo, che «congela» la buonuscita al valore maturato al 28 febbraio 1998 indipendentemente da quando il lavoratore andrà in pensione, determina quindi un evidente e grave danno economico ai lavoratori interessati, e cioè a tutti i dipendenti di Poste assunti prima di tale data, che sono la grande maggioranza degli attuali dipendenti, e, nel contempo, impedisce la conseguente rivalutazione della buonuscita stessa;
   in questi anni i lavoratori collocati in quiescenza hanno prodotto un notevole contenzioso giudiziario per la rivalutazione della buonuscita sulla base dell'ultima retribuzione percepita prima della quiescenza stessa; il contenzioso giudiziario ha avuto sino ad ora esito favorevole per i lavoratori, ma, nonostante le sentenze avverse, le dinamiche di liquidazione adottate continuano a fondarsi sull'interpretazione restrittiva dell'articolo 53 della suindicata legge;
   i lavoratori postelegrafonici possono ottenere la concessione di un mutuo da parte dell'Ipost, che lo eroga attingendo al fondo costituito dalla buonuscita del dipendente e rimasto nella disponibilità dell'istituto previdenziale per effetto dell'articolo 53 della legge n. 449 citata e sul quale l'istituto chiede al dipendente la corresponsione di interessi. Si realizza pertanto una situazione paradossale, che vede il dipendente prestare il proprio denaro a sé stesso e corrispondere gli interessi legali sul prestito all'Ipost;
   con risoluzione approvata il 6 novembre 2012 la XI Commissione impegnava il Governo ad assumere, entro il 31 gennaio 2013, ogni utile iniziativa che consenta di conoscere la consistenza del patrimonio immobiliare di cui il fondo presso l'Ipost è dotato e la relativa destinazione d'uso, nonché a valutare la possibilità, entro il medesimo termine, compatibilmente con gli effetti finanziari, di adottare eventuali iniziative, anche di natura normativa, che consentano ai lavoratori di Poste Italiane spa di usufruire di un costante aggiornamento del valore dell'indennità di buonuscita, nonché per consentire il diritto alla corresponsione della buonuscita di detti lavoratori, pur in costanza di rapporto di lavoro –:
   quale seguito sia stato dato alla risoluzione approvata dalla XI Commissione il 6 novembre 2012 e, in particolare, quale sia la consistenza patrimoniale individuata del fondo chiuso «gestione commissariale fondo buonuscita per lavoratori di Poste Italiane». (5-04006)


   TINO IANNUZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 20, comma 4, della legge 102 del 2009 la giunta regionale della Campania, con delibera n. 337 del 2010, ha affidato all'Inps le attività relative all'esercizio delle funzioni concessorie nei procedimenti di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, disabilità, approvando contestualmente lo schema di convenzione per condividere compiti e funzioni con l'Inps, al fine della gestione dei procedimenti per l'erogazione dei trattamenti in argomento;
   in data 26 marzo 2010 è stata sottoscritta la relativa convenzione tra regione e Inps;
   con successiva legge n. 211 del 2011 (articolo 18, comma 22), è stato disposto che le regioni possono affidare all'Inps, con la stipula di specifiche convenzioni, non solo le funzioni concessorie, ma anche quelle relative all'accertamento dei requisiti sanitari per il riconoscimento delle invalidità;
   l'Inps ha approvato una convenzione quadro per l'affidamento delle suddette funzioni accertative, proponendone la sottoscrizione alle regioni interessate;
   la regione Campania, con delibera di giunta n. 390 del 31 luglio 2012, al fine di razionalizzare la spesa e le funzioni connesse con i procedimenti attribuiti alle commissioni mediche di invalidità, ha deliberato di affidare all'Inps anche questi compiti ai fini dell'accertamento dei requisiti sanitari, ai sensi dell'articolo 18, comma 22, della citata legge 211 del 2011;
   a seguito dell'affidamento delle funzioni accertative, l'Inps ha riorganizzato il sistema di controllo e verifica dei requisiti sanitari, riducendo drasticamente il numero delle commissioni mediche operanti in Campania;
   in particolare, nella provincia di Salerno, la direzione regionale Inps ha limitato la presenza delle strutture di accertamento sanitario soltanto a due sedi operanti, tra l'altro, unicamente nella parte nord del territorio provinciale (Salerno e Nocera Inferiore), lasciando così del tutto scoperta un'area vasta come il Cilento, il Vallo di Diano e la Valle del Calore, la zona degli Alburni e del Tanagro;
   la scelta dell'Inps appare molto penalizzante tanto per i cittadini interessati agli accertamenti medici e colpiti da disagi consistenti, quanto per la regione perché viene vanificato l'intento originario di migliorare il servizio razionalizzando la spesa;
   per effetto di tali scelte tanti cittadini sono costretti ad impiegare diverse ore per raggiungere Salerno con i mezzi di trasporto pubblico e per poter rientrare nel proprio comune;
   ne conseguono pesanti ed ingiustificati disagi per tante persone;
   la rete stradale, che collega le aree a sud della provincia di Salerno con la città capoluogo, è obsoleta e danneggiata, con interruzioni di strade che producono rallentamenti notevoli nei tempi di copertura delle distanze;
   i collegamenti con i mezzi pubblici sono limitati a poche tratte, lasciando quasi isolati i comuni più periferici e dell'entroterra, dai quali occorrono tre o quattro ore di percorrenza solo per raggiungere Salerno;

l'utenza a cui è rivolto il servizio di accertamento medico–sanitario è costituita da cittadini in difficili e precarie condizioni di salute, ovvero colpiti da gravi situazioni di disabilità;
   occorre, alla luce di queste considerazioni, rivisitare ed incrementare le sedi Inps nei territori provinciali per provvedere agli accertamenti sanitari, come hanno giustamente e motivatamente richiesto numerosi sindaci –:
   quali iniziative il Ministero, nell'esercizio delle sue competenze istituzionali nei confronti dell'Inps, intenda assumere per porre rimedio alla descritta situazione, fonte di tanti disagi e tanti disservizi per le popolazioni salernitane residenti nel Cilento, nel Vallo di Diano, nella Valle del Calore, negli Alburni, nella zona del Tanagro, fortemente e gravemente penalizzate dalla decisione della direzione regionale dell'Inps per la Campania di accentrare e concentrare solamente in due sedi (Salerno e Nocera Inferiore) tutte le molteplici e complesse funzioni relative all'accertamento dei requisiti sanitari per il riconoscimento delle diverse situazioni di invalidità. (5-04025)

Interrogazione a risposta scritta:


   QUARANTA, GIACOBBE e AIRAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Servizi e Sistemi srl ha sede in Genova e nasce nel 1990 e dal 1996 si è specializzata in servizi di pulizia civile ed industriale;
   l'azienda ha in appalto la pulizia dei mezzi AMT (l'azienda del trasporto pubblico genovese), il rimessaggio e movimentazione dei mezzi all'interno dell'azienda;
   l'azienda aveva già attraversato un periodo di crisi con la cassa integrazione per 150 dipendenti;
   a giugno 2013 si è arrivati a un accordo tra istituzioni, azienda e parti sociali per i contratti di solidarietà, una misura che riguarda 135 lavoratori e che supera la procedura di mobilità che era stata avviata dall'azienda;
   da 15 mesi però azienda e lavoratori attendono i finanziamenti promessi per sostenere l'accordo, circa 133 mila euro lordi;
   il contratto è stato firmato a fronte della copertura finanziaria, quindi i fondi di cui si parla dovevano essere disponibili al momento della stipula, altrimenti la pratica non sarebbe neanche partita;
   non risulta l'erogazione della quota INPS e in ogni caso a tutt'oggi i lavoratori non hanno percepito alcuna integrazione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per tutelare i lavoratori dell'azienda e quindi la qualità del servizio pubblico garantito da Amt. (4-06837)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i comitati etici hanno come compito principale quello di proteggere i pazienti da profitti e conflitti nel corso delle sperimentazioni cliniche, ma nello stesso tempo hanno anche il compito di facilitare lo svolgimento della stessa ricerca clinica;
   il processo di regolamentazione della ricerca appare oggi sproporzionato rispetto ai rischi reali, con la evidente conseguenza di compromettere gli stessi interessi dei pazienti sia con l'approvazione di protocolli senza alcuna rilevanza clinica o dal disegno inadeguato, sia per l'incapacità di mettere in atto azioni concrete per garantire la pubblicazione di tutti gli studi;
   l'evoluzione delle conoscenze sull'efficacia delle terapie appare troppo spesso condizionata negativamente da sprechi di risorse che affliggono i processi attraverso cui la ricerca viene commissionata, pianificata, condotta, analizzata, normata, gestita, disseminata e pubblicata;
   manca spesso nei diversi protocolli di ricerca l'esplicito riferimento a revisioni sistematiche delle conoscenze disponibili per giustificare la necessità del nuovo studio ed è invece presente la valutazione di outcome surrogati di rilevanza clinica non provata;
   nella stragrande maggioranza dei casi lo sponsor mantiene la proprietà dei dati e/o non ne consente l'accesso, con la conseguenza che spesso non vengono adeguatamente comunicati i dati negativi e drop out dei pazienti;
   spesso i trial privilegiano l'uso del placebo anche in presenza di altri trattamenti efficaci, così come i trial con disegno di non inferiorità o i trial di disseminazione, determinando una dispercezione dei dati ottenuti, perché è evidente che confrontare gli effetti di un farmaco con un non-farmaco, non aiuta a comprendere il valore aggiunto del nuovo farmaco, che andrebbe valutato in rapporto al farmaco abitualmente utilizzato per quella stessa patologia;
   diventa quindi urgente utilizzare lo spirit statement per valutare la completezza delle informazioni contenute nei protocolli e approvare i trial dopo la registrazione in uno dei registri dell’International Clinical Trials Registry Platform, condizioni necessarie per identificare precocemente i protocolli di sperimentazioni potenzialmente irrilevanti; per questo urge fornire conoscenze e competenze ai comitati etici;
   in un clima di lotta agli sprechi e in considerazione della necessità di identificare investimenti efficaci nel campo della ricerca, è necessario identificare precocemente, e valutare con estrema cautela, i protocolli di sperimentazioni cliniche potenzialmente irrilevanti per il progresso delle conoscenze, che rischiano di non arrecare alcun vantaggio ai pazienti e alimentare gli sprechi della ricerca –:
   perché il Servizio sanitario nazionale preferisca introdurre sul mercato trattamenti di efficacia non provata piuttosto che investire in ricerca comparativa indipendente, generando conoscenze utili a ridurre gli sprechi, e non identifichi una competenza specifica per offrire consulenza ai comitati etici, a cui compete l'approvazione finale dei protocolli di ricerca. (5-04005)


   BENI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 30 settembre 2014 è stata trasmessa al Parlamento la relazione sullo stato di attuazione delle iniziative per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG), ai sensi del decreto-legge 31 marzo 2014, n. 52, convertito dalla legge 30 maggio 2014, n. 81;
   dal documento si evince che, nei mesi successivi all'entrata in vigore della legge, il numero degli internati ha registrato una leggera e costante, diminuzione, passando dagli 880 relativi a gennaio 2014, a 793 relativi a settembre 2014;
   stando ai dati pervenuti dalle regioni, sono 476 le persone dichiarate dimissibili alla data del 1° giugno 2014, per la maggior parte delle quali il percorso terapeutico-riabilitativo previsto è di tipo residenziale, mentre per i soggetti dichiarati non dimissibili le motivazioni sono legate principalmente a necessità cliniche e, solo per una piccola percentuale, alla pericolosità sociale;
   nonostante le disposizioni contenute nella legge, relativamente all'applicazione di misure alternative all'internamento, nel periodo che va da giugno a settembre 2014 sono stati 84 i nuovi ingressi, evidenziando il persistente problema della carente presa in carico e cura di persone affette da malattie mentali nel territorio, attribuibile a piani individualizzati troppo orientati alla residenzialità a scapito di una più efficace presa in carico;
   nella parte conclusiva della relazione, vi è un esplicito riferimento — ripreso anche dagli organi di stampa — ad una possibile ulteriore proroga del termine per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (attualmente prevista per il 31 marzo 2015), imputabile al ritardo delle, regioni nell’iter procedurale relativo alla costruzione e riconversione delle strutture –:
   quali urgenti iniziative intenda attivare al fine di scongiurare ulteriori proroghe alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari — così come paventato nella relazione — adoperandosi, per quanto di competenza, per attivazione di programmi terapeutico-riabilitativi e il potenziamento dei servizi socio-sanitari territoriali in tempi certi, per orientare i piani individualizzati più all'effettiva presa in carico dei pazienti che alla residenzialità. (5-04009)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO, CECCONI, LOREFICE, DI VITA, BARONI, DALL'OSSO, MASSIMILIANO BERNINI e GALLINELLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la contaminazione del latte materno (LM) da parte di sostanze inquinanti, tossiche e pericolose è un argomento fino ad ora rimasto confinato nell'interesse di pochi specialisti del settore e mai emerso con l'attenzione che merita, almeno nel nostro Paese, alla più larga comunità dei medici italiani e al grande pubblico;
   la presenza di contaminanti nel latte materno e la loro trasmissione al lattante rappresenta, tuttavia, solo la punta dell’iceberg di una situazione ben più grave: quella dell'esposizione che avviene prima ancora del concepimento sulle cellule germinali (spermatozoi ed ovociti) e durante la vita intrauterina, quando gli inquinanti, tramite il sangue placentare ed il cordone ombelicale, arrivano all'embrione ed al feto. È noto che proprio questa è la fase più cruciale in cui gli inquinanti possono interferire con le fasi più critiche e delicate dello sviluppo, quelle in cui si pongono le basi per il nostro futuro destino di salute/malattia non solo nell'infanzia ma anche nell'età adulta. (Patrizia Gentilini: Contaminanti ambientali e latte materno – 23 maggio 2014);
   le sostanze di cui si parla sono le diossine, i policlorobifenili (PCB), i metalli pesanti, i pesticidi ed altri composti chimici che provengono da insediamenti industriali, inceneritori, cementifici, oltre che da prodotti di uso quotidiano, spesso insospettabili;
   in Italia il 19 marzo 2012 è stata lanciata la «Campagna nazionale per la difesa del latte materno dai contaminanti ambientali». I promotori della campagna ricordano che il latte materno è un bene di valore inestimabile e rappresenta ben più di un mero alimento; infatti, i bambini allattati al seno, oltre a essere meno soggetti a malattie, reagiscono meglio anche in caso di ambiente inquinato. Il latte materno è quindi una sorta di «antidoto» all'esposizione agli agenti tossici, ma è altresì un indicatore attendibile dello stato dell'ambiente in cui vive la madre. Esso rappresenta un mezzo «ideale» per valutare l'esposizione delle popolazioni a inquinanti ambientali, come le diossine e i PCB che, essendo lipofili e bioaccumulabili, si concentrano nella sua componente grassa, tant’è che i casi di maggiore contaminazione sono stati riscontrati proprio in prossimità di impianti inquinanti;
   l'Organizzazione mondiale della sanità raccomanda il biomonitoraggio del latte materno, che è eseguito in numerosi Paesi dell'Unione europea (fra cui Belgio, Finlandia, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, ed altri) ma non in Italia, dove manca quindi un'adeguata conoscenza dei livelli di diossine e PCB e del loro andamento nel tempo. L'Italia è anche l'unico paese europeo a non avere mai ratificato – pur avendola sottoscritta – la Convenzione di Stoccolma, che mira a limitare l'inquinamento causato da inquinanti organici persistenti (POP);
   la situazione italiana potrebbe peggiorare, vista l'approvazione del decreto-legge 133 del 2014 (decreto «sblocca Italia») e visto il proliferare di inceneritori di rifiuti e soprattutto di impianti a biomasse, per i quali la legislazione nazionale prevede una semplificazione degli iter autorizzativi, senza l'adozione di adeguati impianti di abbattimento e monitoraggio per questi inquinanti –:
   se, alla luce di quanto riportato in premessa, il Ministro interrogato non intenda promuovere il biomonitoraggio del latte materno e approfondire la questione dell'allarmante contaminazione dello stesso;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno, anche nell'ambito del semestre europeo a guida italiana, proporre una rivisitazione della normativa, che contempli i rischi dell'effetto cocktail, valutando globalmente l'impatto delle varie sostanze nocive e prevedendo dei limiti a tutela della nostra salute;
   se, alla luce di quanto riportato in premessa, non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza per la ratifica della convenzione di Stoccolma che mira a limitare l'inquinamento causato da inquinanti organici persistenti (POP) e che l'Italia, unico Paese europeo, non ha mai ratificato, pur avendola sottoscritta. (4-06828)


   DE LORENZIS, PETRAROLI, SCAGLIUSI, BRESCIA, CECCONI e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la SLA (sclerosi laterale amiotrofica) è una malattia degenerativa e progressiva del sistema nervoso, che colpisce selettivamente i cosiddetti neuroni di moto sia centrali, sia periferici. La SLA è una patologia rara, con un'incidenza di 2-3 casi ogni 100.000 individui all'anno. Si presenta più frequentemente negli uomini che nelle donne;
   da fonti stampa si apprende che vi sia un'incidenza molto alta nell'area di Manduria, sei casi di SLA in una popolazione di circa 30.000 abitanti, contro una media nazionale di circa cinque casi ogni 100.000 abitanti: quasi il quadruplo rispetto alla media;
   dalle medesime fonti stampa si comprende che in pochi casi sono state riconosciute cause di origine genetica, anche se abbastanza eterogenee; recentemente è stato dimostrato un eccesso di casi tra i reduci della guerra del Golfo, sospettando l'esposizione a pesticidi, gas nervini ed altre sostanze chimiche tossiche;
   un altro eccesso è stato rilevato tra gli sportivi ponendo l'ipotesi della responsabilità dell'intensa attività fisica o del doping;
   come concausa dell'origine di questa malattia, è presente il dubbio che ci possa essere l'inquinamento di natura ambientale, caratterizzato dalla degenerazione dei motoneuroni, le cellule depurate al controllo del movimento, della deglutizione e della respirazione;
   per far fronte al problema dell'inquinamento causato da sversamenti illegali di rifiuti, nella zona di Manduria, sono state adottate moderne tecnologie, come la dissociazione molecolare che è un trattamento termico messo a punto circa trenta anni fa in Usa. Operativamente consiste in un processo di gassificazione e si applica principalmente nel trattamento di rifiuti urbani, per piccole comunità;
   altra tecnologia utilizzata è «all'arco plasma». Il plasma è il quarto stato della materia (solido, liquido, gassoso), ottenuto mediante una scarica, fornita attraverso un arco elettrico, che consente di ottenere la ionizzazione di una corrente gassosa, caratterizzata da temperature elevatissime, dell'ordine dei 5.000/10.000 gradi Celsius –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti e se, alla luce dell'atroce situazione delineata in premessa, non ritengano di dover intervenire per quanto di competenza al più presto e con la massima urgenza;
   se i Ministri interrogati non intendano porre in essere tutte le forme di controllo incisivo nel territorio pugliese, atte a far cessare il criminale e illecito sversamento di rifiuti tossici in qualunque area e in particolare con riferimento alle zone agricole e ad alta densità abitativa al fine di salvaguardare la salute dei cittadini, nonché tutelare la salubrità dell'acqua, del terreno e dell'aria;
   se non considerino urgente dover predisporre uno screening epidemiologico per il tramite dell'Istituto superiore di sanità sulla popolazione residente nell'area di Manduria e dei comuni circostanti nella provincia di Taranto. (4-06845)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   AIRAUDO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 6 ottobre 2014 la Azimut Benetti spa produttrice di Yacht, ha dichiarato alla rappresentanza sindacale unitaria e alle Organizzazioni sindacali, la volontà di procedere al licenziamento di 49 dipendenti (20 impiegati e 29 operai), aprendo la procedura di mobilità. L'azienda ha dichiarato un esubero strutturale di 150.000 ore e questo delinea, per il futuro, il rischio di altri licenziamenti. Le RSU richiedono l'assegnazione allo stabilimento di due produzioni: il 53 magellano e il 72 fly, modelli prototipati presso il sito di Avigliana e già prodotte in passato presso questo stesso stabilimento;
   appare conseguente all'interrogante che gli esuberi che oggi Azimut dichiara sono il frutto di scelte industriali e non relative a problemi di mercato;
   l'azienda da una parte vuole licenziare e flessibilizzare al massimo gli orari e dall'altra, assumere precari. Infatti Azimut pretende di imporre un orario multiperiodale a 48 ore settimanali per 6 mesi con media annuale a 40 ore settimanali, ma senza poter programmare anticipatamente gli schemi di orario a minor prestazione lavorativa come previsto dal vigente contratto nazionale di categoria; il blocco totale dei permessi individuali/ferie durante la prestazione a 48 ore e la necessità di assumere per 6 mesi 32 lavoratori nel reparto laminazione;
   i 29 operai che la Azimut ha espresso la volontà di licenziare, sono lavoratrici e lavoratori in gran parte con limitazioni su attività dirette produttive e fanno parte di alcune categorie protette, che chiaramente avranno più difficoltà di altri a ricollocarsi nel mondo del lavoro, peggiorando così la già grave situazione sociale;
   ci sono stati incontri presso l'assessorato al lavoro della regione Piemonte nei quali la RSU e le Organizzazioni sindacali hanno dato disponibilità ad una discussione di merito sull'orario multiperiodale. Precisando che si deve prescindere dall'effettuare un blocco totale dei permessi nei periodi di picco della produzione, poiché è impossibile programmare la vita privata di lavoratrici e lavoratori per 6 mesi, senza che essi possano usufruire, a fronte di necessità, di brevi permessi come da contratto collettivo vigente. Non possono di certo essere aziende o sindacati a determinare tali esigenze e diritti resi esigibili dal contratto; evitare in primo luogo i licenziamenti attraverso incentivi all'esodo, orari part time, trasferimenti presso altri siti del gruppo ed eventuali passaggi di mansione in laminazione vista la richiesta di assunzione in tali reparti e percorsi di riqualificazione;
   le RSU e le organizzazioni sindacali chiedono che, in cambio di un diverso sistema di orario di lavoro e cioè della flessibilità, si diano garanzie di nuovi volumi di lavoro. L'azienda non solo non si è impegnata a ritirare i licenziamenti ma su prodotti e volumi non ha preso alcun reale impegno e, anzi, abbia dichiarato la sua indisponibilità a partecipare ad incontri con regione Piemonte;
   Azimut chiede flessibilità e riduzione costi senza il ritiro dei licenziamenti, cercando, in realtà, di avere mano libera sulla riduzione dei diritti e delle retribuzioni;
   le lavoratrici e i lavoratori Azimut arrivano da lunghi anni di crisi e di sacrifici con anni di cassa integrazione e in questo quadro le proposte sindacali, possono evitare di lasciare 49 famiglie senza una fonte di reddito, in questa drammatica crisi che non dà possibilità di lavoro a chi lo perde; l'azienda e la proprietà, non spiegano perché rispetto al passato, di fronte alla disponibilità di concordare diversi orari di lavoro (esigibili immediatamente, in caso di accordo sindacale) non si renda disponibile a garantire nuovi modelli da produrre sul sito di Avigliana, assicurandone il futuro produttivo e l'occupazione; senza nuovi modelli lo stabilimento di Avigliana sarà destinato a un progressivo impoverimento produttivo e occupazionale finendo fatalmente su un binario morto, con la dismissione graduale dei vecchi modelli prodotti e non sostituiti;
   in una crisi in cui la politica parla di responsabilità sociale delle imprese, questa triste vicenda dimostra come le aziende italiane e i suoi capitani siano liberi già ad oggi, senza modifiche legislative allo statuto dei lavoratori, di poter licenziare e lasciare altre 49 famiglie in balia del dramma della crisi economica –:
   quali azioni concrete e urgenti il Governo intenda intraprendere per sollecitare uno sblocco positivo della situazione Azimut e se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non ritengano di convocare le parti sociali al fine di salvaguardare i livelli occupazionali. (5-04010)


   L'ABBATE, DE LORENZIS, D'AMBROSIO, SCAGLIUSI, CARIELLO e BRESCIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 novembre 2011, la regione Puglia ha concesso l'autorizzazione unica alla società «Enterra S.p.A» di Orio al Serio (BG) per la realizzazione di una centrale a biomasse a Rignano Garganico Scalo, nel comune di Foggia. Tale autorizzazione, pubblicata nel Bur Puglia numero 184 del 2011, è stata prorogata alla fine del 2013 relativamente al termine dell'inizio lavori e, successivamente, la società estera «Belenergia» ha acquistato il 70 per cento della società. Nei primi mesi del 2014, «Enterra» ha firmato con «Invitalia» un contratto di sviluppo, in base al quale il progetto sarà finanziato dalla società privata per un importo pari a 22,52 milioni di euro e da «Invitalia» per 26,34 milioni di euro da fondi pubblici;
   tale opera ha visto la forte opposizione dei cittadini del territorio foggiano a causa dell'immediata vicinanza, pari a poche di decine di metri, della futura centrale di «Borgo Eridania» (dal nome dello zuccherificio dismesso al posto del quale si insedierebbe) dal centro abitato stesso, nonché per l'insistenza nella stessa provincia di un eccessivo numero di richieste di centrali termoelettriche ed inceneritori in assenza di una valutazione ambientale strategica dell'insieme dei progetti e del loro effetto complessivo a livello locale o regionale (tra questi quello approvato a Sant'Agata di Puglia (Foggia) della «Agritre S.r.l. – Gruppo Tozzi», da 80 megawatt termici e che, per giunta, in parte utilizzerà a filiera corta alcuni materiali, come gli scarti di potatura da vite e ulivo, già previsti dal fabbisogno di Enterra). La centrale a biomassa Enterra, infine, non è stata sottoposta a valutazione di impatto ambientale perché di poco inferiore ai 50 megawatt termici;
   le riserve espresse su questo impianto riguardano, innanzitutto, la provenienza del materiale combustibile. Il regolamento regionale pugliese n. 12 del 2008 sulle centrali ai biomasse prescrive che il requisito della filiera corta, modalità in cui «Enterra» intende esercire l'impianto, sia dimostrato attraverso effettive intese o accordi di filiera con il mondo dell'agricoltura da stipularsi prima dell'autorizzazione e che in questo progetto non vengono evidenziati. Anzi, per ammissione della stessa società in un articolo pubblicato online da IlSole24Ore in data 11 dicembre 2013, si afferma che sono ancora in fieri i contatti con i «potenziali fornitori». Si tratta di un combustibile (la sansa vergine) il cui utilizzo in impianti di così grossa taglia non ha alcun precedente adducibile a conforto della comprovata qualità del progetto e della sua sicurezza. Inoltre, la potenziale scarsità del combustibile potrebbe rappresentare un fattore di mancanza di solidità economica-finanziaria del progetto della «Enterra». Dallo studio già menzionato, adottato ufficialmente nel 2012 dalla regione e intitolato «Probio Puglia – Azioni per la valorizzazione energetica delle biomasse. Studi di fattibilità per l'individuazione dei distretti agro-energetici e per progetti di filiera» si ricavano i seguenti numeri: sansa vergine 49,6 tn/a, di cui circa 7 nella provincia di Foggia; potatura da olivo 735,4 tn/a, di cui 110,5 nella Provincia di Foggia; potatura da vite 380 tn/a, di cui 117 nella provincia di Foggia. Laddove la relazione tecnica del progetto Enterra parla di 85 mila tn/a di sansa vergine come fabbisogno;
   nel nostro Paese vi è una prassi consolidata a non sottoporre l’iter autorizzativo di questi progetti ad una attenta valutazione di impatto ambientale, così come stabilito dalla direttiva 13 dicembre 2011, n. 2011/92/UE (direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati). Dalla citata direttiva dell'Unione europea discende un preciso obbligo gravante su tutti gli Stati membri di assoggettare a valutazione di impatto ambientale non solo i progetti indicati nell'allegato I, ma anche i progetti descritti nell'allegato II, qualora si ritenga possano comportare un impatto ambientale importante all'esito della procedura di screening. Tale screening deve considerare non solo la dimensione, ma anche altre caratteristiche dei progetti: «il cumulo con altri progetti, l'utilizzazione di risorse naturali, la produzione di rifiuti, l'inquinamento ed i disturbi ambientali da essi prodotti, la loro localizzazione e il loro impatto potenziale con riferimento, tra l'altro, all'area geografica e alla densità della popolazione interessata»;
   la regione Puglia ha adottato, con delibera di giunta regionale n. 827 del 2007, il Piano energetico ambientale regionale (P.E.A.R.). Il PEAR, della cui redazione era stato incaricato il gruppo composto da «Ambiente Italia S.r.l» di Milano (capofila) e dall'associazione no-profit «A.FO.RI.S» di Foggia (due enti privati di consulenza, prevedeva la redazione di una specifica valutazione ambientale strategica (VAS), tuttora disattesa, che costituisce «parte integrante del procedimento di adozione ed approvazione» del piano, così come previsto dall'articolo 11, comma 5 del decreto legislativo n. 152 del 2006. La deliberazione della giunta regionale 28 marzo 2012, n. 602 parla, infatti, di «Individuazione delle modalità operate per l'aggiornamento del piano energetico ambientale regionale (PEAR) e avvio della procedura di valutazione ambientale strategica (VAS)»;
   con la legge regionale n. 25 del 2012 sulla «Regolazione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili», la regione Puglia in attuazione alla direttiva 2009/28/CE del Parlamento Europeo (recepita in Italia con il decreto legislativo n. 28 del 2011), che ha ad oggetto la «Promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili», fissa i principi e gli indirizzi per la programmazione energetica regionale con specifico riferimento al settore della produzione di energia da fonti rinnovabili, prevedendo all'articolo 2, comma 2, di adeguare ed aggiornare entro sei mesi il PEAR, nel rispetto del piano nazionale per le energie rinnovabili adottato ai sensi della direttiva 2009/28/CE. Ad oggi, non è stata ancora attivata la VAS di adeguamento ed aggiornamento del PEAR;
   successivamente, la regione Puglia approva con delibera di giunta regionale n. 2275 del 2012 la «banca dati regionale del potenziale di biomasse agricole» nell'ambito del Programma nazionale biocombustibili – (PROBIO), che rappresenta ad oggi la fonte più ufficiale di numeri sulla disponibilità di agromasse ad uso energetico. Infatti, a conferma di ciò, con DGR 792 del 5 maggio 2014, la regione Puglia, nell'ambito dell'aggiornamento del PEAR e del programma Probio, approva lo schema di accordo tra l'ente, l'università degli Studi di Bari «Aldo Moro» e il dipartimento di scienze agrarie degli alimenti e dell'ambiente dell'università degli studi di Foggia;
   la giurisprudenza costituzionale – come riportato dalla mozione n. 1-00096 depositata il 13 giugno 2013 da deputati del gruppo parlamentare M5S appartenenti alla Commissione ambiente – nel corso degli anni ha evidenziato la supremazia della conservazione dell'ambiente rispetto alla produzione di energia, sebbene prodotta da fonti rinnovabili, ha inoltre fatto emergere i costi marginali esterni dell'inquinamento dell'aria in Europa. Infatti, secondo collaudate metodologie di valutazione del danno sanitario (ad esempio: Il «BeTa Benefits Table Database», sviluppato dal dipartimento ambiente della Commissione europea nel 2002) l'inquinamento dell'aria prodotto da una centrale termoelettrica di grossa taglia può portare ad esternalità economiche sanitarie anche dell'ordine di alcuni milioni di euro all'anno. In cambio, invece, il comune di Foggia ha già concordato con «Enterra» una compensazione annuale di 75.000 mila euro, oltre ad agevolazioni economiche alle utenze domestiche della borgata foggiana;
   l'85,5 per cento dell'energia prodotta in Puglia risulta in eccedenza secondo una elaborazione di dati Terna realizzata dal centro studi di Confartigianato Imprese Puglia nel 2013. Dagli impianti idroelettrici, termoelettrici, eolici e fotovoltaici installati su tutto il territorio regionale sono stati prodotti ben 37.611,9 gigawatt, ma il fabbisogno della regione si è fermato a 20.501 gigawatt;
   si richiama la risoluzione conclusiva 8-00039, presentata dalla deputata Patrizia Terzoni, ed approvata dalle Commissioni VIII e X in data 19 marzo 2014, riguardanti «Iniziative del Governo nazionale per la verifica dei procedimenti autorizzatori regionali relativi alla realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili»;
   a parere degli interroganti, il finanziamento pubblico di queste centrali a biomasse, laddove dati statistici certi farebbero emergere la mancanza di materia prima sul territorio necessaria al loro operato, ed anche in assenza di reali garanzie del mantenimento dei livelli occupazionali, collide con i bisogni di sviluppo economico del territorio e del paesaggio italiano. Seppur non manchino alternative ragionevoli da finanziare, come la stessa società «Enterra» aveva colto commissionando dieci anni fa, per lo stesso sito, uno studio di fattibilità per un Centro logistico polifunzionale (una sorta di interporto in grado di sfruttare il collegamento già esistente con le Ferrovie e che vanta pochi altri eccellenti esempi in Puglia) per valorizzare la filiera agroalimentare «Made in Italy», vera vocazione del territorio del Tavoliere, Invitalia e lo Stato italiano continuano a finanziare progetti il cui unico presupposto di validità del business plan sono i lauti incentivi per le fonti energetiche rinnovabili, che in Italia sono destinati per la gran parte a grandi impianti industriali in aree verdi a scapito della microgenerazione e del fotovoltaico sui tetti –:
   se nel corso dell'istruttoria da parte di Invitalia e del competente Ministero siano stati tenuti in debita considerazione i cosiddetti «effetti ambientali incrociati ed economici» e se sia stata prodotta un'analisi costi-benefìci, visti gli ingenti finanziamenti pubblici, in modo tale da garantire alla cittadinanza locale, già allarmata dalla presenza di altri impianti simili, che le ricadute occupazionali ed economiche, anche indirette, giustifichino gli impatti ambientali e sanitari che questo progetto porta inevitabilmente con sé.
(5-04015)


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   lo stabilimento Perugina Nestlé con sede in Perugia rappresenta un marchio e una azienda «storica» della città di Perugia così come le Acciaierie Speciali Terni lo sono per la città di Terni; lo stabilimento della Perugina occupa circa 1.000 dipendenti;
   recentemente le rappresentanze sindacali unitarie hanno denunciato agli organi di informazione (Corriere e Giornale dell'Umbria) il preoccupante calo della produzione, la dismissione di produzioni perché considerate troppo costose e fuori mercato, la perdita di commesse, la mancata assunzione dei lavoratori stagionali anche nei periodi di «picco» dell'attività produttiva e il ricorso da parte dell'azienda agli ammortizzatori sociali e ai contratti di solidarietà per sopperire al calo della produzione;
   a giugno 2014 si è insediato il nuovo Direttore dello stabilimento monsieur François Pointet; eppure rimane forte la preoccupazione tra i lavoratori per il proprio futuro occupazionale dovuta soprattutto dall'incertezza delle future scelte aziendali e dalla assenza di chiare strategie industriale di investimento tese al rilancio dell'attività dello stabilimento e della sua competitività sul mercato;
   il temuto ridimensionamento dell'attività dello stabilimento perugino avrebbe pesanti ricadute economiche e sociali in termini occupazionali in un territorio quale quello umbro già marcatamente colpito dalla crisi industriale in atto –:
   se i Ministri siano a conoscenza della situazione economica e produttiva dello stabilimento della Perugina Nestlé con sede in Perugia;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno aprire un tavolo di confronto che veda protagonisti le rappresentanze dei lavoratori e l'azienda finalizzati alla individuazione e condivisione delle linee guida di un piano industriale che abbia come obiettivi prioritari la salvaguardia dei livelli occupazionali e il potenziamento produttivo dello stabilimento perugino con idonei investimenti così da scongiurare l'ipotesi di un temuto ridimensionamento.
(5-04023)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FUCCI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nella provincia di Barletta, Andria e Trani il passaggio della trasmissione radiotelevisiva dal sistema analogico al digitale terrestre si è compiuto nel 2012;
   per tutta l'estate e nell'autunno dello stesso anno nel comune di Minervino Murge si sono riscontrati gravi problemi di ricezione dei canali televisivi, compresi quelli della RAI, che non hanno consentito agli abitanti di poter seguire compiutamente una qualsivoglia trasmissione televisiva;
   il problema si è parzialmente riproposto nell'inverno successivo ed è poi ulteriormente peggiorato nella primavera 2013;
   tutt'oggi il problema perdura impedendo ai cittadini di Minervino Murge di ricevere in modo compiuto i canali televisivi;
   a seguito del disagio in questione vi sono state numerose proteste sollevate dai cittadini minervinesi, comprese quelle formali sollevate nei confronti della RAI, dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e del Comitato regionale per le comunicazioni;
   inoltre, è stata intrapresa un'iniziativa giudiziaria per denunciare che questa situazione paradossale viola palesemente due norme del resto unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (decreto legislativo n. 177 del 2005;
    a) l'articolo 45, comma 2, che stabilisce come la società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo debba garantire la diffusione di tutte le trasmissioni televisive e radiofoniche con copertura integrale del territorio nazionale;
    b) l'articolo 49, comma 1, che affida alla RAI la concessione del servizio pubblico generale radiotelevisivo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per far sì che venga posto rimedio a una situazione che si trascina senza soluzione da ormai quattro anni. (4-06827)


   PIRAS. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la crisi dell'edilizia in Sardegna ha portato alla perdita di oltre quindici mila posti di lavoro ed ha trascinato nel baratro un settore importante del sistema industriale ed artigianale della nostra Regione;
   in questa pesante crisi, viene oggi coinvolta anche la storica azienda di laterizi di Guspini e Sestu;
   alle Fornaci Scanu, che muovono i loro primi passi negli anni 20, ad opera del capostipite Giuseppe Scanu, viene attribuito il merito del passaggio dalle lavorazioni artigianali dei laterizi, alla produzione industriale, grazie all'installazione del forno «Hoffman», primo impianto nell'isola, presso il vecchio complesso industriale;
   la crisi del settore delle costruzioni acuitasi nel 2008 ha investito anche la Società Fornaci Scanu spa, che ne ha subito le conseguenze sia negli impianti ubicati nel Comune di Guspini sia in quelli ubicati nel comune di Sestu, avendo nei piazzali circa trenta mila di pacchi di mattoni invenduti;
   il Governo centrale con le sue decisioni non tiene minimamente conto dei problemi legati all'insularità della Sardegna e quindi i costi dei trasporti e quelli dell'energia non fanno altro che aumentare i costi di produzione rendendo così meno competitive le nostre aziende;
   l'utilizzo degli ammortizzatori sociali sono cessati ad agosto 2014 con il conseguente licenziamento di 19 lavoratori;
   il licenziamento dei dipendenti di tale azienda è inaccettabile alla luce dei sacrifici fatti in primis dai lavoratori in tutti questi anni per garantire e mantenere in equilibrio l'azienda;
   dal 6 ottobre 2014 i lavoratori sono in stato di agitazione poiché è stata loro annunciata l'apertura della procedura di mobilità per 57 lavoratori, tutti operai, su un organico complessivo tra i due stabilimenti di 79 unità –:
   se siano a conoscenza della grave situazione esposta in premessa;
   quali iniziative intendano intraprendere al fine di scongiurare la chiusura delle «Fornaci Scanu SPA» e il relativo licenziamento dei lavoratori;
   se non intendano convocare di un tavolo di concertazione con l'azienda e la regione Sardegna nel quale vengano individuate politiche industriali atte a garantire la continuità delle produzioni attraverso l'abbattimento dei costi energetici e di trasporto, così da diventare concorrenziale e competitiva rispetto alle realtà della penisola, e del bacino mediterraneo.
(4-06835)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione De Girolamo e altri n. 1-00659, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta dell'11 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Cicchitto, Pagano, Calabrò, Roccella, Piso, Scopelliti, Bernardo, Sammarco, Vignali, Bosco, Minardo, Garofalo, Piccone.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Bossa n. 5-00344, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta del 13 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sgambato.

  L'interrogazione a risposta orale Terzoni e altri n. 3-01146, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta del 7 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato L'Abbate.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2, del Regolamento).

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta L'Abbate e altri n. 4-05290 del 25 giugno 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04015.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Ciprini e Gallinella n. 4-06753 del 5 novembre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04023.