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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 29 ottobre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la previdenza complementare nasce come sistema regolamentare autonomo e strutturato all'inizio degli anni Novanta (articolo 2, comma 1, lettera v), della legge delega 23 ottobre 1992, n. 421 e decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124), in corrispondenza di una revisione complessiva dell'ordinamento pensionistico obbligatorio culminata nella legge n. 335 del 1995. L'obiettivo è quello di introdurre un secondo livello di tutela previdenziale che funga da strumento di compensazione per le riduzioni dei trattamenti pensionistici obbligatori e che concorra a soddisfare gli obiettivi di adeguatezza pensionistica (articolo 38 della Costituzione), ovvero a garantire ai lavoratori più elevati livelli di copertura;
    la normativa sui fondi pensione poi è stata riformata dalla legge delega 23 agosto 2004, n. 243, (articolo 1, commi 1, lettera c) e 2, lettera e) e seguenti) e dal decreto legislativo di attuazione 5 dicembre 2005, n. 252, (entrato in vigore il 1o gennaio 2007), con l'intento di aumentare il tasso di adesione dei lavoratori alle forme complementari e i flussi di finanziamento dei fondi pensione. La previdenza di secondo livello interessa tutte le forme di lavoro, autonomo, subordinato, professionale, ma è stata progressivamente estesa anche a soggetti che si trovano al di fuori del perimetro costituito dalle varie tipologie di lavoro;
    i fondi pensione vanno oggi considerati anche alla luce delle altre forme di previdenza contrattuale, introdotte nell'ordinamento dalla legislazione più recente, quale ad esempio la legge n. 92 del 2012, che all'articolo 3 disciplina nuovi sistemi di ammortizzazione sociale di fonte contrattuale collettiva;
    a livello di normativa europea due sono i principali interventi regolatori in materia e cioè la direttiva n. 49 del 1998 e la direttiva n. 41 del 2003 (cosiddetta direttiva sugli Epap – Enti pensionistici aziendali o professionali), quest'ultima recepita con l'introduzione di apposite disposizioni all'interno del decreto legislativo n. 252 del 2005;
    la prima regolamentazione organica della previdenza complementare è stata realizzata con la legge delega 23 ottobre 1992, n. 421, (articolo 2, comma 1, lettera v)) e il decreto legislativo attuativo 21 aprile 1993, n. 124;
    tale regolamentazione, come detto, è stata sottoposta a revisione nel 2004-2005 con la legge delega 23 agosto 2004, n. 243, (articolo 1, commi 1, lettera c) e 2, lettera e) e seguenti) alla quale si è dato attuazione con il decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 (entrato in vigore il 1o gennaio 2007) sul presupposto di una più efficace messa a punto della strumentazione necessaria, anche a livello di flussi di finanziamento, per assicurare l'effettività della diffusione del secondo pilastro previdenziale;
    secondo la relazione annuale della Covip del 2013 (dati 2012), tale obiettivo è ancora lontano: alla fine del 2012 le forme pensionistiche complementari contavano su 5,8 milioni di iscritti con un tasso di adesioni, rispetto al totale dei lavoratori occupati (pubblici, privati e autonomi), pari a 25,5 per cento. È solo leggermente più alto il tasso di adesione per il lavoro dipendente privato: supera il 30 per cento se si tiene conto dei soli dipendenti occupati, mentre si riscende sotto tale soglia (circa 27 per cento) se si tiene anche conto dei dipendenti disoccupati (pari all'incirca a 3 milioni);
    sul fronte dell'impianto normativo si ritiene poi che talune scelte «tecniche» aumentino le remore dei lavoratori a dare la propria adesione ai fondi pensione. In tal senso, si è posto l'interrogativo se l'attuale situazione di irreversibilità del conferimento del trattamento di fine rapporto – forse discordante con le premesse di un sistema fondato sulla libertà di adesione – non abbia finito per fungere da deterrente per le conseguenze drastiche e definitive che determina;
    infatti, subito dopo la riforma del 2005 e alla luce dei dati deludenti sulla conseguente destinazione esplicita o tacita del trattamento di fine rapporto alla previdenza complementare, si è quindi ragionato in ordine all'opportunità di prevedere, a certe condizioni, il «diritto di ripensamento» del lavoratore (senza arrivare ad alcun «approdo» normativo);
    va comunque sempre tenuto in considerazione come la previdenza complementare trovi il suo fondamento nell'articolo 38, comma 2, della Costituzione: ciò significa che essa condivide l'obiettivo di garantire l'adeguatezza delle prestazioni pensionistiche;
    la previdenza complementare, dunque, per espressa indicazione normativa (articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 252 del 2005) deve concorrere a assicurare ai lavoratori «più elevati livelli di copertura previdenziale», anche in funzione della corrispondente contrazione dei livelli di copertura della previdenza pubblica, in una prospettiva costituzionale di adeguatezza del reddito pensionistico;
    occorre certamente una revisione dei meccanismi di adesione alla previdenza complementare. In merito, risulta necessario tenere in considerazione la limitata entità dell'attuale tasso di adesione, a fronte dell'ampia platea di potenziali contribuenti. Ciò è indice della scarsa propensione del lavoratore medio alla ricerca di forme di risparmio in funzione della garanzia di adeguati trattamenti di quiescenza, nonostante gli effetti prodotti dalle recenti riforme previdenziali;
    l'adozione di soluzioni complementari ed integrative della previdenza obbligatoria è attenuata dalla sussistenza di una forte diffidenza nel contribuente medio derivante anche dalla presupposta ed avvertita scarsa tutela, dalla necessaria ed insoddisfatta esigenza di garantire la sorte contributiva e una sufficiente remunerazione del risparmio, oltre che dall'inadeguata convenienza fiscale;
    in tale situazione il ventilato ricorso ad un sistema di adesione obbligatoria cagionerebbe un'ulteriore e fisiologica forma di chiusura, acuendo nel contempo la resistenza dei potenziali contribuenti e il contrasto sociale. Una soluzione praticabile è riconducibile alla commistione tra il mantenimento del sistema dell'adesione volontaria, la predisposizione di adeguate agevolazioni fiscali con la previsione di ampi margini di deducibilità e la realizzazione di un solido sistema di garanzie;
    in tale ottica – ed in considerazione della perseguita finalità di rendere conveniente per i contribuenti l'adesione ai fondi – appare sì praticabile l'attuazione dell'armonizzazione del trattamento fiscale ma non certamente alcuna soluzione riferibile a forme di adesione obbligatoria che risulterebbe invece del tutto improduttiva;
    certamente fruttuoso sarebbe invece provvedere, tra le altre cose, alla realizzazione di un accorpamento delle casse previdenziali;
    risulta, infatti, improcrastinabile un intervento di riorganizzazione del sistema delle casse – non circoscritto alla sola forma dell'accorpamento – con la necessaria esigenza di mantenere distinte le evidenze contabili riferibili alle singole casse private o privatizzate;
    tale intervento, oltre a consentire l'eliminazione o riduzione delle diseconomie esistenti, renderebbe più agevole l'attuazione dei prescritti controlli di gestione e contabili;
    la stessa predisposizione e ridefinizione del sistema di governance – oltre a realizzare evidenti ed immediati risparmi – attuerebbe una lineare e meno variegata azione amministrativa e gestionale, con conseguenti e auspicabili benefici sulla valorizzazione del patrimonio e sulla deflazione del contenzioso;
    nel caso di fondi pensione negoziali, la gestione dei singoli fondi è demandata a un consiglio di amministrazione paritetico al 50 per cento designato dagli imprenditori e al 50 per cento dai lavoratori. La percentuale designata dai lavoratori viene nella maggioranza dei casi eletta con liste prestabilite dalle organizzazioni cosiddette «associate» – di fatto Cgil-Cisl-Uil di categoria – e quindi nel consiglio di amministrazione entrano quasi esclusivamente i rappresentanti dei tre sindacati sopra citati;
    quello che si vuole sottolineare è che dette organizzazioni sindacali stipulanti gli accordi istitutivi di ciascun fondo poggiano la loro rappresentanza su quella che ai firmatari del presente atto di indirizzo appare un'iniqua posizione di rendita e di vantaggio, non suffragata da alcuna raccolta di firme con cui si devono invece misurare altre organizzazioni sindacali o associazioni di lavoratori;
    tale discriminazione, oltre alle difficoltà tecniche richieste alle liste che si vogliono presentare ex novo o che vogliono rinnovare la loro presenza ma non facenti parti dell'accordo costitutivo del fondo, fa sì che nei fatti siano ben pochi i delegati eletti fuori dell'ambito Cgil, Cisl e Uil, fuori della già citata «corsia privilegiata»;
    a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo questo alimenta un senso di sfiducia del lavoratore (contribuente del fondo) ed elettore verso un'istituzione che presenta delle asimmetrie così forti nella propria rappresentanza e potenziali opacità nella gestione del fondo stesso, a causa del fatto che i propri rappresentanti non sono direttamente responsabili di fronte ai lavoratori ma sono «mediati» da un'organizzazione che decide i nominativi nelle liste;
    una maggiore iniezione di democrazia partecipata, con posizione paritetica di tutte le liste e con formazione di liste provenienti dal basso ed autonomamente formate, contribuirebbe non poco ad aumentare la platea dei lavoratori aderenti;
    l'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n. 252 del 2005 disciplina le forme di previdenza per l'erogazione di trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio, ivi compresi quelli gestiti dagli enti di diritto privato di cui ai decreti legislativi 30 giugno 1994, n. 509, e 10 febbraio 1996, n. 104, al fine di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale;
    l'azione del Governo ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo non può che essere improntata al perseguimento della tutela degli interessi degli iscritti alle forme di previdenza che deve risultare primario,

impegna il Governo:

   a garantire la massima trasparenza della gestione dei risparmi dei lavoratori, ponendo in essere ogni iniziativa utile a garantire, con ampia certezza, il rendimento e la sicurezza del diritto alla pensione da parte del fondo pensione;
   a valutare l'adeguatezza dei fondi pensione e la loro aderenza alle previsioni di cui all'articolo 38 della Costituzione, posto che la previdenza complementare, dunque, per espressa indicazione normativa (articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 252 del 2005) deve concorrere ad assicurare ai lavoratori «più elevati livelli di copertura previdenziale», anche in funzione della corrispondente contrazione dei livelli di copertura della previdenza pubblica;
   ad assumere iniziative per rivedere l'attuale sistema del silenzio assenso nel conferimento del trattamento di fine rapporto ai fondi pensione;
   a promuovere iniziative normative volte ad avviare serie campagne di informazione sui diritti dei lavoratori e sui modi di impiego del proprio trattamento di fine rapporto;
   a promuovere l'accorpamento delle casse degli ordini professionali al fine di realizzare economie di gestione e modalità di impiego delle risorse più efficienti, fatta salva la separazione delle gestioni relative agli specifici ordini professionali;
   ad assumere iniziative per superare l'attuale sistema di elezione dei rappresentanti dei lavoratori in seno al fondo negoziale (assemblea dei delegati e/o consiglio d'amministrazione) al fine di eliminare meccanismi elettivi che possano penalizzare l'eterogeneità delle rappresentanze;
   a prevedere un metodo elettivo dei rappresentanti dei lavoratori unico ed omogeneo a livello nazionale, valido per ogni fondo ed in ogni azienda;
   ad assumere iniziative per definire lo status giuridico delle casse degli ordini professionali o enti previdenziali privatizzati ai sensi del decreto legislativo n. 509 del 1994 e del decreto legislativo n. 104 del 1996, richiamando il carattere pubblicistico di tali enti già previsto nell'articolo 2 di quest'ultimo decreto;
   ad assumere iniziative per prevedere audit annuali sui bilanci di tutti i fondi pensione e gli enti previdenziali pubblici e privatizzati, eseguiti da un collegio valutatore indipendente internazionale, al fine di stabilire in quale misura i criteri di investimento prefissati siano stati soddisfatti o meno in relazione alla preservazione del patrimonio, al «rendimento target» e alla sostenibilità dell'erogazione pensionistica.
(1-00650) «Ciprini, Baldassarre, Lombardi, Tripiedi, Rizzetto, Chimienti, Bechis, Rostellato, Cominardi, Currò».


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito delle politiche dell'Unione europea dirette a sostenere ed a promuovere il settore agricolo e lo sviluppo rurale, particolare importanza riveste il regolamento (UE) n. 1305/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013, relativo al sostegno allo sviluppo rurale da parte del fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), che abroga il regolamento (CE) n. 1698/2005 del Consiglio;
    la politica comunitaria in favore dello sviluppo rurale integra i pagamenti diretti e le misure di mercato della politica agricola comune, contribuendo, così, al conseguimento degli obiettivi di politica agricola enunciati dal trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE);
    la politica di sviluppo rurale dell'Unione europea, fa, inoltre, propri i principali obiettivi strategici enunciati nella comunicazione della Commissione del 3 marzo 2010, intitolata «Europa 2020. Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva» (Strategia Europa 2020);
    secondo le premesse recate dal regolamento in questione, lo sviluppo rurale rientra tra quegli obiettivi che meglio possono essere perseguiti, a livello di Unione europea, in considerazione dei legami tra lo sviluppo rurale e gli altri strumenti della politica agricola comune, delle ampie disparità esistenti tra le varie zone rurali e delle limitate risorse finanziarie di cui dispongono gli stessi Stati membri;
    per garantire lo sviluppo sostenibile delle zone rurali, il regolamento in esame fa perno su un numero limitato di obiettivi essenziali, quali quelli concernenti: il trasferimento di conoscenze e l'innovazione nel settore agricolo, forestale e nelle zone rurali; il potenziamento in tutte le regioni della redditività e della competitività delle aziende agricole; la promozione di tecnologie innovative per le aziende agricole; la gestione sostenibile delle foreste; l'organizzazione della filiera agroalimentare, compresa la trasformazione e la commercializzazione di prodotti agricoli; il benessere degli animali; la gestione dei rischi inerenti all'agricoltura; la salvaguardia, il ripristino e la valorizzazione degli ecosistemi connessi all'agricoltura e alle foreste, ivi inclusa la biodiversità; la promozione dell'uso efficiente delle risorse e il passaggio a un'economia a basse emissioni di carbonio nel settore agroalimentare e forestale; l'inclusione sociale, la riduzione della povertà e lo sviluppo economico nelle zone rurali;
    ai fini dell'intervento dell'Unione europea nei programmi di sviluppo rurale presentati dagli Stati membri, finanziati per il tramite del fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale («FEASR»), il regolamento sul sostegno allo sviluppo rurale prevede un procedimento di approvazione dei medesimi programmi da parte della Commissione che si snoda lungo una precisa procedura di elaborazione, di analisi e di proposta di richiesta economica. Innanzitutto, l’iter di valutazione prevede differenti modalità di presentazione dei programmi di sviluppo rurale da parte degli Stati membri. È, infatti, stabilito che uno Stato membro possa presentare un unico programma nazionale per l'insieme del suo territorio o una serie di programmi regionali. In alternativa, è possibile presentare, in casi debitamente motivati, un programma nazionale e una serie di programmi regionali; in tal caso, le misure e le tipologie di intervento devono essere programmate a livello nazionale o regionale, garantendo la coerenza tra le strategie;
    nell'ambito delle priorità perseguite dal regolamento in esame (sei priorità con annesse specifiche sottomisure trasversali), i programmi presentati dagli Stati membri possono riguardare anche meno delle citate sei priorità (ad ogni modo per non meno di quattro), solo se tale scelta è giustificata in base all'analisi della situazione in termini di punti di forza e di debolezza, opportunità e rischi («analisi SWOT») e a una valutazione ex ante. Quando, infine, uno Stato membro decide di presentare un programma nazionale e una serie di programmi regionali, quello nazionale potrà riguardare anche un numero inferiore di quattro priorità;
    nel quadro così definito lo Stato italiano ha deciso di predisporre un proprio programma nazionale di sviluppo rurale, orientandolo su tre priorità: prevenzione e gestione dei rischi aziendali; sostegno per le infrastrutture irrigue; interventi per la cooperazione ed il miglioramento genetico e della biodiversità animale;
    in particolare, la misura relativa alla prevenzione e gestione dei rischi aziendali integra quanto previsto in ambito di politica agricola comune. Dal 2010, infatti, gli strumenti di gestione del rischio, in particolare le assicurazioni agevolate, sono entrati a far parte integrante della politica agricola comune, nell'ambito dell'articolo 68 e dell'Organizzazione comune di mercato vino; l'inserimento delle assicurazioni non è stato un evento occasionale, ma solo l'inizio di un processo destinato a crescere, in considerazione del ruolo fondamentale attribuito alla gestione del rischio per la tutela del reddito degli agricoltori. Con un sostegno rafforzato, la nuova politica agricola comune, attraverso le assicurazioni agevolate ed i fondi comuni di mutualizzazione, mira a coprire un numero più ampio di eventi (avversità atmosferiche; fitopatie o infestazioni parassitarie; epizoozie; emergenze ambientali; perdite di reddito), disponendo, quindi, di nuovi strumenti per far fronte alla particolare volatilità dei prezzi ed alle frequenti avversità climatiche;
    trattandosi di un programma di interventi che potrebbe avere impatti significativi sull'ambiente, così come disposto dalla direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001 e come previsto altresì dalla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, la stessa proposta di programma nazionale è stata sottoposta alla prevista procedura di valutazione ambientale strategica in maniera da garantire che dalla sua attuazione si consegua un elevato livello di protezione dell'ambiente e si contribuisca alla sua integrazione con considerazioni ambientali già nelle fasi della sua elaborazione, della sua adozione e della sua approvazione, assicurando che sia coerente e contribuisca alle condizioni per uno sviluppo sostenibile,

impegna il Governo:

   a presentare ai competenti organi parlamentari, la proposta di programma di sviluppo rurale nazionale (PSRN) elaborato ai sensi dell'articolo 6 del regolamento (UE) n. 1305/201 e a tenere conto delle indicazioni formulate in tali sedi ai fini dell'approvazione definitiva del programma stesso e dei documenti che compongono l'intero programma di sviluppo rurale nazionale individuando per ogni intervento programmato la relativa dotazione finanziaria e le modalità di avanzamento dell'intervento, al fine di evitare ritardi nell'attuazione delle misure suscettibili di avere gravi conseguenze, soprattutto sulle misure di gestione del rischio e della biodiversità animale;
   a chiarire se la specifica misura dei piani di sviluppo regionale «Misura 17.1 – Premio assicurativo per il raccolto, gli animali e le piante» che prevede contributi per il pagamento dei premi di assicurazione del raccolto, degli animali e delle piante per le perdite causate da avversità atmosferiche, epizoozie, fitopatie o infestazioni parassitarie ed emergenze ambientali, sia dotata di risorse finanziarie sufficienti a rispondere alla crescente domanda assicurativa degli agricoltori, in virtù della maggiore frequenza delle avversità atmosferiche, conseguenti ai cambiamenti climatici;
   ad individuare le modalità operative per il riconoscimento e la concreta operatività dei fondi di mutualizzazione, vista la loro portata innovativa e le limitatissime esperienze in atto, individuando, altresì, gli interventi necessari per assicurare il coordinamento tra tutti gli attori della politica di gestione del rischio: Ministero, regioni, consorzi di difesa, Ismea e compagnie di assicurazione;
   ad incentivare opere di riassetto idrogeologico di fiumi e torrenti a rischio di esondazione operate dalle aziende agricole con l'intento di ampliare le attività svolte dalle aziende agricole e di migliorare la sicurezza del territorio e rendere noti gli investimenti che possono essere attuati tramite il piano di sviluppo rurale nazionale;
   ad individuare adeguate risorse finanziarie per la costruzione di invasi artificiali all'interno delle aziende agricole o su terreni demaniali da utilizzare nel caso di incendi e per l'irrigazione durante la stagione estiva, al fine di evitare elevate perdite produttive;
   a prevedere specifiche misure a favore della zootecnia e per il miglioramento delle razze equine ai fini del rilancio del comparto ippico nazionale;
   a chiarire le modalità di attuazione della misura sulla biodiversità animale e l'efficacia delle politiche poste in essere per rispondere alle molteplici esigenze di gestione e controllo della genetica animale, con particolare riguardo agli indirizzi per valorizzare il patrimonio genetico, anche con progetti di salvaguardia di razze in via di estinzione, e alla efficacia delle politiche poste in essere per facilitare la registrazione ai libri genealogici e ai registri anagrafici consentendo una maggiore trasparenza e fruibilità dei dati raccolti per incentivare il miglioramento genetico della specie.
(1-00651) «Oliverio, Fiorio, Mongiello, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Carra, Cenni, Cova, Covello, Dal Moro, Marrocu, Palma, Prina, Romanini, Taricco, Tentori, Terrosi, Venittelli, Zanin».

Risoluzioni in Commissione:


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    il decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61, recante nuove disposizioni urgenti a tutela dell'ambiente, della salute e del lavoro nell'esercizio di imprese di interesse strategico nazionale, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 89, prevede all'articolo 1 l'istituto del commissariamento straordinario delle imprese che impieghino un numero di dipendenti non inferiori a mille e che gestiscano almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale, la cui attività produttiva abbia comportato e comporti oggettivamente pericoli gravi e rilevanti per l'integrità dell'ambiente e della salute, a causa dell'inosservanza reiterata dell'autorizzazione integrata ambientale; il successivo articolo 2 riconosce espressamente che i presupposti per il commissariamento di cui all'articolo 1 sussistono per la società ILVA s.p.a.;
    il comma 11 dell'articolo 1 del citato decreto-legge prevede la possibilità per il giudice competente di svincolare le somme per le quali in sede penale sia stato disposto il sequestro in danno dei soggetti nei cui confronti l'autorità amministrativa abbia disposto l'esecuzione degli obblighi di attuazione delle prescrizioni dell'AIA e di messa in sicurezza, risanamento e bonifica ambientale, in relazione a reati comunque connessi allo svolgimento dell'attività di impresa; il medesimo comma 11 dispone che le predette somme siano messe a disposizione del commissario straordinario e vincolate alle finalità sopra richiamate;
    da notizie di stampa si apprende che la magistratura ha provveduto a svincolare le somme oggetto di sequestro in danno della famiglia Riva per presunti reati fiscali e valutari, per un ammontare pari a 1,2 miliardi di euro;
    occorre assicurare il pieno rispetto delle prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale dell'ILVA, sulle quali si registrano forti ritardi,

impegna il Governo

a verificare che le risorse dissequestrate richiamate in premessa siano effettivamente destinate quanto prima al risanamento e alla bonifica ambientale, secondo quanto disposto dall'articolo 1, comma 11, del decreto-legge n. 61 del 2013.
(7-00503) «Realacci, Tino Iannuzzi, De Rosa, Borghi, Segoni, Castiello, Dorina Bianchi, Matarrese, Pellegrino, Grimoldi, Pastorelli, Cera, Mariastella Bianchi, De Menech, Gadda, Manfredi, Mazzoli, Mannino, Mariani, Giovanna Sanna, Zardini, Zan, Zaratti».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la Direttiva n. 2009/128/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 ottobre 2009 ha istituito un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi che l'Italia ha recepito con il decreto legislativo n. 150 del 14 agosto 2012, in vigore dal 14 settembre 2012;
    l'articolo 6 del decreto legislativo n. 150 del 2012 ha previsto che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute, d'intesa con la Conferenza permanente Stato, regioni e province autonome, adottasse un piano attuativo, denominato PAN (piano di azione nazionale). Con più di un anno di ritardo, in data 22 gennaio 2014 è stato emanato il PAN (pubblicato il 12 gennaio 2014) che va inteso quindi come la concreta attuazione delle previsioni del decreto legislativo per l'uso sostenibile degli agrofarmaci;
    in data 5 giugno 2014 con atto n. 4-05032 presentato dai deputati del gruppo M5S membri della Commissione agricoltura della Camera sono stati interrogati, senza ancora riceverne risposta, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali in merito alle carenze riscontrate nella normativa di recepimento della direttiva n. 2009/128/CE, sia il decreto legislativo che piano d'azione, in particolare sui troppi rinvii a decreti attuativi che tale impianto normativo prevede, sulla inconsistenza dell'impianto sanzionatorio e delle misure previste dalla lotta integrata obbligatoria, sulla mancata individuazione degli obiettivi, sulle azioni di tutela dell'ambiente acquatico e delle fonti di approvvigionamento di acqua potabile da applicare in campo agricolo;
    per alcuni decreti attuativi e misure risulta sia scaduto il termine previsto, in particolare: l'articolo 25, comma 3, del decreto legislativo n. 150 del 2012 che prevedeva un decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali da emanarsi entro il 12 agosto 2014, con cui determinare le tariffe ed il relativo versamento per i controlli delle attrezzature di applicazione dei prodotti fitosanitari; l'articolo 10, comma 4, del decreto legislativo n. 150 del 2012 che prevedeva un decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, da emanarsi entro il 26 novembre 2013, per adottare specifiche disposizioni per l'individuazione dei prodotti fitosanitari destinati ad utilizzatori non professionali; il paragrafo A.3.10 del piano di azione nazionale che prevedeva un decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, da emanarsi entro 6 mesi dall'approvazione del piano di azione nazionale, per la costituzione di una banca dati nazionale relativa ai controlli effettuati sulle macchine di distribuzione dei fitofarmaci, ed il ruolo di ENAMA, organismo di supporto al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali; l'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 150 del 2012 che prevedeva, entro il 30 aprile 2013, la trasmissione al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali delle misure messe in atto dalle regioni e dalle province autonome, per rendere possibile l'applicazione dei princìpi generali della difesa integrata obbligatoria; l'articolo 19, comma 7, del decreto legislativo n. 150 del 2012 che prevedeva, entro il 30 giugno 2013, la trasmissione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali alla Commissione europea di una relazione sullo stato di attuazione delle misure messe in atto dalle regioni per rendere possibile l'applicazione dei principi generali della difesa integrata obbligatoria; l'articolo 16, comma 1, del decreto legislativo n. 150 del 2012 che prevedeva, entro il 30 ottobre 2012, la trasmissione delle regioni al Ministero della salute ed al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali dell'elenco dei soggetti autorizzati alla vendita di prodotti fitosanitari;
    fanno seguito a questi atti e misure, una serie di altre questioni che il piano di azione nazionale affida ad ulteriori decreti attuativi, da emanare entro 1 anno dall'entrata in vigore dello stesso, quindi entro il prossimo 13 febbraio 2015. Tra questi, l'emanazione delle linee guida per la tutela dell'ambiente acquatico e dell'acqua potabile, le linee guida per la scelta delle misure da inserire nei piani di gestione e nelle misure di conservazione dei siti NATURA2000 e delle aree protette, la messa a disposizione per le regioni delle informazioni più rilevanti sulla tossicità, ecotossicità, il destino ambientale e gli aspetti fitosanitari dei prodotti in commercio;
    all'articolo 14 del decreto legislativo n. 150 del 2012 si specifica che il piano di azione nazionale definisce le misure appropriate per la tutela dell'ambiente acquatico e delle fonti di approvvigionamento di acqua potabile dall'impatto dei prodotti fitosanitari, e che le regioni assicurano l'attuazione delle misure previste da piano, formando ogni anno il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute sulle misure adottate. A questo proposito, la Commissione europea, nella riunione bilaterale del 24 settembre 2013, ha chiesto all'Italia la precisa definizione delle misure da applicare in campo agricolo per la tutela delle acque;
    all'articolo 15 del decreto legislativo n. 150 del 2012 si specifica che il piano di azione nazionale definisce le misure appropriate per la tutela di aree specifiche (parchi, giardini, campi sportivi ed aree ricreative, cortili ed aree verdi all'interno di plessi scolastici, aree gioco per bambini, aree adiacenti alle strutture sanitarie, aree protette di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006, altre aree designate ai fini di conservazione per la protezione degli habitat e delle specie, aree trattate di recente frequentate dai lavoratori agricoli), tenuto conto dei necessari requisiti di tutela della salute umana, dell'ambiente e della biodiversità e dei risultati dell'analisi del rischio;
    al paragrafo A5 del piano di azione nazionale, riferito agli articoli 14 e 15 del decreto legislativo n. 150 del 2012, si stabilisce che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ed il Ministero della salute, su proposta del Consiglio, entro 12 mesi dall'entrata in vigore del piano, predispongano linee guida di indirizzo per la tutela dell'ambiente acquatico e dell'acqua potabile e per la riduzione dell'uso di prodotti fitosanitari e dei relativi rischi in aree specifiche;
    oltre a quelli innanzi citati, altre misure e decreti attuativi dovranno far seguito al piano di azione nazionale, per i quali tuttavia non e stato definito un termine temporale, come ad esempio la definizione degli indicatori, fondamentali per la verifica del raggiungimento degli obiettivi del piano di azione nazionale, la definizione di un manuale di orientamento sulle tecniche per la difesa fitosanitaria a basso impatto ambientale e strategie fitosanitarie sostenibili, o le misure per disciplinare la vendita di prodotti fitosanitari on-line;
    l'articolo 24 del decreto legislativo n. 150 del 2012, infine, stabilisce le sanzioni per la mancata applicazione delle prescrizioni stabilite dal decreto stesso. Tuttavia, risulta evidente che la maggior parte delle sanzioni interessa la parte della distribuzione e della formazione professionale, trascurando ad esempio quelle relative all'articolo 11 su informazione e sensibilizzazione, all'articolo 14 sulla tutela dell'ambiente acquatico e delle acque potabili, all'articolo 15 sulla tutela delle aree specifiche, all'articolo 17 sulla manipolazione e stoccaggio dei prodotti fitosanitari e trattamento dei relativi imballaggi e delle rimanenze, ma soprattutto all'articolo 19 in merito all'applicazione dei princìpi generali della difesa integrata obbligatoria, di cui all'allegato III del decreto legislativo n. 150 del 2012, argomento principale della norma,

impegna il Governo:

   ad adottare, entro 6 mesi dall'approvazione del presente atto, gli atti e le misure previste dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal piano di azione nazionale non emanati, per i quali risultino già scaduti i termini nonché ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché le regioni e le province autonome che non abbiano ancora provveduto trasmettano le informazioni di cui agli articoli 19, comma 6, e 16, comma 1, del decreto legislativo n. 150 del 2012, per le quali i termini risultano già trascorsi;
   a rendere noti ai competenti organi parlamentari lo stato dei lavori sulla predisposizione degli atti, delle misure e delle linee guida previsti dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal piano di azione nazionale, per i quali e prevista scadenza entro 13 febbraio 2015 o per i quali non è stato individuato alcun termine temporale;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per implementare l'articolo 24 del decreto legislativo n. 150 del 2012 con un apparato sanzionatorio più esaustivo che racchiuda anche misure sanzionatorie per la mancata osservanza di quanto prescritto dagli articoli 11, 14, 15, 17 e 19 e relativi approfondimenti contenuti nel piano di azione nazionale.
(7-00504) «Gagnarli, L'Abbate, Gallinella, Parentela, Massimiliano Bernini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze per sapere – premesso che:
   la stampa riporta che Roberto Codogno, tra le figure di spicco del Ministero del tesoro, capo dell'analisi e della programmazione economia e finanziaria, avrebbe di recente presentato più volte le dimissioni perché non crederebbe più alla «versione dei fatti sull'Italia che, istituzionalmente, è tenuto a fornire a manager dietro i quali si trovano migliaia di miliardi di fondi internazionali in cerca di investimenti»;
   Roberto Codogno, veneto di 55 anni, un master di finanza alla Syracuse University di New York, un passato in Bank of America a Londra, è in pratica colui che cura tutti i documenti con i quali il Governo pianifica la legge di stabilità, l'andamento dell'economia, quello del deficit e del debito pubblico: sarebbe lui che insieme alla dirigente generale Maria Cannata, parla agli investitori internazionali per convincerli a comprare i titoli del debito pubblico italiano;
   le dimissioni di Codogno sarebbero state scongiurate dall'intervento del Ministro Padoan, che sarebbe riuscito a farlo tornare sui suoi passi;
   secondo l'articolo pubblicato dalla Repubblica proprio in questo periodo, mentre fra Roma e Bruxelles si apre il confronto più delicato sulla finanza pubblica italiana, nel ministero del tesoro ci sarebbe, infatti, profondo malumore poiché, «alcune delle figure di punta si considerano per la prima volta emarginate da Palazzo Chigi dall'elaborazione della manovra di bilancio», visto che si troverebbero a sollevare alcuni problemi di merito su aspetti cruciali come le coperture finanziarie della legge di Stabilità, tramite i tagli annunciati o la lotta all'evasione;
   a far dubitare alcuni, c’è anche il fatto che la stima di decrescita del Pil nel 2014 sarebbe troppo ottimistica, perché non tiene conto del fatto che la recessione sta continuando anche in autunno, come sottolineato in questi giorni anche dalla Banca d'Italia, e con un'economia più piccola, salterebbero a catena anche le metriche di contenimento del deficit e del debito in chiusura d'anno e nel 2015;
   anche nella Ragioneria generale dello Stato i giorni del varo della legge di stabilità sono stati complessi: il bonus-bebé, sussidio per i nuovi nati promesso da Matteo Renzi, avrebbe costretto il ragioniere generale dello Stato Daniele Franco, ex capo dell'ufficio studi della Banca d'Italia, a chiedere nuove coperture, o non avrebbe dato il suo indispensabile visto al varo del bilancio;
   nel frattempo l'Ue sembra essersi dimostrata piuttosto dubbiosa nei confronti della politica economica italiana portata avanti dal premier: la lettera spedita il 22 ottobre 2014 con preghiera di risposta entro il giorno seguente, ne è stata la prova, nonostante i toni pacati; d'altra parte, la strategia di bilancio dell'Italia rinvia il raggiungimento degli obiettivi di bilancio di medio termine al 2017, violando così le regole del patto di stabilità, in particolare quelle sul debito e la Commissione ne chiede logicamente le ragioni;
   l'articolo del patto di stabilità richiamato nella lettera da Bruxelles, fa riferimento ai «casi eccezionali» e «particolarmente gravi di mancato rispetto degli obblighi di politica di bilancio», norma giuridica che si usa quando la Commissione si prepara a respingere la legge di stabilità di un governo, per chiedere di riscriverla –:
   se il Governo non intenda fornire adeguate spiegazioni in merito a quanto detto in premessa, circa quanto starebbe avvenendo presso il Ministero dell'economia e delle finanze delle sulle reali prospettive economiche del Paese, che non possono certo migliorare solo grazie a stime ottimistiche o ad un continuo procrastinare la scadenza del raggiungimento degli obiettivi di bilancio, esponendo il Paese al rischio delle relative sanzioni da parte dell'Unione europea.
(2-00734) «Sorial».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ASCANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a seguito del programma promosso dal Consiglio d'Europa «Combattere le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere», per l'attuazione e l'implementazione della raccomandazione del Comitato dei ministri CM/REC (2010)5, è stata elaborata la strategia nazionale per la prevenzione ed il contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere finalizzata alla realizzazione di un piano triennale di azioni pilota (2013-2015), integrate e multidisciplinari, volte alla prevenzione e al contrasto delle discriminazioni in tale ambito;
   in allegato alla raccomandazione del Comitato dei ministri CM/REC (2010)5, al punto V Occupazione, si definisce come gli Stati membri dovrebbero garantire l'adozione e l'attuazione di misure appropriate in grado di fornire una protezione efficace contro le discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere in ambito lavorativo e professionale, tanto nel settore pubblico, che in quello privato. Tali misure dovrebbero riguardare le condizioni di accesso all'occupazione e alle promozioni professionali, le modalità di licenziamento, il salario e altre condizioni lavorative, anche al fine di prevenire, contrastare e sanzionare le vessazioni e altre forme di vittimizzazione;
   a normativa vigente a livello nazionale, per ciò che concerne l'orientamento sessuale, si prevede la tutela antidiscriminatoria in ambito lavorativo di cui al decreto legislativo n. 216 del 2003. In particolare, alla lettera b) dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 216 del 2003 si fa riferimento a discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di handicap, le persone di una particolare età o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone;
   il dirigente scolastico dell'istituto comprensivo «Dalmazio Birago» di Passignano sul lago Trasimeno (Perugia), si è visto recapitare una lettera in cui un gruppo di genitori affermava che il maestro di danza titolare di progetti formativi «non è la persona adatta all'insegnamento perché non ha i requisiti necessari», contestandone in realtà l'omosessualità;
   il dirigente, prendendo una posizione netta di sostegno all'insegnante, ha affermato che il curriculum del docente risulta essere compatibile, ma, a seguito di questa lettera, lo stesso, da 12 anni maestro di danza e da 5 insegnante nelle scuole, ha rinunciato all'incarico definendo «squallido» il comportamento di alcuni genitori disposti ad esonerare i propri figli dal progetto a causa della sua vita privata –:
   se si intendano promuovere iniziative volte a sensibilizzare la pubblica opinione su tematiche di tale attualità ed importanza, in particolare in riferimento all'ambito dell'istruzione e a situazioni quali quella dell'istituto umbro, per evitare che a livello educativo venga trasmesso un segnale di chiusura ed un atteggiamento discriminatorio fondato sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere, in linea con quanto stabilito dal decreto legislativo n. 216 del 2003.
(5-03912)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO e GIANCARLO GIORDANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la «G.O.R.I. s.p.a.» è l'azienda che gestisce il servizio idrico integrato nell'ambito territoriale ottimale numero 3 della Campania;
   l'ATO 3 campano comprende 76 comuni appartenenti alle province di Napoli e Salerno;
   in questi giorni la «G.O.R.I. s.p.a.» sta inviando cartelle, soprattutto nei comuni dell'area vesuviana, della penisola sorrentina, del nolano e dell'agro sarnese, per il «recupero partite pregresse ante 2012», in particolare per gli anni 2003-2011;
   gran parte di questi crediti vantati dalla «G.O.R.I, s.p.a.», però, risulta prescritto, essendo i crediti relativi a canoni idrici soggetti al termine di prescrizione quinquennale: i crediti precedenti l'ottobre del 2009, dunque, sono già da considerarsi prescritti;
   inoltre, il calcolo dell'importo fatturato per le partite pregresse al 2012 è stato richiesto con modalità di dubbia legittimità alla platea degli utenti del 2012, senza considerare che gli eventuali conguagli avrebbero dovuto essere richiesti alla platea degli utenti corrispondente alle singole annualità per le quali si vanta il conguaglio, sulla base dei consumi effettivi relativi alle varie annualità;
   non si parla di richieste di pagamenti per bollette emesse, notificate e mai pagate, bensì sembra invece essere il caso di una fatturazione del disavanzo di gestione maturato dall'azienda nel costo degli anni, e fatto ricadere sull'utenza;
   già diverse centinaia di cittadini hanno presentato reclamo per contestare questi addebiti. Anche molti sindaci si sono espressi esplicitamente contro queste scelte della «G.O.R.I. s.p.a.»;
   la regione Campania, guidata dal presidente Caldoro, aveva già provato, pochi mesi fa, con una delibera di giunta, ad «adeguare» le tariffe dell'acqua all'ingrosso dei sistemi regionali ai suoi costi di gestione, ma tale provvedimento non aveva superato il vaglio della giustizia amministrativa;
   la «G.O.R.I. s.p.a.», inoltre, nelle scorse settimane aveva effettuato una serie di «distacchi selvaggi» nei confronti degli utenti morosi, senza alcun rispetto delle procedure e senza previa diminuzione della quantità di acqua erogata, compromettendo il diritto di ognuno ad un bene comune come l'acqua;
   non si può non ricordare come l'ATO 3 Campania sia stato commissariato, esautorando, quindi i sindaci dell'area;
   il commissario proviene dalla stessa forza politica del nuovo presidente della «G.O.R.I. s.p.a.», Amedeo Laboccetta;
   la Campania è praticamente l'unica regione a non aver varato una legge organica di riforma della gestione del sistema idrico;
   va rilevato che, secondo l'articolo 3-bis del decreto-legge n. 138 del 2011, spetta alle regioni organizzare lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica definendo il perimetro degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio istituendo o designando gli enti di governo degli stessi; lo stesso articolo prevede che, decorsi inutilmente i termini prescritti, il Governo può esercitare i poteri sostitutivi di cui all'articolo 8 della legge n. 131 del 2003; l'articolo 13 del decreto-legge n. 150 del 2013 stabilisce, inoltre, che la mancata istituzione o designazione dell'ente di governo dell'ambito territoriale ottimale ovvero la mancata deliberazione dell'affidamento entro il termine del 30 giugno 2014, comportano l'esercizio dei poteri sostitutivi da parte del prefetto, le cui spese sono a carico dell'ente inadempiente, che provvede agli adempimenti necessari al completamento della procedura di affidamento;
   il servizio idrico integrato è il servizio pubblico di fornitura di acqua potabile, fognatura e depurazione;
   vi è un ruolo pubblico non delegabile nel campo dei servizi, non a caso definiti «pubblici», che attiene al governo ed al controllo dei processi e dei sistemi;
   esso è un ruolo politico, ruolo di indirizzo, regolazione e programmazione;
   in assenza di tale ruolo, a giudizio degli interroganti, si sostituiranno, semplicemente, monopoli privati a monopoli pubblici non garantendo efficienza né riducendo a vantaggio dei cittadini le tendenziali rendite di posizione associate alla gestione di monopoli naturali;
   nel settore idrico, inoltre, la componente relativa a lavori infrastrutturali è massima;
   privatizzare significa, in concreto, aumentare il rischio di consegnare a determinati operatori (e per molti anni) la gestione di lavori essenziali, senza neanche quel minimo di controllo che è oggi possibile;
   non è tollerabile l'idea di affidare la gestione del sistema idrico regionale ai privati;
   i fatti sono narrati, tra gli altri, nell'articolo pubblicato dall'edizione online del quotidiano Il Mattino il 21 ottobre 2014 dal titolo «Bollette pazze nell'Agro dalla Gori, Gambino: ora indaga la Finanza», nell'articolo pubblicato dall'edizione online del quotidiano Corriere del Mezzogiorno il 17 ottobre 2014 dal titolo «Bollette idriche, salasso della Gori - Sindaci e consumatori in “rivolta”», e nell'articolo pubblicato dal quotidiano online Stabia Channel l'11 settembre 2014 dal titolo «Castellammare - Gori, distacchi selvaggi a “presunti morosi”» –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito a quanto esposto in premessa e se non ritenga di valutare se sussistono i presupposti per esercitare i poteri sostitutivi di cui in premessa. (4-06631)


   ROMANINI e MAESTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata di lunedì 13 ottobre 2014 il torrente Baganza, insieme a diversi rii che vi affluiscono, è esondato provocando ingenti danni nei comuni appenninici della Val Baganza e in alcuni centri della Val Parma, già colpiti negli ultimi anni da frane e dissesto, e in una vasta zona della città di Parma;
   l'alluvione ha interessato molti edifici pubblici, quali scuole, strutture sanitarie e residenze per anziani, nonché abitazioni, negozi, aziende di privati con una stima dei danni, effettuata dalla provincia di Parma che ammonta a 100 milioni di euro;
   su quanto accaduto la procura della Repubblica ha aperto un fascicolo. Il procuratore capo Antonio Rustico ha affidato l'inchiesta al pubblico ministero Paola Dal Monte, che dovrà accertare se non vi siano state omissioni o negligenze nella realizzazione di opere di prevenzione o nelle procedure di allerta alla popolazione;
   l'allertamento del Sistema di protezione civile, ai vari livelli territoriali, è compito e responsabilità dei presidenti delle regioni e delle province autonome o dei soggetti da loro delegati fra cui il direttore della protezione civile regionale. Per l'Emilia Romagna l'agenzia regionale protezione civile, tramite ARPA e sulla base delle previsioni meteo, invia l'allerta – o la fase di attenzione, o la pre-allerta o la proroga di una allerta – attraverso SMS, email e Fax a un vasto numero di realtà, facenti capo al sistema di protezione civile;
   la procedura viene così indicata nel sito del Governo nelle pagine del Dipartimento nazionale di protezione civile: «Sulla base delle valutazioni e dei livelli di criticità dichiarati, al Presidente della Regione compete l'allertamento del Sistema di protezione civile locale, secondo determinati livelli di allerta che vengono comunicati anche al Dipartimento della Protezione Civile. I diversi livelli di allerta rappresentano le fasi codificate di attivazione delle strutture che comportano la messa in atto di azioni di prevenzione del rischio e gestione dell'emergenza. È al Sindaco che compete l'attivazione di quanto previsto nel proprio Piano di protezione civile e, in particolare, l'informazione alla popolazione. Al Dipartimento compete l'informazione e l'allertamento delle componenti statali e delle strutture operative del Servizio nazionale di protezione civile»;
   in una interrogazione al sindaco di Parma il capogruppo Pd rileva che: «Tra il novembre 2012 e il luglio 2014, prefettura e Provincia, con numerose comunicazioni inviate ai sindaci in qualità di Autorità comunale di Protezione Civile, hanno sollecitato l'adeguamento alle nuove disposizioni normative e la trasmissione dei piani di emergenza. Nonostante queste ripetute sollecitazioni, il sindaco Pizzarotti non si è preoccupato che il comune di Parma aggiornasse il proprio piano di protezione civile (fermo al 2006) e si dotasse di uno specifico piano di emergenza per le zone a rischio esondazione. Questo spiega perché il Comune abbia sottovalutato il pre-allarme e abbia diramato l'allerta presidiando la zona a rischio solo quando l'acqua stava già uscendo dagli argini»;
   è stato pubblicato su diversi organi di stampa il fax di allertamento di livello 1 inviato dalla prefettura di Parma, a cui compete la trasmissione delle diverse fasi di allerta ai comuni, al comune di Parma già nella giornata di sabato 11 ottobre, recante «Allerta per condizioni meteorologiche avverse a partire da domenica 12 e fino a martedì 14». Tra gli effetti attesi «rapidi innalzamenti dei livelli dei corsi d'acqua minori con limitati fenomeni di inondazione» –:
   quali siano state le comunicazioni tra la prefettura di Parma e il comune di Parma in tutta la fase di allertamento fino all'esondazione del torrente Baganza avvenuta intorno alle ore 16.00 del 13 ottobre;
   se alla luce di quanto accaduto, non solo a Parma, non si ritenga necessario rivedere la procedura di allertamento in modo da renderla, nei casi analoghi, più rispondente agli obiettivi di prevenzione e salvaguardia della popolazione. (4-06644)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco è senza dubbio alcuno un'organizzazione capillare con i suoi 377 distaccamenti permanenti e le sue 219 sedi di distaccamenti gestiti dal personale volontario;
   ad oggi il contingente permanente consta di oltre 31.600 unità, e i vigili del fuoco volontari attivi sono circa 20.000, su una base di 100.000 iscritti nelle liste, mentre sono 65.000 i richiami di 20 giorni che vengono programmati ogni anno con il loro contributo, garantendo così la funzionalità del Corpo nell'intero territorio nazionale e la funzionalità dei comandi provinciali;
   il Corpo secondo le stime che il Ministro dell'interno pro tempore aveva reso in audizione alla I Commissione affari istituzionali della Camera dei deputati il 14 aprile 2011, soffre di una sottodotazione che allora era stata quantificata in 3.000 unità;
   ad oggi, le carenze sono di maggiore entità a seguito del blocco del turn over che si è protratto negli anni 2011 e 2012 e che solo in parte è stato sbloccato per l'anno 2013. Alle 3.000 unità indicate dal Ministro, andrebbero aggiunte le 10.000 unità stabilite nel programma ministeriale «Soccorso Italia in 20 minuti» che prevede l'apertura nel territorio nazionale di nuovi distaccamenti volontari, proprio per garantire un soccorso più immediato e capillare;
   il vigile del fuoco discontinuo svolge un'attività retribuita, rappresentando un'eccezione all'impianto normativo italiano sul volontariato: infatti il vigile del fuoco volontario percepisce un corrispettivo in denaro per l'attività prestata con modalità simili e di entità pari a una retribuzione;
   nonostante questo, il richiamo in servizio del personale volontario – e soprattutto discontinuo – dei vigili del fuoco non costituisce rapporto di lavoro a tempo determinato, secondo quanto stabilito dal comma 12 dell'articolo 4 della legge 12 novembre 2011, n. 183, che ha introdotto la lettera c-bis) tra le esclusioni nel campo di applicazione della normativa sui contratti a tempo determinato del comma 1 dell'articolo 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, recante «Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES»;
   si tratta di una norma altamente lesiva dei diritti dei volontari dei vigili del fuoco e che tende a eludere, per via normativa, la corretta applicazione non solo del diritto del lavoro, ma anche dei più elementari diritti di non discriminazione e di pari trattamento tra lavoratori sanciti dal diritto europeo e costituzionale;
   alcuni tribunali, infatti, stanno riconoscendo giudizialmente ai vigili del fuoco discontinui il diritto a ottenere il riconoscimento per intero di tutte le voci di indennità previste dal contratto collettivo nazionale del lavoro (CCNL) del comparto dei vigili del fuoco, nonché il trattamento di fine rapporto (TFR);
   oltre che un danno erariale per lo Stato, che è condannato a risarcire le vittime della discriminazione nonché a pagare le spese del giudizio, è anche un danno di immagine per il Ministero dell'interno, che deve soccombere in giudizio in una causa che riguarda la tutela dei diritti e della dignità dei lavoratori, obiettivo che dovrebbe essere una priorità per le istituzioni;
   il quadro normativo complessivo, inoltre, risulta essere contraddittorio a dimostrazione che non regge la tesi sostenuta dalla citata lettera c-bis) del comma 1 dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 368 del 2001;
   si prevede, nel suddetto quadro normativo, per il vigile del fuoco discontinuo il passaggio dallo stato (eventualmente presente) di disoccupato a quello di occupato negli elenchi dell'ufficio del collocamento pubblico, per il periodo del richiamo in servizio;
   è proprio sulla base dei giorni di contribuzione quali vigili del fuoco discontinui, che si accede alla liquidazione della disoccupazione ordinaria con requisiti ridotti;
   occorre chiudere definitivamente con una positiva soluzione il deprimente problema del precariato nei vigili del fuoco –:
   se il Governo non intenda:
    a) assumere un'apposita iniziativa normativa con la quale venga riconosciuto lo status di precari della pubblica amministrazione;
    b) predisporre un'unica graduatoria DISCONTINUI - VOLONTARI aggiornata;
    c) attivare una procedura di stabilizzazione, con prove ginniche e visite mediche, alle quali potranno partecipare tutti coloro che al 31 dicembre 2014 non abbiano superato il 45o anno di età + 2 (come da decreto presidenziale) e abbiano effettuato non meno di 120 giorni di servizio negli ultimi 5 anni;
    d) tutelare tutti quei volontari che per vari motivi (età - prove ginniche) o che non riusciranno a diventare idonei come (permanenti), con altre mansioni all'interno del quadro di attività legate all'attività del Corpo. (4-06645)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il sottoscritto interrogante il 4 gennaio 2010 ha presentato una proposta di legge denominata Paris (Piano attuativo, riequilibrio insulare Sardegna) nella quale si pone l'obiettivo del riequilibrio economico, infrastrutturale e sociale dell'isola con le regioni italiane ed europee;
   nella proposta di legge è prevista una norma che recita:
«articolo 5 – ZONA FRANCA INTEGRALE
    1) Al fine di recuperare gli effetti del divario insulare e le ripercussioni economiche e sociali rispetto alle altre regioni italiane ed europee il territorio della Regione Sardegna è posto fuori della linea doganale e costituisce zona franca;
    2) Le modalità d'attuazione della zona franca saranno concordate con la Regione e stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, d'intesa con i Ministri dell'economia, dello sviluppo economico e il Presidente della regione Sardegna.
    3) Sino all'entrata in vigore del regime di zona franca di cui al comma 1 previsto per il territorio della regione Sardegna è consentita la immissione in consumo finalizzato alla produzione in detto territorio per il fabbisogno locale di prodotti indicati da apposito decreto del Ministro dell'economia in esenzione dal dazio, dalle imposte erariali di fabbricazione ed erariali di consumo.
    4) Tale norma ha una durata di anni dieci, prorogabili con analogo decreto;
   tale norma si inquadra nell'attuazione dell'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale che prevede la misurazione e la compensazione del divario insulare, sia sul piano economico che fiscale»;
   il decreto legislativo 10 marzo 1998, n. 75 «Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Sardegna concernenti l'istituzione di zone franche» pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 81 del 7 aprile 1998 prevede:
    «1. In attuazione dell'articolo 12 dello statuto speciale per la regione Sardegna approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, e successive modificazioni, sono istituite nella regione zone franche, secondo le disposizioni di cui ai regolamenti CEE n. 2913/1992 (Consiglio) e n. 2454/1993 (Commissione), nei porti di Cagliari, Olbia, Oristano, Porto Torres, Portovesme, Arbatax ed in altri porti ed aree industriali ad essi funzionalmente collegate o collegabili.
    2. La delimitazione territoriale delle zone franche e la determinazione di ogni altra disposizione necessaria per la loro operatività viene effettuata, su proposta della regione, con separati decreti del Presidente del Consiglio dei ministri.
    3. In sede di prima applicazione la delimitazione territoriale del porto di Cagliari e quella di cui all'allegato dell'atto aggiuntivo in data 13 febbraio 1997, dell'accordo di programma dell'8 agosto 1995 sottoscritto con il Ministero dei trasporti».
   la regione Sardegna con deliberazione N. 39/30 del 26 settembre 2013 ha previsto:
    a) di proseguire e reiterare le azioni nei confronti dello Stato italiano affinché lo stesso formalizzi l'istanza all'Unione europea volta ad ottenere l'extradoganalità di tutto il territorio della Sardegna (zona franca integrale) conseguibile o con la modifica/integrazione del codice doganale europeo, aggiungendo la Sardegna agli altri territori extra-doganali individuati dallo Stato italiano, ovvero dando seguito a quanto previsto dal medesimo codice in materia di determinazione delle zone franche dove si stabilisce che «Gli Stati membri possono destinare talune parti del territorio doganale dell'Unione a zona franche per ogni zona franca, lo Stato membro stabilisce l'area interessata e i punti di entrata e di uscita»;
    b) di proporre alla Presidenza del Consiglio dei ministri, interpretando estensivamente il decreto legislativo n. 75 del 1998, un'unica perimetrazione dell'intero territorio regionale quale coincidente con i confini naturali dell'isola e delle sue isole minori circostanti;
   la regione ha chiesto all'Agenzia delle dogane e dei monopoli l'immediata attivazione della zona franca di Cagliari con gli adempimenti di competenza di cui all'articolo 3 del Reg.CE n. 2562/90 –:
   se il Governo abbia formalmente avanzato la richiesta all'Unione europea per la modifica o integrazione del codice doganale europeo, aggiungendo la Sardegna agli altri territori extra doganali individuati dallo Stato italiano;
   se la Presidenza del Consiglio abbia valutato la proposta della regione Sardegna di interpretare estensivamente il decreto legislativo n.75 del 1998 con un'unica perimetrazione dell'intero territorio regionale quale coincidente con i confini naturali dell'isola e delle sue isole minori circostanti e se, in tal senso, abbia deliberato o intenda farlo e con quali tempi;
   se l'Agenzia abbia dato riscontro alla richiesta della regione oppure quale sia l'intendimento della stessa;
   se la norma proposta dal Governo per la modifica dell'articolo 10 dello statuto della regione Sardegna necessiti di norme di attuazione specifiche. (4-06649)


   DI GIOIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   com’è noto, con la delibera n. 480 del 2014, è stato modificato il piano nazionale di assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione televisiva in tecnica digitale dvb-t;
   il 23 settembre 2014, il Consiglio dell'AGCOM ha approvato la delibera in oggetto che porterà alla chiusura di ben trentadue emittenti che operano sul versante adriatico per presunte interferenze nei confronti degli Stati confinanti;
   tale decisione è stata presa per evitare le sanzioni che l'Unione europea intendeva comminare al nostro Paese a causa dei presunti disturbi ai segnali televisivi dei Paesi comunitari confinanti con il nostro;
   la liberazione delle frequenze dovrà avvenire entro il 31 dicembre 2014, altrimenti avverrà la disattivazione coattiva degli impianti interessati;
   in base a tale provvedimento, si impedirà l'uso di alcune frequenze già assegnate a operatori di reti locali e si arriverà alla modifica delle risorse spettrali disponibili in Italia per le reti televisive locali, con il risultato che, in alcune regioni, non si consentirà più un'adeguata copertura del territorio;
   in tal modo, ad esempio, si arriverà alla chiusura di dodici delle attuali diciotto reti digitali televisive pugliesi;
   ciò comporterà non solo una limitazione del diritto al pluralismo dell'informazione ma si ripercuoterà pesantemente nei confronti dei giornalisti, dei tecnici e di tutti i dipendenti delle emittenti televisive che si ritroveranno, nel giro di pochi mesi, senza lavoro –:
   se non si ritenga necessario, stante la gravità delle conseguenze che deriveranno dall'applicazione del provvedimento, assumere iniziative, per quanto di competenza, in sede europea per far slittare il termine del 31 dicembre previsto per la disattivazione degli impianti al fine di trovare soluzioni alternative che tengano conto, non solo delle indicazioni dell'Unione europea, ma anche delle necessità delle aziende e degli operatori del settore;
   in che modo siano state accertate, da parte degli organi nazionali competenti in materia, tali interferenze e se sia stato fatto tutto il necessario al fine di verificare la possibilità di eliminare tale problema attraverso l'utilizzo di strumentazioni tecnologiche, piuttosto che attraverso le paventate chiusure delle aziende interessate;
   come si intenda intervenire per salvaguardare, in ogni caso, il lavoro e la sopravvivenza delle emittenti televisive che svolgono un effettivo ruolo informativo e, conseguentemente, un servizio utile al territorio, tenendo conto, oltretutto, che alle emittenti che rischiano la chiusura erano stati assegnati diritti d'uso di durata ventennale. (4-06650)


   AGOSTINELLI e FERRARESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 120 del decreto legislativo n. 163 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni (codice dei contratti), prevede, al comma 2-bis che «per i contratti relativi a lavori, servizi e forniture, l'affidamento dell'incarico di collaudo o di verifica di conformità, in quanto attività propria delle stazioni appaltanti, è conferito dalle stesse, a propri dipendenti o a dipendenti di amministrazioni aggiudicatrici, con elevata e specifica qualificazione in riferimento all'oggetto del contratto, alla complessità e all'importo delle prestazioni, sulla base di criteri da fissare preventivamente, nel rispetto dei princìpi di rotazione e trasparenza; il provvedimento che affida l'incarico a dipendenti della stazione appaltante o di amministrazioni aggiudicatrici motiva la scelta, indicando gli specifici requisiti di competenza ed esperienza, desunti dal curriculum dell'interessato e da ogni altro elemento in possesso dell'amministrazione...»;
   l'articolo 216 del decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010 (regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163), prevede, al comma 7, alcuni divieti di affidamento di incarichi di collaudo;
   a far data dal 1o ottobre 2012 – in attuazione dell'articolo 36 della legge n. 111 del 2011 e successive modificazioni e integrazioni – le funzioni di soggetto concedente, al quale spetta tra l'altro la nomina delle commissioni di collaudo sulla rete autostradale a pedaggio, sono state trasferite dall'ANAS S.p.A. al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – struttura di vigilanza sulle concessionarie autostradali diretta dall'architetto Mauro Coletta –:
   quale sia l'elenco dei collaudatori nominati a far data dal 1o ottobre 2012 per le opere realizzate dalle società concessionarie autostradali, con specifica indicazione del ruolo istituzionale ricoperto dagli stessi;
   quali siano i criteri utilizzati dalla struttura di vigilanza sulle concessionarie autostradali nella scelta dei collaudatori nel rispetto dei princìpi di rotazione e trasparenza richiamati dall'articolo 120 del codice dei contratti e delle prescrizioni richiamate dall'articolo 216 del regolamento;
   se risulti che siano state rispettate le procedure previste dalle norme precitate ed, in caso contrario, se siano state individuate eventuali responsabilità e quali provvedimenti abbiano assunto o intendano assumere. (4-06654)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la commissione tributaria del Gran Consiglio del Canton Ticino ha disposto, nei giorni scorsi, l'aumento del moltiplicatore comunale per il calcolo delle imposte alla fonte dei lavoratori frontalieri italiani occupati in Svizzera, passando dall'attuale 78 per cento al 100 per cento;
   il campo di applicazione di tale disposizione si applicherà ai detentori del permesso G, mentre verranno esclusi i residenti con permesso B (dimoranti) e frontalieri che fanno rientro settimanalmente;
   alla luce di tale disposizione l'eventuale aumento interesserebbe tutti i lavoratori italiani transfrontalieri che fanno quotidianamente ritorno al proprio domicilio in Italia, che nel solo Canton Ticino sono oltre 56.000;
   la misura fiscale proposta non sembra all'interrogante rispettare il principio della parità di trattamento tra residenti in Svizzera e lavoratori residenti all'estero sancita dall'ordinamento giuridico elvetico –:
   se la misura fiscale proposta sia conforme all'accordo tra la Svizzera e l'Italia relativo all'imposizione sui lavoratori frontalieri e alla compensazione finanziaria a favore dei comuni italiani di confine, concluso il 3 ottobre 1974 tra il Governo della Repubblica italiana e il Consiglio federale svizzero, e sue successive integrazioni e modificazioni.
(2-00733) «Borghi».

Interrogazione a risposta scritta:


   DI BATTISTA, GRILLO, LOREFICE, COZZOLINO, BRESCIA, SIBILIA, FICO e LUIGI GALLO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la virosi umana da Ebola è una malattia che ha superato la soglia dei 10.000 casi umani nel West Africa, stando alle informazioni giornalistiche dell'ultima settimana;
   i casi riportati negli USA e in Europa sono di «importazione» da pazienti contagiati nel West Africa, tranne un caso di passaggio uomo/uomo solo negli USA avvenuto perché i protocolli di sicurezza dell'ospedale di Dallas sono stati piuttosto superficiali;
   le procedure di quarantena per persone a rischio di contagio Ebola devono esser continuate per almeno 20 giorni ed inoltre è accertato che la contagiosità, ad esempio del liquido seminale, è più persistente di tre settimane;
   le procedure italiane di cosiddetta quarantena obbediscono a protocolli, per quanto è dato sapere, di consensus sulla casistica mondiale; nulla è dato di sapere sulle procedure degli USA e del personale militare degli USA;
   dal Messaggero online del 27 settembre 2014 si apprende che «Un gruppo di soldati americani di rientro dalla Liberia, uno dei Paesi dell'Africa occidentale colpiti dall'epidemia di Ebola, sono posti in isolamento in Italia. Lo riferiscono Cnn e Cbs News. I soldati, riferisce la Cnn, dovranno rimanere nella base militare americana di Vicenza, per 21 giorni, dove saranno monitorati, senza possibilità di contatto con le famiglie. Il Pentagono sostiene che si tratta di una precauzione»;
   il Mattino di Padova lo stesso giorno scrive: «Undici soldati statunitensi di ritorno dalla Liberia sono stati messi in isolamento a Vicenza. Lo riferisce il corrispondente di Cbs News David Martin. La Liberia è uno dei tre Paesi dell'Africa occidentale maggiormente colpiti dall'epidemia del virus. Tra i soldati sotto osservazione, scrive Cbs, anche il maggiore generale Darryl Williams. Secondo la Cnn i soldati dovranno rimanere isolati nella base militare americana per 21 giorni, dove saranno monitorati, senza possibilità di contatto con le famiglie. Il Pentagono sostiene che si tratta di una precauzione. Quando l'aereo con a bordo il generale Darryl Williams e gli altri 10 soldati è atterrato a Vicenza, i passeggeri sono stati accolti da militari italiani che «indossavano tute anticontaminazione». La stessa procedura sarà seguita al rientro del resto del contingente la settimana prossima. Ambasciata americana: «Nessun contatto con malattia». L'ambasciata americana a Roma ha confermato che un gruppo di soldati americani di rientro dalla Liberia si trova in isolamento nella base Usa di Vicenza, ma ha precisato che «il rischio potenziale di infezione è basso», dal momento che «in Liberia i militari non hanno avuto contatto con persone contagiate dal virus». Il sindaco Variati: «Nessuno presenta sintomi». «Il Prefetto e le autorità militari americane mi hanno assicurato che tutti i militari tornati dall'Africa sono sani. Nessuno di loro presenta i sintomi dell'Ebola. Tutti sono comunque costantemente monitorati, come stabilito dal rigido protocollo ministeriale». Lo afferma il sindaco di Vicenza Achille Variati, nel suo ruolo di autorità sanitaria locale. Il primo cittadino ha quindi aggiunto che tutti i militari rientrati «sono comunque costantemente monitorati, come stabilito dal rigido protocollo ministeriale». La Regione: «Pronti a collaborare». La Regione Veneto segue con attenzione la situazione dei militari Usa e si dice pronta a collaborare sul piano sanitario, «se l'ambasciata o l'esercito americano» lo richiederanno. Lo precisa l'assessore alla sanità, Luca Coletto, ricordando che la base Setaf è da ritenersi a tutti gli effetti territorio americano. «Siamo disponibili a dare tutto l'aiuto delle nostre strutture mediche altamente specializzate – aggiunge Coletto – a tutela sia dei militari americani di stanza alla base sia dei cittadini veneti che risiedono nella città». Coletto ha ricordato che la Regione Veneto ha già attivato dal 1o settembre scorso un protocollo di intervento per fronteggiare ipotetici casi di contagio da Ebola, e sta lavorando per accreditare come struttura nazionale di riferimento, dopo gli ospedali «Sacco» e «Spallanzani», anche i laboratori di microbiologia e virologia dell'ospedale universitario di Padova;
   non è nota l'idoneità delle tute di decontaminazione e l'addestramento specifico dei militari italiani di stanza all'aeroporto di Vicenza;
   per quanto è noto la base americana di Vicenza non ha un proprio ospedale con unità infettivologica disponibile;
   è invece ben nota in Europa la presenza di un grande ospedale americano in una base in Germania, per la precisione a Ramstein;
   non è nota, in caso di patologia sospetta di un militare americano, se il ricovero del paziente debba avvenire in loco nella base militare di Vicenza o in Italia o all'estero;
   l'atterraggio di soldati USA a Vicenza, ad avviso degli interroganti, non è stato dettato da ragioni etiche umanitarie, connesse al fatto che uno o più militari fossero stati colpiti da Ebola, di modo che mezz'ora di volo in più per Ramstein o 6 ore in più da Monrovia verso gli USA potessero dar luogo a un peggioramento delle condizioni del paziente –:
   se il Governo non intenda fare un formale e forte passo diplomatico verso gli USA affinché i militari americani reduci dal West Africa in quarantena passino detto periodo nel loro Paese, dotato, tra l'altro, di ospedali militari all'avanguardia nel mondo, oppure nell'ospedale militare di Ramstein in Germania;
   dove avverrebbero i ricoveri, ove si riscontrassero eventuali casi di Ebola tra i soggiornanti militari americani in quarantena a Vicenza;
   se i militari italiani all'aeroporto di Vicenza siano stati addestrati specificamente sul rischio Ebola; se siano stati dotati di protocolli e di attrezzature idonee; se siano state approntate le disposizioni di sanitizzazione delle strutture venute a contatto coi soldati USA;
   se risulti che vi sia l'intenzione di adibire la base di Vicenza a presidio destinato a militari americani in quarantena provenienti dal West Africa. (4-06655)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   NICCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 14 ottobre 2014 un nubifragio di forte intensità ha colpito l'area tra Manciano, Saturnia, Marsiliana e zona Polverosa di Albinia nei comuni di Manciano, Magliano in Toscana e Orbetello. I pluviometri di Marsiliana, Semproniano e Sorano hanno registrato cumulati fino a 120-130 mm in due ore;
   l'evento ha causato due vittime. La tragedia si è verificata fra Albinia e Manciano, dove durante l'alluvione del 2012 erano morte altre tre persone;
   la bomba d'acqua abbattutasi nella parte meridionale della provincia di Grosseto ha provocato allagamenti di case, attività artigianali, cooperative agricole, poderi isolati e auto bloccate su strade sommerse dall'esondazione dei corsi d'acqua. Nella zona tra Albinia e Manciano sono dovuti anche intervenire i tecnici del soccorso alpino e speleologico toscano;
   nel comune di Orbetello sono state evacuate 50 persone, il fango ha invaso anche le terme di Saturnia;
   sono state evacuate numerose famiglie ad Albinia, già devastata dall'alluvione del 2012; il nubifragio ha causato danneggiamenti rilevanti al tessuto viario, alle abitazioni e le aziende;
   i danni ammontano ad oltre 20 milioni di euro. La regione Toscana stima in 2 milioni e mezzo i danni subiti dal reticolo idraulico, la provincia di Grosseto in 3 milioni e 100.000 quelli alle strade regionali e provinciali. Solo nel comune di Manciano il sindaco indica almeno 5 milioni di danni, per Orbetello si parla di due milioni –:
   se il Governo non intenda esentare, e non solo ammettere al rinvio, gli alluvionati dal pagamento delle tasse;
   se il Governo non intenda comunicare a che punto è l’iter per l'indennizzo in merito alle scorte agricole andate perse a seguito dell'alluvione di due anni fa, e a che punto siano i finanziamenti a distanza di due anni dall'alluvione del novembre 2012;
   se il Governo possa fornire chiarimenti in merito al perché il new jersey sull'Aurelia non è stato totalmente rimosso davanti all'abitato di Albinia fino a Patanella;
   se il Governo non intenda verificare a che punto sono la progettazione e i finanziamenti delle opere di trasparenza della linea ferroviaria e dell'Aurelia che dovrebbero garantire, secondo l'accordo regione-Anas-Ferrovia del luglio 2014, il deflusso delle acque dall'interno verso il mare evitando l'effetto tappo/ristagno;
   quali azioni il Governo intenda intraprendere alla luce del fatto che nel giro di due anni l'episodio si è verificato di nuovo e che l'evento, quindi, non è più «cinquecentennale»; se Ferrovie dello Stato debba comunque valutare la costruzione di un nuovo ponte sull'Albegna in sostituzione dell'esistente;
   se il Governo non intenda far coincidere il sedime dell'autostrada tirrenica con l'argine della cassa di colma da realizzarsi vicino all'abitato di Albinia (come da dichiarazioni del presidente Enrico Rossi dell'agosto 2013). (3-01129)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   BORGHI, SCUVERA, REALACCI e FERRARI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il sito di interesse nazionale (SIN) presente nel comune di Broni, in provincia di Pavia, è stato riconosciuto nel 2002 per la presenza dell'area dismessa «ex Fibronit»;
   in tale area sorgeva la Cementifera Italiana Fibronit spa (in seguito Fibronit spa, poi finanziaria Fibronit spa), già produttrice di cemento fin dal 1919 e che, nel 1932, avviava la lavorazione dell'amianto, mantenendola fino al giugno del 1993, anno nel quale ne fu inibita la produzione ai sensi della legge n. 257 del 1992 che dettava le «Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto», con specifica deroga che consentiva la produzione di tubi e lastre fino al 1994. Si osserva che la produzione a base di cemento-amianto della Fibronit riguardava principalmente tubi, lastre di copertura e pezzi speciali (camini, curve colmi e altro);
   la finanziaria Fibronit spa aveva costituito un ramo d'azienda per la produzione di tubi in fibrocemento c.p.c. sistema Ecored (senza amianto) che si insediò nella precedente azienda, quindi in locali ed ambienti inquinati da amianto; il ramo d'azienda verme poi ceduto nel 1998 dalla stessa finanziaria Fibronit spa, allora in liquidazione, insieme ai prodotti finiti, alle merci e alle rimanenze di magazzino, ai macchinari e a parte degli immobili e dell'area (per un totale di circa 3,5 ettari) alla Ecored spa, appositamente costituita (pertanto l'area ex Fibronit comprende anche l'area ex Ecored);
   il suddetto sito di interesse nazionale è l'unico, dislocato in Lombardia, inquinato da amianto. L'area ha un'estensione di circa 13,5 ettari, di cui il 35 per cento è coperto da capannoni e da uffici, mentre la parte residua, adibita a piazzale, è pavimentata quasi totalmente (cls/asfalto). Originariamente circondata dalla zona agricola, dista soltanto circa 600 metri dal centro storico di Broni, che rappresenta ancora oggi il nucleo con più elevata densità abitativa. Negli anni, l'insediamento è stato raggiunto dall'espansione residenziale ed artigianale e dal censimento effettuato dal comune medesimo risulta che le coperture in amianto hanno una superficie complessiva di circa 150.000 metri quadrati di cui circa 1.000 metri quadrati sono coperture di edifici pubblici, tra cui anche scuole;
   l'esposizione ad amianto comporta l'insorgere nelle persone esposte delle cosiddette patologie asbesto-correlate che si manifestano sotto forma di mesotelioma (tumore al polmone, alla laringe, all'ovaio e altro), come anche accertato dalla sentenza del 13 febbraio 2012 con cui il tribunale di Torino condannava i vertici della multinazionale elvetica Eternit. Broni è l'area con il più alto numero di decessi per mesotelioma rispetto al numero di abitanti in Italia, patologia che colpisce anche i soggetti non esposti per motivi professionali;
   le operazioni di bonifica programmate finora hanno determinato il completamento della sola messa in sicurezza di emergenza del sito (MISE), senza procedere alla effettiva bonifica dell'ambiente inquinato; scrive Lorenzo Bordoni nel suo Reportage «Broni, l'amianto killer» del 2011: «L'azienda si chiamava Fibronit, sorge a pochi passi dal centro di Broni e ha cambiato insegna vent'anni fa. Ma continua a fare strage: prima degli operai che si riempivano i polmoni di polvere d'amianto, poi delle loro mogli che lavavano i panni da lavoro, oggi dei loro figli. Quaranta morti all'anno, perché in quello stabilimento ci sono ancora trecentomila metri quadri da bonificare»;
   eppure la messa al bando dell'amianto di cui alla citata legge n. 257 del 1992 imponeva l'immediata bonifica del sito; tuttavia, a causa delle gravi carenze tecniche riscontrate, il progetto di bonifica ambientale, proposto più volte dalla finanziaria Fibronit all'amministrazione comunale, è stato sempre respinto dagli organi di controllo. Pertanto dal 1994 al 2000 non è stata operata alcuna operazione di bonifica;
   nel gennaio 2002 il comune di Broni ha attivato i poteri sostitutivi nei confronti dei soggetti obbligati inadempienti, ai sensi del decreto legislativo n. 22 del 1997, e nel maggio 2002, ha affidato l'incarico per l'esecuzione del progetto preliminare di messa in sicurezza e smaltimento dei rifiuti contenenti amianto;
   ad oggi, sono stati complessivamente concessi e/o assentiti per le operazioni di bonifica 7.054.872 euro, di cui 1.382.145 euro dalla regione Lombardia e 5.572,727 euro dal Ministero competente; con tali finanziamenti sono stati realizzati interventi, relativi alla messa in sicurezza del sito, alla bonifica e allo smaltimento e, in particolare, dal 2002 al 2006 è stato effettuato il piano di caratterizzazione dell'area ex Fibronit e sono stati realizzati i relativi interventi di messa in sicurezza, consistenti nello smaltimento dei rifiuti e dei materiali contenenti amianto giacenti sui piazzali nonché di altri materiali pericolosi; complessivamente sono state smaltite 1.418 tonnellate di manufatti contaminati da amianto e 100 tonnellate di fanghi;
   nel 2009 la ditta Sadi Servizi Industriali SpA ha eseguito i lavori per la messa in sicurezza di emergenza, con il conseguente smaltimento di 27,4 tonnellate di materiali contaminati da amianto e 18,7 tonnellate di ferro e acciaio;
   sempre nel 2009 il comune di Broni ha acquisito a costo zero l'area ex Fibronit e l'area ex Ecored, che sono ancora oggi di proprietà dell'amministrazione che non ha ancora definito la destinazione dell'area;
   nel 2010 è stato presentato ed approvato il progetto della messa in sicurezza dell'intero sito ed è stato emanato il bando d'appalto per l'assegnazione dei lavori, consegnati alle imprese vincitrici nel luglio 2011 da Bronistradella spa, società partecipata dal comune di Broni, che gestisce l'attività di bonifica; sono, dunque, partiti i lavori relativi alla messa in sicurezza d'emergenza dell'intero sito e alla bonifica del primo lotto dell'area ex Fibronit ex Ecored;
   quindi, ad oggi, sono state poste in essere diverse attività, sia per la messa in sicurezza, attraverso misure per il contenimento del rischio di diffusione delle fibre d'amianto nell'ambiente, sia per l'avvio del primo stralcio di bonifica dei capannoni industriali; detti lavori hanno generato 2400 tonnellate di rifiuti pericolosi, 800 tonnellate di rifiuti non pericolosi, 800 tonnellate di altri rifiuti e 1500 tonnellate di materiali ferrosi;
   una stima aggiornata dei costi per il completamento delle operazioni di bonifica (escluso lo smaltimento) comprensivi del monitoraggio ambientale periodico e delle valutazioni epidemiologiche ammonterebbe ad euro 21.174.872; pertanto le risorse da reperire ammontano a oltre 14 milioni di euro;
   la gravità della situazione rende necessario «sbloccare» tali finanziamenti e procedere alla valutazione istruttoria della variante giacente al Ministero nel più breve tempo possibile: la messa in sicurezza di emergenza, infatti, è un intervento «tampone», ma il lavoro di bonifica deve proseguire; peraltro si stima che la preventiva messa in sicurezza dell'intero sito, senza procedere direttamente alla bonifica, abbia prodotto un aumento di costi almeno del 30-40 per cento rispetto all'intervento immediato di bonifica;
   il 25 marzo 2013 il sindaco di Broni con i gruppi consiliari di tutte le forze politiche e le associazioni ambientaliste ha chiesto con forza al presidente della regione Lombardia e all'assessore regionale all'ambiente, nelle more del finanziamento statale, di stanziare le necessarie risorse per finanziare la bonifica Fibronit; in particolare l'amministrazione locale scrive che «è ormai riconosciuta la grave situazione sanitaria locale caratterizzata da un costante aumento delle vittime di malattie asbesto correlate, che hanno colpito non soltanto gli ex lavoratori (circa 3.800 tra uomini e donne) e i loro familiari, direttamente o indirettamente a contatto con la fonte di inquinamento, ma colpiscono in questi ultimi tempi cittadini che hanno soltanto la colpa di aver respirato all'epoca della produzione l'aria di Broni»;
   infatti, la dispersione di fibre legata alla produzione di manufatti, particolarmente forte negli anni settanta, ha provocato un gravissimo inquinamento ambientale e la conseguente mortalità si sta verificando dopo 35-40 anni, come spiegato dalla letteratura medica. Nel quaderno del Ministero della salute n. 15 del maggio-giugno 2012, il tasso grezzo di incidenza per 100.000 abitanti di mesotelioma pleurico osservato a Broni è di 82,02, addirittura superiore a quello di Casale Monferrato;
   nonostante le continue istanze delle amministrazioni locali che si sono succedute, delle associazioni ambientaliste e dei cittadini, la bonifica non è proseguita per la mancanza di fondi, mentre si sceglie un percorso di sviluppo del territorio basato su opere faraoniche – come l'autostrada Broni-Mortara – che continua a deprimere le potenzialità turistiche e le bellezze paesaggistiche dell'Oltrepò pavese, aggravandone l'inquinamento e danneggiando il tessuto socio-economico e, in particolare, l'impresa agricola –:
   quale sia lo stadio dell'istruttoria di approvazione della variante di progetto che consentirebbe lo sblocco di euro 800.000 coi quali il comune di Broni potrebbe dare l'avvio effettivo della bonifica; quali siano i motivi del ritardo dei finanziamenti per ultimare la bonifica e se il Governo non intenda individuare urgentemente, e rendere immediatamente disponibili, adeguate risorse economiche che consentano di ultimare la bonifica del sito di interesse nazionale ex Fibronit insistente a Broni. (5-03901)


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 26 e il 27 settembre un incendio di vaste proporzioni si è sviluppato all'interno della raffineria Mediterranea di Milazzo, in provincia di Messina. In particolare, l'evento ha riguardato un deposito che conteneva circa un milione di litri di carburante;
   l'incendio, durato circa 12 ore, ha rilasciato, anche dopo esser stato domato, una vasta nube nera che sta interessando tutti i territori limitrofi della Valle del Mela;
   sebbene tale disastro non abbia portato alla morte o al ferimento di alcuno, vi è, dunque, il fondato timore che gravi ripercussioni di carattere ambientale, con evidenti ricadute sulla salute delle popolazioni locali, a breve e a lungo termine;
   diventa sempre più a rilevante la necessità di un vero e proprio coordinamento tra Stato, regione, provincia ed enti locali, al fine di individuare gli opportuni strumenti preventivi a tutela dell'ambiente e della salute pubblica;
   già negli anni passati, si è evidenziato un problema ambientale, sempre legato alla salute degli abitanti, così come attesta il decreto regionale del 4 settembre 2002 che ha definito la Valle del Mela «Area ad alto rischio ambientale» e come è confermato dall'Oms che attesta l'aumento di malattie cardio-circolatorie e di tumori –:
   di quali informazioni il Ministro interrogato sia in possesso circa i danni ambientali prodotti dall'incendio sviluppatosi nella raffineria mediterranea di Milazzo e se non ritenga opportuno intraprendere azioni di rilevamento, a medio e lungo termine, dei livelli d'inquinamento ambientale a Milazzo e nelle aree limitrofe, presenti nell'aria, nel sottosuolo e in mare al fine di approntare strumenti idonei a prevenire l'eventuale esposizione della popolazione residente ad emissioni e ad inquinanti atmosferici derivanti dai cicli produttivi della raffineria procedendo eventualmente ad un riesame radicale delle autorizzazioni integrate ambientali, finora rilasciate alla medesima azienda. (5-03902)


   DORINA BIANCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 2010 sono stati stanziati 220 milioni di euro che avrebbero dovuto finanziare oltre 180 interventi urgenti di difesa del suolo e mitigazione del rischio idrogeologico nella regione Calabria;
   di questi progetti, come riportato da organi di stampa, sembra che solo due siano stati effettivamente avviati, a dimostrazione che in Calabria il problema non è di risorse disponibili, ma di come utilizzarle;
   al fine di utilizzare al meglio le risorse finanziarie, occorrono tempi certi con un sistema di regole chiare e trasparenti, oltre ad una attenta valutazione sull'efficacia ambientale degli interventi;
   in Calabria è stato da poco nominato il commissario per la mitigazione del rischio idrogeologico –:
   cosa intenda fare il Governo affinché, insieme al commissario da poco nominato, si rendano immediatamente utilizzabili le risorse già stanziate a favore della messa in sicurezza e della prevenzione del rischio idrogeologico del territorio calabrese.
(5-03903)


   PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   le Dolomiti, anche dette Monti pallidi, sono un insieme di gruppi montuosi delle Alpi Orientali italiane, comprese tra le province di Belluno (sul cui territorio è situata la maggior parte dei gruppi dolomitici), Bolzano, Trento, Udine e Pordenone;
   nel 1988 vi è stato istituito il Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi;
   il 26 giugno 2009 il Comitato esecutivo della Convenzione sul patrimonio materiale dell'umanità dell'UNESCO, riunita a Siviglia, ha dichiarato le Dolomiti Patrimonio dell'Umanità;
   in data 21 febbraio 2011, Terna spa, presentava un progetto, denominato di «Razionalizzazione e sviluppo della Rete di Trasmissione Nazionale (RTN) nella media valle del Piave», tale progetto interessa il territorio dei comuni di Belluno, Ponte nelle Alpi, Soverzene, Longarone, Castellavazzo, Ospitale di Cadore e Perarolo di Cadore;
   tale progetto, che prevede tralicci alti 60 metri, sfregia pesantemente sul grande paesaggio delle Dolomiti interferendo indirettamente su due siti seriali delle Dolomiti Bellunesi-Feltrine e delle Dolomiti Friulane, tra i nove che compongono il sito UNESCO;
   il progetto mutando in maniera incisiva il rapporto con l'ecosistema, rientra tra quelli soggetti a VIA nazionale, e deve essere sottoposto a Valutazione d'Incidenza in considerazione degli impatti sulle finalità di conservazione dei siti classificati di importanza comunitaria per la protezione dell’habitat naturale e designati come zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici;
   riguardando la costruzione di elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell'energia elettrica, le opere sono soggette ad autorizzazione rilasciata, nel procedimento unico, dal Ministero dello sviluppo economico di concerto col Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa con la regione del Veneto;
   tale progetto di Terna spa, nel bellunese, è parte di un più ampio progetto, fortemente datato, che prevede la realizzazione della linea internazionale ad alta ed altissima tensione (380 kV, con estensione a 400-500 kV) tra Italia ed Austria, denominata «Cordignano-Lienz»;
   a tal proposito va ricordato che:
    in data 24 giugno 2003 il consiglio regionale del Veneto ha approvato la risoluzione n. 58 «Elettrodotto Lienz-Cordignano-Venezia: difesa delle competenze regionali in materia di tutela della salute dei cittadini e salvaguardia dell'ambiente»; che impegna la giunta regionale: a rendere parere negativo su ogni atto relativo alla realizzazione dell'elettrodotto Cordignano-Lienz e ad intraprendere tutte le iniziative necessarie ad impedirne la realizzazione; ad opporsi all'imposizione di vincoli e servitù derivanti da nuove linee elettriche ed in particolare alla costruzione della nuova linea a 380 KV Cordignano-Lienz, già programmata tra quelle «a preminente interesse nazionale»;
    in data 16 giugno 2009 la regione del Veneto ha emesso il parere n. 50 della commissione regionale VAS, in relazione al «Rapporto Ambientale del Piano di Sviluppo RNT 2009», osservando che «Per quanto riguarda il “Volume Veneto” del Rapporto Ambientale al Piano di Sviluppo RNT 2009, lo stesso non appare come Piano organico omogeneo, ma piuttosto quale somma di interventi puntuali da sottoporre a procedura VIA, qualora rientrino nelle previsioni di legge»;
    rispetto poi al progetto denominato di «Razionalizzazione e sviluppo della Rete di Trasmissione Nazionale (RTN) nella media valle del Piave», presentato da Terna spa il 21 febbraio 2011, la Commissione tecnica ministeriale di verifica dell'impatto ambientale – VIA e VAS, comunicava con nota CTVA-2012-0003924 del 30 ottobre 2012 come fosse, in sede progettuale, necessario affrontare alcuni approfondimenti in particolare: approfondire l'analisi dell’«Opzione Zero», effettuare l'analisi e il confronto tra tracciati progettuali in relazione all'interferenza diretta con siti natura 2000, verificare il progetto in relazione alla prevista autostrada (A27), analizzare e verificare le possibili soluzioni progettuali al fine di ridurre gli attraversamenti del fiume Piave, verificare, analizzare e confrontare soluzioni progettuali migliorative, anche in riferimento alle abitazioni esistenti lungo il tracciato in merito all'interferenza con il biotopo Pra dei Santi;
    in data 30 marzo 2012 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha espresso il parere n. 900 relativo alla VAS del «Piano di Sviluppo della rete elettrica di trasmissione nazionale del 2011», elaborato da Terna, il quale mette in luce che «Terna non ha mai sviluppato la valutazione delle alternative per nessun intervento e a nessun livello di valutazione»;
    in data 13 marzo 2014 il consiglio comunale di Limana (BL) con deliberazione n. 1 avente ad oggetto: progetto Terna Rete Italia spa con sede in Roma denominato: «Razionalizzazione e sviluppo della rete di trasmissione nazionale (RTN) nella media valle del Piave» con la presentazione di integrazioni progettuali da parte di Terna per la procedura di valutazione di impatto ambientale: osservazioni del comune di Limana, ha approvato all'unanimità le «Osservazioni» dei consulenti che hanno dimostrato la non compatibilità ambientale di detto progetto di Terna;
    in data 12 giugno 2014 il consiglio comunale di Belluno ha deliberato di impegnare il sindaco e la giunta a: esprimere netta contrarietà all'operato di Terna spa; chiedere che vengano sospese da subito le procedure di VIA regionale e nazionale del progetto di Terna; chiedere che venga approntata la revisione totale del progetto di Terna; dare prioritaria ed immediata risoluzione del risanamento delle attuali criticità sanitarie ed ambientali...; ottenere la totale eliminazione dal progetto... l'ipotesi di armatura a 380 kV in tutto il territorio del comune di Belluno; istituire, con il coordinamento del comune capoluogo ... al fine di procedere, nel nuovo iter procedurale...;
    in data 12 giugno 2014 il consiglio regionale del Veneto, impegna la giunta regionale a: sospendere da subito la procedura di valutazione di impatto ambientale del progetto di Terna denominato «Razionalizzazione e sviluppo della Rete di Trasmissione Nazionale (RTN) nella media valle del Piave», per approntare una revisione totale del progetto, alla luce delle recenti evoluzioni tecnologiche, del cambiamento della domanda di energia e delle nuove modalità di gestione delle reti che vedono nelle smart grids un'innovativa soluzione; istituire una commissione tecnica mista regione Veneto-Terna per verificare le criticità della rete elettrica esistente e quella in progetto nel Veneto, come base per definire un possibile accordo quadro tra i due soggetti; approntare una strategia di sviluppo sostenibile delle infrastrutture elettriche che adottino le migliori tecniche possibili, siano ad alta efficienza energetica e al minore impatto ambientale –:
   come intenda intervenire per scongiurare la realizzazione di un progetto che, oramai datato e non più corrispondente alle moderne tecnologie, con diverse deliberazioni e pareri, fin dal 2003, è stato totalmente respinto dalla regione Veneto e dalle amministrazioni locali per la sua non compatibilità ambientale e paesaggistica e il suo pesantissimo impatto su un'area ove è stato istituito un Parco naturale nazionale, e sul paesaggio delle Dolomiti, uno dei territori più conosciuti, rinomati e amati del nostro Paese e, dal 26 giugno 2009, dichiarato «Patrimonio dell'Umanità» dall'UNESCO. (5-03904)


   MICILLO, BUSTO, DE ROSA, DAGA, MANNINO, TERZONI, SEGONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto dirigenziale n. 1415 del 9 ottobre 2014 - Dipartimento 52 - dipartimento della salute e delle risorse naturali direzione generale 5 - direzione generale per l'ambiente e l'ecosistema U.O.D. 17 - UOD Autorizzazioni e rifiuti ambientali di Napoli, regolarmente pubblicato sul BURC, contiene una approvazione del progetto dell'ampliamento dell'impianto di trattamento del percolato da discarica ubicato in via Viaticale, località Masseria Riconta – (conosciuto anche come «Cava Riconta») –, nel comune di Villaricca. Si prevede inoltre che la realizzazione di tale impianto debba essere realizzata entro 18 mesi dalla autorizzazione e la conformità al progetto;
   lo sversatoio di Cava Riconta, a Villaricca, chiuso ormai da diversi anni, è stato utilizzato nel 2007 per volontà di Guido Bertolaso, all'epoca commissario all'emergenza rifiuti in Campania;
   l'impianto in oggetto è stato spesso sotto la luce dei riflettori per le continue irregolarità registrate nel corso degli anni quali l'esplosione di percolato che si è registrata nel 2007, in costanza di commissariamento statale, e che si è tradotta nella formazione di un Geyser dell'altezza di quasi 10 metri e la puzza nauseabonda che ogni giorno si sprigiona dall'invaso e che arriva fino al comune di Qualiano;
   quando la struttura è stata costruita è stato assicurato ai cittadini che l'impianto sarebbe stato gestito a norma di legge, salvo scoprire, pochi mesi dopo la messa in funzione, che una ingente quantità di percolato invadeva (e invade tutt'ora) il bacino della cava; un angolo della discarica, ad oggi, accoglie ancora un lago colmo di percolato;
   l'impianto attuale si presenta ancora privo di adeguata copertura dell'invaso della cava il quale è stato per tutti questi anni, ed è tuttora, a cielo aperto. Nelle condizioni in cui si trova attualmente l'impianto, anche una semplice pioggia accentua la produzione di percolato che fuoriesce dall'invaso. Infatti la produzione di percolato varia fortemente in funzione della meteorologia del luogo. La pioggia, in particolare, aumenta la volumetria del percolato. Un impianto per il trattamento del percolato deve essere dotato di una struttura idonea a coprire il materiale da trattare (tecnicamente si parla di «capping»), tali da impedire all'acqua di entrare a contatto con il rifiuto. In questo sito non sono stati mai realizzati gli interventi necessari a gestire a norma la lunga fase successiva agli sversamenti;
   l'impianto che si vuole costruire appare in contrasto con il decreto-legge n. 61 del 2007, che vieta la costruzione di nuovi impianti per il trattamento dei rifiuti nell'area circostante la discarica di Cava Riconta, senza prima aver effettuato il piano di bonifica. Infatti il decreto-legge 11 maggio 2007, n. 61 recante «Interventi straordinari per superare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e per garantire l'esercizio dei propri poteri agli enti ordinariamente competenti» convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 2007, n. 87 (in Gazzetta Ufficiale 7 luglio 2007, n. 156), al comma 1, dell'articolo 3 recante «Divieto di localizzazione di nuovi siti di smaltimento finale di rifiuti» prevede che «1. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto ed in assenza di interventi di riqualificazione o di opere di bonifica nel territorio dell'area «Flegrea» – ricompresa nei comuni di Giugliano in Campania, Villaricca, Qualiano e Quarto in provincia di Napoli, per il territorio contermine a quello della discarica «Masseria Riconta» – e nelle aree protette e nei siti di bonifica di interesse nazionale, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 1, comma 1, non possono essere localizzati ulteriori siti di smaltimento finale di rifiuti;
   oggetto di un siffatto provvedimento è un'area che avrebbe dovuto essere oggetto di una bonifica ad hoc, bonifica che non è mai stata eseguita –:
   se il Ministro interrogato ritenga opportuno disporre l'intervento del comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.) dell'arma dei carabinieri ai sensi dell'articolo 195, comma 5 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 al fine di accertare l'esistenza o il grave rischio di danno ambientale per i motivi sopra esposti, se del caso, verificando ulteriormente se siano mai stati posti in essere interventi di messa in sicurezza o bonifica e ripristino ambientale nell'area Flegrea di cui al decreto-legge 11 maggio 2007, n. 61 che rappresenta il presupposto ex lege per la realizzazione di nuovi impianti di smaltimento e trattamento dei rifiuti. (5-03905)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, SEGONI, TERZONI, VIGNAROLI, ZOLEZZI, CANCELLERI, CURRÒ, DI BENEDETTO, DI VITA, D'UVA, GRILLO, LOREFICE, LUPO, MARZANA, NUTI, RIZZO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con interpellanza n. 2-00643 del 25 luglio 2014 — ancora pendente — è stato chiesto al Ministro dell'ambiente della tutela del territorio e del mare e al Ministro della salute quali informazioni disponessero in merito alla vertenza tra i vertici dell'ENI e le rappresentanze sindacali sul destino degli impianti di Gela, e in che modo intendessero rappresentare – all'interno del confronto avviatosi in quei giorni tra le parti sociali – la necessità di gestire e porre fine alla gravissima situazione ambientale nella Piana di Gela;
   secondo notizie comparse sugli organi di stampa risulta che il 21 ottobre 2014, ad esito di una riunione tenutasi presso il Ministero dello sviluppo economico, i vertici dell'ENI e le rappresentanze sindacali hanno sottoscritto un verbale con l'indicazione delle questioni rispetto alle quali dovrà andare avanti il confronto tra le parti, che sono le seguenti:
    a) salvaguardia dei livelli occupazionali;
    b) definizione analitica del piano industriale dell'Eni su bio-raffinazione, sostenibilità ambientale e politica di sviluppo delle ricerche di petrolio e metano in Sicilia;
    c) intensificazione delle attività di bonifica del territorio;
    d) salvaguardia delle prospettive produttive e occupazionali nell'indotto di Gela e utilizzo degli strumenti di sostegno al reddito e delle attività di formazione e riqualificazione nel periodo di transizione;
    e) accelerazione delle autorizzazioni alla ricerca e allo sfruttamento di nuovi giacimenti;
    f) corrette compensazioni in favore del territorio di Gela per una riqualificazione produttiva, urbana e culturale;
   sempre secondo le ricostruzioni degli organi di stampa, l'ENI presenterà entro 15 giorni il nuovo Piano industriale per la riconversione degli impianti con un investimento di 2,2 miliardi di euro e le parti sociali hanno concordato di incontrarsi, tra 15 giorni, per proseguire e approfondire i contenuti dello stesso Piano e definire un protocollo d'intesa per la sua attuazione;
   con riferimento a uno dei punti del verbale sottoscritto dalle parti – l'intensificazione delle attività di bonifica del territorio — va considerato che gli impianti dell'ENI Si trovano in un'area che è stata dichiarata «ad elevato rischio di crisi ambientale» nel 1990, e all'interno del Sito di Interesse nazionale (SIN) di Gela perimetrato con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 10 gennaio 2000, rispetto al quale è stato dichiarato lo stato di emergenza in materia di bonifica e di risanamento ambientale dei suoli e ha operato una apposita struttura commissariale dal 1999 sino al 2012;
   per quel che concerne gli interventi di risanamento ambientale del sito di Gela, con l'ordinanza del capo dipartimento protezione civile n. 44 del 2013 – una volta scaduta la dichiarazione dello stato di emergenza prorogata fino al 31 dicembre 2012 – sono state disciplinate le modalità attraverso le quali la regione siciliana è subentrata al commissario delegato nel coordinamento delle attività necessarie al completamento degli interventi da eseguirsi in materia di bonifica e risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati;
   con riferimento allo stato di attuazione degli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica del sito di interesse nazionale di Gela, dal verbale della conferenza di servizi istruttoria del 24 giugno di quest'anno, emerge che – a fronte di una disponibilità finanziaria pari a euro 20.511.294,42 – il Commissario Delegato, al 31 dicembre 2013, aveva impegnato euro 16.564.949,42 ed effettuato spese soltanto per euro 1.308.196,73 e che, in merito a ciò, è stato chiesto alla regione siciliana di trasmettere, entro trenta giorni (a partire dallo scorso 24 giugno), un riscontro in merito alle motivazioni che hanno determinato un livello di spesa così basso;
   dallo stesso verbale del 24 giugno risulta che, per quanto riguarda le aree di proprietà della raffineria di Gela – che ha aderito al progetto multisocietario per la bonifica delle acque di falda – sono ancora in corso le verifiche per accertare l'efficienza idraulica e l'efficacia idrochimica del sistema di contenimento della contaminazione delle acque sotterranee previsto dal Progetto definitivo di bonifica delle acque di falda dello stabilimento multisocietario di Gela, approvato nel 2004;
   a questo riguardo, la conferenza di servizi istruttoria – nella seduta precedente del 30 maggio 2014 – in relazione al documento «Studio dell'idrogeologia e idrochimica sotterranea dello stabilimento Multisocietario» presentato dalla raffineria di Gela per conto delle aziende coinsediate, ha sottolineato che: «qualora si accerti che il sistema di barrieramento idraulico non garantisce il completo isolamento delle acque di falda contaminate e non impedisce la diffusione della contaminazione come progettualmente previsto nell'Analisi di rischio si determinerà una situazione di rischio sanitario e ambientale, nonché di danno ambientale causalmente riconducibile e imputabile ai comportamenti omissivi della società e della quale la stessa sarà responsabile»;
   dal verbale della conferenza di servizi istruttoria del 24 giugno, per quanto riguarda la bonifica dei suoli, emerge ché la stessa Raffineria di Gela non ha ancora provveduto a presentare un progetto definitivo relativo ai suoli delle aree di sua proprietà, ma che ha presentato successivi stralci, e che, anche rispetto all'area di particolare criticità – come l'Area Vasca A zona 2 – la bonifica è stata autorizzata nel 2004, ma l'intervento non è stato ancora realizzato;
   dal verbale del 24 giugno 2014 risulta anche che a seguito dei numerosi incidenti e sversamenti avvenuti nelle aree di competenza della Enimed – non tutte all'interno del perimetro del SIN di Gela – l'ASL di Caltanissetta, il 28 maggio 2014, ha chiesto di estendere il perimetro del sito di interesse nazionale a tutte le «Aree Pozzo» di estrazione del greggio con le relative «Condotte» e il «Centro di Raccolta Olii», di competenza dell'Enimed, e che a questo proposito la stessa conferenza di servizi istruttoria ha chiesto alla regione siciliana di perfezionare l'istruttoria, di cui all'articolo 36-bis comma 3 della legge 134 del 2012, per la ridefinizione del perimetro del sito di «Gela» tenendo conto degli elementi forniti dall'ASL di Caltanissetta;
   gli interventi finalizzati alla bonifica delle acque di falda e dei suoli di proprietà delle società del Gruppo ENI – ancora da realizzare, e dei quali deve essere accertata l'efficienza e l'efficacia ovvero dei quali deve essere ancora approvato ed eseguito il progetto – sono ancora molto numerosi e complessi, e non risulta che la regione siciliana abbia dato riscontri alle puntuali richieste formulate nella conferenza di servizi istruttoria del 24 giugno scorso;
   il destino industriale di Gela – oggetto del confronto in corso presso il Ministero dello sviluppo economico – non può essere, in alcun modo, sganciato dall'attuazione di tutti gli interventi, ancora necessari, di messa in sicurezza d'emergenza, di caratterizzazione, di bonifica e di certificazione di avvenuta bonifica delle aree comprese all'interno del perimetro del SIN, che l'ENI è, inderogabilmente, obbligata a portare a termine sotto la vigilanza delle autorità pubbliche;
   ad oggi, invece, non risultano avviate le operazioni di bonifica dei suoli di pertinenza della raffineria di Gela, e non è stato ancora accertata la piena efficienza del sistema di contenimento realizzato a protezione delle acque di falda imbevute negli anni delle sostanze velenose utilizzate e prodotte dalle imprese del petrolchimico, e si continuano a verificare incidenti e sversamenti in aree, esterne al perimetro del sito di interesse nazionale, di competenza della società Enimed –:
   se risulti che la regione siciliana abbia provveduto a fornire i riscontri in merito all'impiego delle risorse stanziate per la bonifica del sito di interesse nazionale di Gela durante la gestione commissariale e abbia avviato le procedure per includere all'interno del perimetro dello stesso sito le aree di competenze della società Enimed;
   se e di quali di informazioni dispongano in merito agli incontri e agli accordi tra le parti sociali che, secondo le ricostruzioni degli organi di stampa, prevedono non solo una non meglio precisata intensificazione delle attività di bonifica del territorio – rispetto alle quali ha operato per più di 12 anni un'apposita struttura commissariale – ma anche lo sviluppo delle ricerche di petrolio e metano in Sicilia e un'accelerazione delle autorizzazioni alla ricerca e allo sfruttamento di nuovi giacimenti; se, e in che modo, intendano rappresentare – all'interno del prosieguo del confronto tra l'ENI e le parti sociali – la necessità di gestire e porre fine alla gravissima situazione ambientale e sanitaria della Piana di Gela;
   quali degli interventi e delle attività finalizzati a fronteggiare l'emergenza ambientale e sociosanitaria, ancora da realizzare, debbano essere prioritariamente inseriti nel Piano industriale – in corso di elaborazione – relativo agli impianti ENI di Gela, al fine di rendere concreto e cogente l'impegno, assunto dalle parti, di intensificare le bonifica del territorio;
   se intendano individuare le condizioni e le misure che è indispensabile inserire all'interno del nuovo Piano industriale – in corso di elaborazione – affinché le nuove attività produttive, l'ulteriore sfruttamento delle risorse presenti e le attività estrattive previste e non determinino altri e più gravi danni ambientali e provochino nuove forme di contaminazione delle matrici ambientali già esposte da decenni ad attività che le hanno gravemente compromesse, e altre serie minacce alla salute della popolazione siciliana e in particolare di quella residente nella piana di Gela. (5-03891)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sono frequenti e lontani nel tempo gli allarmi di cittadini, agenzie di stampa e web, social media e quotidiani di Roma sul moltiplicarsi di discariche abusive, fonderie di metalli di provenienza illecita, come ad esempio da furti di rame o dal furto di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, forni di esercizio abusivo dell'attività di panificazione all'interno dei numerosi campi rom autorizzati e non;
   il caso del quartiere «La Barbuta» è emblematico. Il territorio tra il grande raccordo anulare ed il comune di Ciampino, è sempre più degradato. Dove non arrivano i roghi illeciti e pericolosi ci sono le discariche a cielo aperto, con la più grande varietà di rifiuti: carcasse di automobili, materassi, materiali plastici, mobili di legno, copertoni, vestiti, buste di immondizia. Isole di spazzatura lungo tutto il perimetro dell'insediamento attrezzato, che si ingrandiscono giorno dopo giorno;
   discariche illegali, fusioni di metalli, roghi di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche e materiali plastici sono, oltreché non consentiti dalla legge, estremamente pericolosi per la salute dei cittadini e per l'ambiente, favorendo una sorta di mercato criminale e di concorrenza sleale, che comporta il mancato pagamento degli oneri di conferimento, verso gli operatori autorizzati e sottraendo inoltre preziose materie prime seconde alle filiere produttive legali e lavoro onesto –:
   se i Ministri interrogati, nel rispetto delle competenze di Roma Capitale e del comune di Campino, intendano verificare, anche per il tramite del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, lo stato dell'aria e delle acque nelle zone interessate dalle sopraddette attività criminali, mappandole, e se non intendano esercitare una maggiore attività repressiva di tale fenomeno. (4-06639)


   ATTAGUILE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   alle ore 00:50 del mattino del 27 settembre 2014 è scoppiato un incendio all'interno della raffineria Mediterranea a Milazzo ed in particolare al serbatoio TK513 dove erano stoccati un milione di litri di carburante; sono stati bruciati circa 600.000 litri di idrocarburi;
   il rogo, sviluppato intorno alle 00:45 ha prodotto fiamme altissime visibili per diversi chilometri dai comuni del messinese e ha creato odori fortissimi e soffocanti da combustione; il fumo tossico è arrivato la mattina successiva ad oltre 15 chilometri dal luogo dell'incidente e i comuni più colpiti oltre a Milazzo sono stati San Filippo del Mela, Pace del Mela, Santa Lucia del Mela, Condrò, Gualtieri Sicaminò, San Pier Niceto e Barcellona Pozzo di Gotto;
   l'allarme è stato dato alle ore 2:00 del mattino dal centro operativo comunale di Milazzo che ha consigliato alla popolazione di rimanere chiusi in casa e tenere le finestre serrate; non risulta che sia stato predisposto alcun piano di evacuazione, anche se centinaia di famiglie che risiedono nella zona sono fuggite in auto per paura, intasando le strade del comprensorio;
   sul posto hanno operato per ore diverse squadre dei vigili del fuoco, oltre a quelle del servizio di sicurezza della raffineria e, per fortuna, non risultano feriti né all'interno della raffineria né all'esterno;
   l'incendio, si è ravvivato nel pomeriggio di sabato, formando nuovamente una enorme nuvola nera e, anche nelle giornate di domenica e lunedì, si sono alternati nuovi incendi e formazioni di nuvole nere che, in base al vento, hanno investito o Valle del Mela o il centro di Milazzo;
   dalle informazioni sui mass media sembra che la causa dell'incendio sia stata una crepa al tetto galleggiante del serbatoio che ha messo l'aria a contatto col liquido; peraltro alcune notizie riportano anomalie del serbatoio e piccoli incendi iniziati già nel pomeriggio ma non visibili dalla città;
   lo stabilimento della Raffineria di Milazzo s.c.p.a. è annoverato fra le industrie «a rischio di incidente rilevante» ai sensi della normativa «Seveso» di cui al decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, e successive modificazioni; infatti, la natura e quantità delle sostanze impiegate nei processi produttivi potrebbero causare, in caso di eventi improvvisi (incendi, esplosioni, fughe di sostanze tossiche), danni alla popolazione e all'ambiente;
   in particolare, la virgin nafta, contenuta nel serbatoio andato in fiamme, insieme alle benzine è classificata come sostanza estremamente infiammabile e pericolosa, che può provocare il cancro, alterazioni genetiche ereditarie, irritazioni alla pelle, possibile rischio di danni ai bambini non ancora nati, tossicità agli organismi acquatici, danni ai polmoni in caso di ingestione e sonnolenza e vertigini in caso di inalazione;
   negli anni scorsi altri incidenti si sono verificati nella raffineria ed, in particolare, nel 1993, un gravissimo incidente ha causato la morte di 7 persone ed il ferimento di altre sedici;
   la popolazione subisce gli «effetti collaterali» della presenza della raffineria nel proprio territorio, ove sono presenti anche altri impianti inquinanti, come una centrale termoelettrica ad olio combustibile e una fabbrica di amianto dismessa ma non del tutto bonificata;
   nel 2011 e nel 2012 l'arpa locale aveva già ammonito la raffineria per le emissioni non adeguatamente controllate;
   la popolazione non risulta adeguatamente informata sui rischi e sui piani di emergenza, nonostante la normativa «Seveso» imponga la predisposizione di un piano di emergenza interno ed un piano di emergenza esterno e la massima informazione della popolazione sulle misure in atto;
   si apprende dalla stampa che la procura di Barcellona Pozzo di Gotto ha aperto un fascicolo contro ignoti per l'incidente del 27 settembre e ha disposto il sequestro dell'area –:
   se i Ministri non ritengano necessario verificare l'entità dei danni ambientali da inquinamento atmosferico causati dalla prolungata combustione del carburante e appurare le cause che hanno provocato l'incendio nella raffineria di Milazzo, la corretta applicazione della normativa «Seveso» e le misure che sono state attivate per il ripristino e messa in sicurezza dei siti interessati;
   se il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga necessario avviare un'apposita istruttoria per il SIN di Milazzo e un confronto con il gestore dell'impianto e l'ARPA locale per verificare lo stato di attuazione e il rispetto delle prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale relativa all'impianto;
   se i Ministri non ritengano doveroso informare i cittadini sui rischi a cui vadano incontro e sulle azioni che l'azienda, le autorità di controllo e lo Stato intendano intraprendere per evitare simili incidenti in futuro che possono mettere in pericolo la pubblica incolumità, anche tenendo conto dell'opportunità della delocalizzazione della raffineria e della centrale termoelettrica in aree lontane dai centri abitati. (4-06642)


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da una notizia riportata sulla Gazzetta del Sud del 21 ottobre 2014 risulta che nella zona di Bisignano, in provincia di Cosenza, la cartiera di Mongrassano Scalo – costruzione vicina ad una scuola – oramai in disuso, ha i tetti di eternit, non particolarmente ben conservati;
   ormai da qualche tempo si è diffusa la conoscenza del rischio amianto. L'attenzione del mondo scientifico si è concentrata sulle caratteristiche di questo materiale, nonché sulle metodiche per l'individuazione e l'eliminazione dei rischi e dei danni dallo stesso provocati negli ambienti di vita e di lavoro alla salute delle persone e dei lavoratori;
   l'amianto era un materiale che veniva usato in passato per la sua economicità, ma con il passare del tempo e con gli approfondimenti tecnici il suo utilizzo si è rivelato nocivo per la salute dell'uomo, data la capacità del materiale stesso di rilasciare fibre potenzialmente inalabili, che provocherebbero gravi ed irreversibili patologie prevalentemente all'apparato respiratorio, malattie che si manifestano anche dopo molti anni dall'esposizione;
   per queste ragioni la legislazione ha da tempo disposto non solo la cessazione della produzione e della commercializzazione di qualsiasi materiale contenente fibre di amianto, ma ha anche dettato le regole per le cosiddette bonifiche (decreto-legge n. 277 del 1991 – decreto-legge n. 257 del 1992 – decreto ministero Sanità 6 settembre 1994 – decreto-legge n. 626 del 1994);
   ad oggi, nonostante le varie sollecitazioni da parte dei cittadini e degli organi competenti, non si è ancora provveduto ad un'opera di bonifica –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione descritta in premessa e si intendano assumere iniziative, per quanto di competenza al fine di tutelare la salute dei cittadini, anche promuovendo una verifica, da parte dei comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, sulla cartiera abbandonata di Montegrassano. (4-06648)


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   sulla Gazzetta del Sud del 22 Ottobre 2014 viene riportata la notizia che nel comune di Carlopoli, in provincia di Catanzaro, circa 10 quintali di trote sono state trovate morte nel fiume Coriace. La scoperta è avvenuta ad opera dei titolari dell'azienda «Bioittica della sorgente» in località Castagna;
   la morte dei pesci è stata causata da una sostanza velenosa contenuta in un bidone che, a seguito di accertamenti, è stato trovato a qualche centinaio di metri, più a monte, del letto del fiume Coriace dove il contenuto del bidone sarebbe stato sversato;
   un episodio di chiara natura dolosa che ha causato un pericoloso danno ambientale;
   l'episodio si è verificato nella notte tra il 17 e il 18 ottobre 2014 e ha messo a rischio non solo le trote dell'allevamento ma anche tutta la fauna del fiume. Sul posto sono intervenuti prontamente i carabinieri, il Corpo forestale dello Stato e l'Asp di Lamezia;
   dalla mattina del 18 ottobre 2014, dopo la rimozione delle trote morte, sono partiti prontamente i lavori di bonifica per salvare la fauna del fiume che versa, dopo l'avvelenamento, in condizioni disastrose –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali eventuali ulteriori iniziative di competenza intenda assumere in relazione alla situazione di criticità in cui versa l'area in questione. (4-06652)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a Lanciano (provincia di Chieti) vi è una sezione prestigiosa dell'Archivio di Stato con documenti che risalgono agli inizi del ‘500 e che documentano la storia sociale, religiosa, culturale, i rapporti di proprietà e vicende importanti, come il brigantaggio, della provincia di Chieti e in particolare dell'area frentana;
   sembra imminente la chiusura dell'Archivio di Stato per problemi legati ai suoi costi economici –:
   se tale circostanza corrisponda al vero e se non ritenga di assumere ogni utile iniziativa per scongiurare questo ulteriore colpo al patrimonio culturale dell'Abruzzo e di Lanciano. (4-06636)


   OLIVERIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Gazzetta del Sud del 22 ottobre scorso riporta la notizia riguardante la chiusura del duomo di Cropani, in provincia di Catanzaro, per una ristrutturazione mai avvenuta;
   il duomo, Insigne Collegiata di Santa Maria Assunta, è un monumentale edificio rinascimentale di fondazione quattrocentesca, gravemente danneggiato da un fulmine nel 1576, restaurato nel 1578 e successivamente profondamente rimaneggiato con ampia trasformazione stilistica del complesso primitivo del Settecento;
   i recenti lavori di restauro conservativi, adoperati sul manufatto, hanno restituito una cappella gentilizia voltata a botte sul cui muro di fondo, spicconando l'intonaco, è emersa una «monofora» rafforzata da conci in calcarenite, di fattura tipicamente romanica;
   il suo ripetersi ritmicamente sull'intera superficie muraria «distrutta e nascosta» dal successivo impianto delle cappelle settecentesche, la riconduce all'impianto iniziale della Collegiata dandone la fondazione stessa al secolo XIII;
   la facciata principale, anteposta da una gradonata in granito calabrese, è costituita da blocchi di pietra arenaria, tufo calcareo e calcarenite e differenzia la Collegiale da ogni altra chiesa presente sul territorio calabrese;
   il portale in tufo calcareo, costituito da quattro archi concentrici a tutto sesto, strombati e posti su tre lesene per lato è racchiuso da altre due lesene a quattro ordini e da una cornice orizzontale, entrando nel duomo spicca il soffitto ligneo di pregevole lavorazione;
   questo patrimonio artistico, oltre che di culto, presente sul territorio calabrese sta andando in rovina, nonostante sia i cittadini che il parroco di Cropani, padre Francesco Critelli, stiano, senza positivo esito, sollecitando le istituzioni a intervenire prontamente –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e se intenda attivare, nell'ambito delle proprie competenze, iniziative di somma urgenza per il restauro di questo duomo, unico nel suo genere. (4-06647)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   CAUSI e GINATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 26 ottobre 2014 sono stati presentati i risultati dell'esercizio di «valutazione approfondita» (Comprehensive Assessment) delle banche europee (fra cui 15 banche italiane), condotto dalla Banca centrale europea in collaborazione con le autorità nazionali di vigilanza;
   nell'ambito della citata valutazione è stata effettuata una revisione della qualità degli attivi (asset quality review, AQR), allo scopo di verificare se il capitale «di migliore qualità» (common equity tier 1, CET1) delle banche sia adeguato a fronteggiare la rischiosità dei vari attivi (prestiti, titoli, eccetera) rilevati a fine 2013;
   il Comprehensive Assessment ha incluso inoltre due simulazioni relative a scenari ipotetici per il triennio 2014-2016 cosiddette «prove di resistenza», ovvero i cosiddetti stress test, con l'obiettivo di verificare quanto un eventuale, drastico peggioramento dello scenario macroeconomico e finanziario nazionale e internazionale potrebbe riflettersi sulla condizione delle banche e quale sovrappiù di capitale sarebbe in tal caso necessario per preservare un adeguato grado di capitalizzazione;
   secondo le informazioni rese pubbliche dalla BCE, alla fine del 2013 nove banche italiane presentavano potenziali carenze di capitale, per complessivi 9,7 miliardi; se si tiene conto degli aumenti di capitale perfezionati tra gennaio e settembre 2014, le potenziali esigenze di capitale interessano quattro banche (Banca Popolare di Milano, Banca Popolare di Vicenza, Banca Carige, Banca Monte dei Paschi di Siena), per un ammontare più contenuto pari a 3,3 miliardi;
   nessuna banca italiana registra carenze di capitale in base all'AQR, ma il risultato deriva in tutti i casi dallo stress test; ciò confermerebbe la solidità complessiva del sistema bancario italiano, nonostante i ripetuti shock subiti dall'economia italiana negli ultimi sei anni;
   il Testo unico bancario di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, attribuisce al Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio (CICR), presieduto dal Ministro dell'economia e delle finanze, l'alta vigilanza in materia di credito e di tutela del risparmio, con il compito di interviene sulla regolamentazione dell'attività delle banche e degli intermediari finanziari, deliberando i criteri che regolano l'attività di vigilanza della Banca d'Italia –:
   quanta parte della carenza di capitale delle banche italiane, secondo l'opinione del Ministro, riscontrata dagli stress test effettuati dalla Banca centrale europea, dipenda dalla componente degli investimenti legata all'economia reale, ovvero al rischio di credito delle imprese operanti in Italia, e quanto dipenda dalla componente legata ad operazioni finanziarie che potrebbero essere messe in atto dagli istituti di credito italiani. (5-03893)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a ottobre 2012 il Governo italiano ha aderito insieme ad altri dieci Paesi membri dell'Unione europea (Austria, Belgio, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna) al progetto di cooperazione rafforzata, autorizzata dal Consiglio economia e finanza dell'Unione il 22 gennaio 2013, per l'introduzione di una tassa europea sulle transazioni finanziarie;
   il 14 febbraio 2013 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva COM(2013)71 per delineare il modello di tassa da implementare e tale proposta è da più di un anno oggetto di negoziato tra gli 11 Stati Membri aderenti alla procedura di cooperazione rafforzata;
   la tassazione delle transazioni finanziarie (TTF), se efficacemente introdotta negli 11 Paesi dell'Unione europea partecipanti, assicurerebbe il giusto contributo del settore finanziario per programmi di stimolo e di rilancio delle economie, nonché una più giusta parità di trattamento con altri settori produttivi soggetti a oggi a prelievo fiscale di maggiore entità; garantirebbe la riscossione di un gettito prevedibile permettendo di stabilire politiche di medio-lungo periodo sia per far fronte alle conseguenze sociali della crisi, recuperando risorse per azioni di lotta alla povertà in Italia, sia per sostenere programmi di aiuto allo sviluppo dei Paesi poveri e di contrasto ai cambiamenti climatici a livello internazionale; frenando la speculazione, diminuirebbe l'instabilità dei mercati con ricadute positive anche per le imprese, in termini ad esempio di minor rischio valutario e minori incertezze sui prezzi delle materie prime;
   l'introduzione di un'efficace tassa sulle transazioni finanziarie è sostenuta da un vasto movimento globale e anche in Italia è attiva la Campagna ZeroZeroCinque che riunisce oltre 50 organizzazioni della società civile, tra cui le principali sigle sindacali, associazioni del terzo settore e ONG di sviluppo. In Europa è stata lanciata una petizione a cui hanno aderito già oltre 780.000 cittadini;
   nel corso del vertice Ecofin del 6 maggio 2014 dieci degli 11 Paesi aderenti alla procedura di cooperazione rafforzata sulla TTF hanno pubblicamente annunciato l'impegno di voler raggiungere entro la fine dell'anno un accordo politico che permetta di avviare dal 1o gennaio 2016 la prima fase di implementazione della TTF da applicare a titoli azionari e ad alcuni strumenti derivati con la possibilità — per quei paesi della cooperazione rafforzata che lo ritenessero opportuno — di ampliare la base imponibile a ulteriori classi di asset finanziari;
   a partire dal 1o luglio 2014 l'Italia ha assunto la guida della Presidenza di turno dell'Unione europea, ricoprendo quindi un importante ruolo di coordinamento dei suddetti lavori negoziali sulla TTF e riteniamo quindi doveroso che il Parlamento sia informato sullo stato dell'arte del processo negoziale e su quali aspetti tecnici della proposta legislativa si è ad oggi registrata una convergenza tra gli 11 paesi coinvolti nei lavori negoziali e quale sia lo specifico posizionamento nel dibattito negoziale dell'esecutivo italiano;
   quali soluzioni il Governo italiano stia proponendo per raggiungere entro la fine dell'anno l'accordo sul disegno e la prima fase della tassazione delle transazioni finanziarie in termini di base imponibile, principi di tassazione, definizione del processo relativo al graduale allargamento dell'imposta nelle fasi successive, avvio delle negoziazioni per un comune impegno di destinazione del gettito in parte per politiche di lotta alla povertà a livello nazionale e in parte per sostenere l'aiuto allo sviluppo e la lotta ai cambiamenti climatici a livello internazionale. (5-03894)


   PESCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la società CRIF SPA gestisce uno dei principali sistemi di informazioni creditizie (SIC) in Italia: si tratta di un sistema che raccoglie informazioni su finanziamenti erogati o semplicemente richiesti, trasmesse direttamente da banche e società finanziarie, a volte – pare – anche senza consenso del soggetto interessato. Sulla base dei dati SIC, banche e società finanziarie possono erogare credito basandosi sulla buona storia creditizia di chi lo richiede, senza avvalersi necessariamente di ulteriori garanzie;
   da apposita visura camerale, risulta che il capitale sociale di CRIF SPA è detenuto per l'87,59 per cento dalla società Cribis Holding Srl, che la gestisce e controlla. Le restanti quote del capitale sociale sono detenute da banche (Banca nazionale del lavoro spa (5,1 per cento), Deutsche Bank spa (2,55 per cento), Banco popolare società cooperativa (1,92 per cento) e soggetti privati); la Cribis Holding è una società a responsabilità limitata con socio unico, rappresentato dalla Unione Fiduciaria - Società Fiduciaria e di Servizi delle Banche Popolari Italiane Spa. Quest'ultima società è a sua volta composta da diversi soci tra cui:
    Istituto centrale delle banche popolari italiane (24 per cento);
    Banca popolare dell'Emilia Romagna (24 per cento);
    Banca popolare di Sondrio per azioni (21,76 per cento);
    Banco Popolare (8,35 per cento);
    Banca Popolare di Milano (7,18 per cento);
    Banca popolare dell'Etruria e del Lazio (6,40 per cento);
    Veneto banca per azioni (2,40 per cento);
    Banca piccolo credito valtellinese (1,93 per cento);
    Altri (3,96 per cento);
   nonostante la trasparenza delle informazioni societarie risultanti dai registri pubblici, dal servizio condotto dalla redazione di «Report» circa la gestione e composizione della società CRIF spa (puntata del 19 maggio 2014 di Report andata in onda su Rai3), emergerebbero non pochi dubbi circa la compagine societaria di CRIF e delle società ad essa collegate nonché sugli effettivi soci delle medesime in riferimento alla quota detenuta dalla società fiduciaria;
   inoltre, CRIF spa risulta aggiudicataria di ben 4 gare pubbliche, tra cui anche quella affidataria dei servizi di acquisizione, direttamente dalle camere di commercio, e registrazione in formato elettronico dei bilanci delle società di capitali riferiti agli esercizi contabili 2012, 2013 e 2014 e di alcuni dati registrati nelle relative note integrative (servizio commissionato dall'Istituto nazionale di ricerca - ISTAT, codice identificativo gara: 4980412DFC);
   sennonché, tale aggiudicazione sembra all'interrogante confliggere con il divieto di intestazioni fiduciarie, per il settore dei lavori pubblici, previsto dall'articolo 17, comma 3, della legge n. 55 del 1990, e successivamente esteso anche al settore delle forniture e dei servizi pubblici dall'articolo 38, comma 1, lettera d), del decreto legislativo n. 163 del 2006, che l'ha previsto come causa di esclusione dalle gare;
   insomma, CRIF detiene la gestione di rilevanti dati sensibili della collettività dei cittadini e delle imprese, ad avviso dell'interrogante senza garantire un'adeguata trasparenza in ordine alla sua composizione societaria, con evidenti rischi anche in merito alla sicurezza dei dati posseduti –:
   se il Ministro sia al corrente di quanto esposto in premessa e se non ritenga opportuno assumere iniziative normative volte a garantire una maggiore chiarezza e trasparenza delle società che gestiscono sistemi di informazione creditizia come la Crif spa, considerato anche il ruolo svolto nella gestione e conservazione di dati sensibili della clientela finanziaria a volte, a quanto pare, acquisiti senza consenso. (5-03895)


   SBERNA e BINETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende da organi di stampa, la Corte di giustizia europea, su richiesta della commissione tributaria provinciale di Roma, ha censurato le disposizioni vigenti in materia di tassazione delle vincite sui giochi, poiché le vincite realizzate in case da gioco situate in Italia sarebbero esonerate dall'imposta sul reddito, in quanto la ritenuta sulle vincite è compresa nell'imposta sugli intrattenimenti;
   per il fisco italiano, dunque, soltanto le vincite ottenute da residenti in case da gioco situate all'estero entrano nella base imponibile dell'imposta sul reddito;
   la «censura» della Corte di giustizia europea alla normativa italiana deriva dalla vicenda «All-Inn» che ha visto alcuni giocatori di poker italiani finiti nel mirino del fisco italiano per diverse vincite ottenute nei tornei di poker all'estero;
   esonerando dall'imposta sul reddito soltanto le vincite da giochi d'azzardo realizzate in Italia, la normativa italiana determinerebbe, quindi, un regime fiscale differente a seconda che le vincite siano ottenute in questo o in altri Stati membri; «Essa rileva che una siffatta diversità di trattamento fiscale dissuade i giocatori dallo spostarsi e dal giocare a giochi d'azzardo in altri Stati membri. Il fatto che i prestatori di giochi stabiliti in Italia siano assoggettati all'imposta sugli intrattenimenti non toglie alla normativa italiana il suo carattere manifestamente discriminatorio, in quanto tale imposta non è analoga all'imposta sul reddito»; ne consegue che la normativa italiana comporta una restrizione discriminatoria della libera prestazione dei servizi;
   ogni restrizione discriminatoria della libera prestazione dei servizi può essere giustificata dall'Unione europea soltanto qualora persegua obiettivi attinenti all'ordine pubblico, alla pubblica sicurezza o alla sanità pubblica: nel caso in questione, la Corte rileva, in primo luogo, che le autorità di uno Stato membro non possono validamente presumere, in maniera generale e senza distinzioni, che gli organismi e gli enti stabiliti in un altro Stato membro si dedichino ad attività criminali; inoltre, l'esclusione generalizzata dal beneficio dell'esenzione disposta dall'Italia va al di là di quanto è necessario per lottare contro il riciclaggio di capitali;
   appare peraltro incoerente per uno Stato membro intenzionato a lottare contro la ludopatia, da un lato, tassare i consumatori che partecipano a giochi d'azzardo in altri Stati membri, mentre prevede un sistema di esenzioni per le vincite realizzate in Italia;
   una tale esenzione può avere come effetto di incoraggiare i consumatori a prendere parte ai giochi d'azzardo e non è dunque idonea a garantire la realizzazione dell'obiettivo suddetto –:
   se non ritenga di adottare iniziative anche di tipo normativa volte a sanare i rilievi della Corte di giustizia europea e a rendere coerente l'impegno della lotta alla ludopatia al sistema di tassazione dei giochi in Italia. (5-03896)


   SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le cartelle di pagamento contengono, oltre al dettaglio dei tributi da pagare, anche una voce fissa denominata «diritto di notifica», pari a 5,88 euro a carico del contribuente;
   tale voce consiste nel rimborso delle spese di notifica, ossia quelle postali sostenute dal soggetto notificante (l'agente della riscossione);
   ai sensi dell'articolo 17, comma 7-ter, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, le spese di notifica della cartella di pagamento sono a carico del debitore nella misura di lire seimila e tale importo può essere aggiornato con decreto del Ministero delle finanze; nei casi in cui il ruolo viene annullato per effetto di un provvedimento di sgravio, o in caso di inesigibilità, tali spese sono a carico dell'ente creditore;
   con decreto ministeriale 27 febbraio 2004 l'importo delle spese di notifica è stato rideterminato in 5,56 euro, mentre con il successivo decreto ministeriale 13 giugno 2007 l'importo è stato elevato a 5,88 euro;
   ai sensi dell'articolo 26, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 giugno 1973, n. 602, come modificato dall'articolo 38, comma 4, lettera b), del decreto legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, la notifica può essere eseguita a mezzo di posta elettronica certificata (PEC), all'indirizzo risultante dagli elenchi consultabili, anche in via telematica, dagli agenti della riscossione;
   secondo quanto previsto dall'articolo 48, comma 2, del decreto legislativo n. 82 del 2005, l'invio di una comunicazione tramite PEC è equiparato a una raccomandata postale con avviso di ricevimento;
   i primi a ricevere cartelle di pagamento ai propri indirizzi email, in via sperimentale, sono stati nel 2013 i soggetti giuridici con sede in quattro regioni pilota: Molise, Toscana, Lombardia e Campania;
   con un comunicato stampa del 26 agosto 2014, Equitalia ha informato i cittadini che dopo le società di persone e di capitali (persone giuridiche), la notifica delle cartelle di pagamento attraverso la posta elettronica certificata si estende anche alle persone fisiche titolari di partita IVA (ditte individuali);
   risulterebbe che anche nel caso di invio di cartelle di pagamento mediante PEC siano posti a carico del contribuente pure i diritti di notifica –:
   se tale notizia corrisponda al vero e, in caso positivo, se non ritenga opportuno evitare di addebitare le spese di notifica nel caso in cui essa di eseguita a mezzo di posta elettronica certificata. (5-03897)


   GEBHARD e LAVAGNO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in Nord Italia, in particolare nelle regioni della Liguria e del Piemonte, le forti perturbazioni temporali di questi hanno causato l'allagamento di intere città come Genova e provincia, mentre in Piemonte sono stati colpiti numerosi comuni, in particolare le città di Gavi, Arquata Scrivia, Novi Ligure, Borghetto Borghera, Serravalle Scrivia, la Val Curone e altri paesi e cittadine nella zona compresa tra le valli Stura, Lemme, Orba, Scrivia e Borbera fino all'alta pianura alessandrina;
   sono tuttora in corso le stime dei danni causati dalle alluvioni, anche se per la sola provincia di Genova si parla di oltre 250 milioni di euro di danni mentre per l'Alessandrino la cifra si attesta sui 50 milioni di euro;
   una parte buona parte dei comuni dell'alessandrino colpiti dall'alluvione fa parte infatti dello stesso sistema idrografico della Liguria; sono numerosi i torrenti e i corsi d'acqua che nascono in territorio ligure e sviluppano il loro corso in Piemonte, sino a confluire nei fiumi che percorrono la parte piemontese della Pianura Padana;
   nei giorni scorsi è stato pubblicato l'elenco dei comuni colpiti dall'alluvione, per i quali il decreto firmato dal Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, dispone la sospensione del pagamento dei tributi e degli adempimenti alle persone fisiche, anche in qualità di sostituti di imposta, e le imprese, dal 10 ottobre al 20 dicembre 2014;
   lo scorso 17 ottobre la regione ha trasmesso, sia alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministero dell'economia e delle finanze, sia al Dipartimento della protezione civile, l'elenco definitivo dei comuni alluvionati in provincia di Alessandria;
   degli 85 comuni in provincia di Alessandria segnalati dalla comunicazione definitiva e ufficiale della regione Piemonte, solo 38 sono stati ricompresi in detto elenco del Ministero dell'economia e delle finanze;
   la stessa situazione si è verificata per i comuni alluvionati della provincia del Verbano-Cusio-Ossola, dove su 10 comuni alluvionati segnalati nel medesimo elenco della regione Piemonte solo 1 è stato ricompreso nell'elenco del Ministero dell'economia e delle finanze;
   se sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte e quali azioni intenda intraprendere per garantire che i provvedimenti collegati alla richiesta di dichiarazione dello stato di emergenza avanzato dalla regione Piemonte, si applichino a tutti i comuni indicati nell'elenco ufficiale e definitivo inviato dalla stessa regione.
(5-03898)


   BUSIN e PRATAVIERA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da qualche anno oramai i comuni italiani registrano un continuo aumento del tasso di morosità nel pagamento della tassa sui rifiuti solidi urbani, dovuto, sia ai ripetuti interventi normativi in merito alle basi di calcolo delle imposte, che hanno comportato ritardi dovuti alla continua necessità di adeguamento da parte delle amministrazioni locali, sia agli effetti della grave crisi economica che ha investito il nostro Paese, per cui molti cittadini, rientranti nelle categorie di disoccupati, cassintegrati, a tempo parziale e simili, non riescono a pagare le tasse;
   questo trend di aumento della morosità produce, evidentemente, degli effetti negativi sulla efficienza nella fornitura del servizio prestato ai contribuenti, ma, sopratutto, ripercussioni sociali, non trascurabili, intercorrenti sul rapporto tra i contribuenti morosi e i contribuenti virtuosi, che devono farsi carico di oneri fiscali aggiuntivi affinché possano essere erogati dall'ente locale servizi indispensabili all'intera comunità, quindi anche ai morosi, prevedendo continui aumenti dei contributi dovuti, cui non corrisponde però un miglioramento del servizio;
   generalmente i contribuenti non paganti appartengono alla classe dei cittadini meno abbienti, come sopra accennato, impossibilitati a pagare per motivazioni economiche dovute a disoccupazione o insufficienza di mezzi, ma anche cittadini extracomunitari o comunitari, sopratutto dell'Europa dell'Est, che lasciano le proprie residenze senza darne comunicazione né all'ufficio anagrafe, né all'ufficio tributi, con effettiva difficoltà o addirittura impossibilità di poter recuperare le somme a loro debito;
   a titolo di esempio, il comune di Fossalta di Piave, a fronte di una elevata morosità iniziale, intesa come tasso dei mancati pagamenti a ridosso delle scadenze ordinarie, riesce ad abbattere suddetta percentuale solo parzialmente, attraverso faticosi accordi bonari, rateizzazioni, ecc., tentando di recuperare il resto soltanto dopo alcuni anni, attraverso l'iscrizione ordinaria a ruolo dell'amministrazione locale e l'eventuale rateizzazione del debito, ma nel frattempo il comune deve affrontare la spesa per garantire il servizio, sopperendo al potenziale disequilibrio finanziario creatosi con i notevoli problemi evidenziati;
   per quel che riguarda invece i cittadini di Paesi extracomunitari o di Paesi europei dell'Est che lasciano il nostro Paese, il contributo non viene mai recuperato, a causa dell'emigrazione di quest'ultimi verso nuovi domicili ignoti all'amministrazione locale;
   conseguentemente, l'insoluto ormai permanentemente strutturale, dovuto al recupero differito e anche al mancato recupero, crea un vuoto di copertura finanziaria dei servizi, a cui si fa spesso fronte con altre risorse ricavate dalla restante fiscalità;
   nel citato comune del veneziano, di tale passivo, in costante aumento e quasi sempre relativo a più anni, se ne fanno esclusivamente carico i contribuenti virtuosi, a cui viene chiesto un ulteriore esborso per finanziare un fondo recupero crediti costituito appositamente per fronteggiare i mancati pagamenti;
   essendo già stata prevista per legge la possibilità, per i cittadini condannati che ne hanno facoltà secondo le disposizioni di legge, di scontare una pena sostitutiva prestando la propria opera a favore degli Enti pubblici richiedenti, o anche la possibilità di impiegare nei lavori socialmente utili i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità con o senza indennità economica, non è invece prevista un'analoga normativa per i cittadini morosi che potrebbero pagare il contributo in oggetto, sulla base di presupposti di impossibilità economiche ben definite, non attraverso una corresponsione pecuniaria, bensì attraverso una prestazione lavorativa equivalente;
   sarebbe poi opportuno prevedere, analogamente al regime vigente nei condomini, la responsabilità in solido del proprietario affittuario, abbinata ad una misura ostativa che impedisca l'iscrizione all'anagrafe comunale, obbligatoria per permanenze superiori a tre mesi, da parte di quei cittadini stranieri, comunitari e non, nei confronti dei quali si riscontrino delle sanzioni amministrative evase;
   sarebbe infine opportuno promuovere l'avvio di trattative, a livello europeo, finalizzate alla conclusione di accordi che prevedano il pagamento in ultima istanza da parte dello Stato di appartenenza del cittadino moroso che non denuncia il proprio cambio di residenza –:
   se non ritenga opportuno, nell'ambito delle proprie competenze, intraprendere iniziative al fine di adottare provvedimenti normativi adeguati che possano garantire la certa esigibilità del contributo sui rifiuti solidi da parte dei cittadini morosi, prevedendo forme alternative di corresponsione e responsabilità in solido di altri soggetti diversi dal moroso del debito dovuto all'ente locale creditore, secondo le proposte indicate nelle premesse.
(5-03899)


   SANDRA SAVINO, LAFFRANCO e RICCARDO GALLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito del riordino della tassazione immobiliare comunale, l'articolo 1, commi da 442 a 469, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per il 2014), ha disciplinato l'applicazione della tassa sui rifiuti – TARI, destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti a carico dell'utilizzatore;
   numerosi comuni, in diverse regioni del Paese, segnalano che, a seguito delle molteplici e articolate complessità riscontrate nei meccanismi di calcolo e di applicazione delle aliquote relative al medesimo tributo, non hanno approvato i provvedimenti per l'applicazione della tassa, quali: l'approvazione del piano finanziario per la gestione del servizio rifiuti, ed il regolamento per l'applicazione, con le relative tariffe, entro il termine del 30 settembre, (previsto dal decreto ministeriale del 18 luglio 2014, quale termine ulteriore di differimento del termine per la deliberazione del bilancio di previsione 2014 degli enti locali), ma adempiuto nei giorni immediatamente successivi;
   secondo quanto previsto dalle vigenti disposizioni, gli effetti del ritardato compimento di tali adempimenti, rende impossibile l'applicazione e la conseguente riscossione della TARI, con le conseguenza, anomala, e paradossale, che gli enti locali interessati non potranno riscuotere una tassa destinata al finanziamento obbligatorio dei servizi comunali rivolti all'intera collettività, contravvenendo, fra l'altro, ai princìpi ispiratori della norma in questione, che prevede a carico degli utenti, in maniera differenziata, la copertura dell'intero servizio;
   quali iniziative urgenti intenda adottare, al fine di consentire per i numerosi enti locali che, a causa delle complessità di diversa natura, in particolare per le molteplici innovazioni nei criteri del prelievo fiscale immobiliare introdotte nel lasso di tempo ristretto in cui è avvenuto il riordino della tassazione immobiliare, non hanno deliberato entro i termini il regolamento TARI e le relative tariffe, ma nei giorni immediatamente successivi alla scadenza, un'ulteriore proroga ed evitare che gli stessi enti locali siano sottoposti a procedure d'indisponibilità finanziaria gravi e accertate, con elevate possibilità di dissesto finanziario, nonché inevitabili ed onerose conseguenze per i servizi forniti nei riguardi di intere comunità locali amministrate. (5-03900)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   D'ALESSANDRO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità per il 2014 ha istituito l'imposta unica comunale (IUC), composta dall'IMU o imposta municipale propria (IMU), di natura patrimoniale dovuta dal possessore di immobili, escluse le abitazioni principali, che si va a sommare alla TASI a carico del possessore del detentore dell'immobile e alla TARI;
   nel caso di separazione o divorzio il coniuge assegnatario dell'abitazione in forza di provvedimento adottato in sede di separazione legale o divorzio si considera titolare del diritto di abitazione sull'immobile ed è tenuto al pagamento della Tasi, secondo le regole e con le detrazioni decise dal comune;
   vale lo stesso principio applicato anche per l'Imu, visto che l'assegnatario viene considerato titolare del diritto di abitazione, a prescindere dalla quota di proprietà, e ne deriva che l'assegnatario diventa l'unico soggetto passivo a prescindere dalla titolarità formale del bene;
   per la coppia di ex coniugi che non hanno ancora ottenuto un provvedimento formale di omologa di separazione e per gli ex conviventi, che difettano di un'unione formalizzata dal matrimonio, non esiste una disciplina fiscale certa perché soltanto in presenza di un provvedimento giudiziale è possibile assegnare l'immobile e di conseguenza individuare chi è tenuto al pagamento della TASI;
   per gli ex conviventi e genitori di minori sarà il tribunale dei minori a regolare i diritti dei figli e di conseguenza l'assegnazione dell'immobile dove vivranno il genitore affidatario e il minore –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per chiarire quale sia il regime fiscale applicabile agli ex conviventi genitori di minori e per far fronte a eventuali discriminazioni fiscali tra ex coniugi ed ex conviventi. (5-03889)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo gli ultimi dati ufficiali — disponibili su OsserVa, portale statistico della Camera di Commercio — i varesini che dalla zona di confine giornalmente si spostano nel Canton Ticino per lavoro hanno superato quota 23 mila, con una prevalenza della componente maschile (circa 14 mila) su quella femminile);
   il dato complessivo dei circa 60 mila frontalieri operativi oltreconfine, è particolarmente accentuata la crescita nel terziario: sulla base dell'analisi dell'Ufficio di statistica del Canton Ticino, l'avanzata nel settore dei servizi è stata così impetuosa da vederne triplicare il numero (passato da 10.327 unità nel IV trimestre 1999 a 30.285 nel IV 2012) a fronte di un aumento — seppur consistente (da 16.007 a 24.007 unità), ma relativamente più contenuto — nelle attività secondarie. A fine, anni ’90 il 60,3 per cento dei frontalieri era attivo nel secondario (tra attività manifatturiere e costruzioni), il 38,8 per cento nel terziario è il 0,81 per cento nel primario. In virtù della maggior crescita dei frontalieri nel terziario, tredici anni più tardi la quota del secondario è scesa al 44,6 per cento e quella del terziario è salita al 54,5 per cento; mentre nel primario è aumentata solo leggermente allo 0,9 per cento. Ritornando ai dati più recenti disponibili per la provincia di Varese, i nostri lavoratori sono i più numerosi tra i frontalieri italiani in Canton Ticino (42,3 per cento) seguiti dai comaschi (40 per cento) e, più distanti, dagli abitanti della provincia del Verbano-Cusio-Ossola (9,1 per cento);
   la consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf della Confederazione elvetica nell'incontro informale con il Ministro Padoan avvenuto nell'ultima riunione del Fondo Monetario a New York, avrebbe contestato al Governo italiano il protrarsi delle discussioni sul rinnovo dell'Accordo bilaterale del 74 e si apprenderebbe da dichiarazioni della stessa alla RSI la minaccia della disdetta dell'Accordo bilaterale italo-elvetico stipulato il 3 ottobre 1974 relativo alla doppia imposizione fiscale per i lavoratori residenti nella fascia di confine entro i 20 chilometri. All'Accordo del 74 ha fatto seguito la Convenzione tra la Confederazione svizzera e la Repubblica italiana per evitare le doppie imposizioni e per regolare talune altre questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio entrata in vigore il 27 marzo 1979. L'Accordo in parola prevedrebbe il ristorno allo Stato italiano e di converso ai comuni di confine di una quota pari al 38,8 per cento delle imposizioni fiscali effettuate dalla Svizzera. Il rinnovo di tale Accordo deve avvenire ogni 5 anni, il testo prevede che nel primo semestre nell'anno successivo all'imposizione fiscale la Confederazione versi all'Italia la parte di imposte spettanti (38,8 per cento). Dal 2009, dopo le dichiarazioni del Ministro Tremonti che accusava la Svizzera di essere un «paradiso fiscale» e inserita nella black list, c’è stato il blocco dei ristorni che ammonterebbero ad oggi a circa 60 milioni di Franchi svizzeri. Negli anni le varie proposte fatte dalla Svizzera all'Italia per sciogliere l’impasse sarebbero rimaste lettera morta per l'insipienza dei Governi italiani e anche per il fatto che l'interlocutore è cambiato più di una volta e si è ricominciato daccapo. Le pressioni svizzere si sarebbero via via appesantite con i vari gruppi politici che hanno chiesto la denuncia dell'Accordo e il blocco del frontalierato fino alla notizia più recente di sapore ritorsivo, riportata dalla stampa elvetica (Corriere del Ticino). Il Governo Cantonale del Ticino parrebbe voglia inasprire la tassazione ai frontalieri –:
   se quanto sopra esposto corrisponda a vero, chi negozia, a che punto sono i negoziati, in effetti a quanto ammontino i ristorni dovuti e come si pensi di tutelare i lavoratori frontalieri. (4-06641)


   MARRONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ferrovie dello Stato è una società, quotata in borsa con partecipazione statale al 100 per cento mediante il Ministero dell'economia e delle finanze;
   durante l'audizione alla Commissione industria del Senato il 21 ottobre 2014 l'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato Michele Elia ha dichiarato, così come riportato dalle agenzie stampa: «Siamo disponibili ad entrare in Atac e Atm» e «Privatizzando con noi si può fare un servizio integrato con le ferrovie e migliorare l'efficienza» –:
   se esiste un mandato da parte dell'azionista ad acquisire quote di società di trasporto pubblico su gomma da parte di Ferrovie dello Stato;
   se tale mandato preveda che Ferrovie dello Stato o sue controllate siano veicolo per privatizzare asset del trasporto pubblico locale come dichiarato dall'amministratore delegato Elia, essendo peraltro questa decisione di competenza degli enti territoriali;
   se tale politica di partecipazione a società di trasporto pubblico locale non ingeneri un conflitto tra i sussidi e i finanziamenti pubblici per il trasporto ferroviario e quelli previsti per il trasporto pubblico locale, con il rischio di creare una confusione sia di mercato che in termini di finalizzazione delle risorse provenienti dalla fiscalità generale, dai sussidi o dai sistemi tariffari;
   se peraltro, ove non si avviassero processi di privatizzazione da parte degli enti locali, una partecipazione di Ferrovie dello Stato non andrebbe a definire una forma di monopolio di carattere statale nel mercato del Trasporto Pubblico Locale con il rischio di entrare in contrasto con la normativa europea;
   se non sia utile che Ferrovie dello Stato si concentri esclusivamente sul suo core business e, per quanto riguarda il Trasporto Pubblico Locale, se non sia invece utile procedere ad una riforma del settore che preveda norme su finanziamenti certi sia per le gestioni in house sia per quelle esternalizzate. (4-06643)


   COLLETTI e FERRARESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Società Autostrade per l'Italia s.p.a. è la maggiore concessionaria della rete autostradale nazionale a pedaggio, e gestisce 2.854,6 chilometri di rete autostradale – pari al 50 per cento circa di tutta la rete nazionale, con un fatturato consuntivato nel 2013 di circa 2,5 miliardi di euro;
   sul sito controllante Atlantia è riportato che in data 24 dicembre 2013, il concedente Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la concessionaria Autostrade per l'Italia s.p.a. hanno sottoscritto un atto aggiuntivo alla convenzione unica con il quale si è proceduto all'aggiornamento quinquennale del piano finanziario allegato alla convenzione, come previsto dall'articolo 11 della medesima e, che il predetto atto aggiuntivo è stato approvato con decreto interministeriale  MIT – MEF del 30 dicembre 2013;
   da quanto appena sopra riportato emerge che le complesse valutazioni di competenza sulla più importante concessionaria autostradale europea sono state fatte in meno di tre giorni lavorativi compresi i tempi di trasmissione della documentazione tra i due Ministeri avvenuta nel pieno delle festività natalizie. Peraltro nell'anno 2013 i giorni 28 e 29 dicembre erano rispettivamente sabato e domenica e, di norma, in queste giornate gli uffici ministeriali sono chiusi;
   se intenda comunicare le relazioni istruttorie espletate su tale revisione convenzionale sia da parte del concedente Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e sia da parte del Ministero dell'economia e delle finanze e della ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze che ha bollinato il decreto interministeriale in argomento, su tutti gli aspetti convenzionali trattati con particolare riferimento ed in modo dettagliato:
    a) ai ritardi e relativi benefici finanziari nella realizzazione degli investimenti, già programmati ma non realizzati, per un ammontare complessivo di circa 2 miliardi di euro pur essendo gli stessi già remunerati in tariffa;
     b)  al rispetto della normativa vigente e delle delibere CIPE in tema di remunerazione riconosciuta al concessionario;
   se risulti che nei giorni tra il 25 e il 30 dicembre 2013 gli uffici ministeriali siano rimasti aperti al fine di consentire la conclusione dell'istruttoria di cui in premessa. (4-06659)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRACÌ. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'ufficio del giudice di pace di Fasano, per effetto delle istanze inviate nei termini, prescritti dai comuni di Fasano e Cisternino, è stata inserita nell'elenco delle sedi di giudice di pace mantenuti in vita dal decreto ministeriale 7 marzo 2014 pubblicato in Gazzetta Ufficiale 14 aprile 2014, n. 87 e recante «Individuazione delle sedi degli uffici del giudice di pace ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156»;
   in forza del suindicato dettato normativo, ai comuni veniva imposto di indicare i nominativi dei dipendenti da distaccare presso l'ufficio del Giudice di pace entro il 28 giugno 2014; nello specifico, i comuni di Fasano e Cisternino si erano impegnati, con atti deliberativi di giunta, a individuare rispettivamente due e un dipendente per la gestione dell'ufficio;
   il comune di Fasano assolveva al proprio impegno con comunicazione datata 27 giugno 2014, mentre nessuna comunicazione perveniva da parte del comune di Cisternino. Con missiva pervenuta al protocollo del comune di Fasano il 10 luglio 2014, l'ufficio del Giudice di pace di Brindisi, nello svolgimento delle funzioni di coordinamento all'interno del distretto, comunicava la convocazione dei dipendenti comunali indicati per il giorno 15 luglio ore 8000 presso il medesimo ufficio, al fine di avviare il periodo di formazione/affiancamento. Sta di fatto che il comune di Fasano, preso atto che i dipendenti precedentemente indicati avevano formalizzato la revoca della propria disponibilità al distacco e che, in ogni caso, mancava la terza unità lavorativa prevista dal piano del fabbisogno, la cui indicazione era a carico del comune di Cisternino, con missiva del 16 luglio 2014 comunicava tali circostanze al Giudice di pace di Brindisi e chiedeva autorizzazione a posticipare il periodo di formazione onde consentire l'individuazione di altri lavoratori; la missiva veniva inviata, altresì, al Ministero presso l'ufficio competente (dipartimento dell'organizzazione giudiziaria del personale e dei servizi – direzione generale del personale e della formazione);

   alcun riscontro perveniva dal Ministero della giustizia tanto che, anche a seguito della mozione approvata dal consiglio comunale di Fasano il 5 settembre 2014, l'amministrazione comunale formalizzava un ulteriore sollecito a mezzo raccomandata a.r. trasmessa il 10 settembre 2014. L'esiguità dei tempi residui (il 29 ottobre è, nelle previsioni normative, l'ultimo giorno di «esistenza» delle sedi distaccate prima dell'accorpamento) impone che il Ministero adotti un preciso indirizzo a beneficio dei tanti comuni che, allo stato, vertono in situazioni simili a quella del comune di Fasano;
   in particolare, si rendono necessarie due forme di intervento:
    a) riaprire i termini per la formazione del personale a beneficio dei comuni che non ne avessero ancora beneficiato, posticipando dunque il termine del 29 ottobre per gli accorpamenti;
    b) preso atto della difficoltà da parte dei comuni ad individuare personale disponibile al «distacco», autorizzare i competenti uffici ministeriali a esercitare il comando dei dipendenti attualmente in forza alle sedi di Giudice di pace affinché essi vengano presi in carico dai relativi comuni sede degli uffici; ciò consentirebbe di avere personale già formato e di ovviare alle problematiche connesse al distacco di personale interno –:
   quali siano gli indirizzi del Ministro su tale argomento e quali forme di intervento si intendano adottare al fine di consentire il mantenimento dell'ufficio di Fasano e degli altri comuni che vertono in situazioni simili. (4-06653)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IX Commissione:


   SCOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il presidente dell'autorità portuale ha la rappresentanza dell'autorità portuale, resta in carica quattro anni e può essere riconfermato una sola volta ai sensi dell'articolo 8 della legge n. 84 del 1994; per quanto riguarda i compiti del presidente dell'autorità portuale, si ricorda che questi: a) presiede il comitato portuale; b) sottopone al comitato portuale, per l'approvazione, il piano operativo triennale; c) sottopone al comitato portuale, per l'adozione, il piano regolatore portuale; d) sottopone al comitato portuale gli schemi di delibere riguardanti il bilancio preventivo e le relative variazioni, il conto consuntivo e il trattamento del segretario generale, nonché il recepimento degli accordi contrattuali relativi al personale della segreteria tecnico-operativa; e) propone al comitato portuale gli schemi di delibere riguardanti le concessioni per le operazioni e attività portuali; f) provvede al coordinamento delle attività svolte nel porto dalle pubbliche amministrazioni, nonché al coordinamento e al controllo delle attività soggette ad autorizzazione e concessione, e dei servizi portuali; g) amministra le aree e i beni del demanio marittimo compresi nell'ambito della circoscrizione territoriale dell'autorità; h) esercita le competenze relative alle operazioni portuali e alla concessione di aree e banchine e rilascia, sentito il comitato portuale, le autorizzazioni e le concessioni relative quando queste abbiano durata non superiore a quattro anni, determinando l'ammontare dei relativi canoni; i) promuove l'istituzione dell'associazione del lavoro portuale; j) assicura la navigabilità nell'ambito portuale e provvede al mantenimento ed approfondimento dei fondali; k) esercita i compiti di proposta in materia di delimitazione delle zone franche, sentite l'autorità marittima e le amministrazioni locali interessate; l) esercita ogni altra competenza che non sia attribuita dalla legge n. 84 del 1994 agli altri organi dell'autorità portuale;
   la disciplina del procedimento di nomina dei presidenti delle autorità portuali è dettata dall'articolo 8 della legge n. 84 del 1994, recante riordino della legislazione in materia portuale, come modificato da ultimo dall'articolo 6 del decreto-legge n. 136 del 2004. Il comma 1 dell'articolo 8 della citata legge n. 84 del 1994 prevede che il Presidente dell'autorità portuale sia nominato, previa intesa con la regione interessata, con decreto ministeriale, nell'ambito di una terna di esperti di massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell'economia dei trasporti e portuale, designati rispettivamente dalla provincia, dai comuni e dalle camere di commercio competenti territorialmente. La terna è comunicata al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti tre mesi prima della scadenza del mandato. Il Ministro, con atto motivato, può chiedere di comunicare, entro trenta giorni dalla richiesta, una seconda terna di candidati, nell'ambito della quale effettuare la nomina. Qualora non pervenga nei termini alcuna designazione, il Ministro nomina il presidente, previa intesa con la regione interessata, comunque tra personalità che risultano esperte e di massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell'economia dei trasporti e portuale. Il comma 1-bis del citato articolo 8 della legge n. 84 del 1994 prevede una procedura volta a superare il mancato raggiungimento dell'intesa con la regione interessata e ad evitare il ricorso alla nomina di commissari straordinari nel caso in cui l'intesa non venga raggiunta. La norma prevede che esperite tali procedure, qualora entro trenta giorni non si raggiunga l'intesa con la regione interessata, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, tenendo conto anche delle indicazioni degli enti locali e delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura interessati, indichi il prescelto nell'ambito di una terna formulata a tale fine dal Presidente della giunta regionale. Ove il Presidente della giunta regionale non provveda all'indicazione della terna entro trenta giorni dalla richiesta del Ministro, questi chiede al Presidente del Consiglio dei ministri di sottoporre la questione al Consiglio dei ministri che provvede con deliberazione motivata;
   in data 30 ottobre 2014, se non sarà nominato il Presidente dell'autorità portuale di Napoli, scadrà il mandato del relativo commissario straordinario, Francesco Karrer, che è stato nominato per la durata massima i sei mesi con decreto ministeriale del 30 aprile 2014;
   la nomina di Karrer ha fatto seguito alle dimissioni rassegnate dal commissario straordinario uscente, Felicio Angrisano, che era stato nominato con analogo decreto ministeriale dell'11 dicembre 2013 per la durata di tre mesi, e il cui incarico era stato prorogato per un periodo massimo di sei mesi con decreto ministeriale del 13 marzo 2014;
   Felice Angrisano, a sua volta era stato seguito alle dimissioni di Luciano Dassatti, già presidente dell'autorità portuale partenopea, il quale era stato nominato commissario straordinario con decreto ministeriale del 15 marzo 2013 ed era stato poi confermato con decreto ministeriale del 20 settembre 2013;
   ad avviso dell'interrogante appare paradossale, se non drammatica, tutta la vicenda collegata al porto di Napoli e alle attività collegate a questo settore. Mentre, infatti, prosegue la perdita di peso commerciale delle realtà portuali campane e la costante perdita di flussi di viaggiatori, le vicende collegate alla decisione di destinare attraverso lo strumento del grande progetto risorse europee per l'adeguamento dello stesso sono inesorabilmente bloccate, come del resto appare bloccata tutta la struttura di governo dell'autorità portuale attualmente commissariata;
   l'atto conclusivo di nomina della presidenza dell'autorità portuale è il voto in sede parlamentare nelle Commissioni competenti sia alla Camera dei deputati sia al Senato della Repubblica ma ad oggi non risulta ancora trasmesso alle Camere lo schema di decreto ministeriale di nomina del presidente dell'autorità portuale di Napoli –:
   se e quando, il Governo intenda procedere alla nomina del nuovo presidente dell'Autorità portuale di Napoli e quali siano i motivi del ritardo di tale designazione considerata la necessità di porre fine alla gestione commissariale della predetta autorità portuale. (5-03906)


   TULLO, GADDA, MAURI, SENALDI, ROSSI, MARANTELLI e GUERRA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il collegamento ferroviario tra Arcisate e Stabio consiste nella realizzazione di un nuovo raccordo a due binari che permetterà di connettere l'esistente linea Varese-Porto Ceresio all'altezza di Arcisate, con il tronco ferroviario Stabio-Mendrisio in territorio elvetico; prevede inoltre il raddoppio e la riqualificazione della tratta ferroviaria esistente Arcisate-Induno Olona (4,8 chilometri), la realizzazione di una nuova fermata al confine di Stato (località Gaggiolo nel comune di Cantello) e il ripristino del ramo Porto Ceresio-Arcisate con la realizzazione di una nuova fermata in comune di Besano;
   il progetto di tale collegamento ferroviario è stato adottato in recepimento dell'accordo italo-svizzero per la realizzazione del nuovo collegamento ferroviario Mendrisio-Varese attuativo della convenzione bilaterale firmata a Basilea il 2 novembre 1999 ed inserito nel APQ Malpensa. La realizzazione del raccordo ferroviario renderà attivabili collegamenti transfrontalieri di tipo locale tra Varese e Lugano, tra Varese e Como, così come tragitti a lunga percorrenza tra il Canton Ticino e l'aeroporto di Malpensa. Un progetto di grande rilievo nazionale così come internazionale, visto che la nuova linea passeggeri servirà un territorio dove vivono circa 600 mila persone, con continui spostamenti tra la frontiera italiana e quella svizzera. La linea Arcisate-Stabio fa parte del rafforzamento dei collegamenti tra Italia e Svizzera inserito all'interno delle Reti Ten-T, in particolare del Corridoio Genova-Rotterdam. Si tratta di un collegamento con direttrici di traffico a valenza internazionale (Gottardo e Sempione) e quindi opportunità di collegamento tra le città della Svizzera occidentale (Losanna, Ginevra e Berna) ed orientale (Lugano) con interscambio nella stazione di Gallarate; permette l'istituzione di relazioni viaggiatori dirette tra l'aeroporto di Malpensa e le città della Svizzera meridionale e centrale, attraverso le linee Gallarate-Milano e Milano-Saronno-Malpensa della società FNM, come evidenziato nel documento pubblicato sul sito internet del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sugli interventi di Rfi per i collegamenti tra Italia e Svizzera;
   i lavori, commissionati dal gruppo RFI alla ditta esecutrice ICS Salini, sono iniziati nel 2010. Nel corso degli anni il cantiere ha purtroppo subito numerosi fermi, causando incertezza ai lavoratori coinvolti così come gravi disagi alla popolazione e ai comuni della Valceresio interessati dall'opera. La presenza di materiale inquinante nelle terre, come ad esempio l'arsenico, ha reso impossibile il conferimento delle terre e rocce da scavo nel sito inizialmente previsto dalla ditta esecutrice, ICS Salini, che in data 30 aprile 2013 ha presentato di fronte al tribunale di Roma richiesta di rescissione del contratto ad RFI. Le indagini condotte nell'estate 2013 da regione Lombardia ed ARPA, con il supporto di RFI, hanno consentito l'individuazione di due nuovi siti di stoccaggio delle terre di risulta nelle località di Arcisate e Viggiù. La struttura tecnica di Missione (STM) del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha successivamente indicato l’iter da seguire per riavviare l'opera, consistente nella predisposizione da parte del Soggetto Aggiudicatore di un progetto esecutivo di variante ai sensi dell'articolo 169 del decreto legislativo 163 del 2006 e successive modificazioni ed integrazioni, dall'espressione della valutazione d'impatto ambientale da parte della Regione Lombardia, dalla convocazione da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti della conferenza dei servizi, dallo svolgimento e chiusura della conferenza dei servizi e dall'istruttoria del Ministero delle infrastrutture e trasporti per il CIPE. In data 22 ottobre 2013 è stato sottoscritto tra regione Lombardia, ICS e RFI un «protocollo di intenti» al fine di risolvere la perdurante situazione di stallo e sanare i numerosi disagi causati ai territori interessati; a tale protocollo è seguito l'accordo siglato tra RFI/appaltatore e regione Lombardia in data 19 febbraio 2014 utile a chiudere il contenzioso avanzato dall'Impresa e procedere con le lavorazioni ed il ripristino delle viabilità interrotte;
   in data 12 settembre 2014 regione Lombardia ha approvato il progetto di individuazione dei nuovi siti di stoccaggio delle terre di risulta. La conseguente delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica e circa il provvedimento relativo ai siti di stoccaggio definitivi è fondamentale per la ripresa a pieno regime delle attività di scavo, la prosecuzione dei lavori e l'attivazione della linea, attualmente prevista per giugno 2016. Ulteriori rinvii comporterebbero un immediato riflesso sulle attività di scavo non riavviate integralmente dalla società appaltatrice, causando un aggravio dei disagi sofferti dalla popolazione nei comuni interessati dall'opera. Tale situazione di indeterminatezza ha portato ripetutamente le amministrazioni locali a segnalare alle diverse autorità coinvolte l'esasperazione della popolazione nei confronti di un'opera ampiamente riconosciuta come utile, e per la quale è richiesta una rapida risoluzione –:
   in che tempi si preveda, che si perverrà alla conclusione dei lavori e alla messa in esercizio del tratto italiano della linea ferroviaria Arcisate-Stabio, nonché, in via preliminare, all'attuazione del progetto approvato dalla regione Lombardia in data 12 settembre 2014 per l'individuazione dei siti di conferimento delle terre e rocce da scavo, che necessita di deliberazione da parte del CIPE, in modo da dare una tempestiva risposta alle richieste delle amministrazioni locali. (5-03907)


   PIEPOLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la circolare n. 15513 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha disposto che l'intestazione del libretto di circolazione debba coincidere con la persona che effettivamente risulti conducente della vettura, attraverso l'identificazione tramite patente;
   a partire dal prossimo 3 novembre 2014, difatti, sarà obbligatorio aggiornare la carta di circolazione per chi utilizza un auto di diverso intestatario: come disposto dal paragrafo E.1), saranno esentati da tale obbligo esclusivamente «i componenti del nucleo familiare, purché conviventi»;
   tale previsione risulterà onerosa per molti cittadini, dal momento che dovranno sostenere ulteriori costi per ogni trascrizione aggiuntiva, oneri che vanno ad aggiungersi alle già gravose tasse automobilistiche;
   per quanto concerne i parchi macchine aziendali, invece, le nuove disposizioni possono applicarsi anche mediante istanza cumulativa con un solo modello di tipo TT2120, tramite il pagamento di un'unica imposta di bollo del valore di 16 euro, più 9 euro per ogni carta di circolazione da aggiornare;
   al comma 3 delle avvertenze generali è previsto peraltro un aggravio procedurale in materia di autocertificazioni;
   nulla infine è previsto per quanto concerne la digitalizzazione della procedura –:
   se intenda il Ministro prevedere la neutralità degli oneri della trascrizione per i contribuenti e quali iniziative intenda porre in essere al fine di rendere la trascrizione obbligatoria più rapida e semplice per il cittadino, una delle quali ad esempio potrebbe essere la digitalizzazione del servizio di trascrizione. (5-03908)


   DE LORENZIS, DELL'ORCO, LIUZZI, CRISTIAN IANNUZZI e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   «Ferrovie del Sud Est e Servizi Automobilistici srl» (FSE) è una società a responsabilità limitata con socio unico il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con capitale sociale di euro 10.012.750, e con i suoi 474 chilometri di linea, costituisce, dopo le Ferrovie dello Stato (cui è interconnessa), la più estesa rete omogenea italiana, essa attraversa le quattro province meridionali della Puglia, collegando fra loro i capoluoghi di Bari, Taranto e Lecce, nonché 85 comuni del loro circondario e infine, nel comprensorio a sud di Lecce risultano l'unico vettore su rotaia;
   da fonti stampa di Repubblica.it del 25 e 26 ottobre 2013 dal titolo «Puglia, la truffa dei treni più cari del mondo» e «I treni d'oro alle Sud Est, pagati 20 volte il loro valore» si apprende che in seguito a controlli fiscali dell'Agenzia delle entrate nel 2009, si scopre che la società in oggetto, ha acquistato 25 carrozze passeggeri dismesse da due distinte società tedesche per un importo pari a 912 mila euro;
   sempre dalle stesse fonti stampa si apprende che la «Ferrovie del Sud Est e Servizi Automobilistici srl» ha successivamente rivenduto le 25 carrozze sopra citate ad un costo di 7 milioni di euro ad una piccola azienda polacca denominata «Varsa», la quale dopo una restaurazione delle stesse carrozze li ha rivendute successivamente alla società «Ferrovie del Sud Est e Servizi Automobilistici srl» ad un costo di 22,5 milioni di euro anche grazie ad un contributo regionale del 2007;
   secondo gli articoli di stampa sopracitati, è stata svolta una perizia nella quale risulta che nella vendita a «Ferrovie del Sud Est e Servizi Automobilistici srl» delle 25 carrozze restaurate, «il prezzo è stato nella migliore delle ipotesi raddoppiato rispetto ai reali valori di mercato»;
   si apprende dal medesimo articolo che la società polacca «Varsa», registrata alla camera di commercio locale il 29 dicembre del 2006, sia di proprietà di un italiano, Marco Mazzocchi – oggi indagato – e abbia svolto nella sua esistenza di società, solamente un'altra attività, sempre per «Ferrovie del Sud Est e Servizi Automobilistici srl», questa volta di mediazione, percependo come compenso 11 milioni e 369 mila euro per aver svolto consulenza nell'acquisto da parte di FSE di 27 treni nuovi per un valore complessivo di circa 50 milioni di euro;
   secondo la guardia di finanza la Varsa potrebbe essere una cosiddetta «scatola vuota», uno schermo societario, essendo priva di una struttura aziendale, creata unicamente per ottenere i fondi erogati dalla regione e dall'Unione Europea «e dietro alla quale si potrebbe nascondere qualcun altro» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative abbia già intrapreso o stia intraprendendo per fare chiarezza sui fatti e su eventuali responsabilità interne al dicastero ovvero quali iniziative intenda intraprendere il Ministro per evitare che aziende partecipate dal Ministero vengono coinvolte in operazioni finanziarie che portino ad una sottrazione indebita di denaro pubblico anche attraverso la modalità cosiddette delle «scatole cinesi». (5-03909)


   BIASOTTI e BERGAMINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è sempre più diffuso tra i cittadini l'allarme relativo ai rischi sanitari collegati alla diffusione del virus denominato Ebola che ha colpito, e spesso ucciso, migliaia di persone nel continente africano ed alcune anche nei Paesi occidentali;
   il virus Ebola può diventare una catastrofe umanitaria di grandissime dimensioni poiché, lungi dall'essere un problema dei soli Paesi africani, tocca il mondo intero che, all'epoca della globalizzazione, è completamente interconnesso tramite mezzi di trasporto e caratterizzato da un'intensa mobilità –:
   quali iniziative, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministero della salute e le altre istituzioni impegnate nella gestione del rischio, intenda intraprendere al fine di garantire la sicurezza dei cittadini e dei viaggiatori in transito nei nostri porti, stazioni ed aeroporti rispetto ai rischi segnalati in premessa. (5-03910)


   GAROFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con la circolare 15513, ha disposto che la persona che risulti essere il conducente di una vettura coincida con il nominativo risultante sul libretto di circolazione, da verificare attraverso il controllo della patente di guida;
   la carta di circolazione, per tali motivi, dovrà essere aggiornata a partire dal prossimo 3 novembre, per quanti utilizzino una autovettura intestata a persona diversa, ad eccezione dei componenti del nucleo familiare, purché conviventi, come riportato dal paragrafo E.1 della circolare 15513;
   quanto previsto dalla circolare 15513 comporterà inevitabilmente un aggravio oneroso per molti cittadini, in quanto dovranno sostenere ulteriori spese per ogni trascrizione aggiuntiva che andranno ad aggiungersi alle tasse automobilistiche già previste;
   stando a quanto previsto dalla circolare 15513, ed in riferimento ai parchi macchine aziendali, le nuove disposizioni potranno essere applicate attraverso una istanza cumulativa con modello di tipo TT2120, con il pagamento di una imposta di bollo pari a 16 euro, più 9 euro previsti per ogni carta di circolazione da aggiornare;
   la circolare non prevede alcunché per quanto riguarda il processo di digitalizzazione della procedura –:
   se il Ministro intenda disporre la neutralità degli oneri previsti per la trascrizione da parte dei contribuenti, precisando inoltre in cosa consistono le sanzioni che derivano dalla violazione di quanto disposto dalla circolare anche in considerazione delle incerte indicazioni che i media stanno diffondendo. (5-03911)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CULOTTA, RIBAUDO, BERRETTA e MOSCATT. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come ripetutamente denunciato dal Comitato pendolari Sicilia le tratte ferroviarie Palermo-Messina, Palermo-Agrigento, Palermo-Punta Raisi e Palermo-Trapani rappresentano un importante anello per il trasporto di passeggeri pendolari che tutti i giorni ne usufruiscono per raggiungere il posto di lavoro e i luoghi di studio e di cura;
   da diversi mesi le linee sopra citate sono al collasso per via delle continue soppressioni e dei ritardi quotidiani e sistematici. I ritardi sono compresi tra i 10 e 30 minuti al giorno e arrecano notevoli disagi ai pendolari che devono raggiungere il loro posto di lavoro, di studio e di cura;
   detti ritardi non sono per niente dovuti alle interruzioni dovute a frane e lavori in corso;
   la composizione dei treni è spesso errata, in quanto negli orari di punta i passeggeri sono spesso in sovrannumero e i condizionatori climatici spesso risultano malfunzionanti;
   le prospettive non sono assolutamente rosee, visto il taglio di 20 milioni di euro, tra i fondi richiesti da Trenitalia (130 milioni) e quelli erogati dalla regione (111 milioni), col passaggio delle competenze dallo Stato alla regione siciliana;
   a questo si aggiunga il pericoloso taglio effettuato da Trenitalia ai danni della manutenzione dei treni, col risultato che spesso i treni ritardano per problemi alle porte altrimenti evitabili –:
   se intenda monitorare la situazione del trasporto ferroviario in Sicilia e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere affinché Trenitalia proceda ad un adeguamento degli orari. (5-03887)

Interrogazione a risposta scritta:


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la revoca dei decreti per la continuità territoriale dalla Sardegna per Verona, Torino, Bologna e Napoli è l'ennesima mazzata per il sistema dei trasporti per l'isola;
   la decisione di regione e Governo è secondo l'interrogante l'ennesimo via libera alla speculazione aerea su quelle tratte, considerato che è falso che su quelle rotte esiste concorrenza;
   si è decisa una revoca senza un progetto, senza una strategia, ma solo per consentire alle compagnie aeree di continuare a speculare sulla Sardegna;
   secondo l'interrogante siamo dinanzi ad un Governo e ad una regione sempre più protesi a tutelare gli affari delle compagnie piuttosto che a garantire un servizio pubblico quale la continuità territoriale tra la Sardegna e il continente;
   la regione appare incapace di qualsiasi soluzione e di qualsiasi risultato essendo, secondo l'interrogante, troppo allineata alle posizioni del Governo;
   la politica dei trasporti di questo, Governo e della giunta regionale è fallimentare;
   la decisione di revocare il decreto sulla cosiddetta continuità territoriale 2 è un ritorno indietro di 14 anni e non tiene in minimo conto delle conquiste fatte sul fronte del collegamento con altre realtà con le quali si era instaurata una connessione rilevante, a partire dagli emigrati sardi;
   sulla continuità territoriale da e per la Sardegna si passa da un fallimento all'altro, dalla continuità territoriale aerea a quella marittima, frutto di scelte confuse che stanno continuando a mettere in ginocchio la Sardegna;
   la mancata negoziazione seria e approfondita con la Commissione europea era tesa a fare l'ennesimo regalo alle compagnie aeree rinunciando, senza alcun tipo di reazione, alla continuità territoriale;
   tutto questo è avvenuto senza alcun tipo di pronunciamento dell'Unione europea che aveva solo chiesto dei chiarimenti –:
   se non ritenga di dover dare spiegazioni su questo atto di revoca della continuità territoriale alla luce di un diritto che di fatto viene negato alla Sardegna;
   se non ritenga che debba essere immediatamente ripristinato il servizio pubblico di continuità territoriale rispetto a quelle località, che anche per la presenza di numerosi emigrati in quelle zone, sono di fondamentale importanza per la regione di connessione;
   se non ritenga di dover proporre un percorso tecnico amministrativo per il ripristino immediato di quelle rotte da sottoporre a regime di onere del servizio pubblico;
   se non ritenga di far conoscere le argomentazioni della commissione europea e le formali risposte fornite dal Governo. (4-06658)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   BERRETTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'anno 2004 è stato presentato il progetto della realizzazione della nuova questura di Catania da realizzarsi nel territorio di Librino viale Nitta angolo viale Bonaventura. Il progetto finanziato con fondi del CIPE avrebbe avuto un costo di 31.000.000 + 30.000.000 per tre blocchi di edifici;
   nell'anno 2008 viene annunciato dall'allora prefetto Iurato l'avvio della procedura per i lavori di realizzazione del primo lotto finanziato con 31.000.000;
   nel 2010 il questore invia una nota ove annuncia l'avvio dei lavori di costruzione;
   tali lavori, ad oggi, non sono mai davvero iniziati;
   le strutture in cui risiede la polizia di Stato a Catania comportano un costo compreso tra i tre e i quattro milioni di euro annui per i canoni di locazione;
   spesso tali strutture non paiono adeguate alle norme in materia di sicurezza;
   la mancata razionalizzazione degli spazi destinati alla polizia conduce, oltre alla spesa esorbitante già citata, all'impegno di oltre centocinquanta (150) agenti, per le esigenze logistiche;
   con una razionalizzazione degli spazi si potrebbero «liberare» tali agenti in modo da aumentare la sorveglianza del territorio e la sicurezza dei cittadini –:
   quali iniziative intenda assumere per verificare eventuali responsabilità e cause rispetto alla mancata realizzazione della nuova questura di Catania;
   quali iniziative intenda intraprendere per realizzare una razionalizzazione necessaria degli spazi da destinare alle forze di polizia nel territorio di Catania al fine di ridurre i costi e liberare risorse umane per la sicurezza e la vigilanza del territorio stesso. (4-06632)


   NACCARATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nello scorso mese di maggio, in seguito a una indagine della polizia federale argentina, è venuto alla luce un importante traffico di cocaina che dal porto di Madryn, nella provincia argentina di Chubut, era destinata tramite la rete spagnola alla città di Trento;
   il ritrovamento è stato possibile grazie all'intervento degli uomini della polizia doganale spagnola che hanno perquisito i container provenienti dalla città portuale argentina scoprendo duecento chilogrammi di cocaina nascosti nel carico di porfido;
   la società che ha movimentato il carico è la United Stones che risulterebbe, in parte, di proprietà di imprenditori trentini e la cui rappresentante legale ha, a sua volta, origini trentine;
   dalle successive indagini sarebbe emerso che il carico di droga farebbe parte di un vero e proprio traffico dal Sudamerica che ammonterebbe ad una prima stima di seicento chilogrammi di cocaina a cui si sarebbero aggiunti altri centodieci chilogrammi sequestrati in loco;
   nel successivo mese di giugno la stampa locale di Trento è tornata sul caso analizzando le dinamiche societarie dei produttori locali di porfido;
   a quanto pare, dalla ricostruzione del quotidiano il Trentino, il carico di cocaina del valore di 20 milioni di euro faceva parte di un traffico molto più ampio che già da cinque anni solcava l'oceano «con la complicità dei titolari della società del porfido»;
   secondo le ipotesi degli investigatori il traffico sarebbe iniziato da uno studio legale della città di Trelew, in Patagonia, che, su incarico di alcuni uomini d'affari colombiani, avrebbe trovato una società che esportava in Europa notevoli quantità di materiale lapideo;
   secondo gli inquirenti i carichi erano diretti in parte in Italia e in parte in Spagna –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   quali azioni, di competenza, il Ministro intenda adottare per cooperare con le autorità argentine al fine di chiarire la natura degli scambi commerciali tra le società trentine coinvolte e gli esportatori argentini;
   in che modo il Ministro intenda intervenire per quanto di competenza affinché si faccia luce sul traffico internazionale di stupefacenti al fine di prevenire e contrastare l'attività criminale connessa con il traffico stesso. (4-06633)


   RAMPI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   diversi comuni segnalano come spesso il rimborso delle spese di notifica degli atti sostenute per conto di un comune da un altro comportano dei costi per la richiesta e la riscossione del rimborso superiori al rimborso stesso, dovuto per legge, che genera di fatto uno spreco di denaro pubblico e di risorse inutile –:
   se si sia a conoscenza di tali procedure e se non si ritenga di intervenire tempestivamente e assumere iniziative normative per modificare le procedure stesse o introducendo tetti di riscossione o meccanismi di reciprocità tali da evitare tali inutili costi e assurde procedure. (4-06634)


   RAMPI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 ottobre 2014 a Vimercate (Monza Brianza) alle ore 21 circa si è sviluppato un corteo per la via centrale diretto al municipio composto da militanti del gruppo politico Forza Nuova provenienti da fuori città, che ha bloccato la città e invaso la piazza del municipio e infine abusivamente apposto uno striscione sulla facciata del municipio stesso;
   nella città di Vimercate, medaglia d'argento al merito civile, da alcune settimane è in corso una crescente tensione alimentata dalla irresponsabilità di alcune realtà cittadine e cavalcata da forze esterne alla città a partire dalla eventualità, comunicata dal prefetto, dell'insediamento di un centro di prima accoglienza di richiedenti asilo. È intollerabile che una comunità, coinvolta dallo Stato nelle sue articolazioni periferiche, a rispondere ad esigenze nazionali di accoglienza dei richiedenti asilo venga abbandonata dallo Stato stesso e d'altro canto che a una comunità cui è stato riconosciuto il merito civile per la lotta al nazifascismo debba subire l'onta di un'invasione di nostalgici che inneggiano a ideologie dal cui superamento e dalla cui sconfitta e sul ripudio delle quali, costituzionalmente sancito, si fonda la nostra Repubblica –:
   se il Ministro sia a conoscenza di come si siano svolti l’iter autorizzativo e la gestione dell'ordine pubblico in questa occasione se si siano rispettate le normative e gli obblighi dell'articolo 18 del Testo Unico di pubblica sicurezza, se la questura fosse informata e abbia vietato o autorizzato tale corteo e con quali limiti;
   se corresse in questo caso l'obbligo di informare, e con quali modalità, il sindaco della città che non è invece stato informato, cui è stato impedito di concorrere alla corretta gestione dell'ordine pubblico come invece espressamente previsto dall'articolo 1 del suddetto testo unico;
   se risultino, come riferito, comportamenti dei manifestanti inneggianti al fascismo e quali iniziative di competenza si siano assunte dalle forze di polizia verso i manifestanti per questo e per l'apposizione abusiva di uno striscione sulla facciata del palazzo municipale, sede della comunità intera, che non può essere impunemente oltraggiato e lasciato indifeso. (4-06651)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo pubblicato sul quotidiano online «loraquotidiano.it» il 22 ottobre 2014, si apprende che l'amministratore delegato di Onda Energia avrebbe rinunciato all'affidamento della gestione del servizio idrico integrato nei 52 comuni della provincia di Palermo per la quale l'azienda siracusana si era fatta avanti nel mese di febbraio 2014;
   nonostante l'affidamento definitivo della gestione delle reti e la sigla in Confindustria del verbale per il trasferimento dei lavoratori, nonostante gli oltre 150 mila euro di spese sostenute e la fideiussione versata per partecipare all'iniziale manifestazione pubblica di interesse e nonostante fosse già stata creata una società di scopo, Onda Idrica spa, con tanto di organico definito, l'azienda avrebbe deciso di rinunciare a seguito dello verifica sul pessimo stato in cui versano le reti idriche e i depuratori nella provincia di Palermo. A titolo di esempio, viene citato il comune di Villafrati (Palermo) in cui viene distribuita acqua non potabile e quelli di Termini Imerese (Palermo), Blufi (Palermo), Campofiorito (Palermo) e Santa Flavia (Palermo) che scaricano a mare o, comunque, lungo corsi d'acqua;
   secondo Luigi Martines, amministratore delegato di Onda Energia, le ragioni che lo hanno portato a desistere sarebbero state: il pessimo stato delle reti, il fatto che molti degli impianti verificati sarebbero fuori norma e in precario stato di conservazione, che tutti gli impianti di depurazione risulterebbero costruiti non conformemente al decreto legislativo 152 del 2006; ad eccezione dell'impianto di Balestrate (Palermo), e che l'acqua spesso non risulta – conforme ai parametri microbiologici di legge;
   la gestione del servizio idrico integrato in provincia di Palermo era stata affidata con ordinanza del prefetto ad «Acque potabili siciliane», che occupa oltre 200 dipendenti e oggi rischia il fallimento. L'ordinanza scadrà il prossimo 31 Ottobre e non risulta che il prefetto non abbia intenzione di concedere una proroga;
   la gestione del servizio idrico vive una fase di emergenza che sta provocando una serie di gravi disservizi. Questa emergenza dura da quasi 3 anni, con 2 anni di amministrazione straordinaria, 4 mesi di amministrazione fallimentare e altri 8 mesi di gestione di emergenza da parte dell'Ato idrico su ordinanza prefettizia;
   inoltre ad Acque potabili siciliane, al momento della sua costituzione fu finanziato dalla Unione europea, per quasi 21 milioni di euro, il progetto «Conoscenza» che serviva proprio a fare una ricognizione dello stato attuale delle infrastrutture attraverso sopralluoghi negli impianti;
   sarebbe quindi opportuno capire che fine hanno fatto questi fondi dal momento che le reti sono un colabrodo e non si contano le perdite di acqua. Al 31 dicembre 2011, risulterebbe infatti che l'importo per lo svolgimento delle attività avviate nell'ambito del progetto «Conoscenza» era di oltre 1 milione 350 mila euro, di cui quasi 635 mila fatturati dai soci tra il 2008 e il 2010 ed il resto stanziati;
   le organizzazioni sindacali dei chimici di Cgil, Cisl, Uil, Ugl e Cisal hanno presentato un esposto alla Corte dei Conti e alla procura di Palermo per far luce sulla vicenda;
   inoltre, con sentenza C 85/13 del 10 aprile 2014, la Corte di giustizia dell'Unione europea, sezione 10a, ha condannato l'Italia inadempiente circa l'inquinamento idrico e il trattamento delle acque reflue urbane per alcuni comuni. L'Italia infatti è venuta meno agli obblighi della direttiva 91/271/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1991, concernente il trattamento delle acquea reflue urbane, come modificata dal regolamento n. 1137/2008. La direttiva, in sostanza, prevede che le acque di scarico prima di confluire nelle reti fognarie, debbono essere sottoposte a trattamento che rispetti l'ambiente e le prescrizioni di legge;
   dalla settima relazione, depositata in data 7 agosto 2013, redatta dalla commissione e presentata al Parlamento europeo, al Consiglio, al comitato economico e sociale europeo e al comitato delle regioni sull'attuazione della direttiva concernente il trattamento delle acque reflue urbane si evince che in Italia 475 centri urbani piccoli/grandi risultavano non in regola con la direttiva al momento dell'avvio del procedimento di infrazione nel 1998; ad oggi ancora 110 di essi si trovano in una situazione di non conformità;
   a seguito della condanna in sede europea in data 19 luglio 2012 e relativa ai centri urbani con più di 15mila abitanti per la mancanza di un trattamento secondario delle acque reflue, si prospetta per l'Italia, a partire dal 1o gennaio 2016, una sanzione da un minimo di 11.904 euro a un massimo di 714.240 euro, per ogni giorno di ritardo nell'adeguamento dei sistemi di raccolta e trattamento degli scarichi;
   in Sicilia i comuni interessati dalla sentenza del 10 aprile 2014, già richiamata, sono quelli di Castellammare del Golfo (Trapani), Cinisi (Palermo), Partinico (Palermo), Terrasini (Palermo) e Trappeto (Palermo) in cui le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie non sono sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento più spinto di un trattamento secondario o equivalente. Inoltre, sempre relativamente ai suddetti comuni, la sentenza stabilisce l'inadempienza relativamente agli obblighi volti a garantire che la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane realizzati per ottemperare ai requisiti fissati dagli articoli da 4 a 7 della direttiva 91/271 siano condotte in modo da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali e che la progettazione degli impianti tenga conto delle variazioni stagionali di carico;
   già con sentenza 19 luglio 2012, causa C-545/10, la Corte di giustizia europea aveva stabilito la violazione da parte dell'Italia delle norme dell'Unione europea sulla raccolta, trattamento e scarico delle acque reflue urbane non rispettando i tempi stabiliti per la loro applicazione. I giudici comunitari diedero quindi ragione alla Commissione europea che nel 2009 avviò una procedura d'infrazione contro l'Italia per il mancato rispetto delle norme dell'Unione europea e per quanto riguarda la Sicilia, relativamente ai sistemi di depurazione di: Misterbianco, Paternò, Aci Catena, Adrano, Catania, Giarre-Mascali-Riposto, Caltagirone, Aci Castello, Acireale, Belpasso, Biancavilla, Gravina di Catania, Tremestieri Etneo, San Giovanni La Punta, Caltanissetta-San Cataldo, Macchitella, Niscemi, Agrigento, Favara, Palma di Montechiaro, Porto Empedocle, Sciacca, Cefalù, Carini e ASI Palermo, Palermo, Santa Flavia, Augusta, Avola, Priolo Gargallo, Carlentini, Ragusa, Marina di Ragusa, Santa Croce Camerina, Vittoria, Scoglitti, Favignana, Marsala, Partanna 1 (Villa Ruggero), Capo d'Orlando, Giardini Naxos, Consortile Letojanni, Pace del Mela, Piraino, Roccalumera, Consortile Sant'Agata Militello, Consortile Torregrotta, Messina 1, Messina e Messina 6;
   per affrontare e risolvere la questione alla Sicilia sono stati assegnati 1.161 milioni di euro messi a disposizione dal fondo sviluppo e coesione per realizzare fogne e depuratori nell'isola. Ad oggi, però, il numero di progetti cantiere è di appena 14 su 94;
   tutto ciò dimostra come la salute e la sicurezza dei cittadini sia messa in grave pericolo dall'incuria e dall'incapacità da parte di quei soggetti che invece dovrebbero garantirne la tutela, attraverso una distribuzione capillare di acqua potabile e un corretto smaltimento di quelle reflue, eliminando gli sprechi e riducendo l'inquinamento del mare e dei corsi d'acqua –:
   se si intenda, inviare un'ispezione del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, in merito alla situazione descritta in premessa, presso i depuratori presenti nei 52 comuni della provincia di Palermo interessati, per accertarne i reali guasti e malfunzionamenti;
   se e con quali iniziative i Ministri intendano intervenire per evitare che l'Italia sia costretta a pagare le sanzioni previste dall'Unione europea adeguando i sistemi di raccolta e il trattamento degli scarichi alle normative in vigore, con particolare riguardo alla regione Sicilia.
(4-06657)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARNEVALI, MALPEZZI, MANZI, CAROCCI, GIUSEPPE GUERINI, BOMBASSEI, CINZIA MARIA FONTANA, GHIZZONI, SANGA, MISIANI e CRIMÌ. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 21 dicembre 1999 n. 508, reca riforma delle Accademie di belle arti, dell'Accademia nazionale danza, dell'Accademia nazionale di arte drammatica, degli istituti superiori per le industrie artistiche, dei conservatori di musica e degli Istituti pareggiati musicali;
   il decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 2003, n. 132 concernente regolamento recante criteri per l'autonomia statutaria, regolamentare e organizzativa delle istituzioni e artistiche e musicali, a norma delle legge 21 dicembre 1999 n. 508, e in particolare l'articolo 7, comma 2, lettera e), che prevede che faccia parte del consiglio di amministrazione anche un «esperto di amministrazione, nominato dal ministro, scelto tra personalità del mondo dell'arte e della cultura, del sistema produttivo e sociale, delle professioni e degli enti pubblici e privati»;
   l'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114 impone il divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2011, nonché alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Alle suddette amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di Governo ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all'articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125;
   il decreto ministeriale 6 ottobre 2014, n. 778 riguardante «Rosa di esperti per il conferimento degli incarichi di membro nei consigli di amministrazione delle Istituzioni ad alta formazione artistica, musicale e coreutica» predispone l'elenco delle persone la cui nomina spetta al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca (allegato A) ed esplicita che per i soggetti in quiescenza, l'incarico può essere conferito solo per un anno e a titolo gratuito ai sensi dell'articolo 6 del decreto legge 24 giugno 2014 n. 90 convertito, con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014 n. 114;
   è necessario provvedere anche alla nomina dei rappresentanti legali (presidenti) attualmente vacanti, delle istituzioni ad alta formazione artistica, musicale e coreutica, nomina che spetta al Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca, all'interno della terna inviata dai consigli accademici sulla base, dei criteri, di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 295 del 2006 –:
   se il Governo, e nello specifico il Ministro interrogato, intenda procedere alla integrazione dei consigli di amministrazione e con quale tempistica;
   se intenda procedere e con che tempi alla nomina dei presidenti con il conferimento di un anno per coloro che pur avendo i requisiti di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 295 del 2006 sono in condizione di quiescenza. (5-03886)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DIENI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   sempre più negli anni si è dimostrato come la presenza di una rete internet veloce sia un requisito fondamentale non solo per lo sviluppo economico di un territorio, ma anche per la diffusione dell'informazione e della conoscenza;
   il decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, la cosiddetta Agenda Digitale, stabilisce, all'articolo 1 che «lo Stato promuove lo sviluppo dell'economia e della cultura digitali, definisce politiche di incentivo alla domanda di servizi digitali e favorisce l'alfabetizzazione informatica, nonché la ricerca e l'innovazione tecnologiche, quali fattori, essenziali di progresso e opportunità di arricchimento economico, culturale e civile»;
   nella legge erano contenute inoltre alcune specifiche misure per lo sviluppo infrastrutturale della rete, per garantire la copertura del servizio anche alle parti del Paese, specie nel Meridione d'Italia, che ancora non ne erano provviste;
   a quanto risulta dall'articolo pubblicato sul quotidiano La Repubblica, dal titolo «niente web anche se è gratis “Al sud 220 scuole rifiutano la nuova rete superveloce”», l'obiettivo di garantire agli studenti l'accesso ad internet con sistemi adeguati ai tempi non sembrerebbe essere una priorità delle amministrazioni scolastiche meridionali;
   secondo l'articolo Enzo Valente, già ricercatore al Cern di Ginevra e attualmente direttore del consorzio Garr, avrebbe offerto la possibilità a 260 scuole di Calabria, Sicilia, Puglia e Calabria di collegarsi gratuitamente, tramite fondi da lui reperiti, alla rete in fibra ottica super veloce utilizzata per la ricerca scientifica italiana, ma 220 scuole avrebbero rifiutato;
   l'unico costo richiesto sarebbe stato quello relativo al canone quinquennale per la manutenzione, pari a tremila euro;
   va ricordato che GARR è la rete telematica italiana dell'università e della ricerca ed il suo principale obiettivo è quello di fornire connettività ad altissime prestazioni e servizi avanzati alla comunità scientifica ed accademica italiana;
   la rete GARR è ideata e gestita dal Consortium GARR, un'associazione senza fini di lucro fondata con il patrocinio del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca;
   secondo Enzo Valente i fondi reperiti e messi a disposizione per il collegamento degli istituti dovrebbe essere spesi entro il 31 marzo 2015, senza la possibilità di ulteriori proroghe –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, quali elementi abbiano portato le scuole citate dall'articolo a rifiutare la possibilità di poter accedere gratuitamente alla rete ad altissima velocità fornita dal consorzio Garr e se non intenda valutare misure di propria competenza per consentire, con questo o altri sistemi, alle scuole del sud di poter usufruire di un collegamento internet veloce. (4-06640)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale n. 509 del 1999 prevedeva l'introduzione nelle università di apposite modalità organizzative delle attività formative per studenti non impegnati a tempo pieno;
   secondo i dati di Almalaurea tra i laureati del 2011 i fuoricorso sono il 62 per cento nei percorsi triennali, il 52,8 per cento in quelli biennali e il 65 per cento nelle lauree a ciclo unico; fra i laureati di primo livello del 2011 a dedicarsi esclusivamente allo studio sono soltanto il 27 su 100; 10 hanno invece concluso gli studi avendo lavorato continuativamente a tempo pieno per almeno la metà del percorso universitario; altri 64 su 100 hanno avuto molteplici esperienze lavorative durante gli anni di studio;
   nella quasi totalità delle università italiane la tassa universitaria per i fuoricorso prevede un aumento del 50 per cento della stessa –:
   quali interventi concreti si intendano porre in essere per non penalizzare con tasse universitarie maggiorate gli studenti lavoratori che, dovendo contemporaneamente lavorare e studiare, hanno evidenti difficoltà a conseguire la laurea nei tempi previsti. (4-06646)


   CIRACÌ. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
    tra le iniziative del Governo, è prevista l'esclusione della dirigenza scolastica dal ruolo unico nazionale, in controtendenza rispetto alle legittime rivendicazioni di una categoria che, da 14 anni, persegue costantemente l'obiettivo della perequazione stipendiale rispetto alle altre dirigenze pubbliche, avendone sia le caratteristiche che le prerogative di status;
   tale riconoscimento non comporta peraltro alcuna spesa aggiuntiva se si redistribuisce il monte salario accessorio di retribuzione di risultato e di posizione attualmente disponibile per le aree dirigenziali, essendo già la retribuzione tabellare uguale per tutta la dirigenza;
   tale posizione è stata acclarata e confermata dal tribunale di Como con sentenza n. 231/14 n. 1026/13 R.G., 8 maggio 2014, dove è ribadito che: «L'interpretazione delle norme contrattuali da parte dell'Amministrazione di appartenenza risulta, pertanto, discriminatoria, lesiva dei diritti ed interessi ed ingiustamente penalizzante per i ricorrenti e, per ciò solo, contrastante con gli articoli 3, 36 e 97 della Costituzione. Non osta al riconoscimento della retribuzione individuale di anzianità in favore dei dirigenti scolastici provenienti dalla carriera docenti, l'assenza di previsione specifica nella contrattazione collettiva di riferimento poiché è possibile estrapolare per stretta analogia, la relativa disciplina dai principi generali dell'ordinamento sopra, menzionati e dal sistema concernente il trattamento economico dei dirigenti scolastici tutti appartenenti all'area V del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   risultano infatti applicabili per analogia i criteri per il calcolo della RIA che per i dirigenti scolastici provenienti dal ruolo dei Presidi furono codificati dal CCNL 2001, stante la identità di ruolo e di posizione fra i dirigenti scolastici ricorrenti, nominati a seguito di concorso pubblico, quelli nominati a seguito di concorso riservato ai docenti ex presidi incaricati e quelli provenienti dal ruolo soppresso dei presidi;
   la parificazione dei dirigenti sotto l'aspetto giuridico non può che condurre alla parificazione economica sicché la retribuzione del dirigente scolastico vincitore del concorso ordinario non può essere inferiore rispetto a quella dei dirigenti provenienti da altri ruoli, atteso che, per tutti, l'inquadramento giuridico nel ruolo dirigenziale e la costituzione del rapporto di lavoro avviene con la sottoscrizione del contratto uguale per tutti –:
   quali iniziative il Ministro intenda porre in essere affinché la dirigenza scolastica venga inserita nel predetto ruolo unico della dirigenza statale. (4-06656)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LENZI, ALBINI, AMATO, BENI, CAPONE, CARNEVALI, D'INCECCO, MIOTTO, MURER e SBROLLINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Carta acquisti (conosciuta anche come «social card») fu istituita dall'articolo 81, commi 29 e seguenti, del decreto- legge n. 112 del 2008 e finanziata inizialmente con 170 milioni di euro stanziati dal decreto del Ministro dell'economia e delle finanze n. 96257 del 2 settembre 2008 e con 485,6 milioni di euro stanziati dal decreto del Ministro dell'economia e delle finanze n. 16792 del 18 febbraio 2009, oltre che con donazioni private e fondi di regioni ed enti locali;
   la carta acquisti «ordinaria», in vigore da ottobre 2008 è rivolta a cittadini italiani di età pari o superiore a 65 anni o minori di 3 anni, che versano in condizione di maggior disagio economico per l'acquisto di beni e servizi;
   successivamente, con l'articolo 60 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, fu stabilito il finanziamento di 50 milioni per l'avvio della sperimentazione di una nuova social card nei comuni con più di 250.000 abitanti (Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia, Verona) al fine di favorirne la diffusione tra le fasce di popolazione in condizione di maggior bisogno al fine di poterne valutare la possibile estensione su tutto il territorio nazionale come strumento di contrasto alla povertà assoluta;
   secondo il decreto attuativo la «nuova social card» doveva funzionare come un vero e proprio «reddito minimo» rivolto non solo ai cittadini italiani, ma anche a quelli comunitari o quelli in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornati di lungo periodo che si trovassero nella condizione economica prevista dal decreto stesso;
   in seguito, il Governo Letta con il decreto interministeriale del 10 gennaio 2013 e con l'articolo 3, comma 2 del decreto-legge n. 76 del 2013 estese la nuova social card ai territori delle regioni del Mezzogiorno non coperti dalla precedente sperimentazione nei limiti di 140 milioni di euro per il 2014 e 27 milioni di euro per il 2015;
   con la legge di stabilità 2014 si dispose all'articolo 1, comma 216, il rifinanziamento del programma «carta acquisti» ordinaria per 250 milioni di euro nel 2014 e lo stanziamento di ulteriori 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014-2016 per la progressiva estensione a tutto il territorio nazionale della sperimentazione del programma di sostegno per l'inclusione attiva di cui all'articolo 60 del decreto- legge n. 5 del 2012 –:
   quale sia ad oggi lo stato di attuazione sia della carta acquisti ordinaria – indicando in particolare quanti nuclei familiari, sia tra gli over 65 anni che tra i minori di 3 anni, ne abbiano beneficiato e quale sia la loro dislocazione territoriale – sia della carta acquisti sperimentale.
(5-03888)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIBAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 6 del decreto legislativo n. 150 del 1o settembre 2011, recante «Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69», che modifica gli articoli 22 e seguenti della legge n. 689 del 24 novembre 1981, recante «Modifiche al sistema penale», disciplina l'opposizione ad ordinanza-ingiunzione e prevede che il trasgressore, a seguito di accertamento ispettivo in materia di lavoro e legislazione sociale, possa impugnare l'ordinanza-ingiunzione emessa dalla direzione territoriale del lavoro ma non il verbale unico di accertamento ispettivo;
   l'Inps, l'Inali e gli altri enti previdenziali, al fine di quantificare correttamente i premi e i contributi dovuti dalle aziende, emettono avviso di accertamento o avviso di addebito o redigono verbale unico di contestazione. Avverso detti provvedimenti è prevista un'autonoma impugnazione dinanzi a giudici diversi e il contestuale incardinamento di più procedimenti giudiziari;
   da ciò deriva che le imprese che vogliano contestare gli addebiti per premi e contributi Inps ed Inali dovranno attivarsi per impugnare in giudizio i singoli atti amministrativi di tali enti con processi separati ed autonomi ai sensi degli articoli 409 e 442 del codice di procedura civile ferma restando, invece, l'applicazione della legge n. 689 del 1981 per l'impugnazione-ingiunzione per le relative sanzioni amministrative di competenza della direzione territoriale del lavoro;
   successivamente, definito il procedimento di primo grado, l'eventuale appello spetta, nel caso di INPS è INAIL, alle avvocature regionali interne e, nel caso delle direzioni territoriali del lavoro, all'Avvocatura dello Stato che viene delegata ex lege alla rappresentanza e difesa del Ministero del lavoro e delle politiche sociali dinanzi alle corti d'appello d'Italia;
   in base a quanto descritto, i soggetti opponenti si trovano ad affrontare in tempi diversi più processi e gradi di giudizio aventi ad oggetto i medesimi accertamenti ispettivi. In totale i giudizi azionati potrebbero raggiungere il numero di nove. Per un medesimo accertamento ispettivo, dunque, sono previsti processi diversi, seppur regolati da riti analoghi, con diverse modalità di acquisizione della prova, che, al momento, presuppongono una difesa tecnica nel solo caso dei giudizi in materia previdenziale e assicurativa per INPS ed INAIL. Di fatto, tuttavia, i giudici applicano le medesime regole processuali richiedendo una competenza tecnica in tutti i giudizi, senza che vi sia la possibilità di riunire i processi, Inoltre, all'esito del giudizio, per il Ministero del lavoro e delle politiche sociali non è mai riconosciuto l'onorario di giudizio ai funzionari abilitati all'esercizio della professione che svolgono una funzione di rappresentanza e difesa nei processi;
   le remunerazioni, gli inquadramenti contrattuali e gli incentivi di coloro che lavorano presso l'INPS e l'INAIL e coloro che rappresentano l'amministrazione in giudizio presso la direzione territoriale del lavoro sono differenti, pur svolgendo, di fatto, tali soggetti le medesime mansioni;
   ai sensi del regio-decreto del 30 ottobre 1933, n. 1611, «Approvazione del Testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato», l'Avvocatura dello Stato è competente a trattare in appello le controversie giudiziarie aventi ad oggetto la contestazione degli illeciti amministrativi delle direzioni territoriali del lavoro. Diversamente l'Inps, l'Inail e gli altri enti previdenziali trattano autonomamente in sede regionale tali impugnazioni;
   questa difformità di competenze e di funzioni determina disomogeneità applicativa delle disposizioni di legge e una proliferazione di contenziosi giudiziari a danno della certezza del diritto, con un considerevole costo per i soggetti direttamente coinvolti e un evitabile spreco di risorse pubbliche –:
   se non si reputi opportuno assumere iniziative per riconoscere al Ministero del lavoro e delle politiche sociali gli onorari relativi alla difesa tecnica nei giudizi in materia giuslavoristica, garantendo in tal modo nuove entrate per lo Stato;
   se si intenda rendere noti i dati relativi a quali e quante sentenze di primo grado contro le direzioni territoriali del lavoro vengano impugnate dall'Avvocatura dello Stato (nonostante la richiesta esplicita di impugnazione delle direzione territoriale del lavoro o del Ministero del lavoro e delle politiche sociali) ed in quanti casi l'Avvocatura dello stato rimanga contumace nel caso di giudizi di appello al fine di verificare il rispetto dei parametri minimi di efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa;
   se si intendano rendere noti i dati di partecipazione nei giudizi di primo grado delle direzioni territoriali del lavoro e le percentuali di successo nelle controversie giudiziarie;
   se non si ritenga opportuno e necessario affidare, attraverso apposita iniziativa normativa, la difesa tecnica in primo ed in secondo grado ai funzionari abilitati all'esercizio della professione che svolgono già funzioni di rappresentanza in giudizio presso le singole direzioni territoriali del lavoro;
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per colmare, a parità di mansioni svolte, il gap normativo esistente tra funzionari abilitati e ai colleghi di INPS e INAIL che svolgono le stesse mansioni, attraverso il riconoscimento di posizioni organizzative (già previste dall'articolo 18 CCNL 1998/2001 e dall'articolo 5 del CCNL Ministero del lavoro e delle politiche sociali) o altri incentivi che tengano conto del merito e dell'elevata professionalità, considerata altresì, l'eliminazione dalla vicedirigenza (introdotta dalla legge 15 luglio 2002, n. 145 e poi abrogata con l'articolo 5, del decreto-legge 6 luglio 2002, n. 95) e la mancata attuazione dell'area dei professionisti prevista dal CCNL comparto Ministeri del 1998/2001 ai sensi degli articoli 36 e 38, con termine per l'istituzione fissato al 30 settembre 1999 e confermata nel successivo CCNL 12 giugno 2003, e mai attuata.
(4-06635)


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Liomatic s.p.a. con sede a Perugia opera nel settore della distribuzione automatica di bevande e alimenti e ha conquistato una posizione leader nel Centro e Sud Italia;
   come si apprende dagli organi di stampa, la proprietà ha varato un piano di riorganizzazione che prevede tagli al personale;
   L'azienda ha comunicato alle organizzazioni sindacali l'apertura della procedura di mobilità per 151 addetti su un complessivo di 609 dipendenti distribuiti in 6 regioni; in particolar sono previsti oltre 60 esuberi nelle unità operative di Perugia, Terni e San Giustino;
   nonostante un incontro tra l'azienda e i sindacati, la direzione aziendale ha confermato il piano dei licenziamenti; tale scelta è stata criticata dalla delegazione sindacale ad avviso della quale i licenziamenti non sono giustificabili sia in fatto di conti sia per la mancanza di un piano industriale che se redatto potrebbe salvare l'occupazione e ridurre gli sprechi e settori in difficoltà;
   la situazione sarebbe particolarmente grave, poiché per l'impresa non sarebbe possibile associare ammortizzatori sociali da poter utilizzare per gestire gli esuberi in quanto l'azienda non è beneficiaria di trattamento di cassa integrazione straordinaria a seguito di un inquadramento Inps particolare;
   a tutt'oggi rimane forte la preoccupazione tra i dipendenti delle unità operative situate a Perugia e in Umbria in merito al proprio futuro occupazionale e per la mancanza di tutele adeguate –:
   se il governo intenda attivare un tavolo di confronto — coinvolgendo le istituzioni locali e regionali — al fine di individuare la soluzione più adeguata che porti ad un ripensamento delle scelte aziendali, anche facendosi promotore di un nuovo piano industriale che abbia come obiettivo prioritario la salvaguardia dei livelli occupazionali e il rilancio dell'attività economica del gruppo Liomatic. (4-06638)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BARONI, MANTERO, SILVIA GIORDANO, DI VITA, LOREFICE, GRILLO e CECCONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la tutela della salute è un diritto fondamentale dell'individuo e rappresenta un interesse della collettività, come sancito dall'articolo 32 della Costituzione italiana;
   in Italia le epatiti virali rappresentano una concreta emergenza sanitaria, in particolare l'epatite C, come rappresentato dai dati presentati nel libro bianco AISF 2011 e dal technical report sulle epatiti B e C del Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie (ECDC);
   queste pubblicazioni che includono una dettagliata analisi epidemiologica, sociale ed economica delle epatopatie in Europa, sottolineano il triste primato del nostro Paese in termini di numero di soggetti HCV positivi e di mortalità per tumore primitivo del fegato (HCC);
   dati ISTAT 2008 connessi all'ambito nazionale confermano più di 20.000 decessi/anno a causa di epatite cronica, cirrosi e tumore del fegato, evidenziando l'impatto che ha l'epatite sul sistema sanitario nazionale, sulla società e sulle famiglie italiane, oltre che sui singoli individui affetti da epatite e relative complicanze;
   finanche l'Organizzazione mondiale della sanità il 21 maggio 2010 ha dichiarato per la prima volta l'epatite virale come un problema sanitario di impatto globale e ha approvato la prima risoluzione sulle epatiti virali (n. 63.18), al fine di sollecitare gli Stati membri ad attuare politiche concrete di informazione, prevenzione, e accesso al farmaco;
   circa il 3 per cento della popolazione italiana è venuta a contatto con il virus, e circa 1.000.000 sono i pazienti portatori cronici del virus; il technical report dell'ECDC conferma la maggiore prevalenza nelle aree meridionali ed insulari e la forte variabilità nelle diverse aree della penisola con un gradiente sud-nord dall'8 per cento al 2 per cento;
   oggi per il trattamento dell'epatite C sono disponibili i nuovi inibitori della proteasi, approvati dall'FDA, dall'EMA, e più recentemente dall'Agenzia italiana del farmaco (AIFA);
   i recenti farmaci, in associazione al trattamento già disponibile a base di peginterferone e ribavirina, vanno a formare una triplice terapia, cioè un nuovo trattamento per i pazienti HCV positivi con genotipo 1 (epatite C);
   la triplice terapia, con l'introduzione degli inibitori di proteasi di prima generazione, aumenta la percentuale di successo terapeutico, sino ad arrivare in alcuni casi all'80 per cento;
   la messa a punto dei nuovi inibitori della proteasi per la cura dell'epatite C ha segnato una svolta epocale per la lotta a questa temibile malattia, ed il loro arrivo avrebbe dovuto essere salutato con grande entusiasmo;
   ciò nonostante, boceprevir e telaprevir sono stati approvati dalla FDA (USA) nel maggio 2011 e dall'EMA (Europa) nel luglio 2011, mentre in Italia solo nel dicembre 2012, quindi l'AIFA ha ritardato di circa 17 mesi l'approvazione di questi importanti farmaci e la loro commercializzazione;
   altri ritardi si sono sommati nella fase di inserimento degli stessi farmaci nei prontuari farmaceutici regionali, immissione che si è conclusa solo nel giugno 2013;
   nel settembre 2014 l'Agenzia italiana del farmaco e Gilead Sciences hanno raggiunto l'accordo per la rimborsabilità del farmaco Sovaldi (sofosbuvir) per il trattamento dei pazienti affetti da epatite cronica C;
   secondo il comunicato dell'Aifa ora verrà somministrato secondo criteri di appropriatezza definiti dalla commissione tecnico-scientifica della stessa Agenzia, sulla base della gravità della patologia. «In realtà su 1,5 milioni di persone infette in Italia potenzialmente quelle trattabili sono 300-400mila – spiega Antonio Gasbarrini, uno dei fondatori di Alleanza contro l'Epatite, associazione che riunisce medici e pazienti – di questi però ce ne sono circa 30mila che avrebbero bisogno del farmaco subito, perché hanno una cirrosi avanzata ma non al punto da non avere più alcun beneficio dalla terapia»;
   si tratta di una terapia molto costosa, però, che negli Stati uniti viene venduta a 84 mila dollari a paziente (circa 66 mila euro). Ogni pillola costa infatti circa 600 euro e per un ciclo di terapia servono almeno 60.000 euro. Cifre inaccessibili per gran parte dei malati, ma che assicurano percentuali altissime di guarigione. In Europa alcuni Paesi come la Germania, che hanno relativamente pochi casi, l'hanno adottata subito, mentre altri 14, fra cui l'Italia e la Francia, hanno iniziato una trattativa per poter abbassare il prezzo, troppo alto per chi deve curare decine o centinaia di migliaia di persone come si spera di fare da noi;
   il prezzo del farmaco, molto alto, aveva scatenato le proteste delle associazioni di malati. Epac onlus, Lila onlus, Nadir onlus, Plus onlus, in rappresentanza e di concerto con numerosi network europei di pazienti, avevano organizzato un sit-in a Milano nei giorni scorsi. Chiedevano che la politica comprendesse l'urgenza di trovare soluzioni immediate e concrete per consentire l'accesso alle cure a tutti i malati d'Italia e d'Europa;
   si segnala il caso del Sofosbuvir, farmaco per l'epatite C dell'Americana Gilead. L'azienda ha trovato un accordo con Aifa, che prevede per ora la distribuzione a carico del servizio nazionale sanitario solo a una parte dei portatori del virus dell'epatite C (Hcv), selezionati, sostanzialmente, in base al criterio di gravità. Il prezzo che lo Stato corrisponderà a Gilead non è noto, anche perché dipenderà da una ulteriore valutazione durante la cura. Il clamore destato dal caso è dovuto al fatto che in Italia ci sono circa 1,5 milioni di persone portatrici del virus Hcv, e se il servizio sanitario volesse garantire la cura a tutti brucerebbe la metà del proprio budget. Il prezzo in realtà negli ultimi anni è salito moltissimo mettendo a rischio il concetto di assistenza e il diritto alla cura e alla salute espresso dall'articolo 32 della Costituzione;
   da moltissimo tempo numerosi pazienti, cittadini e associazioni hanno iniziato a segnalare gravi ritardi nell'avere disponibili questi nuovi farmaci in molti casi salvavita;
   in merito è stata presentata il 4 aprile 2014 un'interrogazione a risposta scritta (n. 4/04371). I nuovi farmaci disponibili per l'epatite C sono accessibili solo per 1 paziente su 3 con la conseguente generazione di molte liste d'attesa; infatti, i farmaci innovativi sopra citati, nonostante siano idonei per quasi la metà dei malati, sono accessibili solo al 33 per cento di questi con attese di accesso al farmaco di circa 9 mesi, come evidenziato dal rapporto di Cittadinanzattiva e Epac Onlus –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti e intenda porre in essere iniziative, anche di carattere normativo, finalizzate a garantire l'accesso al farmaco per tutta la cittadinanza italiana afflitta dalla malattia di cui in premessa, evitando significativi disagi economici e sociali ed eccessivi oneri a carico dello Stato, a garanzia della tutela della salute come diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività, come sancito dall'articolo 32 della Costituzione italiana.
(5-03884)


   GIGLI e DE MITA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3, comma 5, lettera e), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, dispone che: «a tutela del cliente, il professionista è tenuto a stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale. Il professionista deve rendere noti al cliente, al momento dell'assunzione dell'incarico, gli estremi della polizza stipulata per la responsabilità professionale e il relativo massimale. Le condizioni generali delle polizze assicurative di cui al presente comma possono essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli Nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti»;
   per quel che riguarda i medici, in particolare, il decreto-legge 28 giugno 2012, n. 89, recante proroga di termini in materia sanitaria, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 132, rinvia al 13 agosto 2013 il termine per l'obbligo di copertura assicurativa degli esercenti professioni sanitarie;
   l'obbligo per i professionisti di stipulare un'assicurazione professionale è stato prorogato di un anno con un emendamento al decreto del fare (decreto legge n. 69 del 2013). Dal 14 agosto 2014, quindi, è entrato in vigore l'obbligo per i medici che lavorano nella sanità privata e per quelli di famiglia di avere un'assicurazione responsabilità civile professionale per il moltiplicarsi, negli ultimi anni, dei contenziosi di risarcimento, obbligo che non vale per i medici del Servizio sanitario nazionale;
   risulta una evidente discriminazione tra medici dipendenti di strutture sanitarie pubbliche che potranno contare su una differente e maggiore tutela assicurativa rispetto a quelli non dipendenti, oppure operanti nelle strutture sanitarie private o accreditate, non coperti da garanzia cosiddetta di «primo rischio», bensì solo di «secondo rischio»;
   le compagnie di assicurazioni spesso si rifiutano di contrarre polizze con professionisti medici a rischio e, in ogni caso, propongono polizze con premi elevatissimi, in quanto non hanno alcuna convenienza ad assicurare i medici italiani e stanno uscendo dal mercato;
   la soluzione dei risarcimenti per gli errori medici deve trovare una soluzione sopportabile dal sistema assicurativo ma il rifiuto da parte delle compagnie a stipulare polizze rappresenta una sostanziale violazione del diritto al libero esercizio dell'attività professionale previsto dalla normativa europea e nazionale;
   l'articolo 32 della Costituzione tutela la salute come «diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività» –:
   quali urgenti iniziative condivise ed efficaci intenda pone in essere al fine di eliminare tale discriminazione e consentire ai medici di poter stipulare polizze accessibili. (5-03890)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRUSONE, NESCI, LOMBARDI e LUIGI DI MAIO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la riforma previdenziale di cui alla cosiddetta legge «Dini» (legge 8 agosto 1995, n. 335) ha introdotto per la liquidazione delle pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle altre forme sostitutive ed esclusive della medesima un nuovo sistema contributivo, confermando il previgente sistema retributivo per i lavoratori con anzianità contributiva di almeno diciotto anni alla data del 31 dicembre 1995 e istituendo un regime misto per i lavoratori con anzianità contributiva inferiore a diciotto anni alla stessa data del 31 dicembre 1995 (articolo 1, commi 6 e 12); il successivo articolo 2 della legge ha poi previsto la «trasformazione» per i lavoratori pubblici dei trattamenti di fine servizio in trattamenti di fine rapporto, ossia la loro omogeneizzazione alle previsioni dell'articolo 2120 codice civile (comma 5), demandando alla contrattazione collettiva nazionale la relativa disciplina e i relativi adeguamenti della struttura retributiva e previdenziale, anche ai fini dell'attuazione della cosiddetto previdenza complementare (comma 6), e ciò anche per i lavoratori già occupati al 31 dicembre 1995 (comma 7);
   le cosiddette forme di previdenza complementare per l'erogazione di trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio pubblico sono state introdotte dal decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124 per i lavoratori sia privati che pubblici (articolo 2, lettera a)), demandandone l'istituzione, quanto al personale pubblico, ai contratti collettivi e, per il personale non contrattualizzato, ossia in regime di diritto pubblico, alle norme dei rispettivi ordinamenti (articolo 3, comma 2); disposizioni analoghe sono state poi dettate dal decreto legislativo del 5 dicembre 2005, n. 252 che ha riformulato la disciplina delle forme di previdenza complementare;
   con particolare riguardo al personale delle forze di polizia e delle forze armate, il decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195, ha rinviato la disciplina del rapporto di lavoro, ivi compreso il trattamento di fine rapporto e le forme pensionistiche complementari, rispettivamente alla contrattazione collettiva (per le forze di polizia a ordinamento civile: articolo 3) e a procedure di concertazione (per le forze di polizia a ordinamento militare: articolo 4 e per le forze armate: articolo 5);
   le procedure di concertazione sono regolate dall'articolo 7 del decreto legislativo n. 195 del 1995 (come modificato dal decreto legislativo n. 31 marzo 2000, n. 129); avviate dal Ministro della funzione pubblica (ora Ministro per la pubblica amministrazione), con il coinvolgimento, rispettivamente, delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative per il personale delle forze di polizia a ordinamento civile, e del Comitato centrale di rappresentanza (COCER) interforze;
   dette procedure «[...] hanno inizio contemporaneamente e si sviluppano con carattere di contestualità nelle fasi successive [...]", ivi compresa la sottoscrizione dell'ipotesi di accordo sindacale (per le forze di polizia a ordinamento civile) e dello schema di provvedimento (per il personale delle forze armate e di polizia a ordinamento militare), anche con convocazioni congiunte delle delegazioni di parte pubblica, dei rappresentanti dello Stato Maggiore della Difesa, dei Comandi generali dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza e dei COCER e delle organizzazioni sindacali rappresentative sul piano nazionale delle forze di polizia ad ordinamento civile;
   l'ipotesi di accordo economico collettivo e lo schema di provvedimento, corredati dai prescritti prospetti, sono approvati dal Consiglio dei Ministri, che autorizza la sottoscrizione degli accordi e fissa i contenuti dello schema di provvedimento, successivamente «recepiti con i decreti del Presidente della Repubblica di cui all'articolo 1, comma 2, per i quali si prescinde dal parere del Consiglio di Stato»;
   l'articolo 26, comma 20 della legge finanziaria 23 dicembre 1998, n. 448, con norma d'interpretazione autentica, ha chiarito che compete alle procedure di negoziazione e concertazione testé illustrate, la definizione, per il personale delle forze di polizia a ordinamento civile e militare e delle forze armate, della disciplina del trattamento di fine rapporto e l'istituzione di forme di previdenza complementare:
   l'articolo 67 del decreto del Presidente della Repubblica 16 marzo 1999, n. 254 ha ribadito che le procedure di negoziazione e concertazione, in prima applicazione, provvedono a definire (salva la volontarietà dell'adesione ai fondi pensione): a) la costituzione di uno o più fondi nazionali pensione complementare per il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare [...] anche verificando la possibilità di unificarlo con analoghi fondi istituiti ai sensi delle normative richiamate per i lavoratori del pubblico impiego; b) la misura percentuale della quota di contribuzione a carico delle Amministrazioni e di quella dovuta dal lavoratore, nonché la retribuzione utile alla determinazione delle quote stesse; c) le modalità di trasformazione della buonuscita in trattamento di fine rapporto, le voci retributive utili per gli accantonamenti del trattamento di fine rapporto, nonché la quota di trattamento di fine rapporto da destinare a previdenza complementare;
   risultano numerosi ricorsi attualmente pendenti presso il T.A.R. del Lazio, Sez. III-ter (nn.rr. R.G. 7756-7757-7759-7762-7763-7765-8801-8803-11308/2008 e 879-6629/2009) presentati da militari della Guardia di finanza, oltreché da altri appartenenti al comparto della FF.PP. e FF.AA.;
   i ricorrenti sono stati, loro malgrado, assoggettati ai nuovi (e più penalizzanti) criteri di calcolo dell'ordinario trattamento di quiescenza;
   nei loro confronti non è ancora stato attivato quello che è oramai comunemente definito il secondo pilastro previdenziale (la cosiddetta previdenza complementare);
   solo mediante quest'attivazione (e, cioè, mediante la costituzione di un'ulteriore posizione previdenziale), è possibile ovviare – in tutto o in parte – agli squilibri di ordine patrimoniale connessi all'applicazione dei nuovi criteri di calcolo della propria pensione;
   l'interesse vantato in questa sede è senz'altro tale da ritenersi «qualificato»: in quanto preso in espressa considerazione dall'ordinamento positivo (che lo differenzia, nettamente, rispetto a quelli propri della generalità dei consociati);
   per come la si è concretamente disciplinata (sia nella legge fondamentale che nella normativa di dettaglio), la previdenza integrativa può realizzarsi – almeno in favore dei militari e dei soggetti ad essi equiparati – soltanto attraverso una specifica procedura amministrativa destinata a concludersi con un provvedimento autoritativo;
   ciò rende, ovviamente, configurabile la sussistenza — in capo agli scriventi — di una posizione di interesse legittimo: consistente, appunto, nella pretesa a che la pubblica amministrazione eserciti correttamente i poteri all'uopo conferitile (ex multis: TAR Lazio, Roma, sezione 1a bis, n. 9186/2011 e n. 9187/2011; TAR Lazio, Roma, sez. 1a bis, n. 2907/2013 e n. 2908/2013);
    per il combinato disposto degli articoli 1, 2, 4 e 7 del decreto legislativo n. 195 del 1995, le procedure aventi ad oggetto il trattamento di fine rapporto e le forme pensionistiche complementari del personale della guardia di finanza si concludono (id est: devono concludersi) con un decreto del Presidente della Repubblica, emanato a seguito di concertazione tra i Ministri (o i Sottosegretari da questi delegati) della funzione pubblica, dell'interno, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, della difesa, delle finanze (nell'ambito della cui delegazione è prevista la presenza del Comandante generale della guardia di finanza, o di chi per esso, e dei rappresentanti del COCER), della giustizia e delle politiche agricole e forestali;
   le cennate procedure sono (id est: devono essere) avviate dal Ministro per la funzione pubblica e si concludono (id est: devono concludersi) con un apposito «Schema di provvedimento»;
   il Consiglio dei ministri, entro 15 giorni da tale sottoscrizione, approva il predetto schema e lo sottopone (senza necessità di acquisire, sul punto, il parere del Consiglio di Stato) alla firma del Presidente della Repubblica: il cui decreto (e ciò è sufficiente ad escluderne la natura, da taluno incautamente ipotizzata, di atto normativo) è sottoposto al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti;
   da quanto testé evidenziato, emerge con chiarezza che l'apparato pubblico ha l'obbligo (e non solo la facoltà) di attivarsi concretamente al fine di promuovere la costituzione di forme pensionistiche complementari (in ossequio a quanto previsto, in materia, dal combinato disposto degli articoli 67 del decreto del Presidente della Repubblica n. 254 del 1999; 74 della legge n. 388 del 2000 ed 1 della legge n. 243 del 2004);
   ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 241 del 1990 (come sostituito dall'articolo 7 della legge n. 69 del 2009), le pubbliche amministrazioni – qualora una procedura consegua, come nella circostanza, ad un'istanza dei soggetti ad essa interessati – hanno il dovere di concluderla mediante l'adozione di un provvedimento espresso;
   altri soggetti, facenti parte dello stesso comparto delle Forze di polizia e nella medesima situazione dei ricorrenti, hanno provveduto con apposita istanza, che deve considerarsi del tutto estensibile all'interesse dei ricorrenti in quanto di portata generale, a notificare ai Ministeri competenti, atto di intimazione e messa in mora a concludere il suddetto procedimento entro il termine di 180 giorni dalla notifica del suddetto atto;
   persistendo l'inerzia delle amministrazioni intimate, è stato proposto ricorso amministrativo (T.A.R. Lazio – registro generale 6992 del 2011 – sent. n. 9186/2011) ai sensi degli articoli 31 e 117 del codice del processo amministrativo, affinché il tribunale accertasse e dichiarasse l'obbligo delle suddette amministrazioni di concludere, mediante l'adozione di un provvedimento espresso, il procedimento amministrativo di cui è causa. Il TAR del Lazio (ex multis: T.A.R. Lazio, Roma, sez. 1a bis, n. 9186/2011 e n. 9187/2011; T.A.R. Lazio, Roma, sez. 1a bis, n. 2907/2013 e n. 2908/2013); ha giudicato fondato i ricorsi e li ha accolti, precisando come nella fattispecie sussista l'obbligo per le amministrazioni resistenti di provvedere sulle istanze dei ricorrenti atteso che tale obbligo discende direttamente dalla legge la quale ha individuato le modalità di attivazione della procedura rivolta a dare concreta attuazione della «previdenza complementare» per il personale del comparto sicurezza — difesa;
   per l'effetto, il TAR del Lazio ha dichiarato l'obbligo per le amministrazioni di concludere il procedimento amministrativo di cui è causa nel termine di 180 giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, ovvero dalla sua notifica, se anteriore;
   per i ricorrenti che si trovano tutti nella situazione di chi non aveva ancora 18 anni di contributi il 31 dicembre 1995 (e, quindi, per legge assegnato al sistema di calcolo «misto») ovvero di chi è stato (neo)assunto dal 1o gennaio 1996 (e, quindi, assegnato al sistema di calcolo contributivo puro), è determinante la circostanza — accertata dal giudice amministrativo che l'amministrazione è rimasta inadempiente per non aver dato avvio alla previdenza integrativa (mediante la costituzione del relativo Fondo pensione cosiddetti «di categoria» e/o, in assenza, mediante il ricorso ai fondi pensione «aperti» o «di mercato») — prevista dalla legge di riforma (Dini) — che ad avviso dello stesso legislatore avrebbe dovuto integrare, per l'appunto, la quota parte del trattamento pensionistico futuro che si sarebbe perduto con il mutamento del sistema di calcolo dello stesso;
   ciò è ancor più valido dopo la recente riforma pensionistica approvata dal Governo che, solo con inizio dal 1° gennaio 2012, ha esteso il previgente sistema contributivo a tutti i lavoratori del pubblico impiego;
   tale provvedimento rende ancora più evidente la necessità di posticipare al 1o gennaio 2012 il sistema contributivo anche per i ricorrenti, atteso che nell'arco temporale 1o gennaio 1996 – 31 dicembre 2011 vi è stata l'inadempienza che ha impedito il decollo della previdenza complementare, ciò nonostante un quadro normativo del tutto idoneo alla sua attuazione;
   le molteplici azioni giudiziarie, sono state legittimamente avviate dai ricorrenti per il recupero di concreti danni patiti per il suddetto arco temporale (171/1996 — 31 dicembre 2011), mediante la richiesta riassegnazione, ora per allora, al sistema retributivo ovvero la corresponsione di una somma, a titolo di risarcimento danni, pari alla perdita di quota parte del trattamento pensionistico futuro, in vista di una pensione che possa essere e debba essere la più equa possibile –:
   se i Ministri interrogati non ritengano necessario e ormai non più indifferibile dare urgente attuazione alla normativa in materia di promozione e costituzione di forme pensionistiche complementari in ossequio a quanto previsto, in materia, dal combinato disposto degli articoli 67 del decreto del Presidente della Repubblica n. 254 del 1999; 74 della legge n. 388 del 2000 ed 1 della legge n. 243 del 2004;
   se non ritengano i Ministri di doversi attivare con urgenza per l'effettivo avvio del procedimento di concertazione preliminare all'adozione dello schema di atto da emanarsi nella forma di decreto del Presidente della Repubblica;
   se i Ministri non ritengano opportuno, per quanto di loro competenza, sollecitare la tempestiva attivazione e coinvolgimento di organismi di rappresentanza, affinché le procedure concertative sulla previdenza complementare per le FF.PP. E FF.AA. si avviino e giungano a conclusione in tempi rapidi. (5-03883)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   EPIFANI, GIULIETTI e LODOLINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel corso degli anni 2007 e 2008 una prolungata crisi produttiva e di mercato ha coinvolto il Gruppo delle aziende facenti capo alla Antonio Merloni spa;
   il gruppo Antonio Merloni, che ha impegnato circa 3000 persone e si è articolato in diverse società, ha svolto la sua attività in diversi settori produttivi facenti perno sulla produzione del cosiddetto «bianco»;
   la situazione di crisi del Gruppo Antonio Merloni riveste, non solo per le aziende delle regioni interessate, con particolare riferimento a Marche e Umbria, ma anche per l'intero territorio nazionale, un ruolo particolare all'interno delle crisi industriali, in quanto riguarda un settore rilevante del sistema manifatturiero e coinvolge l'andamento economico di più territori ad alta vocazione produttiva;
   negli ambiti territoriali interessati si localizzano le situazioni di crisi più gravi per le quali non è possibile intervenire in via ordinaria soltanto con le risorse e gli strumenti regionali, considerata l'intensità degli effetti occupazionali sul tessuto economico e produttivo;
   in tal senso è stato sottoscritto l'Accordo di programma nell'ottobre 2012 che coinvolgeva Regioni e Ministero dello sviluppo economico per mettere in atto politiche che avrebbero dovuto incentivare la reindustrializzazione dei territori interessati;
   ad oggi le misure nazionali dell'Accordo di programma, sempre gestito dal Ministero dello sviluppo economico e da Invitalia, non stanno producendo alcun esito: 35 milioni di euro giacciono ancora inutilizzati e nessun progetto di rilancio occupazionale è stato al momento approvato, né nelle Marche né in Umbria, a pochi mesi dalla scadenza dello stesso Accordo. Questo avviene mentre, al contrario, le analoghe misure regionali hanno prodotto l'avvio di oltre 40 nuove iniziative imprenditoriali sullo stesso territorio;
   da segnalare inoltre la situazione paradossale della procedura di vendita gestita dal Ministero dello sviluppo economico relativa a JP Industries che rischia di essere annullata per criticità formali mettendo a repentaglio centinaia di posti di lavoro nonostante l'approvazione del decreto-legge n. 145 del 2013, cosiddetto Destinazione Italia in cui vi è una norma finalizzata a considerare legittima la vendita di aziende in esercizio, nell'ambito di procedure di amministrazione straordinaria, ove risulti rispettato il criterio di prevalenza del ricavo, evitando quindi che la misura del prezzo stabilita ai sensi dell'articolo 163, comma 1 del decreto legislativo n. 270 del 1999 venga intesa come limite inferiore inderogabile;
   tutto ciò fa comprendere come Marche e Umbria, dunque, stanno rischiando di consolidare una crisi occupazionale senza precedenti –:
   quali iniziative immediate intenda attivare in relazione alle vertenze dell'ex Antonio Merloni e JP Industries per evitare che questa situazione devastante generi effetti irreversibili sulla coesione sociale ed economica delle due regioni.
(5-03885)


   GINEFRA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Industria metalmeccanica rappresenta per Bari e la sua provincia un importante e qualificato elemento di crescita e sviluppo;
   dopo la vertenza OM Carrelli (ancora in attesa di una soluzione), le segreterie provinciali Fim-CISL, Fiom-CGIL e Uilm-UIL hanno segnalato la situazione di crisi che investe una nuova fabbrica metalmeccanica: la BFM spa. Come noto si tratta di una fabbrica che è presente nella zona industriale di Bari da circa 60 anni, prima era la grande Breda Fucine Meridionali. In tale arco temporale ha visto lavorare e vivere diverse generazioni di lavoratori;
   oggi sebbene ridimensionata (da oltre mille lavoratori a circa centocinquanta), la BFM spa è ancora capace di fornire un prodotto particolarmente appetibile sul mercato, proprio in ragione degli impianti di fusione non molto diffusi nel mercato italiano ed europeo;
   nel 2012 la fabbrica è stata acquistata dal gruppo DT della Repubblica Ceca che non ha dato impulso ai necessari investimenti utili al rilancio del sito, nonostante le organizzazioni sindacali abbiano più volte segnalato la necessità di impiegare gli strumenti finanziari regionali dedicati a tale scopo;
   fino ad oggi si è preferito sfruttare la fabbrica nelle condizioni in cui si presentava all'atto dell'acquisizione. Nonostante ciò le maestranze hanno risposto con generosità di impegno e spirito di sacrificio, al fine di corrispondere alle crescenti richieste di aumento dei volumi produttivi. Infatti, i particolari per scambi ferroviari che la BFM spa produce sono molto importanti e richiesti sul mercato. Fra i clienti della BFM un posto importante è costituito dalle Ferrovie dello Stato;
   con provvedimento del 26 agosto 2014, il giudice dottor Baldo Pisani del tribunale di Bari ha disposto il sequestro dell'area fonderia al fine di provvedere nell'arco temporale che va dal 15 ottobre 2014 al 15 gennaio 2015 ad una bonifica ambientale, a seguito della scoperta di rifiuti «tombati» dalla precedente gestione;
   le organizzazioni sindacali a seguito di questa notizia, hanno prontamente chiesto una riunione con l'azienda. In tale riunione, tenutasi l'11 settembre 2014, l'azienda, pur esponendo le difficoltà gestionali a cui andava incontro, ha manifestato la volontà di affrontare e superare questa criticità;
   tale volontà sarebbe poi cambiata radicalmente a meno di un mese di distanza. L'azienda ci avrebbe ripensato valutando la situazione propria di un sito produttivo nei fatti compromesso e arrivando ad annunciare che gli «azionisti stanno valutando ogni ipotesi»;
   Fim, Fiom e Uilm di Bari e provincia unitamente alle lavoratrici e lavoratori della Bari Fonderie Meridionali, in un comunicato congiunto, hanno annunciato che «non intendono rassegnarsi e assistere passivamente alla chiusura della fabbrica, alla perdita di altri posti di lavoro, alla dilapidazione cieca e dissennata del patrimonio industriale barese (già lacerato da diverse altre chiusure) e alla caduta nella disperazione e povertà di tante altre famiglie»;
   le lavoratrici e i lavoratori della BFM spa, a seguito di una assemblea tenutasi nella giornata del 23 ottobre 2014, insieme alle segreterie territoriali di FIM, FIOM e UILM, hanno annunciato uno sciopero ad oltranza a cominciare dal 23 ottobre 2014, con presidio e assemblea permanente davanti ai cancelli dell'azienda –:
   se sia stato informato di tale vertenza;
   quali iniziative intenda adottare, di concerto con la regione Puglia, per incoraggiare la proprietà di BFM a rivedere le suddette decisioni;
   se a tal fine intenda convocare le componenti datoriali e sindacali, presso il Ministero, per un incontro di chiarificazione volto ad anticipare un possibile nuovo stato di crisi nella zona industriale barese. (5-03892)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BALDASSARRE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da articoli di stampa di questi giorni, la società Poste Italiane spa avrebbe predisposto un piano industriale «lacrime e sangue» con un allarmante indicazione in merito a circa 20 mila esuberi;
   il fattoquotidiano.it confermerebbe tali indiscrezioni, indicando criticità per quanto concerne il numero dei dipendenti e un'ondata di demansionamenti finalizzati a contenere i costi in vista della quotazione in borsa del gruppo pubblico;
   Poste Italiane spa è un'azienda di totale proprietà dello Stato tenuta a garantire il servizio universale fino al 2026 attraverso la sua rete di uffici distribuiti su tutto il territorio nazionale e altresì, con la direttiva europea 6/2008, le viene riconosciuto un ruolo importante nel contributo alla coesione sociale, disponendo di reti postali in zone rurali e scarsamente popolate;
   a parere dell'interrogante – stando anche alle ultime audizioni dell'amministratore delegato in Commissione trasporti alla Camera dei deputati – emergerebbero notevoli criticità sulla capacità del gruppo Poste Italiane nel mantenere standard minimi di qualità del servizio universale e nel garantire i livelli occupazionali e altresì, notevoli criticità per i numerosi disservizi verificatesi negli ultimi mesi –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, possano attivarsi per fare chiarezza su eventuali esuberi e le soluzioni alle criticità espresse in premessa e se altresì intendano attivarsi al fine di mantenere gli standard minimi di qualità del servizio universale;
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, reputino necessario intervenire affinché Poste Italiane spa attui strategie per la sostenibilità dell'attività dei lavoratori e altresì, ogni iniziativa volta alla tutela della salute degli stessi.
(4-06630)


   GALPERTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   risulta dai mezzi di comunicazione la circostanza secondo la quale la società ILVA sarebbe stata posta in vendita e che l'acquisizione vedrebbe interessate la società Arcelor Mittal (il più grosso produttore mondiale di coil) ed alcune società italiane;
   il Governo italiano darebbe, con il proprio intervento, un rilievo pubblico alla trattativa in corso, di fatto e di diritto non solo tra soggetti privati;
   l'Associazione di categoria Apindustria di Brescia ha sollevato alcune legittime questioni intorno alla cessione ormai in atto;
   anche il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, ha espresso pubblicamente parole di preoccupazione rispetto agli esiti della vicenda –:
   a che punto sia la trattativa «de quo» e quali siano le iniziative che il Governo ha assunto od intende assumere al riguardo;
   quali, al Governo, risultino essere i criteri, stante per l'appunto l'interesse pubblico sotteso, adottati dal venditore per la scelta dei partner industriali interessati ad eventuali cordate per partecipare all'acquisizione dell'Ilva;
   se sia stata predisposta un'indagine di mercato per valutare l'esistenza di eventuali realtà industriali italiane interessate ad intervenire e, ove ciò non sia avvenuto, se non si intenda provvedervi;
   se l'ipotetica acquisizione del colosso italiano dell'acciaio da parte di Arcelor Mittal ed altri risulti essere stata messa, al riparo da possibili contestazioni in sede europea per quanto attiene al rispetto della normativa antitrust, indirizzate a tutelare il mercato e la concorrenza ed ad evitare monopoli o situazioni comunque dominanti, atteso che Mittal dispone dei più importanti stabilimenti continentali;
   se si sia valutato che, in particolare, se per tale vendita ad Arcelor Mittal ed altri fosse previsto un intervento/finanziamento diretto od indiretto da parte dello Stato italiano, ciò potrebbe configurare violazione della normativa sopra citata in particolare degli articoli 2 e 3 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, ed, a tal proposito, quali approfondimenti siano in corso per evitare preventivamente eventuali azioni giudiziarie che potrebbero essere volte a ripristinare la tutela della par condicio tra i soggetti operanti nel settore;
   se non si ritenga di fornire ogni elemento utile sullo stato dell'arte.
(4-06637)

Apposizione di firme ad una risoluzione.

  La risoluzione in commissione Cenni e altri n. 7-00487, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Mariani, Bratti, Braga.

Apposizione di firme a interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Chaouki n. 5-01733, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fabbri.

  L'interrogazione risposta in Commissione Palmizio n. 5-02169, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 febbraio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Centemero.

  L'interrogazione a risposta scritta Scagliusi e altri n. 4-06525, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Grande, Di Battista, Del Grosso, Vacca, Di Benedetto, Carinelli, Nesci, Petraroli, Luigi Gallo, De Lorenzis, Marzana.

  L'interrogazione a risposta scritta Scagliusi e altri n. 4-06540, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Grande, Di Battista, Manlio Di Stefano, Del Grosso, Vacca, Di Benedetto, Carinelli, Nesci, Rizzo, Frusone, Corda, Basilio, De Lorenzis, D'Ambrosio.

  L'interrogazione risposta immediata in assemblea Rampelli 3-01125, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Taglialatela.

  L'interrogazione a risposta scritta Castelli n. 4-06626, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Grillo.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Kronbichler n. 1-00558, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 270 del 23 luglio 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP, Transatlantic trade and investment partnership) è un trattato di libero scambio e investimento, che l'Unione europea e gli Stati Uniti stanno attualmente negoziando;
    i negoziati sono stati avviati ufficialmente il 17 giugno 2013. Si segnala che il 9 ottobre 2014 il Consiglio europeo ha deciso di rendere pubblico il testo del mandato negoziale e, a tal fine, si è aperta una consultazione organizzata dal mediatore europeo, l'irlandese Emily O. Reilly, con cui i soggetti interessati possono dare suggerimenti sulle misure concrete che la Commissione europea dovrebbe intraprendere per rendere più trasparenti i negoziati sul TTIP. Tuttavia, in attesa dell'effettiva desecretazione degli atti, ad oggi non ancora attuata, dai documenti man mano emersi nell'ambito della discussione circa i diversi round, emerge il forte rischio che un trattato di questo tipo, mirando ad un'armonizzazione delle normative, quindi a un abbattimento delle regolamentazioni tra le due aree, porti ad un allentamento della normativa europea, solitamente più rigida, appiattendola ai livelli di quella statunitense;
    si sono avute numerose previsioni sugli effetti economici del Transatlantic trade and investment partnership. La stima citata più frequentemente proviene da una relazione di valutazione d'impatto, commissionata dalla Commissione europea al Centre for economic policy research di Londra. Secondo questa, l'ipotesi più ottimista per l'effetto di un accordo tra Unione europea e Stati Uniti afferma che il prodotto interno lordo dell'Unione europea aumenterebbe dello 0,5 per cento entro il 2027 (in media lo 0,036 per cento in un anno);
    gli Stati Uniti non hanno ratificato diverse convenzioni llo e Onu in materia di diritti del lavoro, diritti umani e ambiente. La mancata ratifica di dette convenzioni rende, negli Stati Uniti, il costo del lavoro più basso e il comportamento delle imprese nazionali più disinvolto e competitivo, in termini puramente economici, anche se più irresponsabile. La ratifica e la piena attuazione delle norme fondamentali del lavoro delle Organizzazioni internazionale del lavoro dovrebbe rappresentare una delle condizioni fondamentali dell'accordo; tuttavia, i negoziati sembra vadano nella direzione opposta;
    per quanto attiene alla perdita di posti di lavoro, effetto collaterale solitamente inevitabile di accordi di libero scambio, la Commissione europea ha confermato la possibilità che il Transatlantic trade and investment partnership favorisca per i lavoratori europei un ricollocamento «dilazionato nel tempo ed effettivo», poiché le aziende verrebbero incoraggiate a procurarsi merci e servizi dagli Stati Uniti dove gli standard di lavoro sono più bassi e i diritti sindacali pressoché inesistenti («Impact assessement report on the future of EU-US trade relations», Strasburgo: Commissione europea, 12 marzo 2013, sezione 5.9.2.);
    in una fase in cui i tassi di disoccupazione in Europa hanno raggiunto livelli-record, con una disoccupazione giovanile in alcuni Stati membri dell'Unione europea che supera il 50 per cento, la Commissione europea ammette «timori fondati» che i lavoratori rimasti disoccupati a seguito del trattato Transatlantic trade and investment partnership non saranno più in grado di trovare un'altra occupazione. Al fine di offrire assistenza all'elevato numero di nuovi disoccupati, la Commissione europea ha suggerito agli Stati membri dell'Unione europea di ricorrere a fondi di sostegno strutturali, come il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione e il Fondo sociale europeo, cui sono stati assegnati 70 miliardi di euro da distribuire nell'arco di sette anni, dal 2014 al 2020;
    molti contadini e consumatori sono preoccupati per un allentamento degli standard ambientali e sul trattamento degli animali, che regolano, ad esempio, le condizioni di vita negli allevamenti in batteria e in altre strutture per la produzione industriale di carne. Al momento, in Europa è possibile incoraggiare i contadini ad allevare gli animali in condizioni accettabili e a produrre per il mercato locale. Se il trattato di libero scambio andasse in porto, si sarebbe, invece, soggetti alle regole del mercato globale ed è risaputo: al mercato globale non importa più di tanto della protezione degli animali e dell'ambiente;
    la minaccia maggiore del Transatlantic trade and investment partnership è costituita probabilmente dalla clausola in esso contenuta che cerca di garantire alle società transnazionali il diritto di citare in giudizio direttamente i singoli Paesi per perdite subite in conseguenza a provvedimenti pubblici. Considerando le implicazioni che comporta, tale disposizione per la «risoluzione delle controversie tra stato e investitori» (Isds, Investor-State dispute settlement) non ha equivalenti nel diritto commerciale internazionale: il Transatlantic trade and investment partnership concederebbe alle imprese americane ed europee il potere di impugnare le decisioni democratiche prese da Governi sovrani e di chiedere risarcimenti nei casi in cui quelle decisioni avessero effetti negativi sui propri utili;
    nei Paesi in cui la Isds è già stata inclusa in trattati d'investimento bilaterali o altri accordi di libero scambio, i danni arrecati allo stato di diritto e alla democrazia sono ormai sotto gli occhi di tutti. Tra gli esempi più rilevanti si citano:
     a) la società energetica svedese Vattenfall sta facendo causa al Governo tedesco per 3.700 milioni di euro per via della decisione presa dal Paese di eliminare gradualmente l'energia nucleare a seguito del disastro nucleare di Fukushima;
     b) il gigante del tabacco americano Philip Morris sta facendo causa per migliaia di miliardi di dollari al Governo australiano per via della sua politica di sanità pubblica che impone la vendita di sigarette solo in pacchetti senza scritte; la Philip Morris ha citato in giudizio anche l'Uruguay a causa delle misure imposte da questo Stato nella lotta contro il fumo;
    l'accordo dovrebbe, inoltre, obbligare l'apertura o la liberalizzazione degli appalti pubblici a livello subnazionale, compreso il livello comunale. I governi locali rischiano, di conseguenza, di non poter far valere qualsiasi criterio sociale e ambientale nell'impiego di denaro pubblico a sostegno dello sviluppo economico locale sostenibile;
    il secondo pilastro del TTIP riguarda la realizzazione di una maggiore convergenza tra standard e regolamentazioni in molti settori. Tra questi, le maggiori divergenze sono distribuite tra istanze di tipo generale che riguardano vari settori dell'economia e problemi relativi a divergenze di approccio in settori chiave come i prodotti chimici e farmaceutici, le telecomunicazioni, la cultura e i servizi finanziari. Per quanto riguarda i temi generali, le maggiori divergenze in termini di approccio regolamentare sono riscontrabili in tre aree: la legislazione in tema di proprietà intellettuale, gli standard sull'approvazione di prodotti che possono avere effetto sulla salute e la protezione dei dati personali. Più nello specifico, nel campo della proprietà intellettuale l'Unione europea ha compiuto importanti passi con l'approvazione del brevetto unitario, ma permangono importanti divergenze con gli Stati Uniti, dove il concetto di denominazione d'origine appare pressoché sconosciuto, mentre nell'Unione europea esso viene utilizzato come baluardo delle tradizioni locali e garanzia di non appropriazione da parte di Paesi terzi. Come conseguenza, la Commissione europea vorrebbe stabilire un registro delle denominazioni di origine che abbia effetto vincolante, mentre gli Usa propendono per un sistema di registrazione puramente volontario e senza effetti cogenti; questo fattore andrebbe ad incidere sulla mancata armonizzazione legislativa e commerciale fra i due continenti;
    quanto ai temi settoriali, i principali problemi sono riscontrabili nei settori dei prodotti farmaceutici, chimici e cosmetici, nel settore alimentare, che rappresenta gran parte dei negoziati, e più in generale, in tutti i settori in cui la regolamentazione mira a garantire la sicurezza dei prodotti. In questi settori, l'Unione europea si affida al cosiddetto principio di precauzione e al controllo amministrativo e sostanziale ex ante nel determinare l'accesso al mercato di prodotti innovativi, come i novel food o gli organismi geneticamente modificati (ogm), mentre gli Stati Uniti prediligono un approccio basato sui costi e i benefici e sul controllo ex post. Ciò soprattutto alla luce del fatto che nell'ambito della negoziazione è emerso come gli Stati Uniti appaiono interessati a vendere una quota maggiore dei loro prodotti agricoli di base, quali il frumento e la soia, obiettivi che mettono in seria discussione la salute dei cittadini europei, nonostante il ribadire della Commissione europea che sottolinea come le norme fondamentali, come quelle in materia di organismi geneticamente modificati, o in difesa della vita e della salute umana, della salute e del benessere degli animali o dell'ambiente e degli interessi dei consumatori, non rientreranno nei negoziati. Quest'ultimo assunto sarà difficile da rispettare, considerando il fatto che proprio il frumento e la soia, alimenti fondamentali nel settore del mangime animale, siano fortemente esposti all'alto contenuto di organismi geneticamente modificati, soprattutto quelli di derivazione americana; inoltre, circa i sistemi di controllo fra i due continenti vi è la fondamentale differenza: mentre in Europa il controllo è fatto ex ante, negli Usa è fatto ex post; questa differenza non è pertanto in grado di mantenere l'obiettivo dichiarato della Commissione europea di salvaguardare la salute dei cittadini e di lasciare fuori dalle norme fondamentali del trattato proprio gli organismi geneticamente modificati che, al contrario, rischiano di essere immessi nella nostra catena alimentare, andando ad alterare la difesa della biodiversità sulla quale si basa prevalentemente il prodotto alimentare made in Europe,

impegna il Governo:

   a richiedere alla Commissione europea il pieno accesso ai documenti negoziali per i Parlamenti nazionali, data l'incidenza del loro contenuto sulle normative nazionali in essere anche in ambito non strettamente commerciale;
   ad istituire un meccanismo efficace di trasparenza e di consultazione in itinere del Parlamento, delle parti sociali e della società civile sui negoziati commerciali in corso a livello bilaterale, plurilaterale e multilaterale;
   a promuovere in sede europea un'azione contro la proliferazione di accordi commerciali di nuova generazione, che travalicano gli ambiti di stretta competenza commerciale, così come previsto dall'articolo 207 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, e minacciano di indebolire i principi più elementari della democrazia, tanto nell'Unione europea che negli Stati Uniti;
   ad assumere le opportune iniziative affinché siano mantenuti inalterati il principio di precauzione e gli standard qualitativi e di sicurezza sui prodotti immessi nei mercati europei e a non approvare alcun trattato sia nel vicino sia nel lontano futuro che preveda un sistema simile o analogo a quello dell’Investor-State dispute settlement (Isds) enucleato in premessa.
(1-00558)
(Nuova formulazione) «Kronbichler, Scotto, Fratoianni, Palazzotto, Pannarale, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta orale Terzoni n. 3-00828, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 227 del 13 maggio 2014.

   TERZONI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio del comune di Serra San Quirico in provincia di Ancona è attiva dal 1897 la Cava denominata «Cava Gola della Rossa»;
   nel 1997 è stato istituito il parco regionale della Gola della Rossa e di Frasassi il cui confine in corrispondenza della cava è stato tracciato lungo il limitare della zona di coltivazione della stessa;
   già nel 1990 dopo l'apposizione dei vincoli paesaggistici la prosecuzione dell'attività venne autorizzata dalla regione Marche solo come progetto di recupero ambientale;
   nel 2007 è stato infine approvato un piano che prevedeva il trasferimento dell'attività da cielo aperto in galleria, ma ad oggi al progetto, che corrisponde alle indicazioni del piano provinciale delle attività estrattive, non sono seguite azioni concrete da parte del gestore della cava;
   nel 2009 in seguito ad attività estrattive non conformi al piano e quindi non autorizzate, sono state elevate due sanzioni amministrative pari a 2.215.222,80 euro per la Cava Gola della Rossa e di 331.895.20 euro per la cava FATMA;
   nei primi giorni di maggio diverse associazioni sulla base di osservazioni e rilievi hanno denunciato un ampliamento delle aree di escavazione con conseguente invasione dell'area del parco;
   nel sito in oggetto insistono diversi vincoli:
    un vincolo paesaggistico in base alla legge n. 1497 del 1939 ed al codice dei beni culturali e del paesaggio;
    un vincolo regionale come area floristica protetta;
    un vincolo idrogeologico;
    un vincolo europeo in quanto l'area rientra nel sistema della Rete Natura 2000 sia come sito d'interesse comunitario (SIC) che come zona a protezione speciale (ZPS);
   Italia nostra Onlus Marche segnala che è in scadenza l'ennesima autorizzazione paesaggistica concessa nel novembre 2009 dalla regione Marche alle attività estrattive alla Gola della Rossa, contro il parere negativo espresso allora dalla Soprintendenza ai beni paesaggistici;
   negare l'autorizzazione paesaggistica, fa presente l'associazione nel suo comunicato, non vuol dire bloccare l'attività estrattiva che invece dovrà andare avanti, peraltro come previsto dal progetto approvato nel 2009, esclusivamente in galleria;
   Italia nostra Onlus Marche ricorda che con la motivazione del «recupero ambientale» è dal 1990 che la regione Marche permette che si continui a distruggere il paesaggio della Gola della Rossa che appartiene a tutti i cittadini e non ai pochi che ne hanno ricavato un profitto per milioni e milioni di euro –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   quali iniziative cautelative di competenza si intendano intraprendere al fine di tutelare il paesaggio e il territorio nel quale insiste la Cava Gola della Rossa. (3-00828)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza urgente Burtone n. 2-00707 del 7 ottobre 2014;
   interpellanza urgente Lenzi n. 2-00719 del 17 ottobre 2014.