Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 21 ottobre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    nel giugno 2013 la Commissione europea è stata autorizzata ad avviare i negoziati per conto dell'Unione europea per sviluppare un partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP) con gli Stati Uniti, con l'obiettivo di concluderne l’iter entro la fine del 2015. Si sono svolti sette cicli di negoziato, l'ultimo dei quali si è tenuto a Washington dal 29 settembre 2014 al 3 ottobre 2014;
    l'obiettivo prioritario del Transatlantic trade and investment partnership (TTIP) è la soppressione di tutti i dazi sugli scambi bilaterali, con lo scopo comune di raggiungere una sostanziale eliminazione delle tariffe al momento dell'entrata in vigore dell'accordo e una graduale abolizione di tutte le tariffe, salvo quelle più sensibili, in un breve arco di tempo;
    le barriere tariffarie tra le due aree si attestano intorno al 4-5 per cento in media per beni e servizi, anche se vi sono settori nei quali il livello tariffario non è insignificante (infrastrutture, tessile, abbigliamento e calzature, acciaio di elevata qualità, alcuni tipi di veicoli e alimenti come le marmellate, il cioccolato e i prodotti caseari), con un costo totale pari a circa sei miliardi di dollari annui, mentre ben più consistenti sono le barriere di tipo non tariffario, dovute soprattutto a divergenze regolamentari in molti settori, tra cui quello automobilistico, quello chimico e farmaceutico e altri settori chiave come le telecomunicazioni e i servizi finanziari;
    l'armonizzazione di tutte le rispettive regolamentazioni in materia di commercio internazionale è apparsa da subito alquanto problematica, a causa delle evidenti differenze che tuttora intercorrono tra Unione europea ed Usa nelle normative in materia di protezione sanitaria, alimentare, di diritto d'autore e del lavoro;
    gli standard dell'Unione europea, basati sul principio di precauzione, sono infatti molto più stringenti di quelli degli Usa in numerosi settori e l'applicazione del partenariato comporterebbe uno scivolamento verso i livelli di deregolamentazione americani;
    il 9 ottobre 2014, anche grazie all'iniziativa della presidenza italiana, il Consiglio dell'Unione europea ha deciso di declassificare le direttive di negoziato del partenariato. La declassificazione del mandato di negoziato costituisce un passo importante per garantire la trasparenza dei negoziati con gli Stati Uniti;
    grazie a tale classificazione si può leggere che il preambolo dovrà ricordare che il partenariato con gli Stati Uniti si basa su principi e valori comuni coerenti con i principi e gli obiettivi dell'azione esterna dell'Unione europea e dovrà contenere, tra l'altro, i seguenti richiami:
     a) i valori condivisi in aree come i diritti umani, le libertà fondamentali, la democrazia e lo stato di diritto;
     b) impegno delle parti a favore dello sviluppo sostenibile e il contributo del commercio internazionale allo sviluppo sostenibile per quanto riguarda i suoi aspetti economici, sociali e ambientali, inclusi lo sviluppo economico, l'occupazione piena e produttiva e il lavoro dignitoso per tutti, nonché la tutela e la conservazione dell'ambiente e delle risorse naturali;
     c) l'impegno delle parti per la conclusione di un accordo pienamente coerente con i loro diritti e gli obblighi derivanti dall'Organizzazione mondiale del commercio e favorevole al sistema di scambi multilaterali;
     d) il diritto delle parti di prendere le misure necessarie per realizzare obiettivi legittimi di politica pubblica in base al livello di tutela della salute, della sicurezza, dei lavoratori, dei consumatori, dell'ambiente e della promozione della diversità culturale sancita dalla Convenzione dell'Unesco sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali, che esse ritengono appropriato;
     e) l'obiettivo che le parti condividono di tenere conto dei problemi specifici che le piccole e medie imprese devono affrontare quando partecipano allo sviluppo degli scambi commerciali e degli investimenti;
     f) l'impegno delle parti di comunicare con tutte le altre parti interessate, compresi il settore privato e le organizzazioni della società civile;
    l'accordo dovrà riconoscere che lo sviluppo sostenibile costituisce un obiettivo essenziale delle parti, le quali intendono anche garantire e facilitare il rispetto degli accordi e delle norme internazionali in materia ambientale e del lavoro, promuovendo nel contempo elevati livelli di tutela dell'ambiente, del lavoro e dei consumatori, coerenti con l’acquis dell'Unione europea e la legislazione degli Stati membri. L'accordo deve riconoscere che le parti non promuoveranno gli scambi o gli investimenti diretti esteri rendendo meno severe la legislazione e le norme nazionali in materia di ambiente, lavoro, salute e sicurezza sul lavoro o meno rigide le politiche e le norme fondamentali del lavoro o le disposizioni legislative finalizzate alla tutela e alla promozione della diversità culturale;
    l'accordo non dovrà, altresì, contenere disposizioni che potrebbero pregiudicare la diversità culturale o linguistica dell'Unione europea o dei suoi Stati membri, in particolare nel settore della cultura, né impedire all'Unione europea e agli Stati membri di mantenere le politiche e le misure esistenti a sostegno del settore della cultura, considerato il loro status speciale nell'Unione europea e negli Stati membri;
    si teme, tuttavia, che la potenza delle multinazionali possa ledere i diritti dei cittadini e la sovranità dei Paesi membri, d'altronde la segretezza del negoziato, formalmente mantenuta fino al 9 ottobre 2014 ha alimentato tali dubbi, in particolare rispetto al rispetto del citato «principio di precauzione». Introdotto per la prima volta in occasione della Conferenza sull'ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite (Earth summit) di Rio de Janeiro del 1992, il principio era rivolto alla protezione dell'ambiente, ma è finito per estendersi alla politica di tutela dei consumatori, della salute umana, animale e vegetale;
    per il Viceministro dello sviluppo economico, Calenda, «secondo le principali analisi disponibili, l'Italia sarebbe tra i principali beneficiari del TTIP, che potrebbe portare fino a mezzo punto di prodotto interno lordo di crescita aggiuntiva e alla creazione di posti di lavoro»;
    secondo la Commissione europea di qui al 2027 il prodotto interno lordo dell'Unione europea beneficerebbe di un aumento annuo medio dello 0,4 per cento e quello americano dello 0,5 per cento. Per Il Sole 24 ore, grazie all'accordo commerciale con Washington, l'Unione europea potrebbe guadagnare 119 miliardi di euro all'anno e l'Italia mezzo punto di prodotto interno lordo;
    grazie al TTIP, il blocco economico transatlantico rappresenterebbe da solo quasi il 50 per cento del prodotto interno lordo mondiale, un terzo del commercio internazionale in beni e una percentuale molto superiore degli investimenti esteri diretti (56,7 per cento di quelli in uscita e 75 per cento di quelli in entrata) e costituirebbe un polo d'attrazione irresistibile per le altre economie del pianeta. Grazie ad esso Usa ed Unione europea potrebbero recuperare l'iniziativa sul piano della definizione degli standard e delle regole del commercio internazionale e contrastare l'ascesa della Cina e dei Brics,

impegna il Governo:

   nel corso del semestre italiano di presidenza del Consiglio dell'Unione europea:
    a) a verificare l'effettiva applicazione dei principi contenuti nel preambolo delle direttive di negoziato sul partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP) con gli Stati Uniti;
    b) a vigilare, in particolare, sulla corretta applicazione e rispetto del principio di precauzione per quanto riguarda gli aspetti economici, sociali e ambientali derivanti da tale accordo, inclusi lo sviluppo economico, l'occupazione piena e produttiva e il lavoro dignitoso per tutti, nonché la tutela e la conservazione dell'ambiente e delle risorse naturali;
    c) a monitorare l'impatto dell'accordo sul sistema delle piccole e medie imprese, che rappresentano la quasi totalità delle imprese europee per evitare che il nuovo quadro normativo diventi troppo favorevole alle imprese di maggiori dimensioni;
    d) a verificare con particolare attenzione che da tale accordo non risulti penalizzato il sistema del made in Italy in generale, salvaguardando, in particolare, la filiera agroalimentare, sempre più danneggiata dal dilagare di prodotti italian sounding;
    e) a porre in essere tutte le azioni utili per la tutela e promozione della diversità culturale e la conseguente esclusione dei prodotti e servizi culturali e audiovisivi dal negoziato con gli Usa;
    f) a tutelare il rispetto degli ordinamenti giuridici interni dei Paesi nei quali operano le aziende multinazionali;
    g) ad assumere iniziative volte a favorire la rapida conclusione del negoziato, anche al fine di rilanciare il ruolo dell'Unione europea nel panorama mondiale e per cogliere l'opportunità delle riconosciute ricadute positive su occupazione e crescita ad esso collegate.
(1-00638) «Fitzgerald Nissoli, Marazziti, Caruso, Buttiglione, Binetti, De Mita, Fauttilli, Cera, Gigli, Piepoli, Sberna».


   La Camera,
   premesso che:
    l'indirizzo politico adottato dal Governo e dalla maggioranza parlamentare che lo sostiene è quello di utilizzare il risparmio previdenziale per operazioni di finanziamento dell'economia reale;
    tale orientamento trova conferma nel disegno di legge di stabilità per il 2015 e nella relazione intitolata «Iniziative per l'utilizzo del risparmio previdenziale complementare a sostegno dello sviluppo dell'economia reale del Paese», approvata dalla Commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale il 9 luglio 2014 e trasmessa alle Presidenze della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica in data 10 luglio 2014;
    in particolare, per quanto riguarda la legge di stabilità per il 2015, secondo le indiscrezioni di stampa, il documento prevede la possibilità per il lavoratore – anche se ha già scelto di trasferire il trattamento di fine rapporto verso i fondi pensione – di richiedere l'anticipo del trattamento di fine rapporto tramite liquidazione diretta mensile della quota maturanda in busta paga, fino al 100 per cento della somma maturata nel corso dell'anno;
    per quanto concerne le modalità operative dell'erogazione del trattamento di fine rapporto, a fronte della richiesta del dipendente, per evitare problemi di liquidità alle piccole e medie imprese, l'idea allo studio sembrerebbe quella che l'azienda si faccia rilasciare dall'Inps una certificazione al diritto alla prestazione, che sarà trasmessa alle banche per ottenere l'erogazione di un finanziamento destinato all'anticipo del trattamento di fine rapporto; allo scadere del finanziamento, in caso di mancata restituzione delle somme da parte dell'azienda, la banca si rivolgerà all'Inps per recuperare il credito vantato verso l'azienda;
    sempre il documento della legge di stabilità per il 2015 prevederebbe poi, per recuperare risorse, un aumento della pressione fiscale sulla previdenza integrativa e complementare, con l'elevazione dell'aliquota oggi all'11,5 per cento tra il 20 ed il 26 per cento;
    pur comprendendo lo sforzo compiuto dal Governo per reperire le risorse necessarie a far ripartire l'economia italiana, tali decisioni sembrano essere caratterizzate da una logica emergenziale priva di una visione lungimirante; esse, infatti, non sembrano considerare i rischi a cui si espone nel medio-lungo periodo il sistema pensionistico italiano, né tantomeno sembrano tener conto del progressivo invecchiamento della popolazione e, quindi, della necessità di garantire pensioni sicure ed adeguate;
    non è, peraltro, la prima volta che un Governo di centrosinistra utilizza soldi dei lavoratori per «fare cassa»; si ricorda a tal proposito la legge finanziaria per il 2007 (articolo 1, commi 755 e seguenti, della legge n. 296 del 2007), con cui il Governo Prodi ha operato un vero e proprio «scippo» del trattamento di fine rapporto nell'intento di recuperare risorse per circa 5 miliardi di euro o il decreto-legge cosiddetto «salva-Italia» (articolo 24 del decreto-legge n.201/2011), con il quale il Governo Monti e la Ministra Fornero hanno tentato di risanare i conti pubblici elevando d'emblée i requisiti pensionistici;
    dalla costituzione del fondo presso l'Inps del trattamento di fine rapporto inoptato, con l'entrata in vigore appunto della legge finanziaria per il 2007, si sta utilizzando in maniera secondo i firmatari del presente atto di indirizzo illegittima quella che costituisce una retribuzione indiretta dei lavoratori per spese correnti, come addirittura il finanziamento di lavori socialmente utili o di comuni e province in dissesto finanziario;
    la stessa Corte dei conti ha rilevato che «a partire dal 2010, sulla base della legislazione sopravveniente (...) sembra cessare l'impiego ad investimenti delle somme prelevate (...) a seguito di tale fenomeno può concludersi che il prelievo stesso diviene un'entrata indifferenziata dello Stato, senza alcun vincolo di destinazione e senza l'istituzione di correlate poste passive, destinate alla reintegrazione del fondo», sottolineando il rischio di equità intergenerazionale nonché di pareggio di bilancio derivante dall'utilizzo degli accantonamenti di trattamento di fine rapporto presso il fondo per mere spese correnti,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative, anche di carattere normativo, per il superamento delle previsioni normative di cui ai commi 755 e seguenti dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006, affinché il trattamento di fine rapporto inoptato rimanga in azienda e possa così rappresentare per le imprese stesse, come in passato, una forma di autofinanziamento per ristrutturarsi, investire e ritornare competitive, salvaguardando ed incrementando l'occupazione;
   a favorire, in termini fiscali, lo sviluppo della previdenza complementare al fine di garantire al lavoratore la possibilità di costituirsi una previdenza integrativa che compensi la riduzione delle prestazioni del sistema previdenziale pubblico;
   ad attuare tutte le opportune iniziative per garantire alle future generazioni pensioni certe e dignitose, considerato che la media dei trattamenti pensionistici italiani è tra le più basse d'Europa.
(1-00639) «Prataviera, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 32 della Costituzione italiana tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo ed interesse della collettività. Con il termine «individuo» si include nell'ambito della tutela non solo il cittadino italiano, ma chiunque si trovi all'interno dei confini della Repubblica, operando così secondo una logica di tutela e prevenzione collettiva;
    il fenomeno migratorio, pur essendo presente nella storia dell'umanità fin dai suoi albori, è oggi divenuto una realtà globale, strutturale e dalla velocità estremamente rapida. Secondo l'Onu, nel 2010, 191 milioni di persone vivevano fuori dal loro Paese d'origine: ovvero il 2,9 per cento della popolazione mondiale (6 miliardi e 464 milioni). Il 59 per cento di queste persone è diretto nei Paesi ad alto reddito, mentre la restante parte migra nei Paesi meno sviluppati. In Italia la presenza di stranieri ha raggiunto il numero di 3.772.000 persone (includendo circa 800 mila irregolari) all'inizio del 2009: si tratta di oltre il 7 per cento della popolazione totale. Uno ogni cinque stranieri è un minore e un decimo di loro è nato in Italia da genitori stranieri;
    nel fenomeno migratorio appare evidente anche l'ampliamento delle disuguaglianze di salute (health divide) generate dal contesto sociale a sfavore delle fasce deboli della popolazione. Tra gli immigrati le malattie possono essere il risultato di fattori ambientali nel loro Paese d'origine, nel Paese di destinazione o del processo migratorio in sé. Se, da un lato, i migranti non hanno necessariamente una salute peggiore del resto della popolazione, dall'altro essi tendono ad essere esposti ad un rischio maggiore di andare incontro a problemi di salute associati alla povertà, alla scarsità di condizioni igieniche, ad una alimentazione diversa da quella a cui sono abituati. Gli immigrati più vulnerabili ai problemi di salute legati alla povertà sono: le donne, i giovani e gli anziani, ma anche migranti con problemi di lavoro, alcuni gruppi etnici, i richiedenti asilo, i rifugiati e gli immigrati irregolari ed altri;
    appare, quindi, necessario proporre una attività di ricerca, diagnosi, cura e formazione che affrontino questo tema e promuovano le azioni di contrasto. Parallelamente occorre costruire una rete con i centri internazionali, a partire dall'Organizzazione mondiale della sanità, che affrontano queste tematiche emergenti nel contesto più vasto dell'Europa e dei Paesi dell'Est, come anche di quelli in via di sviluppo;
    la salute è stata riconosciuta non solo come un bene prezioso per l'essere umano, ma anche una ricchezza fondamentale per il progresso sociale, economico ed individuale che supera i confini territoriali dello Stato. Dal momento che lo stato di salute non è legato soltanto al settore sanitario, ma è influenzato da numerosi fattori, politici, economici, sociali, culturali, ambientali, biologici e comportamentali. È opportuno considerarli tutti se si vuole raggiungere l'obiettivo prefissato;
    l'ultimo «Rapporto povertà» di Caritas Europa descrive e analizza le condizioni socio-economiche e i bisogni dei migranti e identifica i fattori chiave che nei Paesi di accoglienza possono metterli in difficoltà, fino a ridurli in povertà. Si interessa particolarmente delle condizioni degli irregolari e dei richiedenti asilo perché sono i gruppi più vulnerabili e più a rischio non solo di povertà economica e sociale ma anche di malattia, e proprio per una migliore tutela della salute evidenzia fino a che punto i migranti siano a rischio di esclusione per ciò che concerne il lavoro, l'alloggio e l'istruzione;
    le condizioni di salute degli immigrati emergono misurando lo stato di salute con indicatori di percezione, sia analizzando le informazioni raccolte sulle malattie. Tuttavia, si osservano, per alcune etnie, situazioni di criticità che andrebbero approfondite e monitorate. La domanda di salute espressa con il ricorso ai servizi sanitari evidenzia complessivamente un minore accesso rispetto a quello degli italiani, a parità di età, sebbene con alcune peculiarità;
    i comportamenti di prevenzione adottati dalle persone immigrate risentono della forte eterogeneità di questa popolazione, sia in termini di differenze culturali, che di genere. Considerando alcuni dei principali indicatori che consentono di cogliere l'attitudine alla prevenzione di carattere generale, si evince, infatti, che le donne straniere fanno più controlli dei loro coetanei maschi, ma i livelli rispetto alla popolazione italiana sono decisamente più contenuti;
    la crescente presenza di migranti provenienti da Paesi ad alta incidenza di patologie infettive ha prodotto il rischio della ricomparsa di malattie comunemente considerate debellate, come dimostrano i recenti fatti di cronaca che hanno visto un presunto contagio di tubercolosi tra i militari impegnati nell'operazione Mare Nostrum e così come sta avvenendo con l'epidemia di ebola, che da Guinea, Sierra Leone e Liberia rischia di diffondersi nel resto del mondo;
    l'epidemia di ebola rappresenta una «emergenza di salute pubblica di livello internazionale», come ha stabilito il comitato di emergenza istituito dall'Organizzazione mondiale della sanità, ed è «la peggiore che si sia avuta in almeno 40 anni e serve uno sforzo coordinato a livello internazionale per fermare la diffusione del virus»;
    il 18 settembre 2014, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha riconosciuto lo «scoppio» ebola come «una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale» e ha adottato all'unanimità la risoluzione 2177/2014, per la creazione di un'iniziativa a livello Onu per coordinare le attività di tutte le agenzie delle Nazioni Unite per affrontare la crisi;
    il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha stanziato circa 1,5 milioni di euro per contrastare l'epidemia di ebola che sta colpendo alcuni Paesi dell'Africa occidentale;
    la cooperazione italiana ha stanziato un contributo di 240.000 euro per l'Organizzazione mondiale della sanità per l'invio di medici, la fornitura di medicine e di attrezzature, il rafforzamento dei sistemi di sorveglianza epidemiologica e il coordinamento e supporto logistico delle attività di risposta all'emergenza;
    nel corso della discussione dell'atto Camera n. 2498, recante «Disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo», il 17 luglio 2014, è stato accolto un ordine del giorno che impegnava il Governo ad assicurare la possibilità che le amministrazioni possano prevedere l'immissione in servizio di figure professionali di pari livello, con contratto a tempo determinato e comunque fino alla durata del periodo di aspettativa richiesto dal titolare, mantenendo a carico del progetto di cooperazione i contributi previdenziali per il personale espatriato,

impegna il Governo:

   a garantire l'adozione di adeguate misure di sicurezza legate al rischio di importazione di casi di ebola, attraverso l'identificazione precoce dei sospetti, evitando pericoli di ritardata diagnosi e conseguente applicazione delle misure necessarie;
   a predisporre l'attivazione o il potenziamento delle strutture atte a gestire questa specifica emergenza sanitaria;
   a valutare l'opportunità di incrementare le risorse destinate a programmi per contrastare l'epidemia di ebola anche attraverso l'invio di medici e la fornitura di medicine e di attrezzature;
   a dar seguito all'impegno preso con l'ordine del giorno citato in premessa per favorire l'espatrio dei dipendenti della pubblica amministrazione che intendono partecipare a progetti di collaborazione internazionale connesse all'emergenza sanitaria;
   a garantire l'accesso ai servizi sanitari a tutti i migranti, regolari e irregolari, prevedendo nei servizi sanitari la presenza di mediatori culturali e a non procedere all'espulsione dei migranti irregolari malati e che non hanno possibilità di accedere alle cure necessarie nel loro Paese di origine;
   a prevedere servizi tempestivi di screening analoghi per quelli che si fanno per i cittadini italiani per le principali patologie previste;
   ad assicurare ai rifugiati, richiedenti asilo e a quanti hanno subito eventi traumatici, come torture, guerre o persecuzioni, adeguate cure mediche e psicologiche e a garantire il diritto per tutti gli immigrati, compresi coloro che risiedono illegalmente, ad un alloggio dignitoso.
(1-00640) «Binetti, Buttiglione, Gigli, De Mita, D'Alia, Cera, Adornato, Piepoli, Sberna, Fitzgerald Nissoli, Caruso».


   La Camera,
   premesso che:
    nello scenario economico italiano, aggravato dalle conseguenze della crisi finanziaria, continua a porsi in primo piano la questione di un Paese ancorato a due differenti velocità di sviluppo, la cui più diretta evidenza sono sia l'inasprimento dei divari e delle divergenze tra le regioni settentrionali e quelle meridionali, sia le diseguaglianze interne alle stesse aree del Mezzogiorno;
    è un dato di fatto che le regioni del Sud del nostro Paese hanno subito con molta più forza i segni della crisi economica e lo evidenziano i dati relativi alla disoccupazione giovanile, come anche quelli relativi al reddito e alla povertà;
    le cause primarie possono essere rinvenute in una condizione complessiva del Mezzogiorno, che è data dalle infrastrutture, dall'impianto economico produttivo, dalla crisi imprenditoriale e che rende questi territori particolarmente vulnerabili;
    il rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno del 2014 ha rilevato che: «Il lascito della peggiore crisi economica dal dopoguerra è un Paese ancor più diviso del passato e sempre più diseguale. La flessione dell'attività produttiva è stata molto più profonda ed estesa nel Mezzogiorno che nel resto del Paese. Come temuto, gli effetti appaiono non più solo transitori ma strutturali: cambia la struttura produttiva, con un peso dell'apparato industriale sempre minore; la forte riduzione degli investimenti fa diminuire lo stock di capitale, che non venendo rinnovato perde in competitività; le migrazioni e i minori flussi in entrata nel mercato del lavoro contemperano la riduzione di possibilità di occupazione. Il Mezzogiorno appare collocarsi in un equilibrio statico di minore produttività, minore occupazione e quindi, inevitabilmente, minore benessere»;
    la distanza tra il Centro-Nord e il Sud non si limita al prodotto interno lordo pro capite, ma a tanti altri indicatori, come la continua migrazione delle forze giovanili verso altri regioni e verso l'estero, l'elevato numero di giovani che abbandonano gli studi (25,5 per cento contro il 16,8 per cento del Centro-Nord), gli studenti con scarse competenze in lettura e matematica (14,2 per cento rispetto al 7 per cento del Centro-Nord), l'irrilevante capacità di attrazione di investimenti dall'estero, il peso ancor maggiore rispetto al resto del Paese della burocrazia, dell'inefficienza istituzionale, della corruzione, della lentezza giudiziaria, dell'economia sommersa, sinanche del trattamento dei rifiuti;
    il rapporto Svimez presentato il 30 luglio 2014 descrive un Paese diviso e diseguale, dove il Sud scivola sempre più nell'arretramento, con il divario di prodotto interno lordo pro capite che nel 2013 è tornato ai livelli del 2003, il crollo degli investimenti nell'industria, il calo dei consumi delle famiglie e dei tassi di iscrizione all'università, e nel quale il numero di occupati è sceso sotto la soglia dei sei milioni, il livello più basso dal 1977;
    nel Mezzogiorno d'Italia in cinque anni le famiglie assolutamente povere sono aumentate di due volte e mezzo, da 443 mila a 1 milione e 14 mila nuclei, e le previsioni 2014-2015 contenute nel rapporto di previsione territoriale Svimez 01/2014 confermano il trend negativo;
    negli anni tra il 2008 e il 2013 l'economia meridionale è calata di circa il doppio rispetto al resto del Paese (-13,3 per cento rispetto al -7 per cento del Centro-Nord), mentre negli stessi anni il Mezzogiorno ha subìto una caduta dell'occupazione del 9 per cento, quattro volte superiore a quella del Centro-Nord (-2,4 per cento); dei circa 985 mila posti di lavoro persi in Italia nello scorso sessennio, ben 583 mila sono nel Sud e l'impatto della caduta dell'occupazione è stato così forte da provocare un crollo dei consumi delle famiglie meridionali di quasi 13 punti percentuali (-12,7 per cento), più del doppio di quello registrato nel resto del Paese (-5,7 per cento);
    inoltre, a dispetto dei deboli segni di ripresa pur registrati in alcune parti d'Italia nel corso del 2013, nello stesso periodo la flessione dell'attività economica si è accentuata in Basilicata (dal -3,7 per cento del 2012 al -6,1 per cento), in Puglia (dal -2,9 per cento al -5,6 per cento), in Calabria (dal -2,1 per cento al -5 per cento) e in Molise (dal -1,8 per cento al - 3,2 per cento), e restano stabili sui livelli negativi dell'anno precedente in Campania (-2,1 per cento rispetto a -2 per cento) e in Sardegna (-4,4 per cento rispetto a -4,3 per cento), mentre segnali di attenuazione della crisi rispetto al 2012 si sono avuti solo in Abruzzo (dal -2,7 per cento al -1,8 per cento) e in Sicilia (dal -4,8 per cento al -2,7 per cento);
    al contempo, i tassi di scolarizzazione, già molto inferiori nel Mezzogiorno rispetto al resto del Paese, sono accompagnati da un aumento del tasso di abbandono dovuto alle condizioni di degrado sociale e familiare, mentre negative sono anche le evidenze in termini di «qualità» della formazione, dal momento che gli studenti che terminano la loro carriera accademica hanno notevoli difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro, determinando la cosiddetta fuga dei cervelli e la progressiva desertificazione del capitale umano;
    la ripresa del Mezzogiorno non dipende dall'entità dei trasferimenti pubblici ma dal grado di efficienza delle istituzioni e dalla capacità di mobilitare le risorse disponibili, determinando una crescita delle imprese e della loro capacità concorrenziale nei mercati, nonché ristabilendo una capacità di attrazione di capitali esteri, fondamentali nel processo di generazione del reddito, oltre ad essere lo specchio della credibilità internazionale di un Paese;
    in questo quadro, i fondi dell'Unione europea, pur mantenendo un ruolo centrale nell'ambito delle politiche di sostegno ad occupazione e sviluppo dei territori, non possono costituire l'unica risorsa, ma vanno inseriti in un piano più generale, governato da Stato, regioni ed enti locali, al fine di un migliore e più spedito impiego delle risorse disponibili;
    negli anni l'esistenza di distorsioni e malfunzionamenti all'interno del sistema a supporto delle attività produttive ha dato luogo alla riforma di alcuni degli strumenti esistenti e alla creazione del fondo per le aree sottoutilizzate, secondo una linea guida di concentrazione, basata sulla riduzione delle risorse e la loro assegnazione a poche e selettive politiche di sviluppo funzionali al raggiungimento di obiettivi nel lungo periodo, nel tentativo di «responsabilizzare» le imprese sulla qualità degli investimenti proposti e garantire una ricaduta efficace sul tessuto produttivo locale in termini di occupazione;
    tra le regioni meridionali, particolare attenzione merita la Calabria, che sta vivendo una crisi dell'occupazione particolarmente significativa che la condanna al record europeo di disoccupazione giovanile;
    i dati ufficiali ci dicono, infatti, che nella regione il 65 per cento dei giovani sotto i 25 anni non trova lavoro, contro la media nazionale del 26,2 per cento ed europea del 17 per cento, che il tasso di disoccupazione femminile è al 41 per cento, mentre il dato relativo alla disoccupazione totale è pari al 17,3 per cento, con un incremento annuo di quasi il 6 per cento; al contrario, il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni è il più basso tra le regioni italiane, attestandosi poco sopra al 37 per cento a fronte di una media nazionale del 55,1 per cento;
    la Calabria detiene, altresì, il triste primato del lavoro nero e irregolare, che sfiora il 28 per cento, con una differenza di circa 20 punti percentuali rispetto alla regione d'Italia più virtuosa in questo campo;
    secondo l'istituto di indagine Demoskopika, in Calabria nel 2013 poco più di 386 mila nuclei familiari – per un totale di quasi un milione di persone – vivevano in condizione di disagio economico, il che equivale a dire che circa il 48,6 per cento delle famiglie calabresi versa in uno stato di quasi o totale indigenza socio-economica;
    in modo analogo, anche la Campania ha visto negli ultimi anni un costante aumento della povertà e della contrazione della capacità di spesa della popolazione, che sta determinando uno stravolgimento del tessuto sociale;
    la base economica della Campania è stata gravemente condizionata e ridimensionata per effetto di fenomeni di crisi, contrazione produttiva e chiusura d'impianti, che trovano la prima e più evidente espressione nella crescita abnorme del ricorso agli ammortizzatori sociali, che è più che triplicato;
    la mortalità aziendale, che, nelle condizioni attuali, è arrivata a compromettere anche segmenti tradizionali e imprese di punta del sistema produttivo campano, non solo rappresenta un elemento che ha ricadute drammatiche dirette e indirette sull'occupazione e sull'offerta, ma, soprattutto, può pregiudicare seriamente la capacità di ripresa futura dell'economia regionale;
    in Campania, peraltro, pesano in modo particolare anche le difficoltà di bilancio di Napoli, ulteriormente aggravate dal taglio dei trasferimenti dal Governo centrale, difficoltà che compromettono seriamente il suo enorme patrimonio archeologico, architettonico e storico, come le impediscono di svolgere il suo ruolo come punto di riferimento per un vasto retroterra e come avamposto strategico al centro del Mediterraneo, lasciando scivolare la città sempre più verso il declino, testimoniato dalla perenne emorragia di residenti;
    la valorizzazione e il rilancio del Meridione d'Italia non possono prescindere dal rilancio del settore turistico, posto l'immenso patrimonio artistico, architettonico e culturale che detengono e che deve essere trasformato in ricchezza vitale attraverso cui creare occupazione, favorire lo sviluppo, applicare all'antico le nuove tecnologie, imprimere a ciò che è statico la velocità della modernità, aggiungere a ciò che è locale la dimensione della globalità;
    in questo ambito appaiono di fondamentale importanza sia il sostegno dell'imprenditoria legata al turismo, sia la tutela e la salvaguardia dei prodotti tipici e delle tradizioni locali di cui proprio il Meridione è così ricco, sia la salvaguardia ambientale e paesaggistica e il contrasto dell'abusivismo edilizio, anche attraverso un processo di riqualificazione delle coste realizzato con meccanismi premiali in ordine alla ricollocazione delle cubature;
    la gravissima crisi occupazionale che affligge le regioni meridionali non può essere affrontata solo con i programmi di sostegno ai giovani di derivazione europea, quali garanzia giovani o i progetti «neet», o attraverso il reimpiego o la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili, soprattutto se si considera che si tratta di una regione con milioni di abitanti e, quindi, con centinaia di migliaia di giovani alla ricerca di un lavoro, ma necessita di interventi mirati e strutturali;
    l'analisi delle difficoltà strutturali che opprimono il Sud italiano, sia in termini di struttura produttiva che di assetto istituzionale, evidenzia una situazione complessiva di fragilità che impone la ricerca di radicali elementi di discontinuità nelle politiche di sviluppo;
    appare indispensabile ed urgente disegnare nuove e più efficaci azioni che consentano al Mezzogiorno di intraprendere un percorso di sviluppo, autonomo e responsabile, in grado di valorizzare i tanti elementi positivi comunque presenti in questi territori, al contempo dando nuovo slancio al tessuto economico e produttivo del Mezzogiorno,

impegna il Governo:

   a valutare l'adozione di un piano di azioni coordinate per l'intera area del Meridione, nell'ambito del quale prevedere ed attuare tempestivamente meccanismi di sostegno e di incentivazione, anche attraverso l'impiego di modalità di agevolazione fiscale, mirati a salvaguardare le strutture produttive esistenti e ad attrarre nuovi investimenti;
   ad adottare le iniziative necessarie a combattere efficacemente il gravissimo problema degli abbandoni scolastici, che, di fatto, priva questi territori anche della possibilità di investire nel futuro attraverso le giovani generazioni;
   ad individuare con rapidità quali comuni, tra quelli che ne abbiano fatto richiesta, abbiano i requisiti per costituire al proprio interno le zone franche urbane di cui alla legge 24 dicembre 2007, n. 244, al fine di rafforzare la crescita imprenditoriale e occupazionale delle micro e piccole imprese;
   ad elaborare un piano di monitoraggio delle risorse destinate dallo Stato e dall'Unione europea al contrasto della disoccupazione e agli altri programmi di sviluppo in favore delle regioni dell'obiettivo convergenza, al fine di verificare che esse siano effettivamente impiegate per i fini previsti e non siano disperse e al fine di contrastare la lentezza nelle procedure di spesa;
   ad individuare politiche atte alla conservazione e alla valorizzazione delle risorse naturali delle regioni, al fine di rilanciare il turismo e la produzione ed il commercio dei prodotti tipici;
   in questo ambito a valutare di assumere iniziative per l'attivazione di procedimenti di sostituzione edilizia, in collaborazione con soggetti privati, volti ad eliminare gli edifici sorti in seguito a fenomeni di abusivismo edilizio e a ripristinare i territori, con particolare riferimento alle fasce costiere;
   a promuovere una rapida individuazione degli interventi infrastrutturali di primaria importanza, anche ai fini del rilancio turistico, e ad individuare misure per garantire la loro tempestiva realizzazione;
   ad elaborare un programma per la messa in sicurezza dei territori e degli edifici, con particolare riguardo a quelli scolastici, per il recupero dei centri urbani, attraverso opere di restauro degli edifici storici, e per il completamento dei programmi già avviati nei settori dell'edilizia sanitaria, universitaria e carceraria;
   con particolare riferimento alla Campania, ad adoperarsi al fine di rilanciare i progetti per il centro storico, la metropolitana e il porto di Napoli, per Napoli est, per l'aeroporto di Salerno, per la valorizzazione e lo sviluppo dell'ex area industriale di Bagnoli e dell'intera area flegrea, nonché per ripristinare e restituire pienamente al pubblico i siti turistici di maggiore importanza, tra i quali Pompei e la Reggia di Caserta.
(1-00641) «Taglialatela, Cirielli, Rampelli».

Risoluzione in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    con la risposta all'interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5/03676, finalizzata alla richiesta di un intervento legislativo volto ad ampliare i requisiti di accesso al regime fiscale di vantaggio per l'imprenditoria giovanile e i lavoratori in mobilità di cui all'articolo 27, commi i e 2 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, che ha prodotto effetti positivi per le nuove imprese nell'attuale contesto economico e finanziario caratterizzato dal perdurare della crisi economica, il Governo ha evidenziato che, al momento, è possibile solo rappresentare che eventuali interventi in materia costituiscono oggetto di quanto previsto nella legge 11 marzo 2014, n. 23, concernente la delega affidata al Governo per l'attuazione di un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita;
    in merito ai chiarimenti sul periodo di applicazione del regime di cui trattasi, in relazione al requisito anagrafico, il Sottosegretario per l'economia e le finanze ha inoltre evidenziato che l'Agenzia delle entrate con la circolare n. 17 del 2012, paragrafo 2.1, ha chiarito che «il regime fiscale di vantaggio può essere applicato esclusivamente per il periodo di imposta in cui l'attività è iniziata e per i quattro periodi di imposta successivi. Coloro che allo scadere del quinquennio non hanno ancora compiuto trentacinque anni, possono prolungare l'applicazione del regime fino al periodo di imposta di compimento del trentacinquesimo anno di età»;
    analoghe indicazioni sono riportate sul sito web dell'Agenzia delle entrate nella quale viene specificato che: «Il regime di vantaggio dura 5 anni dal periodo d'imposta di inizio dell'attività. I contribuenti sotto i 35 anni di età possono, invece, continuare a usufruire del regime di vantaggio oltre i 5 anni, fino al compimento del 35esimo anno»;
    gli effetti finanziari derivanti dalle proposte d'innalzamento della soglia del fatturato massimo ai 50 mila o 60 mila euro all'anno e di allungamento della scadenza del regime a 10 anni con eliminazione di ogni vincolo anagrafico, al fine di rendere più appetibili i criteri di attuazione del nuovo regime fiscale di vantaggio, sono stati inoltre indicati all'interno della medesima risposta da parte del rappresentante del Ministro dell'economia e delle finanze, che ha riportato per entrambe le ipotesi gli oneri derivanti dall'applicazione delle medesime intenzioni;
    lo strumento fiscale in precedenza esposto che di fatto ha assorbito l'ex «regime dei minimi» per l'imprenditoria giovanile e i lavoratori in mobilità, sin dalla sua introduzione, ha rappresentato nella sostanza un regime contabile agevolato condiviso in senso generale, attraverso una serie di benefit e numerose semplificazioni burocratiche, che in un quadro di congiuntura economica tanto negativo come quello attuale e a fronte di una pressione fiscale elevata a carico di imprese e lavoratori autonomi, ha dispiegato una serie di effetti positivi in particolare sull'incremento di nuove partite IVA, come rilevato sul sito del dipartimento delle finanze attraverso i dati relativi all'Osservatorio sulle partite IVA aggiornati allo scorso mese di maggio;
    le ripetute dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei ministri di voler attuare misure a sostegno dell'economia reale e rilanciare lo sviluppo del Paese stimolando la domanda interna, s'integrano coerentemente con i vantaggi determinati dal medesimo strumento fiscale agevolato;
    le integrazioni delle proposte in precedenza evidenziate, nel caso fossero introdotte, andrebbero a configurare notevoli miglioramenti complessivi, delle caratteristiche del nuovo regime fiscale di vantaggio;
    prevedere una serie di misure ad hoc, nell'ambito della predisposizione degli interventi di natura fiscale e finanziaria volte a rafforzare ed estendere l'ambito di applicazione di tale strumento agevolativo, può rappresentare, infatti, una valida e positiva iniziativa in grado di accrescere ulteriormente il numero delle adesioni in particolare per l'imprenditoria giovanile, al nuovo regime fiscale di vantaggio, completato con le proposte in precedenza esposte,

impegna il Governo

a prevedere interventi ad hoc, nelle prossime iniziative normative utili al fine di rafforzare e estendere l'ambito di applicazione di tale strumento agevolativo, in precedenza richiamato.
(7-00496) «Laffranco, Sandra Savino».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   ad oggi – e nonostante un'interrogazione a risposta immediata presentata dagli interroganti in Commissione giustizia in data 16 settembre 2014 (5-03554) – non si è ancora provveduto alle nomine del capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, del capo del dipartimento delle politiche antidroga, nonché del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o comunque private della libertà personale, nomine evidentemente fondamentali per la tutela dei diritti dei soggetti più deboli della società;
   a fronte di tali mancate nomine, da fonti di stampa, si apprende invece che sia allo studio, alla Presidenza del Consiglio – e senza alcun formale atto di istituzione – un progetto di riforma della gestione penitenziaria che, in particolare, verrebbe affidata, nell'elaborazione concreta, al procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, il quale, nel mese di settembre 2014, alla festa del Fatto Quotidiano, avrebbe parlato di chiudere il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per risparmiare denaro pubblico;
   forte è la preoccupazione, a parere degli interpellanti, che tale progetto possa includere il trasferimento della gestione carceraria al Ministero dell'interno e non più al Ministero della giustizia, con la conseguenza che le carceri potrebbero essere dunque dirette dalla polizia, con ciò relegando la questione carceraria ad una mera questione di ordine pubblico;
   Mario Gozzini, autore della nota riforma carceraria del 1986, scriveva di direttori penitenziari straordinari, motivati, democratici che agivano in perfetta sintonia con il dettato costituzionale in materia di finalità rieducativa della pena, ovvero «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato» (articolo 27, comma 3, Cost.);
   è evidente che, proprio in ossequio al dettato costituzionale, dentro gli istituti di pena debbano continuare ad operare principalmente operatori civili esperti nel trattamento, tutti funzionalmente dipendenti dal direttore, e che la competenza istituzionale sugli istituti penitenziari debba continuare ad essere del Ministero della giustizia, e non del Ministero dell'interno, avendo quest'ultimo funzioni di ordine pubblico;
   alcuni Paesi, come gli Usa e il Regno Unito, hanno sì privatizzato parte del sistema carcerario, ma hanno comunque riservato la relativa competenza al Ministero della giustizia;
   fra i suggerimenti che le organizzazioni internazionali danno alle nuove democrazie vi è quello di togliere le carceri dal controllo dei ministeri che hanno competenza sulla polizia;
   un dipartimento con circa 50.000 dipendenti, come da «piano Gratteri» illustrato nelle notizie stampa, verrebbe abolito e sostituito da un organo non ancora chiaro. La polizia penitenziaria, invece, con un più ambizioso nome («polizia della giustizia») amplierebbe le sue competenze, dall'esecuzione degli ordini di reclusione alla ricerca dei latitanti, dal controllo dell'esecuzione penale esterna (detenzione domiciliare in primis) alla protezione dei collaboratori di giustizia e anche dei tribunali e dei singoli magistrati;
   in particolare, poi, ai commissari della polizia penitenziaria andrebbe la responsabilità diretta e formale degli istituti di pena che verrebbero abbandonati progressivamente dagli attuali dirigenti «civili», incanalati in un ruolo professionale ad esaurimento;
   i caratteri del «piano Gratteri», come sopra illustrato, erano stati peraltro anticipati dallo stesso procuratore nell'ambito di un'audizione sull'articolo 41 bis presso la Commissione diritti umani del Senato della Repubblica, dove questi aveva rappresentato le sue idee in tema di carcere –:
   se il Governo non ritenga di fornire con urgenza ogni utile elemento sulle reali ed effettive intenzioni di riforma del settore carcerario, ivi compresi i problemi che non hanno ancora portato all'individuazione del capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, del capo del dipartimento delle politiche antidroga, nonché del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o comunque private della libertà personale;
   se, nell'ambito della paventata riorganizzazione del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, non ritengano necessario avviare al più presto un confronto con le associazioni, nonché con gli operatori carcerari e del diritto che si sono da sempre occupati della questione carceraria;
   se, in particolare, non ritengano di mantenere la competenza sulla gestione carceraria in capo al Ministero della giustizia, evitando con ciò di compromettere la realizzazione della funzione rieducativa della pena, ad avviso degli interpellanti, evidentemente conseguente ad un mero inquadramento della questione carceraria nell'ambito dell'ordine pubblico.
(2-00722) «Scotto, Daniele Farina, Sannicandro».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi a Roma il Premier cinese Li Keqiang e il Presidente del Consiglio Renzi hanno raggiunto una ventina di intese tra Italia e Cina per un valore, di circa 8 miliardi di euro;
   la Cina per il nostro Paese è il secondo partner commerciale extraeuropeo dopo gli Stati Uniti per un volume di affari di circa 32 miliardi di euro (dato al 2013). Nel primo semestre del 2014 l’export verso la Cina è aumentato dell'8,3 per cento;
   l'alleanza più rilevante di questa serie di accordi è quella fra la Cassa depositi e prestiti e China development bank con lo scopo di rafforzare la collaborazione fra i due istituti, per effettuare operazioni congiunte per complessivi 3 miliardi di euro nei prossimi 5 anni. La Cassa depositi e prestiti e China development bank esploreranno opportunità in diverse aree di attività, inclusi progetti infrastrutturali, investimenti azionari diretti e finanziamenti per l’export. È stato sottoscritto un Memorandum of understanding per operazioni di investimento tra Fondo strategico italiano e China Investment Corporation (CIC International). È stato firmato inoltre un protocollo d'intesa anche tra Enel e Istituto finanziario Bank of China Ltd leader nel settore bancario cinese;
   tra gli accordi siglati vi è anche un contratto da 400 milioni di euro tra Finmeccanica AgustaWestland il gruppo cinese Beijing Automotive Industrial Corporation (Baic) per la fornitura di 50 elicotteri di vari modelli che verranno destinati a compiti di pubblica utilità. Tra M&G International e Anhui Guonzhen Group arrivano poi una joint venture da circa 325 mila dollari per la produzione di 235.000 litri all'anno di etanolo cellulosico di seconda generazione a partire da residui agricoli e una da 250 mila dollari per la costruzione di un impianto di co-generazione di energia e vapore. E ancora, tra MeinlBank/Sogeap, società gestione aeroporto di Parma, American Global Fund e Izp Technologies Group è stata concordata un'intesa da 40 milioni di euro per l'acquisizione della quota di maggioranza di Sogeap. Silversea Cruise e Icbc Financial Leasing collaboreranno per l'espansione della flotta di Silversea con finanziamenti per le nuove navi costruite da Fincantieri. Intesa Sanpaolo e Export-Import Bank of China hanno firmato un accordo strategico di collaborazione per lo scambio di prodotti meccanici, elettronici e tecnologici. Gli ultimi tre memorandum vedono come firmatari Invitalia e The Export Bank of China; Twe Sistema Italia e West Hope Dekang Group (800 milioni di euro per investimenti nel settore agricolo) e Machinery e Zhejiang Rifa (accordo per acquisto di azioni);
   il presidente cinese ha affermato: «intendiamo importare più prodotti Made in Italy di alta tecnologia e creatività»; inoltre, ha sottolineato l'importanza di «investimenti reciproci» e di «incoraggiare le collaborazioni tra piccole e medie imprese» che riguarderà anche gli scambi di prodotti enogastronomici;
   è nell'intenzione dei Governi italiano e cinese intensificare i rapporti commerciali, in quanto dovrebbero essere una fonte di garanzia di continuità di sviluppo per le aziende. Ma la Cina è anche il principale Paese di origine dei prodotti contraffatti con il 66,1 per cento dei prodotti sequestrati, a cui si deve aggiungere un 13,3 per cento proveniente da Hong Kong;
   l'industria del falso è ormai un fenomeno di prima grandezza nell'economia mondiale che coinvolge tutti i Paesi, siano essi produttori o consumatori di beni contraffatti. Il volume complessivo del commercio mondiale di merci contraffatte ammonta a più di 200 miliardi di euro l'anno;
   nel 2013 le autorità doganali dell'Unione europea hanno effettuato 86.854 sequestri per 35,9 milioni di prodotti sospettati di violazione dei diritti di proprietà intellettuale, con un valore delle merci intercettate pari a 768 milioni di euro;
   la contraffazione è operata essenzialmente da Paesi extraeuropei e l'Estremo Oriente è indicato come la fonte principale delle falsificazioni ai danni del made in Italy;
   il settore più esposto alla contraffazione è quello dei prodotti della moda (circa il 60 per cento del fenomeno), il resto riguarda giocattoli, prodotti enogastronomici, prodotti di design, orologeria, componentistica, audiovisivi e software. La maggior parte dei prodotti spesse volte non rispetta le norme per la tutela della salute e sicurezza, mettendo in serio pericolo la salute del consumatore;
   la contraffazione provoca un danno economico, oltre che alle imprese anche al made in Italy in termini di mancate vendite, perdita di immagine e di credibilità del marchio e delle qualità del prodotto italiano, oltre che di spese per la tutela dei diritti di proprietà intellettuale, riduzione della redditività degli investimenti in ricerca, innovazione e marketing;
   la contraffazione a tavola è quella più temuta dagli italiani: sei italiani su dieci, il 60 per cento, la considerano, a ragione, più grave delle frodi fiscali e degli scandali finanziari;
   il termine «contraffare» consiste essenzialmente nel dare un'apparenza ingannevole della genuinità di un prodotto che è composto da materie prime e sostanze, in tutto o in parte, diverse per quantità o qualità da quelle che normalmente concorrono a formarlo;
   una tipologia di contraffazione è quella relativa al marchio o all'indicazione di provenienza geografica o alla denominazione di origine che ha comportato la nascita del fenomeno dell’Italian sounding ovvero tutti quei prodotti che fanno riferimento all'Italia e che sono in massima parte prodotti imitativi (fake italian) e che presentano un mix di nomi italiani, luoghi, immagini, slogan, colori, chiaramente e inequivocabilmente afferenti all'Italia. L'indicazione fuorviante dell'italianità di alcuni prodotti sui mercati esteri con inganno dei consumatori sulla esatta provenienza dei beni rappresenta un danno ingente per l'economia del nostro Paese e per l’export del made in Italy;
   la contraffazione alimentare è un crimine particolarmente odioso perché si fonda soprattutto sull'inganno nei confronti di quanti, per la ridotta capacità di spesa, sono stati costretti a tagliare la spesa alimentare e a optare per alimenti economici con prezzi troppo bassi per essere prodotti autentici, con conseguenze economiche e sanitarie di rilievo per i consumatori e per i produttori;
   le contraffazioni nel settore agricolo e agroalimentare rappresentano un fenomeno preoccupante e, nonostante l'intensificarsi dei controlli, continuano a svilupparsi in maniera crescente e fanno perdere risorse al nostro Paese, risorse che creano indispensabili rapporti commerciali che sono fondamentali per l'economia del territorio;
   l’Italian sounding a livello mondiale ha un giro d'affari stimabile in circa 54-55 miliardi euro (pari a quasi 2 volte il fatturato dell’export alimentare, pari per il 2012 a poco meno di 32 miliardi di euro) ed è la principale causa di mancato guadagno per l’export italiano, perché consente ad alcune aziende di avere un vantaggio competitivo immeritato, producendo a prezzi più bassi e collocando il prodotto su fasce di prezzo più alte grazie al richiamo all'Italia o all'italianità –:
   quali iniziative intenda mettere in atto il Governo di concerto con quello cinese per contrastare il commercio internazionale dei prodotti contraffatti made in Italy nonché dell’Italian sounding.
(2-00726) «Prataviera, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Simonetti, Giammanco, Bianconi, Palese, Valentini, Occhiuto, Mottola, Polverini, Marguerettaz, Giancarlo Giorgetti, Marti, Nizzi, Fucci, Rizzetto, Fedriga».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, MANNINO, SEGONI, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'ex impianto Fibronit occupa circa 13,5 ettari ed è situato nel pieno centro abitativo del comune di Broni, in provincia di Pavia. L'area ex Fibronit è interessata da depositi interni ed esterni (sul piazzale) di manufatti e rifiuti contenenti amianto. Ciò determina un rischio sanitario e ambientale concatenato al trasporto eolico di fibre libere di amianto, polveri e materiali da costruzione a base di amianto (Crisotilo, Crocidolite Amosite);
   l'emergenza sanitaria a Broni, derivante dall'inquinamento da fibre di amianto originatosi dall'ex impianto Fibronit, è drammatica e concerne un numero ormai tragico di morti da malattie correlate all'asbesto;
   negli anni trascorsi dalla chiusura dell'azienda ex-Fibronit, dal 1993 ad oggi, manca un piano definitivo di bonifica, smaltimento e messa in sicurezza dell'amianto, nonché una copertura finanziaria piena dei relativi costi;
   il programma di bonifica del SIN, previsto da un accordo di programma siglato il 22 Novembre 2007 fra Stato, regione, comune e provincia, avrebbe dovuto concludersi nel 2014 ma è ancora incompleto, prioritariamente per la mancanza di finanziamenti;
   secondo le previsioni epidemiologiche sull'incidenza delle malattie correlate all'asbesto nei decenni successivi alle prime esposizioni agli agenti patogeni, l'emergenza sanitaria è destinata ad aggravarsi. Secondo i dati del Ministero della salute (Quaderno del Ministero della salute n. 15 maggio/giugno 2012) l'incidenza a Broni del mesotelioma pleurico (patologia asbesto correlata e derivante dall'esposizione all'amianto) ogni 100.000 abitanti è pari a 82,02, dato superiore a quello di Casale Monferrato;
   con nota del 6 aprile 2013, prot. n. 5421, il comune di Broni ha trasmesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e agli Enti coinvolti il «Progetto Definitivo Rev 1 Secondo Lotto — Marzo 2013», che prevede un quadro economico di euro 13.000.000 (I.V.A. inclusa), che recepisce le osservazioni di cui alla nota ministeriale prot. n. 21896 del 24 luglio 2012. La tempistica prevede, in venti mesi, il completamento delle attività in progetto: il progetto concerne la bonifica e messa in sicurezza del SIN situato presso l'ex impianto Fibronit. Tale intervento peraltro non risulta disporre di copertura finanziaria;
   la «Relazione Amianto Anno 2012» redatta da regione Lombardia, sulla base di un'elaborazione dei dati del Registro Mesoteliomi Lombardia, riconosce che diversi casi di patologie asbesto correlate sono dovuti ad esposizione ambientale o familiare all'amianto, e che quindi i soggetti a rischio di patologie asbesto correlate, oltre ai lavoratori ed ex lavoratori esposti, sono anche i loro familiari oppure cittadini esposti all'amianto in situazioni ambientali non lavorative;
   il sindaco di Broni, le forze politiche ed i gruppi consiliari del consiglio comunale di Broni, le associazioni ambientaliste hanno sottoscritto ed inviato, il 22 settembre 2014, una lettera ai Capigruppo regionali di Regione Lombardia, ai Consiglieri regionali provenienti dalla provincia di Pavia, agli assessori competenti e al presidente Maroni, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministero della salute, lettera che chiede che i Ministeri competenti finanzino le opere di bonifica, smaltimento e messa in sicurezza oggi incomplete o non ancora iniziate: con particolare riguardo a quanto deciso dalla, Conferenza dei servizi tenutasi il 28 Maggio 2014 che ha approvato il secondo lotto del progetto di bonifica;
   i cittadini di Broni e delle aree circostanti interessate hanno sottoscritto una petizione popolare avanzando la medesima richiesta di pronta messa in sicurezza del SIN di Broni, nonché di accesso esente da ticket al sistema sanitario regionale per la prevenzione e cura delle malattie asbesto correlate per i cittadini di Broni;
   il 16 luglio 2013 è stata depositata presso la Camera dei deputati la proposta di legge n. 1366, a prima firma del deputato D'Incà, denominata: «Disposizioni per il recepimento della direttiva 2009/148/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con un'esposizione all'amianto durante il lavoro, per la bonifica dell'amianto e dei materiali contenenti amianto nei locali pubblici o aperti al pubblico, per la progressiva sostituzione dei materiali in amianto con altri prodotti di uso equivalente, nonché in materia di eguaglianza nell'accesso ai benefici previdenziali per i lavoratori esposti all'amianto»; tale proposta di legge, elaborata per dare espressione legislativa alle richieste dell'Osservatorio nazionale amianto, all'articolo 13 comma 1 prevede: «I lavoratori esposti ed ex esposti all'amianto hanno diritto a fruire gratuitamente dei necessari controlli sanitari ai fini della diagnosi precoce e, in caso di patologia ai trattamenti sanitari specifici» –:
   se il Governo non ritenga opportuno attivare al più presto iniziative urgenti circa la bonifica e messa in sicurezza dei siti contenenti amianto, nonché per quanto di competenza garantire l'esenzione del ticket per le cure relative alle malattie asbesto correlate per i cittadini che siano stati esposti all'amianto;
   se, al fine di tutelare la salute dei cittadini di Broni, il Governo non ritenga opportuno intervenire, urgentemente per concludere il prima possibile l'opera di bonifica e messa in sicurezza del SIN situato presso l'ex impianto Fibronit di Broni, con riguardo alla nota del 6 aprile 2013, prot. n. 5421, con cui il comune di Broni ha trasmesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e agli enti coinvolti il «Progetto Definitivo Rev 1 Secondo Lotto — Marzo 2013», che prevede un quadro economico di euro 13.000.000 (I.V.A. inclusa), che a sua volta recepisce le osservazioni di cui alla nota ministeriale prot. n. 21896 del 24 luglio 2012. (5-03824)


   LUIGI GALLO, FICO, MARZANA, LUIGI DI MAIO, DI BENEDETTO, MICILLO e TOFALO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 20 agosto 2014, il quotidiano il sole 24 ore, titola quanto segue «Pompei è corsa contro il tempo per non perdere i fondi UE-Pompei, 81 per cento dei lavori da avviare». È corsa contro il tempo per accelerare il Grande Progetto ed evitare di perdere i fondi europei e incorrere in ulteriori ritardi; infatti sebbene si possa usare lo strumento dell'affidamento tramite trattativa privata fino alla somma di 1,5 milioni di euro, il progetto non decolla;
   il Grande Progetto Pompei è disciplinato dal decreto-legge n. 34 del 2011 (articolo 2) ed è stato concepito per rafforzare l'efficacia delle azioni e degli interventi di tutela dell'area archeologica di Pompei;
   l'Unione europea con decisione n. C(2012) 2154 del 29 marzo 2012 lo ha finanziato quale Grande Progetto comunitario a valere su risorse del programma operativo interregionale «Attrattori culturali, naturali e turismo» FESR 2007-2013 (POIn);
   il GPP è finanziato con 105 milioni di euro tra fondi FESR (75 milioni) e co-finanziamento statale (30 milioni) e dovrebbe essere realizzato, liquidato e rendicontato entro il 2015 a pena di revoca dei fondi comunitari inutilizzati;
   il 17 luglio 2014 il commissario europeo per le politiche regionali Johannes Hahn a tre anni dalla prima visita, in occasione della quale aveva dichiarato che il «Grande Progetto Pompei» costituiva un esempio dei grandi investimenti sopra i 50 milioni di euro, è tornato in Campania accompagnato dal Ministro interrogato e dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio per verificare come e perché il progetto, sia ancora solo un progetto;
   ad oggi sono presenti 10 cantieri aperti sui 39 previsti. Altri 12 cantieri sono in gara per importi da milioni e milioni di euro, il tutto mentre il sito archeologico continua a guadagnarsi le prime pagine nel mondo per i continui crolli alle mura;
   il legislatore ha provveduto ad emanare misure acceleratorie, agendo sulle deroghe al codice dei contratti pubblici e nominando un direttore generale di progetto, ma non c’è stata una tangibile accelerata ai lavori, segno che i problemi sono più strutturali e calati all'interno del contesto sociale, non riguardano solo le norme che imbrigliano l'azione amministrativa;
   diverse sono le mancanze e le anomalie di tale progetto su cui vale la pena soffermarsi: il ruolo del direttore generale del progetto è «investito» a giudizio degli interroganti di troppo potere, in quanto definisce ed approva i progetti, assicura l'efficacia delle procedure di gara dirette all'affidamento dei lavori e l'appalto dei servizi e la più efficace gestione del servizio pubblico di fruizione e di valorizzazione del sito, predisponendo la documentazione degli atti di gara e seguendo l'esecuzione dei contratti, ed assume direttive che migliorano il sito (articolo 55-bis del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27). Tale direttore dovrebbe collaborare con una struttura di supporto;
   nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 febbraio 2014 capo I, articolo 1, comma 2, si stabilisce, che tale struttura di supporto è formata da un contingente di personale, anche dirigenziale in posizione di comando non superiore a venti unità, proveniente dal personale dei ruoli del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo ed in base al comma 3 deve essere valutata dal direttore generale del progetto. Tale organo, inoltre, in base al comma quattro, deve essere composto da cinque esperti in materia giuridica, economica, architettonica, urbanistica ed infrastrutturale, nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del direttore generale di progetto, che li individua secondo le previsioni di cui all'articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165; dopo l'avviso del 4 marzo 2014, apparso sul sito del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, la struttura non risulta costituita;
   la mancata costituzione della struttura di supporto al direttore generale di progetto comporta il mantenimento delle competenze della Soprintendenza e dell'ufficio di diretta collaborazione del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo; di conseguenza, si verifica l'incoerenza tra la celerità imposta dai decreti-legge n. 91 del 2013 e n. 83 del 2014 e l'effettiva situazione di fatto, che continua a restare quella che l'impianto normativo previsto prima dal Governo Letta e poi dal successivo Governo Renzi tentava di superare –:
   se non si ritenga che l'assenza degli esperti in materia giuridica, architettonica ed economica nella struttura di supporto del direttore generale possa minare l'esecuzione del progetto anche rispetto ai fenomeni di corruzione degli appalti, nonché entrare in contrasto con la normativa europea sugli appalti pubblici;
   se non si intenda spiegare i motivi della mancata nomina degli esperti in materia giuridica, architettonica ed economica nella struttura di supporto al direttore generale. (5-03829)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAFORGIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   E-Care, società di 2300 dipendenti, sedi in tutta Italia e 63 milioni di giro d'affari nel 2013, fornisce servizi di call center;
   la società è controllata da gruppi economici importanti e politicamente influenti: il 48 per cento, è detenuto da Astrim spa, che a sua volta è controllata da Unicredit, il 15 per cento dal gruppo Caltagirone Editore;
   nella sola sede di Milano, E-care gestisce servizi per Intesa San Paolo Vita e Intesa San Paolo Sicura, il Centro diagnostico, la Giuffré, l'ATM e Fastweb, la quale ha però ha annunciato di non volersi più avvalere dei servizi di E-Care;
   a seguito della disdetta della commessa di Fastweb, nella data del 15 ottobre 2014, E-care ha comunicato ed avviato le procedure di licenziamento di 489 dei 509 occupati presso la sede milanese del gruppo che ha sede a Cesano ed è la seconda azienda presente sul territorio;
   alla perdita della grossa commessa di Fastweb, si aggiunge il precipitare degli eventi degli ultimi giorni che addirittura prevede la chiusura dell'intera sede cesanese;
   su tali avvenimenti sembrano incidere scelte aziendali volte all'abbattimento delle tariffe, all'ottimizzazione dei profitti e a delocalizzazioni in Italia e all'estero mirate all'ottenimento di sovvenzioni e lavoro a basso costo;
   il caso, inoltre, appare essere, ancora una volta, diretta conseguenza della normativa sugli appalti che, in contrasto con le indicazioni dell'Unione europea, consente libertà di licenziare ad ogni cambio di appalto;
   il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali non hanno mai convocato le parti nonostante il 14 luglio 2014 fosse stato richiesto un incontro unitariamente alle organizzazioni sindacali che avevano già paventato la situazione che purtroppo si è concretizzata;
   E-Care nella procedura di licenziamento per chiusura della sede ha dichiarato che tra le ragioni che hanno condotto a tale decisione vi è l'alto costo del lavoro del sito, tralasciando che i lavoratori avevano già subito notevoli decurtazioni alle retribuzioni –:
   se il Governo intenda assumere iniziative strutturali ed urgenti al fine di tutelare il lavoro dei 489 lavoratori licenziati da E-care e di tutti i lavoratori del settore;
   se il Governo non reputi opportuno assumere con urgenza iniziative normative per regolamentare la tutela dei lavoratori nei casi di cambi d'appalto. (4-06508)


   PASTORELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   com’è noto ai più, il decreto legislativo n. 226 del 2001 ha introdotto nell'ordinamento la figura dell'imprenditore ittico, qualificando lo stesso come colui che esercita, in forma singola o associata o societaria, l'attività di pesca professionale diretta alla cattura o alla raccolta di organismi acquatici in ambienti marini, salmastri o dolci e le attività connesse ivi descritte, nonché le cooperative di imprenditori ittici ed i loro consorzi in quanto utilizzano prodotti dei soci ovvero forniscono prevalentemente ai medesimi beni e servizi diretti allo svolgimento delle attività di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto citato, nonché — infine — gli esercenti attività commerciali di prodotti ittici derivanti prevalentemente dal diretto esercizio delle attività di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto citato;
   il comma 5 dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 226 del 2001, come modificato dal decreto legislativo n. 100 del 2005, ha stabilito, in un'ottica di semplificazione del sistema, che tale imprenditore ittico «è equiparato all'imprenditore agricolo e le imprese di acquacoltura sono equiparate all'imprenditore ittico»;
   i soggetti che esercitano le attività della pesca e dell'acquacoltura sono, dunque, da considerarsi quali imprenditori agricoli ai sensi dell'articolo 2135 c.c., con tutto ciò che ne consegue in termini di soggezione allo statuto imprenditoriale previsto per quest'ultimi;
   in particolare, coloro che pongono in essere attività di pesca o acquacoltura, direttamente o in qualità di soci di società, almeno al 50 per cento del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavano dalle attività medesime almeno il 50 per cento del proprio reddito globale da lavoro, possono qualificarsi come imprenditori agricoli professionali (IAP), ai sensi e per gli effetti del decreto legislativo n. 99 del 2004;
   posto in tali termini il quadro normativo nazionale in materia, risulta che la regione Veneto non abbia ancora adeguato il proprio ordinamento sul punto, impedendo di fatto – o rendendo comunque oltremodo gravoso – ai soggetti privati di porre in essere, in qualità appunto di imprenditori ittici, le attività imprenditoriali della pesca e dell'acquacoltura;
   la legge regionale del Veneto n. 19 del 1998, infatti, subordina l'esercizio della pesca al possesso della licenza di pesca di categoria A, e quest'ultima è riservata ai pescatori iscritti negli elenchi di cui alla legge n. 250 del 1958 (articolo 9, comma 1, della legge regionale cit.). Ai sensi di quest'ultima legge, però, possono iscriversi negli elenchi in questione solo coloro che esercitano la pesca quale esclusiva o prevalente attività lavorativa, sia per conto proprio, sia associati in cooperative, con esclusione di ogni altra forma associativa o societaria;
   sotto il profilo applicativo, dalle differenti e non coordinate discipline, nazionale e regionale, derivano due ordini di conseguenze altamente negative: da un lato, l'esercizio della pesca in forma societaria è impedita dall'impossibilità per tali soggetti di ottenere il rilascio della licenza di pesca di categoria A (essendo quest'ultima riservata solo a coloro che hanno titolo per iscriversi agli elenchi di cui alla legge n. 250 del 1958, tra i quali non rientrano i soci di società), mentre dall'altro, e con riferimento all'esercizio dell'acquacoltura in qualità di imprenditore agricolo professionale, l'iscrizione – obbligatoria – alla previdenza agricola prevista per tale figura esclude – anch'essa – il rilascio della licenza di pesca di categoria A, e dunque la possibilità di affiancare alla prevalente attività di acquacoltura quella di pesca;
   appare evidente che le categorie della pesca e dell'acquacoltura siano fortemente penalizzate nel territorio della regione Veneto, quando non anche discriminate sia rispetto ad altre attività imprenditoriali di tipo agricolo sia rispetto ad identiche attività imprenditoriali dislocate in altre regioni del Paese;
   tali difficoltà risultano ancora più gravi in un periodo economico come quello presente nel quale si richiede proprio alle piccole e medie imprese un grande sforzo per rilanciare l'economia dell'Italia, e dove la differenziazione delle attività delle imprese può costituire uno strumento essenziale per la sopravvivenza delle medesime;
   d'altra parte un intervento statale sulle problematiche testé illustrate, oltre ad essere necessario, appare giustificato anche sul piano delle competenze costituzionali, avendo la stessa Corte costituzionale chiarito che la pesca «costituisce materia oggetto della potestà legislativa residuale delle regioni, ai sensi dell'articolo 117, quarto comma, Cost., sulla quale, tuttavia, per la complessità e la polivalenza delle attività in cui si estrinseca, possono interferire più interessi eterogenei, taluni statali, altri regionali, con indiscutibili riflessi sulla ripartizione delle competenze legislativa ed amministrativa. Per loro stessa natura, talune attività e taluni aspetti riconducibili all'attività di pesca non possono, infatti, che essere disciplinati dallo Stato, atteso il carattere unitario con cui si presentano e la conseguente esigenza di una loro regolamentazione uniforme» (Corte cost. n. 213/2006) –:
   se non reputino necessario, con riferimento alle problematiche esposte in premessa, e nell'ambito delle proprie competenze, convocare un tavolo tecnico con le parti sociali e le istituzioni competenti, in primis la regione Veneto, ed eventualmente promuovere intese in sede di Conferenza Stato-regioni, al fine di elaborare le soluzioni normative e amministrative per rendere effettivamente operativa la figura dell'imprenditore ittico su tutto il territorio nazionale, incluso quello veneto;
   se il Governo non reputi necessario, data la gravità delle condizioni nelle quali versa il settore della pesca, assumere, nell'ambito delle loro competenze, adeguate iniziative, anche di tipo normativo, al fine di ridefinire il quadro delle competenze statali e regionali nella suddetta materia. (4-06511)


   BARBANTI, TURCO, MASSIMILIANO BERNINI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e SCAGLIUSI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano «Il Garantista» nell'edizione del 9 settembre 2014 riportava il seguente articolo che in parte si trascrive: «il primo tratto della Sgc Sibari – Ss 177 Silana. Poco più di due km di strada costellati da 8 viadotti e due gallerie, costati decine di milioni di euro senza essere finiti, dove per collegare due estremità si inizia a lavorare dal centro del tragitto. Del resto, è dal “centro” che prende corpo la costruzione del collegamento tra la piana e l'altopiano;

l'idea era nell'aria già negli anni ’70 e nei ’90 la Comunità montana Destra-Crati la fa sua, commissionando alla società Bonifica la stesura di un primo possibile tracciato. Lo prende a cuore il senatore centrista Trematerra, sovrintendendo all'Accordo programma quadro del luglio 2002.

Nel 2003 l'opera viene inserita nel programma opere pubbliche dell'Anas (20032012) e un anno dopo Trematerra si accerta che l'Apq abbia anche i necessari atti integrativi.

La spesa complessiva prevista è di più di 212 milioni. L'accordo tra il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e la giunta Chiaravalloti dà i primi frutti.

E l'assessore ai Lavori pubblici Misiti predispone un progetto preliminare sulla base di un primo stanziamento, pari a quasi 30 milioni di euro: 20 di fondi Fas su delibera Cipe; 9,95 per trasferimento di risorse ex decreto-legge 112/1998.

I lavori del primo lotto interesseranno Acri, Corigliano, San Demetrio Corone, Santa Sofia D'Epiro.

Il sogno di Giacomo Mancini – con la Sa-Rc arrivata a Cosenza – sta per realizzarsi anche per Trematerra: la Sibari-Sila passerà dalla sua Acri. Sviluppo, lavoro, ripresa economica, le parole d'ordine.

Tutti plaudono, ma la festa in casa Udc dura poco. A scombinare i piani arriva l'elezione nel 2004 di Mario Oliverio a presidente della Provincia di Cosenza. L'Anas, che avrebbe dovuto costruire la strada, getta la spugna per problemi di cassa – anche se, in un'interrogazione al Senato del 2007, Trematerra dirà che si era offerta di realizzare l'opera subentrando con un atto d'intesa con la Regione e la Provincia di Cosenza – e a raccogliere la sfida è proprio Oliverio. Che da subito istituisce una task force e propone una variante al progetto preliminare: la strada non passerà più da Acri, se non per una settantina di metri; interesserà, invece, soprattutto San Demetrio Corone, patria del senatore Cesare Marini.

Anche stavolta ci si ingegna per fare una deviazione, ma sempre iniziando dal centro: Oliverio e i suoi tecnici diranno in seguito che la scelta di partire da lì è dettata proprio dalla difficoltà del tratto. Nello “scippo”, così definito dall'Udc dell'epoca, ci sarebbe la complicità dell'allora sindaco di Acri, Elio Coschignano, eletto con il centrosinistra nel 2005»;
   è evidente che il contenuto di quanto riportato da «Il Garantista» ponga alla luce una situazione degna di essere approfondita dai Ministri interrogati, tanto in ordine allo sperpero di risorse pubbliche, quanto in riferimento all'evidente mala gestio di ogni attività finalizzata alla costruzione di un'opera bloccata oramai da decenni –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione descritta nell'articolo di stampa de «Il Garantista» riportato in premessa;
   quali siano i motivi per i quali non sia stata data priorità allo sblocco di cantieri aperti in epoche così risalenti con opere mai portate a termine e se sia intenzione di provvedervi in tempi brevi;
   quali siano stati i costi sostenuti fino ad oggi per la costruzione dell'opera di cui in premessa. (4-06514)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta immediata:


   SORIAL, SIBILIA, LIUZZI, DE ROSA, BUSTO, TERZONI, DAGA, MANNINO, SEGONI, ZOLEZZI, MICILLO, CASTELLI, CASO, BRUGNEROTTO, CARIELLO, COLONNESE, CURRÒ e D'INCÀ. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   le scelte di politica ambientale ed energetica del Governo Renzi sono sostanzialmente orientate alla centralizzazione delle decisioni in materia di gestione dei rifiuti e trivellazioni petrolifere a danno delle comunità locali, della salute dei cittadini e dell'ambiente;
   l'indirizzo del Governo in materia di gestione del ciclo dei rifiuti punta ad incrementare il ricorso ad impianti di incenerimento con recupero di energia, anche attraverso la creazione di una rete di termovalorizzatori, la loro equiparazione a «infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale», nonché l'obbligo per le regioni di autorizzare la massima capacità degli impianti di incenerimento rifiuti esistenti, che significa che alcuni impianti potranno bruciare fino al 30 per cento in più di immondizia, proveniente anche da altre regioni;
   questo scenario trasformerebbe il nostro Paese in un vero e proprio mercato dei rifiuti, con diverse regioni – tra cui la Lombardia – che vedrebbero vanificare il proprio piano rifiuti per diventare il punto di conferimento dei rifiuti dalle regioni incapaci di gestire la produzione dei rifiuti all'interno del proprio ambito territoriale; a Brescia si prevede un incremento pari al 30 per cento, che porterebbe a oltre un milione di tonnellate annue di materiale bruciato, contro le attuali 800.000, mentre con la «libera circolazione», la spazzatura potrebbe giungere anche da Napoli e Roma con tempi accelerati;
   appare evidente, come confermato dalle preoccupazioni espresse dalle associazioni ambientaliste, che questa strategia rischia di comportare un consistente aumento delle emissioni in regioni, come Lombardia ed Emilia-Romagna, dove l'inquinamento atmosferico è già ben oltre i limiti. La pianura padana è stabilmente tra le cinque regioni più inquinate del pianeta: addirittura nel gennaio 2011 nelle città di Milano, Brescia, Verona, Padova, Treviso e Ferrara l'inquinamento è stato così consistente da produrre un fenomeno di «neve chimica», ovvero una particolare forma di pioggia di ghiaccio causata dalla presenza massiccia di percolato nell'aria;
   è ormai risaputo che politiche di gestione dei rifiuti incentrate sugli inceneritori e sulle discariche non fanno altro che aumentare l'inquinamento ambientale, in particolare quello atmosferico, con gravi, se non nefaste, conseguenze per la salute dei cittadini, sempre più esposti a fattori scatenanti neoplasie ed altre patologie ad esso riconducibili;
   nel 2011, in provincia di Brescia, i tumori infantili sono cresciuti dell'8 per cento rispetto al 2010; nel bresciano si registrano ogni anno 25/30 nuovi casi e ad aumentare sono, soprattutto, i carcinomi nel primo anno di età, dato che conferma il rapporto tra tumore e inquinamento ambientale; l'aria respirata, con le polveri sottili continuamente fuori norma, sta facendo crescere in modo esponenziale anche il numero di bambini che presentano malattie allergiche e respiratorie;
   a parere degli interroganti, un sistema moderno ed integrato non dovrebbe incentrarsi sullo smaltimento o sul recupero energetico dai rifiuti, ma basarsi sulla prevenzione e sulla riduzione a monte della quantità dei rifiuti, poi sul riutilizzo e, infine, qualora esso non sia possibile, contemplare operazioni di riciclo di materia. In tal senso la direttiva 2008/98/CE sui rifiuti prevede obiettivi di riciclo riferiti a specifiche frazioni merceologiche e non certo volumi di energia prodotti dai rifiuti; l'Italia, per superare le procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore, dovrebbe, quindi, implementare una politica di sviluppo della raccolta differenziata e riciclaggio;
   anche per quanto riguarda le trivellazioni petrolifere, il Governo intende svolgere il ruolo di decisore, attribuendo al Ministero dello sviluppo economico la competenza a rilasciare il titolo autorizzativo, ribaltando i principi della legge n. 239 del 2004, che, a garanzia della competenza concorrente con lo Stato in materia di energia, aveva assegnato alle regioni il ruolo di codecisori nel rilascio dei titoli abilitativi concessori e di ogni altra autorizzazione connessa;
   a parere degli interroganti, le royalty utilizzabili dalle regioni interessate dalle attività di estrazione non compenserebbero l'inevitabile quanto grave innalzamento dei livelli di inquinamento ambientale cui si andrebbe incontro a danno della salute dei cittadini, potendo, infatti, essere usate sforando il patto di stabilità solo per i proventi di 4 anni ed esclusivamente per l'aliquota derivante da eventuali maggiori produzioni. Tanto più che la direttiva 2009/28/CE prevede il potenziamento dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, con graduale abbandono dei combustibili fossili –:
   se il Ministro interrogato non ritenga che la linea tracciata dal Governo sia pericolosamente lesiva del principio di sussidiarietà e potenzialmente in contrasto con il titolo V della Costituzione in materia di competenze regionali, se non ritenga necessario l'avvio di un approfondito studio per la preventiva valutazione dei possibili danni ambientali e dei probabili danni alla salute umana, all'uopo coinvolgendo l'Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale e l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, determinati da una politica ambientale che sembra aver cambiato decisamente verso, la cui priorità sembra essere passata dalla tutela di ambiente e salute alla salvaguardia degli interessi economici, e se non ritenga di valutare l'opportunità di procedere all'individuazione di una qualche forma di concertazione con le regioni e le comunità locali interessate dall'eventuale realizzazione di inceneritori o attività estrattiva.
(3-01105)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata:


   DORINA BIANCHI, PISO e BOSCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   le problematiche relative alla produzione di rifiuti hanno assunto, negli ultimi decenni, proporzioni sempre maggiori in relazione al miglioramento delle condizioni economiche, al veloce progredire dello sviluppo industriale, all'incremento della popolazione e delle aree urbane;
   la produzione dei rifiuti è, infatti, progressivamente aumentata quale sintomo del progresso economico e dei consumi. La diversificazione dei processi produttivi ha, inoltre, generato la moltiplicazione della tipologia dei rifiuti con effetti sempre più rilevanti per l'ambiente;
   è certamente noto a tutti, e non solo agli addetti del settore, che in Italia la situazione dello smaltimento dei rifiuti è precaria, sia con riferimento ai rifiuti urbani sia con riferimento a quelli speciali e, in particolare, a quelli pericolosi;
   la ragione principale dei ritardi accumulati nella realizzazione degli impianti di trattamento è da attribuire alla persistente opposizione dell'opinione pubblica alla loro installazione per il timore degli effetti indotti sulla salute –:
   a che punto si sia giunti nel processo di costruzione di impianti per l'incenerimento dei rifiuti urbani sul territorio nazionale, in considerazione del sempre più elevato quantitativo di rifiuti da smaltire e del rispetto della salute dei cittadini che abitano in prossimità degli impianti stessi. (3-01112)


   MATARRESE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   Torre Guaceto è una riserva naturale marina protetta situata sulla costa adriatica dell'alto Salento nella regione Puglia;
   a conferma dell'importanza naturalistica e paesaggistica di quest'area, si sono succeduti, dal 1982 ad oggi, una serie di provvedimenti al fine di monitorarla, studiarla, preservarla e proteggerla da ogni fonte di inquinamento;
   con legge n. 979 del 1982, all'articolo 31, il Ministro della marina mercantile attuò la politica intesa alla protezione dell'ambiente marino ed alla prevenzione di effetti dannosi alle risorse del mare, provvedendo alla formazione, di intesa con le regioni, del piano generale di difesa del mare e delle coste marine dall'inquinamento e di tutela dell'ambiente marino. Con tale provvedimento furono identificate «20 aree marine di reperimento» ovvero riserve naturali protette, tra le quali proprio quella di Torre Guaceto;
   con decreto del Ministro dell'ambiente del 4 dicembre 1991 (Gazzetta Ufficiale n. 115 del 19 maggio 1992), fu istituita la riserva naturale marina denominata Torre Guaceto;
   con decreto del Ministro dell'ambiente del 4 febbraio 2000 fu istituita la riserva naturale statale denominata Torre Guaceto (Gazzetta Ufficiale n. 124 del 30 maggio 2000);
   l'area marina protetta di Torre Guaceto è attualmente inserita nella lista delle 32 aree specialmente protette di importanza mediterranea identificate dal Protocollo relativo alle aree specialmente protette e la biodiversità in Mediterraneo del 1995, che istituisce aree speciali protette di importanza mediterranea (aspim) o spami (dall'acronimo inglese specially protected areas of Mediterranean importance). Tale protocollo impegna le parti contraenti a promuovere la cooperazione nella gestione e conservazione delle aree naturali e nella protezione delle specie animali minacciate e dei loro habitat;
   l'articolo 4 del predetto decreto del Ministro dell'ambiente del 4 dicembre 1991 (Gazzetta Ufficiale n. 115 del 19 maggio 1992) istituisce 3 zone, denominate zona a, zona b e zona c, all'interno delle quali le disposizioni e i divieti di esercitazione di attività varie tesi alla protezione dell'area di Torre Guaceto si rendono ancora più puntuali e stringenti;
   con atto dirigenziale del Servizio risorse idriche della regione Puglia n. 136 del 2 settembre 2014 è stata rilasciata all’Aqp spa l'autorizzazione all'esercizio dello scarico provvisorio nel «Canale Reale» delle acque reflue depurate effluenti dal nuovo impianto consortile di trattamento a servizio dell'agglomerato di Carovigno;
   con nota del 19 settembre 2014, protocollo n. 89903, l’Aqp spa ha comunicato che a decorrere dal 22 settembre 2014 avrebbero avuto inizio le operazioni di avvio all'esercizio dei collettori fognari e, quindi, del successivo scarico;
   secondo quanto si evince dagli organi di stampa, pare che dal giorno 26 settembre 2014 il nuovo depuratore consortile di Carovigno autorizzato dalla regione Puglia, che tratterebbe anche gli scarichi provenienti da San Michele Salentino e San Vito dei Normanni, stia sversando, direttamente e proprio nelle acque della «zona protetta a», prevista dal decreto del 4 dicembre 1991, liquami e schiuma che, secondo quanto affermato dai rappresentanti del consiglio d'amministrazione del consorzio di gestione della riserva, pare non siano stati adeguatamente depurati e rischino di inquinare gravemente l'intera area protetta e il mare;
   il 19 settembre 2014 il consorzio di gestione di Torre Guaceto ha denunciato il fatto alla procura della Repubblica di Brindisi e ai corpi deputati alla tutela dell'ambiente, quali la capitaneria di porto di Brindisi, il Corpo forestale dello Stato e il nucleo operativo ecologico dei carabinieri. Sembrerebbe che, a seguito dei controlli, sia stata denunciata Aqp spa per la mancanza dell'autorizzazione per le emissioni in atmosfera;
   il provvedimento di autorizzazione allo scarico provvisorio delle acque reflue nel «Canale Reale» all'interno della zona a dell'area marina protetta di Torre Guaceto, emesso dalla regione Puglia, sembrerebbe contrastare non solo la normativa vigente in materia, quanto anche i più banali principi del buon senso e della buona amministrazione. In pratica, mentre ben quattro provvedimenti di emanazione nazionale e internazionale tendono a salvaguardare questa meravigliosa area pugliese, vietando qualunque tipo di attività lesiva dell'integrità della biodiversità e della natura del posto e addirittura vietando la balneazione, si autorizza a sversare liquami potenzialmente dannosi nella stessa area e proprio nella più protetta di essa –:
   quali urgenti iniziative intenda adottare al fine di garantire non solo l'effettiva protezione e la salvaguardia dell'area di Torre Guaceto dai presunti processi di inquinamento in atto, ma anche la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale marino e costiero presente nella predetta riserva naturale marina, con particolare riferimento alla qualità delle acque, alle caratteristiche geomorfologiche, alla flora, alla fauna, nonché all'avifauna acquatica in relazione alla designazione di parte dell'area quale zona umida di importanza internazionale, in base a quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1976, «Esecuzione della Convenzione relativa alle zone umide d'importanza internazionale, soprattutto come habitat degli uccelli acquatici, firmata a Ramsar il 2 febbraio 1971» (Gazzetta Ufficiale 3 luglio 1976, n. 173, supplemento ordinario). (3-01113)


   PRESTIGIACOMO e PALESE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il dissesto idrogeologico che continua a colpire il territorio di alcune regioni rende sempre più urgente un intervento tempestivo ed efficace per cercare di prevenire situazioni di disastro ambientale, quali da ultimo quelle gravissime verificatesi in Liguria e in Maremma;
   il punto essenziale, rispetto alla questione più specifica, a prescindere dalle risorse che erano e sono a disposizione, è la drammatica la lentezza con cui questi lavori di avvio delle opere pubbliche per far fronte al dissesto idrogeologico sono stati appaltati;
   per quanto riguarda le esondazioni verificatesi in Liguria e nella città di Genova l'unico tratto di lavoro che è stato realizzato è stato quello, messo in atto dal provveditorato alle opere pubbliche, come primo lotto, e conclusosi a metà dell'anno 2011. Per quanto riguarda i lavori successivi, è stata individuata la suddivisione in due lotti per la realizzazione del primo lotto di adeguamento della copertura i cui lavori sono stati appaltati nel 2005 e realizzati nel 2011, mentre per le altre opere non si è fatto purtroppo in tempo;
   dal 2007 in poi, e dal 2011 al 2014, non si sono realizzate le opere pubbliche necessarie al territorio ligure a causa di precedenti ricorsi e controricorsi amministrativi messi in atto principalmente dalle imprese partecipanti alle gare d'appalto; ed è fondamentale per tali opere, una volta che siano state assegnate, iniziare i lavori, indipendentemente dal fatto che legittimamente si sia presentato un ricorso;
   nell'ultima visita a Manciano in seguito alla devastazione dei territori della Maremma per il maltempo, il Ministro interrogato ha sottolineato come nel programma del Governo sia prioritario far fronte al dissesto idrogeologico e ha espresso la volontà dell'Esecutivo di rimettere in circolo i 2 miliardi di euro di risorse che non si riescono a spendere, realizzando un piano pluriennale per il dissesto idrogeologico, ma purtroppo non sono stati indicati i tempi; per quanto riguarda poi l'ipotesi di una sospensione delle tasse per gli alluvionati, è stato posto in evidenza che si possa realizzare previa una valutazione dei danni e in seguito all'approvazione da parte del Consiglio dei ministri;
   ad Aulla in Maremma, dal 2011 a oggi non è stato fatto quasi nulla e se oggi ripiovesse, probabilmente si verificherebbe lo stesso prevedibile disastro ed è soltanto un esempio di ciò che manca all'Italia: una cultura di prevenzione e di gestione urbanistica del territorio;
   per le opere importanti e strategiche come quelle legate al dissesto idrogeologico e al suo risanamento, urge dunque garantire l'inizio immediato dei lavori, a prescindere anche dai tempi necessari previsti dall'Unione europea perché si dia la possibilità all'eventuale parte lesa di poter ricorrere;
   gli eventi che prima potevano accadere una volta ogni cento anni ora accadono una volta ogni 60 anni, ma sono eventi assolutamente naturali e bisogna agire sul territorio, tenendo conto che questi eventi non rappresentano più un'eccezionalità –:
   quali siano i tempi in cui il Governo intenda attivarsi per evitare il ripetersi di disastri ambientali così gravi e per impedire il blocco dell'avvio delle opere pubbliche conseguente ai numerosi, spesso immotivati, ricorsi presentati dalle imprese partecipanti alle gare per l'assegnazione delle opere suddette. (3-01114)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   i rischi di diffusione dell'epidemia di ebola anche in Europa sono molto elevati, come dimostrano i primi casi di decessi in Spagna e Germania;
   l'Italia con decine di migliaia di clandestini che attraversano il Mediterraneo è una realtà fortemente esposta, visto che buona parte degli immigrati che sbarcano sulle coste siciliane proviene proprio dalle aree subsahariane in cui l'ebola è più diffusa;
   il Ministero della salute – direzione generale della prevenzione – ufficio III – coordinamento Usmaf – ufficio V – malattie infettive e profilassi internazionale il 1 ottobre 2014 ha diffuso una circolare (n. 26377) avente per oggetto «Malattia da Virus Ebola (MVE) – Protocollo centrale per la gestione dei casi e dei contatti sul territorio nazionale»;
   in tale circolare viene definito un protocollo centrale della gestione dei casi sospetti/probabili/confermati (S/P/C) di Malattia da virus Ebola, nonché dei contatti, cui fare riferimento nell'organizzazione della preparazione e della risposta al verificarsi degli stessi;
   tale protocollo prevede la gestione del caso S/P/C a livello centrale, con il coinvolgimento delle regioni e, ove necessario, delle altre amministrazioni dello Stato e/o enti privati, e l'eventuale trasferimento in modalità protetta presso uno dei centri nazionali di riferimento per la gestione clinica del paziente (INMI «Lazzaro Spallanzani» di Roma e Azienda Ospedaliera «L. Sacco» di Milano), con modalità che saranno valutate di volta in volta, in stretto coordinamento con il Ministero della salute;
   il protocollo delinea tutte le azioni da tenere in caso di sospetto contagio da ebola, compresi le modalità di trasporto, la decontaminazione dei mezzi di trasporto e degli ambienti e lo smaltimento dei rifiuti;
   stando ad alcune segnalazioni da parte di addetti ai lavori, i primi casi sospetti, poi risultati negativi, hanno fatto emergere un aspetto non considerato in modo adeguato relativamente allo smaltimento dei rifiuti sanitari a rischio infettivo;
   gli impianti autorizzati a smaltire rifiuti ospedalieri non hanno ancora ricevuto la conferma della possibilità di poter trattare i rifiuti derivanti dai casi di ebola, trattandosi di una procedura, anche per l'utilizzo di contenitori speciali mai utilizzati prima, totalmente nuova anche rispetto ai casi di aids;
   tra i destinatari della circolare in questione figurano diversi enti e Ministeri (Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Ministero dello sviluppo economico, Ministero della difesa, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ministero dell'interno), ma non quello dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare cui competono le direttive alle regioni per Io smaltimento dei rifiuti –:
   se non ritenga opportuno e urgente assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a chiarire le modalità di trattamento dei rifiuti ospedalieri, consentendo agli impianti di smaltire, secondo le norme in vigore, i rifiuti sanitari a rischio infettivo prodotti dai casi di ebola.
(4-06498)


   AGOSTINELLI e BUSINAROLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa (il Messaggero-Marche del 17 ottobre 2014) si apprende che in data 15 ottobre 2014 il giudice per le indagini preliminari di Macerata ha disposto il sequestro preventivo di due impianti per la produzione di energia elettrica alimentati a biogas da digestione anaerobica di sostanze vegetali, entrambi di proprietà del gruppo Viridis Energia, in località Loro Piceno (Vbiol) e Corridonia (Vbio2);
   dalle medesime fonti stampa (si veda il Messaggero-Marche del 17 ottobre 2014), si apprende che il presidente della società, nella persona del dottor Paolo Pesaresi ed il suo amministratore delegato dottor Claudio Gigli si sono opposti con fermezza ed in modo ostruzionistico all'esecuzione del summenzionato decreto di sequestro, mentre l'ingegnere della Viridis nominato custode giudiziale si è reso irreperibile;
   in seguito all'inottemperanza al provvedimento del Gip che imponeva lo spegnimento dell'impianto da parte del responsabile dell'ARPAM Servizio Aria, dottor Massimo Marchegiani, la procura di Macerata disponeva la nomina in sua vece del comandante della pertinente caserma dei vigili del fuoco (Messaggero-Marche del 17 ottobre 2014);
   da fonti stampa (il Messagero-Marche del 18 ottobre 2014) risulta altresì che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, stia procedendo con l'emanazione di un decreto ad hoc al fine di sanare gli illeciti contestati dalla procura di Macerata;
   i limiti sulle emissioni di carbonio organico totale (COT) pari a 150 mg/Nm3 (Allegato I parte III punto I.3.a) alla Parte V del decreto legislativo n. 152 del 2006, secondo i rilievi dell'ARPAM, risulterebbero superati di quasi 9 volte (sentenza del Consiglio di Stato sez. V n. 3316 del 2 luglio 2014);
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con apposito parere n. DVA 2012-0025033 del 10 ottobre 2012, ha già avuto modo chiarire che nella misurazione dei valori di emissione in atmosfera riferiti ai COT, si debba procedere nella sua complessità al lordo della parte metanigena (Consiglio di Stato sez. V sentenza n. 3316 del 2 luglio 2014);
   gli impianti a biogas presenti sul territorio nazionale hanno l'onere di operare in conformità con quanto disposto dalla parte II, sezione 6, dell'allegato X della Parte V del decreto legislativo n. 152 del 2006, nonché con le pertinenti direttive dell'Unione europea (Consiglio di Stato sentenza sez. V n. 3316 del 2 luglio 2014);
   gli impianti sequestrati, erano in funzione in assenza di titolo abilitativo, poiché i relativi provvedimenti autorizzatori rilasciati dalla regione Marche erano stati annullati con sentenze del TAR Marche n. 214 del 7 luglio 2014 e 215 del 7 luglio 2014, nonché con sentenza n. 4730 del 22 settembre 2014 del Consiglio di Stato Sez. IV;
   a parere delle interroganti l'introduzione con legge o atto avente forza di legge di una norma che dovesse contemplare lo scorporamento della parte metanigena dalla misurazione delle emissioni di COT, innalzando i valori massimi per le altre sostanze rientranti nella summenzionata definizione (ad esempio, formaldeide, idrocarburi policiclici e altri) risulterebbe una inopportuna e inaccettabile legge «ad personam», in palese violazione dei disposti costituzionali di eguaglianza ed imparzialità che il Governo è tenuto a rispettare, oltre a costituire una grave ingerenza nell'operato della magistratura che, adempiendo ai propri doveri, è intenta nel perseguimento di eventuali reati; inoltre si porrebbe chiaramente in contrasto le norme già citate e le pertinenti direttive dell'Unione europea, arrecando un grave pericolo alla salute delle popolazioni esposte a tali emissioni;
   secondo quanto dichiarato dal presidente della Viridis Energia, dottor Paolo Pesaresi (http://www.cronachemaceratesi.it), poiché la tecnologia utilizzata da tutti gli altri impianti a biogas operanti sul territorio marchigiano è la medesima tecnologia degli impianti oggetto del sequestro cautelativo, anche questi starebbero operando in violazione di legge;
   la tutela ambientale risulta essere materia esclusiva dello Stato;
   tali impianti godono di consistenti incentivi pubblici erogati dallo Stato italiano per mezzo del Gestore dei servizi elettrici (GSE), consistenti nella cosiddetta «tariffa onnicomprensiva» –:
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda smentire che sia allo studio un'iniziativa che porterebbe a sanare gli illeciti contestati e, in caso siano fondate le notizie riportate dalla stampa, se intenda evitare di assumere iniziative in tal senso;
   se non ritengano doveroso segnalare la questione al GSE, al fine di consentire l'immediata cessazione della elargizione dei contributi pubblici e la rifusione di eventuali somme già erogate in favore di impianti a biogas contra legem;
   come sia possibile che dei soggetti privati, secondo quanto si apprende dalla stampa, abbiano notizia di atti del Governo e/o ministeriali ancora in itinere e quindi non ancora adottati e conseguentemente non accessibili neanche ai parlamentari. (4-06519)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta immediata:


   GIGLI, SBERNA, BINETTI e SANTERINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la gran parte del patrimonio culturale italiano, il più vasto del pianeta, versa in uno stato di cattiva conservazione, se non di abbandono;
   il decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, recante disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo, per la prima volta valorizza la possibilità del credito di imposta per favorire il reperimento di erogazioni liberali a sostegno della cultura;
   la norma ha, però, escluso dai possibili beneficiari del provvedimento i beni culturali appartenenti a privati e fondazioni, realizzando, tra l'altro, un'evidente inaccettabile discriminazione contro quanti hanno contribuito a preservare beni, soprattutto monumentali, che benché privati sono riconosciuti dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e sono aperti al pubblico, oltre a dar luogo a una limitazione del principio di sussidiarietà;
   tale limitazione, imposta allora da vincoli di spesa, risulta particolarmente dannosa, soprattutto per l'enorme patrimonio monumentale, museale e archivistico salvaguardato dalla comunità cristiana e dalle autorità religiose del nostro Paese;
   i beni culturali posseduti dall'Italia, specie di carattere monumentale, possono essere il volano della ripresa economica del Paese ed offrire occasioni preziose di occupazione per le nuove generazioni, sia nel settore turistico, sia nella gestione e nella valorizzazione dei beni culturali stessi –:
   se non ritenga di prevedere, anche nell'ambito del disegno di legge di stabilità per il 2015, risorse aggiuntive in grado di estendere la platea dei beneficiari e di individuare meccanismi in grado di superare, nel rispetto dei vincoli di bilancio, ogni discriminazione tra beni pubblici e beni privati di pubblico interesse nell'individuazione delle istituzioni per il cui sostegno le erogazioni liberali sono ammesse al credito d'imposta. (3-01107)


   COSCIA, PICCOLI NARDELLI, ASCANI, BLAZINA, BOSSA, CAROCCI, COCCIA, CRIMÌ, D'OTTAVIO, GHIZZONI, MALISANI, MALPEZZI, MANZI, NARDUOLO, ORFINI, PES, RAMPI, ROCCHI, PAOLO ROSSI, SGAMBATO, VENTRICELLI, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel rispetto delle misure previste dall'articolo 2, comma 10, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, nonché dall'articolo 16, comma 4, del decreto-legge n. 66 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, risulta approvato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   si apprende positivamente – da recenti dichiarazioni del Ministro interrogato – che tale riorganizzazione, nata da esigenze di spending review, è stata l'opportunità per intervenire e porre rimedio ad alcuni problemi riconosciuti ed evidenziati dagli addetti ai lavori nell'ultimo decennio, quali: l'assoluta mancanza di integrazione tra i due ambiti di intervento del Ministero, la cultura e il turismo; l'eccessiva moltiplicazione delle linee di comando e le numerose duplicazioni tra centro e periferia e i frequenti conflitti tra direzioni regionali e soprintendenze; il congestionamento dell'amministrazione centrale, ingessata anche dai tagli operati negli ultimi anni; la cronica carenza di autonomia dei musei italiani, che ne limitano grandemente le potenzialità; il ritardo del Ministero nelle politiche di innovazione e di formazione;
   la riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ai fini di maggiore efficienza e funzionalità è senza dubbio utile e perciò deve essere attivata nella massima chiarezza dei principi che la ispirano –:
   quali siano i principi ispiratori dell'intervento e in che tempi il Ministro interrogato intenda attuare l'annunciata riforma dell'organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. (3-01108)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MUCCI, COPPOLA, QUINTARELLI, CATALANO, ALBANELLA, CAPUA e BATTELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Promuovi Italia spa è un'agenzia che svolge attività di assistenza tecnica alla pubblica amministrazione, in particolare svolge attività di formazione e promozione turistica ed è controllata al 100 per cento dall'Agenzia nazionale del turismo, l'Enit, e quindi dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   la società è stata creata nel 2004 con lo scopo di supportare «l'occupazione e lo sviluppo dell'industria turistica» e oggi svolge attività di assistenza tecnica per il Mise e per il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   dal 21 ottobre 2013 il Ministero dei beni e delle attività culturali ha accorpato le funzioni e le risorse dell'Ufficio per le politiche del turismo ereditando due enti in crisi, l'Enit e Promuovi Italia;
   con il decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83 convertito con modificazioni dalla legge 29 luglio 2014, n. 106 recante «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», l'Enit è stata commissariata, Promuovi Italia messa in liquidazione;
   l'Enit, che si occupa della promozione del turismo italiano all'estero sarebbe in gravi difficoltà operative per i tagli lineari del Governo Monti e riesce appena a pagare gli stipendi dei dipendenti, mentre Promuovi Italia, per pagare le spese per il personale userebbe fondi comunitari destinati ad altri capitoli di spesa;
   da alcuni articoli pubblicati sul sito internet www.wired.it si apprende che venerdì 3 ottobre 2014 la Guardia di finanza avrebbe acquisito presso la sede della società Promuovi Italia (in via San Claudio 61 a Roma) tutta la documentazione relativa a fatture false generate dentro la società e relative ai corsi di formazione del progetto «Lavoro e Sviluppo» ipotizzando i reati di abuso di ufficio continuato e falsa fatturazione;
   Promuovi Italia infatti è stata responsabile di vari corsi di formazione per disoccupati meridionali, con il progetto «Lavoro e Sviluppo», ha realizzato 6 mila tirocini formativi al costo di 10 mila euro l'uno (per 60 milioni di euro) con un tasso di occupazione del 25 per cento;
   secondo le denunce riportate dall'articolo già richiamato, i fondi dei tirocini formativi, sarebbero stati incassati parzialmente e in via indiretta da un dirigente della stessa Promuovi Italia, tale Antonino Bussandri, per la locazione a Piacenza degli alloggi per i disoccupati in formazione, che anziché essere licenziato viene prima retrocesso e poi promosso;
   i conti di Promuovi Italia fino al 2011 sarebbero stati in ordine e in attivo, la società aveva un portafoglio commesse pari a 81 milioni di euro e impiegava 305 persone ma il bilancio 2013 non è stato portato in assemblea né approvato e, fatto ancora più grave, mancherebbero all'appello 8 milioni di euro appena incassati;
   con la nomina del nuovo consiglio di amministrazione, costituito a maggio 2012 – presidente Costanzo Jannotti Pecci, Vicepresidente Massimo Ostillio, è stata avviata una riorganizzazione complessiva dell'agenzia che ha visto improvvise retrocessioni e promozioni che sono poi sfociate in una serie di querele per licenziamento illegittimo e in accuse reciproche di conflitto d'interessi, manipolazione di verbali, minacce e copie informatiche non autorizzate di documenti, bilanci, determine ed email personali denunciate anche al Garante della privacy;
   al centro della contesa sarebbe il diverso orientamento della gestione dei progetti di formazione Lavoro e sviluppo sui quali sarebbero state individuate delle gravi irregolarità. Tali anomalie sarebbero state denunciate sia dal ex direttore generale, poi licenziato, Francesco Montera, e, a quanto risulta agli interroganti;
   allo stato attuale Promuovi Italia non disporrebbe più dei soldi per pagare stipendi e creditori e questo nonostante il tentativo di riportare ordine tentato durante il Governo Letta da un delegato dell'ex ministro Bray, il dottor Nicola Favia, entrato per sostituzione nel Consiglio di amministrazione, ma costretto a dimettersi insieme al rappresentante del Ministero dello Sviluppo Economico per l'impossibilità di intervenire su una situazione ormai fuori controllo. Infatti, in una nota riservata al capo di gabinetto di Massimo Bray e al segretario generale Antonia Pasqua Recchia e resa pubblica successivamente dal sito internet www.wired.it, il dottor Favia, aveva parlato testualmente di «faide, vendette, epurazioni e di un clima di terrore» sopravvenuto;
   oggi a presidiare il litigioso ente è stato scelto Antonio Nenturini, commercialista, già presente come revisore di molte società partecipate dell'Emilia Romagna, il quale dovrà fare un piano di liquidazione, stilare la lista dei creditori e poi chiudere Promuovi Italia;
   l'articolo di stampa già citato pone un serio interrogativo sulla somma di circa 8 milioni e mezzo di euro che sembrano essere finiti nel nulla e a parere degli interroganti sarebbe opportuno che venisse fornita una risposta adeguata dal momento che a dicembre del 2013 a Promuovi Italia sarebbero giunti circa 6 milioni di euro dal Ministero dello sviluppo economico e circa 2 milioni dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo che rendono effettivamente quantomeno sospetta questa mancanza di liquidità;
   in un articolo del 24 settembre, «http://www.key4biz.it/italia-it-vicenda-degna-marchese-grillo/» pubblicato sul giornale Key4Biz, a firma di Gianni Motta Ferilli, si apprende che il 9 settembre 2014 da Promuovi Italia è partita una comunicazione verso un'azienda romana, Unicity spa, con la quale rescindeva unilateralmente il contratto relativo alla fornitura dei servizi redazionali per Italia.it, il portale nazionale del turismo; la società romana aveva ottenuto quella commessa ministeriale dopo un ricorso vinto al Tar nel 2012 per immettere contenuti nel portale a seguito di una gara europea;
   la rescissione unilaterale viene legittimata in base a una clausola contrattuale che riguarda i sopravvenuti «motivi di interesse pubblico», riferibili alla legge n. 106 del 2014 con cui il ministro Dario Franceschini assegna il portale all'Enit. In aggiunta, nella lettera si chiarisce che Promuovi Italia non ha i soldi per pagare il lavoro svolto da Unicity negli ultimi sei mesi, motivo per cui, come è noto anche alla stampa, la dozzina di redattori del portale non percepisce lo stipendio dal mese di febbraio 2014. Nonostante il mancato pagamento, nella lettera verrebbe esplicitato che la redazione dovrà comunque continuare a lavorare, senza alcuna garanzia sulle retribuzioni dovute alle lavoratrici e ai lavoratori;
   anche in questo caso sembrerebbe che i soldi ci siano ma non si sappia dove siano finiti, infatti sarebbero stati stanziati 1 milione e mezzo per i tre anni di lavoro della redazione e 3 milioni per la gestione dell'appalto a Promuovi Italia;
   ciò che appare incredibile agli interroganti è che un'azienda sana che vince una gara pubblica europea, fa degli investimenti, assume personale, organizza le postazioni di lavoro, forma i lavoratori, mette a bilancio costi e ricavi, possa vedersi rescisso un contratto con soli quindici giorni di preavviso e senza che i propri lavoratori siano stati retribuiti per diverse mensilità;
   secondo un articolo a firma di Fulvio Fiano per il Corriere della Sera, edizione di Roma del 1o ottobre 2014, 165 milioni di investimenti sono stati bloccati dalla nomina irregolare di un alto funzionario del Ministero. Soldi che includono anche gli stanziamenti per il portale Italia.it, poiché in un ruolo che non avrebbe potuto ricoprire grazie a un contratto di consulenza dichiarato illegittimo dalla Corte dei conti;
   nel frattempo Rocca non si sarebbe astenuto dal firmare il contratto di Andrea Babbi alla direzione generale dell'Agenzia nazionale per il turismo in violazione della spending review e ora sotto indagine sia per danno erariale che per abuso d'ufficio insieme al presidente di Enit Pierluigi lo stesso Babbi e tutto il Consiglio di amministrazione (già oggetto di interrogazione Mucci n. 5-03702, giovedì 2 ottobre 2014, seduta n. 301);
   secondo l'articolo già citato del Corriere della Sera, a seguito dell'inchiesta, Babbi avrebbe dato le dimissioni e starebbe trattando le modalità di uscita;
   l'Enit avrebbe preso nei mesi scorsi il controllo di Promuovi Italia, ente di sostegno al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo dove, secondo altre due inchieste, i manager si aggiustavano Tfr e le buste paga con accessi abusivi al sistema informatico;
   l'ex direttore generale, Francesco Montera, indagato e licenziato (ma sostenuto dal Ministero) avrebbe assunto una nipote di Roberto Rocca «in quello che sembra un gioco di sponde». Una delle tante procedure irregolari rilevate dal ministero delle Finanze, che chiede ora a Promuovi Italia la restituzione di un milione di euro –:
   se la Guardia di Finanza stia indagando su fatture false emesse da Promuovi Italia;
   se il funzionario Bussandri fosse il soggetto deputato a trattare le fatture delle quali è constatata la irregolarità;
   se gli ammanchi di cassa di Promuovi Italia siano all'origine dei mancati pagamenti dei redattori del portale Italia.it, dei borsisti dei progetti formazione e sviluppo di Promuovi Italia e della rescissione dei contratti verso i fornitori;
   se per pagare gli stipendi degli impiegati di Promuovi Italia (circa 500 mila euro al mese) si siano utilizzati finanziamenti destinati ad altre attività come i corsi di formazione e lavoro;
   se trovi riscontro quanto riportato dal Corriere della Sera circa la responsabilità di un dirigente del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, dottor Roberto Rocca, nell'aver impedito l'erogazione di 165 milioni di euro per finanziare l'Enit e il Portale nazionale del turismo;
   se risponda al vero che la nomina di Andrea Babbi sia stata irregolare e che egli stesso abbia dato dimissioni dalla direzione generale dell'Enit;
   se trovi riscontro che dentro Promuovi Italia è stato manipolato il sistema informatico e se ci siano state irregolarità nella gestione dei Tfr e delle buste paga;
   se sia stata assunta irregolarmente una nipote di Roberto Rocca con il concorso dell'ex dirigente generale di Promuovitalia Francesco Montera. (5-03832)

Interrogazione a risposta scritta:


   BORGHI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il trasferimento delle competenze in materia di turismo dalla Presidenza del Consiglio dei ministri al Ministero dei beni e delle attività culturali, disposto dall'articolo 1, comma 2, della legge 24 giugno 2013, n. 71, di conversione del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, le risorse destinate in favore del Club alpino italiano (CAI) e del Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico del CAI (CNSAS) figurano nel bilancio del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ai capitoli 6822 e 6823 (Missione Turismo; programma sviluppo e competitività del turismo) nell'ambito della nuova Direzione generale per le politiche del turismo;
   la legge n. 91 del 1963 ha riconosciuto al CAI personalità giuridica, sottoponendolo alla vigilanza dell'allora Ministero del turismo e dello spettacolo e di conseguenza ora alla vigilanza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   la legge n. 91, nel definire il riordino del CAI, ne ha indicato i compiti, tra cui il tracciamento, la realizzazione e la manutenzione di sentieri, opere alpine e attrezzature alpinistiche (articolo 2, comma 1, lettera b), nonché l'organizzazione di idonee iniziative tecniche per la vigilanza e la prevenzione degli infortuni nell'esercizio delle attività alpinistiche, escursionistiche e speleologiche, per il soccorso degli infortunati o dei pericolanti e per il recupero dei caduti (lettera g);
   all'interno del CAI è presente, in forma di «sezione nazionale» il Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico (CNSAS), composto da oltre 7.000 volontari, presente nelle sue articolazioni territoriali in tutto il Paese con 21 servizi regionali, articolati in 31 Zone alpine con 242 Stazioni e in 16 Zone speleologiche con 27 stazioni di soccorso, che svolge compiti di pubblico soccorso ed opera nell'ambito del sistema della protezione civile e la cui attività è stata disciplinata con la legge 21 marzo 2001, n. 74, recante «Disposizioni per favorire l'attività svolta dal Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico». Il CNSAS, pur operando nell'ambito del sistema della protezione civile, essendo una articolazione del CAI, è pertanto vigilato dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   con la legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria 2003), all'articolo 80, comma 39, si è stabilito che il soccorso in montagna, in grotta, in ambienti ostili e impervi, è, di norma, attribuito al CNSAS del CAI ed al Bergrettungs – Dienst (BRD) dell’Alpenverein Südtirol (AVS). Al CNSAS ed al BRD spetta il coordinamento dei soccorsi in caso di presenza di altri enti o organizzazioni, con esclusione delle grandi emergenze o calamità;
   alla luce del ruolo svolto dal CAI e dal CNSAS numerose disposizioni legislative hanno provveduto al finanziamento della loro attività istituzionali: per il CAI l'articolo 5 della legge n. 91 ha autorizzato, a decorrere dall'esercizio finanziario 1962-63 la concessione di un contributo di 80 milioni di lire, poi aumentato a 160 milioni di lire a decorrere dal 1o gennaio 1971 dalla legge n. 79 del 1971, a 250 milioni di lire a decorrere dal 1o gennaio 1974 dalla legge n. 704 del 1974, a 500 milioni di lire a decorrere dall'anno finanziario 1980 dalla legge n. 816 del 1980 e a 2 miliardi di lire a partire dall'esercizio finanziario 1984 dalla legge n. 776 del 1985; da ultimo l'articolo 2 della legge n. 119 del 2007 ha autorizzato, a decorrere dall'anno 2009, la spesa di 220.000 euro quale contributo straordinario per le finalità istituzionali del Corpo. Per quanto riguarda il CNSAS la legge n. 162 del 1992 ha disposto un contributo annuo di 600 milioni di lire al pagamento dei premi per l'assicurazione contro i rischi di morte, invalidità permanente e responsabilità civile verso terzi, ivi compresi gli altri soccorritori, dei volontari del Corpo impegnati nelle operazioni di soccorso o nelle esercitazioni e di 300 milioni di lire alla realizzazione e gestione, presso la sede centrale del C.A.I. di un centro di coordinamento delle attività del Corpo; la legge n. 388 del 2000 (legge finanziaria per il 2001), all'articolo 145, comma 17, ha autorizzato, a decorrere dal 2001, uno specifico contributo annuo di 800 milioni di lire, incrementato, a decorrere dall'anno 2003, di 200.000 euro dall'articolo 80, comma 38, della legge n. 289 del 2002; da ultimo l'articolo 1 della legge n. 119 del 2007 ha autorizzato, a decorrere dall'anno 2007, la spesa di 500.000 euro quale contributo straordinario per le finalità istituzionali del Corpo;
   per quanto riguarda il pagamento del premio per l'assicurazione dei soccorritori del CNSAS, considerando, da un lato le riduzioni ai capitoli del bilancio dello Stato disposti da numerose manovre di finanza pubblica e dall'altro l'aumento considerevole del premio da pagare a seguito della morte di quattro membri nella caduta dell'elicottero Falco 1 a Cortina d'Ampezzo (agosto 2009), di altri quattro soccorritori nell'operazione di soccorso post-valanga in Val di Fassa (dicembre 2009) e di due soccorritori della stazione CNSAS di San Vito di Cadore sul monte Pelmo durante un intervento di soccorso (agosto 2011), sono state previste singole autorizzazioni annuali di spesa a ciò finalizzate (250.000 euro per il 2010 e 250.000 euro per il 2012) ai sensi del comma 4 dell'articolo 5-bis del decreto-legge n. 195 del 2009;
   essendo tali autorizzazioni di spesa (ad eccezione di un finanziamento al CAI) ora contabilizzate — unitamente ad altre norme in materia di turismo – nel capitolo 6823/Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (nell'esercizio 2013 figuravano nel capitoli 2107/Ministero dell'economia e delle finanze) che fa riferimento a diverse autorizzazioni legislative trasferite nel 2006 dallo Stato di previsione del Ministero delle attività produttive a quello del Ministero dell'economia e delle finanze per poi essere riversate sul bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri ai sensi dell'articolo, 2, comma 98, punto a), del decreto-legge n. 262 del 2006;
   nel bilancio per il 2012, ai tagli disposti ai capitoli di bilancio dai decreti-legge n. 98 e n. 138 del 2011 (che determinavano riduzioni pari al 38,75 per cento), si sono aggiunti gli effetti di una incomprensione «contabile» tra gli uffici del dipartimento del turismo della Presidenza del Consiglio e quelli della ragioneria generale dello Stato, in quanto delle tre autorizzazioni di spesa per le attività del CNSAS (legge n. 388/2000, legge n. 289/2002 e legge n. 119/2007), veniva esposta nel bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio soltanto quella relativa alla legge n. 119 del 2007, per l'indicazione di una dotazione pari a 230.000 euro, determinando complessivamente una riduzione degli stanziamenti dell'80 per cento;
   nell'esame parlamentare della legge di stabilità per il 2013 la dotazione di Tabella C del capitolo 2107/Ministero dell'economia e delle finanze è stata incrementata a regime di 700.000 euro e nell'esame della legge di stabilità 2014 la dotazione in Tabella C del capitolo 6823/Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è stato incrementato a regime di 1.000.000 euro, in entrambi i casi da destinare in quote uguali ad incrementare le risorse destinate al pagamento del premio per l'assicurazione dei membri del CNSAS e al funzionamento delle attività del Corpo stesso;
   nel bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri per gli esercizi 2013-2015 le risorse destinate al CAI e al CNSAS figuravano ai capitoli 865 (Contributo al CAI), 866 (Contributo al CAI per l'assicurazione dei volontari del CNSAS e per la gestione del centro di coordinamento del Corpo stesso) e 867 (Contributo al CAI per le attività del CNSAS), per l'annualità 2014 nella misura, rispettivamente, di 543.410 euro, di 593.960 euro (a cui aggiungere i 350.000 di ulteriore rifinanziamento della Tabella C) e di 606.565 euro (a cui aggiungere i 350.000 di ulteriore rifinanziamento della Tabella C), per complessivi 1.743.935 euro;
   nella nota integrativa al disegno di legge di bilancio 2014-2016 del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, all'obiettivo n. 165 «Sostegno alle attività del CAI» sono indicati stanziamenti per 1.691.894 euro per il 2014, 1.650.225 euro per il 2015 e 1.653.495 euro per il 2016, importi che pertanto non contabilizzavano gli effetti dell'incremento a regime di 1 milione di euro annui della Tabella C disposti dall'emendamento 1.4010 del relatore onorevole Marchi approvato dalla Commissione bilancio della Camera dei deputati nella seduta del 17 dicembre 2013;
   conseguentemente le risorse da destinare alle attività istituzionali del CAI e del CNSAS ammonterebbero per l'esercizio 2014 a poco meno di 2.700.000 euro e intorno a 2.650.000 per le annualità successive;
   sembrerebbe, peraltro, che gli uffici competenti della direzione generale del turismo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo non siano a conoscenza dell'ulteriore finanziamento di un milione di euro a regime dovuto a decorrere dal 2014;
   nel corso del 2013 gli uffici della Presidenza del Consiglio hanno provveduto ad effettuare pagamenti per 282.586 euro sul capitolo 865 rispetto ad una dotazione di 560.790 euro, per 432.482 euro sul capitolo 866 rispetto ad una dotazione di 620.964 euro, per 317.071 euro sul capitolo 867 rispetto ad una dotazione di 634.143 euro (si tratta della quota relativa alle prime due tranche di pagamenti nonché a 125.000 euro di risorse relative al 2012) e che pertanto risultano ancora effettuare pagamenti relativi all'esercizio 2013 per complessivi 1.035.140 euro;
   nell'esercizio 2014, pur essendoci del disponibilità di bilancio, la procedura di nomina del direttore generale del dipartimento (con la conseguente registrazione da parte della Corte dei conti) si è conclusa soltanto negli scorsi mesi, così come solo adesso si stanno completando una serie di adempimenti burocratico-contabili tra la nuova direzione del turismo e i sistemi informatici della ragioneria generale dello Stato e pertanto il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo non ha effettuato ancora alcun pagamento nei confronti del CAI e del CNSAS, sia a valere sulle risorse residuali 2013 trasferite dal bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri, sia sulla quota disponibile relativa al 2014;
   conseguentemente il pagamento del premio per l'assicurazione dei soccorritori del CNSAS relativamente alle annualità 2013 e 2014 è stato effettuato dal CAI anticipando parte delle risorse proprie determinate dalle quote associative dei circa 320.000 soci e pertanto il servizio pubblico del soccorso in montagna è stato finanziato con risorse private –:
   cosa intendano fare per provvedere quanto prima al pagamento in favore del CAI e del CNSAS delle risorse di bilancio ad essi spettanti per legge, al fine di garantire una serenità agli operatori del CNSAS, che — va ricordato — sono dei volontari che nel 2013 hanno effettuato 8.023 interventi, soccorrendo 7.670 persone (di cui ben il 92 per cento non era socio CAI), mettendo la loro vita quotidianamente a disposizione della collettività per andare in soccorso di chiunque di trovi in difficoltà in ambiente montano e ipogeo;
   se non ritengano utile provvedere ad una specifica ed autonoma esposizione nel bilancio dello Stato delle autorizzazioni di spesa destinate al CAI e al CNSAS, escludendole dal capitolo 6823/Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   se non ritengono utile intervenire, attraverso apposita iniziativa normativa diretta a riunire le varie autorizzazioni di spesa che si sono stratificate negli anni in una unica autorizzazione articolata nelle tre voci: finanziamento del CAI, pagamento del premio per l'assicurazione dei membri del CNSAS e finanziamento del CNSAS. (4-06503)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DURANTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 gennaio 2014, con scadenza il 13 febbraio 2014, è stato bandito un concorso per esami e per titoli per il reclutamento di 342 allievi carabinieri effettivi in ferma quadriennale, riservato, ai sensi dell'articolo 2201, comma 1, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, ai volontari delle forze armate in ferma prefissata di un anno raffermati ovvero in congedo e, ai sensi del decreto legislativo 21 gennaio 2011, n. 11, ai concorrenti in possesso dell'attestato di bilinguismo;
   a seguito del normale iter concorsuale, in data 9 settembre 2014, il comandante generale dell'Arma dei carabinieri, con avviso su sito www.carabinieri.it, ha comunicato l'approvazione della graduatoria finale di merito aumentando i posti disponibili da 342 a 532;
   complessivamente, in seguito alta valutazione concorsuale, il totale degli idonei risulta essere di 606. Di conseguenza, sarebbero 74 gli idonei non prescelti, al netto delle rinunce dei vincitori, che sarebbero incorporati in caso di prossimo concorso ai sensi della legge n. 125 del 2013 «D'Alia», come già avvenuto per gli idonei non vincitori del concorso per 1886 allievi carabinieri del 2012 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se abbia valutato la possibilità di mettere in atto iniziative e/o provvedimenti in grado di dare celere risposta alle aspettative delle ragazze e ragazzi che hanno partecipato al concorso risultando idonei ma non vincitori. (5-03826)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   CAUSI e MANLIO DI STEFANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, disciplina l'attribuzione a titolo non oneroso a comuni, province, città metropolitane e regioni di beni statali individuati, nel rispetto della Costituzione, con le disposizioni del decreto stesso e con uno o più decreti attuativi del Presidente del Consiglio dei ministri;
   secondo l'articolo 3, comma 4, in vigore dal 26 giugno 2010, sulla base dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri contenenti l'elenco dei beni, le regioni e gli enti locali che intendono acquisire i beni medesimi, presentano, entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei citati decreti, un'apposita domanda di attribuzione all'Agenzia del demanio contenente le specifiche finalità e modalità di utilizzazione del bene, la relativa tempistica ed economicità nonché la destinazione del bene;
   dai dati pubblicati dall'Agenzia del demanio risulta che, al 26 settembre 2014, delle 9367 richieste effettuate su tutto il territorio nazionale, solo 5497 hanno ottenuto parere positivo al trasferimento;
   nella regione Lazio sono stati richiesti dagli enti ricadenti nel territorio 933 beni di cui 330 trasferiti con parere positivo, 581 hanno avuto un parere negativo e 22 sono in fase di definizione;
   tra i beni sui cui si è registrato un parere negativo vi sono alcune caserme ricadenti nel territorio di Roma capitale, per le quali il Ministero della difesa avrebbe confermato la permanenza delle proprie esigenze istituzionali;
   il predetto decreto legislativo prevede, tra l'altro, che si possono escludere dal trasferimento solo gli immobili in uso per comprovate ed effettive finalità istituzionali dalle amministrazioni dello Stato;
   in una visita in forma ufficiale di una delegazione di parlamentari presso alcuni immobili oggetto di parere contrario da parte del Ministero della difesa, nello specifico, in forma esemplificativa e non esaustiva, con riferimento al sopralluogo presso la struttura militare di Forte Boccea, in cui sono intervenuti anche responsabili degli uffici del comune di Roma, dell'Agenzia del demanio, del Ministero della difesa, si è potuto constatare lo stato di completo abbandono dell'intero complesso; in quella occasione, il rappresentante del Ministero della difesa e dell'Agenzia del demanio si sarebbero dimostrati favorevoli alla richiesta avanzata dal Comune di Roma capitale –:
   se, in virtù dei processi di valorizzazione di alcune aree metropolitane, non intenda chiarire le motivazioni dei giudizi di diniego, con specifico riferimento a quei complessi che, come sta avvenendo in particolare a Roma per la struttura militare di Forte Boccea, paiono in stato di abbandono. (5-03833)


   PESCO, DI BENEDETTO e CANCELLERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sul litorale meridionale di Palermo, alla via Messina Marine, ha sede un immobile risalente ai primi anni del 900, che fu realizzato da Giovan Battista Basile, su progetto di Ernesto Basile, per conto dell'antica famiglia Florio, per questo anche conosciuto come Stand Florio; nei primi anni ’30 fu utilizzato per gare e premiazioni del circolo del tiro al volo, durante la seconda guerra mondiale divenne magazzino delle truppe da sbarco, successivamente ristorante, infine fu abbandonato;
   nel 1985 la Soprintendenza per i beni culturali ed ambientali di Palermo intervenne con lavori di ristrutturazione che diedero nuova dignità all'edificio; nel 1995 alcuni istituti didattici adottarono lo stand Florio, permettendo allo stesso di diventare meta per turisti, tramite l'impegno degli studenti; nel 2011, infine, Legambiente Sicilia lo inserì all'interno dell’«Sos Heritage, la bella Sicilia che sta scomparendo»;
   gli interventi su citati furono isolati e comunque non sufficienti; l'incuria e l'abbandono nel tempo sono tuttora visibili: il tetto è parzialmente crollato, le infiltrazioni d'acqua mettono a rischio anche le pareti perimetrali, oltre che la sovrastante cupola monumentale; inoltre lo stand è stato oggetto di atti vandalici, ad opera di ignoti, consistenti nell'asportazione dell'impianto elettrico, nella rottura di alcuni vetri e degli infissi esterni e nell'asportazione dei pluviali in rame; infine, gli spazi circostanti sono occupati da una vera e propria discarica abusiva, con oggetti di ogni genere, addirittura carcasse di animali e rifiuti pericolosi, come l’eternit, che minacciano la salute pubblica;
   per tali motivi, nell'ottobre del 2012, l'immobile è stato posto sotto sequestro da parte del nucleo tutela patrimonio artistico della polizia municipale, per indagini preliminari, a cui è seguita l'archiviazione del caso;
   successivamente, come si apprende dalle fonti di stampa http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it;
   http://www.ilgiornaledellarte.com, la procura della repubblica avrebbe anche avviato un'indagine per l'accertamento di eventuali ipotesi di reato. Ebbene, alla richiesta di archiviazione, il giudice per le indagini preliminari, Marina Petruzzella, avrebbe risposto con un'ordinanza del 14 ottobre 2013 in cui chiedeva che le indagini venissero, invece, approfondite al fine di stabilire le responsabilità dell'Agenzia del demanio, del comune di Palermo e della soprintendenza regionale ai beni culturali nonché dei relativi rappresentanti in merito alle due ipotesi di reato di «danneggiamento del patrimonio artistico e mancati lavori di manutenzione»;
   i tre enti responsabili, dunque, sarebbero secondo il GIP il comune di Palermo, la soprintendenza dei beni culturali e l'Agenzia del demanio: in particolare, quest'ultima, sottoposta alla vigilanza del Ministero dell'economia e delle finanze che ne detta gli indirizzi, non avrebbe posto in essere adeguati provvedimenti che potessero assicurare la custodia e la conservazione dell'immobile;
   numerosi cittadini, oltre che diverse associazioni ambientaliste e culturali hanno lamentato la grave situazione in atto; analogamente, gli interroganti sono seriamente preoccupati per la mancanza di cura di un edificio di pregio storico architettonico che dovrebbe, al contrario, essere valorizzato, diventando meta di turisti e non terra di nessuno; si rammenta, infatti, che l'immobile appartiene al demanio storico — artistico dello Stato ed al demanio marittimo ed è, nel piano regolatore di Palermo, tra gli edifici di interesse monumentale ed ambientale soggetto a vincolo storico artistico da parte della Soprintendenza regionale dei beni culturali –:
   se trovino conferma i fatti descritti in premessa in merito alle responsabilità dell'Agenzia del demanio competente territorialmente, in ogni caso, quali misure siano state assunte o intenda assumere, per quanto di competenza, per avviare la ristrutturazione, riqualificazione e custodia dello «stand Florio». (5-03834)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nelle more dell'emanazione del decreto attuativo sul riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici di cui all'articolo 14 della legge 11 marzo 2014, n. 23 (cosiddetta delega fiscale), numerose sentenze di tribunali amministrativi regionali, ultima in ordine di tempo quella della seconda sezione del TAR dell'Emilia Romagna, stabiliscono che «la pianificazione delle sale da gioco e la riallocazione di quelle prossime a siti sensibili appartiene all'Amministrazione Autonoma dei Monopoli», attribuzione che troverebbe conferma all'articolo 7, comma 10 del decreto-legge n. 158 del 2012, (cosiddetto decreto Balduzzi), ove è indicata la «competenza decisoria esclusiva» dei Monopoli alla ricollocazione dei locali che installano le sale giochi che risultano territorialmente prossimi a istituti scolastici primari e secondari, strutture sanitarie ed ospedaliere, luoghi di culto; le stesse sentenze, avverso i ricorsi presentati da quei comuni, come quello di Comacchio (Fe), che avevano invece stabilito con proprio regolamento distanze minime dai luoghi sensibili, hanno concluso che «anche se i Monopoli di Stato non hanno ancora ripianificato la distribuzione delle sale giochi sul territorio», «l'adozione da parte dei singoli comuni di norme in materia è priva del necessario presupposto»;
   la suddetta legge di delega fiscale, trattando il tema delle distanze delle sale da gioco da una serie di luoghi sensibili (quali chiese, scuole, ospedali, luoghi di aggregazione giovanile, e altri), è intervenuta non prevedendo direttamente delle distanze minime, ma garantendo forme vincolanti di partecipazione dei comuni competenti per territorio al procedimento di autorizzazione e di pianificazione, che tenga conto di parametri di distanza da luoghi sensibili validi per l'intero territorio nazionale, comunque con riserva allo Stato della definizione delle regole necessarie per esigenze di ordine e sicurezza pubblica: viene quindi confermato un modello organizzativo fondato sul regime concessorio ed autorizzatorio, ritenuto indispensabile per la tutela della fede, dell'ordine e della sicurezza pubblici, attraverso l'adozione di regole trasparenti ed uniformi sull'intero territorio nazionale in materia di titoli abilitativi all'esercizio dell'offerta di gioco, di autorizzazioni e di controlli, con adeguate forme di partecipazione dei comuni al procedimento di autorizzazione e pianificazione della dislocazione locale di sale da gioco e di punti vendita in cui si esercita come attività principale l'offerta di scommesse su eventi sportivi e non sportivi, nonché in materia di installazione degli apparecchi idonei per il gioco lecito;
   il principio ricavabile dal sopracitato decreto – legge n. 158 del 2012, che ha di fatto cancellato le distanze minime dai luoghi sensibili, è quello secondo cui gli strumenti pianificatori di contrasto alla ludopatia devono essere decisi a livello nazionale o comunque inseriti nel sistema della pianificazione nazionale: pertanto, la competenza legislativamente stabilita a favore dell'amministrazione statale esclude che pari competenza possa essere esercitata dai comuni, corollario, questo, sul quale si fondano i pronunciamenti dei tribunali regionali;
   sono tante, in tutta Italia, le amministrazioni comunali che hanno deliberato decisioni simili a quelle del comune di Comacchio (Fe), e che spesso, oltre a soccombere sono costrette a pagare cifre molto salate ai ricorrenti, solo per aver voluto regolamentare una materia molto delicata come quella della riallocazione delle sale da gioco prossime a siti sensibili –:
   se non ritenga urgente, nelle more della emanazione dei decreti attuativi di cui al citato articolo 14 della legge 11 marzo 2014, n. 23, far sì che l'Amministrazione autonoma dei monopoli si uniformi, con proprie direttive, a quanto eventualmente disposto dai singoli comuni in tema di regolamentazione di distanze, al fine di dare disciplina ad un settore particolarmente delicato per l'ordine pubblico. (5-03835)


   SOTTANELLI e VEZZALI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'ISEE, istituito dal decreto legislativo n. 109 del 1998 e modificato dal decreto legislativo n. 130 del 2000, è l'indicatore della situazione economica della famiglia e occorre per richiedere prestazioni sociali agevolate, servizi sociali e/o assistenziali e di pubblica utilità legate al reddito familiare;
   i parametri su cui si basa il calcolo dell'ISEE sono: la composizione del nucleo familiare, il reddito da lavoro, il patrimonio mobiliare e immobiliare di ogni componente il nucleo familiare;
   il nucleo familiare di riferimento ai fini del calcolo dell'ISEE, in linea generale è la famiglia anagrafica (istituto previsto dalla legge), da tenere distinta dal nucleo familiare, che invece non trova nessuna definizione nel codice civile;
   per famiglia anagrafica, così come previsto dall'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 1989, si intende «l'insieme di persone coabitanti ed eventi dimora abituale, e quindi la residenza, nello stesso comune, che possono essere legati da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o vincoli affettivi»;
   il concetto di famiglia anagrafica quindi può non coincidere con quello di nucleo familiare che solitamente si utilizza per fini fiscali;
   di conseguenza, due o più persone che si trovano in una situazione di coabitazione, anche se non legate da affetti e parentela e pur avendo redditi indipendenti, risultano residenti nello stesso stato di famiglia: di conseguenza, per tali persone l'ISEE è comunque calcolato sulla somma dei redditi di tutti gli individui conviventi e quindi presenti sullo stesso stato di famiglia, creando difficoltà al fine di richiedere l'agevolazione delle prestazioni per cui è richiesta l'attestazione ISEE –:
   quali iniziative possano essere adottate per modificare la metodologia di calcolo dell'ISEE per porre rimedio alle problematiche suesposte. (5-03836)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SGAMBATO e ROSTAN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Comune di Castel Campagnano è un piccolo comune casertano di circa 1.600 abitanti, dotato di un unico ufficio postale con un solo impiegato;
   l'Ufficio postale, aperto 4 giorni a settimana e attualmente sprovvisto di uno sportello Postmat ATM, ha una movimentazione di circa 100 libretti e insieme ad altre forme di risparmio raggiunge un volume d'affari di circa 2 milioni di euro annui;
   gran parte della popolazione di Squille, frazione del comune di Castel Campagnano, è costretta, in occasione della erogazione delle pensioni, a raggiungere il citato ufficio postale, distante circa 5 chilometri, affrontando code allo sportello anche di quattro o cinque ore;
   il disagio per l'intera comunità di Castel Campagnano è sempre più forte, anche in considerazione della posizione dell'ufficio, ubicato in una zona pedonale, e per le dimensioni ridotte degli spazi pubblici (la sala aperta al pubblico è di soli 14 metri quadrati);
   l'erogazione di un servizio importante come quello postale non dovrebbe basarsi solo su logiche imprenditoriali ma tenere conto soprattutto delle esigenze delle piccole comunità –:
   se siano a conoscenza dei fatti espressi in premessa e se non ritengano di intervenire, per quanto di propria competenza, al fine promuovere, presso Poste Italiane s.p.a. le istanze dei cittadini del Comune di Castel Campagnano corrispondenti alla richiesta di installazione di uno sportello Postmat ATM presso l'ufficio postale, all'integrazione dell'organico con un altro impiegato almeno durante la prima settimana di ogni mese, periodo in cui si registra maggior afflusso agli sportelli, all'eventuale trasferimento della sede dell'ufficio postale in altro locale più ampio e privo di barriere architettoniche, anche per consentire un facile accesso ai portatori di handicap ed alle persone anziane, alla predisposizione di un servizio navetta che colleghi la frazione di Squille all'ufficio postale di Castel Campagnano, almeno durante la prima settimana di ciascun mese. (5-03823)


   SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   per favorire lo smobilizzo dei crediti vantati dalle imprese nei confronti della pubblica amministrazione, le amministrazioni pubbliche devono certificare, su istanza del creditore, gli eventuali crediti relativi a somme dovute per somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali (cosiddetti crediti commerciali);
   l'istanza di certificazione può essere presentata da chiunque (società, impresa individuale o persona fisica) vanti un credito commerciale non prescritto, certo, liquido ed esigibile, nei confronti di una pubblica amministrazione;
   il processo di certificazione è gestito tramite la piattaforma elettronica per la certificazione dei crediti, predisposta dal Ministero dell'economia e delle finanze – ragioneria generale dello Stato;
   la piattaforma consente ai creditori della pubblica amministrazione di chiedere la certificazione dei crediti relativi a somme dovute per somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali e di tracciare le eventuali successive operazioni di anticipazione, compensazione, cessione e pagamento, a valere sui crediti certificati;
   il creditore (o un suo delegato) dà inizio al processo di certificazione presentando alla pubblica amministrazione, nei confronti della quale vanta un credito certificabile, un'istanza per la certificazione tramite la piattaforma, all'interno della quale deve prima necessariamente accreditarsi comunicando i propri dati personali e il proprio indirizzo di posta elettronica certificata (PEC);
   la Ruzzo Reti spa, è una società a capitale interamente pubblico appartenente agli enti locali ricadenti nell'ambito territoriale teramano n. 5 e gestisce il servizio idrico integrato (servizio pubblico a rilevanza economica ai sensi dell'articolo 113 e seguenti del decreto legislativo n. 267 del 2000) in seguito ad affidamento diretto, senza gara, con la forma dell’in house providing;
   tale società produce ricavi che superano il 50 per cento dei costi ed è sottoposta al controllo analogo da parte dell'ente affidante (ATO n. 5 teramano);
   lo statuto della società prevede che le azioni siano incedibili, che gli utili netti di esercizio siano destinati al rinnovo degli impianti, salva diversa determinazione dell'assemblea dei soci (costituita integralmente da enti locali), che la qualità di socio possa essere assunta solo dagli enti locali ricadenti nell'ambito territoriale ottimale n. 5 teramano o loro unioni o associazioni;
   il prezzo del servizio (tariffa idrica) è determinato dall'ATO n. 5 Teramano e dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico;
   la procedura di registrazione sulla piattaforma per la certificazione dei crediti, già avviata dal legale rappresentante della società, non è stata portata a termine per la difficoltà di individuazione della qualifica di appartenenza del soggetto richiedente;
   il legale rappresentante della Ruzzo Reti spa, nelle more della iscrizione alla PCC, è stato nominato «commissario ad acta», a seguito della richiesta di certificazione del credito inserita da parte di una impresa creditrice;
   risulta che il Consorzio Acquedottistico Marsicano (CAM), società analoga a Ruzzo Reti spa, sia iscritto sulla piattaforma e abbia certificato debiti –:
   se la società pubblica Ruzzo Reti spa possa essere accreditata sulla piattaforma per la certificazione dei crediti PCC in qualità di società debitrice nei confronti di imprese fornitrici e, nell'ipotesi positiva, quale sia la classificazione di appartenenza che occorre dichiarare nelle procedura telematica per portare a termine la registrazione. (5-03825)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nei rapporti tra le banche e la clientela, il diritto alla privacy di quest'ultima è sempre più pregiudicato dalla necessità della banca di conoscere la capacità del cliente di riuscire ad onorare puntualmente i propri debiti, poiché tali istituti prima di concedere credito – sotto qualsiasi forma, anche attraverso l'apertura di un conto corrente che preveda, per un'impresa, l'anticipazione di fatture salvo buon fine – vogliono sincerarsi in merito alla capacità del cliente di riuscire a restituire senza difficoltà il credito concesso;
   spesso questa necessità della banca ha come risultato la violazione dell'esigenza – di pari, se non di primaria importanza – del cliente ad essere tutelato nel suo fondamentale diritto alla riservatezza, prevista e tutelata dal decreto legislativo n. 196 del 2006, con il conseguente diritto del cliente alla richiesta dei danni derivanti da questa gravissima violazione;
   stante la normativa in materia di antiriciclaggio per cui è sempre richiesta la completa documentazione fiscale che comprende un documento di identità valido e il codice fiscale, in base alla tipologia del prestito e ai parametri utilizzati dalla banca o dall'istituto di credito, gli attori finanziari coinvolti richiedono ai loro clienti una fitta lista di documenti e certificazioni atti ad identificare il cliente ed ad attestare la condizione lavorativa e reddituale dello stesso;
   in base alla tipologia di prestito, la documentazione da fornire può cambiare: per ottenere un prestito personale per i lavoratori dipendenti è necessario esibire la busta paga ed, eventualmente, anche il cud; per i lavoratori autonomi è invece richiesta l'ultima dichiarazione dei redditi, mentre i pensionati devono produrre l'ultimo cedolino, oppure, se si è pensionati Inps, il modello Obis M, certificato che riporta tutte le informazioni relative alla tipologia di pensione; per un prestito finalizzato, ossia relativo all'acquisto di un bene o un servizio, oltre ai documenti personali e reddituali, occorre presentare anche un preventivo della spesa da sostenere che ne attesti la finalità, mentre per la cessione del quinto, che permette di estinguere il debito attraverso la trattenuta mensile delle rate direttamente dallo stipendio, è necessaria, oltre alla documentazione fiscale e reddituale, anche la dichiarazione della quota cedibile e il certificato di stipendio, rilasciato dal datore di lavoro, contenente tutte le informazioni relative all'assunzione;
   oltre ai suddetti documenti, il richiedente deve anche presentare, ad integrazione dei documenti reddituali, anche lo stato di famiglia e il certificato di stato civile corredato dall'estratto dell'atto di matrimonio completo di tutte le annotazioni e comprensivo di tutte le eventuali convenzioni patrimoniali stipulate fra i coniugi, nonché, nell'ipotesi di persone divorziate o separate, la copia della sentenza del tribunale;
   inoltre, nel caso in cui i richiedenti dispongano di un solo reddito, per mutui che superano l'80 per cento del valore dell'immobile, nel caso in cui il richiedente sia una persona anziana oppure raggiunga l'età di 65/70 anni prima del termine del mutuo, la banca può pretendere la stipula di un'assicurazione sulla vita per tutelarsi in caso di inadempienza o morte del cliente, con conseguente domanda di presentazione di esami medici che attestino la sana e robusta costituzione del richiedente e/o dei componenti del nucleo familiare in caso di fideiussione da parte di uno di questi;
   seppur sia lecita la necessità cautelativa della banca prima di concedere un credito al cliente, una tale esigenza di tutela non dovrebbe mai andare a scapito di diritti fondamentali del cittadino, riconosciuti dalla stessa Costituzione e dal codice civile, prima ancora che dal decreto legislativo n. 196 del 2006 a tutela della privacy;
   nonostante il Garante, nel 2007, abbia emanato un provvedimento a carattere generale (Gazzetta Ufficiale n. 273 del 23 novembre 2007), sul trattamento dei dati personali della clientela in ambito bancario contenente numerose indicazioni su come devono essere utilizzate le informazioni da parte delle banche, adottato anche tenendo anche conto delle segnalazioni e dei reclami presentati all'Autorità da parte di numerosi clienti insoddisfatti, si registra una continua e sistematica violazione dei diritti del cliente che richiede l'accesso al credito, a causa di un uso, assai spesso, distorto, maldestro e superficiale, da parte degli stessi impiegati degli istituti creditizi, degli strumenti informatici di cui dispongono banche e finanziarie per annotare tutte le richieste di accesso al credito, tutti i finanziamenti e/o mutui concessi, tutte le rate regolarmente onorate e, nella peggiore delle ipotesi, tutti i ritardi nei pagamenti;
   tra questi sistemi informatici, primaria importanza riveste la centrale rischi della Banca d'Italia, ove sono annotate le esposizioni debitorie, il sistema di allarme interbancario, il cosiddetto «C.A.I.» (Centrale allarmi interbancaria, ove vengono annotati i mancati pagamenti degli assegni e delle carte di credito) ed, infine, le cosiddette «Centrali rischi private», dette anche «Sistemi d'Informazione creditizia, gestite da società private che operano sotto la vigilanza della Banca d'Italia e che sono tenute – al pari, del resto, delle stesse banche e finanziarie – a rispettare il codice di deontologia e buona condotta per i sistemi d'informazione creditizia, entrato in vigore nel 2005;
   è da tenere in considerazione che le segnalazioni in questione, specie nella centrale rischi di Banca d'Italia, avvengono su iniziativa unilaterale del cosiddetto «intermediario», ossia della stessa banca, senza un previo contraddittorio con il soggetto interessato, ossia con il cliente;
   in più si deve tenere conto che gli stessi istituti di credito, secondo quanto denunciano le associazioni dei consumatori, richiedono documenti identificativi ed anche reddituali, con relativa richiesta di firma del modulo di privacy che autorizza ad accedere alle centrali di rischio per la verifica dell'affidabilità, anche soltanto di fronte alla richiesta del SECCI (Standard European Consumer Credit Information), modulo informativo europeo per il confronto delle offerte;
   la richiesta di dati reddituali e personali in fase precontrattuale non è necessaria per legge e il fatto che spesso si chieda di accedere alle centrali di rischio che raccolgono dati sull'affidabilità dei debitori scoraggia il cliente a consultare più agenzie, ma soprattutto, determina una posizione di criticità del cliente, poiché il continuo accesso a suddette centrali equivale a richieste di prestito non rilasciate o non andate a buon fine, cosicché il richiedente potrebbe essere considerato in futuro un cattivo candidato –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quella che all'interrogante appare una continua violazione dei diritti alla privacy dei clienti di banche ed istituti di credito e quali iniziative il Ministro, in base alle proprie competenze, intenda adottare al fine di reindirizzare, attraverso strumenti normativi idonei, l'operato di questi attori finanziari al concreto rispetto dei diritti in materia di riservatezza dei dati personali che, nonostante le linee guida del Garante, continuano ad essere costantemente non rispettati;
   se il Ministro non ritenga opportuno intervenire con un'adeguata iniziativa normativa al fine di impedire che banche, istituti finanziari e creditizi possano richiedere, di fronte alla domanda di accensione di un prestito di qualunque tipo, l'esibizione della documentazione attinente alla sfera più privata del cliente, quali certificati di matrimonio, omologhe di separazioni o sentenze di divorzio ed esami medici e simili, stanti le sufficienti informazioni che la documentazione reddituale e legale producono in merito alla sicurezza del credito concesso ed alla solvibilità del cliente. (4-06493)


   GALLINELLA e VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la lotta alla frode e all'evasione fiscale è una delle maggiori sfide e preoccupazioni dell'Unione europea in considerazione dell'ingente perdita di denaro derivante da tali comportamenti che non solo vanificano gli sforzi di risanamento dei bilanci nazionali, ma mettono in discussione il principio di equità e di uguaglianza dei cittadini;
   è noto che miliardi di euro restano ogni anno in giurisdizioni fiscali cosiddette «offshore», spesso non dichiarati ne tassati, con conseguente riduzione delle entrate nazionali e un onere fiscale eccessivo a carico dei cittadini onesti, sui quali grava sempre più il peso delle necessarie riforme economiche;
   è all'esame delle istituzioni europee la modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale, al fine, tra l'altro, di ampliare l'ambito di applicazione dello scambio automatico d'informazioni a livello unionale su dividendi, plusvalenze e altri redditi a partire dal 2015, anno in cui tale obbligo sarà in vigore anche per redditi da lavoro, compensi per dirigenti, pensioni, assicurazioni sulla vita e proprietà e redditi immobiliari;
   il 14 ottobre 2014 il Consiglio dei ministri delle finanze dell'Unione europea, nell'ambito dell'esame della suddetta proposta, ha concesso, al Lussemburgo e all'Austria, una dilazione dei tempi entro i quali aderire allo scambio automatico di informazioni sugli evasori fiscali tra gli Stati membri; nella sostanza, slitta per il Lussemburgo di due anni e per l'Austria di tre anni la fine del rigido segreto bancario che caratterizza i loro sistemi tributari;
   tale decisione contrasta con il rigido orientamento comunitario che impone misure di austerità sempre più gravose per i cittadini e pare invece evidenziare, a giudizio degli interroganti, una attitudine molto più conciliante nei confronti degli evasori fiscali e degli intermediari bancario-finanziari che spesso si adoperano per occultare al fisco consistenti patrimoni;
   le motivazioni di tale atteggiamento dilatorio nei confronti di due Stati membri dell'Unione europea suscitano, ad avviso degli interroganti, più di un dubbio in merito alla possibilità che alcuni Governi, attraverso l'avallo di una posizione estremamente conciliante, finiscano di fatto per favorire il sussistere di paradisi fiscali e la costituzione di «fondi neri» da utilizzare per gli scopi più diversi –:
   quale sia stata la posizione della Presidenza italiana nella riunione dell'ECOFIN del 14 ottobre 2014, in particolare con riferimento alla decisione del Consiglio di concedere a Lussemburgo e Austria di aderire all'obbligo dello scambio automatico di informazioni fiscali solo a partire dal 2017 e 2018. (4-06509)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in merito alla stretta relazione che lega un'offerta di gioco sempre più capillare ed invasiva e i rischi della dipendenza che crea, si va diffondendo un terzo e pericoloso fattore di rischio: la potenziale sostituzione dell'attività di gioco legale – ma non per questo indenne da rischio – con una attività di gioco illegale, fortemente controllata dalla criminalità organizzata e strutturalmente orientata all'evasione fiscale;
   su questa deriva pericolosa si concentrano quanti non vedono affatto di buon occhio i tentativi di ridurre l'offerta di gioco, sia pure legale, attraverso un controllo molto più radicale della pubblicità, che sembra capace di individuare costantemente nuove forme accattivanti per insinuarsi nella vita delle persone. Ma l'alternativa non può essere tra bulimia da gioco indotta da un'offerta martellante e rassegnata consegna al gioco illegale totalmente contaminato dalla criminalità locale;
   l'inchiesta condotta da GiocoNews.it sul territorio di Bolzano e Alto Adige rivela come la scomparsa delle slot machine di Stato dai locali pubblici cittadini, voluta dalla legge regionale e attuata dai singoli comuni del Trentino, stia portando alla diffusione sempre più capillare di un'offerta di gioco alternativa, che alimenta una economia sommersa;
   in sostituzione delle slot che vi si trovavano prima, sono sorti nuovi totem che si trovano oggi nei pubblici esercizi. In particolare, i 21 terminali riscontrati finora nei locali della provincia rimpiazzano le circa 35 new slot che vi alloggiavano prima e che gli addetti ai lavori hanno dovuto rimuovere in seguito all'entrata in vigore della legge;
   continua a dilagare l'illegalità non solo in Trentino ma anche sul territorio alto atesino, dove si fa sempre più fitta la presenza di apparecchi da gioco illeciti. Dopo la denuncia relativa agli oltre 50 totem presenti in decine di pubblici esercizi all'interno del comune del Bolzano, il fenomeno continua ad estendersi a macchia d'olio, interessando anche la provincia, dove si contano almeno 21 terminali di gioco irregolari dislocati in 14 pubblici esercizi. Da Bronzolo a Laives, da Bressanone a Silandro, passando per Ora, Fiè Allo Sciliar, Dobbiaco e Sesto, il risultato è lo stesso del capoluogo. Seppure in forme e numeri diversi, ma con un risultato comune: ovvero, con il gioco illegale che sostituisce quello legale;
   si tratta di uno scenario impietoso, che non può e non deve passare inosservato. Sia perché la provincia di Bolzano si è sempre distinta per una cultura della legalità sul territorio, che per le invidiabili condizioni di vita della cittadinanza. Eppure oggi dà campo libero ad attività illecite a causa di una legge che incentiva, seppure indirettamente, la diffusione di un sistema di gioco fuori controllo. Una rete di gioco illegale che non porta guadagni né alla provincia né tanto meno allo Stato, esponendo per giunta i cittadini a rischi maggiori, tenendo conto che le offerte di gioco illegali non offrono alcuna certezza di vincita né alcun dispositivo di prevenzione;
   tuttavia, sarebbe opportuno riflettere sugli effetti di questa esplosione di illegalità, anche al di fuori del Trentino, affinché per limitare la diffusione del gioco legale, che crea una indubbia e concreta dipendenza, non si favorisca in nessun modo il gioco illegale. Occorre denunciare il pericolo della retorica della legalità o, peggio, di una legalità separata dalla giustizia sociale. Se una legge non ha come fine ultimo la dignità e la libertà delle persone, può diventare uno strumento di discriminazione, di esclusione, perfino di abuso. Questo vale ovviamente anche per il gioco d'azzardo, a cui non basta l'aggiunta della parola legale per giustificarne i danni;
   occorre inoltre fare attenzione ad un ulteriore elemento di preoccupazione. Si sta diffondendo l'abitudine di legare la parola azzardo solo al gioco illegale, riservando per tutte le altre forme di gioco quella di gioco legale, in modo da legittimarne l'uso senza destare allarmi nell'opinione pubblica. Appare evidente a tutti che dire gioco d'azzardo legale non è come dire semplicemente gioco legale, così come dire gioco d'azzardo illegale evoca immediatamente dei segnali d'allarme più veloci –:
   quali misure stiano attuando per un più efficace controllo del gioco d'azzardo illegale, in modo da prevenire una nuova potenziale ondata di diffusione, nel caso dovessero essere approvate in tempi ragionevolmente brevi misure restrittive;
   quali iniziative stiano mettendo in atto per ridurre la massiccia offerta di gioco attraverso una pubblicità che sta dilagando soprattutto in luoghi ad alta densità di frequentazione, come stazioni ed aeroporti. (3-01104)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ZAPPULLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come annunciato ufficialmente dallo stesso Ministro interrogato, il 24 ottobre 2014 si sarebbe dovuta firmare la convenzione con la Società di progetto Consorzio «Autostrada ragusana», tuttavia, da notizie dell'ultima ora tale appuntamento verrà disatteso;
   questo ennesimo rinvio prolunga l'attesa, ormai decennale, per una fondamentale opera infrastrutturale che interessa tre province siciliane, le loro comunità, centinaia di migliaia di cittadini e interi comparti dell'economia locale;
   il raddoppio dei 68 chilometri della strada statale che collega Catania e Ragusa, attraversando per gran parte dell'intero tracciato la provincia di Siracusa con i territori di Lentini, Carlentini e Francofonte, consentirebbe, inoltre, di mettere in sicurezza quella che è attualmente nota come «la strada della morte», con i suoi tanti, troppi incidenti mortali, così venendo incontro alle reiterate richieste e proteste di singoli cittadini, di associazioni e delle istituzioni locali di tutte e tre le province;
   insieme alle indubbie ricadute positive sul terreno della civiltà e della sicurezza stradale, la realizzazione dell'opera contribuirà in modo significativo ad alleviare le sofferenze della drammatica crisi occupazionale che investe ormai da anni il settore delle costruzioni, del movimento terra e della categoria degli edili. Si parla, infatti, di circa 800 milioni di euro di investimento, di cui 360 pubblici da realizzare e completare dall'avvio dei lavori in 4 anni e 5 mesi;
   la firma della convenzione consentirà di consumare i passaggi burocratici e formali successivi indispensabili per l'avvio concreto dei lavori, cui dovrà seguire la firma di uno specifico decreto a firma congiunta dei Ministri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia e delle finanze, con la relativa copertura finanziaria, da tempo individuata e accantonata, così da consentire l'avvio dei lavori entro il 2015, come previsto dal programma –:
   quali siano le ragioni del rinvio della firma della convenzione con la Società di progetto Consorzio «Autostrada ragusana» ed entro quali tempi si preveda, che si possa perfezionare tale atto;
   quali iniziative intenda adottare affinché sia garantito un esito certo e ravvicinato per la stipula della suddetta convenzione e per l'avvio dei lavori di una infrastruttura attesa da troppi anni.
(5-03830)


   DE LORENZIS e SCAGLIUSI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa pubblicate, in Campidoglio nel maggio 2002 viene firmato un protocollo che fissa le tappe per la costruzione della linea C della metropolitana di Roma;
   il 4 febbraio 2006, il consorzio d'imprese facente capo ad Astaldi, in associazione con Vianini, il Consorzio cooperative costruzioni e Ansaldo Trasporti è vincitore della gara d'appalto per la costruzione della metro linea C e il termine dei lavori per la tratta centrale viene indicato nel 2007 e prevede l'apertura della tratta Pantano – Centocelle nel mese di ottobre 2014;
   dopo dodici anni dalla firma del protocollo e sette dopo, l'ipotetica apertura prevista, per il mese di ottobre 2014 è rinviata;
   nella costruzione di tale opera, sempre da fonti stampa, emerge la presenza di infiltrazioni mafiose e subappalti. L'antimafia si è interessata al sistema di subappalti della metro C; negli anni, il costo per la realizzazione della nuova metro è lievitato fino a quota 3,4 miliardi;
   in particolare nell'articolo del «FattoQuotidiano.it» dal titolo «Roma discuteva di droga con il boss. Ora ha un appalto nel cantiere del Metro C» del 13 ottobre 2012, a firma di Andrea Palladino, emergerebbero dubbi sull'efficacia del sistema di controllo degli appalti riguardo la società Ceapp (società di costruzioni edili, appalti pubblici e privati);
   nel medesimo articolo viene riportato che il: «Principale socio e amministratore delegato della Ceapp è Aldo Ludovisi, imprenditore di Nettuno ben conosciuto alle forze dell'ordine. Venne arrestato nel 2004 nel corso dell'operazione antimafia denominata “Appia 2”, incastrato da alcune intercettazioni ambientali disposte dalla Dda romana. Poi, dopo qualche mese, fu prosciolto, perché quell'attività tecnica fu ritenuta non sufficientemente motivata in sede di udienza preliminare. Le parole registrate erano chiarissime, ma per i magistrati l'intercettazione ambientale non era formalmente valida» infine «Il nome di Aldo Ludovisi, nel 2005, era anche finito nelle pagine della commissione di accesso che portò allo scioglimento per mafia del comune di Nettuno: “Probabile prestanome della criminalità locale con numerose segnalazioni all'autorità giudiziaria”, scrivono gli ufficiali di polizia nella relazione, mettendo insieme i tanti elementi raccolti nelle diverse indagini sui gruppi criminali della costa laziale. Un'accusa pesantissima, che forse è stata valutata ininfluente da chi ha autorizzato l'appalto per la Ceapp»;
   la legge obiettivo (legge n.443 del 2001) istituita dall’ex Ministro Pietro Lunardi prevede che, nelle grandi opere i subaffidamenti siano esenti da qualunque controllo. La conseguenza dell'applicazione della suddetta legge ha portato, per la costruzione della metro C, una rete di quasi 5 mila subaffidatari, i tali da incrementare l'interesse dell'antimafia e della procura;
   da autorevoli fonte stampa, emerge come la Corte dei conti stia procedendolo tramite un'inchiesta a comprendere le singole responsabilità erariali. Al centro di tale inchiesta figurano: i rappresentati della stazione appaltante, del consorzio dei costruttori e 15 persone sotto indagine da parte dei magistrati contabili, i quali, sarebbero membri di quei «centri decisionali» e politici, locali e non, che potrebbero avere avuto un ruolo nella determinazione delle cifre, dei milioni di euro pubblici, versati dalla stazione appaltante ai costruttori;
   la tratta della futura metro Pantano – Centocelle non è attualmente garantita, da fonti stampa si comprende come la commissione di collaudo, istituita al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, non abbia rilasciato il nulla-osta decisivo per via di mancati adempimenti;
   l'8 ottobre 2014 il sindaco di Roma Ignazio Marino ha proseguito nell'occupazione simbolica degli uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per chiedere il verbale della Commissione sicurezza il quale negava l'apertura della metro C e nello stesso giorno in Campidoglio il sindaco ha convocato le imprese costruttrici, i vertici Atac spa (azienda per la mobilità) e l'avvocatura comunale per delineare i punti salienti della situazione;
   inoltre, la società Atac spa non è riuscita a mettere in condizione di funzionare regolarmente, un'infrastruttura che era stata ultimata e consegnata dalle aziende il 15 dicembre 2013, nel tratto compreso tra il capolinea di Pantano (Comune di Monte Compatri) e la stazione di Parco di Centocelle, nei pressi dell'incrocio tra via Prenestina e viale Palmiro Togliatti; a ciò occorre aggiungere, da parte di Atac Spa, la mancanza di una preparazione ottimale del personale e dal punto di vista tecnico i principali problemi, rilevati dal Ministero, riguardanti il software che consente di gestire la console remota che guida i treni –:
   quale sia l'orientamento ministeriale volto a sanare le criticità esposte in premessa, relative allo slittamento della chiusura dei lavori della metropolitana C di Roma;
   se il Ministro sia al corrente, come risulta da autorevoli fonti stampa, di possibili infiltrazioni mafiose concernenti i lavori del terzo ramo della metropolitana;
   quali iniziative urgenti intenda il Ministro porre in essere al fine di arginare la scandalosa situazione esposta in premessa, fermo restando l'inderogabile diritto dei cittadini di Roma ad avere servizi più efficienti in materia di trasporti pubblici. (5-03831)


   SCOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il presidente dell'Autorità portuale ha la rappresentanza dell'autorità portuale, resta in carica quattro anni e può essere riconfermato una sola volta ai sensi dell'articolo 8 della legge n. 84 del 1994;
   per quanto riguarda i compiti del presidente dell'autorità portuale, si ricorda che questi: a) presiede il comitato portuale; b) sottopone al comitato portuale, per l'approvazione, il piano operativo triennale; c) sottopone al comitato portuale, per l'adozione, il piano regolatore portuale; d) sottopone al comitato portuale gli schemi di delibere riguardanti il bilancio preventivo e le relative variazioni, il conto consuntivo e il trattamento del segretario generale, nonché il recepimento degli accordi contrattuali relativi al personale della segreteria tecnico-operativa; e) propone al comitato portuale gli schemi di delibere riguardanti le concessioni per le operazioni e attività portuali; f) provvede al coordinamento delle attività svolte nel porto dalle pubbliche amministrazioni, nonché al coordinamento e al controllo delle attività soggette ad autorizzazione e concessione, e dei servizi portuali; g) amministra le aree e i beni del demanio marittimo compresi nell'ambito della circoscrizione territoriale dell'autorità; h) esercita le competenze relative alle operazioni portuali e alla concessione di aree e banchine e rilascia, sentito il comitato portuale, le autorizzazioni e le concessioni relative quando queste abbiano durata non superiore a quattro anni, determinando l'ammontare dei relativi canoni; i) promuove l'istituzione dell'associazione del lavoro portuale; j) assicura la navigabilità nell'ambito portuale e provvede al mantenimento ed approfondimento dei fondali; k) esercita i compiti di proposta in materia di delimitazione delle zone franche, sentite l'autorità marittima e le amministrazioni locali interessate; l) esercita ogni altra competenza che non sia attribuita dalla legge n. 84 del 1994 agli altri organi dell'autorità portuale;
   la disciplina del procedimento di nomina dei presidenti delle autorità portuali è dettata dall'articolo 8 della legge n. 84 del 1994, recante Riordino della legislazione in materia portuale, come modificato da ultimo dall'articolo 6 del decreto-legge n. 136 del 2004. Il comma 1 dell'articolo 8 della citata legge n. 84 del 1994 prevede che il Presidente dell'autorità portuale sia nominato, previa intesa con la regione interessata, con decreto ministeriale, nell'ambito di una terna di esperti di massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell'economia dei trasporti e portuale, designati rispettivamente dalla provincia, dai comuni e dalle camere di commercio competenti territorialmente. La terna è comunicata al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti tre mesi prima della scadenza del mandato. Il Ministro, con atto motivato, può chiedere di comunicare, entro trenta giorni dalla richiesta, una seconda terna di candidati, nell'ambito della quale effettuare la nomina. Qualora non pervenga nei termini alcuna designazione, il Ministro nomina il presidente, previa intesa con la regione interessata, comunque tra personalità che risultano esperte e di massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell'economia dei trasporti e portuale. Il comma 1-bis del citato articolo 8 della legge n. 84 del 1994 prevede una procedura volta a superare il mancato raggiungimento dell'intesa con la regione interessata e ad evitare il ricorso alla nomina di commissari straordinari nel caso in cui l'intesa non venga raggiunta. La norma prevede che esperite tali procedure, qualora entro trenta giorni non si raggiunga l'intesa con la regione interessata, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, tenendo conto anche delle indicazioni degli enti locali e delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura interessati, indichi il prescelto nell'ambito di una terna formulata a tale fine dal Presidente della giunta regionale. Ove il Presidente della giunta regionale non provveda all'indicazione della terna entro trenta giorni dalla richiesta del Ministro, questi chiede al Presidente del Consiglio dei ministri di sottoporre la questione al Consiglio dei ministri che provvede con deliberazione motivata;
   in data 30 ottobre 2014, se non sarà nominato il Presidente dell'Autorità portuale di Napoli, scadrà il mandato del relativo commissario straordinario, Francesco Karrer, che è stato nominato per la durata massima i sei mesi con decreto ministeriale del 30 aprile 2014;
   la nomina di Karrer ha fatto seguito alle dimissioni rassegnate dal commissario straordinario uscente, Felicio Angrisano, che era stato nominato con analogo decreto ministeriale dell'11 dicembre 2013 per la durata di tre mesi, e il cui incarico era stato prorogato per un periodo massimo di sei mesi con decreto ministeriale del 13 marzo 2014;
   Felice Angrisano, a sua volta era stato seguito alle dimissioni di Luciano Dassatti, già presidente dell'autorità portuale partenopea, il quale era stato nominato commissario straordinario con decreto ministeriale del 15 marzo 2013 ed era stato poi confermato con decreto ministeriale del 20 settembre 2013;
   ad avviso dell'interrogante appare paradossale, se non drammatica, tutta la vicenda collegata al porto di Napoli e alle attività collegate a questo settore. Mentre, infatti, prosegue la perdita di peso commerciale delle realtà portuali campane e la costante perdita di flussi di viaggiatori, le vicende collegate alla decisione di destinare attraverso lo strumento del grande progetto risorse europee per l'adeguamento dello stesso sono inesorabilmente bloccate, come del resto appare bloccata tutta la struttura di governo dell'autorità portuale attualmente commissariata;
   l'atto conclusivo di nomina della presidenza dell'autorità portuale è il voto in sede parlamentare nelle Commissioni competenti sia alla Camera dei deputati sia al Senato della Repubblica ma ad oggi non risulta ancora trasmesso alle Camere lo schema di decreto ministeriale di nomina del Presidente dell'autorità Portuale di Napoli –:
   se e quando, il Governo intenda procedere alla nomina del nuovo presidente dell'autorità portuale di Napoli e quali siano i motivi del ritardo di tale designazione considerata la necessità di porre fine alla gestione commissariale della predetta Autorità portuale. (5-03837)

INTERNO

Interrogazioni a risposta immediata:


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la procura di Perugia ha iscritto nel registro degli indagati alcuni soci dell'associazione Omphalos Arcigay Arcilesbica, un'associazione che si batte per il riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali, perché ritenuti colpevoli di scambiarsi dei baci in risposta alla manifestazione delle «Sentinelle in piedi» del 29 marzo 2014 a Perugia;
   nella notifica di conclusione delle indagini ad uno degli indagati si legge che i contromanifestanti scandivano slogan «mascherati con dei “boa di struzzo”, cappellini e ombrelli multicolore» e che il bacio fra una coppia dello stesso sesso è «disturbo della quiete pubblica». Secondo quanto appreso dall'interrogante, i verbali della polizia riporterebbero le seguenti frasi: «avvicinandosi ad altro individuo di sesso maschile si esibiva in un prolungato e concupiscente bacio sulla bocca con lo stesso, nel bel mezzo di Corso Vannucci ed in presenza di numerose famiglie con bambini e ragazzi molti dei quali minorenni che in quel momento affollavano il centro cittadino lasciando i passanti disgustati da tale dimostrazione»;
   nessun atto violento, né osceno, né alcun tipo di provocazione o offesa è stata commessa dai partecipanti al libero presidio in risposta alla manifestazione delle «Sentinelle in piedi», quella sì a giudizio dell'interrogante repressiva nelle intenzioni e discriminatrice nei confronti delle persone omosessuali e della loro dignità;
   nessuna rilevanza giuridica e penale può attribuirsi secondo l'interrogante alle osservazioni verbalizzate dagli agenti e sopra riportate, ma esse dimostrano che le istituzioni assumono ancora atteggiamenti offensivi nei confronti delle persone omosessuali –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario verificare se siano corrette le modalità utilizzate dalla questura e dalla polizia di Perugia nel redigere verbali così gravi nella forma e nel contenuto, in quanto ad avviso dell'interrogante discriminatori e lesivi della dignità e della libertà degli attivisti, e quali iniziative intenda assumere nei confronti di chi ha redatto un verbale di questo tipo. (3-01109)


   FORMISANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   vari sindaci italiani hanno deciso di trascrivere nel registro di stato civile il matrimonio contratto all'estero tra coppie dello stesso sesso;
   l'atto ha suscitato varie reazioni, tra le quali quelle del prefetto di Roma che ha diffidato, facendo riferimento alla circolare del Ministero dell'interno di inizio ottobre 2014 ed alle attuali norme di legge, il sindaco di Roma a procedere alla trascrizione;
   lo stesso prefetto di Roma ha annunciato «nella sua veste di organo statale di vigilanza sui servizi anagrafici» che, qualora il sindaco non avesse desistito dalla trascrizione, si sarebbe potuto rendere necessario un intervento per cancellare l'atto, annullando, quindi, le eventuali trascrizioni;
   questa presa di posizione del prefetto non sembra, però, sostenuta da norme di legge chiare. Da più parti, infatti, si afferma l'assoluta inesistenza di un potere di procedere all'annullamento delle suddette trascrizioni, tanto in capo agli ufficiali di stato civile quanto, in via gerarchica, in capo al prefetto;
   dunque, è possibile ritenere, ad avviso dell'interrogante, che qualsiasi atto in tal senso potrebbe costituire non solo un atto di dubbia legittimità, ma anche una clamorosa invasione della sfera del potere giurisdizionale;
   il Ministero dell'interno e il prefetto di Roma sostengono, infatti, l'applicabilità dell'articolo 21-nonies della legge n. 241 del 1990, applicabilità che è, invece, quantomeno, molto dubbia. In primo luogo, infatti, il citato articolo 21-nonies fa riferimento al «provvedimento amministrativo», mentre è pacifico che le trascrizioni nel registro dei matrimoni in questione non sono provvedimenti amministrativi, bensì atti pubblici con effetto dichiarativo e di certificazione, in quanto la trascrizione del matrimonio non ha «natura costitutiva ma meramente certificativa e di pubblicità» (così Corte di cassazione, sentenza 15 marzo 2012, n. 4184);
   in secondo luogo, la disciplina dello stato civile portata dal codice civile e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000 rimette in via esclusiva al tribunale, su impulso del pubblico ministero, qualsiasi decisione circa l'eventuale cancellazione di un atto indebitamente registrato. Ciò è disposto dall'articolo 95 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000 in materia di ricorso contro le suddette trascrizioni e dall'articolo 69, comma 1, lettera e), del medesimo testo, ove – fra gli atti di cui è possibile fare annotazione nel registro degli atti di matrimonio – sono indicate solo le «sentenze con le quali si pronuncia l'annullamento della trascrizione dell'atto di matrimonio» ed i «provvedimenti di rettificazione», ma non altri atti con il medesimo effetto;
   occorre ricordare, inoltre, che la finalità della trascrizione non è quella di dare effetti, ma solo di fare pubblicità all'atto e consentire la certificazione del matrimonio. Si tratta, quindi, di due funzioni importanti per il funzionamento dell'ordinamento, per i terzi e le coppie che trascrivono;
   gli effetti del matrimonio, invece, sorgono in virtù della valida celebrazione nei Paesi dove ciò è possibile. Per i matrimoni tra persone dello stesso sesso, in Italia gli effetti non sono pieni, ma relativi. Infatti, questi matrimoni – che la Corte di cassazione, con la sentenza n. 4184 del 2012, definisce esistenti e validi – producono effetti limitatamente alle materie di competenza dell'Unione europea e in tutti i Paesi che li riconoscono –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per chiarire le competenze giuridiche dei prefetti nella situazione esposta in premessa, in modo da dissipare i dubbi, le incertezze e la poca chiarezza nelle competenze dei vari organi dello Stato. (3-01110)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'imprenditore di Reggio Calabria Tiberio Bentivoglio si è ribellato alla ’ndrangheta, rifiutandosi di pagare il pizzo e denunciando i suoi estorsori, nel frattempo condannati;
   dal 1992 è testimone di giustizia ma ha continuato a subire minacce, attentati, danneggiamenti e persino un tentato omicidio che oggi lo costringe a vivere sotto scorta;
   la sua attività imprenditoriale è ormai ad un passo dal fallimento, dopo che prima ben tre attentati dinamitardi ed incendiari hanno devastato il suo negozio e il magazzino, mandando in fumo milioni di euro di merci, poi seguito da un crollo del fatturato pari al 75 per cento, visto il sensibile calo di clienti, dovuto alla paura di frequentare il suo negozio;
   a tutto ciò si sono aggiunti lo sfratto esecutivo dai locali del negozio, Equitalia che gli ha notificato l'imminente vendita all'asta della sua casa e le banche che non gli accordano più alcun credito;
   il debito con Equitalia deriva dal mancato pagamento dei contributi Inps per i suoi dipendenti, scelta che l'imprenditore ha fatto pur di non licenziarli, in una Calabria dove la disoccupazione tocca cifre da capogiro;
   la legge 23 febbraio 1999, n. 44, nata con l'intento di proteggere le vittime delle richieste estorsive e dell'usura, prevedendo a tal fine anche l'istituzione di un fondo per i risarcimenti, ha dimostrato, con riferimento al caso di specie, tutte le sue lacune, sia per quanto riguarda la lentezza dei tempi per la concessione dei benefici economici, sia per l'esiguità degli stessi (all'imprenditore in questione sono stati versati appena sedicimila euro), sia per i tempi di sospensione dei procedimenti esecutivi a carico dei beneficiari della legge, troppo limitati nel tempo –:
   quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere con riferimento al caso dell'imprenditore di cui in premessa e quali strumenti, anche normativi, intenda adottare al fine di tutelare compiutamente le vittime della criminalità organizzata che aiutano lo Stato nella lotta contro la stessa. (3-01111)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'esigenza di assicurare un'adeguata protezione al territorio e una maggiore tutela alle persone è subordinata al delicato lavoro che viene svolto dai vigili del fuoco, soprattutto nel periodo estivo, durante il quale il loro coinvolgimento è ai massimi livelli;
   il corpo dei vigili del fuoco di Lamezia Terme risulta essere già vicino ad una situazione di collasso. Sono previsti, infatti, a decorrere dal 2015 significativi tagli ai quali si sommano quelli già effettuati precedentemente: depotenziare questo nucleo significa mettere a rischio la sicurezza del territorio, che è costituito essenzialmente da tratti costieri, laghi, fiumi e bacini artificiali;
   secondo quanto riportato dal Quotidiano della Calabria del 15 ottobre 2014 si evidenzia che il distaccamento del nucleo dei vigili del fuoco di Lamezia Terme risulta essere a rischio di declassamento dal gennaio 2015 a causa della riorganizzazione del Corpo;
   ad annunciare questo ennesimo taglio di presidi sul territorio, che causerebbe gravissime criticità per il lavoro svolto quotidianamente per garantire la sicurezza del territorio, è il presidente dell'associazione «Lamezia Libera», il quale ha annunciato che metterà in atto tutte le possibili azioni per contrastare i tagli che il Governo intende attuare sui vigili del fuoco;
   la città di Lamezia Terme possiede tutti i requisiti necessari per elevare di categoria il distaccamento di Caronte (area vasta di competenza comprendente 19 comuni, competenza stradale dallo svincolo di Pizzo Calabro a quello di Altilia Grimaldi, zona industriale più estesa del sud Italia, aeroporto internazionale, importante rete ferroviaria e autostradale e un'estensione di circa 160 chilometri quadrati con una popolazione di oltre 70.000 abitanti), invece viene declassata a differenza di altri centri che, con requisiti simili o inferiori, vengono potenziati;
   il distaccamento di Lamezia quindi sarà declassato e passerà da D3 con 52 uomini, 13 per ogni turno e due partenze, a D1 con 28 uomini, 7 per ogni turno, al pari di quelli esistenti in altri piccoli centri calabresi, tra cui Chiaravalle Centrale, Soverato e Sellia Marina –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali iniziative intenda promuovere per garantire la tutela del territorio calabrese e, in particolare, di quello lametino. (4-06495)


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   fenomeni come il bullismo e il vandalismo hanno sempre favorito l'aumento della violenza fra i più giovani. La microcriminalità che si viene a formare, nei paesi più poveri in cui c’è una forte disoccupazione o nelle periferie povere delle grandi città è diversa dalla microcriminalità ad opera di adolescenti che si trovano in condizioni agiate;
   alcune di queste bande sono riunite con un sistema gerarchico, risultando delle vere e proprie organizzazioni criminali con diramazioni sul territorio di tutta la penisola;
   una di queste bande ha colpito la città di Catanzaro, così come riporta un articolo pubblicato sulla Gazzetta del Sud il 16 ottobre 2014, in cui molti cittadini denunciano un incremento di scippi e furti negli appartamenti;
   i cittadini di Catanzaro lamentano che i furti negli appartamenti sono e continuano tranquillamente a proseguire nell'indifferenza generale di istituzioni e forze dell'ordine, l'ultimo pochi giorni fa in via Brigata;
   molti abitanti sono ormai costretti a vivere barricati in casa e a chiudere le porte a chiave anche quando sono nella propria abitazione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e se ritenga opportuno mettere in campo iniziative di vigilanza sul territorio e di contrasto alla microcriminalità che si sta riscontrando nella città di Catanzaro per dare una risposta concreta ai cittadini del capoluogo calabro. (4-06496)


   MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, prevede all'articolo 12, nell'ambito delle disposizioni volte al contrasto dell'immigrazione clandestina, il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, configurando due tipologie: il reato di favoreggiamento dell'ingresso illegale (comma 1) e quello di favoreggiamento della permanenza illegale dello straniero (commi 5 e 6). Il comma 1 dell'articolo 12 ha spessore e ambiti applicativi ben modesti e comunque di gran lunga inferiori rispetto alla fattispecie aggravata di cui al comma 3, prevedendo la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa di 15.000 euro per ogni persona. Mentre la «vera» struttura portante della disciplina penale in materia è senz'altro costituita dalla disposizione aggravata di cui al comma 3. Si tratta del favoreggiamento aggravato dell'immigrazione illegale, una figura che riproduce l'ordinario modo di manifestarsi del fenomeno perseguito. Il reato è punito, in caso di commissione di una delle fattispecie «aggravate» ivi previste, con la reclusione da cinque a quindici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona;
   è necessario colpire severamente coloro («scafisti», «affiliati» e altri) che sfruttano l'arrivo e lo sbarco degli stranieri e che svolgono un'attività volta ad assicurare la buona riuscita dell'operazione criminale e, in genere, di fiancheggiamento e di cooperazione con le attività direttamente collegabili all'ingresso di clandestini. Non si può ammettere che dei banditi possano trarre profitto da un vero e proprio mercimonio di persone. Tali criminali devono essere fermati senza indugio alcuno. Per bloccare la commissione di questi aberranti reati, che creano un gravissimo allarme sociale nell'opinione pubblica, lo Stato non ha altro mezzo che prevedere pene esemplari che consentano di dissuadere questi criminali, attuando così una politica chiara e coerente. L'effetto dissuasivo di pene severe nei confronti dei trafficanti di esseri umani consentirà, altresì, di restituire agli Stati oggetto di immigrazione il potere di controllare i flussi migratori verso il proprio territorio, piuttosto che essere costretti ad affrontare gli arrivi incontrollati, alimentati da organizzazioni criminali;
   da quanto si apprende dalle notizie riportate dagli organi di stampa ad un anno dall'inizio dell'operazione Mare Nostrum sono stati arrestati oltre trecento scafisti;
   considerate le complicazioni burocratiche e le lungaggini processuali del nostro Paese, non è chiaro, stando sempre alle informazioni riportate dagli organi di stampa se gli oltre trecento scafisti arrestati siano ancora in carcere e quanti siano stati ad oggi condannati –:
   quanti scafisti degli oltre trecento fermati nel corso dell'operazione Mare Nostrum siano ad oggi ancora in carcere, quante condanne siano state già comminate, quanti stiano scontando la pena, che tipo di sanzione sia stata loro applicata e se quelli ancora in attesa di giudizio siano trattenuti cautelativamente in carcere.
(4-06497)


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   dopo i fatti riguardanti l'alluvione di Genova che hanno creato disagi alla popolazione del capoluogo ligure, sul Quotidiano della Calabria del 2 ottobre 2014 viene riportata una notizia che allarma i cittadini di Montepaone che non vorrebbero ritrovarsi nella stessa situazione dei cittadini genovesi;
   i residenti del comune segnalano un problema ormai datato, il comune di Montepaone è stato messo a conoscenza di una grave situazione ambientale a causa di un fosso laterale accanto a delle abitazioni, un fosso mai pulito e pieno di canne, alberi e vegetazione spontanea;
   questo creerebbe, in caso di piogge insistenti, l'intasamento e il conseguente riversamento di queste acque nei condomini, come già successo in passato creando danni di rilievo, in quanto il fosso è già pieno di acqua;
   i residenti non capiscono perché, nonostante il pericolo segnalato ormai da tempo, ad oggi non si è provveduto a pulire questo fosso e aggiungono che se nessun provvedimento fosse adottato e malauguratamente si verificassero piogge insistenti, il pericolo di allagamento sarebbe imminente –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta e se ritenga opportuno intervenire immediatamente per evitare rischi per la pubblica incolumità anche alla luce di quanto accaduto nel capoluogo ligure e considerato che i cittadini stanno ormai segnalando da tempo la situazione di cui si tratta. (4-06501)


   GIANCARLO GIORDANO, SCOTTO, ZARATTI e PANNARALE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 29 agosto 2014 è stato firmato il decreto di convocazione dei comizi elettorali per eleggere il presidente e il consiglio provinciale di Avellino;
   il percorso di riordino delle province è segnato dalla legge 7 aprile 2014, n. 56 «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province sulle unioni e fusioni di comuni», in attesa della riforma del Titolo V della parte della seconda della Costituzione e delle relative norme di attuazione. La provincia diventa ente di area vasta di secondo livello, cambiando la modalità d'elezione degli organi, che non è più diretta ma diventa un'elezione di secondo livello. Le elezioni del consiglio e del presidente della provincia di Avellino si terranno giovedì 9 ottobre 2014 dalle 8 alle 20. Dall'attuazione della legge n. 56 del 2014 non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica;
   la Costituzione della Repubblica italiana nella parte prima al titolo IV articolo 48 garantisce la segretezza del voto «Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.» E dalla stessa fonte normativa legge 7 aprile 2014, n. 56 (articolo 1, comma 62 «Il presidente della provincia è eletto con voto diretto, libero e segreto.») il voto è libero e segreto. Tuttavia, le modalità di voto e le specifiche disposizioni disciplinanti la ponderazione di fatto smentiscono tali principi invalidando sia la libertà di voto (configurando un ipotetico vincolo di partito) sia la segretezza del voto;
   la provincia di Avellino è emblematica: solo il comune capoluogo appartiene alle fasce comprese tra i 30 mila e 100.000 abitanti e pertanto l'individuazione della scheda appare chiara e netta soprattutto perché nel caso dell'unico consigliere comunale appartenente al gruppo politico di SEL sarà facilissimo risalire al suo voto o meno per la stessa coalizione di liste civiche di riferimento –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo in rapporto al principio di cui all'articolo 48 della Costituzione, che sancisce la segretezza del voto in vista delle imminenti elezioni provinciali. (4-06502)


   AIRAUDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 17 ottobre 2014 a Torino diecimila lavoratori hanno sfilato nel corteo, indetto dalla Fiom e aperto dai lavoratori della De Tomaso insieme a quelli della Fiat, per protestare contro le politiche governative in materia di lavoro;
   contemporaneamente, si svolgeva anche il corteo degli studenti superiori ed universitari, scesi in strada per manifestare contro il vertice europeo dei ministri del lavoro, in corso di svolgimento al Teatro Regio. I circa 150 componenti del corteo studentesco sono partiti da piazza Arbarello e hanno puntato su piazza Castello. Ad aprire la loro marcia, c'era uno striscione con la frase «contro il vertice dell'ipocrisia. Scuola per tutti, precarietà per nessuno»;
   giovani e forze dell'ordine si sono fronteggiati in piazza Castello e alcuni manifestanti hanno tentato di rimuovere le transenne che delimitano l'area intorno al teatro Regio, dove si stava svolgendo il vertice europeo sul lavoro. In piazza Castello sono esplosi alcuni grossi petardi. Gli agenti hanno risposto lanciando i lacrimogeni e la polizia ha eseguito una carica di alleggerimento verso i manifestanti, che sono arretrati immediatamente;
   un dirigente di polizia, investito da uno scoppio, è caduto a terra per poi rialzarsi quasi subito. Alla fine, sono stati cinque i poliziotti rimasti feriti negli scoppi, tra cui anche il vicario del questore. Nel frattempo sei persone sono state portate in questura per diversi episodi di violenza;
   nonostante l'intervento di mediazione del servizio d'ordine del sindacato le tensioni sono continuate anche mentre parlava Landini. Alla fine lo stesso segretario ha criticato sia i dimostranti sia le forze dell'ordine: «Non è accettabile – ha detto al termine della manifestazione – che si tenti di utilizzare, rovinandola, una manifestazione che ha avuto a Torino un successo che non si vedeva da anni. Nello stesso tempo mi pare vi sia stata una gestione non utile della piazza da parte delle forze dell'ordine che hanno lanciato lacrimogeni su migliaia di persone quando ce n'erano cento da isolare»;
   sull'accaduto il segretario torinese della Fiom, Federico Bellono, ha chiesto un incontro urgente con il questore –:
   se non intenda verificare il comportamento delle forze dell'ordine nella gestione delle manifestazioni di cui in premessa;
   se non ritenga eccessiva la risposta delle forze dell'ordine con l'uso di lacrimogeni, a giudizio dell'interrogante, indiscriminatamente, su un corteo pacifico, invece di enucleare eventuali facinorosi.
   (4-06504)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Confederazione sindacale autonoma di polizia (CONSAP) si è rivolta al deputato interrogante per segnalare la situazione che si è creata da alcuni mesi presso la questura di Campobasso;
   dal mese di luglio 2014, il dottor Raffaele Pagano, dirigente superiore della polizia di Stato, è stato nominato questore reggente di Campobasso, provincia in cui è però teoricamente e formalmente preposta la più elevata qualifica di dirigente generale;
   la questura di Campobasso ha competenza nel relativo ambito provinciale (230.000 abitanti circa) dove risulta esservi un unico commissariato di pubblica sicurezza sito nella città di Termoli (CB);
   il numero complessivo del personale in servizio presso la suddetta questura e commissariato, nonché presso le sezioni di polizia giudiziaria esistenti presso le procure della Repubblica dei tribunali del capoluogo molisano e del comune di Larino, ammonta a circa 230 unità, ovvero sotto organico rispetto alle ordinarie attività proprie dei suddetti uffici;
   il questore reggente Raffaele Pagano, dal momento del suo insediamento, secondo quanto segnalato dalla CONSAP, ha inteso attuare una generale rivoluzione dell'intero apparato intervenendo drasticamente: sulle modalità di attuazione di consolidati e funzionali progetti consistenti in turni di straordinario per il raggiungimento di particolari obiettivi specifici dei servizi di polizia, effettuati su base volontaria, che hanno già comportato la mancata adesione di un consistente numero di operatori non escludendo l'aggravarsi di tale situazione nell'immediato futuro; sugli orari di servizio, disponendo variazioni a consolidate e funzionali tipologie ed articolazioni che nel tempo avevano consentito una proficua organizzazione (peraltro, alla luce delle innovazioni, risultano presentarsi negative ripercussioni sia sulle attività prettamente burocratiche che su quelle operative che potrebbero determinare ripercussioni anche sulla sicurezza in senso generale); sull'organizzazione degli uffici ovvero sulla movimentazione interna del personale operata talune volte in maniera impropria rispetto alle previsioni normative (mancanza di formali provvedimenti o in assenza di necessari doveri motivazionali) che hanno riguardato il personale dei diversi ruoli della Polizia di Stato nonché di quello civile del Ministero dell'interno in forza presso la questura di Campobasso;
   inoltre, sempre secondo quanto segnalato dalla CONSAP il questore reggente: intratterrebbe rapporti interpersonali con i suoi dipendenti censurabili dal punto di vista del rispetto della dignità dei singoli operatori e del corretto modo di agire, proprio di un'autorità provinciale di pubblica sicurezza; ha recentemente disposto l'impiego di personale dipendente per l'identificazione di un consistente numero di immigrati provenienti dal continente africano avvalendosi di una struttura (commissariato di Termoli) non idonea per la circostanza a causa degli esigui spazi e della mancanza di sale specifiche per l'accoglienza dei profughi, mettendo a repentaglio la sicurezza degli agenti che hanno operato in precarie condizioni di igiene e sicurezza;
   sempre secondo quanto segnalato dalla CONSAP, questa situazione avrebbe determinato un forte malcontento nel personale appartenente ai ruoli della polizia di Stato e dell'amministrazione civile del Ministero dell'interno, con conseguenze negative in ordine all'efficacia dei servizi, come peraltro evidenziato mediante comunicati anche da altre organizzazioni sindacali (SILP-CGIL, SAP, UGL-Polizia), al punto che è stata anche inviata richiesta al capo della polizia di Stato di valutare l'opportunità di inviare una accurata visita ispettiva per fare luce sulla vicenda –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga doveroso intervenire con gli strumenti a sua disposizione per ripristinare una situazione che consenta una adeguata tutela del lavoro degli operatori e della sicurezza della cittadinanza.
(4-06512)


   PICCHI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si apprende che in data 4 luglio 2014 l'amministrazione comunale di Certaldo ha diffuso una circolare relativa alle modalità con cui i consiglieri comunali devono presentate le istanze, inserendo tra le caratteristiche dell'accesso anche le motivazioni, di fatto impedendo o limitando il diritto degli stessi;
   questa circolare, con la quale l'amministrazione certaldese tenta una sintesi normativa tra la legge n. 241 del 1990, il testo unico n. 267 del 2000 e la legge n. 15 del 2005, è ampiamente superata dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, cosiddetto decreto trasparenza che, all'articolo 1 così recita: «La trasparenza è intesa come accessibilità totale delle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo, sul perseguimento delle funzioni e sull'utilizzo delle risorse pubbliche;
   lo scopo di questa norma è quello di favorire l'accesso totale alle informazioni tanto da consentire il controllo da parte della collettività sull'utilizzo delle risorse pubbliche e sul perseguimento dei fini istituzionali –:
   se intenda valutare la sussistenza di presupposti per assumere iniziative normative volte a disciplinare l'esercizio, da parte degli amministratori locali, della facoltà di acquisire da, informazioni e documenti concernenti il funzionamento delle pubbliche amministrazioni. (4-06518)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GHIZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 30 dicembre 2010, n. 240, all'articolo 18, comma 1, lettera b), stabilisce che ai procedimenti per la chiamata di un professore universitario non possano partecipare coloro che abbiano un grado di parentela o di affinità fino al quarto grado con un professore del dipartimento o della struttura che effettua la chiamata, ovvero con il rettore, con il direttore generale o con un componente del consiglio di amministrazione dell'ateneo (norma cosiddetta «antiparentopoli»);
   la lettera c) del medesimo comma estende il divieto di partecipazione a parenti e affini entro il quarto grado di professori del medesimo dipartimento o delle indicate autorità accademiche a tutte le procedure per il conferimento di assegni di ricerca o di contratti di ricercatore a tempo determinato o di contratti erogati a qualunque titolo dall'ateneo;
   l'articolo 24, commi 5 e 6, della medesima legge regola una diversa fattispecie di chiamata da parte di un ateneo di un professore di prima o di seconda fascia sulla base del possesso della relativa abilitazione scientifica e di una valutazione personale non comparativa, fattispecie che è riservata a ricercatori a tempo determinato ex articolo 24, comma 3, lettera b), ovvero a ricercatori o professori associati di ruolo già in servizio presso il medesimo ateneo, sia pure entro determinati limiti budgetari o di posti disponibili;
   pur mancando uno specifico riferimento all'applicazione del divieto di partecipazione di cui all'articolo 18, comma 1, lettere b) e c), anche alle chiamate di cui all'articolo 24, commi 5 e 6, sembra acclarato per ragioni logiche e giuridiche che esso valga per tutti i rapporti di lavoro a tempo determinato o indeterminato costituiti ai sensi della legge n. 240 del 2010, come del resto esposto in modo opportunamente argomentato nella nota ministeriale n. 21700 del 6 agosto 2014, a firma del capo del dipartimento per la formazione superiore e la ricerca, indirizzata all'università di Roma «La Sapienza»;
   la norma di divieto di partecipazione a parenti e affini entro il quarto grado di cui sopra risulta disattesa in alcune università per quanto riguarda le chiamate ex articolo 24, commi 5 e 6, della legge n. 240 del 2010, e come segnalato dal professor Eugenio Mazzarella con un intervento pubblicato sul Messaggero del 16 luglio 2014 –:
   se il Ministro non ritenga opportuno e urgente indirizzare a tutte le università la stessa nota interpretativa indirizzata all'università di Roma «La Sapienza» per chiarire definitivamente che il divieto di partecipazione di cui all'articolo 18, lettere b) e c), della legge 24 del 2010 si estende a tutte le procedure di chiamata dei professori, comprese quelle ex articolo 24 della medesima legge. (5-03827)

Interrogazione a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   essere diversamente abili e nascere nel Vibonese non è affatto vantaggioso, soprattutto se si frequentano le scuole superiori. Così è riportato in un articolo pubblicato sulla Gazzetta del Sud del 15 ottobre 2014;
   Raffaele Vitale, segretario provinciale della CISL di Vibo Valentia, evidenzia il disagio di uno studente portatore di handicap che frequenta una delle scuole superiori della città, in quanto sono presenti negli istituti sempre meno insegnanti di sostegno rispetto ad altre province calabresi, nonostante i ragazzi disabili non siano di meno;
   il rapporto che esiste tra le diverse province calabresi sul riconoscimento della disabilità da parte delle commissioni delle Asp risulta disomogeneo in quattro casi, Crotone, Cosenza, Catanzaro e Vibo Valentia, mentre assolutamente lontana da questi parametri è la provincia di Reggio Calabria;
   da un'analisi fatta su tutto il territorio calabrese è venuto fuori che mentre per Vibo Valentia il riconoscimento di un alunno disabile avviene mediamente nel rapporto 1/64, nelle province di Crotone, Cosenza e Catanzaro tale rapporto si attesta tra 1/50 ed 1/60, e nella provincia di Reggio Calabria si attesta ad 1/34;
   evidentemente esistono parametri diversi di riconoscimento della disabilità degli alunni nelle diverse Asp della regione Calabria;
   ciò comporta che un bambino riconosciuto disabile nella provincia di Reggio Calabria, a volte anche grave e quindi bisognoso di un insegnante di sostegno, nel caso di trasferimento in un'altra provincia calabrese potrebbe essere «declassato»;
   questa situazione ha comportato, di conseguenza, una diversa attribuzione dei posti di insegnante di sostegno e quindi minori immissioni in ruolo, minori trasferimenti interprovinciali e minori incarichi annuali –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione descritta in premessa e se ritengano opportuno assumere, per quanto di competenza, iniziative finalizzate ad assicurare la giusta presenza degli insegnanti di sostegno nelle scuole calabresi. (4-06499)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta immediata:


   GUIDESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA, RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   è notizia battuta dalle agenzie di stampa nei giorni scorsi quella che la legge di stabilità per il 2015 contiene, tra l'altro, il rifinanziamento degli interventi in favore dei forestali della Calabria e dei lavoratori socialmente utili di Napoli e Palermo;
   in particolare, sembrerebbe che il documento prevede l'autorizzazione di un contributo pari a 140.000.000 di euro a decorrere dal 2017 in favore dei forestali della Calabria e pari a 100 milioni di euro annui a decorrere dal 2015 in favore dei lavoratori socialmente utili di Napoli e Palermo;
   il sistema di reclutamento dei forestali in Calabria è stato spesso adottato come esempio di clientelismo politico e di spreco delle risorse pubbliche: trattasi di circa 10 mila forestali chiamati a sorvegliare un'area boschiva di 6.500 chilometri quadrati, «due volte e mezzo i ranger canadesi che sovrintendono a un patrimonio forestale di 400 mila chilometri quadrati», come tempo fa ha paragonato il quotidiano Il Giornale;
   secondo uno studio del 2011 della Commissione paritetica per l'attribuzione del federalismo fiscale un ettaro di foresta determina una spesa annua regionale di 597 euro in Calabria, che insieme a quella di 1.455 euro in Sicilia e di 410 euro in Campania, rappresenta il 75,5 per cento di tutte le regioni italiane, nonostante queste tre regioni mantengano complessivamente il 14,5 per cento delle foreste italiane. Di contro in Umbria, che ha il patrimonio boschivo più ampio d'Italia in rapporto all'estensione della regione, operano «solo» 650 operai forestali per 390.255 ettari di bosco, cioè circa 600 ettari a testa;
   parimenti anche i lavori socialmente utili di Napoli e Palermo rappresentano uno scandalo annoso, esempio classico di come un intervento di «emergenza» si possa trasformare in un finanziamento statale perenne: gli interventi prendono il via nel 1984 e da allora son sempre stati – vergognosamente – rifinanziati –:
   se i predetti stanziamenti trovino conferma e, in caso di risposta affermativa, per quali ragioni il Governo, nonostante la politica generalizzata di tagli alla regioni, destini ingenti risorse alle regioni di Campania, Calabria e Sicilia, peraltro a sostegno di una politica occupazionale fallimentare trasformatasi nel tempo in una sorta di ammortizzatore sociale stabilizzato. (3-01106)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano della Calabria del 13 ottobre 2014 viene riportata la notizia del mancato funzionamento di alcuni centri per disabili della regione Calabria;
   la situazione dei centri di assistenza per disabili situati nel territorio calabrese è arrivata pericolosamente vicina al punto di rottura, se la regione non provvederà immediatamente a saldare le spettanze arretrate dovute ai centri diurni (alcuni dei quali avanzano pagamenti anche da più di nove mesi) e non ripristinerò immediatamente la regolare erogazione delle rette;
   senza la necessaria attenzione della regione queste strutture, che svolgono una funzione sociale importantissima, in quanto assistono le persone portatrici di handicap e le loro famiglie nei disagi quotidiani, saranno costrette a chiudere, non potendo garantire la loro funzione sociale;
   in tempi di crisi questi centri diurni rappresentano per il territorio un altro valore aggiunto, garantiscono posti di lavoro. Questa situazione sta provocando disservizi nell'assistenza ai diversamente abili e sta mettendo a grave rischio la tenuta dei livelli occupazionali dei lavoratori interessati –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere al fine di assicurare il mantenimento dei livelli occupazionali dei centri diurni citati che erogano, tra l'altro, servizi minimi assistenziali, indispensabili per i cittadini in stato di difficoltà. (4-06500)


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2005 veniva annunciata la nascita di Ala, l'azienda che avrebbe completato la filiera della Otefal attraverso una fonderia e un reparto laminatoio. Nel 2007 Otefal sbarca in Sardegna e sigla un contratto d'affitto per la Ila. In questo periodo le cose sembrano andare bene. Nel 2009, l'Otefal riavvia l'attività a solo un mese dal sisma. Ma iniziano i problemi, fino all'ingresso, nel 2010, nella procedura concorsuale. Nel 2012 si firma l'accordo con i siriani della Madar, che affittano il sito e ricollocano i lavoratori;
   questa situazione dura poco perché non viene bandita la gara per la vendita, i siriani lasciano e i lavoratori finiscono in mobilità;
   oggi il destino dei 172 lavoratori della ex Otefal di Bazzano appare davvero grave;
   dopo la terza asta andata deserta è evidente che si va verso la vendita dell'Otefal a un prezzo che si avvicina sempre più all'offerta formulata nel 2012 da un gruppo austriaco, che si aggirava intorno ai 5 milioni di euro poi lasciata cadere nella procedura concorsuale. Le ultime novità riguardano l'interesse manifestato da una cordata spagnola, che ha presentato un'offerta d'acquisto, illustrandola al sindaco: di concreto però non c’è nulla e i dipendenti non hanno a tutt'oggi nessuna garanzia per il loro futuro –:
   se non ritenga necessario promuovere una iniziativa urgente con le parti sociali e gli enti locali per cercare soluzioni produttive e occupazionali e scongiurare questo dramma occupazionale.
(4-06506)


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nei mesi passati, la spa Lfoundry azienda di Avezzano (Aq) che occupa circa 1400 persone, ha sempre anticipato ai lavoratori i fondi spettanti al Ministero, ma ora ha dichiarato di non essere più disposta a questa facilitazione nei confronti dei suoi lavoratori. Questo comporta per i dipendenti in contratto di solidarietà il rischio a fine mese di avere solo una parte dello stipendio;
   se non arriverà il via libera del Ministero l'azienda pagherà solo la sua parte e per la restante i lavoratori dovranno aspettare i mesi successivi. Il problema riguarda anche migliaia di altri lavoratori italiani che usufruiscono degli ammortizzatori sociali;
   nei giorni scorsi l'azienda ha incontrato i sindacati per discutere la mobilità incentivata aperta in primavera per 120 dipendenti;
   per questo durante il tavolo è stato deciso di aprire un osservatorio tecnico nel quale si studieranno i vari casi e si deciderà come e dove spostare i dipendenti per rimpiazzare i posti lasciati liberi;
   inoltre, verrà monitorata da dirigenza e sindacati anche la struttura della nuova turnazione — 3 giorni di lavoro e 5 di riposo — che deve essere modellata secondo le esigenze aziendali –:
   se non intenda, in tempi brevi, firmare il decreto per i contratti di solidarietà e sbloccare le risorse necessarie ed evitare di lasciare senza stipendio i lavoratori dell'azienda per svariati mesi.
(4-06507)


   CIRIELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   un documento sindacale dell'UGL del 18 luglio 2014 denuncia la grave situazione che ha investito numerosi professionisti dell'ex Inpdap, oggi Inps;
   in particolare, con delibera n. 1090 del 1999 veniva istituito il primo regolamento per l'erogazione di mutui ipotecari edilizi a tassi agevolati, per l'acquisto della prima casa, a favore dei dipendenti pubblici iscritti all'Ente previdenziale;
   l'Inpdap chiedeva la disponibilità ai propri dipendenti, in possesso delle necessarie competenze tecniche, ad effettuare le perizie sugli immobili su cui i dipendenti pubblici dello stesso ente chiedevano di accendere al mutuo, precisando che tale incarico doveva essere svolto al di fuori dell'orario di lavoro e il pagamento della somma per la redazione di ciascuna perizia tecnica era interamente a carico del mutuatario;
   successivamente, con approvazione del nuovo regolamento con determina presidenziale n. 362 del 23 settembre 2011, attualmente in vigore, gli oneri a carico dei mutuatari per le prestazioni richieste venivano ridimensionati in euro 300,00 a perizia, indipendentemente dal valore dell'immobile oggetto di stima, da versare su un apposito conto corrente, per poi essere liquidati a ciascun tecnico con cadenza quadrimestrale;
   l'Inps ha sempre «girato» le somme percepite dai mutuatari ai periti in busta paga, al netto di ogni tassazione, provvedendo a qualificarle quale compenso servizi speciali non tassabile, fino al 2013 quando l'ente dapprima ha fatto confluire tali somme all'interno della retribuzione ordinaria, sottoponendole a tassazione ordinaria, e in seguito, in maniera a giudizio dell'interrogante del tutto ingiustificata e arbitraria, ha totalmente omesso di erogare tali rimborsi ai dipendenti (in relazione alle perizie effettuate nel II quadrimestre 2013);
   nonostante le somme continuino ad essere puntualmente versate all'istituto dagli utenti richiedenti l'accesso ai mutui ipotecari edilizi, le stesse verrebbero pertanto trattenute ad avviso dell'interrogante indebitamente, sul conto senza che si ottemperi in ordine alla loro prevista utilizzabilità nonché a destinazione delle medesime;
   come se ciò non bastasse, con semplice comunicazione del febbraio 2014 della direzione centrale, in assenza di qualsivoglia determina dirigenziale, l'Inps avrebbe stabilito la restituzione di tutte le somme percepite dai tecnici incaricati per le perizie effettuate dal luglio 2011 all'agosto 2013;
   come si legge nella denuncia dell'UGL, l'ente precisava, altresì, che, in assenza di pagamento, avrebbe provveduto unilateralmente ad operare il recupero delle somme mediante trattenuta diretta in busta paga in 120 rate con l'aggravio degli interessi legali;
   non risulta chiaro dove vadano a finire le somme pagate per le perizie e quelli trattenute ai professionisti Inps coinvolti, posto che, non essendo intervenuta alcuna modifica del regolamento, l'ente continua a far versare ai mutuatari l'importo di 300 euro per l'espletamento della perizia;
   a quanto consta all'interrogante numerosi sono i casi in cui i tecnici dell'Inps hanno ottenuto provvedimenti di ingiunzione nei confronti dell'ente, ma ad oggi l'assurda vicenda non sembra aver trovato soluzione –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, quali iniziative ritenga opportuno adottare per verificare la legittimità delle decisioni unilateralmente assunte dall'amministrazione e, nel caso, onde fermare le pesanti ripercussioni che i lavoratori si trovano oggi a dover subire, attivare tutte le procedure necessarie affinché i dipendenti dell'Inps coinvolti possano avere il ripristino, nei tempi più celeri possibili, della parte economica decurtata. (4-06515)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha approvato il 15 ottobre 2014 una lettera rettificativa al progetto di bilancia 2015 nella quale chiede al Consiglio e al Parlamento europeo di stralciare fondi per quasi mezzo miliardo di euro dal bilancio agricolo per la gestione della PAC 2015 al fine di sopperire alla mancanza di liquidità necessaria per sostenere altre politiche europee, quali il programma energetico europeo, il programma Horizon 2020 e interventi di cooperazione con Paesi terzi in materia di gestione dei flussi migratori;
   a seguito di tale decisione le misure d'urgenza a favore degli agricoltori unionali derivanti dall'embargo imposto dalla Federazione russa, stimate in circa 340 milioni di euro, devono essere finanziate attraverso il ricorso alla riserva di crisi di cui al regolamento 1306/2013 costituita mediante l'applicazione di una riduzione dei pagamenti diretti con il meccanismo della disciplina finanziaria che tuttavia riguarda non tutti gli Stati membri ma solo alcuni;
   è evidente che una tale scelta, sebbene imposta dalla disciplina di bilancio, penalizza enormemente il comparto primario il quale risulta doppiamente colpito dagli effetti di una crisi che non ha in alcun modo contribuito a creare, considerato che parte delle risorse «spostate» dal bilancio agricolo a favore di altre politiche va anche a potenziare il sostegno al programma di stabilizzazione e di pacificazione dell'Ucraina;
   sebbene tutte le politiche unionali siano egualmente importanti e necessarie, tanto più quelle rivolte a creare condizioni stabili nei Paesi limitrofi nel loro interesse e in quello degli Stati membri, la sottrazione di risorse alle imprese agricole già in forte difficoltà appare agli interpellanti una scelta priva di qualsiasi logica e contraria agli interessi di molti Stati membri, in primis dell'Italia –:
   se non ritenga di dover esprimere la totale contrarietà dell'Italia alla rettifica al bilancio 2015 e di intraprendere ogni iniziativa, anche in qualità di Presidente del Consiglio dei ministri dell'agricoltura dell'Unione europea, affinché il Consiglio non accolga la proposta dell'Esecutivo comunitario.
(2-00724) «L'Abbate, Gallinella, Massimiliano Bernini, Benedetti, Gagnarli, Lupo, Parentela, Villarosa».

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riporta l'articolo pubblicato il 19 ottobre 2014 dal quotidiano economico: «Il Sole 24 Ore», a partire dal 7 agosto 2014, l'embargo stabilito dalla Federazione russa, nei riguardi dei prodotti europei e americani, a seguito delle iniziative sanzionatorie intraprese dall'Unione europea, come risposta alla mancanza di segnali della fine del sostegno russo alle forze separatiste che operano in Ucraina, ha causato un crollo delle esportazioni di prodotti agricoli italiani pari al 63 per cento, in particolare: latte, frutta e verdura, carni suina e avicola, formaggi, salumi e pesce;
   l'analisi sugli effetti dell'embargo presentata dalla Coldiretti, al forum internazionale dell'agricoltura e dell'alimentazione presentata a Cernobbio, descritta dal medesimo articolo di stampa, evidenzia inoltre, che l'inasprimento delle misure restrittive nei riguardi della Russia, come risposta alla mancanza di segnali della fine del sostegno russo, alle forze separatiste che operano in Ucraina e in Crimea, ha determinato un rilevante aumento della produzione locale di prodotti agroalimentari «taroccati»: dal «salame — Italia», alla mozzarella «Casa Italia», all'insalata «Buona — Italia», alla «Robiola Unagrande»;
   il calo delle esportazioni nei confronti della Federazione russa, dei prodotti del made in Italy, ha coinvolto fra l'altro tutti i settori: dall'agroindustria, al tessile (-24,8 per cento), dai mezzi di trasporto (50,1 per cento), ai mobili (-17,8 per cento), dai farmaceutici (-32,3 per cento), agli apparecchi elettrici (-15,9 per cento);
   l'indagine dell'associazione agricola ha rilevato inoltre un ulteriore aspetto indubbiamente negativo sia d'immagine che economico, per il comparto agroalimentare italiano, connesso al numero delle frodi alimentari, all'interno del nostro Paese la cui crescita dimensionale, dal 2008 fino ad oggi, secondo quanto evidenziato dai Nas, è quadruplicata, con un incremento record di sequestri pari al 277 per cento di cibi e bevande contraffatte o adulterate;
   i suindicati dati, a giudizio della medesima associazione, confermano la necessità di stringere le maglie troppo larghe della legislazione in materia, a partire dall'obbligo di indicare in etichetta la provenienza della materia prima impiegata e in senso più generale, intervenire in maniera più rigorosa al fine di introdurre norme più severe per scoraggiare il persistente e diffuso fenomeno delle pratiche scorrette e fraudolente nel settore agroalimentare del made in Italy;
   l'interrogante evidenzia, come gli effetti collaterali che hanno determinato il blocco dei prodotti agroalimentari italiani in Russia, stimata in circa 200 milioni di euro, oltre al danno diretto dovuto alle mancate esportazioni, rischiano di accentuare anche un danno indiretto: i maiali tedeschi, ad esempio, che normalmente vengono spediti in Russia, d'ora in poi potrebbero verosimilmente giungere in Italia, causando evidenti danni per gli allevatori e per i consumatori italiani, in considerazione del fatto che queste carni e questi derivati del maiale, infatti, vengono spesso spacciati come prodotti made in Italy, a causa dell'inaccettabile introduzione dell'indicazione obbligatoria nell'indicare la provenienza in etichetta;
   l'impatto derivante dalle conseguenze negative e penalizzanti dello stop alle importazioni dei prodotti agroalimentari italiani da parte della Russia come risposta alle misure punitive varate in particolare dall'Unione europea, Usa, che prevedono un embargo totale sui prodotti italiani, in precedenza indicati, richiedono a parere dell'interrogante, una serie di interventi urgenti anche di monitoraggio, a tutela del comparto agroalimentare italiano, che meglio di tanti altri settori ha retto agli effetti della crisi economica tutt'altro che risolta –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e se, in considerazione della situazione negativa determinatasi con il blocco delle esportazioni per i prodotti agroalimentari italiani, non ritenga opportuno prevedere nei prossimi interventi normativi misure di agevolazione fiscale, volte a compensare le perdite economiche per le imprese agroalimentari italiane interessate dall'embargo. (4-06494)


   GAGNARLI, BENEDETTI e GALLINELLA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   un recente filmato realizzato dalla Four Paws International fotografa la situazione di numerosi allevamenti italiani di bufali concentrati principalmente nel casertano e nel salernitano, zone in cui viene prodotta la mozzarella di bufala campana DOP;
   l'indagine portata avanti dall'associazione è durata circa due anni e si è conclusa nell'agosto del 2014 con la denuncia di uno stato di emergenza – sia in termini di tutela del benessere animale che di condizioni igienico/sanitarie – nel quale gli animali vivono all'interno dei circa 50 allevamenti documentati nel filmato;
   i bufali maschi, considerati uno «scarto» vengono spesso uccisi sin da piccoli, lasciando sopravvivere solo gli esemplari utili per una futura procreazione, e se non uccisi immediatamente, sono lasciati morire di fame e di sete e lasciati per giorni vicino agli esemplari ancora vivi – o peggio, alle loro stesse madri –, annegati nei liquami, colpiti con mazze e bastoni o caricati a calci su mezzo di trasporto;
   la LAV — Lega italiana antivivisezione stima che ogni anno vengono uccisi senza necessità circa 70 mila vitelli maschi, inutili per la produzione della mozzarella e la cui carne non è di rilevante interesse economico; molto spesso i bufali non vengono neanche registrati all'anagrafe bufalina e le loro tracce si perdono prima ancora dell'effettiva scomparsa, facendo ipotizzare operazioni di abbattimento e smaltimento irregolare degli esemplari;
   anche le bufale da latte necessitano di una cura specifica che, nella maggior parte degli allevamenti documentati, non viene attuata: gli allevatori non praticano nessuna idratazione della pelle dell'animale, che ha necessità di rimanere sempre umida e nessun bagno di fango, necessario ad una corretta termoregolazione dell'animale, poiché le bufale hanno pelli più spesse e un minor numero di ghiandole sudoripare rispetto alle mucche;
   come si evince dal filmato di Four Paws, spesso, inoltre, le bufale vivono in spazi angusti, senza possibilità di pascolare all'aperto e a volte anche tra i loro stessi escrementi, e presentano problemi di deambulazione a causa della crescita di zoccoli non curati;
   è evidente che gli allevamenti di bufala si sono sviluppati secondo una filosofia di mercato che li porta ad essere delle vere e proprie catene di montaggio da fabbrica senza considerare che l'allevamento è costituito da esseri viventi e senzienti: i bufali servono solo alla riproduzione e poi vengono abbandonati e uccisi, le bufale sono considerate solamente macchine da latte;
   la bufala campana, considerato prodotto di eccellenza del mercato italiano, non dovrebbe certo sottendere una situazione vergognosa come quella che, agli occhi degli interroganti, appare quella descritta nella denuncia di Four paws International –:
   se il Governo, sulla base di quanto esposto in premessa, abbia ritenuto opportuno procedere, per quanto di competenza, alla verifica di quanto denunciato dalla Four Paws International e della LAV;
   se, sulla base di quanto esposto in premessa, non si ritenga opportuno l'avvio di un piano di controlli negli allevamenti e nei caseifici di bufale italiani, al fine di assicurare che vengano rispettate le norme minime di tutela del benessere animale all'interno degli allevamenti di bufali, così come previsto dalla legislazione europea e nazionale, vengano scongiurate le uccisioni dei bufalini e siano assicurate cure igieniche e veterinarie adeguate delle bufale;
   se non si ritenga opportuno, per quanto di competenza e con la collaborazione degli organi di controllo previsti dalla legge, verificare presso l'anagrafe bufalina la discrepanza tra il numero di esemplari maschi e quello di esemplari femmine, avviando, in caso di sospetti di condotte illegittime, eventualmente un controllo sulla natalità e sulla regolarità del processo di abbattimento e smaltimento dei bufali. (4-06510)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   l'articolo 32 della Costituzione italiana tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana;
   l'azienda ospedaliera RMC opera all'interno di una vasta area della città di Roma comprendendo il territorio di 4 municipi della città, per un'area di oltre 250 chilometri quadrati e una popolazione pari a circa 600.000 abitanti. All'interno di tale vasta area opera il polo regionale ospedaliero Sant'Eugenio CTO «Andrea Alesini»;
   la situazione in cui versa tale polo ospedaliero è assolutamente preoccupante; in particolare per l'ospedale Sant'Eugenio, sono stati segnalati dai cittadini e dalle associazioni del territorio i seguenti disservizi:
    dal 4 aprile 2014 il servizio di medicina nucleare è stato sospeso in quanto il responsabile della sicurezza dell'azienda ospedaliera ha segnalato alcune importanti carenze, tanto da rendere obbligatoria la chiusura immediata del servizio. Ad oggi, nonostante alcune assicurazioni verbali da parte del direttore della ASL e del Presidente della regione Lazio, i lavori di messa a norma non sono stati avviati e non risulta agli atti degli uffici tecnici dell'ospedale, nessun progetto di ristrutturazione approvato;
   il reparto di ematologia, che comprende la terapia intensiva e il reparto di trapianto di midollo, attende da mesi la ristrutturazione più volte annunciata ma mai partita. Questo costringe i medici e gli operatori ad accogliere i pazienti in locali ormai fatiscenti e fuori norma, tant’è che si nutrono dubbi per il prossimo accreditamento della struttura;
   il reparto di radiologia da mesi esegue prestazioni limitate ai soli ricoveri interni, mentre per malati esterni, vi sono lunghe liste con attesa di almeno 5 mesi per TAC e risonanze magnetiche;
   per la medicina oncologica, a quanto risulta all'interpellante, si prevede la chiusura del reparto nel mese di novembre 2014 attraverso il trasferimento del servizio in altri ospedali della città di Roma con evidenti disservizi per i pazienti in cura;
   il pronto soccorso del Sant'Eugenio accoglie già da tempo anche le urgenze provenienti dall'ospedale CTO il quale si sta avviando sempre più ad una specializzazione solamente per la medicina d'urgenza relativa all'ortopedico. Tale scelta ha sovraccaricato il pronto soccorso del Sant'Eugenio per il quale si registrano ore di attesa per ricevere le prestazioni mediche. In generale, in molti reparti si evidenzia una lenta riduzione dei posti letto soprattutto per la mancanza di medici ed infermieri e in particolare nei reparti di psichiatria, chirurgia d'urgenza, urologia, medicina;
   pertanto, è evidente che dalla descrizione evidenziata manca un piano coordinato di ristrutturazione dei reparti che metta in condizione il territorio di capire quale destinazione avrà l'ospedale Sant'Eugenio e soprattutto non è stata data ai cittadini fruitori dei servizi ospedalieri in questione, informazione sufficiente sui tempi di riutilizzo delle strutture sanitarie chiuse –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle circostanze critiche e preoccupanti riportate in premessa e quali siano le iniziative che intende porre in essere, nell'ambito delle proprie competenze e anche per il tramite del Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, per verificare e chiarire la situazione, assicurando il pieno funzionamento del polo regionale ospedaliero Sant'Eugenio — CTO, e accertando che i servizi siano ripristinati nel più breve tempo possibile;
   se il Ministro rendere pubbliche tutte le informazioni eventualmente acquisite al fine di dare massima trasparenza alle modalità con cui i servizi sanitari siano stati gestiti in questa particolare circostanza.
(2-00725) «Brunetta, Abrignani».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BINETTI. — Al Ministro della salute, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1 della legge 29 ottobre 2005 n. 229, ed il successivo decreto ministeriale 2 ottobre 2009, n. 163, contengono le procedure finalizzate al riconoscimento e alla successiva corresponsione dell'indennizzo ai soggetti affetti da sindrome da talidomide;
   si devono purtroppo registrare alcune erronee valutazioni delle richieste effettuate da alcuni soggetti che avrebbero avuto pieno diritto a veder accolte subito le loro richieste dalle rispettive commissioni medico-ospedaliere;
   alcune persone che hanno effettuato la visita non sono state riconosciute come soggetti danneggiati, perché colpite «solo» monolateralmente;
   una circolare del Ministero della salute datata 29 luglio 2010, basata su un parere dell'Istituto superiore di sanità del 1o luglio 2010 chiariva che la focomelia da talidomide era sempre bilaterale, mentre il 24 settembre 2010 il Ministero della difesa – dipartimento sanità – ha emesso una propria circolare inviata alle commissioni medico ospedaliere con delle linee guida concernenti l'indennizzo a favore dei soggetti affetti da sindrome da talidomide in cui non si tiene conto della bilateralità e si restringono a 3 le condizioni per cui essere/non essere riconosciuti come soggetti colpiti da talidomide;
   nella stessa circolare il Ministero della difesa invitava le proprie commissioni medico-ospedaliere a richiamare chi era già stato visitato e trattato con criteri diversi, ma la maggior parte dei soggetti interessati non sono stati richiamati per controllo;
   a quanto risulta all'interrogante, in alcuni casi i referti radiografici non sarebbero stati interpretati correttamente e, rifacendosi alla circolare del Ministero della salute del 29 luglio 2010, basata sul parere dell'Istituto superiore di sanità del 1o luglio 2010, si sarebbe ritenuto che la patologia in questione non fosse compatibile con l'assunzione della talidomide, perché interessava solo la porzione distale degli arti inferiori, mentre un semplice esame obiettivo avrebbe facilmente dimostrato il contrario;
   in altri casi, il Ministero della salute non ha ritenuto di effettuare rettifiche rispetto ad una prima notifica negativa, in quanto il procedimento instaurato con la prima domanda era già concluso;
   sempre a quanto consta all'interrogante, un altro soggetto non avrebbe avuto il riconoscimento della sindrome da talidomide, perché, sul certificato rilasciato dalla Commissione invalidi civili della propria ASL vi era scritto che era affetto da «disformismo congenito degli arti superiori» e la commissione medico-ospedaliera competente, facendosi fuorviare da quanto scritto su tale certificato, non sarebbe stata in grado di riconoscere un soggetto chiaramente e visibilmente colpito da ectromelia o meglio, da focomelia bilaterale;
   in tutta Italia sono state presentate circa 250/300 richieste di indennizzo ed è chiaramente documentabile che i soggetti esclusi avessero le medesime certificazioni sanitarie di numerosi altri soggetti che hanno già ottenuto da altre commissioni medico-ospedaliere il riconoscimento della sindrome da talidomide;
   il punto centrale è che nei casi citati le commissioni medico-ospedaliere competenti hanno compiuto errori di valutazione e, a giudizio dell'interrogante, disatteso le direttive impartite con le circolari del 24 settembre 2011 e del 28 febbraio 2011 dal proprio comando logistico;
   di fatto con una sorta di cortocircuito burocratico le persone escluse non possono presentare una seconda domanda perché nel loro caso non è stata acquisita nuova documentazione da presentare;
   sarebbe opportuna, invece, una revisione delle iniziali valutazioni errate, che hanno condizionato tutto l’iter successivo delle richieste –:
   quali soluzioni si intendano attuare per offrire soluzioni idonee a persone che hanno il diritto di veder riconosciuti i propri diritti in tempi ragionevoli, considerando la gravità delle conseguenze scaturite dall'errore iniziale di cui sono stati doppiamente vittime i soggetti interessati, prima perché colpiti dalla talidomide e poi perché incorsi in una iniziale valutazione erronea. (5-03828)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Gazzetta del Sud del 15 ottobre 2014 riporta la notizia della chiusura del centro trasfusionale dell'ospedale di Lamezia Terme;
   il commissario al piano di rientro dottor Luciano Pezzi ha convalidato il decreto che dispone la ristrutturazione del servizio trasfusionale in Calabria e che prevede la chiusura del centro nell'ospedale lametino;
   il decreto n. 58 del 2014, che stabilisce la ristrutturazione del servizio trasfusionale, potrebbe non risultare valido perché firmato da Giuseppe Scopelliti (ex governatore della Calabria) dopo la sua decadenza;
   nel caso in cui dovesse andare in vigore, il decreto produrrà il declassamento del servizio trasfusionale dell'ospedale lametino in una emoteca dipendente dall'ospedale di Catanzaro e sarà aperta solo sei ore al giorno;
   dopo questa notizia si sono mosse diverse associazioni e autorevoli personalità cittadine, tra le quali Nicolino Panedigrano del comitato «Salviamo la sanità lametina», che sostiene che si stia penalizzando immotivatamente l'efficiente e glorioso centro trasfusionale cittadino;
   il disagio creato riguarda soprattutto i pazienti ma anche i dipendenti costretti a spostarsi per poter lavorare –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenze della situazione descritta in premessa e se ritenga opportuno, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro, intervenire impedendo la chiusura del centro trasfusionale di Lamezia Terme. (4-06505)


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
    sulla Gazzetta del Sud del 20 ottobre 2014 viene riportata la notizia della chiusura del centro per la prevenzione, la diagnosi e la cura dell'obesità «Carmine Ionadi» di Nicotera, in provincia di Vibo Valentia;
   la notizia della chiusura del centro per la diagnosi e la cura dell'obesità giunge a Nicotera durante il convegno sulla dieta mediterranea, tenutosi pochi giorni prima. Forse non solo questioni di risparmio alla base della scelta della chiusura, accolta negativamente dall'intera cittadinanza;
   la chiusura del centro, inaugurato presso la struttura sanitaria nicoterese nel 2007, in collaborazione con la cattedra di nutrizione clinica, terapia parenterale e anoressia nervosa dell'università di Tor Vergata di Roma, diretta dal professor Antonino De Lorenzo avviene in un momento particolare e meno propizio, quando nella cittadina vibonese si inizia concretamente a parlare di dieta mediterranea della vita del Paese;
   durante il convegno «Dieta Mediterranea, Expo 2015», è stata resa pubblica la notizia della chiusura imminente del centro. La cittadinanza, particolarmente sensibile a questa tematica e gli operatori del settore hanno lanciato un monito affinché venga riattivato il servizio, anche in considerazione delle 4.452 prestazioni effettuate dal 2007 ad oggi che hanno determinato una entrata che oscilla tra gli 80 e i 110 mila euro per l'Asp, che, a sua volta, ne avrebbe speso solo 40 mila;
   negli ultimi tempi la struttura sembrava essere considerata da tutta la popolazione del luogo l'eccellenza del settore, ma sarebbe stata poco considerata dall'Asp, che a quanto consta all'interrogante non ha adeguatamente valutato il grave problema socio-sanitario dell'obesità e la valenza medica della struttura –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa se l'annunciata chiusura del centro di eccellenza sia da imputare a esigenze di razionalizzazione della spesa derivanti dal piano di rientro dai disavanzi sanitari, e quali eventuali iniziative possano essere assunte con la massima solerzia, per evitare che questo centro di eccellenza del territorio possa chiudere. (4-06516)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   come è noto, anche a seguito di interventi normativi approvati da questo Parlamento, la Società ILVA con sede in Taranto, soggetta all'attività di direzione e coordinamento di Riva Fire spa, si trova attualmente sottoposta a commissariamento straordinario ai sensi di quanto previsto dal decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 89;
   benché i media abbiano spesso focalizzato l'attenzione sulla necessità, legittima, di tutelare i lavoratori dell'ILVA, occorre parimenti riconoscere l'esistenza di un notevole numero di aziende ed artigiani (più di tremila) che sono a loro volta fornitori della società, il cosiddetto «indotto» e che contrariamente a quanto si pensa comunemente, solo in piccola parte, meno del 40 per cento, hanno la loro sede nell'area tarantina e pugliese;
   questa enorme realtà produttiva merita di essere tutelata, in quanto a propria volta consiste di lavoratori e posti di lavoro che sono stati posti a rischio dalla crisi dell'ILVA al pari dei dipendenti diretti;
   i provvedimenti prima giudiziari, poi legislativi e oggi commissariali che si sono succeduti nella gestione dell'ILVA hanno alterato profondamente la gestione finanziaria dell'azienda, bloccando dapprima e poi rallentando enormemente il sistema dei pagamenti delle forniture rispetto alla loro naturale scadenza; ad oggi si registrano debiti da fornitura di durata pari o superiore ad un anno, in alcuni casi;
   risulta, in base a documenti pubblicati anche sul sito internet della società, che dal 19 settembre 2014 sarebbero in corso i pagamenti dei fornitori dell'ILVA che hanno la sede nella provincia di Taranto. La scelta appare agli interpellanti di dubbia legittimità ed inspiegabilmente lesiva dei basilari principi di eguaglianza dei creditori, a maggiore ragione se perpetrata da un commissario di nomina governativa e, come riportato dal sito su istanze di «autorità istituzionali e religiose» e con il placet di Confindustria, per far fronte allo stato di crisi, che sta colpendo tutto il Paese e non certo la sola provincia di Taranto;
   nulla al momento è stato in grado di garantire il Governo, attraverso il proprio commissario, riguardo ai tempi e alle certezze dei pagamenti delle altre aziende non pugliesi che sono in sofferenza a causa del mancato pagamento dei propri debiti da parte dell'ILVA –:
   quali misure intenda assumere il Ministro interpellato, anche per tramite del commissario, per garantire uguaglianza di trattamento a tutte le aziende che lavorano con ILVA, indipendentemente dalla loro sede geografica, e in quali modi e tempi saranno saldati i debiti pregressi verso tutti i fornitori.
(2-00723) «Prataviera, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Simonetti».

Interrogazioni a risposta scritta:


   L'ABBATE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo vetrario Sangalli rappresenta il primo produttore di vetro piano in Italia (copre circa il 30 per cento del mercato), con siti produttivi a Monte Sant'Angelo (FG) e San Giorgio di Nogaro (UD), con una produzione di circa 1.300 tonnellate al giorno ed impiegando complessivamente oltre 400 addetti. Res nota est che tale Gruppo versi in grave dissesto finanziario;
   quasi tutte le società del Gruppo (in particolare Sangalli Vetro Manfredonia — già Manfredonia Vetro, Sangalli Vetro, Sangalli Vetro Porto Nogaro, Sangalli Vetro Satinato) hanno ricevuto contributi pubblici in conto capitale (e non) sia grazie ai tre Protocolli al contratto d'area di Manfredonia sia grazie a risorse del Fondo di rotazione per iniziative economiche del Friuli Venezia Giulia, come dimostrato dalla presenza di Friulia spa al 35 per cento nel capitale sociale di una delle anzidette società. La finanziaria regionale Friulia spa, come è noto, opera soltanto con l'ausilio di un patto parasociale che, in questo caso, è stato disdettato e poi rinnovato;
   in aggiunta ai finanziamenti di cui sopra, a fine 2013, Sangalli Vetro Manfredonia è stata ammessa al beneficio di ulteriori agevolazioni dalla regione Puglia per euro 6.889.323,60 quale contributo al rifacimento del forno float. Va, tuttavia, tenuto presente però che l'Unione europea fissa un tetto massimo ai contributi pubblici per la regione Puglia nella misura del 70 per cento delle somme ammesse a contributo;
   ad oggi, le condizioni finanziarie del Gruppo sono di sofferenza se non addirittura di insolvenza, in quanto al 31 dicembre 2013 gli amministratori riportavano un indebitamento verso gli istituti di credito per 128,4 milioni di euro, superiore al fatturato complessivo che risulta in peggioramento rispetto all'esercizio precedente, con perdite complessive per 11,3 milioni di euro relative all'esercizio 2013;
   al 13 ottobre 2014, l'impianto più moderno e più remunerativo del Gruppo, appartenente alla società Sangalli Vetro Magnetronico di Monte S. Angelo (FG), uno dei due impianti coater in Italia, scontava un periodo di cassa integrazione guadagni straordinaria di 15 giorni per tutte le 26 risorse, che si aggiunge ai periodi precedenti. Stante il contributo pubblico già deliberato dalla regione Puglia in data 19 novembre 2013 (pubblicazione B.U.R.P. n. 159 del 4 dicembre 2013) a questo scopo, fonti aziendali riportano che la fermata dell'impianto float di Monte S. Angelo (FG) è prevista per fine anno 2014;
   tuttavia si teme che tale fermata venga in un primo tempo prorogata per poi diventare definitiva;
   alla luce della situazione attuale, pare non abbia trovato un esito positivo l'accordo di riscadenziamento dell'indebitamento complessivo, siglato in data 20 novembre 2013 che prevedeva l'ingresso di un nuovo socio russo, attraverso la società lussemburghese Glasswall. Alla luce di quanto detto ad avviso dell'interrogante non è da escludere la presentazione della richiesta di ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, ai sensi del decreto legislativo 270 del 1999 (cosiddetto Prodi bis) per i seguenti motivi: la società ha superato, anche se di poco, la soglia necessaria dei 200 dipendenti, l'indebitamento complessivo supera (e di molto) i due terzi sia del totale dell'attivo dello stato patrimoniale sia dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni dell'ultimo esercizio. Appare evidente che l'accordo del 20 novembre 2013 sia divenuto inefficace giacché la holding italiana del Gruppo (Vetro Partecipazioni di Susegana, Treviso), unica società che registra la presenza del nuovo socio Glasswall, risulta ancora oggi inattiva;
   secondo quanto riportato nel relativo verbale, si evince che il bilancio 2013 di Sangalli Vetro Manfredonia sia stato approvato dai manager russi addirittura per telefono e che il consiglio d'amministrazione era ed è composto da un numero di componenti superiore a quanto previsto dallo Statuto. Da ultimo, si constata che il Presidente del collegio sindacale, dottor Gianbattista Rossetti (già arrestato per tentata corruzione nel 1984 e poi amnistiato), risulta essere membro della «Commissione Amministrazione Straordinaria per le Grandi Imprese in Crisi», istituita presso il Consiglio Nazionale dei Commercialisti ed Esperti Contabili;
   si richiama l'interrogazione a risposta scritta 4-02323 e la relativa risposta –:
   se i Ministri interrogati, ciascuno per le proprie competenze, siano a conoscenza della descritta situazione in seno al gruppo industriale tutto, ed in particolare di, quella relativa al polo produttivo di Monte S. Angelo (FG) e se l'eventuale ricorso allo strumento dell'amministrazione straordinaria ex decreto legislativo 270 del 1999, visto alla luce della recente posizione della Commissione europea in tema di amministrazione straordinaria, non rischierebbe di essere considerato alla stregua di un aiuto di Stato (come già accaduto in vari casi), anche in considerazione delle erogazioni già percepite dal gruppo e dei precedenti per frode fiscale del patron del Gruppo, Giorgio Sangalli;
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati intendano assumere per promuovere il dialogo con la proprietà (e gli istituti di credito), allo scopo di predispone un piano industriale efficace per la salvaguardia della produzione e dei livelli occupazionali, anche nell'ipotesi in cui si dovesse nominare un commissario straordinario, al fine di evitare (o almeno limitare) le ripercussioni in seno al comparto vetrario italiano;
   se i Ministri interrogati intendano comunicare notizie riguardanti la situazione debitoria attuale e quella relativa alle eventuali controversie pendenti nei confronti dell'Agenzia delle entrate e dell'autorità giudiziaria e se gli aiuti stanziati dalla Regione Puglia verranno erogati ad avanzamento o a fine lavori di rifacimento del forno float di Manfredonia, come ragionevolmente ci si aspetterebbe stante l'elevato rischio di fallimento della società singola e dell'intero gruppo vetrario.
(4-06513)


   PAGLIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in Italia opera la società Titan Italia spa, capogruppo della divisione ruote di Titan Europe Plc, multinazionale quotata alla borsa di Londra, avente il maggior azionista nella statunitense Titan Inc.;
   Titan Italia spa controlla a sua volta Titan France, operante in Normandia, e Titan Asia, operante in Turchia;
   il gruppo è uno dei leader globali nella progettazione, sviluppo, produzione e distribuzione di ruote, componenti del sottocarro e loro assemblati per macchine ad uso dei settori agricolo, edile e minerario, dove opera tramite Titan Europe Plc, ed ha acquisito anche il ramo agricoltura della Goodyear, affiancando la produzione di pneumatici a quella tradizionale di cerchioni;
   Titan Italia spa si occupa, insieme alle società controllate, della progettazione e realizzazione di cerchi e sistemi frenanti limitatamente a macchine agricole;
   Titan Inc. ha visto nel triennio il suo fatturato crescere da 1.486.998.000 di dollari americani a 2.163.595.000 di dollari americani (+46 per cento), a fronte di un margine operativo lordo in crescita del 27 per cento e di un utile netto a –22 per cento a causa di operazioni straordinarie riscontrate nel 2013 per 78.253.000 dollari americani, dopo il risultato record del 2012 (93.960.000 di dollari americani di utile netto);
   Titan Europe viene descritta da Titan
Inc. come dominante nel settore grazie all'assenza di concorrenti relativamente a cerchioni, freni, cingoli, attrezzi per la movimentazione terra, grazie al numero limitato di tecnologie competitive, alla presenza di forti barriere all'entrata dovute alla necessità di ingenti capitali e alla complessità tecnica;
   si tratta quindi di un operatore che gode per sua stessa ammissione di condizioni di grande stabilità sul mercato globale;
   nel nostro Paese Titan Italia spa dispone di tre stabilimenti a Crespellano (BO), Finale Emilia (MO), Jesi (AN), con il primo interessato dalla produzione di freni a rampa completi di gruppi di comando, e i secondi nel servizio di montaggio e fornitura di ruote complete;
   il sito di Crespellano risulta particolarmente integrato con quello di Finale Emilia, cui fornisce la propria intera produzione di dischi frenanti realizzati a pressa;
   la fabbrica di Finale Emilia è stata pesantemente interessata dal sisma del 2012 e ha quindi ricevuto importanti contributi pubblici per la ricostruzione e il consolidamento;
   la società ha avviato un processo di ristrutturazione, che comprenderebbe la chiusura dello stabilimento di Crespellano e la traduzione a Finale Emilia dell'intero ciclo produttivo, dopo aver denunciato nel triennio un calo di fatturato del 37 per cento, dovuto alla variazione della politica agricola europea, al costo delle commodities, a nuove politiche industriali dei clienti, all'emergere di nuovi concorrenti;
   tali dati sarebbero confutabili, e lasciano supporre la volontà di spostare progressivamente la produzione in Paesi come la Turchia, ritenuti evidentemente più vantaggiosi in termini di costi immediati;
   a fronte di queste considerazioni la proprietà ha prima annunciato e poi inviato in data 20 ottobre 2014 lettera di mobilità a tutti i 147 operai e 39 impiegati dello stabilimento di Crespellano, motivandole come inevitabili stante le attuali e prevedibili condizioni del mercato;
   dal 17 ottobre 2014 le lavoratrici e i lavoratori hanno dichiarato lo stato di assemblea permanente, da tenersi nei piazzali della fabbrica, come forma di lotta contro la decisione unilaterale della società;
   le motivazioni addotte da Titan Italia spa a supporto della propria decisione all'interrogante paiono contrastare con quanto dichiarato dalla stessa Titan Inc. in termini di andamento del mercato globale;
   l'ipotesi fatta circolare dalla proprietà di riassunzione presso il sito di Finale Emilia di una parte dei lavoratori attualmente impiegati a Crespellano contrasta con l'adozione nello stesso sito di Finale Emilia di contratti di solidarietà –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere a tutela del mantenimento di posti di lavoro, di professionalità acquisite, di presidio di un settore significativo;
   quali iniziative intenda assumere nei confronti di Titan Italia spa, di Titan Europe Plc, di Titan Inc, e come intenda garantire, per quanto di competenza, il diritto dei lavoratori di presidiare con le forme di lotta ritenute più opportune, nei limiti delle previsioni costituzionali, la propria condizione occupazionale.
(4-06517)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Argentin e altri n. 1-00622, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Albini.

  La mozione Locatelli e altri n. 1-00627, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Lavagno.

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Di Gioia, Morassut, Di Salvo ed altri n. 1-00602, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Dorina Bianchi e Bosco e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Di Gioia, Morassut, Di Salvo, Di Lello, Dorina Bianchi, Piazzoni, Palese, Distaso, Aiello, Galati, Fucci, Caruso, Lacquaniti, Capelli, Fava, Adornato, D'Alia, Formisano, Gebhard, Lauricella, Ginoble, Melilla, Piepoli, Zoggia, Ginefra, Pastorelli, Meta, Marzano, Carella, Rostan, Scanu, Pilozzi, Rubinato, Pelillo, Sannicandro, Migliore, Carbone, Francesco Sanna, Grassi, Fioroni, Catania, Bosco».

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in commissione Gadda e altri n. 5-03816, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Catalano.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza urgente Scotto n. 2-00710 del 7 ottobre 2014.