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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 14 ottobre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la Svimez, Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, nell'anticipazione del rapporto 2014 sull'economia del Mezzogiorno, presentato a fine luglio 2014, ha sostenuto che il sud Italia sta scivolando verso il deserto industriale sociale;
    la dimensione di quello che pare un inarrestabile declino è evidenziata dalle seguenti cifre:
     a) per il settimo anno consecutivo il prodotto interno lordo del Mezzogiorno registra segno negativo: nel 2013 il prodotto interno lordo è sceso nel Mezzogiorno del 3,5 per cento, in misura maggiore rispetto all'anno precedente (-3,2 per cento); il prodotto interno lordo pro capite è tornato ai livelli di dieci anni fa: 16.888 euro nel 2013 contro i 16.511 euro del 2005;
     b) sono paralizzate le opere pubbliche: nel 2012 fatta pari a 100 la spesa in titolo al Centro-Nord, la spesa nelle regioni meridionali è pari a 67; si spende un quinto di quando si spendeva negli anni Settanta;
     c) negli anni 2008-2013 il settore manifatturiero al Sud ha perso il 27 per cento del proprio prodotto e gli investimenti nell'industria sono diminuiti del 53 per cento. Il settore delle costruzioni si è contratto del 35,3 per cento, contro il 23,8 per cento del Centro-Nord. Nel solo 2013 l'industria si è contratta del 7,6 per cento (- 3,2 per cento al Centro-Nord). L'agricoltura dello 0,2 per cento al Sud (+ 0,6 per cento al Centro-Nord);
     d) gli occupati sono scesi sotto i 6 milioni (5,8 milioni) per la prima volta dal 1977;
     e) negli anni 2008-2013 i consumi delle famiglie si sono ridotti del 13 per cento; nel solo 2013, del 2,4 per cento, risultando, tale percentuale, di oltre due volte maggiore di quella registrata nel resto del Paese (-5,7 per cento nel periodo considerato);
     f) nel 2013 la povertà assoluta è aumentata del 2,8 per cento contro lo 0,5 per cento del Centro-Nord; in cinque anni le famiglie meridionali in stato di assoluta indigenza sono cresciute da 443 mila a 1 milione e 14 mila nuclei;
    in questo ambito, particolarmente grave risulta la situazione della Campania dove, nel periodo di crisi:
     a) gli investimenti pubblici sono crollati del 44,7 per cento;
     b) i consumi delle famiglie sono diminuiti del 14,2 per cento;
     c) il saldo occupazionale (dati Unioncamere) nel 2014-2014 registrerà un valore negativo di 33.500 unità, con un crollo dell'occupazione nelle piccole e medie imprese;
     d) il tasso di occupazione è stimato al 40 per cento, inferiore di 17 punti della media nazionale; il tasso di disoccupazione è aumentato dal 22,2 del primo trimestre 2013 al 23,5 del primo trimestre 2014;
    le famiglie campane pagano imposte locali più alte del 20 per cento rispetto alla media nazionale;
    i servizi di welfare sono ridotti al minimo, in quanto i dai dati diffusi a maggio 2014 dal Ministero della salute, la Campania è al di sotto del punteggio minimo di 130, totalizzando invece 117, ultima tra le regioni; peraltro, la vita media dei campani è di 18 mesi più bassa di quella del resto degli italiani;
    le politiche di sviluppo basate sull'utilizzo dei fondi comunitari, molto spesso sostitutivi delle risorse statali per gli investimenti, registrano dati fortemente negativi per tutte le regioni meridionali; anche in questo caso i dati diffusi dall'Eurispes ad agosto 2014 parlano di un Paese a 2 velocità; da una parte il Nord dove sono stati spesi circa il 75 per cento dei finanziamenti; dall'altra il Sud nel quale si registrano stati di attuazione dei programmi operativi particolarmente modesti;
    per quanto riguarda il fondo europeo per lo sviluppo regionale (Fers, per il quale il tasso di utilizzo dell'Unione europea è del 61 per cento), la Campania si ferma al 33,3 per cento, la Calabria al 36,5 per cento, la Sicilia al 40,5 per cento. Quanto al fondo sociale europeo (Fse, per il quale il tasso di utilizzo dell'Unione europea è del 58,6 per cento), l'utilizzo è bloccato al 56,4 per cento in Sicilia, al 59,1 per cento in Campania, al 62 per cento in Puglia; complessivamente tra fondi europei per lo sviluppo regionale e fondo sociale europeo gli stanziamenti non spesi sono: 2,52 su 3,99 miliardi di euro in Campania, 2,4 su 4,3 miliardi di euro in Sicilia; 1,3 su 3,25 miliardi di euro in Puglia; 1,12 su 1,92 miliardi di euro in Calabria, 146 milioni di euro su 429 in Basilicata;
    le risorse originariamente programmate nel quadro strategico nazionale 2007-2013 ammontavano originariamente a oltre 60 miliardi di euro, di cui circa 28,8 miliardi di euro di fondi strutturali provenienti dall'Unione europea e circa 31,6 miliardi di euro di risorse di cofinanziamento nazionale (iscritti sul fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie previsto dalla legge n. 183 del 1987), destinati a finanziare tre obiettivi prioritari di sviluppo;
    la gran parte di tali risorse, 43,6 miliardi di euro, all'incirca il 75 per cento del totale, risultava destinate all'obiettivo «convergenza», che interessa le regioni Calabria, Campania, Puglia, Sicilia, cui si aggiunge la Basilicata (considerata in regime di phasing-out dall'obiettivo «convergenza»). All'obiettivo «competitività», che interessa tutto il Centro-Nord, l'Abruzzo e il Molise, nonché la Sardegna (in regime di phasing-in) erano assegnati 15,8 miliardi di euro (circa il 22 per cento delle risorse complessivamente destinate all'Italia). La quota residua, 0,8 milioni di euro, interessa i programmi dell'obiettivo «cooperazione territoriale»;
    a seguito del piano di azione per la coesione, l'ammontare complessivo delle risorse destinate ai programmi operativi (quota comunitaria più cofinanziamento nazionale) si è ridotto da 60,1 miliardi di euro (28,5 miliardi di euro di fondi comunitari e 31,6 miliardi di euro di cofinanziamento) a circa 48,5 miliardi di euro. Sulla base delle informazioni disponibili (fornite dalla Ragioneria generale dello Stato), alla data del 30 giugno 2014 le risorse ancora da spendere entro il 31 dicembre 2015 (termine ultimo per effettuare pagamenti) ammontano a circa 20 miliardi di euro, la maggior parte dei quali (15 miliardi di euro) nell'area dell'obiettivo «convergenza»;
    nelle sedi parlamentari il Sottosegretario di Stato Delrio ha denunciato come «nonostante gli sforzi enormi fatti dai miei predecessori nel cercare di recuperare il tempo perduto, la programmazione 2007-2013 è la peggiore in termini di risultato nella spesa». Ad aprile 2014 il Governo ha effettuato una nuova riprogrammazione dei fondi dell'Unione europea 2007-2013 per evitare di perdere 5 miliardi di euro;
    il Sottosegretario di Stato Delrio ha infine annunciato che, salvo modifica delle quote di cofinanziamento, la programmazione 2014-2020 potrà contare su 32 miliardi di euro di fondi strutturali europei cui ne vanno aggiunti altrettanti di cofinanziamenti nazionali (24 miliardi di euro a carico dello Stato, il resto a carico delle regioni). Il Sottosegretario di Stato Delrio ha anche indicato tre priorità per questo nuovo programma: competitività delle imprese, occupazione e istruzione/formazione;
    nel corso degli ultimi quattro anni numerosi sono stati i tentativi di approvare norme di accelerazione di spesa dei fondi comunitari:
     a) la delibera del Cipe n. 1 del 2011 redatta dal Governo Berlusconi ha definito le linee operative del «piano per il Sud», individuando un percorso per l'accelerazione e la riprogrammazione delle risorse destinate alle aree sottoutilizzate, sia quelle di carattere aggiuntivo, previste dal Fondo per lo sviluppo e la coesione (ex Fondo per le aree sottoutilizzate), sia quelle definite dai fondi strutturali dell'Unione europea, mediante la fissazione di target di impegno e di spesa certificata alla Commissione europea, che tuttavia non ottenne risultati significativi;
     b) la legge finanziaria per il 2012 (l'ultima legge approvata dal Governo Berlusconi) esclude dal patto di stabilità «le spese correnti e in conto capitale per interventi cofinanziati correlati ai finanziamenti dell'Unione europea», tuttavia il mancato conteggio opera «con esclusione delle quote di finanziamento statale e regionale»;
     c) nel novembre 2011, preso atto degli insoddisfacenti esiti del «piano per il Sud», è stato adottato il «piano di azione per la coesione», con lo scopo di superare i ritardi che si sono registrati, a cinque anni dall'avvio dell'operatività dei fondi strutturali 2007-2013. Il piano definiva un'azione strategica di concentrazione degli investimenti in quattro ambiti prioritari di interesse strategico nazionale (istruzione, Agenda digitale, occupazione e infrastrutture ferroviarie), attingendo ai fondi che si rendono disponibili, anche attraverso una riduzione del tasso di cofinanziamento nazionale degli interventi dei fondi strutturali;
    il decreto-legge n. 201 del 2011 (il cosiddetto «salva Italia» del Governo Monti), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, prevede (articolo 3, comma 1) di escludere 1.000 milioni di euro per l'anno 2012, 1.800 milioni di euro per l'anno 2013 e 1.000 milioni di euro per l'anno 2014 «delle spese effettuate a valere sulle risorse dei cofinanziamenti nazionali dei fondi strutturali comunitari»;
    l'articolo 4 del decreto-legge n. 76 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 99 del 2013, al fine di rendere disponibili le risorse derivanti dalla riprogrammazione dei programmi nazionali cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013, disponeva per le amministrazioni titolari dei programmi operativi interessati di avviare entro il 28 luglio 2013 le necessarie procedure atte a modificare i pertinenti programmi, sulla base della vigente normativa europea;
    l'articolo 9 del decreto-legge n. 69 del 2013 (cosiddetto «destinazione Italia»), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013, riguarda l'accelerazione nell'utilizzazione dei fondi strutturali europei e ha disposto che le amministrazioni pubbliche debbono dare la precedenza, nella trattazione degli affari di competenza «(...) alle attività in qualsiasi modo connesse all'utilizzazione dei fondi strutturali europei (...)»; inoltre «(...) per non incorrere nelle sanzioni previste dall'ordinamento dell'Unione europea per i casi di mancata attuazione dei programmi e dei progetti cofinanziati con fondi strutturali europei e di sottoutilizzazione dei relativi finanziamenti, relativamente alla programmazione 2007-2013, in caso di inerzia o inadempimento delle amministrazioni pubbliche responsabili degli interventi, lo Stato esercita il potere sostitutivo di cui all'articolo 120 della Costituzione» (violazione di norme o di trattati internazionali);
    l'articolo 9-bis dello stesso decreto-legge n. 69 del 2013 prevede la stipula di un contratto istituzionale di sviluppo, promosso dal Ministro per la coesione territoriale o dalle amministrazioni titolari dei nuovi progetti strategici, finanziati con risorse nazionali, dell'Unione europea e del fondo per lo sviluppo e la coesione;
    l'articolo 12 del decreto-legge n. 133 del 2014, cosiddetto «sblocca Italia», interviene di nuovo sulla materia della spesa dei fondi comunitari. Si affidano nuove funzioni al Presidente del Consiglio dei ministri al fine di accelerare l'impiego delle relative risorse ed evitare il rischio di incorrere nell'attivazione delle sanzioni comunitarie; sentita la Conferenza unificata, avrà la facoltà di proporre al Cipe il definanziamento e la riprogrammazione delle risorse non impegnate. Sono poi richiamati i poteri già previsti dall'articolo 9 del decreto-legge n. 135 del 2013 (cosiddetto «destinazione Italia»), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 2014;
    gli uffici della Commissione europea hanno studiato questa «difficoltà strutturale». La diagnosi è stata impietosa: inadeguatezza a realizzare politiche pubbliche per incapacità amministrativa. Agli enti che gestiscono i fondi europei è stato dunque imposto uno strumento, il piano di rafforzamento amministrativo, che potrebbe creare l'indispensabile discontinuità;
    tuttavia, una ragione rilevante dell'incapacità di spesa consiste nel patto di stabilità comunitario. La quota dell'Unione europea non si riesce a spendere perché le regioni, in particolare quelle del Sud, non possono mettere a bilancio le risorse di cofinanziamento, altrimenti sforerebbero il patto di stabilità. Le regioni del Nord che hanno bilanci più corposi riescono meglio nella spesa;
    nel vertice sul lavoro del 9-10 ottobre 2014 l'Italia, sostenuta dalla Francia, ha avanzato la proposta, da formalizzare per il previsto vertice del 23 ottobre 2014, di escludere dal calcolo del deficit il cofinanziamento nazionale dei fondi europei. Per cofinanziare i progetti da attivare fino al 2020, l'Italia intende proporre un proprio apporto per 24 miliardi di euro. Una somma che, divisa per i sette anni del programma (2014-2020), assegna 3,5 miliardi di euro in più l'anno da spendere senza sfondare il tetto del rapporto deficit/prodotto interno lordo del 3 per cento. In cambio, l'Italia si impegnerebbe a concentrare la spesa sugli obiettivi indicati da Bruxelles e potenziare i controlli preventivi;
    la risposta della Germania, nonostante il fatto che la crisi cominci a mordere anche l'economia tedesca, che abbisogna quindi di manovre più espansive, si è limitata a valutare la possibilità di escludere dal patto di stabilità 1,5 miliardi di euro di spese cofinanziate dagli Stati per il programma «Garanzia giovani»,

impegna il Governo:

   a rafforzare le attività in sede europea affinché vengano assicurati adeguati spazi finanziari di agibilità della spesa a titolo di concorso al cofinanziamento del fondo europeo per lo sviluppo regionale e del fondo sociale europeo, anche in concorso con altri Stati, con i quali individuare piattaforme comuni;
   ad assumere iniziative volte a rafforzare i poteri di accelerazione dell'impiego delle risorse, di controllo e sostitutivi previsti dall'articolo 9 del decreto-legge n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013, e dall'articolo 12 del decreto-legge n. 133 del 2014 e, in tale ambito, a rendere pienamente operativa l'Agenzia per la coesione territoriale eventualmente rafforzandone i poteri sostitutivi;
   a garantire che la programmazione infrastrutturale per le regioni meridionali rappresenti l'elemento centrale dei programmi dei fondi strutturali europei 2007-2013 e 2014-2020 e, in tale ambito, nel disegno di legge di stabilità per il 2015, a promuovere una politica di investimento degli enti locali, accompagnata da una revisione delle regole del patto di stabilità per gli enti territoriali;
   a prevedere, nell'ambito della disegno di legge di stabilità per il 2015, l'adozione di iniziative specifiche per la regione Campania, in particolare per quel che riguarda il lavoro giovanile, il riassetto idrogeologico e la dotazione infrastrutturale.
(1-00624) «Dorina Bianchi, Calabrò».


   La Camera,
   premesso che:
    dal 1948 il popolo palestinese attende che sia riconosciuto dalla comunità internazionale lo Stato di Palestina;
    il 29 novembre 2012 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato a larga maggioranza la risoluzione n. 67/19 per la concessione dello status di osservatore permanente, come Stato non membro, allo Stato di Palestina. Tale risoluzione ha conferito allo Stato palestinese uno status equivalente, in seno all'ONU, a quello dello Stato della Città del Vaticano;
    la risoluzione n. 67/19 ha sicuramente rappresentato un importante passo verso il riconoscimento dei diritti fondamentali del popolo palestinese, ma l'attuale status non chiarisce, per esempio, se la Palestina può o meno ricorrere alla Corte penale internazionale;
    il processo di pace sorto dagli accordi di Oslo del 20 agosto 1993 si è di fatto arrestato con l'uccisione di uno dei firmatari dell'accordo stesso, il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, assassinato da estremisti sionisti contrari allo smantellamento delle colonie e alla costituzione dello Stato di Palestina. Da quel momento in poi il Governo d'Israele ha portato avanti una politica sempre più ostaggio degli estremisti delle colonie e gli insediamenti sui già scarsi territori palestinesi si sono moltiplicati a dispetto degli impegni sottoscritti e del diritto internazionale;
    l'espandersi continuo degli insediamenti illegali nei territori occupati di Cisgiordania e Gerusalemme est, la costruzione del muro di separazione e alla distruzione di case ed espulsione di palestinesi, la sottrazione di fondamentali risorse idriche ai palestinesi (l'acqua è sottoposta alla legge militare) nonché il protrarsi dell'embargo sulla striscia di Gaza, che ha preceduto e seguito gli attacchi militari con migliaia di vittime (si vedano le operazioni Piombo fuso e Margine sicuro), compromettono qualsiasi sforzo per il processo di pace;
    sono continue le violazioni da parte del Governo israeliano della convenzione di Ginevra, a cui si aggiungono la detenzione arbitraria di migliaia di palestinesi (tra i quali Marwān Barghūthī, il «Mandela palestinese» uno degli estensori degli accordi di Oslo), l'umiliazione a cui sono costretti i palestinesi nei continui checkpoint dei militari israeliani, il proseguimento di esecuzioni extragiudiziali e delle punizioni collettive (distruzione di case per rappresaglia);
    questa politica israeliana ha rafforzato e non indebolito le posizioni fondamentaliste religiose – un tempo marginali – tra i palestinesi finendo per favorire l'ascesa di Hamas a discapito delle altre formazioni laiche;
    è urgente che la comunità internazionale adotti nuove iniziative per contribuire al rispetto del diritto internazionale e delle pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite;
    tutti i popoli del Medio Oriente hanno diritto alla pace e alla sicurezza e ciò può essere garantito a lungo termine solo attraverso una pace giusta e duratura basata sul rispetto del diritto internazionale e la piena e completa applicazione delle risoluzioni 242 e 338 del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, sul ritiro delle forze di occupazione e lo smantellamento degli insediamenti, sul riconoscimento del diritto al rientro dei rifugiati in applicazione della risoluzione n. 194 delle Nazioni Unite e sulla liberazione dei prigionieri politici palestinesi;
    sono 121 i Paesi in tutto il mondo che hanno già riconosciuto lo Stato di Palestina nei confini del 1967, secondo quanto previsto dalle citate risoluzioni delle Nazioni Unite, con Gerusalemme est quale sua capitale;
    in particolare, di grande significato è il recente riconoscimento dello Stato di Palestina che porta a 8 i Paesi membri della Unione europea che hanno reputato necessario questo riconoscimento anche come pressione nei confronti del Governo d'Israele per farlo recedere dalla politica delle colonie e per riprendere il percorso di pace;
    il parlamento britannico, la più antica democrazia liberale del mondo, con 274 voti favorevoli e 12 contrari ha recentemente approvato una mozione che chiede al Governo di Londra di «riconoscere lo Stato palestinese al fianco dello Stato di Israele» come «contributo per assicurare la soluzione negoziata dei due Stati» nella regione,

impegna il Governo:

   a riconoscere pienamente e formalmente lo Stato di Palestina nei confini del 1967 secondo le risoluzioni delle Nazioni Unite;
   a proporre, nelle sedi internazionali, un atto analogo da parte di tutti i Paesi membri della Unione europea e della Nato, da intendersi anche come un contributo importante nella lotta al terrorismo del fondamentalismo religioso;
   a predisporre in tempi rapidi una visita del Presidente del Consiglio dei ministri in Israele e in Palestina per illustrare ai Governi di questi due Paesi il senso del riconoscimento dello Stato di Palestina e per contribuire al riavvio del processo e del negoziato di pace.
(1-00625) «Rizzo, Sibilia, Artini, Manlio Di Stefano, Basilio, Grande, Frusone, Di Battista, Corda, Spadoni, Tofalo, Del Grosso, Paolo Bernini, Scagliusi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PESCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la società CRIF SPA gestisce uno dei principali sistemi di informazioni creditizie (SIC) in Italia: si tratta di un sistema che raccoglie informazioni su finanziamenti erogati o semplicemente richiesti, trasmesse direttamente da banche e società finanziarie, a volte – pare – anche senza consenso del soggetto interessato. Sulla base dei dati SIC, banche e società finanziarie possono erogare credito basandosi sulla buona storia creditizia di chi lo richiede, senza avvalersi necessariamente di ulteriori garanzie;
   da apposita visura camerale, risulta che il capitale sociale di CRIF SPA è detenuto per l'87,59 per cento dalla società Cribis Holding Srl, che la gestisce e controlla. Le restanti quote del capitale sociale sono detenute da banche (Banca nazionale del lavoro spa (5,1 per cento), Deutsche Bank spa (2,55 per cento), Banco popolare società cooperativa (1,92 per cento) e soggetti privati);
   la Cribis Holding è una società a responsabilità limitata con socio unico, rappresentato dalla Unione Fiduciaria - Società Fiduciaria e di Servizi delle Banche Popolari Italiane Spa. Quest'ultima società è a sua volta composta da diversi soci tra cui:
    Istituto centrale delle banche popolari italiane (24 per cento);
    Banca popolare dell'Emilia Romagna (24 per cento);
    Banca popolare di Sondrio per azioni (21,76 per cento);
    Banco Popolare (8,35 per cento);
    Banca Popolare di Milano (7,18 per cento);
    Banca popolare dell'Etruria e del Lazio (6,40 per cento);
    Veneto banca per azioni (2,40 per cento);
    Banca piccolo credito valtellinese (1,93 per cento);
    Altri (3,96 per cento);
   nonostante la trasparenza delle informazioni societarie risultanti dai registri pubblici, dal servizio condotto dalla redazione di «report» circa la gestione e composizione della società CRIF spa (puntata del 19 maggio 2014 di report andata in onda su Rai3), emergerebbero non pochi dubbi circa la compagine societaria di CRIF e delle società ad essa collegate nonché sugli effettivi soci delle medesime in riferimento alla quota detenuta dalla società fiduciaria;
   inoltre, CRIF spa risulta aggiudicataria di ben 4 gare pubbliche, tra cui anche quella affidataria dei servizi di acquisizione, direttamente dalle  camere di commercio, e registrazione in formato elettronico dei bilanci delle società di capitali riferiti agli esercizi contabili 2012, 2013 e 2014 e di alcuni dati registrati nelle relative note integrative (servizio commissionato dall'Istituto nazionale di ricerca - ISTAT, codice identificativo gara: 4980412DFC); sennonché, tale aggiudicazione sembra all'interrogante confliggere con il divieto di intestazioni fiduciarie, per il settore dei lavori pubblici, previsto dall'articolo 17, comma 3, della legge n. 55 del 1990, e successivamente esteso anche al settore delle forniture e dei servizi pubblici dall'articolo 38, comma 1, lettera d), del decreto legislativo n. 163 del 2006, che l'ha previsto come causa di esclusione dalle gare;
   insomma, CRIF detiene la gestione di rilevanti dati sensibili della collettività dei cittadini e delle imprese ad avviso dell'interrogante senza garantire un'adeguata trasparenza in ordine alla sua composizione societaria, con evidenti rischi anche in merito alla sicurezza dei dati posseduti –:
   se il Governo sia al corrente di quanto esposto in premessa e se non ritenga opportuno assumere iniziative normative volte a garantire una maggiore chiarezza e trasparenza delle società che gestiscono sistemi di informazione creditizia come la Crif Spa, considerato anche il ruolo svolto nella gestione e conservazione di dati sensibili della clientela finanziaria a volte, a quanto pare, acquisiti senza consenso;
   quali iniziative si intendano adottare, per quanto di competenza, per verificare la regolarità delle aggiudicazioni a Crif Spa delle gare pubbliche indette dall'Istat, tra cui la gara evidenziata in premessa con il codice 4980412DFC, tenuto conto della normativa vigente in tema di requisiti per la partecipazione a pubblici bandi, ed in particolare del divieto di intestazioni fiduciarie di cui all'articolo 17, comma 3, della legge n. 55 del 1990, e della composizione societaria di Crif spa e delle società che la controllano. (5-03785)

Interrogazione a risposta scritta:


   GIACHETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il Governo italiano, al fine di far fronte alle intimazioni contenute nella nota sentenza cosiddetta Torreggiani della Corte europea dei diritti dell'uomo, col decreto-legge 26 giugno 2014, n. 92, recante «Disposizioni urgenti in materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell'articolo 3 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nonché di modifiche al codice di procedura penale e alle disposizioni di attuazione, all'ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria e all'ordinamento penitenziario, anche minorile» convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 117 (in Gazzetta Ufficiale 20 agosto 2014, n. 192), ha introdotto l'articolo 35-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354;
   detto articolo 35-ter così testualmente recita: (Rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali nei confronti di soggetti detenuti o internati). – 1. Quando il pregiudizio di cui all'articolo 69, comma 6, lettera b), consiste, per un periodo di tempo non inferiore ai quindici giorni, in condizioni di detenzione tali da violare l'articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, su istanza presentata dal detenuto, personalmente ovvero tramite difensore munito di procura speciale, il magistrato di sorveglianza dispone, a titolo di risarcimento del danno, una riduzione della pena detentiva ancora da espiare pari, nella durata, a un giorno per ogni dieci durante il quale il richiedente ha subito il pregiudizio. 2. Quando il periodo di pena ancora da espiare è tale da non consentire la detrazione dell'intera misura percentuale di cui al comma 1, il magistrato di sorveglianza liquida altresì al richiedente, in relazione al residuo periodo e a titolo di risarcimento del danno, una somma di denaro pari a euro 8,00 per ciascuna giornata nella quale questi ha subito il pregiudizio. Il magistrato di sorveglianza provvede allo stesso modo nel caso in cui il periodo di detenzione espiato in condizioni non conformi ai criteri di cui all'articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali sia stato inferiore ai quindici giorni. 3. Coloro che hanno subito il pregiudizio di cui al comma 1, in stato di custodia cautelare in carcere non computabile nella determinazione della pena da espiare ovvero coloro che hanno terminato di espiare la pena detentiva in carcere possono proporre azione, personalmente ovvero tramite difensore munito di procura speciale, di fronte al tribunale del capoluogo del distretto nel cui territorio hanno la residenza. L'azione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla cessazione dello stato di detenzione o della custodia cautelare in carcere. Il tribunale decide in composizione monocratica nelle forme di cui agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il decreto che definisce il procedimento non è soggetto a reclamo. Il risarcimento del danno è liquidato nella misura prevista dal comma 2.»;
   alcune ordinanze, pervenute in copia alla segretaria di Radicali italiani Rita Bernardini, evidenziano come alcuni magistrati di sorveglianza stiano rigettando le istanze avanzate da soggetti detenuti, per una ritenuta inammissibilità dei reclami, con riferimento non solo a detenzioni pregresse, seppur di fatto continuative rispetto a quella in essere, allorquando le stesse siano conseguenti all'applicazione di diversi titoli esecutivi, ma anche con riferimento a quelle detenzioni che, come accade praticamente sempre, si protraggono in diversi istituti;
   difatti, con motivazioni identiche e stereotipate, alcuni magistrati di sorveglianza affermano che: «Il riferimento portato dalla nuova disciplina del rimedio risarcitorio alla disposizione penitenziaria di cui all'articolo 69, comma 6, lettera B), costituisce un ulteriore limite alla competenza del magistrato di sorveglianza in relazione all'applicazione dello specifico rimedio risarcitorio in esame, poiché precisa per tabulas che la lesione accertata, per fondare una pronuncia di addebito a carico dell'amministrazione penitenziaria suscettibile di risarcimento, deve consistere in un pregiudizio «attuale e grave» della posizione soggettiva del soggetto detenuto o internato. Fuoriescono, pertanto, dal concetto di «attualità del pregiudizio» sia le eventuali violazioni del diritto convenzionale subite in relazione a detenzioni pregresse rispetto all'attuale vicenda esecutiva (sofferte, cioè, in forza di titoli esecutivi diversi da quello attualmente in esecuzione), sia le violazioni che, pur riferite a detenzione riferibile all'esecuzione in corso al momento della domanda, non siano tuttavia attuali poiché medio tempore venute meno (per l'intervento della magistratura o della stessa amministrazione penitenziaria nell'esercizio della propria sfera di discrezionalità organizzativa). Con riguardo a tale profilo» – si legge ancora nelle ordinanze – «si osserva, inoltre, che l'attualità del pregiudizio deve sussistere sia al momento della presentazione del reclamo (...) sia al momento della decisione del medesimo (...) Solo in questi precisi termini, infatti, la collocazione del rimedio risarcitorio in esame appare coerente con la natura propria della giurisdizione attribuita alla magistratura di sorveglianza, che viene attivata nei limiti in cui si tratti di intervenire a riparare un pregiudizio in atto nei confronti di un soggetto detenuto o internato, laddove, nei casi in cui tale pressante esigenza non sussista, viene meno ogni valida ragione per derogare alla competenza generale in materia di risarcimento del danno assicurata dalla giurisdizione del giudice civile (...);
   per effetto della sopra evidenziata interpretazione, delle norme vigenti, diventata in brevissimo tempo comune a molti uffici di sorveglianza, a prescindere dalla fondatezza o meno della tesi, il detenuto si trova sprovvisto, contrariamente a quanto voluto dalla Corte europea dei diritti dell'Uomo, di qualsiasi tutela effettiva, posto che: – per lo stato di detenzione attuale il detenuto dovrebbe investire il magistrato di sorveglianza nella speranza che il provvedimento giunga prima di un eventuale trasferimento in altro istituto; – per le detenzioni precedentemente scontate in altri istituti dovrebbe invece, con tutte le insormontabili difficoltà connesse allo stato di detenzione, adire il giudice civile;
   è evidente che per un soggetto detenuto, adire autonomamente il giudice civile è materialmente impossibile, posto che si trova nell'impossibilità di svolgere tutte quelle incombenze necessarie ad incardinare un ricorso ai sensi degli articoli 737 e seguenti (codice procedura civile), il soggetto detenuto dovrebbe pertanto, necessariamente nominare un avvocato civilista per consentirne l'entrata in carcere, al fine di impostare il ricorso civile;
   nel corso della trasmissione Radio Carcere, in onda il martedì e il giovedì su Radio Radicale, il conduttore, avvocato Riccardo Arena, ha intervistato, giovedì 9 ottobre, sulla materia oggetto del presente atto, il presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze, dottoressa Antonietta Fiorillo, e il presidente del tribunale di sorveglianza di Venezia, dottor Giovanni Maria Pavarin. La dottoressa Fiorillo ha fatto presente che in tutto il distretto, che comprende 18 istituti, sono state presentate 1.200 istanze e che fino a giovedì 9 ottobre una sola richiesta di risarcimenti era stata accolta dall'ufficio di sorveglianza di Livorno, mentre tutte le altre erano in fase istruttoria. Fin dal 24 luglio scorso la dottoressa Fiorillo si era fatta carico di diramare una circolare in tutti e 18 gli istituti affinché fosse spiegato alla popolazione detenuta le modalità per accedere ai risarcimenti perché le prime istanze giunte agli uffici erano prive di informazioni essenziali. La dottoressa Fiorillo ha rappresentato quanto sia complessa – se non addirittura impossibile se il detenuto che avanza la domanda risarcitoria ha avuto detenzioni precedenti in istituti diversi e risalenti molto indietro nel tempo – l'istruttoria per ogni singolo caso: occorre infatti raccogliere per ogni periodo di detenzione non solo la metratura della cella e con quanti detenuti essa fosse condivisa, ma anche le condizioni igieniche e di vivibilità e le attività trattamentali e di lavoro svolte. Da parte sua il dottor Pavarin ha fatto presente che per ricostruire le condizioni di precedenti carcerazioni le difficoltà sono immense soprattutto se riferite a molti anni fa in quanto il, DAP, per esempio dieci anni fa, nemmeno pensava di tenere in conto le dimensioni delle celle e il numero dei loro occupanti. Altro aspetto considerato nelle interviste di Riccardo Arena ai due magistrati di sorveglianza è quello riguardante i criteri di misurazione delle dimensioni delle celle: se i tre metri quadrati – considerati dalla Corte EDU come il limite pro/capite sotto il quale i trattamenti sono di per sé da considerare inumani e degradanti senza la necessità di valutare altri aspetti della detenzione debbano essere calcolati al netto o al lordo del mobilio. Ambedue i magistrati concordi sullo scomputo del mobilio – ravvisano la necessità di direttive precise in materia. Infine, a proposito del diverso orientamento interpretativo dei Tribunali di Sorveglianza sulla necessità dell'attualità del pregiudizio» per poter accedere ai risarcimenti, sia il dottor Pavarin che la dottoressa Fiorillo convengono sul fatto che l'intenzione del legislatore non possa essere stata altro che quella del riferimento a trattamenti detentivi del passato, altrimenti, non avrebbe avuto senso l'introduzione della nuova normativa;
   secondo la sentenza della Corte di cassazione - I sezione Penale n. 5728/2014, nel calcolo dello spazio vitale minimo che deve essere assicurato a ciascun detenuto, deve essere scomputata l'area degli arredi;
   la cosiddetta sentenza «Torreggiani» non si limitava alla sola questione del «sovraffollamento», ma per una detenzione «legale» secondo la Convenzione, richiamava come necessari anche altri importanti parametri: «in cause in cui il sovraffollamento non era così serio da sollevare da solo un problema sotto il profilo dell'articolo 3, la Corte ha notato che, nell'esame del rispetto di tale disposizione, andavano presi in considerazione altri aspetti delle condizioni detentive. Tra questi elementi figurano la possibilità di utilizzare i servizi igienici in modo riservato, l'aerazione disponibile, l'accesso alla luce e all'aria naturali, la qualità del riscaldamento e il rispetto delle esigenze sanitarie di base (si vedano anche gli elementi risultanti dalle regole penitenziarie europee adottate dal Comitato dei ministri)»;
   inoltre, la cosiddetta sentenza «Torreggiani», nel condannare lo Stato italiano per violazione accertata dell'articolo 3 della Convenzione, dichiarava altresì che «lo Stato convenuto (cioè l'Italia) dovrà, entro un anno a decorrere dalla data in cui la presente sentenza sarà divenuta definitiva in virtù dell'articolo 44, § 2, della Convenzione, istituire un ricorso o un insieme di ricorsi interni effettivi idonei ad offrire una riparazione adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento carcerario, e ciò conformemente ai principi della Convenzione come stabiliti nella giurisprudenza della Corte –:
   se il Governo intenda intervenire con una norma di interpretazione autentica che chiarisca la competenza del magistrato di sorveglianza per i reclami proposti da soggetti detenuti o internati, sia per la detenzione in essere al momento della presentazione del reclamo ex articolo 35-ter 1. n. 354 del 1975, sia per i periodi di detenzione pregressi, qualora la stessa sia ininterrottamente proseguita senza soluzione di continuità, a nulla rilevando che la detenzione sia conseguenza dell'applicazione del medesimo o di diverso titolo esecutivo o che la stessa sia stata eseguita in istituti diversi da quello ove il detenuto si trova al momento della presentazione del reclamo;
   se intendano intervenire attraverso le opportune iniziative, se del caso normative, per dare un'interpretazione univoca sulla questione della misurazione delle celle, cioè se la superficie «vitale» debba o meno comprendere gli arredi;
   se il Ministro della giustizia intenda convocare il DAP al fine di emettere direttive chiare per effetto delle quali in ogni istituto, per ogni singolo detenuto ristretto, sia favorita la presentazione della domanda, mettendo a disposizione degli stessi una ragionevole modulistica che comprenda non solo i parametri riguardanti il sovraffollamento ma anche le condizioni igienico-sanitarie e l'accesso alle attività trattamentali. (4-06396)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta immediata:


   GIANLUCA PINI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, PRATAVIERA, RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 3 ottobre 2014 il Vicepresidente degli Stati Uniti, Joseph Biden, ha tenuto un importante discorso alla Harvard Kennedy School di Boston, nel Massachussets, in occasione del John F. Kennedy Forum;
   nella circostanza, il Vicepresidente Biden ha sottolineato i meriti dell'azione dispiegata dall'amministrazione statunitense nel creare un sufficiente consenso internazionale all'imposizione di sanzioni a carico della Federazione russa;
   in particolare, Biden ha evidenziato come l'Unione europea sia stata costretta a sanzionare la Russia contro la propria volontà proprio dalle pressioni esercitate nei suoi confronti dall'insistenza del Presidente americano Barack Obama –:
   se la ricostruzione della genesi delle sanzioni europee alla Russia fatta a Boston dal Vicepresidente Biden sia veritiera e quali siano le ragioni che hanno indotto il nostro Governo e quelli degli altri Paesi membri dell'Unione Europea a piegarsi a quelli che paiono agli interroganti essere stati dei veri e propri diktat da parte dei nostri alleati d'oltreoceano senza tenere in debita considerazione gli interessi economici dell'Europa. (3-01089)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

III Commissione:


   SCAGLIUSI, GRILLO, MANLIO DI STEFANO, SPADONI, DI BATTISTA, GRANDE, DEL GROSSO e SIBILIA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 5 settembre  2014 la Commissione europea ha annunciato lo stanziamento di 140 milioni di euro per aiutare i paesi dell'Africa Occidentale attualmente colpiti dal virus Ebola: Guinea, Sierra Leone, Liberia e Nigeria;
   la Commissione europea ha comunicato che il pacchetto di 140 milioni di euro sarebbe stato suddiviso in modo da destinare 38 milioni ai sistemi sanitari (tra cui assistenza medica, sicurezza alimentare, acqua e strutture igienico-sanitarie), 5 milioni ai laboratori mobili per il depistaggio del virus e alla formazione del personale sanitario (dallo Strumento inteso a contribuire alla stabilità e alla pace (IcSP)) e 97,5 milioni a operazioni di sostegno al bilancio in Liberia e Sierra Leone, mirate a sviluppare la capacità dei relativi governi di erogare servizi pubblici (soprattutto sanitari) e a garantire la stabilità macroeconomica;
   da marzo 2014 la Commissione europea ha potenziato la risposta all'epidemia impegnando in totale 11,9 milioni di euro in aiuti umanitari, tra cui 8 per rafforzare i sistemi di assistenza sanitaria, provenienti dallo stanziamento di 38 milioni di euro, di cui sopra;
   come dichiarato dal Sottosegretario di Stato alla salute, Vito De Filippo, lo scorso 8 ottobre 2014, in risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 5/03728, in data 11 settembre 2014 è stata richiesta al Ministro dell'economia e delle finanze una integrazione sul capitolo di bilancio destinato non solo all'acquisto di materiale profilattico, medicinali di uso non ricorrente, vaccini per attività di profilassi internazionale, ma anche alla pubblicazione e alla diffusione dei dati e materiali per la prevenzione delle malattie infettive, inclusi dispositivi di protezione individuale;
   il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha definito un programma di interventi di emergenza da circa 1,5 milioni di euro per contrastare l'epidemia di Ebola che sta colpendo alcuni Paesi dell'Africa Occidentale;
   la Cooperazione italiana ha stanziato un contributo di 240.000 euro per l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per l'invio di medici, la fornitura di medicine e di attrezzature, il rafforzamento dei sistemi di sorveglianza epidemiologica e il coordinamento e supporto logistico delle attività di risposta all'emergenza;
   la Farnesina finanzierà, inoltre, l'invio di personale medico italiano specializzato, in particolare di professionalità provenienti dall'ospedale Spallanzani di Roma, centro di eccellenza a livello nazionale e internazionale per la cura delle malattie infettive e, attraverso un apposito fondo, sosterrà le attività delle ONG italiane presenti nella regione, in particolare in Sierra Leone;
   il contributo si aggiunge a quello di 200.000 euro concesso ad aprile all'OMS per la realizzazione di attività in Guinea Conakry –:
   a quanto ammontino le risorse che l'Italia ha complessivamente stanziato per contrastare la diffusione del virus Ebola, con riferimento anche ai fondi già utilizzati ed eventualmente destinati anche all'Unione europea, oltre che ai Paesi africani interessati, nonché quale sia il dettaglio relativo al coinvolgimento di Ong, al numero di progetti e alle risorse umane coinvolte ai fini della prevenzione.
(5-03793)


   PALAZZOTTO e SCOTTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 1 del 2010, convertito con modificazioni dalla legge n. 30 del 2010, autorizzava il Ministero degli affari esteri a bandire concorsi per un massimo di 35 unità lavorative annue nell'arco di tempo 2010-2014;
   il Ministero degli affari esteri ha bandito, il 4 aprile 2014, con decreto ministeriale un nuovo concorso per 35 posti di segretario di legazione;
   l'articolo 4, comma 3, lettera b), del decreto-legge n. 101 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2013, stabilisce che per le Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, l'autorizzazione all'avvio di nuove procedure concorsuali è subordinata alla verifica dell'assenza, nella stessa amministrazione, di idonei collocati nelle proprie graduatorie vigenti ed approvate a partire dal 1o gennaio 2007, relative alle professionalità necessarie anche secondo un criterio di equivalenza;
   all'osservanza di tale regola il dipartimento della funzione pubblica ha richiamato con circolare n. 5 del 21 novembre 2013, vistata dalla Corte dei conti, tutte le Amministrazioni pubbliche;
   in questa circolare sono indicate anche le risorse finanziarie destinate all'attuazione di tale meccanismo e si precisa che sullo scorrimento delle graduatorie degli idonei, vigenti e approvate dal 1o gennaio 2007, c’è un vincolo, previsto dal legislatore, allo scorrimento delle stesse rispetto all'avvio di nuove procedure concorsuali;
   pertanto, in forza di tale sopravvenuta normativa, l'Amministrazione del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, nel bandire il nuovo concorso, non può sottrarsi all'obbligo del preliminare scorrimento delle graduatorie vigenti;
   tale obbligo, come stabilito dalla seconda sezione del TAR Lazio con la sentenza n. 10375 del 3 dicembre 2013, è di applicazione, quanto ad ambito oggettivo, indistintamente a tutte le Amministrazioni, senza limitazioni di carattere soggettivo ed oggettivo;
   il diritto allo scorrimento presuppone unicamente la presenza di una graduatoria valida ed efficace, e sorge non appena l'Amministrazione decida di procedere al concorso, essendo ormai la Pubblica Amministrazione privata, in base alla nuova disciplina, di ogni discrezionalità e vincolata a tale procedimento (con la sola alternativa della non indizione di un nuovo concorso);
   ciò è affermato dalla sentenza della quinta sezione del Consiglio di Stato n. 6209 del 23 dicembre 2013;
   la norma con cui il Ministero degli affari esteri era stato autorizzato a bandire annualmente, dal 2010 al 2014, concorsi di accesso alla carriera diplomatica per un contingente annuo non superiore a 35 posti va integrata con la nuova disposizione di cui al menzionato articolo 4, comma 3, lettera b), del decreto-legge n. 101 del 2013;
   dunque l'emanazione del bando del 2014 non può che conseguire da una nuova autorizzazione, da rilasciare previo accertamento dell'avvenuto scorrimento delle graduatorie vigenti;
   nessuna norma di legge autorizza il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale a sottrarsi a tale obbligo, che comporta la copertura dei posti con l'utilizzazione delle graduatorie degli idonei vigenti e approvate dal 2007;
   il bando di concorso, come quelli precedenti, era stato autorizzato per la copertura di 35 posti vacanti, sicché gli idonei, in numero ben inferiore a quello dei posti disponibili, ben possono essere nominati, rimanendo altri posti da coprire con la prova concorsuale: infatti il citato articolo 4 è norma meramente autorizzatoria e non fissa un limite minimo di posti da coprire, ma solo massimo;
   va inoltre considerato che lo scorrimento delle graduatorie non pregiudica né la cadenza periodica annuale del concorso, che ben può essere indetto con tale frequenza temporale, né l'esigenza di garantire il massimo e più aggiornato livello di preparazione, elemento anch'esso richiamato dal bando del 2014 come da quelli precedenti, poiché una tale esigenza non risulta incompatibile con lo scorrimento della graduatoria alla luce della valutazione di idoneità riportata all'esito di una precedente procedura concorsuale;
   nel penultimo paragrafo delle premesse del bando in questione sono citati con le sole date la sentenza dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 14 del 2011, che ha sancito il principio dell'obbligatorietà del previo scorrimento della graduatoria in caso di indizione del concorso, un parere consultivo del Consiglio di Stato dell'8 gennaio 2014, di cui si ignora quale rilevanza possa avere assunto nell'adozione del bando, e la sentenza del TAR del Lazio n. 03558/2014, peraltro neppure passata in giudicato;
   detti pronunciamenti non fanno né possono fare in alcun modo testo poiché non menzionano né tengono conto delle sopravvenute rigorose nuove norme che hanno novellato la materia sullo scorrimento delle graduatorie imposte dal decreto-legge n. 101 del 2013, le quali non danno adito ad alcuna incertezza applicativa né ad interpretazioni restrittive quali quelle finora avanzate dal Ministero per giustificare la mancata assunzione degli idonei;
   la pubblicazione del bando, disattendendo l'obbligo ed il vincolo normativo allo scorrimento delle graduatorie degli idonei, è avvenuta in palese violazione di una legge dello Stato;
   va scongiurato il gravissimo e irreparabile danno che agli idonei delle graduatorie vigenti ed approvate dal 2007 deriverebbe dalla eventuale mancata applicazione, da parte del Ministero degli affari esteri, delle disposizioni sullo scorrimento delle graduatorie, da ultimo rese vincolanti dal citato decreto, n. 101 del 2013, senza alcuna possibilità di deroghe o eccezioni;
   dovendo l'attività della Pubblica Amministrazione svolgersi nei limiti imposti dalla legge e dal principio primario del neminem laedere, l'eventuale comportamento doloso o colposo da parte della stessa Pubblica Amministrazione in violazione del suddetto diritto soggettivo, stanti i principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione di cui all'articolo 97 della Costituzione, farebbe scaturire le conseguenze stabilite dall'articolo 2043 del codice civile, con conseguente risarcimento del danno a favore dei soggetti lesi;
   i Ministeri devono rigorosamente rispettare il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità ed amministrativa e ora definitivamente sancito dal citato articolo 4, comma 3, lettera b), secondo cui la regola dello scorrimento delle graduatorie da luogo ad un diritto soggettivo, in favore degli idonei;
   il MAECI ha già affermato di ritenere il decreto-legge n. 1 del 2010 lex specialis, e che quindi non si debba applicare alla situazione in esame il decreto-legge n. 101 del 2013, né nella parte in cui si dice che l'autorizzazione vada chiesta alla funzione pubblica, né nella parte in cui si dice che adesso l'autorizzazione avvenga previo scorrimento delle graduatorie;
   in data 8 ottobre 2014 il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Maria Anna Madia, ha risposto in aula all'interrogazione a risposta immediata presentata dall'onorevole D'Alia, affermando che il Ministero degli esteri non ha ritenuto di procedere a scorrimento in virtù della disciplina speciale contenuta nell'articolo 4, comma 3, del decreto-legge n. 1 del 2010, il quale lo autorizzava a bandire un concorso per segretario di legazione per il quinquennio 2010-2014;
   il citato decreto-legge ha novellato tutta la materia dei bandi e dei concorsi ed è successivo al decreto-legge n. 1 del 2010;
   dunque per il principio di gerarchia delle fonti dovrebbe essere questa più recente normativa a legiferare sul bando in esame;
   inoltre la scelta del Ministero degli affari esteri sembra in contrasto con la ratio dell'intervento del legislatore, finalizzato palesemente a far scorrere le graduatorie;
   lo scorrimento non inficia l'autorizzazione a bandire: infatti lo stesso Ministero ha in passato bandito previo scorrimento e la quota di 35 unità prevista dal decreto-legge n. 1 del 2010 rappresenta solo il numero massimo, e non minimo;
   le sentenze del TAR e del Consiglio di Stato sull'argomento sono state superate dalla novella legislativa;
   anche qualora fosse possibile dubitare del problema autorizzatorio, è impossibile dubitare dello scorrimento –:
   se non si ritenga possibile leggere le due norme sopra citate in modo combinato, con autorizzazione già data e scorrimento obbligatorio, e, in particolare, quindi, se non ritenga il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale di dover procedere allo scorrimento delle graduatorie degli idonei, di cui al decreto-legge n. 101 del 2013, ed alla loro nomina a segretario di legazione. (5-03794)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta immediata:


   RAMPELLI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   nella serata del 9 ottobre 2014 e nelle prime ore del 10 ottobre 2014 una pioggia fortissima, con punte superiori ai 400 millimetri in poche ore, ha colpito diverse zone di Genova e provincia, causando l'esondazione dei torrenti Bisagno, Fereggiano, Sturla, Scrivia e Entella, che hanno sommerso i quartieri della Foce, Molassana, San Fruttuoso, Marassi, Brignole, Quarto e Nervi e i comuni di Bogliasco e Montoggio;
   un uomo è morto in un tunnel allagato, il calcolo dei danni è già arrivato a 300 milioni di euro, 200 dei quali a strutture pubbliche, e in seguito all'alluvione è stata disposta la chiusura delle scuole, centinaia di persone sono state sfollate dalle proprie abitazioni e si sono verificati pesanti danni alle infrastrutture, soprattutto strade e linee ferroviarie;
   l'ultima drammatica alluvione che aveva colpito il capoluogo ligure risale ad appena tre anni fa, nel novembre del 2011, con le stesse identiche modalità;
   la protezione civile di Genova non aveva previsto la violenza del nubifragio e non è stata, neanche successivamente, in condizione di affrontare l'emergenza, gestita, invece, dai cittadini in perfetta solitudine;
   i fondi per mettere in sicurezza il fiume Bisagno, 36 milioni di euro per un tratto di nove chilometri in una zona dove vivono circa centomila persone, sono stati stanziati già nel 2010, ma i lavori non sono ancora neanche cominciati a causa delle lungaggini burocratiche e di una guerra di ricorsi in sede amministrativa sorta in sede all'aggiudicazione dell'opera;
   negli ultimi decenni la Liguria risulta essere una delle regioni maggiormente colpite da frane e inondazioni, ma tutte le regioni d'Italia si trovano con sempre maggiore frequenza a dover gestire le emergenze conseguenti a condizioni di dissesto idrogeologico nei propri territori –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere con riferimento allo specifico caso di Genova e in che modo intenda agire il Governo al fine di mettere tutte le regioni in condizione di gestire e affrontare il dissesto idrogeologico nei territori, sia con riferimento ad un'adeguata dotazione di risorse, sia con riferimento alla speditezza delle procedure per la realizzazione delle opere di messa in sicurezza. (3-01091)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   tra giovedì 9 e venerdì 10 ottobre 2014 la città di Genova è stata colpita da violente precipitazioni che hanno causato l'esondazione di corsi d'acqua quali il Bisagno, il Fereggiano, lo Sturla e lo Scrivia, causando danni enormi alla collettività e una vittima;
   appena tre anni fa, il 4 novembre 2011, Genova era stata vittima di un evento analogo e, a seguito di una violentissima pioggia, è stata letteralmente inondata da un fiume di fango, acqua e detriti, conseguenti all'esondazione dei torrenti Bisagno e Ferregiano, che si sono riversati con inaudita violenza in alcune zone della città, provocando 6 morti e la distruzione di infrastrutture, lo sventramento di attività commerciali, e ingentissimi danni alla città;
   non bisogna dimenticare che il torrente Bisagno è considerato e classificato come torrente a rischio nazionale;
   secondo i dati contenuti nell'archivio storico degli eventi calamitosi (alluvioni e frane) in Italia, redatto dall'Istituto di ricerca e protezione idrogeologica (Irpi) del Cnr, la Liguria e la Toscana sono storicamente tra le regioni più colpite da alluvioni e frane;
   nella sola Liguria sono censite 8.392 frane, con un indice di franosità (rapporto tra aree interessate da eventi franosi e totale del territorio) pari all'8,4 per cento, più alto della media nazionale del 6,9 per cento (per un totale di 486.000), mentre la sola provincia di Genova ne conta ben 3.978;
   per quanto concerne l'alluvione della scorsa settimana, sembra che il sistema di allertamento di cui alla direttiva della Presidenza del Consiglio dei ministri 27 febbraio 2004, non sia riuscito a prevedere con adeguato anticipo l'evento, anche se ben poco si sarebbe potuto fare per evitare i danni;
   il dipartimento di protezione civile ha dichiarato lo stato di emergenza 16 volte nel 2013 e 10 volte nei primi nove mesi del 2014;
   è opinione ormai consolidata in ambito tecnico/scientifico che tragedie come quella di Genova sono causate da più fattori (cambiamenti climatici, predisposizione del territorio italiano, pianificazione territoriale, mancanza di cultura del rischio), tra i più rilevanti dei quali sono da annoverare la progressiva impermeabilizzazione del suolo e la pratica di costruire edifici in zone a rischio o di restringere le sezioni idrauliche dei corsi d'acqua in corrispondenza dei centri urbani;
   come noto, la fuoriuscita dei corsi d'acqua dai loro alvei a seguito di precipitazioni meteoriche intense o prolungate rappresenta un fenomeno squisitamente naturale e non certo inatteso, peraltro di fondamentale importanza nel complesso quadro dell'evoluzione geomorfologica della superficie terrestre; d'altra parte, l'occupazione delle aree esondabili con insediamenti urbani, industriali ed infrastrutture costituisce un aumento del fattore di rischio della forza distruttrice degli eventi alluvionali; in tale contesto, il mantenimento della funzionalità dei suoli riveste una importanza strategica;
   proprio durante il convegno «Italia Dissestata» organizzato il 7 ottobre 2014 presso la Camera dei deputati, Genova ed il Bisagno erano stati citati da vari esperti del settore come esempio negativo di scelte urbanistiche che mettono a rischio interi quartieri;
   la Liguria e la zona di Genova in particolare sono state recentemente oggetto di un'espansione edilizia consistente che non ha tenuto adeguatamente conto delle naturali dinamiche morfologiche dei versanti e dei corsi d'acqua;
   le principali zone a rischio in Italia sono note e, mappate con precisione mediante strumenti di pianificazione come i PAI (Piani di assetto idrogeologico) o con database quali IFFI — inventario dei fenomeni franosi italiani (realizzato dall'ISPRA e dalle regioni e province autonome, per fornire un quadro dettagliato ed una mappatura della distribuzione dei fenomeni franosi sul territorio italiano) o AVI – aree vulnerate italiane (commissionato dal Ministro per il coordinamento della protezione civile al Gruppo nazionale per la difesa dalle catastrofi idrogeologiche del Consiglio nazionale delle ricerche allo scopo di realizzare un censimento delle aree storicamente vulnerate da calamità geologiche – frane – ed idrauliche);
   i database AVI e IFFI hanno caratteristiche diverse: AVI, basato su una mappatura puntuale delle zone già colpite da calamità, è adatto tra l'altro alla calibrazione di sistemi di previsione ed allertamento; IFFI, basato su una mappatura dei poligoni di frana, potrebbe costituire un ausilio fondamentale per una corretta pianificazione territoriale ed urbanistica; purtroppo entrambi questi database non sono ormai più aggiornati da anni;
   durante la seduta del 26 giugno 2013 la Camera approvava a larga maggioranza la mozione n. 1/00114, che, tra le altre cose, impegnava il Governo pro tempore a «promuovere un profondo aggiornamento ed un'integrazione dei quadri conoscitivi nazionali e degli enti locali, riguardanti le conoscenze geologiche, geomorfologiche, idrogeologiche e sismiche, allo scopo di produrre nuovi strumenti urbanistici e cartografici geotematici relativi alla pericolosità geomorfologica, idraulica e di microzonazione sismica, finalizzati ad un più razionale e coscienzioso governo del territorio, così come previsto dal quadro normativo comunitario»;
   lo Stato italiano storicamente concentra la maggior parte degli esigui fondi per il dissesto idrogeologico su interventi strutturali, come dimostrato dai recenti interventi di cui alla legge di stabilità 2013 e confermato dalle intenzioni espresse dalla unità di missione governativa «Italia Sicura», nel corso delle audizioni alla VIII Commissione della Camera dei deputati;
   tali interventi strutturali non sempre ottengono il risultato sperato, in quanto spesso avvengono senza un'organica pianificazione a scala di bacino e non fanno altro che risolvere il problema puntualmente, trasferendolo più a monte o più a valle;
   secondo le più aggiornate valutazioni nell'ambito degli ambienti più direttamente connessi allo studio dei fenomeni di dissesto idrogeologico, gli interventi non strutturali in questa fase potrebbero essere molto più efficaci degli interventi strutturali, oltre che più vantaggiosi da un punto di vista del mero rapporto costi/benefici;
   tra gli interventi non strutturali si segnala la realizzazione e manutenzione di sistemi di allertamento e di monitoraggio, la pianificazione dell'emergenza, la diffusione di un'adeguata cultura del rischio tra la cittadinanza, la progettazione di città resilienti, ovvero in grado di assorbire senza danni fenomeni quali frane e alluvioni grazie alla limitazione dell'espansione urbanistica in aree a rischio –:
   se non ritenga opportuno, oltre alla doverosa azione per fare fronte all'emergenza in atto; assumere iniziative per destinare adeguati fondi ad interventi non strutturali come la ricerca scientifica per migliorare gli strumenti previsionali e la gestione dei rischi idrogeologici o come la revisione dei piani di emergenza comunali almeno nei casi dove essi si siano rivelati inadeguati;
   se, in particolare, anche alla luce delle valutazioni emerse nel corso dell'iniziativa promossa dalle associazioni ambientaliste per analizzare il contenuto del decreto n. 133 del 2014, cosiddetto «sblocca Italia», il Governo non ritenga opportuno destinare prioritariamente le risorse agli interventi per la messa in sicurezza del territorio e per la sistemazione idraulica e, in secondo luogo, alle opere infrastrutturali, individuando esclusivamente quelle davvero necessarie per la collettività;
   se non intenda promuovere con urgenza e finanziare un accurato aggiornamento ed un'integrazione dei quadri conoscitivi nazionali e degli enti locali, riguardanti le conoscenze geologiche, geomorfologiche, idrogeologiche e sismiche, allo scopo di produrre nuovi strumenti urbanistici e cartografici geotematici relativi alla pericolosità geomorfologica, idraulica e di microzonazione sismica, cui subordinare coerentemente e fortemente il governo del territorio e l'attività edificatoria, così come previsto dal quadro normativo comunitario;
   se non intenda porre in essere urgenti iniziative normative in modo non solo da limitare il consumo di suolo – impegnandosi per quanto di competenza, per la rapida approvazione dei provvedimenti all'esame del Parlamento – ma soprattutto da vincolarlo ai suddetti quadri conoscitivi;
   se non intenda intraprendere delle iniziative, ed in caso affermativo quali, affinché gli interventi strutturali finanziati in futuro per la prevenzione del rischio idrogeologico, anche a seguito dell'azione dell'apposita unità di missione governativa, vengano opportunamente valutati a scala di bacino (ovvero sia tenuto in debita considerazione l'impatto generato a monte e a valle) e siano assoggettati ad una rigorosa analisi del rapporto costi/benefici estesa anche ad un raffronto con tipologie alternative di intervento, incluse le ipotesi di rinaturalizzazione delle aree a rischio e di demolizione e ricostruzione in area sicura degli edifici a rischio.
(2-00714) «Segoni, Busto, Daga, De Rosa, Micillo, Mannino, Terzoni, Zolezzi, Vignaroli, Fraccaro, Cozzolino, Toninelli, Dadone, Dieni, Lombardi, Nuti, D'Ambrosio, Castelli, Sorial, Caso, Brugnerotto, Cariello, Colonnese, Currò, D'Incà, Luigi Gallo, Brescia, Marzana, D'Uva, Di Benedetto, Vacca, Simone Valente».

Interrogazioni a risposta scritta:


   MICILLO, LUIGI GALLO, LUIGI DI MAIO e TOFALO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 7 giugno 2013 Terna, la società che gestisce la trasmissione di energia elettrica in Italia, annunciava che realizzerà a Capri un'opera elettrica ad alta tensione che correrà per 30 chilometri sotto il mare e per 1 chilometro in cavo terrestre interrato, finalizzata a collegare l'isola partenopea con la terraferma mediante un cosiddetto «elettrodotto» che collegherà la stessa alla città di Torre Annunziata (Napoli);
   il valore economico dell'opera è stimato intorno ai 100 milioni di euro;
   il cavo elettrico proveniente dalla terraferma approderà all'isola ecologica di Gasto, dove Terna sta costruendo una stazione elettrica;
   da tempo si sostiene che l'attuale centrale elettrica a gasolio dell'isola verde della Soc. Sippic spa – soggetta ad adeguamenti normativi recenti (http://viavas.regione.campania.it) avrebbe, al contrario, ancora un impatto devastante sulla salute degli isolani (http://gassificatorecassola.wordpress.com);
   l'opera, che segue al potenziamento in corso del collegamento di Ischia con la terraferma, coinvolgerà complessivamente 40 imprese (civili, elettriche ed elettrotecniche) e 300 lavoratori, e rappresenta una tappa del più ampio «progetto insula», il piano di Terna per collegare le principali isole italiane – Sardegna, Sicilia, Elba, Isole campane, Laguna Veneta – alla terraferma, con cavi sottomarini;
   un investimento complessivo di circa 2,3 miliardi di euro (fonte: http://www.terna.it);
   un esempio presentato come «unico di progettazione d'avanguardia nel campo delle infrastrutture elettriche» che sorgerà su un'area di circa 2.700 metri quadrati;
   per l'ammodernamento della rete elettrica campana Terna ha programmato interventi per oltre 1 miliardo di euro, più del 12 per cento dell'intero piano di sviluppo 2013-2022 – che contempla circa 8 miliardi di euro di investimenti sull'intero territorio nazionale;
   il piano di crescita infrastrutturale di Terna per la Campania prevede la demolizione di oltre 260 chilometri di elettrodotti attualmente esistenti;
   esiste riguardo al progetto menzionato un'incertezza informativa circa la localizzazione e le ampiezze delle fasce di rispetto, soprattutto in relazione alla possibile vicinanza a recettori sensibili;
   il Ministero della salute/direzione generale della prevenzione sanitaria richiede che nella corografia inerente le Dpa, facenti parte delle relazioni sul «Calcolo delle fasce di rispetto», siano indicate sia l'ubicazione delle due camere giunti terra/mare sia le eventuali ulteriore «buche-giunti» presenti sul tracciato terrestre;
   la società Terna afferma, rispetto a tale richiesta, che la definizione puntuale della posizione delle «buche-giunti» sarà possibile solo in fase esecutiva (fonte: http://www.sviluppoeconomico.gov.it);
   esiste un'incertezza informativa legata al tipo di materiale utilizzato per l'elettrodotto in questione e ai sistemi di isolamento e raffreddamento;
   è noto che alcuni elettrodotti utilizzino materiali che, se danneggiati, possono produrre un esteso inquinamento con consistenti danni ambientali;
   casi di rotture e dispersione di sostanze tossiche cancerogene hanno anche recentemente interessato elettrodotti isolani nel golfo di Napoli (fonte: http://www.meetup.com e, http://dambra.wordpress.com);
   la normativa regionale prevede alcune norme più restrittive a tutela della salute legge regionale 24 novembre 2001, n. 13, «Prevensione dei danni derivanti dai campi elettromagnetici generati da elettrodotti» (BURC speciale del 29 novembre 2001);
   il 10 ottobre 2014 il sito di informazione locale on line «Lo Strillone» riferiva di una manifestazione da parte di residenti a Torre Annunziata in località Rovigliano in aperto dissenso sulla mega opera in costruzione. Gli abitanti temono per l'ambiente e per la propria salute, facendo notare come nonostante si sia nel 2014 la zona manchi ancora di una rete fognaria (fonte: http://www.lostrillone.tv);
   in data 14 gennaio 2013 il comune di Torre Annunziata ha prodotto ricorso avverso alla costruzione dell'opera nei confronti dei Ministeri dello sviluppo economico, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e delle infrastrutture e dei trasporti –:
   se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intendono assumere nell'immediato, anche promuovendo un'indagine ambientale immediata che preveda, tra le altre cose, in che termini debba avvenire la movimentazione terra per trincee di scavo in area SIN ad altissima contaminazione da metalli pesanti e altri inquinanti come amianto e IPA e non ancora soggette a bonifica definitiva, al fine di fugare eventuali dubbi di un diffuso inquinamento sui residenti nella zona interessata dai menzionati lavori e di verificare se i recenti adeguamenti della centrale a gasolio abbiano avuto effetti sulla popolazione;
   di quali dati di sicurezza ed affidabilità si dispongano circa il progetto in itinere. (4-06387)


   GRANDE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel rapporto pubblicato dall'osservatorio ambientale di Civitavecchia per l'anno 2013 si riscontrano forti criticità rispetto ad alcuni fattori monitorati;
   il testo specifica che «le principali variazioni rilevate dal confronto del quadriennio riguardano l'arsenico, per tutti e tre gli organismi (sentinella), helix aspersa, aphanius fasciatus e paracentrotus lividus, ed il cromo principalmente per aphanius fasciatus. Nella campagna 2013 inoltre, è stato registrato un notevole incremento dei livelli di piombo per tutti gli organismi sentinella e sono state rilevate, per la prima volta, tracce di mercurio»;
   lo stesso documento afferma che «per l'arsenico si registra un sensibile incremento focalizzato in modo particolare negli ultimi due anni di indagine (2012 e 2013) generalizzato su tutti gli organismi sentinella»;
   nelle conclusioni si legge che «le maggiori alterazioni hanno riguardato i livelli di cromo, di arsenico e per l'anno 2013 di piombo» e si «suggerisce di prestare attenzione anche ai materiali particellari (PM 10 e PM 2,5)»;
   il materiale particellare «(...) è anche direttamente emesso da impianti industriali, traffico automobilistico, riscaldamento domestico, ecc. ne consegue che l'attivazione d'interventi di riduzione dell'inquinamento richieda la conoscenza delle condizioni meteorologiche, della concentrazione in aria dei precursori e, per il materiale particellare, delle sorgenti che lo immettono direttamente in aria»;
   l'osservatorio ambientale ammette che «In mancanza di una rilevazione dei microinquinanti da parte dell'osservatorio, il rapporto fa indicativamente riferimento ad una rilevazione che l'ENEL produce annualmente in ottemperanza di una prescrizione del decreto di autorizzazione della riconversione a carbone della centrale termoelettrica di Torrevaldaliga nord» e che «le rilevazioni 2013 evidenziano il contributo dell'attività portuale e del riscaldamento domestico (...) ma non riescono a quantificare o ad escludere quelli della centrale Torrevaldaliga nord, dell'area portuale e del traffico sulle concentrazioni di PM 10 e PM 2.5 rilevate a San gordiano ed a Faro» –:
   se ritenga sussistenti i presupposti per assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a sviluppare un monitoraggio più ampio ed esaustivo degli agenti inquinanti sul territorio di Civitavecchia, monitoraggio che faccia riferimento a dati raccolti da soggetti terzi e indipendenti, posto che Enel, in qualità di soggetto monitorato, risulta essere in patente conflitto di interessi rispetto alla produzione dei rapporti all'osservatorio.
(4-06389)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COSTANTINO, SCOTTO, GIANCARLO GIORDANO e FRATOIANNI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il provvedimento di licenziamento dell'orchestra e del coro del teatro dell'Opera di Roma azzera in un colpo solo un secolo di storia della cultura italiana, colpendo il teatro della capitale d'Italia che ha ospitato la «prima esecuzione assoluta» della Tosca di Giacomo Puccini;
   il licenziamento collettivo proposto dal consiglio di amministrazione del teatro, primo caso nella storia dei teatri in Italia e probabilmente nel mondo, fa ricadere sui 182 musicisti le responsabilità delle cattive gestioni economiche che le diverse amministrazioni, alla guida della fondazione negli ultimi anni, hanno causato;
   il teatro non è fatto dalle mura, ma da tutti i lavoratori che vi operano;
   gli artisti di coro e orchestra sono stati oggetto di una campagna mediatica diffamante che li ha rappresentati nel mondo come dei lavativi privilegiati, mentre la realtà è che si tratta di professionisti, con retribuzioni minori di tutti gli altri teatri europei, vincitori di concorsi internazionali, che hanno dedicato e dedicano tutta la vita allo studio ed al perfezionamento per poter offrire al pubblico spettacoli dal vivo di alto livello, come dichiarato dalla stampa nazionale e mondiale che li ha visti protagonisti al Festival di Salisburgo 2013 fino alla tournée in Giappone del maggio 2014 con il maestro Riccardo Muti;
   un'altra amministrazione del teatro dell'Opera era ed è possibile, con gli strumenti di risanamento previsti dalla legge «Bray»;
   un'orchestra è composta da una compagine stabile ed una aggiuntiva. Gli stabili sono circa 90 persone contrattualizzate che fanno parte in maniera continuativa dell'insieme strumentale. Sono la parte fondamentale di un ente lirico. Ogni orchestra ha una sua identità sonora e tecnica e porta avanti la sua peculiarità nel tempo, formando i nuovi arrivati e perpetrando tradizioni. Lo stesso ragionamento vale per il coro dell'orchestra. Gli «aggiunti», invece, sono strumentisti «freelance» che vengono convocati di volta in volta quando l'organico stabile non è sufficiente all'esecuzione di un brano;
   il teatro dell'Opera di Roma ha costantemente ridotto l'organico stabile essendo poi impossibilitato a riassumere nuovi strumentisti. La maggiore riduzione del personale era avvenuta con la gestione precedente, negli anni dal 2008 al 2013. Diminuendo il personale però si è ottenuto l'effetto contrario: ovvero sono aumentati i costi a danno dell'occupazione che è venuta a mancare;
   in caso di difficoltà economica delle Fondazioni lirico-sinfoniche, la legge «Bray» prevede un piano di risanamento che include una maggiore flessibilità del lavoro e della produzione. La decisione del consiglio d'amministrazione del teatro dell'opera di Roma non ha applicato la normativa a disposizione cancellando, nella loro totalità, gli organici di orchestra e Coro;
   la volontà politica appare, fatti, sempre più quella di svuotare i teatri per renderli dei contenitori in cui poter di volta in volta affidare le prestazioni artistiche a cooperative esterne che saranno costrette a ribassare sempre più i costi e la qualità affermando, a questo scopo, che i contratti di lavoro a tempo indeterminato sono sinonimo di scarsa qualità;
   gli orchestrali e coristi sono stati accusati dai media di essere dei «rottami corporativi» che difendono i loro piccoli privilegi economici e professionali, ancor peggio, come responsabili dello sfascio del teatro dell'Opera di Roma;
   gli sprechi del teatro si annidano, invece, nella cattiva gestione dell'ente: i dipendenti del teatro sono in totale 430 lavoratori e 11 sono i dirigenti: 419 tra personale artistico, macchinisti, tecnici audio, tecnici video, scenografi, assistenti di palco, sarti, pianisti accompagnatori, truccatori e tutto il resto. Per un costo totale del personale stimabile in circa 15 milioni di euro, considerando anche le varie indennità. Dal bilancio 2012 pubblicato dall'Ente sul proprio sito, i conti non tornano in quanto nel conto economico, alla voce costi della produzione, il dato relativo a salari e stipendi riporta la somma di 25.716.550 euro; mentre se si aggiungono ai 15 milioni del costo del personale altri 790.000 euro per gli stipendi lordi degli 11 dirigenti si è ancora lontani dal raggiungere la cifra iscritta in bilancio. Mancano altre tre figure professionali i cantanti, i direttori d'orchestra e i registi i cui cachet rappresentano il costo maggiore di ogni teatro;
   sul piano della gestione e, quindi, delle entrate le responsabilità sono evidenti pensando agli allestimenti e alla ricerca di sponsor privati. Sono sufficienti solo pochi esempi per comparare situazioni simili tra il Wien Staatsoper, il teatro dell'opera di Vienna, il parallelo austriaco del nostro teatro capitolino: a Vienna nel 2014 il Sigfrido, nuovo allestimento, 17 repliche con questo allestimento; Tosca, 573 esima replica con questo allestimento; L'Olandese Volante, 53 esima replica con questo allestimento; Elisir d'amore, 213 esima replica con questo allestimento. Nella stagione 2014 all'Opera di Roma: Elisir d'amore, 6 repliche; Ernani, nuovo allestimento, 7 repliche; Lago dei Cigni, nuovo allestimento, 11 repliche; Manon Lescaut, nuovo allestimento, 5 repliche; Rigoletto, nuovo allestimento, 10 repliche. Caracalla, 3 opere, 2 nuovi allestimenti. I dirigenti dei teatri esteri hanno ben capito che le opere, una volta messe in scena, per essere produttive devono essere rappresentate moltissime volte, fino a 600, se funzionano. Perché così il teatro fa cassa, perché ogni replica messa in scena diminuisce drasticamente il costo di produzione fino a raggiungere il famoso «punto di rientro» tanto caro all'economia aziendale, che fa sì che ad un certo punto si cominci a guadagnare del denaro utile al pareggio di bilancio. L'allestimento scellerato di nuove opere, invece, non fa altro che alimentare il meccanismo perverso del dispendio a solo beneficio di registi estrosi chiamati per «chiara fama» a creare scenografie enormemente costose ed a totale discapito dell'Ente teatrale, specialmente se poi se ne fanno pochissime repliche. E sono proprio registi e direttori d'orchestra la voce di spesa maggiore del teatro dell'Opera di Roma. Gli sponsor privati nel teatro viennese appongono diciture come la seguente: «questa produzione è stata resa possibile grazie al finanziamento della...» e a volte si fanno carico di mettere in scena intere produzioni teatrali in cambio di un enorme rientro di immagine. Alla voce sponsor del bilancio 2012 del teatro romano si legge alla voce Altri ricavi e proventi, b) sponsorizzazioni e diritti per ripresa e diffusioni 1.247.604 euro. Un Teatro di tradizione dell'importanza dell'Opera di Roma con tournée internazionali ed una direzione artistica stabile come quella del Maestro Muti, è impensabile che riesca a racimolare solo 600.000 euro in un anno (dando per scontato che la cifra faccia riferimento per metà anche ai diritti televisivi e radiofonici) di sponsor. Senza considerare che il contributo dello Stato che rappresenta una voce fondamentale dei ricavi è strettamente correlato alle scelte di politica economica del Paese, come evidenziato dall'andamento discontinuo degli ultimi anni; inoltre le riduzioni dei finanziamenti avvengono in tempi che non permettono di adottare misure correttive. I tagli sono comunicati ad esercizio avanzato vanificando i principi di corretta programmazione economico finanziaria che per le Fondazioni lirico sinfoniche costituiscono l'obiettivo strategico da conseguire costantemente, creando quindi problemi di bilancio;
   sarebbe il caso in primis di usare gli strumenti previsti dalla Legge «Bray» poi di investire nel settore degli sponsor privati e nel taglio dei cachet di registi, direttori e cantanti;
   sarebbe il caso, insomma, di tentare tutto il tentabile prima di licenziare 182 persone. Era sufficiente leggere i bilanci per rendersi conto della complessità della questione. La soluzione adottata appare esclusivamente una scappatoia;
   nello specifico il consiglio d'amministrazione del teatro dell'Opera di Roma ha scelto la strada del licenziamento di questi lavoratori sostenendo che l'esternalizzazione del servizio farebbe risparmiare al Teatro circa 3,4 milioni l'anno. Agli orchestrali e coristi è stato proposto di formare, dopo il licenziamento, una sorta di cooperativa musicale che possa anche proporsi come «servizio esterno» per il Teatro al fine di garantirne le rappresentazioni. Questa singolare posizione significa in pratica che il Consiglio d'amministrazione non ritiene gli orchestrali e i coristi musicalmente inadeguati ai compiti richiesti, ma semplicemente che vuole risparmiare tagliando i salari dei lavoratori, eliminando molti diritti (in primo luogo quello di sciopero) e minando la sicurezza del posto di lavoro;
   la storia delle «esternalizzazioni» è ormai sufficientemente lunga, in Italia, e largamente applicata, con risultati piuttosto negativi, in tutti i settori industriali, nella logistica e persino nel settore pubblico, come nel caso delle pulizie delle scuole. Per i datori di lavoro, si tratta sempre di abbassare il salario reale dei lavoratori, di precarizzarli e di annullarne i diritti. Questa logica, applicata a un settore come quello musicale, appare ancor più folle che altrove. Un'orchestra importante si costruisce nel tempo, con la continuità di prove, di conoscenza reciproca e di vicinanza e comprensione con i grandi direttori d'orchestra. Non è pensabile il reclutamento di un gruppo «a contratto» per un periodo limitato, con una valutazione in cui magari un 10 o 15 per cento di costi in meno è il fattore decisivo a scapito della qualità artistica;
   la soluzione adottata con il licenziamento collettivo dei musicisti del teatro dell'opera di Roma si configura quindi come una scelta prettamente politica per zittire polemiche scomode e tacitare i lavoratori a mo’ di esempio, un atto secondo gli interroganti illecito per spostare l'attenzione dal vero problema: la scellerata gestione amministrativa di questi anni;
   i lavoratori sono stati chiamati il 19 settembre 2014 a scegliere, con referendum, se aderire o meno al piano industriale previsto dalla Legge Bray. Ha vinto il sì, ma nessuno ha tenuto conto di questo risultato democratico;
   il Ministro interpellato non ha risposto all'interrogazione a risposta scritta numero 4-02938 presentata dall'onorevole Celeste Costantino giovedì 12 dicembre 2013, presentata nella seduta n. 137 –:
   se non ritenga sia il caso di adoperarsi affinché vengano revocati i provvedimenti di licenziamento indicati in premessa e quali iniziative intenda porre in essere per ripristinare una corretta applicazione della legge «Bray» che prevede una «razionalizzazione del personale artistico» e non la sua drastica cancellazione;
   se non ritenga, per una questione di correttezza e di trasparenza istituzionale, di dover rendere di dominio pubblico le specifiche del bilancio del teatro dell'Opera di Roma;
   se non ritenga di indurre a pianificare la restituzione dei debiti contratti, attraverso delle politiche di risparmio volte al risanamento economico con l'azzeramento di appalti e commesse esterne;
   se non ritenga opportuna un'azione di rilancio che prevede anche un'accurata ricerca di dirigenti capaci di governare il teatro dell'Opera di Roma a partire dalla sovrintendenza e all'uopo, attesa l'importanza, di far sì che ciò avvenga come accaduto presso il teatro alla Scala di Milano, laddove tale carica è stata scelta in seguito ad un concorso internazionale;
   quali misure il Ministro ritenga necessarie per consentire il necessario ridimensionamento dei vari incarichi e le molteplici consulenze attualmente esistenti a carico della Fondazione, considerando che il decreto-legge n. 91 del 2013 individua tre figure dirigenziali e preminenti: il soprintendente, il direttore artistico ed il direttore amministrativo;
   se nella sua qualità di organo preposto a difendere e valorizzare la cultura di questo Paese e la sua identità artistica, si senta di escludere che quella del teatro dell'Opera di Roma rappresenti il primo passo per un'opera di «razionalizzazione» dell'intero comparto lirico sinfonico nazionale. (5-03787)

Interrogazione a risposta scritta:


   FERRARA e RICCIATTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Promuovitalia s.p.a. è un'agenzia che svolge attività di assistenza tecnica alla pubblica amministrazione, in particolare svolge attività di formazione e promozione turistica ed è controllata al 100 per cento dall'agenzia nazionale del turismo, l'Enit, e quindi dal Ministeri dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   la società è stata creata nel 2004 con lo scopo di supportare «l'occupazione e lo sviluppo dell'industria turistica» e sembrava destinata a diventare un ente assistenziale per realizzare progetti finanziati dal Ministero dello sviluppo economico e dal dipartimento del turismo;
   a ottobre 2013 il Ministero per i beni e le attività culturali ha accorpato le funzioni e le risorse dell'ufficio per le politiche del turismo ereditando due enti in crisi di prospettiva, l'Enit e Promuovitalia. Con la «legge Franceschini» del luglio 2014 la prima è stata commissariata, la seconda messa in liquidazione e rischia il fallimento;
   da alcuni articoli pubblicati sul sito internet www.wired.it si apprende che il 3 ottobre 2014 la Guardia di finanza ha acquisito presso la sede della società Promuovitalia, in via San Claudio 61 a Roma tutta la documentazione relativa a un giro di fatture false generate dentro la società e relative ai corsi di formazione del progetto «lavoro e sviluppo», ipotizzando i reati di abuso di ufficio continuato e falsa fatturazione;
   Promuovitalia infatti è stata responsabile di vari corsi di formazione per disoccupati meridionali, con il progetto «lavoro e sviluppo» e ha realizzato 6 mila tirocini formativi al costo di 10 mila euro l'uno (per 60 milioni di euro) con un tasso di occupazione del 25 per cento;
   secondo le denunce oggi venute a galla e riportate dall'articolo già richiamato, i fondi dei tirocini formativi, sarebbero stati incassati parzialmente e in via indiretta da un dirigente della stessa Promuovitalia;
   la scelta è sembrata quasi obbligata visto che l'Enit verserebbe in gravi difficoltà operative per i tagli lineari del Governo Monti e parrebbe costretta a spendere quasi tutto il suo capitale per pagare gli stipendi, mentre Promuovitalia, per pagare le spese per il personale, che ammonterebbe a circa 500 mila euro al mese, sembra debba ricorrere a finanziamenti che andrebbero a valere su altre attività, come i corsi di formazione e lavoro per i quali i borsisti pare non abbiano ricevuto gli ultimi stipendi e i redattori di Italia.it sarebbero stati obbligati a fare causa a Promuovitalia per sette mesi di stipendi arretrati non pagati;
   i conti di Promuovitalia fino al 2011 erano in ordine e in attivo, le commesse aumentavano in numero e profitti dopodiché invece sembrerebbe che il bilancio 2013 non sia stato approvato e, fatto ancora più grave, mancherebbero all'appello 8 milioni di euro appena incassati;
   con la nomina del nuovo consiglio di amministrazione, costituito a maggio 2012 è stata avviata una riorganizzazione complessiva dell'agenzia che ha visto improvvise retrocessioni e promozioni che sono poi sfociate in una serie di querele per licenziamento illegittimo e in accuse reciproche di conflitto d'interessi, manipolazione di verbali, minacce e copie informatiche non autorizzate di documenti, bilanci, determine ed e-mail personali denunciate anche al Garante della privacy;
   al centro della contesa sarebbe il diverso orientamento della gestione dei progetti di formazione lavoro e sviluppo sui quali sarebbero state individuate delle gravi irregolarità;
   allo stato attuale Promuovitalia non disporrebbe più dei fondi per pagare stipendi e creditori e questo nonostante il tentativo di riportare ordine tentato durante e il Governo Letta da un delegato dell'ex Ministro Bray, il dottor Nicola Favia, entrato per sostituzione nel consiglio di amministrazione, ma costretto a dimettersi insieme al rappresentante del Ministero dello sviluppo economico per l'impossibilità di intervenire su una situazione ormai fuori controllo. Infatti, in una nota riservata al capo di gabinetto di Massimo Bray e al segretario generale Antonia Pasqua Recchia e resa pubblica successivamente dal sito internet www.wired.it, il dottor Favia, aveva parlato testualmente di «faide, vendette, epurazioni e di un clima di terrore» sopravvenuto;
   oggi a presidiare il litigioso ente è stato scelto Antonio Venturini, commercialista, il quale dovrà fare un piano di liquidazione, stilare la lista dei creditori e poi chiudere Promuovitalia;
   l'articolo di stampa già citato pone un serio interrogativo sulla somma di circa 11 milioni e mezzo di euro che sembrano essere finiti nel nulla e a parere degli interroganti sarebbe opportuno che venisse fornita una risposta adeguata dal momento che a dicembre del 2013 a Promuovitalia sarebbero giunti circa 6 milioni di euro dal Ministero dello sviluppo economico e circa due milioni dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che rendono effettivamente quantomeno sospetta questa mancanza di liquidità;
   ai fatti sopra esposti si aggiunge che da un articolo del 24 settembre, pubblicato sul sito www.key4biz.it a firma di Gianni Motta Ferilli, si apprende che il 9 settembre 2014 da Promuovitalia è partita una comunicazione verso un'azienda romana, Unicity Spa, con la quale rescindeva unilateralmente il contratto relativo alla fornitura dei servizi redazionali per Italia.it, il portale nazionale del turismo; la società romana aveva ottenuto quella commessa ministeriale dopo un ricorso vinto al Tar nel 2012 per immettere contenuti nel portale a seguito di una gara europea;
   la rescissione unilaterale viene legittimata in base a una clausola contrattuale che riguarda i sopravvenuti «motivi di interesse pubblico», riferibili alla legge n. 106 del 2014 con cui il Ministro Dario Franceschini assegna il portale all'Enit. In aggiunta, nella lettera si chiarisce che Promuovitalia non ha i fondi per pagare il lavoro svolto da Unicity negli ultimi sei mesi, motivo per cui, come è noto anche alla stampa, la dozzina di redattori del portale non percepisce lo stipendio dal mese di febbraio 2014. Nonostante il mancato pagamento, nella lettera verrebbe esplicitato che la redazione dovrà comunque continuare a lavorare, senza alcuna garanzia sulle retribuzioni dovute alle lavoratrici e ai lavoratori;
   anche in questo caso sembrerebbe che i fondi ci siano, ma non si sappia dove siano finiti, infatti sarebbero stati stanziati 1 milione e mezzo per i tre anni di lavoro della redazione e 3 milioni per la gestione dell'appalto a Promuovitalia;
   ciò che appare incredibile agli interroganti è che un'azienda sana che vince una gara pubblica europea, fa degli investimenti, assume personale, organizza le postazioni di lavoro, forma i lavoratori, mette a bilancio costi e ricavi, possa vedersi rescisso un contratto con soli quindici giorni di preavviso e senza che i propri lavoratori siano stati retribuiti per diverse mensilità –:
   se il Governo intenda intervenire in maniera tempestiva al fine di fare chiarezza su quanto esposto in premessa e se intenda assumere i relativi provvedimenti rispetto a quanto sta accadendo all'interno dell'Agenzia Promuovitalia s.p.a., oggi oggetto di controlli da parte della Guardia di finanza, in particolare rispetto al sospetto di un ammanco in bilancio per 11 milioni e mezzo di euro, nonostante il fatto che a dicembre 2013 a Promuovitalia siano giunti circa 6 milioni di euro dal Ministero dello sviluppo economico e circa due milioni di euro dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   se il Governo non intenda intervenire per garantire una soluzione positiva per i lavoratori della redazione del sito Italia.it che rischiano di perdere il posto di lavoro a causa della rescissione unilaterale del contratto di fornitura di servizi da parte di Promuovitalia ai danni di Unicity, garantendo loro un futuro occupazionale certo e il pagamento degli stipendi arretrati non percepiti. (4-06385)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è il paese europeo a più alta densità di veicoli motorizzati a due ruote circolanti sulle strade; secondo i dati forniti dall'Associazione nazionale ciclo motociclo accessori — Confindustria ANCMA – sulle nostre strade circolano, infatti, 8,5 milioni di veicoli a due ruote, di cui 2 milioni ciclomotori e 6,5 milioni motocicli; la presenza di così tanti veicoli si traduce, inevitabilmente, in un maggior coinvolgimento degli stessi in incidenti stradali;
   il numero degli incidenti, delle vittime e dei feriti riferiti ai ciclomotori e ai motocicli è progressivamente diminuito nel corso degli ultimi anni; dal 2007 il trend delle vittime è in calo; negli ultimi 5 anni i morti e i feriti si sono ridotti del 42 per cento, ciononostante, esistono ancora significativi margini di miglioramento in tema di sicurezza stradale;
   la diffusione di capi di abbigliamento tecnico per i conducenti di ciclomotori e motocicli, idonei a ridurre le conseguenze dell'incidentalità, è, oggi, piuttosto marginale, sia per una certa resistenza culturale, sia per il costo di tali protezioni;
   l'industria nazionale dell'abbigliamento protettivo rappresenta una delle più importanti produzioni manifatturiere in Europa e nel mondo, sia in termini quantitativi, sia, soprattutto, per la qualità dei prodotti e dei processi produttivi, anche grazie ad importanti investimenti nell'innovazione tecnologica, che costituiscono il vero valore aggiunto della produzione nostrana;
   le aziende italiane di abbigliamento protettivo generano un fatturato di circa 300 milioni di euro, corrispondente a circa il 10 per cento del giro d'affari complessivo dell'industria motociclistica e il settore impiega circa 1.400 occupati;
   opportune politiche di incentivazione all'utilizzo di tali dispositivi di protezione individuale porterebbe evidenti effetti positivi in termini di riduzione della fatalità e della mitigazione delle lesioni;
   l'introduzione di sgravi fiscali per l'acquisto di tali dispositivi di protezione individuale potrebbe essere un valido incentivo al miglioramento della sicurezza stradale e alla tutela dell'incolumità dei conducenti e dei passeggeri di ciclomotori e motocicli;
   il minore gettito conseguente all'introduzione di tali agevolazioni fiscali per incentivare l'impiego di abbigliamento protettivo sarebbe in parte compensato sia dai maggiori introiti IVA derivanti dall'incremento delle vendite, sia dalla significativa diminuzione dei costi sociali e sanitari –:
   quale sia l'onere per il bilancio dello Stato derivante dall'introduzione di un'agevolazione corrispondente alla detrazione fiscale, ai sensi dell'articolo 15, del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, di un importo corrispondete al 50 per cento delle spese sostenute per l'acquisto delle dotazioni di protezione per uso motociclistico. (5-03788)


   SANDRA SAVINO e GREGORIO FONTANA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Accademia della Guardia di finanza è attualmente divisa fra il triennio, svolto nella sede in via dello Statuto a Bergamo, e il biennio di specializzazione svolto nella sede di Castelponziano a Roma;
   il Governo si era a più riprese impegnato a realizzare l'accorpamento della sede della Guardia di finanza nell'area degli ex ospedali riuniti di Bergamo, considerando quest'opera di razionalizzazione estremamente positiva in virtù dei costi annui più bassi e dell'efficienza data dall'accorpamento dei corsi in una sola sede;
   tutte le forze politiche di Bergamo hanno auspicato un impegno unanime per realizzare questo polo formativo di assoluto valore, che andrebbe ad arricchire ulteriormente lo stretto rapporto di collaborazione tra la città di Bergamo e il corpo della Guardia di finanza –:
   se il Governo intenda confermare il progetto della nuova Accademia della Guardia di finanza nell'area degli ex ospedali riuniti di Bergamo, quale sia la tabella di marcia indicativa riguardante i tempi di realizzazione di quest'opera, quale sia lo stato dell'arte relativamente alla formale acquisizione delle superfici immobiliari sulle quali sorgerà l'Accademia della Guardia di Finanza e se intenda confermare l'orientamento, emerso in più occasioni pubbliche, in ordine alla possibilità di trasferire, anche prima della realizzazione della nuova Accademia, l'intero quinquennio dei corsi. (5-03789)


   PESCO, SORIAL, ALBERTI, BARBANTI, CANCELLERI, RUOCCO, PISANO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   non c’è ancora traccia di una ripresa del credito per le famiglie e — soprattutto — per le imprese;
   secondo i dati di Banca d'Italia i prestiti al settore privato, corretti per tener conto delle cartolarizzazioni e degli altri crediti ceduti e cancellati dai bilanci bancari, hanno registrato una contrazione su base annua del 3,2 per cento (- 3,1 per cento ad aprile);
   i prestiti alle famiglie sono scesi dell'1 per cento sui dodici mesi, come ad aprile; quelli alle società non finanziarie sono diminuiti, sempre su base annua, del 4,7 per cento (- 4,4 per cento ad aprile);
   agli italiani costa caro farsi prestare denaro: i tassi d'interesse, comprensivi delle spese accessorie, sui finanziamenti erogati nel mese alle famiglie per l'acquisto di abitazioni sono stati pari al 3,65 per cento (3,63 nel mese precedente); i tassi d'interesse sui nuovi prestiti alle società non finanziarie di importo fino a 1 milione di euro sono risultati pari al 4,18 per cento (4,27 per cento ad aprile); i tassi passivi sul complesso dei depositi in essere sono stati pari allo 0,87 per cento (0,89 per cento ad aprile);
   anche la qualità del credito fatica a migliorare, tanto che il tasso di crescita sui dodici mesi delle sofferenze è risultato pari al 21,7 per cento in leggero calo rispetto al 22,3 per cento di aprile;
   quello che assomiglia sempre più ad un vero e proprio credit crunch rischia di causare nel nostro Paese una drammatica caduta del potere di acquisto delle famiglie e la scomparsa del tessuto delle piccole e medie imprese, che è stata da sempre la colonna portante della nostra economia;
   l'Istat segnala che l'industria italiana torna in rosso: a maggio produzione giù dell'1,8 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, a maggio registra un freddo – 1,2 per cento rispetto al mese precedente — il risultato peggiore dal novembre 2012;
   sono in arrivo nuove risorse dalla BCE: le nuove operazioni di prestito (Targeted Longer-Term Refinancing Operations) avranno una scadenza di quattro anni; su di esse le banche pagheranno un tasso molto basso, quello che normalmente versano sulle operazioni con scadenza a una settimana, maggiorato di dieci punti base: attualmente lo 0,25 per cento;
   la motivazione ufficiale alla base di questa operazione è che i fondi saranno usati dalle banche per prestarli alle imprese, ma nel documento della BCE che spiega le technicalities delle operazioni, si scopre che potranno essere utilizzate proprio come le precedenti Ltro, che furono in larga parte impiegate per comprare titoli di Stato e lucrare così la differenza tra il loro rendimento e il tasso di favore pagato alla BCE come sottolineato dagli economisti de lavoce.info;
   infatti, nella sua prima parte il provvedimento non crea nessun incentivo ad aumentare i prestiti alle imprese e non c’è nessun vincolo nella destinazione dei prestiti ricevuti dalla BCE: possono essere usati a discrezione della banca che li riceve;
   qualche incentivo in più viene dal meccanismo con il quale saranno determinate le sei tranche successive, che verranno erogate ogni trimestre, dal marzo 2015 al giugno 2016, per un ammontare complessivo stimato in circa 600 miliardi: la somma che ciascuna banca potrà prendere a prestito sarà proporzionale al flusso netto di nuovi prestiti erogati;
   il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ha dichiarato all'assemblea annuale dell'ABI che nell'area dell'euro «la crescita è ancora molto debole» e in Italia «la ripresa stenta ad affermarsi» ma le nuove operazioni di rifinanziamento a lungo termine (Tltro) della BCE, finalizzate a fornire credito all'economia reale, metteranno a disposizione delle banche italiane «un ammontare potenzialmente cospicuo» che «può superare i 200 miliardi» e che alle piccole e medie imprese possono arrivare risorse «stimabili in circa 120 miliardi»;
   Visco ha sottolineato anche che il sistema finanziario «deve riguadagnare la fiducia del pubblico» e per farlo «non deve fare mancare il finanziamento a chi lo merita, sostenendo l'economia reale», con «limpidezza dei comportamenti e salvaguardia della legalità», anche perché la crisi «ha fatto emergere comportamenti inadeguati, imprudenti, talora scorretti da parte degli amministratori» degli istituti bancari –:
   se sia al corrente dei dati esposti in premessa e quali misure intenda adottare, per quanto di competenza, affinché le banche siano maggiormente responsabilizzate e sensibilizzate circa la destinazione dei nuovi fondi previsti dalla BCE a favore delle famiglie e imprese, e se ritenga opportuno a tal fine assumere iniziative per tassare le plusvalenze realizzate dalle banche, lucrando sui titoli di Stato con fondi di provenienza BCE in maniera da contrastare tale forma di investimento, a vantaggio degli investimenti nell'economia reale. (5-03790)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto ministeriale del 15 novembre 2000, relativo all'atto di concessione alla Lottomatica, è stata modificata la struttura della convenzione originaria con riferimento al meccanismo degli aggi spettanti alla società concessionaria, trasferendo contemporaneamente alla stessa gli oneri derivanti dagli investimenti pubblicitari; inoltre, la convenzione fa salva la facoltà del concessionario di effettuare spese pubblicitarie ulteriori rispetto a quelle minime, essendo lo stesso chiamato a svolgere «un'azione propulsiva e di sostegno del concorso attraverso un adeguato piano pubblicitario mettendo in opera al riguardo tutti i mezzi ritenuti adatti allo scopo»;
   infatti l'articolo 8, comma 2, del suddetto decreto ministeriale, stabilisce che «la società Lottomatica sostiene gli investimenti per promozione e pubblicità del gioco del Lotto, sottoponendo preventivamente, per l'approvazione, all'Amministrazione dei Monopoli di stato, il piano annuale per la promozione e pubblicità, in misura non inferiore al 7 per cento del compenso percepito dal concessionario per l'anno precedente, trasferendo in tal modo alla società concessionaria buona parte degli oneri derivanti dagli investimenti pubblicitari, e pur introducendo margini di discrezionalità, ne impone alla stessa una percentuale minima;
   pertanto gli investimenti pubblicitari rappresentano un obbligo imposto dallo stesso Stato nel momento in cui affida la concessione di giochi come Lotto, lotterie istantanee, bingo, e altro, ai concessionari che, per contratto, devono destinare una quota dell'aggio sulle somme riscosse e calcolato in misura percentuale sul volume delle giocate, per pubblicizzare il gioco stesso;
   nel solo anno 2013, la suddetta quota ammontava a 50 milioni, il 52 per cento dei quali investito in televisione, il 26 per cento sul web, 1'8 per cento su quotidiani e periodici, il 7 per cento in radio ed il restante 7 per cento su altri mezzi;
   nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle ludopatie condotta dalla Commissione Affari sociali della Camera, il direttore pro-tempore delle strategie e dei giochi dell'Amministrazione dei Monopoli di Stato, ha depositato un documento nel quale si legge testualmente che «i messaggi – istituzionali utilizzati dall'Amministrazione sono stati, diretti unicamente alla sensibilizzazione sul gioco responsabile, legale, sulla tutela dei giovani ed in particolare sul divieto di gioco ai minori. Le campagne informative sono sempre state affidate ad esperti del settore educativo, con l'intento di far penetrare un messaggio di responsabilità e di cautela e che l'Amministrazione, in ogni caso, per evitare qualunque equivoco, ha richiesto recentemente ai concessionari di eliminare dai loro messaggi pubblicitari i loghi di Amministrazione dei Monopoli di Stato e sostituirli con il numero di concessione ministeriale, per consentire comunque ai consumatori di riconoscere e distinguere i prodotti di gioco legale da quelli che non lo sono, mentre il logo istituzionale dell'Amministrazione e quello del gioco legale e responsabile possono rimanere sulla comunicazione istituzionale a carattere sociale, nonché sulle schedine di gioco»;
   in merito alle misure finalizzate ad impedire o disincentivare forme di pubblicità sui giochi, lo stesso il documento precisa che l'Amministrazione dei Monopoli di Stato, al fine di disincentivare qualsiasi manifestazione di gioco eccessivo e/o patologico, ha raccomandato ai concessionari di assicurare che i messaggi promozionali all'utenza includessero sempre un diretto ed esplicito riferimento al giocare in modo responsabile non compulsivo;
   lo stesso documento sottolinea, inoltre, che l'Amministrazione dei Monopoli di Stato, a legislazione vigente, non ha poteri di intervento diretto, né di tipo censorio né di carattere sanzionatorio, sulla pubblicità dei prodotti di gioco; eventuali modifiche legislative concernenti il comparto non rientrano nella competenza di Amministrazione dei Monopoli di Stato e dovrebbero, comunque, essere attentamente ponderate, in quanto un divieto generalizzato di pubblicità – come avviene, ad esempio, per il settore dei tabacchi – potrebbe essere considerato lesivo della libertà d'impresa dalle aziende del settore (specialmente considerando che negli altri Paesi europei tale divieto non esiste, come invece è per i prodotti da fumo); peraltro, una, sia pure ridotta e controllata, forma pubblicitaria dei giochi è ritenuta utile al fine di consentire ai consumatori di poter distinguere l'offerta di giochi legali da quella di giochi illegali e alle aziende che operano legalmente nel settore di farsi conoscere e presentarsi alla luce del sole, a differenza degli operatori del mercato nero –:
   alla luce della normativa vigente, che secondo l'interrogante contrasta palesemente con quanto dichiarato dall'Amministrazione dei Monopoli di Stato presso la Commissione Affari sociali, se non ritenga di dover, assumere iniziative per modificare quanto previsto in termini di investimenti pubblicitari di promozione del gioco dal citato decreto ministeriale del 15 novembre 2000, prevedendo, al contrario, l'obbligo in capo al concessionario di investire parte dell'aggio riscosso in messaggi pubblicitari che, richiamando al senso di responsabilità e cautela, scoraggino le pratiche di gioco. (5-03791)


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, al punto 3 della Tabella A, recependo la direttiva CEE n. 92/81/CEE, relativa all'armonizzazione comunitaria delle strutture delle accise sugli olii minerali, disciplina il regime delle accise per il rifornimento degli olii minerali per unità da diporto prevedendone l'esenzione, quando questi siano utilizzati «come carburanti per la navigazione nelle acque marine comunitarie, compresa la pesca, con esclusione delle imbarcazioni private da diporto», intendendo per imbarcazioni private qualsiasi imbarcazione usata in virtù di un contratto di locazione o di qualsiasi altro titolo, per scopi non commerciali ovvero per scopi diversi dal trasporto oneroso di passeggeri o merci;
   contrariamente alle normative citate, alcune direzioni provinciali delle dogane hanno elevato verbali per il recupero delle accise nei confronti dei distributori nazionali di carburante, dei traders e dei comandanti dei natanti extra-UE, peraltro relative a operazioni effettuate 5 anni indietro e già controllate dalle ispezioni semestrali dei funzionari doganali stessi, non in base a una legge ma in base alla risposta e un interpello del 4 ottobre 2005 della direzione regionale della Toscana e alla Circolare n. 4/2012 del 29 giugno 2012 della direzione interregionale delle dogane di Napoli, che forniscono, per le imbarcazioni di immatricolazione extraeuropea adibite a scopi commerciali nel settore turistico che operano stagionalmente nel nostro Paese, una serie di indirizzi applicativi di interpretazione restrittiva per l'individuazione dei requisiti legittimanti il rifornimento di carburante a regime agevolato ai sensi del punto 3 della Tabella A del suddetto decreto legislativo;
   diversamente dagli altri Stati dell'Unione europea che, recependo correttamente la direttiva di cui sopra, esentano i natanti in oggetto dal pagamento delle accise, le citate interpretazioni nazionali, nonostante l'armonizzazione delle legislazioni fiscali dei Paesi della comunità, si sono orientate invece in direzione dell'esclusione di suddette imbarcazioni, sulla base del fatto che la concessione di agevolazioni previste dall'ordinamento tributario dello Stato a soggetti e/o merci di Paesi terzi può trovare applicazione solo in virtù di accordi internazionali che riconoscano la parità di trattamento impositivo tra le parti contraenti;
   la recente interpretazione doganale che, di fatto, ha instaurato un nuovo regime, risulta secondo l'interrogante essere illegittima in punta di diritto poiché, come già espresso dalla Commissione, tributaria di Ferrara nella sentenza n. 506 dell'11 aprile 2014, non soltanto la legge pone quale unico criterio giuridico per l'esclusione dall'esenzione la qualità di «imbarcazione privata» e non quello della nazionalità della bandiera, ma perché trattasi di normativa secondaria che non può inficiare una disposizione di fonte primaria, in base alla quale le unità da diporto a uso commerciale battenti bandiera extra-Unione europea hanno diritto di rifornirsi di carburante esente da accisa;
   in particolare, l'interpretazione data dall'amministrazione finanziaria, oltre a intervenire negativamente sull'economia reale di un settore che sconta una notevole diminuzione del livello d'affari, poiché i natanti con bandiera extracomunitaria – che peraltro sono la maggioranza – sono costretti ad approvvigionarsi negli altri Paesi dell'Unione europea dove possono godere del regime agevolato, sta incidendo anche sul bilancio dello Stato che, conseguentemente, perde volumi in termini di entrate fiscali da parte di questo settore – prima fiorente – e sta ponendo gli operatori italiani in serie difficoltà, in particolare perché tale repentino cambiamento di una prassi consolidata da quasi un ventennio, tradotto in tentativi di recupero di accise su operazioni già avvallate da funzionari doganali competenti, ha creato incertezza fra gli operatori americani che tramite le riviste del settore hanno chiaramente invitato i comandanti delle imbarcazioni a evitare i porti del nostro Paese;
   ciò si aggiunge il fatto che l'Eni, per non incorrere in eventuali e possibili sanzioni e controversie doganali, da due anni a questa parte – cioè da quando la disposizione di Napoli è stata emanata – ha sospeso ogni rifornimento a yacht commerciali extracomunitari, con una perdita di fatturato di centinaia di milioni di euro, a danno dei propri azionisti, dei quali il principale è il Ministero dell'economia e delle finanze –:
   quali provvedimenti in base alle proprie competenze, intenda adottare al fine di richiamare gli uffici doganali alla corretta applicazione della normativa del regime fiscale agevolato di esenzione da accise carburanti per i natanti da uso commerciale battenti bandiera extra-Unione europea, per evitare che una burocrazia male indirizzata possa creare danni economici alle nostre aziende e al Pil del paese. (5-03792)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO, PAGLIA, MARCON e MELILLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
    il rapporto redatto dal Commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, non risulta, allo Stato, che sia stato reso pubblico;
   appare inaccettabile che un lavoro pagato 258.000 euro annui finisca celato nel fondo di un cassetto;
   gli interroganti non avevano auspicato la nomina di un commissario, né erano mai stati d'accordo con i tagli lineari in cui si è tradotta la cosiddetta revisione della spesa;
   essi ritengono tuttavia che sia un preciso diritto del Parlamento e degli italiani conoscere il risultato di un lavoro fatto con denaro pubblico, gradito o meno che sia al Governo Renzi;
   la disciplina che attualmente regola l'attività e le funzioni del commissario straordinario è costituita dall'articolo 49-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Legge n. 98 del 2013) che reca una nuova disciplina dell'attività volta alla razionalizzazione della spesa pubblica. In essa si prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri possa nominare un commissario straordinario, con durata dell'incarico fino a tre anni, con il compito di formulare indirizzi e proposte, anche di carattere normativo, sulle materie oggetto di spending review. Per quanto concerne gli oneri derivanti dall'indennità da corrispondersi al commissario, essi non dovevano superare 150 mila euro per l'anno 2013, 300 mila euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015 e 200 mila euro per l'anno 2016;
   il 4 ottobre 2013 è stato nominato il Commissario straordinario per la spending review, nella persona di Carlo Cottarelli, che ha assunto le relative funzioni a decorrere dal 23 ottobre 2013;
   nel suo lavoro il Commissario è stato coadiuvato da un ristretto «gruppo di base», già costituito, i cui componenti sono tratti dal settore pubblico; il gruppo espleta un ruolo di coordinamento delle attività, atteso che si prevede la costituzione di gruppi di lavoro per ciascuno dei temi indicati nell'attività: si tratta di temi specifici, organizzati sia «verticalmente» (per centri di spesa, per esempio ministeri) che «orizzontalmente» (per tematiche, per esempio acquisto di beni e servizi). I temi e gruppi orizzontali ricomprendono otto aree: beni e servizi: prezzi di acquisto esclusa sanità, considerata nell'ambito del Ministero della salute; immobili: razionalizzazione utilizzo; organizzazione amministrativa; pubblico impiego: mobilità del lavoro e sistema retributivo; fabbisogni e costi standard: promozione nel completamento e applicazione; Costi della politica: enti territoriali, finanziamento pubblico ai partiti ed altro; qualità spese di investimento: ottimizzazioni procedure di spesa; società partecipate pubbliche: affidamento, razionalizzazione, vincoli finanziari, incluse amministrazioni territoriali, Stato ed altre amministrazioni partecipate da università, camere di commercio e altro. I temi e gruppi verticali sono organizzati secondo la distinzione tra amministrazioni centrali e locali;
   il programma di lavoro del commissario è stato trasmesso alle Camere il 18 novembre 2013, e su di esso si è espressa la Commissione bilancio della Camera con una risoluzione approvata il successivo 4 dicembre, nella quale si impegna il Governo ad assicurare il coinvolgimento del Parlamento nel processo di revisione della spesa –:
   se non ritenga il Governo di avere l'obbligo istituzionale e morale di trasmettere al Parlamento il risultato del lavoro del commissario Cottarelli e del suo staff.
(4-06393)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   ARTINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   ormai da quattro anni è in essere una lunga trafila legale (RG 3736/2010 tribunale di Firenze) tra due genitori della provincia di Firenze che rappresenta un caso emblematico in materia di separazione dei genitori e affidamento dei figli;
   con ordinanza del 5 luglio 2010 il presidente disponeva l'affidamento condiviso della figlia con domiciliazione presso la madre e possibilità per il padre di vedere e tenere con sé la figlia a giorni prestabiliti;
   all'udienza del 31 gennaio 2012 a seguito della richiesta, presentata dal padre, di modifica del provvedimento presidenziale veniva chiamato il consulente tecnico d'ufficio a rispondere se vi era la possibilità di ampliamento del diritto di visita del padre. Successivamente a tale udienza, il padre fece nuovamente ricorso al giudice mediante la preservazione di un ricorso ex articolo 709-ter, in quando la madre avrebbe impedito il diritto di visita;
   il giudice all'udienza del 17 luglio 2012 recepiva le indicazioni della consulente tecnico d'ufficio confermando pertanto l'affidamento condiviso con regolamentazione dei rapporti secondo lo schema del consulente tecnico d'ufficio senza limitazione per quanto riguarda il tempo trascorso con il padre, in relazione alla presenza dei membri della nuova famiglia, respingendo allo stato le ulteriori richieste e riservandosi sulla richiesta di mediazione e monitoraggio;
   con comparsa di costituzione di nuovo difensore depositata all'udienza del 20 novembre 2012 si costituiva la madre con un terzo avvocato, chiedendo che venissero aumentati i tempi di permanenza della figlia presso la madre, che venisse disposto un supporto psicoterapico della minore, che venisse confermata la mediazione presso il centro di mediazione di Firenze della ASL di Firenze;
   con provvedimento del 23 gennaio 2013 il giudice onorario di Tribunale rigettava le richieste di entrambe le parti;
   successivamente si sono susseguiti i ricorsi delle parti. La madre depositava istanza in via d'urgenza chiedendo la temporanea sospensione delle frequentazione padre-figlia, producendo un certificato medico nel quale la minore dichiarava di essere stata picchiata dal padre. In seguito a tale istanza venivano disposti gli incontri protetti padre-figlia e disposta una nuova consulenza tecnica d'ufficio per accertare la capacità genitoriale dei genitori;
   la consulente tecnica d'ufficio del 9 aprile 2014 ha proposto l'affidamento esclusivo della bambina al padre con domiciliazione presso di lui regolamentando il diritto di visita della madre;
   al contempo, sulla vicenda, dei presunti maltrattamenti veniva aperto un procedimento penale;
   il 26 maggio 2014 il giudice scioglie la riserva, rigetta la domanda di integrazione della consulente tecnica d'ufficio, e anche in relazione alla pendenza di indagine penale, invita il pubblico ministero, nella qualità di parte nel processo civile, a produrre urgentemente gli atti del procedimento penale pendente nei confronti del padre, ove non coperti dal segreto istruttorio e comunque a comunicare l'ipotesi di reato di cui all'iscrizione al RGNR. Fissa l'udienza del 5 giugno per il contraddittorio in relazione sulla documentazione eventualmente prodotta dal pubblico ministero. Contemporaneamente dispone sulla conduzione degli incontri padre-figlia con una parziale compresenza della madre;
   il 9 giugno 2014 il pubblico ministero partecipa personalmente in udienza. La pubblico ministero riferisce le varie reciproche denunce e lo stato dei procedimenti, quanto a quella in corso contro il padre sorto da dichiarazioni rese dalla bambina, alla presenza della madre, con sanitari, dichiara che sono state sentite persone informate sui fatti;
   il pubblico ministero chiede che sia ripetuta la consulenza tecnica e si oppone all'affidamento esclusivo al padre per l'indagine in corso contro di lui per maltrattamenti verso la figlia;
   in quella sede il pubblico ministero anticipa che è sua intenzione procedere all'audizione assistita della figlia nell'ambito del procedimento penale, e chiede che il giudice civile impartisca gli opportuni provvedimenti affinché sia preservata la situazione attuale ai fini di permettere l'audizione (...) in ambito penale al fine garantirle maggiore serenità fino al compimento dell'atto istruttorio penale;
   l'ultima ordinanza rinvia sine die la decisione di merito, in attesa dell'esito penale nei confronti del padre. L'indagine penale ancora pendente, di fatto, inibisce la decisione del giudice civile nonostante il lungo iter legale –:
   quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, per una piena applicazione della legge n. 54 del 2006 a tutela dei diritti dei figli;
   se intenda assumere iniziative normative per evitare l'intreccio che, di fatto, può venirsi a creare tra indagine penale e procedimento civile in corso, con uno slittamento ingiustificato dei tempi;
   se reputi opportuno intervenire, anche con gli strumenti normativi, per evitare che tali conflitti si verifichino in altri procedimenti analoghi in corso, con gravi ripercussioni sui diritti e sulla qualità di vita dei minori. (4-06394)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata:


   SOTTANELLI. Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il codice dei contratti pubblici prevede che con il nuovo regolamento venga istituito un sistema di garanzia globale di esecuzione;
   tale sistema, una volta operativo, sarà facoltativo per gli appalti di sola esecuzione di importo superiore a 100.000.000 di euro e obbligatoria per gli appalti integrati di importo superiore a 75.000.000 di euro e per gli affidamenti a contraente generale (articolo 176, comma 18);
   la garanzia globale di adempimento scatta al momento della risoluzione del contratto e prevede il subentro nel contratto del garante che indica una nuova impresa esecutrice; il garante ha anche la facoltà di liberarsi pagando una penale pari al 40 per cento dei lavori ancora da eseguire. La garanzia ricomprende anche la cauzione definitiva ed è attivabile a semplice richiesta della stazione appaltante;
   la ratio della disciplina è quella di fornire gli appalti di una garanzia di maggior rilievo a quella definitiva di cui all'articolo 113 del codice degli appalti. Non solo la corresponsione di un importo in denaro, ma anche, su richiesta della stazione appaltante o del soggetto aggiudicatore, un'obbligazione di fare e cioè trovare un soggetto che subentra nell'esecuzione dei lavori;
   una garanzia di buon adempimento cui si aggiunge una garanzia di subentro di cui all'articolo 131 del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207;
   la garanzia è prestata per un importo pari al 10 per cento dell'importo contrattuale (considerato l'importo dei lavori e tutte le prestazioni richieste e remunerate al contraente (articolo 135, comma 2), aumentata in funzione del ribasso e diminuita del 50 per cento in caso di certificazione di qualità;
   ove sia attivata la garanzia di subentro, il legislatore precisa che la garanzia di cui all'articolo 113 si intende comunque prestata per un importo pari al 10 per cento non riducibile sino al collaudo;
   ora, la garanzia nel caso di subentro nel contratto è del tutto autonoma ai rapporti tra il contraente e la stazione appaltante o soggetto aggiudicatore, assolvendo l'obbligo di selezionare il subentrante che si occupi dell'esecuzione o del completamento dei lavori in sostituzione dell'affidatario originario;
   i problemi nascono, anche, per tale fattispecie, e cioè una sostituzione delle funzioni pubbliche tipiche della stazione appaltante;
   inoltre, la garanzia globale di esecuzione rappresenta un impegno a prima richiesta senza eccezioni e quindi come una garanzia autonoma ed astratta, priva delle connotazioni di accessorietà tipici della fideiussione;
   di fronte ad una giurisprudenza non unanime la Corte di cassazione (sezioni unite) nel febbraio 2010 (sentenza n. 3947) ha risolto il contrasto giurisprudenziale e cioè che la «clausola a prima richiesta e senza eccezioni» rappresenta un contratto autonomo di garanzia e non una fideiussione (attivabile dal mercato assicurativo e bancario);
   pur comprendendo il tentativo di applicare nell'ordinamento il sistema di garanzie adottate negli Stati Uniti ed in genere dal mercato anglosassone con le tipologie dei performance bond, tali fattispecie, però, non si attagliano all'ordinamento legislativo italiano, per cui vi è l'impossibilità di prestare queste garanzie –:
   quali iniziative intenda prendere al fine di evitare che, per effetto delle problematiche sopra esposte, gli importanti appalti soggetti a questa norma rimangano senza aggiudicatari per mancanza della garanzia di subentro. (3-01092)


   BIASOTTI e BRUNETTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Liguria negli ultimi giorni, da giovedì 9 ottobre 2014, è stata interessata da fenomeni di carattere temporalesco di grossa portata che hanno fortemente danneggiato il territorio e le vie di comunicazione;
   il comune di Genova, il primo ad essere colpito, ha subito danni in quasi tutti i suoi municipi, danni, che, oltre ad aver colpito le attività, hanno fortemente compromesso la viabilità; ancora adesso non è stata ripristinata l'intera funzionalità della metropolitana di Genova e numerose vie continuano ad essere interdette al traffico;
   la seconda ondata di maltempo ha fatto sentire i suoi effetti nell'entroterra e sono state danneggiate le vie di comunicazione, da esondazioni e frane, dei comuni della Valfontanabuona, dell'entroterra genovese, tra cui Montoggio, Torriglia, Casella, Serra Riccò, Rossiglione Campoligure;
   gli interventi maggiori di ripristino della viabilità sono stati possibili grazie alla mobilitazione popolare;
   il comune di Genova ha fornito 400 pale ai volontari; nel solo municipio della zona della Valbisagno si sono presentati in 2.000, i mezzi mancanti, necessari per svolgere l'opera di volontariato, e i generi di conforto, quali acqua e viveri, sono stati tutti a carico dei volontari;
   a seguito delle precipitazioni si sono avuti uno smottamento all'altezza di Fegino, con il deragliamento di un treno, blocchi nei collegamenti ferroviari sulla Genova-Milano e sulla Genova-Torino;
   problemi simili si sono registrati sulla A7, che per un periodo su alcuni tratti è risultata impraticabile;
   il fronte temporalesco, nella giornata di lunedì 13 2014, si è spostato anche nelle altre province, quali Imperia, Savona e, soprattutto, La Spezia;
   con il cessare delle piogge e l'assestamento del terreno si temono nuove frane che andrebbero, nuovamente, a minare il sistema delle vie di comunicazione della regione Liguria;
   attualmente non si hanno dati certi sul quadro generale dei danni subiti dal sistema delle infrastrutture liguri, in quanto l'assessore competente, Raffaella Paita, assessore alle infrastrutture, attività di protezione civile, difesa del suolo, ciclo delle acque e dei rifiuti, ecosistema costiero, rapporti con gli enti locali, non ha più rilasciato dichiarazioni;
   solo un anno fa si discuteva delle frane, a causa delle ingenti piogge, che avevano colpito la Liguria, compromettendo i collegamenti, e nemmeno tre anni fa la regione Liguria era stata interessata da un fenomeno di grossa portata che aveva ferito il tessuto produttivo della regione;
   oggi il sistema dei collegamenti regionali risulta pesantemente colpito e compromesso con pesanti ripercussioni dal punto di vista economico, che vanno ad aggiungersi alla situazione non facile dovuta dal periodo di crisi che sta attraversando il Paese;
   il Presidente Claudio Burlando è attualmente commissario delegato per il superamento delle emergenze derivanti dagli eventi alluvionali;
   all'indomani del primo evento, venerdì 10 ottobre 2014, il detto commissario additava i numerosi ricorsi al tribunale amministrativo regionale quali colpevoli dei ritardi sulla messa in sicurezza del territorio;
   la regione Liguria annuncia che chiederà lo stato di emergenza; annuncia, inoltre, insieme al Presidente Renzi, che arriveranno delle risorse dallo «sblocca Italia» e dalla legge di stabilità;
   alla luce dei tempi dei suddetti provvedimenti, quando giungeranno le risorse sul territorio ligure anche un'impresa, per citare uno dei casi fortunati, che ieri testimoniava tramite organi di comunicazione di essere in grado di ripristinare con le sue forze la funzionalità dell'attività, ma di avere assoluta necessità della piena funzionalità delle vie di collegamento per poter lavorare, si sarà già trasferita dalla Liguria se non dall'Italia;
   i sindaci dei comuni colpiti hanno già dichiarato di non essere in grado, con le loro risorse, di ripristinare i danni alle vie di collegamento –:
   quali siano le iniziative, urgenti, poste in atto sia dal Ministro interrogato, sia in collaborazione con tutte le altre strutture competenti, per affrontare l'emergenza della Liguria. (3-01093)


   SEGONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, MANNINO, TERZONI, ZOLEZZI, VIGNAROLI e SPADONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi la città di Genova è stata colpita da violente precipitazioni e le conseguenti esondazioni di corsi d'acqua, quali il Bisagno, il Fereggiano, lo Sturla e lo Scrivia, hanno causato la morte di un uomo e danni per oltre 300 milioni di euro;
   Genova è una vittima ricorrente delle alluvioni e delle esondazioni (non ultima quella del 2011 che ha portato alla perdita di molte vite umane) e, nonostante l'Unione europea la definisca come una delle città più pericolose in caso di pioggia, ad oggi la città sembra sprovvista di un piano d'emergenza affidabile, in cui vengano stabilite istruzioni dettagliate sul «da farsi» nei momenti più pericolosi nelle aree a maggior rischio;
   i piani d'emergenza anti-alluvione sono strumenti che potrebbero realmente salvare vite umane in un'area «violentata» da settant'anni di cemento e i cui amministratori fino ad oggi non sono stati in grado di realizzare le opere strutturali necessarie: l'unico protocollo vigente, firmato nel 2009 dal sindaco Marta Vincenzi (che oggi è sotto processo per la strage causata dall'esondazione del Fereggiano nel novembre 2011), è stato ritenuto «generico» e «totalmente mancante su alcuni punti» da ben due autorità, quali la procura della Repubblica ed il comune stesso;
   in questi giorni la procura di Genova indaga per disastro colposo e nel mirino degli inquirenti ci sono le opere realizzate, le strutture non realizzate in ambito idraulico, la manutenzione degli alvei, la catena di attività degli organi amministrativi, la mancata allerta meteo per la gestione d'emergenza ed il piano di protezione civile del comune;
   le cause di maggior rilevo del disastro sono, in primo luogo, la pratica di costruire edifici in zone a rischio e di restringere le sezioni idrauliche dei corsi d'acqua in corrispondenza dei centri urbani, in generale la scellerata espansione urbanistica e un'irresponsabile pianificazione territoriale e, in secondo luogo, la predisposizione del territorio italiano, la mancanza di cultura del rischio e i cambiamenti climatici: la Liguria e la zona di Genova, in particolare, sono state recentemente oggetto di un'espansione edilizia consistente che non ha tenuto adeguatamente conto delle naturali dinamiche morfologiche dei versanti e dei corsi d'acqua (Genova ed il corso d'acqua Bisagno sono stati citati da vari esperti del settore come esempio negativo di scelte urbanistiche che mettono a rischio interi quartieri proprio durante il recente convegno «Italia dissestata» organizzato il 7 ottobre 2014 presso la Camera dei deputati dal deputato Segoni del MoVimento 5 Stelle);
   il prefetto Franco Gabrielli della protezione civile ha sottolineato che, sebbene sarebbero stati utili circa un miliardo e trecento milioni di euro, cinque provvedimenti normativi realizzati nel 2011 hanno sottratto molte delle risorse per cui il fondo nazionale per l'emergenza è attualmente di circa settanta milioni di euro –:
   alla luce dei drammatici fatti, poiché le responsabilità maggiori sono evidentemente attribuibili a scelte politiche incoscienti perpetuate da decenni su un territorio già morfologicamente a grande rischio, per quanto di competenza quali concreti interventi infrastrutturali di prevenzione il Governo intenda attuare per poter evitare l'ennesima catastrofe a Genova, anche in relazione alla tempistica dei suddetti interventi. (3-01094)


   CERA e PIEPOLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 2 settembre 2013 venne inaugurata la stazione di Apricena, costata 40 milioni, attualmente in stato di abbandono e con il rischio di un rapido degrado a causa dell'inutilizzo;
   la mancata entrata in funzione della nuova stazione delle Ferrovie del Gargano, sulla tratta tra Foggia e il promontorio, oltre ad uno spreco di denaro pubblico, rappresenta un danno per il territorio a livello regionale e non solo locale;
   l'apertura della stazione, annunciata per il dicembre del 2013 e mai avvenuta, ha gelato le aspettative dei cittadini garganici, che contavano su questa infrastruttura alternativa ai percorsi stradali dalla «Montagna», resi insicuri d'inverno dalle condizioni atmosferiche e a volte impercorribili;
   secondo quanto si apprende mancherebbe solo la certificazione dell'osservanza delle norme relative alla sicurezza, ma certamente si tratta di un ritardo inaccettabile che penalizza la popolazione garganica, i cittadini della provincia di Foggia e di tutti i pugliesi;
   questa della stazione di Apricena è solo un esempio di come venga trattata la regione Puglia in tema di collegamenti ferroviari, atteso che, secondo quanto riportato da organi di stampa, Ferrovie dello Stato potrà restituire i treni spostati tre anni fa, non prima dell'estate del 2015, solo quando entreranno in funzione i treni super veloci sulle linee del Centro-Nord, come a dire che alla Puglia andranno i treni usati non utilizzabili altrove –:
   se non ritenga di dover adottare ogni iniziativa di competenza affinché possa entrare in funzione la stazione di Apricena e si possa giungere in fretta ad una soluzione dei disagi che i viaggiatori subiscono quotidianamente sulle tratte ferroviarie pugliesi, anche a causa della presenza di treni vecchi e usurati. (3-01095)


   DI GIOIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri, nella riunione del 30 settembre 2014, ha approvato il piano nazionale degli aeroporti, che, ai sensi dell'articolo 698 del codice della navigazione, dovrà essere ora trasmesso al parere delle competenti commissioni parlamentari per poi essere adottato con decreto del Presidente della Repubblica;
   ai sensi della citata norma del codice, il piano deve prevedere la distinzione tra aeroporti di interesse nazionale e aeroporti regionali;
   l'articolo 5 del decreto legislativo n. 85 del 2010 ha disposto il trasferimento al demanio regionale degli aeroporti non di interesse nazionale;
   l’iter di adozione del piano ha visto la presentazione il 29 gennaio 2013, da parte del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore, dell'atto di indirizzo per la definizione del «piano nazionale per lo sviluppo aeroportuale», che proponeva un riordino organico del settore aeroportuale, sia sotto il profilo infrastrutturale che dei servizi e delle gestioni, ed una nuova classificazione degli aeroporti di interesse nazionale;
   nel piano sarebbero stati individuati 11 aeroporti strategici e ulteriori 26 aeroporti di interesse nazionale e tra tutti questi, nonostante gli impegni presi, a vari livelli istituzionali, sulla necessità di riaffrontare la questione, l'aeroporto di Foggia è stato escluso da questo elenco;
   alla base di tale decisione vi sarebbe lo stato attuale in termini di voli e l'incertezza delle prospettive di rilancio;
   problemi questi ultimi che sono stati sollevati in tutte le sedi dalle associazioni e dalle istituzioni locali, nonché da numerosi atti di sindacato ispettivo, e che evidenziavano la necessità di operare in fretta al fine di garantire al territorio un'infrastruttura fondamentale;
   ancora una volta alla Capitanata, un'area devastata da un punto di vista sociale e in enorme ritardo sotto quello infrastrutturale, viene negata una possibilità di rilancio;
   con tale decisione si produrranno maggiori costi nella gestione dell'aeroporto «Gino Lisa», dai servizi antincendio sino alla sorveglianza, e ciò rischia di far crollare definitivamente le speranze che i cittadini del territorio avevano riposto quantomeno in questo riconoscimento;
   a questo si aggiunge il rischio concreto che tale decisione possa influenzare negativamente i lavori della commissione nazionale di valutazione di impatto ambientale che dovrebbero consentire i lavori di allungamento della pista, così come già accaduto in passato, quando fu sospesa l'istruttoria in seguito alla pubblicazione della bozza del piano nazionale degli aeroporti;
   all'interno di tale decisione non appare casuale la decisione presa a Bruxelles che avrebbe deciso di decurtare del 25 per cento il finanziamento per il prolungamento della pista, considerandolo un ostacolo alla libera concorrenza;
   sotto questa luce non sorprende, quindi, che Aeroporti di Puglia abbia scelto la Blue wings air, una company inglese che opera nel settore del brokeraggio di aeromobili, per ripristinare alcuni voli nazionali, in linea con le scelte inutili e dannose prodotte negli ultimi anni;
   ancora più evidenti appaiono le dichiarazioni fatte, alla fine del mese di agosto 2014, dal manager per l'Italia di Ryanair, John Alborante, secondo cui Aeroporti di Puglia non avrebbe mai nemmeno accennato all'esistenza degli aeroporti di Foggia, perché altrimenti la compagnia sarebbe stata senz'altro interessata al rilevante bacino turistico rappresentato dal Gargano, a cui bisogna aggiungere l'enorme bacino rappresentato dal turismo religioso;
   tutti questi avvenimenti non fanno che confermare i dubbi e le preoccupazioni che sono stati manifestati, da molto tempo e in più occasioni, dai cittadini e dalle rappresentanze sociali ed imprenditoriali del territorio sulla decisione, già presa a livello delle istituzioni nazionali, di ignorare le necessità della Capitanata, favorendo altre province a discapito di quella di Foggia –:
   se non si ritenga necessario rivedere e modificare, alla luce anche delle considerazioni sopra esposte, la decisione presa, affinché la Capitanata non si veda, per l'ennesima volta, esclusa da ogni prospettiva di rilancio infrastrutturale e sia finalmente riconosciuta la necessità strategica dell'aeroporto «Gino Lisa» per l'intera regione e per il rilancio economico del territorio. (3-01096)


   DORINA BIANCHI, PISO e GAROFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da una nota del Ministero delle infrastrutture e trasporti, ripresa immediatamente dalle agenzie di stampa, si è appreso della disposizione da parte del Ministro interrogato di un'ispezione al Registro italiano navale, allo scopo di verificare «presunte irregolarità nel rilascio delle certificazioni di sicurezza alle navi» –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare qualora dall'ispezione disposta risultassero irregolarità nel rilascio delle certificazioni di sicurezza alle navi.
(3-01097)


   META, BONACCORSI, BONOMO, BRANDOLIN, BRUNO BOSSIO, CARDINALE, CARLONI, CASTRICONE, COPPOLA, CRIVELLARI, CULOTTA, FERRO, GANDOLFI, PIERDOMENICO MARTINO, MAURI, MINNUCCI, MOGNATO, MURA, PAGANI, TULLO, VALIANTE, CANI, MARROCU, PES, GIOVANNA SANNA, FRANCESCO SANNA, SCANU, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie di stampa venerdì 17 ottobre 2014 è convocato presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali il tavolo sugli oltre 1.600 esuberi della Compagnia aerea Meridiana, con la partecipazione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del Ministro interrogato, dei rappresentanti delle regioni Lombardia, Veneto e Sardegna, dei vertici dell'azienda e di nove associazioni sindacali;
   la compagnia, fondata nel 1963 da Karim Aga Khan, secondo vettore italiano con quattro milioni di passeggeri all'anno, di cui 1,5 milioni da e per la Sardegna, è da tempo in crisi, con perdite di 300 milioni negli ultimi 7 anni nonostante investimenti per più di 350 milioni di euro in cinque anni dello stesso Aga Khan; la crisi aziendale emerge chiaramente dalle cifre, che denunciano gravi errori di gestione; Meridiana in un decennio ha visto avvicendarsi ben sei amministratori delegati;
   il 15 settembre 2014 i vertici di Meridiana hanno annunciato un piano di ristrutturazione della compagnia, che prevede la messa in mobilità di 1.634 dipendenti, «in esubero strutturale» secondo l'azienda, di cui 1.478 dipendenti di Meridiana fly (262 piloti, 896 assistenti di volo e 320 dipendenti personale di terra) e 156 dipendenti di Meridiana maintenance, che cura i servizi di manutenzione; nel contempo, è stata avviata la sostituzione della flotta che prevede l'acquisto di 20 aerei Boeing entro la fine del 2015;
   particolarmente gravi sono le conseguenze per il trasporto aereo della Sardegna, che con la crisi delle compagnie che garantivano i collegamenti via mare si trova, di fatto, anche priva di alternative modali da e per il continente; gravissime le conseguenze per l'occupazione e sull'indotto: come è stato più volte sottolineato dai sindacati, «si tratta della crisi aziendale più grave dell'intera storia dell'isola»; dei 1650 lavoratori in mobilità più di 850 sono sardi; questo nonostante le ingenti risorse della regione impegnate nel trasporto aereo a beneficio del vettore che ha da tempo spostato i voli da e per l'isola sulla controllata (al 100 per cento) Air Italy, con base a Malpensa e marchio Meridiana; la procedura di mobilità annunciata dal gruppo esclude dai licenziamenti il personale con sede in Lombardia di Air Italy;
   Meridiana ha annunciato un piano di riorganizzazione, di ristrutturazione e di rilancio –:
   quali iniziative intenda assumere per garantire continuità territoriale ai collegamenti da e per la Sardegna, un'effettiva riorganizzazione del trasporto aereo e il rilancio di compagnie di primaria importanza con l'impiego dei 1.600 lavoratori qualificati di cui in premessa. (3-01098)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ARTINI, SEGONI, BALDASSARRE, BONAFEDE e GAGNARLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 9 ottobre 2013 è stato pubblicato dall'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie il «Rapporto annuale sulla sicurezza delle ferrovie italiane ricadenti nelle competenze dell'ANSF»;
   nel rapporto si legge: «Sono state infine ispezionate 24 gallerie; è emersa una generale mancanza dell'analisi dei rischi e dei Piani Generali di Emergenza, l'incompleta percorribilità dei sentieri pedonabili all'interno delle gallerie, l'inefficienza degli impianti di illuminazione, carenze diffuse nella presenza di sistemi di comunicazione di emergenza e di diffusione sonora e di segnaletica di emergenza»;
   il rapporto sottolinea che è «di competenza del solo Gestore dell'infrastruttura completare l'attività di interfaccia con i soggetti esterni finalizzata a dotare le gallerie dei Piani di emergenza esterni»;
   nella relazione accompagnatoria «Andamento della sicurezza delle Ferrovie nell'anno 2012» viene specificato: «Sono state visitate 24 gallerie, per ognuna delle quali sono stati esaminati 6 aspetti: presenza dell'analisi del rischio, risultata sempre mancante (24 non conformità); presenza del Piano Generale di Emergenza, risultato mancante in 21 casi su 24; presenza di sentieri, risultati mancanti in 3 casi completamente e in 8 casi parzialmente; presenza di illuminazione di emergenza, risultata in 15 casi del tutto assente e in 2 casi parzialmente»;
   sempre la relazione dell'Ansf precisa: «si possono individuare due macro aree su cui è necessario intervenire: da un lato i fenomeni legati alle indebite presenze o attraversamenti della sede ferroviaria da parte dei pedoni che, come abbiamo visto, incidono per il 74 per cento degli incidenti gravi e per il 77 per cento delle vittime senza, peraltro che vi siano segnali di una tendenza a diminuire; dall'altro lato tutti i rimanenti incidenti più strettamente legati agli aspetti tecnici (ad esempio deragliamenti, collisioni) e che, pur apportando una percentuale minoritaria di vittime, sono anche la tipologia di eventi da cui possono generarsi incidenti disastrosi (si pensi ad esempio all'incidente di Viareggio del giugno 2009) e relativamente ai quali, pertanto, le azioni mirate alla prevenzione devono continuare e migliorare»;
   secondo Ansf «emerge quindi la necessità che il Gestore dell'infrastruttura, le Imprese ferroviarie e gli altri soggetti interessati, ognuno per quanto di propria competenza e in un ottica di proficua collaborazione: consolidino il presidio dei processi di manutenzione sia relativamente alla infrastruttura che al materiale rotabile, inserendo nella gestione di tale problematica i rapporti con i soggetti terzi, anche esteri, che svolgono tale servizio. In tale problematica rientrano principalmente: a. malfunzionamenti alle porte dei treni passeggeri, b. perdita di componenti dal materiale rotabile, c. difetti all'armamento, d. valutazione dello stato manutentivo dei ponti»;
   il decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 753, tuttora in vigore, all'articolo 8, stabilisce che «nell'esercizio delle ferrovie si devono adottare le misure e le cautele suggerite dalla tecnica e dalla pratica atte ad evitare sinistri»;
   il decreto legislativo 9 agosto 2007, n. 162, all'articolo 1, comma 1, recependo i dettami dell'articolo 4, comma 1 della direttiva 2004/49/CE, pone «l'obiettivo del mantenimento e, ove ragionevolmente praticabile, del costante miglioramento della sicurezza del sistema ferroviario italiano»;
   il rapporto dell'Ansf in conclusione sottolinea: «Altro aspetto rilevante riguarda le azioni che gli operatori devono mettere in atto laddove l'Agenzia abbia individuato carenze. In questi casi sarebbe opportuno disporre dello strumento delle sanzioni, previsto dalla norma primaria ma non ancora attuato, che dovrebbe indurre gli operatori ad una maggiore attenzione»;
   nella galleria di San Donato sulla linea direttissima Roma-Firenze, (tratta Figline Valdarno-Firenze, più precisamente Valdarno Nord – bivio di Rovezzano, lunga quasi 11 chilometri, «monotubo», senza sfiatatoi né galleria di servizio) sono stati realizzati da parte di RFI interventi e opere all'interno, come segnaletica e illuminazione, e piazzole per l'arrivo di mezzi di intervento vari all'esterno ed è stata pure organizzata una esercitazione di protezione civile nella notte tra il 19 e il 20 maggio 2012, promossa da prefettura e Provincia di Firenze, con la partecipazione di Regione Toscana e Ferrovie dello Stato, simulando con un treno fermo in galleria il sistema di intervento tecnico e di assistenza ai viaggiatori –:
   quali misure il Governo abbia intrapreso per garantire la sicurezza nelle gallerie ferroviarie e prevenire possibili incidenti;
   se siano stati previsti interventi infrastrutturali e di messa a norma delle gallerie ferroviarie italiane;
   se sia stato redatto un elenco aggiornato delle criticità all'interno dei tunnel ferroviari con relativi piani di adeguamento e quali siano le gallerie considerate più a rischio;
   se sia intenzione del Governo assumere iniziative per prevedere sanzioni per le carenze riscontrate dall'Ansf e far si che i gestori garantiscano standard di sicurezza sufficienti all'interno delle gallerie ferroviarie;
   se siano state previste, con quali modalità e con quali risultati, esercitazioni di protezione civile all'interno delle gallerie ferroviarie;
   quali siano le 21 gallerie in cui risulta mancante la presenza del piano generale di emergenza, indicato da Ansf;
   se per la galleria San Donato sulla linea direttissima Roma-Firenze siano previsti altri interventi strutturali o trasportistici, per migliorarne la sicurezza, e se vi sia l'intenzione di organizzare o se siano già in programma nuove esercitazioni di protezione civile dopo quella del maggio 2012 su iniziativa di prefettura e provincia di Firenze, regione Toscana e Ferrovie dello Stato. (5-03786)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto di Parma, è uno scalo inserito nella lista degli aeroporti d'interesse nazionale e movimenta circa 400 mila passeggeri all'anno, servendo un bacino di utenza che comprende l'Emilia occidentale, la bassa Lombardia, e la Liguria;
   l'aeroporto è una struttura a gestione privata che offre un servizio pubblico fondamentale per la collettività e costituisce una risorsa per la città e per l'intero territorio, soprattutto considerata la posizione strategica di Parma quale fulcro della food valley in una zona fra le più produttive del territorio italiano, e il fatto che la città ospita una sede universitaria di pregio, con settori di ricerca nel campo medico e fisico, numerose manifestazioni internazionali e l'Autorità europea per la sicurezza alimentare, nonché è sede di un interporto internazionale situato a pochi chilometri dallo scalo;
   inoltre, l'aeroporto di Parma potrà svolgere un servizio utile anche in occasione dell'imminente manifestazione di EXPO 2015 a Milano;
   uno studio della KPMG presentato nel novembre 2012 ha rilevato che ogni euro investito nell'aeroporto di Parma, si moltiplica sul territorio di circa venticinque volte;
   la prospettata ipotesi di una chiusura dello scalo a causa del disimpegno degli investitori, notizia pubblicata da alcuni quotidiani, appare assolutamente deprecabile e dannosa per il territorio nonché per gli scali aeroportuali vicini ai quali quello parmense spesso fornisce supporto logistico in situazioni di maltempo;
   peraltro, una volta chiusa la struttura non sarebbe più possibile riaprirla in tempi brevi e farne riprendere l'attività a causa della scadenza della certificazione e della concessione ministeriale, oltre al fatto che tutto il personale del Ministero dell'Interno sarebbe trasferito –:
   se sia informato dei fatti di cui in premessa e quali iniziative intenda assumere, se del caso, al fine di scongiurare la chiusura dello scalo. (4-06388)


   FRACCARO e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dipartimento per le infrastrutture, gli affari generali ed il personale, struttura di vigilanza sulle concessionarie autostradali di Roma, con nota del 2 luglio 2014, inviata alle società concessionarie autostradali, ha evidenziato la necessità per le destinatarie di garantire in ogni caso e per l'intero arco delle 24 ore, la presenza fisica di personale addetto all'esazione in ogni singola stazione (barriera o casello), anche nel caso di automazione del servizio, per risolvere eventuali problematiche dell'utenza direttamente in loco;
   nel nuovo tratto della autostrada A35 Brescia-Bergamo-Milano (BREBEMI), affidato alla società Argentea s.p.a., risultano attualmente non presidiati quattro (4) caselli, e precisamente: Chiari Ovest, Romano di Lombardia, Variano e Treviglio;
   il personale di esazione al casello viene fornito ad Argentea dalla società autostrada Bs-Vr-Vi-Pd s.p.a. (partecipante per il 5,8 per cento all'azionariato della società Argentea medesima), la quale distacca i suoi dipendenti presso la società partecipata. Al riguardo, risulta che la predetta società autostrada, nonostante la carenza i lavoratori ai citati caselli, abbia provveduto al licenziamento per eccedenza di personale di alcuni lavoratori precedentemente reintegrati dal giudice del lavoro con le sentenze della corte d'appello di Venezia — sezione lavoro n. 85 del 2014, e della corte d'appello di Brescia — sezione lavoro n. 52 del 2014 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali provvedimenti intenda assumere per scongiurare i potenziali rischi di disservizio per l'utenza. (4-06395)

INTERNO

Interrogazione a risposta scritta:


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, DALL'OSSO, GRILLO, CECCONI e DI VITA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella provincia di Ragusa, da tempo le forze dell'ordine registrano un deficit nella dotazione organica tale da non consentire nemmeno l'espletamento dell'attività ordinaria, con la conseguenza che si attinge con una certa regolarità al personale addetto ad altre mansioni pur di assicurare i normali servizi di controllo del territorio e di ordine pubblico;
   alle irrisorie assegnazioni di nuove unità, già superate da trasferimenti e pensionamenti, si oppongono le crescenti esigenze derivanti dalla recente apertura dell'aeroporto «Pio La Torre» di Comiso (ex V. Magliocco), dalla continua operatività del centro di primo soccorso e accoglienza di Pozzallo, dall'apertura di nuovi centri di accoglienza straordinaria e di centri legati allo S.P.R.A.R., e in generale dall'aumento in quantità e qualità degli obiettivi da raggiungere su tutto il territorio;
   tale situazione è già stata sottoposta all'attenzione del Ministero mediante l'interrogazione 4-01653, alla quale il vice ministro Bubbico ha risposto dichiarando, tra l'altro, che «Le complessive crescenti esigenze di servizio sono state, comunque, sempre affrontate mediante l'ottimizzazione dell'impiego del personale a disposizione, nonché attraverso la razionalizzazione delle attività di controllo del territorio. Si ricorda inoltre che, il dispositivo delle forze di polizia preposto al controllo del territorio della provincia può contare su 372 unità della Polizia di Stato supportati da 19 appartenenti ai ruoli tecnici, 378 militari dell'Arma dei Carabinieri e 224 della Guardia di Finanza»;
   da tali informazioni si evince che circa 1000 unità, da suddividere, presumibilmente in base alle funzioni e ai turni di lavoro, devono presidiare e controllare 1.614 chilometri quadrati di territorio e garantire la sicurezza di oltre 300.000 persone, distribuite in 12 comuni e relative frazioni collegati da una rete di circa 1.400 chilometri di arterie extraurbane, con la conseguenza riscontrata che i centri minori rimangono spesso sprovvisti di personale che possa intervenire in caso di chiamata;
   l'insufficienza del presidio territoriale è confermata dall'incremento esponenziale di furti e rapine che non di rado sfociano in reati contro la persona, come già segnalato al Ministro nell'interrogazione 4-01972: le frazioni estive e le campagne sono costantemente setacciate da ladri; le effrazioni nei centri abitati sono in continuo aumento, anche in ore diurne e in presenza di inquilini; criminali in trasferta portano a termine su commissione furti sempre più consistenti; le rapine a banche, farmacie, esercizi commerciali, ma anche a semplici cittadini, crescono nel numero e nell'efferatezza;
   ad Ispica, alcuni giorni fa, una doppia rapina ha scosso la popolazione, in quanto le vittime sono state aggredite a sorpresa e percosse pesantemente mentre erano intente nel proprio lavoro;
   i clan mafiosi, provenienti anche da altre zone della Sicilia, sono tornati a permeare l'economia e le istituzioni iblee, come evidenziato nella relazione 2012-2013 della direzione nazionale antimafia, e come dimostrano i continui atti intimidatori ad artigiani ed esercizi commerciali a Vittoria e le recenti indagini a Scicli su presunte infiltrazioni mafiose nel comune in seguito all'arresto dei componenti di un'organizzazione che gestiva la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani;
   il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza ha assegnato una scorta al giornalista Paolo Borrometi a causa delle reiterate minacce e agli atti intimidatori ricevuti presumibilmente per la sua attività d'informazione sulle organizzazioni criminali locali;
   in qualità di portavoce del popolo italiano in Parlamento, accogliendo le istanze provenienti dal territorio, l'interrogante ha avuto modo di registrare con una diffusione allarmante il radicarsi di una profonda sfiducia tra la popolazione iblea, e in generale quella siciliana, verso lo Stato e le pubbliche istituzioni, che talvolta si dimostrano inefficaci o inefficienti;
   tale sfiducia non di rado è sfociata in sporadiche ma allarmanti iniziative autonome di presidio e controllo territoriale –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quali misure il Governo stia attuando per ovviare alla mancanza di presidio e di controllo del territorio e per contrastare la crescente criminalità nella provincia di Ragusa;
   se il Governo stia valutando un aumento dell'organico delle forze dell'ordine della provincia di Ragusa. (4-06386)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo indiscrezioni di stampa, nella ventura legge di stabilità sarebbe previsto un taglio del 40 per cento sullo stanziamento per le scuole paritarie. In particolare, per il 2015 lo stanziamento previsionale per le scuole non statali ammonterebbe a 272 milioni di euro, oltre il 40 per cento in meno rispetto ai 498 milioni di quest'anno;
   se ciò fosse vero, si rischierebbe il collasso di una parte fondamentale del nostro sistema integrato di istruzione e formazione pubblica, che conta 13.981 istituti, oltre un milione di studenti e 120-130 mila unità di personale docente e non;
   le scuole non statali, senza fondi, andrebbero verso certa chiusura mettendo così a rischio anche il raggiungimento degli obiettivi «Europa 2020» che prevedono, per esempio, di raggiungere la scolarizzazione del 95 per cento dei bambini tra i 4 e i 6 anni, traguardo difficilmente raggiungibile senza rapporto della scuola dell'infanzia paritaria –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno chiarire gli intendimenti del Governo in merito ai fatti esposti in premessa. (4-06392)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   NICCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Amministratore delegato De Scalzi ha annunciato che ENI intende disfarsi del settore raffinazione in Italia, mantenendo solo una raffineria e mezzo, quella di S. Nazzaro de’ Burgondi e quella di Milazzo, detenuta al 50 per cento, chiudendo o trasformando il resto degli stabilimenti in depositi od in non meglio definiti «centri logistici»;
   questo proprio nel momento in cui autorevoli personaggi dell'economia mondiale dichiarano che c’è una netta ripresa degli utili della raffinazione in Europa;
   per la raffineria Eni di Stagno di Livorno si parla addirittura di vendita, ma al momento attuale non si sa ne se c’è un compratore, ne chi sia;
   non si capisce perché per altre raffinerie ENI ha presentato un piano industriale dettagliato e per Livorno no, sebbene Livorno abbia una sua netta specificità nella produzione di oli lubrificanti (unica di ENI) e di altri prodotti di nicchia altamente appaganti;
   il 9 ottobre 2014 circa quattrocento operai dello stabilimento hanno organizzato un presidio davanti alla prefettura di Livorno, alla presenza dei rappresentanti dei sindacati provinciali di categoria e aziendali ed autorità istituzionali di Collesalvetti e di Livorno, per chiedere di garantire un futuro allo stabilimento in cui lavorano circa mille dipendenti;
   è stato proclamato uno sciopero dei dipendenti per il 13 ottobre 2014;
   rappresentanti istituzionali della regione Toscana hanno richiesto un incontro al Vice Ministro dello sviluppo economico, sulle prospettive della Raffineria Eni di Stagno per il 23 ottobre 2014 –:
   se non intenda agire nell'immediato per garantire la presenza della raffineria Eni di Stagno sul territorio ed i livelli occupazionali dello stabilimento;
   se non intenda promuovere un incontro con ENI in relazione al piano industriale del settore della raffinazione in Italia. (3-01088)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 settembre 2014 è stato nominato commissario straordinario per l'Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS) il professor Tiziano Treu;
   come si evince da un articolo del 30 settembre 2014 de Il sole 24 ore, Tiziano Treu, sarebbe socio di un famoso studio professionale «Crowe Horwarth», «associazione che potrebbe far storcere il naso a chi teme ci sia un nuovo conflitto di interessi» – come riportato dall'articolo stesso;
   ai sensi dell'articolo 6 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, in legge 11 agosto 2014, n. 114, è vietato alle amministrazioni pubbliche conferire a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo;
   a parere dell'interrogante emergono numerose criticità per i fatti su esposti che meritano sicuramente maggiore attenzione da parte del Ministro interrogato, considerata altresì l'importanza dell'istituto nazionale di previdenza sociale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti;
   se al Ministro interrogato risultino consulenze, o qualsiasi altro tipo di rapporto che potrebbero configurare un possibile conflitto di interessi, tra l'associazione «Crowe Horwarth» – di cui sarebbe socio il nuovo commissario straordinario Tiziano Treu – e l'istituto INPS;
   se al Ministro interrogato risulti che il professor Treu abbia lasciato ogni tipologia di incarico incompatibile con il nuovo incarico di commissario straordinario di INPS;
   se il Ministro interrogato abbia valutato con attenzione le attuali condizioni della nomina del professor Tiziano Treu, anche alla luce della sua posizione di quiescenza e le criticità che si vengono a creare come esposto in premessa;
   se il Ministro interrogato intenda adottare iniziative di natura normativa che prevedano l'incompatibilità del ruolo di presidente/commissario INPS contemporaneamente all'esercizio di qualsiasi altro incarico o funzione, sancendo così il vincolo di esclusività di tale carica. (5-03783)


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda umbra Liomatic S.p.a. con sede a Perugia opera nel settore della distribuzione automatica di bevande ed alimenti ed ha conquistato una posizione leader nel Centro e Sud Italia;
   come si apprende dalla stampa (Giornale dell'Umbria dell'8 ottobre 2014), a causa della crisi la proprietà ha varato un piano di riorganizzazione che prevede tagli al personale;
   l'azienda recentemente ha comunicato alle organizzazioni sindacali l'apertura della procedura di mobilità per 151 addetti su un complessivo di 609 dipendenti distribuiti in 6 regioni;
   in particolare, sono previsti oltre 60 esuberi nelle unità operative di Perugia, Terni e San Giustino. La situazione sarebbe particolarmente grave, poiché per questo tipo di impresa non sarebbe possibile associare ammortizzatori sociali da poter utilizzare per gestire gli esuberi annunciati, in quanto l'azienda non è beneficiaria di trattamento di cassa integrazione straordinaria a seguito di un inquadramento Inps particolare che sarà oggetto di una valutazione da parte sindacale;
   ad oggi forte è la preoccupazione tra i dipendenti per gli esuberi annunciati e grande è l'incertezza tra i dipendenti delle unità operative situate a Perugia e in Umbria in merito al futuro occupazionale per la mancanza di tutele adeguate –:
   quali concrete iniziative intenda assumere il Ministro al fine di individuare – anche con il coinvolgimento delle istituzioni locali e regionali – la soluzione più adeguata che abbia come interesse preminente la tutela dei livelli occupazionali del gruppo Liomatic ed eviti i prospettati esuberi, verificando la possibilità di adottare forme di tutela adeguate e lo strumento dei contratti di solidarietà previsti dalla normativa vigente. (5-03784)

Interrogazione a risposta scritta:


   RICCIATTI e FERRARA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la crisi economica negli ultimi anni ha comportato una progressiva desertificazione industriale in diverse aree del Paese, molte di queste in passato caratterizzate da una stabile vocazione ed attività produttiva;
   oltre agli aspetti congiunturali, alla contrazione dei consumi interni ed alle oggettive difficoltà determinate dal contesto normativo e dalla pressione fiscale, in diverse situazioni si riscontra la preoccupante tendenza, da parte di alcuni imprenditori, ad abusare degli strumenti di sostegno alle imprese e al lavoro;
   la cassa integrazione, ad esempio, viene sovente utilizzata in modo distorto, non come sostegno al reddito dei lavoratori, ma come una sorta di «contributo agli imprenditori», che accedono alla misura della cassa integrazione pur in presenza di commesse di lavoro, per «ammortizzare» il costo del lavoro;
   in altri casi vengono utilizzati in modo improprio altri strumenti previsti dal diritto societario, come l'affitto di ramo d'azienda e le procedure concorsuali, in particolare i concordati preventivi, che si traducono in un grande pregiudizio per i creditori con un conseguente effetto a catena che investe tutta la filiera produttiva;
   tale situazione non comporta solo un danno per i soggetti direttamente coinvolti, ma anche — e soprattutto — per la collettività, che è costretta a pagare, suo malgrado, per la mala gestio altrui;
   in diversi casi, come quello che si riporta infra, appaiono agli interroganti evidenti alcuni comportamenti di dubbia regolarità, già segnalati ad autorità giudiziaria e organi inquirenti, che, tuttavia, nelle more dei tempi di accertamento giudiziario lasciano esposti lavoratori e creditori, con scarsissime possibilità di intervento a tutela delle posizioni legittime;
   la società Art Inox è una azienda con sede operativa a Fano (Pu), attiva nel settore della lavorazione dell'acciaio inossidabile, dell'alluminio e dell'ottone prevalentemente per la cantieristica navale;
   il 26 giugno 2009 tutti i dipendenti della società passano alla King Srl, mediante affitto di ramo d'azienda;
   nel frattempo l'azienda risentiva di una esposizione debitoria verso i lavoratori che veniva ripianata, con difficoltà, mediante piani di rientro;
   la crisi dell'azienda, già prima dell'agosto 2013, risultava conclamata ed i consulenti della società, appartenenti alla Cna, convocavano i sindacati per illustrare la pessima situazione di bilancio e per rappresentare la necessità dell'apertura di una procedura di mobilità;
   la King Srl smetteva di corrispondere i pagamenti ai lavoratori e tale circostanza veniva prontamente segnalata dai sindacati alla direzione provinciale del lavoro, depositando richiesta di mediazione in data 6 maggio 2014. La direzione provinciale del lavoro convocava, le parti il 23 luglio 2014, ma all'incontro l'azienda non si presentava;
   al rientro dalla sospensione feriale, il 25 agosto 2014, l'attività produttiva cessava ed i lavoratori erano lasciati a se stessi, in assenza di ogni procedura o formalità di sorta;
   le rappresentanze sindacali già citate, su mandato dei lavoratori della King Srl depositavano un esposto alla Guardia di finanza di Pesaro per segnalare irregolarità nella gestione della ditta, che negli ultimi mesi non aveva pagato salari e tfr;
   in data 1o ottobre 2014, i militari del comando provinciale della Guardia di finanza di Pesaro hanno eseguito numerosi decreti di perquisizione e sequestri per un valore di circa un milione di euro, nei confronti degli amministratori della società King Srl, a seguito di indagini sviluppate dal nucleo di polizia tributaria di Pesaro coordinate dalla procura della Repubblica della stessa città –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione esposta in premessa;
   quali iniziative urgenti intendano adottare, per quanto di competenza e nel rispetto delle competenze delle autorità giudiziaria, per tutelare i lavoratori della King Srl;
   quali strumenti normativi intendano adottare per inibire, arginare e prevenire l'abuso di strumenti giuridici pensati per supportare le imprese in difficoltà.
(4-06384)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VENITTELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nella versione in bozza («draft») della proposta regionale di definizione del Programma di sviluppo rurale 2014-2020, scaricabile dal sito web della regione Molise, si fa riferimento alla formulazione della misura 8.2.4.2. – sub misura 4.2, relativa al sostegno ad investimenti a favore della trasformazione/commercializzazione e/o dello sviluppo dei prodotti agricoli;
   nell'ambito di tale misura sono individuate, quali soggetti beneficiari degli aiuti, le «Imprese agricole in forma singola o associata. PMI, come definite dalla raccomandazione 2003/361/CE della Commissione, operanti nella trasformazione dei prodotti agricoli compresi tra quelli di cui all'Allegato I del Trattato, della commercializzazione e vendita dei prodotti agroalimentari. Reti d'imprese, i cui componenti operano nell'ambito della produzione, trasformazione, commercializzazione e vendita dei prodotti agroalimentari»;
   la scelta di limitare i beneficiari alle sole piccole e medie imprese determinerebbe l'esclusione dagli aiuti del Programma di sviluppo rurale Molise delle imprese di trasformazione di dimensioni eccedenti i parametri europei relativi alle piccole e medie imprese;
   la disciplina e lo sviluppo rurale per il periodo 2014-2020, ed in particolare l'articolo 17 del regolamento dell'unione europea n. 1305/2013, hanno finalmente eliminato ogni limitazione o restrizione attinente agli aiuti per le grandi imprese attive nel settore della trasformazione;
   non sono, infatti, più previsti limiti dimensionali di alcun tipo, dopo che per il periodo 2007-2013 detti aiuti erano stati invece resi accessibili solo alle imprese con meno di 200 milioni di euro di fatturato o meno di 750 addetti (cosiddette «intermedie»);
   proprio per tale ragione le altre regioni non hanno previsto nei loro Programmi di sviluppo rurale 2014-20 alcuna limitazione dimensionale per le imprese operanti nel campo della trasformazione dei prodotti agricoli;
   se la previsione del Programma di sviluppo rurale Molise dovesse confermarsi restrittiva rispetto al quadro normativo comunitario, anche nella versione definitiva, si profilerebbe una situazione nella quale proprio le imprese più capaci di valorizzare, per la propria consistenza e la posizione di mercato, le produzioni agricole locali e di condividere i risultati economici conseguiti con i produttori conferenti, sarebbero escluse dall'accesso agli aiuti;
   è utile rilevare che tutti i regimi di aiuto di Stato autorizzati dalla CE per investimenti nel settore agricolo ed agroalimentare (Contratti di Filiera e Distretto, Regime ISA Spa, ecc.) presuppongono, ai fini dell'ammissibilità, la coerenza degli interventi con i Piani di sviluppo rurale delle regioni ove insistono gli investimenti, pertanto l'attuale definizione della misura in oggetto contenuta nel Piano di sviluppo rurale Molise vedrebbe ingiustamente escluse un'importante realtà di imprese, anche di cooperative storiche, dall'accesso a qualunque tipologia di aiuto anche a livello nazionale –:
   se il Ministro, nell'ambito del negoziato formale con la regione Molise non intenda segnalare, con riferimento al regime di aiuti di cui in premessa, l'opportunità di assicurare l'accesso ai medesimi aiuti anche alle imprese di maggiori dimensioni. (5-03795)

Interrogazione a risposta scritta:


   BUSINAROLO, GAGNARLI, COLLETTI, AGOSTINELLI, BONAFEDE, FERRARESI, LUPO, PARENTELA e MICILLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ogni anno, durante la stagione venatoria, muoiono mediamente 60 persone, ovvero una ogni tre giornate di caccia e ne vengono ferite gravemente altre 90 (quasi una ogni due giorni). Nella stagione venatoria 2012-2013, ad esempio, come riportato dalle statistiche effettuate dall'Associazione nazionale vittime della caccia, in 52 giorni effettivi di attività venatoria sono state registrate 151 vittime, 32 morti (tra cui 5 minorenni) e 199 feriti, di cui 108 tra i cacciatori (di cui 21 morti) e 43 tra la gente comune (di cui 11 morti);
   le vittime sono gli stessi cacciatori, ma molto spesso anche cittadini comuni, escursionisti o persone che vivono o lavorano in campagna e, a volte, anche animali domestici;
   notizie di cronaca recente (articolo pubblicato sul quotidiano L'arena in data 13 ottobre 2014) hanno riportato l'ultimo incidente legato alla caccia e che, fortunatamente, almeno questa volta non ha avuto conseguenze mortali. Si tratta di un incidente avvenuto nel territorio di Bastia di Rovolon (Padova) e che ha avuto come protagonisti appunto un cacciatore impegnato nella caccia ad una lepre ed una ciclista quarantenne di Caprino (Verona), C.K., che si stava riscaldando in vista di una gara ciclistica a cronometro che si sarebbe svolta nella stessa mattinata a Colloredo (nel Vicentino) e che, sotto gli occhi dei compagni di allenamento, all'improvviso si è accasciata al suolo, ferita alla gamba, al braccio e ad un fianco della parte sinistra, da diversi pallini sparati dal cacciatore;
   da quanto riportato sembrerebbe che il cacciatore abbia sparato da non più di una cinquantina di metri, dunque ben al di sotto del limite dei 150 metri previsto dal regolamento sulla caccia;
   il caso sopra descritto, che si è concluso positivamente per la ciclista che non ha riportato lesioni gravi, non rappresenta un episodio isolato o una semplice fatalità, ma l'ennesimo incidente di caccia dovuto alla imprudenza ed al mancato rispetto della normativa da parte di alcuni cacciatori;
   la caccia consiste nel libero uso di armi da fuoco da parte di dilettanti e, dunque, può rappresentare un gravissimo problema di pubblica sicurezza e di evidente allarme sociale –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti citati in premessa e se non ritengano opportuno adottare tutte le iniziative dirette a prevenire i gravi rischi legati all'attività venatoria e all'utilizzo delle armi da caccia al fine di tutelare l'incolumità e la sicurezza dei cittadini. (4-06391)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la TIN (terapia intensiva neonatale) dell'ospedale di Lamezia Terme, una vera eccellenza nella sanità calabrese, è stata istituita, tra le prime in Calabria, negli anni settanta ed è dotata di moderne attrezzature per la diagnosi e le cure dei neonati critici (prematuri, di basso peso, con patologie respiratorie o malformati) ed ha salvato la vita di tanti nascituri;
   sulla Gazzetta del Sud del 7 ottobre 2014 è stata pubblicata una notizia sull'emergenza sanità proprio in questo reparto. Nello specifico rischia la chiusura il reparto TIN (terapia intensiva neonatale) dell'ospedale di Lamezia Terme che non funzionando come dovrebbe, sta trascinando nel baratro anche il reparto di ostetricia e ginecologia che, di fatto, diventa poco attrattivo per i parti che presentano qualche difficoltà;
   pochi giorni fa è stato necessario trasferire due donne con gravidanze gemellari e una con gravidanza pretermine in un'altra struttura, mettendo a rischio sia le mamme che i bambini;
   prossimamente nel reparto non si potrà accogliere nessuno, perché sono rimasti in servizio solo 4 sanitari contro i 10 previsti e 14 infermieri, dovrebbero essere almeno 20;
   con le limitazioni attuali, per il momento, si sta assicurando l'assistenza in sala parto e nel nido; se durate il parto intervengono complicazioni i sanitari dispongono un trasferimento immediato, consapevoli di mettere a rischio due vite;
   la soppressione della terapia intensiva neonatale di Lamezia Terme, dopo oltre trenta anni di attività, recherebbe gravi ripercussioni sul piano dei livelli essenziali di assistenza alle famiglie considerate anche le condizioni orografiche e di vivibilità della regione Calabria;
   secondo il sindaco della città, questo è accaduto per le scelte erronee di questi anni della regione Calabria e della direzione sanitaria –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta, se la criticità di cui in premessa siano imputabili a esigenze di riduzione della spesa scaturenti dal piano di rientro dai disavanzi sanitari, e se ritenga opportuno intervenire, anche per il tramite del Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro, per garantire i livelli essenziali di assistenza, per tutelare il diritto a nascere in sicurezza e il diritto alla tutela della salute, così come sancito dall'articolo 32 della Costituzione della Repubblica Italiana. (4-06382)


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il punteruolo rosso (Rhynchophorus ferrugines) è originario dell'Asia sudorientale e della Malesia, dove ha prodotto seri danni alle coltivazioni di palma da cocco. L'infestazione può essere a lungo asintomatica e manifestarsi solo in una fase avanzata. I primi sintomi sono rappresentati da un anomalo portamento della chioma che assume un caratteristico aspetto divaricato «ad ombrello aperto»;
   l'insetto ha la capacità di portare al collasso le piante a causa della straordinaria proliferazione; un solo punteruolo rosso può deporre, infatti, fino a 200 larve. È stato stimato che, in assenza di fattori limitanti una singola coppia di questi insetti può dare vita nell'arco di quattro generazioni fino a 53 milioni di esemplari;
   sulla Gazzetta del Sud del 1o ottobre 2014 si legge che questo insetto ha colpito le palme delle città di Cirò Marina, meta turistica della provincia di Crotone. Quanto sia notevole l'effetto che riesce ad avere anche una sola palma sul panorama marino, lo dimostra il bell'esemplare che si staglia alle spalle della foce del fiume Lipuda: la chioma che svetta sulla spiaggia, ricrea perfettamente un'oasi medio orientale. Una presenza che rischia di essere cancellata dal punteruolo rosso che sta devastando le numerose palme che abbelliscono diversi punti della cittadina. Impietoso è lo spettacolo offerto agli occhi, di cittadini e turisti, nei giardini intorno al poliambulatorio dell'Asp, dove molti alberi mostrano segni dell'attività vorace dell'insetto –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione descritta e se ritengano opportuno ricorrere ai necessari trattamenti fitosanitari per contrastare l'azione devastante che produce questo insetto, così come è già avvenuto per altre località interessate. (4-06383)


   BRAMBILLA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   dalle agenzie di stampa e tramite la stampa on line si è appreso del rinvenimento a Golfo Aranci del corpo martoriato di un cucciolo di tursiope (delfino) di pochi mesi, conosciuto con il nome «Goccia». La carcassa risultava priva della parte dorsale, pericolosamente ritenuta commestibile (il cosiddetto «musciame»);
   la caccia al delfino, la commercializzazione e l'utilizzo alimentare della sua carne sono vietate dalla normativa nazionale, comunitaria ed internazionale; il caso non appare isolato, ma emerge, in diversi territori italiani e come già denunciato ampiamente da un servizio televisivo de «Le Iene», un vero e proprio sistema di cattura, uccisione, smembramento, trasporto, commercio e consegna degli animali appartenenti ad alcune specie protette di cetacei, in particolar modo stende e tursiopi;
   dalla normativa cosiddetta CITES (convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione, in vigore in Italia sin dall'anno 1980), nonché dal decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 275 «Riordino del sistema sanzionatorio in materia di commercio di specie animali e vegetali protette, a norma dell'articolo 5 della legge 21 dicembre 1999, n. 526», dal regolamento (CE) n. 1808/2001 della Commissione del 30 agosto 2001, recante modalità d'applicazione del regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio, Regolamento (CE) n. 1497/2003 della Commissione, del 18 agosto 2003, che modifica il regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, relativo alla protezione di specie della flora e fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio, dal decreto ministeriale 8 luglio 2005, n. 176, recante il regolamento concernente i controlli sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali selvatiche minacciate di estinzione (CITES), da adottare ai sensi dell'articolo 8, comma 2, della legge 7 febbraio 1992, n. 150, dal decreto ministeriale 31 luglio 1979, regolamentazione della cattura dei delfini, decreto legislativo di attuazione della direttiva 91/493/CEE, che stabilisce «le norme sanitarie applicabili alla produzione e commercializzazione dei prodotti della pesca», emergono evidenti ipotesi di gravi illegalità relative alla cattura dei cetacei e all'utilizzo e alla presunta commercializzazione della carne;
   va ulteriormente segnalato che, come testimoniano numerose ricerche del settore pubblicate in Italia dai ricercatori dell'università di Siena (gruppo di ricerca coordinato dal professor Focardi e dalle professoresse Fossi e Marsili), dell'università di Teramo (professor Di Guardo) e dell'ICRAM (professor Greco e dottor Lauriano) ora Ispra, il Mediterraneo è uno dei mari più contaminati e a rischio del pianeta, per l'elevata concentrazione di composti xenobiotici, contaminanti organici persistenti, riversati in mare; la loro concentrazione nei tessuti dei cetacei e dei delfini – predatori all'apice della catena alimentare marina – è tra le più elevate al mondo negli organismi animali; ne discende, quindi, che, immettere in commercio le carni di tali mammiferi o comunque consentirne la somministrazione (anche in ambito familiare), senza alcun controllo, pone in serio e grave pericolo la salute dei soggetti cui è presumibilmente destinata; l'uccisione del delfino è avvenuta in piena area di Santuario dei Cetacei, «Santuario Pelagos», l'area marina protetta che si estende per circa 90.000 chilometri quadrati nel Mediterraneo nord occidentale fra Italia, Francia e Sardegna; il Santuario, che comprende il Mar Ligure e parte del Mar Tirreno e del Mar di Corsica, è costituito dalle acque marittime interne (15 per cento) e territoriali (32 per cento) di Francia, Monaco e Italia e dalle acque pelagiche adiacenti (53 per cento). All'interno dell'area è vietata ogni cattura deliberata e qualsiasi forma di disturbo intenzionale dei cetacei;
   solo a titolo esemplificativo, dalle informazioni apprese a mezzo stampa, emergono diverse ipotesi di violazione di legge, per lo più, costituenti reato: cattura di specie particolarmente protetta in area protetta, uccisione di animali senza necessità e protetti da norme speciali, mancata comunicazione autorità di (eventuale) cattura da bycatch, detenzione illegale di specie protette, commercio e presunta vendita di specie protette, eventuale somministrazione di prodotto non sottoposto a controllo sanitario con conseguente rischio per la salute umana (presumibile contaminazione da anisakis, parassiti molto pericolosi, e probabile contaminazione da numerosi xenobiotici pericolosi per la salute umana), frode e/o elusione di norme fiscali, frode alimentare –:
   quali siano le iniziative di competenza che i Ministri interrogati intendono porre in essere per evitare che possano continuare a ripetersi crimini così gravi, nei confronti di specie particolarmente protette. (4-06390)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta immediata:


   AIRAUDO, SCOTTO, PLACIDO, RICCIATTI, FERRARA, MARCON, DURANTI, PIRAS, FRATOIANNI, MELILLA, QUARANTA, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DANIELE FARINA, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MATARRELLI, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, SANNICANDRO e ZARATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come si evince dalla lettura della stampa nazionale e locale, la lunga trattativa per trovare un'intesa sul piano industriale dell’Ast sembrerebbe essere fallita;
   sindacati e azienda non sono stati messi in condizione di trovare un accordo ed ora l'azienda ha annunciato la messa in mobilità per circa 550 dipendenti, cancellando con decorrenza dal 1o ottobre 2014, anche tutti gli accordi di secondo livello per tutti i dipendenti dell’Ast;
   a ciò potrebbe seguire un piano di risparmi da 100 milioni di euro l'anno che comprende anche lo spegnimento di uno dei forni dello stabilimento, già annunciato a luglio 2014;
   inutile rammentare come il polo siderurgico di Terni rappresenti il più grande sito industriale dell'Italia centrale. Vi sono, infatti, impiegati direttamente circa 2.900 addetti e altrettanti costituiscono l'indotto di riferimento. Dai comuni indicatori statistici si calcola che circa 20.000 persone ne beneficiano in termini di reddito. Il polo siderurgico di Terni, a fronte di tutti gli investimenti avviati, rappresenta anche il banco di prova di ciò che resta della siderurgia italiana;
   in questo contesto, Ast-Acciai speciali Terni è tra i primi produttori mondiali di laminati piani inossidabili, costituendo da sola una quota sul mercato italiano superiore al 40 per cento;
   il report annuale 2013 di Federacciai ha confermato, del resto, che quello in cui opera Ast è un settore strategico per l'economia nazionale: in controtendenza rispetto agli altri acciai speciali, la produzione di laminati piani a caldo e a freddo è aumentata del 4,3 per cento rispetto all'anno precedente, passando da 598.300 tonnellate nel 2011 a 624.000 nel 2012;
   Ast rappresenta, quindi, una componente imprescindibile della matrice produttiva dell'Umbria e dell'intero Paese, oltre che essere tratto costituente ed essenziale del capitale sociale e territoriale di Terni e dell'intera regione;
   Terni, tuttavia, si sente abbandonata. Dalla Thyssen Krupp, naturalmente, ma per certi versi anche dal Governo italiano. Le lettere di licenziamento/mobilità ormai partite all'indirizzo di altrettanti operai e impiegati dell’Ast portano la firma dell'amministratore delegato dell'azienda tedesca Lucia Morselli, ma in città molti sono convinti che l'attuale Esecutivo potesse e dovesse fare qualcosa in più. Da quando a metà luglio 2014 l’Ast ha annunciato il piano di ridimensionamento e di tagli al personale, è partita una trattativa che ha visto impegnati in prima linea il Ministro interrogato e il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Graziano Delrio, conclusasi ad oggi con un nulla di fatto;
   il Presidente del Consiglio dei ministri in questi giorni è tornato più volte sull'argomento, ha garantito impegno e, secondo quanto si apprende dalla stampa nazionale, confessato di essere «terrorizzato» dalla situazione ternana. Pur tuttavia, i risultati degli sforzi del suo Gabinetto, al momento, sono impietosi: tra 75 giorni, alla fine della procedura di mobilità, i licenziamenti dei 550 degli oltre 2600 dipendenti del gruppo Ast diverranno esecutivi;
   ad avviso dei firmatari del presente atto di sindacato ispettivo, nell'ambito della citata vicenda l'attuale Esecutivo, avendo svolto un ruolo di mediazione del tutto sbilanciato in favore dell'azienda, ricopre gravissime responsabilità. La Cgil ha anche accusato il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi di subalternità rispetto alla Germania. E i lavoratori, anche i pochi non sindacalizzati, si trovano sulla stessa linea d'onda;
   addirittura, secondo quanto risulta agli interroganti, sembrerebbe che l'intenzione del Governo sia ora quello di spostare la trattativa dal Ministero dello sviluppo economico al Ministero del lavoro e delle politiche sociali. E tale circostanza rappresenterebbe un fatto di eccezionale gravità perché significherebbe discutere i termini dello smantellamento del polo siderurgico e non già adoperarsi per adottare eventuali alternative di intervento e risolvere la situazione, attraverso l'attivazione di strumenti di politica industriale ad hoc a partire da quelli volti al sostegno delle produzioni di base e, in particolare, quelle della siderurgia e degli acciai inossidabili –:
   quali elementi intenda fornire al Parlamento alla luce di quanto descritto in premessa e quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda assumere affinché Ast-Acciai speciali Terni possa contare realmente su prospettive di recupero credibili in termini di redditività e di generazione di valore, in una fase di dura crisi economica quale è quella attuale, e venga garantita innanzitutto la tutela occupazionale e la protezione sociale dei lavoratori della suddetta azienda.
(3-01090)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Tinagli e altri n. 1-00272, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta del 2 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Gebhard.

  La mozione Nicoletti e altri n. 1-00603, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta del 3 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Bruno Bossio.

  La mozione Palese n. 1-00614, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta del 13 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Russo.

  La mozione Speranza e altri n. 1-00615, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta del 13 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Paola Bragantini, Schirò, Sbrollini, Zampa, Miotto, Capone, Gullo, Palma, Sereni, Piccione, Carrozza, Casellato, Rossomando, Blazina.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  La interpellanza urgente Rostan e altri n. 2-00713, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta del 9 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Braga.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  La interrogazione a risposta in Commissione Iacono e altri n. 5-03776, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta del 10 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Amoddio, Culotta, Piccione, Villecco Calipari, Zappulla, Capodicasa, Greco, Gullo, Cardinale.

  La interrogazione a risposta scritta Rizzo e altri n. 4-06001, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta dell'11 settembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Luigi Di Maio.

Pubblicazione di un testo riformulato.

Si pubblica il testo riformulato della mozione Palazzotto n. 1-00616, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 308 del 13 ottobre 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    i dati forniti da Eurostat sulle richieste di asilo presentate in Europa fotografano un fenomeno, quello dei rifugiati e richiedenti asilo, di imponenti dimensioni e che necessita di una forte politica comune dell'Unione europea;
    secondo il rapporto fornito dall'istituto europeo di statistica, le persone che nei primi tre mesi del 2014 hanno chiesto asilo sul territorio dell'Unione europea sono state circa 108.300, con un aumento di circa il 30 per cento rispetto al dato dello stesso periodo del 2013, che ha registrato nell'anno circa 450 mila richieste di asilo presentate ai 28 Stati dell'Unione europea, con un aumento di circa 100 mila richieste rispetto al 2012;
    l'Italia nel 2013 ha ricevuto 27.800 domande di asilo. Erano state 31.723 nel 2008, 19.090 nel 2009, 12.121 nel 2010, 37.350 nel 2011 e 17.323 nel 2012;
    nel 2013 il più alto numero di richieste d'asilo è stato registrato in Germania (127 mila), seguito da Francia (6 5mila), Svezia (54 mila), Regno Unito (30 mila). Complessivamente, sommato al dato italiano, questi numeri compongono il circa il 70 per cento del totale delle richieste d'asilo presentate nell'Unione europea;
    tra i Paesi di provenienza, la Siria occupa il primo posto (16.770 richieste), seguita da Afghanistan (7.895) e Serbia (5.960);
    secondo l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, il numero totale di persone arrivate via mare in Italia, sempre nei primi mesi del 2014, è di oltre 18.500 e quasi 43.000 persone sono arrivate via mare nel 2013;
    l'operazione di soccorso in mare denominata Mare Nostrum ha salvato in mare, in questi mesi, migliaia di vite umane. Tuttavia, ha dimostrato più volte i suoi limiti, come, ad esempio, nella tragedia del 12 maggio 2014 al largo di Lampedusa e nelle centinaia di morti nei pressi delle coste libiche;
    Mare Nostrum è stata una risposta emergenziale ad una questione strutturale, quale è quella relativa ai flussi migratori. Inadeguata e insufficiente e che, in ogni caso, non previene in alcun modo l'esposizione dei potenziali rifugiati ai rischi delle traversate per mare e che, se pure ha permesso di fermare molti dei cosiddetti scafisti, certo non è in grado di intervenire sull'emergenza della tratta di esseri umani, che ha luogo principalmente in Libia e che vede negli scafisti solo l'ultimo anello della catena;
    le navi dell'operazione Mare Nostrum, se, da un lato, svolgono un'importante opera di pattugliamento e di soccorso, come prescritto dalle convenzioni internazionali in vigore, dall'altro, tuttavia, nulla può rispetto all'altra grande emergenza che l'Unione europea si trova ad affrontare: la gestione dell'accoglienza e l'assistenza ai richiedenti asilo negli Stati europei e, in particolare, nel nostro Paese, specificatamente interessato dalla pressione migratoria;
    la gestione dell'accoglienza, la «presa in carico» e l'assistenza da parte di molti Paesi dell'Unione europea presenta numerose criticità, data la consistenza del fenomeno e considerate le talvolta difficili condizioni sociali ed economiche dei Paesi riceventi, difficoltà che si riflettono sia sulle popolazioni accoglienti che sui rifugiati e richiedenti asilo;
    con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, le materie concernenti l'asilo, la protezione sussidiaria e la protezione temporanea hanno acquisito la qualifica di politica comune dell'Unione europea (articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea); pertanto, la concreta regolamentazione di tali materie risulta un'applicazione del Trattato;
    la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che con il Trattato di Lisbona ha acquisito la stessa portata e rilevanza giuridica del Trattato stesso, riconosce e garantisce il diritto di asilo nel rispetto delle norme stabilite dalla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e dal Protocollo del 31 gennaio 1967, relativi allo status dei rifugiati, del Trattato sull'Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (articolo 18); vieta le espulsioni collettive e le espulsioni ed estradizioni verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti (articolo 19);
    le richieste di asilo nei Paesi dell'Unione europea sono disciplinate dal regolamento n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 (cosiddetto regolamento «Dublino III»), che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di Paese terzo o da un apolide;
    il regolamento «Dublino III» intende assicurare il pieno rispetto del diritto d'asilo garantito dall'articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nonché dei diritti riconosciuti ai sensi degli articoli 1, 4, 7, 24 e 47 della Carta medesima (diritto alla dignità umana, proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, rispetto della vita privata e familiare, diritto del bambino e diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale);
    l'obiettivo del regolamento «Dublino III» è quello di realizzare un sistema di asilo europeo basato su criteri omogenei di riconoscimento del diritto d'asilo dei richiedenti, sul rispetto dei diritti umani nei Paesi d'accoglienza e sulla solidarietà tra gli Stati membri e di consentire la rapida determinazione ed identificazione dello Stato membro competente, al fine di garantire l'effettivo accesso alle procedure volte al riconoscimento della protezione internazionale, non pregiudicando l'obiettivo di un rapido espletamento delle domande di protezione internazionale;
    rispetto al precedente regolamento denominato «Dublino II», in particolare, sono state modificate le definizioni di familiari; è stato introdotto l'effetto sospensivo del ricorso; sono stati inseriti i termini anche per la procedura di ripresa in carico; è possibile il trattenimento del richiedente per pericolo di fuga; è introdotto lo scambio di informazioni sanitarie a tutela del richiedente;
    studi effettuati negli ultimi anni mostravano ancora differenze sostanziali tra i sistemi di protezione dei diversi Paesi, sia per quando riguarda le misure di accoglienza, sia relativamente alle percentuali di riconoscimento, sia rispetto alle procedure di esame della domanda; pertanto, l'Unione europea ha riformato il complesso della normativa in materia, ponendolo, nelle intenzioni, come base uniforme al fine di evitare disparità nel trattamento delle persone e nell'esame delle loro domande, proprio come premessa delle misure previste dal regolamento «Dublino», nella sua versione modificata;
    tuttavia, al di là dei buoni propositi sopra richiamati, diverse disposizioni del regolamento «Dublino III» stanno determinando seri problemi di interpretazione e applicazione negli Stati membri;
    l'obiettivo iniziale di tale sistema era quello di garantire che almeno uno degli Stati membri prendesse in carico il richiedente. Tuttavia, è ormai evidente come in realtà l'applicazione di tale insieme di regole sia diventata un insensato percorso a ostacoli per chi cerca protezione: famiglie separate, persone lasciate senza mezzi di sostentamento o addirittura detenute, lungaggini burocratiche e rimpalli tra Stati e uffici che rendono il diritto d'asilo inesigibile;
    in particolare, il regolamento «Dublino III» limita oltremodo la mobilità dei richiedenti asilo nell'Unione europea, con un impatto fortemente negativo sulla vita dei rifugiati;
    per quanto concerne l'Italia, il regolamento di Dublino interessa, in particolare, due categorie di migranti: quelli che sono stati rimandati in Italia, in quanto individuata come Stato responsabile per esaminare la loro domanda d'asilo («dublinati») e quelli che devono essere trasferiti dall'Italia a un altro Stato europeo, dove precedentemente sono stati identificati attraverso le impronte digitali (in attesa di trasferimento);
    il rilievo delle impronte digitali assume un'importanza poiché il regolamento prescrive che il migrante sia «preso in carico» dal Paese di primo accesso. Essendo l'Italia un Paese di transito per la maggior parte dei migranti e vista la diffusione delle notizie sulla lentezza delle procedure del nostro Paese nell'evasione delle richieste d'asilo e sulle limitazioni – pur se illegittime – poste alla libera circolazione in territorio europeo anche successivamente al riconoscimento dello status di rifugiato, sono molti i migranti che si oppongono al rilevamento;
    il regolamento (UE) n. 604/2013, nato per contrastare il fenomeno del cosiddetto asylum shopping (la presentazione della richiesta di protezione in più Paesi), appare del tutto inadeguato a gestire i flussi migratori attuali; esso impedisce, di fatto, la necessaria solidarietà europea nella gestione delle domande di protezione e incentiva fenomeni di fughe collettive dai centri di prima accoglienza e, quindi, di «clandestinizzazione» dei migranti;
    un'altra criticità particolarmente vistosa riguarda l'accoglienza. Occorre segnalare come non sia stato organizzato nel nostro Paese un sistema di prima accoglienza idoneo alla portata del fenomeno delle migrazioni e, in particolare con riferimento ai richiedenti asilo, siano state spesso utilizzate strutture di accoglienza del tutto improprie e al limite della dignità umana;
    un ulteriore elemento critico è la mancanza di un'effettiva ed esigibile tutela legale da parte dei migranti, e ciò ha un forte impatto sull'equità della procedura di asilo. La procedura «Dublino», infatti, può durare molto e il migrante non ha la possibilità di essere aggiornato su come procede il suo caso, né attraverso un apposito ufficio informazioni, né accedendo a un sistema on line o agli sportelli di altri uffici delle autorità competenti, come quelli territoriali dell'immigrazione;
    questo produce frustrazione, depressione e un profondo senso di precarietà, che coinvolge anche le popolazioni locali interessate dalla pressione migratoria;
    la rigidità del «sistema di Dublino», infatti, spinge i richiedenti asilo a muoversi continuamente in Europa in cerca di protezione, piuttosto che fermarsi in un posto solo, nel tentativo di aggirare un sistema percepito come poco sicuro;
    nonostante le criticità del sistema siano note da tempo, l'Unione europea non sembra voler porre rimedio, anzi pare prendere misure che vanno nella direzione opposta a quella della risoluzione dei problemi;
    ne è l'esempio la gigantesca operazione di polizia appena partita in tutta Europa volta a fermare, controllare e identificare tutti i migranti che verranno intercettati sul territorio continentale;
    l'Italia guiderà tale operazione di polizia europea, denominata «Mos Maiorum», un intervento coordinato dalla direzione centrale per l'immigrazione e la polizia di frontiera del Ministero dell'interno italiano, in collaborazione con l'agenzia Frontex, volto a perseguire l’«attraversamento illegale dei confini»; un'operazione più repressiva che di tutela nei confronti di quella moltitudine di individui che approdati in Europa stanno cercando di realizzare un loro nuovo progetto di vita, lontano da guerre, miseria e persecuzioni;
    di fatto, l'identificazione, già dal prelevamento delle impronte digitali, rappresenta oggi per il migrante non una garanzia di tutela dei diritti connessi al proprio status, ma una limitazione della propria libertà di movimento all'interno dell'Unione europea, anche al fine di proporre istanza di protezione in un Paese diverso da quello di primo accesso. Doversi nascondere dall'autorità statuale del Paese di primo accesso rappresenta, in molti casi, l'inizio di un percorso di emarginazione;
    ventuno parlamentari di Italia, Francia, Spagna, Grecia, Croazia, Serbia, San Marino, appartenenti a gruppi politici diversi (Pse, Ppe, Alde – tra gli italiani Pd, FI, Popolari, Sel, 5Stelle) hanno depositato presso l'Ufficio di Presidenza dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa la richiesta di un rapporto ad hoc sull'applicazione del regolamento «Dublino III», che possa contenere analisi fattuali dei dati e proposte ai Governi per un suo miglioramento, come più volte richiesto dall'Assemblea di Strasburgo;
    sempre l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha raccomandato, nella sua ultima risoluzione, la 2047/2014, una profonda revisione del regolamento «Dublino III»;
    riveste particolare importanza la circostanza che l'Italia è presidente di turno dell'Unione europea ed appare qui opportuno che l'Italia ponga la necessità di aggiungere anche tale punto all'ordine del giorno del Consiglio europeo del 23 e 24 ottobre 2014,

impegna il Governo:

   a proporre nelle competenti sedi europee un'iniziativa tesa a sospendere l'applicazione del regolamento cosiddetto «Dublino III» e a sostenere la necessità di una sua revisione, che ponga al centro:
    a) il rispetto e la protezione dei diritti umani dei rifugiati e dei richiedenti asilo, al fine di garantire un ambiente più favorevole a una loro accoglienza, fornendo loro un'adeguata assistenza fisica, psicologia e legale, nonché un adeguato percorso di integrazione;
    b) un sistema di mutuo riconoscimento tra gli Stati membri della concessione del diritto di asilo, che estenda ai richiedenti asilo ed ai rifugiati i diritti previsti per i cittadini europei dal Trattato di Schengen, permettendo così un'allocazione libera e, dunque, più razionale dei flussi migratori;
    c) l'istituzione di un'agenzia europea per l'asilo e l'immigrazione, favorendo l'utilizzazione delle sedi diplomatiche già esistenti in alcuni Paesi africani, quali sedi operative nelle zone di maggior transito dei rifugiati;
    d) a prendere tutti i provvedimenti necessari affinché il tempo richiesto per l'esame delle richieste di asilo in Italia si allinei alla media europea;
    e) ad operare per ottenere le modifiche al regolamento di Dublino III idonee a rendere l'identificazione del migrante non un limite alla propria libertà di circolazione e al pieno godimento dei diritti connessi al proprio status, ma una garanzia del rispetto degli stessi diritti;
   a farsi portatore in sede europea di un'iniziativa che porti al definitivo superamento del sistema Frontex, affinché quelle risorse siano finalizzate in primis ad organizzare un efficiente sistema di monitoraggio e soccorso;
   ad interrompere la prassi di rimpatri cosiddetti «immediati», effettuati prima che sia data ai migranti la possibilità di proporre istanza di protezione, posto che tali provvedimenti, anche se presi in forza di accordi bilaterali, sono illegittimi in quanto costituiscono rimpatri collettivi non motivati singolarmente ed in quanto negano al migrante la possibilità, riconosciuta da numerose convenzioni internazionali, di proporre istanza di protezione;
   a porre in sede europea la questione dell'indifferibilità dell'apertura di canali di «accesso protetto», che tramite corridoi umanitari garantiscano la possibilità ai migranti di fare richiesta di asilo direttamente nei Paesi di transito, come l'Egitto, per poi poter entrare in Europa in sicurezza.
(1-00616)
(Nuova formulazione) «Palazzotto, Fratoianni, Scotto, Nicchi, Costantino, Pannarale, Duranti, Piras, Kronbichler, Zaratti».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione risposta scritta Ricciatti n. 4-01922 del 23 settembre 2013.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Artini altri n. 4-02506 del 13 novembre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03786.