Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 7 ottobre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'Europa non ha ancora mostrato di voler adottare una politica comune per la gestione dei flussi migratori, e certamente non è stata capace di mostrare il volto umano della solidarietà di fronte all'emergenza umanitaria di flussi crescenti di migranti lasciando sostanzialmente sola l'Italia, mentre ha il dovere, a fronte di questa continua richiesta di aiuto, di far sì che chi fugge dalla morte per raggiungerla, non trovi la morte nel suo cammino; si tratta di persone costrette a lasciare la propria terra, per fuggire da situazioni di violenza, di degrado, di costrizione, di negazione di libertà, di privazione della dignità umana, e ad affidarsi a trafficanti criminali; il numero delle vittime e delle violazioni dei diritti umani da parte di questi ultimi, infatti, negli anni è considerevolmente aumentato (in generale dal 2000 al 2013, sono morti migliaia di migranti nel tentativo di fuggire dai conflitti e di raggiungere l'Europa via mare o attraversando i confini del vecchio continente via terra, in media più di 1.600 l'anno);
    le ondate di sbarchi degli ultimi mesi sulle coste siciliane ha rimesso al centro del dibattito anche il diritto d'asilo facendo riemergere di nuovo la questione della normativa che lo regola a livello italiano e europeo e degli strumenti con cui l'Unione può aiutare i Paesi membri sottoposti a forti pressioni migratorie alle frontiere;
    come Stato di frontiera esterna dell'Unione europea l'Italia è sottoposta a una pressione maggiore alle proprie frontiere rispetto a quanto non sarebbe se tale ingresso non coincidesse anche con l'ingresso nell'area Unione europea, tuttavia ciò non può sottintendere che il Paese accogliente abbia responsabilità maggiori o speciali;
    pur tra polemiche e criticità, l'operazione di soccorso denominata Mare Nostrum ha comunque raggiunto lo scopo per il quale era stata avviata; infatti, dall'inizio dell'anno è stata salvata la vita a oltre 22.000 persone e il nostro Paese ha ancora una volta confermato la propria vocazione umanitaria che da sempre la contraddistingue in Europa; tuttavia, i sottoscrittori del presente atto di indirizzo non ritengono che Mare nostrum possa rappresentare una soluzione permanente alla questione immigrazione anche perché non ha impedito l'incremento dei flussi migratori illegali, garantendo di fatto l'arrivo in Italia a tutti coloro che si imbarcano sulle coste libiche;
    secondo il rapporto di Eurostat sul primo trimestre del 2014, sono state 435mila le richieste di asilo in Europa nel 2013, facendo registrare un forte rialzo rispetto al 2012 quando erano state 335mila. Secondo le stime circa il 90 per cento sono nuove domande. Le più numerose sono state presentate da cittadini di nazionalità siriana. Emerge ancora dai dati Eurostat, che il 70 per cento delle richieste si è concentrato in Germania, Francia, Svezia, Regno Unito e Italia. Nel 2013 il più alto numero di richieste d'asilo è stato registrato in Germania (127mila, pari al 29 per cento dell'insieme delle domande), seguito da Francia (65mila; 15 per cento), Svezia (54mila; 13 per cento), Regno Unito (30mila, 7 per cento) e Italia (28mila; 6 per cento). In questi cinque Stati membri si è concentrato il 70 per cento di tutti i richiedenti asilo dell'Unione europea a 28 nel 2013;
    la gestione dell'accoglienza, identificazione, assistenza da parte di molti Paesi dell'Unione europea presenta numerose criticità data la consistenza del fenomeno e considerate talvolta le difficili condizioni sociali ed economiche dei Paesi riceventi, difficoltà che si riflettono sia sulle popolazioni accoglienti che sui rifugiati e richiedenti asilo;
    il 29 giugno 2013 sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea gli atti legislativi mancanti per completare la «revisione» di tutte le principali norme del Sistema europeo comune di asilo; in particolare, l'adozione del Regolamento dell'Unione europea n. 604 del 2013, cosiddetto Dublino III, entrato in vigore il 19 luglio 2013, in sostituzione del Regolamento n. 343 del 2003, così detto Dublino II, ma la cui applicazione è stata prevista solo a partire dal 1o gennaio 2014;
    il regolamento «Dublino III» intende assicurare il pieno rispetto del diritto d'asilo garantito dall'articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, nonché dei diritti riconosciuti ai sensi degli articoli 1, 4, 7, 24 e 47 della Carta medesima (diritto alla dignità umana, proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, rispetto della vita privata e familiare, diritto del bambino e diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale); inoltre, contiene i criteri e i meccanismi per individuare lo Stato membro competente al fine di garantire l'effettivo accesso alle procedure volte al riconoscimento della protezione internazionale, non pregiudicando l'obiettivo di un rapido espletamento delle domande di protezione internazionale;
    il regolamento «Dublino III» è senza dubbio la parte del sistema europeo comune di asilo più discusso e criticato, non solo dal punto di vista delle conseguenze negative sulla vita dei richiedenti asilo; infatti, il principio generale su cui si basa è lo stesso della vecchia convenzione di Dublino del 1990 e di «Dublino II»: ogni domanda di asilo deve essere esaminata da un solo Stato membro e la competenza per l'esame di una domanda di protezione internazionale ricade in primis sullo Stato che ha svolto il maggior ruolo in relazione all'ingresso e al soggiorno del richiedente nel territorio degli Stati membri, salvo eccezioni; insomma, sono state apportati pochi aggiustamenti;
    tuttavia, malgrado l'Unione europea si sia dotata di un proprio sistema di asilo (basato sulla nozione di protezione internazionale, articolata nelle tre forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione temporanea, volte a consentire a chiunque di vedersi riconosciuto lo status appropriato alla propria situazione), faticosamente completato dopo 12 anni di lavori nel giugno 2013, come già detto, il cammino verso il raggiungimento di un sistema comune europeo di asilo giusto ed efficace appare ancora lungo; la realizzazione di tale sistema costituisce, in ogni caso, l'esito ultimo di un processo di progressivo avvicinamento delle legislazioni nazionali in materia le cui tappe sono state delineate nei programmi pluriennali per lo spazio di libertà sicurezza e giustizia;
    tra l'altro, con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, le materie concernenti l'asilo, la protezione sussidiaria e la protezione temporanea hanno acquisito la qualifica di politica comune dell'Unione europea (articolo 78 TFUE) pertanto, la concreta regolamentazione di tali materie risulta un'applicazione del Trattato;
    l'applicazione del regolamento in questione è di difficile gestione e il principio generale in esso stabilito, secondo cui i Paesi responsabili dell'esame di una domanda di protezione internazionale «anche di coloro che hanno varcato illegalmente le frontiere di uno Stato membro» sono quelli di prima accoglienza, presenta notevoli criticità a causa del numero sempre crescente di migranti, tra le quali la gestione nazionale, ossia in carico ai singoli Stati, delle richieste d'asilo, che induce in numerosi migranti il rifiuto di farsi identificare e il loro incontrollato movimento tra i Paesi europei;
    sia il Consiglio europeo per i rifugiati e gli esuli sia l'UNHCR ritengono criticamente che tale sistema non riesca a fornire una protezione equa, efficiente ed efficace, impedisca l'esercizio dei diritti legali e del benessere personale dei richiedenti asilo, compreso il diritto a un equo esame della loro domanda d'asilo e, ove riconosciuto, a una protezione effettiva e conduca a una distribuzione ineguale delle richieste d'asilo tra gli Stati membri;
    la seconda fase del processo, attualmente in corso e recante la definitiva realizzazione di un sistema comune europeo di asilo prevede la revisione della citata normativa vigente a più riprese l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, da sempre particolarmente attenta al tema dei rifugiati e dei richiedenti asilo e in generale del rispetto dei diritti umani dei più deboli, ha raccomandato, da ultimo nella risoluzione 2047 (2014), una profonda revisione del suddetto regolamento;
    il Consiglio europeo del 26 e 27 giugno 2014, nel definire gli orientamenti strategici della programmazione legislativa e operativa nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia per gli anni a venire, ha chiesto alle istituzioni dell'Unione europea e agli Stati membri di dotarsi di una politica efficace in materia di migrazione, asilo e frontiere, guidata dai principi di solidarietà ed equa condivisione delle responsabilità; di recepire e attuare efficacemente, quale priorità assoluta, il sistema europeo comune di asilo (CEAS), adottando norme comuni di livello elevato e istituendo una maggiore cooperazione per creare condizioni di parità che assicurino ai richiedenti asilo le stesse garanzie di carattere procedurale e la stessa protezione in tutta l'Unione; di rafforzare il ruolo svolto dall'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (EASO), in particolare promuovendo l'applicazione uniforme dell’acquis, di intensificare la cooperazione con i Paesi di origine e di transito, anche attraverso l'assistenza volta a rafforzare le loro capacità di gestione della migrazione e delle frontiere; di potenziare ed espandere i programmi di protezione regionale, in particolare nelle vicinanze delle regioni di origine;
    il Governo italiano si è impegnato a chiedere nelle sedi appropriate una risposta europea più adeguata e a inserire la questione di una più efficace gestione in comune delle politiche migratorie fra le priorità del semestre di presidenza dell'Unione europea;
    occorre, a questo punto, che a livello europeo si predisponga al più presto almeno un canale umanitario affinché chi fugge dalla guerra possa chiedere asilo alle istituzioni europee nei Paesi che affacciano sul Mediterraneo o lì dove è necessario (presso i consolati o altri uffici) senza doversi imbarcare alimentando il traffico di essere umani e il bollettino dei tragici naufragi, per poi accogliere sul suolo europeo chi fugge ed esaminare qui la domanda dei richiedenti;
    la Costituzione italiana, attraverso il terzo comma dell'articolo 10, recita chiaramente: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge», ovvero l'obbligo dell'accoglienza dei richiedenti asilo;
    è nel pieno della sua attività la presidenza di turno italiana del semestre europeo (e anche in vista del prossimo Consiglio europeo del 23 e 24 ottobre) ed è dunque opportuno che il nostro Paese ponga la necessità di mettere al centro della agenda europea la definizione di una politica solida e condivisa, improntata su solidarietà e responsabilità, in materia di immigrazione e diritto d'asilo,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per adottare un testo unico di tutte le disposizioni di attuazione degli atti dell'Unione europea in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione internazionale e temporanea, in attuazione anche dell'articolo 10 della Costituzione, e per rivedere tutta la normativa esistente in tema di regolamentazione organica dell'intera materia dell'immigrazione dall'estero;
   ad attivarsi in ogni sede dell'Unione europea, soprattutto in occasione della presidenza italiana del semestre europeo, al fine di realizzare il superamento dell'attuale quadro normativo (così detto sistema di Dublino III) attraverso una sua revisione per favorire: l'inserimento dei richiedenti asilo già dal momento dell'avvio della procedura di protezione, nei Paesi dell'Unione dove già vivono propri parenti, prima ancora che acquisiscano lo status di apolide; il rispetto e la protezione dei diritti umani dei rifugiati e dei richiedenti asilo, al fine di garantire un'ambiente più favorevole a una loro accoglienza, compatibilmente con le possibilità dei Paesi ospitanti e di provvedere efficacemente a una loro identificazione per evitare che finiscano vittime del traffico clandestino, fornendo loro un'adeguata assistenza;
   ad assumere iniziative in sede di Unione europea per una più efficace azione nei confronti dei Paesi di origine e di transito, impegnando e incentivando i rispettivi Governi in una seria e solidale politica di gestione dei flussi, soprattutto nella lotta alle organizzazioni criminali che lucrano sul traffico di esseri umani;
   a favorire l'avvio di un sistema europeo di accoglienza che si basi sulla solidarietà tra i Paesi membri e che distribuisca la presenza dei rifugiati per quote definite sulla base degli indici demografici ed economici, favorendo le logiche di ricongiungimento famigliare, etnico, religioso e linguistico;
   a promuovere l'adozione di:
    a) un omogeneo sistema europeo che regoli la concessione del diritto di asilo secondo standard e procedure comuni e il coordinamento nella raccolta delle domande dei richiedenti, anche al di fuori del territorio dei Paesi membri e in collaborazione con l'UNHCR, per permettere agli aventi diritto di raggiungere i Paesi di accoglienza in modo sicuro e prevenire ogni abuso del sistema con la presentazione di domande di asilo multiple da parte di una sola persona;
    b) un sistema di mutuo riconoscimento tra gli Stati membri della concessione del diritto di asilo, tale da garantire la libertà di stabilimento del beneficiario in ogni Stato membro, per cui il riconoscimento della protezione internazionale a un richiedente asilo all'interno di un determinato Stato sia valido nell'intero territorio dell'Unione europea;
   a favorire l'istituzione di un'Agenzia europea per l'asilo e l'immigrazione al di fuori del territorio dell'Unione europea attraverso la creazione di basi europee direttamente finanziate dall'Unione europea o l'utilizzazione delle sedi diplomatiche già esistenti in alcuni Paesi africani, quali sedi operative nelle zone di maggior transito dei rifugiati, in grado di gestire le domande di protezione internazionale e di contenere il numero dei flussi migratori indistinti;
   a rivedere tutte le note del Ministero dell'interno che concernono i finanziamenti dei bandi interministeriali destinati alla prima accoglienza e alla gestione dei servizi connessi, con particolare riguardo ai criteri di spesa ad essi inerenti;
   a verificare la possibilità di promuovere interventi per assicurare beni e servizi per le famiglie italiane meno abbienti con il fine di evitare tensioni tra italiani e richiedenti asilo all'interno della Unione europea.
(1-00605) «Manlio Di Stefano, Spadoni, Grande, Scagliusi, Del Grosso, Di Battista, Sibilia, Currò, Artini, Carinelli, Silvia Giordano, Rostellato, Brescia, Frusone, Colonnese, Lorefice, Sorial, Mantero, Grillo».


   La Camera,
   premesso che:
    rispetto al parametro della pressione fiscale complessiva su cittadini ed imprese, il nostro Paese si colloca ai livelli più alti su scala mondiale: i dati statistici più aggiornati registrano per l'Italia una pressione fiscale pari al 47,6 per cento del Pil contro una media mondiale del 30,3 per cento; lo stesso parametro è invece al 33,7 per cento in Svizzera, al 22 per cento negli USA, al 37,1 per cento in Spagna, al 34,7 per cento in Giappone, al 10,3 per cento in India, al 45,3 per cento in Germania, al 33,2 per cento in Australia;
    ad un'alta pressione complessiva si accompagna un altrettanto deleterio primato riguardante la complessità degli adempimenti fiscali, che costituiscono a loro volta, e di per sé, un costo ed un aggravio per le persone e le attività economiche, con il corollario di contenziosi: 150mila liti pendenti, con costi e tempi di contenzioso che spesso scoraggiano e ledono il diritto al ricorso da parte del contribuente; Si registrano peraltro percentuali elevate (circa il 40 per cento) di contenziosi fiscali nei quali il contribuente risulta alla fine avere ragione;
    tutto ciò comporta un costo per i contribuenti ma anche un guadagno ed un ruolo determinante per CAF di varia estrazione;
    l'altra caratteristica negativa e purtroppo caratterizzante del sistema fiscale italiano è l'elevato tasso di elusione/evasione, basti pensare che il reddito medio dichiarato è di 19 mila euro lordi. Solo lo 0,2 per cento dei contribuenti dichiara più di 200mila euro lordi, e si tratta esclusivamente di lavoratori dipendenti e pensionati; la quota maggiore del gettito Irpef viene pagata da chi dichiara da 35 a 70mila euro; secondo le rilevazioni si tratta in larga maggioranza di lavoratori dipendenti residenti nel nord del Paese vista la disparità delle dichiarazioni medie fra (ad esempio) la Lombardia con oltre 23 mila euro e la Calabria con circa 14 mila.
    il combinato disposto di alta pressione fiscale e alta burocratizzazione e complessità del prelievo disegna un fisco complesso, inefficace, visto con diffidenza e timore dal contribuente, che fallisce completamente le sue finalità di equità ed equilibrio, e dove spesso il contribuente onesto non riesce comunque ad evitare sanzioni errate o pretestuose;
    un simile sistema finisce con il rendere conveniente per i percettori di redditi alti e per le società altamente profittevoli sia la delocalizzazione assoluta, con trasferimento, che relativa, per mezzo della costituzione di veicoli societari esteri. La complessità consente quindi a chi può permettersi comportamenti elusivi di sfuggire all'imposizione relativa alle fasce più alte di reddito, posizionando un'enorme onere fiscale sulle spalle del ceto medio;
    è oggi urgente una diversa distribuzione del carico fiscale, con un aumento della base imponibile e una riduzione delle aliquote, in modo tale da sgravare chi finora ha sopportato il peso maggiore e aumentare la contribuzione di chi finora si è sottratto al versamento delle imposte con elusione e evasione;
    allo stesso modo occorre eliminare la tassazione slegata dal reddito perché, oltre ad essere profondamente iniqua, il rischio è che per mantenere irrealistici impegni europei si pensi di compensare la sparizione del lavoratore dipendente causata dalla crisi con un'aggressione a risparmi e imprese, con conseguente rischio di distruzione di valore più che proporzionale al gettito,
    la flat tax, pensata da Milton Friedman, teorizzata compiutamente dagli economisti americani Hall e Rabushka negli anni ’80 e ormai messa in pratica da circa 40 Stati in tutto il mondo appare come la soluzione più efficace per rivoluzionare il sistema fiscale del nostro Paese;
    una, flat tax costituisce una semplificazione shock del sistema fiscale, tale da determinare una sorta di «punto zero» che non si riscontrerebbero in nessuna modifica non radicale del metodo al momento in vigore; La progressività della tassa potrebbe essere in ogni caso garantita da una deduzione fissa su base fami- liare in modo di agevolare comunque le fasce a minore reddito,

impegna il Governo

a disegnare, nel quadro della legge di stabilità per il 2015, un sistema fiscale radicalmente nuovo per cittadini e imprese, basato su una unica aliquota fiscale non superiore al 20 per cento corretta (per le persone fisiche) da una deduzione fissa su base familiare che ne garantisca la progressività.
(1-00606) «Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    gli studi di settore consistono di elaborazioni statistiche, economiche e matematiche sulla base dei quali l'Agenzia delle entrate stima un ammontare di ricavi per ciascun settore economico;
    nel corso degli ultimi anni, in particolare dall'inizio della crisi economica e finanziaria, l'applicazione pedissequa da parte delle agenzie fiscali degli studi di settore come strumento per decidere automaticamente l'adeguatezza delle dichiarazioni dei redditi anziché come mero parametro di statistico di analisi ha portato a distorsioni evidenti;
    le difficoltà economiche peculiari di molte aziende non sono in alcun modo considerate né considerabili nello strumento dello studio di settore, che è diventato dunque, da strumento di semplificazione fiscale, un elemento di rigidità ed una fonte di ulteriori aggravi negli adempimenti fiscali delle aziende;
    il crollo della redditività delle imprese durante l'attuale crisi economica rende di fatto oggi gli studi di settore inutilizzabili e non aderenti alla realtà, tanto che dal 2009 in avanti si è assistito ad una contrazione crescente delle dichiarazioni che decidono di adeguarsi ai parametri degli studi di settore;
    sui redditi 2006 e 2007 oltre 600 mila partite iva avevano integrato i ricavi dichiarati in modo da risultare conformi al software Gerico ed evitare contenziosi col Fisco;
    nel 2008 coloro che avevano scelto gli «adeguamenti» erano stati 520 mila;
    nel 2009 ancora meno, 420 mila, sino a scendere nel 2012 a 330 mila;
    non è noto il dato di quanti hanno negli stessi anni deciso di chiudere la partita iva proprio perché troppo onerosa, a causa della presunzione di reddito degli studi di settore;
    nel 2011 si è garantito uno «scudo» dagli accertamenti a coloro che si allineavano ai minimi di entrate previsti per il settore –:
   già nel 2009 la Corte di Cassazione ha stabilito che la forza probatoria degli studi di settore può considerarsi mera «presunzione semplice», per cui essi non potrebbero essere utilizzato a fini di accertamento;
   la stessa Corte dei Conti, nella sua relazione sul rendiconto dello Stato per l'anno 2013, ha testimoniato la perdita di efficacia di questo strumento,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per sospendere dal 1o gennaio 2015 l'applicazione degli studi di settore.
(1-00607) «Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Simonetti».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VIII e X,
   premesso che:
    il decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, concernente «Riassetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche», si pone l'obiettivo di favorire l'utilizzo della risorsa «rinnovabile» geotermica, in particolare la semplificazione delle procedure in coerenza con gli indirizzi comunitari ed internazionali per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e l'apertura a un regime concorrenziale che assicuri una trasparente e non discriminatoria assegnazione in concessione delle risorse geotermiche; viene inoltre definito che le risorse geotermiche di interesse nazionale sono patrimonio indisponibile dello Stato, mentre quelle di interesse locale sono patrimonio indisponibile regionale e che l'autorità competente per le funzioni amministrative, ai fini del rilascio del permesso di ricerca e delle concessioni di coltivazione, riguardanti le risorse geotermiche d'interesse nazionale, è il Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, mentre per quelle locali le autorità competenti sono le regioni o gli enti da esse delegati, nel cui territorio sono rinvenute;
   il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante «Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE», ha previsto che, al fine di promuovere la ricerca e lo sviluppo di nuove centrali geotermoelettriche a ridotto impatto ambientale, sono considerati di interesse nazionale i fluidi geotermici a media ed alta entalpia finalizzati alla sperimentazione – su tutto il territorio nazionale – di impianti pilota con reiniezione del fluido geotermico nelle stesse formazioni di provenienza e comunque con emissioni nulle e con potenza nominale installata non superiore a 5 MWe per ciascuna centrale. L'autorità competente per il conferimento dei relativi titoli minerari è il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che acquisiscono l'intesa con la regione interessata;
   ai sensi del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, le autorità competenti per le funzioni amministrative, inclusa la valutazione di impatto ambientale, ai fini del rilascio del permesso di ricerca e delle concessioni di coltivazione, comprese le funzioni di vigilanza sull'applicazione delle norme di polizia mineraria, riguardanti le risorse geotermiche d'interesse nazionale e locale sono le regioni o gli enti da esse delegati;
   il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, (recante misure urgenti per la crescita del Paese) ha disposto l'inserimento dell'energia geotermica tra le fonti energetiche strategiche;
   il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», ha disposto che gli impianti geotermici pilota sono di competenza statale (integrando l'articolo 1, comma 3-bis, del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22 e il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152);
   ai sensi di tale normativa i progetti geotermici pilota sono quindi sottoposti alla Valutazione di impatto ambientale di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   la citata legge ha inoltre disposto per gli stessi impianti l'esclusione dalle previsioni della «direttiva Seveso» (direttiva 96/82/CE) generando ulteriori preoccupazioni rispetto alla loro sicurezza nelle operazioni di esercizio, con particolare riferimento alla prevenzione di incidenti connessi alla presenza di sostanze pericolose utilizzate come vettori del calore specialmente nei cosiddetti cicli binari;
   il decreto ministeriale 6 luglio 2012, «Attuazione dell'articolo 24 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili diversi da quella solare fotovoltaica», introduce una incentivazione «base» per gli impianti geotermici ad autorizzazione regionale assoggettati alla doppia fase di ricerca e poi concessione, mentre una incentivazione maggiore viene introdotta per gli impianti pilota sperimentali di potenza fino a 5 megawatt (per una potenza complessiva fino a 50 megawatt) con la conseguenza che tali impianti hanno un iter autorizzativo semplificato ed un incentivo maggiorato;
   quanto sopra citato ha comportato numerose richieste di permessi di ricerca in tutta Italia – in particolare nelle regioni Umbria, Lazio, Toscana, Campania, Sicilia e Sardegna – oltre che alla immediata saturazione del plafond di 10 permessi per impianti pilota sperimentali, in particolare nel settore della media entalpia, con temperature della risorsa geotermica compresa tra 90o C e 150o C;
   nella sola regione Lazio, sono state inoltrate 38 domande di autorizzazione alla ricerca per lo sfruttamento della risorsa geotermica. Di queste, 20 riguardano siti ricadenti nella provincia di Viterbo molti dei quali prospicienti il lago di Bolsena;
   si aggiunge che il Lazio settentrionale, come ben noto, è affetto da problematica da arsenico nelle falde idropotabili, proveniente dai fluidi geotermici del sottosuolo; un elevato numero di trivellazioni intorno al lago di Bolsena potrebbe incrementare la risalita di fluidi ad elevato contenuto di arsenico, mettendo a rischio non solo i pozzi che attingono dalla falda acquifera, ma anche la possibilità di utilizzare l'acqua dello stesso lago – che contiene bassissime percentuali di arsenico – per una eventuale miscelazione con la rete potabile della provincia di Viterbo ad oggi contenente percentuali di arsenico superiori a quelle consentite dalla normativa nazionale ed europea vigente;
   le stesse trivellazioni potrebbero incidere anche sui sistemi termali con conseguente riduzione dei volumi delle acque che attualmente sono alimentate dalle sorgenti, con gravissime conseguenze per le economie dei territori interessati, contravvenendo alle disposizioni della legge n. 323 del 2000 che promuove la crescita qualitativa dell'offerta termale nazionale sulla qualificazione dei contesti ambientali e, quindi, sulla stabilità dei parametri chimico-fisici della acque. Tutto ciò arrecherebbe gravi danni al turismo, attività economica molto importante, ad esempio, per la provincia di Viterbo e anche per il comprensorio del lago di Bolsena;
   nella regione Lazio un impianto pilota sperimentale è previsto nel comune di Acquapendente e nella regione Umbria ne è previsto un altro nel comune di Castel Giorgio, contermine al precedente, entrambi inseriti nel bacino idrogeologico SIC (sito di interesse comunitario) del lago di Bolsena;
   con riferimento agli impianti pilota precedentemente citati situati nei comuni di Castelgiorgio (Terni) e Acquapendente (Viterbo), si sottolinea la elevata fragilità sismotettonica del territorio, dimostrata da importanti terremoti storici (a memoria si ricordano i terremoti a Tuscania nel 1971 e a Castelgiorgio nel 1957) a cui si associa un contesto edilizio fortemente vulnerabile dal punto di vista della resilienza sismica (centri abitati della civiltà del tufo);
   i comuni situati in prossimità del lago di Bolsena, ricadenti sia in provincia di Viterbo sia in provincia di Terni hanno, negli ultimi mesi, già dichiarato la loro opposizione alle trivellazioni ed alla utilizzazione di pozzi profondi nel loro territorio finalizzati allo studio ed alla produzione di energia da fonte geotermica, vista anche la esperienza negativa vissuta dal territorio con la centrale geotermoelettrica di Latera pur portata avanti da una società con esperienza nel settore come ENEL S.p.A.;
   il Ministero dello sviluppo economico – direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche ha ritenuto, inoltre, necessario valutare in via preventiva le autorizzazioni di operazioni tecnologiche che prevedano perforazioni nel sottosuolo con particolare riferimento alla sismicità indotta e provocata per cui saranno individuate e definite attraverso «linee guida» la cui stesura è stata affidata al gruppo di lavoro costituito in data 2014;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ritenuto necessario costituire, in ambito ISPRA, un gruppo di lavoro per definire puntualmente lo stato della sismicità indotta e provocata dall'attività antropica nel nostro Paese;
   le stesse regioni Lombardia e Emilia-Romagna con atti rispettivamente del 20 marzo 2014 e 23 aprile 2014 hanno deliberato in via cautelativa, una moratoria per tutte le attività concernenti la perforazione del sottosuolo, in attesa della definizione delle suddette «linee guida» del Governo;
   l'attività dei suddetti gruppi di lavoro è tuttora in corso pertanto, ad oggi, non esistono ancora le nuove linee guida, né è stata effettuata la revisione del quadro normativo resosi necessario per la geotermia elettrica; quindi non possono essere fornite valutazioni scientifiche certe alle istanze di perforazione del sottosuolo in corso di approvazione;
   non esiste inoltre ad oggi una zonazione del territorio nazionale che evidenzi le aree di compatibilità in cui non possano esserci rischi di sismicità indotta o provocata, ma anche di potenziale inquinamento delle falde idropotabili e di inquinamento atmosferico ed acustico a tutela delle aree urbane di pregio o di interesse naturatistico,

impegnano il Governo:

   ad avviare le procedure di zonazione del territorio italiano, per le varie tipologie di impianti geotermici, identificando le aree potenzialmente sfruttabili in coerenza anche con le previsioni degli orientamenti europei relativamente all'utilizzo della risorsa geotermica, e in linea con la strategia energetica nazionale;
   ad emanare «linee guida» a cura dei Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che individuino anche i criteri attraverso i quali definire, a livello nazionale, quali dei siti potenzialmente sfruttabili risultino effettivamente suscettibili di sfruttamento, tenendo conto delle implicazioni che l'attività geotermica comporta relativamente al possibile inquinamento delle falde, qualità dell'aria, induzione di sismicità ed altro ancora;
   a far sì che, nella valutazione di impatto ambientale (via) per gli impianti pilota geotermici di Castel Giorgio (Umbria) e Montenero (Toscana), si tenga conto in particolare delle implicazioni che l'attività geotermica comporta relativamente al possibile inquinamento delle falde, alla qualità dell'aria, all'induzione di sismicità;
   a rilasciare le autorizzazioni per i progetti di impianti geotermici solo nel rispetto delle prescrizioni previste dalle linee guida in corso di definizione;
   a valutare la possibilità di riconsiderare la classificazione delle fonti energetiche rinnovabili, con particolare riferimento alla possibilità di non annoverare più tra le stesse, lo sfruttamento delle acque sotterranee riscaldate da gradienti di temperatura ma solo quello del calore ivi presente che è effettivamente rinnovabile.
(7-00486) «Braga, Benamati, Terrosi, Tentori, Marchi, Mariani, Albini, Luciano Agostini, Gnecchi, Manzi, Giuliani, Moretto, Mazzoli».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    il regolamento (UE) 1305/2013 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) prevede la possibilità per uno Stato membro di definire, oltre ai programmi regionali, anche misure a carattere nazionale;
    in attuazione del suddetto regolamento il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali al fine di fronteggiare una serie di problematiche di portata nazionale, ha predisposto un programma operativo nazionale di sviluppo rurale per il periodo 2014-2020 in tema di strumenti di gestione del rischio, investimenti irrigui, miglioramento genetico del patrimonio zootecnico e biodiversità animale;
    l'inserimento di questi strumenti nel secondo pilastro della PAC per il periodo 2014-2020 consente maggior flessibilità nella scelta delle misure, nell'allocazione finanziaria e nella possibilità di accordare un sostegno più mirato e selettivo a seconda dei rischi e delle situazioni specifiche;
    come noto, tra le misure di gestione del rischio, le assicurazioni agevolate sono gli strumenti più diffusi ai quali fanno ricorso prevalentemente gli operatori del nord Italia e per colture specializzate quali mele, pere ed uva e che tuttavia, considerata la sempre più elevata esposizione degli agricoltori ai rischi economici ed ambientali, sarebbe opportuno che quante più aziende provvedano ad assicurare il raccolto, gli animali e le piante anche al fine di diluire sull'intero territorio nazionale il ricorso allo strumento posto che nell'Italia settentrionale è in aumento la PLV protetta ma non i soggetti assicurati;
    i fondi di mutualizzazione e i nuovi strumenti di stabilizzazione del reddito costituiscono una importante innovazione a disposizione degli agricoltori per ottenere risarcimenti per perdite causate da avversità atmosferiche, epizoozie e fitopatie, infestazioni parassitarie e emergenze ambientali e che tuttavia la condizione di un calo di reddito superiore al 30 per cento del reddito medio annuo o triennale, come disposto dall'articolo 39 del regolamento succitato, configura una soglia di perdita complessiva del reddito troppo elevata e tale da scoraggiare l'accesso delle imprese a questi nuovi strumenti di gestione delle crisi;
    il finanziamento di investimenti irrigui, ad integrazione di quelli aziendali finanziabili con i programmi di sviluppo rurale regionale, si inserisce nel contesto dell'applicazione della direttiva quadro sulle acque e nel settore agricolo si realizza essenzialmente in interventi di ammodernamento delle reti di adduzione e distribuzione, nel completamento degli schemi irrigui e delle opere di interconnessione, nel miglioramento strutturale delle reti deteriorate e nelle opere di interconnessione dei bacini di accumulo ai fini del perseguimento di una maggior efficienza a livello aziendale tramite l'adozione di tecniche e metodi di irrigazione a maggior risparmio idrico; tali interventi tuttavia, a norma della vigente normativa comunitaria, possono essere finanziati solo se i competenti organi regionali provvedono alla raccolta e alla messa a disposizione di tutti i dati e le informazioni richieste;
    la selezione e la conservazione in ambito zootecnico rappresentano un prezioso investimento a lungo termine con effetti a carattere permanente di prioritario interesse pubblico poiché finalizzate all'aumento del patrimonio nazionale nonché al miglioramento genetico e alla salvaguardia della biodiversità; la selezione genetica rappresenta inoltre un importante fattore di competitività dei sistemi zootecnici in grado di generare aumento della produttività e miglioramenti di processo e di prodotto;
    come noto, le diverse fonti disponibili riportano informazioni discordanti relativamente al nome e al numero delle razze italiane nazionali e che queste differenze impediscono l'avvio di programmi di conservazione efficienti sia dal punto di vista della allocazione ottimale delle risorse che degli interventi da programmare al fine di contrastare l'erosione genetica ed è pertanto indispensabile giungere ad un elenco univoco e condiviso delle razze presenti nel nostro Paese;
    la rete rurale nazionale costituisce un valido strumento di raccordo tra le organizzazioni e le amministrazioni impegnate nello sviluppo rurale ed è volta a migliorare la qualità dell'attuazione dei programmi, informare il pubblico e i potenziali beneficiari su eventuali possibilità di finanziamento, promuovere l'innovazione del settore agricolo e stimolare la partecipazione dei portatori di interesse all'attuazione delle politiche di sviluppo rurale,

impegna il Governo:

   ad intervenire nelle competenti sedi internazionali affinché i parametri presi a riferimento per il calcolo delle perdite di reddito possano essere rivisti in modo da agevolare l'accesso delle imprese ai nuovi strumenti di gestione delle crisi previsti dalla riforma della Pac in quanto l'attuale norma che condiziona il beneficio a variazioni negative del reddito superiori al 30 per cento della media dei tre anni precedenti è eccessivamente elevata e tale da scoraggiare l'attivazione dello strumento di stabilizzazione di cui all'articolo 39 del regolamento 1305 del 2013;
   ad adottare ogni iniziativa possibile, compreso lo strumento della riassicurazione, volta a favorire una diversificazione del mercato assicurativo agevolato, sia a livello territoriale, sia settoriale;
   a favorire l'attivazione da parte dei soggetti interessati dei fondi di mutualità che beneficeranno del contributo previsto dalla relativa misura del programma nazionale di sviluppo rurale e a favorirne l'accesso dei vari produttori agricoli;
   ad attivare un fondo di mutualità, compatibilmente con la relativa dotazione finanziaria, anche per compensare gli agricoltori che subiscono danni causati da fauna selvatica;
   a sollecitare i competenti organi affinché raccolgano e mettano a disposizione i dati e le informazioni richieste dalla normativa europea e nazionale al fine di non pregiudicare la possibilità di programmare gli investimenti necessari ad implementare il piano irriguo nazionale, posto che in mancanza delle necessarie informazioni non potranno essere finanziati gli interventi a sostegno delle opere irrigue con gravissime conseguenze per i territori interessati;
   ad ottimizzare il processo di raccolta delle informazioni di monitoraggio propedeutiche all'attività di miglioramento genetico del bestiame, assicurando l'interscambio in tempo reale delle informazioni tra i vari data base esistenti e la fruibilità di dette informazione da parte di tutti i soggetti abilitati all'erogazione del servizio di consulenza alle imprese agricole;
   a prevedere risorse per la selezione e la conservazione delle razze autoctone poiché rappresentano un prezioso investimento a lungo termine al fine del miglioramento genetico e per la salvaguardia della biodiversità;
   a promuovere la costituzione, presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, di un gruppo di lavoro costituito da soggetti operanti presso il CRA, l'INEA e l'ISMEA al fine di gestire al meglio la rete rurale nazionale e di garantire il necessario coordinamento delle politiche di sviluppo rurale nonché l'eventuale assistenza tecnica alle autorità di gestione dei programmi regionali.
(7-00485) «Gallinella, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    il tema prescelto dall'Italia per l'Esposizione universale del 2015, «Nutrire il pianeta, energia per la vita», rappresenta una delle grandi sfide globali di questa epoca: ha focalizzato l'attenzione sugli aspetti generali e culturali dell'accesso al cibo, della sicurezza alimentare, della nutrizione, della sostenibilità dei sistemi alimentari, della riduzione della povertà e dell'uso corretto delle risorse del pianeta;
    nell'indicare questa sfida, l'Italia si allinea al lavoro delle organizzazioni internazionali che stanno predisponendo ogni strumento utile per far progredire la comunità globale sui temi della sicurezza alimentare, sulla sconfitta della fame e della denutrizione, sull'aggressione ai temi della diseguale distribuzione del cibo;
    pervenire a una strategia globale comune significa molte cose: accrescere le scorte alimentari, riducendo sensibilmente l'impatto ambientale dell'agricoltura in tutto il mondo, ricercare l'equilibrio tra la necessità di produrre cibo sufficiente e il dovere di tutelare il pianeta per le generazioni future;
    ripartire dalla terra e dalle sementi significa occuparsi seriamente del modello di sviluppo, parlare di economia in termini nuovi, estendere il concetto di democrazia all'accesso al cibo; significa parlare di ambiente, di clima, di salute, di corretto uso del suolo, interrogarsi sul reddito degli agricoltori e sull'abbandono delle campagne;
    la grande forza contenuta nel tema scelto per Expo 2015 sta infatti nell'opportunità di svolgere questa matassa: i semi, la produzione agricola, l'accesso al cibo e alla terra, la remunerazione adeguata degli agricoltori che, con il loro lavoro, non si limitano a seminare, curare la terra e i prodotti, ma presidiano il suolo, evitano frane, alluvioni e, se le loro pratiche sono corrette, contribuiscono al contrasto dei mutamenti climatici e al risparmio idrico; se scelgono pratiche biologiche contribuiscono alla nostra salute e a quella della terra, ed ancora affrontare il tema degli scambi e del commercio internazionale, così come lo sviluppo locale;
    «Nutrire il pianeta» significa provare ad accorciare le distanze tra Occidente e Sud del mondo, arginare la corsa alla terra, invertire la rotta di un pianeta impazzito in cui il numero dei bambini obesi sta superando quello dei bambini che non hanno accesso al cibo;
    la creazione di un modello di consumo e produzione sostenibili necessita di un intervento globale in cui le azioni dei Governi e delle istituzioni siano tese alla protezione e alla conservazione delle risorse del pianeta, allo sviluppo sostenibile, ad un uso efficiente delle risorse, alla lotta contro la fame e ad affermare il diritto alla sicurezza alimentare per tutti gli abitanti del pianeta;
    pesano sulla coscienza dell'Occidente, dell'Europa e del nostro Paese gli sprechi alimentari, si tratta di 1,3 miliardi di tonnellate di cibo commestibile sottratto alla sua funzione vitale, pari ad un terzo della produzione globale di alimenti e quattro volte la quantità necessaria a nutrire i 925 milioni di persone nel mondo a rischio denutrizione (dati FAO);
    gli sprechi alimentari gravano, inoltre, sul clima, sulle risorse idriche, sul suolo e sulla biodiversità; la decomposizione dei rifiuti alimentari produce metano, gas ed effetti serra; ogni chilogrammo di cibo prodotto comporta oltre 4,5 chilogrammi di CO2 equivalente;
    l'agricoltura industrializzata concorre alla responsabilità del riscaldamento globale, emette più gas serra di tutti i mezzi di trasporto messi insieme a causa del metano prodotto dagli allevamenti intensivi e dalle risaie, del protossido di azoto dei campi fertilizzati e dell'anidride carbonica che deriva dal disboscamento delle foreste pluviali per liberare terreni da coltivare o adibire a pascolo;
    l'agricoltura intensiva è la maggiore fonte di consumo e inquinamento dell'acqua, il deflusso di fertilizzanti e letame devasta i fragili equilibri di laghi, fiumi ed ecosistemi costieri; essa accelera anche la perdita della biodiversità, cancellando habitat importanti, accelerando l'estinzione della flora e della fauna selvatica;
    la visione attuale dello sviluppo agricolo pone sfide ambientali enormi, rese ancora più pressanti dal crescente bisogno di cibo in tutto il mondo conseguente alla crescita demografica e alla diffusione del benessere soprattutto in Cina e in India, che fa aumentare la domanda di carne, uova e latticini e, di conseguenza, la necessità di coltivare granturco e soia per nutrire un numero sempre maggiore di bovini, polli e maiali;
    il dibattito sulla sfida alimentare si è polarizzato su posizioni contrastanti che oppongono l'agricoltura convenzionale e il commercio mondiale ai sistemi alimentari locali e alle piccole fattorie biologiche, non c’è, tuttavia, contraddizione tra una maggiore competitività e modernizzazione del comparto agricolo e la sua capacità di adottare pratiche sostenibili;
    è necessario concentrarsi sulle sfide prioritarie per sfamare l'intera umanità evitando di danneggiare il clima e l'ambiente e questo è possibile sviluppando la ricerca e l'innovazione in agricoltura al fine di:
     a) rendere più produttivi i terreni utilizzando l'alta tecnologia, i sistemi agricoli di precisione, ma anche i metodi della coltivazione biologica per aumentare drasticamente le rese delle terre meno produttive, soprattutto in Africa, in America Latina e in Europa Orientale;
     b) usare le risorse in maniera più efficiente tramite un'applicazione mirata di fertilizzanti e pesticidi, che riducano al minimo il deflusso delle sostanze chimiche nei corsi d'acqua e sostenere la strategia more crop per drop (più raccolto per ciascuna goccia), anche attraverso l'estensione dei terreni coltivati ad agricoltura biologica;
     c) modificare la dieta per nutrire nove miliardi di persone; oggi solo il 55 per cento delle calorie dei cibi coltivati nutre direttamente le persone, il resto alimenta il bestiame (circa il 36 per cento) o viene trasformato in biocarburanti e prodotti industriali (circa il nove per cento); si devono trovare modi più efficienti per allevare il bestiame ed è necessario consumare meno carne, passando dall'allevamento intensivo all'allevamento a pascolo e riducendo l'uso di sostanze alimentari per la produzione di biocarburanti nel mondo ci sarebbe molto più cibo;
     d) ridurre gli sprechi; si calcola che il 25 per cento delle calorie da cibo e fino al 50 per cento del peso totale del cibo vadano perduti o sprecati prima di essere consumati;
    il 19 gennaio 2012, il Parlamento europeo ha approvato in seduta plenaria la risoluzione su come «Evitare lo spreco di alimenti: strategie per migliorare l'efficienza della catena alimentare nell'UE» in cui si definisce lo «spreco alimentare» e si pone l'obiettivo di ridurre del 50 per cento gli sprechi alimentari entro il 2015 e di dedicare il 2014, anno europeo contro lo spreco alimentare, al miglioramento dell'efficienza della catena alimentare degli Stati membri;
    anche il Parlamento nazionale è già intervenuto sullo spreco alimentare con atti di indirizzo centrati sulle misure da adottare per combatterlo e ridurlo e per promuovere la necessità di un «patto globale del cibo» tra i partecipanti all'Expo;
    tra le macroquestioni che riguardano la sicurezza alimentare spicca la parità di genere e l’empowerment delle donne, quali condizioni fondamentali per sradicare la fame e la malnutrizione nel mondo; le donne svolgono un ruolo essenziale sia come produttrici di cibo attraverso piccole attività agricole, allevamento e pesca, sia come amministratrici delle risorse naturali;
    la centralità dei temi legati ai diritti delle donne è stata riconosciuta anche dal Ministero degli affari esteri italiano, che ha promosso il progetto Women for Expo per affrontare a livello globale le politiche di genere e la realizzazione di una «Carta delle donne sulla sicurezza alimentare», nella quale sono impegnate le tre agenzie del polo agroalimentare delle Nazioni unite di Roma;
    il 2014 è l'anno internazionale dell'agricoltura familiare, cui è dedicato un capitolo all'interno della politica comune europea (PAC) ed è, quindi, necessario sviluppare politiche appropriate a supporto di specifico settore perché è ormai certo che al suo interno si preserva meglio la biodiversità;
    nel contesto dell'agricoltura familiare, che nutre circa il 70 per cento del pianeta, sono numerose le conoscenze che si trasmettono tra genitori e figli, ed è importante che l'Expo divenga il luogo d'elezione per mostrare al mondo le buone pratiche in termini di politiche agricole che mettono l'accento sui modelli sostenibili;
    il ruolo delle donne e l'agricoltura familiare sono fondamentali per conseguire un modello di crescita economica equo e inclusivo, in grado di garantire il recupero di aree incolte e la nascita di nuove attività agricole laddove ce n’è più bisogno per consentire alle persone indigenti di produrre e acquistare sul posto almeno gli alimenti essenziali per sfamarsi e per crescere i propri figli;
    nei prossimi decenni le regioni europea e mediterranea dovranno far fronte all'impatto di cambiamenti climatici particolarmente negativi, i quali, combinandosi agli effetti dovuti alle pressioni antropiche sulle risorse naturali, faranno dell'Europa meridionale e del Mediterraneo le aree più vulnerabili del continente;
    le proiezioni climatiche per il futuro indicano un aumento delle temperature in tutte le regioni europee e un aumento degli eventi estremi (inondazioni costiere e fluviali), che potranno mettere a rischio vite umane e infrastrutture, le disponibilità idriche diminuiranno specialmente nella regione mediterranea, diventando fattore limitante della produzione agricola; i cambiamenti climatici sono destinati ad avere impatti gravi anche sulla biodiversità con il rischio di estinzione di varie specie;
    l'area mediterranea risulta essere quella a maggior rischio di crisi sistemica, per effetto della concomitanza di molteplici fattori di stress climatico che impattano negativamente su settori diversi;
    per quel che attiene alla produzione agricola in Italia i cambiamenti climatici produrranno una potenziale riduzione della produttività soprattutto per le colture di frumento, ma anche di frutta e verdura, mentre le coltivazioni di ulivo, agrumi, vite e grano duro potrebbero essere possibili nel nord dell'Italia, mentre nel Sud la coltivazione del mais potrebbe peggiorare e risentire ancor più della scarsa disponibilità di acqua irrigua;
    anche per questo all'interno del programma della presidenza italiana per il semestre europeo un capitolo importante è dedicato al quadro delle politiche dell'energia e del clima per favorire il rapido sviluppo del «Quadro 2030» dell'Unione europea in materia di clima ed energia, indispensabile al fine di garantire la continuità delle politiche climatiche ed energetiche dell'Unione europea, nonché per assicurare il necessario grado di stabilità e prevedibilità per gli operatori economici;
    l'Italia ha iniziato nel 2012 l'elaborazione di una strategia nazionale di adattamento, che è in corso di aggiornamento e che dovrà essere presentata quest'anno, le misure riguardano vari settori e prevedono opere di difesa idraulica del territorio, restauro ecosistemi acquatici, lotta all'erosione, sistemi di difesa delle colture agrarie, piani di allerta, sistemi di previsione e allarme e rafforzamento della protezione civile, strategie di pianificazione urbanistica e territoriale, interventi sugli edifici pubblici, miglioramento della qualità dell'aria urbana;
    in tale contesto si delinea la funzione straordinaria dell'agricoltura, il suo compito di presidio e cura della terra, del suolo bene comune, messi pesantemente in discussione da forme di abbandono della terra, e dalla cementificazione di terreno agricolo;
    negli ultimi 40 anni, secondo i dati del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, sono andati perduti circa 5 milioni di ettari, una cifra spaventosa che va tradotta in superficie non coltivata, in terrazzamenti abbandonati, di cui ci si accorge dopo il disastro o quando nei mercati si fa fatica a trovare prodotti italiani;
    è una rotta pericolosissima quella che si è intrapresa, ma l'inversione di tendenza è possibile promuovendo un'agricoltura che riduca l'apporto di input esterni, che immagazzini CO2, che utilizzi fonti rinnovabili, che accresca e favorisca l'agricoltura biologica, che privilegi la biodiversità e la rotazione alla monocoltura industrializzata, che conservi e riproduca le propria ricchezza sementiera, che privilegi colture a basso consumo idrico, che recuperi e conservi la risorsa idrica, che attui politiche di adattamento ai mutamenti climatici e che guardi al futuro modificando le proprie politiche;
    da anni, a livello nazionale, europeo e globale si è avviato un intenso dibattito sul tema delle sementi, strettamente legato ai grandi temi della sovranità e della sicurezza alimentare, dei mutamenti climatici, della competitività e della remunerazione degli agricoltori;
    negli ultimi dieci anni tale mercato ha subito un grande processo di ristrutturazione e di concentrazione nella mani di pochi soggetti che, provenendo dal settore dei prodotti chimici per l'agricoltura, si sono interessati al business del mercato globale delle sementi quando l'ingegneria genetica è stata applicata alle piante, tanto che oggi quasi il 60 per cento del mercato mondiale delle sementi è nelle mani di quattro multinazionali (Monsanto, Dupont, Sygenta, Bayer), per un volume di affari di circa 15 miliardi di dollari l'anno;
    le citate multinazionali hanno brevettato un alto numero di sementi che hanno reso, una grandissima parte dell'agricoltura, del tutto dipendente dall'acquisto di fertilizzanti, erbicidi e sementi riprodotti in grandi quantità, ottenendo sostanzialmente il monopolio del settore;
    i brevetti sono fattori fondamentali della concentrazione del mercato nelle mani delle multinazionali che sono riuscite in tal modo a togliere dalle mani dell'attore principale, l'agricoltore, una pratica ancestrale, quella della riproduzione e della conservazione dei propri semi;
    la brevettazione delle sementi richiede procedure costose ed ha come conseguenza l'aumento dei prezzi e la costante sparizione dal mercato delle varietà tradizionali, quelle riprodotte e selezionate naturalmente; in tal modo, lo scopo fondamentale del cibo, quello di nutrire gli esseri umani e il pianeta, viene piegato agli interessi economici di poche multinazionali;
    il valore della biodiversità è tuttavia ben noto a questi grandi e potenti gruppi, perché tra le pratiche più recenti c’è la bio pirateria, e cioè la ricerca di varietà locali non registrate, la parziale modifica di queste varietà e il tentativo di brevetto su quello che viene spacciato quale prodotto di ricerca;
    la FAO ha stimato che in 100 anni si registrerà la perdita del 75 per cento della biodiversità agricola a causa della diffusione globale di poche varietà vegetale. Alla fine del secolo scorso in Italia esistevano oltre 400 varietà di frumento, mentre dal 1996 solo 8 varietà di frumento duro costituivano l'80 per cento del seme messo a coltura. Secondo alcuni studiosi il 50 per cento del grano negli USA è rappresentato da 9 varietà. Il 75 per cento delle patate da 4 varietà, il 50 per cento della soia da 6 varietà, il 74 per cento delle varietà di riso in Indonesia discende da un solo medesimo ceppo;
    la distruzione della biodiversità, l'impoverimento dei suoli ove si pratica monocoltura ed agricoltura intensiva, vanno avanti nonostante i risultati assai deludenti nelle rese delle piante geneticamente modificate che non producono più di quelle tradizionali, come dimostrano i dati reperibili nel sito del dipartimento di agricoltura degli Usa che monitora le produzioni di mais e soia dal 1977 al 2007, confermando che l'interesse a continuare sulla strada intrapresa da poche multinazionali non riguarda, come si vuol far credere la lotta alla fame nel mondo, ma la proprietà industriale dei semi e il monopolio che ne deriva;
    la manipolazione genetica delle varietà vegetali porta all'appiattimento e all'omologazione disperdendo quella ricchezza e quella diversità che per secoli ha consentito ai contadini di riprodurre i propri semi, di scambiarli, di conservarli, di selezionarne i più adatti al terreno, al clima, alle necessità produttive, alla pioggia o alla siccità, alla pianura o alla montagna;
    le normative nazionali e dell'Unione europea non hanno favorito le varietà locali, imponendo un procedimento di registrazione molto complesso, obbligatorio ai fini della commercializzazione, una classificazione precisa e requisiti difficilmente riscontrabili in varietà non commerciali, norme chiaramente orientate a sostenere un modello di agricoltura industriale, poco adatto alla storia e al modello agricolo italiani;
    dev'essere accolta, quindi, con favore, la formalizzazione dell'accordo politico raggiunto dai ministri dell'ambiente dell'Unione europea, che lascia liberi gli Stati membri di coltivare o vietare gli ogm sul proprio territorio; spetta ora alla presidenza italiana di turno dell'Unione, perfezionare la procedura;
    la lunga battaglia contro l'obbligo di ospitare coltivazioni di OGM sul territorio italiano sembra vinta, con essa vincono le peculiarità territoriali, la scelta sostenuta da imprese ed istituzioni locali di valorizzare le produzioni locali e di accorciare le filiere, di affermare modelli agricoli diversi dall'agricoltura intensiva, basati sul valore competitivo della biodiversità, sulle varietà di semi e di colture che rappresentano un elemento identitario dei nostri territori e della nostra comunità nazionale,

impegna il Governo

   ad adoperarsi, nell'ambito del semestre europeo di presidenza italiana e in tutte le sedi internazionali, affinché i frutti degli approfondimenti e delle conoscenze che scaturiranno da EXPO 2015 siano trasposti in un protocollo internazionale, sulla falsariga di quello di Kyoto e, per quanto riguarda il nostro Paese, in un atto di indirizzo secondo le seguenti linee:
     a) utilizzare l'evento di Expo 2015 per creare cittadini informati e consapevoli sulla necessità di nutrire il pianeta, mediante messaggi molto semplici: un'alimentazione sufficiente, sicura e nutriente deve essere disponibile per tutti in ogni momento; l'alimentazione dei bambini è una priorità per lo sviluppo, tutti i sistemi alimentari devono essere sostenibili, posto che si può produrre più cibo tutelando al tempo stesso la biodiversità e l'ambiente, si deve investire nei piccoli agricoltori, uomini e donne, e si è tutti responsabili nell'eliminare perdite e sprechi;
     b) attivarsi in ogni sede europea per bloccare regolamenti di riforma del sistema sementiero che intendano ledere il diritto dei cittadini europei a sistemi agricoli differenziati, per favorire il libero scambio di semi tra gli agricoltori e la biodiversità, compiendo una scelta netta e definitiva contro l'ingresso di ogm nel nostro Paese;
     c) incrementare le risorse per la ricerca scientifica ed applicata in agricoltura, finalizzata all'adattamento delle colture ai cambiamenti climatici per le principali colture euro-mediterranee, e accrescere la produttività agricola nel contesto della tutela della biodiversità;
     d) promuovere la semplificazione delle normative europee e nazionali sulle produzioni tipiche locali, incrementando i controlli e la sorveglianza sui prodotti, anche sementieri, e intervenendo anche con sanzioni pesanti a fronte della violazione delle norme;
     e) sostenere la realizzazione di modelli di produzione e consumo più sostenibili attraverso una decisa azione di riduzione degli sprechi alimentari basata soprattutto sulla prevenzione e sul riutilizzo degli alimenti edibili per il consumo umano e animale e, solo come opzione successiva, prevedere il loro smaltimento come rifiuto per produzione di energia;
     f) favorire, nell'ottica dello «spreco zero», gli accordi della filiera agroalimentare affinché tutti i soggetti coinvolti abbiano una precisa responsabilità nella riduzione degli sprechi, prevedendo misure di informazione e sensibilizzazione degli operatori dell'intera filiera del cibo per incentivare comportamenti responsabili e consapevoli, anche utilizzando la fiscalità ambientale per incentivare i comportamenti corretti e scoraggiare gli abusi;
     g) orientare le politiche agricole e le risorse a favore dell'agricoltura contadina familiare, per favorire una produzione alimentare sostenibile volta alla conservazione della biodiversità delle specificità locali, dello sviluppo globale dell'economia, della sicurezza alimentare e della salvaguardia ambientale, migliorando le condizioni sociali ed economiche dei piccoli agricoltori;
     h) promuovere forme sostenibili di agricoltura e di produzione alimentare che tengano conto dei cambiamenti climatici in atto e della tutela delle risorse ambientali, attraverso la graduale riconversione degli allevamenti intensivi, il rispetto degli obiettivi di riduzione delle emissioni, la pianificazione e la gestione delle risorse idriche destinate all'agricoltura;
     i) promuovere la coltivazione delle terre abbandonate e incolte, favorendo il ricambio generazionale e l'ingresso di giovani generazioni in agricoltura, per contrastare il rischio idrogeologico, valutando la possibilità di istituire una banca dati nazionale delle terre incolte e abbandonate, anche ai fini della piena applicazione della legge 4 agosto 1978, n. 440, recante «Norme per l'utilizzazione delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate»;
     l) favorire, nell'ottica dell'ampliamento della democrazia economica, l'ingresso delle donne e dei giovani nel settore agricolo, supportando con risorse e servizi lo sviluppo dell'agricoltura famigliare anche ai fini di difendere la fertilità del suolo contro pratiche agricole sbagliate, e sostenendo l'agricoltura biologica;
     m) favorire il recupero e la riproduzione di varietà vegetali a rischio di impoverimento o estinzione, supportando gli agricoltori che salvaguardano le varietà locali, custodiscono e riproducono le sementi, tutelando la biodiversità;
     n) favorire l'educazione alimentare per promuovere un'alimentazione più sana, monitorando e valutando i comportamenti nutrizionali della popolazione e prevedendo specifiche attività per introdurre una corretta alimentazione a partire dalle scuole elementari;
     o) favorire il rapporto tra agricoltura e città per trovare soluzioni innovative alle esigenze sempre più complesse della società interessata a forme nuove di produzione degli alimenti e di riqualificazione urbana.
(7-00487) «Cenni, Oliverio, Venittelli, Terrosi, Romanini, Palma, Tentori, Cova».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   con ordinanza n. 114 del 2014 la Corte Costituzionale ha sollevato, disponendone la trattazione innanzi a sé, questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'articolo 127 della Costituzione e all'articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, dell'articolo 31, comma 2, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte Costituzionale), come introdotto dall'articolo 9 della legge 5 giugno 2003, n. 131, limitatamente alle parole «Ferma restando la particolare forma di controllo delle leggi prevista dallo statuto speciale della Regione Siciliana»;
   l'ordinanza della Corte appare singolare, innanzitutto perché autoindotta, essendo stata emessa nel corso di un giudizio di legittimità costituzionale in via principale, promosso dal commissario dello Stato presso la regione siciliana attraverso l'impugnativa di un articolo di una delibera legislativa approvata dall'Assemblea regionale siciliana, poi perché sembra mirare, alla pronuncia di incostituzionalità non tanto del comma 2 dell'articolo 31 della legge 11 marzo 1953, n. 87, che alla fine lascerebbe le cose come stanno, quanto per conseguenza dell'articolo 28 dello statuto della regione siciliana, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e quindi facente parte dell'ordinamento costituzionale della Repubblica, che invece ha disciplinato il sistema di impugnazione delle leggi regionali siciliane in modo del tutto diverso anche dalle altre regioni a statuto speciale;
   l'articolo 127 della Costituzione, come introdotto dall'articolo 8 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, prevede che il Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi la Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione; mentre articolo 28 dello statuto speciale della regione siciliana prevede che le leggi dell'Assemblea regionale sono inviate entro tre giorni dall'approvazione al commissario dello Stato, che entro i successivi cinque giorni può impugnarle davanti l'Alta Corte, la quale decide sulle impugnazioni entro venti giorni, mentre il presidente della regione, trascorsi trenta giorni senza che sia intervenuta sentenza di annullamento, promulga le leggi;
   l'articolo 10 della legge Costituzionale n. 3 del 2001 prevede l'applicazione delle disposizioni della stessa legge costituzionale anche alle regioni a statuto speciale per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite;
   la Corte Costituzionale, nella sentenza 314 del 2003 ha affermato l'applicabilità del nuovo articolo 127 della Costituzione in materia di controllo delle leggi alle regioni a statuto speciale, escludendone tuttavia la regione siciliana. La Corte, posto che la stessa non è chiamata ad esprimere un giudizio di merito sulla preferibilità dei differenti sistemi di impugnazione delle leggi regionali ma deve limitarsi ad accertare se il sistema dell'articolo 127 configura una forma più ampia di autonomia rispetto al sistema vigente per la regione siciliana, ha concluso che si tratta di sistemi essenzialmente diversi che non si prestano ad essere graduati alla stregua del criterio di prevalenza adottato dall'articolo 10, ribadendo l'applicabilità del sistema di impugnativa delle leggi siciliane previsto dall'articolo 28 dello statuto speciale e confermato dall'articolo 9 della legge 5 giugno 2003, n. 131;
   l'Assemblea regionale siciliana si è più volte pronunciata sulla materia, con un ordine del giorno approvato nella seduta n. 26 del 29 novembre 2001 con il quale si invita il Presidente della regione, in attesa della revisione dello statuto, ad applicarne l'articolo 28 e successivamente con un disegno di legge contenente «Schema di progetto di legge costituzionale da proporre ai sensi dell'articolo 18 dello Statuto al Parlamento nazionale recante modifiche allo Statuto della Regione», approvato nella seduta n. 281 del 30 marzo 2005 nel quale veniva piena- mente confermato il vigente articolo 28 in materia di impugnativa delle leggi regionali –:
   se trovi conferma che il Governo non sia intervenuto dinanzi alla Corte Costituzionale nel giudizio di cui in premessa e quali siano eventualmente i motivi che hanno indotto il Governo a non difendere una legge approvata dal Parlamento, che riconosce validità ad una particolare previsione dello statuto speciale della regione siciliana.
(2-00711) «Capodicasa, Moscatt, Amoddio, Zappulla».

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:

I Commissione:


   COZZOLINO e TONINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   il 24 luglio 2014 il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi ha annunciato che la riforma costituzionale, attualmente in discussione come disegno di legge costituzionale n. 1429, sarà comunque sottoposta a referendum confermativo;
   presumendo che il Ministro si stesse riferendo al referendum di cui all'articolo 138 della Costituzione, è noto che esso prevede che il referendum è previsto nel caso in cui l'approvazione del disegno di legge costituzionale avvenga in seconda lettura con una maggioranza inferiore ai due terzi, quando entro tre mesi dalla pubblicazione della legge in forma notiziale ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali; tale referendum è stato inoltre successivamente annunciato inopinatamente fin da ora anche dallo stesso Presidente del Consiglio:
   con il presente atto di sindacato ispettivo si chiede di confermare questi annunci e, nel caso di conferma, di conoscere i piani del Governo in relazione a questi annunci;
   non si capisce, infatti, in base a quale potere costituzionalmente previsto, il Presidente del Consiglio e il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, possano decidere fin d'ora l'indizione del referendum sulla riforma attualmente in discussione alle Camere;
   tale annuncio appare infatti essere una ulteriore e gravissima forzatura dell’iter di revisione costituzionale, che si aggiunge a quelle, gravi e numerose, alle quali abbiamo già assistito in sede di discussione della riforma in questione;
   infatti, la previsione del referendum confermativo per i disegni di legge di revisione costituzionale ha lo scopo di offrire ai cittadini la possibilità di intervenire per impedire l'approvazione di una modifica della legge fondamentale dello Stato che non abbia una larga condivisione all'interno delle forze politiche presenti in Parlamento. L'indizione del referendum da parte dello stesso Governo che ha voluto la riforma appare quindi come una forma plebiscitaria di approvazione della riforma stessa, tipica di forme di governo autoritarie e del tutto estranea alle forme di democrazia diretta e partecipativa dei regimi democratici avanzati;
   la democrazia diretta e partecipativa, infatti, è tale in quanto promossa dagli stessi cittadini per autogovernarsi, laddove in questo modo essa si configura come un plebiscito, un'investitura di decisioni prese in altre sedi da parte dei governanti e non dai governati. Che tale forma di decisione plebiscitaria sia estranea al nostro sistema costituzionale è provato dalla stessa giurisprudenza costituzionale in materia di referendum;
   dal momento che in un referendum la scelta è unicamente binaria, ovvero si risolve in un «sì» o in un «no», priva di discussione o facoltà di modificare la proposta oggetto del quesito referendario, la Corte costituzionale ha stabilite il criterio dell'omogeneità del quesito referendario, per cui il referendum abrogativo ex articolo 75 può avere ad oggetto uno ed un solo quesito;
   diversamente, si avrebbe quella che la Consulta ha definito la «coartazione della volontà dell'elettore»: in presenza di un referendum avente ad oggetto, ad esempio, l'abrogazione contemporanea di due norme di legge, una in materia sanitaria e una in materia di processo civile, contenute nella stessa legge (le leggi omnibus presentate dallo stesso Governo in forma di decreti sono un esempio perfetto di leggi completamente disomogenee) l'elettore si troverebbe con il suo voto ad approvare entrambe le norme oppure a rigettarle entrambe;
   la stessa cosa avverrebbe con un referendum su una riforma della Costituzione disomogenea, oscura e incoerente, su decine di articoli e centinaia di norme, come è la riforma attualmente in discussione. Si pensi, ad esempio, all'elettore che vorrebbe l'abolizione del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, ritenendolo un organo inutile, ma vorrebbe preservare l'elettività del Senato, essendo contrario ad un Senato di eletti tra eletti;
   peraltro, anche nell'esperienza comparatistica è possibile riscontrare l'esistenza di regole del tutto analoghe in quelle democrazie in cui il referendum — anche propositivo — è prassi perfettamente integrata nel sistema costituzionale, come gli Stati che prevedono il referendum negli Stati Uniti d'America o la Svizzera. In questi sistemi, per gli stessi motivi per cui la Corte costituzionale italiana ha introdotta la regola dell'omogeneità del quesito referendario, esiste una regola simile, detta appunto single subject rule, per cui i referendum devono avere necessariamente un oggetto chiaro e omogeneo, per offrire agli elettori una scelta tra l'approvazione e la reiezione che sia concreta ed effettiva;
   il referendum invocato dallo stesso Governo è una chiara deriva plebiscitaria, contraria alla Costituzione, alla giurisprudenza costituzionale e alle regole fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e del tutto estranea ai principi della democrazia diretta e partecipativa;
   peraltro, non può non evidenziarsi in questa sede, che ciò venga deciso dal Governo, rappresenta una violazione gravissima e ulteriore delle prerogative del Parlamento –:
   in che modo il Governo intenda sottoporre a referendum la riforma della Costituzione attualmente in discussione. (5-03740)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LIUZZI, NESCI e DE LORENZIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con delibera del 30 settembre scorso l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) ha adottato nuovi criteri per la determinazione dei canoni delle frequenze televisive terrestri, secondo quanto previsto dall'articolo 3-quinquies del decreto-legge 2 marzo 2012 n. 16, convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 2012, n. 44 recante «Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento»;
   il citato provvedimento è stato preceduto da un'attività istruttoria piuttosto tormentata tanto che la stessa AGCOM, prima dell'estate, aveva deciso di sospendere l'emanazione della delibera in attesa di un intervento legislativo di riordino complessivo della materia annunciato dal Governo;
   senonché, stante l'assenza di qualsivoglia iniziativa da parte dei Governo, AGCOM ha inteso adottare la delibera ritenendo «[...] ineludibile, allo stato, adempiere i compiti assegnati all'Autorità dalla vigente normativa primaria, restando ovviamente riservata ogni successiva determinazione agli organi titolari della funzione di indirizzo politico, con i quali proseguirà la proficua collaborazione istituzionale instauratasi nel rispetto delle reciproche attribuzioni» (da Comunicato stampa diffuso da AGCOM in data 30 settembre 2014);
   secondo quanto si apprende da fonti di stampa, il provvedimento è stato votato a maggioranza dal consiglio dell'Autorità con il voto favorevole dei Commissari Antonio Martusciello, ex dirigente di Pubblitalia e fondatore di Forza Italia, Francesco Posteraro, eletto in quota UDC e Antonio Preto, in passato collaboratore degli onorevoli Antonio Tajani e Renato Brunetta; il voto contrario del presidente AGCOM Angelo Maria Cardani e l'astensione del commissario Antonio Nicita;
   secondo quanto si apprende da fonti di stampa, il provvedimento prevede, in sostanza, che i canoni per la concessione delle frequenze televisive non verranno più calcolati sulla base dei bilanci delle società editrici dei canali ma con riferimento ai bilanci delle società che detengono le torri di trasmissione, vale a dire per quanto riguarda RAI e Mediaset le società Ray-way e Elettronica Industriale;
   secondo quanto si apprende da fonti di stampa tali nuovi criteri consentiranno a Rai e Mediaset risparmi di spesa nell'ordine di 103,7 milioni di euro nei sette anni di vigenza dei nuovo provvedimento con conseguente mancati incassi a carico dell'erario pubblico;
   sempre secondo fonti di stampa i temi di cui in premessa sarebbero stati oggetto dei colloqui intercorsi tra il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi e l'ex senatore Silvio Berlusconi nell'ambito del cosiddetto «Patto del Nazareno» –:
   se corrisponda al vero che, come sostenuto dalla stampa, i temi di cui in premessa siano stati oggetto di discussione nell'ambito del cosiddetto «Patto del Nazareno»;
   quali iniziative intenda adottare il Governo per scongiurare i mancati incassi per l'erario dello Stato determinati dall'adozione del provvedimento AGCOM citato. (4-06298)


   MELILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la procura della Repubblica dell'Aquila ha sequestrato 800 balconi del progetto case della ricostruzione dopo il terremoto dell'Aquila;
   l'accusa che si ipotizza è una enorme frode ai danni dello Stato e dei cittadini dell'Aquila nelle opere di esecuzione dei complessi antisismici sostenibili ed ecocompatibili in cui furono sistemati migliaia di cittadini aquilani che avevano perso la casa;
   al pericolo dei balconi, alcuni già crollati, si accompagnano altre criticità come le infiltrazioni di acqua, l'inefficienza degli impianti idraulici che macerano le pareti dei bagni, i lampioni esterni che cadono, le incongruità nei consumi elettrici da casa a casa, i pannelli solari mai entrati in funzione per almeno il 70 per cento del totale;
   questa indagine segue altre già in corso e che hanno destato grande indignazione nella opinione pubblica nazionale;
   in Parlamento sono state presentate proposte di legge per la costituzione di una commissione di inchiesta sulla ricostruzione;
   nel frattempo la ricostruzione del centro storico dell'Aquila prosegue accumulando gravi ritardi anche per la insufficienza delle risorse finanziarie messe a disposizione dallo Stato –:
   se non ritenga necessario dare assoluta priorità nazionale alla ricostruzione dell'Aquila, tenendo conto che, si parla del più grande cantiere edile d'Italia conenormi potenzialità di crescita occupazionale e non solo per l'Abruzzo viste le tante imprese italiane che lavorano a L'Aquila. (4-06299)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto stabilito dall'articolo 117 della Costituzione «lo Stato ha legislazione esclusiva», tra le altre cose, nella «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali»;
   tali oneri sono ribaditi all'articolo 149 del decreto legislativo n. 112 del 1998, secondo cui sono riservate allo Stato «autorizzazioni, prescrizioni, divieti, approvazioni e altri provvedimenti, anche di natura interinale, diretti a garantire la conservazione, l'integrità e la sicurezza dei beni di interesse storico o artistico» (punto b) e «controllo sulla circolazione e sull'esportazione dei beni di interesse storico o artistico ed esercizio del diritto di prelazione» (punto c);
   in occasione della nomina di Vittorio Sgarbi ad ambasciatore Expo 2015 per le belle arti da parte del Governatore della regione Lombardia Roberto Maroni, lo stesso ha avanzato la richiesta di trasferire, per i sei mesi dell'esposizione, i Bronzi di Riace a Milano;
   a distanza di sole poche ore, però, era stato lo stesso Sgarbi a liquidare tutto come un «equivoco» alimentato dal testo di una lettera che gli era stata consegnata a Palmi, a firma del presidente degli Amici del museo di Reggio Calabria, Vincenzo Panuccio;
   «nella missiva, riportata su un volantino di un'organizzazione denominata Movimento territoriale per il Sud – ha spiegato lo stesso Sgarbi – si faceva riferimento a una sentenza del Consiglio di Stato del 30 luglio 2009, secondo cui la competenza sullo spostamento di opere d'arte come i Bronzi di Riace non apparterrebbe allo Stato ma alle istituzioni locali. Cosa che, essendo sovrintendente, so che non è vera»;
   nonostante la proposta sembrasse tramontata, il 20 agosto 2014 il presidente Maroni e l'ambasciatore Expo 2015 Sgarbi hanno scritto al Ministro per i beni culturali Dario Franceschini e al Presidente del Consiglio dei ministri affinché valutassero una possibile esposizione dei Bronzi all'Expo, dato che «soltanto ignoranza e malafede li legano esclusivamente alla Calabria»;
   nella stessa lettera, si riporta che gli stessi dubbi sulla fragilità delle opere sarebbero «un'evidente menzogna di chi diffonde terrorismo, fingendo di ignorare la dimostrata resistenza sott'acqua, esposti a ogni rischio, di quei Bronzi che sono trasportabilissimi»;
   a tale seconda richiesta lo stesso Ministro Franceschini sembra aver aperto, dato che lo stesso ha annunciato che, a riguardo, sarà predisposta una commissione di esperti interni ed esterni al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, affinché venga deciso se i Bronzi possano viaggiare o meno;
   a distanza di poco più di una settimana era ancora Vittorio Sgarbi ad alimentare il giallo sul trasferimento dei Bronzi di Riace a Milano;
   il 28 agosto 2014, infatti, Sgarbi ha annunciato che sarebbe giunto il placet direttamente dall'assessore alla cultura della regione Calabria, Mario Caligiuri;
   a questo riguardo, ha annunciato il predetto critico d'arte: «Per il bene della Calabria e per la gloria dell'Italia, turbati da troppe cattive informazioni su quello che è il vero pensiero del popolo calabrese, l'assessore Caligiuri, nel pieno delle sue funzioni, preso atto dell'articolo 117 della Costituzione e nel rispetto dei poteri attribuiti al presidente, oggi vacante, della Regione, ha deciso di concedere il prestito dei Bronzi di Riace per l'Expo 2015 di Milano»;
   secondo quanto dichiarato dal critico d'arte, l'assessore avrebbe già avviato le pratiche «per condurre a un sereno giudizio la soprintendente Bonomi, indicandole i limiti dei suoi poteri» e per organizzare il viaggio dei Bronzi, che dovrà «perentoriamente» avvenire il 15 ottobre, «con una sosta preliminare presso i laboratori di restauro di Brera»;
   ancora una volta, però, le dichiarazioni di Sgarbi sono state smentite dal diretto interessato, l'assessore Caligiuri, il quale ha dichiarato di non aver «mai fatto alcuna dichiarazione sugli eventuali trasferimenti dei Bronzi di Riace», così definendo le riferite notizie «una bufala di fine estate»;
   in una successione incredibile di dichiarazioni e smentite su cui sarebbe bene che si pronunciasse lo stesso Ministro Franceschini, l'unica cosa certa è la succitata istituzione di una commissione di esperti interni ed esterni al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che rivelerebbe, come detto, un'apertura da parte del Ministero alla possibilità di uno spostamento dei due bronzi;
   sulla questione si sono pronunciati diversi tecnici e studiosi, a cominciare dal professore Salvatore Settis il quale, su un articolo pubblicato da «La Repubblica» il 18 agosto 2014, ha sottolineato l'inutilità della commissione pensata da Franceschini, affermando che «il suo Ministero ha un organico tecnico, l'Istituto superiore per la conservazione e il restauro, che è in grado di fornirgli domattina tutta la documentazione necessaria (e che già si oppose ad altre peregrinazioni dei Bronzi)» e che ciò che «l'Istituto (o qualsivoglia commissione di esperti) dirà è scontato: sono tanto preziosi e vulnerabili che meno si muovono meglio è»;
   il concetto espresso dal professore Settis è stato ribadito anche da altri autorevoli dirigenti e studiosi;
   Francesco Alì e Pasquale Amato, promotori del Comitato per la valorizzazione dei Bronzi di Riace e del museo Magna Grecia di Reggio Calabria, hanno diramato una nota nella quale, tra le altre cose, si legge: «È una sceneggiata quella messa in piedi dal Ministro Franceschini che ha dichiarato di aver bisogno di esperti esterni al Ministero per sapere se i Bronzi di Riace possano viaggiare o meno, con essa egli ha offeso e umiliato le relazioni scientifiche degli ultimi 40 anni redatte da soprintendenti, restauratori, esperti Iscr ed Enea che hanno già decretato la massima fragilità delle due statue che, in caso di spostamenti anche minimi, rischiano il danneggiamento irrimediabile e addirittura la distruzione [...]. O il Ministro ha già deciso, nei fatti, di portare a Milano le delicate statue per promuovere un piano che mira solo a monetizzare a favore della Lombardia l'Expo, abbandonando il Mezzogiorno e il resto d'Italia o piuttosto non è in grado di svolgere il ruolo che il suo mandato richiede: valorizzare il patrimonio ma preservandolo dal rischio altissimo della sua distruzione»;
   ad opporsi è stata anche la dottoressa Simonetta Bonomi, soprintendente e dirigente del museo di Reggio, secondo la quale «Sgarbi e Maroni parlano di niente. Non c’è stata alcuna richiesta ufficiale. E comunque io sono dell'idea che i due Bronzi non si possano muovere da Reggio perché la loro struttura è fragile [...]. L'operazione non ha molto senso»;
   a fortiori si rammenta che la sala che ospita i Bronzi è dotata di un sistema di controllo del clima, mantenuto sui 20 gradi centigradi d'inverno, 25-27 gradi d'estate, con un tasso di umidità all'incirca del 35-40 per cento tale cioè nuovi fenomeni corrosivi;
   inoltre, i bronzi si innalzano su basi antisismiche alte sui 40 centimetri, come i basamenti delle statue greche antiche, vincolate al pavimento tramite l'interposizione di un sistema di isolatori in grado di attenuare le azioni orizzontali e non amplificare il moto verticale;
   ciascuna statua è ancorata alla piattaforma antisismica tramite un'asta e cavi di acciaio in inox;
   pertanto, l'insensatezza dell'operazione promossa dal governatore lombardo Maroni e dal critico d'arte Sgarbi – già presidente della Commissione Istruzione nella XII legislatura della Camera e Sottosegretario ai beni culturali dal 2001 al giugno del 2002 –, cui si aggiungerebbe il dubbio consenso dell'assessore Caligiuri, risiederebbe anche nella controproposta offerta, ovvero due opere di Caravaggio;
   poiché la nomina ad ambasciatore è finalizzata a stabilire un piano per far conoscere i tesori di Milano ai 20 milioni di visitatori previsti, non si capisce, a parere dell'interrogante, che senso abbia trasferire i Bronzi a Milano e portare i quadri di Caravaggio, che invece è milanese, a Reggio Calabria;
   quanto appena detto trova conforto nell'opinione di Settis, di cui al summenzionato articolo, secondo il quale «perfino un quadro di Raffaello, se fuori contesto, non dice nulla, perché non e una reliquia», non comunicherebbe «le virtù legate all'insieme»;
   all'interrogante risulta che non si ritrovano anche all'estero casi in cui, per eventi espositivi simili, siano state trasferite opere, statue o altri beni artistici paragonabili per delicatezza ai Bronzi;
   se facessimo riferimento al solo territorio italiano, in diverse occasioni sono state avanzate analoghe volontà di spostamento (l'allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi avanzò l'ipotesi di trasferire i Bronzi di Riace a La Maddalena in occasione del G8 del 2009; altre volte si è parlato anche del David di Donatello), tutte però inesorabilmente cadute per evidenti problemi pratici e conseguenti rischi per le opere stesse;
   un primo restauro dei Bronzi avvenne negli anni 1975-1980 a Firenze, dove, oltre alla pulizia e alla conservazione delle superfici esterne, si cominciò a svuotare l'interno delle statue dalla terra di fusione originaria, impregnatasi nel corso dei secoli di cloruri che avevano innescato pericolosi fenomeni di corrosione;
   la rimozione della terra di fusione fu conclusa a Reggio Calabria negli anni 1992-1995, in un'operazione di restauro che si trasformò in un vero e proprio microscavo archeologico della terra per ricostruirne la disposizione originaria;
   a tale ultimo riguardo fu utilizzato un sofisticato dispositivo ispirato alla strumentazione per la diagnostica medica e la chirurgia microinvasiva, dotato di microtelecamera ed ablatore ad ultrasuoni;
   in un articolo di Davide Milosa, del 23 marzo 2014 e apparso sul sito di Il Fatto Quotidiano, si legge: «Quello che prima era un rischio, ora è un dato di fatto. La mafia è entrata nell'affare di Expo. Testa e soldi dei boss controllano parte dei lavori e delle opere connesse. L'allarme, scaturito dall'inchiesta sull'appaltificio di Infrastrutture Lombarde (Ilspa) governato per dieci anni da Antonio Rognoni, trova conferma nella relazione del Prefetto di Milano consegnata alla Commissione parlamentare antimafia in trasferta sotto al Duomo»;
   quanto sopra riportato legittima forti e mai peregrine preoccupazioni che anche sui Bronzi di Riace, indipendentemente dalle volontà qui riassunte, vi possano essere interessi di tipo mafioso –:
   quale sia la reale situazione circa il trasferimento dei Bronzi di Riace e quali notizie abbiano assunto i ministri interrogati dal governatore della Lombardia, dall'ambasciatore di Expo 2015 e dall'assessore alla cultura della regione Calabria, in merito alle loro discordanti dichiarazioni;
   se non ritengano inopportuno istituire una commissione (che ovviamente richiederà dei costi) sullo spostamento dei Bronzi, poiché, come ricordato in premessa, sono già a disposizione elementi inequivocabili da cui si evidenziano i noti rischi connessi allo spostamento dei Bronzi;
   quali provvedimenti intenda adottare il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo per tutelare i Bronzi di Riace da ogni possibile rischio di deterioramento, anche in considerazione dei complessi restauri avvenuti e dei relativi costi;
   se in occasione del G8 del 2009 i Bronzi di Riace non furono spostati a «La Maddalena» per evidenti ragioni legate alla loro integrità;
   se per Expo 2015 risultino interessi di organizzazioni criminali per quanto concerne l'esposizione di opere d'arte e quali controlli e misure siano stati predisposti in proposito. (4-06304)

AFFARI ESTERI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri, per sapere – premesso che:
   dopo oltre venti giorni di assedio al cantone di Kobane nel Kurdistan occidentale, i miliziani dell'ISIS sono entrati nella città di Kobane, terza città della Siria al confine della Turchia;
   la città è oramai allo stremo e a difenderla ci sono solo le forze di Protezione del Popolo curde delle YPG e YPJ si difendono con le poche armi leggere che anno a disposizione;
   attualmente l'attacco alla città prosegue da sud, ovest ed est mentre combattimenti corpo a corpo sono inoltre segnalati nelle zone di Mgtel, Botan e sulle colline di Mistenur;
   le unità di Protezione del Popolo continuano a resistere agli attacchi nonostante non sia una guerra equilibrata sia in termini di numeri di uomini che di armamenti a disposizione;
   secondo quanto dichiarato all'Espresso, in data 7 ottobre 2014, dal Presidente del cantone di Kobane, Enver Muslim: «ora intorno a noi ce ne sono circa ottomila, ma ogni giorno ne arrivano di nuovi da Tilabyad, da Ar-Raqqah. Sono sempre di più. Attaccano prima da lontano con lanciarazzi, carri armati e mortai, poi si scagliano a migliaia. Non finiscono mai. Si vede che dietro di loro c’è una forza. Hanno a disposizione le armi dell'esercito iracheno prese a Mosul e anche quelle dell'esercito siriano. Possiedono cannoni da 133 e 122 millimetri di modello sovietico, tanks T-72 e T-55, missili Fagost 9K111 e Konkurs, tutti i tipi di mitragliatrice. Negli ultimi 21 giorni ne abbiamo uccisi più di 300, tra loro c'erano anche molti marocchini e turchi»;
   critica risulta essere la situazione in Turchia nella zona prossima al confine siriano. Nella città di Suruç  ci sono al momento oltre 100 mila profughi scappati da Kobane, costantemente controllati dalla polizia e dall'esercito turco;
   Kobane e Suruç sono collegate da un rettilineo di circa 7 chilometri. Oltre a pick-up carichi di persone, la strada è percorsa dai tank militari dell'esercito turco e dalle camionette della polizia che presidiano la zona e non permettono a nessuno di oltrepassare il confine da entrambi i lati;
   nei giorni scorsi le forze di sicurezza turche hanno addirittura disperso con cariche e l'uso di gas lacrimogeni i giornalisti, attivisti per i diritti umani e civili che chiedevano di entrare in Siria per poter portare un sollievo umanitario ai resistenti di Kobane e documentare quanto sta accadendo in città;
   tuttavia fonti locali, confermate su diversi media internazionali, riferiscono che in realtà la Turchia, mentre chiude la frontiera ai curdi che vogliono entrare a Kobane per lottare o mandare aiuti alla popolazione, in realtà apre la stessa frontiera agli jihadisti dell'ISIS che vogliono andare in Siria per combattere. Addirittura si riferisce di treni che fermano in un posto dove non c’è la stazione e riforniscono di armi i miliziani;
   in data 7 ottobre, dopo oltre venti giorni di assedio, ci sono stati i primi raid aerei della coalizione internazionale nella zona. Inoltre i raid condotti sino ad ora, sarebbero totalmente inefficaci nel contrastare le milizie islamiche. Fonti indipendenti riportano la circostanza che quando gli aerei cominciano a bombardare le postazioni, le milizie dell'ISIS si allontano e tornano di nuovo quando gli aerei vanno via;
   i bombardamenti sono discontinui e senza una logica. Come riportato sempre da Enver Muslim: «Se gli aerei bombardassero per due giorni di seguito, colpendoli davvero, sarebbero già finiti. Ma non lo fanno. E così non appena gli aerei si allontanano, si rafforzano e ci attaccano di nuovo»;
   nel novembre 2013, durante la guerra civile siriana, le enclavi curde di Kobane, Afrin e Cizre hanno costituito la regione autonoma di Rojava nel Kurdistan siriano e si sono date una costituzione ed una organizzazione con delle istituzioni riconosciute dalla popolazione;
   Kobane è il primo posto dove è partita la «rivoluzione del Rojava». Nel cantone vivono etnie diverse, non solo curdi, ma anche arabi, turcomanni, assiri, armeni e cristiani, yazidi, musulmani, e la loro convivenza pacifica è il futuro dell'umanità;
   è una città simbolo, un modello per il futuro della Siria e per tutta l'area. La capitolazione della città di Kobane significherebbe la fine di quel modello di autonomia democratica e volontà popolare;
   nello scongiurare la caduta della «democratica Rojava» e il conseguente massacro di migliaia di civili la comunità internazionale sarebbe responsabile di tutto ciò;
   la Turchia, che la settimana scorsa ha approvato una mozione per l'invio di forze terrestri in Siria, sta ancora tergiversando, nonostante il suo presidente, Recep Tayyip Erdogan, in data odierna abbia avvertito che «i bombardamenti aerei a Kobani non sono sufficienti» per fermare i jihadisti;
   Ankara però, per ora, si è limitata a fornire supporto logistico alle forze della coalizione internazionale, senza intervenire ribadendo invece che le forze curde, che in questo momento combattono a Kobane, sono dei nemici alla stregua dell'ISIS;
   il ruolo della Turchia appare determinante per scongiurare un massacro e un riequilibrio democratico dell'area e la comunità internazionale, compreso il nostro Paese, deve avere un ruolo attivo per indurre il Governo di Ankara a scelte che vadano in questa direzione, compreso l'apertura immediata delle frontiere per ragioni umanitarie;
   il Sottosegretario agli esteri, Mario Giro, durante una interrogazione a risposta immediata in Commissione esteri lo scorso 1o ottobre aveva così risposto: «Ankara ha negli ultimi giorni rafforzato i presidi militari lungo i confini, schierando carri armati e artiglieria lungo il confine con la Siria. Proprio in questi giorni è in discussione al Parlamento turco la questione delle autorizzazioni a compiere operazioni transfrontaliere in Siria e Iraq. L'esito di tale dibattito, che è previsto cominci il 2 ottobre, potrà dare indicazioni sul profilo che la Turchia vorrà adottare nei confronti delle crisi ai propri confini. Su questi e correlati temi, di importanza cruciale per la stabilità della regione medio orientale, i Governi di Roma e Ankara mantengono frequenti contatti e un costante approfondito dialogo. È nel quadro di questo dialogo che il Governo intende richiamare – nelle modalità che verranno ritenute opportune – l'attenzione di Ankara sulla questione –:
   quali iniziative il Governo italiano stia intraprendendo, anche con gli altri partner internazionali, per scongiurare il massacro di Kobane;
   quali iniziative in sede europea, anche alla luce della circostanza che l'Italia è presidente del di turno dell'Unione europea, intenda adottare;
   quali siano, alla luce delle dichiarazioni del Sottosegretario riportate in premessa, gli intendimenti rispetto alla politica del Governo di Ankara e se, e che in modo, non intenda richiamare «l'attenzione di Ankara sulla questione»;
   quali siano le iniziative di carattere umanitario che il nostro Paese e la coalizione internazionale stiano portando avanti nella zona del Kurdistan occidentale e in particolare nella regione della Rojava;
   se non intenda, con urgenza, riconoscere formalmente le istituzioni autonome della Rojava.
(2-00709) «Palazzotto, Scotto».

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in Georgia a 25 chilometri dalla capitale Tiblisi il 16 ottobre di 14 anni fa veniva ritrovato morto il giornalista italiano di Radio Radicale Antonio Russo, nato a Francavilla a Mare, in Abruzzo, il 6 giugno 1960;
   dall'autopsia è risultata inequivocabilmente la natura violenta del decesso di Antonio Russo: «Il torace fracassato, due costole rotte con il colpo netto di un'arma che assomiglia ad una mazza di ferro...»
   le autorità russe all'inizio tentarono di sviare le indagini parlando di incidente e di rissa tra balordi ma la verità emerse subito: Antonio Russo era stato torturato e assassinato per la sua attività giornalistica di controinformazione;
   nei giorni precedenti la sua morte, Antonio Russo aveva dichiarato di essere in possesso di nuovo materiale video sulla guerra civile in Cecenia e sulle violenze commesse dai russi in aperta violazione dei diritti umani tutelati a livello internazionale;
   l'appartamento in cui viveva Russo fu trovato devastato e senza il computer, i suoi documenti e appunti di lavoro e il telefono satellitare;
   secondo alcune indagini Russo avrebbe anche documentato l'uso di armi chimiche contro la popolazione cecena;
   Antonio Russo era noto per le sue corrispondenze in zone di guerra come il Burundi in Africa, e la ex Jugoslavia, era stato l'ultimo giornalista rimasto a Pristina a denunciare il dramma dei profughi bosniaci e per primo si recò in Cecenia a documentare una guerra civile spaventosa contribuendo a formare una opinione pubblica a livello internazionale sui crimini che venivano commessi ai danni della popolazione cecena; a distanza di 14 anni da quell'assassinio non è stata ancora accertata la responsabilità di mandanti ed esecutori –:
   quali siano le iniziative assunte dal Governo e dalle nostre rappresentanze diplomatiche per l'accertamento della verità da parte della autorità giudiziaria russa non potendo immaginare che lo Stato italiano abbia smesso di chiedere giustizia per un suo cittadino barbaramente assassinato e torturato per la sua attività giornalistica. (4-06301)


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la signora R.A.G. nata nelle Filippine e residente a Zhunan Town-Miaoli County TAIWAN ha richiesto al consolato italiano in Taiwan il visto turistico per recarsi in Italia, ospite del signor D.L.V. imprenditore di Penne (Pescara);
   la suddetta richiesta era supportata da tutti i documenti previsti, ma il consolato italiano in Taiwan non ha concesso il visto turistico con motivazioni che all'interrogante sembrano inconsistenti;
   la signora R.A.G. si è dichiarata disponibile a fornire ogni chiarimento ed eventuale documentazione aggiuntiva –:
   quali siano i motivi del diniego del visto turistico suddetto e quali siano i chiarimenti e documenti ulteriori da presentare per la concessione del visto turistico alla signora R.A.G. in tempi celeri. (4-06303)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazioni a risposta immediata:


   FRATOIANNI, SCOTTO, PELLEGRINO e QUARANTA. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   sul Bollettino ufficiale della regione Liguria, parte I, n. 12 del 24 settembre 2014, è stata pubblicata la legge regionale 18 settembre 2014, n. 24, recante «Modifiche alla legge regionale 1o luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio)», approvata dall'assemblea legislativa il 16 settembre 2014;
   l'articolo 1 della legge regionale n. 24 del 2014 introduce il nuovo comma 4-ter nell'articolo 34 della legge regionale n. 29 del 1994, che recita: «Nell'arco temporale nel quale non ha efficacia il calendario venatorio, la caccia si svolge secondo quanto disposto dalla presente legge, dall'articolo 18, commi 1, 2, 3 e 5, della legge n. 157 del 1992 e dalle altre normative vigenti in materia»;
   la normativa regionale dispone che, in caso di provvedimento sospensivo del calendario venatorio (o di sue parti) disposto dalla magistratura amministrativa, l'attività venatoria continui comunque a svolgersi sulla base di alcuni parziali principi generali fissati dalla normativa venatoria statale e regionale (rispettivamente, la legge n. 157 del 1992 e la legge regionale n. 29 del 1994);
   ciò risulta in contrasto, in particolare, con l'articolo 18, commi 4 e 5, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, il quale prevede che la regione emani annualmente un provvedimento amministrativo recante il calendario venatorio e il relativo regolamento, sentito l'Istituto nazionale per la fauna selvatica (oggi confluito nell'Ispra), indicando espressamente il numero delle specie cacciabili, il numero dei capi abbattibili, nonché le tre giornate di caccia settimanali fisse o a scelta;
   la giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 105 del 2012) ha stabilito l'illegittimità costituzionale dell'approvazione del calendario venatorio quando varato con legge, anziché con atto amministrativo, in quanto ciò ne indebolisce «il “regime di flessibilità” (sentenza n. 20 del 2012), che deve assicurarne un pronto adattamento alle sopravvenute diverse condizioni di fatto»;
   quanto previsto dalla regione Liguria implica, pertanto, la violazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione alle prescrizioni contenute nell'articolo 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, che disciplinano i poteri regolamentari delle regioni per l'esercizio dell'attività di caccia nell'annata venatoria –:
   se il Governo intenda procedere all'impugnazione della legge regionale ligure n. 24 del 2014 presso la Corte costituzionale, ai sensi dell'articolo 127, comma primo, della Costituzione italiana. (3-01074)


   FEDRIGA, MATTEO BRAGANTINI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA, RONDINI e SIMONETTI. Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 ottobre 2014 il Ministro interrogato, incontrando i sindaci nell'Aula di Montecitorio, ha detto: «i sindaci sono il volto dello Stato sul territorio e il Governo riconosce il loro impegno quotidiano e il ruolo svolto a servizio del bene comune, soprattutto in una fase di difficoltà economica come quella che sta vivendo il nostro Paese»;
   la mala gestione, più volte denunciata dalla Lega Nord Autonomie, del fenomeno dell'immigrazione di massa verso il nostro Paese sta facendo emergere asimmetrie giuridiche rispetto al trattamento disuguale di medesime situazioni di fatto tra i cittadini e gli immigrati, in violazione del principio costituzionale sancito ex articolo 2;
   riguardo alle politiche sull'emergenza abitativa si sta evidenziando una chiara disparità;
   da un lato, i sindaci con le risorse economiche a disposizione spesso non riescono a trovare soluzioni adeguate a far fronte a tale problematica vissuta dai cittadini residenti nel territorio comunale, dall'altro lato il Governo centrale con una politica nazionale e con risorse straordinarie colloca extracomunitari nelle strutture alberghiere, nelle caserme dimesse ed in ogni possibile luogo di ospitalità;
   lo Stato si occupa degli immigrati stanziando ingenti risorse economiche e adottando piani straordinari di intervento, mentre i sindaci sono chiamati a far fronte al Governo del proprio territorio con poteri insufficienti e risorse economiche non adeguate –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per far sì che non si crei di fatto una disparità di trattamento negli interventi volti a risolvere le problematiche dell'emergenza abitativa dei cittadini in capo alla gestione amministrativa comunale e quelle dedicate alla presa in carico degli immigrati affrontate dal Governo centrale su tutto il territorio nazionale. (3-01075)


   LACQUANITI e ZAN. Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la Costituzione, nella parte dei principi fondamentali, dopo aver sancito all'articolo 8, primo comma, che «tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge», stabilisce che anche quelle «diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano», fissando il principio secondo cui «i loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze»;
   l'intervento del legislatore costituente, pur nella sopravvivenza della normativa preesistente basata sul principio dei cosiddetti «culti ammessi», espressione della volontà del legislatore fascista, ne circoscrive l'ambito e le modalità applicative, grazie al novellato strumento delle «intese», chiamato a regolare i rapporti con le confessioni religiose diverse da quella cattolica;
   in ragione di quanto richiamato, si sono succedute nel tempo numerose intese che hanno regolato, anche in tempi molto recenti, i rapporti fra molteplici confessioni religiose e lo Stato;
   la legge regionale della Lombardia n. 12 dell'11 marzo del 2005, «legge per il Governo del territorio», che all'articolo 52 si occupa, in particolare, dei «mutamenti di destinazione d'uso con e senza opere edilizie», ha introdotto una disciplina fortemente restrittiva in relazione al mutamento di destinazione d'uso di immobili finalizzati alla creazione di luoghi di culto, assoggettandoli a permesso di costruire (articolo 52, comma 3-bis, della legge citata);
   tale legge, ai sensi di quanto disposto dagli articoli 52 e 53, vincola, quindi, il cambio di destinazione d'uso di locali ab origine aventi destinazione differente dal culto a condizioni restrittive non previste per altre tipologie di locali, assegnando grande discrezionalità in capo alle amministrazioni locali e associando a tale discrezionalità un meccanismo sanzionatorio particolarmente severo;
   quanto ne emerge è che, ad oggi, nei fatti, è possibile ottenere in via automatica la destinazione d'uso di locali già adibiti a cinema o a teatro, per ristrutturarli e trasformarli in un supermercato, ma non lo è invece aprire un luogo di culto di una confessione religiosa diversa da quella cattolica, pur nel rispetto dei piani di governo del territorio locali e nell'esperimento pieno e completo delle prescrizioni della normativa sulla sicurezza;
   la puntuale applicazione della norma richiamata ha portato alla chiusura di più di venti luoghi di culto, punti di riferimento per comunità evangeliche e protestanti, composte soprattutto da immigrati neri d'Africa e, non ultimo, al caso della chiesa pentecostale «Christ peace and love» di Gorle (Bergamo), il cui luogo di culto di proprietà è stato oggetto di confisca, una vicenda solo da poco risolta con l'annullamento del provvedimento da parte del tribunale amministrativo regionale di Brescia e la restituzione dell'immobile alla comunità;
   tale legge della regione Lombardia che, riguardo quanto previsto dalla disposizione citata, non trova precedenti in altre regioni, ha finito di fatto per limitare l'esercizio della libertà sancita dall'articolo 8 della Costituzione, senza che venisse, peraltro, motivata dal legislatore l'assegnazione di poteri tanto ampi in capo alle amministrazioni locali;
   ad avviso degli interroganti, forte è il dubbio che, almeno in relazione alla questione sollevata, sia stata di fatto ripristinata la dottrina dei cosiddetti «culti ammessi», così come pensata dal legislatore fascista, in aperto contrasto con quanto previsto dall'articolo 8 della Costituzione –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda promuovere affinché su un tema di tale delicatezza quale quello della libertà religiosa e dei rapporti tra lo Stato italiano e le confessioni religiose non cattoliche vi sia un'effettiva coerenza tra gli orientamenti assunti a livello nazionale e a livello locale, nel pieno rispetto dell'articolo 8 della Costituzione. (3-01076)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   il dissesto idrico nella zona a nord della città di Milano, problema più che cinquantennale, ha naturalmente da ritrovare le sue cause, come già si annotava negli uffici comunali milanesi negli anni Sessanta, nell'improvvido e incauto consumo di suolo della speculazione edilizia, e nella barbara cementificazione, che dagli anni del boom ha continuato e continua a fare scempio delle ricchezze e bellezze di un ormai irriconoscibile e deturpato territorio lombardo, brianzolo e milanese; scempio che ha creato la definizione, per l'area che va da Milano fino a Varese di «città infinita»: uno dei luoghi più antropizzati e inquinati d'Europa, confrontabile alla sola Ruhr tedesca;
   analogo discorso va fatto per la sua rete idrica, i suoi fiumi e torrenti: il torrente Seveso, oggetto di questo atto, è il terzo fiume più inquinato del continente;
   l'urbanizzazione abnorme lungo le sue rive, giunta addirittura fino allo stesso letto del torrente, ha portato ad azzerare la permeabilità del territorio circostante: le acque piovane dei collettori e degli scarichi industriali e urbani contribuiscono ad aumentare la portata del fiume, senza alcuna dispersione. Questo, e non il cambiamento climatico, è il vero problema del Seveso, così come del Lambro e del Lura; delle ultime esondazioni, in nessun caso i volumi di precipitazione sono stati tali da potersi parlare di piogge alluvionali;
   per risolvere il problema delle esondazioni del fiume nei quartieri settentrionali di Milano, si sono succedute negli anni, fin da un decreto legge del ’51, firmato dal Presidente Einaudi, una serie di ipotesi, fra loro diversissime, e mai attuate; l'ultima, la realizzazione di vasche di laminazione da costruirsi nei comuni dell’hinterland, è della giunta Moratti; ipotesi che andò a cancellare il precedente progetto di raddoppio del canale scolmatore del fiume, annunciato dal sindaco Albertini;
   scelto il territorio di Senago come sito, il progetto, la cui realizzazione dovrebbe cominciare nella primavera del prossimo anno, è stato dal 2009 ininterrottamente bocciato, con atti votati all'unanimità, dal consiglio comunale della città; fermamente contrari al progetto, insieme a Senago, sono inoltre le amministrazioni presenti sul territorio, come ad esempio quella di Bollate;
   la scelta della città di Senago è da ascrivere alla minore urbanizzazione del suo territorio; sarà così a dover pagare la cementificazione selvaggia di questo cinquantennio uno tra i pochi comuni virtuosi della provincia in ogni caso un territorio che non ha avuto alcuna responsabilità nello squilibrio idrico del fiume;
   la realizzazione della vasche di laminazione sul territorio di Senago non risulterebbe risolutiva del problema, secondo quanto rilevato dai tecnici dell'Agenzia interregionale per il fiume Po (AIPo): per azzerare il flusso d acqua del torrente Seveso a monte della presa di Palazzolo del Canale Scolmatore di nord ovest risulta che sarebbe necessario un volume complessivo di 4.300.000 metri cubi, al quale le vasche di Senago contribuirebbero con un milione di metri cubi;
   le vasche senaghesi sono distanti circa 4 chilometri dal torrente principale e sono ad esso collegate tramite il canale scolmatore nord ovest; tale canale costruito negli anni Sessanta devia le acque verso il nodo idraulico di Vighignolo e da qui verso il Ticino e l'Olona. Il progetto di raddoppio della sua portata (30 metri cubi al secondo), insufficiente a contenere le piene causate dalla crescente urbanizzazione degli anni Ottanta, non fu mai completato, su indicazione dell'autorità di bacino del fiume Po; si sarebbe, infatti, compromesso l'equilibrio ambientale del fiume Ticino;
   la distanza dall'alveo del fiume e l'afflusso delle acque vincolato alla portata del canale fa comunque incomprensibilmente giudicare prioritarie le vasche senaghesi rispetto alle altre in progetto sull'asse del fiume; le vasche di Senago, come spiega una nota di Legambiente del mese di agosto 2014, «nulla infatti potranno contro gli acquazzoni tra Cinisello, Cormano e Paderno Dugnano: tutti comuni posti a valle dello Scolmatore di nord Ovest»;
   il comune di Senago, supportato dal dipartimento di ingegneria civile e architettura dell'università di Pavia ha proposto soluzioni alternative anche attraverso il potenziamento del canale scolmatore nord ovest con minori costi di realizzazione e di manutenzione degli impianti, ridotto impatto ambientale e maggior efficacia dei risultati attesi, che tuttavia sono state respinte;
   il numero di esondazioni evitate dalle sole vasche di laminazione di Senago sarebbe pari a quello che si potrebbe ottenere dalla bonifica sostanziale del torrente, dalla riqualificazione dell’ex depuratore di Varedo e dal potenziamento del canale scolmatore;
   all'elevato importo del costo di realizzazione dell'opera, andrebbero a sommarsi gli altrettanto gravosi costi di manutenzione di circa euro 450.000 annui;
   tali vasche produrrebbero inoltre un notevole impatto ambientale, in quanto localizzate in gran parte all'interno del parco delle Groane, sottoposto a vincolo paesaggistico ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004;
   entrambi gli invasi previsti inferirebbero con la falda freatica sottostante creando i presupposti di una sua possibile, se non probabile, contaminazione. Tale flusso di falda alimenta i pozzi idropotabili della confinante città di Bollate, rappresentando un rischio potenziale per la potabilità delle acque dei cittadini bollatesi;
   non è mai stata fatta una seria e accurata valutazione strategica ambientale (VAS) per il progetto di piano di risanamento idraulico del fiume;
   in assenza di una serie di interventi di sostenibilità ambientale, le vasche diventerebbero rapidamente vasche di decantazione per fanghi e inquinanti vari, con costi altissimi di manutenzione e deperimento delle aree di afferenza, sugli unici territori che hanno gli spazi per contenerle, quelli appartenenti ai comuni più virtuosi, quelli cioè che meno di altri hanno consumato suolo: si deve quindi considerare prioritario il disinquinamento del Seveso, con un piano regionale attraverso il contratto di bacino, analogamente a quanto fatto con successo sull'Adda; sui comuni dell'asse del fiume andranno gestite separatamente le acque bianche, nere e meteoriche, depurando le seconde e gestendo in modo sostenibile le terze, affinché rimangono nei territori di caduta attraverso la ripermealizzazione del suolo e l'inverdimento; parallelamente, la città di Milano deve correggere le inefficienze della propria rete fognaria; infine, si deve agire in modo più efficace contro chi inquina in modo illegale. Recupero del verde urbano e dell'equilibrio idrogeologico: questa è la via; occorrono non le solite cure tardive ed emergenziali, atte a curare il mero sintomo, ma seri interventi strutturali che possano risolvere il problema alla sua origine, e nel suo complesso: il primo passo è fermare il già altissimo livello di cementificazione e urbanizzazione, attraverso un'azione di controllo da parte delle istituzioni sovracomunali;
   nell'ambito dell'audizione alla Commissione ambiente della Camera dei deputati del 23 luglio 2014, il coordinatore della struttura di missione a Palazzo Chigi contro il dissesto idrogeologico si è detto aperto al dialogo fra Governo, istituzioni locali e cittadini;
   nel medesimo mese, durante un incontro fra lo stesso dottor Erasmo de Angelis, regione Lombardia, comune di Milano e gli amministratori del comune di Senago, si è concordato come la priorità assoluta d'intervento sul torrente sia la depurazione delle sue acque;
   rispondendo in Commissione ambiente, l'11 settembre 2014, all'interrogazione presentata dagli onorevoli Grimoldi e Rondini sulla questione, il sottosegretario Velo ha spiegato come «la soluzione delle criticità ambientali dovrà andare di pari passo con la costruzione e messa in opera delle vasche di laminazione progettate lungo l'asta del Seveso, opera contemplata all'interno dell'accordo quadro di sviluppo territoriale “Contratto del Fiume Seveso”». Tale accordo prevede diversi interventi finalizzati proprio al miglioramento delle acque del fiume in parola, riguardanti principalmente opere di fognatura per l'eliminazione di scarichi diretti e opere di depurazione;
   la struttura di missione contro il dissesto idrogeologico presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, unitamente alla regione Lombardia, sta monitorando lo stato di attuazione degli interventi già individuati, molti dei quali già in fase di gara o di progettazione avanzata e per la maggior parte dei quali si prevede la completa realizzazione entro la fine del prossimo anno;
   oltre agli interventi previsti nell'accordo citato, all'interno dello stesso progetto di realizzazione delle vasche del Seveso è stata prevista, ed è in fase di esecuzione, un'attenta attività di monitoraggio della qualità delle acque, nell'ottica di garantire l'efficacia delle strutture progettate, non solo ogni qualvolta esse saranno impegnate dalle acque di piena, ma anche nella vita ordinaria di tempo asciutto in cui l'area della vasca sarà destinata ad altri usi e destinazioni ambientali e le caratteristiche dell'acque ne determineranno la fruibilità;
   ad ogni buon conto la regione Lombardia ha comunicato di aver recentemente destinato agli agglomerati interessati dalla causa C 85/13 (sentenza di condanna del 10 aprile 2014) che, si ripete, non riguarda l'agglomerato Seveso nord, risorse pari a circa 22 milioni di euro derivanti dall'apposito fondo che la legge di stabilità 2014 ha istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per finanziare un piano straordinario di interventi «finalizzato prioritariamente a potenziare la capacità di depurazione dei reflui urbani»;
   si è a conoscenza dell'impegno di tutte le istituzioni rispetto alla definizione di un percorso che possa risolvere il problema delle esondazioni del Seveso, attraverso la depurazione delle sue acque, il raddoppio del canale scolmatore e la realizzazione di una serie di interventi di sostenibilità ambientale di minore impatto sul territorio –:
   quali iniziative di competenza il Governo abbia intenzione di intraprendere per la definizione di un percorso, concordato con le amministrazioni locali, che preveda la messa in campo di tutti gli interventi di risanamento ambientale menzionati.
(2-00708) «Cimbro, Civati, Cominelli, Colaninno, Casati, Cova, Mauri, Peluffo, Marchi, Francesco Sanna, Giuseppe Guerini, Guerra, Laforgia, Portas, Ginoble, Berretta, Marrocu, Oliverio, Monaco, Rabino, Dambruoso, Daniele Farina, Kronbichler, Quaranta, Prina, Crimì, Gianni Farina, Gadda, Pollastrini, Stumpo, Roberta Agostini, Fiorio, Ferrari, Ferro, Albini, Coccia, Rondini».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TERROSI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con la sua superficie di 114 chilometri quadrati, il lago di Bolsena è il più grande lago vulcanico d'Europa e il primo assoluto nella regione Lazio. In base all'applicazione delle direttive 92/43/CEE e 79/409/CEE – rispettivamente indicate come «direttiva habitat» e «Direttiva uccelli» – recepite in Italia dal decreto del Presidente della Repubblica n. 357 dell'8 settembre 1997 e del decreto del Presidente della Repubblica n. 120 del 12 marzo 2003, il lago fa parte dell'elenco dei siti di importanza comunitaria (SIC) e della rete europea di Zona di protezione speciale (ZPS) destinate alla conservazione della biodiversità della rete ecologica denominata NATURA 2000;
   la rete è nata con lo scopo di preservare gli habitat per i quali i siti sono stati identificati, tenendo in considerazione le esigenze economiche, sociali, culturali e regionali in una ottica di sviluppo sostenibile; essa mira a garantire la sopravvivenza a lungo termine delle specie che intende salvaguardare e del loro habitat svolgendo un ruolo chiave nella protezione della biodiversità nel territorio dell'Unione europea. Il lago di Bolsena, da questo punto di vista, si contraddistingue per la presenza di ittiofauna diversificata e abbondante e per una ricca avifauna svernante;
   con la delibera di giunta del 26 ottobre 2005 n. 913, la regione Lazio ha individuato la Provincia di Viterbo quale soggetto deputato alla «Predisposizione delle misure di conservazione per la tutela della ZPS “IT6010055 Lago di Bolsena, Isole Bisentina e Martana” e dei SIC in essa inclusi “(IT6010007) – Lago di Bolsena” e “(IT6010041) – Isole Bisentina e Martana”, attraverso la redazione di specifiche misure di conservazione e del relativo Piano di Gestione»;
   purtroppo, da lungo tempo, lo stato di salute del Lago di Bolsena desta non poche preoccupazioni;
   è noto che la depurazione degli scarichi provenienti dai comuni circumlacuali avviene per il tramite di un collettore di raccolta dei reflui fognari che, unitamente alle 20 stazioni di sollevamento dislocate lungo il tracciato e all'impianto di depurazione ubicato nei pressi del fiume Marta, a circa 3 chilometri dall'incile, sono gestiti dalla società CO.BA.L.B. (Comunità bacino lago di Bolsena spa);
   i suddetti impianti sono mal funzionanti a causa dei mancati o insufficienti interventi di manutenzione che si protraggono da più anni. Ciò determina una serie di problemi, quali i frequenti sversamenti di liquami fognari nel bacino lacustre; la quantità di questi che non si disperde lungo il tracciato, arriva all'impianto di depurazione ubicato nei pressi del fiume Marta, ma l'attività di depurazione non è efficace visto che lo stesso impianto è ormai al collasso e non più in grado di adempiere alla sua funzione;
   è ormai accertato che le tipologie di inquinamento che destano maggiore preoccupazione sono quello di tipo batteriologico, legato alla presenza di enterococchi e colibatteri e quello provocato dall'aumento dei cosiddetti «nutrienti», in particolar modo azoto e fosforo, ambedue connessi alle attività antropiche che si svolgono all'interno del bacino imbrifero;
   mentre la prima tipologia può essere risanata eseguendo i necessari interventi a carico degli impianti di depurazione rendendoli funzionanti, l'inquinamento di natura chimica desta maggiori preoccupazioni poiché, anche eliminando le cause dello stesso, necessitano tempi lunghi affinché il sito inquinato ritorni ad uno stato di salubrità accettabile, sempreché non sia stato irrimediabilmente compromesso;
   l'azoto e il fosforo possono avere origine agricola, ma sicuramente la loro presenza è imputabile alle sostanze chimiche, quali i detersivi utilizzati per l'igiene umana e per la cura della casa, che giungono al lago con gli sversamenti dei liquami fognari. I suddetti «nutrienti» sono responsabili della esplosione algale, della rarefazione di alcuni bioindicatori e, in generale, dello scadimento della qualità delle acque;
   è necessario tenere in debita considerazione il fatto che il bacino del lago di Bolsena ha la caratteristica di essere «a lento ricambio», cioè il tempo necessario a far defluire, attraverso il suo emissario, un volume d'acqua pari al volume del lago, può essere stimato in circa 120 anni. Ciò naturalmente rende il lago estremamente vulnerabile all'inquinamento;
   l'Ente deputato alla esecuzione delle analisi delle acque del lago di Bolsena che servono anche a definirne la balneabilità, è ARPA Lazio. Dai dati presenti sul sito internet della suddetta Agenzia, si evince che le analisi eseguite sono prevalentemente di natura batteriologica, mentre gli esami relativi alla determinazione dell'indice LTLeco, previsto dal decreto ministeriale ambiente n. 260 del 2010, sembra siano eseguiti solo sui campioni prelevati nella stazione ubicata in comune di Capodimonte;
   sarebbe opportuno che Arpa aumenti il numero di siti in cui effettuare i prelievi e le analisi al fine di verificare la presenza di elementi chimici, in particolare azoto e fosforo, che sono notoriamente responsabili dei fenomeni di eutrofizzazione;
   come noto il contenuto in arsenico delle acque potabili di molti dei comuni circumlacuali risulta essere al di sopra di quanto previsto dalla normativa vigente. Per superare questo problema il comune di Montefiascone già da tempo adotta la tecnica della miscelazione delle acque che arrivano nelle case dei cittadini, con quelle prelevate dal lago di Bolsena, opportunamente depurate. Tale pratica potrebbe essere utilmente adottata allo stesso scopo da altri comuni che presentano la stessa problematica;
   risulta che all'inizio di agosto il Ministero dell'ambiente e per la tutela del territorio e del mare, abbia inoltrato ai comuni circumlacuali una lettera avente ad oggetto: «Esposto relativo ad una situazione di criticità ambientale delle acque del lago di Bolsena – Richiesta informazioni» con la quale richiedeva ai sindaci di dettagliare lo stato del bacino lacustre –:
   se sia a conoscenza dei fatti su indicati;
   se siano state inoltrate le informazioni richieste ai sindaci in merito alle «iniziative messe in atto per controllare, circoscrivere ed eliminare la situazione di pericolo ambientale nonché su ogni ulteriore misura eventualmente adottata a tutela dell'ambiente» e quale sia il quadro ambientale che ne emerge;
   se non intenda intraprendere tutte le azioni necessarie al fine di garantire la salute del lago di Bolsena e, nel rispetto delle competenze in materia degli altri livelli istituzionali coinvolti, intervenire attraverso iniziative dirette a favorire il ripristino del corretto funzionamento degli impianti di depurazione esistenti e una attenta valutazione degli interventi tecnici che prevedano l'adozione di ulteriori sistemi di depurazione, anche nella realistica prospettiva che i comuni in cui l'acqua potabile presenta valori di arsenico superiori a quelli ammessi dalla normativa vigente decidano di abbassarne il contenuto attraverso la miscelazione con acqua lacuale opportunamente depurata;
   se non intenda, nel rispetto delle competenze di tutti gli enti territoriali coinvolti, prevedere uno studio della qualità delle acque del lago di Bolsena – monitoraggio di indagine – che relazioni sullo stato di inquinamento generale delle acque provocato sia dalla componente microbiologica sia dalla componente chimica e che attribuisca l'origine dello stesso distintamente alle diverse attività che insistono nel territorio circumlacuale (turismo, agricoltura, altre attività antropiche), anche in vista della prossima scadenza del 31 dicembre 2015, termine entro il quale lo stato ecologico del lago dovrà migliorare da «sufficiente» a «buono» (direttiva quadro acque 2000/60/CE). (5-03719)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta orale:


   SIMONE VALENTE, BUSINAROLO, DI BENEDETTO, VACCA, DAGA, D'UVA, CHIMIENTI, LOMBARDI, FICO, BRESCIA, RUOCCO, MARZANA, DI BATTISTA, CASTELLI e NUTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   da numerosi articoli giornalistici delle ultime settimane si apprende la notizia delle dimissioni del direttore d'orchestra del Teatro dell'Opera di Roma, Riccardo Muti, verosimilmente a causa di ripetuti screzi con le associazioni sindacali dei lavoratori;
   tuttavia, la segretaria provinciale della Fials-Cisal di Roma sostiene che c’è sempre stata una fertile collaborazione tra il maestro e gli artisti e che di conseguenza, il sindacato da lei rappresentato non ha mai scioperato contro le attività intraprese dal maestro quanto piuttosto contro le scelte scellerate compiute negli ultimi anni;
   il teatro è stato, infatti, protagonista di una squilibrata gestione amministrativa che lo ha condotto via via ad un disavanzo di circa 40 milioni di euro;
   a questa tragica situazione, comune a quasi tutte le fondazioni liriche, ha provato a metter fine il decreto «Valore Cultura», ossia il decreto-legge n. 91 del 2013, noto, in seguito alla conversione, come legge Bray;
   la ratio di tale provvedimento era quella di mettere a disposizione dei teatri risorse finanziarie considerevoli a condizione che essi raggiungessero il pareggio del conto economico e dell'attivo patrimoniale, tramite la presentazione di un piano di rientro triennale basato sull'incremento della produttività e la riduzione dei costi di gestione, passando per la riduzione della pianta organica, pena la procedura di liquidazione;
   la legge dispone che il piano di risanamento doveva essere concordato con le associazioni sindacali maggiormente rappresentative in ordine sia alla eventuale riduzione della dotazione organica del personale tecnico ed amministrativo sia alla cessazione dell'efficacia dei contratti integrativi aziendali in vigore;
   la norma non ha trovato semplice attuazione, per via di contrasti tra sindacati, management e politica, come ad esempio la volontà del sindaco di Napoli (per legge il sindaco è presidente della Fondazione lirica della città) De Magistris di non accedere ai fondi aggiuntivi della legge Bray, sostenendo che avrebbe risanato il teatro in autonomia, nonostante vi fosse l'obbligo di avviare tale procedura;
   in seguito comunque a tale provvedimento, anche il ministro Franceschini, a distanza di quasi un anno, ha ritenuto opportuno intervenire in tal senso, emanando il decreto «ArtBonus», ossia il decreto-legge n. 83 del 2014, che rifinanziava con ulteriori 50 milioni il fondo rotativo e tentava di tamponare alcuni effetti della legge Bray;
   anche i risultati di tale provvedimento non hanno procurato l'effetto sperato, trasformando luoghi di cultura e spettacolo in meri esecutori contabili per risanare i conti;
   a cavallo tra agosto e settembre è anche salita alla ribalta la notizia del caos al Carlo Felice di Genova, con dissidi tra il sindaco Doria ed il sovrintendente Pacor (revocato poco prima del Consiglio di amministrazione), per la questione dei possibili interessi anatocistici applicati da Banca Carige, tesoreria e fondatrice della Fondazione;
   l'addio di Riccardo Muti all'Opera di Roma è un chiaro segnale che qualcosa non funziona più a dovere nel mondo dello spettacolo, privato della sua impronta culturale e trasformato in luogo di passaggio del potere politico nazionale e locale, divenendo sempre più carrozzone e sempre meno luogo di cultura;
   se anche un maestro dal curriculum e dal prestigio internazionale come Muti decide di abbandonare la barca e fa certe dichiarazioni alla stampa, la politica dovrebbe pensare ad agire ed a correggere le storture attuando politiche culturali di innovativa portata –:
   quali siano le intenzioni del Ministro per risollevare realmente il settore italiano dello spettacolo, anche alla luce degli illustri abbandoni, come quello di Muti, che altro non fanno che mettere in cattiva luce l'immagine del Paese;
   quale sia il futuro della politica culturale italiana, falcidiata negli ultimi anni da tagli pesanti, visto che non si intravede uno spiraglio di inversione di tendenza e, nonostante i provvedimenti normativi fin qui adottati, i teatri sono sempre e comunque in crisi, non solo economica, ma anche di patrimonio culturale da promuovere. (3-01069)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   SBERNA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la base del calcolo Tasi è la rendita rivalutata del 5 per cento moltiplicato per 160: per l'abitazione principale l'aliquota può essere al massimo 2,5, aumentabile fino al 3,3 con detrazioni; i criteri dell'abbassamento dell'imposta sono categoria catastale, rendita, figli, disabili, Isee o reddito annuo;
   a seguito della pubblicazione delle relative delibere comunali e secondo le prime simulazioni del peso delle tasse, la Tasi peserà di più rispetto all'Imu sulle tasche delle famiglie italiane; addirittura per una famiglia su due la Tasi sarà più cara di quanto pagato con l'Imu nel 2012; solo il 35,9 per cento dei comuni ha previsto uno sconto; il 15 per cento ha optato per una detrazione fissa, il 19 per cento le ha legate alla rendita catastale della casa, e solo il 13,3 per cento, del totale (appena 869 comuni) le ha concesse per i figli a carico, e quasi in tutti i casi solo a partire dal terzo o quarto figlio; uno sparuto gruppo di 37 comuni ha tarato le agevolazioni sul reddito del proprietario, altri 173 si sono affidati all'Isee, ma solo 179 hanno tenuto conto dei figli con handicap, e 146 hanno previsto sconti in base all'età dei proprietari;
   scompare, così, l'effetto redistributivo, per cui il penso grava maggiormente sulle famiglie più povere e su quelle con più figli; le famiglie penalizzate sono quelle con redditi modesti che vivono in abitazioni contraddistinte da rendite medio-basse; nella simulazione della Uil – Servizio politiche territoriali vivere in una casa categoria A3 (casa economica) con un figlio e rendita pari a 450 euro (nella media nazionale per questa categoria) può essere penalizzante per il 71 per cento delle famiglie (nell'ipotesi, con reddito Isee di 10 mila euro e reddito Irpef di 20 mila euro); sette famiglie su dieci cioè pagheranno più Tasi che Imu: 52 euro extra a Bologna, 32 a Firenze, 30 a Milano, 27 a Venezia;
   i comuni possono liberamente applicare detrazioni ed esenzioni, aumentando l'aliquota sulla prima casa di uno 0,8 per mille proprio per finanziarle, tuttavia, l'articolo 1 del decreto-legge n. 16 del 2014 stabilisce che, nello stesso anno 2014, nella determinazione delle aliquote TASI possono essere superati i limiti stabiliti nel primo e nel secondo periodo, per un ammontare complessivamente non superiore allo 0,8 per mille, a condizione che siano finanziate, relativamente alle abitazioni principali e alle unità immobiliari ad esse equiparate, detrazioni d'imposta o altre misure, tali da generare effetti sul carico di imposta TASI equivalenti o inferiori a quelli determinatisi con riferimento all'IMU relativamente alla stessa tipologia d'immobili;
   per lo stesso anno 2014 è stato attribuito ai comuni un contributo complessivo di 625 milioni di euro; la quota di spettanza di ciascun comune è stabilita con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno –:
   quali urgenti iniziative intenda porre in essere per garantire un carico d'imposta pari a quello del 2012 che permetta un'equa redistribuzione fiscale. (5-03732)


   GEBHARD e SCHULLIAN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 19, comma 4, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, ha previsto che con regolamento, da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle attività produttive e con il Ministro dell'interno, si procede alla revisione organica della disciplina dei concorsi e delle operazioni a premio, nonché delle manifestazioni di sorte locali;
   il decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 2001, n. 430, recante il regolamento di revisione organica in materia di giochi di cui sopra, all'articolo 12 rimandava all'articolo 124 del regio decreto-legge 19 ottobre 1938, n. 1933, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 1939, n. 973, come da ultimo sostituito dall'articolo 19, comma 5, lettera c), della legge 27 dicembre 1997, n. 449, in riferimento alle sanzioni da applicare in caso di effettuazioni di concorsi o operazioni a premio in violazione della normativa applicabile;
   il suddetto articolo 124 prevedeva un sistema sanzionatorio proporzionato all'ammontare dell'imposta sul valore aggiunto dovuta e comunque non inferiore ai vecchi cinque milioni di lire in caso di effettuazione di concorsi ed operazioni a premio vietati e, in caso di difetto di preventiva comunicazione al Ministero, una sanzione amministrativa da quattro a venti milioni di lire, dimezzabile qualora la comunicazione fosse stata inviata prima dell'accertamento della violazione;
   l'articolo 12 del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009, n. 77, al comma 1, lettera o), attualmente vigente, ha previsto, invece, la sanzione amministrativa da euro cinquantamila ad euro cinquecentomila in caso di effettuazione di concorsi ed operazioni a premio di cui è vietato lo svolgimento, stabilendo altresì che la sanzione sia estesa anche a tutti i soggetti che in qualunque modo partecipano all'attività distributiva di materiale di tali manifestazioni a premio e di operazioni a premio vietati, nonché il raddoppio della sanzione «nel caso in cui i concorsi e le operazioni a premio siano continuati quando ne è stato vietato lo svolgimento»;
   l'attuale sistema sanzionatorio per i concorsi o le operazioni a premio non differenzia quindi più l'entità della trasgressione, né il tipo di premio offerto, con la conseguenza che si rischia di incorrere in sanzioni dai cinquantamila euro ai cinquecentomila euro anche in caso di una violazione commessa per l'effettuazione di un concorso o un'operazione a premio del valore di pochi euro;
   l'articolo 12, comma 1, lettera o), del decreto-legge n. 39 del 2009 è dunque seriamente sospettato di incostituzionalità per violazione dei princìpi di proporzionalità, ragionevolezza e parità di trattamento, sanciti dall'articolo 3 della Costituzione, in quanto sanziona i trasgressori con importi sproporzionati al valore della violazione rilevata;
   inoltre il sistema sanzionatorio appena delineato, nel comminare sanzioni assolutamente sproporzionate, mette in serio pericolo la stessa sopravvivenza di piccoli imprenditori che effettuano concorsi a premio di esiguo valore, senza la preventiva comunicazione, ignorando la normativa applicabile;
   sarebbe più opportuno, ad avviso degli interroganti, ripristinare il precedente sistema sanzionatorio, proporzionato al valore dei premi offerti sulla base del mancato versamento dell'IVA dovuta, oppure valutare se la violazione commessa riguardi casi di elusione del monopolio statale sui giochi o coincida con attività di gioco riservate allo Stato, prevedendo solo per queste fattispecie sanzioni amministrative elevate –:
   se ritenga necessario assumere iniziative normative dirette a rivedere il sistema sanzionatorio da ultimo introdotto con l'articolo 12, comma 1, lettera o), del decreto-legge n. 39 del 2009, commisurando la sanzione all'entità dell'elusione e limitando le sanzioni superiori a cinquantamila euro solo ai concorsi a premio per i quali sia stata accertata la coincidenza con attività di gioco riservate allo Stato o l'elusione del monopolio statale sui giochi. (5-03733)


   SOTTANELLI e MATARRESE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'anno 2012 è stato indetto il bando di concorso pubblico, per titoli ed esami, per il reclutamento di 750 allievi finanzieri della Guardia di finanza, riservato, ai sensi dell'articolo 2199 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, ai volontari delle Forze armate in ferma prefissata di un anno (cosiddetto VFP1) o quadriennale (cosiddetto VFP4) ovvero in rafferma annuale (cosiddetto VFP1T), in servizio o in congedo (Gazzetta Ufficiale 4a Serie Speciale – Concorsi ed Esami n. 28 del 10 aprile 2012);
   le graduatorie finali di merito sono state pubblicate in data 21 febbraio 2013; i vincitori sono 750 mentre gli idonei in soprannumero sono 789;
   il 21 ottobre 2013 è stata avviata al corso di formazione per allievi finanzieri una prima aliquota di 327 vincitori per l'arruolamento diretto del concorso, definita in maniera proporzionale tra i contingenti e le specializzazioni a concorso nell'ordine delle graduatorie finali di merito così composta:
    a) per il contingente ordinario, da 282 candidati;
    b) per il contingente ordinario, specializzazione «tecnico di soccorso alpino (S.A.G.F.)», da 15 candidati;
    c) per il contingente mare, specializzazione «nocchiere», da 18 candidati;
    d) specializzazione «operatore di sistema», da 12 candidati;
   restano ancora da avviare al corso di formazione la restante parte di 310 allievi vincitori, la seconda aliquota di 113 unità da rendere disponibili per la ferma quadriennale nelle forze armate ed eventualmente, in base alle necessità, il totale degli idonei ovvero 769 unità la cui graduatoria è stata prorogata da successivi provvedimenti governativi;
   il comma 4 dell'articolo 4 del testo del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, con la legge di conversione 30 ottobre 2013, n. 125, recante: «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni» (13A08778) (Gazzetta Ufficiale Serie generale n. 255 del 30 ottobre 2013), infatti, ha disposto la proroga delle graduatorie dei concorsi pubblici, e quindi anche del predetto concorso per la guardia di finanza, così come segue: «4. L'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, vigenti alla data di "entrata in vigore" del presente decreto, relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni, è prorogata fino al "31 dicembre 2016"»;
   tenuto conto del rilevante numero di idonei al concorso oggetto del presente atto, l'indizione di un ulteriore concorso per il reclutamento di nuovi allievi finanzieri rischierebbe di aggravare di ulteriori costi le casse dello Stato;
   il comma 3 dell'articolo 4 del decreto — legge 31 agosto 2013, n. 101, dispone, infatti, quanto segue: «3. Per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, gli enti pubblici non economici e gli enti di ricerca, l'autorizzazione all'avvio di nuove procedure concorsuali, ai sensi dell'articolo 35, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, è subordinata alla verifica:
    a) dell'avvenuta immissione in servizio, nella stessa, amministrazione, di tutti i vincitori collocati nelle proprie graduatorie vigenti di concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato per qualsiasi qualifica, salve comprovate non temporanee necessità organizzative adeguatamente motivate;
    b) dell'assenza, nella stessa amministrazione, di idonei collocati nelle proprie graduatorie vigenti e approvate a partire dal 1o gennaio 2007, relative alle professionalità necessarie anche secondo un criterio di equivalenza;
   a conferma di quanto citato nel precedente punto di premessa, l'adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 28 luglio 2011 n. 14, ai sensi dell'articolo 99, comma 5, del codice del processo amministrativo, disponeva quanto segue: «In presenza di graduatorie concorsuali valide ed efficaci, l'amministrazione, se stabilisce di provvedere alla copertura dei posti vacanti, deve motivare la determinazione riguardante le modalità di reclutamento del personale, anche qualora scelga l'indizione di un nuovo concorso, in luogo dello scorrimento delle graduatorie vigenti»; in questo modo, i giudici sono intervenuti sulla vexata quaestio concernente la necessità o meno di motivare la scelta di indire un nuovo concorso piuttosto che utilizzare una graduatoria ancora valida ed efficace;
   le disposizioni del decreto legislativo 24 giugno 2014, n. 90, coordinato con le modifiche della legge 11 agosto 2014, n. 11, hanno già consentito l'immissione in ruolo di idonei appartenenti al Corpo di polizia tramite lo scorrimento delle relative graduatorie di concorso evitando, in questo modo, l'indizione di un nuovo bando con conseguenti spese per lo Stato –:
   se rientri nelle linee politiche del Governo la volontà di autorizzare le assunzioni di personale della Guardia di finanza attingendo alla graduatoria dei vincitori e degli idonei relative al concorso citato in premessa ed in particolare immettendo in ruolo le aliquote composte rispettivamente da 310 e 113 unità e prevedendo la graduale immissione in ruolo dei restanti 789 idonei. (5-03734)


   VILLAROSA, PESCO, ALBERTI, BARBANTI, PISANO, RUOCCO e CANCELLERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 ottobre 2011 il deputato Maurizio Turco ha presentato l'interrogazione n. 4-13579, inerente ai benefici previdenziali introdotti anche a favore dei lavoratori di attività non soggette all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali;
   contestualmente, nello stesso atto di sindacato ispettivo, il deputato Turco chiedeva ai Ministri dell'interno, della difesa, dell'economia e delle finanze, della giustizia, delle politiche agricole alimentari e forestali, se esistevano siti non ancora bonificati dal pericolo dell'amianto e, nonostante questa presenza pericolosissima, se tali siti erano regolarmente utilizzati dalle personale dipendente del compartimento sicurezza-difesa;
   contrariamente agli altri ministeri, il Ministero dell'economia e delle finanze non ha dato alcuna risposta all'interrogazione in quanto carente di elementi informativi in merito alla specifica materia, cioè non era a conoscenza di quanti e quali siti regolarmente utilizzati dalla Guardia di Finanza presentavano il problema della presenza di amianto;
   in un'altra interrogazione, la numero 4-07847, presentata sempre nella scorsa legislatura in data 3 luglio 2012, la senatrice Dorina Bianchi evidenziava come nella caserma Cefalonia-Corfù, che insiste su un'area demaniale di circa sei ettari in un quartiere di Roma ad alta densità abitativa, in concessione al Comando generale della guardia di finanza dal 28 marzo 1958, fosse ancora presente amianto, ipotizzando anche un probabile rapporto di causa effetto con una certa incidenza di patologie asbesto-correlate tra i militari della Guardia di finanza –:
   sulla base delle informazioni in possesso del Ministero dell'economia e delle finanze, quali e quanti sono i siti, abitualmente utilizzati dal personale in forza alla Guardia di finanza, che ancora oggi sono interessati dalla presenza di amianto, specificando nel dettaglio le quantità di amianto presenti ed accertate per ciascuno di essi, le misure adottate o che si intende adottare, per quanto di propria competenza, per la relativa bonifica nonché i tempi previsti per la conclusione delle procedure di bonifica. (5-03735)


   MAIETTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati dell'Agenzia delle entrate nelle banche della Confederazione elvetica sarebbero depositati 125 miliardi di euro di cittadini italiani, in prevalenza in istituti bancari di Lugano, Bellinzona, Locarno e Chiasso;
   già da alcuni anni sono avviate le trattative tra Italia e Svizzera per giungere ad un accordo che permetta al nostro Paese di incassare almeno una parte dei proventi fiscali derivanti dai capitali nascosti nella Confederazione;
   nello scorso mese di maggio, nell'ambito di un incontro svoltosi a Bellinzona tra i rappresentanti delle parti sociali e del governo ticinese e la Consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf per discutere sulle questioni riguardanti le trattative per raggiungere l'accordo fiscale tra Italia e Svizzera, la stessa Consigliera aveva dichiarato che la firma dell'accordo fiscale tra i due Paesi non ci sarebbe stato prima dell'estate a causa di «un prolungamento di 2-3 mesi del tempo di trattative a causa della discussione della legge sul voluntary disclosure, che sarà votata dal parlamento italiano non prima di giugno», ma da allora dell'Accordo non vi è stata più alcuna notizia;
   nel frattempo, nello stesso mese di maggio 2014, la Svizzera ha firmato un accordo con l'Ocse per lo scambio automatico di informazioni, sancendo di fatto la fine di un'era e stringendo sempre di più il cerchio intorno agli evasori che avevano fatto della federazione elvetica il loro paradiso fiscale all'interno della vecchia Europa;
   pur non fissando tale accordo alcun termine entro il quale adeguarsi concretamente agli standard internazionali di scambio automatico, la data ultima indicata negli accordi precedenti per riportare nel Paese di origine i dati degli investitori è stata finora quella del settembre 2017, mentre la richiesta di informazioni potrà comunque iniziare a partire da dicembre del 2015;
   la frode fiscale e l'evasione privano i Governi di entrate necessarie per far ripartire la crescita e minano la fiducia dei cittadini nell'equità e integrità del sistema fiscale, e in questo senso il deposito di ingenti capitali italiani in Svizzera è emblematico e deve essere assolutamente e tempestivamente risolto –:
   a che punto siano le trattative per tale accordo e per quando ne sia prevista la firma, nonché quali altre misure il Governo stia elaborando per risolvere l'annosa questione della fuga di capitali, e la conseguente massiccia evasione fiscale, nella Confederazione elvetica. (5-03736)


   CAUSI e GUERRA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 639, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, prevede l'istituzione l'imposta unica comunale (IUC). Essa si basa su due presupposti impositivi, uno costituito dal possesso di immobili e collegato alla loro natura e valore e l'altro collegato all'erogazione e alla fruizione di servizi comunali. La IUC si compone dell'imposta municipale propria (IMU), di natura patrimoniale, dovuta dal possessore di immobili, escluse le abitazioni principali, e di una componente riferita ai servizi, che si articola nel tributo per i servizi indivisibili (TASI), a carico sia del possessore che dell'utilizzatore dell'immobile, e nella tassa sui rifiuti (TARI), destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, a carico dell'utilizzatore;
   il comma 688 del medesimo articolo 1 dispone che il versamento della TASI sia effettuato secondo le disposizioni di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241;
   sulla base delle aliquote deliberate dal Comune dove è ubicato l'immobile il contribuente deve provvedere, per il 2014 in autoliquidazione, al versamento dell'imposta dovuta;
   con risoluzione n. 46/e dell'Agenzia delle entrate del 24 aprile 2014, sono stati istituiti i necessari codici tributo per consentire il versamento della TASI tramite modello F24;
   le scadenze per il versamento della TASI per l'anno 2014 sono state rimodulate dal decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, che ha fissato diversi termini per il pagamento del tributo da parte dei contribuenti, a seconda della tempestività del Comune nell'adozione e comunicazione al Ministro dell'economia e delle finanze delle delibere e dei regolamenti relativi al tributo stesso;
   in particolare, la nuova disciplina stabilisce che i contribuenti siano tenuti al pagamento della prima rata della TASI entro il 16 giugno 2014, sulla base delle deliberazioni di approvazione delle aliquote e delle detrazioni pubblicate sul sito informatico del Ministero dell'economia e delle finanze alla data del 31 maggio 2014, con obbligo per i comuni di inviare dette deliberazioni entro il 23 maggio 2014, in caso di mancato invio delle deliberazioni entro il predetto termine, il versamento della prima rata della TASI va effettuato entro il prossimo 16 ottobre 2014, sulla base delle deliberazioni concernenti le aliquote e le detrazioni, nonché dei regolamenti TASI pubblicati nello stesso sito, alla data del 18 settembre 2014; per i comuni che non hanno inviato la deliberazione entro il 10 settembre 2014, i contribuenti sono tenuti al versamento dell'imposta in un'unica soluzione entro il 16 dicembre 2014, applicando l'aliquota di base pari all'1 per mille;
   l'articolo 1, comma 133, della legge 7 aprile 2014, n. 56, prevede, per i comuni risultanti da una fusione, ove istituiscano municipi, la possibilità di mantenere tributi e tariffe differenziati per ciascuno dei territori degli enti preesistenti alla fusione, non oltre l'ultimo esercizio finanziario del primo mandato amministrativo del nuovo comune –:
   se non ritenga utile chiarire che la modalità di pagamento con il modello F24 secondo le disposizioni di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 è utilizzabile per il pagamento di più imposte in scadenza, ivi incluso l'acconto della TASI, nonché a consentire che, nel caso, ai fini dell'applicazione dell'articolo 1, comma 133 della legge 7 aprile 2014, n. 56, sia possibile indicare il codice ente utilizzato prima del processo di fusione. (5-03737)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dopo che il 3 aprile 2014 il Parlamento europeo era intervenuto per regolare, con l'apposizione di un tetto-soglia, le commissioni che le banche addebitano ai commercianti per il perfezionamento dei pagamenti con carte di credito e carte di debito, anche la Corte di giustizia europea è intervenuta sull'argomento, respingendo, con la sentenza C-382/12, il ricorso presentato da MasterCard contro la precedente sentenza del 24 maggio 2012 del Tribunale Ue, e dichiarando che le Cim (cioè le «commissioni interbancarie multilaterali» versate dalla banca dell'esercente a quella dell'acquirente) «danno origine ad una restrizione della concorrenza sui prezzi tra le banche di affiliazione a danno degli esercenti e dei loro clienti», con effetti negativi anche sugli scambi tra Stati membri, e che pertanto, in quanto illegittime, non vanno applicate;
   già in precedenza numerose indagini, condotte anche da autorità Antitrust, avevano dimostrato che l'elevato livello delle commissioni interbancarie produce effetti anticoncorrenziali ed alti costi per gli esercenti commerciali (che poi li riversano sui prezzi finali), ostacolando in tal modo la diffusione dei sistemi di pagamento alternativi e meno costosi, in grado di rendere più semplice la vita dei consumatori e di generare più transazioni per i commercianti;
   il costo delle Cim, applicato non in tutti i Paesi e in maniera difforme (in certi Paesi incidono solo sulle operazioni transfrontaliere, in altri su tutte le transazioni), viene imputato agli esercenti nell'ambito più generale delle spese a loro fatturate per l'utilizzo delle carte di credito, e spesso finisce per essere ricaricato dagli stessi sul prezzo finale del prodotto, a tutto danno del consumatore finale, costituendo, per questo, una restrizione alla concorrenza sui prezzi;
   il pronunciamento della Corte di giustizia europea si tradurrà in un immediato beneficio sul piano economico, se si pensa che oggi sono molti i piccoli commercianti che, per importi ridotti, preferiscono rinunciare alla transizione a mezzo di moneta elettronica dati dagli alti costi delle commissioni che comporta: pertanto, l'abolizione di tali oneri, per lo più applicati da Visa e Mastercard, i due circuiti di pagamento mondiale che da soli rappresentano oltre il 95 per cento delle transazioni effettuate all'interno dell'Unione europea, produrrà benefici soprattutto per la libera concorrenza, permettendo lo sviluppo di sistemi più efficienti e migliorando la trasparenza dei costi;
   già lo scorso anno l'Abi (Associazione bancaria italiana) ha avuto modo di dichiarare, a proposito dell'approccio contrario alle Cim da parte della Commissione europea che: «se per Bruxelles le commissioni sono negative per la concorrenza, il costo delle carte di pagamento rischia di aumentare a discapito dei possessori», lasciando in tal modo intendere che la disapplicazione delle Cim comporterà inevitabili ripercussioni sui consumatori, dato che le banche scaricheranno le minori entrate interamente sui correntisti –:
   alla luce della suddetta sentenza, secondo la quale una maggiore quanto auspicata diffusione della moneta elettronica deve passare necessariamente attraverso l'abolizione delle commissioni interbancarie multilaterali, come intenda intervenire, anche di concerto con l'Abi, per garantire la piena ottemperanza al suddetto pronunciamento della Corte di giustizia, al fine di rendere immediatamente e pienamente fruibili per consumatori ed esercenti i minori costi che ne derivano. (5-03738)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 luglio 2014 il Consiglio direttivo della Banca centrale europea ha deciso che i tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale rimarranno invariati rispettivamente allo 0,15 per cento, allo 0,40 per cento e a -0,10 per cento;
   contestualmente, la BCE ha definito i dettagli tecnici delle operazioni di rifinanziamento a lungo termine (Targeted Long-Term Refinancing Operations, TLTROs): si tratta di prestiti a un tasso di 10 punti base sopra quello di riferimento (dunque lo 0,25 per cento) con scadenza a 4 anni fino a giugno 2016, per un ammontare complessivo di mille miliardi di euro;
   l'obiettivo è, in particolare, di migliorare il sostegno del credito bancario all'economia reale: infatti, in questo caso i prestiti sono vincolati alla concessione di crediti a famiglie e imprese: se non soddisfano questa condizione, le banche dovranno restituire i fondi dopo i primi due anni;
   il Bollettino economico della Banca d'Italia di luglio 2014 evidenziava dei miglioramenti del credito in Italia, seppure lenti. In proposito l'Istituto sottolinea come vi siano sono segnali di miglioramento delle condizioni del credito, ma ancora marginali e incerti. I sondaggi più recenti presso le imprese indicano un'attenuazione delle difficoltà di accesso ai finanziamenti bancari; i prestiti al settore privato continuano però a ridursi, risentendo anche del debole quadro congiunturale. Il costo del credito per le società non finanziarie è in calo, ma resta superiore a quello dell'area dell'euro di circa 70 punti base;
   la legge di stabilità 2014 istituisce e disciplina, nell'ambito dei fondi che costituiscono il Sistema nazionale di garanzia, il Fondo di garanzia per la prima casa, finalizzato alla concessione di garanzie su mutui ipotecari o su portafogli di mutui ipotecari; esso assorbe attività e passività del Fondo per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori, contestualmente soppresso. Istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze, il Fondo è volto alla concessione di garanzie, a prima richiesta, su singoli mutui ipotecari o su portafogli di mutui ipotecari (tale previsione di garanzia collettiva è innovativa rispetto alla disciplina del Fondo per le giovani coppie). Al Fondo sono attribuiti 200 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016. Per quanto riguarda la garanzia del Fondo, essa può essere concessa nella misura massima del 50 per cento della quota capitale sui finanziamenti connessi all'acquisto e agli interventi di ristrutturazione e accrescimento dell'efficienza energetica, di unità immobiliari da adibire ad abitazione principale;
   inoltre, specifiche misure di sostegno all'accesso all'abitazione e al settore immobiliare sono contenute nell'articolo 6 del decreto-legge n. 102 del 2013, che disciplina, in primo luogo, l'intervento di Cassa depositi e prestiti spa. Sotto un primo profilo, Cassa depositi e prestiti opererà mettendo a disposizione degli istituti di credito italiani, nonché delle succursali di banche estere comunitarie ed extracomunitarie operanti in Italia e autorizzate all'esercizio dell'attività, una base di liquidità – mediante l'utilizzo dei fondi della raccolta del risparmio postale – per erogare nuovi finanziamenti espressamente destinati a mutui, garantiti da ipoteca, su immobili residenziali, con priorità per quelli finalizzati all'acquisto dell'abitazione principale nonché ad interventi di ristrutturazione ed efficientamento energetico. A tal fine le banche possono contrarre finanziamenti secondo contratti tipo definiti con apposita convenzione tra la Cassa depositi e prestiti spa e l'Associazione bancaria italiana. Sotto un diverso versante, Cassa depositi e prestiti interverrà acquistando obbligazioni bancarie garantite (covered bond) a fronte di portafogli di mutui garantiti da ipoteca su immobili residenziali e/o titoli emessi nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto crediti derivanti da mutui garantiti da ipoteca su immobili residenziali, per favorire la diffusione di tali strumenti presso le banche autorizzate al fine di aumentarne le disponibilità finanziarie per l'erogazione di finanziamenti ipotecari;
   la richiamata norma incrementa di 20 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2014 e 2015, la dotazione del Fondo di solidarietà per i mutui per l'acquisto della prima casa ed estende, a decorrere dall'anno 2014, la platea dei beneficiari del Fondo per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa (istituito dal decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 e confluito, con la legge di stabilità nel citato Fondo di garanzia per la prima casa), incrementando la dotazione del Fondo di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015;
   nella Gazzetta Ufficiale n. 209 del 6 settembre 2013 è stato pubblicato il decreto 24 giugno 2013, n. 103, recante la disciplina del Fondo per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali;
   accanto alle iniziative di natura legislativa, si rammenta in questa sede l'Accordo per una misura straordinaria di sostegno alle famiglie in difficoltà a seguito della crisi, firmato per la prima volta il 18 dicembre 2009 dall'ABI e dalle Associazioni dei consumatori e successivamente prorogato nel tempo (da ultimo, fino a marzo 2013), che disponeva la sospensione del rimborso delle rate di mutuo per almeno 12 mesi a specifiche condizioni;
   nonostante la BCE sia recentemente riuscita a immettere nuova liquidità in favore delle imprese e delle famiglie, per quanto risulta all'interrogante, le banche continuano ad essere molto restie nel concedere credito soprattutto nei confronti delle famiglie;
   la questione appare, invece, diversa per quanto attiene alle imprese rispetto alle quali vige un sistema di garanzie statali rappresentato dal Fondo centrale di garanzia che funziona con una certa efficacia anche rispetto alle startup;
   analogamente a quanto accade per le imprese, potrebbe essere auspicabile stabilire un intervento più ampio da parte della Cassa depositi e prestiti a sostegno delle famiglie in sofferenza economica;
   si segnala, inoltre, l'opportunità di valutare l'adozione di ogni iniziativa di competenza tesa a rimuovere la cosiddetta «commissione disponibilità fondi»;
   la commissione disponibilità fondi (o fidi o creditizia) è una nuova commissione applicata dal 3o trimestre 2009 sui fidi concessi, oppure sugli utilizzi dei fidi concessi, in sostituzione delle spese precedentemente applicate a titolo di concessione e istruttoria fidi, che sono state eliminate (compresi i diritti di segreteria). In pratica, la commissione viene fatta pagare per la possibilità che la banca fornisce al Cliente di avere o utilizzare un fido. Viene calcolata trimestralmente, attraverso applicazione di una aliquota percentuale sui fidi oppure sull'utilizzo dei fidi concessi. Seppure venga riportata nei documenti di sintesi, periodicamente spediti al cliente, è poco chiaro il meccanismo di applicazione e ancor meno trasparente il conteggio eseguito dalla banca che provvede a riportarla nello scalare di conto corrente, assieme a tutte le altre competenze, oppure addebitarla direttamente in conto corrente, senza far capire la maggior parte delle volte su cosa venga calcolata. Praticamente, è stata introdotta dalle banche per sopperire alle minori entrate che gli garantiva la Commissione di massimo scoperto (CMS), il cui campo di attuazione è stato ridimensionato dall'articolo 2-bis del decreto-legge n. 185 del 2009 come convertito dalla legge 2 del 2009, che la prevede solo nel caso di utilizzi (saldi negativi) entro fido per almeno 30 giorni consecutivi ed escludendone l'applicazione oltre o in assenza di fido. Per, questi casi, le banche hanno inventato un'altra nuova commissione, definita Commissione o indennità di sconfinamento, addebitata normalmente in funzione del numero dei giorni di utilizzo o sulla base dei numeri debitori prodotti in extra-fido;
   sostanzialmente, la quasi eliminazione della commissione massimo scoperto ha spianato il campo alle banche per poter applicare queste due nuove commissioni, peggiorando di gran lungo il peso degli oneri finanziari a carico delle aziende, che proprio in questo periodo, invece, avrebbero bisogno di tutto fuorché sistemare i bilanci delle banche, che si trovano nella invidiabile posizione di aver ridotto fortemente l'accesso e la concessione del credito aumentandone contestualmente il costo in capo all'azienda richiedente;
   per quanto risulta all'interrogante, le banche oggi applicano alle aziende e ai privati una commissione su disponibilità fondi che va dallo 0,10 allo 0,50 per cento ogni 3 mesi, utilizzandone peraltro le risorse rinvenienti per pagare debiti propri della stessa banca, il che non appare assolutamente giusto –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere alla luce di quanto descritto nel presente atto di sindacato ispettivo;
   se il Governo non intenda sviluppare ulteriori misure atte alla concessione di nuovo credito nei confronti delle famiglie in sofferenza economica anche attraverso ad un ampliamento degli interventi sino ad oggi attivati da parte della Cassa depositi e prestiti anche attraverso la costituzione di un apposito Fondo di garanzia;
   se e quali iniziative di competenza anche normativa intenda assumere con riferimento all'opportunità di rimuovere la cosiddetta «commissione su disponibilità fondi». (4-06294)


   NESCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 7 dicembre 2012 il comune di Mongiana (Vibo Valentia) acquisì istanza di autorizzazione Pas (Procedura abilitativa semplificata), presentata ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 28 del 2011 e della delibera di giunta regionale della Calabria n. 81 del 13 marzo 2012, dall'ingegner Roberto Testa, procuratore della società Enel Green Power spa con sede legale a Roma, per la costruzione e l'esercizio dell'impianto di produzione di energia elettrica a biomassa denominato «Mongiana», di potenza prevista pari a 300 chilowatt, da realizzare in località Cropani-Micone all'interno di un'area individuata nel nuovo catasto terreni al foglio 5 con la particella n. 211 e con asservimento delle particelle n. 229 e 260, zona «E» (verde agricolo) del programma di fabbricazione;
   una variante Pas fu acquisita dal comune di Mongiana il 5 dicembre 2013, con i relativi elaborati;
   il 10 marzo 2014 fu rilasciato dal comune di Mongiana attestato di variante non sostanziale, ai sensi del decreto legislativo n. 28 del 2011, articolo 5, comma 3;
   seguirono l'acquisizione da parte del municipio di ulteriori integrazioni e la disposizione di pagamento, da parte del proponente, di 10.258,13 euro per gli oneri di urbanizzazione di cui all'articolo 19, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001;
   il contratto di costituzione di diritti reali sulla superficie occupata a favore di Enel Green Power spa fu sottoscritto il 26 marzo 2014, autenticazione operata dal notaio Maria Stella Tigani, con studio in Serra San Bruno (Vibo Valentia), e registrazione a Vibo Valentia il 15 aprile 2014;
   l'8 maggio 2014, il responsabile dell'ufficio tecnico del comune di Mongiana, geometra Domenico Potami, rilasciò permesso di costruire, con una serie di prescrizioni, tra le quali, al punto n. 14, l'adozione di «tutte le cautele (nell'osservanza delle vigenti disposizione di legge e regolamenti) e tutte le precauzioni allo scopo di evitare incidenti e danni alle cose e alle persone»;
   con nota del 12 giugno 2014 – indirizzata al sindaco del comune di Mongiana, al capo della procura della Repubblica di Vibo Valentia, al prefetto di Vibo Valentia, al comandante della compagnia dei carabinieri e al dirigente del commissariato di San Bruno, nonché al comandante provinciale del Corpo forestale dello Stato – il comitato civico «Mongiana salute», scrisse, circa la costruzione del succitato impianto, dell'ubicazione «a ridosso delle case», lamentando che la precedente amministrazione comunale accolse l'opera «senza il benché minimo rispetto delle leggi vigenti in materia», nonché l'esistenza di una distanza minima dalle case di appena «cinquanta» metri, la quale appare obiettivamente fuori di ogni dettato normativo;
   della medesima nota del comitato civico «Mongiana salute» è data notizia sul giornale Il Quotidiano della Calabria del 15 giugno 2014, a pagina 27 dell'edizione di Vibo Valentia;
   con la legge n. 108 del 16 marzo 2001, in Italia è stata ratificata la convenzione di Aarhus sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale, la quale prevede che l'amministrazione pubblica si curi di informare il pubblico interessato nella fase iniziale del processo decisionale in materia ambientale, ciò in modo adeguato, tempestivo ed efficace, mediante pubblici avvisi o individualmente;
   l'articolo 6 della suddetta convenzione prescrive che le informazioni riguardino, in particolare, l'attività proposta e la richiesta su cui sarà presa una decisione, la natura delle eventuali decisioni o il progetto di decisione, l'autorità pubblica responsabile dell'adozione della decisione, la procedura prevista, ivi compresi – nella misura in cui tali informazioni possano essere fornite – la data d'inizio della procedura, le possibilità di partecipazione offerte al pubblico, la data e il luogo delle audizioni pubbliche eventualmente previste, l'indicazione dell'autorità pubblica cui è possibile rivolgersi per ottenere le pertinenti informazioni e presso la quale tali informazioni sono state depositate per consentirne l'esame da parte del pubblico, l'indicazione dell'autorità pubblica o di qualsiasi altro organo ufficiale cui possono essere rivolti osservazioni e quesiti nonché i termini per la loro presentazione, l'indicazione delle informazioni ambientali disponibili sull'attività proposta, l'assoggettamento dell'attività in questione ad una procedura di valutazione dell'impatto ambientale a livello nazionale o transfrontaliero –:
   se siano a conoscenza dei qui fatti narrati;
   quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intendano assumere per garantire il rispetto della convenzione di Aarhus, ratificata con la legge n. 108 del 2001, anche per consentire che la popolazione sia edotta su possibili rischi di salute od incolumità, in considerazione della distanza della centrale in costruzione dalle case abitate, e possa quindi intervenire, all'occorrenza, con gli strumenti di legge. (4-06297)


   PRODANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 31 luglio 2014 è entrata in vigore la legge di conversione 29 luglio 2014, n. 106, del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, relativo a disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo;
   durante l'esame del disegno di legge di conversione del decreto è stato approvato dalle commissioni riunite cultura e attività produttive un emendamento recante l'articolo aggiuntivo 13-bis, presentato dall'interrogante, che intendeva introdurre modifiche normative al regime di tax free shopping vigente prevista dall'articolo 38-quater del decreto del Presidente della Repubblica n. 793 del 1981 che disciplina lo sgravio dell'IVA per i soggetti domiciliati e residenti fuori della Unione europea, in pratica i turisti extracomunitari;
   a seguito del parere vincolante della Commissione bilancio, l'articolo aggiuntivo è stato riscritto prevedendo l'istituzione di un gruppo di lavoro sul tax free shopping, da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, al fine di «individuare princìpi e criteri per la disciplina dei contratti di intermediazione finanziaria tax free shopping, per la corretta applicazione dell'articolo 38-quater del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, al fine di individuare risorse da destinare alle attività di promozione del turismo»;
   tale gruppo – costituito da rappresentanti del Ministero dell'economia e delle finanze, del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, del Ministero della giustizia, del Ministero degli affari esteri e del Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri – avrebbe dovuto essere istituito, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, entro 45 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione n. 106 del 2014;
   inoltre, secondo l'articolo 13-bis entro cinque mesi dall'inizio della propria attività il gruppo summenzionato – cui non sono corrisposti gettoni, compensi, rimborsi di spese o altri emolumenti – deve concludere i propri lavori e formulare proposte operative al Ministero dell'economie e delle finanze e al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   il termine dei 45 giorni è spirato e ad oggi il Ministero dell'economia e delle finanze non ha ancora istituito il gruppo di lavoro;
   a detta dell'interrogante questo ritardo, immotivato e inspiegabile, nuoce gravemente a un settore che necessita di opportuni chiarimenti normativi;
   in base a un meccanismo previsto dall'articolo 38-quater del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, infatti, il commerciante può decidere di ricorrere a un operatore di servizi tax free shopping invece di procedere nel punto vendita allo sgravio immediato dell'IVA in favore del turista extracomunitario nel caso di spese superiori a 154,95 euro legate all'acquisto di beni di uso personale o familiare;
   il problema riguarda proprio l'entità dell'effettivo rimborso effettuato dalle società di tax free shopping che non copre tutto il valore dell'IVA cui lo Stato rinuncia e che la normativa vigente prevede debba essere restituito al turista in uscita dal territorio nazionale entro 3 mesi dall'acquisto. Questo «differenziale», che non è fissato da alcuna disposizione di legge, raggiunge e a volte supera il 30 per cento dell'importo dell'IVA dovuta;
   secondo le informazioni sul fatturato annuale forniti dall'operatore che gestisce l'80 per cento delle transazioni di rimborso tax free shopping in Italia (Global Blue) – pari ad oltre 6 miliardi di euro nel 2013 – tale differenziale si colloca tra i 280 e i 320 milioni di euro;
   le criticità legate al ricorso di operatori di servizi tax free shopping risultano evidenti utilizzando il cosiddetto refund calculator pubblicato sul sito www.globalblue.com, dove si può anche constatare che, a parità di importo speso, i rimborsi riconosciuti in Italia (dove l'IVA vigente è 22 per cento) sono inferiori ai rimborsi che il medesimo operatore riconosce ad esempio in Spagna, dove l'IVA vigente è al 21 per cento;
   le uniche soluzioni possibili, secondo l'interrogante che le ha presentate in forma di emendamenti al disegno di legge di conversione del decreto legge n. 83 del 2014, sono due: mantenere l'assetto attuale dell'articolo 38-quater summenzionato, introducendo però limiti al differenziale ad oggi generato in favore degli operatori tax free shopping (nulla a che vedere con restrizioni ai margini di guadagno) oppure stabilire che il rimborso sia effettuato dall'Amministrazione dello Stato, che affida in concessione il servizio di sgravio a un operatore di servizi di pagamento, alle condizioni stabilite in un apposito capitolato di appalto;
   quest'ultima soluzione sembrerebbe preferibile, visto che eliminerebbe alla radice le criticità esaminate consentendo inoltre allo Stato di avere immediata contezza dei flussi turistico-commerciali provenienti dai Paesi emergenti, terzi all'Unione europea, oltre a un insieme di dati utili a tracciare una strategia promozionale coerente;
   l'operatività del gruppo di lavoro ministeriale, quindi, è quanto mai una priorità per porre ordine a una situazione che attualmente disincentiva gli acquisti dei turisti extracomunitari nel nostro Paese e contribuisce a ridurne l'appetibilità turistico-commerciale –:
   se il ministro interrogato intenda istituire immediatamente il gruppo di lavoro summenzionato per garantire entro cinque mesi l'adozione di soluzioni operative utili al rilancio del turismo dello shopping minato da «zone grigie» presenti nella normativa vigente. (4-06300)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SOTTANELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2477 del codice civile stabilisce, al comma 1, così come modificato dal comma 2 dell'articolo 35 del decreto legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, che l'atto costitutivo delle società a responsabilità limitata può prevedere, determinandone le competenze e i poteri, la nomina di un organo di controllo o di un revisore. Se lo statuto non dispone diversamente, l'organo di controllo è costituito da un solo membro effettivo;
   la nomina dell'organo di controllo o del revisore è obbligatoria, secondo le modifiche introdotte da ultimo dall'articolo 20, comma 8, del decreto legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, nei seguenti tre casi: a) se la società è tenuta alla redazione del bilancio consolidato; b) se la società controlla una società obbligata alla revisione legale dei conti; c) se la società per due esercizi consecutivi ha superato due dei limiti indicati dal primo comma dell'articolo 2435-bis, concernenti il totale dell'attivo dello stato patrimoniale, i ricavi delle vendite e delle prestazioni, i dipendenti occupati in media durante l'esercizio. L'obbligo di nomina cessa se per due esercizi consecutivi non sono superati tali limiti;
   l'articolo 2477 del codice civile, secondo le modifiche apportate dal citato comma 2 dell'articolo 35 del decreto legge n. 5 del 2012, dispone inoltre che nel caso di nomina di un organo di controllo, anche se monocratico, si applicano le disposizioni sul collegio sindacale previste per le società per azioni;
   il medesimo articolo stabilisce altresì che se l'assemblea della società a responsabilità limitata che approva il bilancio in cui vengono superati i limiti previsti non provvede, entro trenta giorni, alla nomina dell'organo di controllo o del revisore, vi provvede il tribunale su richiesta di qualsiasi soggetto interessato;
   nel caso di obbligo di nomina dell'organo di controllo (che può essere collegiale o monocratico) o del revisore (che può essere una persona fisica o una società di revisione) non risulta chiaro se la scelta tra le due ipotesi alternative comporti anche due diverse tipologie di controllo;
   un primo orientamento (Consiglio notarile di Milano, Comitato Triveneto dei consigli notarili) sostiene l'equivalenza del sindaco unico o collegio sindacale e del revisore attribuendo agli stessi equivalenti funzioni, cioè sia il controllo di gestione ex articolo 2403 del codice civile e successivi, sia la revisione legale dei conti;
   secondo altro orientamento, che risulta prevalente (Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e Consiglio nazionale del notariato), la situazione sarebbe invece la seguente: a) nell'ipotesi di nomina dell'organo di controllo (collegio sindacale o sindaco unico) a questo spetta il controllo di gestione ex articolo 2403 del codice civile e seguenti e, normalmente, salvo che lo statuto non disponga diversamente, anche la revisione legale dei conti; b) nell'ipotesi di nomina del revisore a questo spetta solo la revisione legale dei conti;
   pertanto, se così fosse, l'assemblea dei soci delle società a responsabilità limitata, al verificarsi dei casi previsti dal terzo comma del 2477 del codice civile, potrebbe decidere di optare per un sistema di controllo non solo soggettivamente diverso ma anche qualitativamente diverso, considerato che il revisore non può svolgere il controllo sulla gestione;
   quindi nell'ipotesi di nomina del revisore, essendo lo stesso un organo di controllo esterno alla società, oltre a non esercitare il controllo sulla gestione, non sarà nemmeno tenuto a partecipare alle assemblee e ai consigli di amministrazione –:
   se, alla luce di tali orientamenti difformi, non ritenga opportuno fare chiarezza, anche attraverso iniziative esplicative di natura normativa, in merito alle diverse tipologie di controllo nelle società a responsabilità limitata a seconda della nomina del collegio sindacale o del sindaco oppure del revisore. (5-03718)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DADONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la cosiddetta riforma della geografia giudiziaria così come attuata dai decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 e n. 156, recanti rispettivamente disposizioni concernenti la «Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148» e la «Revisione delle circoscrizioni giudiziarie - Uffici dei giudici di pace» è stata oggetto di un lungo dibattito, ancora oggi presente nel Paese, di sovente criticata e comunque al centro di numerose polemiche per i dubbi risultati;
   con decreto del Ministro della giustizia 19 settembre 2013 veniva istituito presso lo stesso Ministero un gruppo di lavoro per il monitoraggio della attuazione della riforma introdotta dai succitati decreti legislativi. Il gruppo di lavoro, noto anche come commissione di monitoraggio, in data 4 giugno 2014 ha presentato al Ministro della giustizia una relazione finale sulla nuova geografia giudiziaria evidenziando le criticità sollevate e rilevate da diverse realtà istituzionali e associative, tra cui ANCI, enti locali, esponenti di uffici accorpati e avvocatura, a fronte di una valutazione, tendenzialmente positiva quanto ovvia, da parte dei tribunali accorpanti;
   tra gli elementi di maggiore criticità sollevati è presente anche la lievitazione dei costi per le notifiche a mezzo degli ufficiali giudiziari. Si rileva come la stessa commissione non abbia avuto remore a derubricare come meramente «presunta» tale lievitazione di costi, qualche rigo oltre nella relazione finale si legge: «se il fenomeno può essere oggettivamente di facile comprensione nel suo insieme, va anche detto che allo stato non esistono elementi concreti per delinearne gli esatti contorni ed il reale impatto sulla pluralità degli utenti. È evidente quindi che, in assenza di una reale comprensione dei termini del problema, sia sotto il profilo delle tipologie di atto oggetto di notifica che, soprattutto, sul piano quantitativo, non è agevole immaginare interventi correttivi, eventualmente anche di tipo tariffario, atti ad eliminare, o quantomeno a ridurre gli effetti del lamentato aumento dei costi». La Commissione di monitoraggio quindi rimanda a ulteriori analisi e verifiche concrete e di per sé non può dirimere alcuna questione in merito ai dubbi, alle perplessità e alle oggettive problematiche che sono insorte o possono insorgere attorno alla riforma della geografia giudiziaria;
   altresì, nella medesima relazione finale si riportano le criticità e le proposte di soluzione presentate dall'ANCI nel corso delle audizioni, finalizzate ad affrontare il problema delle spese per i comuni accorpanti, dimostrando quindi che un nodo di gestione economico-finanziaria reale sussiste e, alla luce delle soluzioni non individuate dal Ministero della giustizia, persiste;
   di fatto, la commissione di monitoraggio rimanda una serie di valutazioni e di considerazioni al Ministro della giustizia, rimettendo allo stesso le decisioni non solo relative alle soluzioni da perseguire ma persino alle verifiche nel concreto ancora da svolgere al fine di delineare un quadro completo e adeguato della situazione;
   in una condizione di dubbia utilità e adeguatezza dei risultati ottenuti dalla verifica e dal monitoraggio del gruppo di lavoro, appaiono sempre più credibili le catastrofiche ipotesi lungamente sottolineate e rilanciate, sia prima che dopo l'approvazione dei decreti legislativi 155 e 156 del 2012, da parte degli addetti ai lavori oltre che dagli enti locali in merito a possibili collassi degli uffici giudiziari accorpati, all'aggravamento delle spese sugli utenti derivante dall'aumento di distanze, nonché all'ingolfamento delle procedure, anche le più semplici, a seguito degli accorpamenti;
   tra quelle nelle quali si sono registrati maggiori problemi si trova anche il tribunale di Asti, che secondo la ricostruzione giornalistica riportata in un articolo a firma di Donatella Stasio su il Sole 24 Ore dell'11 giugno 2014, sarebbe uno dei sette tribunali che potrebbero essere recuperati per poi essere trasformati in sezioni distaccate;
   a dispetto di quanto riportato dalla relazione finale del gruppo di lavoro del Ministero in merito al caso del tribunale di Asti, secondo cui: «La fusione è avvenuta senza particolari problemi e la macchina organizzativa ha funzionato nell'immediatezza a pieno regime, con soddisfazione di molti utenti e avvocati (fra cui anche rappresentanti del Foro albese, che hanno verbalmente espresso la propria contrarietà al ripristino della situazione pregressa).», di recente sono stati pubblicati i dati del Comitato per il tavolo delle autonomie (realtà locale che comprende settanta comuni e diverse associazioni di categoria) riportati anche dalla Confcommercio di Alba, città che ha visto il proprio tribunale essere accorpato a quello di Asti, che riportano un dato del tutto contrario a quanto riportato nella relazione finale;
   secondo il tavolo delle autonomie, infatti, come riportato da La Stampa - Cuneo del 22 settembre 2014, da Il Giornale del Piemonte del 23 settembre e dal sito web TargatoCn.it, prima dell'accorpamento il tribunale di Alba «provvedeva all'emissione del decreto in quattro giorni, mentre il tribunale di Asti impiega oggi, per lo stesso tipo di atto, quattro mesi»;
   disagi sono rilevati inoltre nell'ambito degli sfratti. Secondo i rilievi eseguiti, risulta che delle circa trecento richieste annuali di sfratto che gli uffici Unep di Alba e Bra ricevevano, oltre la metà si concludeva con il rilascio dell'immobile. A seguito dell'accorpamento invece il numero di casi di sgombero dell'immobile si sono ridotti al 20 per cento;
   i comprensibili disagi di tipo economico e finanziario oltre che operativo e logistico, si traducono sostanzialmente in un raddoppiamento e una triplicazione, in alcuni casi, dei costi da parte dei ricorrenti;
   infine, dai dati raccolti si rileva che in ambito di amministrazione di sostegno su richiesta di soggetti deboli come disabili o anziani, i tempi per evadere le richieste è passato dai quindici giorni del tribunale di Alba ai cinque-sei mesi impiegati dal tribunale di Asti;
   si tratta di condizioni di disagio che non interessano esclusivamente il caso piemontese, sono rinvenibili anche in altri casi nel resto del Paese, come il caso dell'accorpamento dei tribunali di Rossano e Castrovillari, in Calabria, o di Pieve di Cadore e Belluno, o di Terni e Orvieto. Casi in cui i costi sono aumentati a fronte di servizi peggiorati e tempi dilatati;
   alla luce di quanto descritto dai media e dalle associazioni locali, va segnalato il seguente passaggio presente nella relazione finale del Comitato di monitoraggio della geografia giudiziaria, peraltro evidenziato in grassetto, al fine di sottolinearne la presunta legittimità valutativa e la relativa importanza: «Va segnalato quanto agli esponenti degli Enti locali e dell'Avvocatura – tutti sentiti a specifica richiesta – che quelli espressione degli uffici giudiziari soppressi hanno prospettato criticità conseguenti alla revisione delle circoscrizioni, mentre i rappresentanti degli uffici giudiziari accorpanti hanno evidenziato i vantaggi e la maggior efficienza apportata dalla riforma [..]», come se ciò rappresentasse un elemento di paragone saliente e esauriente, ma che secondo l'interrogante evidentemente non è affatto adeguato né in termini di metodo né in termini di merita –:
   se il Ministro sia a conoscenza della reale condizione in cui versano i tribunali a livello nazionale e se sia a conoscenza dell'evidente incoerenza tra i dati oggettivi presentati e le valutazioni parziali riportate nella relazione;
   se, per questi casi, come per il caso del tribunale di Asti, non ritenga di intervenire al fine di svolgere una verifica e un monitoraggio più efficace e coerente con la realtà, e di conseguenza intraprendere le azioni più consone per tornare ad offrire servizi giudiziari idonei, con costi e tempi appropriati, ai cittadini e utenti. (4-06288)


   BUSINAROLO, ROSTELLATO, SPESSOTTO, COLLETTI, BENEDETTI e TURCO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la «riforma Severino» sulle sedi giudiziarie, entrata in vigore un anno fa, ha ampliato le competenze del tribunale di Rovigo su ben 32 comuni della bassa padovana, determinando una ingente mole di lavoro per gli uffici giudiziari e creando notevoli difficoltà di natura logistica e burocratica;
   le aule del tribunale, infatti, sono risultate insufficienti per fronteggiare tutta l'attività giudiziaria e il regolare svolgimento delle udienze e ciò ha portato al trasferimento dei settori del civile, del lavoro e dei fallimenti dal palazzo di giustizia cittadino al cosiddetto ufficio dell'ex registro, immobile acquistato alcuni mesi fa da una ditta privata di Bologna, la Telen 92;
   il comune, che per legge deve farsi carico delle spese di giustizia, ne è così diventato l'affittuario per una cifra di 90.000 euro all'anno. Nel frattempo sono iniziati i lavori di adeguamento dell'immobile succitato per ospitare una parte dell'attività del tribunale e che dovevano essere conclusi entro lo scorso Ferragosto ma che invece risultano ancora incompiuti;
   contestualmente è subentrata la norma relativa alla «spending review» dell'attuale Governo, che impone agli enti pubblici la riduzione del 15 per cento del prezzo da versare qualora siano affittuari di privati, come nel caso di specie;
   tale disposizione ha creato una controversia tra le due parti che si è però risolta in quanto la cifra pattuita può essere mantenuta perché congrua con parametri quale la rendita catastale e non bisognosa di adeguamenti perché spropositata;
   la situazione del sovraffollamento sarà resa ancora più complicata dall'imminente chiusura di tutte le sedi distaccate degli uffici del giudice di pace, per cui è previsto il trasferimento del personale e la celebrazione dei processi presso il tribunale di Rovigo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se non ritenga urgente ed improcrastinabile intervenire sulla delicata questione del sovraffollamento degli uffici giudiziari al fine di ripristinare il corretto funzionamento dell'attività giudiziaria ed impedire ulteriori disservizi per gli utenti. (4-06290)


   CIRIELLI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   domenica 21 settembre 2014 la processione di San Matteo, patrono di Salerno, si è trasformata in uno spettacolo indecoroso per la città;
   il clima era apparso teso già alla vigilia, quando la Curia salernitana aveva comunicato di volersi uniformare alle indicazioni della Conferenza episcopale, dettate dalla volontà di evitare celebrazioni sfarzose o omaggi alle case dei boss come accaduto in Calabria;
   in particolare, il vescovo di Salerno, monsignor Luigi Moretti, applicando la nuova circolare della Cei sulle manifestazioni religiose, aveva vietato «gli inchini» durante la processione, le soste, le «girate» delle statue dei santi patroni e i fuochi d'artificio;
   da qui la rivolta dei portatori che hanno ritardato l'inizio del corteo e disatteso le direttive del presule compiendo «inchini» e «giravolte» lungo tutto il percorso della processione, durante la quale il vescovo è stato oggetto di fischi e insulti;
   più volte, durante il tragitto, i capi-paranza si sono fermati e hanno posato sull'asfalto le statue dei santi prima di ripartire per protesta, ma lo strappo finale si è consumato dinanzi al comune di Salerno quando le statue sono entrate a Palazzo di Città contravvenendo alla disposizione dell'arcivescovo;
   secondo quanto riportato dalle cronache, si sarebbe assistito a una contestazione severa, controllata a vista dagli agenti della Digos e che ha addirittura spinto il prefetto Gerarda Pantalone, indignata, ad abbandonare il rito;
   gli inquirenti hanno già ascoltato alcune persone che hanno partecipato alla processione e stanno verificando anche alcuni episodi registrati durante la processione, tra i quali la sosta dinanzi a Palazzo di Città, che non sarebbe stata autorizzata, e l'accensione di fuochi pirotecnici nei pressi della spiaggia di Santa Teresa, anch'essa priva di autorizzazione;
   turbamento di funzione religiosa e offese ad un ministro di culto sono le ipotesi di reato, per il momento a carico di ignoti, sulle quali la procura della Repubblica di Salerno sta indagando in relazione ai fatti avvenuti in occasione della processione;
   con riferimento ai fatti il procuratore capo di Salerno ha affermato che «tra i rivoltosi ci sono personaggi noti della criminalità salernitana» nonché presenze «anche inquietanti». Il procuratore ha altresì dichiarato che esistono «prove significative documentate proprio dai filmati che la polizia sta esaminando (...)». La stampa esplicitamente fa riferimento a «pregiudicati»;
   il procuratore, che peraltro sta seguendo personalmente le indagini della Digos, ha infine sottolineato: «Non siamo rimasti inermi di fronte a fatti di’ modesta rilevanza penale perché quanto accaduto rappresenta un vulnus gravissimo della società civile salernitana che non meritava questo affronto di fronte all'opinione pubblica nazionale»;
   la massiccia protesta, con i fischi nei confronti del vescovo Luigi Moretti non possono essere il frutto di una decisione estemporanea, perché tutto farebbe pensare a qualcosa di organizzato a tavolino giorni prima o, peggio, alla presenza della criminalità tra i rivoltosi, come avvalorato dalle stesse dichiarazioni del procuratore Lembo;
   a parere dell'interrogante, responsabilità si profilano anche a carico dell'amministrazione che ha consentito l'apertura del Palazzo di Città ai portatori, rappresentando questo un segnale negativo che doveva essere evitato –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, alla luce dei gravi fatti avvenuti durante la processione di San Matteo;
   se siano stati identificati i soggetti che hanno tenuto le inqualificabili condotte descritte in premessa e quali siano le loro generalità e la loro attività lavorativa o professionale;
   se risulti e se possa comunicare per quale reato siano stati già condannati i pregiudicati identificati cui fa riferimento il procuratore di Salerno;
   se, più in generale, intenda richiedere al prefetto di Salerno una dettagliata informativa in relazione alla situazione della città di Salerno con riferimento all'entità della presenza criminale, anche con riferimento alla presenza e al radicamento della criminalità organizzata nell'area.
(4-06305)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta immediata:


   DELLA VALLE, CASTELLI e DADONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la legge 23 aprile 2014, n. 71, riporta la ratifica e l'esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica francese per la realizzazione e l'esercizio di una nuova linea ferroviaria Torino-Lione, con allegati, fatto a Roma il 30 gennaio 2012;
   il terzo comma dell'accordo di cui al primo punto sostiene che lo stesso testo «non ha come oggetto di permettere l'avvio dei lavori definitivi della parte comune italo-francese, che richiederà l'approvazione di un protocollo addizionale separato, tenendo conto in particolare della partecipazione definitiva dell'Unione europea al progetto»;
   ad oggi non sono note informazioni rispetto alla partecipazione definitiva dell'Unione europea di cui al secondo punto;
   all'articolo 6, comma 5, del trattato di cui al primo punto si legge «per quanto concerne le condizioni di aggiudicazione dei contratti relativi all'esecuzione dei lavori, alle forniture e ai servizi necessari alla realizzazione delle proprie missioni legate alla progettazione, realizzazione, esercizio della parte transfrontaliera dell'opera, il promotore pubblico è tenuto all'osservanza della Costituzione francese oltre che delle direttive comunitarie. Si disapplicano le norme di diritto nazionale nel caso in cui quest'ultimo si rivelasse contrario o incompatibile o più restrittivo rispetto alla normativa indicata. Il promotore pubblico può mettere in atto procedure di diritto nazionale»;
   l'ordinamento francese non contempla un «codice antimafia»;
   recenti dichiarazioni del Ministro interrogato e del Ministro Alfano lasciano intendere che il Governo non abbia ancora trovato una soluzione a questo problema;
   già nel settembre 2013 i deputati Castelli e Della Valle e i senatori Scibona e Airola avevano segnalato all'allora procuratore capo della procura di Torino, dottor Giancarlo Caselli, la questione di cui ai punti precedenti;
   già in fase di discussione della legge 23 aprile 2014, n. 71, il MoVimento 5 Stelle alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica aveva segnalato ripetutamente la gravità della situazione;
   numerosi episodi legati alla criminalità organizzata interessata alle grandi opere sono stati registrati negli ultimi anni, come dai punti successivi;
   nel processo «Minotauro», che ha portato a cinquanta condanne in appello il 5 dicembre 2013, si sottolinea come la ’ndrangheta in Piemonte non possa ritenersi solo un insieme di locali o cosche ma abbia una struttura unitaria; il processo «Minotauro» vede coinvolti, tra gli altri, imprenditori ed esponenti politici locali in maniera bipartisan;
   il processo «Minotauro» ha rivelato esplicite corrispondenze tra organizzazioni di stampo mafioso e lavori per l'alta velocità al Nord attraverso l'arresto del mafioso Pietro Pipicella;
   già il 6 settembre 2011, Roberto Gaullo, pubblicò sul suo blog su Il Sole 24 ore, l'articolo «Tav Lione-Torino e ’ndrangheta piemontese: l'operazione Minotauro scopre che i binari sono paralleli», con il quale mise in evidenza le corrispondenze tra cosche locali e percorso della nuova linea Torino-Lione;
   il 1o luglio 2014, Giovanni Tizian de L'espresso, con l'articolo «In Val di Susa una ’ndrangheta ad alta velocità», ha spiegato collusioni e interessi di alcune imprese e mafia nell'ambito dei lavori per la nuova linea Torino-Lione in Valsusa;
   nell'ottobre 2012 Claudio e Roberto Martina furono condannati per reato in concorso in bancarotta fraudolenta per avere distratto 1,2 milioni di euro dalle casse delle Martina s.r.l., società che partecipava ai lavori per il tunnel geognostico della Maddalena di Chiomonte (Torino) per la nuova linea Torino-Lione, prima del fallimento;
   Italcoge s.p.a., di proprietà della famiglia Lazzaro, fu incaricata della realizzazione della recinzione del cantiere del tunnel geognostico della Maddalena di Chiomonte (Torino) per la nuova linea Torino-Lione, fallendo il 2 agosto 2011 a causa del mancato pagamento di fornitori e dipendenti; a seguito del fallimento di Italcoge s.p.a., Ferdinando Lazzaro fonda Italcostruzioni s.r.l. e prosegue i lavori per il tunnel geognostico della Maddalena di Chiomonte (Torino) per la nuova linea Torino-Lione;
   alcuni membri della famiglia Lazzaro vennero indagati per fatture false nel 1993 e per truffa aggravata nel 2005; Ferdinando Lazzaro venne, tra l'altro, arrestato nel 2002 nell'ambito di un'inchiesta su un cartello che gestiva i lavori pubblici del comune di Torino relativi alla pavimentazione stradale;
   Bruno Iaria era un dipendente di Italcoge s.p.a., membro della ’ndrangheta e capo della cosca locale di Courgnè;
   nell'ambito di una recentissima inchiesta, denominata «San Michele» sulla ’ndrangheta in Piemonte, i carabinieri del Ros, su disposizione dalla direzione distrettuale antimafia di Torino, hanno dato esecuzione ad un'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di venti persone indagate per associazione mafiosa, concorso esterno e smaltimento illecito dei rifiuti;
   tra gli indagati compare il nome di Giovanni Toro, imprenditore vicino a Ferdinando Lazzaro, che avrebbe fatto pressioni per inserire Toro all'interno del Consorzio Valsusa; ciò per agevolare l'accesso ai lavori per il tunnel geognostico della Maddalena di Chiomonte (Torino) per la nuova linea Torino-Lione;
   Lazzaro avrebbe chiesto a Toro di occuparsi di asfaltare un'area all'interno del cantiere del tunnel geognostico della Maddalena di Chiomonte (Torino) per la nuova linea Torino-Lione, ma, per questa mansione, non sembrerebbero essere state concesse le necessarie autorizzazioni; in un'intercettazione i due imprenditori sostengono di essersi nascosti durante alcune riprese televisive all'interno del cantiere poiché la loro posizione non era regolare. Dalle intercettazioni emerge, inoltre, la scarsa qualità del lavoro svolto e la scorrettezza dei controlli: la posa dell'asfalto era stata determinata per un numero inferiore di centimetri rispetto al necessario e i controlli sarebbero stati effettuati solo nelle zone con maggiore spessore;
   Toro è indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, Lazzaro è inquisito per smaltimento illecito di rifiuti di cantiere; inoltre, Ferdinando Lazzaro avrebbe cercato di coinvolgere anche un altro imprenditore: Fabrizio Odetto, arrestato nel 2013 per vicende di droga ed estorsioni;
   l'inchiesta rivela un interesse esplicito della cosca ’ndranghetista Greco di San Mauro Marchesato, dati i numerosi incontri preparatori per l'azione nell'ambito dei lavori per la grande opera;
   suscita inquietudine il fatto che un lavoro connesso e/o richiesto dalle forze dell'ordine possa essere attribuito ad aziende facenti capo a persone dal non specchiato profilo morale e antimafia, comunque indenni da connessioni col crimine organizzato; non è in effetti degno di un Paese moderno ed europeo che le forze dell'ordine non diano luogo ad assegnazioni di commesse ad imprese, a dir poco moralmente discutibili;
   in effetti risulta che Giovanni Toro, padre di Toro Nadia, amministratore unico e socio unico della Toro srl, arrestato in questi giorni, su richiesta delle forze dell'ordine, ha già svolto lavori nel cantiere; infatti, il piccolo imprenditore arrestato ha già eseguito importanti lavori proprio presso il cantiere del tunnel geognostico di Chiomonte, provvedendo, come scritto sulla relazione finale dei lavori del contratto C11119 «alla bitumatura della viabilità interna di cantiere, richiesta dalle forze dell'ordine e formalizzata attraverso l'Ods n. R-02». I lavori erano stati dati in subappalto dall'appaltatore che, guarda caso, era un'associazione temporanea di imprese formata da due imprese locali di proprietà di persone già citate nell'inchiesta «Minotauro». Inoltre, facevano parte dei due contratti relativi a lavori di recinzione del cantiere, oggetto oltre un anno fa di un esposto presentato in procura da numerosi sindaci ed amministratori locali, in relazione al cosiddetto cantiere di Virano;
   all'interno comunque del cantiere per il tunnel geognostico della Maddalena di Chiomonte (Torino) per la nuova linea Torino-Lione lavora anche la Cmc che, nell'ambito di indagini sul porto fantasma di Molfetta, vede nove dei suoi membri indagati per reato di associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato, abuso d'ufficio, reati contro la fede pubblica, frode in pubbliche forniture, attentato alla sicurezza dei trasporti marittimi e diversi reati ambientali e nei confronti dell'azienda stessa la procura di Trani ha chiesto l'interdizione dall'esercizio dell'attività imprenditoriale;
   solo a seguito dell'avviso della Presidenza del Consiglio dei ministri in Gazzetta ufficiale del 9 ottobre 2012, il Cipe ha provveduto a correggere la delibera n. 86 del 18 novembre 2010 che attribuiva ai lavori per il cunicolo esplorativo della Maddalena di Chiomonte (Torino) per la nuova linea Torino-Lione un codice unico progetto errato. Il codice unico progetto è una stringa alfanumerica di 15 caratteri e rappresenta un'etichetta necessaria a identificare e accompagnare ciascun progetto d'investimento pubblico dalla sua fase di genesi (studi e progettazioni comprese) fino alla sua definitiva conclusione e garantisce la tracciabilità delle operazioni legate all'opera stessa –:
   se, ad oggi, per quanto concerne le condizioni di aggiudicazione dei contratti relativi all'esecuzione dei lavori, alle forniture e ai servizi necessari alla realizzazione delle proprie missioni legate alla progettazione, realizzazione, esercizio della parte transfrontaliera dell'opera, il promotore pubblico sia tenuto all'osservanza della normativa relativa al «codice antimafia». (3-01072)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COPPOLA, PELLEGRINO, ROSATO, MALISANI, BLAZINA e BRANDOLIN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è datato marzo 2011 l'acquisto di otto convogli Civity ETR 563 da parte della regione Friuli Venezia Giulia, composti da cinque vetture per 295 posti ciascuno, di fabbricazione dell'azienda spagnola Construcciones y auxiliar de ferrocarriles (CAF);
   le ricostruzioni fatte dagli organi di stampa locale degli ultimi mesi raccontano di un continuo slittamento dell'entrata in servizio degli elettrotreni acquistati, infatti:
    nell'ottobre 2012 i primi convogli arrivano nel nostro Paese, nello specifico a Monte San Savino (AR) dove vengono effettuate delle prime prove in linea lungo la ferrovia Arezzo-Sinalunga;
    a marzo 2013 viene inaugurato il primo degli otto ETR 563 a Trieste con la previsione di entrata effettiva in servizio entro l'estate dello stesso anno di tutti e otto i mezzi (fonte wvvw.regione.fvg.it);
    solamente il 5 febbraio 2014, invece, vengono iniziate ufficialmente le prove in linea necessarie per l'ottenimento delle autorizzazioni per la messa in servizio dei mezzi, come confermato anche dall'assessore regionale Santoro, con entrata in servizio dei mezzi stessi prevista a settembre 2014;
    ad oggi la situazione non sembra ancora sbloccarsi in quanto pare che le prove per il rilascio delle autorizzazioni da parte dell'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria (ANSF) non siano ancora terminate, con un'entrata in servizio dei convogli prevista non prima dell'inizio 2015 e soprattutto non ci sia la garanzia di tempi certi e celeri da parte dell'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria la conclusione delle pratiche amministrative di omologazione;
    la regione Friuli Venezia Giulia, in qualità di cliente/acquirente, ha già provveduto ad applicare le penali per l'intero importo previsto dal contratto e a sospendere gli ulteriori pagamenti nei confronti della società CAF. Pur essendo questa l'unica leva contrattualmente prevista per accelerare le procedure, la regione Friuli Venezia Giulia si è ulteriormente e fattivamente impegnata affinché le parti coinvolte definissero un preciso cronoprogramma per l'esecuzione delle prove di omologazione, che risulta però disatteso;
   come ben spiegato dal sottosegretario Del Basso De Caro rispondendo all'interrogazione n. 5/02834 a prima firma Spessotto, l'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria, ente titolare del procedimento di autorizzazione alla messa in servizio dei veicoli atto a garantire la sicurezza del veicolo durante lo svolgimento del servizio, ha ricevuto richiesta di autorizzazione, da parte di CAF, alla messa in servizio del veicolo ETR 563 già nel giugno 2011, ma il primo invio documentale è avvenuto solamente nel maggio 2012. Documentazione che ha necessitato di integrazioni e aggiornamenti prodotti dall'azienda costruttrice solamente nel mese di marzo 2013. L'ultima integrazione, a quanto si legge, per un secondo set di prove, è pervenuta all'Agenzia nel maggio 2014 e «il relativo provvedimento è stato emanato il 23 maggio 2014»;
   viene ribadito dal sottosegretario, inoltre, che l'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria ha partecipato ad un incontro richiesto dalla regione Friuli Venezia Giulia per la definizione di un cronoprogramma per il rilascio delle autorizzazioni, nel novembre 2013 ma tale tabella di marcia non è stata rispettata a causa di «alcuni ritardi nella presentazione dei necessari documenti da parte del richiedente», e dunque dell'azienda fornitrice spagnola;
   a fronte di una spesa di oltre 50 milioni di euro da parte della regione Friuli Venezia Giulia, a quattro anni di distanza dall'acquisto dei veicoli, non c’è ancora alcuna certezza sulla tempistica di omologazione e messa in servizio dei convogli –:
   se il motivo della mancata autorizzazione di messa in servizio da parte dell'Agenzia a causa della continua richiesta di integrazione documentale sia imputabile solamente all'azienda produttrice oppure se la responsabilità di tale ritardo sia dovuta ad una oggettiva complessità del sistema di autorizzazione, da un punto di vista formale e burocratico, che impedisce un normale espletamento dei compiti;
   se il Ministro ritenga, per quanto sopra enunciato, che la procedura prevista dell'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria sia compatibile con l'interesse generale a garantire un servizio pubblico adeguato e se non vi sia al contrario un carattere di assoluta disfunzionalità nel rapporto tra una regolare procedura di acquisto ed una procedura di omologazione che si protrae per anni;
   se il Ministro intenda attuare politiche di semplificazione atte a garantire un più rapido svolgimento delle operazioni di omologazione, tenuta salda comunque la necessità di garantire un livello di sicurezza elevato;
   quali siano ad oggi le tempistiche per l'effettiva entrata in servizio degli otto treni Civity ETR 563, reputati necessari per un miglioramento del trasporto pubblico regionale a fronte dei numerosi disagi che i cittadini, soprattutto pendolari, del Friuli Venezia Giulia affrontano visto lo stato attuale dei convogli attualmente in circolazione;
   se il Ministro intenda assumere iniziative nei confronti dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle  ferrovie, alla luce di quanto sostenuto sulla stampa locale dalle rappresentanze dei pendolari secondo i quali l'Agenzia avrebbe lasciato intendere che è stato un errore acquistare i treni in Spagna anziché in Italia, cosa che appare agli interroganti un'evidente violazione del principio della libera circolazione delle merci e dei servizi all'interno dell'Unione europea;
   se il Ministro intenda farsi parte attiva presso l'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria, RFI e Trenitalia affinché le parti di loro competenza nel processo di omologazione e messa in esercizio dei treni siano ridotte il più possibile, visto il tempo esageratamente lungo intercorso dall'inizio di questa procedura. (5-03739)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DELL'ORCO e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti è tenuto a «verificare lo stato di attuazione degli interventi del 1° e 2° Programma annuale di attuazione del Piano Nazionale della Sicurezza Stradale cofinanziati con legge 23 dicembre 1999, n. 488»;
   l'articolo stabilisce, inoltre, che «ove dalla predetta ricognizione risultino interventi non ancora avviati i corrispondenti finanziamenti e i relativi impegni di spesa sono revocati con uno o più decreti, di natura non regolamentare, del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze»;
   le somme relative ai finanziamenti revocati iscritte in conto residui sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, nel triennio 2013-2015;
   tali revoche sono finalizzate a garantire la realizzazione in cofinanziamento di un programma di interventi di sicurezza stradale, concernenti prevalentemente lo sviluppo e la messa in sicurezza di itinerari e percorsi ciclabili e pedonali, la prosecuzione del monitoraggio dei programmi di attuazione del piano nazionale della sicurezza stradale, l'implementazione e il miglioramento del sistema di raccolta dati di incidentalità stradale, in coerenza con quanto previsto dall'articolo 56 della legge 29 luglio 2010, n. 120;
   la ricognizione avrebbe dovuto essere effettuata entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto;
   sono pertanto trascorsi i termini per l'attuazione delle misure prescritte;
   risulterebbe agli interroganti che non siano stati emanati i decreti per la revoca dei finanziamenti e degli impegni di spesa –:
   se sia stata effettuata la ricognizione citata in premessa;
   quale sia l'entità delle risorse revocabili;
   se siano stati emanati i decreti di cui al comma 2 dell'articolo 20 del decreto legge. (4-06289)


   CIPRINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Rete ferroviaria italiana del gruppo Ferrovie dello Stato riveste il ruolo di gestore dell'infrastruttura ferroviaria nazionale con il compito – tra gli altri – di sviluppare la tecnologia dei sistemi e dei materiali, assicurare la piena fruibilità ed il costante mantenimento in efficienza delle linee e delle infrastrutture ferroviarie, destinare gli investimenti al potenziamento, all'ammodernamento tecnologico e allo sviluppo delle linee e degli impianti ferroviari;
   RFI, svolgendo attività mirate a sviluppare l'infrastruttura ferroviaria nazionale, ha una rete ferroviaria che si estende su tutto il territorio nazionale, occupando circa 27.000 dipendenti in tutta Italia. Ciò ha comportato per l'azienda uno sviluppo organizzativo fortemente caratterizzato da una copertura capillare del territorio;
   le unità produttive dislocate sul territorio sono 16 e assumono il nome di compartimenti;
   ciascun compartimento ha la facoltà di operare assunzioni di personale;
   accade che molti dipendenti, assunti da un compartimento (che comprende anche il territorio di più regioni) con sede in una determinata regione, permangano nel territorio ove ha sede il compartimento con la speranza e l'aspettativa di poter fare ritorno nella regione di residenza facendo successivamente domanda di trasferimento in altro compartimento;
   l'articolo 45, comma 7, del contratto collettivo nazionale della mobilità dell'attività ferroviaria prevede che: «È facoltà del lavoratore fare domanda di trasferimento. Nel caso di più domande di trasferimento per la medesima località avanzate dai lavoratori, le aziende, a parità di caratteristiche professionali richieste terranno conto nell'ordine: a) della maggiore anzianità maturata nella figura professionale rivestita; b) della maggiore anzianità di servizio complessiva in azienda; c) della maggiore età anagrafica; d) del numero dei figli minori a carico. A livello aziendale saranno definiti i criteri per valutare le anzianità di cui alla precedente lettera a) nel caso di cambio di figura professionale»;
   ogni compartimento sarebbe tenuto a pubblicare la graduatoria dei dipendenti che chiedono il trasferimento dando conto dell'applicazione dei criteri previsti e dell'ordine della graduatoria;
   ciascun compartimento RFI può procedere all'assunzione di nuovo personale e mancherebbe una verifica preliminare della presenza di eventuali dipendenti che hanno fatto richiesta di trasferimento nella zona di pertinenza del Compartimento che procede alla nuova assunzioni –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro al fine di verificare la correttezza, la trasparenza e la pubblicazione in locali idonei delle graduatorie dei dipendenti RFI che richiedono il trasferimento da un compartimento all'altro;
   se il Ministro sia a conoscenza del numero dei dipendenti di RFI che richiedono il trasferimento da un compartimento all'altro;
   se il Ministro interrogato ritenga opportuno assumere iniziative volte a favorire la mobilità dei dipendenti che presentano domanda di trasferimento tra compartimenti RFI. (4-06292)


   BERGAMINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con la pubblicazione della legge 27 dicembre 2013 n. 147 (legge di stabilità per il 2014) sono state rese effettive le procedure per il rinnovo della composizione del Comitato centrale per l'Albo degli autotrasportatori, che introduce i nuovi requisiti d'ingresso delle associazioni e definisce le nuove regole di rappresentanza delle categorie all'interno delle istituzioni;
   a tal fine è stato predisposto il decreto dirigenziale prot. n. 213 del 30 dicembre 2013, che assegna il termine di 30 giorni decorrenti dalla stessa data del decreto, entro il quale le Associazioni nazionali di categoria dell'autotrasporto, interessate ad ottenere l'accreditamento presso il suindicato Comitato, devono trasmettere la relativa istanza e la documentazione attestante il possesso dei requisiti di cui all'articolo 10 del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 284 e successive modifiche e integrazioni;
   Transfrigoroute Italia Assotir, rappresenta una importante Associazione di categoria degli autotrasportatori, che opera in modo continuativo a livello nazionale, ed include 774 imprese di autotrasporto, operanti nella logistica, trasporto merci e spedizione, regolarmente iscritte all'Albo degli autotrasportatori;
   in ottemperanza a quanto disposto dall'articolo 1 comma 3, del suindicato decreto dirigenziale, la suddetta Associazione ha inviato lo scorso 28 gennaio 2014 (pertanto entro i termini regolamentari previsti), il carteggio necessario, ai fini della verifica dei titoli per l'iscrizione presso il Comitato in precedenza esposto, considerando tra l'altro, la nota aggiuntiva dei chiarimenti prot. n. 692 del 13 gennaio 2014, sul corretto modo di intendere gli adempimenti che le associazioni di categoria dell'Autotrasporto di merci devono porre in essere, per dimostrare il possesso dei requisiti di cui all'articolo 1, comma 1, del medesimo decreto dirigenziale;
   l'interrogante segnala tuttavia come, nonostante la dettagliata e specifica documentazione presentata dall'associazione transfrigoroute Italia Assotir, alla direzione generale per il trasporto stradale e per l'intermodalità presso il Ministro interrogato, l'istanza per ottenere l'accreditamento presso il Comitato centrale dell'Albo degli autotrasportatori, sia stata respinta in quanto il contratto collettivo sottoscritto in data 23 gennaio 2014, con la Federazione autonoma sindacati dei trasporti FAST/CONFSAL, non rientra nella categoria dei rinnovi del contratto collettivo nazionale di lavoro logistica, trasporto merci e spedizione come espressamente previsto dalla legge 27 dicembre 2013 n. 147, configurandosi piuttosto, come una tipologia di contratto nuovo;
   la medesima nota ministeriale ha rilevato altresì come il suindicato contratto, risulti comunque sottoscritto in data successiva all'entrata in vigore della stessa legge di stabilità per il 2014;
   in ordine al rigetto da parte della suddetta Direzione generale, l'interrogante evidenzia come, attraverso una particolareggiata analisi dell'atto di reiezione, l'associazione interessata, ha espresso una serie di fondate perplessità interpretative, sia con riguardo alla mancata inclusione nella categoria dei rinnovi del CCNL logistica, trasporto e spedizione, che con riferimento alla sottoscrizione avvenuta oltre i termini previsti;
   quanto al primo profilo di criticità, Transfrigoroute Italia Assotir, rileva infatti, come la norma indicata dal comma 92 dell'articolo unico della legge 27 dicembre 2013, n. 147 non può non suscitare dubbi interpretativi, in considerazione dell'evidente mancanza di un opportuno coordinamento dei criteri previsti dalla disposizione legislativa;
   l'assunto secondo il quale, l'amministrazione non riconosce il possesso del requisito in questione alle associazioni, che non abbiano rinnovato un precedente accordo collettivo, ma abbiano stipulato direttamente un nuovo CCNL sul presupposto che la norma richieda espressamente la sottoscrizione di un accordo di rinnovo del predetto contratto, appare infatti all'interrogante connotato da evidenti dubbi di legittimità;
   la dizione letterale della suindicata disposizione, desta interpretazioni ambigue in considerazione che non appare chiaro se la parte fondante del precetto sia costituita dalla verifica sulla sostanziale sottoscrizione di un contratto collettivo nazionale, risultando quindi meramente residuale la circostanza, che si tratti di un nuovo contratto o del rinnovo di un contratto già in essere;
   appare inoltre scarsamente comprensibile, se la parola: «rinnovi», sia stata utilizzata in modo non tecnico, per individuare comunque la sottoscrizione di un contratto collettivo, oppure se il legislatore abbia voluto effettivamente limitare al riconoscimento del requisito solo a favore di chi abbia partecipato al contratto in essere;
   in quest'ultima ipotesi, ci si sarebbe dovuto domandare a quale concreta fattispecie il legislatore avrebbe realisticamente fatto riferimento, posto che in realtà quello che vengono comunemente denominati come rinnovi dei contratti collettivi, non possiedono tale caratteristica, trattandosi a tutti gli effetti della sottoscrizione di nuovi contratti, spesso stipulati decorso un lungo periodo della scadenza del precedente e contenenti clausole normative ed economiche diverse da quelle precedentemente pattuite;
   ulteriore profilo di criticità si riscontra, nell'ambito della dizione letterale della norma che indica genericamente un accordo di rinnovo: «del contratto collettivo nazionale del comparto della logistica, trasporto e servizi», non specificando con esattezza a quale contratto la stessa faccia riferimento, in considerazione che l'ordinamento giuridico non contempla l'esistenza di un unico contratto collettivo nazionale di un comparto, al quale conferire efficacia erga omnes;
   l'interrogante evidenzia altresì, come la sequenza di dubbi interpretativi derivanti dalla formulazione, sia della norma prevista dal comma 92 dell'articolo unico della legge 27 dicembre 2014, n. 147 (legge di stabilità per il 2014), che di quanto indicato dal decreto dirigenziale del 30 dicembre 2013, n. 213, espressi dall'Associazione Transfrigoroute Italia Assotir, rilevano come l'amministrazione del Ministero interrogato, avrebbe dovuto predisporre con maggiore attenzione e chiarezza la formulazione delle norme interessate ed in precedenza esposte, proprio in funzione della confusione determinatasi nell'applicazione del solo criterio letterale, da cui derivano effetti giuridici che si pongono in palese contrasto con il principio di ragionevolezza delle norme legislative, che costituisce corollario del diritto di uguaglianza, tutelato in via primaria dall'articolo 3 della Costituzione;
   in forza del suddetto principio costituzionale, le disposizioni normative debbono risultare adeguate e congruenti rispetto al fine perseguito, mentre così come risulta dalle osservazioni in precedenza esposte, si dimostrano essere in palese violazione del dettato costituzionale, generando una contraddizione all'interno del compendio normativo in cui sono inserite;
   il provvedimento di diniego emesso dall'Amministrazione, risulta pertanto gravemente viziato, poiché il pedissequo rispetto del testo letterale, determina una irragionevole situazione discriminatoria tra i soggetti che vantano in medesimo requisito, ovvero quello di aver sottoscritto un contratto nazionale collettivo del comparto, sia esso una prima stipula, ovvero il rinnovo di un contratto in essere;
   la disparità di trattamento che, secondo i rilievi espressi dalla medesima Associazione di autotrasporto, si configura in maniera ancora più grave, se si considera come la stessa, sia venuta a conoscenza della sottoscrizione del nuovo contratto collettivo con FAST/CONFSAL, al fine di garantirne le migliori clausole contrattuali a favore dei propri associati;
   una corretta azione amministrativa, non poteva quindi prescindere dall'analisi della norma sulla base della ratio, che ha determinato il legislatore a stabilirla, ovvero ricercare la finalità sociale o economica della norma stessa attraverso l'analisi logico sistematica dell'intero compendio normativo in cui essa è inserita;
   a tal riguardo, segnala l'Associazione, non vi è alcun dubbio che la norma in esame rientri all'interno di un più ampio complesso di disposizioni dettate dall'articolo 10, comma 1, lettera f) del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 284 e modificato dal comma 92 dell'articolo unico della legge 27 dicembre 2013, n. 147, tutte finalizzate all'accertamento in capo alle Associazioni di categoria degli autotrasportatori, di un grado di rappresentatività ritenuto sufficiente per partecipare alla composizione del Comitato centrale per l'Albo degli autotrasportatori;
   individuata la finalità non poteva sorgere infatti alcuna perplessità, in ordine all'interpretazione più corretta da adottare nell'applicazione della norma intorno alla quale, si intende evidentemente accertare che la singola associazione sia portatrice di un elevato grado di rappresentatività delle imprese associate, riconosciuto anche dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori addetti al comparto, tanto da pervenire alla determinazione di concordare e sottoscrivere con essa un accordo collettivo nazionale;
   sulla base delle suesposte considerazioni, appare evidente a giudizio dell'interrogante, che denegare a Transfrigoroute Italia Assotir, il riconoscimento del requisito richiesto, per il solo fatto che la stessa ha sottoscritto un nuovo contratto collettivo nazionale il luogo di un rinnovo, appalesa una posizione priva di logica ed in particolare viziata, sotto il profilo della legittimità;
   quanto al secondo profilo di rigetto, risulta indubitabile a parere dell'Associazione interessata, che il termine temporale del possesso dei requisiti non può che essere riferito al momento in cui una norma regolamentare ne richieda la dimostrazione ovvero nel caso di Transfrigoroute Italia Assotir, che ha sottoscritto il contratto collettivo con FAST/CONFSAL, in data 23 gennaio 2014, ovvero entro il termine del 30 gennaio, quale scadenza ultima posta dall'Amministrazione per presentare domanda di accreditamento attinente il prossimo rinnovo;
   l'Amministrazione per contro, nel ritenere riconoscibile il possesso del requisito in esame, solo se acquisito entro il limite temporale richiamato nel provvedimento di diniego, presuppone un incomprensibile, ambito applicativo, delle disposizioni in esame in considerazione che: o ritiene che i successivi rinnovi, saranno regolamentati da successive disposizioni, oppure considera che in occasione dei futuri rinnovi avranno titolo solo le Associazioni che hanno sottoscritto il rinnovo del CCNL logistica, trasporto e spedizione, del 29 gennaio 2005, entro il termine di entrata in vigore della legge n. 147/2013;
   l'interrogante evidenzia, come anche per quest'ultimo profilo indicato, l'interpretazione della norma espressa dall'Amministrazione, si appalesa irragionevolmente e vizia in modo grave il provvedimento di diniego dalla stessa emesso;
   l'esclusione dell'Associazione Transfrigoroute Italia Assotir dal Comitato centrale per l'Albo degli autotrasportatori a seguito della mancata accettazione della domanda presentata evidenzia, a giudizio dell'interrogante, sia una palese difficoltà da parte del legislatore, nella predisposizione di un'adeguata qualità delle norme da osservare, volte all'omogeneità, la semplicità, la chiarezza e proprietà di formulazione, i cui numerosi rilievi critici, hanno determinato una serie di effetti negativi e penalizzanti per la medesima Associazione, tali da provocarne l'estromissione, che dalla decisione di non applicare un CCNL siglato dalla CGIL-CISL-UIL e di firmare invece un CCNL a tutela delle imprese, da essa rappresentate, con la FAST/CONFSAL;
   la decisione di considerare come unica fonte di legittimazione la sottoscrizione del CCNL siglato unicamente dalla CGIL-CISL-UIL rappresenta, secondo quanto rileva la suddetta Associazione, sia una lacerazione della Costituzione, che non ha mai dato veste giuridica pubblica a quelli che restano, a tutti gli effetti, accordi tra privati, che una limitazione estrema, se si considera come la scelta di contenere l'accreditamento alle sole Associazioni firmatarie del CCNL con CGIL-CIS-UIL, determina un veto assoluto nei confronti delle medesime organizzazioni sindacali, nel decidere a quali Associazioni di autotrasporto, l'amministrazione dello Stato debba riconoscere come rappresentante delle imprese e chi invece debba rimanere escluso;
   risultano in definitiva indifferibili a giudizio dell'interrogante, una serie di precisazioni da parte dell'amministrazione interrogata, finalizzate a rendere più chiaro l'intero quadro normativo riferito al riforma dell'Albo della categoria interessata, che rappresenta il vero centro di governo del settore e che definisce, come in precedenza esposto, le nuove regole di rappresentanza della categoria all'interno delle istituzioni;
   la decisione di escludere dal Comitato centrale per l'Albo dell'Autotrasporto, la Transfrigoroute Italia Assotir, nonostante la medesima Associazione avesse dimostrato di associare oltre 700 imprese di autotrasporto con un parco veicolare di migliaia di camion e altrettanti addetti e possedere oltre 25 sedi territoriali in tutta la penisola, essendo peraltro da molti anni, protagonista del confronto politico del settore, appare inaccettabile anche con riferimento ai principi di rappresentatività e di libertà sia sindacale, che imprenditoriale cui hanno diritto gli associati –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se i rilievi critici espressi in premessa da parte dell'Associazione autotrasporto Transfrigoroute Italia Assotir, in ordine alle disposizioni riferite al comma 92 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 e del decreto dirigenziale 30 dicembre 2013, n. 213 siano fondati e connotati da seri dubbi di legittimità;
   in caso affermativo, se non ritenga urgente ed opportuno intraprendere iniziative volte ad eliminare lo stato di ambiguità e chiarire la corretta e autentica interpretazione delle norme in precedenza riportate al fine di consentire anche ad importanti Associazioni quale quella indicata in premessa, di partecipare alla composizione del Comitato centrale per l'Albo dell'Autotrasporto, essendo in possesso dei requisiti previsti come dalla medesima sostenuto, la cui attuale esclusione dell'organismo decisionale, ha determinato secondo l'interrogante una ingiustificabile discriminazione. (4-06296)


   NESCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   nello scorso giugno l'interrogante scrisse una missiva alla Presidenza del Consiglio dei ministri e ai Ministri dell'interno, della funzione pubblica e per gli affari regionali, rappresentando la necessità di soluzioni urgenti per la provincia di Vibo Valentia, in dissesto finanziario e privata di alcuni dirigenti dell'ente, tratti in arresto;
   nella medesima missiva si poneva l'accento su un quadro generale estremamente drammatico, riassunto al Governo anche dall'ex commissario dell'ente Mario Ciclosi, «determinato – precisavo nella mia comunicazione ai destinatari rappresentanti del Governo – da una profonda difficoltà nella gestione ordinaria della provincia di Vibo Valentia, gravata, in un contesto di forte e diffuso dominio criminale, da vicende di appropriazione indebita, di violazione di doveri nei pubblici uffici e di bilanci passati fuori misura»;
   sempre nella missiva in argomento, si faceva riferimento a una precedente lettera dell'interrogante al Capo dello Stato, a proposito della vertenza Italcementi di Vibo Valentia;
   al Presidente della Repubblica l'interrogante scriveva: «Il silenzio logora le cose. La tristezza sparsa proietta una fine lenta e perciò crudele. Un'agonia senza rimedi né sollievi, almeno per ora. È la fotografia di un pezzo di Sud divorato da politica e affarismo criminale; a volte coincidenti, altre sodali»;
   la missiva di cui più sopra si concludeva con la richiesta di «un pronto interessamento delle Istituzioni in elenco, certa di prossimo riscontro, affinché la provincia di Vibo Valentia possa garantire normalmente, per le sue competenze, il governo del territorio»;
   alla data di oggi non vi è purtroppo seguito rispetto alla suddetta richiesta;
   in più circostanze l'odierna interrogante ha rappresentato formalmente al governo della provincia di Vibo Valentia la situazione disastrosa di strade di sua competenza, scrivendo anche, su sollecitazione di alcuni cittadini, all'assessorato per i lavori pubblici della regione Calabria, che non ha mai dato proprio riscontro;
   nel febbraio 2010 ci fu una frana sulla provinciale 46, in località «Trecroci» del comune di Polia (Vibo Valentia);
   diversi servizi giornalistici hanno raccontato la vicenda e le condizioni più recenti della menzionata strada, tra cui, uno di «Tele Cosenza» e uno di «Zoom web channel», reperibili rispettivamente sulla piattaforma video «YouTube» con i titoli Polia: frana strada provinciale 46, non riparata dopo tre anni e Zoom Polia abbandonata;
   in un articolo apparso nel luglio 2013 sul sito della testata «Cn24Tv», si legge della messa in sicurezza, da parte della provincia di Vibo Valentia, delle strade provinciali n. 83 «Daffinà-Parghelia» e n. 46 «Polia-Monterosso-Capistrano», con i lavori già avviati «per la mitigazione del rischio frana lungo la strada provinciale Polia-Monterosso-Capistrano. L'importo dei lavori appaltati ammonta a circa 151 mila euro. Lungo l'arteria sono previsti oltre al ripristino della carreggiata anche significativi lavori di sistemazione idrogeologica che garantiranno una maggiore sicurezza agli automobili. I cantieri ricadono entrambi nel comune di Polia: in località Scanzata e nella frazione Minniti»;
   nell'elenco degli interventi finanziati dalla regione Calabria, scaricabile dal sito della medesima, risulta la strada provinciale 46 per Polia, per un importo di 300 mila euro «per sistemazione idrogeologica per la mitigazione del rischio di frana lungo la S.P. 46, località Polia, Monterosso, Capistrano»;
   la provincia di Vibo Valentia ha comunicato alla sottoscritta, con nota dello scorso 13 settembre a firma del dirigente del settore VI dell'ente, Giacomo Consoli, che la strada «in oggetto indicata, a seguito degli eventi alluvionali che si sono abbattuti negli ultimi tre anni sul territorio provinciale, ha subito ingenti danni lungo il tracciato stradale, provocando frane e smottamenti delle scarpate, banchine ed avvallamenti del piano viabile; a causa di quanto sopra esposto, sono state eseguiti in questo lasso di tempo, interventi tendenti e necessari per rendere praticabile e in sicurezza dell'arteria»;
   nella stessa nota del Consoli si legge che «a seguito di finanziamento da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (legge n. 296 del 2006, interventi straordinari per la viabilità ordinaria delle province della Sicilia e Calabria) per detta arteria, è stato redatto da parte di questo ufficio, sia il progetto definitivo nonché l'esecutivo, per l'importo complessivo di euro 500.000,00»;
   ancora, nella nota del suddetto dirigente è scritto che «la crisi economica che sta investendo il nostro paese, ha portato il Ministero per lo sviluppo economico, al taglio di parte dei fondi assegnati euro 4.500.000,00 su un finanziamento complessivo di euro 15.000.000,00) a questa Amministrazione Provinciale, relativamente ai lavori non aggiudicati alla data dell'11 novembre 2011 (data di comunicazione del taglio dei fondi da parte della Direzione Generale), oltre alla strada in oggetto, altre SS.PP., di uguale importanza, vedi la n. 74, la Bitonto, la strada statale 110 (ex Anas), la n. 80, la n. 6 e la n. 10, sono state sospese dal finanziamento di cui alla legge n. 296 del 2006»;
   per ultimo, nella riferita nota si precisa che «dai lavori contrattualizzati ed ultimati, risultano economie pari ad euro 1.736.942,04» e che al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la provincia di Vibo Valentia «ha chiesto la possibilità, quantomeno, di utilizzare le economie derivanti dalle opere già ultimate, per poter avviare i lavori già appaltati ed in fase di stipula di contratti» –:
   quali misure, nell'ambito delle rispettive competenze e considerata la particolare situazione della provincia di Vibo Valentia esposta in premessa, possano adottare per agevolare una migliore viabilità nel territorio, con particolare riferimento alle opere necessarie già appaltate. (4-06302)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere — premesso che:
   il 29 agosto 2014 è stato firmato il decreto di convocazione dei comizi elettorali per eleggere il presidente e il consiglio provinciale di Avellino;
   il percorso di riordino delle province è segnato dalla legge 7 aprile 2014, n. 56 «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province sulle unioni e fusioni di comuni», in attesa della riforma del Titolo V della parte della seconda della Costituzione e delle relative norme di attuazione. La provincia diventa ente di area vasta di secondo livello, cambiando la modalità d'elezione degli organi, che non è più diretta ma diventa un'elezione di secondo livello. Le elezioni del consiglio e del presidente della provincia di Avellino si terranno giovedì 9 ottobre 2014 dalle 8 alle 20. Dall'attuazione della legge n. 56 del 2014 non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica;
   la Costituzione della Repubblica italiana nella parte prima al titolo IV articolo 48 garantisce la segretezza del voto «Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.» E dalla stessa fonte normativa legge 7 aprile 2014, n. 56 (articolo 1, comma 62 «Il presidente della provincia è eletto con voto diretto, libero e segreto.») il voto è libero e segreto. Tuttavia, le modalità di voto e le specifiche disposizioni disciplinanti la ponderazione di fatto smentiscono tali principi invalidando sia la libertà di voto (configurando un ipotetico vincolo di partito) sia la segretezza del voto;
   la provincia di Avellino è emblematica: solo il comune capoluogo appartiene alle fasce comprese tra i 30 mila e 100.000 abitanti e pertanto l'individuazione della scheda appare chiara e netta soprattutto perché nel caso dell'unico consigliere comunale appartenente al gruppo politico di SEL sarà facilissimo risalire al suo voto o meno per la stessa coalizione di liste civiche di riferimento –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo in rapporto al principio di cui all'articolo 48 della Costituzione, che sancisce la segretezza del voto in vista delle imminenti elezioni provinciali.
(2-00710) «Scotto, Giancarlo Giordano, Zaratti, Pannarale».

Interrogazione a risposta orale:


   COSTANTINO e PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   Luca Casciani è un conduttore radiofonico, quotidianamente, sulla radio locale romana Radio Ti Ricordi, RTR99, conduce dalle 10.00 alle 13.30 una trasmissione chiamata «Giorno per Giorno», in cui espone lunghi monologhi;
   il giorno 6 ottobre 2014, nel corso della trasmissione televisiva piazzapulita in onda sul canale La7, venivano mandati in onda estratti della sua trasmissione giornaliera;
   alcuni degli estratti mandati in onda durante la trasmissione vengono qui di seguito riportati:
    «quello che servirebbe è il matto, uno che in macchina ha una mitragliatrice e ne fa secchi 34, se ne sono salvati 6, ecco il problema è quello, che se ne sono salvati 6»;
    «quando i selvaggi si appropriano di una cosa tua, tu sei costretto a non chiamarli selvaggi, se no vieni denunciato, se no vieni chiamato razzista. Tu mantieni i selvaggi che distruggono la tua città e la tua civiltà e se provi a ribellarti ti chiamano razzista, se provi ad organizzare delle ronde ti chiamano fascista»;
    «qualcuno mi ha detto: “secondo te cosa bisogna fare per vedere gli italiani che si ribellano, che scendono in piazza ?” Ecco bisogna attendere quello che è successo a Corcolle, bisogna attendere che qualcuno muoia»;
    «che differenza c’è tra le scimmie, i Tarzan, che attaccavano i villaggi di coloni e queste scimmie che attaccano un autobus dell'ATAC ?»
    «se ti permetti di distruggere un mezzo che fa parte della collettività, la stessa collettività che ti mantiene, brutta sanguisuga schifosa, e qualcuno ti ammazza, io dico che ha fatto bene»;
    «tu ti permetti di aggredire una persona che sta svolgendo il proprio lavoro. Sono questi i comportamenti che ci portano a pensare che: quanti ne sono morti, 200 nel Canale di Sicilia ? Ah beh, insomma speravo di più»;
   nella notte del 17 settembre 2014, in una delle vie di Tor Pignattara, un giovane pakistano di 28 anni senza fissa dimora, è stato pestato a morte da Daniel, ragazzino romano di 17 anni;
   nelle giornate del 21 e 22 a Corcolle è andata in scena una vera e propria guerriglia urbana: sassi contro i bus, le aggressioni in pieno giorno, il Cara presidiato dalla polizia, tre nigeriani picchiati da una cinquantina di persone e le provocazioni di «alcune teste rasate» come denunciano le cronache dei giorni scorsi e come documentato anche dalla trasmissione piazzapulita già citata;
   sono questi gli l'ultimi e più gravi avvenimenti in ordine temporale di una escalation di violenza che in queste settimane sta infiammando un'area sempre più grande della città di Roma, che va dal Pigneto a Centocelle, passando per le estreme periferie come Corcolle;
   secondo gli ultimi dati diffusi dal sindaco di Roma, Ignazio Marino, il 25 settembre 2014, a Roma sono presenti circa 7.400 rifugiati e richiedenti asilo, di questi circa 500 persone sono ospitate nelle strutture di accoglienza ubicate nella borgata di Corcolle;
   con l'aggravarsi della crisi, intere periferie romane sono diventate delle polveriere; violente, isolate, senza servizi primari, abbandonate a loro stesse dopo i numerosi tagli dei fondi da parte del Governo e la presenza dei migranti potrebbe aggravare ancora di più la situazione, anche considerato la presenza di farneticanti predicatori che utilizzano le radio locali, come il signor Luca Casciani, che incitano all'odio razziale e hanno idee apertamente razziste e xenofobe;
   ad opinione degli interroganti i contenuti riportati nella trasmissione condotta da Luca Casciani sono estremamente gravi, nonché in aperto contrasto con le norme contenute nella legge del 25 giugno 1993, n. 205 in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa;
   lo stesso Luca Casciani ha condotto una rubrica sul giornale on-line il Giornale d'Italia, diretto da Francesco Storace, intitolata «Herpes», già segnalata agli organi e alle autorità competenti, nonché al Consiglio dell'ordine dei giornalisti del Lazio per propaganda anti-rom (che ad oggi risulta essere sospesa dallo stesso giornale), in cui l'autore pubblicava, con regolare ciclicità, l'intero repertorio dei luoghi comuni attraverso i quali i rom sono da sempre discriminati, perseguitati e stigmatizzati: da stupratori a borseggiatori, senza mai preoccuparsi di garantire un fondamento a quanto scritto –:
   se siano state avviate indagini in merito alle pubbliche dichiarazioni rese dal conduttore Luca Casciani;
   quali iniziative si intendano assumere per evitare il diffondersi di violenze e di idee violente nelle periferie urbane contrastando il rischio che la xenofobia possa così trovare terreno di coltura fertile. (3-01070)

Interrogazione a risposta scritta:


   PRATAVIERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il noto caso del corrispettivo irrisorio, un totale di circa di ottomila euro, pagato in occasione del concerto dei Rolling Stones al comune di Roma capitale per l'occupazione del suolo pubblico ha suscitato un rinnovato interesse sul dovere per gli enti locali di economizzare al meglio gli eventi che si verificano sul territorio comunale, che inevitabilmente comportano una organizzazione dei servizi (trasporto pubblico, sicurezza, igiene e decoro urbano, gestione del traffico e altro) straordinaria;
   la Corte dei conti, stando a quanto si apprende dalle notizie riportate dagli organi di stampa, ha inviato una indagine con l'ipotesi di danno erariale ai danni del comune di Roma riguardo all'affitto pagato dai Rolling Stones per la loro data italiana, il 22 giugno, nell'arena del circo massimo; il 29 settembre nel comune di Venezia sono state celebrate le nozze di George Clooney e Amal Alamuddin. Un matrimonio evento che è costato circa tredici milioni di euro. L'evento ha comportato numerosi disagi per i cittadini residenti a Venezia e un aggravio di spese per l'amministrazione comunale che ha dovuto far fronte ad una organizzazione straordinaria di alcuni servizi;
   il commissario prefettizio di Venezia ha provveduto ad emanare ordinanze ad hoc per far fronte all'evento di cui sopra, quali ad esempio il blocco del traffico nell'area circostante al Ponte Rialto;
   l'ordinanza emanata dal commissario è stata predisposta, stando a quanto si apprende dalle notizie riportate dagli organi di stampa, anche per venire incontro alle richieste stesse avanzate dagli organizzatori del matrimonio. Infatti gli sposi avevano fatto presente che avrebbero gradito che l'evento si svolgesse garantendo la massima riservatezza;
   si evidenzia che non vi è stata alcuna comunicazione ufficiale del commissario prefettizio in merito ai costi a carico dagli organizzatori dell'evento quale ristoro per i disagi e le spese supplementari sostenute dall'amministrazione comunale;
   è ovvio che dopo i fatti descritti accaduti Roma, si rende necessaria la massima trasparenza da parte delle amministrazioni comunali per quanto concerne l'organizzazione, le risorse economiche impiegate e le forme di ristoro richieste agli organizzatori di eventi di tale portata;
   si ricorda che il 25 di giugno 2014 è stato nominato il prefetto Vittorio Zappalorto commissario prefettizio per la provvisoria amministrazione del comune di Venezia, con i poteri del indaco, della giunta municipale e del consiglio comunale –:
   se Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se, intenda rendere noto quali sono stati i costi sostenuti dall'amministrazione comunale di Venezia per la gestione dell'evento straordinario di cui in premessa e quali di questi costi sono stati addebitati agli organizzatori.
(4-06293)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   il T.A.R. Lazio, con riferimento alla prova di accesso ai corsi di laurea in medicina e chirurgia a.a. 2014-2015, emetteva una serie di ordinanze di accoglimento e ciò anche a causa della sparizione del plico all'università di Bari e contestuale violazione dell'anonimato durante le prove di ammissione;
   a seguito delle predette ordinanze gli studenti iniziavano le procedure di immatricolazione, spesso non completandole per disfunzioni amministrative e strumentali lungaggini burocratiche;
   dopo i detti provvedimenti un funzionario del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca emanava una nota con cui nonostante la chiarezza dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria nell'inserire i ragazzi presso la prima opzione, ovvero in quella che spesso coincide con la residenza dei medesimi, li «sparpagliava» in modo disomogeneo su tutto il territorio della Repubblica;
   il criterio del Ministero di incidere su provvedimenti già emessi è ad avviso degli interpellanti ulteriormente illegittimo poiché stabilisce: «si ritiene che ciascun ricorrente possa immatricolarsi esclusivamente nella sede universitaria, indicata dal candidato al momento dell'iscrizione al test per cui risulta minimi lo scarto tra il punteggio del primo in graduatoria in quella sede e il punteggio ottenuto dal ricorrente»;
   ciò, a ben vedere, determinerà la concentrazione di quasi tutti i ricorrenti presso due o tre Atenei al massimo, come Sassari ed il Polo Pontino, strutture non partecipi dei vizi denunciati all'Autorità Giudiziaria e non in grado di accogliere una tale massa di persone;
   il Ministero, dunque, non ha minimamente preso in considerazione né criteri di merito, né di capienza strutturale dell'ateneo, né tantomeno ha considerato i posti che spesso rimangono vuoti presso le varie sedi universitarie;
   è chiaro che tale iniziativa rischia di scoraggiare i ragazzi, allontanandoli dalle proprie famiglie, con il risultato che soltanto chi potrà permetterselo potrà proseguire negli studi presso sedi universitarie lontane da casa;
   molti studenti hanno già affittato casa, si sono già trasferiti e a seguito di questa nota ministeriale saranno ulteriormente penalizzati;
   le associazioni sindacali studentesche hanno già inoltrato ed inoltreranno azioni di ottemperanza e risarcitorie con ulteriori contenziosi e aggravi di spese per l'erario che ricadranno sulla collettività e non certo dei diretti responsabili dell'accaduto –:
   se il Governo, in considerazione di quanto sopra esposto, non intenda riconsiderare tale previsione ed evitare che con una semplice nota ministeriale si incida di fatto su provvedimenti già emessi da parte dell'autorità giudiziaria.
(2-00707) «Burtone, Salvatore Piccolo, Aiello, Albanella, Attaguile, Greco, Sbrollini, Minardo, Ventricelli, Culotta, Grassi, Capodicasa, Gullo, Galati, Cani, Mura, Portas, Brandolin, Bruno, Moscatt, Bonavitacola, Zappulla, Amoddio, Giovanna Sanna, Lo Monte, Berretta, Lauricella, Censore, Iacono, Ribaudo, Raciti, Battaglia, Riccardo Gallo, Francesco Saverio Romano, Bosco».

Interrogazione a risposta immediata:


   PALESE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 15 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, reca disposizioni relative ai corsi delle scuole di specializzazione medica;
   l'articolo 15, al comma 1, prevede un nuovo termine per l'emanazione del decreto interministeriale che deve stabilire la riduzione della durata dei corsi delle scuole di specializzazione medica (di cui all'articolo 20, comma 3-bis, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368); la nuova data è quella del 31 dicembre 2014, in luogo del termine, già scaduto, del 31 marzo 2014;
   è, quindi, stabilito che con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute, da emanare entro il 31 dicembre 2014, la durata dei corsi di formazione specialistica viene ridotta rispetto a quanto previsto nel decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 1o agosto 2005, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta ufficiale n. 258 del 5 novembre 2005, con l'osservanza dei limiti minimi previsti dalla normativa europea in materia, riorganizzando, altresì, le classi e le tipologie di corsi di specializzazione medica;
   l'emanazione del suddetto decreto è fondamentale per consentire agli specializzandi di valutare la nuova organizzazione dei corsi ed evitare ulteriori danni alla loro formazione;
   nel corso dell'esame del provvedimento il Governo ha accolto alla Camera dei deputati un ordine del giorno, a prima firma dell'interrogante, volto a impegnare l'Esecutivo a procedere immediatamente e comunque nel più breve tempo possibile all'emanazione del decreto interministeriale sopra richiamato –:
   in quali tempi il Governo intenda procedere con l'adozione del decreto interministeriale citato in premessa, posto che è assolutamente necessario per la formazione dei nuovi specializzandi. (3-01073)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SANTERINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 128 del 2013 ha previsto la stabilizzazione in organico di diritto dei 90.032 insegnanti di sostegno, attraverso un piano triennale: il 75 per cento nell'anno scolastico 2013-14, il 90 per cento nel 2014-15, fino ad addivenire al 100 per cento nel 2015-16;
   nell'anno scolastico 2013-14 è stata data applicazione alla prima quota di questo piano triennale, secondo quanto previsto dall'articolo 15, comma 2, della legge n. 128 del 2013, che ha modificato l'articolo 2, comma 414, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, al fine di determinare la stabilizzazione dei docenti di sostegno, secondo il piano triennale di cui al punto precedente;
   secondo quanto riportato da Tuttoscuola, l'effettiva quota di stabilizzazione nell'anno scolastico 2013-2014 è stata del 61,51 per cento, con forti difformità nell'applicazione a livello regionale;
   risulta evidente come vi siano regioni con una situazione di stabilizzazione superiore al 62 per cento, mentre vi sono invece altre regioni – come il Molise, la Lombardia, le Marche, il Lazio, il Veneto e l'Umbria – con una situazione di stabilizzazione molto al di sotto della media nazionale;
   a partire dalla tornata di stabilizzazione dell'anno scolastico 2014-15, la legge ha previsto la distribuzione dei nuovi posti secondo precisi criteri di equità, in modo da creare situazioni territoriali omogenee in una logica di perequazione;
   questa seconda quota del piano triennale di stabilizzazione deve pertanto essere distribuita a livello regionale in modo da determinare una pari percentuale di posti stabilizzati rispetto al totale dei posti di sostegno attivati in ciascuna regione, secondo quanto disposto dall'articolo 15, comma 2-bis, della legge n. 128 del 2013;
   la seconda quota del piano triennale di stabilizzazione è stata quindi definita dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in 80.871 posti, con un incremento di 13.076 unità: si arriverà quindi ad una percentuale di stabilizzazione pari all'89,82 per cento;
   tuttavia, stando all'indagine già menzionata, tutte le regioni beneficiano indistintamente di incrementi proporzionati ai livelli esistenti tutte le regioni: non si tiene conto, quindi, degli obiettivi di perequazione regionale fissati dalla legge e non è stata attivata alcuna compensazione in merito alla sperequazione già prodotta nell'anno scolastico 2013-2014;
   se, dunque, il piano triennale di stabilizzazione sta procedendo a norma di legge, con variazioni sostanzialmente non significative, non altrettanto può dirsi, invece, per la perequazione regionale;
   se difatti si mettono a confronto le situazioni di stabilizzazione dopo l'applicazione rispettivamente della prima quota (anno scolastico 2013-14) e della seconda (anno scolastico 2014-15), si può constatare che tutte le regioni che disponevano di percentuali di posti stabilizzati al di sopra della media nazionale hanno mantenuto le proprie posizioni di vantaggio;
   la forbice di sperequazione calcolata è compresa tra l'84,89 per cento della Basilicata e il 67,13 per cento del Molise;
   sarebbe stato necessario assegnare un minor numero di posti per l'anno scolastico 2014-15 alle regioni che già si trovavano maggiori percentuali di stabilizzazione dei posti, rispetto ad altre regioni che versano in una situazione di stabilizzazione molto al di sotto della media nazionale;
   quei valori percentuali, mancanti o eccedenti rispetto a quanto previsto dalla legge, hanno un significato numerico ben preciso, in quanto otto regioni hanno avuto illegittimamente più posti di quelli dovuti, hanno sostanzialmente sottratto un totale di 2.406 posti alle regioni sfavorite nel processo di stabilizzazione –:
   quali urgenti iniziative intenda il Ministro porre in essere al fine di dare applicazione al dettato dall'articolo 15, comma 2-bis, della legge n. 128 del 2013, volte quindi a sanare la sostanziale sperequazione interregionale in materia di stabilizzazione degli insegnanti di sostegno, che con tutta evidenza permane nell'anno scolastico 2014-2015. (5-03722)


   BATTAGLIA e COVELLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   presso la comunità di Samo in provincia di Reggio Calabria è stata decisa la chiusura della scuola dell'infanzia;
   la decisione ha sorpreso non poco l'intera comunità ed in particolare le famiglie dei bambini;
   i frequentanti del plesso scolastico sono 12 e la struttura che ospita l'istituto è di proprietà del comune quindi senza oneri da parte dello Stato;
   i bambini, ricordando che si tratta di piccoli dai 3 ai 5 anni, per frequentare la scuola dell'infanzia dovranno recarsi presso il comune di Bianco che dista circa 13 chilometri;
   la viabilità non è certo delle migliori e il periodo invernale renderà le cose ancora più complicate per le famiglie;
   chiudere un istituto scolastico, tra l'altro in questo caso il primo con cui i bambini entrano in contatto, è un pessima notizia soprattutto in un comprensorio come quello della Locride –:
   se e quali siano le motivazioni che hanno determinato tale improvvida decisione e se il Ministro in relazione alla situazione riportata in premessa non intenda prendere in considerazione un proprio intervento per riaprire la sede della scuola dell'infanzia di Samo ed evitare ulteriori disagi a questi piccoli cittadini e alle loro famiglie. (5-03723)

Interrogazione a risposta scritta:


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall'articolo 33, comma 2 della Costituzione, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali. La Repubblica individua come obiettivo prioritario l'espansione dell'offerta formativa e la conseguente generazione della domanda di istruzione dall'infanzia lungo tutto l'arco della vita;
   si definiscono scuole paritarie, a tutti gli effetti degli ordinamenti vigenti in particolare per quanto riguarda l'abilitazione a rilasciare titoli di studio aventi valore legale, le istituzioni scolastiche non statali, comprese quelle degli enti locali, che, a partire dalla scuola per l'infanzia, corrispondono agli ordinamenti generali dell'istruzione, sono coerenti con la domanda formativa delle famiglie e sono caratterizzate da requisiti di qualità ed efficacia; «Alle scuole paritarie private è assicurata piena libertà per quanto concerne l'orientamento culturale e l'indirizzo pedagogico-didattico. Tenuto conto del progetto educativo della scuola, l'insegnamento è improntato ai principi di libertà stabiliti dalla Costituzione repubblicana. Le scuole paritarie, svolgendo un servizio pubblico, accolgono chiunque, accettandone il progetto educativo, richieda di iscriversi, compresi gli alunni e gli studenti con handicap. Il progetto educativo indica l'eventuale ispirazione di carattere culturale e religioso. Non sono comunque obbligatorie per gli alunni le attività extra-curriculari che presuppongono o esigono l'adesione ad una determinata ideologia o confessione religiosa (articolo 1, commi 1, 2 e 3 della, legge 10 marzo 2000, n. 62»;
   «Fanno parte del sistema nazionale di istruzione le scuole statali e le scuole riconosciute paritarie; entrambe le categorie, pertanto, assolvono ad un servizio pubblico (...) le scuole paritarie possono essere gestite da persone fisiche, da enti con o senza personalità giuridica, senza fini di lucro o con fini di lucro.» (commi 1 e 2, articolo 1, decreto ministeriale 10 ottobre 2008, n. 83);
   anche le scuole paritarie, sia laiche sia cattoliche, di ogni ordine grado stanno subendo i contraccolpi della crisi economico-finanziaria e diversi istituti rischiano di cessare la propria attività per gli elevati costi di gestione e per il ritardo nei trasferimenti dei contributi dello Stato;
   l'eventuale ridimensionamento di questo «sistema parallelo» avrebbe pesanti conseguenze sul piano sociale ed economico, in particolare in quei territori dove l'offerta di educazione e istruzione non statale è un solida e radicata realtà;
   oggi le scuole paritarie rappresentano il 24 per cento delle scuole italiane ed assicurano allo Stato un importante risparmio incidendo, a fronte di un 12 per cento di popolazione scolastica servita, solo per l'1 per cento sulle risorse pubbliche per l'istruzione;
   il bilancio dello Stato prevede attualmente uno stanziamento di 272 milioni all'anno per il 2015 e per il 2016, decisamente insufficiente rispetto al «fondo storico» indispensabile per garantire un efficace funzionamento del sistema delle scuole paritarie;
   le difficoltà degli istituti paritari deriva anche dai ritardi del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca che non ha ancora né definito né tanto meno erogato i contributi relativi all'anno scolastico 2013/2014 già concluso;
   la «buona scuola» che è negli obiettivi del Governo non può prescindere da un efficiente funzionamento della rete delle scuole paritarie –:
   se il Governo, nel disegno di legge di stabilità 2015 intenda ripristinare ed incrementare, su base triennale (2015-2017) e non annuale, il fondo storico (530 milioni di euro all'anno) per le scuole paritarie; se intenda semplificare le procedure per l'erogazione dei contributi dovuti alle scuole paritarie, se sia in grado di assicurare, entro il 31 dicembre 2014, almeno il trasferimento dei contributi dovuti per l'anno scolastico 2013/2014 ormai concluso. (4-06295)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   Meridiana spa, gruppo di primaria importanza in Italia nel settore del trasporto aereo, sta vivendo da tempo una profonda crisi aziendale;
   la compagnia ha comunicato, il 15 settembre 2014, l'avvio della procedura di mobilità e licenziamento collettivo per 1634 lavoratori in esubero a causa della gravissima crisi aziendale in atto. Sono coinvolti nella procedura 1478 dipendenti di Meridiana Fly, di cui 262 piloti, 896 assistenti di volo e 320 lavoratori appartenenti al personale di terra, e 156 dipendenti di Meridiana Maintenance, altra società del gruppo, la maggior parte dei quali già in cassa integrazione guadagni straordinaria;
   Meridiana, seconda compagnia aerea del Paese, trasporta ogni anno circa 4 milioni di passeggeri, di cui un milione e mezzo da e per la Sardegna. La società ha base ad Olbia e sedi a Cagliari, a Verona e a Milano;
   il 23 settembre 2014, nel corso dell'incontro nella sede del Ministro del lavoro e delle politiche sociali tra Governo, sindacati e azienda, Meridiana ha accettato di sospendere la procedura fino al 21 ottobre 2014, impegnandosi a confrontarsi su diversi versanti, dalle rotte cedute alla controllata Air Italy alla gestione degli esuberi;
   a decorrere dal mese di settembre del 2011 la compagnia aerea ha collocato in cassa integrazione guadagni straordinaria integrata dal FSTA (fondo speciale di sostegno del reddito e dell'occupazione e per la riqualificazione dei lavoratori addetti al settore del trasporto aereo) 845 dipendenti appartenenti alle categorie del personale di terra, degli assistenti di volo e dei piloti;
   nel 2012, con l'integrazione dell'accordo tra l'azienda e le organizzazioni sindacali, i lavoratori di Meridiana posti in cassa integrazione guadagni straordinaria sono diventati 1350;
   la cassa integrazione guadagni straordinaria suddetta ha una durata di 48 mesi con termine a giugno 2015 e prevede l'intervento di sostegno del Fondo speciale del trasporto aereo di cui alla legge n. 291 del 2004;
   alla base dell'attivazione dei suddetti ammortizzatori sociali, tra le altre, sono state poste le seguenti motivazioni:
    a) crisi economica in corso, che avrebbe determinato una riduzione dei passeggeri;
    b) concorrenza sleale delle compagnie low cost straniere avvantaggiate dalle politiche di co-marketing da cui discendono imponenti flussi di denaro pubblico, erogati a loro beneficio dagli enti territoriali nei quali sono situati gli aeroporti italiani in cui operano tali compagnie;
    c) forte riduzione degli oneri fiscali e previdenziali per le compagnie low cost derivante dall'assoggettamento delle stesse ai regimi fiscali/previdenziali dei Paesi in cui hanno sede legale, nonostante le stesse operino con equipaggi, aeromobili e strutture stabilmente ubicati in Italia, con un conseguente minor costo del lavoro rispetto alle compagnie italiane;
   la maggiore causa degli esuberi del personale risulta essere, ad avviso degli interpellanti, il «travaso» di numerosissime attività da Meridiana verso altri vettori. Meridiana, infatti, sta facendo volare su molte rotte del proprio network, oltre ad aeromobili ed equipaggi della società Air Italy, di proprietà al 100 per cento di Meridiana, anche mezzi e personale di altre società, in particolare dell'est europeo, tra le quali Blue Air (rumena) e Air Explore (slovacca). Con le suddette società sono stati infatti definiti da Meridiana contratti di wet lease, vale a dire noleggio con equipaggio;
   la causa della gran parte degli esuberi non sembra ascrivibile a carenza di domanda da parte del mercato italiano, ma a quella che agli interpellanti appare una del deliberata scelta aziendale di «svuotamento» di Meridiana a beneficio di altri vettori, propri e stranieri, di fatto con addebito dei costi del proprio personale a carico dell'INPS e del FSTA;
   in particolare, numerosissime rotte sono state cedute da Meridiana ad Air Italy;
   secondo i bilanci della compagnia, nel 2013 i ricavi ottenuti dalle rotte di Meridiana sono stati pari a 60 milioni di euro, a fronte dei 126 milioni totali realizzati da Air Italy;
   la compagnia ha sottolineato gli sforzi straordinari messi in campo dall'Aga Khan per sostenere in vita Meridiana, con un investimento pari a 350 milioni di euro negli ultimi quattro anni, che ha ribadito la necessità della riduzione del personale, esprimendo, inoltre, la volontà di puntare su Air Italy perché più moderna, più competitiva e meno costosa;
   sarebbe stato proposto a piloti ed assistenti di volo, come possibile soluzione ai licenziamenti, il passaggio ad Air Italy. Ciò comporterebbe la perdita di alcuni diritti contrattuali acquisiti e l'azzeramento dell'anzianità di servizio maturata nel corso del tempo;
   dalle prime stime effettuate si calcola che la copertura per la mobilità dovrebbe essere pari a circa 330 milioni di euro, vale a dire circa 110 milioni di euro ogni anno per tre anni –:
   se i Ministri interpellati alla luce degli elementi esposti in premessa, nell'ambito delle proprie competenze, non ritengano opportuno assumere iniziative urgenti, nel corso delle prossime settimane e fino alla data del 21 ottobre 2014, per il mantenimento delle attività di Meridiana e per la salvaguardia di più di 1600 lavoratori, molti dei quali residenti in Sardegna, regione in cui la disoccupazione ha già raggiunto livelli drammatici.
(2-00706) «Nicola Bianchi, Dell'Orco, De Lorenzis, Cristian Iannuzzi, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano, Spessotto, Da Villa, Crippa, Prodani, Della Valle, Fantinati, Mucci, Vallascas, Tripiedi, Rizzetto, Bechis, Baldassarre, Chimienti, Ciprini, Cominardi, Rostellato, Vignaroli, Carinelli, Pinna, Fico, Nesci, Petraroli, Battelli, Luigi Di Maio».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARTELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   alla regione Veneto nell'ambito del riparto concernente il progetto «Garanzia Giovani», sono stati assegnati dall'Unione europea 83,2 milioni di euro impegnare per due anni in tirocini e work experience rivolti ai ragazzi in età compresa tra i 15 e i 29 anni;
   ad oggi tra il sito del ministero del lavoro e delle politiche sociali, e www.cliclavoroveneto.it sono giunte circa 17 mila domande;
   il Veneto è una delle regioni che hanno ricevuto il maggior numero di richieste da parte dei giovani che hanno aderito al progetto;
   ad oggi quasi la metà dei 17 mila ragazzi aderenti al progetto è stato chiamato da uno Youth Corner per sostenere un primo colloquio di orientamento e firmare il patto di attivazione necessario ad avviare la procedura per l'assunzione;
   questo nuovo servizio rientra nel progetto Garanzia Giovani e rappresenta il punto concreto di accesso dei giovani al programma, con funzioni di accoglienza e informazione, di presa in carico, colloquio individuale, profiling e orientamento;
   al 25 settembre sono 43 i centri per l'impiego e 30 gli Youth Corner privati che hanno preso in carico i destinatari;
   il Consorzio formazione logistica intermodale (CFLI), società di formazione del porto di Venezia, ha organizzato di recente un incontro per presentare l'attivazione degli sportelli Youth Corner finalizzato a facilitare l'incontro tra domande ed eventuali offerte di lavoro;
   tuttavia le imprese non sembrano particolarmente interessate ad utilizzare questo strumento tant’è che sono molto poche quelle che fino ad ora lo hanno usato;
   il perdurare della crisi rende molto prudenti le imprese che, tra l'altro, lamentano l'assenza di profili specifici tra i curricula pervenuti, il che evidenzia la necessità di rafforzare lo strumento della formazione –:
   quali iniziative il Ministro intenda attivare, con urgenza, per facilitare, ulteriormente, l'incontro tra giovani e imprese al fine di non vanificare l'opportunità che viene data proprio dallo strumento della «Garanzia Giovani». (5-03721)

RIFORME COSTITUZIONALI E RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta immediata:


   DORINA BIANCHI e BERNARDO. Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   il procedimento legislativo, per una sua completa attuazione, rimanda spesso alla definizione di appositi decreti o regolamenti attuativi;
   ad oggi sono numerosi i provvedimenti attuativi non ancora definiti;
   molti di questi riguardano, peraltro, temi delicati ed importantissimi direttamente collegati allo sviluppo ed alla crescita economico-sociale del Paese;
   da notizie riportate dalla stampa, infatti, al 17 settembre 2014, il tasso di attuazione dei provvedimenti da adottare che risalgono al Governo Monti sono fermi al 64,5 per cento, mentre, per quanto concerne il Governo Letta, risultano del 39,3 per cento –:
   cosa il Governo abbia fatto o intenda fare per accelerare il processo di realizzazione delle riforme approvate dal Parlamento attraverso una rapida emanazione dei decreti e dei regolamenti attuativi.
(3-01071)

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:

I Commissione:


   QUARANTA. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   visto l'articolo 1 della Costituzione che recita: «La sovranità appartiene al popolo» –:
   come il Governo, per quanto di competenza, intenda risolvere, nel percorso riformatore della legislatura, il tema fondamentale del rapporto fra cittadini ed istituzioni nel garantire da un lato una forte legittimazione democratica agli eletti ed all'altro una partecipazione diretta dei cittadini alla vita delle Istituzioni. (5-03741)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XII Commissione:


   LENZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'agenzia europea per i medicinali (EMA) è un organo decentrato dell'Unione europea con sede a Londra e, il suo compito principale è di tutelare e promuovere la sanità pubblica e la salute degli animali mediante la valutazione e il controllo dei medicinali per uso umano e veterinario;
   l'EMA è responsabile della valutazione scientifica delle domande finalizzate ad ottenere l'autorizzazione europea di immissione in commercio per i medicinali (procedura centralizzata). Nell'ambito della procedura centralizzata, le aziende presentano all'EMA un'unica domanda di autorizzazione all'immissione;
   tutti i prodotti medicinali per uso umano e per uso animale derivanti dalle biotecnologie e da altri processi tecnologici di avanguardia devono essere approvati mediante la procedura centralizzata. Lo stesso vale per tutti i medicinali per uso umano destinati al trattamento delle infezioni da Hiv/Aids, del cancro, del diabete o delle malattie neurodegenerative e per tutti i medicinali «orfani» destinati al trattamento di malattie rare. Analogamente, la procedura centralizzata si applica anche a tutti i medicinali per uso veterinario destinati al miglioramento della resa mediante l'accelerazione della crescita degli animali trattati o l'incremento dei prodotti derivati dagli stessi;
   la sicurezza dei medicinali viene controllata costantemente dall'Agenzia tramite una rete di farmacovigilanza. Nel caso in cui vengano riferite reazioni negative che modifichino il rapporto rischi/benefici di un medicinale, l'EMA prende i dovuti provvedimenti. In relazione ai medicinali per uso veterinario, l'Agenzia ha il compito di fissare i limiti di sicurezza dei residui di medicinali negli alimenti di origine animale;
   l'Agenzia coordina le risorse scientifiche di più di 40 autorità nazionali competenti di 30 paesi UE-SEE-EFTA in una rete di oltre 4.000 esperti europei nonché contribuisce alla promozione dell'innovazione e della ricerca nel settore farmaceutico. L'EMA fornisce pareri scientifici alle società impegnate nello sviluppo di nuovi prodotti medicinali e le assiste nell'elaborazione di protocolli, e pubblica inoltre linee guida sui requisiti di prova della qualità, della sicurezza e dell'efficacia. Un ufficio ad hoc, costituito nel 2005, fornisce assistenza speciale alle piccole e medie imprese (PMI);
   in Italia l'EMA collabora e si coordina con l'attività dell'AIFA (Agenzia italiana del farmaco) che ha il compito di autorizzare l'immissione in commercio dei nuovi farmaci, monitorare costantemente la rete di farmaco-vigilanza e vigilare sulla produzione delle aziende farmaceutiche, con l'obiettivo primario di tutelare la salute promuovendo una nuova politica del farmaco e una informazione corretta e indipendente sui farmaci rivolta a cittadini e operatori del settore e, per le sue funzioni di tutela della salute, l'Aifa è un ente pubblico che opera in autonomia, trasparenza e economicità, sotto la direzione del Ministero della salute e la vigilanza del Ministero della salute e del Ministero dell'economia e delle finanze. Collabora con le regioni l'Istituto superiore di sanità, gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, le associazioni dei pazienti, i medici e le società scientifiche, il mondo produttivo e distributivo;
   invece, nonostante la sua funzione di garanzia e controllo sui farmaci, subito dopo la sua nascita nel 1995, l'EMA fu collocata sotto il direttorato generale dell'industria, incongruenza che solo più tardi venne meno con una nuova collocazione nell'ambito del direttorato della salute pubblica;
   dalle ultime dichiarazioni del neopresidente eletto Jean-Claude Juncker traspare invece la volontà di riportare l'Ema sotto il direttorato che si occupa di industria, mercato e piccole medie imprese con la conseguenza che i farmaci e dispositivi medici tornino ad essere visti principalmente come «prodotti» di un «mercato» concorrenziale prefigurando un asservimento della salute alle esigenze delle imprese;
   questa nuova collocazione dell'Ema, infatti, non mancherebbe di rappresentare un importante passo indietro rispetto a quanto avvenuto negli ultimi anni e rischierebbe di minare i tentativi di trasformare il mondo regolatorio in uno degli attori capaci non solo di individuare le migliori terapie farmacologiche e i device più efficaci e sicuri, ma anche di farsi promotore di salute pubblica –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopraesposti e quali misure urgenti, nei limiti delle proprie competenze e di quelle degli organi europei, intenda adottare affinché l'Ema sia collocata senza indugio sotto il direttorato della salute pubblica affinché prima di tutto vi sia il rispetto e la tutela della salute dei cittadini europei così come già avviene in Italia con la collocazione della sua diretta interlocutrice, l'Aifa, sotto la direzione del Ministero della salute. (5-03725)


   PIAZZONI e BORGHESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la normativa agente in materia di medicinali omeopatici deriva dal nuovo Codice europeo (Capo II decreto legislativo 219 del 2006) e dalle modifiche introdotte con il decreto legislativo n. 274 del 29 dicembre 2007 (Gazzetta Ufficiale n. 38 del 14 febbraio 2008);
   l'autorizzazione all'immissione in commercio di un medicinale omeopatico è rilasciata con procedura semplificata di registrazione se il medicinale:
    a) è destinato ad essere somministrato per via orale od esterna;
    b) non reca specifiche indicazioni terapeutiche sull'etichetta o tra le informazioni di qualunque tipo che si riferiscono al prodotto;
    c) ha un grado di diluizione tale da garantire la sicurezza; in ogni caso il medicinale non può contenere più di una parte per diecimila di tintura madre, né più di 1/100 della più piccola dose eventualmente utilizzata nell'allopatia per le sostanze attive la cui presenza in un medicinale allopatico comporta l'obbligo di presentare una ricetta medica;
   i medicinali omeopatici presenti sul mercato italiano alla data del 6 giugno 1995 sono soggetti alla procedura semplificata di registrazione prevista dagli articoli 16 e 17 del Codice europeo, anche quando non abbiano le caratteristiche di cui alle lettere a) e c). La suddetta procedura di registrazione prevede, in particolare, che dopo il 31 dicembre 2015 solo i medicinali omeopatici in possesso di un numero AIC e di un formale provvedimento autorizzativo potranno continuare ad essere commercializzati sul territorio italiano;
   nella Gazzetta Ufficiale del 15 marzo 2013 sono state pubblicate le nuove tariffe che le aziende omeopatiche saranno tenute a pagare per la registrazione;
   le tariffe di cui sopra sono state tuttavia aumentate di circa 700 volte e le cifre che le aziende dovranno versare all'atto della presentazione della domanda, secondo un calcolo fatto dall'AIFA, potranno aggirarsi fino anche a più di 20.000 euro per ogni medicinale omeopatico unitario;
   il mercato delle aziende produttrici di farmaci omeopatici è composto da piccole e medie imprese, che hanno tutte delle produzioni piuttosto limitate. Si calcola, in particolare, che il 95 per cento dei medicinali omeopatici unitari in commercio viene venduto in lotti inferiori ai 5000 pezzi all'anno, a volte in solo poche decine di pezzi. Ne deriva che i ricavi, in questi casi, non sono nemmeno sufficienti a coprire le spese di produzione;
   avverso il suddetto decreto è stato proposto dalle aziende produttrici ricorso al Tar Lazio che lo ha annullato in quanto l'aumento delle tariffe superava il 10 per cento concesso, e, peraltro, avveniva attraverso una riclassificazione delle categorie degli stessi medicinali omeopatici;
   allo stato attuale permane incertezza sulla ridefinizione del decreto che dovrebbe stabilire le nuove tariffe. In particolare devono ancora essere stabilite le tariffe per il rinnovo dei prodotti, che dovrebbero essere equiparate alla media europea, così come la compilazione semplificata dei dossier per ogni farmaco omeopatico, visto che questi prodotti sono per la stragrande maggioranza in commercio da circa 25 anni;
   le imprese che producono farmaci omeopatici rappresentano una realtà imprenditoriale italiana da 300 milioni di fatturato (terzo mercato europeo dopo Francia e Germania), 8 milioni di pazienti, 4.000 fra dipendenti e indotto, una delle poche che, a dispetto della crisi, ha un tasso di crescita annuo attorno al 4-5 per cento;
   in mancanza di prospettive certe le aziende del settore hanno già, limitato la produzione di alcuni medicinali, La non disponibilità in farmacia dei medicinali omeopatici e antroposofici porterà peraltro allo sviluppo di un mercato parallelo, meno controllato, soprattutto via internet dall'estero e quindi in contraddizione con l'obiettivo che la politica di registrazione si pone. Senza considerare che molti di questi medicinali sono disponibili nelle farmacie europee creando un evidente discriminazione tra cittadini dell'Unione;
   una corretta ridefinizione delle tariffe di registrazione dei farmaci omeopatici dovrebbe consentire di unificare i costi di registrazione dei medicinali unitari al singolo ceppo per tutte le forme farmaceutiche, tenendo presente i costi di registrazione già applicati in altre nazioni europee. Sarebbe inoltre opportuno prevedere delle registrazioni per fasce differenziate, adeguando i costi al reale volume di vendita dei medicinali –:
   se non ritenga opportuno, sulla scorta delle considerazioni esposte in premessa, giungete in tempi rapidi alla ridefinizione delle tariffe di registrazione dei farmaci omeopatici, valutando inoltre la possibilità di riconoscere alle ditte la facoltà di approntare preparazioni magistrali senza obbligo di deposito di campioni, come avviene tutt'ora in altre nazioni europee. (5-03726)


   NICCHI, SCOTTO e MATARRELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in Italia ci sono circa 700 mila portatori di pacemaker, e ogni anno se ne impiantano altri 60 mila. Si tratta di piccoli involucri di titanio dal quale partono piccoli impulsi elettrici per far funzionare meglio un cuore malato;
   l'istituto superiore di sanità è uno degli organismi europei notificati a certificare i dispositivi che vengono impiantati nel nostro corpo, e l'unico in Italia per pacemaker e neurostimolatori e defibrillatori impiantabili. La certificazione può essere emessa solo dopo che i dispositivi medicali superano severi test di laboratorio. L'Istituto superiore di sanità certifica che i pacemaker, neuro stimolatori o defibrillatori impiantati siano sicuri, che siano resistenti agli urti o non condizionabili dai campi elettromagnetici;
   la trasmissione della Rai Report del 5 ottobre 2014, è entrata per la prima volta nei laboratori dell'Istituto superiore di sanità e dalle immagini trasmesse si mostrano macchinari rotti, vecchi e inutilizzati. Inoltre dalla documentazione in possesso di Report emerge anche che l'Istituto superiore di sanità è a conoscenza che il laboratorio non funziona già dal settembre 2010 quando il direttore del dipartimento tecnologie nomina come responsabile del laboratorio un ingegnere al fine di migliorare l'efficacia dei controlli sulla sicurezza dei pacemaker. L'ingegnere ringrazia, ma rinuncia all'incarico rispondendo nel documento, di cui Report è entrato in possesso, che non è possibile svolgere le attività previste, in quanto il laboratorio, a causa delle condizioni in cui è ridotto, di fatto non esiste;
   secondo quanto appreso da Report quindi l'Istituto non assolve al suo compito perché rilascia certificazioni senza aver fatto i test prescritti dalla legge, anche se già le stesse aziende che li costruiscono, li sottopongono a dei test severi;
   il mercato e la sicurezza dei dispositivi medici, dai cerotti ai pacemaker, in Italia è nella responsabilità di Marcella Marletta, direttore generale del ministero della salute, che ha l'obbligo di vigilare sugli uffici dell'Istituto superiore di sanità che rilasciano i certificati, fra i quali, ad esempio, l'ufficio di Carmine Guarino (suo marito), che si occupa della sicurezza di cerotti, siringhe e cosmetici. Inoltre la Marletta vigila anche sull'ufficio di Pietro Bartolini che rilascia tra le altre cose i certificati di conformità per i pacemaker e neuro stimolatori, però solo dopo aver svolto i test che si dovrebbero tenere all'interno dell'Istituto superiore di sanità;
   alla richiesta di chiarimenti sull'effettivo funzionamento del suo laboratorio, l'Istituto superiore di sanità, nella persona del suo commissario Walter Ricciardi, scrive di non poter né confermare, né smentire nella risposta dell'istituto superiore di sanità: «Spett. Redazione, si rappresenta, ancora una volta, che questa Amministrazione non può né smentire né confermare i sospetti avanzati da codesta spettabile redazione sul funzionamento del Laboratorio dell'Organismo Notificato, Sezione Tecnologie e Salute dell'Istituto Superiore di Sanità fin quando codesta redazione medesima non avrà esplicitato sulla base di quali elementi sia stata indotta a ritenere che l'Organismo Notificato sopracitato non sia funzionante e, conseguentemente, rilasci certificazioni CE non conformi alla norma. Ovviamente, ci si riserva di intraprendere ogni azione legale a tutela dell'immagine dell'Istituto Superiore di Sanità e dei suoi operatori qualora vengano diffuse notizie o filmati che non abbiano il carattere formale della ufficialità, che solo questo Istituto può attribuire, destinate a creare improprio allarme sociale. Cordialmente.»;
   gli ispettori della Guardia di Finanza del Nucleo Tributario di Roma hanno perquisito l'Istituto superiore di sanità, su mandato del pubblico ministero Giorgio Orano della procura di Roma e coordinati dal Colonnello Cosimo di Gesù. Secondo quanto si apprende tramite la redazione di Report, le fiamme gialle sono entrate nel «laboratorio fantasma» mostrato ieri nell'inchiesta «Il danno e la beffa» di Sigfrido Ranucci, per poi acquisire la documentazione sui pacemaker su cui l'istituto avrebbe dovuto effettuare i controlli di legge e parlare con i dirigenti del dipartimento Tecnologia e Salute. La procura di Roma ha, aperto un fascicolo poche ore dopo la messa in onda dell'inchiesta su Rai3 –:
   se corrisponda al vero il fatto che vengano rilasciati certificati di conformità in assenza di effettivi controlli sui pacemaker da parte dell'Istituto superiore di sanità e non ritenga di provvedere urgentemente a ripristinare i controlli previsti. (5-03727)


   GRILLO, SILVIA GIORDANO, BARONI, CECCONI, DALL'OSSO, DI VITA, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in Italia si impiantano circa 60.000 pacemaker, mentre i portatori di pacemaker sono circa 700.000;
   la trasmissione «Report» andata in onda dalle 21.15 del 5 ottobre 2014 su Rai 3 ha documentato come l'Istituto Superiore di Sanità da anni non svolga l'attività di verifica dei pacemaker con prove di laboratorio;
   l'Istituto Superiore di Sanità è l'unico ente abilitato dall'Unione europea a eseguire le prove su dispositivi medici e a rilasciare il marchio CE;
   le telecamere di «Report» hanno documentato come il «laboratorio» nel quale si dovrebbero verificare l'affidabilità dei pacemaker in realtà appare come un locale dismesso con ingranaggi di macchinari arrugginiti, polvere dappertutto, manopole penzolanti e quant’ altro quindi un «laboratorio» dotato di tecnologie obsolete o danneggiate;
   dalle carte in possesso della redazione di «Report» sembrerebbe che il laboratorio dell'Istituto Superiore di Sanità incaricato di attestare l'affidabilità dei dispositivi, in realtà avrebbe rilasciato certificazioni senza effettuare alcuna prova di laboratorio e che di fatto questi risulterebbe non operativo dal 2010;
   i certificati di conformità dei pacemaker in realtà dovrebbero essere rilasciati solo successivamente al collaudo in particolare per quanto attiene la resistenza alla temperatura, agli urti, agli ultrasuoni, alle interferenze con campi elettromagnetici, test che sembrerebbero effettuati, attualmente solo sulla carta;
   il Commissario dell'Istituto superiore di sanità dottor Ricciardi ha scritto a «Report»: «non smentisco e non confermo»;
   il capo dipartimento farmaci e dispositivi medici del Ministero della salute è la dottoressa Marcella Marletta che è a sua volta moglie del dottor Carmine Guarino responsabile dell'organismo di valutazione dei dossier tecnici presentati dalle ditte che producono i pacemaker quindi controllato e controllore sono componenti di una stessa famiglia;
   la dottoressa Marletta ha scritto alla redazione di «Report» che gli organismi vigilanti sono ispezionati dalla Commissione europea e non sono obbligati a eseguire prove di laboratorio ma sono chiamati ad attestare che le aziende le abbiano eseguite presso le stesse o altre officine;
   le aziende produttrici garantiscono procedure e controlli severissimi ma di fatto autocertificano attraverso le proprie officine; anche se fosse vero che l'Istituto superiore di sanità non è obbligato a eseguire prove di laboratorio, questo non significa che non possano essere effettuate prove, che verifichino e attestino quanto dichiarato dalle aziende produttrici, e non soltanto avere un ruolo di vidimazione di prove effettuate dai produttori stessi –:
   se il Ministro non ritenga che sussista un evidente conflitto di interesse in quanto il capo dipartimento farmaci e dispositivi medici del Ministero della salute è la dottoressa Marcella Marletta moglie del dottor Carmine Guarino responsabile dell'organismo di valutazione dei dossier tecnici presentati dalle ditte che producono i pacemaker e in tale contesto se ritenga necessario intervenire garantendo l'affidabilità dei pacemaker attraverso la ripresa delle prove tecniche di laboratorio che possano confermare i dossier tecnici forniti dalle aziende produttrici. (5-03728)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LENZI, MIOTTO, ALBINI, AMATO, BENI, CAPONE, CARNEVALI, CASATI, D'INCECCO, GRASSI, FOSSATI, MURER e PATRIARCA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella trasmissione televisiva «Report» andata in onda su RAI 3 nella serata di domenica 5 ottobre 2014. l'inchiesta promossa dal signor Sigfrido Ranucci ha denunciato lo stato di abbandono in cui versa il laboratorio dell'Istituto superiore sanità, incaricato di certificare la sicurezza di dispositivi che vengono impiantati nel corpo, quali ad esempio pacemaker e defibrillatori;
   dalle immagini trasmesse in esclusiva si vedeva un laboratorio fatiscente con macchinari rotti, vecchi e inutilizzati;
   dalla documentazione in possesso di Report, è emerso, inoltre, che l'istituto superiore di sanità era a conoscenza che il laboratorio non funzionava già dal settembre 2010, quando con uno scambio di lettere protocollate, un ingegnere incaricato di migliorare l'efficacia dei controlli sulla sicurezza dei pacemaker, rinunciava all'incarico perché impossibilitato a svolgere le attività previste, «in quanto il laboratorio, a causa delle condizioni in cui è ridotto, di fatto non esiste»;
   in Italia ci sono 700 mila portatori di pacemaker e, ogni anno altri 60 mila nuovi pazienti si sottopongono all'impianto del dispositivo;
   l'istituto superiore di sanità è uno degli organismi notificati europei a certificare i dispositivi che vengono impiantati nel nostro corpo, e l'unico in Italia per pacemaker e neurostimolatori. La certificazione può essere emessa solo dopo che i dispositivi medicali superano severi test di laboratorio;
   l'istituto, dal 13 luglio 2014, con decreto dei Ministri della salute e dell'economia e delle finanze è stato commissariato nella speranza di restituire all'Istituto il massimo in termini di economicità, efficienza, capacità di attrarre risorse per la ricerca e assoluta trasparenza di tutti gli atti –:
   se il Ministro fosse a conoscenza dei fatti sopraesposti e quali misure urgenti intenda adottare per porre fine a una situazione oramai divenuta insostenibile ed inaccettabile. (5-03724)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'UVA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, «Attuazione della direttiva 93/16/CEE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CEE», disciplina le modalità di accesso e ammissione ai corsi di formazione specifica in medicina generale;
   a norma dell'articolo 21 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, per l'esercizio dell'attività di medico chirurgo di medicina generale, nell'ambito del servizio sanitario nazionale è necessario il possesso del diploma di formazione specifica in medicina generale;
   il diploma di cui all'articolo 21 si consegue a seguito di un corso di formazione in medicina generale, riservato ai laureati in medicina e chirurgia, abilitati all'esercizio professionale e non ai possessori di diploma di specializzazione, o di diploma di formazione specifica in medicina generale o di dottorato di ricerca, e consente l'iscrizione alle graduatorie regionali di medicina generale;
   il comma 2 dell'articolo 25 del decreto prevede che «le regioni e le province autonome, emanano ogni anno, entro il 28 febbraio, i bandi di concorso per l'ammissione al corso triennale di formazione specifica in medicina generale, in conformità ai principi fondamentali definiti dal Ministero della salute, per la disciplina unitaria del sistema»;
   in data 17 settembre 2014 si sono svolte in tutta Italia, su base regionale, le prove relative all'ammissione ai corsi regionali di formazione specifica in medicina generale per il triennio 2014-2017;
   nei giorni immediatamente successivi le più importanti testate giornalistiche nazionali riportavano fatti di gravissima entità, su presunte irregolarità verificatisi nelle sedi di diverse regioni italiane nelle quali i candidati stavano sostenendo le prove così come previste dai bandi;
   in data 19 settembre 2014, in particolare, il quotidiano «La Repubblica» riportava un articolo all'interno del quale venivano raccolte alcune testimonianze di candidati che, denunciando le irregolarità alle quali hanno personalmente assistito durante lo svolgimento delle prove, facevano emergere dettagli preoccupanti circa la regolarità delle stesse;
   secondo quanto riportato dall'articolo «Salerno è stato l'epicentro dell'ultimo multi-concorso scandaloso italiano, svolto la mattina di mercoledì 17 settembre in molte delle nostre città, le più importanti. Quindicimila aspiranti in tutto. In diverse sedi – a Salerno e a Palermo, a Roma e a Pescara, a Firenze, Padova, Milano – centinaia di testimoni, tutti tracimati con la loro indignazione sui social forum, hanno segnalato questo: candidati seduti uno a fianco all'altro a guardarsi reciprocamente il compito, a verificare, a copiare»;
   sempre dalla lettura dell'articolo si rileva come durate le prove in numerose sedi venissero usati «Telefonini per dialogare con l'esterno e cercare conferme con “google”, con libri spalancati sul pavimento, per dare un'occhiata, prendere le centodieci risposte giuste alle domande del solito test multiplo», ma, secondo quanto denunciato, «nessun commissario, nelle sedi citate, a girare per la stanza, la palestra, la sala d'ospedale»;
   sui principali social network nazionali, nelle ore immediatamente successive la conclusione dei test, infine, si riportavano denunce di irregolarità, così confermato dall'articolo, secondo cui proprio on-line diversi candidati «hanno fatto rimbalzare per un giorno intero testimonianze e materiale fotografico», confermando, anche se solo indirettamente, la presenza di strumenti e materiale non consentito all'interno delle sedi preposte;
   si rileva, infine, come altrettanto gravi risulterebbero, se confermate, alcune inefficienze procedurali quali la mancata dissociazione tra la busta contenente l'anagrafica del candidato ed il relativo elaborato, ovvero il mancato utilizzo del codice a barre per preservare l'anonimato dei candidati, così come riportato dall’«Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri della provincia di Latina» sul proprio sito on-line –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritenga urgente acquisire elementi circa la sussistenza dei fatti sin qui riportati, e le citate gravissime irregolarità che, se confermate, avrebbero inficiato in maniera irreversibile la regolarità della prova di ammissione ai corsi di formazioni specifica in medicina generale e quali iniziative per quanto di competenza intenda assumere, anche in sede di Conferenza Stato-regioni, per evitare che tali episodi si verifichino in futuro. (4-06291)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazioni a risposta immediata:


   D'ALIA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4, comma 3, lettera b), del decreto-legge n. 101 del 2013, stabilisce che «per le Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, l'autorizzazione all'avvio di nuove procedure concorsuali (...) è subordinata alla verifica (...) dell'assenza, nella stessa amministrazione, di idonei collocati nelle proprie graduatorie vigenti ed approvate a partire dal 1o gennaio 2007, relative alle professionalità necessarie anche secondo un criterio di equivalenza»;
   all'osservanza di tale regola il dipartimento della funzione pubblica ha richiamato tutte le pubbliche amministrazioni con circolare n. 5 del 21 novembre 2013;
   al punto 3.1 della suddetta circolare nella quale sono state indicate anche le risorse finanziarie destinate all'attuazione di tale meccanismo si precisa che «Sullo scorrimento delle graduatorie degli idonei, vigenti e approvate dal 1o gennaio 2007, c’è un vincolo, previsto dal legislatore, allo scorrimento delle stesse rispetto all'avvio di nuove procedure concorsuali»;
   con la sentenza 3 dicembre 2013, n. 10375, il tribunale amministrativo regionale del Lazio ha stabilito che tale disposizione su richiamata è «di applicazione, quanto ad ambito oggettivo, indistintamente a tutte le Amministrazioni, senza limitazioni di carattere soggettivo ed oggettivo», sottolineando come l'esigenza di alta preparazione professionale (richiesta anche nel bando 2014) «non risulta incompatibile con lo scorrimento della graduatoria, alla luce della valutazione di idoneità riportata all'esito di una procedura concorsuale»;
   alcune amministrazioni (a titolo esemplificativo il Ministero degli affari esteri in occasione del nuovo concorso per 35 posti di segretario di legazione bandito con DM/5015 n. 164-bis del 4 aprile 2014, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che ha bandito un concorso pubblico unico per l'assunzione di 32 unità di personale da inquadrare a tempo pieno ed indeterminato nell'area funzionale III-profilo professionale «ingegnere-architetto» ed il Ministero della giustizia nel caso del bando per l'assunzione di 96 funzionari giudiziari area III F1 e 48 posti di cancelliere area II F2) si sono sottratte alla previsione di cui alla circolare n. 5 del 21 novembre 2013, che obbliga, nel bandire nuovi concorsi, al preliminare scorrimento delle vigenti graduatorie;
   oltre ad una palese violazione del principio di imparzialità e di buona andamento della pubblica amministrazione, alla perdita di professionalità formate, vi è un problema di costi connessi alle procedure di pubblicazione dei bandi in aperto contrasto con le politiche di spending review intraprese dal Governo, senza dimenticare che, qualora la magistratura dovesse dare ragione ai ricorrenti, le amministrazioni incorrerebbero in responsabilità civili e contabili –:
   quali iniziative intenda adottare al fine di una corretta applicazione della normativa di cui al decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, alla luce degli elementi esposti in premessa. (3-01077)


   FIANO, ROBERTA AGOSTINI, CUPERLO, D'ATTORRE, MARCO DI MAIO, FABBRI, FAMIGLIETTI, FERRARI, GASPARINI, GIORGIS, GULLO, LATTUCA, LAURICELLA, MARCO MELONI, NACCARATO, PICCIONE, POLLASTRINI, RICHETTI, ROSATO, FRANCESCO SANNA, MARTELLA e DE MARIA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4 del decreto legge n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014, ha introdotto una nuova disciplina della mobilità nella pubblica amministrazione;
   in particolare, si prevede la possibilità di operare trasferimenti tra sedi centrali di ministeri, agenzie ed enti pubblici non economici nazionali, anche in mancanza dell'assenso dell'amministrazione di appartenenza, a condizione che l'amministrazione di destinazione abbia una percentuale di posti vacanti superiore a quella dell'amministrazione di provenienza; che i dipendenti possano essere trasferiti all'interno della stessa amministrazione o, in altra amministrazione, in sedi collocate nel territorio dello stesso comune ovvero a distanza non superiore a 50 chilometri dalla sede cui sono adibiti;
   la stessa norma ha previsto l'istituzione di un fondo destinato al miglioramento dell'allocazione del personale pubblico, volto a favorire i processi di mobilità, con una dotazione di 15 milioni di euro per il 2014 e 30 milioni di euro a decorrere dal 2015;
   la norma ha chiaramente l'intento, nel rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori, di eliminare gli steccati tra i diversi enti della pubblica amministrazione, consentendo di assegnare il personale laddove lo stesso sia indispensabile per fornire un corretto servizio ai cittadini;
   in questo senso, la norma appare fondamentale per sopperire alla cronica carenza di personale degli uffici giudiziari del Paese, che molto incide sull'incredibile numero di processi civili pendenti –:
   a che punto sia l'attuazione della norma in oggetto e, in particolare, se vi siano progetti di allocazione di personale presso i diversi uffici giudiziari presenti nel Paese. (3-01078)


   RAMPELLI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   non sembra essersi realizzata la rivoluzione annunciata dal Presidente del Consiglio dei ministri nell'ambito della pubblica amministrazione, soprattutto per quanto attiene all'introduzione del principio del merito nella valutazione dei lavoratori pubblici;
   i due provvedimenti presentati dal Governo per la riforma della pubblica amministrazione, infatti, non sembrano contenere norme che possano incidere in modo concreto sulla valutazione di qualità o sulle modalità per individuare e raggiungere obiettivi concreti;
   al contrario, proprio nel settore della pubblica amministrazione, oppresso da incomprensibili lungaggini e complicazioni burocratiche e da un sistema di avanzamento di carriera dei dipendenti ancora basati su parametri di mera anzianità, dovrebbero imporsi come linee guida di uno sforzo riformatore proprio la meritocrazia, la valutazione, la trasparenza, la qualità e l'innovazione;
   in tutto il settore pubblico per valutare e premiare le persone dovrebbero essere considerati esclusivamente le capacità e le qualità professionali, il rendimento sul lavoro e il livello di formazione e aggiornamento dei singoli dipendenti, anche al fine di stabilire livelli di responsabilità e relativi stipendi;
   inoltre, appare assolutamente necessario procedere all'individuazione di chiare responsabilità in capo ai singoli funzionari e dirigenti e, soprattutto con riferimento a questi ultimi, prevedere che il pagamento di almeno una parte della retribuzione sia variabile perché vincolato, da un lato, al raggiungimento degli obiettivi e, dall'altro, all'andamento dei più importanti fattori macroeconomici del Paese, quali il prodotto interno lordo, il tasso di disoccupazione, l'indice dei consumi e l'indice della povertà –:
   quali iniziative intenda assumere per realizzare nell'amministrazione pubblica un sistema di valutazione realmente basato su principi meritocratici, nonché per introdurre un meccanismo stipendiale per i dirigenti che sia articolato come esposto in premessa. (3-01079)

Interrogazione a risposta scritta:


   DADONE. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 settembre 2014, a seguito della seduta del Consiglio dei ministri, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, è stato nominato il professor Tiziano Treu a commissario straordinario per l'Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS);
   il professor Treu, già Ministro dei lavoro nella seconda metà degli anni ’90, è nato nell'agosto 1939 compiendo quindi, poco prima della nomina all'INPS, 75 anni di età;
   la figura del commissario straordinario del Governo è istituita e regolata ai sensi dell'articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400;
   ai sensi dell'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, in legge 11 agosto 2014, n. 114, che ha modificato l'articolo 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, è vietato alle amministrazioni pubbliche conferire a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo. Altresì, il provvedimento specifica al medesimo articolo che «incarichi e collaborazioni sono consentiti, esclusivamente a titolo gratuito e per una durata non superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione»;
   ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2011, n. 165, per amministrazioni pubbliche sono intese tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale;
   alla luce del combinato disposto delle disposizioni di cui ai punti precedenti, l'incarico conferito dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali al professor Treu deve ritenersi, ad avviso dell'interrogante, limitato nella durata e non prevedere alcun emolumento;
   l'Istituto nazionale di previdenza sociale, dalle dimissioni di Antonio Mastrapasqua del febbraio 2014, giunte a seguito degli scandali giudiziari che stavano interessando lo stesso nell'ambito di altri incarichi ricoperti, è stato diretto dal commissario straordinario del Governo Vittorio Conti, al termine del mandato di quest'ultimo è stato quindi nominato Tiziano Treu, segnando per l'Istituto il terzo cambio di vertice in sette mesi –:
   se il Governo abbia considerato le condizioni vigenti che regolano l'incarico affidato ad un soggetto in quiescenza come il professor Treu e, in tal caso, quali siano le ragioni a sostegno di tale scelta;
   se, alla luce di tali condizioni, non ritenga il Governo di dover assumere le opportune iniziative per garantire all'Istituto una guida più stabile e continuativa, abbandonando la nomina di commissari straordinari per conferire l'incarico «ordinario» di presidente a soggetti idonei a norma di legge. (4-06287)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

X Commissione:


   RICCIATTI, SCOTTO, GIANCARLO GIORDANO, FERRARA, AIRAUDO e PLACIDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Indesit Company è un'azienda multinazionale leader nel settore degli elettrodomestici che nella parte più lunga e importante della sua storia ha avuto il cuore produttivo e decisionale e nelle Marche ed è appartenuta alla famiglia Merloni;
   l'azienda marchigiana ha vissuto, come altre realtà economiche nazionali, la crisi economica che l'aveva portata a perdere nel 2009 il 17 per cento dei ricavi, situazione che era tuttavia migliorata negli anni successivi grazie all'andamento positivo di alcuni mercati esteri;
   nel 2013 l'amministratore delegato Marco Milani subentrava alla presidenza ad Andrea Merloni. Per la prima volta nella storia della Indesit un manager esterno alla famiglia Merloni guidava l'azienda; in data 4 giugno Indesit aveva annunciato l'esubero di 1.400 lavoratori in Italia, per poter rendere più competitiva l'azienda;
   a seguito di trattative tra le organizzazioni sindacali, l'azienda e le Istituzioni – Ministero dello sviluppo economico e regione Marche tra le più attive –, il 3 dicembre 2013 presso il Ministero dello sviluppo economico è stato siglato l'accordo relativo alla vertenza tra l'azienda, il Ministero dello sviluppo economico, le regioni Campania e Marche, Confindustria Ancona e Caserta, le organizzazioni sindacali dei lavoratori, ad eccezione della Fiom, che vi ha aderito successivamente ad un referendum dei lavoratori dell'azienda;
   tale accordo prevede un investimento della azienda pari ad 83 milioni di euro e la ridefinizione delle missioni produttive per ogni sito del gruppo, l'impegno dell'azienda sino a tutto i 2018 di non ricorrere all'utilizzo di procedure unilaterali di mobilità, l'uso dei contratti di solidarietà, un limite alla cassa integrazione a zero ore di 4 mesi per ogni lavoratore, nei cinque anni di durata del piano, nonché la realizzazione di un centro di ricerca sui prodotti elettrodomestici, all'interno dello stabilimento Indesit di Melano nelle Marche, finanziato da diverse Istituzioni, tra le quali lo stesso Ministero dello sviluppo economico, le regioni Marche e Campania ed il Consiglio nazionale delle ricerche;
   in data 11 luglio 2014 la stampa ha reso noto che la famiglia Merloni attraverso le società Fineldo, ha ceduto alla società americana Whirlpool la partecipazione del 60,4 per cento del capitale (ossia il 66,8 per cento dei diritti di voto) della fabbrica di elettrodomestici. Il prezzo di acquisto era stato fissato a 11 dollari per ogni azione di Indesit, per un prezzo totale previsto pari a 758 milioni di dollari;
   nonostante le diverse sollecitazioni, ad oggi non è ancora chiaro se Whirlpool riconoscerà il piano industriale siglato dalla Indesit, salvaguardando così i livelli occupazionali e gli impianti produttivi nel territorio marchigiano e campano, così come stabilito tra le parti e le Istituzioni nell'accordo del 3 dicembre 2013;
   le preoccupazioni, soprattutto da parte delle organizzazioni sindacali e dai lavoratori, risiedono nell'evidenza che Whirlpool produce prodotti della stessa tipologia merceologia della Indesit e possiede già diversi stabilimenti in Italia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle intenzioni della acquirente Whirlpool circa il riconoscimento del piano industriale siglato da Indesit il 3 dicembre 2013 e quali strumenti, per quanto di competenza, intenda attuare per salvaguardare livelli occupazionali e impianti produttivi nei territori interessati. (5-03729)


   VALLASCAS, DA VILLA, CRIPPA, PRODANI, MUCCI, FANTINATI e DELLA VALLE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 17 aprile 2014 si è insediato il Gruppo di coordinamento nazionale GNL, previsto dal Ministero dello sviluppo economico nell'ambito delle attività preliminari alla predisposizione del Piano strategico nazionale sull'utilizzo del gas naturale liquefatto (GNL) in Italia;
   nello specifico l'attività sarà rivolta all'analisi e allo studio degli aspetti normativi, tecnici ed economici, nonché di quelli attinenti alla sicurezza e all'impatto sociale per l'utilizzo del gas naturale liquefatto nei trasporti marittimi e su gomma limitatamente al trasporto pesante (camion, autobus, treni);
   il Gruppo di coordinamento è composto dal Ministero dello sviluppo economico, con il ruolo di coordinamento, i Ministeri delle infrastrutture e dei trasporti, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dell'interno, le regioni, l'Anci, le capitanerie di porto, le associazioni di settore interessate, i gestori dei terminali LNG, i centri di ricerca come RINA e Comitato italiano gas, le università, l'Enea e altri soggetti interessati;
   il Gruppo è stato inoltre suddiviso in un sottogruppo trasversale (autorizzazioni, approvvigionamento e stoccaggio, accettabilità sociale e divulgazione, sicurezza dello stoccaggio e distribuzione) e tre sottogruppi tematici (impiego nel settore dei trasporti marittimi, impiego nel settore dei trasporti terrestri, impiego per gli usi finali industriali, civile e trasporto);
   per la complessità della materia e per la molteplicità degli elementi analizzati, dagli aspetti tecnici a quelli sociali, si rende necessaria un'ampia partecipazione di organismi, pubblici e privati, portatori ciascuno di competenze specifiche di alto livello;
   in particolare, l'urgenza di approfondire l'analisi sulle potenzialità di impiego del GNL è rafforzata dalla necessità di esaminare e valutare i possibili elementi di rischio connessi a un uso diffuso del gas naturale liquefatto;
   in un contesto nel quale è necessario fare un quadro e esaustivo delle molteplici conoscenze tecnologiche in materia, facendo ricorso alle più alte competenze ed esperienze tecniche e ingegneristiche del nostro Paese, assumerebbe una rilevanza centrale il coinvolgimento nel Gruppo di coordinamento nazionale GNL dei rappresentanti del consiglio nazionale degli ingegneri;
   un eventuale mancato coinvolgimento del consiglio nazionale degli ingegneri rischierebbe di privare il gruppo di coordinamento sul GNL di un contributo determinante in termini di competenze specialistiche su temi centrali nell'elaborazione di un Piano strategico nazionale sull'utilizzo del GNL –:
   se non ritenga opportuno coinvolgere e inserire nel gruppo di coordinamento nazionale GNL una rappresentanza del consiglio nazionale degli ingegneri, organismo che raccoglie, promuove e valorizza quelle competenze tecniche e ingegneristiche che potrebbero risultare determinanti nell'elaborazione del Piano strategico nazionale sull'utilizzo Gas naturale liquefatto. (5-03730)


   BENAMATI e FIANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   cliccando sul www.simest.it sito della società Simest, Società italiana per le imprese all'estero, si legge che è una società che nasce nel 1991 per supportare gli imprenditori italiani ad espandersi su nuovi mercati;
   è una società per azioni controllata, dal novembre 2012, da Cassa depositi e prestiti, 76 per cento con una presenza azionaria privata (banche e sistema imprenditoriale), tra cui Unicredit, Intesa san Paolo, BNL, Mps, Ubi banca, ed altri istituti, nonché Eni e altri soggetti industriali e sistema CONFINDUSTRIA e realtà associative imprenditoriali;
   la società fornisce assistenza alle imprese italiane nel processo di internazionalizzazione e nella sua mission può acquisire partecipazioni nelle imprese all'estero fino al 49 per cento del capitale sociale;
   la partecipazione di Simest può avvenire sia tramite investimento diretto che attraverso la gestione del fondo partecipativo di venture capital, destinato alla promozione di investimenti esteri in Paesi extra Unione europea, e consente alle imprese italiane l'accesso alle agevolazioni (contributi agli interessi) per il finanziamento della propria quota di partecipazione nelle imprese fuori dall'Unione europea;
   tra le linee di intervento della società ci sono:
    a) sostegno ai crediti all'esportazione di beni di investimento prodotti in Italia;
    b) finanziamento di studi di fattibilità ed i programmi di assistenza tecnica collegati ad investimenti;
    c) finanziamento di programmi di inserimento sui mercati esteri;
    d) finanziamento di interventi a favore delle piccole e medie imprese esportatrici;
    e) assistenza finanziaria, legale e societaria relativa a progetti di investimento all'estero;
   sono molti i soggetti industriali importanti del sistema produttivo italiano, tra cui diversi grandi aziende, a beneficiare del supporto della Simest per cosiddetti processi di «internazionalizzazione» del sistema imprese italiano;
   in diversi casi, come evidenziato anche nell'ambito di alcuni servizi giornalistici, alcuni soggetti industriali italiani che hanno chiuso impianti nel nostro Paese ponendo dipendenti in cassa integrazione o addirittura in mobilità, hanno beneficiato del sostegno finanziario di Simest per apertura di impianti all'estero, ciò configurandosi quindi non come processo di «internazionalizzazione» bensì di vera e propria «delocalizzazione»;
   appare pertanto abbastanza contraddittorio che gruppi industriali, molto spesso di grande rilevanza per il made in Italy, utilizzino uno strumento a capitale prevalente pubblico per aprire impianti all'estero, nel mentre si procede alla collocazione sotto ammortizzatori sociali di personale in Italia;
   nel 2012 Cassa e depositi e prestiti ha preso il controllo di Simest –:
   quali siano stati i finanziamenti erogati dalla società in favore delle imprese italiane, se in rispondenza di ciascun finanziamento per investimenti esteri vi siano state, da parte delle imprese beneficiarie, azioni di chiusura o ridimensionamento di impianti presenti sul territorio nazionale e se esistano o si intendano attivare clausole di salvaguardia contro le pratiche di delocalizzazione. (5-03731)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TERROSI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Lago di Bolsena, il più grande lago vulcanico d'Europa e il primo assoluto nella regione Lazio, oltre a far parte dell'elenco dei siti di importanza comunitaria (SIC) e della rete europea di Zona di Protezione Speciale (ZPS) destinate alla conservazione della biodiversità della rete ecologica denominata NATURA 2000 in base all'applicazione delle direttive 92/43/CEE e 79/409/ CEE – rispettivamente indicate come «Direttiva habitat» e «Direttiva uccelli» – recepite in Italia dal decreto del Presidente della Repubblica 357 dell'8 settembre 1997 e dal decreto del Presidente della Repubblica 120 del 12 marzo 2003, costituisce una importante riserva di acqua dolce;
   come noto il contenuto in arsenico delle acque potabili di molti dei comuni in provincia di Viterbo e, fra questi, nella maggior parte di quelli circumlacuali, risulta essere al di sopra dei limiti previsti dalla normativa vigente. Per superare questo problema, uno dei Comuni prospicienti il Lago – quello di Montefiascone – già da tempo adotta la tecnica della miscelazione delle acque che non sarebbero altrimenti potabili per gli alti tenori di arsenico, con quelle prelevate dal Lago di Bolsena, opportunamente depurate. Tale pratica potrebbe essere utilmente adottata allo stesso scopo da altri Comuni che presentano la stessa problematica;
   purtroppo, da lungo tempo, lo stato di salute delle acque del Lago di Bolsena desta non poche preoccupazioni;
   è noto che la depurazione degli scarichi provenienti dai Comuni circumlacuali avviene per il tramite di un collettore di raccolta dei reflui fognari che, unitamente alle 20 stazioni di sollevamento dislocate lungo il tracciato e all'impianto di depurazione ubicato nei pressi del fiume Marta, a circa 3 km dall'incile, sono gestiti dalla società CO.BA.L.B. (Comunità Bacino Lago di Bolsena S.p.a.);
   i suddetti impianti sono mal funzionanti a causa dei mancati o insufficienti interventi di manutenzione che si protraggono da più anni. Ciò determina una serie di problemi, quali i frequenti sversamenti di liquami fognari nel bacino lacustre; la quantità di questi che non si disperde lungo il tracciato, arriva all'impianto di depurazione ubicato nei pressi del fiume Marta, ma l'attività di depurazione non è efficace visto che lo stesso impianto è ormai al collasso e non più in grado di adempiere alla sua funzione;
   oltre a ciò, esiste la realistica preoccupazione che attività antropiche quale quella di introspezione profonda per la ricerca di possibili giacimenti geotermici, provochi la risalita di fluidi ad elevato contenuto di arsenico, mettendo a rischio non solo i pozzi che attingono alla falda acquifera, ma proprio la possibilità di utilizzare l'acqua del Lago per una eventuale miscelazione con la rete potabile;
   è necessario inoltre, tenere in debita considerazione il fatto che il bacino del Lago di Bolsena ha la caratteristica di essere «a lento ricambio», cioè il tempo necessario a far defluire, attraverso il suo emissario, un volume d'acqua pari al volume del lago, è molto lungo, stimabile in circa 120 anni. Ciò naturalmente rende il lago estremamente vulnerabile all'inquinamento;
   come noto il decreto ministeriale 6 luglio 2012, recante «Attuazione dell'articolo 24 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 recante “Incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili diversi da quella solare fotovoltaica, introduce una incentivazione di ‘base’ per gli impianti geotermici ad autorizzazione regionale assoggettati alla doppia fase di ricerca e poi concessione, mentre una incentivazione maggiore viene introdotta per gli impianti pilota sperimentali di potenza fino a 5 MW (per una potenza complessiva fino a 50 MW) con la conseguenza che tali impianti hanno un iter autorizzatorio semplificato e un incentivo maggiorato”»;
   quanto sopra citato ha comportato numerose richieste di permessi di ricerca in tutta Italia – in particolare nelle regioni Umbria, Lazio, Toscana, Campania, Sicilia e Sardegna – oltre che alla immediata saturazione del plafond di 10 permessi per impianti pilota sperimentali, in particolare nel settore della media entalpia, con temperature della risorsa geotermica compresa tra 90o C e 150o C;
   nella sola regione Lazio, sono state inoltrate 38 domande di autorizzazione alla ricerca per lo sfruttamento della risorsa geotermica. Di queste, 20 riguardano siti ricadenti nella provincia di Viterbo molti dei quali prospicienti il Lago di Bolsena –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti;
   quante domande di autorizzazione alla ricerca per lo sfruttamento della risorsa geotermica interessino il lago di Bolsena e per quante di queste è iniziato l’iter autorizzatorio;
   quali interventi intenda mettere in atto per tutelare il Lago di Bolsena dal possibile effetto di risalita di fluidi ad elevato contenuto di arsenico, mettendo a rischio non solo i pozzi che attingono alla falda acquifera, ma anche le acque dello stesso lago, tenendo conto che esiste la realistica prospettiva che i comuni in cui l'acqua potabile presenta valori di arsenico superiori a quelli ammessi dalla normativa vigente decidano di abbassarne il contenuto attraverso la miscelazione con acqua lacuale opportunamente depurata.
(5-03720)

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta orale Nicchi n. 3-01065, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 301 del 2 ottobre 2014.

   NICCHI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nella Repubblica di Belarus le adozioni internazionali vengono concesse esclusivamente all'Italia;
   in base al regolamento bielorusso n. 122 del 30 gennaio 2007, possono essere concesse all'Italia le adozioni dei minori accolti dalle famiglie che li ospitano per risanamento estivo ed invernale;
   nei periodi estivi ed invernali vengono ospitati in Italia, presso le famiglie per progetti di risanamento, circa 30.000 bambini. La procedura adottiva nella Repubblica di Belarus in base alla legge bielorussa del 31 gennaio 2007 n. 122 prevede la possibilità di adozione nominativa di minori orfani sociali accolti dalle famiglie italiane attraverso i progetti di risanamento, in quanto fra i minori ospitati e le famiglie, si è creato un rapporto reciproco di affetto, tale da farli sentire parte di un'unica famiglia;
   in merito alla situazione di adozione relativa a minori provenienti dalla Repubblica di Bielorussia, si fa presente che il 30 settembre 2009 e successivamente il 30 novembre 2009, gli allora Presidente Berlusconi e il Ministro Frattini si sono recati in Belarus per affrontare la situazione delle adozioni internazionali, da parte di cittadini italiani che ospitano durante i progetti di accoglienza per risanamento, nei periodi estivi ed invernali, i minori orfani sociali provenienti da tale paese;
   la delegazione politica ha consegnato alle competenti autorità estere un elenco delle famiglie italiane adottive e dei rispettivi nominativi dei minori bielorussi orfani sociali accolti, al fine di poterne realizzare l'adozione;
   in base al protocollo sottoscritto e nel rispetto degli accordi bilaterali Italia-Belarus, che unitamente alla Convenzione dell'Aja regolano la procedura di adozione internazionale, fu possibile portare a termine l'adozione di circa 500 minori bielorussi presenti nell'elenco concordato, realizzando così il principio ispiratore della Convenzione dell'Aja del 29 maggio 1993 che «riconosce nell'adozione internazionale l'opportunità di dare una famiglia permanente a quei minori per i quali non può essere trovata una famiglia idonea nel loro Stato di origine»;
   dopo il monito del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano inviato alle Camere e riportato sulla Gazzetta del Mezzogiorno il 21 novembre 2013 intitolato «Adozioni e affidi in calo, il Colle lancia un appello», si è giunti in data 3 marzo 2014 ad approvare un ulteriore elenco per l'adozione di n. 120 famiglie e relativi minori ospitati dagli stessi –:
   se non intenda intervenire urgentemente per permettere alle famiglie italiane di concludere l’iter adottivo di minori della Repubblica di Belarus, rendendo immediatamente esecutivo l'elenco contenente i nominativi delle famiglie e dei minori aventi diritto, attraverso l'invio urgente di una delegazione ministeriale nella Repubblica di Belarus ampliando così ulteriori prospettive di adozione;
   se non ritenga necessario reperire fondi per finanziare la Commissione adozioni internazionali, nell'interesse dei minori orfani e delle famiglie adottanti;
   se non intendano, per quanto di competenza, costituire una delegazione politico amministrativa permanente che ogni anno si rechi in Bielorussia a firmare il protocollo d'intesa per sottoscrivere l'elenco delle coppie che possono adottare i minori abbandonati da loro accolti, nel pieno rispetto degli accordi previsti dalla Convenzione dell'Aja del 29 maggio 1993, tenuto conto che gli elenchi delle famiglie che possono adottare nella Repubblica di Belarus vengono approvati nella città di Minsk da una delegazione politico amministrativa del Governo italiano unicamente attraverso un protocollo di intesa che viene concordato e sottoscritto fra la delegazione italiana ed il Ministro della Repubblica di Belarus;
   se non ritenga necessario che il Governo favorisca tali accordi anche in futuro, anche tramite l'invio di delegazioni atte alla regolamentazione di tali accordi. (3-01065)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Fiano n. 5-02716 del 30 aprile 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Lacquaniti n. 5-02924 del 3 giugno 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Vallascas n. 5-03381 del 31 luglio 2014;

   interpellanza Matarrese n. 2-00691 del 24 settembre 2014.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Bergamini n. 5-02640 del 15 aprile 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-06296.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   AIRAUDO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la Libia è il luogo di confluenza di migliaia di profughi e disperati che arrivano dall'Africa centrale, ma anche da Egitto e Siria. Uno dei terminali, il più organizzato, nel senso che è il Paese in cui le organizzazioni criminali che trafficano le persone sono più radicate, complice l'attuale anarchia di fatto e hanno il concentramento di uomini e mezzi;
   da fonti di stampa si apprende lo straziante racconto di un uomo siriano in viaggio con una trentina di connazionali, donne, bambini e anziani compresi. Individuati al confine dalla polizia ferroviaria francese, spiegava l'uomo, erano stati costretti con la forza a salire a bordo delle vetture degli agenti per essere riportati in Svizzera. «Mia moglie al settimo mese di gravidanza è stata strattonata, malmenata ed è caduta a terra». L'uomo ha memorizzato il nome del poliziotto «Marcel» e il suo numero di matricola;
   nelle fonti di stampa viene descritto così l'accaduto: «Già in auto ha cominciato a stare male, chiedevamo un medico». Ma né i francesi né gli svizzeri li avrebbero aiutati. Il gruppo sarebbe stato invece portato in una stazione ferroviaria e costretto a salire su un treno di ritorno in Italia. Qui, a Domodossola – l'uomo ha fotografato il cartello della stazione con il cellulare –, sua moglie sarebbe stata finalmente portata in ospedale, ma troppo tardi per il bambino;
   aver scatenato la guerra in Libia per l'eliminazione del tiranno Gheddafi ha fatto piombare quel Paese nel caos, lasciando spazio ai trafficanti di esseri umani che agiscono col compiacimento perfino delle forze dell'ordine locali;
   a tutt'oggi non risulta che l'Italia o l'Europa abbia chiesto in modo efficace alla Libia di firmare la convenzione di Ginevra, requisito indispensabile perché l'UNHCR (l'organismo dell'ONU che si occupa di rifugiati) possa installare propri campi in Libia per gestire in altro modo il flusso dei profughi, togliendolo dalle sporche mani dei trafficanti. Inoltre, la guerra in Siria, dopo gli allarmi lanciati nei mesi scorsi quando si parlava di un imminente intervento armato, oggi non fa più notizia, se non attraverso le storie di migliaia e migliaia di uomini che arrivano in Italia dopo viaggi lunghi e pericolosi;
   il Presidente del Consiglio italiano più volte ha detto che i soldi spesi per l'operazione Mare Nostrum sono ampiamente ripagati dagli affari che le imprese italiane fanno nel Nord Africa, ma nulla ha detto circa la necessità che si creino le condizioni perché l'UNHCR agisca anche il Libia, men che meno sembra che la risoluzione del conflitto siriano sia all'ordine del giorno dell'agenda europea; 
   nel frattempo, con una procedura forzata e sicuramente al di fuori degli schemi utilizzati negli anni scorsi, la gestione dei flussi ha visto il protagonismo del Ministero dell'interno che, scavalcando regioni e province, per il tramite delle prefetture, ha chiesto la collaborazione direttamente ai comuni;
   mentre si attende ancora oggi il tanto annunciato potenziamento dello SPRAR (sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati), molti comuni devono far fronte a delle situazioni molto complicate, che implicano la garanzia di diritti fondamentali per i profughi –:
   di quali informazioni dispongano i Ministri interrogati riguardo il coinvolgimento dei governi francese e svizzero sulla vicenda esposta in premessa al fine di far luce sui fatti che hanno portato alla morte di un nascituro nell'ospedale San Biagio, conseguentemente al respingimento del gruppo di siriani dai gendarmi francesi prima e da quelli svizzeri dopo;
   se non ritenga necessario, per quanto di competenza, destinare fondi per l'adeguato finanziamento del potenziamento di 5000 posti dello SPRAR;
   se non ritenga utile, per quanto di competenza, l'interessamento della Conferenza Stato-regioni per gestire al meglio il coinvolgimento diffuso dei comuni italiani;
   quali iniziative intenda intraprendere, per quanto di competenza, per far si che la Libia sottoscriva la convenzione di Ginevra, al fine di permettere all'UNHCR di intervenire in favore dei richiedenti asilo evitando pericolose traversate del Mediterraneo e interrompendo il traffico illegale di persone;
   se non ritenga di assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché l'Unione europea riveda le procedure previste dal regolamento Dublino III in materia di protezione internazionale. (4-05545)

  Risposta. — Si forniscono di seguito elementi di competenza di questa Amministrazione, con riferimento agli aspetti sollevati nel penultimo e nell'ultimo capoverso dell'interrogazione in esame, riguardanti rispettivamente le possibili iniziative per favorire la firma della Convenzione di Ginevra del 1951 da parte della Libia e la revisione delle procedure previste dal regolamento «Dublino III» in materia di protezione internazionale.
  L'adesione della Libia alla Convenzione di Ginevra del 1951 e la conclusione di un accordo di sede con l'UNHCR per consentire all'agenzia ONU di operare ufficialmente nel Paese nel pieno esercizio delle proprie funzioni, rappresentano entrambe questioni che la Farnesina affronta costantemente, e a tutti i livelli, nell'intenso dialogo bilaterale con le autorità di Tripoli.
  A fronte dei puntuali e continui richiami all'esigenza che la Libia sottoscriva la Convenzione di Ginevra, effettuati anche di concerto con i partner europei e in sede ONU, le autorità libiche hanno sempre opposto di non disporre dei mezzi e delle capacità necessarie ad adempiere agli obblighi che deriverebbero dall'adesione alla Convenzione.
  Occorre in generale tener presente che, nell'interpretazione libica, gli stranieri presenti sul territorio nazionale vengono considerati semplicemente come migranti irregolari. Da parte di quelle autorità è stato anche ribadito in più occasioni il timore che la piena applicazione della Convenzione di Ginevra possa produrre in Libia una situazione simile al Libano, dove i rifugiati riconosciuti dall'UNHCR finiscono col restare insediati in campi profughi, senza alcuna integrazione nel tessuto sociale, economico e demografico locale.
  Il nostro Paese continuerà a perseguire con determinazione i due obiettivi sopra citati anche con il nuovo Parlamento e con il nuovo Governo libico.
  Peserà realisticamente sulle possibilità di successo dei nostri sforzi sia l'incertezza del quadro politico (poiché la Libia sta attraversando uno dei periodi più delicati del processo di transizione democratica), sia il precario clima di sicurezza che – come i recenti sviluppi dimostrano – può rapidamente deteriorare in aperti e aspri scontri tra milizie, non solo in Cirenaica (dove le forze del generale Haftar si oppongono alle frange più estreme degli islamisti), ma anche nella capitale.
  Sul piano bilaterale, con l'obiettivo di offrire un concreto contributo alla maturazione di una nuova coscienza riguardo agli standard internazionali che andrebbero assicurati ai rifugiati, nel 2012 la Farnesina ha avviato un progetto di assistenza e capacity building in materia di accoglienza e gestione dei migranti e rifugiati, con il contributo del Consiglio italiano per i rifugiati (CIR). Lo scopo del progetto è superare le criticità dovute alle numerose vittime di tratta, così come alla mancanza di un'adeguata gestione dei «centri di accoglienza» e all'assenza di un quadro normativo che preveda forme di tutela a livello internazionale.
  In ambito multilaterale il Ministero degli affari esteri sta conducendo azioni volte ad internazionalizzare la questione migratoria e la tragedia dei rifugiati, sia a livello Unione europea che ONU. A titolo di esempio, nel Comitato politico e di sicurezza (COPS) dell'8 luglio 2014, che ha esaminato le proposte «per un maggiore impegno in Libia» presentate dall'inviato speciale dell'Unione europea Bernardino Leon, è stata opportunamente inserita anche su esplicita richiesta italiana l'importanza di «consentire all'UNHCR di assistere le Autorità libiche per risolvere le questioni inerenti ai richiedenti asilo e rifugiati», fra i messaggi comuni che sia l'Unione europea che i singoli Stati membri dovranno veicolare alle autorità locali.
  Le diverse iniziative in atto si sviluppano in stretta sintonia con le azioni regionali in materia migratoria; tra queste il processo di Rabat, foro di dialogo regionale tra l'Unione europea, i suoi Paesi e l'Africa occidentale, centrale e mediterranea, che l'Italia sosterrà nel corso del semestre di presidenza dell'Unione europea con l'organizzazione della IV Conferenza ministeriale euro-africana su migrazione e sviluppo (Roma, 26-27 novembre 2014).
  Parallelamente, insieme alla Commissione europea l'Italia intende lanciare un'iniziativa di dialogo in materia migratoria con i Paesi del Corno d'Africa, con l'Egitto e la Libia, quali principali Paesi di transito. Sulla falsariga del processo di Rabat, tale progetto dovrebbe aprire la strada, in prospettiva, ad un dialogo politico istituzionalizzato con i Paesi coinvolti. L'agenda dei lavori sarà incentrata in un primo momento su un tema non divisivo come la lotta alla tratta di esseri umani. Saranno inoltre coinvolti nell'iniziativa le organizzazioni internazionali del settore (OIM, UNHCR), nonché le ONG che operano nell'area.
  In materia di asilo, il Governo italiano, nella consapevolezza delle difficoltà oggettive ad emendare il quadro normativo vigente di recente adozione, lavorerà per un'applicazione flessibile del regolamento «Dublino III», che definisce i criteri per l'identificazione dello Stato responsabile della gestione delle domande di asilo, avendo particolare riguardo alle esigenze del ricongiungimento familiare e del supremo interesse del minore nell'identificazione dello Stato responsabile.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriMario Giro.


   BLAZINA, MALISANI, ROSATO e ZANIN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   sul sito di Trenitalia – azienda privata che gestisce un servizio pubblico – nella parte dedicata agli utenti per la richiesta di iscrizione a «CartaFRECCIA», c’è una scheda relativa ai dati personali dell'utente;
   in tale scheda, inserendo come provincia di nascita quella di Trieste o di Gorizia, si apre l'elenco dei comuni di tali province, nell'ambito del quale c’è un lungo elenco di comuni che fanno parte della vicina Repubblica di Slovenia. Tra di essi ci sono: Sesana, Corgnale, Divaccia San Canziano, Duttogliano, Postumia Grotte, Aidussina, Caporetto, Oppacchiasela ed altri;
   oltre a ciò va rilevato che alcuni comuni delle province di Trieste, Gorizia e Udine, pur rientrando nel territorio bilingue, come da legge di tutela della minoranza slovena n. 38 del 2001, ed avendo anche ufficialmente la denominazione bilingue, vengono riportati nel sito Trenitalia in modo solo parzialmente corretto;
   le gravi inesattezze presenti nell'elenco sono state già rilevate e ufficialmente stigmatizzate negli anni passati, a fronte dell'utilizzo di tale elenco erroneo e incompleto anche sui siti di amministrazioni pubbliche;
   la situazione è causa di diffusi malumori tra la popolazione dell'area transfrontaliera di Italia e Slovenia e di spiacevoli tensioni con gli organismi istituzionali di quest'ultima –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di tale situazione e se intendano in tempi rapidi provvedere affinché, in tutti i siti di amministrazioni pubbliche ed aziende che svolgono servizio pubblico, l'elenco dei comuni facenti parte delle province di Trieste e Gorizia contenga soltanto i comuni appartenenti alla Repubblica italiana e, per i comuni appartenenti all'area tutelata dalla legge n. 38 del 2001, venga rispettata la denominazione bilingue. (4-00697)

  Risposta. — L'interrogante ha chiesto chiarimenti, unitamente ad altri interroganti, in ordine al mancato rispetto, sul sito di Trenitalia – nella parte dedicata agli utenti per la richiesta di iscrizione a «Cartafreccia», della esatta denominazione bilingue di alcuni comuni delle province di Trieste, Gorizia e Udine, compresi nel territorio appartenente all'area tutelata dalla legge n. 38 del 2001, recante «Norme a tutela della minoranza linguistica slovena della regione Friuli-Venezia Giulia».
  Al riguardo si rappresenta, per la parte di competenza, che con decreto del Presidente della Repubblica 12 settembre 2007, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 276 del 27 novembre 2007, è stata approvata la tabella dei comuni siti nel territorio del Friuli-Venezia Giulia, nei quali si applicano le misure di tutela della minoranza slovena, predisposta dal comitato istituzionale paritetico per i problemi della minoranza stessa, a norma dell'articolo 4 della citata legge n. 38.
  Venendo agli specifici rilievi posti nell'interrogazione, le Ferrovie dello Stato hanno fatto conoscere – tramite il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – di aver provveduto ad aggiornare l'elenco dei comuni delle province di Trieste, Udine e Gorizia presente nell'applicativo del programma «Cartafreccia» alla voce «comune di nascita» e di avere adeguato la denominazione dei comuni dei territori bilingue delle stesse province, che appaiono quindi nella duplice versione in lingua italiana e slovena.
  Più in generale va precisato che, in ordine alla denominazione bilingue dei comuni interessati, è attribuita al presidente della giunta regionale del Friuli-Venezia Giulia la competenza ad individuare, con proprio decreto e sulla base della tabella approvata, i comuni in cui è previsto l'uso della lingua slovena in aggiunta a quella italiana (articolo 10 della legge di tutela).
  Si soggiunge che le prefetture di Trieste, Udine e Gorizia hanno assicurato l'attenta applicazione della legge n. 38 del 2001, per i comuni ricompresi nella tabella stabilita dal decreto del Presidente della Repubblica del 12 settembre 2007.
  A tale scopo la prefettura di Gorizia ha organizzato incontri e riunioni con gli enti competenti, anche per assicurare il rispetto del bilinguismo visibile nella cartellonistica stradale.
  La prefettura di Udine ha riferito che, da una verifica effettuata unitamente al preposto ufficio regionale per le minoranze, è risultato che i nomi dei comuni nei quali viene riconosciuta la tutela della minoranza slovena sono regolarmente trascritti in sloveno standard.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   BORGHI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   nonostante le numerosi iniziative intraprese sia a livello nazionale dall'Intergruppo parlamentare per lo sviluppo della montagna e dall'Uncem, sia a livello internazionale della Mountain partnership presso la FAO di cui l'Italia è membro, gli ultimi documenti relativi agli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) che si stanno discutendo in queste ore presso la sede delle Nazioni Unite a New York escludono di fatto le aree montane, contrariamente ai precedenti draft nei quali invece l'attenzione a questi ecosistemi aveva trovato spazio;
   le montagne italiane rappresentano laboratori straordinari di sviluppo sostenibile, considerato che quasi l'80 per cento dell'acqua a livello globale viene dalle montagne, e almeno il 25 per cento della biodiversità risiede in area montana;
   le principali risorse naturali necessarie alle energie rinnovabili (idroelettrico, solare, biomasse, eolico) si trovano in montagna;
   le montagne rivestono un ruolo strategico per la riduzione di emissioni di C02, i sistemi di trasporto sostenibile, la bioedilizia;
   l'articolo 44 della Costituzione contiene un esplicito riferimento alla «montagna» prevedendo la possibilità per il Parlamento di emanare leggi speciali in suo favore;
   l'Italia è parte della Convenzione delle Alpi – il trattato di diritto internazionale sottoscritto dai Paesi alpini Austria, Francia, Germania, Italia, Liechtenstein, Monaco, Slovenia e Svizzera e dall'Unione europea – con l'obiettivo di promuovere lo sviluppo sostenibile e tutelare gli interessi della popolazione residente;
   l'articolo 174 del Trattato di Lisbona riconosce il ruolo specifico delle regioni di montagna, che coprono il 40 per cento del territorio comunitario e rappresentano oltre 90 milioni di cittadini europei –:
   se il Governo intenda intervenire, e con quali azioni, per fare in modo che anche le montagne entrino di diritto nell'agenda dell'Onu, al pari delle isole e delle aree marine, tenendo conto peraltro che nei principali documenti delle Nazioni Unite, dalla Conferenza di Rio del ’92 in poi, le montagne hanno sempre trovato spazio e che escluderle oggi dagli obiettivi di sviluppo sostenibile si rivelerebbe un'azione incoerente e del tutto miope, ai fini del ruolo che questi territori rivestono nello sviluppo della green economy.
(4-05114)

  Risposta. — In merito al quesito posto dall'interrogante, si desidera innanzitutto confermare l'importanza dell'inclusione di riferimenti agli ecosistemi montani negli obiettivi e «targets» per lo sviluppo sostenibile della nuova Agenda Post 2015.
  Il processo di definizione dell'agenda è in corso a New York nell'ambito dell’Open working group for sustainable development (OWG), a cui l'Italia partecipa in un gruppo di lavoro insieme a Spagna e Turchia.
  Nelle ultime sessioni, anche informali, dell'OWG, l'Italia, sulla base anche degli elementi forniti dall'intergruppo parlamentare per lo sviluppo della montagna, ha promosso interventi del suddetto gruppo di lavoro diretti a sottolineare la necessità che vi siano riferimenti alla tutela degli ecosistemi montani nei «targets» elencati nei documenti dei co-Presidenti del gruppo.
  Come noto, il negoziato sarà lungo e complesso, ma si intende continuare ad adoperarsi affinché la gestione sostenibile degli ecosistemi montani possa figurare in modo adeguato nella nuova agenda per lo sviluppo post 2015.
Il Viceministro degli affari esteriLapo Pistelli.


   CIRIELLI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   all'inizio di marzo 2014 la penisola di Crimea, area particolarmente strategica sotto il profilo geopolitico, è diventata lo scenario di crisi e di confronto tra l'Ucraina e la Russia, inevitabile punto di approdo dei disordini in Ucraina che hanno avuto inizio il 21 novembre 2013, subito dopo la sospensione, da parte del Governo ucraino, di un accordo di associazione tra l'Ucraina e l'Unione europea;
   nei primi giorni di marzo 2014 sono stati registrati spostamenti di truppe russe in Crimea e il blocco del porto di Sebastopoli ai movimenti delle navi ucraine: dispiegamento di truppe approvato dal Parlamento russo con l'obiettivo di proteggere la popolazione di etnia russa in Crimea;
   la composizione etnica della Repubblica autonoma di Crimea è russa per il 58,5 per cento e ucraina per 24,4 per cento ma nella penisola sono presenti anche altre minoranze, tra cui quella tartara e quella italiana, discendente da un flusso migratorio iniziato nell'Ottocento e che ha conosciuto le deportazioni staliniane;
   oggi la comunità di origine italiana, impegnata soprattutto nel settore agricolo e della cantieristica navale, è formata da un gruppo di circa 300 persone, tutti anziani e ormai di nazionalità ucraina, a seguito della perdita di cittadinanza sotto l'Unione sovietica;
   malgrado le numerose richieste, il Governo ucraino non ha ancora riconosciuto ai nostri concittadini lo status di popolo deportato, che oltre a costituire un riconoscimento morale, garantirebbe loro alcune agevolazioni;
   tale riconoscimento è stato concesso dal Governo ucraino ai Tartari, ai Tedeschi, ai Greci e ad altre popolazioni deportate dalla Crimea, su interessamento dei vari Stati di origine;
   da anni gli italiani di Kerch chiedono altresì al Governo italiano di riavere la cittadinanza, loro tolta con la violenza e la distruzione di ogni documento personale, che li tutelerebbe in una situazione di guerra e pericolo imminente, come quella che la Crimea sta vivendo in questi mesi;
   nella stessa direzione sono intervenuti anche la Grecia e la Germania, che hanno agito tempestivamente per ridare la cittadinanza ai loro concittadini di Crimea, che avevano una storia simile a quella degli italiani, tutelandoli;
   come emerso dagli organi di stampa nazionali, il crescendo delle tensioni ha allarmato gli italiani residenti in Crimea, che, oltre alla volontà di non aderire alla Russia, per mezzo di Giulia Giacchetti Boico, presidente dell'associazione «C.E.R.K.I.O.» (Comunità degli emigrati in regione di Krimea – italiani di origine), hanno espresso il sentito timore di una guerra civile e quello di «essere abbandonati» dalle autorità;
   l'11 marzo 2014, con 4 giorni di anticipo rispetto al referendum indetto, il Parlamento della Crimea ha votato per l'autonomia della Crimea dall'Ucraina con 78 voti favorevoli su 81 votanti;
   la vittoria dei referendari filo-russi e l'annessione alla Repubblica russa crea un'evoluzione le cui ripercussioni per la comunità italiana di Kerch sono ancora un'incognita –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative ritenga opportuno intraprendere, in ragione del clima di tensione e di criticità che sta vivendo la penisola di Crimea, al fine di tutelare e salvaguardare i diritti degli italiani residenti in Crimea e i loro discendenti;
   se intenda assumere iniziative, qualora ne sussistano le condizioni, per il riconoscimento dello status di popolo deportato e per l'ottenimento della cittadinanza italiana da parte dei nostri concittadini di Crimea. (4-04545)

  Risposta. — In risposta ai quesiti posti dall'interrogante si forniscono i seguenti elementi di informazione.
  Si sottolinea in primo luogo che i componenti della comunità di origine italiana residente in Crimea non sono titolari della cittadinanza italiana. L'acquisto o il riacquisto del nostro status civitatis potrà avvenire secondo le modalità indicate nella vigente legge 5 febbraio 1992, n. 91 «Nuove norme sulla cittadinanza». Tra queste, si segnala in particolare l'ipotesi prevista dall'articolo 9, ai sensi del quale la cittadinanza italiana può essere concessa allo straniero del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita, o che è nato nel territorio della Repubblica e, in entrambi i casi, vi risieda legalmente per il periodo indicato dalla legge.
  La nostra ambasciata a Kiev intrattiene contatti regolari con la comunità di Kerch e in particolare con la rappresentante, signora Giulia Giacchetti Boico. Nel corso degli anni l'ambasciata ha assicurato, in stretto raccordo con il Ministero degli esteri, costante vicinanza alla comunità in parola, operando, con i limiti dovuti alla circostanza che si tratta di cittadini stranieri, per venire incontro alle loro aspirazioni e sostenendo, compatibilmente con le risorse a disposizione, il loro desiderio di mantenere un legame con l'Italia. Sono numerosi gli interventi in tal senso, dall'assegnazione di borse di studio ed organizzazione di corsi di lingua fino alle più recenti donazioni di libri all'associazione CERKIO di Kerch, per l'istituzione di una biblioteca in lingua italiana, oltre che di materiale didattico e informatico.
  Nel corso dell'incontro con alcuni rappresentanti della comunità di origine italiana residente in Crimea avvenuto il 14 maggio presso il Ministero degli affari esteri, si sono esplorate le possibili iniziative che si intende da subito porre in essere per valorizzare i forti legami che la comunità degli «italiani di Crimea» conserva con il nostro Paese. Da un lato, si renderanno disponibili borse di studio, nel quadro dei programmi che annualmente il Governo italiano finanzia. Si è inoltre concordato di fornire ai referenti della comunità una più ricca biblioteca, che si aggiunge a quella già fatta pervenire in precedenza. Infine, si potrà facilitare l'inserimento di materiale dedicato alla storia degli «italiani di Crimea» nelle collezioni del museo dell'emigrazione italiana, ospitato al Vittoriano. Rispetto all'ottenimento della cittadinanza italiana, è stato ricordato che la normativa vigente prevede che i percorsi di ricostruzione dell'eventuale cittadinanza vadano affrontati caso per caso, sulla base del principio dello jus sanguinis e del conseguente obbligo dell'assenza di cesure nel trasferimento di cittadinanza dai genitori ai figli. Su un piano generale, non si è mancato peraltro di ricordare come esistano purtroppo evidenze che depongono in numerosi casi ad irreversibili perdite della cittadinanza italiana a seguito di naturalizzazioni intervenute in vigenza della legge del 1912.
  Per quanto precisato dal Dicastero dell'interno, non si rinvengono, nella legislazione vigente, norme che consentono il riconoscimento dello status di popolo deportato.
  Il nostro ordinamento disciplinava il riconoscimento della qualifica di «civile reduce dalla deportazione e dall'internamento» con l'articolo 8 comma 2 del decreto legislativo luogo-tenenziale n. 27 del 14 febbraio 1946, abrogato dal combinato disposto dell'articolo 1 e dell'allegato al decreto legislativo 13 dicembre 2010 n. 212 a decorrere dal 16 dicembre 2010.
  La norma riguardava esclusivamente i cittadini italiani che sul territorio nazionale subirono i rastrellamenti ad opera dei fascisti o di tedeschi successivamente all'8 settembre del 1943.
Il Viceministro degli affari esteriLapo Pistelli.


   CIVATI, MATTIELLO, PASTORINO, TENTORI, LORENZO GUERINI, FASSINA e GANDOLFI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sugli organi d'informazione del 16 maggio 2014 (Huffington Post, Repubblica e il Manifesto) si dà notizia di una ricerca dell'onlus InMigrazione, sul lavoro agricolo in provincia di Latina, dal titolo «2014 – Doparsi per poter lavorare»;
   il dossier
di InMigrazione – un'associazione senza scopo di lucro nata nel 2012 con sede a Roma – fa seguito a un precedente report del gennaio 2013, sempre in tema di lavoro agricolo della numerosa comunità sikh in provincia di Latina, e riporta la situazione drammatica dei lavoratori del settore ortofrutticolo del Basso Lazio. Essi – in grande maggioranza di origine o cittadinanza indiana – sono sfruttati in modo intensivo e incivile, a livelli sostanzialmente schiavili;
   secondo il dossier, essi sarebbero reclutati secondo un meccanismo di caporalato e pagati con pochi euro al giorno;
   poiché essi sarebbero costretti a lavorare chini a terra dalle 12 alle 15 ore al giorno, avvertirebbero in varie parti del corpo dolore e fatica, dovuti sia alla stanchezza fisica, sia al calore del sole, sia alla presenza dei pesticidi nei prodotti raccolti e maneggiati;
   per ovviare a questa situazione i braccianti farebbero uso di sostanze stupefacenti, sia sciolte nel tè sia masticate;
   il traffico delle sostanze assunte sarebbe gestito, secondo il dossier, da gruppi organizzati senza scrupoli;
   vicende di questo tipo sono evidentemente intollerabili, sia sul piano umano sia sul piano economico, giacché la riduzione in schiavitù è un reato che lede la dignità della persona e ha anche gravi ripercussioni sul tessuto civico ed economico di una comunità –:
   se siano state avviate indagini sulla vendita di stupefacenti in provincia di Latina alla comunità sikh;
   se risulti che nella gestione del lavoro agricolo in provincia di Latina siano coinvolte organizzazioni di tipo mafioso.
(4-04911)

  Risposta. — Nella provincia di Latina, la comunità indiana di religione sikh – giunta nel territorio pontino verso la metà degli anni ottanta – è composta da circa dodicimila persone, la maggior parte delle quali svolge attività di bracciantato presso le aziende agricole presenti nelle zone di Terracina e di Fondi.
  Al fine di contrastare le forme di sfruttamento lavorativo degli immigrati irregolari, o eventuali illeciti legati a favorirne la permanenza illegale, le Forze di polizia svolgono una costante attività di prevenzione, attraverso proficui rapporti informativi con i rappresentanti della comunità sikh, nonché attività investigative che hanno permesso di perseguire reati in materia di falsificazione di visti di ingresso, titoli di soggiorno, autorizzazioni, ovvero rilascio di «nulla osta» al lavoro subordinato.
  Nel marzo del 2013, a conclusione di una complessa attività d'indagine, la squadra mobile di Latina è riuscita a disarticolare un'organizzazione criminale dedita al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e del falso documentale. La base operativa del gruppo criminale è stata individuata presso lo studio legale di un avvocato del foro pontino che forniva documentazione falsa a cittadini di origine indiana, per consentirne l'ingresso sul territorio nazionale attraverso assunzioni fittizie o finti ricongiungimenti familiari, dietro pagamento di compensi in denaro. L'indagine si è conclusa con l'emissione di un provvedimento restrittivo (in carcere e agli arresti domiciliari) nei confronti di undici persone, tra le quali due cittadini di nazionalità indiana.
  Più recentemente, nell'aprile 2014, la squadra mobile di Latina ha arrestato tre persone – marito e moglie di nazionalità italiana e un cittadino indiano – dedite allo sfruttamento di manodopera indiana attraverso false attestazioni di prestazioni lavorative finalizzate a ottenere permessi di soggiorno, tali da consentire la permanenza in Italia di soggetti non aventi titolo per permanervi. In particolare, i due italiani titolari di un'azienda agricola, con la complicità del cittadino indiano, in cambio di cospicue somme di denaro, attestavano con dichiarazioni mendaci di essere datori di lavoro di cittadini indiani per il rilascio del permesso di soggiorno.
  Nel mese di luglio 2014, nell'ambito di un'altra indagine relativa al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina di matrice indiana, sette persone, di cui una non comunitaria, sono state sottoposte alle misure cautelari personali della detenzione domiciliare e in carcere. Nel corso dell'attività investigativa è emerso che i cittadini stranieri a cui era stato promesso, dietro compenso, di permanere illegalmente nel territorio italiano, vivevano una permanente condizione di sfruttamento lavorativo, poiché veniva loro trattenuta la metà della somma corrisposta dai datori di lavoro (circa 500/600 euro rispetto a un compenso di 1.000/1.200 euro).
  Un'ulteriore attività investigativa si è conclusa con l'emissione, da parte del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma, di otto ordinanze di custodia cautelare per la commissione di plurimi e reiterati reati connessi sempre al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.
  Sotto il profilo dell'attività di prevenzione e di contrasto del fenomeno del lavoro nero nelle campagne pontine, il competente nucleo carabinieri ispettorato del lavoro e i reparti dell'Arma presenti nella provincia di Latina, durante il 2013, hanno controllato complessivamente 15 aziende agricole, identificato 7 lavoratori in nero, contestato 17 violazioni amministrative per un importo di 24.647 euro e proceduto alla sospensione di 5 attività imprenditoriali. Tale attività ispettiva prosegue anche nell'anno corrente.
  Nel corso delle indagini svolte dalle Forze di polizia non sono emersi profili legati all'assunzione di sostanze stupefacenti per finalità connesse allo sfruttamento lavorativo dei braccianti indiani anche se, nello scorso mese di febbraio, durante la perquisizione di un veicolo, la Polizia di Stato ha sequestrato un ingente quantitativo di droga denominata «paglia di papavero» (circa 12 chilogrammi), e ha arrestato due cittadini di nazionalità pakistana e indiana.
  Quantitativi di droga sono stati rilevati anche dal comando provinciale dell'Arma dei carabinieri di Latina, nel corso di specifiche attività di prevenzione e di contrasto svolte nei territori di Sabaudia e di Terracina. In particolare, il citato comando provinciale ha deferito, per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, un imprenditore agricolo in possesso di 16 grammi di «marijuana»; inoltre, per lo stesso reato, ha arrestato sei cittadini indiani, sequestrando circa 8 chilogrammi di «papavero essiccato in capsule», 22 piante di «papavero da oppio infiorescenti», 45 «bulbi di papaveri da oppio infiorescenti» e circa 20 grammi di eroina.
  Infine, secondo quanto riferito dalla locale questura, allo stato attuale non sussistono elementi info-investigativi tali da comprovare il coinvolgimento di organizzazioni mafiose nella gestione del lavoro agricolo in provincia di Latina. Si precisa che le numerose imprese agricole presenti sono esclusivamente a carattere familiare e che le peculiarità del territorio e la presenza del mercato ortofrutticolo di Fondi non consentono agli agricoltori locali di ottenere introiti così ingenti da risultare appetibili alle organizzazioni criminali.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 5 del 9 febbraio 2012 ha semplificato le procedure di autorizzazione per le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi indicate come infrastrutture strategiche nell'articolo 1 della legge 239 del 2004;
   la società britannica Transunion Petroleum Ltd, ha presentato, nel maggio 2013, all'ufficio VIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, alle regioni Basilicata, Puglia e Calabria, alle province di Crotone, Cosenza, Matera, Taranto e Lecce ed a 49 comuni rivieraschi dell'arco jonico lucano-calabrese-pugliese l'istanza di avvio della procedura VIA, ai sensi dell'articolo 23 del decreto legislativo 152 del 2006, relativamente al progetto di ricerca denominato «d68 F.R. – TU» nel Mar Jonio;
   l'area denominata d68 CR-.TU è situata nel Golfo di Taranto tra Policoro (MT) e Trebisacce (CS). Lo specchio d'acqua interessato ha un'estensione complessiva di 623,47 chilometri quadrati e ricade all'interno delle zone marine convenzionalmente denominate ”D” ed ”F”;
   alla concessione di tale permesso, si oppongono, con numerose e fondate argomentazioni, enti pubblici, cittadini e associazioni;
   nonostante le numerose e motivate istanze, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha prescritto alla compagnia di «controdedurre puntualmente tutte le osservazioni pervenute con la pubblicazione sul sito www.va.minambiente.it», nonché di fornire altre 9 integrazioni «alla documentazione depositata in data 9 maggio 2013 per la procedura di Valutazione di Impatto Ambientale»;
   il sito ha un alto valore naturalistico, ove sono presenti habitat marini naturali ed anche specie da proteggere (ad esempio la tartaruga caretta, in via di estinzione dalle coste italiane);
   l'area è attigua alla Secca di Amendolara, sito che riveste importanza comunitaria (codice IT 9310053) ed è nota per la qualità e la quantità di specie ittiche presenti;
   nell'area interessata, la ricerca petrolifera interferirebbe con le attività turistiche, le peculiarità ambientali, la flora e la fauna marina del Mar Jonio e del Mediterraneo. Ricchezze sulle quali è basata l'economia locale;
   la sola attività di ricerca, ancor prima della vera e propria estrazione petrolifera, si rivelerebbe fortemente e diffusamente impattante sul territorio –:
   se non voglia considerare, per quanto di competenza, il territorio e il mare di una così pregevole area. (4-05087)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, fermo restando che la competenza al rilascio della autorizzazione richiesta dalla Transunion Petroleum Italia s.r.l è rimessa istituzionalmente al Ministero dello sviluppo economico, si forniscono le seguenti precisazioni.
  In data 8 maggio 2013 la predetta società aveva presentato, ai sensi dell'articolo 23 del decreto legislativo n. 152 del 2006, istanza di valutazione di impatto ambientale per il progetto relativo al permesso di ricerca di idrocarburi in mare, classificato «d 68 F.R. – TU», interessante un'area localizzata nel Mar Ionio settentrionale, all'interno del Golfo di Taranto.
  Il progetto proposto prevede che venga realizzata una indagine geofisica con rilievo 2D, condotta con la tecnica dell’air-gun, su una porzione di mare della estensione complessiva pari a 623,47 chilometri quadrati, il cui limite si trova a circa 9,3 chilometri di distanza dalla costa tra la Calabria e la Basilicata.
  I competenti uffici di questo Ministero in data 11 luglio avevano comunicato l'esito favorevole delle verifiche tecnico-amministrative di procedibilità dell'istanza, mentre, al momento, è ancora in corso l'attività istruttoria svolta dalla commissione tecnica di verifica dell'impianto ambientale VIA e VAS.
  In merito a quanto evidenziato nella interrogazione cui si risponde circa la richiesta fatta alla società proponente di voler controdedurre alle osservazioni formulate sul progetto, nonché di fornire documentazione integrativa ai fini della valutazione d'impatto ambientale, corre l'obbligo di precisare che tale procedura fa parte dell'ordinaria fase di consultazione prevista dall'articolo 24 del già citato decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Per quanto concerne la vicinanza dell'area interessata dal progetto ai siti riconducibili a «Rete Natura 2000», si precisa che nessuno di essi si trova all'interno della stessa area, in quanto quelli più vicini sono perlopiù nell'entroterra o sulla costa.
  L'unico sito d'interesse comunitario potenzialmente sensibile, in quanto costituito da un habitat marino, è rappresentato dalla Secca di Amendolara (IT 9310053), posta a oltre 16 chilometri a sud-ovest dall'angolo meridionale del blocco di ricerca, il cui habitat di riferimento è rappresentato dalle prateria di Posidonia oceanica (habitat n. 1120). Al riguardo si evidenzia che il parere tecnico della commissione terrà conto degli impatti diretti e indiretti su detti siti, così come prescritto dalla vigente normativa, nell'ambito della pertinente Valutazione di incidenza.
  In riferimento, poi, all'impatto ambientale che la mera attività di ricerca potrà avere sull'ambiente in generale, si precisa che la tecnologia da utilizzare (cosiddetti air-gun) è stata oggetto di adeguati approfondimenti da parte della commissione VIA-VAS, essendo la stessa comunemente adottata, peraltro, in tutti i progetti di ricerca di idrocarburi in mare.
  In ultimo si segnala che la documentazione relativa al progetto e le osservazioni del pubblico pervenute – la cui procedura è identificata con il codice 2340 – sono disponibili sul portale per le valutazioni ambientali (www.va.minambiente.it) nella pagina dedicata.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DI GIOIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda dell'aeroporto «Gino Lisa» di Foggia sul quale l'interrogante ha presentato un'interrogazione a risposta immediata in data 28 maggio 2014, sembrerebbe aver preso una piega totalmente negativa;
   come è noto la commissione tecnica VIA-VAS del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è attualmente impegnata nella stesura dell'istruttoria tecnica relativa alla procedura di valutazione di impatto ambientale e non è ancora pervenuto il dovuto parere da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   da notizie assunte direttamente dall'interrogante il parere in oggetto sembrerebbe essere negativo con la conseguenza che un'opera strategica per il territorio della provincia di Foggia, attesa da anni e per anni rinviata con un motivo o con un altro, rischierebbe di essere definitivamente affondata con le relative ripercussione negative per l'economia locale;
   in questo modo l'arretratezza delle infrastrutture di mobilità che, da sempre, rappresenta un pesante handicap con il quale questo territorio deve fare i conti continuerà a impedire agli operatori economici di poter competere, ad armi pari, con altre realtà produttive del Paese;
   la dinamica dei ritardi che si sono accumulati negli anni sembrerebbe dimostrare una volontà politica tesa ad impedire il rilancio del territorio e certo non passerà in silenzio questa ennesima prova di scarsa sensibilità nei confronti di un realtà sociale che cerca in tutti i modi di sottrarsi agli effetti della crisi economica ma che si vede sempre più ignorata dalle decisioni che vengono assunte in sede nazionale –:
   se corrispondano al vero le informazioni, assunte dall'interrogante, sul possibile parere negativo della Commissione tecnica VIA-VAS del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e come, nel caso, si intenda agire al fine di non lasciare inevase le giuste aspettative delle popolazioni e delle forze produttive del territorio che puntavano su quest'opera per rilanciare un'economia strutturalmente depressa soprattutto a causa della cronica mancanza di opere infrastrutturali. (4-05085)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, concernente il progetto di ampliamento della pista di volo dell'aeroporto «Gino Lisa» di Foggia, l'interrogante ha riferito di talune «informazioni», direttamente acquisite, che farebbero ritenere prossima l'emanazione di un parere negativo da parte della commissione VIA-VAS.
  Appare opportuno, sul punto, riepilogare brevemente lo stato dei fatti.
  In data 6 marzo 2013 l'ENAC ha presentato domanda di pronuncia di compatibilità ambientale relativa al «Progetto di prolungamento della pista di volo RWY 15/33» dell'aeroporto in argomento. L'intervento proposto riguarda, in particolare, il prolungamento della pista di volo RWY nella direzione nord della testata 15, la realizzazione di una zona di back trak in testata 15, la realizzazione di nuova viabilità perimetrale, l'adeguamento e la implementazione degli impianti di volo notturni e degli aiuti visivi luminosi. In termini di ipotesi di sviluppo, per l'aeroporto di Foggia si ipotizza un potenziale incremento del traffico commerciale di linea di circa 300.000 passeggeri all'anno, corrispondenti a circa 4.000 movimenti di linea per anno.
  In data 23 marzo 2012 la competente direzione generale per le valutazioni ambientali di questo Ministero ha dato avvio all'istruttoria tecnica presso la commissione tecnica VIA-VAS.
  Con deliberazione della giunta regionale n. 1203 del 1o luglio 2013, la regione Puglia ha rilasciato il parere paesaggistico e attestazione di compatibilità paesaggistica in deroga.
  Il comune di Foggia in data 8 agosto 2013 ha adottato il piano di rischio dell'aeroporto, sul quale l'ENAC aveva rilasciato il proprio parere favorevole il precedente 27 giugno 2013.
  In data 29 settembre 2013 è stato acquisito il parere della regione Puglia, positivo con prescrizioni.
  In data 24 dicembre 2013 l'ENAC ha richiesto una prima sospensione del procedimento, evidenziando che tale richiesta era necessaria «in considerazione dei diversi livelli di incertezza relativi al quadro programmatico in cui risulta inserito il progetto».
  In data 1o aprile 2014 l'ENAC ha inviato determinata documentazione integrativa, chiedendo il riavvio dell'istruttoria presso la commissione tecnica VIA-VAS.
  In data 27 maggio 2014 l'ENAC ha avanzato una seconda richiesta di sospensione dell'istruttoria tecnica, fondata sulla necessità da parte del proponente di presentare «ulteriore documentazione di approfondimento al fine di favorire il buon esito delle valutazioni in corso».
  Il 29 luglio 2014 l'ENAC ha inviato l'ulteriore documentazione di approfondimento e il procedimento di valutazione è quindi ripreso ed è attualmente in corso.
  Premesso quanto sopra sinteticamente riferito, in merito a quanto chiesto di conoscere dall'interrogante e, in particolare, di un possibile esito «anticipato» dell'istruttoria, non risulta agli atti di questo Dicastero alcun documento con cui la predetta commissione tecnica, o altro ufficio ministeriale, abbiano espresso valutazioni sul procedimento di VIA ovvero manifestato orientamenti circa gli esiti della stessa istruttoria.
  Si precisa, infatti, che l'istruttoria tecnica di VIA sui lavori di ampliamento dell'aeroporto «Gino Lisa» di Foggia – come già peraltro riferito – è tuttora in corso presso la competente commissione tecnica VIA-VAS, la quale esprimerà il proprio parere nei termini e secondo le modalità previste nel pertinente regolamento.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   FEDI, GIANNI FARINA, GARAVINI, LA MARCA e PORTA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero degli affari esteri, nel quadro dei programmi di promozione della lingua e cultura italiane nel mondo, ha inviato nell'anno scolastico 2013-14 presso università straniere 176 lettori di italiano in 71 Paesi del mondo, che rappresentano solo una parte del personale utilizzato all'estero a tale scopo;
   i lettori di italiano, per il fatto di essere tenuti a rimanere all'estero per non meno di tre anni, sono obbligati per legge ad iscriversi all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero, perdendo in questo modo la copertura sanitaria in Italia;
   nella maggior parte dei casi, i lettori sono chiamati ad operare in Paesi nei quali la tutela sanitaria degli stranieri non è affatto o del tutto prevista, né esistono accordi bilaterali con l'Italia che regolino la materia in modo più estensivo;
   il caso della professoressa, lettore di italiano presso l'università di Sydney, e della figlia è quanto mai esplicativo delle difficoltà alle quali possono andare incontro i lettori e i loro familiari che all'estero svolgono un servizio pubblico per conto dello Stato italiano;
   la figlia della professoressa, affetta da malattia cronica, non può avvalersi del servizio sanitario locale perché il caso non rientra nell'accordo bilaterale in materia, valido comunque solo per sei mesi, e perché la madre ha un visto che prevede unicamente il «domicilio professionale all'estero», non la residenza, per cui risulta esclusa da tutte le forme di assistenza e tutela previste per i residenti;
   in sostanza, le persone indicate si trovano a non avere alcuna forma di tutela per non avere più la residenza in Italia, esclusa quella fiscale, senza vedersela tuttavia riconosciuta stabilmente in Australia in quanto considerate, in base alla normativa locale, solo temporaneamente domiciliate;
   nella situazione italiana, un'eccezione all'obbligo di iscrizione all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero è stata compiuta per casi analoghi, relativi ai militari italiani in servizio all'estero, benché le disposizioni vigenti in materia anagrafica non annoverino tali soggetti tra quelli esclusi dall'iscrizione all'AIRE;
   in via interpretativa, si è ritenuto di estendere l'esclusione dall'obbligo di iscrizione all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero per coloro che rischiavano di non risultare iscrivibili, dal punto di vista anagrafico, in alcun Paese, con la possibilità di essere inclusi in un'anagrafe italiana che certifica «la non residenza nel territorio dello Stato», non rilevante tuttavia ai fini della tutela sanitaria in Paesi come l'Australia –:
   quali misure il Ministro interrogato di concerto con gli altri Ministri interessati per materia, intenda adottare affinché coloro che prestino un servizio di interesse pubblico all'estero non perdano alcune loro fondamentali prerogative, quale il godimento dell'assistenza sanitaria, e siano tutelati nei loro fondamentali diritti.
(4-05702)

  Risposta. — In base alla legge n. 470 del 27 ottobre 1988 chiunque risieda all'estero per più di dodici mesi ha l'obbligo di iscrizione all'anagrafe italiani residenti all'estero. Oltre al personale delle missioni diplomatico-consolari notificato ai sensi delle Convenzioni di Vienna del 1961 e del 1963, l'unica eccezione prevista dalla circolare del Ministero dell'interno MIACEL n. 20 del 17 dicembre 2001 riguarda i militari in servizio presso le basi NATO ai sensi della Convenzione di Londra del 19 giugno 1951.
  I lettori di italiano inviati all'estero sono quindi assoggettati all'obbligo di iscriversi all'AIRE.
  Si precisa che i dipendenti pubblici inviati in servizio all'estero in Paesi nei quali non vigono Accordi in materia sanitaria hanno diritto all'assistenza sanitaria da parte dello Stato italiano sia in Italia che all'estero ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 618 del 1980, non diversamente da quanto avviene per i lavoratori italiani dipendenti di impresa privata italiana distaccati all'estero, per i quali il datore di lavoro versa i relativi contributi al Servizio sanitario nazionale.
  L'assistenza sanitaria nei Paesi in cui non vigono accordi in materia sanitaria avviene in forma indiretta, cioè a rimborso delle spese mediche sostenute previa richiesta e rilascio (da parte della ASL di ultima residenza o dalla sede del Ministero della salute distaccata presso il Ministero degli affari esteri o dall'amministrazione o ente pubblico di appartenenza o dalla rappresentanza diplomatico-consolare nella sede di servizio) dell'attestato previsto dall'articolo 15 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica.
  In caso di rientro temporaneo in Italia, nonostante la normativa preveda la cancellazione di chi risiede all'estero dall'elenco degli assistiti dei «medici di famiglia», gli interessati possono usufruire dell'assistenza sanitaria da parte della ASL di temporanea dimora, presentando il numero di iscrizione al Servizio sanitario nazionale o il codice fiscale e l'attestato ex articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica n. 618 del 1980 (ovvero l'attestato ex articolo 12 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica rilasciato dalla rappresentanza diplomatico-consolare italiana all'estero, ovvero un'autocertificazione attestante il diritto).
  Per le prestazioni di primo livello, erogate dal medico di medicina generale sospeso al momento della partenza, si può fare ricorso allo strumento della «visita occasionale» con oneri a carico dell'assistito, il cui rimborso potrà essere richiesto alla ASL di ultima residenza.
  I dipendenti pubblici possono inoltre usufruire gratuitamente anche delle prestazioni sanitarie di medicina generale erogate dai medici in servizio presso l'ambulatorio della ASL RM/E presso il palazzo della Farnesina, incluso il rilascio di prescrizioni farmaceutiche e diagnostiche.
  Si fa inoltre presente che il decreto legislativo n. 297 del 16 aprile 1994 (Testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado) all'articolo 672 estende al personale di ruolo in servizio nelle istituzioni scolastiche all'estero la disposizione prevista per i dipendenti del Ministero degli affari esteri dal decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 all'articolo 211, in base alla quale quest'ultima amministrazione rimborsa l'85 per cento del premio versato dai dipendenti per la stipula, per sé e per i familiari a carico e conviventi nella sede di servizio, di una polizza di assicurazione per prestazioni sanitarie. La stipula della polizza non preclude in ogni caso, la possibilità di chiedere il rimborso al Servizio sanitario nazionale delle spese mediche che non rientrino nella copertura della polizza stessa, previa dichiarazione della compagnia assicurativa che attesti la non rimborsabilità delle stesse.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriMario Giro.


   FRUSONE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 luglio 2013 è scoppiato un incendio, verso le 7:15, nel sito dell'inceneritore di Colleferro con il conseguente innalzamento di una densa colonna di fumo dovuta, almeno dalle prime indiscrezioni, all'incendio di uno dei nastri trasportatori;
   l'inceneritore di Colleferro era già salito agli onori di cronaca nei primi mesi del 2009 quando vennero arrestati 13 persone compresi i dirigenti della società che gestiva l'impianto che all'epoca si chiamava GAIA;
   in data 19 giugno 2013 in località Castellaccio, poco distante dall'inceneritore di Colleferro, è scoppiato un altro incendio nello stabilimento ACEA ARIA UL 2 (ex Snia) di Paliano in cui viene prodotto CDR;
   questi incendi che insistono entrambi su una medesima area geografica sembrano collegarsi l'uno all'altro quasi come una regia atta a condizionare la politica del ciclo dei rifiuti della zona –:
   cosa risulta ai Ministri interrogati sulle cause che hanno portato all'incendio presso l'inceneritore di Colleferro e presso lo stabilimento ACEA sito in Paliano;
   se risulta una presenza in quella zona di organizzazioni legate alle eco-mafie e segnatamente al traffico dei rifiuti;
   quali iniziative sono state assunte per monitorare i danni ambientali derivanti dagli incendi in questione e quali iniziative si intenda assumere per evitare che tali episodi possano ripetersi. (4-01403)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, occorre preliminarmente rilevare che gli impianti di cui in essa si fa menzione non risultano nell'inventario degli stabilimenti a rischio industriale di cui al decreto legislativo n. 334 del 1999, motivo per il quale gli elementi conoscitivi di seguito riferiti sono stati acquisiti, nel corso di apposita istruttoria, principalmente dalla prefettura di Frosinone e dall'ARPA Lazio.
  L'area interessata dai fatti richiamati nella interrogazione, peraltro, è la Valle del Sacco (o anche Valle Latina), da qualcuno considerata il nome geografico proprio del territorio comunemente denominato Ciociaria. Essa è una regione del Lazio meridionale, situata in massima parte nella provincia di Frosinone e, per un breve tratto, in quella di Roma. È compresa tra i Monti Ernici e i Monti Lepini ed è attraversata dal fiume Sacco. Al suo interno, i comuni più importanti sono, innanzitutto Frosinone, e poi Anagni, Alatri, Ceccano, Ceprano, Paliano, Colleferro, Artena, Ferentino, Morolo, Supino, Patrica.
  Nella Valle sorge un importante distretto industriale, e per l'intensa attività industriale che vi si è svolta, soprattutto chimica, nonché per la creazione di discariche a cielo aperto, si è creato un sovraccarico di inquinanti che negli anni hanno contaminato terreni e falde acquifere, tanto che nel 2006 è stato dichiarato lo «stato di emergenza socio-economico-ambientale» per la Valle del Sacco, a più riprese prorogato.
  Tanto premesso, in quanto ritenuto necessario per meglio comprendere le preoccupazioni manifestate dagli interroganti nonché quelle indirettamente riferibili alla popolazione ivi residente, per prima cosa si rileva che nella mattinata del 19 giugno 2013 un incendio di rilevanti dimensioni si è sviluppato nell'interno di un capannone dello stabilimento industriale ACEA ARIA UL 2 (ex SNIA), ubicato nel territorio del comune di Paliano, nei pressi del chilometro 57+200 della strada statale «Casilina».
  Tale incendio, che ha riguardato, in particolare, il tetto della struttura edilizia adibita a lavorazione e deposito di combustibile da rifiuto (CDR), ha interessato, prevalentemente, materiale costituito da carta, plastica, gomma e prodotti legnosi, nonché la stessa copertura sulla quale risultava installato un impianto di produzione di energia elettrica a pannelli fotovoltaici, poggiati su lamiera grecata con strato coibente.
  L'intervento di spegnimento, prontamente effettuato da parte del comando Provinciale dei Vigili del fuoco di Frosinone, è proseguito per l'intera giornata del 19 giugno.
  Poiché, come già riferito, risultava interessato dall'incendio il materiale di coibentazione del capannone, si è sviluppato un notevole volume di fumo, caratterizzato da un odore acre, che è rimasto visibile nell'area circostante lo stabilimento anche a causa delle condizioni meteorologiche di scarsa ventilazione, provocando, per l'evidente impatto visivo, un certo allarmismo da parte della popolazione locale.
  Sul posto ha operato il nucleo-investigativo antincendio dello stesso corpo nazionale dei Vigili del fuoco, che ha proceduto ai necessari rilievi, finalizzati a individuare le possibili cause dell'evento, nonché personale dell'ARPA Lazio di Frosinone, che ha effettuato monitoraggi dell'area e prelievi sui terreni delle aree circostanti.
  Il personale dell'ARPA Lazio, in particolare, si è prontamente attivato al fine di porre in essere attività tecniche di controllo degli eventuali effetti ambientali dovuti all'incendio. È stato riferito, in particolare, che i controlli della qualità dell'aria sono avvenuti mediante due linee di intervento attuate contemporaneamente. La prima ha riguardato l'utilizzo delle stazioni di monitoraggio della qualità dell'aria afferenti alla rete regionale. Poiché nel territorio potenzialmente interessato sono attive quattro stazioni di monitoraggio (1 nel comune di Anagni, 1 nel comune di Ferentino e 2 nel comune di Colleferro) queste sono state utilizzate per mantenere sotto controllo sia i principali indicatori (PM10, ossidi di azoto, ossidi di zolfo, monossido di carbonio) sia la eventuale presenza di idrocarburi policiclici aromatici. La seconda linea di intervento ha comportato il posizionamento di campionatori per la determinazione di inquinanti organici e metalli. Dai risultati è emerso che tutte le concentrazioni misurate nel giorno dell'evento e nei giorni successivi, in tutte le centraline prese in esame, sono risultate inferiori ai limiti previsti dalla normativa.
  A distanza di poco più di un mese, il 23 luglio 2013 è scoppiato un altro incendio in un altro impianto di lavorazione dei rifiuti, e, nello specifico, presso l'impianto di termovalorizzazione di CDR della E.P. Sistemi (il cosiddetto inceneritore di Colleferro) ubicato in località Colle Sughero, in agro – appunto – di Colleferro. Il denso fumo nero che si è innalzato dall'impianto è stato visibile in tutta la zona, allarmando, anche in questo caso, la popolazione residente.
  L'incendio, di breve durata e intensità, è stato immediatamente circoscritto dai Vigili del fuoco prontamente intervenuti. Esso ha riguardato uno dei due nastri trasportatori di alimentazione del CDR in prossimità della fossa di carico. Causato dal surriscaldamento di un cuscinetto di scorrimento, esso non ha coinvolto in alcun modo i rifiuti ivi trattati che non sono stati quindi interessati dalle fiamme.
  Sono stati analizzati, anche in questo caso, dal personale dell'ARPA Lazio, i dati orari di qualità dell'aria registrati dalle due centraline ubicate nel territorio comunale di Colleferro, le quali non hanno evidenziato alcun picco significativo per nessuno dei parametri monitorati.
  Risulta, comunque, che le rispettive autorità comunali abbiano provveduto ad assumere provvedimenti di natura cautelativa allo scopo di scongiurare ogni possibile rischio per la salute e la pubblica incolumità, nonché a tempestivamente informare e tenere aggiornati i propri amministrati.
  Fermo restando tutto quanto sopra riferito, appare opportuno precisare che sia la questura di Frosinone che il comando provinciale dei Carabinieri hanno fatto presente, nel corso dell'istruttoria condotta da questo Ministero, che non era emerso il coinvolgimento di organizzazioni riconducibili al traffico di rifiuti e/o ecomafie.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro degli affari esteri, a conclusione di un prolungato confronto in sede parlamentare e con le organizzazioni sindacali «interne», nei giorni scorsi ha firmato il decreto di riorganizzazione della rete all'estero del Ministero degli affari esteri, nel quale è prevista, tra le altre decisioni, la soppressione di due istituti italiani di cultura (Salonicco e Lussemburgo) e di sei sezioni distaccate di IIC (Wolfsburg, Francoforte sul Meno, Vancouver, Ankara, Grenoble e Innsbruck), da realizzare entro il corrente anno;
   in tale piano di chiusure risulta particolarmente penalizzata la realtà tedesca, di vitale interesse ai fini del turismo culturale e della proiezione all'estero dei nostri prodotti di qualità; da tale piano è stata esclusa la sezione distaccata di Stoccarda, inizialmente inclusa nel programma di razionalizzazione, ma compaiono le due sezioni distaccate di Wolfsburg e Francoforte, nonostante che sia stata mantenuta la presenza della sezione distaccata di Stoccarda, inserita in una iniziale proposta di razionalizzazione avanzata dalle strutture competenti del Ministero degli affari esteri;
   i risparmi diretti derivanti da tali decisioni ammontano a cifre di limitata entità (circa 90.000 euro per ciascun istituto) che non tengono conto peraltro dei rientri provenienti dalla frequenza dei corsi di lingua e dalle sponsorizzazioni;
   l'istituto di Wolfsburg, in particolare, si è consolidato nel tempo come un sicuro riferimento interculturale per una città nella quale, a seguito della consistente immigrazione di lavoro successiva all'Accordo italo-tedesco del 1955, si è sviluppato un positivo processo di integrazione, valorizzato dalle autorità locali, che non hanno perduto occasione per manifestare interesse ed apprezzamento per il protagonismo culturale della comunità italiana;
   coerentemente con questo atteggiamento di apertura delle autorità locali verso la comunità italiana, con la quale esse hanno costantemente sviluppato un rapporto di dialogo e collaborazione, il comune di Wolfsburg nel recente passato ha contribuito agli oneri di funzionamento dell'istituto con un sostegno di circa 54.000 euro annui;
   a fronte della paventata soppressione dell'istituto, come risulta dalla comunicazione inviata al nostro istituto in data 17 gennaio 2014 dall'ufficio del sindaco di Wolfsburg, le stesse autorità comunali si sono dichiarate disponibili ad aumentare il già consistente contributo a circa 76.000 euro, una somma destinata a ricoprire in misura ulteriore gli oneri di gestione, compreso il trattamento economico di un dipendente a contratto;
   le decisioni relative alle chiusure non comportano ulteriori risparmi riguardanti il personale a contratto, dal momento che tale personale finora impiegato negli istituti oggetto del provvedimento sarà spostato nelle sedi considerate «riceventi»;
   mentre per alcuni istituti e sezioni distaccate, di cui si è decretata la chiusura, si prevede di istituire presso i consolati o gli istituti di riferimento la figura dell'addetto culturale per le aree che restano scoperte, nessuna ipotesi viene avanzata per Wolfsburg e il territorio servito dal locale istituto;
   in concreto, per l'area di Wolfsburg, la decisione che si è assunta comporta di fatto l'eliminazione di una positiva esperienza di promozione culturale e l'interruzione di un rapporto fecondo con la popolazione locale, sia italiana che straniera, e con le autorità municipali; nonché il rifiuto della disponibilità delle autorità locali a farsi carico di una quota maggioritaria delle spese di funzionamento –:
   se non ritenga, in considerazione della consolidata domanda culturale esistente nel contesto di Wolfsburg e del quasi completo riassorbimento degli oneri di funzionamento del locale istituto di cultura, grazie alla collaborazione offerta dalle autorità locali, di consentire la continuità delle attività finora svolte, utilizzando i locali pagati con il contributo del comune di Wolfsburg, e il personale a contratto finora operante. (4-04227)

  Risposta. — La riorganizzazione della rete degli Istituti italiani di cultura (IIC), parallelamente a quella condotta con riguardo alla rete diplomatico-consolare, è un processo dettato da una serie di fattori obiettivi tra i quali la spending review, prevista dal decreto-legge n. 95 del 2012 convertito con legge n. 135 del 2012, che stabilisce tra l'altro precisi obiettivi di riduzione numerica delle strutture all'estero.
  Come per la rete consolare, la rimodulazione degli IIC è stata effettuata con l'obiettivo di assicurarne una distribuzione equilibrata, intervenendo prevalentemente in Europa e dove è maggiore la loro presenza (Austria, Francia, Germania, Lussemburgo, Grecia e Turchia).
  Il numero delle soppressioni, che in origine avrebbe dovuto essere ben più alto, è stato contenuto. Infatti, anche in virtù di una scelta politica condivisa dal Ministro Mogherini con il Parlamento e come segno tangibile della volontà di investire nella promozione della nostra cultura all'estero, si è deciso di tenere aperti due IIC tra quelli che pure erano stati inseriti nella lista delle chiusure, ovvero Stoccarda e Lione.
  Al fine di attenuare per quanto possibile gli effetti di detti provvedimenti, in termini di organizzazione di eventi ed erogazione di servizi, sono state adottate una serie di misure di accompagnamento che tengono conto anche dell'interazione con gli altri attori della promozione culturale e linguistica all'estero quali: lettorati, dipartimenti di italianistica, scuole italiane, addetti scientifici, comitati della Dante Alighieri ed enti gestori dei corsi di lingua.
  Tra le sedi individuate per la chiusura vi è la sezione di Wolfsburg dell'IIC di Berlino. Quest'ultimo, ampliando la propria competenza territoriale, subentrerà nelle funzioni istituzionali attualmente svolte dalla sezione. A tale riguardo è opportuno ricordare che la Germania resta comunque, con quattro Istituti di cultura (Berlino, Colonia, Monaco di Baviera e Stoccarda) ed una lezione (Amburgo), uno dei Paesi con la più importante offerta culturale italiana al mondo.
  Per garantire il mantenimento di un adeguato presidio culturale a Wolfsburg, città contrassegnata da una consistente presenza italiana, è stato acquisito dalla locale municipalità il mantenimento dei contributi già versati dalla stessa a favore della sezione dell'IIC di Berlino.
  Nell'immobile che ha ospitato quest'ultima, dal 15 settembre si sono trasferiti gli uffici dell'agenzia consolare e saranno conservati gli spazi dedicati alla promozione culturale e linguistica, come la biblioteca e le aule destinate ai corsi di lingua. Tali corsi proseguiranno regolarmente grazie alla nuova convenzione di gestione indiretta stipulata tra l'IIC di Berlino e l'ente che già oggi ne assicura lo svolgimento.
  L'agenzia, inoltre, potrà organizzare una serie di iniziative culturali in raccordo con la programmazione assicurata dall'IIC di Berlino, anche avvalendosi del personale a contratto che opera attualmente presso la sezione di Wolfsburg; tale personale manterrà, infatti, mansioni di promozione culturale anche a seguito del ricollocamento in agenzia.
  Il generoso contributo offerto dalla locale municipalità pertanto andrà a copertura in parte ai costi di locazione dell'immobile che ospita l'agenzia consolare e in parte, insieme alle sponsorizzazioni private, alle attività di promozione culturale.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriMario Giro.


   GIGLI, SBERNA e DELLAI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 luglio 2013, a Napoli, presso palazzo San Giacomo, alla presenza del sindaco Luigi de Magistris, è stato trascritto nel registro dell'anagrafe cittadina, un matrimonio contratto all'estero fra persone dello stesso sesso: tale atto è stato possibile grazie ad una direttiva del sindaco che consente all'anagrafe cittadina l'operazione di trascrizione;
   il sindaco, secondo autorevoli fonti di stampa, avrebbe dichiarato: «Siamo convinti che il sindaco abbia il diritto e il dovere di far trascrivere presso gli uffici dell'anagrafe e dello stato civile i matrimoni che, purtroppo, per ora possono essere celebrati soltanto all'estero», asserendo inoltre che: «Questa trascrizione ha un valore anche giuridico: mette a pari livello un matrimonio etero e uno omosessuale, per esempio per partecipare alle politiche sociali della città oppure all'assegnazione delle case»;
   il 17 luglio anche il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha deciso di riconoscere i matrimoni gay celebrati all'estero, dichiarando: «Quando si tratta di diritti civili non arretriamo davanti a nessuno. Io non ho paura della parola matrimonio e noi riconosceremo, o almeno io chiederò che possano essere riconosciuti, i matrimoni, qualunque sia il sesso degli sposi, che sono celebrati all'estero»;
   il 21 luglio 2014 anche il sindaco di Bologna Virginio Merola ha emanato una direttiva che permetterà, a partire dal 15 settembre 2014, di trascrivere nei registri di stato civile del comune le unioni gay celebrate all'estero;
   il primo caso di riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso avvenuto all'estero si è avuto nel 2012 a Grosseto: una coppia omosessuale, dopo aver contratto matrimonio a New York nel 2012, ha chiesto all'ufficiale dello stato civile la trascrizione di tale matrimonio;
   l'ufficiale di stato civile coinvolto nella vicenda ha rifiutato la trascrizione, richiamando, a sostegno delle proprie argomentazioni, la normativa italiana che non consente il matrimonio di persone dello stesso sesso, nonché la sentenza della Corte di cassazione n. 4184 del 15 marzo 2012 in cui viene sottolineato il ruolo e l'importanza delle funzioni dell'ufficiale dello stato civile, a cui «sono attribuite penetranti poteri di controllo sulla trascrivibilità degli atti di matrimonio celebrati all'estero»;
   la stessa sentenza è stata poi richiamata dal tribunale nelle sue motivazioni, per arrivare però a conclusioni opposte e quindi autorizzare la trascrizione: nella sentenza n. 2184/2012 Corte di cassazione viene citata la giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell'uomo al fine di evidenziare come il diritto al matrimonio di cui all'articolo 9 CEDU non sia limitato al matrimonio tradizionale;
   rimane in ogni caso chiara evidenza giuridica che sia compito del legislatore nazionale intervenire, disciplinando le diverse ipotesi negli ordinamenti nazionali;
   va ricordato peraltro che la famosa sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo n. 510 del 24 giugno 2010, richiamata nella sentenza già citata n. 2184 del 2012 della Corte di cassazione ha rigettato il ricorso Schalk et Kopf contro Austria, in quanto lo stato austriaco, pur non riconoscendo in alcun modo il matrimonio omosessuale, non ha affatto violato la Carta europea dei diritti dell'uomo, avendo riconosciuto il diritto alla convivenza omosessuale;
   la sentenza del tribunale di Grosseto è stata impugnata dalla procura della Repubblica;
   nel maggio 2014, a Fano, una coppia omosessuale che aveva contratto matrimonio in Olanda ha presentato formale istanza al sindaco per la trascrizione del proprio matrimonio, allegando copia dell'atto; i dipendenti dell'ufficio dello stato civile non hanno ritenuto legittima la trascrizione, ma successivamente è stato lo stesso sindaco, svolgendo direttamente la propria funzione di ufficiale di governo e di ufficiale dello stato civile, ai sensi dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000, a procedere alla trascrizione del matrimonio, sottoscrivendo personalmente l'atto;
   con sentenza n. 170, 11 giugno 2014, la Corte costituzionale, su giudizio incidentale sollecitato dalla Corte di cassazione, si è pronunciata su un matrimonio di una coppia eterosessuale regolarmente sposata nella quale però l'uomo decide di cambiare sesso: la coppia decide di rimanere unita risultando così composta da persone dello stesso sesso;
   in tale caso, l'ufficiale dello stato civile, dopo avere ricevuto sentenza di rettificazione di sesso di uno dei coniugi, dietro indicazioni della prefettura e del Ministero dell'interno, aveva disposto il cosiddetto «divorzio automatico»; i coniugi hanno presentato ricorso al tribunale di Modena che aveva accolto il ricorso; il Ministero dell'interno aveva esposto reclamo in corte di appello di Bologna che lo aveva accolto; la coppia presenta ricorso in Cassazione; la Corte di cassazione con ordinanza n. 14329 del 6 giugno 2013 ha disposto remissione degli atti alla Corte costituzionale, avendo riscontrato dubbi di legittimità costituzionale degli articoli 2 e 4 della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso);
   la Consulta, pur nel dichiarare l'illegittimità costituzionale degli articoli 2 e 4 della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), con sentenza manipolativa additiva volta a prevedere che «la sentenza di rettificazione dell'attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio, consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore», pur considerando al punto 5.5 che «nella nozione di formazione sociale – nel quadro della quale l'articolo 2 della Costituzione dispone che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo – è da annoverare anche l'unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia», ha però molto chiaramente sottolineato al punto 5.1 dei considerata che «la situazione (...) di due coniugi che, nonostante la rettificazione dell'attribuzione di sesso ottenuta da uno di essi, intendano non interrompere la loro vita di coppia, si pone, evidentemente, fuori dal modello del matrimonio – che, con il venir meno del requisito, per il nostro ordinamento essenziale, della eterosessualità, non può proseguire come tale»;
   in sintesi, la Suprema Corte si è tenuta ben lungi dal considerare legittimo il matrimonio omosessuale nel nostro ordinamento costituzionale;
   di conseguenza sembra molto arduo considerare legittimo riconoscimento giuridico da parte delle istituzioni nazionali e locali del matrimonio omosessuale, pur se celebrato all'estero –:
   quali siano gli orientamenti dei ministri interpellati in merito al riconoscimento da parte di istituzioni italiane dei matrimoni omosessuali avvenuti all'estero e se in particolare intendano rilevare l'illegittimità di tale riconoscimento;
   quali urgenti iniziative, anche di natura normativa, intendano porre in essere al fine di colmare un evidente vuoto normativo in merito, seguendo il dettato dell'articolo 29 della Costituzione che impone alla Repubblica il riconoscimento dei «diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», tenendo conto del principio da ultimo espresso con la sentenza Corte costituzionale n. 170 del 2014, ove si dichiara con estrema chiarezza che requisito essenziale del matrimonio è la «eterosessualità» della coppia. (4-06156)

  Risposta. — Gli interroganti hanno richiamato l'attenzione dei Ministri dell'interno e della giustizia sulla questione del riconoscimento in Italia dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all'estero, ponendo sostanzialmente due quesiti: se essi intendano rilevare l'illegittimità di tale riconoscimento; quali iniziative, anche di natura legislativa, intendano porre in essere per colmare il vuoto normativo che sussiste sullo specifico argomento.
  Il tema evidenziato è da tempo sul tappeto e assurge periodicamente agli onori della cronaca. È della settimana scorsa la notizia che il prefetto di Bologna ha invitato il sindaco del comune felsineo a revocare la disposizione, da lui data ai funzionari delegati allo stato civile, di trascrivere i matrimoni del predetto tipo.
  Tale linea di condotta è del tutto conforme all'orientamento di questo Ministero ispirato al presupposto che l'intera disciplina dell'istituto del matrimonio – contenuta nel codice civile, nella normativa in materia di ordinamento di stato civile e nella legislazione speciale – sia fondata sulla diversità di sesso dei coniugi.
  Tale posizione è suffragata dal consolidato orientamento assunto dalla Corte costituzionale sulla base dell'articolo 29 della Costituzione che, come emerge anche dai lavori preparatori dell'Assemblea costituente, fa riferimento al matrimonio «nel significato tradizionale di detto istituto».
  Secondo il giudice delle leggi, le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio né sono destinatarie della medesima disciplina dettata per quest'ultimo, ragion per cui, come precisato dalla Corte di cassazione, il matrimonio omosessuale è inidoneo a produrre qualsiasi effetto giuridico nell'ordinamento nazionale e non può essere trascritto nei registri dello stato civile italiano ancorché validamente celebrato in un altro Paese.
  Giova rammentare che, riguardo all'accesso delle coppie omosessuali al matrimonio, la medesima Corte si è espressa sia per l'assenza di obblighi internazionali gravanti sull'Italia, sia per l'inesistenza nella legislazione nazionale di irragionevoli discriminazioni, in quanto le unioni tra persone dello stesso sesso sono comunque oggetto di tutela come «formazioni sociali», ai sensi dell'articolo 2 della Costituzione.
  Quanto al secondo quesito, si osserva che il tema oggetto dell'interrogazione si connota per l'estrema delicatezza scaturente dalla sua attinenza alla sfera dei diritti civili e dal coinvolgimento di profili etici, riguardo ai quali la società civile e il mondo della politica sono attraversati trasversalmente da punti di vista e sensibilità differenti e tutte rispettabili.
  Ciò porta a ritenere che il tema trascenda la competenza dei Ministeri della giustizia e dell'interno, investendo pienamente le prerogative del Parlamento, sicché questo Ministero non intende proporre alcuna iniziativa.
Il Ministro dell'internoAngelino Alfano.


   GREGORI, FERRO, CARELLA e TIDEI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2012 il Comune di Pomezia ha espletato il concorso, bandito nel 2010, per più profili professionali per l'assunzione di personale a tempo indeterminato, ma, visto il blocco del turnover e per il rispetto del patto di stabilità, solo ai primi in graduatoria è stato fatto firmare un contratto a tempo indeterminato e tempo pieno e a tutti gli altri, un contratto a tempo determinato e part time 83, 33 per cento (30 ore settimanali) dal 1o luglio 2012 al 31 giugno 2015;
   i precari del comune di Pomezia sono tutti vincitori del concorso a tempo indeterminato espletato nel 2012. Tuttavia l'anzianità di servizio non è comunque omogenea per tutti in quanto alcuni sono in forza da due anni dovuti al contratto part-time; altri, invece, hanno un'anzianità di servizio maggiore dovuta al part-time in atto cui si aggiungono tre anni e mezzo pregressi in quanto vincitori di un concorso a tempo determinato full-time bandito dal comune di Pomezia nel 2007;
   vista la normativa vigente e il numero esiguo dei dipendenti che andranno in pensione nei prossimi anni, il Comune di Pomezia rischia di perdere i lavoratori precari alla scadenza dei contratti. Tutto ciò arrecherebbe un danno alla pubblica amministrazione e alla cittadinanza del comune di Pomezia, in quanto la forza lavoro a disposizione di servizi essenziali si ridurrebbe in maniera drastica;
   nel gennaio 2014, l'Anci ha inviato una missiva ai Ministri dell'economia e della pubblica amministrazione, chiedendo un incontro urgente per approfondire «a livello normativo e interpretativo» il tema della contrattazione decentrata negli enti locali, contenuto nel decreto legislativo n. 150 del 2009, e alle varie criticità riscontrate in sede di attuazione della norma, chiedendo con urgenza l'applicazione di un regime di salvaguardia per gli atti adottati dagli enti precedentemente, anche al fine di evitare contenziosi costosi e insostenibili a carico della finanza pubblica e tutelare i lavoratori degli enti locali;
   sembra pertanto fondamentale che lo Stato intervenga per svuotare definitivamente il bacino e consenta una stabilizzazione definitiva di questi lavoratori che per molti anni hanno sopperito a mancanze di personale in tante amministrazioni pubbliche;
   se i Ministri interrogati intendano intervenire, per quanto di competenza, per verificare la disponibilità a varare provvedimenti normativi atti ad una stabilizzazione effettiva dei lavoratori in questione;
   se s'intenda altresì valutare la possibilità di convocare un tavolo di confronto con le autorità regionali e le autorità comunali coinvolte, al fine di elaborare soluzioni condivise e congiunte a tutela dei medesimi lavoratori;
   se, infine, i Ministri in indirizzo intendano avviare iniziative legislative o regolamentari volte all'applicazione immediata di un regime di salvaguardia per tutti gli atti adottati dagli enti locali precedentemente all'entrata in vigore del decreto legislativo 150/2009, al fine di evitare contenziosi costosi e insostenibili a carico della finanza pubblica, così anche da evitare il perseguimento di comportamenti discriminatori nei confronti dei lavoratori assunti sulla base della precedente normativa. (4-04521)

  Risposta. — Rispondo all'interrogazione in esame, con la quale si chiedono chiarimenti in merito alla situazione di alcuni vincitori del concorso pubblico per l'assunzione a tempo pieno e indeterminato, bandito dal comune di Pomezia nel 2010, i quali, a causa delle vigenti disposizioni limitative delle assunzioni a tempo indeterminato e dei vincoli dei patto di stabilità interno, sono stati assunti a tempo determinato part-time dal 1o luglio 2012 al 31 giugno 2015.
  Come ho avuto modo di affermare il 2 aprile 2014, nel corso della audizione parlamentare sulle linee programmatiche, la tutela dei vincitori di concorso è un obiettivo primario del Governo. Deve essere affermato il principio che tutti coloro che hanno vinto un concorso pubblico, hanno diritto all'assunzione. Una quota dei nuovi ingressi nella pubblica amministrazione sarà, quindi, necessariamente riservata a queste persone. Va altresì chiarito che coloro che non hanno vinto un concorso pubblico non hanno gli stessi diritti di coloro che un concorso per un impiego a tempo indeterminato lo hanno sostenuto e superato. Per tali ultime categorie, la soluzione del problema assunzionale più idonea e percorribile sembra essere quella del riconoscimento di un certo punteggio nei futuri concorsi, aperti a tutti.
  Ricordo, poi, che la disciplina vigente già prevede disposizioni atte a garantire la posizione dei vincitori di concorso non ancora assunti dalle pubbliche amministrazioni. In particolare, l'articolo 4, comma 3, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, dispone che, prima di bandire concorsi pubblici per l'assunzione di personale a tempo indeterminato a copertura dei posti vacanti, le amministrazioni procedono all'immissione in servizio dei vincitori collocati nelle proprie graduatorie vigenti, relative a concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato per qualsiasi qualifica, fatte salve comprovate non temporanee esigenze organizzative adeguatamente motivate.
  Inoltre, il medesimo decreto-legge n. 101 del 2013, integrando le disposizioni dell'articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, allo scopo di prevenire fenomeni di precariato, ha previsto che le amministrazioni pubbliche sottoscrivano contratti a tempo determinato con i vincitori e gli idonei delle proprie graduatorie vigenti per concorsi pubblici a tempo indeterminato. La norma è immediatamente operativa ed efficace per le graduatorie già in essere, anche in mancanza di una espressa previsione in tal senso nel bando di concorso. L'assunzione a tempo determinato di un soggetto collocato in una graduatoria per assunzioni a tempo indeterminato non pregiudica la possibilità che lo stesso, in presenza dei presupposti e delle condizioni previsti dalla legge, sia, poi, assunto con rapporto di lavoro a tempo indeterminato senza ulteriori adempimenti.
  L'articolo 4, comma 9, del citato decreto-legge n. 101 del 2013 prevede, poi, la cosiddetta «proroga finalizzata» che consente alle amministrazioni pubbliche di prorogare i contratti di lavoro a tempo determinato del personale il quale, nel rispetto delle condizioni stabilite dalla normativa di riferimento, possa essere destinatario di procedure di reclutamento a tempo indeterminato. Quindi, nel caso in esame, in cui la procedura concorsuale a tempo indeterminato è già stata espletata, l'amministrazione può legittimamente prorogare i contratti di lavoro a tempo determinato dei vincitori di concorso a tempo indeterminato, assunti con contratto a termine nelle more dell'assunzione a tempo indeterminato; ciò in considerazione della circostanza che gli stessi soggetti hanno già superato una procedura concorsuale.
  Alla luce di quanto precede, i provvedimenti adottati dal comune di Pomezia appaiono coerenti con il disposto normativo e con l'esigenza di tutelare i vincitori di concorso, nel rispetto della disciplina delle assunzioni. Non appare necessario, in presenza di un quadro nominativo chiaro, procedere alla costituzione di un tavolo di confronto.
  Infine, con riferimento ad un regime di salvaguardia per tutti gli atti adottati dagli enti locali precedentemente all'entrata in vigore del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, l'articolo 4, comma 3, del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16, ha previsto un percorso per recuperare gradualmente le somme indebitamente attribuite in sede di contrattazione integrativa, stabilendo, in particolare, che regioni ed enti locali i quali, in violazione dei vincoli finanziari previsti, abbiano erogato somme non dovute, recuperino integralmente le stesse, per un numero massimo di annualità corrispondente a quelle in cui si è verificato il superamento di tali vincoli.
Il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazioneMaria Anna Madia.


   LAFORGIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per l'integrazione, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Milano ha predisposto in questi mesi un efficiente sistema di accoglienza per centinaia di profughi siriani, in stretta collaborazione con la prefettura;
   il 19 febbraio 2014 il comune di Milano ha dovuto far fronte all'arrivo di 74 cittadini siriani, fra cui venticinque bambini, provenienti da Catania, cui vanno aggiunte ventidue persone arrivate spontaneamente nel centro di accoglienza di via Fratelli Zoia e diciotto inviate dalla questura;
   in questi mesi il comune di Milano ha risposto autonomamente e senza alcun tipo di sostegno logistico e finanziario all'emergenza riguardante i flussi migratori di milleottocento cittadini siriani in attesa dell'audizione per la richiesta di asilo e alla definizione del loro status giuridico;
   le strutture di accoglienza del comune di Milano sono arrivate al livello di saturazione e quindi non sono più in grado di rispondere all'emergenza;
   l'ANCI ha richiesto nel settembre del 2013 la definizione di un sistema strutturato, adeguato e monitorabile, per l'accoglienza dei minori stranieri, categoria cui viene assicurato dai comuni un più elevato livello di protezione, oltre che una presa di posizione forte in sede comunitaria per una maggiore e più concreta condivisione di responsabilità fra gli Stati membri in merito alla gestione dei richiedenti asilo sulle coste italiane;
   il Ministro Delrio ha fornito ampie rassicurazioni, a partire dallo stanziamento delle risorse necessarie per l'intera copertura dei costi sostenuti per l'accoglienza e al rafforzamento dello Sprar che potrebbe essere ampliato fino a 16.000 posti, avviandosi verso la definizione di un sistema unico di accoglienza –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione di emergenza in cui si trovano numerosi comuni italiani;
   se si stia predisponendo un piano che garantisca la gestione dei flussi migratori;
   se si stia predisponendo l'annunciato sistema unico di accoglienza, garantendo risorse al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo e, quindi, al Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, così che i comuni abbiano la possibilità di rispondere tempestivamente ai flussi migratori. (4-03665)

  Risposta. — Dal mese di settembre del 2013, la città di Milano è interessata dall'arrivo di numerosi stranieri in fuga dalla Siria, privi di documenti attestanti la regolarità della loro posizione sul territorio italiano. Ai siriani si è aggiunto a decorrere dallo scorso mese di maggio un afflusso consistente di profughi eritrei.
  Si tratta, generalmente, di persone che sostano a Milano per pochi giorni, o anche per poche ore, per poi ripartire verso i paesi del Nord Europa alla ricerca di occasioni lavorative e di appositi programmi di sostegno.
  Le istituzioni statali e locali si sono fatte carico del problema fin dall'ottobre dello scorso anno, quando il flusso migratorio ha assunto dimensioni molto significative.
  Risale a quel periodo la convenzione – tuttora in corso di applicazione – sottoscritta tra la prefettura di Milano e il comune capoluogo, con oneri a carico del Ministero dell'interno, al fine di garantire l'assistenza e la prima accoglienza degli stranieri in questione, con l'ausilio di organizzazioni di volontariato e cooperative sociali.
  In particolare, l'episodio segnalato nell'interrogazione si è verificato il 19 febbraio 2104, quando un gruppo di cittadini stranieri, presumibilmente di nazionalità siriana, è arrivato presso la stazione centrale di Milano. Il comune ha immediatamente attivato una squadra, che ha provveduto alla registrazione degli stranieri: 74 persone in totale, di cui 20 uomini adulti singoli e 54 unità suddivise in 12 nuclei familiari con figli minori, che hanno dichiarato di provenire da Catania o Siracusa e di essere sbarcate sulle coste della Sicilia da pochissimi giorni.
  Solo 44 delle persone registrate hanno accettato l'accoglienza offerta dal comune; alcune hanno dichiarato di voler provvedere per proprio conto all'acquisto di biglietti ferroviari per proseguire il viaggio verso altri paesi del Nord Europa, principalmente la Svezia; mentre altre hanno ricevuto accoglienza presso conoscenti o reti informali. La maggior parte dei cittadini stranieri in argomento non ha presentato istanza di protezione internazionale.
  La situazione di Milano rispecchia le trasformazioni in corso nei flussi migratori diretti verso il nostro Paese; non si tratta più di migranti economici ma, per la maggior parte, di profughi in fuga da guerre e violenze, che spesso sono intenzionati a esercitare il proprio diritto d'asilo in altre parti d'Europa.
  Da tale contesto è emersa la necessità di interventi legislativi volti a riconsiderare il principio del primo ingresso su cui si basa il regolamento di Dublino e a introdurre gli istituti del mutuo riconoscimento delle decisioni di asilo e dell'esame congiunto delle relative domande. Si tratta di misure che sono state e continueranno ad essere poste all'attenzione degli organismi comunitari e degli Stati membri.
  Allo stesso tempo si è posta l'esigenza di riorganizzare il sistema dell'accoglienza, sia «mettendo mano» alla sua governance, sia rafforzando la rete dei centri governativi e il sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), quest'ultimo gestito dagli enti locali e finanziato dal Ministero dell'interno attraverso il bando nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo.
  La volontà del Governo di mutare la governance del settore ha trovato la sua espressione più chiara nel «Piano operativo nazionale per fronteggiare il flusso straordinario di cittadini extracomunitari», sul quale la Conferenza unificata ha sancito l'intesa nella seduta dello scorso 10 luglio.
  La portata innovativa di tale documento sta nel fatto che la gestione dei flussi migratori fuoriesce dalla logica emergenziale praticata per oltre un decennio, anche e soprattutto attraverso il ricorso a strumenti propri della protezione civile, per acquisire la connotazione di attività ordinaria, strutturale e programmabile. L'attuazione del piano si fonda sul metodo della concertazione tra lo Stato e il mondo delle autonomie territoriali, espressamente definito a sua volta come metodo ordinario.
  Il piano distingue l'accoglienza in tre fasi strutturate in maniera tale da consentire il tempestivo passaggio dall'una all'altra:
   la fase del soccorso e della prima assistenza, attuata in appositi centri governativi ubicati nelle regioni di sbarco o limitrofe, nei quali il periodo di permanenza sarà estremamente contenuto al fine di garantire il massimo turn over delle presenze;
   la fase della prima accoglienza e qualificazione, da attuare per periodi di tempo limitato in un'inedita tipologia di struttura governativa – l'hub – concepita come base logistica ampia di livello regionale o interregionale, dove avverrà – tra l'altro – la selezione tra gli aventi diritto all'asilo e quelli che non ne hanno titolo;
   la fase della seconda accoglienza e integrazione, realizzata attraverso lo SPRAR, che viene confermato come sistema unico di accoglienza delle persone richiedenti o titolari di protezione internazionale, esteso anche all'accoglienza di secondo livello di tutti i minori non accompagnati.

  Il motore della complessa macchina dell'accoglienza rimane il Ministero dell'interno che, per la ripartizione dei migranti sul territorio nazionale e l'organizzazione delle altre misure previste dal piano, si avvale del supporto e delle indicazioni del tavolo di coordinamento nazionale, a cui partecipano, oltreché le amministrazioni statali interessate, la conferenza delle regioni, l'UPI e l'ANCI. Analogamente il prefetto del comune capoluogo di regione attiva e presiede tavoli di coordinamento regionali, aperti alla partecipazione di regione, province e comuni, con il compito di realizzare a livello locale le strategie operative definite dal tavolo nazionale.
  Quanto al rafforzamento del sistema di accoglienza nelle sue varie declinazioni, si evidenzia che lo SPRAR è stato più volte ampliato di recente e già dallo scorso mese di luglio può offrire ospitalità a 20 mila persone su tutto il territorio nazionale.
  Un ulteriore incremento della sua capienza potrà essere realizzato nell'immediato in virtù dell'incremento del fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo, per un importo pari a 50.850.570 euro per l'anno 2014, disposto con il decreto-legge 22 agosto 2014, n. 119.
  Con lo stesso provvedimento è stato istituito, poi, un fondo ad hoc con una dotazione di 62.700.000 euro per l'anno 2014, per finanziare, più in generale, le esigenze straordinarie del Ministero dell'interno connesse all'eccezionale afflusso di stranieri.
  Sempre per l'anno corrente, il decreto-legge ha previsto, in favore di tredici comuni siciliani, la parziale esclusione dal patto di stabilità interno dei maggiori oneri sostenuti per fronteggiare la pressione migratoria.
  Da ultimo, si segnalano le disposizioni del citato decreto-legge volte ad accelerare l'esame delle istanze di protezione internazionale, in particolare quelle in base alle quali il numero delle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, insediate presso le prefetture, può essere aumentato fino a 20 sul territorio nazionale (attualmente esse possono essere al massimo 10), mentre quello delle relative sezioni può arrivare a 30 (attualmente il loro numero è di 10 al massimo).
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   MICCOLI. — al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'istituto nazionale di statistica (ISTAT), ente di ricerca pubblico con sede centrale in Roma, ha come scopo principale, la raccolta, la razionalizzazione, l'elaborazione e la produzione, la diffusione delle informazioni, agevolando le istituzioni nell'ottimizzazione delle risorse;
   nelle attività dell'Istat vi è una prevalenza di quelle scientifiche sulle amministrative e gestionali, con possibile variegato uso delle risorse, anche tramite telelavoro o, come previsto, per tutta la durata del rincarico, presso le sedi di altre amministrazioni pubbliche o simili;
   originariamente – vedasi Piano Regolatore Generale del Comune di Roma ’62 – il Sistema Direzionale Orientale SDO si basava sulla strategia di realizzare, nelle periferie a sud e oriente di Roma, da Pietralata a Cinecittà, una grande e decentrata area direzionale;
   il 9 settembre 2003: «In conformità con il protocollo di Kyoto del 10 dicembre 1997 a favore della riduzione delle emissioni di gas serra, e nell'ambito di una politica governativa volta alla riduzione dei fattori inquinanti, a tutela della salute pubblica e della qualità della vita, nonché allo scopo di decongestionare il centro storico con conseguente migliore vivibilità della Capitale», viene sottoscritto un Protocollo di Intesa tra varie amministrazioni (Il Ministero dell'Ambiente e tutela del Territorio, la Provincia di Roma, l'Università «La Sapienza», l'Agenzia nazionale per la protezione dell'Ambiente cosiddetta APAT, l'Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologia applicata del mare detta I.C.R.A.M.) e l'Istat per la rilocalizzazione delle sedi della pubblica amministrazione;
   con tale protocollo l'Istat, si è impegnato ad assicurare la massima tempestività nell'adozione degli atti necessari alla realizzazione della propria sede, avendo già il 27 marzo, con nota prot. 2017, sottoscritto «l'accettazione della superficie assegnata, nella misura di 60.000 mq». La priorità di scelta dell'area è stata quella di Pietralata (quartiere di ROMA originariamente parte dello SDO) in ragione della presenza della metropolitana linea B e della stazione ferroviaria Tiburtina, destinata a trasformarsi in nodo di mobilità di livello nazionale;
   in data 7 ottobre 2005, con nota prot. SP/232.06, il presidente dell'Istat, al fine di ridurre gli oneri di locazione sostenuti attraverso il reperimento di nuovi spazi da destinare ai propri uffici, chiedeva con urgenza, al comune di Roma, l'assegnazione dell'area citata;
   il 25 gennaio 2007, con atto notarile (rep. 52387 raccolta 15770 – notaio Maggiora Nicola), la superficie di 60.000 metri quadri, di cui all'intesa con il comune di Roma e destinata ad ospitare la sede dell'Istat, veniva assegnata, in proprietà;
   l'Istat, fino ad oggi, ha speso – 15.396.940,54: in parte per l'assegnazione dell'area, in parte per attività preliminari alla gara di appalto;
   per quanto attiene le prime fasi di realizzazione dell'opera l'ente ha avuto un comportamento contraddittorio e, nello specifico: in un primo momento ha affidato al Provveditorato alle opere pubbliche per il Lazio, l'Abruzzo e la Sardegna la gara per la sola progettazione; per la realizzazione dell'opera ottenuto un vantaggiosissimo mutuo con la Cassa depositi e prestiti; successivamente ha cambiato idea annullando la gara ed ha chiesto ed ottenuto di far indire una gara per la progettazione e realizzazione dell'opera tramite convenzione con l'Unità di missione per i 150 anni dell'Unità d'Italia; a pochi giorni dalla scadenza della gara ha annullato sia la gara che la convenzione che legava l'Istat alla struttura di missione; ha disdetto il mutuo perdendo così il vantaggioso finanziamento; infine ha deciso di annullare il programma Istat – Pietralata e, al contrario, ha continuato ad acquisire sedi in locazione (nuova sede in viale Oceano Pacifico, ampliamento della sede di via Tuscolana, acquisizione della sede ex Isae a Piazza Indipendenza, acquisizione di nuovi archivi, ricerca di una nuova sede per l'accorpamento di altre tre sedi esistenti);
   l'istituto dispone del seguente patrimonio immobiliare: sede centrale di via Balbo 16 (in comodato d'uso), sede di via Depretis 74 (di proprietà), sede di viale Liegi 13 (di proprietà), sede di piazza Indipendenza (in locazione), sede di Via Depretis 77 (in locazione), sede di via Torino (in locazione) sede di via Tuscolana (in locazione), sede di viale Oceano Pacifico (in locazione), locali con destinazione archivio (in locazione – in fase di nuova acquisizione);
   per le sedi descritte sostiene altissimi costi annui sia per gli elevati canoni di locazione sia per la gestione dell'ormai vetusto patrimonio immobiliare e a tali costi si aggiunge il disagio della dispersione sul territorio comunale che incide in termini di funzionalità, di impatto sul traffico, di inquinamento, di spostamenti, e altro;
   le sedi presentano, nella maggior parte dei casi, carenze tecniche e non risulta all'interrogante che siano state adeguate alle norme in materia di sicurezza, igiene, impianti e prevenzione incendi;
   i costi destinati alla gestione ed alla locazione delle sedi potrebbero essere più proficuamente indirizzati verso la realizzazione di una sede di circa 40.000 metri quadri nella quale accogliere tutto il personale delle sedi romane con eccezione del personale che lavora nella sede centrale per la quale l'Istat non sostiene alcun costo di locazione;
   gran parte dei costi di costruzione sarebbero coperti dalla vendita delle sedi di viale Liegi e via Depretis 74;
   da tale iniziativa, peraltro in passato fortemente voluta dall'Istat, deriverebbero rilevantissime economie di gestione per l'istituto che vedrebbe ottimizzati i propri flussi lavorativi e si agirebbe altresì verso la riduzione del traffico nella capitale nonché verso il decongestionamento del centro storico con riduzione dei fattori inquinanti;
   poiché è stato già approvato il piano particolareggiato ed essendo già pervenuti all'approvazione del progetto in conferenza dei servizi, dal punto di vista urbanistico ed edilizio non esistono ostacoli alla realizzazione del programma;
   l'Istat ha deciso di recedere dal mutuo in precedenza stipulato con la Cassa depositi e prestiti, come sopra ricordato, e per tale motivazione occorrerà reperire le risorse finanziarie in buona misura coperta dalla vendita degli immobili di proprietà;
   l'ente ha chiesto ed ottenuto dal comune di Roma un'area per la quale ha già sostenuto euro 15.396.940,54 di spesa. Le motivazioni della richiesta, che venne fatta per reiterate ragioni di urgenza, erano legate al gravoso costo sostenuto allora per le locazioni, alle irregolarità presenti nelle sedi ed a problemi di inefficienza della propria organizzazione sparsa sul territorio comunale;
   ad oggi è manifesta un'inerzia secondo l'interrogante incomprensibile nei confronti del programma di Pietralata. Pur essendo aumentata l'emorragia finanziaria dovuta alle locazioni, pur permanendo l'inefficienza organizzativa dovuta alla dispersione sul territorio, pur essendosi aggravato lo stato delle sedi e nonostante la disponibilità del terreno e della cubatura necessaria;
   tale inerzia, oltre a comportare i problemi di cui sopra, sta generando, sempre ad avviso dell'interrogante, danni all'erario per svariati milioni di euro l'anno, disagi organizzativi dovuti alla dispersione delle sedi nel territorio del comune, inaccettabili rischi per il personale costretto a lavorare, a quanto risulta all'interrogante in sedi inadeguate dal punto di vista della sicurezza e dell'adeguatezza alle norme;
   la realizzazione del programma di Pietralata, oltre ad apportare effetti benefici in termini di efficienza, razionalizzazione degli spazi, organizzazione dei flussi di lavoro e di delocalizzazione e decongestionamento del centro, consentirebbe all'Istat di realizzare rilevantissime economie –:
   quali siano le motivazioni che hanno indotto l'istituto ad abbandonare il programma Pietralata, dopo aver più volte invocato l'urgenza di una nuova sede;
   quali siano gli orientamenti e/o le azioni che il Ministro intenda perseguire in merito al terreno per il quale sono già stati spesi 15.396.940,54;
   quali siano stati i criteri di gestione del patrimonio immobiliare da parte dell'ente, visti gli attuali enormi costi di gestione dello stesso, nonché la situazione delle sedi con riferimento ai profili di igiene e sicurezza delle stesse, di adeguamento degli impianti e di prevenzione incendi ed ai rischi dei lavoratori che secondo l'interrogante appaiono inaccettabili;
   quali siano le azioni che il Ministro interrogato intenda intraprendere nel complessivo della vicenda. (4-04812)

  Risposta. — Rispondo all'interrogazione in esame, con la quale si chiedono chiarimenti sulle ragioni che hanno indotto l'istituto nazionale di statistica a rinunciare al progetto, risalente al 2000, per la realizzazione della nuova sede unica di Pietralata.
  Il progetto in questione prevedeva la collocazione di tale sede all'interno del sistema direzionale orientale (SDO); a tal fine l'Istat ha acquistato dal comune di Roma la proprietà di parte del comprensorio di Pietralata e ha acquisito le risorse finanziarie necessarie per la realizzazione dell'opera, attraverso un finanziamento della cassa depositi e prestiti. Non disponendo delle necessarie competenze tecniche, l'ente, sulla base di apposita convenzione, ha poi affidato al provveditorato interregionale alle opere pubbliche del Lazio, Abruzzo e Sardegna il compito di indire e gestire una gara internazionale per l'elaborazione del progetto.
  Tuttavia, a causa di numerose criticità emerse al momento dell'aggiudicazione provvisoria e del lungo e complesso contenzioso, che ha coinvolto l'istituto, il provveditorato interregionale, la Presidenza del Consiglio dei ministri ed il comune di Roma fino al marzo 2011, la gara per l'affidamento della progettazione definitiva è stata revocata.
  Infatti, considerato il mutamento, dovuto al lungo intervallo di tempo trascorso, di alcuni elementi fattuali ed oggettivi determinanti per la costruzione della nuova sede, l'Istat ha ritenuto opportuno rivalutare l'interesse sotteso alla realizzazione della stessa, anche attraverso uno studio aggiornato della sua fattibilità economica e finanziaria. Tale valutazione ha individuato la contrazione della dotazione finanziaria dell'ente, l'innalzamento dei tassi di interesse, la mancata partecipazione di molte amministrazioni originariamente firmatarie, i mutamenti del quadro urbanistico di riferimento, nonché la sensibile riduzione delle unità di personale in servizio, quali ragioni principali per la sospensione del progetto e la conseguente revoca della gara.
  Allo stesso tempo, nell'impossibilità di dare corso al progetto, l'ente ha dovuto recedere dal contratto di mutuo stipulato con la cassa depositi e prestiti; ciò al fine di non dover sostenere le penali contrattualmente previste in relazione al termine ultimo per l'utilizzazione delle somme già erogate.
  A seguito della decisione di sospendere la realizzazione del progetto, l'Istat si è comunque attivato per ricercare una diversa utilizzazione del terreno acquistato in proprietà valutando, altresì, l'ipotesi di riavviare il progetto con la partecipazione di finanziatori privati.
Il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazioneMaria Anna Madia.


   MICILLO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'aeromobile a pilotaggio remoto o APR, noto come drone, è un velivolo che viaggia in assenza del pilota umano a bordo. Il suo volo è controllato dal computer a bordo del velivolo, sotto il controllo remoto di un navigatore o pilota, sul terreno o in un altro veicolo;
   l'inclusione del termine aeromobile sottolinea che le operazioni devono rispettare le stesse regole e le procedure degli aerei con pilota ed equipaggio di volo a bordo;
   il loro utilizzo è ormai consolidato per usi militari e crescente anche per applicazioni civili, ad esempio in operazioni di prevenzione e intervento in emergenza incendi, per usi di sicurezza non militari, per sorveglianza di oleodotti, con finalità di telerilevamento e ricerca e, più in generale, in tutti i casi in cui tali sistemi possano consentire l'esecuzione di missioni spesso con costi minori rispetto ai velivoli tradizionali;
   sono noti anche attraverso altri acronimi, molti dei quali di derivazione anglosassone: oltre a RPA (Remotely piloted aircraft) possono essere indicati come UAV (Unmanned aerial vehicle), RPV (Remotely piloled vehicle), ROA (Remotely operated aircraft) o UVS (Unmanned vehicle system), e altro;
   gli APR sono stati accostati in maniera diretta al monitoraggio ambientale e delle aree colpite gravemente da terremoti e inondazioni. Un esempio sono gli APR americani Global Hawk che hanno sorvolato la Centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi, in Giappone, addentrandosi nella zona vietata (no go zone), col fine di monitorare i reattori dopo le esplosioni causate dal terremoto del TAZohoku del 2011, scattando anche foto con i sensori a infrarossi. L'alta radioattività rendeva infatti impossibile l'avvicinamento di esseri umani;
   gli APR possono essere utilizzati anche per monitorare nel tempo gli impianti di produzione di energia elettrica, o più in generale impianti industriali, utilizzando degli appositi sensori (termocamere, camere multispettrali e altro);
   Gli APR possono svolgere un ruolo importante nelle operazioni di ricerca e soccorso consentendo di effettuare delle ricognizioni in tempi rapidi, in particolare a seguito del verificarsi di situazioni di emergenza;
   notoria l'emergenza roghi, che attanaglia quella parte di territorio compresa tra il litorale domitio-flegreo, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, indicata col termine «Terra dei Fuochi», dove ogni giorno, più e il giorno, tonnellate di rifiuti industriali, urbani e speciali, sono abbandonati incontrollatamente ai margini delle strade o nelle campagne e poi dati alle fiamme. Uno smaltimento a basso costo per chi compie questi atti illeciti, che ha un costo altissimo in termini di salute per chi lo subisce;
   nella terra dei fuochi, da anni si consuma uno dei delitti ambientali più atroci: lo sversamento illegale, con roghi che rimettono in circolazione nell'aria i rifiuti: è la morte dello Stato, il trionfo dell'illegalità una condanna per gli abitanti, per l'economia, la terra, l'acqua e l'aria;
   detto inquinamento ha prodotto in alcuni punti anche la nascita di laghetti artificiali debitamente nascosti agli occhi umani, formatisi per effetto di percolato e liquami scaturiti dal processo di putrefazione dei rifiuti abbandonati o interrati;
   in data 14 ottobre 2013 un lancio di agenzia stampa Ansa informava che «Nell'operazione di sorveglianza e soccorso nel Mediterraneo verranno anche usati i droni, gli aerei senza pilota, oltre ad elicotteri con strumenti ottici ad infrarossi. Lo ha detto il ministro della Difesa, Mario Mauro, al termine del vertice di Palazzo Chigi dedicato all'emergenza immigrazione»;
   in data 3 ottobre 2013 il sito di informazione Julie News informa che: «A Caivano, in località Sant'Arcangelo, durante un servizio di controllo del territorio finalizzato alla prevenzione e repressione di reati in materia d'inquinamento ambientale, i carabinieri della locale tenenza insieme ai col leghi del nucleo operativo ecologico di Napoli, in un'area di circa 30.000 mq, adiacente l'impianto di depurazione delle acque reflue urbane di Acerra, durante lavori di manutenzione alla condotta fognaria, hanno rinvenuto, interrati a circa 40 cm di profondità rifiuti speciali pericolosi e non, in particolare costituiti da plastica, materiale edile di risulta, pneumatici usati, pulviscolo grigio verosimile scoria di alto forno, materiale in cemento amianto, ferro, asfalto, legno e altri rifiuti solidi non meglio identificabili, stimati in circa 36.000 tonnellate di rifiuti. Tutta l'area è stata sequestrata. L'area posta sotto sequestro dai carabinieri è di proprietà della regione Campania: i militari stimano che nel terreno siano stati interrati decine di migliaia di tonnellate di rifiuti speciali e non. «I lavori per la realizzazione delle condotte che collegano le fogne di Caivano all'impianto di depurazione delle acque reflue di Acerra (Napoli) risalgono a una decina di anni fa»;
   in data 16 ottobre 2013 il lancio dell'agenzia stampa Agi riferiva che: presso «il 32° stormo dell'Aeronautica militare, che ha sede ad Amendola, sono operativi i Predatori, gli aeromobili a pilotaggio remoto (Apr), meglio noti come droni, e i caccia AM-X, assetti entrambi da tempo impiegati in Afghanistan» e che per «le predisposizioni in atto da parte della forza armata a supporto della missione umanitaria «Mare Nostrum» l'Aeronautica militare fornirà capacità di ricognizione e sorveglianza aerea dei Predator. I Predator svolgeranno attività di sorveglianza aerea con il duplice fine di salvare vite umane in pericolo e identificare le navi-madri utilizzate dagli scafisti. Il Predator può volare fino ad 8.000 metri di quota per oltre 20 ore consecutive permettendo, grazie alla sinergia fornita da un team composto da piloti, operatori dei sensori di bordo, supervisori della missione e tecnici, e agli evoluti sensori di bordo, di realizzare riprese elettro-ottiche, all'infrarosso e radar. Le immagini, che possono essere disseminate ovunque necessario, vengono interpretate» ed utilizzate in tempo reale dalle sale operative di comando e controllo allo scopo di ottimizzare l'impiego delle risorse aeree e navali per l'assolvimento della missione. Inoltre, sono in fase di completamento le operazioni di predisposizione logistica per un eventuale impiego dell'Apr anche da altre basi, qualora ritenuto successivamente un requisito operativo necessario per estendere ulteriormente la già considerevole permanenza dell'assetto in area di operazioni;
   grazie alle capacità di uomini e mezzi ed alle caratteristiche di persistenza, i velivoli Predator, sono «l'occhio dall'alto» e costituiscono una capacità ormai considerata «irrinunciabile» nelle operazioni militari, con possibili future ricadute tecnologiche anche nei settori civili;
   le cronache quotidiane nei mesi di ottobre e novembre 2013 riferiscono di ripetuti ed ampi impieghi dei droni all'interno di piani civili;
   in data 23 ottobre 2013 il programma «Dentro la Notizia» su Rete 4 ha delineato un quadro drammatico della condizione creatasi sul piano della salute nella «Terra dei Fuochi»;
   con cadenza quotidiana i mass media informano della drammaticità della situazione nell'area suddetta;
   nell'ambito di tale progetto che l'impiego delle unità previste dallo stesso sarebbero quelle contemplate l'articolo 24, comma 74, del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102 e l'articolo 7-bis, comma 1, terzo periodo, del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125;
   è stata parzialmente approvata la mozione Di Maio (1-00150) martedì 5 novembre 2013, seduta n. 111), e si ricorda in speciale modo l'impegno a Porre in essere tutte le forme di controllo incisivo del territorio campano atte a far cessare il criminale e illecito sversamento di rifiuti tossici in zone agricole e ad alta densità abitativa»;
   l'utilizzo di droni finalizzati al monitoraggio, sorveglianza, alla prevenzione e al controllo in sicurezza del territorio porterebbe ad un risparmio economico di pattuglie e gazzelle delle forze dell'ordine impiegate o da impiegarsi nella prevenzione dei reati in loco, senza compromettere la salute degli agenti e militari che opererebbero nelle zone interessate da roghi e sversamenti, permettendo così un pronto intervento sui fatti delittuosi e l'individuazione dei piromani e dei conducenti di mezzi dediti al conferimento illegale di fusti e rifiuti;
   un coordinamento interministeriale che possa fare capo all'espletamento e funzionamento dei mezzi menzionati al fine del loro corretto utilizzo considerando che la protezione civile non avrebbe volontari o personale preposto per l'impiego degli stessi mezzi –:
   se si intenda mettere in utilizzo il parco droni nella disponibilità militare italiana e in particolare, quale sia l'orientamento del ministero interrogato in relazione all'impiego nell'ambito del contrasto preventivo e repressivo tale strumento di difesa per rendere più efficace la lotta agli sversamenti illeciti onde tutelare maggiormente la salute degli abitanti della «Terra dei Fuochi». (4-02539)

  Risposta. — Non si ravvisano elementi tecnici ostativi riguardo all'opportunità, segnalata dall'interrogante, di rendere disponibili gli aerei a pilotaggio remoto (APR) dell'Aeronautica militare per fornire concorso alle Forze di polizia nell'ambito delle operazioni di sicurezza e di controllo del territorio nel contrasto preventivo e repressivo dei crimini ambientali perpetrati nell'area della unione Campania, meglio nota come «Terra dei Fuochi».
  Pur nella considerazione che gli APR sono anzitutto destinati ad impieghi militari, le loro capacità duali di sorveglianza e di ricognizione potrebbero consentire di soddisfare l'esigenza, ferma la necessità di un preventivo coordinamento con l'aviazione civile in ossequio alle normative vigenti di riferimento e della copertura, con appositi stanziamenti, degli oneri aggiuntivi legati all'incremento delle ore di volo rispetto a quelle programmate per le attività addestrative e operative istituzionali della Forza armata.
  Si fa presente, altresì, che tale attività di sorveglianza e di monitoraggio già rientra, più in generale, nell'ambito di specifici protocolli d'intesa – ormai in fase di finalizzazione – che l'Arma dei carabinieri e la Polizia di Stato intendono sottoscrivere con l'Aeronautica militare.

Il Ministro della difesaRoberta Pinotti.


   NACCARATO, NARDUOLO e MIOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Saonara in provincia di Padova ha bandito un concorso pubblico per la copertura di un posto a tempo indeterminato di istruttore tecnico geometra (Cat. C pos. eco. C1) con deliberazione n.?29 del 7 marzo 2013;
   successivamente il consiglio comunale di Saonara ha stabilito, con deliberazione adottata nella seduta del 23 settembre 2013, trattata al punto 7 dell'ordine del giorno della medesima adunanza, di porre in essere una convenzione, tra i comuni di Saonara e Galzignano Terme, per l'utilizzo, da parte di quest'ultimo ente locale, della graduatoria formatasi a seguito del detto concorso pubblico;
   l'articolo 35, comma 3, lettera e) del Testo unico del pubblico impiego (decreto legislativo n.?165 del 2001, e successive modifiche) prescrive in materia di «composizione delle commissioni» per i pubblici concorsi e la formazione delle relative graduatorie, la nomina di membri di provata competenza nelle materie di concorso, scelti tra funzionari delle amministrazioni che «(...) non siano componenti dell'Organo di direzione politica dell'Amministrazione, che non ricoprano cariche politiche»;
   dalla lettura della deliberazione n. 29 del 7 marzo 2013, istitutiva della commissione in questione si deduce che all'epoca dell'espletamento delle procedure concorsuali un funzionario-membro della commissione esaminatrice del suddetto concorso nel comune di Saonara risultava essere anche assessore presso il comune di Galzignano Terme;
   di conseguenza la convenzione di cui alla deliberazione n. 51 del consiglio comunale di Saonara del 23 settembre 2013, secondo la quale l'amministrazione di Galzignano potrebbe attingere alla graduatoria di detto concorso, agli interroganti sembra aggirare il divieto di cui l'articolo 35, comma 3, lettera e) del Testo unico del pubblico impiego in quanto detta amministrazione attingerebbe ad una graduatoria formata da una commissione a cui non poteva partecipare un proprio assessore comunale;
   un consigliere comunale del comune di Saonara ha avvertito con atto formale l'amministrazione di detto comune della opportunità di ritirare la deliberazione n.?51 del Consiglio comunale del 23 settembre 2013 in quanto risulterebbero ancora pendenti i termini per l'impugnativa avanti al Tar Veneto, con evidente possibile danno in capo alla stessa amministrazione comunale di Saonara in caso di accoglimento del ricorso;
   due consiglieri comunali del comune di Galzignano hanno parallelamente fatto istanza per l'annullamento in autotutela della relativa delibera n. 28 del 25 settembre 2013 del consiglio comunale di Galzignano Terme per gli stessi motivi;
   ad oggi non risulta che né il comune di Saonara né il comune di Galzignano abbiano dato seguito all'annullamento in autotutela delle delibere indicate –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopraesposti;
   se il Governo intenda verificare se sussistano i presupposti per avviare iniziative ispettive ai sensi dell'articolo 60, comma 5, del decreto legislativo n.?165 del 2001, ed, eventualmente, se si intendano assumere iniziative normative volte ad evitare inequivocabilmente che le amministrazioni locali, attraverso convenzioni, possano aggirare le norme che regolano i concorsi pubblici. (4-02745)

  Risposta. — Rispondo all’ interrogazione in esame con la quale si chiedono chiarimenti in merito al bando di concorso per l'assunzione, a tempo indeterminato, di un istruttore tecnico geometra categoria C, posizione economica C1, presso il comune di Saonara (Padova), indetto con delibera comunale n. 29 del 7 marzo 2013.
  In proposito, sulla base dei riscontri compiuti dall'ispettorato della funzione pubblica e degli elementi forniti dalla prefettura di Padova posso riferire che il comune di Saonara, con la deliberazione della giunta comunale 7 marzo 2013, n. 29, ha nominato tra i componenti della commissione esaminatrice del citato concorso, in qualità di membro esperto, il dottor Stefano Miola, assessore presso il comune di Galzigano Terme e funzionario amministrativo categoria D3 assegnato ai servizi amministrativi e finanziari del comune di Saonara.
  Successivamente, con la determinazione n. 163 del 14 maggio 2013, è stata approvata la graduatoria dei candidati risultati idonei e, il 3 giugno 2013, è stata assunta la candidata prima in graduatoria.
  Dopo l'approvazione della graduatoria, il 16 settembre 2013, il comune di Galzignano Terme ha chiesto l'autorizzazione all'utilizzo della medesima graduatoria, mediante stipula di apposita convenzione con l'amministrazione comunale di Saonara; lo schema della convenzione approvato dal consiglio comunale di Galzignano Terme con la deliberazione 25 settembre 2013 n. 28, quindi in data successiva al completamento delle procedure concorsuali da parte del comune di Saonara, richiama nelle premesse quanto stabilito con le sentenze TAR Veneto n. 864 del 2011 e TAR Lazio n. 7221 del 2012 in materia di utilizzo di graduatorie in corso di validità di altre amministrazioni pubbliche. Tuttavia il comune di Galzignano Terme, pur avendo approvato lo schema di convenzione di cui sopra, non ha poi proceduto alla sottoscrizione della stessa, ritenendo opportuno chiedere sulla questione il parere della Corte dei conti ai sensi dell'articolo 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131; tale richiesta è stata dichiarata inammissibile dalla Sezione regionale di controllo per il Veneto nell'adunanza del 4 febbraio 2014. In particolare la Corte ha richiamato il citato comune ad una attenta analisi della circolare dei dipartimento della funzione pubblica n. 5 del 2013 in materia di reclutamento ordinario e speciale, «al fine di poter graduare quali sono gli adempimenti che, a legislazione vigente, disciplinano il soddisfacimento del fabbisogno di personale delle amministrazioni pubbliche e, conseguentemente, di verificare le possibilità di poter ricorrere al reclutamento di personale in luogo dell'espletamento delle varie procedure di mobilità previste mediante l'utilizzo della graduatoria di concorso ancora valida di altro ente». Il dottor Stefano Miola non ha partecipato né alla discussione né alla votazione della delibera consiliare di approvazione dello schema di convenzione.
  Dagli esiti della verifica compiuta, ai sensi del comma 6 dell'articolo 60 del decreto legislativo n. 165 del 2001 dall'ispettorato della funzione pubblica non appare quindi rinvenibile alcuna violazione.

Il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazioneMaria Anna Madia.


   NESCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   San Giovanni in Fiore è comune della provincia di Cosenza, posto al confine con la provincia di Crotone a 1050 metri sul livello del mare, il cui territorio si estende su una superficie di 279,5 km quadrati, in larga parte ricadenti nell'area del parco nazionale della Sila;
   il centro calabrese, secondo la protezione civile classificato in zona sismica 2, è raggiungibile – da Cosenza o da Crotone – mediante la statale 107, con tempi di percorrenza legati alle condizioni meteorologiche e comunque in media non inferiori ai 60 minuti, anche considerando le tante limitazioni di velocità poste dal gestore Anas in forza di insidie oggettive della strada, che in direzione Cosenza attraversa l'altopiano della Sila e quartieri urbani e, verso la costa jonica, interseca poderi agricoli, con possibilità di passaggio di animali;
   il clima, nella zona, è caratterizzato da piogge copiose, nevicate, nebbia a banchi, notevoli abbassamenti della temperatura ed escursioni termiche rilevanti, fattori che hanno incidenza comprovata nella tenuta di strada dei veicoli e nel mantenimento del manto stradale;
   dal maggio del 2000, secondo un articolo del giornalista Mario Morrone rinvenibile nel sito Internet del plurisettimanale «Il Crotonese», fu operativo a San Giovanni in Fiore un distaccamento di vigili del fuoco volontari, chiuso nel luglio del 2001, come risulta in altra sua cronaca, reperibile nel medesimo luogo;
   il giornalista Biagio Simonetta, in articolo pubblicato su Il Quotidiano della Calabria del 9 marzo 2007 a pagina 27, scrisse che risultava ancora attivo, secondo il sito Internet del dipartimento dei vigili del fuoco, il suddetto distaccamento;
   in un articolo pubblicato su Il nuovo Corriere della Sila del 5 aprile 2007 a pagina 10, l'autore Mario Morrone riporta la notizia dell'imminente riapertura, a San Giovanni in Fiore, del distaccamento dei vigili del fuoco, stavolta «permanente», «grazie al programma ”Soccorso Italia in 20 minuti”» e per intervento politico dell'allora sindaco Antonio Nicoletti e del presidente della provincia Mario Oliverio;
   il predetto distaccamento permanente non entrò poi, in funzione;
   il 12 novembre 2010 fu inaugurata la nuova sede del distaccamento stagionale dei vigili del fuoco di San Giovanni in Fiore, alla presenza dell'allora Sottosegretario all'interno, onorevole Nitto Palma, che – figura nel sito del Ministero dell'interno – ne parlò come di «un ulteriore forte segnale alla Calabria sulla presenza delle istituzioni statali sul territorio, una ”dovuta attenzione” alla provincia di Cosenza che è la seconda in Italia per estensione territoriale»;
   nel febbraio del 2012 il gruppo consiliare del Pd presentò al sindaco di San Giovanni in Fiore un'interrogazione per sapere «come mai la caserma dei Vigili del Fuoco, da circa un mese», era chiusa;
   nel marzo del 2012, su Il nuovo Corriere della Sila, apparve un articolo sulla chiusura del suddetto distaccamento stagionale, «durato all'incirca un anno»;
   nel sito ufficiale dell'attuale sindaco di San Giovanni in Fiore c’è una nota del 14 agosto 2013, con cui lo stesso e il vicesindaco annunciarono la presenza dei vigili del fuoco per il periodo estivo, considerandola funzionale a «spingere presso il Ministero e ottenere un presidio stabile»;
   allo stato attuale la sede fisica del distaccamento di San Giovanni in Fiore risulta chiusa, ma pare che il comune continui a sostenerne le spese di locazione, che sarebbero di 2.000 euro al mese;
   leggendo una scheda degli interventi operati negli anni 2009-2013 dalla sede di San Giovanni in Fiore – la quale riporta le distanze da Cosenza, Rossano, Crotone e Petilia Policastro, in cui si trovano altri presidi dei Vigili del Fuoco –, appare chiara la necessità di un distaccamento permanente nel suddetto comune, da garantire il servizio nell'area silana e nell'area viciniore delle province di Crotone e Cosenza, anche a stima delle obiettive conseguenze che la mancanza di un tempestivo intervento dei vigili del fuoco ha avuto in più circostanze, per esempio l'incidente stradale del 24 gennaio 2007 che cagionò la morte di un giovane padre di famiglia e quello, ancora più impressionante, del 24 dicembre 2011, che procurò la morte di cinque ragazzi, con difficoltà di intervento della polizia stradale per causa del maltempo invernale;
   stando alle linee di indirizzo per il riordino dei vigili del fuoco, trasmesse dal dipartimento nazionale con nota del febbraio 2014, il distaccamento di San Giovanni in Fiore (17.591 abitanti) è stato proposto come volontario ed era misto, mentre distaccamenti dalle caratteristiche simili ubicati in comuni molto meno popolati – come Posta (714 abitanti, in provincia di Rieti) e Ales (1.515 abitanti, in provincia di Oristano) – sono stati perfino potenziati –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto;
   se non ritenga, in considerazione della popolazione, della posizione geografica, delle riferite, obiettive difficoltà di spostamento, della zona sismica cui appartiene, dei tempi di percorrenza dai più distaccamenti e delle specificità del territorio riassunte in premessa, disporre per San Giovanni in Fiore un distaccamento permanente dei vigili del fuoco. (4-03837)

  Risposta. — Il dipartimento dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile ha in corso di attuazione un generale progetto di riordino delle strutture centrali e territoriali del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, predisposto a legislazione vigente e con riduzione di spesa per rispondere, in modo efficace ed efficiente, alle nuove esigenze del soccorso e alla domanda di sicurezza proveniente dal territorio.
  Il progetto, improntato all'ottimizzazione delle risorse disponibili, al decentramento delle funzioni e alla razionalizzazione del funzionamento delle strutture, ridisegna la mappatura delle sedi, riclassificandole in base ad indicatori riconducibili al rischio territoriale, alla popolazione, all'estensione territoriale, allo sviluppo industriale e commerciale.
  L'analisi, effettuata sulla base di dati oggettivi, ha consentito di bilanciare nel miglior modo possibile la distribuzione del personale nei vari comandi provinciali, garantendo le esigenze di sicurezza e tutela di tutti i territori.
  Il modello organizzativo prevede anche che taluni distaccamenti – caratterizzati da bassa operatività e comunque posti in prossimità di altri distaccamenti operativi che ne assicurano la completa copertura del territorio – possano essere «riclassificati».
  Per tali sedi non è stata prevista alcuna attribuzione di organico, ferma restando la possibilità di sviluppo nell'ambito delle risorse assegnate e dell'eventuale disponibilità di ulteriori risorse strumentali, logistiche e finanziarie reperite in ambito locale o attraverso gli enti territoriali, privilegiando la partecipazione della componente volontaria del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco.
  Nello specifico, il distaccamento di San Giovanni in Fiore, oggi ricadente nella predetta tipologia, è stato istituito come distaccamento volontario dipendente dal Comando provinciale dei Vigili del fuoco di Cosenza, con decreto del Ministro dell'interno del 17 gennaio 2000.
  Il comandante provinciale ha attivato tale distaccamento negli anni che vanno dal 2010 al 2013 – con funzionamento stagionale, nel periodo estivo –, utilizzando le risorse disponibili di personale volontario aggiuntivo assegnato appositamente, con una media di 73 interventi l'anno.
  Il piano di riordino ha confermato sostanzialmente quanto già in essere, posto che, anche per la stagione estiva 2014, alla sede di San Giovanni in Fiore è stato assegnato personale volontario aggiuntivo.
  Si soggiunge, infine, che nel progetto di riordino è stata riconosciuta ampia flessibilità organizzativa in ambito locale. I Comandanti provinciali, in quanto responsabili del servizio di soccorso pubblico, hanno pertanto la facoltà di adattare il modello dì dispositivo di soccorso e la distribuzione delle risorse alle specificità del territorio; possono inoltre attivare sedi distaccate in aggiunta a quelle di progetto (compatibilmente con le risorse assegnate) e, di concerto con i direttori regionali, possono istituire distretti sul territorio costituiti da più distaccamenti associati e organizzati, in modo da assicurare una maggiore flessibilità operativa.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Giovanni Dal Molin, è cittadino italiano nato il 25 aprile 1928 ai piedi delle Dolomiti, a Limana in provincia di Belluno, è diventato un cavallo di battaglia delle associazioni uruguaiane che orbitano nel mondo dell'emigrazione italiana nei paesi sudamericani;
   Giovanni dal Molin, oggi ottantacinquenne, vive in Uruguay in precarie condizioni economiche e di salute, ospite della congregazione degli Scalabriniani, una organizzazione religiosa che segue in tutto il mondo i migranti;
   Dal Molin riferisce di essere stato partigiano durante la seconda guerra mondiale, a soli 16 anni, e di aver lasciato l'Italia a 30 anni, nel 1958. Da lì in poi ha girato diversi Stati sudamericani, ha sempre lavorato e 10 anni fa è arrivato in Uruguay. Ora le sue condizioni di salute non sono buone, ma è comunque autosufficiente. Gode di un piccolo sussidio, circa 100 dollari al mese, ma è in evidente difficoltà;
   Dal Molin ha oggi un unico desiderio: tornare nella sua Belluno e trascorrere la vecchiaia (o morire, come lui stesso dice) nella sua terra natale. Per questo da ormai 2 anni bussa inascoltato al consolato italiano di Montevideo, commuovendo associazioni e persone del luogo;
   ha un passaporto italiano, valido, e molte associazioni uruguayane si sono attivate per hanno già raccolto i fondi per pagargli il biglietto aereo per l'Italia. Ma non ha famiglia, né moglie né figli, non ha una casa in Italia dove potrebbe risiedere;
   Dal Molin chiede da tempo al consolato, al comune di Belluno, agli enti del nostro Paese un aiuto che gli permetta di vivere decorosamente i suoi ultimi anni nella terra natia;
   in questi stessi anni, il Governo italiano sta spendendo milioni di euro al mese per permettere l'arrivo sulle nostre coste di migliaia di persone straniere che giungono in Italia senza alcun titolo né documento di autorizzazione all'ingresso, e altrettanti fondi vengono impiegati quotidianamente per mantenere centri di accoglienza, dotare gli arrivati di beni di prima necessità vitto. Alloggio trasporti, le stesse cose essenziali che sono invece negate ad un ex partigiano ottuagenario, nostro concittadino –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intendano intraprendere con la massima urgenza al fine di permettere il rimpatrio e la permanenza del signor Giovanni dal Molin nel suo paese natale. (4-05302)

  Risposta. — Il signor Giovanni Dal Molin il 1o agosto 2014 è giunto all'aeroporto di Venezia, proveniente da Montevideo, ove è stato accolto da rappresentanti del comune di Belluno che lo hanno accompagnato alla sua destinazione presso una casa di riposo del comune in parola.
  La vicenda felicemente conclusasi è stata seguita dal Ministero degli affari esteri e dal consolato a Montevideo sin dal 2005, quando il signor Dal Molin si presentò per la prima volta, sprovvisto di documenti di identità, presso quegli uffici per richiedere il passaporto. In quella occasione, dato che questi non risultava ancora residente nella circoscrizione consolare, si è provveduto a rilasciargli un passaporto provvisorio; completata la procedura di sua iscrizione all'AIRE, l'11 settembre 2009 gli è stato rilasciato un passaporto regolare con validità decennale.
  Dato il riconosciuto stato di indigenza, dal 2007 il signor Dal Molin è stato accuratamente assistito ai sensi della normativa in vigore. Oltre all'assistenza sanitaria, sono stati erogati in suo favore ticket alimentari e sussidi; questi ultimi sono stati utilizzati anche per corrispondere le rette della casa di riposo presso la quale, grazie all'interessamento del consolato a Montevideo, il signor Dal Molin è stato ospitato fino al momento della sua partenza definitiva per l'Italia.
  In considerazione del forte desiderio di rimpatriare successivamente manifestato dal signor Dal Molin, il consolato in Montevideo si è adoperato per contattarne i familiari in Italia (l'anziana sorella e il figlio di questa), i quali hanno dichiarato di non essere in grado di fornire aiuto di alcun tipo e di non avere la possibilità di accoglierlo presso di loro.
  Il consolato si è quindi messo in contatto con il comune di Limana, in provincia di Belluno (comune di nascita del signor Dal Molin) e la regione Veneto, al fine di individuare in favore del detto connazionale una sistemazione nei luoghi di origine, dove questi ha costantemente espresso il desiderio di fare rientro. Ulteriori analoghi tentativi con i detti enti, con il comune di Belluno (alla cui AIRE, l'anagrafe italiana dei residenti all'estero, il connazionale risulta iscritto) e con la prefettura di Belluno sono stati effettuati anche direttamente dal Ministero degli affari esteri. L'assenza di alloggio in Italia impediva infatti al consolato di avviare la procedura di rimpatrio consolare.
  A conclusione dell'intensa attività di ricerca e sensibilizzazione, che ha visto impegnato in prima fila il Ministero degli affari esteri e le sue rappresentanze a Montevideo, la giunta del comune di Belluno ha emanato la Delibera n. 117 dell'8 luglio 2014 con la quale è stata offerta la disponibilità per l'accoglienza del connazionale in una casa di riposo di detto comune.
  La partenza del connazionale da Montevideo è avvenuta il 31 luglio 2014.
  Questa è stata facilitata dall'ambasciatore Palladino, il quale ha tenuto ad accompagnare personalmente l'anziano connazionale per agevolarlo anche nelle procedure di uscita.
  Il signor Dal Molin ha ricevuto adeguato trattamento medico prima di imbarcarsi ed è stato accompagnato nel viaggio dal presidente dell'associazione di assistenza AIUDA, come indicato dal medico curarne che aveva chiesto che il predetto effettuasse il viaggio insieme ad una persona a tale scopo destinata. Il nostro consolato ha provveduto alle spese relative al rimpatrio ed alla fornitura dei medicinali necessari per il trattamento.
  Solo a seguito della fissazione della residenza in Italia da parte del signor Dal Molin sarà possibile effettuare la presa in carico dello stesso da parte dei servizi sociali del competente ente locale che adotterà le principali misure economiche di sostegno al reddito previste in Italia per gli anziani ai quali viene riconosciuta la condizione di invalidità, così come indicato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, alla luce delle condizioni del signor Dal Molin così come illustrate dall'interrogante.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriMario Giro.


   POLVERINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'idoneità sanitaria dei vigili del fuoco dapprima è stata regolamentata dall'articolo 31 del CCNL 1994/97 e successivamente dall'articolo 33 del contratto collettivo 1998/2001 ed allora il legislatore sosteneva che coloro che appartenevano all'organico dei vigili del fuoco con mansioni operative, qualora fossero stati oggetto di riscontrati particolari problemi di natura sanitaria, secondo i parametri di cui erano informati le Commissione mediche ospedaliere (CMO), avrebbero dovuto transitare nel settore amministrativo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. In buona sostanza, vi era una bipartita distinzione di natura sanitaria: o idonei o inidonei al servizio attivo, con possibilità in quest'ultimo caso di transitare al supporto tecnico-amministrativo spogliandosi della divisa operativa. La risoluzione del rapporto lavorativo per inidoneità veniva in ogni caso subordinata alla sola ipotesi di assoluta impossibilità ad utilmente ricollocare il lavoratore in qualsivoglia struttura organica dell'amministrazione, al fine di recuperarlo al servizio attivo, anche se in mansioni diverse ma affini a quelle già svolte, appartenenti allo stesso profilo;
   con successive tornate contrattuali, l'articolo 33 del CCNL del 1998/2001 fu modificato. L'innovazione certamente più significativa avvenne ad opera dell'articolo 18 del contratto del 2002/2005. Fu così introdotto un giudizio tripartito. Ai vigili del fuoco, sottoposti a visite d'idoneità era consentito essere considerati idonei, inidonei o parzialmente idonei a differenza del passato in cui l'unico giudizio possibile era quello bipartito e cioè idonei al servizio attivo di soccorso e/o inidonei in modo assoluto;
   questa novità fu comunicata alle CMO competenti da una circolare con cui invitava le commissioni a far propria l'innovazione. Per inciso, la disciplina è ora riprodotta nell'articolo 134 del decreto legislativo n. 217 del 2005 recante l'ordinamento del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Lo stesso articolo 18, al comma 6, prevedeva inoltre che, coloro che furono costretti al transito nel settore amministrativo prima della predetta modifica legislativa, potessero essere rivalutati su propria richiesta per essere ricollocati nel settore operativo allo scopo di emendare una disuguaglianza tra chi subì gli effetti del regime precedente e chi s'avvantaggiò del diritto sopravvenuto. Questa norma, comma 6 dell'articolo 33 del CCNL, come modificato dall'articolo 18, non è mai stata applicata nonostante le richieste di alcuni dipendenti;
   quanto sopra ha portato, ad oggi, al crearsi di notevoli disparità tra il personale in servizio, in quanto vi sono vigili del fuoco che per le differenti contingenze normative descritte, si trovano ad essere «amministrativi» ed altri, al contrario, che sono rimasti nel settore operativo grazie all'introduzione della parziale idoneità (o inidoneità pur trovandosi nelle medesime condizioni dei ”transitati ai ruoli del Supporto amministrativo-tecnico informatico nel periodo del cosiddetto giudizio bipartito. Si tenga, però presente che il legislatore, a prescindere dalla diversa formulazione della normativa contrattuale di riferimento, ha comunque sempre inteso subordinare il transito dei dipendenti del Ministero dell'interno con qualifica di vigile del fuoco ai ruoli Sati, quale ultima ratio a disposizione, nell'ipotesi di effettiva gravità e compromissione psico-fisica definitiva ed irreversibile del dipendente, derivante dalla patologia da cui lo stesso risulta interessato –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, attraverso l'individuazione di linee guida univoche a livello nazionale per la valutazione del personale richiedente, per consentire che il personale, ex vigili del fuoco, che ad oggi vi abbia ancora interesse e che nel corso dell'arco temporale sopra descritto, a cavallo tra il succedersi delle disposizioni normative di cui sopra, a causa di proprie patologie psico-fisiche, sia transitato nei ruoli Sati, possa essere sottoposto nuovamente a visita medico-legale mediante il servizio sanitario interno allo stesso del Corpo dei vigili del fuoco, il quale, oltre ad essere meno oneroso per l'amministrazione rispetto alle CMO, potrà essere sicuramente più attento a queste ultime rispetto alle peculiarità del Corpo, ritenendo interesse dell'amministrazione, viste le esigue piante organiche operative, recuperare all'operatività chi ne è stato escluso in ragione di una vecchia normativa e/o di valutazioni che non hanno tenuto in debito conto la necessità di esperire tutti gli utili tentativi per recuperare il proprio personale al servizio attivo. (4-04117)

  Risposta. — L'istituto dell'inidoneità parziale al servizio d'istituto, introdotto nell'ordinamento a decorrere dal 26 maggio 2004 (articolo 33 del CCNL comparto aziende e amministrazioni autonome dello Stato del 24 maggio 2000 e successive modificazioni e integrazioni; articolo 134 del decreto legislativo n. 217 del 2005), consente al personale operativo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, riconosciuto non più incondizionatamente idoneo alle funzioni proprie della qualifica di appartenenza, di permanere nel ruolo di appartenenza, svolgendo attività istituzionali correlate al soccorso compatibili con lo stato di salute, con esclusione del soccorso tecnico urgente.
  Una differente disciplina vige per il personale operativo riconosciuto non idoneo allo svolgimento delle funzioni proprie della qualifica di appartenenza, ma idoneo al proficuo servizio Questi, ai sensi della normativa di settore, non può in nessun caso permanere nel ruolo di appartenenza, ma può transitare a determinate condizioni nei ruoli tecnici, amministrativi o informatici del Corpo nazionale.
  Si sottolinea che dalla data del 26 maggio 2004 citata, le commissioni medico-ospedaliere hanno riconosciuto l'inidoneità parziale a circa 1.000 dipendenti in servizio. Alla data odierna, i dipendenti parzialmente inidonei risultano essere 730.
  Di conseguenza, i transiti nei ruoli tecnici, amministrativi o informatici sono diminuiti di oltre il 70 per cento su base annua rispetto al periodo anteriore all'introduzione dell'istituto dell'inidoneità parziale, per un totale di 116 dipendenti transitati dai ruoli operativi a quelli amministrativi dal 2004 ad oggi.
  Si soggiunge, per completezza, che il personale operativo giudicato inidoneo al servizio d'istituto e idoneo al transito ad altri ruoli può rinunciare al transito ed essere dispensato dal servizio, con il diritto alla pensione di anzianità, se sussiste il presupposto di 15 anni di anzianità contributiva.
  Nel 2012, per esempio, su un totale di 59 dispense, solo in 19 casi il giudizio era di inidoneità in forma assoluta e permanente sia al ruolo tecnico-operativo che al transito in altro ruolo e qualifica del Corpo; nei restanti 40 casi vi è stata la rinuncia al transito ad altro ruolo con diritto a pensione di anzianità.
  Venendo alla specifica richiesta contenuta nell'atto di sindacato ispettivo, cioè estendere l'applicazione della normativa sulla riammissione nel ruolo di provenienza anche al personale operativo giudicato parzialmente inidoneo che sia transitato nei ruoli tecnici, amministrativi o informatici prima del 26 maggio 2004, data di introduzione dell'istituto dell'inidoneità parziale, si esprime l'avviso che, a tale fine, sia necessario un intervento legislativo
ad hoc, volto a modificare l'articolo 134, comma 5, del decreto legislativo n. 217 del 2005.
  Ai sensi di tale disposizione, la riammissione è prevista qualora la competente commissione medica accerti il recupero della piena idoneità psicofisica allo svolgimento delle funzioni proprie della qualifica di provenienza e la domanda dell'interessato sia presentata entro il termine di cinque anni dalla data del transito.
  Si fa presente, al riguardo, che finora non sono stati mai accolti i ricorsi giurisdizionali presentati dal personale transitato nei ruoli tecnici, amministrativi o informatici, al fine di ottenere la ricollocazione nel ruolo operativo con il giudizio di parziale idoneità.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   RAMPI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in diversi comuni italiani si è presentato un solo candidato sindaco ed una sola lista di candidati consiglieri comunali, ed in alcuni addirittura nessuno –:
   se si sia a conoscenza di quello che all'interrogante appare un preoccupante fenomeno e quale ne sia l'entità se esistano e quali siano i raffronti statistici negli anni e se si possa dedurre una linea di tendenza;
   quali siano gli orientamenti in merito e se i diversi carichi negativi appostati agli amministratori locali (costi della politica a loro carico, discredito sociale, rischi personali sul piano amministrativo e penale spesso indipendentemente dalle loro condotte, incertezze delle risorse e degli strumenti per amministrare) si ritenga possano aver inciso su questo fenomeno;
   quali contromisure, per quanto di competenza, si intendano intraprendere.
(4-04899)

  Risposta. — In merito alla questione rappresentata dall'interrogante si fa presente che nel turno di elezioni 2014, i comuni in cui è stata presentata una sola lista sono risultati 496, mentre in 8 comuni le consultazioni non si sono tenute per effetto della mancata presentazione delle liste.
  In occasione delle elezioni amministrative dell'anno 2009, i comuni con una sola lista sono risultati 326, mentre quelli in cui non si sono presentate liste sono stati due.
  Va comunque ricordato che a norma dell'articolo 71 del testo unico sugli enti locali «ove sia stata ammessa e votata una sola lista, sono eletti tutti i candidati compresi nella lista, ed il candidato a sindaco collegato, purché essa abbia riportato un numero di voti validi non inferiore al 50 per cento dei votanti ed il numero dei votanti non sia stato inferiore al 50 per cento degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune».
  Nel caso in cui non siano raggiunte tali percentuali, «l'elezione è nulla» e ne consegue il commissariamento dell'ente.
  Si ritiene che l'interpretazione del fenomeno segnalato nell'interrogazione in esame, meritevole di approfondimento ed attenzione, non possa prescindere da un'accurata indagine socio-politica e di contesto, al momento ancora non disponibile.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da articoli de La Repubblica e il Centro, da agenzia stampa e social media, da una comunicazione ufficiale del Parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise che, il 14 marzo 2014, un'orsa dall'età stimata di 5-6 anni è morta nel centro di sorveglianza del sopraccitato parco, a Pescasseroli. Qualche ora prima era stata trovata in gravi condizioni dai guardiaparco del servizio di sorveglianza nei dintorni di Sperone, frazione alle porte di Gioia dei Marsi;
   secondo il rapporto delle guardie, l'animale tremava convulsamente ed aveva problemi di coordinamento motorio. Sedata immediatamente dai veterinari, è stata portata nel centro di sorveglianza dove però è morta nonostante le cure, alcune ore dopo;
   il personale di guardia al Parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise ha perlustrato la zona di Sperone ed eseguito prelievi nell'ambiente circostante per accertare che non vi fossero esche avvelenate. Alcuni prelievi sul plantigrado sono stati eseguiti ed inviati all'istituto zooprofilattico di Teramo ed alla facoltà di veterinaria e sono in attesa di esito;
   preoccupazione è stata espressa dalle maggiori associazioni ambientaliste che si occupano della tutela dell'orso, visto che la popolazione degli orsi marsicani è già fortemente ridotta e soprattutto questo è il quarto esemplare morto in meno di un anno: ad aprile, un giovane maschio era morto investito sull'autostrada A24, nei pressi di Tornimparte dopo aver superato le barriere di protezione. A luglio, un altro esemplare maschio era stato trovato senza vita, con segni di proiettili nel corpo, nella zona delle Mainarde, sul versante molisano del parco. Caso oggetto di due atti di sindacato ispettivo presentati dall'interrogante, interrogazioni n. 4-01346 e 4-02139, quest'ultima senza risposta. Infine, ad ottobre, un altro esemplare femmina era stata travolta e uccisa da un'auto sulla strada tra Anversa degli Abruzzi e Villalago –:
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sia a conoscenza della grave vicenda;
   se e quali iniziative siano state messe in campo, di concerto con le autorità del Parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise, la regioni Abruzzo, Lazio e Molise, il Corpo forestale dello Stato e il Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, a tutela della preziosa comunità di orsi, già fortemente minacciata di estinzione e, da ultimo, se non si intenda verificare l'eventuale diffusione di patologie che mettono a rischio gli orsi. (4-04046)

  Risposta. — Il 14 marzo 2014 un esemplare di orso bruno marsicano femmina, dall'età stimata di 5-6 anni, rinvenuto dai guardiaparco in gravi condizioni nei dintorni di Sperone, frazione alle porte del comune di Gioia dei Marsi, in provincia de L'Aquila, veniva ricoverato presso il centro di sorveglianza del Parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise, ove moriva poco tempo dopo.
  Il referto veterinario emesso dal centro nazionale di referenza di medicina forense veterinaria in seno all'istituto zooprofilattico sperimentale di Lazio e Toscana, escludeva da subito la presenza di infezioni virali in atto, l'assenza di traumi contusivi o riferibili ad arma da fuoco, nonché l'assenza di sostanze tossiche che avessero provocato la morte dell'orsa.
  Gli esami istopatologici e microbiologici, tuttavia, hanno evidenziato la diffusione generalizzata di microbatteri tubercolari e la presenza di lesioni istologiche chiaramente riferibili a tubercolosi a carico dell'intestino e dei principali linfonodi tributari.
  I microbatteri sono stati identificati con la tecnica della PCR da brodo di coltura, come appartenenti al gruppo
Mycobacterium Tuberculosis-Complex, specie Mycobacterium bovis, agente eziologico della tubercolosi bovina. Le principali lesioni sono state rilevate a carico dell'intestino – risultato l'organo maggiormente interessato sia da lesioni macroscopiche che microscopiche – fatto che testimonierebbe l'origine alimentare dell'infezione, probabilmente dovuta alla ingestione di resti animali infetti.
  A tal proposito, l'ente parco ha riferito che nel 2012, nei medesimi pascoli del comune di Gioia dei Marsi, si era verificato un focolaio di tubercolosi bovina, il quale aveva portato alla macellazione di circa 40 animali risultati positivi ai controlli, anche se non è possibile dire, allo stato dei fatti, se l'orsa si sia contagiata in tale occasione, anche in relazione ad una elevata persistenza del microbatterio nell'ambiente, oppure più recentemente, il che farebbe supporre – benché si tratti di ipotesi non collidente con i risultati dei controlli di cui appresso si dirà – la presenza di bovini o altri animali con malattia in atto.
  Il caso in esame evidenzia il possibile ruolo svolto dalle malattie infettive delle specie domestiche (con ciò intendendosi: bovini, ovicaprini, suini domestici, cani da lavoro eccetera) nell'aumentare il rischio di mortalità a carico delle popolazione relitta di orso bruno marsicano, già caratterizzata da un numero esiguo di esemplari e da una scarsa variabilità genetica.
  Il suo stato di conservazione, infatti, è molto preoccupante. Come anche evidenziato dal 3o Rapporto direttiva
habitat che l'Italia ha inviato alla Commissione europea nel dicembre 2013 (http://www.sinanet.isprambiente.it/Reporting_Dir_Habitat/download-dati/), la consistenza è inferiore ai 50 individui, la popolazione è minacciata da diversi fattori tra i quali – oltre ai rischi sanitari – particolare importanza rivestono il bracconaggio e gli effetti demografici dovuti alle piccole dimensioni del nucleo. Tutte circostanze che fanno ritenere la situazione complessiva critica e i rischi di estinzione concreti.
  Premesso quanto sopra, e per quanto attiene più specificamente a quanto chiesto di conoscere dall'interrogante, valga riferire che questo Dicastero, per tramite della competente direzione generale per la protezione della natura e del mare e con il supporto tecnico-scientifico dell'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) – il quale, com’è noto, ha «incorporato» il soppresso Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS) – segue costantemente il tema in raccordo con gli enti territorialmente competenti, tutti insieme impegnati nella attuazione di specifici piani di azione per la conservazione delle specie di fauna selvatica.
  In relazione, in particolare, alla situazione critica in cui versa l'orso bruno marsicano, si segnala la recente sottoscrizione di un protocollo di intesa, nell'ambito del piano d'azione per la tutela dell'orso bruno marsicano (PATOM), firmato il 27 marzo 2014 da questo Ministero con le regioni Abruzzo, Lazio e Molise e con il competente ente parco per l'attuazione di una serie articolata di azioni, tra quelle contemplate nel Piano d'azione di riferimento, che risultano di assoluta rilevanza per la conservazione della popolazione di orso bruno marsicano e per le quali si è ritenuto prioritaria un'attuazione urgente
(http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/biodiversità/protocollo_intesa_tutela_orso_bruno_marsicano.pdf).Nello Specifico, le azioni descritte nel protocollo, finalizzate a rendere più mirato ed efficace l'impegno per la consrvazione di questa specie, consistono nell'assunzione di impegni precisi e puntuali volti a:
    individuare e regolare le aree contigue del parco nazionale;
    accelerare i procedimenti regionali di adozione del piano del parco;
    promuovere misure per ridurre la mortalità della fauna causata da incidenti stradali;
    incentivare le azioni di monitoraggio sanitario e di prevenzione per contrastare i problemi sanitari;
    limitare gli impatti della caccia e, in particolare, regolamentare l'attività venatoria al cinghiale.

  Con particolare riferimento al tema del monitoraggio sanitario e della prevenzione delle malattie – con riferimento alla fauna selvatica e alle specie domestiche – nonché sulla gestione delle attività zootecniche e dei pascoli, è attivo un tavolo di lavoro con il Ministero della salute. Esso si è riunito, per esempio, il 22 maggio 2014 per dare risposte concrete al caso dell'orsa morta di tubercolosi sui pascoli di Gioia dei Marsi.
  In tale occasione, peraltro, la direzione per le politiche della sanità della regione Lazio ha riferito che i controlli sanitari sul bestiame domestico vengono svolti con regolarità. Nel 2013 nella ex ASL di Avezzano-Sulmona, nel cui territorio di competenza insiste la porzione abruzzese del Parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise che qui maggiormente interessa, sono stati operati controlli su 641 aziende relativi alle profilassi di stato e non è stata riscontrata nessuna positività per la tubercolosi. Per la brucellosi bovina sono state controllate tutte le 458 aziende aderenti al programma anche in questo caso senza riscontrare alcuna positività. Per la brucellosi ovi-caprina a seguito dei controlli che hanno interessato 758 aziende, è stata riscontrata una sola positività presso una struttura di allevamento.
  Per quel che riguarda i controlli sanitari sulla fauna selvatica, questi vengono svolti secondo l'assetto normativo (ad esempio, per la trichinella nei cinghiali) mentre per la restante fauna gli esemplari rinvenuti morti vengono conferiti al competente istitato zooprofdattico sperimentale che provvede all'espletamento delle necroscopie e di tutti gli accertamenti diagnostici utili a individuare cause di morte di natura infettiva.
  Si segnala, in ultimo, che l'attività di sorveglianza per contrastare atti di caccia illegale e altre forme di disturbo o uccisione di fauna selvatica negli ambiti protetti e non, viene garantita dal Corpo forestale dello Stato, dagli agenti di vigilanza dei parchi, dalla Polizia provinciale e da altre figure eventualmente preposte per tali attività dalla normativa vigente.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RIZZO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   si fa riferimento alle gravi e tragiche vicende relative agli sbarchi sulle coste siciliane di numerosi uomini, donne e bambini, migranti disperati in cerca di fortuna e di una vita migliore, in relazione alle quali si conferma la migliore tradizione siciliana improntata alla solidarietà ed accoglienza, sia pure in concomitanza con la disastrosa situazione economica in cui tutte le IPAB siciliane si trovano ormai da anni;
   l'assessore alla famiglia della regione siciliana ha predisposto e avviato già nel mese di luglio 2013 la procedura di accreditamento della struttura di Caltagirone (Catania) presso i Ministri competenti al fine di rendere la stessa fruibile ai migranti per la loro accoglienza ed il soddisfacimento dei bisogni primari;
   tenuto conto che la procedura di accreditamento risulta essere andata a buon fine, si è verificato, purtroppo, che a seguito dell'ennesima tragedia in mare avvenuta a Lampedusa, nonostante la pronta ed immediata disponibilità da parte del commissario straordinario Barchitta, della casa di riposo di Santa Maria di Gesù di Caltagirone (Catania), delle associazioni di volontariato e di tutto il personale della casa di riposo stessa all'accoglienza presso la suddetta struttura di 33 minori non accompagnati provenienti da Lampedusa, l'assessore regionale, nella persona della dottoressa Ester Bonafede, abbia deciso di considerare la predetta struttura assolutamente inidonea all'ospitalità degli sfortunati bambini –:
   quali iniziative abbia assunto il Ministro in merito ai minori migranti che originariamente si prevedeva fossero accolti presso la casa di riposo Santa Maria di Gesù di Caltagirone (Catania). (4-02370)

  Risposta. — Si assicura che la vicenda segnalata nell'interrogazione in esame è stata affrontata salvaguardando il superiore interesse dei minori stranieri, la cui tutela costituisce una delle priorità dell'attività dell'Amministrazione dell'interno.
  Nel pomeriggio del 10 ottobre 2013, l'assessorato della famiglia, delle politiche sociali e del lavoro della regione Sicilia ha comunicato ai responsabili della casa di riposo Santa Maria di Gesù, con sede a Caltagirone, che nella mattina del giorno successivo alcuni minori stranieri non accompagnati, provenienti dall'isola di Lampedusa, sarebbero stati trasferiti presso quella struttura.
  Atteso il breve preavviso, l'ente morale del calatino – interessato dalle difficoltà economiche in cui versano attualmente anche altri istituti pubblici di assistenza e beneficienza (Ipab) nella stessa regione – non è riuscito a ultimare le attività necessarie a un'adeguata sistemazione dei locali che avrebbero dovuto ospitare i minori.
  In considerazione di ciò, nella mattina dell'11 ottobre 2013, l'assessorato ha constatato l'inidoneità della struttura ad accogliere i minori, disponendo altresì il loro collocamento presso un altro centro di accoglienza, «Alì Mantelli», situato fuori dal centro abitato di Caltagirone e gestito dalla locale Caritas diocesana.
  Successivamente, tra il 14 ottobre e il 3 novembre 2013, i suddetti minori si sono allontanati autonomamente da tale struttura, a eccezione di cinque di loro, che sono stati successivamente trasferiti presso l'Opera nazionale Città dei Ragazzi di Roma.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   TACCONI, DE ROSA, DEL GROSSO e GRANDE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   è in corso da sabato 7 settembre 2013 una petizione promossa dalla LAV «Io sto con gli scoiattoli» per fermare lo sterminio in atto degli scoiattoli grigi secondo il progetto «EC-SQUARE» che prevede l'eradicazione totale degli scoiattoli alloctoni;
   le regioni che stanno già attuando il progetto EC-Square sono Liguria, Lombardia, Piemonte e Umbria. In Liguria lo sterminio viene condotto con la sterilizzazione di massa, mentre nelle altre regioni si ricorre all'uccisione diretta tramite anidride carbonica;
   l'assunto del programma «Ec-Square» è che gli scoiattoli grigi, di origine americana, minaccerebbero gli scoiattoli rossi in quanto più robusti e quindi in competizione vittoriosa per il cibo e in quanto portatori sani di un virus letale per gli scoiattoli rossi ed infine che gli scoiattoli grigi danneggerebbero i boschi e le coltivazioni;
   lo sterminio sarebbe giustificato dalla necessità di rispettare le indicazioni della Convenzione di Berna e quindi evitare pesanti sanzioni da parte dell'Unione europea;
   per contro la LAV, promotrice della petizione contro lo sterminio, precisa che recentemente, e precisamente il 22 maggio 2013, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha presentato ufficialmente la «lista rossa» degli animali considerati a rischio di estinzione in Italia e lo scoiattolo rosso non vi figura affatto;
   lo scoiattolo rosso non è a rischio di estinzione ma semplicemente in calo, sia in Europa che in Asia, dove però lo scoiattolo americano è assente: la causa principale della diminuzione degli scoiattoli rossi è quindi da ricercare non nella competizione con altre razze ma nella distruzione del loro habitat operata dall'uomo;
   il virus non è mai stato osservato in Italia; al contrario una recente ricerca effettuata da zoologi londinesi ha dimostrato come gli scoiattoli rossi stiano cominciando a mostrare segni di immunità esattamente come gli scoiattoli grigi;
   eventuali violazioni della Convenzione di Berna non comportano alcuna procedura sanzionatoria da parte dell'Unione europea, come vorrebbero far intendere i fautori del progetto «Ec-Square». L'Unione europea ha invece già ripetutamente sanzionato l'Italia per le leggi in deroga sulla caccia approvate proprio da alcune di queste regioni –:
   quali iniziative per quanto di competenza i Ministri interrogati intendano adottare per porre fine allo sterminio in atto nelle regioni interessate per la realizzazione di progetti incruenti di controllo delle popolazioni animali in questione.
(4-01813)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, giova innanzitutto evidenziare che lo scoiattolo grigio è un roditore forestale di origine nord americana introdotto artificialmente in Italia, prima in Piemonte, Lombardia e Liguria e poi, più recentemente, in Umbria. Si tratta di una specie che naturalmente non sarebbe presente tra la fauna italiana ed europea e rappresenta, quindi, una manipolazione, per mano dell'uomo, degli assetti naturali degli ecosistemi. La presenza in Italia di questa specie costituisce un grave pericolo per la sopravvivenza dello scoiattolo rosso, unica specie di scoiattolo arboricolo nativo in Italia e in Europa. Le due specie sono infatti in competizione tra loro e, nelle aree in cui è stato immesso artificialmente, lo scoiattolo grigio determina l'estinzione dello scoiattolo rosso.
  L'unico modo per assicurare la sopravvivenza dello scoiattolo rosso è la rimozione dello scoiattolo grigio.
  Lo scoiattolo grigio è stato introdotto anche in Gran Bretagna e Irlanda, molti decenni prima che in Italia. La dinamica e l'interpretazione degli esiti di queste introduzioni, in entrambe le isole, è ben chiara ed evidente. Lo scoiattolo grigio ha infatti ben presto iniziato la sua espansione, seguita dalla scomparsa su larga scala dello scoiattolo rosso. Di conseguenza, in questi Paesi lo scoiattolo rosso è diventato una delle specie ad elevato rischio di estinzione. La presenza dello scoiattolo grigio in Gran Bretagna e Irlanda, seppur localmente vissuto come un problema grave, riveste un interesse minore per l'Europa nel suo complesso poiché, trattandosi di isole, è difficile che la sua espansione tocchi altri Paesi europei.
  La presenza dello scoiattolo grigio in Italia costituisce, al contrario, un serio rischio per la sopravvivenza dello scoiattolo rosso non solo nel nostro Paese, ma anche nelle aree confinanti come Francia e Svizzera e, nel lungo termine, nell'intero continente europeo.
  Lo scoiattolo grigio americano è una delle specie maggiormente invasive in Europa. La competizione con lo scoiattolo rosso è di tipo alimentare: lo scoiattolo grigio riesce a sfruttare meglio le risorse alimentari del bosco, in particolare i semi di querce e altre specie arboree, ed è anche in grado di sottrarre parte dei semi immagazzinati dallo scoiattolo rosso per l'inverno. In Gran Bretagna e Irlanda la competizione è anche mediata da un virus che uccide gli scoiattoli rossi, mentre gli scoiattoli grigi ne sono immuni. Il virus non è presente in Italia, ma la competizione alimentare è sufficiente, da sola, a determinare la scomparsa dello scoiattolo rosso. Di fatto, lo scoiattolo rosso si è estinto in un'area di circa 1.700 chilometri quadrati a sud della città di Torino dove prima dell'arrivo dello scoiattolo grigio era presente in molti boschi. Lo stesso sta succedendo in altre aree dove la specie americana è stata introdotta. Questi dati sono comprovati da numerose pubblicazioni scientifiche ampiamente riconosciute e citate dalla comunità scientifica internazionale che da decenni è impegnata nella conservazione della fauna su scala sia locale che globale.
  Peraltro, lo scoiattolo rosso non sta diminuendo in Europa nelle aree ove non è presente lo scoiattolo grigio. Infatti, numerosi studi pubblicati negli ultimi decenni indicano come la specie sia in espansione e stia ricolonizzando molti ambienti frammentati nei quali si era estinto in passato (ad esempio in Belgio e Olanda) e sia oramai presente anche in molti parchi urbani in diversi paesi europei (ad esempio Belgio, Francia, Polonia, Italia). In Italia l'aumento della superficie forestale in zone subalpine e collinari ha favorito la diffusione e l'aumento della specie in molte aree, anche del nord Italia, dove non è presente lo scoiattolo grigio. Una forte diminuzione dell'area di presenza dello scoiattolo rosso si registra, infatti, solo in Piemonte e in qualche area della Lombardia dove si sta diffondendo la specie americana.
  Risulta, quindi, ampiamente dimostrato che la maggiore causa di estinzione dello scoiattolo rosso è la competizione con lo scoiattolo grigio. Ciò è chiaramente riportato sia nella lista rossa mondiale elaborata dall'IUCN (
The World Conservation Union – Unione Internazionale per la Conservazione della Natura), la maggiore organizzazione scientifica mondiale per la conservazione della natura, e sia nella lista rossa italiana presentata da questo Ministero cui hanno collaborato le maggiori associazioni scientifiche italiane. Nella lista rossa italiana, la specie è classificata a «più basso rischio» (LR) poiché mostra ancora una discreta diffusione nella penisola, ma è sottolineato, anche, come l'espansione dello scoiattolo grigio nelle regioni del nord costituisca un forte fattore di minaccia che potrebbe produrre una drastica riduzione delle popolazioni e il cambio futuro del suo status.
  A seguito di queste considerazioni, lo
Standing Committee della Convenzione di Berna ha più volte inviato raccomandazioni al nostro Paese perché agisca per la salvaguardia dello scoiattolo rosso. In particolare, sono state inviate tre raccomandazioni ufficiali all'Italia (raccomandazioni n. 78 del 1999, n. 114 del 2005 e n. 123 del 2007) nelle quali si chiedeva al nostro Paese di eradicare le popolazioni di scoiattolo grigio presenti sul proprio territorio. A seguito della mancanza di iniziative adeguate, nel novembre 2008 lo Standing Committee della Convenzione di Berna ha aperto una procedura contro l'Italia («Case file») per non aver rimosso lo scoiattolo grigio dalle aree di presenza. Il «Case file» non comporta sanzioni pecuniarie, ma indica una forte preoccupazione dell'Europa e impegna l'Italia a intervenire. Il mancato impegno degli accordi sottoscritti a livello internazionale, a prescindere da eventuali sanzioni economiche, è comunque un elemento di forte discredito per il nostro Paese che occorre assolutamente evitare, in particolare nell'ambito degli interventi finalizzati alla conservazione dell'ambiente e della fauna.
  Il progetto Life EC-Square, dal canto suo, prevede interventi di gestione dello scoiattolo grigio in Piemonte, Lombardia e Liguria. Il progetto riceve anche un contributo economico della Commissione europea, in seguito a una graduatoria di merito che ha riguardato numerosi altri progetti. Per contenere lo scoiattolo grigio nei territori in cui causa la scomparsa dello scoiattolo rosso, gli operatori usano tecniche sottoposte a un rigoroso controllo, sia legislativo che etico. È previsto che gli animali siano addormentati con anidride carbonica e che la soppressione avvenga tramite sovradosaggio della stessa sostanza. Le tecniche di eutanasia adottate sono quindi più attente al benessere animale rispetto alle procedure normalmente impiegate sia nel controllo di altre specie alloctone, come la nutria, sia di specie autoctone come il ghiro.
  In alcuni casi particolari, ossia per piccoli nuclei di scoiattoli che vivono in parchi urbani molto frequentati e che qui hanno acquisito un forte valore affettivo per la popolazione, come ad esempio a Genova Nervi, gli animali saranno sterilizzati e liberati in altri parchi urbani dove non possano venire in contatto con lo scoiattolo rosso e dove possa essere assicurata la loro permanenza in condizioni di benessere senza che siano in grado di riprodursi e quindi evitando l'ampliamento della popolazione. Si tratta di una soluzione costosa e tecnicamente complessa, possibile solo per piccoli nuclei, e prevista per la prima volta in Italia proprio per venire incontro alla sensibilità di molti cittadini e che certamente non può essere definita «uno sterminio» poiché assicura la sopravvivenza degli animali, seppur impedendone la riproduzione. Tale intervento è del tutto analogo alla procedura messa in atto per limitare il proliferare di individui nelle colonie di gatti nelle città, operazioni spesso direttamente gestite dalle associazioni animaliste.
  È doveroso ricordare che la tutela delle specie autoctone minacciate da specie introdotte è da ritenersi azione prioritaria, così come indicato da numerose leggi e convenzioni internazionali. Tra queste si ricordano la Convenzione di Rio de Janeiro sulla diversità biologica, ratificata dall'Italia con legge 14 febbraio 1994 n. 124; la Convenzione di Berna per la conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale in Europa, ratificata dall'Italia con legge 5 agosto 1981 n. 503; la direttiva 92/43/CEE (direttiva Habitat) del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli
habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche.
  Le attività di intervento sullo scoiattolo grigio risultano coerenti, altresì, con la strategia europea per la biodiversità al 2020 – COM (2011) 244, obiettivo prioritario 5. «Ridurre sensibilmente l'impatto delle specie esotiche invasive e dei genotipi esotici sulla biodiversità dell'UE: fronteggiare la minaccia alla biodiversità rappresentata dalle specie alloctone invasive». Il controllo dello scoiattolo grigio è, inoltre, coerente con la «Strategia europea sulle specie alloctone invasive», formalmente adottata nel 2003 dal comitato permanente della Convenzione di Berna, e successivamente approvata dalla convenzione per la biodiversità e dal Consiglio dei ministri europeo, e con la recente proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio – COM (2013) 620, recante «Disposizioni volte a prevenire e a gestire l'introduzione e la diffusione delle specie esotiche invasive».
  È posto in capo all'Italia, dunque, un preciso dovere istituzionale per dare corso a interventi finalizzati a impedire l'espansione delle popolazioni di scoiattolo grigio dal territorio nazionale e verso i paesi limitrofi. A tale proposito è bene sottolineare come attraverso il «Piano d'Azione Nazionale sullo Scoiattolo grigio» questo Ministero abbia fornito, sul punto, precise linee di indirizzo.
  In ultimo, si ricorda che nel quadro di un'azione complessiva, e cioè che non si limita alla sola rimozione dello scoiattolo grigio, è stato emanato da questo Ministero, di concerto con il Ministero delle risorse agricole alimentari e forestali e il Ministero per lo sviluppo economico, il decreto in data 24 dicembre 2012, pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 28 del 2 febbraio 2013, recante «Disposizioni per il controllo della detenzione e del commercio degli scoiattoli alloctoni appartenenti alle specie Callosciurus erythraeus, Sciurus carolinensis e Sciurus niger», con il quale si vieta in Italia il commercio, l'allevamento e il possesso di esemplari di scoiattolo grigio, riducendo in questo modo il rischio di nuove introduzioni.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   TOTARO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 febbraio 2013 il signor Nicola Stolfi presentava atto di querela presso gli uffici della Stazione dei Carabinieri di Reggello in Firenze poiché il comune di Reggello gli vietava il diritto di voto;
   il suddetto, con sentenza del tribunale di Firenze del 17 ottobre 2001, confermata in secondo grado ed in cassazione, divenuta irrevocabile in data 25 maggio 2007, veniva condannato in via definitiva per il reato di cui all'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, commesso il 13 settembre 1996 in Firenze;
   a causa di tale condanna il comune di Reggello – ufficio elettorale ai sensi dell'articolo 29 decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313 cancellava Nicola Stolfi dalle liste elettorali, impedendogli l'esercizio di voto;
   in data 8 novembre 2007 Stolfi veniva ammesso con ordinanza del tribunale di sorveglianza di Firenze all'affidamento in prova ai servizi sociali; detto affidamento si concludeva con esito positivo con ordinanza del tribunale di sorveglianza di Firenze del 23 settembre 2008 con cui si dichiarava estinta la pena detentiva e pecuniaria non riscossa ed ogni altro effetto penale; il suddetto richiedeva quindi al comune di Reggello l'iscrizione nelle liste elettorali;
   il comune di Reggello – ufficio elettorale richiedeva in data 16 dicembre 2008 il certificato elettorale ma lo stesso comune di Reggello gli rifiutava la consegna della tessera elettorale sia per le elezioni amministrative sia per quelle politiche; difatti, con certificato elettorale del casellario giudiziale n. 74920/2008/R del 16 dicembre 2008, il Ministero della giustizia informava e comandava di fatto all'ufficio elettorale del comune di Reggello di iscrivere il signor Stolfi nelle liste elettorali, riconoscendogli pieno diritto al voto;
   il comune di Reggello iscriveva nelle liste elettorali il signor Stolfi solo in data 31 luglio 2012 con n. 5978;
   al signor Stolfi è stato impedito l'esercizio del diritto costituzionale di voto sia attivo che passivo, a causa dell'ostruzionismo del comune di Reggello –:
   se i fatti corrispondano al vero ed eventualmente in che modo intenda intervenire affinché episodi del genere non si verifichino più e sia garantito a tutti il diritto di voto. (4-00670)

  Risposta. — Con la sentenza di condanna menzionata nell'interrogazione in esame, al signor Nicola Stolfi è stata inflitta anche la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, a decorrere dal 25 maggio 2007, con conseguente perdita del diritto di elettorato attivo.
  Il comune di Firenze, pertanto, ha disposto la cancellazione del signor Stolfi dalle proprie liste elettorali con provvedimento del 26 luglio 2007.
  Successivamente, il 23 settembre 2008, il tribunale di sorveglianza di Firenze, in seguito all'esito positivo del periodo dell'affidamento in prova ai servizi sociali, ha dichiarato estinta la pena detentiva ed ogni altro effetto penale della condanna. Su tali basi l'interessato ha richiesto al comune di Reggello, ove aveva nel frattempo trasferito la propria residenza, di essere reiscritto nelle liste elettorali.
  Il predetto comune, con nota del 22 gennaio 2009, ha comunicato all'interessato di non poter procedere alla reiscrizione richiesta, in quanto doveva considerarsi ancora in corso la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici.
  Decorsi i 5 anni di durata della pena accessoria, la medesima amministrazione comunale ha provveduto alla reiscrizione del signor Stolfi nelle liste elettorali con provvedimento del 31 luglio 2012.
  Quest'Amministrazione, con circolare n. 12 del 2009 della direzione centrale dei servizi elettorali, nel richiamare sul tema i consolidati indirizzi giurisprudenziali, ha condiviso l'orientamento manifestato dall'ente locale, ribadendo che «l'esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale, poiché non estingue le pene accessorie, non legittima la iscrizione o reiscrizione nelle liste elettorali del soggetto alla cui condanna in sede penale acceda la misura dell'interdizione dai pubblici uffici».

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   TOTARO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da notizie in possesso dell'interrogante risulterebbe che tra il personale dipendente a tempo indeterminato della Rai - Radiotelevisione italiana, avente la qualifica di dirigente e di giornalista, vi siano singole posizioni di dipendenti che, essendo nota la data delle rispettive decorrenze del congedo per trattamento di quiescenza, abbiano accumulato significativi periodi di ferie non godute il cui cumulo in qualche caso potrebbe anche superare i giorni lavorativi restanti fino alla data del pensionamento;
   la RAI nel corso degli ultimi mesi ha dato avvio ad un rilevante processo di incentivazione, che ha riguardato anche un certo numero di dirigenti e giornalisti –:
   quale sia la consistenza numerica dei dipendenti (dirigenti e giornalisti) a tempo indeterminato per i quali ricorrono le casistiche sopra indicate;
   se i rispettivi contratti prevedano la non fruizione di cumulo di periodi di ferie non goduto da parte dei dipendenti;
   se ciò possa esporre l'azienda a possibili iniziative in sede giurisdizionale da parte dei richiamati dipendenti, dirette ad ottenere il risarcimento economico del cumulo delle ferie non godute;
   se l'azienda abbia eseguito, ovvero abbia in animo di eseguire, transazioni individuali ai fini del riconoscimento economico di cumuli di periodi di ferie non goduti, e, se del caso, quali siano stati gli importi economici effettivamente riconosciuti agli interessati;
   quali iniziative l'azienda abbia assunto per consentire ai dipendenti il pieno godimento dei periodi di ferie non godute, ovvero lo smaltimento di quelle accumulate. (4-02921)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, si fa riferimento agli elementi che la Rai ha fatto pervenire a riguardo agli uffici competenti dello scrivente Dicastero.
  Con circolare del 16 gennaio 2013 a firma del Direttore generale, la Rai ha definito un piano di incentivazione all'esodo su base volontaria riguardante il personale in servizio a tempo indeterminato.
  Quanto alla possibilità di compensare con somme di denaro le ferie non godute, essa non è prevista né dal contratto dei giornalisti, né da quello dei dirigenti, pertanto gli interessati valutano se le condizioni inerenti alla cessazione anticipata, ivi compresa l'eventuale impossibilità di godere di alcuni giorni di ferie per cessazione del rapporto di lavoro, siano vantaggiose. In caso di accettazione, il lavoratore sottoscrive una proposta irrevocabile di risoluzione del rapporto di lavoro che viene accettata dall'azienda. La data stabilita per la risoluzione del rapporto di lavoro, inizialmente fissata al 30 giugno 2013, è stata peraltro prorogata, dando così la possibilità di procedere ad un'efficace pianificazione dei giorni di ferie per l'anno di riferimento.
  In conclusione, il Ministero dello sviluppo economico ha altresì appreso dalla Rai che, al fine di tutelare al meglio gli interessi delle parti coinvolte, ha previsto che la cessazione del rapporto di lavoro sia perfezionata mediante sottoscrizione, da parte del lavoratore, di un apposito verbale di conciliazione in sede sindacale finalizzato ad evitare ogni possibile controversia, ivi compresa un'eventuale rivendicazione per giorni di ferie non goduti.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.