Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 25 settembre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    il settore agricolo rappresenta un volano fondamentale per l'intero sistema economico ed occupazionale del nostro Paese. L'agricoltura genera infatti ogni anno il 15 per cento del prodotto interno lordo e con l'intera filiera fattura 267 miliardi di euro. È anche l'unico comparto anticiclico che ha garantito, in questi anni di recessione, livelli stabili di occupazione, con una crescita delle assunzioni del 5,6 per cento nel secondo trimestre del 2014;
    il 20 settembre 2014, una violentissima «bomba d'acqua» ha colpito alcuni comuni della Toscana, nelle province di Firenze, Lucca, Prato e Pistoia, recando gravissimi danni alle abitazioni, alle infrastrutture pubbliche ed alle attività produttive ed in particolare, per la conformità delle aree interessate, al settore agricolo, per una prima stima complessiva che supera i 70 milioni di euro;
    le alluvioni hanno distrutto vigneti, oliveti, produzioni ortofrutticole e florovivaistiche, arrecato gravi danni a macchinari di produzione, magazzini e strutture rurali (in alcune aziende i danneggiamenti hanno interessato il 100 per cento delle imprese agricole);
    in particolare, la vendemmia 2014, che riguarda anche zone di altissimo pregio, vitivinicolo come ad esempio la produzione del «Chianti», risulta quasi completamente compromessa ed i danni ai vigneti, che coinvolgono anche i filari, potrebbero non consentire una piena ripresa delle produzioni anche nel 2015. Sono andati distrutti complessivamente oltre 200 mila quintali di vino per un danno di circa 20 milioni di euro;
    altro settore gravemente colpito dal maltempo è stato quello dell'olio d'oliva, un comparto di altissima qualità riconosciuta e certificata. Secondo le prime stime delle associazioni di categoria dall'inizio dell'anno il maltempo e gli insetti infestanti (la cui proliferazione è spesso diretta conseguenza dei mutamenti climatici hanno usato in tutte le aree della Toscana una perdita delle olive pari al 70 per cento del totale;
    la regione Toscana ha chiesto lo stato di emergenza e di calamità naturale per sollecitare il Governo a predisporre strumenti normativi e risorse finanziarie urgenti per i comuni colpiti dal maltempo;
    il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Maurizio Martina ha dichiarato di seguire attentamente l'evolversi della situazione «per individuare tutti gli strumenti concreti utili alle imprese agricole colpite dall'emergenza»;
    secondo le associazioni di categoria, in attesa di una capillare ricognizione della recente alluvione, i danni subiti nel settore agricolo in Toscana dall'inizio dell'anno ammontano a circa 200 milioni di euro;
    se si considerano invece tutte le regioni, secondo alcune associazioni di categoria, i danni provocati dal maltempo al settore agricolo nell'arco dei primi 9 mesi del 2014 superano il miliardo di euro;
    la riforma della politica agricola comune ha previsto nell'ambito dello sviluppo rurale, con il regolamento (UE) n. 1305/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (Fears), tre strumenti di «gestione del rischio» per un valore di 1 miliardo e 640 milioni di euro, tra cui rientrano;
   a) la misura «assicurazione del raccolto, degli animali e delle piante» (articolo 37) che concede contributi finanziari per i premi di assicurazione per le polizze assicurative che coprono le perdite causate anche da avversità atmosferiche e da emergenze ambientali;
   b) la misura «fondi di mutualizzazione per le avversità atmosferiche, per le epizoozie e le fitopatie, per le infestazioni parassitarie e per le emergenze ambientali» (articolo 38) che concede contributi finanziari versati ai fondi di mutualizzazione per il pagamento di compensazioni finanziarie agli agricoltori in caso di perdite economiche causate anche da avversità atmosferiche;
   c) la misura «strumento di stabilizzazione del reddito» che rappresenta uno strumento di stabilizzazione del reddito, consistente nel versamento di contributi finanziari ai fondi di mutualizzazione per il pagamento di compensazioni finanziarie agli agricoltori a seguito di un drastico calo di reddito;
    sempre in ambito comunitario è presente il fondo di solidarietà dell'Unione europea (Fsue) costituito nel 2002 per rispondere alle grandi calamità naturali ed esprimere la solidarietà europea alle regioni colpite. Il fondo è stato utilizzato fino ad oggi 60 volte in risposta a diversi tipi di catastrofi, tra cui inondazioni, incendi forestali, terremoti, tempeste e siccità. Finora sono stati erogati oltre 3,6 miliardi di euro a favore di 23 paesi europei;
    nella risposta all'interrogazione n. 5-03514 (concernente le alluvioni che hanno colpito la regione Puglia il 3 settembre 2014), risposta pubblicata l'11 settembre 2014 nell'allegato al bollettino in Commissione VIII Ambiente della Camera dei deputati, il rappresentante del Governo ha affermato: «il Ministro delle Politiche Agricole si è impegnato ad ottenere l'erogazione anticipata delle somme di Politica agricola comune al 16 ottobre anziché al 1o dicembre, per realizzare almeno una parte di liquidità necessaria alla ricostruzione delle imprese nonché a reperire altre risorse, ivi incluse, quelle ricavabili dal Programma di sviluppo rurale nell'ambito del quale sono state destinate somme per 1,6 miliardi di euro, in accordo con le regioni, al fine di incentivare l'adozione da parte degli agricoltori di una serie di strumenti preventivi quali assicurazioni, fondi di mutualità, e strumenti per la stabilizzazione dei redditi»;
    va inoltre aggiunto che, secondo gli esperti di meteorologia, gran parte delle alluvioni sono causate da violente «bombe d'acqua». Questi fenomeni atmosferici (diretta conseguenza dei cambiamenti climatici) a differenza delle perturbazioni di maggiore durata non sono prevedibili e si verificheranno sempre con maggiore incidenza anche nel nostro Paese;
    appare quindi evidente la necessità, oltre che dell'attivazione di azioni immediate ed adeguate per sostenere le imprese agricole danneggiate, di introdurre incentivi pubblici rivolti agli agricoltori per la sottoscrizione di assicurazioni sul raccolto, sugli animali e sulle piante, al fine di ridurre i danni che possono verificarsi per la presenza di avversità climatiche,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per stanziare in tempi certi, a seguito del riconoscimento dello stato di calamità naturale, risorse adeguate per il ripristino delle aree coltivabili ed a sostegno del settore e del reddito agricolo nelle province toscane colpite dalle alluvioni del 20 settembre 2014, attraverso:
    a) un proporzionato e puntuale finanziamento del fondo di solidarietà nazionale, istituito dal decreto legislativo n. 102 del 2004;
    b) l'immediata richiesta dell'attivazione in sede comunitaria, per quanto di propria competenza e di concerto con gli enti territoriali e le istituzioni preposte, delle risorse del fondo di solidarietà dell'Unione europea (Fsue);
    c) l'utilizzo di tutte le risorse finanziarie e gli strumenti normativi previsti nell'ambito dello sviluppo rurale con il regolamento (UE) n. 1305/2013, riportati in premessa;
   ad assumere iniziative volte a prevedere l'esonero dagli obblighi fiscali e la sospensione delle rate dei mutui, di concerto con il sistema bancario territoriale, per le aziende agricole toscane colpite dagli eventi atmosferici del 20 settembre 2014 per un periodo non inferiore a 12 mesi, con l'obiettivo di alleviare la grave situazione economica di tale imprese;
   a redigere un piano per la prevenzione del rischio agricolo su tutto il territorio nazionale, basato sulle culture e gli allevamenti presenti, la conformità morfologica ed idrogeologica delle zone su cui insistono e la frequenza e l'incidenza di eventi calamitosi, con l'obiettivo di salvaguardare attività e reddito delle aziende utilizzando pienamente tutte le norme nazionali e comunitarie previste (ed in particolare gli strumenti nell'ambito dello sviluppo rurale inseriti nel regolamento (Unione europea) n. 1305/2013), anche al fine di incentivare la sottoscrizione di assicurazioni e contro i danni causati dalle avversità meteorologiche.
(7-00470) «Sani, Oliverio, Parrini, Mariani, Fanucci, Bini».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    sono ormai noti i problemi causati dalla proliferazione incontrollata di alcune specie animali quali la nutria, nelle aree rurali e fluviali; inoltre, le nutrie provocano danni economici localmente elevati per il prelievo operato, a fini alimentari, sulle coltivazioni agrarie, quali soprattutto la barbabietola da zucchero, il riso e il mais;
    la nutria è stata introdotta nel nostro Paese per la produzione commerciale di pellicce e, grazie alla mancanza di predatori naturali, al clima mite, alla possibilità di reperire cibo, nonché alle potenzialità riproduttive e all'adattabilità ad ambienti e a condizioni climatiche diverse, ha raggiunto densità anche molto elevate, determinando pesanti situazioni di impatto sui biotipi che, in taluni casi, possono risultare particolarmente pesanti. In Italia non si dispone di sufficienti informazioni per definire, neanche a un livello di dettaglio macroscopico, la consistenza di questa specie alloctona;
    la nutria è considerata una specie selvatica invasiva e l'attuale normativa comunitaria, tuttora in fase di approvazione, indirizza – in via generale – i Paesi membri alla eradicazione di tutte le specie alloctone che rappresentino una minaccia per l'economia e la biodiversità dell'Europa;
    il comma 12-bis dell'articolo 11 del decreto-legge 24 giugno 2014 n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116 prevede una modifica, all'articolo 2, comma 2, della legge n. 157 del 1992, recante norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, includendo la nutria tra le specie nei confronti delle quali non si applicano le disposizioni della suddetta legge n. 157/92, in quanto non ricompresa nell'elenco di cui all'articolo 18 della citata legge, al pari delle talpe, ratti, topi propriamente detti e delle arvicole;
    inoltre, il citato decreto-legge introduce sempre, all'articolo 2, della legge n. 157 del 1992 il comma 2-bis, il quale stabilisce che la gestione e la tutela delle specie alloctone, come la nutria, effettuata dalle regioni o province autonome, è finalizzata sempre all'eradicazione o comunque al controllo delle popolazioni, fatta eccezione per le specie alloctone che saranno individuate con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e sentito l'ISPRA;
    conseguenza imprevista della modifica apportata alla legge n. 157 del 1992 sembrerebbe essere quella che la nutria non sia più oggetto del controllo riduttivo da parte delle regioni, ai sensi dell'articolo 19 della legge n. 157 del 1992, e che i danni da esse causati non possano più essere indennizzati dalle stesse regioni;
    il controllo previsto dal suddetto articolo 19 non può ritenersi caccia, in quanto è praticato mediante l'utilizzo di metodi ecologici e qualora questi metodi risultino inefficaci può essere effettuato anche mediante piani di abbattimento autorizzati dalla regione, in giorni e orari diversi da quelli previsti dal calendario venatorio;
    non solo le regioni ad oggi sembra siano impossibilitate a emanare atti sul tema, ma anche le amministrazioni provinciali non potranno più portare avanti alcuna politica di contenimento degli animali né tantomeno potranno indennizzare gli agricoltori per i danni subiti;
    sembra che alcune province abbiano già sospeso l'attività di controllo. La loro preoccupazione è dovuta soprattutto al rischio di denuncia per l'utilizzo illegittimo di armi, che è di competenza statale e limitato alle forze armate, difesa personale, poligono di tiro e caccia;
    in risposta ad un recente question time in Commissione (5-03518) presentato dagli interroganti il rappresentante del Governo dichiarava che «in relazione alla delicatezza della materia trattata e alla coeva esistenza di contrapposte modalità di tutela ... non esclude la possibilità di attivare, fin da ora, una fase di monitoraggio e approfondimento. Detta attività sarà volta a promuovere l'adozione, nell'ambito di una produttiva dialettica parlamentare, di atti normativi, anche di carattere secondario, che si dovessero rendere necessari, al fine di affrontare le problematiche emerse a livello territoriale e dal confronto con gli enti locali preposti...»;
    il rappresentante del Governo, riconoscendo la delicatezza della materia, ritiene che è necessario trovare una soluzione rapida al problema in quanto non si possono attendere le conclusioni della fase di monitoraggio e approfondimento per adottare magari atti normativi che avrebbero lo stesso effetto di quelli che si potrebbero attuare nell'immediato,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative volte a modificare il succitato comma 2 dell'articolo 2 della legge n. 157 del 1992 al fine di chiarire la situazione venutasi a creare prevedendo che le disposizioni della legge n. 157 non applicandosi alla nutria facciano salva la possibilità per le regioni, ai sensi dell'articolo 26 della citata legge n. 157, di provvedere in ordine all'indennizzo dei danni e che le stesse possano, anche avvalendosi delle province, provvedere in ordine al controllo delle popolazioni di nutria finalizzato all'eradicazione;
   ad assumere iniziative normative volte a stabilire che il controllo possa essere esercitato anche nelle zone vietate alla caccia, mediante mezzi e soggetti di cui all'articolo 19 della suddetta legge n. 157 e operatori espressamente autorizzati, ciò al fine di consentire agli enti locali di muoversi nella certezza e continuità del loro operato finora posto in essere assicurando agli agricoltori il diritto di ottenere il giusto ristoro ai danni subiti e garantendo un miglior livello di sicurezza per le comunità locali e i cittadini.
(7-00471) «Caon, Guidesi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 23 settembre 2014 si sono svolte a Teulada esercitazioni ad avviso dell'interrogante in contrasto con le previsioni di legge;
   l'ordinanza che precludeva gli spazi a mare è stata pubblicata a bombardamenti conclusi;
   sono stati messi in gravissimo pericolo la popolazione e i natanti;
   l'interrogante ha formalizzato apposita querela sui fatti;
   il file dell'ordinanza risulta all'interrogante datato 23 settembre alle 16,22, a esercitazioni concluse;
   quello accaduto oggi non ha precedenti;
   si è sparato senza avvertire la popolazione;
   come detto l'ordinanza, dagli atti, è stata pubblicata quando le esercitazioni erano ormai concluse;
   si tratta di un fatto di una gravità inusitata proprio per l'oggetto del contendere: esercitazioni a fuoco, ovvero bombardamenti;
   un «gioco alla guerra» sul quale questa volta il Ministero della difesa ha «giocato» pesante, commettendo secondo l'interrogante un passo falso davvero gravissimo;
   l'ufficio stampa della difesa ha comunicato che si sono svolte esercitazioni a fuoco nella base di Teulada;
   a quanto costa all'interrogante tutto questo è avvenuto senza che nessuno abbia avvertito la popolazione tanto meno i natanti che passavano nell'area davanti a Capo Teulada;
   nel corso della presentazione della querela i funzionari hanno anche certificato le proprietà del file dell'ordinanza dal quale si evince la gravissima manipolazione dei fatti;
   si è di fatto bombardato senza autorizzazione e senza preavviso per la popolazione;
   le esercitazioni erano previste dalle 9 alle 16,00;
   davanti ai funzionari della questura di Roma, come è attestato dalla querela presentata, è stato aperto il sistema del processo informatico del file dell'ordinanza dal quale si evince che il file risulta predisposto e pubblicato alle 16,22;
   ovvero 22 minuti dopo che le esercitazioni si sono concluse;
   aver interdetto l'area solo ad esercitazioni concluse costituisce un fatto di una gravità inaudita perché si sono messe a repentaglio le vite di tanti cittadini ignari di esercitazioni;
   nella querela presentata è stato lo stesso funzionario della questura a stampare il file dell'orario di predisposizione dell'ordinanza –:
   se non ritenga di dover invitare i responsabili di tali gravi fatti a trarne le conseguenze. (5-03655)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ATTAGUILE e FEDRIGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   negli anni 2000 il ponte sullo Stretto di Messina è stato compreso nel programma delle infrastrutture strategiche (PIS) di cui all'articolo 1, della legge n. 443 del 2001 quale parte del corridoio paneuropeo n. 5 Helsinki-La Valletta;
   il corridoio paneuropeo n. 5 Helsinki-La Valletta è l'asse nord sud fondamentale per la comunicazione delle aree periferiche del mare Mediterraneo con il Nord Europa che fa parte della rete transeuropea dei trasporti TEN.T e il cui sviluppo è stato recentemente riconfermato con regolamento della Commissione trasporti del Parlamento europeo ampliando il percorso del corridoio paneuropeo n. 1 Berlino-Palermo a meridione e includendo anche collegamenti come le autostrade del mare tra la Sicilia e Malta;
   il ponte sullo Stretto realizzerebbe il collegamento stabile con la Sicilia - la più grande e popolosa isola del Mediterraneo;
   le ricadute socio-economiche della realizzazione del ponte sarebbero immense e assolutamente necessarie non solo per il Meridione ma per il Paese tutto che sarebbe direttamente ed indirettamente coinvolto nell'operazione (basti pensare alle acciaierie del Nord);
   l'infrastruttura, già dalla fase di costruzione, darebbe grande impulso all'occupazione stimata intorno alle 40 mila unità, alle attività economiche, agli scambi commerciali, all'integrazione oltre che al potenziamento della rete infrastrutturale esistente;
   l'avvio concreto del progetto per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina risale agli anni 2002-2003;
   il soggetto concessionario è la società Stretto di Messina, che è una società a totale capitale pubblico i cui azionisti sono per la massima parte (oltre l'80 per cento) l'ANAS, La Rete ferroviaria italiana SpA (RFI) e le regioni Sicilia e Calabria;
   a partire dall'aprile 2004 sono state espletate quattro gare internazionali a cui hanno partecipato oltre sessanta aziende e il contraente generale che si è aggiudicato l'appalto è stato Eurolink, un'associazione temporanea di imprese (ATI), formata dalla capogruppo mandataria Impregilo spa e da una serie di imprese italiane ed estere che hanno firmato il contratto nel marzo 2006;
   il Governo Monti, nel 2012, ha previsto la stipula di un apposito atto aggiuntivo al contratto vigente tra la società Stretto di Messina spa e il contraente generale, la cui mancanza entro il termine stabilito del 1o marzo 2013, ha sancito la decadenza di tutti gli atti che regolano i rapporti di concessione, nonché delle convenzioni e di ogni altro rapporto contrattuale in essere;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il 15 aprile 2013, Stretto di Messina spa viene posta in liquidazione con la nomina di un commissario liquidatore;
   fino ad oggi sono stati già spesi per la realizzazione del ponte e il mantenimento della società Stretto di Messina spa circa 383 milioni di euro su un costo totale dell'opera stimato intorno ai 6,5 miliardi di euro di cui solo 1,5 miliardi di euro verrebbero dal contributo pubblico e i restanti 5 miliardi da investimenti privati;
   la mancata realizzazione del ponte porterebbe al pagamento di penali stimate fino a 700 milioni di euro e la somma totale delle risorse spese e della penale supererebbe il miliardo di euro;
   la mancata realizzazione del ponte sullo Stretto come stabilito dall'articolo 34-decies del decreto-legge n. 179 del 2012, comporterebbe quindi una perdita per lo Stato del valore economico pari a quello dell'infrastruttura realizzata se si considera il costo del contenzioso amministrativo che si è instaurato con il commissario liquidatore della società Stretto di Messina spa che si prolungherà nel tempo a discapito delle casse dello Stato e a tutto vantaggio economico del commissario liquidatore;
   la rinuncia alla realizzazione del progetto favorisce la società Impregilo SpA e le imprese dell'ATI che si è aggiudicata la gara d'appalto, poiché guadagnano senza dover realizzare l'opera grazie al versamento delle penali;
   a questo computo va aggiunto l'enorme danno economico che la mancata realizzazione dell'opera comporterebbe per l'Italia e in particolare per il meridione e la ricaduta negativa sulle casse dello Stato poiché l'opera realizzata costerebbe quanto la non realizzazione dell'infrastruttura con l'inaccettabile perdita di una formidabile opportunità di sviluppo per il meridione d'Italia;
   nel corso dell'approvazione dell'ultima legge di stabilità il Governo ha accolto un ordine del giorno a firma del primo firmatario della presente interpellanza in cui si è impegnato ad introdurre le modifiche normative per realizzare la continuità territoriale prevista dal Corridoio 5, Helsinki-La Valletta della rete transeuropea dei trasporti;
   il primo firmatario della presente interpellanza ha presentato una proposta per la costituzione di una Commissione di inchiesta che indaghi a fondo le ragioni per cui il Governo Monti ha inteso sospendere i contratti in essere per la realizzazione dell'infrastruttura ponendo in liquidazione la Società Stretto di Messina spa;
   come il primo firmatario della presente interpellanza ha rilevato nel corso dell'intervento sulla fiducia all'attuale Governo, manca tra le sue priorità un'azione decisa per il rilancio dell'economia nelle aree sottoutilizzate del nostro Paese per le quali la costruzione del Ponte rappresenterebbe un enorme impulso –:
   quali siano le reali intenzioni del Governo rispetto alla realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina;
   quali siano le determinazioni dell'attuale Governo al fine di garantire la continuità territoriale della Sicilia con il continente, continuità territoriale intesa come capacità di garantire un servizio di trasporto che non penalizzi cittadini residenti in territori meno favoriti e che si inserisca nel quadro più generale di garanzia dell'uguaglianza sostanziale dei cittadini e di coesione di natura economica e sociale, promosso in sede europea;
   quali siano le ragioni individuate dall'attuale Governo per rinunciare ad un'opera che si presenta come strategica – in ottica nazionale ed europea – dal punto di vista infrastrutturale e come un'eccezionale opportunità di crescita economica e occupazionale con uno spreco di risorse statali pari a quelle che sarebbe necessario investire per la sua realizzazione.
(4-06143)


   FRUSONE, DI BATTISTA, ARTINI, RIZZO, BASILIO, CORDA, PAOLO BERNINI, ALBERTI, RUOCCO, BARBANTI, BATTELLI, LUIGI GALLO, SIMONE VALENTE, SIBILIA, MANLIO DI STEFANO, GRANDE, SPADONI, SCAGLIUSI e DEL GROSSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 – «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria» – convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 (in Gazzetta Ufficiale 16 luglio 2011, n. 164), rubricato «Aerei blu» prevede che «I voli di Stato devono essere limitati al Presidente della Repubblica, ai Presidenti di Camera e Senato, al Presidente del Consiglio dei ministri, al Presidente della Corte costituzionale» (comma 1) e che «(e)ccezioni rispetto a questa regola devono essere specificamente autorizzate, soprattutto con riferimento agli impegni internazionali, e rese pubbliche sul sito della Presidenza del Consiglio dei ministri, salvi i casi di segreto per ragioni di Stato»;
   in conformità alla predetta disposizione, con direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 settembre 2011, viene specificato che «il trasporto aereo di Stato fornisce supporto all'espletamento delle funzioni istituzionali delle più elevate autorità, alla tutela della sicurezza nazionale, e ... concorre alla protezione dei soggetti esposti a minaccia o pericolo, alla salvaguardia della vita umana e della salute»;
   la direttiva, all'articolo 8, stabilisce che «la Presidenza del Consiglio dei ministri costituisce il centro di riferimento per la gestione amministrativa, tecnica e finanziaria, nonché sede di coordinamento unitario del trasporto aereo di Stato in ogni sua forma»;
   la stessa direttiva chiarisce che l'eccezione alla regola di cui al comma 1 dell'articolo 3 del decreto-legge n. 98 del 2011 consiste nella possibilità di disporre il trasporto aereo di Stato per i componenti del Governo e per le delegazioni ufficiali degli organi costituzionali purché autorizzate dal sottosegretario di Stato – specificamente delegato dal Presidente del Consiglio dei ministri, su segnalazione e parere del segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri – nonché a condizione che sussistano «comprovate, imprevedibili ed urgenti esigenze di trasferimento connesse all'efficace esercizio delle funzioni istituzionali e l'impossibilità di provvedere ai trasferimenti con voli di linea» nonché «l'accertata indisponibilità di altre modalità di trasporto compatibili con lo svolgimento di dette funzioni»;
   una volta autorizzato il volo si procede alla pubblicazione, con cadenza mensile, sul sito internet della Presidenza del Consiglio dei ministri con l'indicazione della data di effettuazione, del soggetto destinatario e delle motivazioni;
   da una segnalazione ricevuta gli interroganti hanno appreso che il Ministro della difesa, Senatrice Roberta Pinotti, in data 5 settembre 2014 ha usufruito, nella qualità di passeggera, di un volo del 31o stormo;
   in particolare si è trattato di un Falcon 50 in servizio presso il 31o Stormo di Ciampino (Roma), il quale, con a bordo il Ministro interrogato, ha percorso la tratta Ciampino – Sestri arrivando a destinazione alle 20,15 UTC ed è immediatamente ritornato a Ciampino;
   per quanto risulta agli interroganti il Ministro Pinotti risiede proprio nel genovese;
   ai sensi dell'articolo 744, comma 1, del codice della navigazione «(s)ono aeromobili di Stato gli aeromobili militari e quelli, di proprietà dello Stato, impiegati in servizi istituzionali delle Forze di polizia dello Stato, della Dogana, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, del Dipartimento della protezione civile o in altro servizio di Stato» e il successivo articolo 746, comma 4, stabilisce che «(c)on decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono stabiliti i criteri e le modalità per l'attribuzione della qualifica di volo di Stato all'attività di volo esercitata nell'interesse delle autorità e delle istituzioni pubbliche»;
   la citata direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 settembre 2011, all'articolo 11, ricorda che la qualifica di volo di Stato è attribuita ad aeromobili civili e militari secondo i criteri e con le modalità previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 gennaio 2008 (emanato proprio ai sensi del predetto articolo 746, comma 4, del codice della navigazione);
   il 31o stormo «Carmelo Raiti» è uno stormo dell'Aeronautica militare – il cui comando è situato all'interno dell'aeroporto di Roma-Ciampino – con il compito principale di assicurare il trasporto delle autorità dello Stato, trasporti sanitari d'urgenza di ammalati, di traumatizzati gravi e di organi per trapianti, voli per esigenze umanitarie, nonché per interventi a favore di persone comunque in situazioni di rischio;
   dalla segnalazione ricevuta dagli interroganti emerge che il predetto Falcon 50 stava effettuando un volo di addestramento tra Ciampino e Sestri;
   nel caso in cui la segnalazione pervenuta agli interroganti fosse confermata ed ove l'utilizzo dell'aereo di Stato sia avvenuto in assenza della prescritta autorizzazione, ciò si tradurrebbe in un'evidente e grave violazione della normativa vigente e comunque in un suo palese ed ingiustificato aggiramento;
   ciò sarebbe ancor più grave in considerazione del fatto che sarebbe stato un Ministro della Repubblica ad aver agito al di fuori della legalità e ad aver usufruito di un «aereo blu» destinato oltre che a fini istituzionali, anche a scopi umanitari e sanitari –:
   se corrisponda al vero che il Ministro della difesa Roberta Pinotti fosse a bordo del volo di cui in premessa che ha percorso, in data 5 settembre 2014, la tratta da Ciampino a Sestri;
   se il volo di cui in premessa, che ha percorso, in data 5 settembre 2014, la tratta da Ciampino a Sestri, con a bordo il Ministro Roberta Pinotti, sia stato autorizzato ai sensi dell'articolo 3 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 – «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria» – convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 ed ai sensi della direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 settembre 2011;
   se, nel caso in cui il predetto volo sia stato regolarmente autorizzato, non si intenda chiarire nel dettaglio le comprovate, imprevedibili ed urgenti esigenze di trasferimento connesse all'efficace esercizio delle funzioni istituzionali e l'impossibilità di provvedere ai trasferimenti con voli di linea nonché «l'accertata indisponibilità di altre modalità di trasporto compatibili con lo svolgimento di dette funzioni di cui all'articolo 2, comma 3, della direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 settembre 2011;
   se il Falcon 50 di cui in premessa stesse effettuando un volo di addestramento tra Ciampino e Sestri e se l'attività di volo dell'aeromobile in questione rivesta la qualifica di volo di Stato ai sensi dell'articolo 746, comma 4, del codice della navigazione e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 gennaio 2008;
   se non si intenda fornire tutti i dati e le informazioni relative al numero di voli di addestramento effettuati tra Ciampino e Sestri almeno negli ultimi 5 anni. (4-06163)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito dalla legge n. 125 del 2013 recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», al suo articolo 4, comma 3, prescrive il divieto, in capo a tutte le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, di bandire nuove procedure concorsuali in presenza di graduatorie vigenti, istituendo così l'obbligo del prioritario assorbimento degli idonei;
   con la circolare della funzione pubblica pro tempore 5/2013 il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione forniva i primi indirizzi per la corretta applicazione del decreto-legge soffermandosi, tra l'altro, proprio sul reclutamento speciale previsto dall'articolo 4 in esame, «perché è quello volto al superamento del fenomeno del precariato», specificando che sullo scorrimento delle graduatorie degli idonei «c’è un vincolo, previsto dal legislatore, rispetto all'avvio di nuove procedure concorsuali»;
   dall'applicazione della normativa rimangono esclusi unicamente il comparto scuola e quello delle istituzioni di alta formazione e specializzazione per i quali trova applicazione la disciplina specifica di settore;
   in data 11 aprile 2014 il Ministero degli affari esteri bandiva una nuova procedura concorsuale per il reclutamento di 35 segretari di legazione della carriera diplomatica, di fatto non procedendo al prioritario assorbimento degli idonei, in ossequio alla normativa citata, applicabile a tutte le amministrazioni dello Stato;
   non esistono, per quanto riguarda il concorso diplomatico o l'amministrazione degli esteri, normative di settore ostative allo scorrimento delle graduatorie, come dimostrato dai passati scorrimenti delle stesse, che avveniva senza alcuna problematica;
   non può essere considerata una norma ostativa allo scorrimento delle graduatorie nemmeno la legge 5 marzo 2010 n. 10, che autorizzava il Ministero degli affari esteri «in deroga alle vigenti disposizioni sul blocco delle assunzioni nel pubblico impiego, nei cinque anni 2010-2014 a bandire annualmente un concorso di accesso alla carriera diplomatica e ad assumere un contingente annuo non superiore a 35 segretari di legazione in prova», posto che la stessa amministrazione, in vigenza di tale disposizione, provvedeva allo scorrimento della graduatoria dell'anno 2010;
   il Ministero degli affari esteri ha assunto a giudizio dell'interrogante un comportamento contraddittorio ed ambiguo in merito alle graduatorie del concorso diplomatico, posto che procedeva ad un loro parziale scorrimento negli anni 2008 e 2010, non operando invece in tal senso la graduatoria del concorso bandito nel 2013, pur in presenza di una disposizione di legge che tale obbligo prescrive;
   il Ministero degli affari esteri, inoltre, non si esimeva dall'applicare il principio del previo scorrimento delle graduatorie vigenti anche per gli altri concorsi banditi dalla stessa amministrazione, creando una disparità di trattamento con le graduatorie del concorso diplomatico;
   i precedenti giurisprudenziali invocati nel nuovo bando di concorso, attualmente soggetto ad impugnazione innanzi al TAR del Lazio, non sono idonei a superare la questione implicata, essendo tutti antecedenti all'entrata in vigore della legge n. 125 del 2013;
   la sentenza più recente in materia, tra l'altro (TAR Lazio, III ter, 1 aprile 2014), è riferita ad una causa instaurata anteriormente all'entrata in vigore della suddetta legge, su cui pertanto non si pronuncia;
   il concorso di accesso alla carriera diplomatica, uno dei più illustri e prestigiosi in Italia, è stato negli ultimi due anni al centro di numerose vertenze giudiziarie e di numerose interrogazioni parlamentari, non soltanto in merito alla questione degli idonei –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intendano adottare per stabilizzare la situazione degli idonei al concorso diplomatico 2013, in ossequio al dettato legislativo vigente e ai principi di legalità, efficienza e buon andamento dell'amministrazione. (4-06150)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARIANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il servizio ambiente della amministrazione provinciale di Lucca ha manifestato al Parlamento alcune preoccupazioni circa l'applicazione della normativa in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA) a seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, in particolare, per la parte inerente, alla verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale;
   secondo l'interpretazione dell'amministrazione provinciale di Lucca, tale disposizione ha reso inapplicabili le soglie dimensionali che stabilivano l'ordine di grandezza oltre la quale era necessaria la procedura di verifica di valutazione di impatto ambientale conseguentemente tutte le categorie progettuali presenti nell'allegato IV dovrebbero essere sottoposte alla procedura di verifica indistintamente dalle dimensioni;
   l'eliminazione, seppure transitoriamente, delle soglie dimensionali la valutazione di impatto ambientale rischia, secondo l'amministrazione provinciale di Lucca, non solo di ingolfare il lavoro degli uffici competenti, ma anche di bloccare l'iter delle richieste al vaglio delle amministrazioni, almeno fino a quando il decreto interministeriale previsto dal citato comma 1, lettera c) detterà alle regioni e alle province autonome, le modalità di adeguamento dei criteri e delle soglie alle specifiche situazioni ambientali e territoriali;
   nello specifico, l'articolo 15, comma 1, lettera c), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 ha introdotto nuove disposizioni sostitutive di quelle recate dall'articolo 23 della legge 6 agosto 2013 n. 97, al fine di pervenire ad un recepimento della direttiva 2011/92/UE capace di superare in maniera definitiva le censure mosse dalla Commissione europea nell'ambito della procedura di infrazione 2009/2086, avviata, principalmente, per non conformità delle norme nazionali che disciplinano la verifica di assoggettabilità a VIA (screening) con l'articolo 4, paragrafi 2 e 3, della direttiva medesima;
   al fine di superare le criticità sollevate dalla Commissione europea nell'ambito della procedura di infrazione, l'articolo 23 della legge n. 97 del 2013 ha introdotto nuove disposizioni, senza intervenire direttamente sulle norme del codice dell'ambiente, prevedendo una procedura in due fasi per definire, da parte delle regioni, le soglie e i criteri per l'assoggettamento alla procedura di screening, sulla base delle linee guida definite, nella prima delle due fasi, a livello statale;
   le disposizioni dettate dall'articolo 15 comma 1, lettere c) e d) del decreto-legge n. 91 del 2014, sostituiscono la disciplina di cui all'articolo 23 della legge n. 97 del 2013, con una procedura che prevede un'unica fase, delegificando l'individuazione delle soglie e dei criteri, che viene direttamente demandata ad un decreto interministeriale adottato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per i profili connessi ai progetti all'infrastrutture di rilevanza strategica, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni e previo parere delle competenti commissioni parlamentari;
   la lettera c) del comma 1 incide direttamente sul codice dell'ambiente integrando il disposto dell'articolo 6, comma 7, lettera c), del decreto legislativo n. 152 del 2006 prevedendo che, per i progetti elencati nell'allegato IV, parte seconda, siano emanate, con il citato decreto interministeriale, disposizioni volte a definire i criteri e le soglie per ciascuna tipologia di progetto prevista nell'allegato IV per l'assoggettamento alla procedura di screening, sulla base dei criteri stabiliti nell'allegato V;
   la successiva lettera d) riscrive il comma 9 dell'articolo 6 del codice dell'ambiente, stabilendo che le soglie fissate dal decreto interministeriale non sono da considerarsi sostitutive bensì integrative di quelle attualmente previste dall'Allegato IV, parte seconda, del medesimo codice;
   le nuove disposizioni contengono, inoltre, due norme transitorie:
    a) la prima, alla lettera c) del comma 1 stabilisce che, in attesa dell'entrata in vigore del decreto interministeriale in questione, lo screening è effettuato caso per caso, sulla base dei criteri stabiliti I all'allegato V del Codice dell'ambiente;
    b) la seconda, contenuta nel comma 3 dell'articolo 15, riguarda l'applicazione delle disposizioni dell'articolo 6, comma 8, del codice dell'ambiente, relative al dimezzamento delle soglie dimensionali per particolari progetti (di cui agli allegati III e IV) ricadenti all'interno di aree naturali protette o relativi agli elettrodotti facenti parte della rete elettrica di trasmissione nazionale. Tali disposizioni continuano ad applicarsi, ma solamente fino all'entrata in vigore del decreto interministeriale;
   prima dell'entrata in vigore delle modifiche introdotte dal decreto-legge n. 91 del 2014, la verifica di impatto ambientale era svolta sulla base di un elenco di progetti, allegato al decreto legislativo n. 152 del 2006, recepito dalla regione Toscana con la legge n. 10 del 2010, che prevedeva determinate soglie dimensionali al di sotto delle quali la normativa in materia di VIA non si applicava;
   l'amministrazione provinciale di Lucca, in data 25 luglio 2014, ha chiesto alla regione Toscana alcuni chiarimenti sulla materia oggetto della presente interrogazione e, in particolare, di fornire un indirizzo unitario al quale potessero uniformarsi le province toscane in attesa dell'emanazione del citato decreto interministeriale, proponendo un approccio procedimentale che prevedeva di valutare i progetti presentati dalle imprese «caso per caso», in modo tale da poter escludere le piccole attività con situazioni di evidente irrilevanza sotto il profilo dell'impatto ambientale, in quanto le disposizioni transitorie recate dall'articolo 15, comma 1, lettera c) del decreto-legge n. 91 del 2014, hanno reso inapplicabili le soglie dimensionali che stabilivano l'ordine di grandezza oltre la quale era necessaria la procedura di verifica di V.I.A.; conseguentemente tutte le categorie progettuali individuate nell'allegato IV al decreto legislativo n. 152 del 2006, indistintamente dalle dimensioni, devono essere sottoposte alla procedura di verifica di impianto ambientale;
   la regione Toscana ha risposto, in primo luogo, che non compete all'amministrazione regionale dettare agli enti locali indirizzi di carattere interpretativo della normativa statale in esame e che la disciplina transitoria contenuta all'articolo 15, comma 1, lettera c) del decreto-legge n. 91 del 2014 prevede che, nelle more dell'entrata in vigore del più volte citato decreto interministeriale con il quale si individueranno i criteri e le soglie da applicare all'assoggettamento alla procedura di screening dei progetti di cui all'allegato IV, alla parte seconda del decreto legislativo n. 52 del 2006, la procedura di cui all'articolo 20, che disciplina la verifica di assoggettabilità a VIA, «è effettuata caso per caso sulla base dei criteri di cui all'allegato V»;
   secondo la regione Toscana ciò implica che:
    le soglie previste dal citato allegato IV e dagli allegati B1, B2 e B3 della legge regionale n. 10 del 2010, non sono più applicabili;
    nella fase transitoria, la procedura di assoggettabilità a VIA è effettuata unicamente con l'approccio «caso per caso» vale a dire su ogni progetto elencato nell'allegato IV sulla base dei criteri di cui all'allegato V, senza possibilità di ricorso agli automatismi determinati dall'applicazione delle soglie già stabilite dalla normativa statale e regionale e che, nella fase a regime, le soglie indicate dal decreto interministeriale non saranno sostitutive ma integrative di quelle attualmente stabilite dall'allegato IV;
    ogni diversa interpretazione che conduca, nella vigenza della fase transitoria, a escludere l'attivazione della procedura di assoggettabilità per uno o più progetti appartenenti all'elenco di cui all'allegato IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, contrasta con le finalità della norma in questione, che è proprio quella di superare, anche nell'immediato, le censure della Commissione europea riguardo alle modalità non corrette di determinazione di soglie da parte del legislatore nazionale e che ha portato alla procedura di infrazione;
   alla luce di quanto sopra esposto, secondo la regione Toscana, la proposta di operare una selezione dei progetti volta a escludere la verifica di assoggettabilità alla VIA non può essere considerata praticabile;
   la complessità della procedura e il numero di soggetti coinvolti, non fanno ben sperare riguardo al rispetto dei tempi di emanazione del decreto interministeriale di cui all'articolo 15 comma 1, lettere c), mentre la situazione sopra descritta starebbe determinando un notevole aggravio temporale dei procedimenti e maggiori oneri per le imprese, anche nei casi di piccole attività di evidente irrilevanza sotto il profilo di impatto ambientale –:
   se in relazione alle descritte modifiche in materia normative in materia di valutazione di impatto ambientale per la parte inerente alla verifica di assoggettabilità delle opere di cui all'articolo 6, comma 7, lettera c), del decreto legislativo n. 152 del 2006, sia corretta l'interpretazione secondo la quale, nelle more dell'approvazione del decreto interministeriale, non sono più applicabili le soglie previste dall'Allegato IV, parte seconda del codice dell'ambiente e se, conseguentemente, tutte le categorie progettuali ricomprese in detto Allegato IV, indistintamente dalle dimensioni, debbano essere sottoposte alla procedura di impatto ambientale. (5-03645)


   DE LORENZIS, MANNINO, SCAGLIUSI, L'ABBATE, NICOLA BIANCHI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, TOFALO, BENEDETTI, ROSTELLATO, PETRAROLI e SPESSOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   attualmente sono in procedura VIA (Valutazione impatto ambientale) quattro distinte, ma al contempo adiacenti istanze di permesso di «ricerca» in mare di idrocarburi localizzate nella «zona F» in prossimità delle coste pugliesi dell'adriatico meridionale, «d 80 F.R.-.GP» con estensione pari a 744,8 chilometri quadrati, «d 81 F.R.-.GP» con estensione pari a 749,9 chilometri quadrati, «d 82 F.R.-.GP» di 745,7 chilometri quadrati, «d 83 F.R.-.GP» con estensione pari a 745,3 chilometri quadrati con profondità che variano tra i 700 e i 1100 metri di profondità, proposte della «Global Petroleum Limited», una holding di un gruppo di società con sede in Australia e Londra;
   l'obiettivo delle quattro istanze consiste nell'individuazione, mediante prospezione geofisica attraverso l'acquisizione di nuovi dati sismici 2D, con la possibilità di acquisire dati sismici 3D, subordinata alla necessità di ottenere un maggiore dettaglio, di nuove riserve e giacimenti off-shore in un'ottica di sfruttamento delle risorse;
   come descritto dal proponente del progetto nella sintesi «non tecnica», «il metodo geofisico a riflessione è, tra tutti i metodi geofisici, il rilevamento più diffuso e si basa sulla generazione artificiale di un impulso che provoca nel terreno la propagazione di onde elastiche le quali, in corrispondenza di superfici di discontinuità, subiscono deviazioni con conseguenti rifrazioni e riflessioni. Quando le onde tornano in superficie vengono captate mediante sensori, consentendo di ottenere un'immagine tridimensionale del substrato, rivelando l'eventuale presenza, profondità e tipologia del giacimento»;
   per le prospezioni geofisiche è necessaria una sorgente di energia che emette onde elastiche ed una serie di sensori, detti idrofoni, che ricevono le onde riflesse e la tipologia scelta dal proponente del progetto prevede per l'acquisizione geofisica 2D, una tecnologia ad aria compressa eseguita da una nave in corrispondenza della zona in oggetto, detta «Air-Gun» «con una frequenza utilizzata tra i 100-1500 Hz, costituita da due camere cilindriche chiuse da due pistoni (pistone di innesco e di scoppio) rigidamente connessi ad un cilindro provvisto di orifizio assiale che libera in mare, istantaneamente, aria ad una pressione, compresa tra 150 e 400 atmosfere»;
   da uno studio di «Notarbartolo di Sciara & Birkun» del 2010, utilizzato anche dall'ISPRA per la redazione di documenti sulla presenza dei cetacei nei mari italiani, si apprende che nelle zone in questione sono presenti cetacei come la balenottera comune, il capodoglio, lo zifio, il delfino comune, la stenella striata, il tursiope e il grampo, queste ultime tre specie scelgono queste acque anche come zone riproduttive, e dallo studio ISPIDA «Strategia per l'ambiente marino, bozza» del 2012, si apprende che la tartaruga marina «caretta-caretta» frequenti regolarmente il mare Adriatico meridionale;
   studi dell'Ismar – CNR di Bologna hanno accertato la presenza di biocenosi dei coralli profondi, che può essere considerato come un «hot spot» di biodiversità nel piano batiale, in quanto ospita un elevato numero di animali di notevole interesse scientifico ed economico;
   le specie protette dalle convenzioni internazionali e dalla legislazione italiana, presenti nell'area rendono rischioso l'utilizzo di metodologie come gli «air-gun» in quanto diversi studi documentano come la tecnologia impiegata possa allontanare le specie, recare gravi danni, fino a portare alla morte i cetacei;
   sono del tutto assenti in letteratura scientifica, studi che possano indicare gli impatti ambientali degli «air-gun» sulla biocenosi dei coralli profondi per cui l'adoperare tali tecnologie senza conoscere i danni che potrebbero arrecare sarebbe un rischio non tollerabile e quindi, a detta degli interroganti, dovrebbe esser applicato il «principio di precauzione» richiamato dall'articolo 3-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   l'articolo 5, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 152 del 2006 definisce l'impatto ambientale come «l'alterazione qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, positiva e negativa dell'ambiente, inteso come sistema di relazioni fra i fattori antropici, naturalistici, chimico-fisici, climatici, paesaggistici, architettonici, culturali, agricoli ed economici, in conseguenza dell'attuazione sul territorio di piani o programmi o di progetti nelle diverse fasi della loro realizzazione, gestione e dismissione, nonché di eventuali malfunzionamenti»;
   considerando il riferimento legislativo sopra riportato, la sentenza del TAR Lecce n. 01341/2011, ha annullato i decreti ministeriali del provvedimento di pronuncia positiva di compatibilità ambientale concernente i progetti di realizzazione della prima fase del programma lavori collegato ai tre distinti permessi di ricerca «d 149 D.R.-NP», «d60 F.R.-NP», «d61 F.R.-NP», localizzati qualche miglio più a sud dei quattro progetti della «Global Petroleum Limited» in quanto «... l'intervento progettato, pur essendo suddiviso in singole frazioni anche al solo fine di soddisfare esigenze di snellezza procedimentale dell'impresa, appare riconducibile ad un unico programma imprenditoriale, la conseguenza che si registra sul terreno del doveroso assoggettamento a VIA è senz'altro quella di una analisi che tenga conto necessariamente dei cosiddetti impatti cumulativi» e aggiunge «Ciò significa che, pur a fronte di una pluralità di procedimenti amministrativi messi in moto dall'imprenditore, l'organo preposto a compiere la valutazione di impatto ambientale ha il preciso dovere di operarne la reductio ad unitatem, specie in presenza di elementi sintomatici della unicità di intervento»;
   la stessa sentenza chiarisce che: «nel caso di specie, del resto, la necessità di uno studio relativo agli impatti cumulativi derivanti dall'impiego del metodo di prospezione geofisica denominato air gun si coglie non appena si consideri non solo la particolarità del metodo di prospezione geofisica, ma anche le conseguenze sulla fauna marina» e aggiunge che «... se allo stato attuale delle conoscenze, appare sussistere anche una probabilità minima di collegare il cosiddetto fenomeno dello spiaggiamento dei cetacei lungo le nostre coste al disorientamento provocato da fortissime esplosioni percepibili dai medesimi mammiferi durante le indagini geosismiche (condotte in vista della ricerca di idrocarburi), la ricerca deve seguire metodiche meno invasive a tutela dell'ambiente»;
   le quattro istanze della «Global Petroleum Limited» possono essere considerate un unico programma imprenditoriale, di cui anche il proponente ne riconosce l'effettiva unicità in quanto nella sintesi non tecnica riconosce che: «il motivo per cui non è stata presentata una sola istanza per l'intera area oggetto di interesse deriva dal limite dimensionale dei titoli minerari, imposto per legge. Infatti, la legge del 9 gennaio 1991, n. 9, prevede che l'area del permesso di ricerca di idrocarburi debba essere tale da consentire il razionale sviluppo del programma di ricerca e non possa comunque superare l'estensione di 750 chilometri quadrati (Titolo II, articolo 6, comma 2). Per ottemperare a quanto richiesto dalla normativa, Global ha suddiviso l'area in 4 diverse istanze, inferiori a 750 chilometri quadrati»;
   la sentenza del Consiglio Stato, sezione V, 16 giugno 2009, n. 3849 sentezia che «La procedura relativa alla valutazione di impatto ambientale non può essere elusa a mezzo di un riferimento a realizzazioni o interventi parziali, caratteristici nelle opere da realizzarsi per «tronchi» o «lotti»;
   a detta degli interroganti si prospetta la stessa situazione già valutata dal TAR Lecce con le istanze dei permessi di ricerca «d 149 D.R.-NP», «d60 F.R.-NP», «d61 F.R.-NP»; da una parte un limite dimensionale legislativo non dovrebbe ostacolare una più ampia valutazione d'impatto ambientale che comunque si avrebbe in caso di parere favorevole da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dall'altra tale limitazione dimensionale dovrebbe limitare la volontà imprenditoriale a procedere con solo un'unica richiesta senza la pretesa di «invadere» un'area di mare ben più ampia dei 750 chilometri quadrati previsti dalla normativa di settore;
   l'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo n. 152 del 2006, terzo periodo, prevede che per le valutazioni d'impatto ambientale delle attività di prospenzione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, non vengano ascoltati i pareri degli enti locali posti in un raggio superiore alle 12 miglia dalle attività predette, nonostante queste attività possano avere delle ricadute su altre attività economiche locali come la pesca e il turismo –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative intenda adottare per tutelare l'ambiente marino;
   se il Ministro intenda rilasciare pareri contrari alle valutazioni ambientali per le quattro istanze di permesso di ricerca idrocarburi «d 80 F.R-.GP», «d 81 F.R-.GP», «d 82 F.R-.GP», «d 83 F.R-.GP», richieste dalla «Global Petroleum Limited»;
   se il Ministro intenda assumere iniziative per adottare una moratoria per le attività di prospezione e ricerca di idrocarburi in zone di mare dove sono localizzati regolarmente cetacei e dove siano state riscontrate biocenosi dei coralli profondi;
   se il Ministro intenda promuovere iniziative volte a far conoscere alla cittadinanza l'importanza degli «habitat prioritari marini» e della vita dei cetacei.
(5-03646)


   DE LORENZIS, PETRAROLI, SPESSOTTO e LIUZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   Eni spa Divisione Refining & Marketing – raffineria di Taranto ha ottenuto il parere di compatibilità ambientale mediante decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare DVA-573 del 27 ottobre 2011 al «Progetto di adeguamento delle strutture della Raffineria di Taranto per lo stoccaggio e la movimentazione del greggio proveniente dal giacimento denominato Tempa Rossa»;
   nell'ambito dell'istruttoria VIA sopracitata è stato approvato il piano di gestione delle terre (PGT) derivanti dagli scavi per la realizzazione delle opere previste dal progetto, che era stato predisposto in seguito ad una richiesta di integrazione (prot. DVA-2010-0024826 del 18/10/2010) da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, direzione valutazioni ambientali e in particolare, il documento ha permesso di pianificare l'ottemperanza alla richiesta di «effettuare la caratterizzazione delle terre e rocce da scavo in relazione a quanto previsto dall'allora vigente articolo 186 del D.Lgs. 152/06 e s.m.i.», inserendosi in una valutazione ambientale più ampia che ha abbracciato l'intero progetto Tempa Rossa;
   l'area della raffineria ricade all'interno di un sito di interesse nazionale ai sensi della legge n. 426 del 9 dicembre 1998 e successivo decreto autorizzativo del 10 gennaio 2000 e tra le attività eseguite in passato dal proponente, vi sono la caratterizzazione ambientale del sito, svolta in base ad una maglia 50 metri x 50 metri, sia sulle aree sede delle nuove installazioni che sulle aree di abbanco definitivo delle terre di scavo, i cui risultati sono stati approvati in sede di conferenza di servizi decisoria del 15 settembre 2005 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a seguito della validazione da parte di ARPA-dipartimento di Taranto;
   nel parere favorevole di compatibilità ambientale espresso dal CTVIA DVA-2011–0015363 del 24 giugno 2011 è riportato che nella realizzazione dei nuovi serbatoi, dell'impianto recupero vapori, del sistema di raffreddamento e delle relative opere complementari, verrà occupata una porzione di territorio indicativamente pari a circa 50.000 metri quadrati, attualmente inutilizzata e per la costruzione delle opere a terra si prevedono lo svolgimento di diverse attività tra le quali la rimozione della parte superficiale di suolo fino a 150/300 metri di profondità al di sotto del livello del terreno, eseguito con mezzi meccanici (scotico) e lo scavo generale di sbancamento eseguito con mezzi meccanici, scavi e riporti per la formazione delle piazzole dei serbatoi, per le adiacenti pipeways, per le strade ed i piazzali;
   nel sopracitato parere della CTVIA è specificato che il quantitativo di terreno movimentato per le attività on-shore, stimato in circa 666.300 metri cubi, è dovuto principalmente alla scelta progettuale di collocare la base dei nuovi serbatoi di stoccaggio a quota 4,5 metri sul livello del mare, al fine di garantire un'altezza massima delle strutture pari a circa 20,5 metri sul livello del mare ed inoltre si specifica che in alcune delle aree dove verranno realizzate le nuove installazioni sono presenti punti limitati (hot spot), ove è stata individuata la necessità di procedere all'asporto e smaltimento di circa 600 metri cubi di terreno risultato non idoneo per il riutilizzo e si specifica che tali attività dovranno essere prioritarie alla esecuzione degli interventi in questione e si aggiunge: «valutato che gli interventi previsti dal progetto Tempa Rossa non interferiscono con le operazioni di bonifica in atto e da attuare nel Sito di Interesse Nazionale di Taranto»;
   il decreto VIA indica, con la prescrizione di cui all'articolo 1, n. 3, «Aree SIN – i lavori previsti dal progetto potranno avere inizio soltanto dopo la conclusione della procedura di caratterizzazione ed eventuale bonifica delle aree a mare e a terra direttamente interessate, nel quadro delle indicazioni e degli obblighi dettati dal DM 26.2.2003 del MATTM e sulla base di quanto eventualmente specificato e prescritto al riguardo in sede di Conferenza dei Servizi dalla Direzione Generale per la Tutela del Territorio e delle Risorse Idriche. Qualora fosse necessaria la bonifica, la procedura in questione si riterrà conclusa – e quindi i lavori potranno essere iniziati – soltanto in presenza di Certificazione di Avvenuta Bonifica da parte dell'Autorità Competente, relativamente alla totalità delle aree oggetto dell'intervento»;
   gli esiti dell'integrazione di caratterizzazione effettuata nel 2011 hanno evidenziato un incremento dei quantitativi di terreno contaminato inizialmente previsti, da 650 metri cubi a 30.000 metri cubi e, pertanto, tali volumi rientrano comunque nel computo totale delle terre da movimentare nell'ambito del progetto Tempa Rossa e vanno conseguentemente a ridurre i quantitativi di terre e rocce conformi alle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC), quindi pulite ed idonee per il riutilizzo;
   in data 3 aprile 2014 nell'ambito dello stesso progetto «Adeguamento delle strutture della Raffineria di Taranto per lo stoccaggio e la movimentazione del greggio proveniente dal giacimento denominato Tempa Rossa» in merito al «Piano di Utilizzo terre e rocce da scavo ai sensi del DM 10 agosto 2012, n. 161» è stata presentata dal proponente istanza di verifica di assoggettabilità alla procedura di valutazione di impatto ambientale e nello studio preliminare ambientale il proponente ha previsto la realizzazione di uno scavo unico per tutta l'area, cioè uno scavo contestuale delle terre contaminate e di quelle non contaminate;
   con nota DVA-2014-0019907 del 26 ottobre 2014 la direzione generale per le valutazioni ambientali ha disposto reclusione della procedura di valutazione di impatto ambientale del progetto «Variante Piano di Gestione terra e rocce da scavo - Raffineria di Taranto, progetto “Tempa Rossa”»;
   a detta degli interroganti il parere favorevole espresso con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare DVA-573 del 21 ottobre 2011 al «Progetto di adeguamento delle strutture della Raffineria di Taranto per lo stoccaggio e la movimentazione del greggio proveniente dal giacimento denominato Tempa Rossa» non è stato inclusivo del reale stato di contaminazione dei suoli;
   sono dunque state avanzate due distinte istanze per valutare il «Progetto di adeguamento delle strutture della Raffineria di Taranto per lo stoccaggio la movimentazione del greggio proveniente dal giacimento denominato Tempa Rossa», la prima di valutazione d'impatto ambientale presentata dalla società ENI Spa in data 15 aprile 2010 e una seconda richiesta dello stesso proponente di assoggettabilità a VIA di solo una parte riguardante il medesimo progetto, presentata il 3 aprile 2014, entrambe riconducibili ad un unico programma imprenditoriale, con la evidente conseguenza, a detta degli interroganti che risulta imprescindibile, nell'analisi dell'opera soggetta a VIA, tenere conto dei cosiddetti impatti cumulativi;
   l'articolo 5, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 152 del 2006 definisce l'impatto ambientale come «l'alterazione qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, positiva e negativa dell'ambiente, inteso come sistema di relazioni fra i fattori antropici, naturalistici, chimico-fisici, climatici, paesaggistici, architettonici, culturali, agricoli ed economici in conseguenza dell'attuazione sul territorio di piani o programmi o di progetti nelle diverse fasi della loro realizzazione, gestione e dismissione, nonché di eventuali malfunzionamenti»;
   la sentenza del TAR Lecce n. 01341/2011 in merito a diverse istanze di valutazione di impatto ambientale riconducibili ad un unico progetto imprenditoriale afferma che: «pur a fronte di una pluralità di procedimenti amministrativi messi in moto dall'imprenditore, l'organo preposto a compiere la valutazione di impatto ambientale ha il preciso dovere di operarne la reductio ad unitatem, specie in presenza di elementi sintomatici della unicità di intervento»;
   la sentenza del Consiglio Stato, sezione V, 16 giugno 2009 , n. 3849 sentenzia che «La procedura relativa alla valutazione di impatto ambientale non può essere elusa a mezzo di un riferimento a realizzazioni o interventi parziali, caratteristici nelle opere da realizzarsi per “tronchi” o “lotti”»;
   sembrerebbe che gli interventi che si effettueranno per il progetto interferiscano con le operazioni di bonifica in atto e da attuare nel sito di interesse nazionale di Taranto;
   a detta degli interroganti i decreti emanati dovrebbero essere annullati e si dovrebbe ripetere la valutazione di impatto ambientale in modo che comprenda tutti i fattori espressi nei due distinti procedimenti –:
   se il Ministro condivida quanto espresso dagli interroganti in premessa e, se intenda annullare i due provvedimenti di esito favorevole alla valutazione di impatto ambientale predisponendo una nuova valutazione d'impatto ambientale unitaria. (5-03647)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nei mesi scorsi l'interrogante aveva rivolto puntuale interrogazione e denuncia sul grave stato degli scavi di Monti Prama segnalando l'incertezza della situazione gestionale e finanziaria degli stessi;
   nei giorni scorsi gli scavi sono stati oggetto di un raid di tombaroli che hanno approfittato dell'assoluta assenza di qualsiasi tipo di controllo nell'area oggetto di scavi;
   la rilevanza internazionale dei ritrovamenti necessitava, vista anche la precedente segnalazione, di un intervento diretto e preciso del Ministero; Ministero che è risultato, a giudizio dell'interrogante, totalmente inadempiente e incapace di assumere qualsiasi tipo di seria iniziativa;
   l'aver lasciato gli scavi di Monti Prama senza alcuna protezione e tutela, alla mercé di tombaroli e delinquenti, è un fatto di una gravità inaudita proprio per l'imponenza del lavoro che gli archeologi stavano portando avanti in condizioni di assoluta ristrettezza finanziaria e operativa;
   la profanazione di quel sito è un atto criminale ma lo è ancora di più averlo lasciato senza alcuna sicurezza;
   per questo motivo il Ministro interrogato o suoi delegati ad avviso dell'interrogante si dovrebbero dimettere per negligenza considerato che non è mai stata attivata alcuna seria precauzione a tutela della straordinaria campagna di scavi che era in corso;
   oltre due mesi fa l'interrogante denunciò la gravissima situazione degli scavi di Monti Prama, senza risorse finanziarie e senza alcuna protezione;
   era evidente che si trattava di uno Stato «strabico» e disattento;
   la risposta inaccettabile a quella denuncia fu un sopralluogo intempestivo e inutile del delegato che non solo secondo l'interrogante non fece niente per affrontare la questione ma ebbe l'idea improponibile di portare un Gigante al Quirinale;
   si è pensato solo all'esposizione al Quirinale ma è stata ignorata la gravissima situazione degli scavi;
   ora è giusto che i responsabili di questi fatti se ne assumano sino in fondo le conseguenze che sommate al disastro della necropoli di Bonorva non possono che portare alle loro dimissioni;
   anziché utilizzare la Brigata Sassari per mettere al sicuro le strade romane, dovrebbe essere utilizzato l'esercito per presidiare e tutelare la grande civiltà nuragica della Sardegna;
   oggi che quel sito è stato drammaticamente profanato da delinquenti tombaroli, quella denuncia assume la valenza di una gravissima responsabilità per coloro che l'hanno ignorata;
   ora chi dello Stato ha gestito quegli scavi, lesinando risorse, e mostrandosi incapace di comprendere il valore di quegli scavi deve trarne le conseguenze;
   i responsabili dinanzi a questo scempio ad avviso dell'interrogante devono dimettersi per manifesta incapacità e negligenza nel dare a questo patrimonio immenso la giusta attenzione e soprattutto le risorse finanziarie;
   lasciare di fatto incustodito quel patrimonio, quegli scavi è di una gravità inaudita;
   mai sarebbe successo a Pompei o al Colosseo;
   i Giganti di Monti Prama sono molto più antichi di qualsiasi altro sito e questo atteggiamento dello Stato è davvero scandaloso e colpevole;
   si stanno ancora utilizzando le risorse finanziarie che l'interrogante sollecitò negli anni passati al Ministro pro tempore Bondi e niente in questi ultimi anni è stato fatto per salvaguardare questo sito;
   è necessario porre fine a questa perenne negligenza nei confronti della civiltà nuragica della Sardegna –:
   se non ritenga di dover trarre le conseguenze da questi fatti delittuosi nei confronti dell'antica civiltà prenuragica e nuragica;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per stanziare urgentemente adeguate risorse per la salvaguardia e il recupero del sito di Monti Prama;
   se non ritenga di dover chiedere l'ausilio del Ministero della difesa per garantire un'apposita protezione e sicurezza a siti di tale importanza;
   se non ritenga di dover lasciare gli scavi in capo agli archeologi che sino ad oggi hanno operato con grande professionalità e scienza. (5-03653)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BURTONE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il complesso archeologico della Purità a Catania è un luogo di enorme importanza archeologica;
   negli anni scorsi, con finanziamenti europei, sono stati effettuati lavori di scavi con ritrovamenti di grande importanza culturale, purtroppo sospesi per mancanza di risorse;
   recentemente, a seguito di proteste scritte e di articoli pubblicati nella stampa locale, la soprintendenza di Catania ha fatto delle visite ispettive e ha evidenziato l'occupazione abusiva dell'antica area archeologica con la presenza di una vera e propria baraccopoli;
   sono state stanziate altre risorse europee per la riqualificazione della suddetta area, è stata indetta la gara d'appalto ed è stata assegnata alla ditta aggiudicatrice;
   è nato un contenzioso con un'altra ditta, definito probabilmente a fine agosto 2014 con un pronunciamento del Tar Catania –:
   quali iniziative intenda adottare per riavviare la valorizzazione della zona archeologica di grande interesse culturale ed evitare che l'area venga occupata da ospiti abusivi. (4-06142)


   NICCHI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel 2005 nella proprietà di Leonardo Berti situata nella frazione di Aiano-Torraccia di Chiusi nel comune di San Gimignano, è stata rinvenuta una villa romana del terzo secolo dopo Cristo;
   la dimora di un nobile romano, probabilmente un proconsole dell'impero, è stata riportata alla luce con un lavoro di scavo durato dal 2005 al 2012;
   è stata una scoperta monumentale e inattesa, intuita già negli anni Venti dal grande archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli e svelata in parte all'inizio degli anni Settanta, lungo la via Francigena;
   centinaia di persone hanno scavato a forza di pale, ripulito, restaurato, inventariato un capolavoro accostabile alla Villa del Casale di Piazza Armerina;
   fino ad ora sono stati spesi più 220 mila euro, fra gli sponsor l'università cattolica di Lovanio, in Belgio (che ha la concessione dello scavo), la Fondazione Monte dei Paschi, l'Università di Firenze e il comune di San Gimignano;
   il signor Leonardo Berti, pensionato e proprietario del terreno è stato dichiarato fallito dal tribunale di Siena, e i suoi beni andranno all'asta. Compreso il terreno in cui sono stati ritrovati i preziosi reperti archeologi, di cui 2.500 metri quadrati scavati forse invano;
   non è possibile pagare l'indennizzo di occupazione (500 euro l'anno) a chi è in stato di fallimento, e non si può identificare legalmente il soggetto al quale versare la somma. Da quasi tre anni gli scavi sono fermi e potrebbero non riprendere più. Per proteggere il sito dalle intemperie, la sovrintendenza potrebbe ordinare di ricoprirlo e a quel punto non ci sarebbero più certezze sul destino della villa;
   il comune di San Gimignano ha proposto al tribunale di Siena il frazionamento della proprietà, per poter acquisire solo il terreno e non mandare tutto a monte stanziando 40 mila euro per l'acquisto del terreno ma non c’è stata ancora risposta dal giudice;
   si è in presenza di un fallimento la procedura di esproprio per pubblica utilità non è applicabile e la soluzione percorribile da subito, come chiesto dal comune di San Gimignano al tribunale di Siena, sarebbe il frazionamento del terreno della proprietà affinché il comune stesso acquisisca la parte di terra dove si trova l'antica villa –:
   se non intenda fare luce sulla vicenda della villa romana rinvenuta nel 2005 a San Gimignano che adesso rischia di essere nuovamente interrata, soffocata dalla burocrazia dopo il fallimento del proprietario del terreno;
   quali iniziative concrete intenda intraprendere per evitare l'ulteriore deterioramento dell'inestimabile tesoro di San Gimignano. (4-06159)

DIFESA

Interrogazione a risposta orale:


   RABINO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il volontario in ferma prefissata di 1 anno (VFP1), istituito dalla legge 23 agosto 2004 n. 226 (legge Martino), è un militare delle forze armate italiane, che presta servizio nel periodo di 1 anno, nell'Esercito, nella Marina militare o nell'Aeronautica militare e costituisce il primo livello di accesso alle forze armate italiane in modo volontario. L'ammissione alla ferma avviene tramite concorso pubblico per titoli e previo giudizio di idoneità psicofisica al servizio militare incondizionato, entro il compimento del 25esimo anno di età;
   la ferma dei VFP1 è annuale, rinnovabile per due successive rafferme e il compimento di un anno effettivo di servizio consente di partecipare ai concorsi per il reclutamento dei volontari in ferma prefissata di 4 anni (VFP4) nelle altre forze armate italiane, entro il compimento del 30esimo anno di età;
   al termine della ferma quadriennale, i volontari potranno inoltrare domanda utile a concorrere per i concorsi riservati per la nomina a volontario in servizio permanente (VSP) ed il transito nella categoria dei graduati, divenendo quindi militare professionista a tutti gli effetti e fruendo del rapporto di lavoro a tempo indeterminato;
   il passaggio in servizio permanente avviene attraverso un concorso a numero chiuso, per titoli maturati negli anni e per immissione. Nel caso di non transito, il militare VFP4 avrà diritto ad una rafferma di due anni, durante la quale potrà nuovamente accedere al concorso VSP e, nel caso in cui, nemmeno in questi due anni riuscisse a transitare, usufruirebbe di un'ulteriore ed ultima rafferma di due anni;
   il problema reale va rintracciato nei numeri, in quanto, i posti disponibili per divenire volontari in servizio permanente risultano nettamente inferiori al numero degli arruolati (intorno ad un quinto) e, sostanzialmente, moltissimi militari Vfp potrebbero, dopo un lungo periodo di servizio allo Stato italiano, ritrovarsi a 38 anni nella condizione di disoccupati, con grosse difficoltà a ricollocarsi, sia per ragioni di età che di specificità della loro esperienza lavorativa –:
   quali urgenti iniziative intenda attuare al fine di ridimensionare il precariato militare e se non ritenga opportuno rimodulare i concorsi di accesso al servizio permanente (VSP) per i volontari in ferma prefissata (VFP), adattando la disponibilità degli accessi al numero degli arruolati proporzionalmente alle esigenze del Ministero della difesa. (3-01051)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZOLEZZI, ARTINI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, TERZONI e SEGONI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 7 agosto 2013 il quotidiano on line «Huffington Post.it» pubblicava un articolo dal quale si veniva a conoscenza che: «La flotta di elicotteri delle nostre forze armate è a rischio contaminazione: innumerevoli modelli attualmente in dotazione a Esercito, Marina, Aviazione e Carabinieri sarebbero in pratica scatole volanti piene di amianto». E questa situazione andrebbe avanti da oltre quindici anni, nel silenzio più assoluto delle autorità. E ciò che si scopre leggendo una recentissima quanto conflittuale corrispondenza fra il Ministero della salute e l'azienda che li ha fabbricati, l'Agusta Westland. In tale carteggio, è la stessa azienda a definire gli apparecchi «inquinati». Come noto, l'Huffington Post ha potuto analizzare questa corrispondenza – adesso in mano ai magistrati delle procure militari di Roma e Napoli – grazie alla segnalazione del Partito per la tutela dei diritti dei militari. Da tale documentazione risulta evidente, come già dopo il 1992 (anno della legge che bandisce l'impiego dell'amianto), la controllata di Finmeccanica avesse debitamente, e dettagliatamente, provveduto a informare la Difesa su quali e quanti modelli di velivoli da loro prodotti contenessero asbesto, in quali e quante parti delle rispettive carlinghe. Si legge, infatti, in proposito, che nella lettera del 6 giugno 2013 inviata dall'Agusta Westland al Segretariato generale della difesa e direzione nazionale degli armamenti «Sin dal 1996 abbiamo trasmesso l'elenco di tutti i materiali “pericolosi” presenti sui nostri elicotteri», ossia quanto scritto nella loro lettera del 6 giugno 2013 inviata dall'Agusta Westland al segretariato generale della difesa e direzione nazionale degli armamenti, a dimostrazione del fatto che il Ministero semplicemente non poteva non sapere;
   dall'articolo si apprendeva, inoltre, che il Ministero della difesa, pur essendo a conoscenza della gravissima situazione, non avrebbe mai provveduto alla bonifica degli elicotteri contenenti amianto, né tantomeno avrebbe informato (circostanza gravissima) gli equipaggi dei notevoli rischi cui erano giornalmente sottoposti durante l'orario di lavoro, violando in tal modo, quanto stabilito dagli articoli 32 e 117 della Costituzione;
   la legge n. 257 del 1992, anticipando quanto sostenuto dalla recente direttiva 2009/148/CE detta le norme per la messa al bando di tutti i prodotti contenenti amianto, vietandone l'estrazione, l'importazione, la commercializzazione nonché la produzione di amianto e di prodotti che lo contengono, secondo un preciso programma di dismissione che definisce i criteri per il finanziamento delle imprese interessate alla riconversione produttiva e per i benefici previdenziali a favore dei lavoratori occupati nella produzione dell'amianto;
   con la legge n. 271 del 1993 venivano estesi tali benefici a tutti i lavoratori professionalmente esposti ad amianto. Il legislatore, tuttavia, non si limitava a prescrivere la cessazione dell'impiego dell'amianto ma metteva in evidenza alcuni problemi considerati particolarmente rilevanti ai fini della tutela della salute pubblica, connessi alla presenza nell'ambiente di prodotti di amianto liberamente commercializzati ed installati in precedenza;
   il decreto legislativo n. 81 del 2008, ovvero il testo unico sulla salute e sicurezza dei luoghi di lavoro, prevede delle forme di tutela dei lavoratori nei vari ambienti di attività, dai diversi agenti chimici cui possono venire in contatto. Tra questi, viene considerato anche l'amianto. In particolare, l'articolo 254 del decreto, stabilisce che il valore limite di esposizione all'amianto deve essere pari a 0,1 fibre per centimetro cubo di aria, misurato come media ponderata nel tempo di riferimento di otto ore, ponendo a carico dei datori di lavoro il controllo, affinché nessun lavoratore sia esposto ad una contaminazione di amianto nell'aria, che superi il valore limite. Il datore di lavoro, conseguentemente, (ex articolo 249 valore limite) è tenuto a valutare i rischi dovuti alla polvere proveniente dall'amianto e dai materiali che lo contengono, al fine di stabilire la natura e il grado dell'esposizione e le misure preventive da attuare, affinché non venga superato il prescritto valore limite di esposizione, di cui al predetto articolo 254. Ai fini del rispetto di questo valore limite, il datore di lavoro ha, altresì, l'obbligo di effettuare periodicamente la misurazione della concentrazione di fibre di amianto nell'aria del luogo di lavoro (ex articolo 253 controllo dell'esposizione). I campionamenti che vengono effettuati a tale fine devono avvenire sempre previa consultazione dei lavoratori ovvero dei loro rappresentanti;
   nel quarto rapporto Registro nazionale mesoteliomi del 2012, ovvero il sistema di sorveglianza epidemiologica istituito ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 308 del 2002, redatto dal settore ricerca dipartimento di medicina del lavoro dell'Inail veniva affermato che: «Fra gli agenti cancerogeni, l'amianto si caratterizza per una serie di fattori di particolare pericolosità, legati alle quantità del materiale usato, in una gamma assai ampia di attività industriali, al numero di lavoratori esposti, alle ricadute in termini di matrici ambientali contaminate, con conseguenze di rischi per la salute non solo negli ambienti di lavoro. La legge che nel 1992 ha bandito l'impiego dell'amianto ha posto l'Italia tra le nazioni che hanno condotto una politica di contrasto, di controllo e di prevenzione dei rischi specifici. Restano, tuttavia, ancora aperte le questioni della bonifica e del risanamento ambientale, della sorveglianza epidemiologica e sanitaria per la prevenzione primaria e secondaria, della tutela dei soggetti ammalati»;
   inoltre, sempre nel documento sopracitato venivano riportate compiutamente delle percentuali inerenti ai casi di mesotelioma maligno riscontrati in alcuni lavoratori e più specificatamente tra coloro prestanti attività di servizio nella Cantieristica navale, la percentuale risulta essere del 9,6 per cento nei trasporti terrestri ed aerei del 6,3 per cento, nella portualità e trasporto marittimo del 5,5 per cento ed infine nella difesa militare del 2,6 per cento. Nel quarto rapporto si evince anche che per quanto riguarda gli elicotteri militari: «Risulta che la scatola del rotore può essere coibentata con amianto e durante le manutenzioni programmate (ogni 30 ore di volo) debba essere smontata e revisionata. È segnalato inoltre la presenza di pannellature in amianto inserite nei pianali»;
   il Ministro della difesa in risposta ad un'interrogazione a risposta in Commissione (Artini e altri n. 5-00945) in cui si sollevava il problema qui riportato ovvero quello relativo alla presenza di amianto a bordo degli elicotteri Augusta Westland rispondeva che: «l'impegno finalizzato a garantire che il personale non venisse sottoposto ad esposizioni all'amianto oltre il prescritto valore limite, non si è limitato soltanto ai componenti degli elicotteri, ma ha riguardato, fin dalla sua messa al bando, tutti i mezzi e tutte le strutture delle Forze armate»; ma anche che: «non è realistica, tuttavia, la prospettiva di una rimozione integrale della presenza di amianto, che, peraltro, possiamo trovare ancora in grandi quantità anche nelle fabbriche, negli edifici privati e pubblici e nell'ambiente» –:
   quali misure il Ministro della difesa abbia assunto a tutela dell'ambiente e del diritto alla salute del personale civile e militare della difesa sia nella loro attività operativa che manutentiva, in relazione alla necessità di predisporre aggiuntive azioni e misure di protezione per il personale della difesa così come annunciato dal Ministro competente il 20 ottobre 2013;
   se risulti, ai ministri interrogati per le rispettive competenze, che per le attività lavorative che comportano per i lavoratori, un'esposizione da amianto, sia stato redatto un documento di valutazione dei rischi al fine di stabilire la natura e il grado dell'esposizione e le misure preventive e protettive da attuare nonché il controllo dell'esposizione ai sensi del combinato disposto degli articoli 249 e 254 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 recante «Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro» ed in relazione all'osservanza delle linee guida ministeriali per il corretto smaltimento dell'amianto e dei materiali e rifiuti contenenti amianto. (4-06147)


   CORDA, ARTINI, ALBERTI, BASILIO, FRUSONE, RIZZO, PAOLO BERNINI, GALLINELLA e COLONNESE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 ottobre 2013 il Capo di Stato Maggiore della difesa ammiraglio Luigi Binelli Mantelli avrebbe inaugurato la base militare italiana di Gibuti;
   secondo le dichiarazioni dello stesso ammiraglio si tratterebbe della prima, vera base logistico operativa fuori dai confini nazionali, una infrastruttura di ben 5 ettari di superficie che ospita i primi cento militari che saliranno a trecento entro la fine dell'anno quando la base sarà pienamente operativa;
   sempre secondo queste dichiarazioni la base sarà il quartier generale dei marò impegnati nella protezione dei cargo dagli attacchi dei pirati ma anche la base di team di forze speciali pronti a vari tipi di interventi, dall'antiterrorismo alla liberazione di ostaggi;
   attualmente il comando della base sarebbe affidato a un colonnello, grado evidentemente troppo elevato per essere un semplice un punto di appoggio logistico;
   nella risposta ad una precedente interrogazione, il sottosegretario Gioacchino Alfano aveva affermato testualmente che la base sarebbe servita a ospitare «personale militare costantemente pronto all'imbarco e all'impiego, nonché della connessa e necessaria struttura info-operativa, di supporto e di sicurezza, destinata ad assicurare una complessiva maggiore efficacia delle azioni di contrasto» al fenomeno della pirateria;
   nessun cenno invece alla programmata presenza di unità delle forze speciali, come invece lascia intendere l'ammiraglio Binelli Mantelli e come si evince dal numero di 300 militari presenti a Gibuti, considerando che i nuclei militari di protezione della marina militare sono una decina e sono composti da sei uomini ciascuno –:
   se risponda al vero che la base di Gibuti sia stata effettivamente inaugurata, che vi operino già un centinaio di militari italiani e se risponda a verità che sia destinata a ospitare entro la fine del 2013 circa 300 militari italiani;
   se sia vero che sia attualmente al comando di un colonnello e a chi sarà affidato il comando stesso quando raggiungerà la sua piena operatività;
   se risponda a verità che vi saranno stanziati, oltre a uomini dei nuclei di protezione dei mercantili, anche unità delle forze speciali italiane;
   chi abbia, nel caso, autorizzato l'impiego nell'area di questi reparti e con quali finalità;
   se il Governo non reputi urgente e necessario sottoporre al Parlamento la ratifica dell'accordo tra la Repubblica del Gibuti e la Repubblica Italiana affinché il Parlamento sia edotto dei costi dell'operazione, dei termini di cessione all'Italia di parte del territorio di Gibuti e lo status della base. (4-06148)


   CORDA, ARTINI, BASILIO, PAOLO BERNINI, FRUSONE, RIZZO e TOFALO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   secondo la programmazione delle esercitazioni a fuoco per il 2° semestre 2014 del poligono di Capo Frasca in Sardegna, la Israelian Air Force sarà presente con diversi esemplari di cacciabombardieri F-15 e F-16;
   si tratta degli stessi aerei impegnati in queste ore nei bombardamenti sulla striscia di Gaza che stanno facendo centinaia di vittime, moltissime tra i civili, non risparmiando neanche le scuole e i rifugi sotto il controllo dell'Onu;
   appare agli interroganti del tutto inopportuno mantenere una esercitazione con le forze armate israeliane fino a quando Israele non cesserà le ostilità nei confronti della popolazione palestinese di Gaza e perdurerà l'assedio militare che — si ricorda — per il diritto internazionale rappresenta a tutti gli effetti un deliberato atto di guerra;
   se il Governo non reputi doveroso, anche come pressione politica nei confronti delle autorità israeliane, assumere iniziative per cancellare l'esercitazione aerea prevista a Capo Frasca nel mese di settembre 2014. (4-06149)


   RIZZO, ARTINI, BASILIO, TOFALO, PAOLO BERNINI, FRUSONE e CORDA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel lontano 1937 – XVI anno dell'era Fascista, con il regio decreto a firma del «Capo del Governo, Primo Ministro, Ministro per la Marina», Benito Mussolini, veniva istituito l'ente «Circoli della Regia Marina», e con tale decreto tra l'altro veniva imposto al personale l'obbligo di pagare una quota, pena provvedimenti disciplinari;
   la Marina è stata tra le prime a prevedere «aree di convegno e organizzazioni sportive e ricreative con lo scopo di rinforzare i vincoli di solidarietà marinara» (articolo 6 dello statuto);
   nel corso dei decenni nell'ambito dell'Amministrazione difesa sono nati gli O.P.S. (organismi di protezione sociale), i cui intenti sono riportati nella circolare SMD-G-023 del 1997;
   secondo il Co.Ce.R. Sez. Marina esisterebbero diversi paradossi connessi all'esistenza di questo ente, come: le presidenze e i consigli direttivi imposte dal Ministro per la presidenza centrale e dagli alti comandi per le presidenze periferiche e non eletti dai soci; i bilanci non approvati dai soci, ma dalla presidenza dell'ente;
   essendo sconosciuti ai soci non è possibile sapere se i bilanci sono separati fra ufficiali e sottufficiali;
   vi è l'obbligo di pagare una quota trattenuta direttamente dallo stipendio. L'articolo 9 dello statuto recita infatti che qualora i soci si «rendessero morosi ... saranno perseguibili con provvedimenti disciplinari ed amministrativi senza perdere la qualità di soci»;
   i militari soci nonostante partecipino economicamente alla vita dell'ente, non possono esprimere il proprio parere e/o condivisione sulla gestione anche economica dello stesso;
   nei singoli circoli non solo il personale militare, ma anche civile, è destinato presso tali circoli; in alcuni casi si è passati alla esternalizzazione di alcuni servizi;
   i sottocapi/graduati in Spe non possono frequentare i circoli, perché non è loro consentito diventarne soci, però possono essere impiegati per fare i camerieri e i baristi;
   dal 1995 anno di istituzione della categoria graduati/sottocapi, proprio coloro che percepiscono stipendi più bassi si trovano senza la possibilità di usufruire dell'ente circoli né tanto meno di circoli O.P.S.;
   con la delibera del settembre 2013, il COCER Marina per l'ennesima volta è tornato sulla questione, chiedendo di unificare l'ente ed uscire dall'anacronistica separazione dei soli ufficiali, dei soli sottufficiali e niente per i graduati, unificare, quindi, in un'unica gestione l'ente inglobando la categoria più «debole» economicamente;
   in caso di mancato coinvolgimento dei sottocapi/graduati nell'ente circoli Marina il COCER ha chiesto la trasformazione delle strutture dell'Ente Circoli in O.P.S. consentendo comunque il libero accesso a tutti, così come avviene nelle altre Forze armate, indistintamente dal grado e dal corpo di appartenenza. Infatti a livello interforze, in aderenza alle disposizioni del Capo di Stato Maggiore della Difesa (SMD-G-023) esistono circoli e sale convegno che possono essere usufruite a livello interforze e intercategorie –:
   se i bilanci di entrate ed uscite siano separati fra sottufficiali e ufficiali;
   se il Ministro, che nomina il presidente dell'Ente circoli, abbia intenzione di fornire ogni elemento utile circa i bilanci analitici degli ultimi 5 anni per le entrate a livello nazionale e per singoli circoli presenti nelle vari sedi italiane (evidenziando le cause di eventuali deficit di bilancio);
   quali siano i motivi della nutrita presenza di dipendenti civili della difesa destinati presso gli stessi enti anche in maniera proporzionata come ad esempio il Circolo sottufficiali di Taranto dove parrebbero esserci oltre 50 dipendenti, nonostante le esternalizzazioni di alcuni servizi;
   quali siano i motivi della presenza di sottocapi/graduati in Spe destinati con incarichi di cameriere o barista, sottratti all'attività operativa nonostante ci siano risorse economiche dei soci ed esternalizzazioni;
   se il Ministro non intenda assumere iniziative per superare la divisione tra ufficiali e sottufficiali nella frequentazione dei circoli, inserendo fra i soci anche i sottocapi/graduati, richiedendo loro quote minori proporzionate al proprio stipendio, superando l'anacronistica distinzione tra ufficiali, sottufficiali ed graduati;
   se non reputi opportuno assumere iniziative per la modifica dello statuto, per chiudere l'ente e trasformare tali strutture in circoli con gestioni di organismi di protezione sociale (O.P.S.), come avviene nelle altre Forze armate e Corpi armati in aderenza alla circolare dello Stato Maggiore Difesa. (4-06152)


   FRUSONE, RIZZO, ARTINI, CORDA, PAOLO BERNINI, BASILIO e TOFALO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la Gazzetta Ufficiale del 29 gennaio 2014 pubblica un bando di gara per l'allestimento delle tribune su via dei Fori Imperiali a Roma per il 68o anniversario della Repubblica del 2 giugno 2014;
   l'importo base della gara è di 888.974 euro, IVA compresa;
   oltre all'esorbitante costo delle tribune, destinate ad accogliere le autorità e gli invitati alla manifestazione, la parata militare che si svolgerà il 2 giugno prossimo comporterà enormi spese per far affluire a Roma migliaia di militari con conseguenti costi di trasferte, indennità varie, vitto e alloggio e straordinari;
   le passate edizioni sono costate, secondo dati forniti a suo tempo dal Ministero della difesa, tra i 2,9 e i 4,4 milioni, cifre del tutto incongrue per un Paese alle prese con la crisi economica distruttiva, con la povertà delle famiglie in aumento e milioni di giovani senza lavoro –:
   quale sia il costo previsto per la parata militare del 2 giugno 2014 a Roma;
   se non ritenga di dover annullare la stessa sostituendola con una cerimonia di altro tipo e di destinare ad altri scopi i fondi ad essa destinati. (4-06153)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ANZALDI, MAGORNO, FAMIGLIETTI, CARRA, GELLI e OLIVERIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è stata resa nota da Il Velino una documentata analisi, concernente gli investimenti pubblicitari effettuati, nel nostro Paese, nel corso dell'ultimo anno, dai concessionari del gioco d'azzardo, finalizzati a promuovere i propri prodotti;
   nel solo 2013 gli operatori del gioco hanno investito in Italia ben 105 milioni di euro, di cui il 37 per cento per il gioco online, il 31 per cento per Lotterie e Gratta e Vinci, il 24 per cento sulle scommesse e l'8 per cento sulle slot;
   quanto ai canali di diffusione, il 52 per cento viene investito in pubblicità televisiva, il 26 per cento riguarda il web, l'8 per cento quotidiani e periodici, il 7 per cento va alle radio, e una ulteriore quota nei cosiddetti mezzi outdoor;
   alcune delle convenzioni attualmente vigenti impongono addirittura al concessionario l'obbligo di fare pubblicità;
   per Sisal, il famoso Superenalotto, c’è un obbligo di investimento pubblicitario pari all'1,2 per cento della raccolta dell'anno precedente, mentre per Gtech ci sono altre condizioni come lo 0,5 per cento della raccolta dell'anno precedente più 5 milioni di euro per campagne sociali per quanto riguarda il Gratta e Vinci, e il 7 per cento del guadagno netto rispetto all'anno precedente per il Lotto;
   è, quindi, del tutto evidente che il cosiddetto «decreto Balduzzi», il decreto-legge n. 158 del 2012, nel quale sono stati introdotti i limiti e le sanzioni per il contrasto ai fenomeni patologici legati al gioco d'azzardo non ha prodotto fino ad ora gli effetti sperati;
   oggi in Italia si stima che i giocatori d'azzardo siano circa 32 milioni, pari al 54 per cento della popolazione fonte Dipartimento politiche anti droga della Presidenza del Consiglio e secondo un'indagine del Codacons, il 50 per cento dei disoccupati italiani presenta forme più o meno gravi di dipendenza dal gioco, e risultano affetti da ludopatia il 33 per cento dei giocatori di videolottery, il 25 per cento delle casalinghe e il 17 per cento dei pensionati e degli studenti;
   la rilevanza della questione e la sua evidente delicatezza per il profilo sociale che riveste, necessiterebbe di risposte maggiormente efficaci, adottando, ad esempio, lo stesso criterio già assunto nel nostro Paese per quanto concerne il divieto assoluto di pubblicità di alcool e fumo;
   una, ulteriore, soluzione da adottare potrebbe essere quella di destinare allo Stato, alle regioni e agli enti locali, gli importi attualmente previsti dalle vigenti concessioni per il Superenalotto, Lotto e Gratta e Vinci, in materia di pubblicità, vincolandoli a misure di contrasto nei confronti delle cosiddette ludopatie;
   questo consentirebbe di trovare un giusto equilibrio tra concessionari e misure di carattere sociale senza incentivare la diffusione del gioco d'azzardo clandestino che risulta già essere molto invasivo e controllato da organizzazioni criminali;
   questi obblighi potrebbero poi essere assunti anche nell'ambito delle altre convenzioni in essere, da rinnovare o da stipulare ex novo –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere, con urgenza, per:
    a) vietare radicalmente nel nostro Paese, come già avviene per alcool e fumo, la pubblicità del gioco d'azzardo;
    b) rendere pubblico come siano stati spesi e i destinatari degli investimenti pubblicitari in relazione anche agli obblighi di concessione per il periodo intercorso dalla applicazione del cosiddetto «decreto Balduzzi»;
    c) modificare le attuali convenzioni di concessione relative al Superenalotto, Lotto e Gratta e Vinci, trasformando l'obbligo a carico dei concessionari di effettuare iniziative pubblicitarie in obbligo di trasferire le medesime risorse allo Stato, ai comuni ed alle regioni per finanziare progetti e programmi di prevenzione e cura delle ludopatie e conseguentemente modificare le altre convenzioni per l'offerta di servizi da gioco. (5-03651)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NICOLA BIANCHI e DE LORENZIS. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa, società per azioni il cui capitale è al 100 per cento dello Stato, svolge servizi essenziali per i cittadini. Negli ultimi anni il gruppo Poste italiane ha esteso notevolmente l'area delle proprie attività, diventando sempre di più un punto di riferimento per i cittadini anche nel settore bancario e nel settore assicurativo. Grazie alla varietà dei servizi forniti e alla presenza capillare su tutto il territorio nazionale oggi può vantare una clientela pari a circa 40 milioni di persone;
   l'azienda ha approvato nell'adunanza del 28 settembre 2009 del consiglio di amministrazione un codice etico secondo cui, tra le altre cose, «l'attenzione al cliente è perseguita con competenza, professionalità, cortesia, trasparenza, correttezza e imparzialità, nella consapevolezza che è importante garantire la soddisfazione delle aspettative e consolidare la fiducia nel Gruppo»;
   l'articolo 2, comma 1, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 gennaio 1996 («Carta della qualità del servizio pubblico postale») prevede, inoltre, che Poste promuova «a favore dei portatori di handicap, degli anziani e dei clienti in condizioni particolari, facilità di accesso e rapporto diretto agli sportelli»;
   non tutti gli uffici postali presenti in Italia, però, possiedono le caratteristiche necessarie per rispondere adeguatamente alle esigenze della clientela. I maggiori disservizi registrati sono spesso causati dalla carenza o dalla cattiva gestione del personale e dall'esiguità degli spazi. Quest'ultima determina, talvolta, sovraffollamento dei locali con conseguenti problemi legati alla sicurezza dei clienti e dei dipendenti. Negli uffici dove lo spazio è particolarmente ristretto, inoltre, è difficile, se non impossibile, che sia rispettato il diritto alla riservatezza dei clienti durante lo svolgimento delle operazioni postali;
   in particolare, ad esempio, risulta agli interroganti che l'ufficio postale del comune di Irgoli, nel nuorese, presenta la gran parte delle criticità suddette. Il locale adibito ad ufficio postale è di esigue dimensioni e riesce a contenere soltanto un limitato numero di persone, causando pertanto numerosi disagi per gli utenti. La limitatezza dello spazio all'interno del locale, infatti, provoca inevitabilmente l'assoluta mancanza di rispetto della privacy nell'effettuare le operazioni di sportello. La maggior parte della clientela, inoltre, è quotidianamente costretta a sostenere lunghe attese al di fuori dell'ufficio, correndo anche rischi per la propria incolumità, trovandosi il locale su strada e, tra l'altro, nei pressi della fermata del bus scolastico. L'accesso per i disabili, inoltre, appare non sicuro e inadeguato per dimensioni –:
   di quali elementi i Ministri interrogati dispongano in merito alle problematiche esposte in premessa;
   se nei programmi di Poste italiane spa, azienda a totale partecipazione pubblica, risultino iniziative per rendere maggiormente fruibile il servizio all'utenza. (4-06155)


   NICOLA BIANCHI, DE LORENZIS e SPESSOTTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Postel spa, società con socio unico del gruppo Poste italiane, operante nel settore dei servizi di comunicazione destinati alle aziende e alla pubblica amministrazione, ha recentemente attuato il trasferimento di 17 lavoratori dalla sede di Pomezia (via Campobello n. 43) alla sede di Roma di viale Europa n. 175;
   tale trasferimento è avvenuto a poco più di due anni di distanza dallo spostamento, alla fine del 2011, di 77 risorse di Postel spa presso la suddetta sede di Pomezia dagli uffici di Roma siti in via Massaia n. 31, in seguito al rilascio dell'immobile che ospitava complessivamente 284 lavoratori. I restanti 207 lavoratori di via Massaia, invece, sono stati contestualmente trasferiti nello stabile di viale Europa 175 Roma;
   lo spostamento collettivo del 2011 da Roma a Pomezia, ad avviso degli interroganti, non ha in alcun modo agevolato né logisticamente né strategicamente le attività aziendali. Dopo poco tempo, infatti, l'azienda ha ritenuto opportuno riunire le strutture tecnico-operative;
   per i dipendenti di Postel, inoltre, non esisterebbe una graduatoria di mobilità interna di accesso alla capogruppo Poste Italiane;
   risulta agli interroganti almeno una domanda di trasferimento per gravi e comprovati motivi familiari, cui si sono aggiunti motivi di salute, ancora non accolta, a fronte di altre domande evase, ad avviso degli interroganti, con tempistiche e modalità che appaiono talvolta non trasparenti;
   la signora E.C., come già esposto nell'interrogazione a risposta in Commissione n. 5/01907, è dipendente a tempo indeterminato dal 2008 della società Postel e nel 2010 ha presentato domanda di trasferimento o telelavoro in Puglia;
   la richiesta di specie non è stata accolta nonostante la stessa, per caratteristiche ampiamente documentate (famiglia monoparentale e requisiti come da legge n. 104 del 1992), rivesta carattere di urgenza;
   l'indisponibilità al trasferimento, o al telelavoro, nega un preciso diritto del lavoratore, non ponendo in essere i criteri minimi di pari opportunità nella gestione delle risorse umane –:
   di quali elementi i Ministri interrogati, nell'ambito delle proprie competenze, dispongano in merito a quanto esposto in premessa;
   se non intendano intervenire per favorire, nei limiti di competenza, una maggiore trasparenza e una maggiore sensibilità per le problematiche esposte in premessa presso imprese, come Poste italiane spa, a totale partecipazione dello Stato. (4-06158)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   DAMBRUOSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in una lettera al Direttore del Corriere della Sera del 15 settembre 2014 il Ministro dell'interno ha dichiarato che l'Is. (Ìslamic state) rappresenta oggi «la forma più evoluta e più aggressiva del pericolo fondamentalista» in quanto si presenta come una vera e propria forma di Stato, gode di proprie risorse finanziarie e può avvalersi dei cosiddetti «foreign fighter» (combattenti stranieri) ossia cittadini con passaporto europeo che conoscono il mondo occidentale e operano con grande dimestichezza anche all'interno dei nostri confini nazionali. In questo quadro tra le possibili misure per un efficace contrasto alla nuova minaccia fondamentalista, il Ministro interrogato ha proposto da un lato l'adozione di strumenti investigativi che consentano un capillare monitoraggio dei siti di propaganda islamica, la segnalazione degli spostamenti dei foreign fighter in tutta l'Unione europea e l'utilizzo del Pnr (passenger name record), uno specifico codice di prenotazione che fornisca agli organismi di polizia un elenco sempre aggiornato di chi si muove nell'area Schengen; dall'altro un intervento normativo che riguardi l'azione penale e la specificità del reato integrando le norme del codice penale – introdotte nel 2005 (con il decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144) all'indomani degli attentati di Londra – con «una nuova previsione che tenga conto dell'evoluzione della minaccia e della necessità di non prestarle fianchi scoperti che possano farci correre il rischio di rendere meno efficace la nostra risposta»;
   attualmente in Commissione giustizia della Camera dei deputati è incardinato l'esame della proposta di legge Dambruoso ed altri n. 1609 recante «Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e al codice di procedura penale, per l'istituzione della direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e delle direzioni distrettuali antiterrorismo». Tale provvedimento ha come finalità l'istituzione di un raccordo giudiziario nei procedimenti che hanno ad oggetto crimini di terrorismo attraverso l'istituzione di un ufficio centrale di coordinamento (la direzione nazionale antiterrorismo), estendendo alla direzione nazionale antimafia anche competenze in materia di terrorismo. Il criterio di specializzazione fino a questo momento applicato per il contrasto alla criminalità mafiosa verrebbe così esteso anche ai procedimenti penali per fatti di terrorismo al fine di affiancare a conoscenze specialistiche di diritto interno e internazionale un'esperienza – soprattutto per i magistrati inquirenti – di indagini collegate oltre i confini nazionali e una conoscenza empirica altrettanto specialistica, favorendo un raccordo migliore anche all'estero –:
   quali iniziative di competenza il Governo intende adottare per consentire ai magistrati e agli operatori di polizia giudiziaria una più efficace attività di contrasto del terrorismo internazionale di matrice religiosa. (4-06160)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS, SCAGLIUSI, L'ABBATE, NICOLA BIANCHI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, TOFALO e SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 25 luglio 1997, n. 250, instituisce, all'articolo 1, l'Ente nazionale per l'aviazione civile (E.N.A.C.), ente pubblico non economico dotato di autonomia regolamentare, organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile e finanziaria e all'articolo 2 sancisce che l'E.N.A.C. è sottoposto all'indirizzo, vigilanza e controllo del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
   l'articolo 8, comma 2, del decreto legislativo 25 luglio 1997, n. 250 stabilisce che «Con decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione, di concerto con i Ministri del tesoro e delle finanze, vengono assegnati all'E.N.A.C., in uso gratuito, i beni del demanio aeroportuale per il successivo affidamento dei beni medesimi, secondo i criteri previsti e disciplinati dal regolamento di cui all'articolo 10, comma 13, della legge 24 dicembre 1993, n. 537»;
   l'articolo 7 comma 2, del decreto ministeriale 12 novembre 1997, n. 521 «Regolamento recante norme di attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 10, comma 13, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, con cui è stata disposta la costituzione di società di capitali per la gestione dei servizi e infrastrutture degli aeroporti gestiti anche in parte dallo Stato», pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 9 aprile 1998, n. 83, determina che l'affidamento in concessione delle gestioni totali aeroportuali alle società di capitale richiedenti è subordinato alla sottoscrizione:
    a) della convenzione da predisporsi secondo le indicazioni contenute nel disciplinare tipo di cui al successivo articolo 17, comma 1;
    b) del contratto di programma da predisporsi secondo i contenuti di cui alla delibera CIPE 24 aprile 1996, recante linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità;
   ai sensi dell'articolo 7 del decreto ministeriale sopracitato, la società SEAP spa ha presentato istanza datata 21 gennaio 1999 per l'affidamento in concessione della gestione totale degli aeroporti di Bari, Brindisi, Foggia e Taranto con una domanda corredata da un piano di intervento comprendente il piano degli investimenti e il relativo piano economico-finanziario;
   il 25 gennaio 2002 l'ENAC e SEAP spa stipulano la «Convenzione n. 40» prevista dall'articolo 7, comma 2, lettera a), che disciplina i rapporti conseguenti all'affidamento della concessione per la progettazione, lo sviluppo, la realizzazione, l'adeguamento, la gestione, la manutenzione e l'uso degli impianti e delle infrastrutture aeroportuali, comprensivi dei beni demaniali, degli aeroporti di Bari, Brindisi, Foggia e Taranto (Grottaglie);
   l'articolo 2, ai commi 4 e 5, della Convenzione n. 40, stabilisce che la SEAP spa è responsabile della conduzione e della manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili, degli impianti e delle infrastrutture concernenti l'attività di gestione e che la concessionaria stabilisce le strategie e le politiche commerciali più opportune per lo sviluppo di ciascun aeroporto anche in relazione alle esigenze del bacino di traffico gestito;
   l'articolo 4 della sopra richiamata convenzione, prevede al comma 1, tra l'altro, che SEAP spa debba gestire ciascun aeroporto adottando ogni opportuna iniziativa in favore delle comunità territoriali vicine in ragione dello sviluppo intermodale dei trasporti e ad assicurare d'intesa con ENAC, lo svolgimento delle attività di aviazione generale comunque compatibili con l'operatività aeroportuale ? inoltre SEAP spa deve provvedere ad erogare i servizi di propria competenza con continuità e regolarità nel rispetto del principio di imparzialità e secondo le regole di non discriminazione dell'utenza;
   l'articolo 5 della «Convenzione 40», stabilisce che compete ad ENAC, tra l'altro, regolare e valutare i programmi di intervento, i piani regolatori aeroportuali e i piani di investimento aeroportuali e di sottoscrivere il «contratto di programma» di cui all'articolo 7, comma 2, lettera b), del decreto ministeriale 12 novembre 1997, n. 521;
   l'articolo 7, comma 1, della medesima convenzione, sancisce che «la concessionaria garantisce la piena operatività di ciascun aeroporto durante l'orario di apertura stabilito dall'ENAC»;
   in data 6 marzo 2003 viene emanato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e con il Ministero della difesa, il decreto di approvazione della «Convenzione n. 40» stipulata tra ENAC e SEAP spa unitamente alla «postilla n. 1» del 12 febbraio 2003 stabilendo una durata di concessione di 40 anni a partire dalla data di sottoscrizione della citata «postilla n. 1»;
   dal 2006 è stata istituita la nuova ragione sociale, da SEAP – Società esercizio aeroporti Puglia ad «AEROPORTI DI PUGLIA spa» e attualmente il capitale sociale, secondo il sito http://www.aeroportidipuglia.it/ è pari ad euro 12.950.000,00 e suddiviso tra la regione Puglia (99,414 per cento), le camere di commercio di Taranto (0,4 per cento), di Bari (0,059 per cento), di Lecce (0,002 per cento), di Brindisi (0,004 per cento), e le amministrazioni provinciali di Foggia (0,009 per cento), Brindisi (0,002 per cento), Bari (0,058 per cento), i comuni di Bari (0,040 per cento) e di Brindisi (0,012 per cento);
   i «contratti di programma» di cui all'articolo 7, comma 2, lettera b), del decreto ministeriale 12 novembre 1997, n. 521, sono stipulati tra l'Enac e le società di gestione e disciplinano il profilo tariffario, la realizzazione del piano degli investimenti e il rispetto degli obiettivi di qualità e di tutela ambientale ma attualmente risultano sottoscritti solo per gli aeroporti di Bari e Brindisi e non ancora per gli aeroporti di Foggia e Taranto (Grottaglie), nonostante il decreto ministeriale 12 novembre 1997, n. 521, sancisca che l'affidamento in concessione delle gestioni totali aeroportuali alle società di capitale richiedenti è subordinato, oltre alla Convenzione, alla sottoscrizione del contratto di programma;
   si apprende da una recente fonte stampa del «Corriere del Mezzogiorno» dal titolo – «Qui altri aeroporti ? Mai detto da Adp» Ryanair scopre anche Foggia e Grottaglie – delle dichiarazioni del sales & marketing manager per Italia, Grecia e Croazia per Ryanair, John Alborante, che in merito ad una domanda posta per comprendere se la società avesse intenzioni di investire anche sugli aeroporti di Taranto (Grottaglie) e Foggia, abbia risposto incredulo della presenza di altri 2 aeroporti in Puglia dichiarando che: «Strano che interloquendo con Aeroporti di Puglia non se ne sia mai parlato». Anche perché noi pur di sviluppare il traffico cerchiamo anche vecchi scali militari dismessi da ammodernare» e che «Foggia ? Conosco Peschici, è un posto meraviglioso. Magari un aeroporto per il Gargano»;
   dallo stesso articolo di stampa si apprende che la regione Puglia pagherebbe 12 milioni di euro alla compagnia Ryanair solo per proporre gli aeroporti di Bari e Brindisi;
   da fonti stampa della Gazzetta del Mezzogiorno del 5 luglio 2014 dal titolo «Aeroporti, fatture gonfiate per lavori alla segnaletica», si apprende che alcune spese della concessionaria siano avvenute senza bando di gara e che le stesse siano avvenute senza giustificativo tecnico e con prezzi quadruplicati rispetto ai listini ufficiali;
   in caso di violazioni da parte della concessionaria e a seconda dell'entità della violazione, ENAC può diffidare, sanzionare o addirittura ritirare la concessione e nominare un commissario fino a richiedere alla concessionaria un risarcimento;
   a detta dell'interrogante la società Aeroporti di Puglia spa risulta inadempiente a quanto previsto nella convenzione n. 40 ed Enac dovrebbe vigilare maggiormente sull'operato della concessionaria –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e se risulti che la concessionaria Aeroporti di Puglia spa abbia compiuto qualche violazione, in relazione alla mancata sottoscrizione del «contratto di programma», alla mancata tutela della concorrenza tra aeroporti e al mancato rispetto del vincolo di non discriminazione dell'utenza;
   quali iniziative intenda adottare affinché ENAC faccia rispettare l'articolo 7, comma 2, lettera b), del decreto ministeriale 12 novembre 1997, n. 521 ovvero la tutela della concorrenza nei servizi aeroportuali pugliesi;
   se Aeroporti di Puglia spa stia rispettando la convenzione n. 40 nei termini descritti in premessa. (5-03648)


   ZANIN, ZAPPULLA, TARICCO, VENTRICELLI, PRINA, BRANDOLIN, COPPOLA e PASTORELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la società olandese POLYPLASTIC BV ha prodotto finestre per autocaravan difettose che si distaccano durante la circolazione stradale. La gravità del difetto delle finestre, che possono distaccarsi mentre il mezzo si trova in movimento, può trasformarsi in fonte di enorme pericolo per l'incolumità delle persone e delle cose che procedono lungo le strade;
   la POLYPLASTIC avrebbe informato 3.911 proprietari di autocaravan inviando una lettera solo per posta ordinaria con la quale invitava i destinatari a effettuare un intervento gratuito di manutenzione tramite un sistema di avvitamento ovvero a sostituire a pagamento le finestre. Nella lettera hanno anche precisato che «per evitare rischi per Lei e per le altre persone sulla strada, La invitiamo a procedere quanto prima alla riparazione o alla sostituzione... nel caso in cui Lei non ripari o non sostituisca le finestre, sarà ritenuto responsabile per gli eventuali danni e/o problemi che potrebbero derivare dalle conseguenze del difetto». Si osservi a tal proposito che la polizza assicurativa RCA copre i danni alle persone e/o alle cose e la polizza assicurativa cristalli copre i danni alle finestre ma, essendo noto il difetto, la compagnia assicuratrice può agire in rivalsa nei confronti dell'assicurato per quanto pagato a terzi. Non solo, se il distacco di una finestra ferisce o uccide, si attivano problemi in sede penale sia per il conducente sia per il proprietario dell'autocaravan che dovranno dimostrare la loro innocenza;
   a seguito delle numerose segnalazioni provenienti da molti proprietari di autocaravan concernenti il distacco delle finestre mentre il veicolo era in circolazione, nel luglio 2014 l'Associazione nazionale coordinamento camperisti (ANCC) si è attivata sia sul fronte dei soggetti interessati che a livello istituzionale;
   alla luce di alcune comunicazioni della POLYPLASTIC sembra che il problema riguardasse le autocaravan prodotte dalla Burstner nel periodo 1998-2005 e dalla Società Europea Autocaravan (SEA) nell'arco temporale marzo 2004-dicembre 2005. In realtà, il problema parrebbe avere dimensioni molto più ampie. Infatti, l'Associazione nazionale coordinamento camperisti ha ricevuto segnalazioni da parte di proprietari di autocaravan che hanno acquistato veicoli prodotti anche prima, nel 2001 nonché successivamente al 2007 e seguenti;
   in data 24 luglio 2014 l'Associazione nazionale coordinamento camperisti, per mezzo dello studio legale Brunetti, ha inviato richiesta in merito alla questione:
    al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti — Dipartimento per i trasporti, la navigazione e i sistemi informativi e statistici — Direzione Generale per la motorizzazione — Dirigente Divisione III;
    al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti — Dipartimento per i trasporti, la navigazione e i sistemi informativi e statistici — Direzione Generale per la Sicurezza Stradale — Direttore Divisione II;
    al Ministero dell'interno — Dipartimento della pubblica sicurezza — Direzione centrale per la polizia stradale, ferroviaria, delle comunicazioni e per i reparti speciali della polizia di Stato — Servizio Polizia stradale — Divisione I — Divisione II;
   in ottemperanza a quanto disposto dall'articolo 117 del Codice del consumo, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con nota prot. 17819-DIV3B del 7 agosto 2014, ha interpellato la POLYPLASTIC B.V., la SEA, la Knaus Tabbert Gmbh, la Rapido Autocaravan, la LMC Caravan GmBH & Co. KG per ottenere informazioni circa il difetto denunciato, le azioni intraprese al fine di ovviare alla problematica e le eventuali segnalazioni alle autorità competenti;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha chiesto altresì alla POLYPLASTIC di comunicare con urgenza gli ulteriori ed eventuali produttori che hanno impiegato le finestre difettose e ai produttori già noti ha chiesto spiegazioni circa le modalità con le quali i propri clienti sono stati informati e quanti di essi siano stati già oggetto dell'azione di sicurezza –:
   se al Ministero interrogato siano pervenute eventuali risposte dai soggetti interpellati con la nota del 7 agosto 2014 e quale sia l'eventuale contenuto di queste;
   se e quali provvedimenti intenda attuare per risolvere il problema al fine di tutelare la sicurezza della circolazione stradale. (5-03650)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'interno ha presentato il report sull'attività svolta nell'ultimo anno. Sono di sua competenza questioni fondamentali come immigrazione e lotta alle mafia;
   nel rapporto del 15 agosto 2014 non sono stati forniti dati completi ma solo «pillole», utili purtroppo solo ad una comunicazione che pare frammentata;
   alcune fra le principali aree di intervento del Ministero dell'interno sono il soccorso pubblico, l'immigrazione, la sicurezza, i diritti umani, la lotta alla criminalità, le cui attività sono rendicontate attraverso report annuali;
   l'ultima pubblicazione prende in considerazione il periodo fra il 1° agosto 2013 e il 31 luglio 2014, disponibile anche online;
   nelle 29 slide offerte, viene raggruppata la totalità delle informazioni disponibili, senza alcuna introduzione, spiegazione o contestualizzazione, una sintesi che scorrendo lo storico dei report annuali pare sia diventata una prassi;
   i dati non risultano completi, poiché, ad esempio, nelle pagine dedicate ai beni confiscati alle mafie, vengono elencate le 6 regioni maggiormente interessate mentre delle altre 14 non c’è nessuna traccia;
   l'ANBSC (Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata) pubblica dati aggiornati al 7 gennaio 2013, lasciando quindi intendere che le informazioni a disposizione del Ministero dell'interno siano più aggiornate, complete e soprattutto indisponibili alla pubblica opinione;
   le mancanze descritte non permettono di fare dei controlli su ciò che viene dichiarato, con differenti dati resi dal Ministero rispetto all'agenzia europea Frontex, ad esempio, sul numero dei migranti sbarcati in Italia nel corso del biennio 2013-2014 –:

quali iniziative si intendano mettere in campo per rendere pubblici i dati aggiornati e completi delle attività del Ministero dell'interno e se si intenda chiarire come mai i dati del report di quest'anno non coincidano con i dati in possesso di altre agenzie europee. (4-06146)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   numerosi sono gli episodi di criminalità registrati nell'entroterra calabrese, con un’escalation costante negli ultimi mesi, come riportato dai quotidiani locali;
   in particolare, si susseguono ormai con sconcertante regolarità episodi criminosi, a Rocca, ad Oriolo, ma anche in altri piccoli paesi dell'Alto Jonio cosentino e che, molto spesso, vedono coinvolti immigrati clandestini;
   preoccupazione e inquietudine per un crescente stato di insicurezza è quanto denunciato dal consigliere comunale di Canna, Antonio Turchitto, in un accorato appello al Ministro dell'interno, che sembra essere caduto nel vuoto;
    secondo la denuncia del dottor Turchitto, «La diligenza e il senso del dovere delle forze dell'ordine rappresentate dal Comando della Stazione dei Carabinieri di Rocca Imperiale collidono di fronte a leggi che non consentono alla loro azione di essere efficace nel reprimere atti criminali ed allontanare dal territorio nazionale delinquenti d'importazione. Ho già fatto appello al signor Prefetto, affinché assuma tutte le iniziative atte a riportare serenità e sicurezza tra la nostra gente, per lo più anziana, che si sente sempre più abbandonata dalle Istituzioni, come dimostra la mancanza in quasi tutti i piccoli Comuni dell'Alto Jonio (come Canna) anche di un piccolo presidio di Forze dell'Ordine»;
   un'altra problematica sollevata in tema di sicurezza nell'entroterra cosentino riguarda poi la mancata entrata in funzione delle videocamere di sorveglianza a Canna, come a Rocca e in altri sei paesi dell'Alto Jonio cosentino, nonostante l'impianto satellitare sia fornito di tutte le autorizzazioni necessarie;
   preoccupante è pertanto la situazione in cui versano le città dell'entroterra ionico, prive di sufficienti controlli e di un adeguato livello di sicurezza;
   gli effetti dello spreco di denaro pubblico, unitamente alla carenza di personale di polizia, vittima dei durissimi tagli, del blocco stipendiale e del blocco del turn-over che costringe il comparto sicurezza a un organico molto al di sotto delle reali necessità, si registrano purtroppo nei recenti fatti di cronaca che hanno interessato il territorio –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti provvedimenti di competenza ritenga opportuno adottare per consentire il corretto funzionamento dei sistemi di sorveglianza nelle città dell'entroterra jonico, a tutela dei cittadini, nonché se non ritenga opportuno e ormai improcrastinabile investire sull'ordine pubblico, al fine di evitare che i durissimi tagli, il blocco stipendiale e il blocco del turn-over portino al collasso del sistema. (4-06151)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie riportate da organi di stampa locali e nazionali, nel corso della serata di sabato 26 luglio 2014 sarebbe scoppiata una maxi rissa conclusasi con tre colpi di arma da fuoco tra alcuni giovani a Pastena, davanti a uno dei bar più frequentati di via lungomare Colombo;
   come descrivono le cronache, la violenta lite sarebbe sorta a seguito di alcune parole di troppo volate in un casuale incontro tra i quattro giovani, fortunatamente subito sedata dal tempestivo intervento di una pattuglia della Digos;
   c’è chi racconta di aver visto calci e pugni partire per uno specchietto rotto inavvertitamente; c’è chi, invece, è convinto che a scatenare la rissa siano stati motivi legati allo spaccio di droga, ma tutti coloro che hanno assistito alla scena hanno parlato di una violenza inaudita scoppiata dopo un acceso diverbio;
   i quattro protagonisti dell'increscioso episodio, tra i quali un ventunenne salernitano, con alle spalle diversi precedenti per spaccio di droga e furti, sono stati arrestati e condotti, in regime di arresti domiciliari, presso le rispettive abitazioni, in attesa del rito per direttissima;
   le indagini su quanto accaduto sabato notte a Pastena sono ora passate sotto la competenza degli agenti della squadra mobile di Salerno, che stanno cercando di trovare il bandolo della matassa di una vicenda che è avvolta ancora da troppa nebbia;
   la città di Salerno sta facendo registrare negli ultimi tempi una escalation di violenza e criminalità molto preoccupante, che mette a rischio l'incolumità dei cittadini, riduce il livello della qualità della vita dei salernitani e danneggia oltremodo l'immagine della città;
   in più di una circostanza l'interrogante ha evidenziato in diversi atti di sindacato ispettivo il notevole incremento della delinquenza in città e nei centri di provincia, descrivendo episodi che sempre più spesso vedono come protagonisti giovanissimi, talvolta già noti alle forze dell'ordine –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se ritenga opportuno, considerando il costante incremento della criminalità in provincia di Salerno, prevedere un piano di controllo del territorio più capillare da parte delle forze dell'ordine, con particolare riferimento alle ore notturne e alle zone maggiormente frequentate dai giovani salernitani, attraverso anche un coinvolgimento della polizia locale di Salerno. (4-06154)


   GIGLI, SBERNA e DELLAI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 luglio 2013, a Napoli, presso palazzo San Giacomo, alla presenza del sindaco Luigi de Magistris, è stato trascritto nel registro dell'anagrafe cittadina, un matrimonio contratto all'estero fra persone dello stesso sesso: tale atto è stato possibile grazie ad una direttiva del sindaco che consente all'anagrafe cittadina l'operazione di trascrizione;
   il sindaco, secondo autorevoli fonti di stampa, avrebbe dichiarato: «Siamo convinti che il sindaco abbia il diritto e il dovere di far trascrivere presso gli uffici dell'anagrafe e dello stato civile i matrimoni che, purtroppo, per ora possono essere celebrati soltanto all'estero», asserendo inoltre che: «Questa trascrizione ha un valore anche giuridico: mette a pari livello un matrimonio etero e uno omosessuale, per esempio per partecipare alle politiche sociali della città oppure all'assegnazione delle case»;
   il 17 luglio anche il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha deciso di riconoscere i matrimoni gay celebrati all'estero, dichiarando: «Quando si tratta di diritti civili non arretriamo davanti a nessuno. Io non ho paura della parola matrimonio e noi riconosceremo, o almeno io chiederò che possano essere riconosciuti, i matrimoni, qualunque sia il sesso degli sposi, che sono celebrati all'estero»;
   il 21 luglio 2014 anche il sindaco di Bologna Virginio Merola ha emanato una direttiva che permetterà, a partire dal 15 settembre 2014, di trascrivere nei registri di stato civile del comune le unioni gay celebrate all'estero;
   il primo caso di riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso avvenuto all'estero si è avuto nel 2012 a Grosseto: una coppia omosessuale, dopo aver contratto matrimonio a New York nel 2012, ha chiesto all'ufficiale dello stato civile la trascrizione di tale matrimonio;
   l'ufficiale di stato civile coinvolto nella vicenda ha rifiutato la trascrizione, richiamando, a sostegno delle proprie argomentazioni, la normativa italiana che non consente il matrimonio di persone dello stesso sesso, nonché la sentenza della Corte di cassazione n. 4184 del 15 marzo 2012 in cui viene sottolineato il ruolo e l'importanza delle funzioni dell'ufficiale dello stato civile, a cui «sono attribuite penetranti poteri di controllo sulla trascrivibilità degli atti di matrimonio celebrati all'estero»;
   la stessa sentenza è stata poi richiamata dal tribunale nelle sue motivazioni, per arrivare però a conclusioni opposte e quindi autorizzare la trascrizione: nella sentenza n. 2184/2012 Corte di cassazione viene citata la giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell'uomo al fine di evidenziare come il diritto al matrimonio di cui all'articolo 9 CEDU non sia limitato al matrimonio tradizionale;
   rimane in ogni caso chiara evidenza giuridica che sia compito del legislatore nazionale intervenire, disciplinando le diverse ipotesi negli ordinamenti nazionali;
   va ricordato peraltro che la famosa sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo n. 510 del 24 giugno 2010, richiamata nella sentenza già citata n. 2184 del 2012 della Corte di cassazione ha rigettato il ricorso Schalk et Kopf contro Austria, in quanto lo stato austriaco, pur non riconoscendo in alcun modo il matrimonio omosessuale, non ha affatto violato la Carta europea dei diritti dell'uomo, avendo riconosciuto il diritto alla convivenza omosessuale;
   la sentenza del tribunale di Grosseto è stata impugnata dalla procura della Repubblica;
   nel maggio 2014, a Fano, una coppia omosessuale che aveva contratto matrimonio in Olanda ha presentato formale istanza al sindaco per la trascrizione del proprio matrimonio, allegando copia dell'atto; i dipendenti dell'ufficio dello stato civile non hanno ritenuto legittima la trascrizione, ma successivamente è stato lo stesso sindaco, svolgendo direttamente la propria funzione di ufficiale di governo e di ufficiale dello stato civile, ai sensi dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000, a procedere alla trascrizione del matrimonio, sottoscrivendo personalmente l'atto;
   con sentenza n. 170, 11 giugno 2014, la Corte costituzionale, su giudizio incidentale sollecitato dalla Corte di cassazione, si è pronunciata su un matrimonio di una coppia eterosessuale regolarmente sposata nella quale però l'uomo decide di cambiare sesso: la coppia decide di rimanere unita risultando così composta da persone dello stesso sesso;
   in tale caso, l'ufficiale dello stato civile, dopo avere ricevuto sentenza di rettificazione di sesso di uno dei coniugi, dietro indicazioni della prefettura e del Ministero dell'interno, aveva disposto il cosiddetto «divorzio automatico»; i coniugi hanno presentato ricorso al tribunale di Modena che aveva accolto il ricorso; il Ministero dell'interno aveva esposto reclamo in corte di appello di Bologna che lo aveva accolto; la coppia presenta ricorso in Cassazione; la Corte di cassazione con ordinanza n. 14329 del 6 giugno 2013 ha disposto remissione degli atti alla Corte costituzionale, avendo riscontrato dubbi di legittimità costituzionale degli articoli 2 e 4 della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso);
   la Consulta, pur nel dichiarare l'illegittimità costituzionale degli articoli 2 e 4 della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), con sentenza manipolativa additiva volta a prevedere che «la sentenza di rettificazione dell'attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio, consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore», pur considerando al punto 5.5 che «nella nozione di formazione sociale – nel quadro della quale l'articolo 2 della Costituzione dispone che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo – è da annoverare anche l'unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia», ha però molto chiaramente sottolineato al punto 5.1 dei considerata che «la situazione (...) di due coniugi che, nonostante la rettificazione dell'attribuzione di sesso ottenuta da uno di essi, intendano non interrompere la loro vita di coppia, si pone, evidentemente, fuori dal modello del matrimonio – che, con il venir meno del requisito, per il nostro ordinamento essenziale, della eterosessualità, non può proseguire come tale»;
   in sintesi, la Suprema Corte si è tenuta ben lungi dal considerare legittimo il matrimonio omosessuale nel nostro ordinamento costituzionale;
   di conseguenza sembra molto arduo considerare legittimo riconoscimento giuridico da parte delle istituzioni nazionali e locali del matrimonio omosessuale, pur se celebrato all'estero –:
   quali siano gli orientamenti dei ministri interpellati in merito al riconoscimento da parte di istituzioni italiane dei matrimoni omosessuali avvenuti all'estero e se in particolare intendano rilevare l'illegittimità di tale riconoscimento;
   quali urgenti iniziative, anche di natura normativa, intendano porre in essere al fine di colmare un evidente vuoto normativo in merito, seguendo il dettato dell'articolo 29 della Costituzione che impone alla Repubblica il riconoscimento dei «diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», tenendo conto del principio da ultimo espresso con la sentenza Corte costituzionale n. 170 del 2014, ove si dichiara con estrema chiarezza che requisito essenziale del matrimonio è la «eterosessualità» della coppia. (4-06156)


   PRATAVIERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende dalle notizie riportate dagli organi di stampa, nel comune di Mira (provincia di Venezia) nelle prossime settimane verrà celebrata ufficialmente nella sede dell'amministrazione comunale, per la prima volta, l'iscrizione nel registro delle unioni civili di una coppia omosessuale;
   con deliberazione n. 90 del 2013 il consiglio comunale ha approvato il regolamento per il riconoscimento delle unioni civili. Con il succitato regolamento è stato istituito il registro amministrativo delle unioni civili;
   in base al regolamento per il riconoscimento delle unioni civili, il comune di Mira si impegna a tutelare e sostenere le unioni civili, al fine di superare situazioni di discriminazione e favorirne l'integrazione nel contesto sociale, culturale ed economico del territorio di propria competenza. Le aree tematiche entro le quali gli interventi sono da considerarsi prioritari sono: casa; sanità e servizi sociali; politiche per i giovani, genitorialità e anziani; sport e tempo libero; istruzione e servizi educativi; diritti civili e di cittadinanza, partecipazione. Inoltre il regolamento disciplina che gli atti dell'amministrazione devono prevedere per le unioni civili condizioni non discriminatorie di accesso agli interventi in tali aree, evitando condizioni di svantaggio economico e sociale, con particolare attenzione alle condizioni di disagio;
   all'interno del comune di Mira, chi si iscrive al registro di cui sopra è equiparato al «parente prossimo del soggetto con cui si è iscritto» ai fini della possibilità di assistenza;
   è necessario evidenziare che numerosi enti locali con proprie delibere si sono dotati del registro delle unioni civili;
   è noto come di recente sia emersa la problematica rispetto al riconoscimento legale dei registri dell'unioni civili nel comune di Bologna dove il prefetto si è rifiutato di avallare giuridicamente la scelta dell'amministrazione di permettere l'iscrizione nel registro alle coppie omosessuali che hanno contratto matrimonio all'estero;
   il registro dell'unioni civili, senza una normativa nazionale che lo renda possibile, diviene un meccanismo che tende a creare di fatto vincoli familiari in contesti ignorati dalla legge;
   le numerose proposte di legge avanzate in materia, pendenti al momento in Parlamento provano il vuoto normativo rispetto al riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali;
   il registro delle unioni civili, invero, non ha alcuna efficacia giuridica, perché non rientra nell'autonomia regolamentare degli enti locali la potestà di disciplinare situazioni di diritto familiare. Tale registro, pertanto ha un'esclusiva natura ideologica e simbolica. I comuni non hanno competenza per creare un nuovo «status» personale dei loro cittadini, perché l'articolo 117, comma 2, lettera i), della Costituzione riserva esclusivamente alla legge statale la materia «stato civile e anagrafi». In realtà un registro delle coppie di fatto intende fare proprio questo: riconoscendo all'unione civile una determinata soggettività, attribuisce ai soggetti che lo compongono un nuovo status;
   l'istituzione di tali registri potrebbe risolversi, illegittimamente, in una sottrazione ingiusta di diritti e di risorse alle famiglie fondate sul matrimonio, che, invero, offrono una base certa e sicura di stabilità e coesione sociale, a beneficio, invece, di quelle unioni, che non intendono assumersi alcun impegno e dovere davanti alla società e allo Stato e che hanno nella loro precarietà la loro caratteristica principale. La parificazione che il registro dichiara di voler realizzare, dunque, sul piano dei rapporti interni ai conviventi è priva di reali effetti, mentre sul piano dei rapporti con la civica amministrazione è iniqua e discriminatoria, poiché crea una categoria di formazioni sociali i cui componenti sono titolari di soli diritti/prerogative/benefici, senza indicare alcun dovere corrispondente, disattendendo non solo l'articolo 3 ma anche l'articolo 2 della Costituzione che, nel riconoscere i «diritti inviolabili dell'uomo», richiede l’«adempimento dei doveri di solidarietà politica economica e sociale»;
   l'articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata in sede Onu il 10 dicembre 1948 definisce la famiglia nucleo fondamentale della società e dello Stato e come tale deve essere riconosciuta e protetta;
   il combinato disposto degli articoli della Costituzione 29 (...famiglia società naturale fondata sul matrimonio...), 30 (...è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire e educare i figli anche se nati fuori del matrimonio ... la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale...), 31 (La Repubblica agevola con misure e altre provvidenze la formazione della famiglia .... con particolare riguardo alle famiglie numerose), enuncia in modo inequivocabile il regime preferenziale della famiglia quale nucleo fondamentale della società;
   secondo i lavori preparatori dell'Assemblea costituente l'aggettivo «naturale» ex articolo 29 della Costituzione sta ad indicare che la famiglia non è un'istituzione creata dalla legge, ma una struttura di diritto naturale, legata alla natura umana come tale e preesistente rispetto all'organizzazione statale;
   la Costituzione riconosce la famiglia come soggetto sociale, luogo di generazione dei figli (garanzia dell'esistenza stessa della società), pilastro su cui si fondano le comunità locali, il sistema educativo, le strutture di produzione del reddito, il contenimento delle forme di disagio sociale. Ogni società civile che si rispetti deve salvaguardare i nuclei familiari che consci dell'importanza del ruolo pubblico oltre che privato della loro unione s'impegnano e si vincolano davanti allo Stato a adempiere ai doveri legati alla loro decisione;
   la giurisprudenza costituzionale ha più volte rimarcato la netta distinzione tra la famiglia fondata sul matrimonio e la convivenza more uxorio;
   l'articolo 2 della Costituzione tutela la libertà di scelta dell'individuo di non voler costituire un vincolo formale, ma di fondare il proprio rapporto di convivenza solo sul sentimento di affetto e d'amore;
   il principio di eguaglianza enunciato ex articolo 3 della Costituzione presuppone pari trattamento dei diritti che scaturiscono da situazioni di fatto assimilabili e diverso trattamento di situazioni di fatto non sovrapponibili;
   il diritto privato già permette di regolamentare i rapporti tra persone adulte e consenzienti attraverso la stipula di contratti di convivenza (articolo 1322 codice civile), nell'ambito ovviamente della sfera privata e della tutela delle libertà personali senza alcuna relazione rispetto a quella che è la famiglia ex articolo 29 della Costituzione;
   i diritti individuali che derivano dall'istituzione matrimoniale non possono essere considerati diritti individuali assoluti ma diritti individuali derivati e subordinati alla condizione di essere sposati. Ne consegue che attribuire ad un individuo in coppia di fatto gli stessi diritti che spettano in coppia di diritto significa equiparare le coppie di fatto al matrimonio;
   creare diritti al fine di riconoscere i desideri del singolo è in contrasto con l'organizzazione della società basata sulla relazione con gli altri in un ottica di vita in comune. Il riconoscimento dei diritti soggettivi esigibili non si può porre in contrapposizione all'interesse collettivo;
   le delibere comunali adottate per l'istituzione dei registri delle unioni civili sono a giudizio dell'interrogante palesemente in contrasto con i principi sanciti ex articoli 2, 3, 29, 31 della Costituzione e potrebbero essere oggetto di valutazione ai sensi dell'articolo 141 del decreto legislativo n. 267 del 2000 –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere in relazione a decisioni, come quelle descritte in premessa, manifestamente in contrasto con i principi costituzionali. (4-06161)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CAROCCI, ROCCHI, MALPEZZI, GHIZZONI, ASCANI, PES, COCCIA, BLAZINA, NARDUOLO, MANZI, SGAMBATO, VENTRICELLI e BOSSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 7 novembre 2013 è stato approvato il decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104 – cosiddetto decreto «l'istruzione riparte» convertito dalla legge 8 novembre 2013, n. 128;
   tale provvedimento prevede che per l'attuazione di alcune norme siano emanati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca specifici decreti attuativi;
   senza tali decreti, prescritti dalla legge che, dopo aver delineato i principi fondamentali, ne affida l'esatta definizione tecnica ed attuazione al Ministro competente che la effettua con proprio decreto, molte delle norme contenute nella legge suddetta non hanno ancora trovato applicazione;
   ad oggi, tra tutti i decreti attuativi previsti dal decreto-legge n. 104 del 2013 è stato emanato solo il decreto ministeriale 19 febbraio 2014 in attuazione di quanto disposto dall'articolo 16, comma 3;
   in data 8 novembre 2013, il Ministro pro tempore Carrozza aveva annunciato ufficialmente che i decreti attuativi erano pronti;
   la mancata attuazione dei decreti sta determinando evidenti problemi e, di fatto, lascia inattuate alcune delle norme approvate dal Parlamento;
   in questi giorni è partita la consultazione sulle linee guida della buona scuola con cui si delinea un complesso progetto di riforma del sistema di istruzione italiano;
   appare palese come la mancata adozione di alcuni provvedimenti indicati nella legge n. 128 del 2013 potrebbe produrre incongruenze in vista della definizione delle norme che daranno attuazione alle linee guida proposte dal Governo per la riforma della scuola;
   inoltre, è molto grave che, a quasi un anno dall'approvazione della norma, la maggior parte dei decreti ministeriali non sia stata emanata –:
   quali siano le ragioni di tali ritardi e come si intenda procedere per attuare il prima possibile quanto disposto dal decreto-legge n. 104 del 2013. (5-03644)


   CAPONE, LENZI, CRIMÌ, BENI, GRASSI, AMATO, MIOTTO, SBROLLINI e PICCIONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   vi è forte e diffusa preoccupazione tra i giovani che hanno sostenuto il test d'ingresso per i corsi di laurea in medicina e chirurgia poiché allo stato attuale sembrerebbe esserci un problema oggettivo nello scorrimento delle graduatorie;
   nonostante il reintegro del meccanismo della conferma di interesse per i prenotati nelle graduatorie dei corsi sopra citati, le stesse ad oggi continuano a scorrere molto lentamente;
   per i corsi di laurea in medicina e chirurgia sono stati messi a bando n. 10.551 posti, con il meccanismo ad oggi adottato il rischio è che alla chiusura dei termini, prevista per il primo di ottobre, tutti i posti non verrebbero occupati e non sia consentito, in tal modo, a chi è in graduatoria ed è effettivamente interessato, di potersi immatricolare;
   nel decreto ministeriale del 28 luglio 2014 n. 591 è stato assegnato il tempo di un mese ai prenotati nelle graduatorie per poter confermare il proprio interesse. Questa tempistica non ha certamente consentito una rapidità nella scelta e di conseguenza nello scorrimento della graduatoria. Inoltre sembrerebbe che nonostante il decreto non lo prevedesse, molti hanno potuto confermare il proprio interesse concorrendo però contemporaneamente per un'altra graduatoria –:
   se il Ministro interrogato, stante quanto sopra riportato, non ritenga necessario intervenire per far sì che tutti i posti messi a bando per i corsi di laurea in medicina e chirurgia vengano effettivamente coperti anche derogando, attraverso una proroga, ai termini prescrittivi ultimi per le immatricolazioni. (5-03652)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARZANA, LUIGI GALLO, BATTELLI, SIMONE VALENTE, BRESCIA, D'UVA, VACCA, DI BENEDETTO, MANTERO e BARONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel 2010, Antonio Tagliaferri, direttore dei giochi, dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, in una intervista al quotidiano Repubblica dichiarò che: «I Monopoli stanno portando avanti il programma “Giovani e Gioco” per affrontare i problemi delle dipendenze e della compulsività da gaming»; una iniziativa costata 100 mila euro, che ha coinvolto 15 principali città italiane, per un totale di 70 mila contatti;
   Raffaele Ferrara, direttore generale dei Monopoli parlava di «investimento culturale», di potenziare il progetto coinvolgendo addirittura le fasce dei minori più piccoli;
   è inverosimile che progetti di prevenzione al gioco d'azzardo indirizzati a fasce giovanili, nonché di minori più piccoli, siano gestiti da operatori che detengono palesi interessi di promozione e profitto nell'ambito;
   difatti sono sconcertanti i messaggi che sono stati veicolati durante l'attuazione del programma nelle scuole: «Secondo Dante il rischio del gioco è sempre stato componente essenziale della vita», «Si evolve chi si prende una giusta dose di rischio» fino al più temerario messaggio: «Si può giocare ovunque, sempre e comunque»; inoltre, si è parlato di ludopatia piuttosto che di gioco d'azzardo patologico e ci si è limitati ad evidenziare le differenze tra gioco legale ed illegale, anziché dei rischi connessi a questa pratica;
   ebbene la storia si ripete, da notizie di stampa riportate il 17 giugno 2014 dal quotidiano on line «Il Sole 4 ore» e dal sito web «gioconews.it» si è appreso che la Libera Università Internazionale degli Studi Sociali (LUISS) in collaborazione con Confindustria Sistema Gioco Italia ha concluso, nel mese di giugno 2014, il progetto «gioco lecito», indirizzato agli studenti di dieci tra i più importanti licei del Lazio;
   nello specifico, a trenta studenti dell'ultimo anno di liceo, i migliori in italiano e storia, è stata offerta la possibilità di confrontarsi con esperti del settore del gioco d'azzardo e di conseguire, al termine di questo originale percorso formativo, già i primi 4 crediti formativi universitari (CFU) per avviare con successo il proprio percorso accademico;
   è davvero paradossale che un corso di formazione al «gioco responsabile» sia gestito da rappresentanti di importanti aziende del gioco d'azzardo, sebbene corredato anche da lezioni di economia, marketing, diritto, comunicazione e sociologia, tenute da docenti della LUISS;
   si prefigura difatti una posizione controversa e un macroscopico conflitto di interessi in quanto chi gestisce il progetto di «gioco lecito» rappresenta anche le maggiori società di profitto da gioco d'azzardo e persegue l'obiettivo di aumentarne i profitti, quindi il mercato dell'azzardo e la platea di soggetti fruitori;
   occorre registrare che in Italia l'offerta di giochi d'azzardo (slot machine, videopoker, lotto, supernenalotto, gratta e vinci, scommesse sportive) è in continuo aumento ed è sempre più diversificata, tanto che quella che in passato era un'abitudine riguardante una ristretta fascia di persone è, di fatto, divenuta una pratica che interessa ogni strato sociale;
   dagli ultimi dati dello studio Ipsad (Italian population survey on alcohol and other drugs) dell'istituto di fisiologia clinica del CNR di Pisa, emerge che nei 3 anni dal 2008 al 2011, la percentuale di persone tra i 15 e i 64 anni che ha puntato soldi su uno dei tanti giochi presenti sul mercato è passata dal 42 al 47 per cento, circa 19 milioni di scommettitori, di cui ben 3 milioni a rischio GAP (gioco d'azzardo patologico);
   dai dati registrati, emerge una preoccupante crescita, anche tra gli adolescenti, della fruizione di gioco d'azzardo: sono un milione il numero di studenti che hanno riferito, nel 2012, di aver puntato denaro sui giochi;
   sempre secondo l'indagine condotta dall'Ipsad, che ha coinvolto 45.000 studenti delle scuole superiori e 516 istituti scolastici di tutta Italia, nell'ultimo anno il 45,3 per cento degli studenti ha puntato somme di denaro: ad essere maggiormente coinvolti nel gioco risultano essere i ragazzi (55,1 per cento contro il 35,8 per cento delle ragazze) e si stima che siano 100.000 gli studenti che già presentano un profilo di rischio moderato e 70.000 quelli con una modalità di gioco problematica;
   per citare un esempio concreto, l'Associazione italiana dei consumatori e degli operatori del gioco (ACOGI), ha effettuato presso le scuole superiori della città di Bitonto una indagine molto particolare che desta non poche preoccupazioni su quanto sia presente il rischio del gioco d'azzardo tra i banchi di scuola: dei 230 studenti coinvolti, in età compresa fra i 13 e i 16 anni, circa metà degli intervistati, quasi il 48 per cento, ha dichiarato di giocare fra le due e le tre volte al mese; l'89 per cento degli intervistati punta fino a 10 euro a giocata, mentre c’è addirittura un significativo 7 per cento che spende più di 30 euro a giocata;
   il comma 5-bis dell'articolo 7 del decreto-legge n. 158 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012, comunemente denominato «decreto salute» o «decreto Balduzzi», stabilisce: «Il Ministero dell'istruzione, dell'Università e della Ricerca segnala agli istituti di istruzione primaria e secondaria la valenza educativa del tema del gioco responsabile affinché gli istituti, nell'ambito della propria autonomia, possano predisporre iniziative didattiche volte a rappresentare agli studenti il senso autentico del gioco ed i potenziali rischi connessi all'abuso o all'errata percezione del medesimo»;
   appare chiaro che il legislatore, consapevole dell'importanza della scuola, di ogni ordine e grado, nel sensibilizzare gli studenti rispetto al gioco d'azzardo, stabilisce che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si adoperi al fine di favorire iniziative didattiche che abbiano lo scopo di prevenire le possibili degenerazioni ricollegabili all'abuso dei giochi d'azzardo;
   la più efficace forma di contrasto alla diffusione del gioco d'azzardo consiste in una azione educativa di tipo culturale, che è tanto più efficace quanto più precoce è l'età dei suoi destinatari e pertanto massimo deve essere l'impegno preventivo e dissuasivo rispetto ai rischi del gioco da rivolgere ai giovani;
   diventa quindi fondamentale affrontare la problematica del gioco d'azzardo all'interno delle scuole, luoghi formativi ed educativi per antonomasia, attraverso progetti di prevenzione rivolti ad una presa di coscienza reale su questa diffusa forma di dipendenza;
   le istituzioni scolastiche non devono e non possono, prestarsi a quelli che secondo gli interroganti sono progetti controversi o subdole forme di formazione come il suddetto progetto « gioco lecito», dovendo al contrario sostenere, di concerto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministero della salute e le Asl territoriali, progetti gestiti da personale qualificato e impegnato nell'azione di sensibilizzazione sui rischi del gioco d'azzardo –:
   quale posizione il Ministro intenda assumere riletto a iniziative simili al progetto «giovani e gioco» illustrato in premessa e se non intenda assumere con azione di competenza per evitare qualsiasi iniziativa volta a una formazione gestita da operatori che detengono interessi nell'ambito dei «giochi»;
   se non ritenga opportuno diramare specifiche linee guida agli istituti scolastici volte a promuovere progetti educativi che evidenzino i grandi rischi connessi alla fruizione del gioco d'azzardo;
   quali iniziative intenda assumere per una maggiore tutela dei giocatori, in particolare dei giovani e delle altre persone vulnerabili o potenzialmente tali, al fine della sensibilizzazione circa i rischi collegati al gioco d'azzardo. (4-06144)


   ASCANI, GIULIETTI, SERENI e VERINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con sentenza n. 2250/2014 il Tar Sicilia ha riconosciuto che l'eccessivo numero di alunni per classe, oltre a aggravare i rischi relativi alla sicurezza, può incidere negativamente sulla qualità della didattica pregiudicando la formazione degli alunni e, in particolar modo, non consentendo la piena integrazione dei disabili;
   anche nel rispetto di tali principi e dopo l'intervento del Ministro interrogato – come riportato da recenti organi di stampa – la classe del liceo delle scienze umane A. Manzoni di Caltanissetta formata da 43 alunni, dopo pochi giorni dall'inizio dell'anno scolastico è stata sdoppiata;
   nel liceo pedagogico «Jacopone da Todi» di Todi (PG) – a circa due settimane dall'inizio dell'anno scolastico – risulta invece ancora una classe con 38 alunni inseriti;
   l'articolo 1 del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226 stabilisce che il secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione è costituito dal sistema dell'istruzione secondaria superiore e dal sistema dell'istruzione e formazione professionale e che si realizza, in modo unitario, il diritto-dovere all'istruzione e alla formazione che devono essere garantiti dallo Stato –:
   se il Ministro interrogato non ritenga urgente intervenire, per quanto di competenza, al fine di garantire il diritto qualitativo dell'apprendimento – nel rispetto del succitato decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, provvedendo alla risoluzione del disagio dovuto al sovrannumero degli studenti del liceo pedagogico «Jacopone da Todi» di Todi (PG). (4-06145)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il dirigente scolastico dell'Istituto alberghiero di Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli, in vista dell'inizio dell'anno scolastico 2014/2015 (previsto per lunedì scorso 22 settembre) aveva firmato una circolare in cui si affermava che non sarebbe stato consentito l'accesso alle lezioni agli studenti non in regola con l'iscrizione;
   la circolare era stata inviata agli studenti, al personale ATA e ai docenti;
   per perfezionare l'iscrizione era richiesto un versamento di 150 euro come contributo assicurativo e di laboratorio;
   la cifra in questione non veniva specificata nella circolare che invece minacciava la cancellazione dagli elenchi in caso di mancato versamento;
   genitori e studenti hanno contestato la decisione del dirigente scolastico, in quanto il contributo alla scuola in questione dovrebbe essere volontario, così come accade in tutti gli istituti superiori di Castellammare;
   la legge finanziaria n. 296 del 2007 regolamenta questi eventuali contributi, che possono essere richiesti solo ed esclusivamente quali contribuzioni volontarie con cui le famiglie, con spirito collaborativo e nella massima trasparenza, partecipano per al miglioramento e all'ampliamento dell'offerta formativa degli alunni, per raggiungere livelli qualitativi più elevati;
   è quindi illegittimo e si configura come una violazione del dovere d'ufficio, subordinare l'iscrizione degli alunni al preventivo versamento del contributo;
   ciò significa che in caso di rifiuto del pagamento di tale cifra l'istituto non può impedire l'accesso alle lezioni agli alunni;
   è da sottolineare come diverse famiglie degli studenti dell'alberghiero di Castellammare vivano in condizioni disagiate, e difficilmente possono permettersi di pagare 150 euro per iniziare l'anno scolastico, considerate anche tutte le spese di trasporto, giacché l'istituto si trova in una zona periferica della città;
   per questi motivi il primo giorno di scuola a decine di studenti, soprattutto dei primi due anni, è stato impedito di accedere alle lezioni;
   nei giorni successivi la situazione è rimasta la stessa, ed il 24 settembre 2014 agenti del commissariato competente hanno acquisito informazioni sulla vicenda;
   per frequentare un altro istituto alberghiero con un contributo previsto meno gravoso, gli studenti dovrebbero spostarsi addirittura a Vico Equense;
   una circolare del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (numero di protocollo 0000312/2012) afferma che i versamenti in questione sono assolutamente volontari, anche in ossequio al principio di obbligatorietà e gratuità dell'istruzione inferiore, e che il contributo, ad ogni modo, non può in alcun modo riguardare lo svolgimento di attività curricolari, fermo restando, ovviamente, l'obbligo di rimborsare alla scuola alcune spese sostenute per conto delle famiglie stesse, come, ad esempio, quelle per la stipula del contratto di assicurazione individuale per gli infortuni e la responsabilità civile degli alunni, o quelle per i libretti delle assenze o per le gite scolastiche;
   le risorse raccolte con contributi volontari delle famiglie, quindi, devono essere indirizzate esclusivamente ad interventi di ampliamento dell'offerta culturale e formativa e non ad attività di funzionamento ordinario e amministrativo che hanno una ricaduta soltanto indiretta sull'azione educativa rivolta agli studenti;
   ciò dimostra che il contenuto della circolare del dirigente scolastico dell'Istituto alberghiero di Castellammare di Stabia è illegittimo e viola il diritto allo studio dei ragazzi e delle ragazze che intendono iscriversi lì;
   i fatti narrati sono riportati nell'articolo pubblicato dall'edizione online del quotidiano Metropolis il 20 settembre 2014 con il titolo «Castellammare – Alberghiero, circolare choc: “Non paghi? Niente lezioni”», nell'articolo pubblicato dal quotidiano online Positano News il 23 settembre 2014 con il titolo «Castellammare di Stabia. Studenti esclusi dalle aule per non aver pagato il contributo ”volontario” di 150 euro» e nell'articolo pubblicato dal quotidiano Metropolis il 25 settembre 2014 con il titolo «Alberghiero: polizia a scuola» –:
   quali misure intenda intraprendere per garantire il rispetto del diritto allo studio di ragazzi e ragazze nell'Istituto alberghiero di Castellammare di Stabia ed in tutti i casi analoghi. (4-06157)


   ATTAGUILE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il personale della scuola ha diritto a chiedere, annualmente, il trasferimento della sede di servizio, presentando apposita domanda all'Usp di competenza;
   in seguito, viene redatta una graduatoria sulla base del punteggio raggiunto, punteggio che si acquisisce con l'anzianità di servizio;
   nella provincia di Agrigento, però, il diritto alla mobilità esiste solo sulla carta: di fatto, ogni anno, i pochi posti disponibili per i trasferimenti vengono ottenuti da coloro che godono dei benefici della legge n. 104 del 1992 che hanno, quindi, nelle operazioni di mobilità, la precedenza assoluta;
   in questa provincia siciliana il numero di insegnanti, operatori e dirigenti che usufruiscono di tali benefici è altissimo, come risulta subito evidente dal confronto con analoghe graduatorie di altre province, anche in Sicilia;
   per tale motivo, coloro che non hanno certificazioni di handicap grave da esibire non hanno alcuna possibilità di ottenere il trasferimento;
   appare inverosimile e sicuramente suscita dubbi e sospetti, un numero così alto di persone con malattie invalidanti, affetti da patologie tali da essere dichiarati «handicappati gravi»;
   per questo è necessario fare chiarezza, al fine di tutelare i diritti di tutti i lavoratori, anche di quelli che usufruiscono di tali benefici nel rispetto della legge;
   in passato, vari gruppi di insegnanti, hanno presentato lettere di protesta e denuncia alla procura di Agrigento, con richiesta, al Ministero della istruzione, dell'università e della ricerca, alle testate regionali, ai sindacati un'azione di controllo e verifica. Nulla, però, si è mai ottenuto; evidentemente non c’è nessuna volontà a fare chiarezza –:
   se il Ministro intenda attivarsi per predisporre indagini e controlli sul personale che ha già ottenuto il trasferimento presentando tali certificazioni, posto che è necessaria una seria attività di verifica circa la sussistenza delle condizioni richieste dalla normativa ed una conseguente revoca del trasferimento al venir meno di queste ultime e che, se così non fosse, si tratterebbe di una condotta deplorabile ai danni, oltre che dello Stato, di tutti coloro i quali, con tanti anni di servizio, hanno maturato punteggi notevoli e hanno per questo il diritto di ottenere il trasferimento essendo inoltre opportuno che gli accertamenti siano effettuati da strutture sanitarie statali quali gli ospedali militari e le Asp di altre regione non dalle aziende sanitarie di appartenenza, che hanno rilasciato la certificazione;
   se si intenda predisporre attività di controllo sul personale scolastico che ha ottenuto il trasferimento usufruendo della precedenza ex articolo 21 legge n. 104 del 1992, al fine di verificare la sussistenza delle condizioni richieste dalla normativa tramite strutture sanitarie statali quali gli ospedali militari;
   se si intenda destinare, alle precedenze, una percentuale pari al 50 per cento dei posti disponibili per operazioni di mobilità;
   se ritenga necessario che sia pubblicata ogni anno la graduatoria definitiva dei trasferimenti comprensiva di punteggio. (4-06164)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO, PRODANI, BALDASSARRE, CURRÒ, BECHIS e ROSTELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da una puntata del programma televisivo «Le Iene», del 17 settembre 2014, di alcuni casi in cui presunti sindacalisti hanno avuto il riconoscimento di diritti previdenziali pur non avendo prestato alcuna attività sindacale;
   in particolare, viene discusso il caso di una signora che oltre la legittima pensione da ex insegnante, percepisce una pensione integrativa per avere prestato attività sindacale presso lo Snals. Tale pensione integrativa, sembra le sia stata riconosciuta per il lavoro da sindacalista prestato per un anno presso la sede nazionale dello Snals, per il quale ha percepito la somma di duemila euro al mese;
   tuttavia, in concreto sembra che la signora in questione non abbia mai svolto alcuna attività lavorativa come sindacalista presso lo Snals. Ci emergerebbe da alcune indagini svolte presso la sede in cui, dalla documentazione acquisita, risulta essere stata svolta l'attività sindacale;
   a quanto è dato sapere, il diritto previdenziale come sindacalista è stato riconosciuto alla signora attraverso l'autorizzazione del segretario generale dello Snals, Marco Nigi. Lo stesso, di fronte alla richiesta di chiarimenti rispetto all'attività sindacale prestata dalla ex insegnante, ha inizialmente confermato che la signora ha lavorato presso la sede nazionale dello Snals. Tuttavia, dopo l'esibizione di alcune prove che hanno smentito tale circostanza, ha ritrattato la precedente dichiarazione affermando che l'attività lavorativa era stata svolta, invece, presso la Confsal;
   dal servizio televisivo, ciò che si evince è che la signora non ha prestato alcuna attività sindacale, neanche presso la Confsal, e che il beneficio previdenziale le è stato illegittimamente riconosciuto sfruttando il fatto che la stessa sia moglie di un dirigente nazionale di un sindacato, nonché cognata di un segretario provinciale del medesimo sindacato;
   ed ancora, nel servizio televisivo in questione, si è discusso di ulteriori casi di persone a cui sono stati riconosciuti pensioni integrative per lo svolgimento di attività sindacale presso lo Snals. A tal riguardo, risulta altresì che il riconoscimento di questi diritti previdenziali non trovi corrispondenza rispetto ai dati documentali del bilancio dello Snals, dai quali si evince che le voci degli stipendi e dei contributi e, dunque, l'organico non è invariato negli anni;
   si ritiene che sui fatti in questione vada fatta urgente chiarezza sotto molteplici profili;
   a parere dell'interrogante, è fatto notorio che nell'ambito dei sindacati sussistano dei meccanismi per i quali a danno dell'Inps, e quindi dell'erario dello Stato, sia possibile riconoscere diritti previdenziali a persone che non hanno mai prestato attività sindacale in base, ad esempio, ad una mera dichiarazione di un segretario generale che certifichi lo svolgimento della prestazione lavorativa, come avvenuto nel caso predetto;
   anche da un punto di vista normativo, si ritiene che l'applicazione di alcune disposizioni normative in materia vengano strumentalizzate per ottenere illegittimi diritti previdenziali, come avvenuto con la legge n. 252 del 1974, la cosiddetta legge Mosca – ancora vigente – in base alla quale molti presunti sindacalisti si sono visti riconoscere diritti previdenziali pur non avendo mai prestato attività sindacale come è provato dalla moltitudine di contenziosi che hanno poi confermato l'illegittimità delle pensioni attribuite;
   altresì, alcune norme riconoscono degli ingiusti benefici previdenziali. Nello specifico, ci si riferisce al decreto legislativo n. 564 del 1996, in particolare all'articolo 3, che reca disposizioni in materia di contribuzione figurativa che, a parere dell'interrogante, determina una discriminazione nei confronti degli altri lavoratori laddove consente a chi presta attività sindacale, anche per brevissimi periodi, di ottenere una congrua pensione integrativa, poiché la base per il calcolo della stessa è costituita dall'ultimo mese di stipendio percepito. In tal caso, si ha il riconoscimento di un beneficio previdenziale con il versamento di contributi da parte del lavoratore solo per il periodo relativo all'attività lavorativa prestata, mentre sono a carico dello Stato i contributi figurativi per i periodi in cui non sono stati versati;
   ebbene, siamo di fronte ad un caso di pensioni «gonfiate» legate all'ente previdenziale pubblico con gestione finanziaria senza copertura patrimoniale. Il metodo di calcolo della pensione di anzianità non è legato ai contributi obbligatori per le assicurazioni obbligatorie versati, ma solo agli stipendi per cui, l'aumento elevato di poche annualità di stipendio consente di aumentare la riserva matematica corrispondente. Dunque, la pensione concessa sarà ben superiore al montante contributivo versato individualmente dal lavoratore;
   tale assurdo meccanismo determina la nascita di un ulteriore debito previdenziale latente che viene posto a carico dell'erario dello Stato. Addirittura, tale sistema viene anche definito «spoliazione legale», poiché si reca un privilegio ingiustificato ad una determinata categoria, ossia chi presta attività sindacale, a carico della spesa pubblica e quindi di tutti i cittadini;
   orbene, si ritiene necessario e urgente porre fine agli ingiusti benefici previdenziali riconosciuti alla classe sindacale, anche determinati dalle normative predette quali: la legge n. 252 del 1974 – come già rilevato dall'interrogante con atti di sindacato ispettivo nn. (4-02444), (5-01901), (4-04663) – nonché il decreto legislativo n. 564 del 1996, che hanno inferto all'erario dello Stato danni per milioni di euro –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti in premessa e quali siano i suoi orientamenti in merito;
   se e quali iniziative normative intenda adottare affinché vengano eliminati i privilegi previdenziali riconosciuti a chi presta attività sindacale, come riconosciuti dal decreto legislativo n. 564 del 1996, che oltre a determinare un ingiustificato peso sulla spesa pubblica, determinano un'oggettiva discriminazione nei confronti degli altri lavoratori;
   se e quali iniziative intenda adottare, anche rispetto alla legge n. 252 del 1974, cosiddetta legge Mosca, che sebbene abbia determinato una moltitudine di contenziosi che hanno accertato la concessione di illegittimi benefici previdenziali alla classe sindacale, risulta ancora vigente;
   ferma restando la necessità di intervenire per modificare la normativa in materia, se e quali provvedimenti intenda adottare il ministro, affinché vi sia un incisivo controllo sul riconoscimento dei diritti previdenziali a chi ha prestato attività sindacale, al fine di assicurare che l'attività lavorativa sia stata concretamente svolta;
   se e quali provvedimenti intenda adottare per accertare l'elenco dei sindacalisti che beneficiano delle pensioni integrative in questione, anche al fine di consentire una verifica della legittimità delle stesse, ciò proprio in considerazione del verificarsi di casi, purtroppo non sporadici, come quello descritto in premessa, dove vengono riconosciuti illegittimi benefici pensionistici ai danni dell'Inps. (5-03657)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIBAUDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Associazione Regionale Allevatori della Sicilia (A.R.A.S.) opera da 50 anni, su delega dello Stato e della Regione Siciliana, ed attua la selezione del bestiame e l'assistenza agronomica-veterinaria in oltre cinquemila aziende zootecniche, interessando oltre il 70 per cento degli allevamenti siciliani;
   l'Associazione regionale allevatori della Sicilia, alle cui dipendenze operano, a tempo indeterminato, circa 146 lavoratori (tecnici, agronomi, veterinari, agrotecnici, periti agrari ed amministrativi) nonché un elevato numero di tecnici in convenzione libero-professionale (oltre il 30 per cento);
   da alcuni anni la struttura dell'ARAS, ha avuto un collasso organizzativo, finanziario ed amministrativo, tanto da determinare dal 28 dicembre 2009 la nomina di un Commissario da parte dell'Associazione italiana allevatori (A.I.A.), con conseguente destituzione del presidente, della giunta e del consiglio direttivo;
   dal 6 gennaio 2010 la gestione dell'ARAS è stata affidata ad un commissario e a tutt'oggi non registra alcun miglioramento sotto il profilo gestionale e finanziario;
   da ben quattro anni l'ARAS, ente morale di assistenza tecnica agli allevatori per il miglioramento della zootecnia isolana, è commissariata dall'AIA, dentro cui la Coldiretti ha piena influenza nelle scelte politiche e organizzative;
   molti dubbi lascia la vicenda del mancato rinnovo delle cariche sociali a seguito dell'invalidazione dell'assemblea (svoltasi a Enna) degli allevatori, per l'assenza ai lavori del commissario dell'AIA, ex commissario dell'ARAS Massimo Sessa;
   nel corso della gestione commissariale si è ulteriormente aggravato il deficit di bilancio dell'associazione regionale allevatori della Sicilia si è ulteriormente aggravato anche in relazione ai tanti decreti ingiuntivi di operatori e fornitori;
   la situazione finanziaria dell'ente ha portato i lavoratori ad un contratto di solidarietà con una riduzione notevole dei salari, a fronte di compensi pieni che ancora oggi vengono percepiti da commissari e direttori;
   la mancata erogazione degli emolumenti ai lavoratori tutti del ruolo pubblico dell'ARAS, ormai da diversi mesi, ha costretto a quanto consta all'interrogante i tecnici ad anticipare mensilmente di tasca propria, pur senza percepire emolumenti, le spese di trasporto, automezzi e carburante per potere effettuare le periodiche visite mensili nelle aziende zootecniche;
   lo stato permanente di crisi organizzativa, funzionale e finanziaria dell'Associazione regionale allevatori della Sicilia può recare danno agli allevatori in assistenza tecnica a seguito della sospensione o dello scadimento dei servizi già svolti dai lavoratori dal predetto «ruolo pubblico», potrebbero venire meno i vantaggi economici-produttivi acquisiti ed il raccordo con la migliore zootecnia e potrebbero inoltre essere disperse le professionalità dei tecnici adibiti per l'assistenza a dette aziende;
   occorre tempestivamente e responsabilmente ridare nuova e corretta rotta organizzativa ai servizi delegati rivolti al comparto zootecnico siciliano e rimediare alle gravissime mancanze e danno verso gli allevatori siciliani e al personale tecnico addetto a tale attività –:
   quali iniziative, il Ministro interrogato, con l'urgenza del caso, intenda intraprendere per il rilancio dei servizi destinato agli allevatori di Sicilia e per la salvaguardia dei lavoratori tutti dell'Associazione regionale e nazionali allevatori, nonché per assicurarne la regolare funzionalità. (5-03656)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO, PARENTELA, MASSIMILIANO BERNINI e BENEDETTI. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la febbre catarrale, meglio nota come «blue tongue» o «lingua blu», è una malattia infettiva che colpisce i ruminanti, in particolare gli ovini, compromettendone gravemente, e spesso in maniera irreparabile, la salute, a causa di gravi lesioni a carico della mucosa oronasale con la comparsa di febbre elevata. Il tasso di mortalità riscontrato all'interno degli attuali focolai varia di una percentuale compresa tra il 3 e l'8 per cento in base allo stato sanitario generale del gregge. Non vanno trascurate le eventuali perdite di produzione legate al risentimento sistemico degli animali durante le fasi cliniche della malattia e nella successiva convalescenza;
   questa malattia, riconosciuta non pericolosa per l'uomo, è causata da un insetto vettore ematofago (Culicoides imicola complex o culicoides obsoletus complex) diffuso soprattutto nelle zone calde del pianeta, ed è stata riscontrata per la prima volta nel nostro Paese nel 2000;
   esistono ben 24 sierotipi diversi del virus trasmesso da questi insetti; attualmente in Italia sono presenti i sierotipi 1, 2, 4, 8, 9, 16 responsabili delle maggiori epidemie che hanno caratterizzato le regioni italiane, specie quelle a maggiore vocazione zootecnica, negli ultimi 14 anni;
   dal 2000, data di comparsa della prima epidemia di blue tongue sostenuta dal sierotipo 2, si è assistito ad una progressiva diffusione di altri sierotipi virali. Il sierotipo di più frequente isolamento a partire dal 2012 è risultato il BTV1 che a partire dalla regione Sardegna ha progressivamente interessato tutte le regioni del centro sud Italia;
   in particolare, dal 2012 al settembre 2014 i focolai attivi — secondo quanto riportato dai dati del Ministero della salute, sono passati da 18 a oltre 550, interessando inizialmente tre regioni e arrivando, oggi, a colpire: Abruzzo, Basilicata, Calabria (dove attualmente si registra il maggior numero di casi), Campania, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana e Umbria;
   è evidente che gli allevatori italiani di ovini stanno subendo dei danni gravissimi, con perdite di migliaia di capi (sia per morte naturale che per necessario abbattimento) e impossibilità di spostare gli animali in zone «sane» del Paese a causa della ovvie restrizioni alla movimentazione ribadite dal Ministero della salute;
   l'unico modo per arrestare il virus è la profilassi, ma la campagna di vaccinazione avviata nel 2003 durante la prima epidemia della blue tongue, ha portato molti più danni che benefici; sia a causa dell'utilizzo di un vaccino inefficace e non testato che ha permesso il propagarsi della malattia per siero conversione anche tra i bovini; sia a causa di una campagna di vaccinazione errata che, anziché limitare la profilassi alle sole zone infette, si è allargata a tutta la popolazione ovina italiana, favorendo, in qualche modo la recrudescenza del virus e al contempo causando danni agli allevamenti sani (aborti, sterilità...);
   per la campagna di vaccinazioni 2003-2004 sono state indagate oltre 40 persone, tra cui esponenti di spicco del Ministero interrogato;
   ad oggi il principale strumento in grado di contenere i danni provocati dalla malattia, limitare la circolazione virale e consentire la movimentazione dei nostri animali all'interno del territorio nazionale e comunitario è il vaccino nella nuova formulazione di ceppo virale inattivato, con caratteristiche di efficacia ed innocuità che lo distinguono dal precedente presidio immunizzante. In Sardegna, dove la malattia rappresenta una vera e propria piaga, la vaccinazione capillare (circa l'85 per cento) dei capi ha portato ad una notevole diminuzione dei focolai tanto che da 2.674 focolai individuati nel settembre 2013 si è passati a 5 focolai individuati nel settembre 2014;
   tuttavia, avendo promosso una campagna vaccinale gestita e coordinata su base regionale, si è assistito nell'anno corrente ad una frammentazione delle strategie di impiego di questa risorsa, condizionata anche dalla limitata disponibilità in commercio del vaccino stesso. La mancanza di un'azione coordinata a livello centrale e omogeneamente distribuita all'interno dei territori coinvolti ha provocato, a parere degli interroganti, la diffusione del virus su ampia scala;
   proprio nella prima metà di settembre 2014 è stato, infatti, invocato lo «stato di crisi» in Abruzzo e Molise, in Calabria si fotografa una situazione preoccupante con centinaia di focolai attivi, mentre in Umbria, dove risultano infetti quasi 10 mila capi di ovini, si attende nelle prossime settimane l'arrivo di nuovi vaccini;
   ad oggi nel nostro Paese, secondo quanto si apprende dall'ultima revisione del dispositivo dirigenziale n.5662 – P – del 14 marzo 2014 del Ministero della salute, l'unico vaccino disponibile è quello per il sierotipo virale BTV1, e non esistono scorte disponibili per gli altri sierotipi dai quali una grossa fetta della popolazione ovina italiana risulta affetta;
   dalla relazione al piano integrato annuale 2012, nel capitolo sulle malattie infettive animali, relativamente alla vaccinazione per la blue tongue si legge che considerando che non esistono in commercio tutte le tipologie vaccinali occorrenti al territorio nazionale, e le condizioni di mercato relativamente all'approvvigionamento dei vaccini non consentono quindi di poter ricorrere alla vaccinazione sistematica dei capi da movimentare, o di poter effettuare una campagna vaccinale nelle zone storicamente considerate a rischio di infezione per caratteristiche territoriali e/o per introduzione dagli altri Paesi comunitari, a partire dal 2010 il ricorso alla vaccinazione in Italia è divenuto facoltativo, ed ha comportato quindi la riduzione dei livelli di immunità dei capi sensibili –:
   quante e quali regioni abbiano finora fatto richiesta delle dosi di vaccino per il sierotipo BTV1 e quante siano le scorte ancora a disposizione, nonché se siano state fatte richieste per gli altri sierotipi virali;
   quali siano le ragioni della mancata disponibilità di vaccini per gli altri ceppi del virus blue tongue;
   come e se siano stati utilizzati i contributi finanziari dell'Unione europea previsti dall'articolo 5 della decisione di esecuzione della Commissione europea 2013/722/UE;
   se non ritenga opportuno, visto il rapido diffondersi della malattia da gennaio ad oggi, prevedere una gestione centrale da parte del Ministero dell'emergenza blue tongue, al fine di intervenire in maniera capillare per l'eradicazione il virus in tutte le regioni italiane, evitare il diffondersi della malattia anche in territori oggi immuni e tutelare gli allevatori italiani;
   come intenda tutelare le aziende agricole che non hanno potuto procedere alla vaccinazione dei capi a causa della mancanza di vaccini e che hanno quindi subito danni anche di carattere economico. (5-03649)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   CARRESCIA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 5, comma 9, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012 era stato introdotto il divieto, per le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, di attribuire incarichi di studio e consulenza a soggetti, già appartenenti ai ruoli delle stesse amministrazioni e collocati in quiescenza, che avessero svolto, nel corso dell'ultimo anno di servizio, funzioni e attività corrispondenti a quelle oggetto dello stesso incarico di studio e di consulenza;
   la disposizione aveva esteso, di fatto, il fronte dell'intervento meno restrittivo, della legge n. 724 del 1994 (legge finanziaria) che individua i destinatari solamente nei dipendenti cessati per pensionamento di anzianità e non di vecchiaia e non «a tutti i dipendenti collocati in quiescenza», senza alcuna distinzione;
   il decreto-legge 6 luglio 2014, n. 95 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014 ha aggravato le regole di incompatibilità per i pensionati disponendo la modifica dell'articolo 5, comma 9, della legge n. 135 del 2012 la quale, pertanto, oggi prevede che «È fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, nonché alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 nonché alle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti, già appartenenti ai ruoli delle stesse e collocati in quiescenza, che abbiano svolto, nel corso dell'ultimo anno di servizio, funzioni e attività corrispondenti a quelle oggetto dello stesso incarico di studio e di consulenza;
   inoltre, l'incompatibilità, che è stata allargata dai pensionati pubblici anche a quelli privati, sembra essere divenuta assoluta quanto all'oggetto perché non è più limitata solo ad «incarichi di studio e consulenze»;
   l'incompatibilità posta dal decreto-legge n. 95 del 2014, in un'interpretazione restrittiva che stanno dando diverse pubbliche amministrazioni, rischia di creare situazioni di discriminazione nei confronti di molti professionisti che sono anche pensionati pubblici o privati e che hanno, spesso da anni, rapporti con le amministrazioni pubbliche. L'incompatibilità, intesa in tale accezione, si estenderebbe infatti, ad esempio, a ex dipendenti pubblici o privati, con pensione maturata entro il 31 dicembre 2012 (40 anni contributivi, con le regole della «legge Fornero», e con età inferiore a 65 anni), possessori di partita IVA perché professionisti regolarmente iscritti ad un ordine professionale (avvocati, ingegneri, chimici, commercialisti e altro) –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per chiarire, al fine di evitare un'incomprensibile discriminazione e condotte diverse fra le varie pubbliche amministrazioni, la reale portata della norma ed in particolare se l'incompatibilità si estenda anche ad incarichi a professionisti che siano pensionati pubblici o privati, e se, in tal caso, intenda proporre modifiche normative in merito. (4-06141)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TONINELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 11 ottobre 2013 il gruppo Newlat SPA ha avviato, ai sensi dell'articolo 4, della legge 7 luglio 1991, n.223, la procedura per la collocazione in mobilità di 177 dipendenti;
   nonostante le richieste, da parte delle organizzazioni sindacali interessate, l'azienda non ha presentato e delineato un progetto industriale che chiarisse le vocazioni produttive dei vari siti e il mantenimento dei livelli occupazionali;
   in particolare, in assenza di alcun previo accordo per la gestione degli esuberi dello stabilimento di Lodi, il 22 settembre 2014 ha inviato lettera di licenziamento a venti dipendenti dello stesso. Dopo cinque giorni di sciopero, l'invio di tali lettere, con le quali l'azienda è venuta meno agli accordi presi tra le parti il precedente 3 settembre, è sfociato in una giornata di forti tensioni tra i lavoratori manifestanti, provocate dalla contrapposizione frontale tra azienda e lavoratori, che, opponendo la chiusura dello stabilimento al blocco della produzione;
   solo all'esito di questa giornata di tensioni, l'azienda ha apparentemente deciso di tornare a trattare, proponendo, secondo quanto riportato dal segretario di Uila Uil e Rsu Ossino, che dei 32 esuberi, otto accedano al prepensionamento, cinque al part time al 70 per cento sette possano restare, con altra mansione, mentre sarebbe possibile anche il part time di più persone per la salvaguardia di un maggior numero di posti di lavoro; con ciò dimostrando la possibilità di alternative ai licenziamenti, precedentemente escluse. La difficoltà della situazione evidenzia quindi la necessità urgente di attenzione da parte degli attori istituzionali a ciò preposti, e dunque dei ministri interrogati, onde evitare che la gestione degli esuberi, anziché nei modi previsti dalla legge, avvenga soltanto all'esito di pericolose contrapposizioni frontali derivanti da decisioni unilaterali;
   alla necessità di intervento derivante dallo stato di forte agitazione dei lavoratori, si aggiunga che l'iniziativa intrapresa dal gruppo Newlat ha un rilevante impatto su un settore chiave per l'economia del Paese quale è il settore lattiero caseario, specialmente nel corso della grave crisi economica che il Paese sta attraversando e rispetto al quale le soluzioni offerte dal Governo appaiono all'interrogante del tutto insoddisfacenti –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di intervenire con urgenza per arrivare a soluzioni immediate per salvaguardare i lavoratori del gruppo Newlat interessati dal licenziamento e per il corretto svolgimento delle procedure di gestione degli esuberi;
   quali iniziative di competenza intenda adottare per la pressante esigenza di rilancio del settore, dell'azienda in particolare, e per la tutela dei dipendenti e delle loro famiglie. (5-03654)

Interrogazione a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto interministeriale del 5 dicembre 2013, concertato con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, stabilisce le modalità di incentivazione per il biometano immesso nella rete dei gasdotti, in particolare nel caso dell'uso del biometano come metano per autotrazione e per il suo uso in impianti di cogenerazione ad alto rendimento, con la finalità di promuovere lo sviluppo di tale risorsa energetica;
   come lamentano numerosi soggetti interessati del comparto biometano, in particolare il coordinamento Free – Fonti rinnovabili ed efficienza energetica – tale disposizione non risulta aver ancora trovato attuazione;
   appare necessario rendere pubblico il valore dei cosiddetti certificati di immissione al consumo dei biocarburanti. Al valore di tali certificati è infatti legato il livello di incentivazione del biometano impiegato come carburante per autotrazione –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano assumere ogni iniziativa perché tale disciplina trovi pronta attuazione. (4-06162)

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Currò e altri n. 7-00302, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta del 12 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Marcon.

  La risoluzione in Commissione Prataviera e Fedriga n. 7-00464, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta del 23 settembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Simonetti.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza urgente Gigli n. 2-00682 del 17 settembre 2014;
   interpellanza urgente Attaguile n. 2-00688 del 23 settembre 2014.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Corda e altri n. 5-01356 del 31 ottobre 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-06148;
   interrogazione a risposta in Commissione Zolezzi e altri n. 5-01767 del 20 dicembre 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-06147;
   interrogazione a risposta in Commissione Frusone e altri n. 5-02040 del 31 gennaio 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-06153;
   interrogazione a risposta in Commissione Rizzo e altri n. 5-02727 del 30 aprile 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-06152;
   interrogazione a risposta in Commissione Corda e altri n. 5-03382 del 31 luglio 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-06149.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Rizzo n. 4-06137 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 297 del 24 settembre 2014. Alla pagina 16740, prima colonna, alla riga trentesima, deve leggersi: «un procedimento di trasferimento nei confronti» e non «un procedimento disciplinare nei confronti», come stampato. Alla pagina 16740, seconda colonna, dalla riga trentaquattresima alla riga trentacinquesima deve leggersi: «provvedimento di trasferimento comminato ai militari coinvolti.» e non «provvedimento disciplinare comminato ai 5 militari.», come stampato.